Edgar Wallace
L'Enigma Della Candela Ritorta The Clue of the Twisted Candle © 1916 Il Giallo Economico Classico - Numer...
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Edgar Wallace
L'Enigma Della Candela Ritorta The Clue of the Twisted Candle © 1916 Il Giallo Economico Classico - Numero 20 - 6 novembre 1993
Personaggi principali Thomas Xavier Meredith John Lexman Grace Lexman Remington Kara Mansus Sir George Lord Bartholomew Belinda Mary Bartholomew Fisher
vicecommissario di Scotland Yard scrittore di gialli sua moglie ricco greco assistente di T.X. Meredith commissario capo ministro inglese sua figlia maggiordomo di Kara
1. Il treno delle 4.15 dalla stazione Victoria a Lewes era stato fatto passare da Three Bridges a causa di un deragliamento e, nonostante John Lexman fosse stato tanto fortunato da riuscire a prendere la coincidenza per Beston Tracey, la piccola corriera che era l'unica comunicazione tra il villaggio e il mondo esterno era già partita. — Se potete aspettare una trentina di minuti, signor Lexman — disse il capostazione — telefonerò al villaggio e farò venire Briggs a prendervi. John Lexman osservò il panorama che gli si stagliava davanti e scrollò le spalle. — Vado a piedi — ribatté conciso e, dopo aver lasciato la valigia in stazione, si allacciò l'impermeabile fino al mento e uscì con decisione sotto la pioggia per percorrere i quattro chilometri che separavano la piccola stazione ferroviaria da Little Beston. La pioggia era incessante e dava l'impressione di voler continuare a scrosciare per tutta la notte. Le alte siepi che costeggiavano entrambi i lati della stretta stradina avevano le foglie cadenti e la strada era piena di pozzanghere fangose. Si fermò sotto le fronde protettive di un grosso Edgar Wallace
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albero per riempire e accendersi la pipa e, voltandola verso il basso, continuò la sua camminata. Tralasciando la pioggia violenta e incessante che penetrava nelle fessure del suo impermeabile, John Lexman passeggiava volentieri. La strada che portava da Beston Tracey a Little Beston era associata nella sua mente ad alcune delle situazioni più geniali dei suoi romanzi. Lì infatti aveva concepito Il Mistero Tilbury. Tra la stazione e la sua casa aveva inventato la trama che aveva reso Gregory Standish il romanzo giallo più popolare dell'anno. Infatti John Lexman era uno scrittore molto ingegnoso. Sebbene, parlando in termini letterari, alcuni critici lo considerassero uno scrittore popolare, aveva un pubblico incredibilmente numeroso che restava affascinato dalle storie mozzafiato che tenevano i lettori sulla corda fino alle ultime pagine, alla risoluzione del mistero. Ma mentre camminava per la strada deserta che portava a Little Beston, non pensava né ai libri, né alle trame né ai suoi personaggi. Aveva avuto due colloqui a Londra uno dei quali, in circostanze normali, lo avrebbe riempito di gioia. Aveva parlato con T.X. e T.X. era T.X. Meredith, che un giorno sarebbe diventato il capo del dipartimento investigazioni criminali e che ora era vicecommissario di polizia, impegnato nei lavori più delicati. Con il suo solito modo di fare scontroso e tempestoso, T.X. gli aveva suggerito un'idea geniale per un romanzo, una delle migliori che uno scrittore potrebbe escogitare. Ma non era a T.X. che John stava pensando mentre saliva sulla collina sulla quale sorgeva la sua piccola casa, chiamata con una certa, eccessiva solennità, Beston Priory. Stava pensando all'intervista che aveva avuto con quel greco il giorno prima. John Lexman aggrottò la fronte ripensandoci. Aprì il cancelletto della sua casa ed entrò cercando di scrollarsi di dosso il più possibile il ricordo e la spiacevole sensazione che la discussione con l'usuraio gli avevano lasciato. Beston Priory era più grande di un cottage e una delle pareti era senza dubbio un residuato dell'antica casa che il pio Howard aveva costruito nel tredicesimo secolo. Era una casa piccola e senza pretese, di stile elisabettiano con strani tetti e alti comignoli, con le finestre con le grate e i giardini più bassi rispetto alla casa, con i roseti e il prato ordinato che le conferivano un certo aspetto signorile, fonte di grande orgoglio per il padrone di casa. Edgar Wallace
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John Lexman passò sotto il portico e si soffermò per un momento nell'ampio ingresso per togliersi l'impermeabile fradicio di pioggia. L'ingresso era buio. Grace si stava senza dubbio cambiando per la cena e John decise di non disturbarla, visto anche il suo attuale stato d'animo. Attraversò il lungo passaggio che lo condusse sul retro della casa, dove aveva lo studio. Nell'antico camino era acceso un bel fuoco e il calore della stanza gli diede un senso di pace e di sollievo. Si tolse le scarpe e accese la luce sul tavolo. La sua stanza si poteva definire come la «tana» di un uomo. Le sedie coperte di cuoio, la grande e affollatissima libreria che occupava la sezione di un'intera parete, la solida scrivania di legno di quercia coperta di libri e di manoscritti incompleti tradivano, senza possibilità di dubbio, la professione del padrone. Dopo essersi tolto le scarpe, riaccese la pipa e si diresse al camino, restando a fissare il fuoco scoppiettante. Era un uomo poco più alto della media, magro, con le spalle larghe, simili a quelle di un atleta. Infatti aveva praticato il canottaggio e aveva combattuto come pugile dilettante arrivando in semifinale del campionato inglese. Aveva un viso duro, magro e tuttavia bello. I suoi occhi erano grigi e profondi e le sopracciglia erano dritte e autoritarie. La bocca, grossa e generosa, e il volto colorito gli conferivano l'aspetto sano di chi vive molto all'aria aperta. Non aveva l'aria di uno studioso recluso o di un intellettuale. In effetti era un tipico inglese dall'aspetto sano, simile a quanti militavano nell'esercito o in marina o nei lontani avamposti dell'impero, assegnati ai lavori di amministrazione di questo enorme apparato. Sentì un leggero tocco alla porta e, prima di poter invitare a entrare, la porta si aprì e Grace Lexman apparve. Per fare economia di parole nella descrizione, si possono citare solo due aggettivi: coraggiosa e dolce. Lui attraversò la stanza per andarle incontro e la baciò con molta tenerezza. — Non mi ero accorta che fossi tornato fino a quando... — disse lei prendendolo a braccetto. — Fino a quando non hai visto la terribile confusione che il mio impermeabile ha creato nell'ingresso — sorrise lui. — Conosco i tuoi metodi, Watson! Lei rise ma subito tornò seria. — Sono molto contenta che tu sia tornato. Abbiamo un visitatore — Edgar Wallace
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affermò. Lui inarcò le sopracciglia. — Un visitatore? Chi può arrivare fino a qui in un giorno come questo? Lei lo fissò con uno sguardo strano. — Il signor Kara — disse. — Kara? Da quanto tempo è qui? — È arrivato alle quattro. Non c'era entusiasmo nel tono di lei. — Non capisco perché non ti piace il vecchio Kara! — la schernì suo marito. — Ci sono molte ragioni — rispose lei, insolitamente concisa. — Comunque — ribatté John Lexman dopo un momento di riflessione — il suo arrivo è opportuno. Dov'è? — In salotto. Il salotto di Priory era un'ampia sala con il soffitto basso, decorata molto artisticamente, come diceva Lexman. Delle comode poltrone, un grande pianoforte, una grata medievale, un tappeto molto sfruttato ma ancora bello e due grossi candelabri d'argento erano le principali caratteristiche della sala. Nella stanza c'erano un'armonia, una tranquilla compostezza e un'atmosfera rilassante ideali per uno scrittore con i nervi tesi. Due grandi vasi di bronzo pieni di violette e un altro, colmo di primule gialle come il sole radioso e di altri fiori primaverili, riempivano la stanza di una leggera fragranza. Un uomo si alzò in piedi quando John Lexman entrò e attraversò la sala con passo deciso. Era singolarmente bello sia di viso che di portamento. Era più alto dello scrittore e aveva un atteggiamento armonioso. — Non vi ho trovato in città — commentò — e così ho pensato di fare una corsa fin qui per vedervi. Parlava con la voce ben modulata di chi ha frequentato a lungo le scuole private e le università inglesi. Non c'era nessuna traccia di accento straniero, tuttavia Remington Kara era greco, ma nato ed educato in parte nella turbolenta regione dell'Albania. I due si strinsero le mani con calore. — Volete restare a cena? Kara si guardò intorno e fissò con un sorriso Grace Lexman. Lei si alzò in piedi imbarazzata, con le mani unite e una espressione non molto incoraggiante. Edgar Wallace
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— Se alla signora Lexman non dispiace — ribatté il greco. — Sarei lieta se vi fermaste — rispose lei con voce meccanica. — È una notte terribile e non credo che trovereste qualcosa da mangiare in questa zona di Londra, anche se dubito — aggiunse con un leggero sorriso — che la cena che vi offrirò sarà degna di questo nome. — Ciò che mi offrirete sarà più che sufficiente — dichiarò l'uomo che, con un leggero inchino, si voltò verso il marito. Pochi minuti dopo erano assorti in una fitta conversazione a proposito di libri e di località. Grace approfittò dell'occasione per uscire di scena. Poi la conversazione tra i due uomini passò dai libri in generale ai romanzi di Lexman. — Ho letto tutti i vostri romanzi, sapete — disse Kara. John fece una smorfia. — Poveretto! — commentò con ironia. — Al contrario — ribatté Kara. — Io non mi compatisco affatto. C'è un grande criminale nascosto in voi, Lexman. — Grazie — rispose John. — Non vi ho offeso, vero? — sorrise il greco. — Mi stavo solo riferendo alla genialità delle vostre trame. A volte i vostri libri mi irritano. Se non riesco a capire la soluzione del mistero prima della metà del romanzo, mi arrabbio. Naturalmente, nella maggior parte dei casi, io conosco la soluzione prima di aver raggiunto il quinto capitolo. John lo guardò sorpreso e si sentì un po' irritato. — E io che mi vanto a dire che nelle mie storie è impossibile scoprire la soluzione fino all'ultimo capitolo! — esclamò. Kara annuì. — Ed è così per tutti i lettori comuni, ma non dovete dimenticare che io sono uno studioso. Io seguo ogni piccola traccia e indizio che voi lasciate intravedere. — Dovreste conoscere T.X. — commentò John ridendo e alzandosi dalla scrivania per ravvivare il fuoco. — T.X.? — T.X. Meredith. È il tizio più ingegnoso che si possa incontrare. Siamo stati a Caius insieme e, a proposito, è un mio grande amico. Appartiene al dipartimento di investigazioni criminali. Kara annuì. C'era una luce di interesse nei suoi occhi e avrebbe di certo continuato il discorso se in quel momento non fosse stata annunciata la Edgar Wallace
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cena. Non fu una cena particolarmente divertente perché Grace, come al solito, non partecipò alla conversazione e il signor Kara e suo marito dovettero colmare questa lacuna. La donna stava avvertendo una curiosa sensazione di depressione, la premonizione di qualche disgrazia che non sapeva definire. Più volte, durante il corso della cena, ripensò agli eventi della giornata per scoprire la ragione del proprio disagio. Di solito, quando adottava questo sistema, trovava sempre le cause banali del proprio stato d'animo, ma ora rimase sconcertata nel rendersi conto che la soluzione le veniva negata. Le lettere che aveva ricevuto quella mattina erano tutte serene e non c'erano stati problemi in casa o con la servitù. Si sentiva bene e nonostante sapesse che John aveva dei problemi finanziari dopo quella sfortunata speculazione con l'oro rumeno e sospettasse che il marito avesse dovuto fare dei debiti per coprire queste perdite, tuttavia le prospettive erano così favorevoli e il successo del prossimo romanzo così promettente che lei, probabilmente giudicando con saggezza la scarsa importanza del denaro perso, era meno preoccupata di lui. — Prendete il caffè nello studio, vero? — chiese Grace. — So che mi scuserete. Devo parlare con la signora Chandler a proposito dell'interessante argomento della biancheria. Fece a Kara un leggero cenno del capo uscendo dalla sala e sfiorò la spalla di John. Gli occhi di Kara seguirono l'elegante figura di lei fino a quando non scomparve dalla sua vista. Poi: — Vorrei parlarvi, Kara — disse John Lexman. — È questione di cinque minuti. — Posso dedicarvi anche delle ore, se volete — ribatté l'altro. Andarono insieme nello studio: la cameriera portò i liquori e il caffè che posò sul tavolo prima di scomparire. All'inizio la conversazione rimase sulle generali e Kara, che era un sincero ammiratore del comfort di quella stanza e che si lamentava per la propria incapacità di assicurarsi con il denaro la tranquillità che John aveva ottenuto con scarse opportunità, fece alcune domande al suo ospite. — Immagino che sia impossibile per voi fare arrivare qui la corrente elettrica — disse Kara. — Sì — rispose l'altro. — Perché? — Mi piace la luce di questa lampada. Edgar Wallace
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— Non è la lampada — borbottò il greco con una piccola smorfia. — Odio queste candele. Indicò con un gesto della mano la mensola sulla quale erano posate sei candele di cera bianca. — Perché diavolo odiate le candele? — chiese l'altro sorpreso. Kara non rispose subito, limitandosi a scrollare le spalle. Poi disse: — Se voi foste rimasto legato a una sedia con un sacchetto di polvere da sparo accanto e una candela che si consuma inesorabilmente... mio Dio! John rimase sbalordito dalla passione che vide trasparire sul viso dell'altro. — Sembra emozionante — commentò. Il greco si asciugò la fronte sudata con un fazzoletto di seta e la mano gli tremava un poco. — È molto più che emozionante — ribatté. — E quando è successo? — chiese lo scrittore con curiosità. — In Albania — rispose l'altro. — È successo molti anni fa ma i demoni mi mandano sempre degli impulsi per ricordarmi quel fatto. Non spiegò chi fossero i demoni o in quali circostanze avesse vissuto una simile esperienza, e cambiò subito argomento. Vagabondando per la stanza si soffermò davanti agli scaffali, fermandosi ogni tanto a leggere i titoli dei volumi. Alla fine prese un voluminoso tomo. — Brasile Selvaggio — lesse. — Di George Gathercole; conoscete Gathercole? John, che stava riempiendo la pipa con il tabacco che teneva nella scrivania, annuì. — L'ho incontrato una volta; un tipo molto taciturno. È davvero poco loquace e, come coloro che hanno fatto e visto molte cose, è meno incline di altri a parlare di se stesso. Kara guardò il libro con un'espressione pensierosa sul volto, voltando le pagine con gesti pigri. — Io non l'ho mai visto — fece rimettendo il libro al suo posto — e tuttavia deve a me il suo nuovo viaggio. L'altro sollevò lo sguardo. — A voi? — Sì; dovete sapere che è andato in Patagonia per me. Crede che ci sia dell'oro laggiù. Dal suo libro scoprirete molti particolari sul sistema montagnoso del Sudamerica. lo ero interessato alle sue teorie e così gli ho Edgar Wallace
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scritto. Abbiamo iniziato una corrispondenza e, come risultato, lui ha deciso di intraprendere una spedizione geologica per conto mio. Io gli ho mandato i soldi per le spese e lui è partito. — E non l'avete mai visto? — chiese Lexman sorpreso. Kara scosse la testa. — Ma questo non è da... — cominciò il suo ospite. — Non è da me, stavate per dire. È vero, non è nel mio stile, ma mi sono reso conto che si tratta di un uomo insolito. L'ho invitato a cena da me prima che partisse da Londra e, in tutta risposta, ho ricevuto un messaggio da Southampton con il quale mi diceva che era già sulla strada. Lexman annuì. — Deve essere una vita maledettamente interessante — osservò. — Immagino che starà via molto tempo? — Tre anni — rispose il signor Kara continuando a ispezionare lo scaffale della libreria. — Invidio chi passa la vita in giro per il mondo a scrivere libri — commentò John aspirando dalla pipa. — È la vita migliore. Kara si voltò. Era proprio dietro allo scrittore che quindi non poteva vederlo in faccia. Ma nella sua voce c'erano una veemenza insolita e una passione strana. — Cosa avete da lamentarvi? — chiese con la sua pronuncia un po' blesa. — Avete un lavoro creativo, la migliore professione che un uomo possa avere. Lui, poveretto, è legato alla realtà. Voi spaziate in tutti i mondi della vostra immaginazione. Potete creare personaggi e distruggerli. Potete creare dilemmi affascinanti, ingannare migliaia di persone e alla fine svelare il mistero! John rise. — Avete ragione, in un certo senso — convenne. — E inoltre — continuò Kara con voce più bassa — credo che voi possediate l'unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta: una moglie incomparabile. Lexman si voltò, fissando Kara. C'era una nota particolare nell'immobile e affascinante viso dell'altro, tanto che John si sentì mancare il respiro. — Non capisco... — cominciò. Kara sorrise. — Sono stato impertinente, vero? — chiese in tono scherzoso. — Ma non dimenticate, mio caro amico, che io ero molto ansioso di sposare vostra moglie. Non credo che sia un segreto. E quando l'ho persa ho avuto Edgar Wallace
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nei vostri confronti dei pensieri che non mi fa piacere ricordare. Aveva recuperato tutto il proprio autocontrollo, riprendendo la sua passeggiata lungo la stanza. — Dovete ricordare che io sono greco e un greco moderno non è un filosofo. E dovete anche tenere presente che sono un favorito dalla fortuna e ho sempre ottenuto ciò che volevo, fin da quando ero bambino. — Siete fortunato — commentò l'altro voltandosi verso la scrivania e prendendo la penna. Per un momento Kara non disse nulla e poi si controllò, come se stesse per dire qualcosa di sbagliato. Alla fine ridacchiò. — Mi chiedo se sia proprio così — disse. Poi chiese con improvvisa energia: — Che cosa succede tra voi e Vassalaro? John alzandosi dalla sedia, si avvicinò al camino e rimase a fissare il fuoco con le gambe divaricate e le mani dietro la schiena. Kara interpretò questo atteggiamento come la risposta alla sua domanda. — Vi avevo messo in guardia contro Vassalaro — dichiarò avvicinandosi all'altro e prendendo dal camino un pezzo di carta per accendere il sigaro. — Mio caro Lexman, i miei compaesani non sono gente con la quale trattare certi argomenti. — Sembrava così disponibile all'inizio — disse John parlando tra sé e sé. — E ora non lo è più — borbottò Kara. — Gli usurai sono sempre così, mio caro. Siete stato pazzo a fidarvi di lui. Avrei potuto prestarvi io i soldi. — Ci sono molte ragioni per le quali non mi farei mai prestare dei soldi da voi — ribatté John con calma — e credo che voi abbiate citato la ragione principale quando avete detto, poco fa, che volevate sposare Grace, come io già sapevo. — A quanto ammonta il debito? — chiese Kara fissando le sue curatissime unghie. — Duemilacinquecento sterline — rispose John con una leggera risata — e in questo momento io non ho nemmeno duemilacinquecento centesimi. — Aspetterà? John Lexman scrollò le spalle. — Ascoltate, Kara — fece all'improvviso — non prendetelo come un rimprovero, ma ho conosciuto Vassalaro tramite voi e quindi sapete bene Edgar Wallace
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che tipo è. Kara annuì. — Bene, posso assicurarvi che è stato davvero sgradevole — continuò John con una smorfia. — L'ho visto ieri a Londra ed è chiaro che ha intenzione di fare una grande confusione. Contavo molto sul mio ultimo lavoro per ripagarlo e sono stato uno stupido a fare delle promesse che poi non sono riuscito a mantenere. — Capisco — commentò il signor Kara. — La signora Lexman è al corrente di questa faccenda? — Un po' — rispose l'altro. Continuò a passeggiare senza sosta per la stanza, con le mani dietro la schiena e il mento sul petto. — Naturalmente non le ho detto la parte peggiore e quale bestia sia quello. Si fermò, voltandosi. — Sapete che ha minacciato di uccidermi? — chiese. Kara sorrise. — Non c'è niente da ridere! — esclamò l'altro furibondo. — Mi ha quasi colpito e sono riuscito a dargli un calcio. Kara posò le mani sul braccio dell'altro. — Non sto ridendo di voi — ribatté. — Rido al pensiero di Vassalaro che minaccia di uccidere qualcuno! È il più grosso codardo del mondo! Cosa diavolo l'ha spinto a fare questo passo drastico? — Ha detto di avere grande bisogno di soldi — rispose l'altro con voce lugubre — e credo che sia vero. Era fuori di sé per la rabbia e la preoccupazione, altrimenti gli avrei dato ciò che si meritava. Kara, che aveva ripreso a camminare per la stanza, si fermò di fronte al camino, guardando il giovane scrittore con un sorriso paterno. — Voi non capite Vassalaro — disse. — Vi ripeto che è il più grande codardo del mondo. Scoprirete che è pieno di frasi minacciose e terribili, ma basta schioccargli le dita per fargli venire un infarto. Avete un revolver, a proposito? — Oh, che sciocchezza! — ribatté l'altro con durezza. — Non posso certo invischiarmi in un melodramma simile! — Non sono sciocchezze — insistette l'altro. — Quando siete a Roma e avete a che fare con un greco dei bassifondi, dovete usare un metodo che faccia sensazione. Se lo battete probabilmente non vi perdonerà mai e pugnalerà voi o vostra moglie. Se invece rispondete al suo dramma con un Edgar Wallace
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altro melodramma, estraendo al momento giusto il revolver, otterrete l'effetto che cercate. Avete un revolver? John andò alla scrivania e, aprendo un cassetto, prese una piccola Browning. — Questa è tutta la mia artiglieria — commentò. — Questa pistola non ha mai sparato, me l'ha mandata uno sconosciuto ammiratore come regalo di Natale. — Un curioso regalo natalizio — commentò l'altro esaminando la pistola. — Immagino che il misterioso donatore pensasse, visto i romanzi che scrivo, che vivessi in un arsenale di revolver, pugnali e spade — dichiarò Lexman recuperando un po' del suo buon umore. Era accompagnato da un biglietto. — Sapete come funziona? — chiese l'altro. — Non me ne sono mai preoccupato — rispose Lexman. — So che si carica facendo scorrere il retro ma, visto che il mio ammiratore non mi ha mandato le munizioni, non ho mai provato. In quel momento si sentì bussare alla porta. — La posta — spiegò Lexman. La cameriera entrò con una lettera sul vassoio e lo scrittore la prese con la fronte crucciata. — È di Vassalaro — disse quando la ragazza se ne andò. Il greco prese la lettera per esaminarla. — Che brutta calligrafia! — commentò prima di ripassare la busta a John. Lo scrittore aprì la busta ed estrasse una mezza dozzina di fogli gialli, ma solo uno portava un messaggio. Era molto breve. Devo vedervi senz'altro questa notte. Incontriamoci all'incrocio tra Beston Tracey e la Eastourne Road. Io sarò lì alle undici in punto e se volete avere salva la vita dovrete portarmi un sostanziale acconto. Era firmata Vassalaro. John la lesse ad alta voce. — Dev'essere impazzito per scrivere una lettera simile — commentò. — Incontrerò quel demonio e gli darò una lezione che non dimenticherà mai. Passò la lettera all'altro che la lesse in silenzio. — È meglio che portiate il vostro revolver — commentò Kara restituendo la lettera a John. Lexman guardò l'orologio. — Ho ancora un'ora ma ci vorranno quasi venti minuti per arrivare sulla Eastbourne Road. Edgar Wallace
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— Lo incontrerete? — chiese Kara in tono sorpreso. — Certo. Non voglio che venga a casa mia a fare una scenata; quell'animale sarebbe capace di fare una cosa simile. — E lo pagherete? — chiese Kara con voce tranquilla. John non rispose. In casa dovevano esserci circa dieci sterline più un assegno postdatato, di una trentina di sterline. Riguardò la lettera. Era scritta su una carta strana, ruvida come la carta assorbente e in alcuni punti l'inchiostro, assorbito dalla superficie porosa, era scomparso. I fogli bianchi erano stati evidentemente inseriti dall'uomo che, in preda a una forte agitazione, non si era reso conto di ciò che faceva. — Terrò questa lettera — disse John. — Credo che sia una buona idea. Vassalaro probabilmente non sa che è contro la legge scrivere lettere intimidatorie e questo foglio di carta potrebbe diventare un'arma micidiale nelle vostre mani, in certe eventualità. C'era una piccola cassaforte in un angolo dello studio e John l'aprì con una chiave che aveva in tasca. Aprì uno dei cassetti di acciaio, prese dei documenti e vi inserì la lettera. Poi richiuse il cassetto e girò la chiave. Kara rimase a guardarlo intensamente, come se trovasse particolarmente interessante questa procedura. Poco dopo se ne andò. — Mi piacerebbe venire con voi a questo vostro eccitante incontro — dichiarò — ma si dà il caso che abbia degli affari altrove. Lasciatemi ripetere che io, se fossi in voi, porterei con me il revolver e, alla prima mossa falsa del mio eccellente compatriota, premerei un paio di volte il grilletto; non dovrete fare altro. Grace si alzò dal pianoforte, quando Kara entrò in salotto, e mormorò qualche frase convenzionale per esprimere il suo dispiacere per la visita tanto breve. Kara sapeva bene che non c'era sincerità nelle parole di lei. Era un uomo del tutto privo di illusioni. Rimasero a parlare per un momento. — Vado a vedere se il vostro autista dorme — affermò John uscendo dalla stanza. Seguì un breve silenzio tra gli altri due. — Non credo che voi siate molto felice di vedermi — disse Kara. La sua franchezza era imbarazzante per la donna, che arrossì. — Sono sempre felice di vedervi, signor Kara, come tutti gli altri amici Edgar Wallace
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di mio marito — affermò con voce dura. Lui chinò la testa. — Essere amico di vostro marito ha un significato per me — commentò e poi, ricordandosi qualcosa all'improvviso, aggiunse: — Volevo portare via un libro; credete che vostro marito se ne risentirà? — Lo prenderò io per voi. — Non voglio disturbarvi — protestò lui. — Conosco la strada. Senza aspettare la risposta della donna, se ne andò, lasciandole la spiacevole sensazione di avergli concesso eccessivo movimento in casa sua. Rimase assente mezzo minuto e quando tornò aveva un libro sotto braccio. — Non ho chiesto il permesso di Lexman per prenderlo — dichiarò — ma sono molto interessato all'autore. Oh, eccovi! — Si voltò verso John che tornava in quel momento. — Posso prendere questo libro sul Messico? — chiese. — Ve lo restituirò domani mattina. I coniugi Lexman rimasero sulla soglia a guardare le luci dell'auto di Kara che si allontanavano. Poi tornarono in silenzio in salotto. — Sembri preoccupato, caro — disse lei posandogli una mano sulle spalle. Lui sorrise piano. — È per i soldi? — chiese lei con ansia. Per un momento John fu tentato di dirle della lettera. Ma controllò l'impulso, rendendosi conto che sua moglie non gli avrebbe mai permesso di uscire se avesse saputo la verità. — Non è nulla di grave — si schermì. — Devo andare a Beston Tracey all'ora dell'arrivo dell'ultimo treno. Aspetto dei documenti. Odiava la sola idea di mentirle e perfino questa bugia a fin di bene gli ripugnava. — Temo che ti sia annoiata questa sera — affermò. — Kara non è stato di grande compagnia. Lei lo guardò pensierosa. — Non è cambiato molto — disse con voce lenta. — È un uomo molto bello, vero? — chiese lui con un tono ammirato. — Mi chiedo cosa hai visto in uno come me, quando avevi un uomo non solo ricco ma anche molto bello. Lei rabbrividì. — Io ho visto un aspetto del signor Kara che non è per niente bello — protestò. — Oh, John, io ho paura di quell'uomo! Lui la guardò sbalordito. — Paura? — chiese. — Buon Dio, Grace, ma cosa dici? Ebbene, io credo che farebbe qualsiasi cosa per te! Edgar Wallace
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— Ma è proprio di questo che ho paura! — ribatté lei a bassa voce. E aveva una ragione per dire questo, una ragione che non voleva rivelare. Aveva conosciuto Remington Kara a Salonicco due anni prima. Stava percorrendo i Balcani con suo padre, in uno degli ultimi viaggi che il famoso archeologo aveva compiuto, e aveva incontrato l'uomo destinato ad avere una così forte influenza sulla sua vita, durante una cena al consolato americano. Molti erano gli aneddoti su questo greco con il viso da Giove, il portamento elegante e l'illimitata ricchezza. Si diceva che sua madre fosse un'americana catturata da briganti albanesi e in seguito venduta a uno dei capi tribù che, innamoratosi di lei, si era convertito alla religione protestante per amore suo. Kara era stato educato a Yale e a Oxford e tutti sapevano che possedeva un'enorme ricchezza e che era virtualmente re di un piccolo distretto collinare a una sessantina di chilometri da Durazzo. Qui regnava supremo, abitando in una casa da favola costruita da un architetto italiano, arredata e rifinita con gli articoli migliori provenienti da tutto il mondo. In Albania lo chiamavano Kara Rumo che significa Romano Nero, senza alcuna ragione particolare, perché aveva la carnagione chiara dei Sassoni e i capelli biondi e ricci. E si era innamorato di Grace Terrell. All'inizio le sue attenzioni avevano divertito la ragazza. Ma poi si era spaventata perché il fuoco e la passione di quell'uomo erano troppo incontenibili. Lei lo aveva subito ammonito di non aspettarsi di essere ricambiato e, in una scena che lei non avrebbe mai ricordato senza rabbrividire, lui aveva mostrato l'aspetto oscuro e selvaggio del suo carattere. Il giorno seguente non l'aveva visto ma due giorni più tardi, mentre tornava attraverso il Bazaar da un ballo offerto dal governatore generale, la sua carrozza era stata intercettata e fermata. Qualcuno l'aveva trascinata fuori, soffocando le sue urla con un fazzoletto imbevuto di una droga dall'odore particolarmente dolciastro. I suoi assalitori stavano per trascinarla in un'altra carrozza quando un drappello di soldati inglesi era comparso sulla scena e, senza conoscere la nazionalità della ragazza, l'aveva salvata. Nel profondo del suo cuore, Grace non dubitava che fosse stato Kara a ordinare quel sequestro, in un tentativo primitivo di conquistarsi una moglie, ma non aveva mai raccontato la sua avventura al marito. Fino al matrimonio continuò a ricevere regali costosi che aveva sempre fatto Edgar Wallace
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rispedire all'unico indirizzo che conosceva: la tenuta di Kara a Lemazo. Pochi mesi dopo essersi sposata, aveva letto su un giornale che "il personaggio più in vista della società greca' ' aveva comprato una grande casa a Cadogan Square e poi, con suo grande sbalordimento, si era resa conto che, ancora prima che la luna di miele fosse finita, suo marito aveva stretto un forte rapporto di amicizia con Kara. Per fortuna le visite del greco erano state rare, ma la crescente intimità tra John e quello straniero senza alcun freno era sempre stata una fonte di preoccupazione per lei. E ora, quella sera, quasi verso le undici, era il caso di raccontare al marito le sue paure e i suoi sospetti? Rimase incerta per qualche tempo. Non si erano mai sentiti tanto vicini come quella sera; lei seduta al piano e lui sprofondato in una comoda poltrona accanto a lei, un po' meditabondo e assorto nei propri pensieri. Se lo avesse visto meno preoccupato, Grace avrebbe parlato. Ma, visto come stavano le cose, cominciò a parlare del suo ultimo romanzo, del canovaccio misterioso che, se anche non avrebbe fatto la loro fortuna, di certo avrebbe aumentato di molto le loro entrate. Alle undici meno un quarto lui guardò l'orologio e si alzò. Grace lo aiutò a infilarsi la giacca. Sembrava incerto. — Hai dimenticato qualcosa? — chiese la moglie. John si chiese se dovesse seguire il consiglio di Kara. In ogni caso, non era piacevole incontrare un ometto feroce che lo aveva già minacciato di morte e incontrarlo disarmato era una vera sfida alla Provvidenza. L'intera faccenda era ridicola ma lo era anche aver chiesto soldi in prestito, anche se aveva speculato sulle migliori basi e dietro ai più accorti consigli; infatti era stato consigliato da Kara! Questa connessione gli venne alla mente all'improvviso anche se Kara non gli aveva mai suggerito apertamente di comprare delle azioni di oro rumeno, limitandosi a parlare del loro brillante futuro. Rimase pensieroso per un momento e poi andò nello studio con passo lento e, afferrata la Browning dall'aspetto sinistro, se la fece scivolare in tasca. — Non starò via molto, cara — disse e, baciata la moglie, se ne andò. Kara era seduto nella sua lussuosa macchina, canticchiando un motivetto mentre l'autista avanzava con cautela in una strada incerta. Pioveva ancora e Kara dovette asciugare il vapore sul vetro per capire dove si trovava. Ogni tanto guardava fuori, come se si aspettasse di vedere qualcuno e poi, con un sorrisetto, si ricordava di aver cambiato il piano originale e di aver Edgar Wallace
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fissato la sala d'attesa della stazione di Lewes come luogo d'incontro. In quel punto incontrò un uomo basso con una giacca tirata fino alle orecchie, seduto accanto al fuoco che languiva. Trasalì quando Kara entrò e poi, a un segnale del greco, lo seguì nella stanza. Lo sconosciuto non era inglese. Il suo viso era scuro e aguzzo, con le gote incavate e la barba irregolare, mal tenuta. Kara fece strada verso la fine del binario buio e poi parlò. — Hai seguito le mie istruzioni? — chiese con voce brusca. Aveva parlato in arabo e l'altro gli rispose nello stesso linguaggio. — Tutto ciò che hai ordinato è stato eseguito, Effendi — rispose l'uomo con umiltà. — Hai un revolver? L'uomo si toccò la tasca. — È carico? — Effendi — chiese l'altro sorpreso — a cosa serve un revolver scarico? — Cerca di capire bene: non dovrai sparare a quell'uomo — sbottò Kara. — Devi solo fargli vedere la pistola. A scanso di rischio è meglio scaricarla subito. L'uomo obbedì meravigliato e scaricò l'arma. — Prenderò io i proiettili — disse Kara tendendo la mano. Si infilò i bossoli in tasca e, dopo aver esaminato la pistola, la restituì all'uomo. — Devi spaventarlo — continuò. — Puntagli il revolver al cuore. Non devi fare altro. L'uomo sembrava a disagio. — Farò ciò che dici, Effendi — protestò — ma... — Non ci sono "ma" — tagliò corto l'altro con durezza. — Devi obbedire ai miei ordini senza fare domande. Vedrai dopo cosa succederà. Io sarò lì vicino. E c'è una ragione per tutto questo. — Ma supponi che lui spari? — insistette l'altro a disagio. — Non sparerà — ribatté Kara tranquillamente. — E poi il suo revolver non è carico. Puoi andare ora. Dovrai camminare a lungo. Conosci la strada? L'uomo annuì. — Ci sono già stato — confessò in tono confidenziale. Kara tornò nella sua grossa limousine parcheggiata un po' lontano dalla stazione. Disse qualche parola in greco all'autista e l'uomo si toccò il cappello.
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2. Il vicecommissario di polizia T.X. Meredith non aveva un ufficio a Scotland Yard. È una caratteristica degli uffici pubblici essere programmati per sopperire a qualsiasi esigenza e trovarsi poi inadeguati per ospitare tutti i vari dipartimenti che proliferano misteriosamente durante la costruzione degli uffici. T.X., conosciuto da tutte le forze di polizia del mondo, occupava un intero piano a Whitehall. Si trovava in un palazzo vetusto, di fronte al Broad of Trade e l'iscrizione sulla porta antica diceva ai passanti che si trattava della Sezione Speciale della Pubblica Accusa. I doveri di T.X. erano molteplici. La gente diceva che era il capo del dipartimento "fuorilegge" di Scotland Yard ma, come la maggior parte dei pettegolezzi, anche questa storia probabilmente non era vera. Si diceva che, se qualcuno perdeva la chiave della propria cassaforte, T.X. chiamava uno scassinatore che l'apriva nel giro di mezz'ora. Se in Inghilterra circolava un individuo famoso, contro il quale la polizia non riusciva a raccogliere delle prove evidenti e che tuttavia doveva sparire, per il bene della comunità, era T.X. che lo arrestava, lo trascinava su un taxi e non lo lasciava prima di averlo depositato sulle sponde sdegnate di un altro Potere. Era certo che quando un ministro, che non è necessario citare, venne richiamato dal suo governo e messo sotto processo nel suo paese per aver messo in circolazione denaro falso, fu un membro del dipartimento controllato da T.X a introdursi nella casa di Sua Eccellenza e a scassinare la cassaforte per trovare le prove decisive. Ho detto che questa è una cosa certa, ma anche qui riferisco solo un'opinione Pubblicamente diffusa da capi di dipartimenti pubblici che parlavano sottovoce, da misteriosi sottosegretari di stato che discutevano bisbigliando nelle remote stanze dei loro club e da corrispondenti americani molto più franchi che non esitavano a raccontare tutto ciò che sapevano per il bene dei loro lettori. Sappiamo anche che T.X. aveva un'occupazione legittima: infatti fu lui che, con i suoi oltraggiosi commenti sull'amministrazione del Ministero degli Interni, spedì il segretario degli Interni alla tomba. E fu lui a rintracciare gli assassini di Deptford attraverso un labirinto di cavilli e ancora lui che si occupò di Sir Julius Waglite durante il processo per truffa Edgar Wallace
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ai danni di quattro compagnie. La notte del 3 marzo, T.X. era seduto nel suo ufficio, a colloquio con uno sconsolato ispettore della polizia metropolitana, un certo Mansus. T.X. dava l'impressione di essere molto giovane perché il suo viso era quello di un ragazzo e, solo guardando più da vicino, si notavano le leggere rughe intorno agli occhi e la linea della bocca, si capiva che era vicino ai quarant'anni. Da giovane era stato una sorta di poeta e aveva scritto un volumetto intitolato Liriche dei Boschi e il solo menzionare questo titolo lo rendeva davvero infelice. Aveva tatto, ma era molto insistente, e il suo linguaggio a volte era davvero stravagante tanto che una volta, in seguito a una certa corrispondenza resa pubblica, il segretario di stato aveva commentato: "È un peccato che il signor Meredith non prenda la sua posizione con la serietà che ci si aspetterebbe da un pubblico ufficiale." Il suo linguaggio, se sottoposto a grandi provocazioni, era violento e insolito. Aveva il vizio di usare parole che non esistevano e di dare istruzioni e fare minacce con la fraseologia più bizzarra. Ora, sprofondato nella sua sedia girevole, stava rimproverando con durezza il suo sconsolato subordinato, seduto sull'orlo della sedia dall'altra parte della scrivania. — Ma, T.X. — protestò l'ispettore — non c'era niente da trovare! Il signor Meredith era abituato a farsi chiamare con le sole iniziali anche dai suoi subordinati e questo era un vezzo che i suoi capi disapprovavano apertamente. — Non c'era niente da trovare! — ripeté furioso. — Santo Cielo! Si sedette con una violenza che fece sobbalzare l'ufficiale di polizia. — Ascoltate — gridò T.X. afferrando il suo tagliacarte e colpendo con furia il blocco degli appunti per sottolineare ogni parola. — Voi siete un incapace! — Io sono un poliziotto — lo corresse l'altro con voce paziente. — Un poliziotto! — esclamò l'esasperato T.X. — Siete più che incapace; siete un buono a nulla! Temo che non riuscirò mai a tirare fuori un vero detective da voi! — sbottò scuotendo la testa davanti al sorridente Mansus che era già nella polizia quando T.X. era un ragazzino. — Non avete né volontà né saggezza e unite l'innocenza di un bambino alla stoltezza di un parroco di campagna; dovreste ritirarvi in un chiostro! Il signor Mansus non rispose a questo insulto. Non sapremo mai cosa Edgar Wallace
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avrebbe ribadito perché in quel momento entrò il capo. Il capo della polizia a quell'epoca era un uomo grigio di capelli, piuttosto stanco, con un naso aquilino e due occhi profondi sotto due folte sopracciglia; era il terrore di tutti gli uomini del dipartimento, tranne T.X. che non rispettava nessuno sulla terra e pochissimi altrove. Fece un rapido cenno del capo a Mansus. — Bene, T.X. — disse — cosa avete scoperto sul nostro amico Kara? Poi guardò l'ispettore sconsolato. — Molto poco — rispose T.X. — Ho assegnato questo lavoro a Mansus. — E non avete scoperto niente, eh? — borbottò il capo. — Ha scoperto tutto ciò che era possibile scoprire — ribatté T.X. — Non facciamo miracoli in questo dipartimento, Sir George, e non possiamo seguire le tracce di un caso in cinque minuti. Sir George Haley borbottò qualcosa. — Mansus ha fatto del suo meglio — continuò l'altro — ma è difficile fare del proprio meglio quando non si sa esattamente cosa si sta cercando. Sir George si lasciò cadere su una poltrona e tese le sue lunghe gambe. — Voglio — iniziò guardando il soffitto e unendo le mani — che indaghiate su un certo Remington Kara, un ricco greco che ha comprato una casa a Cadogan Square, che non ha alcuna posizione nella società londinese e che perciò non ha ragione di venire qui, manifestando aperta avversione per il clima, quando ha una magnifica tenuta da qualche parte sui Balcani. Oltre tutto è un eccellente cavallerizzo, un magnifico tiratore e un discreto aviatore. T.X. annuì a Mansus e, con un'espressione di gratitudine negli occhi, l'ispettore se ne andò. — Ora che Mansus se ne è andato — dichiarò T.X. sedendosi sulla scrivania e selezionando con la massima cura una sigaretta — ditemi la verità a proposito di questo improvviso interesse. Sir George sorrise. — Il mio interesse è quello dell'intero dipartimento — disse. — Voglio sapere tutto sugli individui strani. E il comportamento di quell'uomo è strano — continuò. — Sembra temere per la propria vita, per una ragione o per l'altra, e pretende una linea telefonica privata collegata alla stazione di polizia. Gli abbiamo detto che può chiamare il più vicino commissariato in qualsiasi momento, ma non è rimasto soddisfatto. Si è inimicato alcuni suoi importanti compatrioti che presto o tardi, a sentire lui, gli taglieranno Edgar Wallace
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la gola. T.X. annuì. — Lo so — rispose con aria paziente. — Ma dovete aprire il vostro dossier più segreto, Sir George, per sorprendermi. — Non c'è niente di cui sorprendersi — borbottò Sir George alzandosi — ma mi ricordo quella sparatoria tra macedoni nella zona sud di Londra e non voglio che una cosa simile si ripeta. Se quella gente vuole portare avanti le sue faide medievali, che lo faccia fuori dalle aree metropolitane. — In ogni caso — insistette T.X. — lo faranno. A me non importa dove. Ma se queste sono tutte le informazioni che avete, allora posso aggiornarvele io. Il greco ha apportato molti cambiamenti nella sua casa di Cadogan Square; la stanza nella quale vive è in pratica una cassaforte. Sir George inarcò le sopracciglia. — Una cassaforte? — ripeté. T.X. annuì. — Una cassaforte — disse. — Le pareti sono a prova di scasso, pavimento e soffitto sono di cemento armato e la porta, oltre alla serratura, è sprangata da una sbarra d'acciaio che lui stesso abbassa la sera prima di andare a letto e riapre la mattina. La finestra è irraggiungibile e non ci sono porte di comunicazione. Tutto sommato, quella stanza potrebbe resistere a un assalto. Il capo era interessato. — C'è altro? — chiese. — Lasciatemi pensare — borbottò T.X. guardando il soffitto. — Sì; l'interno della stanza è arredato con semplicità; ci sono un camino molto grande, un letto ornato, una cassaforte d'acciaio costruita nel muro e visibile dall'esterno dal poliziotto che controlla il quartiere. — Come fate a sapere tutto ciò? — chiese il commissario capo. — Perché sono entrato in quella stanza — rispose T.X. con semplicità — essendo riuscito, con un vile trucco, a ottenere la malriposta fiducia della governante del signor Kara che, a proposito... — si voltò verso la scrivania per scrivere un nome su un foglio — verrà licenziata domani e avrà bisogno di una sistemazione. — E ci sono dei... ehm...? — cominciò il capo. — Affari loschi? — lo interruppe T.X. — Assolutamente no. La casa e il suo padrone sono normali, a parte alcune eccentricità. Kara ha espresso la sua intenzione di trascorrere tre mesi in Inghilterra e il resto dell'anno all'estero. E' molto ricco, non ha parenti e ha una vera passione per il potere. — Finirà impiccato — commentò il capo alzandosi. Edgar Wallace
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— Ne dubito — ribatté l'altro. — La gente che ha molti soldi di rado finisce sulla forca. Solo chi ha bisogno di soldi viene impiccato. — Allora voi siete in pencolo, T.X. — sorrise il capo — perché, secondo i miei conti, dovete essere in pratica rovinato. — Questa è una calunnia — protestò T.X. — A proposito di gente rovinata, oggi ho visto John Lexman. Lo conoscete? Il commissario capo annuì. — Ho idea che abbia problemi di soldi. Si è messo in quella truffa dell'oro rumeno e aveva un atteggiamento malinconico che hanno gli uomini quando sono innamorati (e lui potrebbe esserlo, dal momento che è sposato) o quando hanno dei debiti e io temo che risenta ancora degli effetti di quella tragica speculazione. In quel momento il telefono che si trovava in un angolo della stanza squillò perentorio e T.X. prese il ricevitore. Ascoltò con attenzione. — Una chiamata esterna — gridò al commissario capo che si stava allontanando. — Potrebbe essere qualcosa di interessante. Seguì una breve pausa e poi una voce roca gli parlò: — Sei tu, T. X.? — Sono io — confermò conciso il vicecommissario. — Sono John Lexman. — Non avrei mai riconosciuto la voce — disse T.X. — Cosa c'è che non va, John? Non riesci a trovare una trama per il tuo romanzo? — Voglio che tu venga subito qui — affermò la voce con urgenza e, nonostante fosse al telefono, T.X. si rese conto che l'altro era angosciato. — Ho sparato a un uomo! L'ho ucciso! T.X. trasalì. — Buon Dio! — esclamò. — Sei un idiota!
3. Nelle prime ore della mattina seguente un tragico gruppo di persone era riunito nello studio di Beston Priory. John Lexman, bianco e sconvolto, era accasciato sul divano, con la moglie seduta al suo fianco. L'autorità del luogo, cioè l'agente del paese, era di guardia nel corridoio esterno mentre T.X., seduto al tavolo con carta e penna, trascriveva tutta la conversazione. Lo scrittore aveva raccontato tutti gli avvenimenti del giorno precedente, l'intervista con l'usuraio e l'arrivo della lettera. — Hai la lettera? — chiese T.X. John Lexman annuì. — Menomale! — esclamò l'altro con un sospiro di sollievo. — Questo ti Edgar Wallace
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risparmierà molte spiacevoli complicazioni, vecchio mio. Raccontami cosa è successo dopo. — Ho raggiunto il villaggio — riferì John Lexman — e l'ho attraversato. Non c'era nessuno in giro. Pioveva forte e non ho incontrato anima viva per tutta la serata. Ho raggiunto il luogo dell'appuntamento con cinque minuti di anticipo. Si trovava all'angolo della Eastbourne Road, dalla parte della stazione e Vassalaro era già lì. Io mi vergognavo di me stesso per essere stato costretto a incontrarlo così clandestinamente, ma ero ansioso che non venisse a casa perché avevo paura che Grace ne sarebbe rimasta sconvolta. Tutto era reso ancora più ridicolo da quell'infernale pistola che mi ballava nella tasca a ogni passo che facevo, quasi per dirmi che stavo commettendo una follia. — Dove hai incontrato Vassalaro? — chiese T.X. — Era dall'altra parte della Eastbourne Road e ha attraversato la strada per venirmi incontro. All'inizio è stato gentile, anche se sembrava agitato, ma poi ha cominciato a comportarsi in un modo stranissimo, come se si stesse lanciando in una discussione furiosa della quale in realtà non gli importava nulla. Gli ho promesso un sostanzioso acconto ma il suo umore è andato peggiorando sempre di più e poi all'improvviso, prima che mi rendessi conto di cosa succedeva, l'ho visto brandire una pistola e puntarmela in faccia, sibilando le minacce più terribili. È stato allora che mi sono ricordato delle parole di Kara. — Kara? — chiese T.X. in fretta. — Un uomo che conosco e che mi ha presentato Vassalaro. È molto ricco. — Capisco — commentò T.X. — Va' avanti. — Mi sono ricordato del suo avvertimento e ho voluto vedere che effetto facesse la mia pistola su quell'ometto. Ho preso il revolver che avevo in tasca e gliel'ho puntato addosso. Volevo limitarmi a questo e invece, all'improvviso, ho premuto il grilletto. "Con mio sommo orrore, prima di rendermene conto e di riuscire a staccare il dito dal grilletto sono partiti due colpi. L'uomo è crollato senza dire una parola. Io ho lasciato cadere il revolver e mi sono inginocchiato accanto a lui. Era ferito molto gravemente e ho capito subito che non si poteva fare nulla per lui. Avevo mirato proprio al cuore..." Rabbrividì e si nascose il viso tra le mani. La ragazza che gli stava seduta al fianco gli passò un braccio intorno alle spalle e, con tenerezza, Edgar Wallace
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gli mormorò qualcosa all'orecchio. John si riprese. — Non era morto; l'ho sentito mormorare qualcosa ma non ho capito cosa diceva. Allora sono corso al villaggio a raccontare tutto all'agente di polizia che è venuto e ha fatto portare via il corpo. T.X. si alzò dal tavolo e andò ad aprire la porta. — Entrate, agente — disse e poi, quando l'uomo comparve nella stanza: — Immagino che siate stato molto scrupoloso nel portare via il corpo e che abbiate preso tutto ciò che giaceva accanto all'uomo? — Sì, signore — rispose l'uomo. — Ho preso il suo cappello e il bastone da passeggio, se è questo che volete dire. — E il revolver? — chiese T.X. L'uomo scosse la testa. — Non c'era nessun revolver, signore, a parte quello lasciato cadere dal signor John Lexman. Si frugò nella tasca e prese la pistola che T.X. ritirò subito. — Penserò io al vostro prigioniero; voi tornate al villaggio e, con tutti gli uomini che riuscite a trovare, fate un'accurata ricerca sul luogo del delitto e poi portatemi il revolver che troverete. Molto probabilmente sarà in un fosso vicino alla strada. C'è una mancia per l'uomo che me lo porterà. L'agente se ne andò sfiorandosi il cappello. — Mi sembra un caso molto strano — osservò T.X. tornando al tavolo. — Non vedi anche tu le incongruenze, Lexman? È strano che tu abbia chiesto un Prestito, quanto lo è il fatto che l'usuraio ti abbia chiesto la restituzione dei soldi in anticipo. E poi, comunque, questi usurai non se ne vanno in giro a minacciare i loro clienti con una pistola. E poi, un'altra cosa: se voleva rovinarti, cioè metterti in cattiva luce con i tuoi amici, perché ha deciso di incontrarti in un vicolo buio e deserto e non in casa vostra, dove avrebbe destato molto più scalpore? E inoltre, perché ti ha scritto una lettera intimidatoria che di certo gli causerà dei guai con la legge e che può solo agevolare te? Si batté una matita sui denti bianchi e poi all'improvviso, esclamò: — Voglio vedere quella lettera. John Lexman si alzò dal divano, andò alla cassaforte e l'aprì. Poi infilò la chiave per aprire il cassetto d'acciaio nel quale aveva messo il documento incriminato. In quel momento T.X. notò un'espressione di sorpresa sul suo volto. — Che cos'è? — chiese il detective. — Il cassetto è bollente — osservò John. Si voltò, quasi a misurare la Edgar Wallace
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distanza tra il fuoco e la cassaforte. T.X. posò la mano sul cassetto. In effetti era molto caldo. — Apri — ordinò T.X. e Lexman girò la chiave per aprire il cassetto. In quel momento all'interno del cassetto si sprigionò una forte fiammata che morì subito, lasciando solo una sottile scia di fumo nella stanza. — Non toccare niente — gli raccomandò subito T.X. Sollevò il cassetto con molta delicatezza e lo portò alla luce. Sul fondo c'erano solo ceneri bianche e frammenti di vernice. — Capisco — disse T.X. conciso. Lui aveva visto qualcos'altro oltre alla cenere; cioè, in quale terribile pericolo si trovava il suo amico. In quella cenere c'era una prova importante per scagionare Lexman... svanita per sempre. — La lettera era stata scritta su una carta preparata appositamente con un particolare processo chimico, che si disintegra quando viene esposta all'aria. Probabilmente se l'avessi messa nella cassaforte cinque minuti dopo, l'avresti vista bruciare sotto i tuoi occhi. Dev'essersi incendiata appena hai aperto il cassetto. Dov'è la busta? — Kara l'ha bruciata — rispose Lexman a bassa voce. — Mi ricordo che l'ha presa dal tavolo e l'ha buttata nel camino. T.X. annuì. — Ora rimane una sola prova — commentò con una smorfia e quando, un'ora dopo, il poliziotto del villaggio tornò a dirgli che, nonostante le più minuziose ricerche, la pistola della vittima era irreperibile, si rese conto che le sue paure erano giustificate. La mattina dopo John Lexman venne rinchiuso nella prigione di Lewes con l'accusa di omicidio volontario. Un telegramma portò Mansus da Londra a Beston Tracey e T.X. ricevette il detective nella biblioteca dei Lexman. — Vi ho mandato a chiamare, Mansus, perché soffro di eccessivo ottimismo e ho l'impressione che voi siate il più sveglio tra gli uomini del mio dipartimento, anche se questo non significa molto. — Vi sono molto grato, signore, per aver parlato bene di me al commissario — cominciò Mansus, ma T.X. lo interruppe. — È dovere di qualsiasi capo di dipartimento — rispose con fare solenne — coprire le incompetenze dei propri subordinati. Solo così si può salvare almeno la decenza. Ora, ascoltate. Edgar Wallace
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Raccontò il caso nel minore tempo possibile. — Le prove contro il signor Lexman sono molto gravi — commentò. — Ha chiesto del denaro in prestito a quest'uomo e sul cadavere abbiamo trovato delle cambiali firmate dallo stesso Lexman. Non so dire perché mai le abbia portate con sé. In ogni caso, dubito molto che il signor Lexman riuscirà a convincere la giuria della sua versione dei fatti. L'unica nostra speranza è trovare il revolver del greco; non credo che ci siano molte possibilità ma, se vogliamo avere qualche speranza, dobbiamo cominciare subito. Prima di andarsene parlò con Grace. Le profonde occhiaie che aveva sotto gli occhi erano eloquenti sulla lunga notte insonne chela donna aveva trascorso. Era pallidissima ma calma. — Credo che ci siano un paio di cose che dovrei dirvi — disse, facendo strada verso la sala e chiudendo poi la porta. — Riguardo il signor Kara, immagino? — osservò T.X. Lei lo guardò sorpresa. — Come lo sapete? — Io non so niente. T.X. esitò, tentato di mostrare la propria onniscienza ma poi, rendendosi conto dell'angoscia in cui si trovava la donna, si controllò. — Davvero, io non so nulla — ribadì — ma ho una fervida immaginazione. — Questa era la massima verità che T.X. riuscì a esprimere in quel momento. Lei cominciò senza preliminari. — In primo luogo devo dirvi che una volta il signor Kara mi chiese di sposarlo; per alcune ragioni che vi racconterò, io ho molta paura di lui. Raccontò senza riserve del loro incontro a Salonicco e della furia selvaggia del signor Kara e poi riferì anche il tentativo di rapimento. — John lo sa? — chiese T.X. Lei scosse la testa tristemente. — Vorrei tanto averglielo detto! — esclamò. — Oh, come vorrei averlo fatto! — Si torturò le dita delle mani in un'agonia di dolore e di rimorso. T.X. la guardò comprensivo e poi chiese: — Il signor Kara ha mai discusso con voi della situazione finanziaria di vostro marito? — Mai. — Come ha conosciuto John Vassalaro? — Posso rispondere senza dubbi — dichiarò lei. — Quando abbiamo incontrato il signor Kara in Inghilterra, eravamo a Babbacombe per le vacanze estive; si trattava in realtà di un prolungamento del nostro viaggio Edgar Wallace
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di nozze. Il signor Kara alloggiava nel nostro stesso albergo. Io credo che il signor Vassalaro si trovasse lì da prima. In ogni caso, i due si conoscevano e dopo che il signor Kara lo presentò a mio marito, il resto è facile da immaginare. Posso fare qualcosa per John? — aggiunse in tono lacrimevole. T.X. scosse la testa. — Non credo che a questo punto sia il caso di raccontargli questa storia — osservò. — Non c'è nessun elemento per collegare Kara con questo caso e dareste solo un grande dolore a vostro marito. Farò del mio meglio. Tese la mano e lei gliela strinse; in quel momento T.X. Meredith si sentì investito da una nuova forza, da una grande determinazione a risolvere questo doloroso mistero. Mansus lo stava aspettando in macchina e pochi minuti dopo si trovavano sul luogo della tragedia. Si era raccolto il solito capannello di curiosi che guardavano con macabro interesse il punto in cui era stato rinvenuto il cadavere. Un poliziotto faceva la guardia e gli spettava quindi l'ingrato compito di allontanare i suoi concittadini. La zona era già stata setacciata con scrupolo. Le due strade si incrociavano quasi ad angolo retto e in un angolo la siepe era rotta, lasciando libero accesso a un campo utilizzato senza dubbio come pascolo dalla fattoria adiacente. Erano stati fatti alcuni rozzi tentativi di chiudere il passaggio con del filo spinato, ma con scarso successo. A questo passaggio T.X. rivolse la propria attenzione. Tutti i campi erano già stati controllati senza risultati e i quattro fossati che costeggiavano le strade erano stati dragati; ma era stata ripescata solo la staccionata rotta e alcuni cespugli. — Ehi! — esclamò Mansus all'improvviso chinandosi a raccogliere qualcosa da terra. T.X. lo prese. Era senza dubbio un proiettile. Indicò il luogo in cui era stato trovato conficcando un bastone per terra e continuò la sua ricerca, senza altri risultati. — Temo che non troveremo altro qui — commentò T.X. dopo un'altra mezz'ora di infruttuosa ricerca. Si massaggiò il mento e rimase pensieroso. — Mansus — disse — immaginiamo che ci fossero tre persone qui: Lexman, l'usuraio e un testimone. Supponiamo che questa terza persona volesse assistere all'incontro tra Lexman e l'usuraio senza essere visto. Non si potrebbe ipotizzare che, se è stato lui a organizzare l'incontro, abbia anche deciso questo luogo per poter osservare meglio da questa siepe? Edgar Wallace
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Mansus ci pensò un po'. — Avrebbe potuto vedere meglio dall'altra parte, dove c'erano anche meno possibilità di essere scoperto — asserì dopo una lunga pausa. T.X. fece una smorfia. — Avete del cervello! — esclamò con ammirazione. — Sono d'accordo con voi. E ricordatevi sempre, Mansus che, per una volta nella vita, avete avuto la stessa idea di T.X. Meredith. Mansus sorrise piano. — Naturalmente, dal punto di vista dell'osservatore, questo era il peggiore luogo possibile. Quindi, chiunque sia venuto qui, se qualcuno è venuto, a seminare proiettili, deve averlo fatto per la comodità del luogo. Non poteva certo arrivare dalla strada per arrampicarsi qui senza attirare l'attenzione del greco che aspettava il signor Lexman. Supponiamo che lungo la strada ci sia un cancello. Possiamo immaginare che, superato il cancello, abbia costeggiato la staccionata e che, in qualche punto tra qui e il cancello, abbia gettato via il sigaro. — Il sigaro? — chiese Mansus sorpreso. — Il sigaro — ripeté T.X. — Se fosse stato da solo l'avrebbe gettato via all'ultimo momento. — Potrebbe averlo buttato per la strada — ribatté Mansus. — Sciocchezze! — sbottò T.X. avvicinandosi alla siepe. Da quel punto potevano vedere il cancello che, a un centinaio di metri più avanti, portava sulla strada. A una decina di metri dal cancello T.X. trovò ciò che stava cercando: un sigaro mezzo consumato. Era bagnato di pioggia e T.X. lo raccolse con delicatezza. — Un ottimo sigaro, se il mio giudizio vale qualcosa — commentò. — Tagliato con un coltello da tasca e fumato con il bocchino. Raggiunsero il cancello e lo oltrepassarono. Si ritrovarono sulla strada e T.X. la seguì fino all'incrocio seguente che portava a sinistra sulla Eastbourne Road e a ovest verso la stazione di Lewes-Eastbourne. La pioggia aveva cancellato tutte le tracce che T.X. cercava ma alla fine trovò una debole impronta di pneumatici. — Ecco dove la macchina ha voltato ed è tornata indietro — osservò incamminandosi con passo lento verso sinistra. — Ecco dove si è fermata. Il motore perdeva olio. Si chinò, mettendosi in una posizione che ricordava quella dei ballerini russi. — E qui ci sono sei fiammiferi accesi dall'autista. — Li contò. — Uno, due, tre, quattro, cinque, sei; considerando due fiammiferi a sigaretta, vista Edgar Wallace
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la notte tempestosa, fanno tre sigarette. Ed ecco un mozzicone, Mansus! Marca Gold Flake — disse esaminandolo con attenzione. — Una Gold Flake si consuma in una ventina di minuti in tempi normali. Ma viste le condizioni del tempo dell'altra sera, bastano otto minuti. La macchina è rimasta qui circa ventiquattro minuti; cosa ne dite, Mansus? — È un ragionamento perfetto, T.X. — rispose l'altro con calma — sempre ammesso che sia questa la macchina che cercate. — Io cerco un modello vecchio. Non trovarono altri segni di pneumatici anche se T.X. percorse il sentierino fino alla strada principale. Ma le ricerche erano ormai vane perché la pioggia era caduta per tutta la notte e la mattina. T.X. accompagnò il suo assistente alla stazione appena in tempo per prendere il treno dell'una per Londra. — Quando arrivate a Londra, andrete a Cadogan Square ad arrestare l'autista del signor Kara — disse. — Con quale accusa? — chiese Mansus con curiosità. Quando T.X arrivava a questi punti, Mansus, che aveva superato lo stadio della sorpresa, era solo curioso. — Potete rivolgergli la prima accusa che vi passa per la mente — fece T.X. con studiata noncuranza. — Probabilmente vi verrà in mente qualcosa mentre tornate in città. Credo che l'autista verrà richiamato all'improvviso in Grecia e probabilmente è partito questa mattina per il continente. Se le cose stanno così, non possiamo fare nulla, perché la nave da Dover è già partita. Ma, se avrete la fortuna di trovarlo, trattenetelo fino al mio ritorno. T.X. fu molto impegnato quel giorno e solo a tarda sera tornò a Beston Tracey dove trovò un telegramma che lo aspettava. Lo aprì e lesse: Il nome dell'autista è Goole. Prima era cameriere dell "English Club di Costantinopoli. È partito per l'oriente questa mattina con il primo treno perché sua madre è malata. — Sua madre è malata! — sbottò T.X. con disprezzo. — Che scusa idiota! Avrei giurato che Kara avesse più fantasia. Era nello studio di John Lexman quando la porta si aprì e la cameriera annunciò il signor Remington Kara.
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4. T.X piegò con cura il telegramma e se lo infilò nella tasca del panciotto. Fece un leggero inchino al nuovo venuto e, comportandosi da padrone di casa, prese una sedia per farlo accomodare. — Credo che conosciate il mio nome — iniziò Kara con disinvoltura. — Sono un amico del povero Lexman. — Me l'hanno riferito — rispose T.X. — ma non sarà la vostra amicizia per Lexman a impedirvi di sedervi. Per un momento il greco sembrò sconcertato e poi, con un leggero sorriso e un inchino, si sedette alla scrivania. — Sono molto sconvolto per ciò che è accaduto — disse — e lo sono ancora di Più perché sono stato io a presentare Lexman a quell'uomo e quindi, in un certo senso, mi sento responsabile. — Se fossi in voi — ribatté T.X. appoggiandosi allo schienale della sedia e fissando l'altro con uno sguardo tra l'interrogativo e il sospettoso — non lascerei che questo fatto mi tenesse sveglio la notte. Molte persone vengono uccise da gente che è stata presentata loro. I casi in cui si uccidono dei perfetti sconosciuti sono molto rari. Questo, credo, è dovuto all'insularità del nostro carattere nazionale. Di nuovo il greco parve in difficoltà davanti alla spigliatezza di un uomo dal quale si sarebbe aspettato un atteggiamento più formale. — Quando avete visto il signor Vassalaro per l'ultima volta? — chiese T.X. con voce gentile. Kara sollevò lo sguardo per pensare. — Credo che sia stato una settimana fa. — Pensateci meglio — esortò T.X. Per un momento il greco trasalì e poi ritrovò il proprio autocontrollo. — Temo... — cominciò. — Non preoccupatevi di questo — tagliò corto T.X. — ma permettetemi di farvi una domanda. Eravate qui la scorsa notte quando il signor Lexman ha ricevuto la lettera? Il fatto che abbia ricevuto una lettera è una prova importante — disse e, vedendo che l'altro esitava, aggiunse: — Inoltre abbiamo le testimonianze del postino e della cameriera. — Io ero qui — confermò l'altro con sicurezza — ed ero presente quando il signor Lexman ha ricevuto la lettera. T.X. annuì. Edgar Wallace
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— Era una lettera scritta su una carta marrone molto assorbente — suggerì. Di nuovo un momento di esitazione da parte dell'altro. — Non giurerei sul colore del foglio — disse. — Avrei giurato di sì, invece — ribatté T.X. — perché, vedete, siete stato voi a bruciare la busta e quindi credevo che lo aveste notato. — Non ricordo di avere bruciato la busta — rispose l'altro. — In ogni modo — continuò T.X. — quando il signor Lexman vi ha letto la lettera... — Ma di cosa state parlando? — chiese l'altro sollevando le sopracciglia. — Il signor Lexman ha ricevuto una lettera minatoria — spiegò T.X. con pazienza — che vi ha letto e che gli era stata inviata da Vassalaro. Vi ha passato questa lettera e l'avete letta anche voi. Avete anche visto il signor Lexman mettere questo foglio in un posto sicuro, nel cassetto della cassaforte. L'altro scosse la testa sorridendo. — Temo che abbiate commesso un grande errore — fece con il tono di chi si scusa. — Mi ricordo che ha ricevuto la lettera ma io non l'ho letta né John me l'ha fatta vedere. Gli occhi di T.X. si socchiusero e diventarono due fessure mentre la sua voce era metallica e dura. — E se io vi chiamassi al banco degli imputati, voi potreste giurare di non aver visto la lettera e di non averla letta, insomma di non avere idea del guaio che il signor Lexman si è trovato ad affrontare? — Certamente — ribatté l'altro con freddezza. — E potreste anche giurare di non aver visto Vassalaro per una settimana? — Sì — rispose l'altro sorridendo. — Potreste asserire di non averlo visto l'altra sera — insistette T.X. — e di non avergli parlato sul binario della stazione di Lewes? Potreste dichiarare di non essere poi partito alla volta di Londra per poi fare retromarcia e tornare verso Beston Tracey? Il greco era pallidissimo, perfino sulle labbra, ma non mosse nemmeno un muscolo del viso. — E sareste pronto a giurare anche — continuò T.X. inesorabile — che non eravate nemmeno all'angolo chiamato Mitre's Lot e che non siete rientrato dal cancello accanto a dove avevate parcheggiato la macchina, per assistere, non visto, alla tragedia? Edgar Wallace
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— Sicuro che lo giurerei! — La voce di Kara era soffocata. — E giurereste anche sull'ora del vostro arrivo a Londra? — Sono arrivato a Londra tra le dieci e le undici — affermò il greco. T.X. sorrise. — E non siete per caso passato da Guilford alle dodici e mezza per fare il pieno di benzina? Il greco, che ormai aveva recuperato il proprio autocontrollo, si alzò. — Voi siete un uomo molto intelligente, signor Meredith; credo che sia questo il vostro nome. — È il mio nome — rispose T.X. con calma. — Io, al contrario di voi, non mi sono mai trovato nella necessità di cambiarlo. Vide un bagliore di odio negli occhi dell'altro e capì di aver colpito nel segno. — Temo di dover andare — disse Kara. — Ero venuto con l'intenzione di vedere la signora Lexman e non avevo idea che avrei incontrato un poliziotto. — Mio caro signor Kara — affermò T.X. alzandosi e accendendosi una sigaretta — voi passerete tutta la vita alle prese con questa spiacevole esperienza... — Cosa intendete dire? — Ciò che ho detto: voi vi aspettate di vedere qualcuno e invece incontrate un'altra persona. E, a meno che voi non siate particolarmente fortunato, questa persona sarà sempre un poliziotto. Il greco aveva una luce negli occhi perché si era ripreso da quell'attacco d'ira che l'aveva colto. — Ci sono due prove indispensabili per salvare il signor Lexman da guai molto seri — asserì T.X. — La prima è quella lettera che, come sapete, è bruciata. — Sì — affermò Kara. T.X. si appoggiò alla scrivania. — Come lo sapete? — sbottò. — Qualcuno me l'ha detto, non ricordo chi. — Non vero — replicò T.X. — Nessuno lo sa tranne me e il signor Lexman. — Ma, mio caro amico — ribatté Kara mettendosi i guanti — mi avete già chiesto se ho bruciato la lettera. — Ho detto la busta — precisò T.X. con una risatina. — Cosa stavate dicendo a proposito della seconda prova? — L'altra prova è il revolver — disse T.X. Edgar Wallace
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— Il revolver del signor Lexman? — chiese il greco. — No, quello è già in nostro possesso — rispose T.X. — Quella che cerchiamo è l'arma che il greco ha puntato contro il signor Lexman. — Allora io non posso aiutarvi. Kara andò alla porta, seguito da T.X. — Credo che ora vedrò la signora Lexman. — Io credo di no — corresse T.X. L'altro si voltò con una smorfia. — Avete arrestato anche lei? — chiese. — State calmo! — ribatté T.X. con voce brusca. Scortò Kara alla sua limousine. — Vedo che oggi avete un nuovo autista — commentò. Kara, contenendo a stento la rabbia, salì in macchina. — Se vi capitasse di scrivere all'altro autista, vi prego di mandargli i miei omaggi — disse T.X. — e di informarsi sulla salute di sua madre. Mi interessa molto. Kara non disse nulla fino a quando la macchina non si allontanò. Poi si abbandonò sui cuscini, lasciandosi andare a un'orgia di bestemmie rabbiose.
5. Sei mesi più tardi T.X. Meredith stava elaborando delle tracce su una mappa del Sussex quando il commissario capo si presentò. Sir George considerava T.X. un elemento molto preciso e non perdeva mai un'opportunità di incontrarlo per questa ragione. — Cosa state facendo qui? — borbottò. — La lezione di questa mattina è la lettura di una mappa — rispose T.X. senza sollevare lo sguardo. Sir George si avvicinò al suo assistente e guardò oltre le sue spalle. — È una mappa molto antica — commentò. — Risale al 1876. Riporta tutti gli innumerevoli ruscelletti che sono sfuggiti alle indagini successive. Sono assolutamente certo che in uno di questi ruscelletti troverò ciò che cerco. — Non avete rinunciato a sperare, allora, riguardo a Lexman? — Non smetterò mai di sperare — ribatté T.X. — fino alla morte, e forse anche oltre. — Lasciatemi pensare... cos'ha avuto... quindici anni? — Quindici anni — ripeté T.X. — ed è stato molto fortunato a non Edgar Wallace
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essere condannato a morte. Sir George andò alla finestra e fissò l'affollata Whitehall. — Mi hanno detto che siete in termini di amicizia con il signor Kara. T.X. emise un suono che poteva essere interpretato come un assenso. — Immagino che sappiate che quel gentiluomo ha fatto di tutto, con eroica fermezza, per farvi estromettere — disse. — Non mi meraviglio — ribatté T.X. — Io ho fatto di tutto, con eroica fermezza, per farlo impiccare e mi merito quindi questo atteggiamento. Cosa ha fatto? Ha visto il ministro e personaggi importanti? — Sì — rispose Sir George. — È davvero un idiota! — rispose T.X. — Io posso capire molte cose — affermò il commissario capo voltandosi — ma non riesco a comprendere il fatto che voi lo scusiate. — Ci sono tante cose che voi non capite, Sir George — ribatté T.X. brusco — che non posso certo mettermi a catalogarle! — Siete un insolente — borbottò il commissario capo. — Venite a cena? — Dove volete portarmi? — chiese T.X. con cautela. — Al mio club. — Mi dispiace molto — rispose l'altro con studiata gentilezza. — Ho già cenato una volta al vostro club. Devo aggiungere altro? Quando il commissario capo se ne andò, T.X. sorrise, ripensando allo sbalordimento di Kara e alla gratificazione che cercava disperatamente di nascondere. Kara era un vanesio, immensamente conscio della propria bellezza e ricchezza. Si era comportato molto bene, non solo accettando le scuse di T.X., ma anche non lasciando nulla di intentato per fare buona impressione sull'uomo che lo aveva così apertamente insultato. T.X. aveva accettato l'invito di Kara di trascorrere una settimana nella sua "casetta di campagna" e aveva trovato quanto di meglio ci si possa aspettare da un'amicizia: eminenti politici che si sarebbero messi volentieri al servizio di un giovane vicecommissario di polizia e belle donne per intrattenerlo e divertirlo. Kara aveva addirittura scritturato una compagnia teatrale che aveva recitato Sweet Lavander e per l'occasione la grande sala da ballo di Hever Court si era trasformata in un teatro. Quella sera, mentre si cambiava, T.X. si ricordò di aver detto a Kara che Sweet Lavander era la sua commedia preferita e si rese conto che lo spettacolo era stato dato in suo esclusivo onore. Edgar Wallace
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Kara aveva cercato anche in altri modi di consolidare la loro amicizia. Aveva dato al giovane commissario un consiglio a proposito di una compagnia ferroviaria in Asia minore le cui azioni erano in ribasso. T.X. lo aveva ringraziato ma non aveva seguito il suo consiglio e non provò nemmeno rimpianto quando in tre settimane le azioni salirono di tre sterline. Aveva provveduto alla vendita di Beston Priory. Aveva fatto mandare i mobili a Londra, nell'appartamento che aveva trovato per Grace Lexman. La donna aveva una piccola rendita personale e l'enorme pubblicità (lei stessa lo ammetteva con amarezza) che il processo le aveva dato, l'aveva messa al riparo dalle necessità finanziarie. — Quindici anni — mormorò T.X. canticchiando mentre lavorava. Dall'inizio John Lexman non aveva avuto speranze. Aveva un debito con l'uomo che aveva ucciso. La sua versione della lettera minatoria non era affidabile. Il revolver del greco non era stato trovato. Solo due persone credevano alla storia e un comprensivo segretario di stato aveva detto a T.X. che, se avesse trovato il revolver e se fosse riuscito a collegarlo senza ombra di dubbio all'omicidio, Lexman sarebbe stato prosciolto senza indugi. T.X. aveva fatto dragare ogni fossato della zona. Uno era stato perfino prosciugato, ma nessuna traccia dell'arma. T.X. era passato quindi a metodi più efficaci e di certo meno legali. Un misterioso elettricista si era recato al numero 456 di Cadogan Square, quando Kara non c'era, armato dell'indispensabile autorizzazione per entrare nello studio privato del signor Kara per esaminare certe rifiniture. — Kara, che era tornato il giorno dopo, non si era preoccupato della faccenda quando gliel'avevano raccontata, finché non si era accorto che la cassaforte era stata aperta e saccheggiata. Aveva tutti i valori in un deposito bancario e quindi le perdite erano state nulle. Preso dal panico, aveva fatto rimuovere la cassaforte e, con grandi spese, aveva fatto mettere al suo posto un nuovo modello tanto sicuro che i costruttori si erano dichiarati pronti a rispondere di un eventuale furto. Quella sera, terminato il lavoro, T.X. si stava lavando le mani quando Mansus si precipitò nel suo ufficio. Non era normale che Mansus corresse da qualche parte. Era un uomo assai lento e metodico, con un atteggiamento ufficiale e tranquillo. Edgar Wallace
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— Cosa succede? — chiese T.X. — Non abbiamo controllato la casa di Vassalaro — gridò Mansus senza fiato. Mi è venuto in mente mentre stavo attraversando il ponte di Westminster. Ero sull'autobus... — Sveglia! — esclamò T.X. — Qui siamo tra amici e quindi lasciamo perdere i Particolari. Ma certo che abbiamo controllato la casa di Vassalaro. — No, invece, signore — esclamò l'altro con voce trionfante. — Viveva in Great James Street. — Viveva ad Adelphi — lo corresse T.X. — Aveva due abitazioni — ribatté Mansus. — Come l'avete saputo? — chiese il suo capo, tornando serio. — Questa mattina. Ero sull'autobus che attraversa il ponte di Westminster e c'erano due uomini di fronte a me. Quando ho sentito il nome di Vassalaro, naturalmente, ho drizzato le orecchie! — Non è molto naturale, ma comunque andate avanti! — sbottò T.X. — Uno dei due, una persona molto distinta, ha detto: "Quel Vassalaro abitava da me e ho ancora parecchia roba che gli apparteneva. Cosa pensi che dovrei fare?" — E voi siete intervenuto? — suggerì l'altro. — Gli ho fatto quasi venire un infarto — asserì Mansus. — Gli ho detto: "Sono un ufficiale di polizia e voglio che voi veniate con me." — E, naturalmente, l'altro si è zittito e non ha più detto una parola? — concluse T.X. — È vero, signore — disse Mansus — ma dopo un po' sono riuscito a farlo parlare. Vassalaro viveva in Great James Street, al numero 604, terzo piano. Infatti i suoi mobili sono ancora lì. Aveva un'ottima ragione per tenere due case, sapete. T.X. annui con saggezza. — Aveva una moglie — continuò l'altro — che però l'aveva lasciato quattro mesi prima che fosse ucciso. L'indirizzo di Adelphi serviva per affari, ma due o tre notti alla settimana dormiva a Great James Street. Ho detto al padrone di casa di lasciare tutto lì fino a quando non andremo a controllare. Dieci minuti dopo i due ufficiali erano nel tetro appartamento che Vassalaro aveva occupato. Il padrone di casa spiegò loro che la maggior parte dei mobili Edgar Wallace
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apparteneva a lui, ma che alcuni pezzi erano di proprietà del defunto. E aggiunse, senza alcuna logica, che il suo ex inquilino gli doveva sei mesi di affitto. Tra i mobili che appartenevano a Vassalaro c'erano un baule, un piccolo scrittoio, un contenitore e qualche vestito. Il contenitore era chiuso a chiave, come lo scrittoio. Il baule invece, che non conteneva niente di interessante, era aperto. Comunque anche gli altri due lucchetti non presentavano difficoltà. Mansus li aprì senza problemi. Nello scrittoio c'era una grande quantità di lettere, alcune aperte e altre no, conti, annotazioni e tutti i generi di appunti che un uomo disordinato ama tenere. T.X. controllò le lettere a una a una senza trovare niente che lo aiutasse. Sembrava che la ricerca fosse davvero vana perché, anche con il massimo sforzo, non aveva trovato nulla di ciò che stava cercando. Poi la sua attenzione si posò su una piccola scatola di metallo nascosta in uno dei cassetti dello scrittoio. La prese e l'aprì; conteneva un pacchetto. — Guarda, guarda! — esclamò T.X. e la sua esaltazione era davvero giustificata.
6. Un uomo era in piedi nel silenzioso cortile di fronte alla casa del direttore della prigione di Dartmoor. Indossava la logora divisa della vergogna che hanno tutti i detenuti. Aveva i capelli corti e la barba di due giorni sul viso stralunato. Teneva le mani dietro la schiena, aspettando di essere chiamato al lavoro. John Lexman, A.O.43, sollevò gli occhi verso il cielo azzurro, come faceva sempre quando si trovava in quel cortile, chiedendosi cosa sarebbe successo quel giorno. Per lui un giorno era l'inizio e la fine di un'eternità. Non osava pensare ai lunghi, dolorosi anni che aveva davanti. Né ardiva pensare alla donna che aveva lasciato e all'agonia che Grace stava sopportando. Era sparito dal mondo; il mondo che amava, il mondo che lo conosceva, che rappresentava la sua vita! Tutto era stato cancellato davanti alle miniere di granito di Princetown che si stagliavano tetre all'orizzonte minaccioso. La sua vita era ora scandita da nuovi interessi; uno di questi era la qualità del cibo, o dei libri che avrebbe ricevuto dalla biblioteca della Edgar Wallace
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prigione. Per lui il futuro era la messa domenicale e il presente il lavoro che quotidianamente gli assegnavano. Quel giorno doveva verniciare le porte e le finestre di un cottage un po' distante dal cortile centrale, occupato da un guardiano che, per qualche ragione, il giorno prima gli aveva parlato con insolita gentilezza e rispetto. — Faccia al muro! — borbottò una voce e, con un gesto meccanico, John si voltò, tenendo sempre le mani dietro la schiena e fissando il muro grigio del magazzino della prigione. Sentì i passi del prigionieri che andavano alla cava e il rumore delle catene che li imprigionavano. Erano uomini disperati che lo interessavano molto e che aveva furtivamente spiato durante i primi giorni della sua prigionia. Era stato mandato a Dartmoor dopo tre mesi trascorsi a Wormwood Scrubbs. Qualcuno gli aveva detto che era stato fortunato, altri che aveva avuto sfortuna. Di solito si doveva trascorrere un anno a Wormwood Scrubbs prima di entrare in una prigione vera e propria. Aveva saputo della possibilità di essere mandato a Parkhurst e aveva capito che dietro tutto questo c'era T.X. perché Parkhurst era un paradiso per i prigionieri. Sentì la voce del guardiano dietro le sue spalle. — Voltati, 43, e cammina! Si avviò davanti alla guardia armata e, uscito dai tetri cancelli della prigione, voltò a destra, incamminandosi in un sentierino verso la laguna, dietro il villaggio di Princetown e infine sulla Tavistock Road dove erano stati di recente costruiti due o tre cottage per il personale della prigione. A.O.43 era stato assegnato a uno di questi cottage che dovevano essere tinteggiati. La casa era ancora senza inquilino. Il tappezziere, controllato da un'altra guardia, stava aspettando l'arrivo dell'imbianchino. Le due guardie si scambiarono un saluto e poi la prima se ne andò, lasciando il collega a controllare entrambi i prigionieri. Per un'ora lavorarono in silenzio sotto gli occhi del guardiano. Poi, quando la guardia uscì per un momento, John ebbe l'occasione di osservare il suo compagno di sventura. Era un uomo di ventiquattro, venticinque anni, magro e sempre all'erta. Non aveva un brutto aspetto e gli mancava quell'indefinibile espressione di animale braccato che hanno tutti gli abitanti di Dartmoor. Aspettarono di sentire la voce della guardia nel corridoio e i suoi passi Edgar Wallace
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appesantiti dagli stivali chiodati sul vialetto del giardino prima di parlare. — Per cosa sei dentro? — chiese il detenuto addetto alla tappezzeria a bassa voce. — Omicidio — rispose laconico John Lexman. Aveva già risposto a questa domanda prima e aveva sempre notato, con una certa dose di divertimento, che gli altri lo guardavano con maggiore rispetto. — Quanto ti hanno dato? — Quindici anni — rispose l'altro. — Vuol dire undici anni e nove mesi — calcolò il primo. — Non eri mai stato qui prima, vero? — Mai — rispose John con voce secca. — Io sono qui fin da ragazzino — confessò il tappezziere. — Uscirò la settimana prossima. John Lexman lo guardò con invidia. Se quell'altro gli avesse detto che aveva molti soldi e un alto titolo nobiliare, John non lo avrebbe invidiato di più. Uscire! Correre ai binari della stazione, tornare a Londra con vestiti vecchi ma comodi, libero come l'aria, in grado di andare a letto e di alzarsi quando gli piaceva, di scegliere cosa mangiare, non rispondere a nessuno se non se ne aveva voglia, vedere... Si controllò. — E tu per cosa sei dentro? — chiese, per cambiare discorso. — Cospirazione e frode — rispose l'altro con allegria. — Sono stato denunciato da una donna per 12.000 sterline. Una bella sfortuna, vero? John annuì. Era curioso, ma provava comprensione per questi rappresentanti criminali. Gli veniva naturale adottare il loro punto di vista e considerare la vita nel loro modo distorto. — Ma scommetto che la prossima volta non mi lascerò fregare — continuò il prigioniero. — Ho avuto un'idea grandiosa e ho trovato anche un uomo in gamba che mi aiuterà. — Come? — chiese John sorpreso. L'uomo fece un cenno verso la prigione. — Larry Green — disse. — Anche lui uscirà il mese prossimo e abbiamo già deciso. Dopo il colpo ce ne andremo in Sudamerica e nessuno sentirà più parlare di noi. Nonostante avesse il linguaggio dei carcerati, la sua voce era colta e Edgar Wallace
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tuttavia John sapeva bene che quell'uomo non aveva mai occupato una posizione sociale nella vita. I passi della guardia li zittirono. Poi il guardiano gridò dalle scale. — 43 — chiamò con voce tagliente. — Voglio che scendi! John prese la tintura e il pennello e scese lungo le scale senza tappeto. — Dov'è l'altro? — chiese la guardia a bassa voce. — Di sopra, nella stanza sul retro. Il guardiano aprì la porta scrutando a destra e a sinistra. Da Princetown stava arrivando una grossa macchina grigia. — Deponi la tintura — fece. — La sua voce tremava per l'eccitazione. — Io andrò di sopra. Quando la macchina si avvicinerà al cancello, non fare domande e saltaci sopra. Nasconditi sotto un telone che troverai e non muoverti fino a quando la macchina non si fermerà. John Lexman si sentì avvampare e si ritrasse, come se lo avessero pugnalato. — Mio Dio! — mormorò. — Fa' come ti dico — sibilò il guardiano. Come un automa, John posò i pennelli a si avviò a passo lento verso il cancello. La macchina grigia si stava arrampicando sulla collina e il volto dell'autista era nascosto da una maschera di gomma. Dai due fori per gli occhi John non riuscì a vedere nulla che lo aiutasse a identificare l'uomo. Quando la macchina si fermò davanti al cancello, vi saltò dentro, accasciandosi subito sul fondo. In quello stesso momento la macchina ripartì. Accelerò sempre di più, fino a slittare sulla strada. John si rese conto che stava salendo e scendendo dalle colline e una volta sentì un ponte di legno rimbombare sotto di lui. Dal suo nascondiglio non riusciva a vedere in quale direzione stesse andando ma, rendendosi conto che la macchina aveva voltato a sinistra, pensò che si stessero dirigendo verso la parte più selvaggia della zona. L'auto non rallentò mai l'andatura e alla fine, con un forte stridore di freni, si arrestò all'improvviso. — Scendi — ordinò una voce. John Lexman si tolse la coperta e saltò giù dalla macchina. In quel momento l'auto si voltò e ripartì a tutta velocità. In un primo momento John pensò di essere solo e si guardò intorno. In lontananza vide la costruzione grigia della prigione di Princetown. Era difficile scorgerla da dove si trovava e ci riuscì solo perché era una Edgar Wallace
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giornata molto luminosa. Era solo nella brughiera! Dove poteva andare? Poi, sentendo una voce, si voltò. Si trovava su un leggero declivio erboso. Durante i mesi estivi la gente di Dartmoor portava i cavalli a pascolare in questa pianura. Ma in quel momento non c'erano cavalli, solo una macchina simile a un uccello e un uomo vestito di marrone. John fece qualche passo in avanti. Si avvicinò alla macchina e poi, fermandosi, trasalì. — Kara! — esclamò e l'uomo con il vestito marrone sorrise. — Ma, non capisco. Cosa avete intenzione di fare? — chiese Lexman quando si riprese dalla sorpresa. — Vi porterò in un luogo sicuro — affermò l'altro. — Non ho ragione di esservi grato, Kara — ribatté Lexman. — Sarebbe bastata una vostra parola per salvarmi. — Non potevo certo mentire, mio caro Lexman e, in tutta onestà, mi ero dimenticato dell'esistenza di quella lettera, se è a questo che vi riferite. Ma ora sto cercando di fare del mio meglio per voi e per vostra moglie. — Mia moglie? — chiese l'altro. — Vi sta aspettando — rispose il greco. Si voltò, in ascolto. Dalla brughiera era arrivato il sordo rumore di uno sparo. — Non abbiamo tempo di discutere. Hanno già scoperto la vostra fuga — asserì. — Salite! John si arrampicò sulla fragile struttura metallica mentre Kara lo seguiva. — Ha l'accensione automatica — disse. — È il modello più moderno di monoplano. Abbassò una leva e il motore cominciò a rombare. L'aereo si mosse in avanti e poi guadagnò un'incredibile velocità nel giro di pochi metri. Ondeggiò piano a destra e a sinistra e il passeggero, guardando fuori, vide la terra allontanarsi. Poi, dopo una lunga ascesa, l'aereo forò le nuvole e sorvolò il mare azzurro. John Lexman abbassò lo sguardo. Vide la costa e riconobbe le casette bianche di Torquay; poi, in brevissimo tempo, tutte le tracce di vita sparirono. Era impossibile parlare perché il rombo del motore era assordante. Kara era un abile pilota. Ogni tanto consultava la bussola sul pannello di Edgar Wallace
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comando e cambiava leggermente rotta. Poi, lasciando il volante per un momento, scrisse qualcosa su un pezzo di carta e lo passò a John. John Lexman lesse: Se non sapete nuotare, è il giubbotto salvavita sotto il sedile. John annuì. Kara stava scrutando il mare alla ricerca di qualcosa che alla fine trovò. Sorvolarono quello che sembrava un tappeto bianco in mezzo a un campo blu e l'aereo cominciò a scendere a una velocità terrificante che tolse il fiato all'uomo aggrappato al sedile posteriore. Faceva molto freddo, ma John non ci fece caso. Era tutto incredibile, impossibile. Si aspettava di svegliarsi da un momento all'altro e si chiese se anche la prigione facesse parte di quel sogno. E ora vide dove si stava dirigendo Kara. Era un lungo yacht bianco che navigava lentamente verso ovest. John notò la schiuma bianca e, quando l'aereo si abbassò, scorse una scialuppa. Con un forte stridore, l'uccello di metallo si posò sull'acqua e i motori si spensero. — Dovremo galleggiare per una decina di minuti — disse Kara — e poi ci verranno a prendere. La sua voce sembrava stridula nel silenzio quasi doloroso successivo allo spegnersi dei motori. In meno di cinque minuti la scialuppa si avvicinò e Lexman vide che l'equipaggio era composto solo da greci. Cinque minuti dopo era sul ponte dello yacht, mentre l'aereo si allontanava. Kara era accanto a lui. — Mi è costato millecinquecento sterline — commentò il greco con un sorriso — oltre alle duemila che ho dato al guardiano. Poi c'è una piccola somma per voi, ma ci sono cose che non valgono tutto l'oro del mondo!
7. T.X. tornò da Downing Street alle undici di notte con il cuore pieno di gioia e di gratitudine. Si incamminò facendo ondeggiare il suo bastone da passeggio con grave pericolo per gli altri passanti ma il poliziotto di guardia all'angolo della strada, riconoscendolo, lo salutò e non ritenne necessario avanzare una protesta formale. Corse nel suo ufficio dove Mansus stava leggendo il giornale della sera. Edgar Wallace
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— Mio povero amico muto — disse T.X. — temo di avervi fatto aspettare molto tempo, ma domani mattina voi e io ce ne andremo nel Devonshire. Sarà una bella esperienza anche per voi, Mansus; a proposito, da dove arriva questo nome tanto ridicolo? — Cosa vi sembra ridicolo, la M o la N? — chiese Mansus laconico. — Ripeto che c'è solo un embrione di cervello nella vostra testa — replicò T.X. offensivo. Ma tornò serio quando estrasse dalla tasca interna una busta blu contenente un documento per il quale aveva lottato tanto! — Trovare quel revolver è stato un vero colpo da maestro da parte vostra, Mansus — osservò ed era davvero sincero. L'altro arrossì di piacere perché tutti i subordinati di T.X. lo amavano, e ottenere una parola di encomio da lui, equivaleva a una promozione. Infatti era stato Mansus a suggerire di cercare nei torrenti coperti dalla strada che collegava Londra a Lewes. Il revolver era stato trovato al terzo tentativo, tra Gatwick e Horsley. Lo avevano facilmente riconosciuto perché c'era il nome di Vassalaro inciso sulla canna. Era una pistola molto elaborata e rivestita d'argento. L'impugnatura era di madreperla. — Deve essere un regalo di qualche suo amico brigante — fu il commento di T.X. Trovata l'arma, il suo lavoro era stato abbastanza semplice. Tra la corrispondenza del greco aveva anche trovato la brutta copia della lettera minatoria scritta da Vassalaro, chiaramente sotto dettatura perché c'erano delle parole sbagliate corrette da un'altra persona. Il caso era chiarito. Ma ciò che aveva davvero convinto le autorità era stato un blocchetto di carta chimica trovato da T.X. Il detective l'aveva portata davanti al commissario capo e al segretario degli Interni e la carta era bruciata in pochi secondi alla luce di una lampada elettrica. L'ufficio del segretario degli Interni si era riempito di un fumo maleodorante e per questo i suoi superiori lo avevano a lungo maledetto. Ma aveva vinto! T.X. guardò l'orologio. — Mi chiedo se non sia troppo tardi per vedere la signora Lexman — osservò. — Non credo che sia mai troppo tardi per una notizia del genere — suggerì Mansus. Edgar Wallace
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— Venite con me — ordinò il suo superiore. Ma restarono delusi. La signora Lexman non era in casa e a nulla servirono i vigorosi trilli di campanello e i colpi alla porta. Il portiere del palazzo nel quale viveva la donna riteneva che la signora Lexman fosse fuori città. Spesso si assentava il sabato e tornava il lunedì e a volte anche il martedì. Quella sera era lunedì e T.X. si trovava in un dilemma. Il portiere di notte, che aveva solo qualche vaga informazione da dare, era convinto che il suo collega del turno di giorno ne sapesse di più e lo svegliò. Sì, la signora Lexman era partita. Era andata via domenica, un giorno insolito per un fine settimana, portando con sé due borse. Il portiere aveva avuto l'impressione che fosse piuttosto agitata ma riuscì a definire questa impressione solo con una serie di "cioè" e di "capito?" — Non mi piace — commentò T.X. all'improvviso. — Qualcuno sapeva di queste nostre scoperte? — Nessuno fuori dall'ufficio — rispose Mansus. — A meno che, a meno che... — A meno che cosa? — chiese l'altro irritato. — Non tiratela per le lunghe, Mansus. Di cosa si tratta? — Mi stavo chiedendo — rispose Mansus con voce lenta — se il proprietario dell'appartamento di Great James Street non abbia per caso parlato. Lui sapeva che abbiamo ispezionato la casa di Vassalaro. — Lo scopriremo subito — disse T.X. Presero un taxi e si fecero portare a Great James Street. Il rispettabile quartiere era ancora addormentato e ci volle un po' di tempo prima di svegliare il padrone di casa. Riconoscendo T.X. dimenticò le parole sarcastiche che aveva preparato per l'inquilino che aveva dimenticato le chiavi e fece entrare i due agenti. — Voi non mi avevate detto di non parlarne, signor Meredith — si scusò in tono addolorato. — E a dire la verità io non l'ho detto a nessuno, tranne che a quel gentiluomo che è venuto subito dopo di voi, quello stesso giorno. — Cosa voleva? — chiese T.X. — Ha detto di aver appena scoperto che il signor Vassalaro abitava da me e voleva pagare i mesi mancanti — rispose l'altro. — Che tipo era? — domandò T.X. La breve descrizione fece rabbrividire il commissario. Edgar Wallace
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— Kara, scommetto! — esclamò, aggiungendo svariate e fantasiose imprecazioni. — A Cadogan Square — ordinò al tassista. Quando suonò alla porta, gli venne subito aperto. Il signor Kara era fuori città, era partito sabato, gli spiegò il cameriere guardandolo con sospetto, ricordandosi che il suo predecessore era stato licenziato per aver dato troppa confidenza a un misterioso elettricista. Non sapeva quando il signor Kara sarebbe tornato, forse tra molto tempo o forse di lì a poco. Poteva rientrare anche quella notte stessa, ma non poteva dirlo. — Tu stai sprecando la tua giovane vita — osservò T.X. con amarezza. — Dovresti fare il mago. — Questo mi ha fatto decidere — disse, mentre il loro taxi li riportava indietro. — Prenderemo il primo treno di domani mattina per Tavistock; telegrafate al George Hotel per prenotare una macchina. — Perché non partiamo questa notte? — suggerì l'altro. — C'è ancora il treno di mezzanotte. È un po' lento, ma per le sei o le sette di domani mattina saremo arrivati. — È troppo tardi — rispose T.X. — a meno che non troviate il modo per arrivare alla stazione di Paddington in cinquanta secondi. La mattina dopo, il viaggio verso il Devonshire fu desolante, nonostante la bella giornata. T.X. sentiva che era successo qualcosa di terribile. Poi, quando il treno si lanciò nella brughiera, l'aria primaverile parve rinvigorire un po' l'umore di T.X. Mentre attraversavano la valle del Dart, Mansus sfiorò il braccio del suo superiore. — Guardate! — esclamò indicando il cielo azzurro nel quale, a poco meno di due chilometri da loro, volteggiava un aereo bianco, grosso come un uccello e scintillante alla luce del sole. — Per Giove! — esclamò T.X. — Un mezzo eccellente per scappare! — L'unico, direi — ribatté Mansus. Il significato di quell'aereo fu subito chiarito quando, pochi minuti più tardi, vennero fermati da una guardia armata. L'uomo guardò il biglietto da visita di T.X. e lo fece passare. — Cosa succede? — chiese. — È scappato un prigioniero — rispose la sentinella. — Scappato? Con un aereo? — chiese T.X. — Io non so nulla di aerei, signore; so solo che uno dei prigionieri è scappato mentre stava lavorando. Edgar Wallace
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Quando la macchina si fermò davanti ai cancelli della prigione, T.X. saltò giù, seguito dal suo assistente. Non fece fatica a trovare il direttore del carcere. Era molto preoccupato perché una fuga è una faccenda molto seria. L'ufficiale fu piuttosto brusco all'inizio, ma di nuovo fu sufficiente il biglietto da visita per far cambiare atteggiamento. — Sono piuttosto sconcertato — disse il direttore. — Uno dei prigionieri è scappato. Immagino che lo sapevate già. — E ho paura che ora perderete un altro dei vostri prigionieri, signore — affermò T.X. che nutriva una curiosa deferenza per le autorità militari. Prese il documento e lo posò sulla scrivania del direttore. — È l'ordine di rilascio per John Lexman, detenuto qui con una condanna a quindici anni. Il direttore lo guardò. — È datato la notte scorsa — esclamò con un grande sospiro di sollievo. — Grazie a Dio! È lui l'evaso!
8. Due anni dopo gli eventi narrati nel capitolo precedente, T.X., durante un viaggio da Bath a Londra, venne attirato da un paragrafo sul Morning Post. L'articolo diceva che il signor Remington Kara, il capo della colonia greca a Londra, era stato l'ospite d'onore a una cena della Società Ellenica. T.X. aveva visto Kara una sola volta e per breve tempo dopo il tragico momento nel quale aveva scoperto non solo che il suo migliore amico era fuggito dalla prigione di Dartmoor, ma che era sparito dal mondo proprio quando era stato firmato il documento per il suo rilascio e che sua moglie era svanita con lui. Nello stesso tempo, T.X. pensava che si fosse trattato di una ben strana coincidenza che Kara fosse sparito da Londra in quella stessa circostanza e fosse ricomparso solo sei mesi dopo. Aveva dichiarato di non sapere assolutamente niente del nascondiglio dei due infelici sposi. John Lexman era da qualche parte nel mondo e si stava nascondendo dalla giustizia, e con lui c'era sua moglie. T.X. aveva preso delle rapide decisioni. Aveva subito fatto pubblicare la notizia del condono e delle sue motivazioni. E aveva anche pubblicizzato il fatto su tutti i principali quotidiani d'Europa. Gli avvocati del dipartimento intanto discutevano se John Lexman fosse Edgar Wallace
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da ritenere colpevole di evasione, ma questa possibilità non teneva certo sveglio T.X. di notte. Le circostanze della fuga erano state esaminate con attenzione. Il carceriere responsabile era stato licenziato e aveva comprato una birreria a Falmouth con la somma che di certo si era guadagnato con la corruzione. Chi era stato l'organizzatore della fuga? La signora Lexman o Kara? Era impossibile collegare Kara al fatto. La macchina venne ritrovata a Exeter; era stata noleggiata da un "signore dall'aspetto distinto". Ma l'autista, chiunque fosse, era scomparso. Un'ispezione all'hangar di Kara a Wembley dimostrò che i suoi monoplani non erano stati usati di recente, né T.X. era riuscito a rintracciare l'aereo che aveva visto volare sopra Dartmoor quella fatale mattina. T.X. era in parte divertito e in parte irritato dal fatto che le autorità non erano disposte a credere che la fuga fosse avvenuta per mezzo di un aereo. Mentre guardava l'orizzonte, gli vennero in mente tutte le procedure del processo. Posò il giornale con un sospiro e appoggiò il piede sul sedile di fronte, facendosi prendere dai ricordi. Poi, quando tornò in sé, riprese a leggere il giornale, cercando qualcosa che poteva interessarlo durante l'ultimo percorso che doveva ancora fare, da Newbury a Paddington. Trovò un articolo a due colonne con un titolo che lo ispirava: La Ricchezza Minerale della Terra del Fuoco. Era scritto in un linguaggio brillante e uno stile conciso e molto preciso. Raccontava di un viaggio nella Baia di San Sebastiano e sul fiume Guarez Celman, di notti trascorse nella foresta e terminava con un'inchiesta geologica sul valore della sienite, del porfirio, della trachite e della dialite. L'articolo era firmato G.G. Si diceva che la più grande virtù di T.X. fosse la sua curiosità. Conosceva tutti i nomi dei grandi esploratori e degli autori di viaggi ma, per una ragione o per l'altra, non riusciva a collocare G.G.; infatti provava un assurdo desiderio di interpretare le iniziali come George Grossmith. L'incapacità di indovinare chi fosse l'autore lo irritò e la prima cosa che fece arrivando in ufficio fu telefonare all'editore del Times, che conosceva bene. — Non è nel mio dipartimento — fu la fredda risposta — e in ogni caso non forniamo mai i nomi dei nostri collaboratori. Ma, parlando da esterno, potrei affermare che potrebbe trattarsi di George Gathercole, l'esploratore che ha avuto un braccio divorato da un leone, o qualcosa di simile. Edgar Wallace
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— George Gathercole! — ripeté T.X. — Che idiota sono! — Sì — rispose la voce dall'altro capo del filo. L'uomo riattaccò prima che T.X. potesse trovare una risposta adeguata. Risolto questo piccolo mistero, la faccenda uscì dalla mente del giovane assistente commissario. Quella mattina doveva occuparsi della tenuta di John Lexman. Dopo la scomparsa della coppia, aveva preso lui il controllo della tenuta. Non era rimasto imbarazzato nello scoprire di essere l'esecutore testamentario di Lexman perché aveva già amministrato la piccola tenuta di sua moglie e aveva firmato il contratto prematrimoniale che John Lexman aveva stilato prima di sposarsi. Le rendite della tenuta erano lievitate in modo considerevole. Tutti i libri dello scrittore avevano avuto un successo incredibile e inoltre il lavoro di T.X. era stato aggravato dal fatto che Grace Lexman aveva una zia che aveva deciso di morire proprio in quel periodo, lasciando la sua considerevole fortuna alla "infelice nipote". — Mi occuperò della tenuta ancora per un anno — comunicò all'avvocato che era andato da lui quella mattina — e poi, allo scadere di questo periodo, chiederò di essere esentato. — Pensate che torneranno prima o poi? — chiese l'avvocato, che era un uomo anziano e senza fantasia. — Ma certo che torneranno! — commentò T.X. con impazienza. — Tutti gli eroi di Lexman tornano, prima o poi. Al momento giusto ci comparirà davanti e ci farà prendere un colpo! Era sicuro che John Lexman sarebbe tornato, una certezza che non lo abbandonò mai. E sapeva anche che un giorno o l'altro il magnifico signor Kara sarebbe caduto nella sua rete. Circolavano strane storie riguardo al greco, ma era difficile capire quale fosse la verità in quel maliziosi pettegolezzi che sempre circondano gli uomini ricchi e di successo. Tra le altre cose, si diceva che Kara desiderasse un'autorità superiore a quella che già aveva in un piccolo territorio dell'Albania. Si mormorava che nutrisse delle ambizioni elevatissime. Anche se suo padre era greco, discendeva senza dubbio dall'antica famiglia albanese dei Mprets che avevano esercitato un breve periodo di comando sulla turbolenta terra d'Albania. Edgar Wallace
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La passione di quell'uomo era il potere! Non risparmiava energie per ottenerlo. Si diceva che utilizzasse la sua enorme ricchezza per questo scopo e che, qualsiasi fossero state le intemperanze dei suoi anni giovanili, delle quali si narravano chiari esempi, ora il suo scopo era solo uno ed era difficile non ammirarlo. T.X. teneva in un cassetto della sua scrivania un taccuino rosso con un triplo lucchetto che chiamava Scandalaria. In questo libricino scriveva con la sua calligrafia irregolare tutte le varie notizie che non potevano essere pubblicate, ma che servivano a un investigatore per illuminare qualche misterioso problema. A dire la verità, la maggior parte delle volte trovava molte informazioni utili in quella massa confusa. Mentre sistemava gli affari di John Lexman, T.X. ripensò a Kara e alle sue attività. Mansus si era occupato di stilare un rapporto completo sul greco e glielo avrebbe consegnato quella sera. Non gli aveva detto che Kara stava finanziando alcune personalità molto importanti e che un certo sottosegretario di stato, con un numero incalcolabile di parenti importanti, era stato salvato dalla bancarotta grazie al sostanzioso prestito che il signor Kara gli aveva concesso. T.X. aveva ottenuto questo genere di informazioni con metodi piuttosto irregolari. Mansus sapeva dell'esistenza di quella casa di Albemarle Street, ma non sapeva che la nevrastenica moglie di un uomo molto in vista, niente di meno che il ministro della Giustizia, frequentava assiduamente una casa da gioco e aveva perso la bellezza di seimila sterline. Tutto ciò era molto sordido ma, tutto sommato, convenzionale perché le persone in vista commettono sempre degli atti simili quando si tratta di denaro e di donne. Ma era necessario per il buon funzionamento del dipartimento guidato da T.X. che tutti questi deplorevoli atteggiamenti, anche se convenzionali, fossero registrati. Il motto di T.X. era: "Non si sa mai". Il ministro della Giustizia era un uomo molto importante, amico personale della metà dei sovrani europei. Era un pover'uomo con una rendita di due o tremila sterline all'anno, senza opinioni politiche definite e malvisto dalle fazioni estremiste di entrambi i partiti. Ma era riuscito a servire entrambi, con elevati profitti personali. Nonostante non riuscisse a imitare la blanda politica del Vicario di Bray, è assodato che aveva servito sotto quattro diverse amministrazioni, guadagnando da entrambe, anche se le basi politiche delle quattro amministrazioni erano molto differenti. Edgar Wallace
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Lady Bartholomew, moglie di questo versatile ministro, era di recente partita per Sanremo. I giornali, annunciando il fatto, facevano vaghi riferimenti a una malattia di nervi che aveva impedito alla signora di adempiere ai suoi doveri sociali. T.X., da vero Tommaso, non riuscì a risalire a nessuna visita specialistica né trovò nessun dottore in malattie nervose che avesse visto la signora nella residenza ufficiale di Downing Street e quindi trasse le sue conclusioni. Nel suo libricino rosso, T.X. segnava tutti i passatempi delle sue vittime che, casualmente, non sempre coincidevano con gli hobby più innocenti che comparivano accanto ai loro nomi in volumi con maggiori pretese. Le loro follie e le loro debolezze avevano un punto di incontro nelle pagine del libretto rosso ed erano riportati senza pietà. Il nome di Lady Bartholomew compariva non una, ma molte volte, nel taccuino rosso di T.X. Si diceva chiaro e tondo che era nata nel 1874, settima figlia del duca di Balmorley, e che aveva una sola figlia, che godeva del poco promettente nome di Belinda Mary. C'erano poi altre informazioni che chiunque può ottenere senza difficoltà. T.X. rileggendo le pagine del suo libro, si chiese quale inaspettata tragedia avesse portato Lady Bartholomew lontano da Londra proprio nel mezzo della stagione. Gli informatori ufficiali gli dissero che la signora non aveva problemi finanziari in quel momento, il che rendeva la faccenda ancora più strana e T.X. fu quasi tentato di pensare che la storia fosse vera e che un esaurimento nervoso fosse la causa reale dell'improvvisa partenza. — Immagino che abbiate visto Lady Bartholomew a Charing Cross. Mansus annuì. — Era sola? — Aveva con sé la cameriera e nessun'altra accompagnatrice. Mi è sembrata sofferente. — Sono mesi che ha l'aspetto sofferente — ribatté T.X. senza alcuna comprensione per la dama. — Non ha portato Belinda Mary? Mansus rimase perplesso. — Belinda Mary? — ripeté lentamente. — Oh, intendete sua figlia? No, è in una scuola in Francia. T.X. canticchiò un motivetto popolare e, chiudendo di scatto il libro rosso, lo ripose nel cassetto. — Mi chiedo dove diavolo certa gente vada a scovare nomi come Belinda Mary — mormorò. — Belinda Mary deve essere uno strano, Edgar Wallace
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piccolo animale, e che Dio mi perdoni per aver parlato così male della nostra nobiltà inglese! Se l'ereditarietà ha un fondamento, quella ragazza deve essere un incrocio tra un capo cameriere e un mazzo di carte! Avete perso qualcosa? Mansus stava frugando nelle sue tasche. — Avevo preso degli appunti, alcune domande che dovevo farvi e Lady Bartholomew era l'argomento di una di queste. Sono sei mesi che la sorveglio. Devo continuare? T.X. rifletté per un attimo e poi scosse la testa. — lo mi interesso a Lady Bartholomew solo perché Kara si interessa a lei. Qui c'è un criminale per voi, amico mio! — aggiunse con ammirazione. Mansus, alle prese con gli innumerevoli fogli e appunti che aveva in tasca, borbottò qualcosa. — Avete il raffreddore? — chiese T.X. con gentilezza. — No, signore — fu la risposta — solo che non credo che Kara sia un criminale. Cosa ha fatto per essere considerato tale? Ha tutti i soldi che vuole, è una delle persone più in vista di Londra e di certo uno degli uomini più attraenti che io abbia mai visto. Non ha bisogno di nulla! T.X. lo guardò sdegnato. — Siete un povero cieco ignorante — commentò scuotendo la testa. — Non sapete che tutti i più grandi criminali non sono mai spinti da desideri concreti o dalla speranza di guadagni? Chi deruba il datore di lavoro per comprare alla sua ragazza la collana di perle o la spilla di rubini che desidera tanto, non ottiene altro che una parvenza di soddisfazione. La maggior parte dei crimini vengono commessi per la stessa ragione: tutti vogliono stare un po' meglio. C'è un certo dottor X che uccide la moglie perché si ubriaca ma che non è mai stato in grado di lasciarla per paura che i vicini mettessero in dubbio la sua rispettabilità. E poi c'è il caso di un altro gentiluomo, che ammazza sua moglie nel bagno per ottenere una certa posizione sociale e guadagnare il rispetto di amici e colleghi. Nulla lo fa infuriare di più dell'allusione alla sua scarsa rispettabilità. E poi c'è il grande finanziere che ruba un milione di sterline non perché abbia bisogno di soldi, ma perché la gente lo guarda e quindi deve costruire grandi case, corti principesche e vaste tenute, affinché tutti pensino che è molto ricco. Mansus fece una smorfia. — E cosa mi dite di quell'uomo che ha quasi ammazzato la moglie di Edgar Wallace
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botte? L'ha fatto perché tutti la apprezzano? — chiese con una nota di sarcasmo. T.X. lo guardò con compatimento. — L'ignorante che picchia la moglie, mio povero Mansus — affermò — lo fa perché lei non pensa bene di lui. Questa è la nostra passione dominante, la nostra caratteristica nazionale, la causa primaria della maggior parte dei crimini, grandi o piccoli. Ecco perché Kara è un criminale e perché metterà fine in modo violento alla propria vita. Prese il cappello di seta dall'attaccapanni e si infilò la giacca. — Andrò a fare visita al mio amico Kara — disse. — Sento la necessità di fare due chiacchiere con lui. Potrebbe avere qualcosa da dirmi. I suoi rapporti con il greco si erano molto diradati. Da quando era tornato, lo aveva incontrato solo una volta ma, visto che tutti i suoi sforzi per cercare di scoprire dove si trovavano John Lexman e sua moglie erano falliti, non aveva ripetuto la visita. La casa di Cadogan Square era molto grande, e occupava un angolo del palazzo. Aveva un aspetto tipicamente inglese, con le finestre con discreti tendaggi e pomelli in ottone. Vi aveva abitato anche Lord Henry Gratham, quell'eccentrico intenditore di vini e seguace dei piaceri della vita. Era stata costruita da Lord Henry pensando al Porto, come dicevano i suoi amici, significando che era stata data molta importanza alle cantine, costruite per contenere e proteggere bottiglie di inestimabile valore. Il resto della casa era stato eretto con meno difficoltà. Le doppie cantine di Gratham House erano state un luogo di ritrovo di Londra, mèta di molte visite. Quando Henry Gratham era stato seppellito in una fossa in Congo, dove era stato ucciso da un elefante durante un safari, i suoi esecutori testamentari avevano molto fortunatamente trovato subito un acquirente. Si diceva che Kara, che non era amante del vino, avesse fatto murare quelle cantine leggendarie. La porta venne aperta da un cameriere dall'aspetto deferente e T.X. fu fatto entrare. Nel camino dell'ingresso, dietro una grata di bronzo, scoppiettava un bel fuoco e T.X. diede un'occhiata al ritratto di Kara sopra la mensola. — Il signor Kara è molto occupato, signore — riferì il cameriere. — Portategli il mio biglietto da visita — disse T.X. — Credo che mi riceverà. L'uomo si inchinò, fece comparire da qualche parte un vassoio d'argento e salì le scale come tutti i servitori del mondo, cioè Edgar Wallace
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apparentemente senza fatica. Tornò dopo un minuto. — Volete venire da questa parte, signore? — chiese facendogli strada sulle ampie scale. Alla fine della scalinata c'era un ampio corridoio che si allungava sia a destra che a sinistra e sul quale si aprivano quattro stanze. Una porta era all'estremità destra del corridoio, l'altra sulla sinistra e le altre due a intervalli regolari nel centro. Mentre l'uomo alzava la mano per bussare a una delle porte, T.X. disse con calma: — Credo di avervi già visto da qualche parte, amico mio. L'uomo sorrise. — È possibile, signore; ero cameriere al Costitutional prima. T.X. annuì. — Devo avervi visto lì — disse. L'uomo aprì la porta, annunciando il visitatore. T.X. si trovò in una stanza molto ampia, arredata con gusto, ma senza il caratteristico calore delle case inglesi. Kara si alzò da una grande scrivania e, con il sorriso sulle labbra, si avvicinò al visitatore. — Che piacere inaspettato! — esclamò stringendogli le mani. T.X. non lo vedeva da un anno e non trovò grandi cambiamenti in quello strano giovanotto. Aveva il suo solito comportamento sicuro e gentile. Il suo successo sociale non lo aveva cambiato perché i suoi modi erano estrosi e geniali come prima. — Credo che questo basti, signorina Holland — disse, voltandosi verso la ragazza che stava in piedi accanto alla scrivania. Era chiaro, pensò T.X., che l'amico ellenico aveva un gusto molto raffinato in fatto di segretarie. Gli bastò un'occhiata per osservarla con attenzione dalla testa castana ai graziosi piedini. T.X. di solito non veniva attratto con facilità dai membri dell'altro sesso. Si professava scapolo incallito perché trovava che la vita era troppo piena di eventi per lasciargli il tempo di pensare al serio problema del matrimonio o per contrarre responsabilità e interessi che avrebbero distolto la sua attenzione da cose che lui riteneva di primaria importanza. Tuttavia solo una pietra avrebbe potuto resistere alla fresca bellezza di quella giovane ragazza snella; aveva le gote bianche e rosa e sprigionava vita e fragranza con la sua semplice presenza. — Qual è il nome più strano che avete mai sentito? — chiese Kara Edgar Wallace
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ridendo. — Ve lo chiedo perché la signorina Holland e io stavamo discutendo di una lettera che ci è stata spedita da una certa Maggie Goomer. La ragazza sorrise e T.X. ebbe l'impressione che in quel sorriso ci fosse l'intero Paradiso. — Il nome più strano? — ripeté. — Ebbene, io credo che il peggiore che abbia sentito di recente sia Belinda Mary. — Suona familiare — osservò Kara. T.X. stava guardando la ragazza. Lei lo fissava con una certa languida insolenza che lo fece sorridere dentro di sé. Poi, lanciando un'occhiata al suo principale, la ragazza uscì dalla stanza. __Avrei dovuto presentarvi — affermò Kara. — Quella era la mia segretaria, la signorina Holland. Una bella ragazza, vero? — Molto — convenne T.X. che nel frattempo aveva ritrovato il fiato. — Mi piace circondarmi di cose belle — disse Kara e la compiacenza insita in questo commento infastidì T.X. più di qualsiasi altra cosa che Kara gli avesse mai detto. Il greco si avvicinò al camino e prese un portasigarette d'argento. L'aprì per offrire da fumare al suo ospite. Indossava un lungo abito grigio e, anche se il grigio è un colore molto difficile per uno straniero, tuttavia gli donava moltissimo. — Siete un uomo molto sospettoso, signor Meredith — sorrise Kara. — Sospettoso? Io? — chiese T.X. con aria innocente. Kara annuì. — Sono certo che ora vorrete sapere tutto ciò che riguarda il passato del mio staff. Sono certo che non mi lascerete in pace fino a quando non conoscerete tutti i trascorsi della mia cuoca, del mio valletto, della mia segretaria... T.X. agitò una mano ridendo. — Basta così! — sbottò. — Questa è una mia debolezza, lo ammetto, ma non mi sono mai interessato ai vostri affari domestici, tranne che al vostro affascinante autista. Una piccola ombra passò sul viso di Kara ma si trattò di un momento solo. — Oh, Brown! — esclamò con noncuranza e con una pausa brevissima tra le due parole. — Si chiamava Smith — corresse T.X. — ma non importa. Il suo vero Edgar Wallace
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nome era Poropulos. — Oh, Poropulos — ripeté Kara con solennità. — L'ho licenziato molto tempo fa. — E gli avete anche dato una pensione, a quanto ne so — disse T.X. L'altro lo guardò. Poi: — Io sono molto generoso con i miei servitori — affermò con voce lenta e infine, cambiando argomento: — A cosa devo il piacere di questa visita? T.X. scelse una sigaretta prima di rispondere. — Credo che mi potreste essere d'aiuto — asserì concentrando l'attenzione sulla sigaretta. — Nulla mi farebbe più piacere — ribatté Kara con fervore un po' eccessivo. — Temo che non siate stato molto costante nel coltivare un'amicizia che si sarebbe potuta rivelare molto utile — sorrise — forse più per me che per voi. — Io sono un uomo molto riservato — spiegò T.X. senza ritegno. — Sono diffidente e non so cavarmela proprio nei rapporti di società. Sono venuto da voi perché voi conoscete tutti. A proposito, da quanto tempo avete questa nuova segretaria? — chiese a bruciapelo. Kara sollevò gli occhi verso il soffitto, in cerca di un'ispirazione. — Da quattro... no, da tre mesi — disse. — È molto brava e mi è stata segnalata da una delle migliori scuole. Forse è un po' troppo riservata, molto più istruita delle ragazze che occupano una posizione analoga; per esempio parla e scrive alla perfezione il greco moderno. — Un vero tesoro, insomma — suggerì T.X. — Quasi introvabile — ribatté Kara. — Vive a Marylebone Road, al numero 85/A. Non ha amici e trascorre la maggior parte del suo tempo in casa; è molto rispettabile e anche molto fredda nei confronti del suo principale. T.X. gli lanciò una rapida occhiata. — Perché mi dite queste cose? — chiese. — Per risparmiarvi la fatica di indagare — rispose l'altro con freddezza. — L'insaziabile curiosità che fa parte del vostro lavoro, vi induce a investigare su ogni questione. T.X. rise. — Posso sedermi? — chiese. L'altro avvicinò una poltrona e T.X. vi si lasciò sprofondare. Accavallò le gambe, appoggiandosi allo schienale e per un momento sembrò l'immagine della beatitudine. — lo credo che voi siate un uomo molto Edgar Wallace
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intelligente, signor Kara — disse alla fine. L'altro lo fissò, ma questa volta il suo sguardo non era divertito. — Non abbastanza da indovinare il motivo della vostra visita — ribatté con una certa gentilezza. — Ve lo spiego subito — disse T.X. — Voi conoscete tutti in città. E, tra gli altri, conoscete Lady Bartholomew. — Conosco molto bene la signora — puntualizzò Kara con prontezza eccessiva perché la rapidità con la quale aveva risposto suggerì a T.X. che Kara aveva intuito il motivo della visita. — Avete una vaga idea — chiese T.X. parlando con deliberata lentezza — del motivo per cui la signora se ne è andata da Londra proprio in questo momento? Kara scoppiò a ridere. — Che strana domanda da fare proprio a me! Come se Lady Bartholomew si confidasse con un uomo che per lei è solo una conoscenza! — E tuttavia — continuò T.X. fissando la sua sigaretta — la conoscete abbastanza bene per avere una sua cambiale! — Una sua cambiale? — chiese l'altro. Il suo tono era di sincera sorpresa e T.X. si maledì perché vide l'ombra del sollievo sul viso di Kara. Il commissario si rese conto di aver commesso un errore; era stato troppo esplicito. — Quando dico cambiale — continuò con disinvoltura, come se non avesse notato nulla — intendo parlare di quelle assicurazioni che un debitore dà a chi gli ha prestato una forte somma di denaro. Kara non rispose, ma aprì un cassetto della scrivania e prese una chiave che passò a T.X. — Questa è la chiave della mia cassaforte — fece con calma. — Siete libero di controllare il contenuto e di trovare da solo quella cambiale che Lady Bartholomew mi avrebbe firmato. Mio caro amico, non penserete davvero che io sia un usuraio? — sbottò con voce offesa. — Nulla è più lontano dai miei pensieri — mentì T.X. Ma l'altro gli indicò di nuovo la chiave. — Vi sarei davvero grato se guardaste nella cassaforte — affermò con fervore. — Mi sembra di capire che voi associate l'improvvisa malattia di Lady Bartholomew con un orribile gesto di usura da parte mia. Volete quindi togliervi questa soddisfazione e, allo stesso tempo, toglierla a me? Edgar Wallace
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A questo punto una persona comune e un normale detective di polizia avrebbero dato una risposta convenzionale, dicendo che non avevano alcuna autorità Per fare un atto di questo genere e un uomo nella posizione ufficiale di T.X. avrebbe dichiarato di non poter perquisire delle carte private né approfittare della gentilezza altrui. Ma T.X. non era una persona ordinaria. Prese la chiave e la soppesò sul palmo della mano. — Questa è la chiave della famosa cassaforte della vostra camera da letto? — chiese in tono di sfida. Kara lo stava fissando con uno sguardo interrogativo. — Non è quella cassaforte che voi avete già aperto in una memorabile occasione, signor Meredith? — chiese. — Come certo sapete, ho fatto cambiare quella cassaforte, ma forse non vi sentite in grado di aprire anche questa? — Al contrario — ribatté T.X con calma, alzandosi in piedi — ho intenzione di mettere alla prova la vostra buona fede. In tutta risposta, Kara andò alla porta e l'aprì. — Lasciate che vi mostri la strada — disse con voce gentile. Attraversato il corridoio, entrò nella stanza all'estremità dell'anticamera. Era ampia e illuminata da una grande finestra protetta da sbarre d'acciaio. Nell'ampio e alto camino brillava un bel fuoco e la temperatura della stanza era spiacevolmente soffocante, nonostante il tempo fosse piuttosto freddo. — Questa è una mia eccentricità che voi, come inglese, non mi scuserete mai — asserì Kara. Vicino ai piedi del letto, incastrata nel muro, c'era la grande porta verde della cassaforte. — Eccoci qui, signor Meredith — disse Kara. — Tutti i preziosi segreti di Remington Kara sono vostri. — Temo di avere perso molto tempo per niente — affermò T.X. senza fare nemmeno un tentativo di usare la chiave. — La penso anch'io allo stesso modo — confermò Kara con un sorriso. — Curiosamente però — ribatté T.X. — io intendevo dire un'altra cosa. Diede la chiave a Kara. — Non volete aprirla? — chiese il greco. T.X. scosse la testa. — Da ciò che vedo, questa cassaforte è una Magnus; la chiave che mi avete dato con tanta gentilezza invece appartiene a una cassaforte Chubb. La mia esperienza di ufficiale di polizia mi ha insegnato che le casseforti Magnus si aprono molto di rado con le chiavi delle Chubb. Edgar Wallace
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Kara lanciò un'esclamazione di disappunto. — Che sciocco! — esclamò. — Ora che mi ricordo, ho mandato la chiave in banca prima di lasciare la città; sono tornato solo questa mattina, vedete. La manderò subito a prendere. — Non disturbatevi, vi prego — mormorò T.X. con gentilezza. Estrasse dalla tasca una piccola scatoletta rivestita di pelle e l'aprì. Conteneva una serie di oggetti di metallo dalle forme più svariate. T.X. prese una piccola maniglia e la infilò in uno di questi strumenti di acciaio. Kara lo fissò sbalordito e piuttosto preoccupato. — Cosa state facendo? — chiese allarmato. — Ora ve lo mostrerò — disse T.X. con voce allegra. Inserì il piccolo strumento nel forellino della serratura e, con cautela, lo voltò prima da una parte e poi dall'altra. Si sentì un leggero scatto, seguito da un altro. Quando abbassò la maniglia, la porta della cassaforte si spalancò. — Semplice, no? — chiese con voce gentile. In quel momento il viso di Kara si trasformò. Fissò T.X. Meredith con gli occhi carichi di una furia insana e d'un balzo si mise davanti alla cassaforte aperta. — Credo che abbiate esagerato, signor Meredith — esclamò con voce roca.__ Se volete vedere la mia cassaforte dovete avere un mandato. T.X. scrollò le spalle e con calma sfilò lo strumento che aveva usato e lo rimise nella confezione di pelle. — Mi avete invitato voi, signor Kara — commentò con voce suadente. — Naturalmente, mi ero accorto che avevate bluffato con la chiave e che non avete intenzione di lasciarmi controllare all'interno della vostra cassaforte, come non mi direte dove si trova John Lexman. Il colpo era andato a segno. Il viso rivolto al commissario era sconvolto dalla rabbia. Le labbra di Kara erano rigide e mostravano i denti bianchi; gli occhi erano socchiusi, ridotti a due fessure e la bocca era spalancata: ogni traccia di umanità era sparita da quel viso. — Voi... voi! — sibilò muovendo le mani all'indietro, con un gesto sospetto. — In alto le mani! — ordinò T.X. con voce tagliente. — E fate in fretta! Istantaneamente il greco sollevò la braccia perché il revolver di T.X. era Edgar Wallace
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puntato proprio contro la sua vita. — Immagino che questa non sia la prima volta che ricevete l'ordine di alzare le mani — disse T.X. con allegria. La sua mano sinistra si infilò nella tasca di Kara. Trovò qualcosa di cilindrico e lo estrasse. Con sua sorpresa vide che non si trattava di un revolver e nemmeno di un coltello; sembrava una piccola torcia elettrica, anche se il vetro dal quale emanava la luce era tutto traforato. T.X. la maneggiò con cautela e stava per schiacciare il pulsante quando Kara si lasciò sfuggire un grido di orrore. — Per l'amor del Cielo, state attento! — balbettò. — Me la state puntando contro! Non schiacciate quella leva, ve ne prego! — Esploderebbe? — chiese T.X. incuriosito. — No, no! T.X. puntò la torcia al pavimento e abbassò la leva. In quel momento si sentì un sibilo acuto e il pavimento si coprì di un liquido contenuto nello strumento. T.X. abbassò lo sguardo. Il bel tappeto aveva già cambiato colore e stava fumando. La stanza si riempì di un odore pungente e sgradevole, T.X. sollevò gli occhi dal pavimento e fissò l'uomo pallidissimo. — Vetriolo, credo — osservò scuotendo la testa con ammirazione. — Che caro amico siete! L'uomo, grande e grosso com'era, era sul punto di svenire; mormorò qualcosa per difendersi e poi rimase ad ascoltare senza commentare, mentre T.X., sfogando un'emozione del tutto comprensibile, malediceva Kara, i suoi antenati e i discendenti. Piano piano il greco ritrovò il proprio autocontrollo. — Non volevo usarlo contro di voi, lo giuro — esclamò con voce implorante. — Sono circondato da nemici, Meredith. Devo avere uno strumento di protezione. I miei nemici, solo perché sanno che ho questo strumento si tengono alla larga. Giuro che non avevo intenzione di usarlo contro di voi. È un'idea troppo ambiziosa. Mi dispiace di avervi preso in giro con la cassaforte. — Non preoccupatevi — ribatté T.X. — Temo di aver combinato tutto io. No, non posso proprio permettervi di tenerlo — disse mentre il greco teneva la mano per riprendersi lo strumento infernale. — Devo portarlo a Scotland Yard. È da molto che stiamo cercando il modello di quest'arma. Aria compressa, immagino? Edgar Wallace
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Kara annuì con solennità. — Molto ingegnoso davvero — commentò T.X. — Se io avessi un cervello come il vostro — aggiunse — ci farei qualcosa... con la pistola naturalmente — concluse andandosene.
9. Mio caro signor Meredith, non so dirvi quanto mi senta dispiaciuto e umiliato per il fatto che il mio piccolo scherzo sia terminato in quel modo così infelice. Come sapete, e come ho già avuto modo di dimostrarvi, io provo la più intensa ammirazione per un uomo che agisce per il bene dell'umanità e che viene apprezzato da tutti. Spero che entrambi potremo dimenticare questo episodio sgradevole e che mi darete l'occasione di offrirvi di persona le scuse che vi sono dovute. Sento che niente altro potrebbe riabilitarmi nella vostra stima e ristabilire il rispetto che provo per me stesso. Spero che la settimana prossima accetterete di cenare con me; vorrei presentarvi un uomo molto interessante, George Gathercole, appena tornato dalla Patagonia. Ho ricevuto la sua lettera questa mattina, con la quale mi dice di avere fatto delle interessanti scoperte in quel paese. Confido nel fatto che voi avete una mente troppo aperta per permettere che la mia follia e la mia ira momentanea rovinino un 'amicizia che ho sempre sperato vi fosse cara. Se permetterete a Gathercole, tuttora ignaro del ruolo che gli ho assegnato, di fare da paciere tra di noi, io sarò sicuro che questo suo viaggio, che mi è costato un bel po' di soldi, non è stato vano. Sinceramente vostro. Remington Kara. Kara piegò la lettera per infilarla nella busta. Suonò il campanello della sua scrivania e la ragazza, che aveva riempito T.X. di ammirazione, entrò nello studio. — Volete accertarvi che venga spedita, signorina Holland? Lei chinò la testa e rimase in attesa. Kara si alzò dalla scrivania e cominciò a camminare per la stanza. — Voi conoscete il signor T.X.? — chiese all'improvviso. — Ne ho sentito parlare — rispose la ragazza. — Un uomo con una mente singolare — affermò Kara. — Un uomo contro il quale la mia arma preferita fallisce. Edgar Wallace
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Lei lo guardò interessata. — E qual è la vostra arma preferita, signor Kara? — chiese. — La paura — rispose lui. Se si aspettava che lei lo incoraggiasse a parlare, rimase deluso. Ma probabilmente lui non aveva bisogno di essere incoraggiato perché in presenza di persone a lui inferiori si sentiva onnipotente. — Le ferite nella carne di un uomo si rimarginano — disse. — Anche le frustate si dimenticano. Ma se si spaventa un uomo, se lo si riempie di un senso di angoscia e se gli si fa credere che qualcosa di terribile sta capitando a lui o alle persone che ama, meglio ancora se a queste ultime, lo si ferisce in modo definitivo. La paura è un terribile tiranno, un despota, il più potente di tutti. Il terrore ha molti occhi e vede l'orrore dove invece c'è solo del ridicolo. — Ne siete proprio convinto? — chiese lei con calma. — In parte sì, signorina Holland — sorrise lui. Lei giocherellò con la lettera che aveva in mano, mettendola in bilico sulla scrivania, senza sollevare gli occhi. — E cosa giustifica l'uso di un'arma simile? — chiese. — Il semplice raggiungimento di un fine — rispose lui con voce languida. — Per esempio; io voglio qualcosa. Non posso ottenerlo con i metodi normali o con i soliti mezzi. È essenziale per me, per la mia felicità, per la mia sicurezza, per il mio amor proprio, che io entri in possesso di questo qualcosa. Se posso comprarlo, molto bene. Se posso comprare chi può, con la sua influenza, farmi avere questa cosa, meglio ancora. Se riesco a ottenerla grazie ai miei meriti, io utilizzo queste mie virtù, sempre che ci sia ancora tempo. Altrimenti... Scrollò le spalle. — Capisco — disse lei annuendo con movimenti veloci. — Ecco a che punto interviene il ricatto della paura. Lui aggrottò la fronte. — Quella è una parola che non uso mai e che non mi piace sentire — protestò. — Il ricatto mi ricorda un modo volgare di ottenere soldi. — Che di solito sono ambiti dalla maggior parte della gente — affermò la ragazza con un leggero sorriso. — E quindi anche loro sono giustificati, secondo la vostra teoria. — È una questione di punti di vista — ribatté lui con noncuranza. — Da un certo punto di vista ci sono dei sordidi criminali... quel tipo di persone che T.X. incontra ogni giorno, presumo, a causa del suo lavoro. T.X. — Edgar Wallace
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continuò con tono solenne — è un uomo per il quale nutro il più profondo rispetto. È probabile che lo incontrerete di nuovo, perché troverà senza dubbio il modo di intercettarvi per farvi qualche domanda sul mio conto. Non è necessario che vi dica... Scrollò le spalle con un sorriso sprezzante. — Di certo non parlerò dei vostri affari con un'altra persona — ribatté la ragazza con freddezza. — Io vi pago tre sterline alla settimana, credo — disse lui. — Intendo aumentarvi la paga a cinque sterline perché siete una ragazza davvero in gamba! — Grazie — rispose la ragazza con calma — ma la mia paga attuale è più che sufficiente. Detto questo, lo lasciò sbalordito e non poco preoccupato. Rifiutare i favori di Remington Kara era in un certo senso un affronto per lui. Quasi tutti i litigi che aveva avuto con T.X. erano scaturiti dall'indifferenza del poliziotto nei confronti del compiacente atteggiamento che Kara aveva tenuto con insistenza verso di lui. Suonò il campanello, ma questa volta per chiamare il suo valletto. — Fisher — comunicò — aspetto la visita di un uomo chiamato Gathercole; un gentiluomo con un braccio solo del quale ti devi occupare appena arriva. Trattienilo con un pretesto qualsiasi perché è difficile tenerlo fermo in un posto; ma io devo vederlo. Ora però devo uscire e tornerò alle 18.30. Fa' del tuo meglio per impedirgli di andarsene prima che io ritorni. È probabile che si convincerà di fermarsi se lo porti nella biblioteca. — Molto bene, signore — asserì gentilmente Fisher. — Avete intenzione di cambiarvi prima di uscire? Kara scosse la testa. — Andrò come sono — disse. — Portami la mia giacca di pelliccia; questo freddo bestiale mi uccide. — Rabbrividì, guardando le strade gelate. — Tieni acceso il fuoco, metti la mia corrispondenza privata in camera mia e accertati che la signorina Holland pranzi. Fisher lo accompagnò alla macchina, gli avvolse una coperta intorno alla gambe e, dopo aver chiuso la portiera, tornò in casa. E da questo momento il suo comportamento fu di certo insolito per un cameriere fedele. Era naturale che tornasse nello studio di Kara per sistemare le sue carte. Il fatto che controllasse tutti i cassetti della scrivania si sarebbe potuto Edgar Wallace
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attribuire a un eccesso di zelo, dal momento che godeva della confidenza del suo principale. Kara aveva un atteggiamento amichevole nei confronti del suo personale di servizio. Quando si sentiva particolarmente generoso, chiamava per nome la sua guardia del corpo, Fred, e in più di un'occasione e senza una ragione apparente, aumentava loro i salari. Il signor Fred Fisher non ricavò nulla di soddisfacente dalla sua ricerca, fino a quando trovò il libretto degli assegni di Kara dal quale vide che il greco aveva ritirato dalla banca seimila sterline in contanti il giorno precedente. Il fatto lo interessò moltissimo e rimise il libretto degli assegni al suo posto, serrando le labbra e con lo sguardo fisso di un uomo che riflette in fretta. Poi passò dalla biblioteca, dove la segretaria stava copiando le lettere di Kara, rispondendo a richieste di donazioni, come fanno tutte le segretarie del mondo. Ravvivò il fuoco, chiese con deferenza se c'erano degli ordini per lui e alla fine tornò al suo lavoro. Questa volta la sua mèta di indagini fu la camera da letto. Non guardò neppure la cassaforte ma un piccolo armadio nel quale Kara metteva la corrispondenza appena arrivata. Ma non trovò nulla. Sul tavolino accanto al letto c'era un telefono e il cameriere sembrò divertito quando lo notò. Era il telefono privato collegato direttamente a Scotland Yard, come gli aveva spiegato Kara. — Una vera tana — osservò Fisher. Rimase fermo per un momento davanti alla porta chiusa della stanza e guardò sorridendo la grande sbarra di acciaio sulla porta. La sollevò con facilità afferrando la maniglia e poi la lasciò cadere di nuovo. — Una vera tana! — ripeté e poi, sollevando di nuovo la sbarra, uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Attraversò il corridoio con un'espressione pensierosa sul viso, indi cominciò a scendere le scale che portavano all'ingresso. A metà strada una delle cameriere gli andò incontro. — C'è un signore che vuole vedere il signor Kara — annunciò. — Ecco il suo biglietto da visita. Fisher prese il biglietto dal vassoio d'argento e lesse: Signor George Gathercole, Club dei Viaggiatori. — Lo riceverò subito — disse con improvviso interesse. Trovò l'uomo nella hall. Era un individuo che avrebbe attirato l'attenzione di chiunque, se non Edgar Wallace
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altro per l'eccentricità del suo vestito e per il suo aspetto poco curato. Indossava una logora giacca, ma aveva un cappello di seta nuovo, mentre la barba che gli copriva il viso era piuttosto incolta. Sembrava nervoso e parlava da solo, borbottando qualcosa e gettando occhiate sprezzanti al ritratto di Remington Kara appeso sopra il camino di marmo. Aveva un paio di occhialini sulla punta del naso e due grossi volumi sotto il braccio completavano il quadro. Fisher, che era un acuto osservatore, notò che sotto la giacca l'uomo aveva una camicia blu e che indossava dei grossi stivali neri. Il muovo venuto si voltò verso il maggiordomo. — Prendete questi! — ordinò con voce perentoria indicando i due volumi che aveva sottobraccio. Fisher si affrettò ad accontentarlo e si stupì nel rendersi conto che l'uomo non lo aiutava nemmeno allentando la presa sui volumi. Per caso la mano del valletto sfiorò il braccio dell'uomo. Fisher rabbrividì perché Gathercole aveva un braccio artificiale. Infatti sotto la manica della camicia c'era un arto di legno e la menomazione dello straniero risultò ancora più chiara quando l'uomo sollevò la mano destra, afferrò il braccio sinistro e se lo infilò in tasca. — Dov'è Kara? — borbottò. — Tornerà tra pochissimo tempo, signore — rispose gentilmente Fisher. — Oh, allora è fuori! — tuonò il visitatore. — In questo caso non lo aspetterò. Cosa diavolo significa che non c'è? Ha avuto tre anni per uscire! — Il signor Kara vi aspetta, signore. Mi ha detto che sarebbe tornato al più tardi per le sei. — Le sei, buon Dio! — tuonò l'uomo con impazienza. — Chi sono io per restare ad aspettarlo fino alle sei? Si massaggiò con foga la barba. — Le sei, eh? Dite al signor Kara che sono venuto. Datemi quei libri! — Ma vi assicuro, signore... — balbettò Fisher. — Datemi quei libri! — gridò l'uomo. Tirò fuori il braccio sinistro dalla tasca e, con un movimento veloce, lo piegò e strinse sotto l'ascella i libri che il maggiordomo riluttante gli porgeva. — Dite al signor Kara che verrò quando lo riterrò opportuno; avete capito? Quando io lo riterrò opportuno. Buongiorno. — Ma se solo aveste un po' di pazienza, signore... — lo implorò preoccupato Fisher. Edgar Wallace
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— Al diavolo la pazienza — sbottò l'uomo. — Vi ripeto che ho aspettato tre anni! Dite al signor Kara che tornerò. Uscì sbattendo la porta con violenza. Fisher tornò nella biblioteca. Quando entrò, la ragazza stava chiudendo alcune lettere. Sollevò lo sguardo. — Temo di essermi messo nei guai, signorina Holland — disse. — Cosa è successo, Fisher? — chiese la ragazza. — C'era qui un signore che voleva vedere il signor Kara e che il signor Kara mi aveva raccomandato di trattenere. — Il signor Gathercole? — chiese la ragazza in fretta. Fisher annuì. — Sì, signorina, ma non sono riuscito a fermarlo. Lei si morse il labbro. — Il signor Kara si arrabbierà molto, ma d'altra parte non so come potevate evitare che se ne andasse. Però sarebbe stato meglio chiamare me. — Lui non mi dà mai un'occasione, signorina — ribatté Fisher sorridendo. — Ma se quell'uomo torna ancora, lo manderò dritto da voi. Lei annuì. — Avete bisogno di qualcosa, signorina? — chiese mentre si avviava verso la porta. — A che ora tornerà il signor Kara? — Alle sei, signorina — rispose l'uomo. — C'è qui una lettera importante da consegnare. — Devo chiamare il messaggero? — No, non credo che sarebbe saggio. È meglio che la consegniate voi. Kara ricorreva sempre a Fisher per questo genere di lavori di fiducia. — Lo farò con piacere, signorina — disse. Era un'occasione piovuta dal cielo per Fisher che non vedeva l'ora di allontanarsi da casa. La ragazza gli diede la lettera e lui, senza muovere di un millimetro gli occhi, riuscì a leggere l'indirizzo: T.X. Meredith; dipartimento speciale di polizia. Scotland Yard. Whitehall. Se la mise in tasca con cura e uscì dalla stanza. Anche se la casa era molto grande, Kara non aveva un personale numeroso. Una cameriera e il maggiordomo erano le persone fisse che lavoravano all'interno della casa. La cuoca e gli altri domestici che tenevano pulita la casa si fermavano solo durante il giorno. Kara era tornato dalla campagna prima del previsto e l'unica persona, oltre a Fisher e alla segretaria, a trovarsi in casa, era la domestica di mezza età che fungeva da cameriera e da governante. Edgar Wallace
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La signorina Holland era seduta alla sua scrivania; sembrava intenta a rileggere le lettere che aveva battuto a macchina quel pomeriggio, ma in realtà la sua mente era molto lontana dalla corrispondenza che aveva di fronte. Sentendo il leggero tonfo della porta d'ingresso che si chiudeva, si alzò per andare alla finestra e guardare fuori. Vide Fisher lasciare la casa e allontanarsi e poi scese in cucina. Non era la prima visita che faceva nella grande sala sotterranea con il soffitto a volta e i grossi fornelli, che venivano usati pochissimo perché Kara non offriva mai cene. La cameriera, che fungeva anche da cuoca, si alzò quando la ragazza entrò. — È un piacere per i miei occhi stanchi vedervi nella mia cucina, signorina — affermò sorridendo. — Temo che vi sentiate un po' sola, signora Beale — disse la ragazza in tono comprensivo. — Sola, signorina! — esclamò la donna. — Quasi mi vengono i brividi a restare qui tutto il tempo! È quella porta che mi fa sobbalzare! Indicò l'estremità della cucina dove c'era una porta di legno grezzo dall'aspetto molto solido. — È la cantina del signor Kara; nessuno ci è mai entrato tranne lui. So che a volte scende perché ho usato un trucco che mi ha insegnato mio fratello, che fa il poliziotto. Ho teso un filo di cotone da una parta all'altra della porte e l'ho trovato rotto la mattina dopo. — Il signor Kara conserva delle carte private in quella cantina — affermò la ragazza con calma. — Me l'ha detto una volta. — Uhm — mormorò la donna dubbiosa. — Vorrei che la facesse murare come quell'altra. Mi vengono i brividi a restare seduta qui di sera, aspettando che la porta si apra e che lo spirito del folle padrone di casa precedente esca... sapete, quel gentiluomo che è stato ucciso in Africa. La signorina Holland rise. — Vorrei che usciste per me, ora — disse. — Ho finito i francobolli. La signora Beale l'accontentò all'istante e, mentre si infilava il cappello, perché ci teneva molto a mantenere il proprio status quo di governante agli occhi di Cadogan Square, la ragazza tornò al piano superiore. Alla finestra guardò la donna che si allontanava. A quel punto prese la sua borsa e aprì un piccolo borsellino. Conteneva una chiave. Attraversò in fretta il corridoio e, entrata nella stanza di Kara, andò dritta alla cassaforte. Edgar Wallace
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L'aprì in due secondi e cominciò a controllare il contenuto. Era una grossa cassaforte, di tipo normale; c'erano quattro cassetti d'acciaio sul retro e un vano in basso. Due cassetti erano aperti e non contenevano che conti poco interessanti delle tenute di Kara in Albania. I due cassetti superiori invece erano chiusi a chiave. Ma la ragazza era preparata anche a questa evenienza perché aveva una seconda chiave. L'esame del primo cassetto non rivelò ciò che si aspettava. Rimise i documenti nel cassetto e lo richiuse. Poi si dedicò al secondo. La sua mano tremava mentre lo apriva; era l'ultima possibilità, l'ultima speranza. Il cassetto era pieno di piccole scatole di gioielli. La ragazza le prese a una a una e sul fondo trovò ciò che cercava e che aveva tormentato la sua mente negli ultimi tre mesi. Era una scatola ricoperta di pelle rossa. Infilò la mano tremante nel cassetto e l'afferrò con un leggero gridolino di trionfo. — Finalmente! — mormorò, ma in quel momento qualcuno l'afferrò per il polso e, in preda al panico, la ragazza si voltò, trovandosi di fronte il viso sorridente del signor Kara!
10. La ragazza sentì le ginocchia cederle sotto il peso del proprio corpo e di stare per svenire. Si aggrappò alla cassaforte con la mano libera, per sorreggersi ma, nonostante il viso pallidissimo, c'era un'espressione ferma negli occhi scuri che fissavano il greco. — Lasciate che vi liberi di questo, signorina Holland — disse Kara con la sua voce più suadente. Afferrò la scatola di pelle che la ragazza aveva in mano e la sistemò nel cassetto. Poi lo chiuse a chiave ed esaminò la chiave. Infine chiuse anche la porta della cassaforte. — È chiaro — dichiarò con una certa logica — che devo cambiare la cassaforte. Non le lasciò il polso né lo fece fino a quando non l'ebbe trascinata in una piccola stanza dietro la biblioteca. Qui la mollò e si piazzò tra lei e la porta, con le braccia conserte e un sorriso cinico, tranquillo e sprezzante sul suo bel viso. — Potrei adottare diversi atteggiamenti — iniziò con voce lenta. — Potrei chiamare la polizia, quando i miei servitori, che voi avete così saggiamente mandato via, torneranno; oppure posso punirvi secondo i miei Edgar Wallace
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metodi. — Per ciò che mi riguarda — rispose la ragazza con freddezza — potete chiamare la polizia. Si appoggiò alla scrivania, fissandolo senza tremare. — Non mi piace la polizia — ribatté Kara e in quel momento qualcuno bussò alla porta. Kara si voltò per aprire e, dopo una conversazione a bassa voce, chiuse la porta e tornò dalla ragazza posando dei francobolli sulla scrivania. — Come stavo dicendo, non mi va di chiamare la polizia e preferisco usare i miei metodi. In questa occasione particolare la polizia non potrebbe aiutarmi perché voi non ne avete paura, anzi, sono convinto che voi lavorate per Scotland Yard. Ho ragione nell'affermare che siete socia del signor T.X. Meredith? — Io non conosco il signor T.X. Meredith — ribatté lei con freddezza — e non sono affatto associata con la polizia. — In ogni caso — continuò lui — non avete paura delle autorità e questo chiude il discorso: non vi metterò nelle mani della legge. Fatemi pensare... — Si mordicchiò le labbra mentre considerava il problema. Lei era appoggiata alla scrivania e lo fissava senza segni esteriori di apprensione; ma il suo cuore tremava. Per tre mesi aveva recitato il suo ruolo e lo stress era stato molto superiore a quanto osasse confessare anche a se stessa. Ora era arrivato il grande momento e aveva fallito! Questo era l'aspetto peggiore! Non era la paura di un arresto o di una prigionia ad angosciarla. Era il fatto di avere fallito, unitamente a un senso di impotenza nei confronti di quell'uomo. — Se vi facessi arrestare, il vostro nome comparirebbe su tutti i giornali, naturalmente — dichiarò lui — e la vostra fotografia verrebbe pubblicata sui giornali della domenica — aggiunse con voce ansiosa. Lei scoppiò a ridere. — Questo non mi spaventa di certo — ribatté. — Era ciò che temevo — commentò lui avvicinandosi a lei per andare alla finestra. L'aveva appena superata quando, all'improvviso, si voltò e, afferrandola, la trascinò a sé. Prima che lei potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo, lui si chinò e la baciò sulla bocca. — Se gridate, vi bacerò di nuovo! — sibilò. — Ho mandato la cameriera a comprare degli altri francobolli alla posta. — Lasciatemi andare — ansimò la ragazza. E ora, per la prima volta, Kara vide il terrore negli occhi di lei e questo Edgar Wallace
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gli fece provare quella sensazione di trionfo, quell'intossicazione di potere legata ai suoi anni giovanili. — Voi avete paura! — la schernì con voce soffocata. — Ora avete paura, non è vero? E se gridate, vi bacerò di nuovo, avete capito? — Per l'amor di Dio, lasciatemi andare — mormorò lei. Lui la sentì rabbrividire tra le sue braccia e all'improvviso la lasciò con una risatina. Lei si accasciò tremante sulla sedia accanto alla scrivania. — Ora mi direte chi vi ha mandato qui — continuò con voce dura — e perché siete venuta. Non ho mai sospettato di voi. Pensavo che foste una di quelle strane creature che si incontrano in Inghilterra, una donna che preferisce lavorare per mantenersi piuttosto che risolvere il problema con un matrimonio. E invece mi avete spiato per tutto il tempo! Intelligente, davvero molto intelligente! La ragazza doveva pensare in fretta. Fisher sarebbe tornato tra cinque minuti. Per qualche ragione, era convinta che Fisher l'avrebbe aiutata volentieri in una situazione molto pericolosa per lei. Aveva una paura terribile. Conosceva quell'uomo meglio di quanto lui stesso sospettava e sapeva che razza di traditore senza scrupoli era. Sapeva che non si sarebbe fermato davanti a niente e che era senza onore e senza pietà. Lui doveva averle letto nel pensiero perché le si avvicinò. — Non dovete tremare, mia giovane amica — fece con una risatina. — Voi farete solo ciò che io vorrò e, per prima cosa, mi accompagnerete al piano di sotto. Andiamo. La costrinse ad alzarsi e la condusse fuori dalla stanza. Scesero insieme all'ingresso e la ragazza non disse nemmeno una parola. Forse sperava di potersi liberare e di riuscire a scappare in strada, ma rimase delusa. La stretta di lui era d'acciaio e capì che la sua salvezza non si trovava nella fuga. Giunti sulla cima delle scale che portavano in cucina, si voltò. — Dove mi state portando? — chiese. — Vi metterò al sicuro — rispose lui. — Tutto sommato, credo che sia meglio che sia la polizia ad occuparsi di voi e quindi vi chiuderò nella mia cantina mentre vado a cercare un poliziotto. La pesante porta di legno si spalancò, rivelando una seconda porta che Kara aprì. La ragazza notò che entrambe le porte erano rivestite d'acciaio, la prima verso l'interno e la seconda all'esterno. Non fece in tempo a osservare altri particolari perché Kara la trascinò nelle tenebre. Poi accese una luce. Edgar Wallace
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— Non vi negherò la luce — commentò trattenendo la ragazza che aveva cercato di attuare un disperato tentativo di fuga. Chiuse la porta mentre lei si mise a gridare e, stringendola forte, le mise una mano sulla bocca. — Vi ho avvisato! — sibilò. Lei vide che il suo volto era distorto dalla rabbia. Kara era trasfigurato da una ferocia demoniaca. I suoi bei lineamenti, quasi divini, la fissavano con un astio che andava al di là di ogni comprensione umana. Poi i sensi l'abbandonarono e la ragazza cadde a terra svenuta. Quando riprese conoscenza si ritrovò sdraiata su un letto molto semplice. Si mise a sedere. Kara se ne era andato e la porta era chiusa. La cantina era asciutta e pulita e le pareti erano dipinte di bianco. La luce veniva diffusa da due lampade elettriche appese al soffitto. C'erano un tavolo, una sedia e un piccolo lavandino e l'aria doveva essere filtrata da un ventilatore nascosto. Era una prigione, ne più né meno e nei primi momenti di panico si chiese se Kara avesse già usato in precedenza questa cantina per scopi simili. All'estremità della cella c'era un'altra porta; la ragazza la spinse, prima con gentilezza e poi prese a colpirla con veemenza senza però ottenere il minimo risultato. Aveva ancora la sua borsa, una piccola borsetta nera appesa alla vita. Non ci trovò che un tagliacarte, una bottiglietta di sali profumati e un paio di forbici che aveva usato per ritagliare gli articoli dai giornali che riferivano i movimenti di Kara. Potevano servire ora come arma formidabile e, dopo avere avvolto l'impugnatura in un fazzoletto per facilitare la presa, le posò sul tavolo, a portata di mano. Per tutto il tempo meditò sul fatto che aveva sentito parlare di questa cantina e che sapeva qualcosa che le sarebbe potuto essere d'aiuto, se solo fosse riuscita a ricordarlo. Poi, all'improvviso, si ricordò che esisteva una cella a un livello inferiore che, secondo la signora Beale, non era mai stata usata e quindi era stata murata. Ci si arrivava dall'esterno attraverso una rampa di scale. Avrebbe potuto essere la sua via di fuga perché forse c'era ancora una comunicazione tra la cantina superiore e quella inferiore. Si mise al lavoro per esaminare con attenzione la stanza. Il pavimento di cemento era coperto da tappeti leggeri. La ragazza li arrotolò, cominciando dalla porta. Aveva scoperto già metà del pavimento Edgar Wallace
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senza trovare nessuna botola. Quando cercò di trascinare il tavolo nel centro della stanza per arrotolare il tappeto, scoprì che era fissato al muro e, con una più accurata ispezione, scoprì che era stato attaccato dopo che il tappeto era stato steso. Batté il pavimento con le nocche delle mani e il suo cuore cominciò a battere all'impazzata perché rimbombava. La ragazza balzò in piedi, afferrò la borsa appoggiata sul tavolo e con il coltellino tagliò il tappeto, facendo molta attenzione a non rovinarlo. Quasi subito scopri la botola. C'era un anello di ferro e la ragazza lo sollevò. La botola si aprì con uno scatto, come se dall'altra parte ci fosse un contrappeso. Guardò giù. C'era una luce leggera, lontana. Una ripida rampa di scale portava al livello inferiore e, dopo un momento di esitazione, la ragazza cominciò a scendere. Si trovò in una cella un po' più piccola dell'altra. La luce proveniva da una rientranza che si trovava sotto la cucina. Si mosse lentamente, in punta di piedi. La prima delle stanze che vide era ben arredata. C'erano un folto tappeto per terra e delle comode poltrone, una piccola libreria e una lampada da lettura. Doveva essere lo studio sotterraneo di Kara, dove teneva i suoi documenti segreti. Su questa stanza se ne apriva un'altra più piccola e senza porta. La ragazza guardò all'interno e quando i suoi occhi si abituarono al buio, vide che si trattava di una stanza da bagno, perfettamente attrezzata. La stanza dove si trovava era senza luce perché solo il locale in fondo al piano era illuminato. Mentre attraversava la stanza coperta da un folto tappeto, inciampò in qualcosa di duro. Chinandosi a toccare l'oggetto, le sue mani strinsero una sottile catena di acciaio. La ragazza era sbalordita, in preda al panico. Si avvicinò all'ingresso della stanza, terrorizzata dall'idea di ciò che avrebbe visto. E poi dall'interno della stanza arrivò un suono che la fece tremare di orrore. Era un sospiro, lungo e vibrante. La ragazza strinse i denti e oltrepassò la soglia. Per un momento rimase paralizzata, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata per ciò che vide. — Mio Dio! — sussurrò. — A Londra... nel ventesimo secolo!
11. Il sovrintendente Mansus aveva un piccolo ufficio nell'edificio di Edgar Wallace
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Scotland Yard, ma si lamentava della mancanza di privacy perché il suo ufficio assomigliava più a una sala d'attesa dove tutti gli ufficiali di polizia con un po' di tempo libero, si riunivano. Il pomeriggio in cui la signorina Holland aveva avuto quell'esperienza così singolare, un agente in borghese della divisione speciale condusse nell'ufficio del signor Mansus una domestica molto spaventata, preoccupata e in lacrime. Era un atteggiamento che un agente di polizia con un'esperienza ventennale conosceva bene e quindi il signor Mansus non rimase molto impressionato. — Se volete per favore chiudere la bocca per un attimo — disse, ricorrendo a un linguaggio popolare che diminuiva la sua solita gentilezza — e se risponderete invece a qualche domanda, ci risparmieremo un sacco di problemi. Voi siete la cameriera di Lady Bartholomew, vero? — Sì, signore — annuì Mary Ann con gli occhi rossi. — E siete stata sorpresa mentre cercavate di impadronirvi di un braccialetto d'oro di proprietà di Lady Bartholomew? La ragazza trasalì e poi cominciò a recitare senza prendere fiato la lista dei torti da lei subiti. — Sì, signore, ma era stata lei a darmelo, visto che non mi paga da due mesi, signore, mentre a quello straniero ha dato migliaia e migliaia di sterline in una sola volta, signore, e ora non può pagare la sua povera cameriera... no, non può! E se Sir William lo sapesse, e sapesse di quelle carte della mia signora e della tabacchiera, cosa penserebbe, mi chiedo? E ora ho intenzione di far valere i miei diritti perché se può dare migliaia di sterline a un bellimbusto come il signor Kara, può pagare anche me e... Mansus scosse la testa. — Portatela in cella — ordinò conciso e la portarono via; era l'immagine prostrata e piangente di una ladruncola dilettante. Tre minuti dopo Mansus raggiunse T.X. al quale riferì con una certa coerenza le frasi incoerenti della ragazza. — È importante — affermò T.X. — Portatemi Agabil. — Chi? — chiese lo sbalordito detective. — La serva, l'aiutante a pagamento, insomma la cameriera; in fretta — insistette T.X. con impazienza. La ragazza arrivò da T.X. sull'orlo di un collasso. — Datele una tazza di tè — disse il capo con saggezza. — Sedetevi, Mary Ann, e dimenticate tutti i vostri guai. — Oh, signore, non mi ero mai trovata in una situazione simile prima Edgar Wallace
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d'ora — cominciò lei accasciandosi sulla sedia che le avevano portato. — Allora sarà stata un'esperienza davvero stressante — dichiarò T.X. — Ora ascoltate... — Sono sempre stata una persona rispettabile... — Basta così — troncò T.X. con voce stanca. — Ascoltate, se mi direte tutto su Lady Bartholomew e sul denaro che ha dato al signor Kara... — Duemila sterline... in due rate, mille per volta. — Se mi direte tutta la verità, commetterò un'irregolarità e vi lascerò andare. Gli ci volle molto tempo prima di riuscire a sfrondare il racconto della donna da tutte le sue rimostranze personali. Nel racconto della cameriera c'erano delle lacune che dovette riempire, ma tutto sommato era una storia credibile. Lady Bartholomew aveva perso dei soldi e li aveva chiesti in prestito a Kara. Come garanzia gli aveva dato una tabacchiera regalata al padre di suo marito, un dottore da uno zar per i servizi che gli aveva reso ed era "d'oro e piena di smeraldi, cori delle parole straniere scritte con i diamanti". La cameriera non era sicura della somma che Lady Bartholomew si era fatta prestare. Tutto ciò che sapeva era che la signora aveva restituito duemila sterline e che era ancora molto depressa ("in crisi" furono le esatte parole della ragazza) perché sembrava che Kara si fosse rifiutato di restituire la tabacchiera. C'erano state delle terribili scene di panico e di isterismo a casa di Lady Bartholomew e la crisi maggiore era scoppiata quando Belinda Mary era tornata dal collegio francese. — La signorina Bartholomew è a casa allora? Dov'è? — chiese T.X. Ma su questo punto la ragazza fu più vaga che mai. Pensava che la signorina fosse ripartita; in ogni caso, Belinda era rimasta molto sconvolta. Aveva visto il dottor Williams e aveva saputo che sua madre poteva avere un crollo nervoso da un momento all'altro. — La signorina Belinda sembra molto precoce — osservò T.X. — Per caso ha anche incontrato il signor Kara? — Oh, no — spiegò la cameriera. — La signorina Belinda non è il tipo. La signorina Belinda è una vera signora, se mai ce n'è stata una sulla faccia della terra. — E quanti anni avrebbe questa interessante signorina Belinda Mary? — chiese T.X. con curiosità. — Diciannove — rispose la ragazza e il commissario, che si era Edgar Wallace
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immaginato Belinda come una ragazzina goffa con le gambe magre e il naso storto, rimase di stucco. Tenne un breve sermone a proposito della proprietà altrui, diede alla ragazza l'equivalente della sua paga di tre mesi, che le spettava (infatti non aveva dubbi sulla veridicità delle sue proteste) e la mandò via, con l'ordine di tornare a casa, fare i bagagli e andarsene. Quando la ragazza se ne andò, T.X. si sedette per riflettere sulla situazione. Poteva vedere Kara, che, tra l'altro gli aveva espresso il proprio rincrescimento e sembrava pronto a parlargli con maggiore umiltà. Ma forse era meglio di no. Mansus stava aspettando e T.X. tornò con lui nel suo piccolo ufficio. — Non so proprio come fare — obiettò con angoscia. — Se mi dite cosa spinge Kara, signore, potrei darvi una risposta — disse Mansus. T.X. scosse la testa. — Ma questo è proprio ciò che non so — esclamò. Si avvicinò alla scrivania di Mansus, accendendosi una sigaretta. — Ho intenzione di andare da lui a parlargli — disse dopo una pausa. — Perché non gli telefonate? — chiese Mansus. — Ha il telefono proprio nella sua camera da letto. Indicò un piccolo apparecchio in un angolo della stanza. — Oh, ha convinto il commissario a mettergli una linea diretta, vero? — chiese T.X. interessato, avvicinandosi al telefono. Toccò il ricevitore ma, mentre stava per sollevarlo, cambiò idea. — Non credo che lo farò — obiettò. — Andrò da lui domani. Non credo di riuscire a strappargli una confidenza sul caso di Lady Bartholomew, come non sono riuscito a sapere niente del povero Lexman. — Immagino che non rinuncerete mai alla speranza di rivedere il signor John Lexman — sorrise Mansus impegnato con il suo scrittoio. Prima che T.X. potesse rispondere si sentì bussare alla porta; entrò un poliziotto in uniforme che salutò T.X. — Hanno appena mandato una lettera urgente dal vostro ufficio, signore, lo ho detto che pensavo di trovarvi qui. Passò la lettera al vicecommissario. T.X. la prese e guardò l'indirizzo scritto a macchina. Sulla busta c'era la scritta Urgente e Consegnata a mano. Prese il piccolo tagliacarte dalla scrivania e aprì la busta. La lettera consisteva in tre o quattro fogli manoscritti. Cominciava con Mio caro T.X. e la calligrafia gli era familiare. Edgar Wallace
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Mansus, fissando il suo superiore, lo vide aggrottare la fronte e spalancare la bocca per lo stupore. Poi voltò in fretta le pagine per controllare la firma e poi... — Per tutti i diavoli! — gridò T.X. — È di John Lexman! La mano che teneva stretti i fogli tremava. La data delle lettera era quella del giorno stesso e l'indirizzo era solo "Londra". Mio caro T.X., diceva la lettera, non dubito che questa mia ti provocherà un piccolo shock perché la maggior parte dei miei amici non speravano più nel mio ritorno. Per fortuna, o per sfortuna, non è così. Da parte mia desidererei... ma non voglio essere malinconico perché sono davvero felice al pensiero di poterti rivedere presto. Perdonami se questa lettera ti sembrerà incoerente, ma sono tornato in questo momento e ti scrivo dall'Hotel di Charing Cross. Non resterò qui ma comunque ti comunicherò il mio indirizzo più tardi. La traversata è stata molto dura e quindi mi scuserai se la lettera è poco chiara. Devo purtroppo comunicarti che la mia povera moglie è morta. È mancata all'estero circa sei mesi fa. Ma non voglio parlarne a lungo e quindi mi perdonerai se non entro nei dettagli. Ora ti scrivo soprattutto con uno scopo ufficiale. Immagino di essere ancora punibile per legge e ho deciso di arrendermi alle autorità questa sera stessa. Ricordo che avevi un ottimo sovrintendente di nome Mansus e, se non ti disturbo, come spero, io mi presenterò da lui alle 10.15. In ogni caso, mio caro T.X. non voglio coinvolgerti con questi miei problemi e, se mi permetterai di risolvere questa faccenda con Mansus, ti sarò molto obbligato. So che non mi aspetta una punizione molto grave perché ho saputo che il mio condono è stato firmato la notte prima della mia fuga. Non potrò raccontarti molto perché c'è ben poco negli ultimi due anni della mia vita che voglio ricordare. Siamo stati molti infelici e la morte è forse stata una benedizione quando mi ha strappato la mia adorata moglie. Hai più visto Kara? Dirai a Mansus di aspettarmi tra le dieci e le dieci e mezza e se darà istruzioni all'ufficiale di guardia, mi presenterò subito nel suo ufficio. Ti saluto con affetto, mio caro amico. John Lexman T.X. rilesse la lettera un paio di volte, con lo sguardo rattristato. Edgar Wallace
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— Povera ragazza! — mormorò piano, passando la lettera a Mansus. — È chiaro che vuole vedere voi perché teme di sfruttare a suo favore la sua amicizia con me. Comunque io ci sarò. — Sarà un incontro formale? — chiese Mansus. — Non ci sarà nessuna formalità — ribatté l'altro brusco. — Mi procurerò il condono dal segretario di stato, condono che, tutto sommato, mi aveva già promesso. Andò a Whitehall con la mente occupata dagli eventi del giorno. Era una rigida sera di febbraio e piovigginava mentre un forte vento penetrava sotto la sua giacca. Avvicinandosi alla porta del suo ufficio, scrutò nelle tenebre. Qualcuno era fermo sulla soglia ed era senza dubbio una persona rispettabile; una donna dall'aspetto materno, avvolta in una pelliccia e con un pretenzioso cappello in testa. — Salve! — salutò T.X. sorpreso. — Volete entrare qui? — Voglio vedere il signor Meredith — disse la donna con il tono affettato di chi vuole giustificare l'origine volgare della propria prosperità con continui riferimenti al fatto di avere visto giorni migliori. — I vostri desideri saranno esauditi — affermò T.X. con solennità. Aprì la pesante porta ed entrò nell'ingresso senza tappeto (non erano concessi lussi negli uffici governativi) e le fece strada sulle scale, fino al suo ufficio. Quando accese le luci, poté osservare meglio la sua visitatrice, che sembrava una tranquilla padrona di casa. Una donna simpatica, pensò T.X., ma un po' eccessiva nell'abbigliamento. — Mi perdonerete se sono venuta a quest'ora della notte — asserì la donna — ma come diceva il mio caro papà, Honi soit qui mal y pense. — Il vostro caro padre doveva essere un commerciante di giarrettiere — disse scherzando T.X. — Ma non volete sedervi, signora... — Signora Cassley — rispose la donna accomodandosi. — Mio padre si occupava di carta da parati. Ma, come si dice, passiamo ai guai che toccano a tutti, prima o poi. — E che guai stanno toccando a voi ora, signora Cassley? — chiese T.X., che non riusciva proprio a capacitarsi del motivo di quella visita. — Forse sto sbagliando — continuò la signora mordendosi le labbra — e due neri non fanno certo un bianco. Edgar Wallace
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— E non è tutto oro ciò che luccica — esclamò T.X. con voce stanca. — Volete dirmi cosa è successo, signora Cassley? Sono molto affamato. — Ecco, si tratta di questo, signore — iniziò la signora Cassley abbandonando la sua istruzione posticcia e cominciando a parlare in modo più consono a lei. — Si tratta di una ragazza, una persona davvero rispettabilissima. E io so cosa vuol dire rispettabile, ve lo assicuro, perché ho sempre avuto dei pensionanti molto distinti e perfino un dottore ha abitato da me. — Allora siete qualificata per parlare — concesse T.X. con un sorriso. — Ma torniamo a questa signorina. A proposito, dove abitate? — A Marylebone Road, al numero 85/A — disse la donna. T.X. si sedette. — Sì? — incalzò. — E allora, questa ragazza? — Lavora, da quello che ho capito, come segretaria da un certo signor Kara. È venuta da me quattro mesi fa. — Non importa quando è venuta da voi — la interruppe T.X. con impazienza. — Avete un messaggio da parte di questa ragazza? — Ebbene, proprio così, signore — rispose la signora Cassley avvicinandosi a lui in tono confidenziale e parlando con il tono di voce che secondo lei doveva accompagnare qualsiasi rivelazione fatta a un commissario di polizia. — Questa signorina mi ha detto: "Se una sera non sarò tornata per le otto, dovrete andare dal signor T.X. e dirgli..." Si interruppe teatralmente. — Sì, sì! — la incalzò T.X. — Per l'amor di Dio, andate avanti, signora! — "Dovrete dirgli" — concluse la signora Cassley — "che Belinda Mary..." Lui balzò in piedi. — Belinda Mary! — esclamò. — Belinda Mary! — Vide tutto in un flash. Una ragazza che conosceva il greco moderno e che lavorava a casa del signor Kara, con uno scopo preciso! Kara aveva qualcosa che apparteneva a sua madre... qualcosa di vitale, dal quale non poteva separarsi e che la ragazza aveva deciso di recuperare in quel modo. La signora Cassley continuava a parlare ma la sua voce era solo un brusio lontano per T.X. E provò una strana sensazione al cuore quando si rese conto che Belinda Mary aveva pensato a lui! "Solo come poliziotto, naturalmente" gli disse la ferma vocina dell'ufficiale. "Forse", ribatté la parte umana di T.X. Telefonò a Mansus Edgar Wallace
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per dargli qualche istruzione. — Voi restate qui — ordinò alla sbalordita signora Cassley. — Io devo fare alcune indagini. Kara era a casa ma si trovava a letto. T.X. si ricordò che lo strano greco era solito coricarsi molto presto e che generalmente riceveva gli ospiti nella sua stanza blindata. Venne fatto passare subito e accompagnato nella camera da letto di Kara. Il greco, avvolto nella sua vestaglia di seta, era sdraiato sul letto e stava fumando. Il caldo della stanza era insopportabile, anche in quella fredda sera di febbraio. — Che piacevole sorpresa — esclamò Kara mettendosi a sedere. — Spero che il mio abbigliamento non vi offenda. T.X. andò dritto al punto. — Dov'è la signorina Holland? — chiese. — La signorina Holland? — Kara inarcò le sopracciglia, mostrando un genuino stupore. — Che domanda straordinaria da fare proprio a me, amico mio! È a casa sua, al cinema o a teatro; io non so come passa le sue serate! — Non è a casa — ribatté T.X. — e ho ragione di credere che non ha lasciato questa casa! — Che persona sospettosa siete, signor Meredith! — esclamò Kara suonando il campanello. Fisher arrivò subito con una tazza di tè su un vassoio. — Fisher — disse Kara — il signor Meredith è ansioso di sapere dove si trova la signorina Holland. Vuoi per favore dirglielo? Tu conosci meglio di me i suoi movimenti. — Da ciò che so io, signore — rispose Fisher con voce deferente — se ne andata da qui alle 17.30, come al solito. Poco prima delle diciassette mi ha mandato a fare una commissione e, quando sono tornato, il suo cappello e il suo cappotto erano spariti, quindi immagino che se ne sia andata. — Ma l'avete vista uscire? — chiese T.X. L'uomo scosse la testa. — No, signore. Io vedo di rado la signorina entrare e uscire. La signorina non ha restrizioni ed è libera di andare dove vuole. Credo di aver detto bene, vero, signore? — si voltò verso Kara. Kara annuì. — Probabilmente la troverete a casa sua. Poi agitò un dito di fronte a T.X. — Siete un furbastro! — esclamò. — Dovrei tenere le bellezze della mia Edgar Wallace
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casa velate, come si usa in Oriente, soprattutto quando c'è in giro un poliziotto sospettoso. T.X. stette al gioco. Non avrebbe guadagnato nulla impuntandosi. Dopo i soliti convenevoli, se ne andò. Trovò la signora Cassley in compagnia di Mansus, che la intratteneva con le cronache fantastiche dei famosi criminali che aveva arrestato. — Posso solo suggerirvi di andare a casa — fece T.X. — Manderò un ufficiale ad accompagnarvi e spero che mi riporterà la notizia che la signorina è tornata a casa. Forse ha fatto fatica a trovare un autobus in una sera come questa. Chiamò un detective di Scotland Yard e la signora Cassley rincasò dandosi una certa importanza. T.X. guardò l'orologio; erano le dieci meno un quarto. — Qualsiasi cosa succeda, io devo vedere il vecchio Lexman — disse. — Dite a qualcuno in gamba del dipartimento di restare per qualsiasi eventualità. Credo che oggi sia uno dei miei giorni più intensi.
12. Kara si sdraiò tra i cuscini con una smorfia sul viso pensieroso. Senza sapere perché, in quel momento la sua mente vagava lontano. Ripensò a dodici anni prima, alla piccola e sporca capanna di un contadino su una collina appena fuori Durazzo; al volto livido di un giovane albanese che, per desiderio di Kara, aveva perso tutto ciò per il quale un uomo ritiene che valga la pena vivere; agli occhi pieni di odio del padre di una ragazza e, con le braccia conserte, osservava la figura legata per terra; al fumo che si sprigionava da quel cottage e che danzava sul soffitto e alle terribili ore di attesa nelle quali era rimasto seduto, legato, con una candela che si consumava sempre di più, avvicinandosi a un mucchio di polvere da sparo che presto si sarebbe incendiata, proprio sotto la sua sedia. Si ricordava molto bene quel giorno e oggi era l'anniversario. Poi rivisse altri avvenimenti più piacevoli: il rumore degli zoccoli sulla strada, la porta abbattuta dal gendarme turco accorso in suo aiuto. E poi, con gioia selvaggia, ricordò lo spettacolo del suo fallito assassino che agonizzava scalciando sulla forca di Pezaro e... in quel momento sentì suonare il campanello. T.X. era tornato? Uscì dal letto e andò alla porta. L'aprì piano e si mise Edgar Wallace
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in ascolto. La vista di T.X. con un mandato di perquisizione lo avrebbe gettato nel panico, soprattutto se... scrollò le spalle. Aveva risposto in modo soddisfacente a T.X. che aveva accertato i propri sospetti. Comunque quella sera avrebbe chiesto a Fisher di accertarsene. La voce nell'atrio era rozza e volgare. Chi poteva essere? Poi sentì i passi di Fisher sulle scale. — Volete ricevere il signor Gathercole? — Il signor Gathercole? Kara emise un sospiro di sollievo e il suo viso si rilassò. — Ma certo! Digli di salire. Chiedigli se non gli dispiace essere ricevuto in camera mia. — Gli ho detto che eravate a letto, signore ma lui ha usato un linguaggio irripetibile — disse Fisher. Kara rise. — Mandalo su — ordinò. Poi, mentre Fisher stava uscendo, lo richiamò. — A proposito, Fisher, dopo che il signor Gathercole sarà uscito, potrai andartene anche tu. Immagino che avrai da fare e non è necessario che torni fino a domani mattina. — Grazie signore — rispose il cameriere. Una simile istruzione gli era molto gradita. C'erano molte cose che doveva fare e quella libertà gli sarebbe tornata davvero utile. — Forse — esitò Kara — forse è meglio che aspetti fino alle undici. Portami dei panini e un grosso bicchiere di latte. O meglio, mettili in un vassoio in anticamera. — Molto bene, signore — dichiarò Fisher ritirandosi. All'ingresso, il grottesco personaggio con il cappello scintillante e la barba incolta stava passeggiando nervoso avanti e indietro, fissando gli oggetti che vedeva con un buffo sguardo di sfida. — Il signor Kara vi riceverà subito, signore — disse Fisher. — Oh — esclamò l'altro, squadrando l'innocente Fisher — ma che gentile da parte sua! Che cortesia da parte di questa persona ricevere uno studioso e un gentiluomo che ha fatto uno sporco lavoro per ben tre anni! Che è invecchiato al suo servizio! Avete capito? — Sì, signore — affermò Fisher. — Guardate qui! L'uomo si avvicinò. — Vedete i peli grigi della mia barba? Imbarazzato, Fisher fece una smorfia. Edgar Wallace
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— È grigia? — gridò il visitatore con sfida. — Sì, signore — si affrettò a rassicurarlo il valletto. — È grigia davvero? — insistette il visitatore. — Strappatene un pelo e guardate! Lo sbalordito Fisher si ritrasse con un sorriso di scusa. — Non potrei mai fare una cosa simile, signore. — Oh, davvero non potete! — sbottò l'uomo. — Va bene, allora fatemi strada! Fisher lo accompagnò al piano superiore. Questa volta l'uomo non aveva libri con sé e Fisher si accorse che la protesi era uscita dalla tasca senza che l'uomo se ne accorgesse. Aprì la porta annunciando il signor Gathercole e Kara si avvicinò con un sorriso al suo agente che, con quel cappello in testa e l'impermeabile che gli arrivava alle caviglie era davvero un personaggio singolare. Fisher chiuse la porta e tornò ai suoi lavori al piano di sotto. Dieci minuti dopo sentì la porta aprirsi e la voce tonante dello straniero. Fisher salì le scale per andargli incontro. L'uomo stava ancora parlando in modo eccentrico con il padrone di casa. — Non più Patagonia! — tuonò. — Basta Terra del Fuoco! — esitò. — Ma certo! — conciliò rispondendo a una domanda. — Ma non in Patagonia. — Si interruppe di nuovo e Fisher, ai piedi delle scale, si chiese cosa fosse successo per rendere il visitatore di umore tanto allegro. — Immagino che il vostro assegno sarà onorato subito — chiese il visitatore con ironia, scoppiando in una risatina mentre chiudeva la porta. Scese le scale parlando da solo e poi incontrò Fisher. — All'inferno tutti i greci! — esclamò allegramente e Fisher non poté fare altro che sorridergli con una leggera espressione di rimprovero; il sorriso era per lo straniero e il rimprovero per il suo padrone. Il viaggiatore gli toccò il petto con la mano destra. — Non fidatevi mai di un greco — borbottò. — E badate ai vostri soldi. È chiaro? — Sì, signore — rispose Fisher — ma credo che scoprirete che il signor Kara è molto generoso in fatto di soldi. — Non credeteci, non credeteci, povero voi! — ammonì l'altro. — Voi... In quel momento dalla stanza di Kara si sentì un rumore. — Che cos'è? — chiese il visitatore stralunato. — Il signor Kara ha chiuso la porta con la sbarra di ferro — spiegò Fisher con un sorriso. — Questo significa che non vuole più essere Edgar Wallace
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disturbato fino... — guardò l'orologio. — Fino alle undici. — È un demonio! — sbottò l'altro. — Un vero demonio! Scese le scale misurando ogni gradino, aprì la porta d'ingresso senza l'aiuto di Fisher e, dopo averla sbattuta, sparì nella notte. Fisher, con le mani in tasca, rimase a guardare il visitatore che spariva, scuotendo la testa con disapprovazione. — Sei uno strano vecchio demonio! — esclamò guardando di nuovo l'orologio. Mancavano cinque minuti alle dieci.
13. — Se volete venire, signore, sono sicuro che Lexman sarà contento di vedervi — disse T.X. — Siete molto gentile a interessarvi della faccenda. Il commissario capo borbottò che lui era pagato per occuparsi di tutti e si incamminò con T.X. lungo i corridoi di Scotland Yard, che sembravano senza fine. — Non avrete difficoltà per ottenere il condono — disse. — Ho cenato questa sera con il vecchio Bartholomew e mi ha assicurato che me lo farà avere domani mattina. — Ma non sarà necessario trattenere Lexman in custodia? — chiese T.X. Il capo scosse la testa. — No — rispose. Ci fu una pausa e poi: — A proposito, Bartholomew vi ha parlato di Belinda Mary? Il capo con i capelli bianchi guardò sbalordito il suo subordinato. — E chi diavolo è Belinda Mary? — chiese. T.X. arrossì. — Belinda Mary — si affrettò a spiegare — è la figlia di Bartholomew. — Per Giove! — esclamò il commissario. — Ora che mi ricordo, è ancora in Francia! — Oh, davvero? — esclamò T.X. con noncuranza e nel suo cuore sperò con ardore che fosse davvero così. Quando arrivarono nell'ufficio di Mansus, il rispettabile gentiluomo era già in attesa. Quando i poliziotti si incontrano, finiscono sempre per parlare di lavoro e due minuti dopo i tre stavano discutendo animatamente, viste le differenti opinioni, di una serie di frodi perpetrate nei Midlands e che non hanno nulla a che vedere con questa storia. — Il vostro amico è in ritardo — osservò il commissario capo. — Eccolo! — gridò T.X. balzando in piedi. Aveva sentito dei passi Edgar Wallace
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familiari nel corridoio e corse fuori dalla stanza, incontro al nuovo venuto. Per un momento non fece altro che stringere la mano di quell'uomo sfortunato, con il cuore troppo gonfio per esprimere delle parole. — Mio caro amico! — esclamò alla fine. — Non sai come sono felice di rivederti! John Lexman non disse nulla e poi... — Mi dispiace di averti trascinato in questo affare T.X. — rispose con calma. — Che sciocchezze! — ribatté l'altro. — Entra a vedere il capo. Prese John per un braccio e lo condusse nell'ufficio del sovrintendente Mansus. John Lexman era cambiato, in modo impercettibile e non facile da definire. Il suo viso sembrava più vecchio, la bocca più rigida e gli occhi più segnati. Indossava un abito da sera e T.X. pensò che avesse l'aspetto di un tipico gentiluomo inglese, il maggiordomo del quale aveva appena detto "Il signore è uscito". T.X. osservandolo da vicino, non vide altri cambiamenti particolari, tranne una cicatrice sulla guancia, ricordo di una ferita non certo superficiale. — Mi scuso per questo abbigliamento — si schernì John togliendosi il cappotto e appoggiandolo allo schienale di una sedia — ma il fatto è che questa sera ero tanto annoiato che dovevo fare qualcosa per passare il tempo. Così mi sono vestito e sono andato a teatro... dove mi sono annoiato ancora di più. T.X. notò che non sorrideva mai e che parlava lentamente, con cautela, come se soppesasse il valore di ogni parola. — Ora — continuò — sono venuto a consegnarmi nelle vostre mani. — Immagino che non abbia visto Kara — commentò T.X. — Non ho alcun desiderio di vedere Kara — fu la secca risposta. — Bene,' signor Lexman — intervenne il commissario capo — credo che non avrete guai a causa della vostra fuga. A proposito, siete fuggito in aereo, vero? Lexman annuì. — E avevate un complice? Lexman annuì di nuovo. — A meno che voi non mi costringiate, preferirei non parlare di quella vicenda, almeno per un po', Sir George — disse. — Succederanno molte cose prima che io riveli l'intera verità sulla mia fuga. Edgar Wallace
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Sir George annuì. — Ne parleremo dopo — commentò con voce allegra. — Ma ora spero che tornerete presto a deliziarci con i vostri affascinanti romanzi! — Per un po' ho chiuso con i romanzi — ribatté John Lexman con voce piatta. — Spero di poter lasciare Londra la settimana prossima e di partire per New York per gustare il poco che la vita può offrirmi. Il vero gusto della vita ormai è svanito per me. Il commissario capo capì. Il silenzio venne interrotto dal lungo e insistente trillo del telefono. — Ehi! — fece Mansus alzandosi. — È il telefono di Kara! Con due balzi veloci andò all'apparecchio e sollevò il ricevitore. — Pronto — esclamò. — Pronto — ripeté ad alta voce. Nessuna risposta, tranne un ronzìo continuo. Quando riappese il ricevitore, il telefono riprese a suonare. I tre poliziotti si guardarono l'un l'altro. — Ci sono dei guai laggiù — disse Mansus. — Prendete il ricevitore — suggerì T.X. — e riprovate. Mansus obbedì ma non ottenne risposta. — Temo che questi non siano affari miei — commentò Lexman prendendo il cappotto. — Cosa volete che faccia, Sir George? — Venite da noi domani mattina, Lexman — disse Sir George tendendogli la mano. — Dove alloggi? — chiese T.X. — Al Great Midland — rispose John. — O almeno i miei bagagli sono lì. — Verrò a trovarti domani mattina. È curioso che questo guaio si sia verificato proprio la sera che sei tornato — osservò stringendo l'amico con affetto. John Lexman non parlò per un momento. — Se è successo qualcosa a Kara — affermò con voce lenta — se gli è accaduto l'irreparabile, ti posso assicurare che non piangerò. T.X. lo guardò negli occhi con un'espressione comprensiva. — Credo che ti abbia ferito nel profondo, amico mio — disse con voce gentile. John Lexman annuì. — Sì, maledetto! — sibilò. La macchina del commissario capo era parcheggiata per la strada. Il proprietario, T.X., Mansus e un sergente vi salirono in tutta fretta, Edgar Wallace
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dirigendosi verso Cadogan Square. Fisher era all'ingresso quando arrivarono e aprì subito. Rimase sinceramente stupito di quella visita. Il signor Kara era in camera sua, spiegò risentito, come se T.X. dovesse saperlo da solo. Non aveva sentito nessun campanello suonare e non era mai stato chiamato in camera. — Devo vederlo alle undici — dichiarò — e ho ricevuto chiare istruzioni di non andare da lui fino a quando non mi chiamerà. T.X. salì le scale e andò dritto nella stanza di Kara. Bussò ma non ottenne risposta. Bussò di nuovo e, non ottenendo ancora nessun cenno, prese a calci la porta. — Avete un telefono al piano terra? — chiese. — Sì, signore — rispose Fisher. T.X. si voltò verso il sergente. — Telefona a Scotland Yard — ordinò — e fa' venire un uomo con gli attrezzi per scassinare una porta. Dobbiamo fare saltare questa serratura e non ho con me i miei strumenti. — Non servirà far scattare la serratura, signore — intervenne Fisher, spettatore interessato. — Il signor Kara ha abbassato la sbarra. — Non ci avevo pensato — commentò T.X. — Bisogna portare anche una sega per tagliare il pannello. Mentre aspettavano gli strumenti, T.X. cercò di destare l'attenzione del greco, ma senza successo. — Usa oppio o droghe del genere? — chiese Mansus. Fisher scosse la testa. — Io non ho mai saputo che usasse questo tipo di sostanze — asserì. T.X. controllò le altre stanze del piano. Quella accanto alla camera di Kara era la biblioteca dietro la quale c'era il guardaroba usato, secondo Fisher, dalla signorina Holland e all'estremità del corridoio si apriva la sala da pranzo. (Di fronte alla camera da letto c'era un piccolo ascensore di servizio e accanto un ripostiglio pieno di bauli, tra i quali uno molto voluminoso con istruzioni di "maneggiare con cura" scritte in tre lingue. Sul piano non c'era nulla di interessante e i ripiani superiori e inferiori potevano aspettare. Un quarto d'ora dopo arrivò il falegname di Scotland Yard che praticò un foro nella porta di Kara. Attraverso il foro, T.X. riuscì solo a vedere che la stanza era buia, tranne che per la luce emanata dal camino. Inserì la mano, sollevò la sbarra di Edgar Wallace
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acciaio che aveva notato durante la sua visita precedente e alla fine la porta si aprì. — State tutti fuori — ordinò. Cercò l'interruttore e subito la stanza fu invasa dalla luce. Il letto era seminascosto dalla porta aperta. T.X. fece un passo avanti e vide tutto. Kara era accasciato sul letto, morto e la macchia di sangue all'altezza del cuore era eloquente. T.X. rimase a guardarlo, vide l'orrore dipinto sul suo volto e, non riuscendo a restare a fissarlo, si voltò a osservare la stanza. Sul tappeto in mezzo alla stanza trovò la sua unica traccia: una piccola candela piegata e ritorta, come quelle che si appendono all'albero di Natale.
14. Fu Mansus a rinvenire la seconda candela, più grossa della prima. Era sotto il letto. Il telefono, posato sul comodino era storto e il ricevitore era caduto per terra. Accanto c'erano due libri: uno era La questione balcana di Villari e l'altro Viaggi e politica in Oriente di Miller. Appoggiato sui volumi c'era un lungo tagliacarte d'avorio. Sul comodino non c'era altro, tranne un portasigarette d'argento. T.X. si infilò un paio di guanti per esaminare la superficie del comodino, alla ricerca di impronte. Ma un esame così superficiale non rivelò nulla. — Aprite la finestra — ordinò T.X. — Il caldo qui è insopportabile. State attento, Mansus. A proposito, la finestra è chiusa? — Sigillata — rispose il sovrintendente dopo un attento esame. Fece scattare la serratura e sollevò la finestra. In quel momento suonò l'allarme. — È l'allarme per i ladri, immagino — commentò T.X. — Scendete a spegnerlo. — Si era rivolto a Fisher che, con un'espressione sconvolta, era rimasto fermo sulla soglia. Quando se ne andò, T.X. lanciò un'occhiata significativa al sergente che seguì il maggiordomo. Fisher spense l'allarme e tornò in anticamera, fermandosi davanti al camino. Era molto agitato. Accanto al camino c'era un grande tavolo di legno di quercia sul quale c'era una lettera che Fisher non ricordava di avere visto prima, ma che poteva trovarsi lì da molto tempo perché aveva trascorso quasi tutta le sera in cucina con la cuoca. Prese la busta e, trasalendo, si accorse che era indirizzata a lui. L'aprì e Edgar Wallace
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prese il biglietto. C'erano scritte poche parole ma bastarono a far scomparire il colore dal suo viso e a fargli tremare le mani. Poi prese il messaggio e la busta e li gettò nel fuoco. In quel momento Mansus chiamò dalla stanza al piano di sopra e il sergente, che doveva tenere d'occhio il maggiordomo, corse a rispondere. Per un momento Fisher esitò e poi, senza cappotto e cappello, si avvicinò piano alla porta, l'aprì e, lasciandola socchiusa, scese i gradini e filò come una lepre lontano da quella casa. Il dottore, che arrivò poco dopo, fu cauto riguardo all'ora del decesso. — Se avete ricevuto la telefonata alle 22.25, come avete affermato, è probabile che sia stato ucciso in quel momento — disse. — Non posso essere preciso alla mezz'ora. È chiaro che l'uomo che l'ha ucciso l'ha afferrato alla gola con il braccio sinistro, vedete queste ferite sul collo, e l'ha pugnalato con la mano destra. In quel momento scoprirono che Fisher si era volatilizzato, ma l'interrogatorio della terrorizzata signora Beale cancellò ogni dubbio riguardo la colpevolezza di Fisher. — Mandate un messaggio a tutte le stazioni. Bisogna farlo tornare indietro — ordinò T.X. — È rimasto con la cuoca da quando il visitatore se ne è andato fino a pochi minuti prima del nostro arrivo. È poi impossibile che qualcuno sia entrato e uscito da quella stanza. Avete perquisito il morto? Mansus portò un vassoio sul quale erano stati disposti gli effetti personali di Kara. La signora Beale identificò tutte le chiavi tranne due. T.X. scoprì che una era quella della cassaforte, ma le due più piccole erano un mistero che la signora Beale all'inizio non seppe chiarire. — L'unica cosa che posso dirvi, signore — esclamò alla fine — è che forse sono delle cantine. — Le cantine? — ripeté T.X. lentamente. — Dev'essere... — si fermò. La tragedia della serata, con tutti i suoi aspetti misteriosi, non gli aveva fatto dimenticare quella ragazza, Belinda Mary, che si era rivolta a lui nel momento del pericolo. Forse... scese in cantina e la cuoca lo accompagnò davanti alla porta. — Sembra più una prigione che una cantina — commentò. — È quello che ho sempre pensato, signore — convenne la signora Beale — e qualche volta ho avuto davvero una paura terribile. T.X. tagliò corto il discorso della donna inserendo la chiave nella Edgar Wallace
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serratura; niente da fare. Ma con la seconda ebbe maggiore fortuna. La serratura scattò senza difficoltà e la porta si aprì. La porta più interna era bloccata, ma le sbarre scivolarono con facilità lungo i perni ben oliati. Evidentemente Kara aveva usato spesso questo posto, pensò T.X. Quando aprì la porta si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa. La cantina era illuminata... ma vuota! — Dannazione! — sbottò T.X. In quel momento vide qualcosa sotto il tavolo e lo sollevò. Erano un paio di forbici e intorno all'impugnatura c'era un fazzoletto. La scoperta non lo avrebbe turbato molto se non fosse stato per il fatto che le forbici grondavano sangue, sangue che macchiava anche il fazzoletto. Srotolandolo, vide le iniziali. "B.M.B." Si guardò intorno. Nessuno aveva visto l'arma; se la fece scivolare in tasca. Poi tornò in cucina dove Mansus e la signora Beale lo stavano aspettando. — Non c'è anche una cantina a un livello superiore? — chiese con voce soffocata. — È stata murata quando il signor Kara ha comprato la casa — spiegò la signora Beale. — Non è più nulla da vedere qui — disse. Tornò in fretta in biblioteca, con la mente che gli turbinava. Era inconcepibile che lui, accreditato ufficiale di polizia, che aveva giurato di combattere tutti i criminali, avesse nascosto una prova importante. Ma se era stata la ragazza a commettere il crimine, come aveva potuto salire in camera di Kara e perché era tornata nelle cantine? Mandò a chiamare la signora Beale per interrogarla. La donna non aveva sentito niente ed era rimasta in cucina tutta la sera. Comunque riferì che Fisher si era allontanato dalla cucina per un quarto d'ora circa e che era tornato molto agitato. — Restate qui — disse T.X. prima di tornare nelle cantine per fare un'ulteriore ispezione. Probabilmente esisteva un collegamento sotterraneo, pensava e infatti un'attenta indagine lo rivelò. Trovò la botola di ferro e, aprendola, scese dalle strette scale. Rimase sbalordito dal lusso della stanza nella quale si trovò. Passò di stanza in stanza e alla fine arrivò all'ultima sala, dove c'era una luce. Scopri che questa veniva diffusa da una piccola lampada accesa accanto a un letto d'ottone. Qualcuno vi aveva dormito di recente ma non c'era traccia di vita. Edgar Wallace
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T.X., continuando l'ispezione, trovò ben presto la porta murata. Non esistevano altre uscite. Il pavimento era di legno e di cemento e la ventilazione era perfetta. In un angolo, dove un tempo senza dubbio era stato posizionato del vino, ora c'era una cucina funzionale. C'erano anche dei canestri con del cibo proveniente da un noto magazzino, con un'eccellente scelta di menù caldi e freddi e di conserve. T.X. tornò in camera da letto a prendere la lampada sul comodino e cominciò a ispezionare l'appartamento. Trovò delle tracce di sangue, piuttosto irregolari. Si perdevano ai piedi delle scale che conducevano alla cantina superiore. Poi le ritrovò. La lampada si era spenta e ora l'unica luce era quella della sua piccola torcia elettrica. Sembrava che qualcosa di molto pesante fosse stato trascinato attraverso la stanza. Le tracce portavano alla camera da bagno. Esaminò la stanza e la sua pignoleria venne ricompensata. La stanza da bagno era l'unica che avesse qualcosa che ricordava una porta; in realtà era un leggero divisorio. T.X. lo aprì ma qualcosa gli impedì di completare il movimento. Scivolò nella stanza e illuminò con la sua torcia lo spazio dietro il divisorio. E lì, immobile nella morte, con gli occhi fissi e la lingua penzoloni, giaceva un grosso cane, con i denti gialli digrignati. Aveva un collare legato a una catena spezzata. T.X. salì le scale e tornò pensieroso in cucina. Belinda Mary aveva ucciso Kara o il cane? Che avesse ucciso o uno o l'altro era indiscutibile. Che li avesse uccisi entrambi solo possibile.
15. La mattina seguente, dopo una notte avventurosa e insonne, T.X. andò dal commissario capo per fare rapporto. I giornali erano pieni di articoli riguardo al clamoroso omicidio, ma le informazioni erano scarse. — Fino a ora — comunicò T.X. al suo superiore — non sono riuscito a rintracciare né Gathercole né Fisher. L'unica cosa che sappiamo di Gathercole è che ha mandato l'articolo al Times con il suo biglietto da visita. I camerieri del suo club sono stati molto vaghi riguardo i suoi movimenti. È un uomo molto eccentrico, che va al club molto di rado e il cameriere con il quale ho parlato ha detto che a volte Gathercole arriva e Edgar Wallace
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se ne va senza che nessuno se ne accorga. Siamo stati nella sua vecchia casa a Lincoln's Inn ma sembra che l'abbia venduta prima di partire per la sua lunga avventura in Patagonia. L'unica traccia che abbiamo è che un uomo che corrisponde alla sua descrizione è partito la scorsa notte alle 23.00 per Parigi. — Avete già visto la segretaria, immagino? — disse il capo. Ecco la domanda che T.X. temeva. — Anche lei andata! — rispose conciso. — Infatti è sparita dalle 17.30 di ieri pomeriggio. Sir George si appoggiò allo schienale della sedia, massaggiandosi la barba grigia. — L'unica persona rimasta — esclamò con pesante sarcasmo — sembra essere Kara! Volete che assegni il caso a un vostro collega? Non è nel vostro genere. Oppure preferite continuare a occuparvene voi? — Preferisco occuparmene io — rispose T.X. con fermezza. — Avete scoperto qualcosa riguardo a Kara? T.X. annuì. — Tutto ciò che ho scoperto a suo riguardo è molto negativo — rispose. — Sembra che nutrisse l'ambizione di occupare un posto molto importante in Albania. A questo fine ha corrotto ufficiali turchi e albanesi, riuscendo a crearsi un largo seguito nel paese. Bartholomew mi ha detto che Kara aveva già accennato alla possibilità che il governo inglese accettasse un fatto compiuto in Albania e che ha cercato di convincerlo a usare la sua influenza nel gabinetto inglese per riconoscere i risvolti di un'eventuale rivoluzione. Non ci sono dubbi che sia stato Kara a organizzare tutti i delitti politici dell'ultimo anno in Albania. Abbiamo trovato in casa sua forti somme di denaro e dei documenti già inviati al Ministero degli Esteri per essere tradotti. Sir George rimase a lungo pensieroso e poi disse: — Ho una mezza idea che, trovando la segretaria, risolverete almeno la metà del problema. T.X. uscì dall'ufficio non certo di umore allegro. Stava andando a pranzo quando si ricordò che aveva promesso di passare a far visita a John Lexman. Forse Lexman avrebbe potuto fornirgli una chiave di lettura di quel mistero? Si sporse in avanti per dare nuove istruzioni all'autista del taxi. La macchina si fermò davanti alla porta del Great Midland Hotel mentre John Lexman stava uscendo. — Vieni a pranzo con me — disse T.X. — Di certo hai avuto le ultime Edgar Wallace
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notizie. — Ho letto che Kara è stato ucciso, se intendi questo — precisò l'altro. — È davvero una coincidenza che io abbia parlato di questa possibilità la sera scorsa, proprio mentre suonava il telefono. Vorrei tanto non essere stato presente! — aggiunse. — Perché? — chiese lo sbalordito vicecommissario. — Cosa intendi dire? — Avrei preferito che tu non fossi stato presente al mio ritorno — commentò l'altro con voce triste. — Avrei voluto chiudere con questo sordido affare senza coinvolgere i miei amici. — Io credo che tu sia troppo sensibile — rise l'altro dandogli una pacca sulla spalla. — Voglio che tu scarichi tutto su di me, amico mio e che mi racconti tutto ciò che può essermi utile per risolvere questo mistero. John Lexman sollevò verso l'amico uno sguardo preoccupato. — Farei quasi tutto per te, T.X. — disse con calma — tanto più che ho saputo quanto sei stato gentile con Grace, ma non posso aiutarti in questa faccenda. Io odiavo Kara quando era vivo e lo odio ora che è morto! — esclamò con una passione selvaggia nella voce. — Era la creatura più vile che abbia mai respirato su questa terra. Per lui non c'era malvagità troppo grossa o crudeltà eccessiva. Se il diavolo si incarnasse sulla terra, prenderebbe le sembianze di Remington Kara. In ogni caso, la sua morte è stata troppo pietosa. Ma se esiste un Dio, quell'uomo soffrirà per i suoi crimini per l'eternità! T.X. lo guardò sbalordito. L'odio che si leggeva sul volto dell'uomo gli tolse il fiato. Mai prima di allora aveva fronteggiato una tale carica di aggressività. — Cosa ti ha fatto Kara? — domandò. L'altro guardò fuori dalla finestra. — Mi dispiace — affermò in tono più mite — è la mia debolezza. Un giorno o l'altro ti racconterò l'intera storia, ma per il momento è meglio che tu non sappia niente. Ti dirò solo questo — si voltò, squadrando il detective. — Kara ha torturato e ucciso mia moglie! T.X. non disse altro. Verso la metà del pranzo tornò sull'argomento in modo indiretto. — Conosci Gathercole? — chiese. Lexman annuì. — Mi sembra che tu mi abbia già fatto questa domanda, o forse è stato un altro. Sì, lo conosco; è un uomo piuttosto eccentrico, con un braccio artificiale. Edgar Wallace
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— Siamo al punto! — esclamò T.X. con un sospiro. — Gathercole è uno dei pochi uomini che vorrei vedere in questo momento! — Perché? — Perché sembra che sia stato lui l'ultimo a vedere vivo Remington Kara. John Lexman guardò l'amico scrollando le spalle con uno scatto di impazienza. — Non sospetterai di Gathercole, vero? — chiese. — Non vedo come potrei — ribatté l'altro con voce secca. — Prima di tutto l'assassino aveva due mani e le ha usate entrambe. No, voglio solo chiedergli di cosa hanno parlato. E vorrei anche sapere chi c'era nella stanza con Kara quando Gathercole è arrivato. — Uhm — borbottò Lexman. — Ma anche se scoprissi chi era la terza persona, non riuscirei comunque a spiegarmi come hanno fatto a uscire e a chiudere la sbarra dall'interno. Ai vecchi tempi, Lexman — disse allegro — avresti ricavato una storia fantastica da un simile indizio. Come avresti fatto fuggire il tuo uomo? Lexman rimase pensieroso per un momento. — Hai esaminato la cassaforte? — chiese. — Sì — rispose l'altro. — C'era molto all'interno? T.X. lo guardò sbalordito. — Solo i registri o alcuni oggetti. Perché me lo chiedi? — Supponi che ci siano due porte nella cassaforte, una all'esterno e una all'interno e che sia possibile uscire dalla stanza in questo modo? — Ci ho già pensato — precisò T.X. — Naturalmente — disse John appoggiandosi allo schienale della sedia e giocherellando con un cucchiaio — quando si scrive un romanzo si può contare su possibilità infinite e si potrebbe anche immaginare che Kara avesse fatto mettere quella cassaforte per avere una via di fuga in caso di emergenza. Poteva tenere una scala di corda nascosta nella cassaforte e, in caso di pericolo, gettare la corda dalla porta interna e in qualche modo riuscire a sganciarla una volta sceso. — Un'idea ingegnosa — approvò T.X. — ma sfortunatamente in questo caso non funziona. Ho parlato con i costruttori della cassaforte e mi hanno detto che il loro articolo non presentava nessuna caratteristica particolare. Sai darmi un altro suggerimento? John Lexman rifletté ancora.— Non voglio suggerirti l'idea di botole, di pannelli segreti e di porte nascoste — disse — perché troppo banale, Edgar Wallace
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quanto le molle misteriose che, schiacciate, rivelano scale segrete. Sorrise. — Devo confessare che quando ero giovane mi piacevano molto questi misteri ma l'età mi ha reso più esperto e ho scoperto che non è possibile far pensare un architetto in un certo modo, perfino sulla posizione della dispensa. È impossibile fargli costruire una casa con pareti doppie e camere segrete. T.X. aspettò con pazienza. — Ma c'è una possibilità, naturalmente — continuò Lexman lentamente — e cioè che la sbarra d'acciaio sia stata mossa dall'interno da qualcuno con un potente meccanismo magnetico. — Ho pensato anche a questo — esclamò T.X. con voce trionfante — e ho condotto i più accurati esperimenti questa mattina stessa. È impossibile sollevare quella sbarra d'acciaio perché, una volta abbassata, scatta la maniglia che la blocca. Provaci ancora, John! John Lexman rivoltò la testa all'indietro, ridendo senza fare rumore. — Perché mai dovrei aiutarti a scoprire l'assassino di Kara, proprio non capisco! — commentò. — Ma ti fornirò un'altra teoria e nello stesso tempo ti avviso che potrei portarti intenzionalmente fuori pista. Perché solo Dio sa quante ragioni avevo per uccidere Kara, più di qualsiasi altro uomo al mondo! Rimase pensieroso. — È impossibile passare dal camino, vero? — C'era un grande fuoco acceso — spiegò T.X. — Tanto è vero che nella stanza faceva un caldo soffocante. John Lexman annuì. — Un'abitudine di Kara — osservò. — A dire la verità, quando ho suggerito l'idea di un meccanismo magnetico per sollevare la sbarra, sapevo che non era possibile. Infatti ero in rapporti confidenziali con Kara quando ha fatto installare la sbarra e sapevo come funzionava anche se non ci ho pensato in quel momento. Qual è la tua teoria, a proposito? T.X. si morse le labbra. — La mia teoria non è ancora ben definita — rispose cauto — ma credo che Kara fosse sdraiato a letto, probabilmente intento a leggere uno dei due libri che abbiamo trovato sul comodino quando il suo assassino l'ha attaccato. Kara ha afferrato il telefono per chiedere aiuto ed è stato ucciso. Seguì un lungo silenzio. — È una teoria — asserì John Lexman con il suo strano tono di voce — Edgar Wallace
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ma come ti ho già detto non voglio essere preciso. Avete trovato l'arma? T.X. scosse la testa. — C'erano delle particolari condizioni nell'appartamento che ti hanno meravigliato e che non mi hai riferito? T.X. esitò. — C'erano due candele — disse. — Una era nel centro della stanza e l'altra sotto il letto. Quella in mezzo alla stanza era una candelina dell'albero di Natale mentre quella sotto il letto era più grossa, tagliata in modo rozzo, senza dubbio nella stanza stessa. Abbiamo trovato delle scagliette di cera per terra e credo che la parte avanzata sia stata gettata nel fuoco perché abbiamo trovato della cera sciolta nel camino. Lexman annuì. — C'è altro? — chiese. — La candela piccola era ritorta. — L'enigma della candela ritorta! È un ottimo titolo — mormorò John Lexman. — Kara odiava le candele. — Perché? Lexman si appoggiò allo schienale della sedia, prendendo una sigaretta. — Nei miei viaggi — disse — sono stato in molti posti strani. Ho visto paesi che tu probabilmente non conosci e che i viaggiatori che scrivono libri toccano di rado. Ci sono piccoli villaggi arroccati sulle colline più spoglie del mondo. Ho vissuto in villaggi che non riconoscono nessun re e nessuna autorità. Le loro leggi vengono tramandate di padre in figlio; una nazione senza nemmeno un linguaggio scritto. Amministrano la legge in modo duro e drastico. Le loro punizioni sono disumane. Ho visto una donna scoperta in flagrante adulterio, lapidata secondo la migliore tradizione biblica e ho visto i ladri accecati. T.X. rabbrividì. — Ho assistito allo spettacolo di un testimone mendace trascinato sulla piazza del mercato per avere la lingua strappata. Qualche volta i turchi o alcuni rappresentanti del governo inviano dei gendarmi per cercare di controllare almeno in modo approssimativo il paese. Di solito o i gendarmi si imbarbariscono oppure scompaiono dalla faccia della terra, con un'intera comunità di assassini pronta a giurare all'unanimità che il gendarme in questione si è suicidato o è scappato con la moglie di uno di loro. In alcune di queste comunità la candela ha un ruolo importante. Non si tratta delle normali candele in commercio da noi, ma di una sostanza fatta con il grasso di montone. A volte le infilano tra le dita delle mani, irrigidite da Edgar Wallace
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due legni; e le candele continuano a bruciare... riesci a immaginare l'agonia? Oppure accendono una candela in mezzo a un mucchio di polvere da sparo con una scia che finisce sotto i piedi nudi della vittima. A volte lasciano bruciare la candela sulla testa rasata della vittima. Ci sono molte varianti per l'utilizzo delle candele. Non so quale avesse sperimentato Kara, ma so che le utilizzava. — Era crudele a tal punto? — chiese T.X. John Lexman scoppiò a ridere. — Tu non immagini cos'era — ribatté. Verso la fine del pranzo il cameriere portò un messaggio a T.X. che arrivava dall'ufficio. Caro signor Meredith, in relazione alla vostra domanda su mia figlia, credo che si trovi a Londra, anche se l'ho saputo solo questa mattina. Il mio banchiere mi ha informato che mia figlia è andata in banca questa mattina per prelevare una considerevole somma di denaro dal suo conto personale, ma non so dove sia andata con tutti quei soldi e cosa se ne faccia. Non è necessario che vi dica che sono preoccupato e sarei molto lieto se poteste darmi delle spiegazioni. William Bartholomew. T.X. fece una smorfia.— Se solo avessi avuto il buon senso di andare in banca questa mattina, l'avrei vista — disse. — Perderò il lavoro per questo. L'altro sembrava preoccupato.— Non intenderai davvero dire questo? — Non proprio — ammise T.X. sorridendo — ma non credo che il mio capo sia molto contento di me in questo momento. Vedi, sono entrato in questa faccenda senza averne l'autorità perché non di competenza del mio dipartimento. Ma non mi hai ancora illustrato la tua teoria riguardo alle candele. — Non ho nessuna teoria — rispose Lexman piegando il tovagliolo. — Le candele suggeriscono un tipico assassinio albanese. Non dico che sia stato così, affermo solo che la presenza delle candele può dare luogo a una simile interpretazione. T.X. dovette accontentarsi di questo. Se non faceva parte dei suoi compiti occuparsi di un comune omicidio (anche se questo non poteva definirsi tale), era compito suo riconsegnare alla proprietaria l'elaborata tabacchiera di Lady Bartholomew trovata nella cassaforte di Rara. Aveva rinvenuto anche delle carte che chiarivano il Edgar Wallace
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ruolo assunto dal greco. Senza essere un volgare usuraio, aveva preso a garanzia non solo la tabacchiera di Lady Bartholomew, ma anche altri articoli con il solo scopo di trattenerli in caso avesse avuto bisogno di assistenza. Le indagini non portarono alla minima prova e il verdetto del coroner, "omicidio commesso da uno o più sconosciuti", era l'unico possibile. T.X. trascorse una settimana molto faticosa alla ricerca di prove che non lo condussero da nessuna parte. John Lexman gli scrisse una lettera con la quale gli comunicava la sua intenzione di partire per gli Stati Uniti. Aveva ricevuto un'ottima proposta di lavoro da parte di un editore di New York e aveva intenzione di andare a verificare le condizioni. Ormai Meredith aveva le idee più chiare. Aveva deciso la linea di azione da seguire e, in questo stato d'animo, si presentò al colloquio con il commissario capo e il ministro della Giustizia. — Sì, ho avuto notizie da mia figlia — confermò l'uomo a disagio — mi ha messo in una situazione davvero imbarazzante. Non posso spiegarvi con esattezza, signor Meredith, in che modo, ma vi assicuro è che così. — Posso vedere la sua lettera o il suo telegramma? — chiese T.X. — Temo che sia impossibile — ribatté l'altro con solennità. — Mi ha implorato di tenere segreta la nostra corrispondenza. Ho scritto a mia moglie, chiedendole di tornare a casa. Sento che lo stress al quale sono sottoposto è superiore a quello che un uomo può sopportare. — Immagino — azzardò T.X. con pazienza — che sia impossibile per voi dirmi a quale indirizzo avete risposto. — A nessun indirizzo — rispose l'altro, ma poi si corresse in fretta. — Intendo dire che ho solo ricevuto il telegramma questa mattina e che non mi comunicava l'indirizzo. — Capisco — disse T.X. Quel pomeriggio diede istruzioni al suo segretario. — Voglio una copia di tutte le inserzioni nei giornali di domani e delle ultime edizioni della sera. Li voglio trovare pronti domani mattina appena arrivo. Infatti la mattina successiva, alle nove in punto, quando arrivò in ufficio, trovò le inserzioni. Le lesse con attenzione e poi trovò il messaggio che stava cercando. B.M. Mi hai messo in una posizione imbarazzante. Molto difficile. Ho Edgar Wallace
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ricevuto il pacco per tua madre e l'ho messo nel suo salottino. Non capisco perché vuoi che vada via per il fine settimana e perché devo dare i giorni liberi alla servitù, ma l'ho fatto. Ma dovrai darmi delle altre spiegazioni. Le cose sono andate troppo oltre. Papà. — Questo — dichiarò T.X. con esultanza leggendo il messaggio — mi terrà molto impegnato.
16. Di solito nel mese di febbraio non ci sono le solite nebbie perché è un mese di tempeste, nevicate e gelate; ma la notte del 17 febbraio 19... era una notte calma e nebbiosa. Non si trattava della solita bruma londinese che tanto spaventa gli stranieri ma di una nebbiolina che si diffonde come fumo per le strade, a volte rendendo invisibili gli oggetti, altre diradandosi fino a diventare una diafana scia grigia. Sir William Bartholomew aveva una casa a Portman Place, un ampio quartiere pieno di edifici brutti di fuori ma molto belli dentro. Poco prima delle undici di quel 17 febbraio, un taxi arrivò dall'incrocio di Sussex Street con Portman Place e una ragazza scese. In quel momento la nebbia era più fitta del solito e la ragazza esitò un momento prima di lasciare il sicuro rifugio che il taxi le assicurava. Diede qualche istruzione all'autista e si incamminò con passo deciso verso il numero 173. Inserì la chiave nella serratura e aprì la porta. Entrò e, chiusa di nuovo la porta, accese la luce dell'ingresso. La casa era vuota e deserta e questo le diede una certa soddisfazione. Spense la luce prima di salire le scale che portavano al primo piano; si fermò per un momento ad accendere un'altra luce, impossibile a vedersi dall'esterno, e poi salì sull'ultima rampa di scale. La signorina Belinda Mary Bartholomew si congratulò con se stessa per il successo del suo piano. L'unica preoccupazione era che il salottino fosse chiuso a chiave, ma suo padre non si interessava a queste faccende e Jacks era un maggiordomo anziano che non chiudeva mai niente a chiave e di conseguenza ascoltava spesso, con viso malinconico, l'elenco dei vari ammanchi provocati dai servitori occasionali. Con immenso sollievo della ragazza, la maniglia si abbassò e la porta si aprì. Qualcuno aveva chiuso le persiane e tirato le tende. Accese la luce Edgar Wallace
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con un sospiro di sollievo. La scrivania di sua madre era coperta di lettere chiuse e la ragazza le scartò tutte. Cercava solo un piccolo pacco. Non era lì e si sentì venir meno. Forse suo padre l'aveva messo in uno dei cassetti. Frugò in tutti senza risultato. Rimase in piedi di fianco alla scrivania, perplessa, mordicchiandosi le dita. — Grazie a Dio! — esclamò con un salto vedendo un pacchetto sulla mensola. Attraversò la stanza per prenderlo. Strappò la carta con mani tremanti e finalmente vide la familiare scatola rossa. Quando aprì il coperchio della scatola e, affondata nel cotone, vide la tabacchiera, emise un profondo sospiro di sollievo. — Grazie a Dio! — esclamò a bassa voce. — Mi associo — rispose una voce. Lei trasalì e si voltò con uno sguardo terrorizzato negli occhi. — Signor... signor Meredith — balbettò. T.X. era accanto alla finestra dalla quale aveva fatto la sua teatrale entrata in scena.— Dico che dovete ringraziare anche me, signorina Bartholomew — disse poi. — Come sapete il mio nome? — chiese con curiosità. — Io so tutto — rispose lui e lei sorrise. All'improvviso però tornò seria e chiese con voce tagliente: — Chi vi ha mandato da me? Il signor Kara? — Il signor Kara? — ripeté lui sbalordito. — Ha minacciato di mandarmi la polizia — spiegò lei in fretta — e io l'ho sfidato a farlo. Non ho paura della polizia; è del signor Kara che avevo paura. Voi sapete che sono andata per... per la proprietà di mia madre? Tese la mano con la tabacchiera. — Mi ha accusato di furto ed è stato tremendo e poi mi ha rinchiuso in quella orribile cella e... — E...? —incalzò T.X. — Tutto qui — rispose lei serrando la labbra. — Cosa avete intenzione di fare ora? — Vi farò qualche domanda se posso — fece. — In primo luogo, non avete sentito nulla sul signor Kara da quando siete andata via? Lei scosse la testa. — Sono stata ben lontana da lui — ribatté con una smorfia. — Non avete letto i giornali? — chiese. Edgar Wallace
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Lei annuì. — Solo la colonna degli annunci. Avevo scritto a mio padre di rispondere al mio telegramma. — Lo so; ho visto l'annuncio — sorrise lui. — Ecco perché sono venuto. — Era quello che temevo — sospirò lei. — Mio padre scrive troppo... e parla anche troppo. Volevo solo che mi dicesse sì o no. Cosa volevate dire quando mi avete chiesto se avessi letto i giornali? — continuò. — Mia madre non sta bene? Lui scosse la testa. — Da quello che so io, Lady Bartholomew gode di ottima salute e sta tornando a casa. — E allora cosa intendevate dire? — domandò lei. — Perché avrei dovuto leggere il giornale? Cosa dovevo vedere? — Non sapete nulla di Kara? — insistette lui. Lei scosse la testa sbalordita. — Non so e non voglio sapere niente di Kara. Perché me lo chiedete? — Perché — rispose T.X. con voce lenta — la notte in cui siete scomparsa da Cadogan Square, Remington Kara è stato assassinato! — Assassinato! — balbettò lei. T.X. annuì. — È stato pugnalato al cuore da uno o più sconosciuti. T.X. si infilò la mano in tasca ed estrasse un oggetto avvolto nella carta. Tolse la carta con delicatezza mentre la ragazza lo fissava con sguardo allucinato e con un terribile senso di apprensione. Alla fine l'oggetto si rivelò. Era un paio di forbici con un piccolo fazzoletto avvolto intorno all'impugnatura, macchiato di sangue. Lei indietreggiò di un passo, portandosi le mani sul viso. — Le mie forbici! — esclamò con voce soffocata. — Non penserete che...? Lo fissò, lo sguardo indeciso tra la paura e l'indignazione. — Non credo che abbiate commesso voi il delitto — sorrise lui — se è quello che volevate dirmi. Ma se fosse stato qualcun altro a trovare queste forbici e il fazzoletto, sareste stata nei guai, ragazza mia. Lei fissò le forbici, rabbrividendo. — Io ho ucciso... qualcuno — confessò a bassa voce. — Un cane terribile... non so come ho fatto, ma quella bestia mi era saltata addosso e l'ho pugnalato senza nemmeno accorgermene e ne sono contenta. — Annuì molte volte e ripeté: — Sì, sono contenta. — Lo immaginavo; ho scoperto il cane e ora forse mi spiegherete come mai non ho trovato voi. Edgar Wallace
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— Non so perché non mi abbiate trovato — disse lei. — Io ero lì. — Come siete uscita? — Come siete uscito voi? — ribatté lei con voce di sfida. — Io sono passato dalla porta — confessò lui. — Sembra un modo molto banale per andarsene, ma era l'unica strada. — E così ho fatto anch'io — dichiarò lei con un piccolo sorriso. — Ma era chiusa a chiave! Lei rise. — Ora capisco — disse. — Io ero in cantina. Sentendo la chiave che voi avete inserito nella serratura, sono scesa dalla botola, lasciando le forbici sul tavolo. Pensavo che fosse Kara con qualche suo amico e, quando le voci si sono allontanate, ho osato risalire, scoprendo che avevate lasciato la porta aperta. E così io... io... Queste strane pause stupirono T.X. C'era qualcosa che lei non voleva dirgli; qualcosa che doveva ancora rivelargli. — E così me ne sono andata, capite? — continuò. — Sono passata dalla cucina, dove non c'era nessuno e così sono uscita dalla porta. Appena voltato l'angolo ho trovato un taxi e... questo è tutto. Unì le mani in un gesto drammatico. — E questo è tutto? — chiese T.X. — È tutto — confermò lei. — E ora cosa farete? T.X. sollevò lo sguardo al soffitto, massaggiandosi il mento. — Suppongo che dovrei arrestarvi. Credo di meritarmi qualcosa. Posso chiedervi se avete dormito voi nel letto? — Nella cantina bassa? — chiese lei. Ci fu una piccola pausa e poi lei rispose di aver dormito in quel letto. Ogni parola era seguita da una breve esitazione. — Cosa avete intenzione di fare ora? — ripeté di nuovo la ragazza. Si sentiva più sicura di se stessa e aveva superato la sensazione di panico che l'improvvisa apparizione di lui le aveva dato. Lui si grattò i capelli, in una rozza imitazione del suo capo e lei osservò che i suoi capelli erano molto folti e ricci. Si rese conto che era un uomo attraente, con quegli occhi grigi, il naso dritto e il mento volitivo. — Io credo — suggerì con voce dolce — che dovreste arrestarmi. — Non fate la sciocca — implorò lui. Lei lo fissò sbalordita. — Cosa avete detto? — chiese arrabbiata. — Ho detto di non fare la sciocca — ripeté il giovanotto calmo. — Non sapete che siete stato maleducato? — chiese lei. Edgar Wallace
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— Davvero? Sembrava interessato e sorpreso da questa nuova definizione del suo comportamento. — Naturalmente — disse lei accarezzandosi il vestito senza guardarlo in faccia. — So che pensate che sono sciocca e che ho un nome buffo. — Non ho mai detto che avete un nome buffo — rispose lui con freddezza. — Non mi sarei mai permesso. — Avete detto "brutto" ed è anche peggio — protestò lei. — Posso aver detto brutto — ammise lui — ma è diverso. C'è una certa dignità nelle cose brutte. Per esempio gli incubi sono bizzarri ma non comici. — Grazie! — ribatté lei risentita. — Non che il vostro nome assomigli a un incubo — spiegò lui facendo una concessione con un ampio gesto della mano, come un re che concede il permesso di restare con il cappello in sua presenza. — Io credo che Belinda Ann... — Belinda Mary — lo corresse lei. — Stavo appunto dicendo Belinda Mary, infatti — mentì lui. Stavo dicendo Belinda Mary. — Non è vero — ribatté lei. — In ogni caso, credo che Belinda Mary sia un bel nome. — Non credete niente del genere. Vedendo i suoi occhi ridenti, anche a lei venne voglia di ridere. — Avete detto che è un nome bizzarro e lo credete davvero, ma io non posso preoccuparmi delle opinioni di tutti. Anch'io penso che sia un nome bizzarro. Mi hanno chiamato così, pensando a una mia vecchia zia — disse, come per difendersi. — Allora a voi è andata meglio che a me — ribatté T.X. abbassando la testa con delicatezza. — Io sono stato chiamato come il cane preferito di mio padre. — Cosa significa T.X.? — chiese lei con curiosità. — Thomas Xavier — rispose lui e lei si appoggiò allo schienale della sedia sulla quale fino a pochi istanti prima era seduta in trepidante attesa, e scoppiò in una risata divertita. — È comico, vero? — chiese lui. — Oh, mi dispiace se sono stata maleducata — si scusò lei. — Ma come si fa a chiamarsi Thomas Xavier... intendo Thomas Xavier? Edgar Wallace
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— Potete chiamarmi Thomas se volete; tutti i miei amici lo fanno. — Ma per sfortuna io non sono una vostra amica — continuò lei sorridendo e asciugandosi le lacrime dagli occhi — e quindi continuerò a chiamarvi signor Meredith, se non vi dispiace. Guardò l'orologio. — Se non avete intenzione di arrestarmi, andrò a casa — disse. — Non ho certo intenzione di arrestarvi — ribatté lui — ma vi accompagnerò a casa. Lei balzò in piedi. — Non lo farete! — gridò con tono autoritario. Era così decisa che lui rimase sbalordito. — Ma, mia cara bambina — protestò. — Per favore non chiamatemi mia cara bambina — ribatté lei con serietà. — Ora farete il bravo ragazzo e mi lascerete andare a casa da sola. Gli tese la mano con un gesto deciso e la ridente richiesta che aveva negli occhi era davvero irresistibile. — Va bene, vi accompagnerò al taxi — insistette lui. — E così sentirete l'indirizzo che dirò all'autista. Scosse la testa con aria di rimprovero. — Deve essere una cosa terribile essere un poliziotto. Lui si ritrasse con le braccia conserte e uno sguardo duro. — Non vi fidate di me? — chiese. — No — ripose lei. — Va bene — concesse allora T.X. — in ogni caso voglio vedervi salire su un taxi. Potete dire all'autista di andare a Charing Cross e poi cambiare la direzione mentre viaggiate. — E promettete di non seguirmi? — chiese lei. — Sul mio onore — giurò lui. — E a una condizione. — Non accetto condizioni — rispose lei. — Per favore scendete dal vostro piedistallo — la implorò lui — e ragionate. La condizione è che possiamo incontrarci in qualsiasi momento. Onestamente, è davvero necessario, Belinda Mary. — Signorina Bartholomew — lo corresse lei con freddezza. — È necessario — continuò lui — come voi stessa capirete. Promettetemi che, se metterò un annuncio su uno dei giornali che vi dirò o sul Morning Post, voi verrete all'appuntamento, se vi sarà umanamente possibile. Lei esitò un momento e poi gli tese la mano. Edgar Wallace
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— Lo prometto — disse. — Meglio per voi, Belinda Mary — ribatté lui e, prendendola per un braccio, la condusse fuori dalla stanza e spense la luce. — Buona notte — salutò lui tenendole la mano. — Questa è la terza volta che mi stringete la mano oggi — gli fece notare la ragazza. — Non litighiamo proprio alla fine — la implorò lui — e ricordatevi. — L'ho promesso — disse lei. — E un giorno — continuò lui — voi mi direte cosa è successo in quella cantina. — Ve l'ho già detto — replicò lei a bassa voce. — Non mi avete detto tutto, bambina. L'accompagnò a un taxi. L'aiutò a salire e le chiuse la portiera prima di sporgersi dal finestrino. — Victoria Station o Marble Arch? — chiese con tono molto gentile. — Charing Cross — rispose lei ridendo. Rimase a guardare il taxi che si allontanava e all'improvviso lo vide fermarsi. Una figura si sporse dal finestrino facendogli dei segnali. Corse da lei. — E se avessi bisogno di voi? — chiese la ragazza. — Mettete un annuncio — rispose lui con prontezza. — Cominciate con ' 'caro Tommy". — Scriverò T.X. — ribatté lei indignata.
17. Thomas Xavier Meredith era un giovanotto astuto. Un eminente criminologo, il signor Paulo Coselli, aveva detto di lui che aveva una dote intuitiva superiore alla norma. Probabilmente risolse il mistero della candela ritorta prima che chiunque altro si fosse fatto la più vaga idea della soluzione. La casa di Cadogan Square era ancora nelle mani della polizia. Ogni tanto T.X. tornava in questa casa e soprattutto nella stanza di Kara, per riprodurre con la massima precisione possibile le condizioni della notte dell'omicidio. Fece accendere lo stesso fuoco soffocante e chiuse la porta con la sbarra. Ripeté l'apertura della sbarra facendo calcoli che solo lui era in grado di interpretare. Edgar Wallace
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Andò alla casa di Kara tre volte accompagnato da Mansus e salì nella camera della morte. In un'occasione vi rimase per un'ora e mezza da solo, mentre il paziente Mansus lo aspettava fuori. Ogni volta che usciva aveva l'aspetto sempre più serio e dopo la terza visita si consultò con John Lexman. Lexman aveva deciso di rimandare il suo trasferimento negli Stati Uniti e stava trascorrendo un breve periodo di riposo in campagna. — Questo caso mi lascia sempre più stupefatto, John — ammise T.X. preoccupato. — E per fortuna non sono l'unico a preoccuparmene. L'altro giorno De Mainau è venuto dalla Francia portando con sé i suoi uomini migliori, mentre O'Grady dell'ufficio centrale di New York ha fatto una visita lampo solo per rendersi conto di persona dei fatti. Ma nessuno di loro mi ha fornito la soluzione, anche se sono stati molto fantasiosi. Gathercole è sparito. Molto probabilmente è già in viaggio verso qualche regione sconosciuta e i miei uomini non sono stati ancora in grado di trovare il maggiordomo. — Dovrebbe essere facile rintracciarlo — ribatté John Lexman pensieroso. — Perché Gathercole è sparito, proprio non lo capisco — continuò T.X. — Secondo la storia che mi ha raccontato Fisher, le ultime parole di Kara si riferivano a un assegno che aspettava o che aveva già ricevuto. Ma non ha presentato nessun assegno e sembra che sia partito senza riscuotere. Esaminando i registri di Kara non abbiamo trovato nulla contro Gathercole; sono segnate le 600 sterline che gli ha anticipato e ora, per sconvolgere tutti i miei calcoli, guarda questo. Dalla tasca prese uri ritaglio di giornale e lo passò attraverso il tavolo; stavano cenando insieme al Carlton. John Lexman prese il ritaglio e lo lesse. Era di un giornale di New York. Abbiamo ricevuto notizie fresche dal vaporetto Cyprys, della Compagnia di Navigazione Antartica riguardo al naufragio della City of Argentine. Sembrava che lo sfortunato vascello, conosciuto in tutti i porti del Sudamerica, avesse perso un motore propellente e si fosse inabissato. Ora questa teoria sembra confermata. La nave ha colpito un iceberg il 23 dicembre, affondando con tutti i passeggeri, tranne pochi superstiti che sono riusciti a gettare una scialuppa in mare e che sono stati raccolti dalla Cyprus. Ecco la lista dei passeggeri. Edgar Wallace
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John Lexman scorse la lista fino a quando arrivò a un nome che T.X. aveva sottolineato. Era il nome di George Gathercole e accanto c'era, tra parentesi, la definizione "Esploratore". — Se questo è vero, allora Gathercole non poteva essere a Londra. — Potrebbe aver preso un'altra nave — ribatté T.X. — e così ho mandato un telegramma alla compagnia di navigazione, ma senza risultati. Infatti Gathercole era un tipo eccentrico, con il terrore di non trovare posto e quindi aveva l'abitudine di prenotare un posto in tutti i vascelli disponibili. La compagnia ha potuto solo confermare che aveva prenotato, ma non possiamo essere certi che fosse davvero a bordo della City of Argentine. — Posso dirti questo di Gathercole — mormorò John con voce lenta e pensierosa. — Quell'uomo non farebbe del male a una mosca. Tanto è vero che è perfino vegetariano. — Se vuoi simpatizzare con qualcuno — protestò T.X. malinconico — fallo con me. Il giorno seguente T.X. venne chiamato al Ministero degli Interni e vi si recò aspettandosi di passare dei brutti momenti. Il segretario degli Interni, un gentiluomo distinto e robusto, lo ricevette invece con insolita gentilezza. — Vi ho mandato a chiamare, signor Meredith — iniziò — a proposito di quello sciagurato greco. Ho fatto controllare e tradurre tutte le sue carte private; in alcuni casi le abbiamo decodificate perché, come forse sapete, i suoi diari e la maggior parte della sua corrispondenza erano in codice e i nostri esperti ci hanno dovuto lavorare parecchio. T.X. non si era preoccupato molto dei documenti privati di Kara ma, secondo gli ordini ricevuti, li aveva consegnati alle autorità. — Naturalmente, signor Meredith — continuò il segretario di stato appoggiandosi al tavolo — noi ci aspettiamo che voi continuiate le ricerche dell'assassino, ma vi devo confessare che il vostro prigioniero avrà poco da temere di fronte a una giuria. — Lo credo anch'io, signore — convenne T.X. — Rare volte, nella mia lunga esperienza di avvocato — cominciò il segretario di stato con tono declamatorio — ho esaminato un rapporto così denigratorio nei confronti della vittima di un omicidio. E fece alcuni esempi che lasciarono meravigliato perfino T.X. Edgar Wallace
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— Quell'uomo era un pazzo — continuò il segretario di stato — un vizioso malvagio, che amava la crudeltà fine a se stessa. Nei suoi diari abbiamo trovato prove sufficienti per incarcerarlo per almeno tre omicidi, uno dei quali commesso nel nostro paese. T.X. lo guardò sbalordito. — Voi ricorderete, signor Meredith, come ho letto in uno dei vostri rapporti, che Kara aveva un autista, un greco di nome Poropulos. T.X. annuì. — È partito per la Grecia il giorno dopo l'omicidio di Vassalaro — disse. Il segretario di stato scosse la testa. — È stato ucciso quella notte stessa — affermò il ministro. — E non farete fatica a trovare i suoi resti nella casa disabitata che Kara aveva affittato a Portsmouth Road per i suoi vili propositi. Possiamo supporre che Kara abbia ucciso un numero indefinibile di persone in Albania. Interi villaggi sono stati spazzati via solo per provocargli un leggero divertimento. Quell'uomo era un Nerone senza le sue debolezze. Era ossessionato dall'idea di restare vittima di un omicidio e vedeva il male perfino nei suoi servitori più fedeli. Senza dubbio il suo autista, Poropulos, era in contatto con molti circoli di governi stranieri. Capite — concluse il ministro — non vi sto dicendo queste cose per indurvi a rallentare le ricerche dell'assassino e a risolvere il mistero, ma solo perché voi possiate capire meglio le possibili motivazioni del colpevole. T.X. trascorse un'ora a leggere i diari e i documenti decodificati e lasciò l'ufficio del ministro un po' scosso. Era inconcepibile; certo, Kara era un pazzo, ma ora aveva scoperto che era un vero genio del male. T.X. andò nel suo appartamento di Whitehall Gardens per cambiarsi per la cena. Era semivestito quando arrivarono i giornali della sera e, com'era sua abitudine, guardò prima le notizie principali e poi gli annunci. Cercò tra gli annunci personali senza pensare di trovare nulla di interessante, ma invece vide qualcosa che lo fece sussultare e lo convinse a vestirsi in fretta. Tommy X diceva il breve annuncio. È molto urgente. Marble Arch 8. Gli ci vollero cinque minuti per arrivarci, ma gli sembrarono un'eternità. C'era traffico a tutti gli incroci e, sebbene potesse ricorrere alla propria autorità per avere la precedenza, la sua onestà gli impedì di spingersi a questo punto. Saltò giù dal taxi prima che si fermasse, gettò i soldi all'autista e si guardò intorno, cercando la ragazza. Alla fine la vide e le si avvicinò in fretta. Quando le arrivò vicino, la ragazza si voltò e, con un Edgar Wallace
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impercettibile cenno del capo, se ne andò. T.X. la seguì lungo Bayswater Road e, piano piano, la raggiunse. — Temo di essere seguita — asserì lei a bassa voce. — Potete chiamare un taxi? Lui fermò una vettura di passaggio, aiutò Belinda Mary a salire e diede il primo indirizzo che gli venne in mente: Finsbury Park. — Sono molto preoccupata — confessò lei — e non conosco nessuno che potrebbe aiutarmi, tranne voi. — Si tratta di soldi? — chiese lui. — Soldi! — sbottò lei indignata. — Ma certo che no! Voglio mostrarvi una lettera — disse dopo un po'. Aprì la borsa e gli porse una lettera. Lui accese un fiammifero per leggerla. Era stata scritta da qualcuno che si era sforzato di sembrare ignorante. Cara signorina, io so chi siete. Siete ricercata dalla polizia ma io non vi tradirò. Cara signorina, io sono davvero nei guai e venti sterline mi farebbero comodo e non vi disturberei più. Cara signorina, mettete i soldi sul davanzale della vostra finestra. So che dormite al piano terra e verrò a prenderli. Se no... ecco, non vorrei darvi dei guai. Distinti saluti. Un amico. — Quando l'avete ricevuta? — chiese T.X. — Questa mattina — rispose lei. — Ho mandato subito un telegramma al giornale per l'inserzione. Sapevo che sareste venuto. — Oh, davvero, davvero? — chiese lui. La sicurezza della ragazza gli faceva piacere. La fiducia insita nelle parole di lei gli dava una strana sensazione di felicità e di sicurezza. — Posso togliervi facilmente dai guai — disse. — Datemi il vostro indirizzo e quando questo tizio arriverà... — È impossibile — si affrettò a rispondere lei. — Per favore, non pensate che io sia un'ingrata o che sia una stupida. Voi pensate che sia una sciocca, vero? — Non ho mai formulato un simile, indegno pensiero — protestò lui con fare virtuoso. — Sì, invece — insistette lei — e comunque non posso proprio dirvi dove vivo. Ho una ragione speciale per comportarmi così. Non sto pensando a me stessa, ma alla vita di un'altra persona. Edgar Wallace
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Era una dichiarazione piuttosto drammatica da fare e la ragazza capì di essersi spinta troppo oltre. — Non intendevo dire questo — mormorò — ma c'è qualcuno a cui devo pensare... — abbassò la voce. — Oh — mormorò T.X. con voce vuota. Era precipitato dalla cima del paradiso a una buia valle senza sole. — C'è qualcuno a cui dovete pensare? — ripeté poco dopo. — Sì. Seguì un lungo silenzio. — Davvero? — chiese T.X. Di nuovo un lungo silenzio e dopo qualche minuto lei disse a bassa voce: — Non in quel senso. — Non in quel senso? — ripeté T.X. sentendosi in qualche modo meglio. — Non nel senso che intendete voi — spiegò lei. — Oh — mormorò T.X. Era tornato a camminare tra le nevi rosate dell'alba; anzi, stava scalando le cime più alte della speranza, quando lei, all'improvviso, gli tolse la terra sotto i piedi. — Naturalmente, io non mi sposerò mai — sentenziò con una certa decisione. T.X. si sentì ricadere al suolo, scoprendo che la neve rosata era solo freddo e duro ghiaccio. — E chi dice che dovreste farlo? — chiese con una certa debolezza, in autodifesa. — Voi — precisò lei e la sua temerarietà gli tolse il fiato. — Va bene, ma allora come posso aiutarvi? — chiese lui dopo un po'. — Dandomi un consiglio — rispose lei. — Pensate che dovrei mettere i soldi sulla finestra? — No, davvero — disse T.X. recuperando il controllo di sé. — A parte il fatto che vi rendereste complice di un crimine, vi mettereste anche nei guai in futuro. Se gli darete venti sterline con tanta facilità, la prossima volta ve ne chiederà quaranta. Ma perché state lontana da casa? Perché non tornate a casa vostra? Non ci sarà nessuna accusa e nessun sospetto contro di voi. — Perché ho qualcosa che devo portare a termine — rispose lei con determinazione. — Ma di certo potete fidarmi a darmi il vostro indirizzo — insistette lui — dopo tutto ciò che è stato tra di noi, Belinda Mary, dopo tutti questi Edgar Wallace
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anni... — Me ne vado — sbottò lei con durezza. — Ma allora come diavolo faccio ad aiutarvi? — protestò lui. — Non imprecate! — Riusciva a essere davvero severa. — L'unico modo in cui potete aiutarmi è essere comprensivo. — Volete che mi metta a piangere? — chiese T.X. con sarcasmo. — Non vi chiedo nulla di ripugnante o di doloroso, ma solo di comportarvi da gentiluomo — disse lei. — Molte grazie! — borbottò lui appoggiandosi allo schienale del taxi con un'aria rassegnata. — Voi mi state facendo delle smorfie nel buio — lo accusò la ragazza. — Dio non voglia che io faccia una cosa tanto vile — rispose lui. — Cosa ve lo fa pensare? — Perché io vi ho fatto la linguaccia — confessò lei e il taxista sentì una risata che sovrastò perfino il rumore del suo motore asmatico. A mezzanotte, in un certo sobborgo di Londra, un uomo molto coperto si mosse in fretta in un giardino. Tastò il muro della casa e toccò, pieno di speranza, il davanzale della finestra. Trovò una busta e le sue dita sensibili, abituate a questo genere di nefandezze, sentirono che dentro non c'era nulla di più sostanzioso di una lettera. Uscì dal giardino e si avvicinò al suo compagno, seduto sotto un lampione. — Ha sganciato? — chiese l'uomo con ansia. — Non lo so ancora — borbottò l'uomo che era stato nel giardino. Aprì la busta e lesse il breve messaggio. — Non ha i soldi — illustrò — ma se li procurerà. Devo incontrarla domani pomeriggio all'angolo di Oxford Street con Regent Street. — A che ora? — chiese l'altro. — Alle sei in punto — rispose il primo uomo. — La persona che deve ritirare i soldi dovrà avere una copia della Westminster Gazette in mano. — Oh, allora è una trappola — esclamò l'altro con convinzione. Il suo compagno rise. — Quella ragazza non può tenderci nessuna trappola. Io scommetto che è terrorizzata. Il secondo uomo si mordicchiò le unghie e osservò la strada con apprensione. — Bel risultato! — mormorò con amarezza. — Abbiamo cominciato Edgar Wallace
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con qualche migliaio di sterline e ora stiamo elemosinandone venti! — È questione di fortuna — rispose l'altro con filosofia. — Comunque, non ho chiuso con lei. E poi c'è sempre la possibilità di concludere l'altro grosso affare, Harry. Credo che potremo estorcerle cento o anche duecento sterline, comunque. Alle sei in punto del giorno dopo un uomo con un cappotto nero e un soffice cappello calato sugli occhi, era in piedi con aria distratta accanto alla fermata degli autobus di Regent Street, con una copia della Westminster Gazette sotto braccio. Perché nessuno potesse non vedere il giornale liberale, l'uomo era proprio sotto il lampione, in modo che la luce lo illuminasse in pieno viso, mettendo in evidenza anche quell'egregio organo di stampa. Poco dopo le sei, con la coda dell'occhio, vide la ragazza e le si avvicinò. Con sua sorpresa, lei lo oltrepassò e, mentre lui si stava voltando per seguirla, una mano lo afferrò per il braccio. — Il signor Fisher, presumo? — chiese una voce piacevole. — Cosa intendete dire? — esclamò l'uomo ritraendosi. — Avete intenzione di seguirmi con calma — chiese il sovrintendente Mansus — oppure devo prendere il manganello? Il signor Fisher rimase pensieroso. "È un poliziotto", si disse e si lasciò trascinare verso un taxi. Quando fece la sua comparsa nell'ufficio del signor T.X., quel gentile signore lo salutò come un vecchio amico. — Come va, signor Fisher? — chiese. — Immagino che vi chiamiate ancora così e non Harry Gilcott o George Porten. Fisher gli mostrò il suo solito sorriso deferente. — Amate sempre scherzare, signor T.X. Immagino che la signorina mi abbia tradito. — Siete stato voi a tradirvi, mio buon Fisher — commentò T.X. con un foglio di carta davanti. — Potete camuffare la calligrafia e, in un eccesso di modestia, fingere di non conoscere bene l'inglese, cosa che tra l'altro non è affatto vera, ma in futuro, scrivendo queste lettere, dovrete stare attento a non commettere altri errori — ammonì. — Dovete prima lavarvi le mani. — Lavarmi le mani? — chiese sbalordito Fisher. T.X. annuì. — Avete lasciato le vostre impronte digitali e noi abbiamo le impronte digitali di tutti a Scotland Yard, Fisher. — Capisco. E ora di cosa sono accusato, signore? Edgar Wallace
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— Non vi accuserò di nulla, a parte il fatto che siete un detenuto in permesso che non si è presentato a rapporto. Fisher sospirò forte. — Questo significa dodici mesi. E non mi accuserete di questo? — chiese indicando il foglio delle impronte. T.X. scosse la testa. — Non vi porto rancore per questo, a parte il fatto di aver spaventato la signorina Bartholomew. Oh, sì, so che si tratta della signorina Bartholomew e l'ho sempre saputo. La signorina era in quella situazione per una questione che non riguarda né voi né me. Non vi accuserò di tentativo di ricatto e, per ricompensarmi della mia generosità, spero che voi mi diciate tutto ciò che sapete dell'omicidio di Kara. Non vorrete per caso che vi accusi di quello, vero? Fisher sospirò forte. — No, signore; ma anche se mi accusaste di questo, potrei dimostrare la mia innocenza — ribatté con fervore. — Ho trascorso tutta la notte in cucina. — Tranne un quarto d'ora — precisò T.X. L'uomo annuì.— È vero, signore; ero uscito a vedere un amico. — Il vostro complice in questa storia? — chiese T.X. Fisher esitò.— Sì, signore. Era implicato in questo colpo, ma non abbiamo fatto niente di male... al punto in cui siamo arrivati. Non mi vergogno di confessare che stavo progettando un colpo grosso. Non lo confesserò perché mi metterei nei guai, ma se mi promettete che non sarà così, vi racconterò l'intera storia. — Ai danni di chi avevate organizzato questo grosso colpo? — Del signor Kara — rispose Fisher. — Andate avanti — annuì T.X. La storia era breve e banale. Fisher aveva incontrato un uomo che conosceva, un turco o un albanese. Avevano appreso che Kara era solito tenere forti somme di denaro in casa e quindi avevano deciso di derubarlo. Questa la storia in breve. Ma qualcosa era andato storto. Fisher raccontò gli avvenimenti che accaddero la notte dell'omicidio e T.X. lo seguì con il massimo interesse. — Il vecchio signore è entrato — dichiarò Fisher — e io l'ho accompagnato nella stanza. Poi l'ho sentito uscire e gli sono andato incontro sulle scale mentre, sulla soglia, si era soffermato a parlare con il Edgar Wallace
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signor Kara. — Avete sentito parlare Kara? — Credo di sì — rispose Fisher. — In ogni caso il vecchio era molto soddisfatto di se stesso. — Perché dite vecchio? — chiese T.X. — Non era un uomo anziano. — Non proprio, signore — rispose Fisher — ma aveva un modo di fare scontroso, che spesso è una caratteristica dei vecchi e in qualche modo mi ha dato questa impressione. In verità doveva avere sui quarantacinque anni, forse cinquanta. — Questo l'avete già detto. C'era qualcosa di particolare in lui? Fisher esitò. — Nulla, signore, a parte il fatto che un braccio sembrava un giocattolo. — Cioè era... — Era artificiale, signore, da ciò che ho visto io. — Era il braccio destro o il sinistro? — lo interruppe T.X. — Il sinistro, signore. — Siete sicuro? — Potrei giurarci, signore. — Bene, andate avanti. — È sceso dalle scale ed è uscito di casa. Io non l'ho più rivisto. Quando siete arrivati e avete scoperto l'omicidio, visto il piano che avevo in mente, ho avuto paura. Quando sono sceso all'ingresso, la prima cosa che ho visto sul tavolino è stata una lettera. Era indirizzata a me. Si fermò e T.X. annuì. — Andate avanti — ripeté. — Non ho ancora capito come fosse arrivata lì perché ero stato tutta la sera in cucina, tranne quel quarto d'ora durante il quale ero andato dal mio complice per dirgli che per quella sera non si poteva fare il colpo. Comunque la lettera deve essere arrivata poco prima di voi. L'ho aperta. C'erano solo poche parole, ma vi posso dire che sono bastate a farmi balzare il cuore in gola e tremare. — Cosa dicevano? — chiese T.X. — Non le dimenticherò mai, signore. Resteranno per sempre scritte nella mia mente — disse l'uomo con fervore. — Cominciavano con una sigla: A.C.274. — E cosa significa? — domandò T.X. — Era il mio numero quando ero carcerato a Dartmoor, signore. Edgar Wallace
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— E cosa diceva il messaggio? — Non sapevo chi poteva averlo messo, ma era chiaro che ero stato smascherato e che non avevo più alcuna possibilità. Questa è la storia, dall'inizio alla fine. Poi, per caso, ho incontrato la signorina Holland, in realtà la signorina Bartholomew, e l'ho seguita nella sua casa di Portman Place. Era la notte in cui anche voi eravate lì. Con grande irritazione, T.X. capì di stare arrossendo. — E non sapete altro? — chiese. — No, signore. — C'è una cosa che vorrei chiedervi — affermò la ragazza quando, il giorno seguente, si incontrarono a Green Park. — Se volete chiedermi se ho fatto delle domande a proposito del vostro indirizzo — l'avvisò lui — vi prego di lasciar perdere. Pensò che Belinda Mary era davvero radiosa quella mattina. L'aria fredda conferiva un colorito seducente al suo viso e le aveva dato un'andatura più baldanzosa mentre camminava al suo fianco: era l'immagine della vita, così come lo erano i rami degli alberi pieni di gemme. — Vostro padre è tornato in città, a proposito — fece T.X. — ed è molto ansioso di vedervi. Lei fece una smorfia. — Spero che non gli avrete parlato di me. — Certo che sì — ribatté lui. — Ho anche telefonato alla stampa, fornendo un resoconto completo della vostra fuga. Lei si voltò verso di lui con occhi ridenti. — Sembrate un vero martire cristiano! — esclamò. — Poverino! Vi piacerebbe essere gettato in pasto ai leoni? — Preferirei i draghi — rispose lui con tono lugubre. — Siete un uomo così deprimente! — lo rimproverò lei. — E tuttavia avete qualcosa per cui vivere! — Ah! Ah! — esclamò T.X. — Ce l'avete, ma certo! Avete una splendida posizione. Tutti si rivolgono a voi e vi ascoltano. Avete una moglie e dei figli che vi adorano... Lui si fermò, fissandola come se fosse uno strano insetto. — Che cos'ho? — chiese incredulo. Edgar Wallace
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— Non siete sposato? — domandò lei con noncuranza. Lui fece uno strano rumore con la gola. — Io vi ho sempre considerato un uomo sposato — continuò la ragazza. — Spesso vi penso nel vostro salotto domestico, intento a leggere ai vostri bambini le storie tanto interessanti di Little Willie Waterbug, sul Daily Megaphone. Lui dovette reggersi alla staccionata. — Possiamo sederci? — chiese con voce debole. Lei gli si sedette accanto e si voltò verso di lui. Era davvero adorabile. — Naturalmente avete in parte ragione — commentò alla fine — ma sbagliate a proposito dei bambini. — Siete sposato? — domandò lei senza allegria. — Ma non l'avete detto voi stessa? — domandò lui. Lei inghiottì qualcosa. — Naturalmente, non sono affari miei e spero che siate molto felice. — Sono felicissimo — ammise T.X. con compiacenza. — Dovreste venire a trovarmi un sabato pomeriggio mentre coltivo le mie patate. Sono bravissimo quando mi lasciano scorrazzare per l'orto. — Andiamo? — chiese lei. Lui avrebbe giurato che la ragazza aveva le lacrime agli occhi e pensò di essersi spinto troppo oltre con lo scherzo. — Spero di non avervi fatto arrabbiare — disse. — Oh, no — rispose lei. — Intendo dire, non avrete creduto davvero a questo scherzo, che sono sposato e altre idiozie? — Non mi interessa — rispose lei scrollando le spalle. — Non molto. Voi siete stato tanto gentile con me e sarei davvero crudele se non vi fossi grata. Naturalmente, non mi interessa sapere se siete sposato o no, perché non sono affari miei. — Naturalmente — replicò lui. — E immagino che voi non siate sposata? — Sposata! — esclamò lei con amarezza. — Non sia mai! Aveva appena finito di parlare quando si rese conto del suo errore. Un attimo dopo si ritrovò tra le braccia di lui. T.X. la baciò con trasporto, con grande scandalo dell'anziano guardiano del parco, di un ragazzetto con la faccia sporca e di una papera che sembrò fare delle smorfie di fronte alla scena che aveva seguito con i suoi occhi gialli e maligni. Edgar Wallace
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— Belinda Mary — disse T.X. prima di separarsi da lei — dovrai rinunciare alla tua tana in periferia, dovunque sia, e tornare alla scomodità della tua casa a Portman Place. Oh, so che non tornerai ora. C'è qualcuno lì e io credo di sapere chi è. — Chi? — lo sfidò lei. — Credo che tua madre sia tornata in Inghilterra — azzardò lui. Un'espressione di scherno le si dipinse sul bel visino. — Mio Dio, Tommy! — esclamò con disgusto. — Non penserai che io potrei tenere mia madre in una casa di periferia senza che lei lo andasse a dire a tutto il mondo! — Sei una vera ingrata — osservò lui. Avevano raggiunto il Cambio della Guardia a Whitehall, dove lui la salutò. — A proposito di gratitudine — commentò lei — che ne dici di fare il tuo lavoro e fermare il traffico per farmi attraversare la strada. — Mia cara — protestò lui — addirittura fermare il traffico? — Ma certo — ribatté lei indignata. — Tu sei un poliziotto! — Solo quando sono in uniforme — le spiegò lui, guidandola per la strada. Era un uomo nuovo quando tornò nel suo malinconico ufficio di Whitehall... un uomo con un cuore che batteva per l'orgoglio e la gioia che solo un uomo innamorato prova.
18. T.X. era seduto alla scrivania, con il mento tra le mani e la mente molto impegnata. Nonostante la gravità del problema che stava considerando, si alzò rapidamente per andare incontro alla sorridente ragazza che Mansus, solenne e misterioso, accompagnò nel suo ufficio. Era radiosa quel giorno. I suoi occhi brillavano di una lucentezza insolita. — Devo dirti una cosa meravigliosa — disse — e non posso dirtela. — È davvero un buon inizio — commentò T.X. prendendole la giacca. — Ma davvero meravigliosa! — esclamò lei con fervore. — Più meravigliosa di qualsiasi cosa che tu abbia mai sentito. — Molto interessante — commentò T.X. senza entusiasmo. Edgar Wallace
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— No, no, non devi prendermi in giro — lo pregò lei. — Ora non posso dirti nulla, ma è una cosa che ti farà semplicemente... — non riusciva a trovare la parola adatta. — Uscire di senno? — suggerì lui. — Ti sbalordirà — annuì lei con enfasi. — Mi ci vuole molto per restare sbalordito, ti avviso — sorrise lui. — Conoscere te ha esaurito la mia capacità di sorprendermi. — Questo può essere positivo o anche negativo — disse lei con cautela. — Accetta la mia opinione: una cosa positiva — rise lui. — Ora raccontami questa tua notizia! Lei scosse la testa con vigore.— Non posso dirti niente — dichiarò. — E allora perché diavolo hai cominciato a parlare? — protestò lui, non senza ragione. — Perché volevo che tu sapessi che io so qualcosa. — Oh, mio Dio! — esclamò lui. — Ma certo che tu sai qualcosa. Belinda Mary, sei davvero una bambina fantastica! Si sedette sul bracciolo della poltrona, cingendole le spalle con un braccio. — E sei venuta a portarmi fuori a pranzo? — A cosa stavi pensando quando sono arrivata? — chiese lei. — A nulla di particolare. Ti ho parlato di John Lexman? Lei annui e di nuovo T.X. notò quell'entusiasmo nei suoi occhi. — Non sei malata, vero? — chiese con ansia. — Non essere sciocco! — ribatté lei. — Raccontami qualcosa del signor Lexman. — Sta per partire per l'America — annunciò T.X. — ma prima vuole tenere una lezione. — Una lezione? — Suona strano, vero? Ma è ciò che vuole fare. — Perché? — domandò la ragazza. T.X. fece un gesto sconsolato. — È uno di quei misteri che non capisco, a meno che... — Si morse le labbra e guardò la ragazza pensieroso. — Ci sono delle volte — disse — in cui un uomo è combattuto tra i suoi sentimenti e il proprio impegno professionale. Una parte di me è ansiosa di sentire parlare John Lexman ma l'altra parte non vorrebbe mai. — Ora pensiamo al pranzo — troncò lei con praticità, portandolo fuori dall'ufficio. Edgar Wallace
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19. Nessuno avrebbe mai associato la comitiva di valletti con le scarpe a punta che scesero di notte nella metropolitana di Londra con il robusto viceconsole di Durazzo. Eppure un uomo poco fantasioso che viveva a Lamberth, e che non sapeva nemmeno dell'esistenza di una città chiamata Durazzo, era il responsabile che aveva svegliato quel tranquillo ufficiale nelle prime ore della mattina, costringendolo, dopo una certa riluttanza espressa in un colorito linguaggio, a condurre certe indagini negli affollati bazar della città. All'inizio non ebbe molto successo perché c'erano molti Hussein Effendi a Durazzo. Così mandò un invito al console americano perché lo aiutasse. — Perché diavolo il Ministero degli Esteri dovrebbe interessarsi di Hussein Effendi non riuscirò mai a capirlo. — Il ministero degli Esteri deve sempre interessarsi a qualcosa, lo sapete — disse l'americano. — Ricevo le più svariate richieste da Washington. Io credo che a volte mandino dei telegrammi solo per sapere se siamo ancora qui. Perché state facendo questo? — Ho visto Hakaat Bey — rispose l'ufficiale inglese. — Mi chiedo cosa abbia fatto. Avrò senza dubbio sue notizie in ufficio. In quello stesso momento l'argomento della loro conversazione stava sorseggiando una tazza di tè in seno alla sua famiglia. — Non sorprenderti — disse alla sua ammirevole metà — se dovrò andare a Old Bailey a testimoniare. — Mio Dio! — esclamò la donna con interesse. — Cosa è successo? L'uomo riempi la pipa e raccontò la storia in tutti i suoi particolari. Raccontò che era sceso a Victoria Street, riferì cosa aveva detto Bill Morgan mentre scendevano e cosa lui aveva ribattuto a Harry Carter mentre attraversavano il tunnel con il soffitto basso e come avevano fatto un'interessante scoperta. T.X. aspettò fino a tardi quella sera e a mezzanotte la sua pazienza fu premiata perché un messaggero del Ministero degli Esteri gli portò un telegramma. Era indirizzato al segretario capo e diceva: N. 874. In riferimento alla vostra richiesta n. 63952 di ieri. Hussein Edgar Wallace
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Effendi è un ricco mercante di questa città partito per l'Italia per accompagnare sua figlia nel convento di Maria Teresa a Firenze, essendo Effendi un fervente cristiano. Poi è andato a Parigi. Rivolgetevi a Ralli Theokritis e Cie, Rue de l'Opera. Fine. Mezz'ora dopo T.X. si mise in contatto con Parigi per dare qualche ordine al rappresentante della polizia inglese in quella capitale. La mattina dopo ricevette da Parigi un rapporto che lo riempì di soddisfazione. Lentamente, ma con sicurezza stava mettendo insieme i pezzi di questo sconcertante mistero. Hussein Effendi avrebbe senza dubbio completato l'ultimo puzzle rimasto incompleto. Alle otto di quella sera la porta si aprì e l'uomo che rappresentava T.X. a Parigi entrò con un impermeabile sotto il braccio. T.X. lo salutò con un cenno del capo e poi rimase sulla porta, aspettando qualcuno che l'uomo aveva condotto con sé. Poi disse: — Fallo entrare; voglio vederlo da solo. Un uomo alto entrò nel suo ufficio. Indossava un abito da sera e un fez rosso in testa. Era un uomo tra i cinquantacinque e i sessant'anni, robusto, con un viso solenne e una rada barba bianca. Entrando, fece un inchino. — Parlate francese, immagino? — chiese T.X. L'altro si inchinò. — Il mio agente vi ha spiegato — disse T.X. in francese — che io desidero avere delle informazioni per chiarire un crimine commesso in questo paese. Vi ho già dato la mia parola, se ce n'era bisogno, che nulla vi potrà accadere in seguito a ciò che mi direte. — Ho capito, Effendi — ribatté l'alto turco. — Gli americani e gli inglesi sono sempre stati miei buoni amici e sono stato tante volte a Londra. Perciò sarò molto lieto di potervi aiutare. T.X. andò alla libreria in un angolo del suo ufficio, l'aprì e prese un oggetto avvolto in una tela. Lo posò sul tavolo mentre il turco restava impassibile a guardarlo. Il commissario aprì con gesti lenti il pacchetto che conteneva un lungo coltello sottile, arrugginito e macchiato, con l'impugnatura che un tempo era di argento cesellato. Sollevò il pugnale dal tavolo e lo porse al turco. — È vostro, credo — disse piano. L'uomo lo prese, avvicinandosi al tavolo dove c'era più luce. Esaminò la lama e l'impugnatura e poi restituì l'arma a T.X. — È il mio coltello — asserì. T.X. sorrise. — Evidente, ho visto l'incisione scritta in arabo "Hussein Edgar Wallace
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Effendi di Durazzo" sull'impugnatura. Il turco inclinò la testa. — Con quest'arma — continuò T.X. parlando con leggera enfasi — in questa città è stato commesso un omicidio. A questa affermazione non seguì alcuna espressione di sorpresa o di interesse, nemmeno la più piccola emozione. — È il volere di Dio — dichiarò l'uomo con calma — che queste cose accadano anche in città grosse come Londra. — Ma è stato usato il vostro coltello — suggerì T.X. — Ma la mia mano era a Durazzo, Effendi — rispose il turco. Guardò di nuovo il coltello. — E così il Romano Nero è morto, Effendi? — Il Romano Nero? — chiese T.X. meravigliato. — Il greco che chiamavano Kara — ribatté il turco. — Era un uomo molto malvagio. T.X. si alzò e, appoggiandosi al tavolo, fissò l'altro con gli occhi semichiusi. — Come sapete che si trattava di Kara? — chiese in fretta. Il turco scrollò le spalle.— E chi altri poteva essere? — rimandò. — Forse i giornali non sono pieni di queste notizie? T.X. si sedette, deluso e un po' infuriato con se stesso. — Questo è vero, Hussein Effendi, ma io non credo che voi leggiate i giornali. — Infatti è così — rispose l'altro con freddezza — e non sapevo nemmeno che Kara fosse stato ucciso, prima di vedere questo coltello. Come l'avete avuto? — L'abbiamo trovato in una canna per fare gocciolare l'acqua — spiegò T.X. — L'assassino deve averlo gettato lì. — Ma se non avete letto i giornali, Effendi, allora ammettete di sapere chi ha commesso questo crimine? Il turco sollevò le mani con un gesto lento. — Anche se sono un cristiano — sentenziò — ci sono molti detti nella religione dei miei padri che mi sembrano giusti. Uno di questi, Effendi, è: "Il malvagio deve morire per mano del giusto; con l'arma del giusto il malvagio morirà". Eccellenza, io sono un uomo degno e non ho mai commesso una nefandezza in vita mia. Ho commerciato con onestà con greci, italiani, francesi, inglesi e perfino con ebrei. Non ho mai cercato di derubarli o di ferirli. E, se ho ucciso degli uomini, Dio sa che non è stato Edgar Wallace
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perché desideravo la loro morte, ma perché erano molto pericolosi per me e per i miei amici. Chiedete a questo pugnale e ascoltate le risposte che vi darà. Fino ad allora, io resterò muto perché c'è un proverbio che dice: "Il saggio servitore resta muto sugli interessi del suo padrone". T.X. rise sconsolato. — Avevo sperato che avreste potuto aiutarmi; lo speravo e lo temevo — dichiarò. — Se non potete parlare, io non posso costringervi con atti e parole. Vi sono grato per essere venuto da me, anche se questa visita è stata infruttuosa, per ciò che mi riguarda. Sorrise tendendo la mano all'uomo. — Eccellenza — disse il turco con sobrietà — ci sono delle cose nella vita che è meglio lasciare dove sono e a volte la giustizia dovrebbe essere tanto cieca da non vedere il colpevole. Questo è uno di quei casi. Con queste parole, il colloquio ebbe termine; T.X. vi aveva riposto grandi speranze. Malinconico, andò a Portman Place, dove aveva un appuntamento con Belinda Mary. — Dove ha intenzione il signor Lexman di tenere la sua conferenza? — fu la prima domanda che lei gli rivolse quando lui la salutò. — E, per favore, di cosa vuole parlare? — Di un argomento per me molto interessante — rispose lui con gravità. — Ha detto che sarà una conferenza avente come tema l'Enigma della candela ritorta. Non esiste una mente più brillante di quella di John Lexman sulle attività criminali. Anche se lui usa il suo genio per scrivere i romanzi polizieschi, sono convinto che abbia anche un forte senso pratico per le indagini. Comunque, ha deciso di dare questa conferenza e ha invitato molti personaggi, tra i quali i capi delle polizie segrete di quasi tutti i paesi civilizzati del mondo. O'Grady sta arrivando dall'America; mi ha mandato un telegramma proprio questa mattina. Perfino il capo della polizia russa ha accettato l'invito, sai quanto interesse ha suscitato questo omicidio in tutto il mondo. In questa conferenza — continuò lentamente — John Lexman ci dirà chi ha commesso il delitto e come. Lei rimase pensierosa per un momento. — Dove si terrà? — Non lo so — rispose lui sbalordito. — Ma che importanza ha? — Importa molto — ribatté lei con enfasi — soprattutto visto che vorrei che si tenesse in un posto preciso. Pensi di poter convincere il signor Lexman a tenerla in casa mia? Edgar Wallace
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— A Portman Place? — chiese lui. Lei scosse la testa. — No, io ho una casa mia. Una casa arredata affittata a Breakheath. Convincerai il signor Lexman a tenere la conferenza da me? — Ma perché? — chiese lui. — Per favore, non fare domande — lo implorò lei. — Fallo per me, Tommy! Lui vide che Belinda Mary ci teneva molto. — Scriverò a Lexman oggi pomeriggio — promise. John Lexman gli telefonò per rispondergli. — Preferisco infatti un luogo fuori Londra — confermò — e dal momento che la signorina Bartholomew è stata tanto gentile, posso estendere il mio invito anche a lei? Prometto che non resterà sconvolta, più di quanto una ragazza onesta debba esserlo. E così il nome di Belinda Mary Bartholomew venne aggiunto alla lista dei selezionati capi di polizia arrivati a Londra per sentire, dall'uomo che aveva trovato la soluzione, come era stato ucciso Kara e per avere la risposta del mistero che circondava la sua morte, e il significato delle candele ritorte che in quel momento si trovavano nei depositi di Scotland Yard.
20. La stanza era molto ampia e la maggior parte dei mobili erano stati spostati per poter fare accomodare tutti gli ospiti convenuti da ogni parte della terra per ascoltare la storia delle candele ritorte e per verificare di persona la teoria di John Lexman. Erano tutti seduti, chiacchierando con allegria di crimini e di criminali, di grandi colpi falliti e di strane gesta. Belinda Mary sentì alcuni brani della conversazione dalla soglia semichiusa che separava la sala dal proprio studiolo. — ... e non vi ricordate, Sir George, del caso Bolbrook? Ho catturato quell'uomo a Odessa... — ... la cosa curiosa è che non rinvenni soldi sul cadavere, solo una collana d'oro con smeraldi, e così capii che era stata la ragazza con il cappello di pelliccia a... —... Pinot scappò dopo avermi sparato tre colpi, ma io mi sono trascinato alla finestra e l'ho ucciso con un colpo solo. È stato davvero un gran bel colpo... Edgar Wallace
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Quando lei entrò tutti si alzarono e T.X. fece le presentazioni. In quel momento arrivò John Lexman. Sembrava stanco, ma salutò il commissario con un sorriso. Conosceva tutti i presenti per nome e tutti lo conoscevano. Aveva in mano alcuni fogli di appunti che posò sul tavolo sistemato per lui e, esauriti i brevi preliminari, andò dritto al punto...
21. John Lexman iniziò dunque il suo racconto: — Io sono, come tutti voi sapete, uno scrittore di romanzi che basano il loro successo sulla creatività e sulla rivelazione dei più intricati crimini. Il commissario capo ha avuto una volta la bontà di dirmi che i miei romanzi sono qualcosa di più che una semplice ricerca di sensazionalismo e che io mi sforzo di rappresentare situazioni indicate ma possibili e che la genialità con la quale i misteri vengono poi risolti affascina sia il lettore medio che l'esperto di polizia. Anche se prima non ritenevo i miei primi lavori degni di queste lodi e pensavo di cercare solo le situazioni più eccitanti, ora capisco, guardandomi alle spalle, che dietro un lavoro che a quel tempo mi sembrava inutile, c'erano invece degli studi approfonditi. Dovete scusare questo mio egotismo ma è necessario dare questa spiegazione e voi, che appartenete alle migliori polizie del mondo e che avete esperienza e discernimento e che dovreste apprezzare il fatto che io sono stato capace di entrare nelle menti dei miei finti criminali così come ora sono in grado di penetrare nella mente dell'uomo che ha commesso questo omicidio. Devo prima ricostruire la psicologia di Remington Kara. Voi tutti possedete i dati essenziali che riguardano quest'uomo. Sapete che tipo di persona fosse. Conoscete esempi della sua crudeltà. Sapete che complottava contro l'intero genere umano e che il suo malvagio ego trovava gratificazione nello spargimento di sangue, come accade per pochi criminali. John Lexman passò poi a descrivere l'uccisione di Vassalaro. — Ora so come accaduto — disse. — Il Natale precedente avevo ricevuto in regalo una pistola, da parte di un ammiratore sconosciuto. Costui era Kara, che aveva progettato questo omicidio con tre mesi di anticipo. Era stato lui a mandarmi la Browning, ben sapendo che io non avevo mai usato un'arma e che perciò non l'avrei utilizzata Edgar Wallace
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sconsideratamente. Infatti misi la pistola nel cassetto, fuori dalla portata di tutti e ne me dimenticai. Ma Kara era molto sistematico, in ogni cosa. Tre settimane dopo che avevo ricevuto l'arma, ci fu un tentativo d'irruzione in casa mia nel cuore della notte. Ricordo che si trattò di una cosa strana perché il ladro fece molto rumore e sparì subito, senza altri danni che non un vetro rotto nella finestra della sala da pranzo. Naturalmente, io mi preoccupai di un altro tentativo di furto, visto che la mia casa era alla periferia del villaggio e quindi presi la pistola e la misi in un luogo più facilmente raggiungibile. Per essere ancora più sicuro, Kara venne da me la mattina dopo e io gli raccontai la storia del furto. Lui non parlò di pistole ma ricordo che fui io ad accennare al fatto che avevo una piccola arma. Quindici giorni dopo ci fu un altro tentativo di entrare in casa mia. Ora sono convinto che le intenzioni del ladro non fossero serie. L'oltraggio era stato perpetrato solo per indurmi a tenere l'arma a portata di mano. E il giorno seguente Kara tornò di nuovo a casa nostra e di nuovo gli riferii, anche se ora non lo ricordo con esattezza, gli avvenimenti della notte precedente. Sarebbe stato assurdo non discutere il fatto con lui, così com'era naturale che ne avessi parlato con mia moglie e i miei camerieri. E poi arrivò quella lettera, mentre Kara si trovava a casa mia. La notte dell'omicidio, mentre Kara era ancora da me, io uscii per trovare il suo autista. Lui rimase qualche minuto con mia moglie e poi, con una scusa, andò nella biblioteca. Qui caricò la pistola, con un solo proiettile e si affidò alla fortuna, sperando che io non schiacciassi il grilletto prima di aver puntato la canna contro la mia vittima. Rischiava molto perché, prima di regalarmi la pistola, aveva oliato il grilletto al punto che bastava sfiorarlo per farlo scattare. Come a vostra conoscenza, la pistola era un'automatica e quindi era possibile che il suo piano fallisse. Sapete già cosa successe quella notte. Continuò raccontando del processo e della sua prigionia, fino ad arrivare a quella mattina a Dartmoor. — Kara seppe che la mia innocenza era stata dimostrata, ma il suo odio per me era una vera ossessione dal momento che io possedevo qualcosa che lui aveva desiderato, ma che non desiderava più, bene inteso. E così decise di rovinare del tutto la mia povera moglie e me. Aveva anche trovato il modo di torturarla. Tu non sai — continuò, rivolgendosi a T.X. Edgar Wallace
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— che dopo un mese dall'inizio della mia prigionia, un disgraziato andò nel suo appartamento, raccontandole di essere stato appena rilasciato da Portland o da Wormwood Scrubb, dove mi aveva visto. La storia che questo crudele messaggero le raccontò avrebbe spezzato il cuore anche alla donna più coraggiosa. Era una storia di sevizie da parte di brutali ufficiali, della mia follia, della mia malattia. Era tutto calcolato per distruggere il cuore della mia affezionata e tenera moglie. Questo era il piano di Kara. Non voleva ferirla con una frusta o un coltello, ma dilaniarle il cuore con la sua lingua malvagia, farla impazzire. Quando scoprì che stavo per essere rilasciato (aveva immaginato o aveva saputo in qualche misterioso modo che sarebbe stato firmato il condono) mise in atto il suo piano più diabolico. Aveva meno di due giorni per attuarlo. Tramite i suoi agenti aveva scoperto che un carceriere aveva avuto dei guai con le autorità. Era un uomo avaro e sull'orlo del licenziamento per i suoi traffici con i prigionieri. Gli offrì una ricompensa molto alta e l'uomo accettò. Kara aveva comprato un monoplano e, come sapete, era un ottimo pilota. Con il suo nuovo aereo arrivò a Devon e all'alba volò sulla brughiera sperduta. Non è necessario che vi racconti la storia della mia fuga. Comincerò a raccontarvi dal momento in cui misi piede sulla Mprei. La prima persona che chiesi di vedere, fu, naturalmente, la mia adorata moglie. Ma Kara insistette perché scendessi nella mia cabina a cambiarmi. Fino ad allora non mi ero reso conto di indossare ancora la divisa del carcere. Un cambio di abiti era pronto in cabina e non potrei descrivere la morbidezza della camicia e dell'abito dopo la rudezza della uniforme da galeotto. Quando mi fui cambiato, lo steward greco mi portò in un'ampia sala, dove la mia adorata mi stava aspettando. La sua voce si abbassò, riducendosi a un sussurro e gli ci vollero un paio di minuti per riprendere il controllo delle proprie emozioni. — Lei era molto diffidente di Kara, ma lui aveva insistito tanto! Le aveva spiegato il progetto e mostrato l'aeroplano. Lei però si era rifiutata di salire a bordo dello yacht ed era rimasta su una scialuppa che seguiva la rotta dello yacht fino a quando aveva visto l'aereo atterrare. In quel momento aveva pensato che Kara non le aveva mentito. La scialuppa a motore era stata affittata da Kara e senza dubbio i due membri Edgar Wallace
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dell'equipaggio erano stati ben pagati dal greco. Solo chi ha sofferto gli orrori della prigionia può comprendere la gioia della libertà ritrovata. È una dichiarazione banale, ma quando si parla degli aspetti essenziali della vita non c'è posto per le sottigliezze. Il viaggio fu tranquillo. Vedemmo Kara molto poco perché non ci disturbò quasi mai e la nostra sola preoccupazione era quella di essere raggiunti da un incrociatore inglese o che la nave venisse perquisita mentre attraversava lo stretto di Gibilterra. Ma Kara aveva previsto questa possibilità e aveva fatto rifornimento in modo da non doversi fermare. Attraversammo senza problemi il Mediterraneo e alla fine arrivammo a Durazzo. Ci travestimmo per scendere a terra perché Kara ci disse che il console inglese avrebbe potuto riconoscerci e crearci dei problemi. Lui indossò un abito turco, Grace aveva il velo e io mi infilai un vecchio abito orientale che ben si intonava al mio viso emaciato e alla barba. La casa di Kara era, ed è tuttora, a circa trentacinque chilometri da Durazzo. Non si trova sulla strada principale, ma è raggiungibile solo attraverso gli stretti sentieri di montagna che si snodano tortuosi attraverso le colline rocciose a sudest della città. Il territorio è selvaggio e non coltivato. Attraversammo paludi e costeggiammo lagune, continuando a salire sempre più in alto, raggiungendo la strada montana che collegava tutte le cime. La casa di Kara, se possiamo chiamarla così, è costruita con la vista sul mare. Si trova sulla Penisola Acroceranian vicino a Capo Linguetta. Intorno il territorio è più popolato e meglio coltivato. Attraversammo pendii di colline coperti di olivi, mentre la vallata è interamente coltivata a mais e frumento. Il palazzo si trova su una zona pianeggiante. Ci si arriva da due sentieri che un tempo erano ben difesi contro gli attacchi delle truppe del Sultano o contro le bande dei villaggi rivali che volevano distruggere i nemici. La fortezza difesa dagli Skipetars, una banda assetata di sangue, senza pietà né rimorsi, molto fedele al suo capo, Kara, che li pagava abbastanza perché non fosse conveniente per loro derubarlo. E poi Kara teneva occupati gli elementi più turbolenti con dei raid che lui o i suoi agenti organizzavano di tanto in tanto. Il palazzo era costruito più in stile moresco che turco. Era in parte orientaleggiante e in parte in stile italiano: aveva un cortile con le colonne bianche e fontane e anche stanze segrete. Quando oltrepassai i cancelli di quella fortezza mi resi conto per la prima Edgar Wallace
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volta dell'importanza di Kara. C'erano squadre di servitori, tutti orientali, perfettamente addestrati, silenziosi e deferenti. Kara ci portò in camera sua. Era un ampio appartamento con divani lungo le pareti decorate in stile francese e un enorme tappeto persiano, uno dei più preziosi mai prodotti a Shiraz. A questo punto lasciate che vi dica che, durante tutto il viaggio, il suo atteggiamento nei miei confronti era stato davvero amichevole e verso Grace si era comportato da vero gentiluomo, serio e pieno di tatto. Avevamo appena raggiunto la sua camera quando, con la noncuranza che aveva caratterizzato tutto il viaggio, mi chiese se volevo vedere la mia camera da letto. Io dissi di sì. Lui batté le mani e un grosso servitore albanese entrò da una porta coperta da una pesante tenda e fece il solito inchino mentre Kara gli diceva qualcosa in una lingua che credo fosse turco. "Lui ti mostrerà la strada" disse Kara con uno dei suoi migliori sorrisi. Io seguii il servitore dietro le tende e un secondo dopo quattro uomini mi afferrarono, mi gettarono con violenza sul pavimento e, dopo avermi infilato un grosso fazzoletto in bocca, mi legarono mani e piedi. Nel momento in cui mi resi conto del supremo tradimento di quell'uomo, il mio primo pensiero fu per Grace e per la sua salvezza. Lottai con la forza di tre uomini, ma i nemici erano troppi per me e venni trascinato lungo il corridoio fino a una porta. L'aprirono e mi gettarono in una nuda cella. Mi lasciarono sdraiato per terra per una trentina di minuti circa e poi tornarono, questa volta accompagnati da un uomo di mezza età chiamato Salvolio, che poteva essere sia greco che italiano. Parlava bene l'inglese e mi disse subito chiaro di stare calmo. Poi mi riportarono nella stanza nella quale mi avevano rapito e trovai Kara sprofondato in una morbida poltrona, con la sigaretta in bocca. Di fronte a lui, ancora con l'abito turco, c'era la mia povera Grace. Fui felice di vedere che non era legata ma quando, vedendomi entrare, si alzò per corrermi incontro, il guardiano che le stava accanto l'afferrò per un braccio e, senza troppe cerimonie, la costrinse a sedersi. "Signor John Lexman" sibilò Kara "tu stai per ricevere una grande delusione. Ho alcune cose da dirti che ti metteranno piuttosto a disagio". Fu allora che scoprii che, essendo stata provata la mia innocenza, era stato firmato un atto di condono. "Dopo essermi dato tanta pena per farti finire in galera" disse Kara "non Edgar Wallace
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potevo certo lasciare che il mio piano di rendervi entrambi infelici fallisse". Non alzò la voce ma continuò a parlare nel suo solito tono da conversazione, soave e divertito. "Io ti odio per due motivi" dichiarò sollevando due dita della mano. "Il primo: mi hai portato via la donna che volevo. E questo, per un uomo del mio temperamento, è un crimine imperdonabile. Io non ho mai desiderato una donna per amica o come oggetto di piacere. Sono una delle poche persone al mondo autosufficienti. Ma si dà il caso che volessi tua moglie e che lei mi abbia rifiutato perché preferiva te". Mi guardò con aria interrogativa. "In questo momento tu penserai" continuò parlando con lentezza "che la voglio anche adesso e che, per vendetta, la metterò subito nel mio harem. Ma nulla è più lontano dalla mia mente. Il Romano Nero non si accontenta certo degli avanzi di un povero pezzente come te. Io vi odio entrambi e per entrambi ho preparato delle esperienze che neppure con un enorme sforzo di fantasia potreste immaginare. Capite cosa intendo dire?" chiese, restando sempre calmo. Io non risposi. Non osavo guardare Grace e lui si voltò verso di lei. "Credo che tu ami tuo marito, amica mia" commentò. "Il tuo amore verrà messo a dura prova. Lo vedrai ridotto a un rottame d'uomo. Lo vedrai brutalizzato come un animale. Non vi darò un momento di pace, un momento di riposo. Da questo momento voi siete degli schiavi, anzi peggio". Batté le mani. Il colloquio era terminato e da quel momento rividi Grace una sola volta. John Lexman si interruppe, nascondendosi il viso tra le mani. — Mi portarono in una cella sotterranea scavata nella roccia. Sembrava la prigione del castello di Chillon, con una sola finestra che si affacciava su un lago selvaggio e il pavimento di pietra dura. Ho detto prima che era sotterranea, perché il palazzo era costruito sull'orlo di un precipizio. Mi legarono per i piedi, lasciandomi solo. Una volta al giorno mi portavano carne di capra e un bicchiere di acqua e una volta alla settimana Kara veniva da me. Si sedeva su uno sgabello lontano dalla portata della mia catena e, dopo essersi acceso una sigaretta, si metteva a parlare. Mio Dio! Le cose che diceva! Gli orrori che raccontava! E Grace era sempre al centro delle sue descrizioni. E poi mi raccontava le storie che riferiva a lei, sul mio conto. Non posso descriverle. Non si possono ripetere. John Lexman rabbrividì e chiuse gli occhi. Edgar Wallace
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— Questa era la sua arma. Non mi mostrava le torture della mia adorata, né mi portava prove evidenti e tangibili delle sue sofferenze. Parlava solo e mi descriveva con mirabile linguaggio, incredibile per uno straniero, gli episodi "divertenti" ai quali lui stesso aveva assistito. Pensavo di essere sul punto di impazzire. Per due volte mi scagliai contro di lui e per due volte la catena che mi stringeva i piedi mi fece ricadere sul crudo pavimento. Una volta mi fece frustare, ma io presi questa ennesima crudeltà con una tale flemma che non gli diedi alcune soddisfazione. Vi ho detto che rividi Grace una volta e accadde così. Dopo le frustate, Kara, da quel demonio che era, decise di prendersi la rivincita sulla mia indifferenza. Portarono Grace su una barca che spinsero al largo sul lago, in un punto in cui io potevo vederla. E la frusta che era stata usata contro di me, venne usata contro di lei. lo non posso più parlare di questo — disse con voce rotta — ma vi dico solo che in quel momento desiderai, e solo Dio sa quanto, di essere morto e di avere dato a quel bastardo questa soddisfazione! Mio Dio! Che orrore! Quando arrivò l'inverno, presero l'abitudine di portarmi nel bosco con le catene ai piedi. Non riuscivo a capire perché me lo facessero fare ma poi scoprii, tramite Salvolio, che Kara pensava che la mia cella fosse troppo calda. Infatti era protetta dal vento dalla collina e perfino nelle notti più fredde, la temperatura non era insopportabile. Poi Kara si assentò per qualche tempo. Credo che fosse tornato in Inghilterra e quando tornò era una furia. Uno dei suoi progetti era andato male e quindi le torture mentali che mi infliggeva peggiorarono ancora. Prima veniva una volta alla settimana e poi invece mi visitò quasi tutti i giorni. Di solito arrivava di pomeriggio e una notte fui svegliato e lo vidi in piedi sulla soglia, con una lanterna in mano e l'immancabile sigaretta in bocca. Indossava sempre un costume albanese, con il gonnellino bianco e la giacca in stile zuavo come gli abitanti di quelle colline e, se possibile, il suo aspetto era ancora più demoniaco. Posò la lanterna, appoggiandosi al muro. "Temo che tua moglie stia cedendo, Lexman" disse strascicando le parole. "Non ha certo la stoffa inglese che mi aspettavo". Io non risposi. Avevo capito che, partecipando alla conversazione, soffrivo ancora di più. "Ho mandato un uomo a Durazzo a chiamare un dottore" mi comunicò. "Naturalmente, dopo aver penato tanto, non voglio certo perdervi e vedervi Edgar Wallace
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morti. Sta cedendo" ripeté con gusto e con una nota di irritazione nella voce. "Ha chiesto di te tre volte questa mattina". Io riuscii a mantenere un controllo che mai avrei pensato possibile per un uomo in quelle condizioni. ' 'Kara' ' chiesi con la maggior calma possibile "cosa ha fatto per meritarsi l'inferno nella quale la fai vivere?" Lui esalò un grosso anello di fumo che restò a guardare per un po'. "Cosa ha fatto?" ribatté continuando a fissare l'anello di fumo. Ricorderò per sempre ogni suo sguardo, ogni gesto e ogni intonazione della sua voce. "Ebbene ha fatto tutto ciò che una donna può fare contro un uomo come me. Mi ha fatto sentire piccolo. Prima di essere rifiutato da lei, Lexman, io avevo il mondo intero ai miei piedi. Facevo ciò che volevo. Se piegavo il dito mignolo, la gente mi correva accanto e quell'esperienza con lei mi ha distrutto. Oh, non pensare" continuò "che io sia distrutto dall'amore. Non l'ho mai amata molto; era solo una passione passeggera, ma lei ha ucciso la sicurezza in me stesso. Da allora, ogni volta che arrivo a un punto cruciale dei miei affari, ogni volta mi serve la massima sicurezza in me stesso e la mia abilità, mi trovo di fronte quella maledetta ragazza e mi sento umiliato, ricordando quella sconfitta. E questo per me significa la differenza tra il fallimento e il successo. L'ho odiata e la odio ancora" continuò con veemenza "e, se muore senza essere stata piegata, la odierò ancora di più perché continuerà a minacciare i miei pensieri e a rovinare i miei progetti per tutta l'eternità". Si sporse in avanti, posando i gomiti alle ginocchia e appoggiando il mento sul pugno. Con quanta nitidezza lo rivedo ora! Mi fissava. "Avrei potuto diventare il re di questa terra" affermò indicando con la mano l'interno del palazzo. "Sarei potuto arrivare con ogni mezzo sul trono di Albania. Non ti rendi conto di cosa significa per me? Ma c'è ancora una possibilità e, se riesco a tenere in vita tua moglie, se potrò a vederla distrutta nel fisico e nella ragione, ridotta a un povero scheletro che si inchina ai miei piedi quando mi avvicino, allora riuscirò a riprendermi. Credimi" disse annuendo con la testa "tua moglie avrà le migliori cure mediche che esistono al mondo". Kara se ne andò e per molto tempo non lo rividi più. Una mattina mi mandò un breve messaggio per dirmi che mia moglie era morta. John Lexman si alzò dalla sedia e si mise a passeggiare per la stanza, con la testa bassa.— Da quel momento — affermò — ho vissuto per un Edgar Wallace
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solo scopo: punire Remington Kara. E, signori, l'ho punito. Era in piedi nel centro della sala e si batté il petto con il pugno chiuso. — Io ho ucciso Remington Kara — disse e la sala fu attraversata da un brusio di sbalordimento. Tutti erano rimasti senza parole, tutti tranne uno, T.X. Meredith, che lo aveva sempre saputo.
22. Dopo un momento, John Lexman riprese a raccontare la sua storia. — Vi ho già detto che nel palazzo c'era un uomo chiamato Salvolio. Costui era stato condannato all'ergastolo in una prigione dell'Italia meridionale. In qualche modo misterioso era riuscito a scappare e ad attraversare l'Adriatico con una piccola barca. Non so come Kara lo avesse incontrato. Salvolio era una persona molto chiusa. Non so nemmeno se fosse greco o italiano. So solo che era un criminale incallito, superato in malvagità solo dal suo padrone. Era molto abile con il coltello e una volta l'ho visto uccidere una guardia colpevole di avermi favorito nel mangiare, con la stessa noncuranza con la quale avrebbe ammazzato un topo. John Lexman indicò il suo viso. — È stato lui a farmi questa ferita. Quando il suo padrone non c'era, lui si impegnava a sostituirlo nella mia persecuzione. E fu lui a illustrarmi, solo per un secondo, le torture che venivano inflitte alla mia povera Grace. Lei odiava i cani e Kara, che lo aveva scoperto in qualche modo, le aveva messo nella camera da letto (lei era sistemata meglio di me), quattro enormi cani, incatenati in modo tale da non riuscire a raggiungerla solo per pochi centimetri. Una volta questo bruto disse qualcosa di davvero insopportabile nei riguardi di mia moglie e così io mi scagliai contro di lui. Lui prese il coltello e mi colpì, non uccidendomi per un miracolo. Evidentemente aveva ricevuto l'ordine di non farmi del male fisico perché venne preso dal panico. E aveva ragione perché, quando Kara tornò e vide la mia faccia, lo fece processare da un tribunale in pieno stile orientale e gli fece maciullare i piedi. Posso giurarvi che quest'uomo mi odiava con un'intensità simile a quella del suo padrone. Dopo la morte di Grace, Kara se ne andò all'improvviso e io fui affidato alle tenere cure di questo pazzo. Evidentemente gli era stata data mano libera. L'oggetto principale dell'odio di Kara era cessato e lui si Edgar Wallace
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interessava meno a me. Salvolio cominciò le sue persecuzioni riducendo la mia dieta. Per fortuna mangiavo molto poco. Però il cibo era sempre più scarso e io cominciavo a risentire degli effetti di questa situazione quando successe qualcosa che cambiò l'intero corso della mia vita, aprendomi la strada della libertà e della vendetta. Salvolio non imitava l'autorità del suo padrone e, durante l'assenza di Kara, era solito dare delle feste scatenate. Faceva venire le ragazze da Durazzo e invitava gli uomini più in vista della zona. Infatti quando Kara non c'era, Salvolio era il padrone assoluto nel palazzo e poteva fare ciò che desiderava. In quella particolare notte la festa si era protratta più del solito ed era quasi giorno, forse le quattro della mattina, quando, trascinandomi verso la finestra, vidi che la pesante porta di ferro si apriva. Era Salvolio ed era ubriaco. Conduceva con sé una ballerina che evidentemente aveva avuto il privilegio di poter fare il giro della casa. Per un bel po' di tempo rimase in piedi sulla soglia, parlando incoerentemente in un linguaggio che doveva essere turco, perché captai un paio di parole. Chiunque fosse la ragazza, sembrava spaventata. Me ne accorsi perché si ritrasse da lui, nonostante lui le tenesse un braccio intorno alle spalle, quasi per appoggiarsi a lei. C'era un'espressione di paura nelle brevi occhiate che la ragazza mi lanciava. Più tardi venni a sapere la sua storia. Non apparteneva alla classe delle ragazze che ogni tanto venivano da Durazzo per intrattenere gli ospiti di queste feste. Era la figlia di un mercante turco di Scutari, che si era convertito al cristianesimo. Suo padre si era trasferito a Durazzo durante la prima guerra dei Balcani e Salvolio aveva visto la ragazza di nascosto dai suoi genitori. Le aveva fatto una rozza corte, conclusasi con la fuga da casa di lei, per raggiungere il suo scellerato amante nel palazzo. Vi dico queste cose perché hanno un nesso con la mia storia. Come vi ho già detto, la ragazza era spaventata e cercava di uscire dalla cella. Probabilmente era terrorizzata sia dal prigioniero sia dall'ubriaco che aveva al fianco. Tuttavia lui non poteva andarsene senza mostrare un saggio della propria autorità. Si avvicinò a me e, con il coltello in mano, si lanciò in una terrificante orgia di minacce alle quali però ero abituato. Poi mi sferrò un calcio ma anche in questo caso non gridai e non provai nemmeno un fortissimo dolore. Salvolio mi aveva già trattato in quel modo ed ero sempre sopravvissuto. In quel momento fui testimone di una scena Edgar Wallace
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straordinaria. La ragazza era sulla soglia, appoggiata alla porta, tremando e fissando disperata lo spettacolo che il brutale Salvolio le stava offrendo. E poi all'improvviso, alle sue spalle comparve un turco molto alto. Aveva la barba grigia e l'espressione autoritaria. Lei si voltò e lo vide. Stava per mettersi a gridare quando lui le fece il gesto di stare zitta, indicando le tenebre all'esterno. Senza una parola, la ragazza uscì senza il minimo rumore. Intanto Salvolio continuava a torturarmi ma dovette notare la sorpresa nei miei occhi perché si fermò, voltandosi. Il vecchio turco fece un passo in avanti, lo afferrò con il braccio sinistro e per un attimo i due rimasero immobili, come una coppia grottesca che stia per iniziare un walzer. Il turco era più alto di Salvolio e, da ciò che vidi, era molto forte. I due si fissarono e Salvolio recuperò i sensi... e a questo punto il turco lo colpì piano in pieno petto. A me almeno sembrò un colpo leggero, ma Salvolio gridò in modo orribile, accasciandosi contro l'altro prima di cadere per terra come un sacco. Il turco, con un gesto sobrio, si chinò a riprendere il coltello e lo pulì sulla giacca del morto prima di riagganciarlo alla sua cintura. E poi, dopo avermi lanciato un'occhiata, si voltò per andarsene. Ma poi mi guardò pensieroso. Disse qualcosa in turco ma io non lo capii e allora parlò in francese. "Chi siete?" mi chiese. Glielo spiegai in poche parole. Lui mi si avvicinò e, guardando le catene, scosse la testa. "Non potreste mai farcela" disse. Afferrò la catena, che era molto lunga, e se la arrotolò due volte lungo il braccio. Poi appoggiò il braccio contro la coscia e diede uno strattone improvviso. Si sentì un forte scatto e la catena si ruppe. L'uomo mi prese per le spalle, aiutandomi ad alzarmi. "Mettiti la catena intorno alla vita, Effendi" ordinò e prese un revolver che aveva in tasca. Me lo porse. "Potresti averne bisogno prima dell'arrivo a Durazzo" disse. La sua cintura era piena di armi (vidi altri tre revolver oltre a quello che aveva dato a me) ed era chiaro che era preparato al peggio. Uscimmo dalla cella, e ci trovammo all'aperto. Era la seconda volta che uscivo in diciotto mesi e mi tremavano le Edgar Wallace
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ginocchia, per la debolezza e l'eccitazione. Il vecchio chiuse la porta della prigione e ci incamminammo verso il lago, dove ci aspettava la ragazza. Lei piangeva piano ma quando lui le disse qualche parola a bassa voce, il suo pianto cessò. "La mia figliola ci mostrerà la strada" fece il turco. "Io non conosco questa zona del paese mentre lei la conosce troppo bene". Per farla breve — proseguì Lexman — arrivammo a Durazzo nel pomeriggio. Nessuno ci seguì perché la morte di Salvolio e la mia fuga vennero scoperte solo nel pomeriggio tardi. Ricordate che nessuno, a parte Salvolio, poteva entrare nella mia cella e perciò nessuno osava fare delle indagini. L'anziano turco mi portò di nascosto a casa sua e suo cognato o un parente mi tolse la catena. Il mio salvatore si chiama Hussein Effendi. Quella notte stessa partimmo con una carovana per andare a fare visita ad alcuni parenti del turco. Non sapeva quali sarebbero state le conseguenze del suo atto e quindi decise di fare questo viaggio per mettersi sotto la protezione di qualche tribù turca, in caso di emergenza. In quei tre mesi ho visto la vera Albania... e non la dimenticherò mai! Se sulla terra esiste un uomo migliore di Hiabam Hussein Effendi, io devo ancora incontrarlo. È stato lui a darmi il denaro per andarmene dall'Albania. E lo implorai di regalarmi anche il pugnale con il quale aveva ucciso Salvolio. Aveva scoperto che Kara era in Inghilterra e mi aveva raccontato qualcosa del greco che ancora non sapevo. Andai in Italia e arrivai a Milano. Fu allora che scoprii che un eccentrico inglese, arrivato con una nave americana a Genova pochi giorni prima, si trovava nel mio stesso albergo ed era molto malato. Il mio albergo, non c'è bisogno che ve lo dica, era molto economico ed eravamo gli unici due inglesi presenti. Non potevo fare altro che salire in camera sua e vedere cosa potevo fare per quel povero diavolo, che era quasi moribondo quando lo vidi. Mi sembrava di averlo visto da qualche altra parte e, quando feci delle ricerche e scoprii il suo nome, mi ricordai subito di lui. Era George Gathercole, di ritorno dal Sudamerica. Aveva la malaria e per una settimana lottai con tutte le mie forze con un dottore italiano, cercando di salvargli la vita. Un paziente difficile. — John Lexman sorrise al ricordo. — Usava un linguaggio terribile ed era imperioso e impaziente con il dottore e con me. Era molto suscettibile a proposito del braccio Edgar Wallace
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perduto e non permetteva né a me né al dottore di entrare in camera sua se non era coperto fino al collo. Non beveva e non mangiava in nostra presenza. Tuttavia era un uomo coraggiosissimo, indomito, sprezzante del rischio e addolorato solo per il fatto di non aver terminato il suo ultimo libro. Il suo spirito indomito non lo salvò. Morì il 17 gennaio di quest'anno mentre io mi trovavo a Genova per recuperare, dietro sua pressante richiesta, i suoi bagagli. Quando tornai, era già stato sepolto. Sfogliando le sue carte, trovai un modo per avvicinarmi a Kara. Rinvenni una lettera del greco, inviata a Buenos Aires e poi, in un flash, mi ricordai che una volta Kara mi aveva detto di aver inviato George Gathercole in Sudamerica per riferirgli dell'esistenza di miniere d'oro. Avevo deciso di uccidere Kara e di ammazzarlo in modo da crearmi un alibi perfetto. Così come lui aveva progettato la mia rovina, io l'avrei imitato, progettando la sua morte, senza essere sospettato da nessuno. Conoscevo la sua casa. Sapevo qualcosa delle sue abitudini. E sapevo la paura che lo attanagliava quando si allontanava dal suo feudo superprotetto in Albania. Sapevo della porta con la sbarra di acciaio e cominciai a progettare un piano non solo per ucciderlo ma per fare in modo che lui si rendesse conto di cosa lo aspettava. Gathercole aveva del denaro, circa 140 sterline. Ne presi 100 per le mie spese, sapendo che a Londra avrei potuto ripagare i suoi eredi. Il resto dei soldi e tutti i suoi documenti, tranne quelli che lo mettevano in relazione con Kara, sono ora nelle mani del console inglese. Io non sono molto diverso dall'uomo morto. Avevo la barba incolta e conoscevo le eccentricità di Gathercole per imitarlo. La mia prima mossa fu quella di annunciare il mio arrivo in forma indiretta. Io sono un bravo giornalista con parecchie conoscenze di base e, aiutato dai libri necessari che trovai alla biblioteca del British Museum, scrissi un notevole articolo sulla Patagonia. Lo mandai al Times con un biglietto da visita di Gathercole e, come sapete, fu pubblicato. Poi feci in modo di trovare un adeguato alloggio tra Chelsea e Scotland Yard. Con un colpo di fortuna, trovai un appartamento ammobiliato, il cui proprietario si trasferiva sulla costa del sud della Francia per tre mesi. Pagai l'affitto anticipato e, visto che avevo abbandonato il ruolo dell'eccentrico Gathercole, il padrone di casa mi accolse senza referenze. Edgar Wallace
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Mi ero fatto fare diversi vestiti — continuò sorridendo — ma non a Londra. Erano stati confezionati a Manchester e di nuovo mi mascherai per non essere riconosciuto. Poi decisi il giorno. La mattina dopo mandai due bauli con i miei bagagli al Great Midland Hotel. Nel pomeriggio andai a Cadogan Square e restai fuori dalla porta fino a quando Kara se ne andò. Era la prima volta che lo rivedevo dopo aver lasciato l'Albania e dovetti esercitare tutto il mio autocontrollo per non saltargli addosso e strappargli il cuore con le mie stesse mani. Quando lui si allontanò, bussai alla porta, assumendo l'aspetto e il modo di fare del povero Gathercole. L'inizio fu traumatico perché riconobbi nel maggiordomo un mio compagno di prigionia di Dartmoor: era con me nel capanno la mattina della mia fuga. Non potevo sbagliare e, quando ne sentii la voce, ne fui certo. Mi chiesi se mi avrebbe riconosciuto, nonostante la barba e gli occhiali. Ma non fu così. Io gli diedi ogni occasione per farlo. Mi avvicinai a lui e la seconda volta lo sfidai, secondo il modo bizzarro di Gathercole a controllare il colore grigio della mia barba. Rimasi soddisfatto del mio piccolo esperimento e dopo un po' me ne andai, tornando nel mio appartamento di Victoria Street, dove aspettai la sera. Mentre osservavo la casa, aspettando che Kara se ne andasse, avevo notato che c'erano due fili telefonici che correvano dal tetto. Immaginai allora che il terrore di Kara lo avesse spinto a chiedere una linea diretta con la centrale di polizia o con un guardiano. Kara aveva fatto la stessa cosa in Albania, collegando il suo palazzo alla gendarmeria di Alesso. Me lo aveva detto Hussein. Quella sera feci un giro di ricognizione della casa e vidi che la finestra di Kara era illuminata. Alle 22,10 suonai il campanello e mi sembra di aver fatto allora il test della barba al maggiordomo. Kara era in camera sua, mi disse il valletto, conducendomi al piano di sopra. Ero preparato ad affrontare questo servitore perché non volevo che parlasse con la polizia. Avevo scritto su un foglio il numero che aveva in prigione, aggiungendo le parole: Ti conosco; vattene da qui. Quando lui si voltò per salire le scale, io posai la busta sulla mensola dell'ingresso. Nella tasca del mio vestito avevo due candele. Avevo già deciso come usarle. Il maggiordomo mi fece entrare nella camera di Kara e ancora una volta mi trovai di fronte all'uomo che aveva ucciso la mia adorata moglie, privandomi di tutte le gioie della vita. Edgar Wallace
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Alla sua pausa seguì un silenzio sospeso. T.X. si appoggiò allo schienale della sedia, con la testa bassa, le braccia conserte e gli occhi fissi sull'amico. Il commissario capo, accigliato, si morse le labbra torturandosi i baffi e guardando tra le palpebre semichiuse l'oratore. L'ufficiale francese, con le mani affondate nelle tasche e la testa inclinata, pendeva dalle labbra di Lexman. Il russo dal viso triste, impassibile, sembrava scolpito in una maschera di avorio. O'Grady, l'americano, con un sigaro tra i denti, si agitava impaziente a ogni pausa, come se avesse fretta di ascoltare la storia fino in fondo. Poi John Lexman continuò. — Kara scese dal letto, venendomi incontro."Ah, signor Gathercole" disse con la sua voce suadente, tendendomi la mano. Io non parlai ma lo guardai con un'espressione di feroce gioia negli occhi, un sentimento che mai avevo provato prima. E lui vide la verità nel mio sguardo e si slanciò verso il telefono. Ma io gli balzai addosso. Era come un bambino nelle mie mani. Tutta l'amarezza e la rabbia che mi pervadevano, tutto il dolore accumulato nei numerosi mesi in cui avevo patito la fame di giorno e mi congelavo di notte, mi avevano rafforzato e reso più duro. Avevo un braccio artificiale e ne me liberai. Era solo un pezzo di legno che mi ero fatto fare a Parigi. Lo gettai sul letto e gli balzai subito addosso, immobilizzandolo con un ginocchio. "Kara" dissi "tu stai per morire e la tua morte sarà molto più pietosa di quella della mia povera moglie". Lui cercò di parlare. Le sue morbide mani si agitarono convulsamente ma io gli afferrai un braccio e mi sedetti sull'altro. Poi gli sussurrai all'orecchio: — Nessuno saprà mai che ti ho ucciso io, Kara, pensaci! Io me ne andrò via di qui libero e tu resterai al centro di un cupo mistero! Tutte le tue lettere verranno lette e i tuoi documenti esaminati e tutto il mondo saprà chi eri davvero! Gli lasciai il braccio solo il tempo per sollevare la mano e colpirlo con il pugnale. Credo che la morte sia stata immediata — concluse John Lexman con semplicità. Lo lasciai dov'era e andai alla porta. Non avevo tempo da perdere. Presi le candele che avevo in tasca. Erano diventate duttili con il calore del mio corpo. Edgar Wallace
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Sollevai la sbarra d'acciaio della porta e vi infilai sotto la più piccola delle candele, in senso verticale. Sapevo che il calore della stanza avrebbe fuso la cera, facendo cadere la sbarra. Avevo anche pensato al telefono di fianco al letto anche se non avevo deciso cosa fare. Fu la presenza del tagliacarte a farmi prendere la decisione. Mettendolo in bilico sul portasigarette, infilai un'estremità sotto la cornetta del telefono; sotto l'altra misi la seconda candela, che dovetti tagliare. Sulla punta del tagliacarte che appoggiava alla candela misi i soli due libri che riuscii a trovare in quella stanza e che, per fortuna, erano pesanti. Non potevo sapere quanto tempo ci avrebbe messo la candela a sciogliersi tanto da far scendere il tagliacarte che avrebbe provocato il sollevamento della cornetta. Speravo che Fisher avesse già visto il mio messaggio e che se ne fosse andato. Quando aprii la porta sentii però i suoi passi all'ingresso. Non potevo fare altro che portare a termine la commedia. Mi voltai, fingendo una conversazione immaginaria con Kara. È stato orribile ma c'era qualcosa in quella situazione che suscitò in me un grottesco senso dell'umorismo e che mi fece ridere, ridere e ridere! Sentii l'uomo salire le scale e chiusi la porta. Quanto tempo ci avrebbe messo la candela a sciogliersi? Per confermare il mio alibi decisi di conversare con Fisher e fu molto semplice perché non aveva ancora visto la busta che avevo lasciato sulla mensola per lui. Non dovetti aspettare molto perché all'improvviso sentii il rumore della sbarra che si chiudeva. Il caldo aveva sciolto la candela molto prima del previsto. Chiesi a Fisher cos'era quel rumore e lui me lo spiegò. Scesi dalle scale continuando a parlare. A Sloane Square trovai un taxi e mi feci portare nel mio appartamento. Sotto l'impermeabile avevo un abito da sera. Rimasi a casa mia per dieci minuti e quando uscii ero senza barba e sembravo un normale londinese, come se ne vedono a centinaia passeggiare nelle vicinanze dei locali notturni. Andai direttamente da Victoria Street a Scotland Yard. È stata solo una coincidenza che la seconda candela si sia sciolta, facendo sollevare il ricevitore del telefono, proprio mentre stavo parlando con voi. E così l'allarme è stato dato proprio nell'ufficio in cui mi trovavo io. Vi assicuro con tutto il cuore che ignoravo il motivo della chiamata, fino Edgar Wallace
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a quando Mansus l'ha spiegato. E questa, signori è la mia storia! Tese le braccia. — Potete fare di me ciò che volete. Kara era un assassino, macchiato di sangue innocente. Ho fatto tutto ciò che avevo deciso di fare, nulla di più e nulla di meno. Avevo pensato di andare in America, ma più si avvicinava il giorno della partenza, più mi tornavano vividi alla mente i progetti che io e lei avevamo fatto insieme. La mia ragazza... la mia povera, moglie martirizzata! Si risedette al tavolo, con le mani giunte davanti a sé e il viso pallido e segnato. — E questa è la conclusione! — esclamò all'improvviso con un bizzarro sorriso. — Non ancora! T.X. si voltò trasalendo. Era Belinda Mary. — Sarò io a finire la storia — disse. Era molto controllata, pensò T.X. che d'altra parte non riusciva a pensare a lei se non in termini positivi. — La maggior parte della vostra storia è vera, signor Lexman — commentò la sbalorditiva ragazza, incurante degli sguardi allibiti che tutti le rivolgevano — ma Kara vi ha ingannato in un particolare. — Cosa intendete dire? — chiese John Lexman alzandosi in piedi tremando. In tutta risposta, la ragazza si alzò e aprì la porta coperta dalle pesanti tende. Seguì un'attesa che sembrò un'eternità e poi dalla soglia comparve una ragazza magra, solenne e bellissima. — Mio Dio! — sussurrò T.X. — Grace Lexman!
23. Uscirono tutti dalla stanza, lasciando soli i due sposi che vissero in quei pochi momenti un paradiso che trascende ogni esperienza umana, al quale pochi arrivano. Belinda Mary nel frattempo aveva un pubblico molto interessato. — È evidente che non è morta — affermò. — Kara ha sempre giocato con le paure di John Lexman. Non le ha mai fatto del male... nel senso che il signor Lexman temeva. Aveva detto alla signora Lexman che suo marito Edgar Wallace
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era morto, così come aveva fatto con lui. Invece l'aveva portata qui in Inghilterra... — Come? Chi? — domandò T.X. incredulo. — Grace Lexman — rispose la ragazza con un sorriso. — Non si riesce a crederci, ma quando si pensa che aveva uno yacht personale e che poteva viaggiare in macchina da qualsiasi porto fino a Cadogan Square e che poteva portarla nella cella sotterranea senza che nessuno se ne accorgesse, capirete che l'unica difficoltà era farla sbarcare. L'ho trovata nella cantina inferiore. — L'avete trovata in cantina? — chiese il commissario capo. La ragazza annuì. — Ho trovato lei e il cane; avete sentito che Kara la terrorizzava con il cane, che io ho ucciso con le mie mani — affermò con un certo orgoglio. Poi rabbrividì. — Era davvero una bestia orribile — ammise. — E lei è rimasta con te per tutto questo tempo e tu non hai detto niente? — chiese T.X. incredulo. Belinda Mary annuì. — Ecco perché non volevi farmi sapere dove vivevi! Lei annuì di nuovo. — Vedi, era molto malata — disse — e ho dovuto prendermi cura di lei. Naturalmente, io sapevo che era stato Lexman a uccidere Kara e non potevo parlarti di Grace Lexman senza tradirlo. E così, quando il signor Lexman ha deciso di raccontare la sua storia, ho pensato che fosse il momento di fare la grande rivelazione. Gli uomini si guardarono. — Cosa facciamo con Lexman? — chiese il commissario capo — e, a proposito, T.X., come coincide questa storia con le vostre teorie? — Coincide alla perfezione — rispose T.X. con freddezza. — È chiaro che l'uomo che ha commesso l'omicidio è lo stesso che si era introdotto nella stanza facendosi passare per Gathercole, e che ovviamente non poteva essere lui, anche se sembra che avesse perso il braccio sinistro. — Perché "ovviamente"? — chiese il commissario capo. — Perché — rispose T.X. Meredith — il vero Gathercole aveva perso il braccio destro; questo l'unico errore commesso da Lexman, — Uhm — borbottò il commissario capo massaggiandosi i baffi e guardandosi intorno con aria interrogativa. — Dobbiamo decidere in fretta per ciò che riguarda Lexman — affermò. — Voi cosa ne pensate, Edgar Wallace
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Carlneau? Il francese scrollò le spalle. — Da parte mia, non solo non importunerei il segretario di stato per ottenere il condono, ma raccomanderei Lexman per una pensione speciale — dichiarò baldanzoso. — E voi cosa pensate, Savorsky? Il russo sorrise. — È una storia molto impressionante — rispose senza entusiasmo. — Penso che se sottoporrete Lexman a giudizio in tribunale, vi esporrete a qualche scandalo. Tra le altre cose — continuò, accarezzandosi i baffi — devo dire che qualsiasi processo che portasse alla denuncia delle condizioni deplorevoli in cui versa l'Albania, non sarebbe gradito al mio governo. Gli occhi del commissario capo brillarono mentre annuiva. — Anch'io la penso così — intervenne il capo della polizia italiana. — Naturalmente, noi siamo molto interessati a quanto accade sull'altro versante adriatico. A me sembra che Kara abbia avuto una fine pietosa e non sarei incline a considerare con favore un'eventuale condanna del signor Lexman. — Bene, io credo che l'aspetto politico del caso non ci interessi più di tanto — intervenne O'Grady. — Ma, da persona che spesso si è sentita soffocare nel tentativo di eliminare un certo marciume, io preferirei lasciare le cose come stanno. Il commissario capo era molto pensieroso e Belinda Mary gli rivolse uno sguardo ansioso. — Ditegli di entrare — esclamò alla fine con voce brusca. La ragazza uscì e tornò con John Lexman e sua moglie. I due si tenevano per mano, terribilmente felici e sereni, qualsiasi fosse il destino riservato loro. Il commissario capo si schiarì la voce. — Lexman — disse — noi vi siamo tutti molto grati per questa storia tanto interessante e per una teoria altrettanto affascinante. Vi siete — continuò con decisione — calato nei panni dell'assassino e avete formulato una teoria non solo sul modo in cui l'omicidio è stato commesso, ma anche sui motivi. E la vostra è stata, lo ammetto, un'ottima ricostruzione. — Era convinto di quanto diceva e interruppe il gesto sbalordito di John Lexman con mano ferma. — Per favore aspettate a parlare quando avrò finito — borbottò. — Vi siete messo nei panni del vero assassino e avete parlato con molta convinzione. Si sarebbe potuto pensare di avere davvero davanti Edgar Wallace
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agli occhi l'uomo che ha ucciso Remington Kara. Vi siamo molto grati per questa conferenza. — Guardò i colleghi che mormorarono parole di approvazione. Poi guardò l'orologio. — Ora temo di dover andare. — Attraversò la sala per stringere le mani a John Lexman. — Vi auguro buona fortuna — disse e poi strinse tra le sue le mani di Grace Lexman. — Uno di questi giorni — fece con voce paterna — verrò a Beston Tracey e vostro marito mi racconterà un'altra storia, spero più allegra. Si fermò sulla soglia e poi, voltandosi, vide lo sguardo di gratitudine di Lexman. — A proposito, signor Lexman — osservò esitando. — Io non credo che scriverei mai un romanzo intitolato L'enigma della Candela ritorta, se fossi in voi. John Lexman scosse la testa. — Non sarà mai scritto — confermò — almeno da me! FINE
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