JOHN PASSARELLA L'EREDITÀ DI WITHER (Wither's Legacy, 2004)
Dedicato a mio padre, William Passarella, e a mio suocero, ...
45 downloads
729 Views
2MB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
JOHN PASSARELLA L'EREDITÀ DI WITHER (Wither's Legacy, 2004)
Dedicato a mio padre, William Passarella, e a mio suocero, Glenn Wagner, che stanno lottando contro un nemico comune con coraggio e determinazione
Ringraziamenti Grazie a Marcus Wojtas (Destination Winnipeg, www.tourism.winnipeg.mb.ca) per aver risposto a tutte le mie domande su Winnipeg; alla Greater Minneapolis Convention e alla Visitors Association (www.minneapolis.org) per le informazioni sulle Città Gemelle; alla Logan Township, New Jersey Police Department, per avermi permesso di dare un'occhiata dietro le quinte alle operazioni di polizia; a Doug Clegg, per aver condiviso le sue esperienze e per avermi dato ascolto; a Greg Schauer per la battaglia che lo sta impegnando con valore ormai da almeno vent'anni. Grazie infine a Gordon Kato e al mio curatore, Mitchell Ivers, che mi hanno aiutato a realizzare questo libro. E così cala l'Inverno, Una pesante, tetra oppressione sul mondo Attraverso la maligna influenza che Natura sparge, E desta i semi di malattie oscure. Muore l'anima nell'uomo, detestando la vita, E di nero si tinge per qualcosa di più del malinconico panorama... JAMES THOMSON (1700-1748) Il Male è la via più facile, e ha infinite forme BLAISE PASCAL (1623-1662) PROLOGO
Hudson Falls, Manitoba Canada 6 agosto 2000 Nascosta sotto un cumulo di legna morta e marcia, sommersa più che per metà dal terreno morbido e soffocata dal caldo sgradevole, la creatura riaffiora parzialmente alla coscienza con un brivido, riscossa dagli echi psichici di un grido tormentato che echeggia ancora nell'oblio senza sogni del suo stato di morte vivente. Quel suono non è soltanto un urlo di agonia, è anche un ordine, urgente ma confuso, che attinge potenza da una magia incontrollata. Sono passati settant'anni da quando la creatura è strisciata sotto quel suo misero riparo, lasciandosi ricoprire da una coltre di brina e dalle ghiacciate maree della neve, e durante ciascuna di quelle settanta stagioni ha ignorato il richiamo dell'inverno, ha ignorato quella che è la sua stagione di caccia e di nutrimento, rimanendo immersa nel suo appagante stato di oblio, in quello che è diventato un lento consumarsi. Ora però il richiamo di quella magia selvaggia l'ha pervasa di un nuovo scopo distruttivo. Nell'oscurità della sua tana sotterranea, gli occhi gialli si aprono, le narici strette e allungate si dilatano, file di denti aguzzi e irregolari stridono le une contro le altre nella grande caverna della sua bocca; le dita si contraggono, facendo urtare gli uni contro gli altri gli artigli possenti, e tuttavia la creatura sa che deve pazientare, perché quella non è la sua stagione, è un periodo pericoloso per quelli della sua specie, ma soprattutto perché è troppo lontana da colei che deve uccidere, questa Wendy Ward. «Tu sei la prima», sussurra la magia. Tuttavia, la creatura deve aspettare. «Il tempo verrà...» Gli artigli si incurvano, serrandosi a pugno. «Lei verrà». Le fauci irte di zanne si serrano di scatto. «Lei chiamerà!» Gli occhi gialli si chiudono nell'oscurità. «E morirà!» Nell'ora successiva, la creatura scivola di nuovo nel suo stato di ibernazione, ma il corpo poderoso continua a vibrare dell'energia attinta da quella magia selvaggia; al di sopra del suo covo, una rara nevicata d'ago-
sto ricopre il panorama delle Cascate dello Hudson, un velo di candida purezza che cela una malvagità nascosta, ora desta e in attesa che giunga il suo momento. E mentre aspetta, la sua consapevolezza scivola sempre più in uno stato di rinnovata ibernazione, adesso animata da uno scopo; intanto la voce nella sua mente si affievolisce sempre di più, e l'ultima parola che la magia sussurra, un sospiro che aleggia nell'incombente oscurità permeata di oblio, è il suo stesso nome. «Wither...» PARTE PRIMA La maledizione di Wither Capitolo 1 Windale, Massachusetts Vigilia di Capodanno È il tramonto. Il crepuscolo, una chiazza rossa sparsa nel cielo, a Occidente, sbiadisce progressivamente in un livido color porpora. Sta volando sopra Windale, e tuttavia questa Windale le è sconosciuta... È più piccola, attraversata da strade di terra battuta segnate dai solchi lasciati dalle ruote dei carri, come se il volo l'avesse condotta nel passato della cittadina facendola tornare indietro nel tempo di oltre un secolo. Si abbassa sulla sinistra, scendendo in picchiata su un campo di granturco, perché i suoi occhi, in grado di vedere al buio, hanno percepito del movimento. Un uomo che indossa una logora tuta da lavoro cammina con passo incerto, zigzagando e soffermandosi a brevi intervalli per bere un sorso da una bottiglia; il whisky gli cola lungo il mento, e lui se lo asciuga con il dorso della mano abbronzata. Forse si è addormentato nei campi ubriaco, e ora sta tornando verso casa, incurante di quanto lo circonda, inconsapevole di ciò che incombe sopra di lui. Cala dal cielo con la grazia letale di un falco che attacca un coniglio, le braccia protese, le dita munite di luccicanti artigli affilati. La bottiglia di whisky esplode per l'impatto improvviso, polverizzandosi nella mano dell'uomo, ma prima che abbia il tempo di reagire, gli artigli gli affondano nella carne, schiacciandogli le
costole e strappando tutta l'aria dall'esile torace. Reggendo il suo fardello, torna a salire verso l'alto in un arco, poi cabra ancora, diretta questa volta verso i rami di una vecchia quercia. Là incastra l'uomo stordito nella biforcazione di un ramo e con un colpo dei potenti artigli gli squarcia la gola, per impedirgli di urlare. Le labbra ampie si ritraggono su file di denti appuntiti, e la testa scura, dalla pelle spessa come il cuoio, scatta in avanti. Famelica, comincia a nutrirsi... 31 dicembre 2001 Kayla Zanella si svegliò con un sussulto, gli occhi dilatati che fissavano l'oscurità circostante. Gettate da un lato le coperte, poggiò i piedi sul pavimento per combattere il senso di disorientamento, poi quell'ultima immagine, così reale e viscerale, le affiorò di nuovo alla mente, spontanea, e la costrinse a tamponarsi la bocca con una mano mentre cercava freneticamente con lo sguardo il cestino dei rifiuti. Al diavolo, pensò subito dopo, e si precipitò nel bagno, dove spinse indietro l'asse del water e si lasciò cadere in ginocchio, senza fiato. «Evidentemente adoro il sapore della bile al mattino», sussurrò con un filo di voce, poi si chiese: «Ma che diamine era?» Sapeva però di cosa si trattava, o per meglio dire, di chi si trattava: Wither. «Cagna maledetta», imprecò. Si spruzzò un po' d'acqua fredda sul viso, sfiorando con le dita le barrette d'argento che le attraversavano l'estremità di ciascun sopracciglio come altrettanti punti esclamativi; se non altro, servivano a distogliere lo sguardo dalle borse che di recente le si erano formate sotto gli occhi; un altro motivo di distrazione era costituito dall'anellino che le attraversava la narice destra. Cerchiamo di non fare i difficili, pensò. È la mia zazzera quella che attira maggiormente l'attenzione. Al posto del pigiama o della camicia da notte, indossava una spropositata maglietta degli Animaniacs1, ed era appena giunta alla profonda, epifanica conclusione che Yakko, Wakko e Dot avessero un aspetto decisamente troppo allegro, alle tre del mattino. Era certa che fossero più o meno le tre, perché era quella l'ora in cui di solito veniva svegliata dai suoi incubi.
«Sono ancora me stessa, giusto?», sussurrò alla propria immagine riflessa nello specchio. Non ricevendo risposta, scosse il capo e si avviò con passo incespicante lungo il corridoio e fino alla camera da letto, orientandosi con il chiarore ambrato della luce notturna. Poi fu di nuovo in camera sua, con lo spietato cielo buio che premeva contro la finestra come una mano scura e soffocante, senza che si scorgesse il minimo accenno dell'alba, a cui mancavano ancora parecchie ore. La radiosveglia digitale accanto al letto confermava con numeri rosso sangue l'orario del suo consueto appuntamento con gli incubi: 3.13. Tutte le mie scuse a Ralph Waldo Emerson2, pensò, ma questa sveglia mentale ricorrente sembra essere diventata un folletto maligno che ha scelto la mia testa per abitazione. Prima di scivolare di nuovo sotto il groviglio di lenzuola fradice di sudore, decise di chiudere gli avvolgibili, se non altro per escludere quell'oscurità opprimente, ma nel girarsi verso la finestra trasalì rimanendo come pietrificata alla vista di una faccia non umana che la fissava con un sogghigno. Un istante più tardi, e dopo un frenetico battere di ciglia, la faccia scomparve, ma l'immagine continuò a danzarle sulla retina in una sorta di eco allucinatoria. Raggiunta di scatto la finestra, abbassò la tenda con un violento strattone, non prima però di aver intravisto all'esterno i rami scheletrici degli alberi spogli, ancora spruzzati dai resti dell'ultima nevicata. Là fuori non c'è niente, né di umano e nemmeno di non umano, pensò. «Ok», disse poi a se stessa ad alta voce. «Adesso te ne darò la prova». Con un movimento secco del polso sollevò di nuovo per metà la tenda e... si trovò davanti l'immagine spettrale di una donna che la fissava. «Gesù!», urlò, e richiuse la tenda con un gesto così violento che le corde si aggrovigliarono nei sostegni; aveva le mani tremanti, il cuore che le martellava nel petto, e si sentiva la bocca arida. Nell'elenco delle cose positive, posso almeno annotare che non me la sono fatta addosso, rifletté. «È solo la mia immaginazione», prese a ripetere a mezza voce, in un ritornello ossessivo. «Solo la mia immaginazione». L'immagine della donna permaneva però vivida nella sua memoria: capelli scuri raccolti sotto una cuffietta, un volto duro, occhi meditabondi, una bocca crudele e sottile; sotto il mantello indossava un corsetto... abbigliamento che risaliva al periodo coloniale, trecento anni prima.
«È quella cagna... deve essere lei», mormorò Kayla. «Quello deve essere l'aspetto che aveva prima di trasformarsi in un mostro». Errore, si corresse subito mentalmente, Elizabeth Wither è sempre stata un mostro, anche se ne ha assunto l'aspetto soltanto negli ultimi duecento anni del suo ciclo vitale di tre secoli. Infatti il Male, nonostante tutta la propaganda accattivante che sostiene il contrario, non migliora invecchiando come il vino pregiato. «Forse sto ancora sognando», borbottò poi. «Come lo definirebbe Wendy? Un falso risveglio? Sì», continuò, annuendo fra sé, «questo spiegherebbe tutte le visioni assurde che sto avendo». Si passò le mani nella massa di capelli arruffati, un gesto che di giorno le era impossibile, perché dosi massicce di gel li mantenevano dritti e rigidi. Poi si pizzicò le braccia con le unghie smaltate di rosso e lanciò un urletto di dolore. «D'accordo, adesso sono sveglia, a meno che questo non sia un sogno a occhi aperti... Smettila! Stai farneticando, e se non ti secca che te lo faccia notare, stai cominciando a spaventarmi». Insinuata una mano lungo il bordo della tenda, sbirciò fuori nella notte e sospirò. Niente, soltanto alberi e qualche mucchio di neve che già si sta sciogliendo. Soddisfatta? Allora tornatene a dormire. Si rimise a letto, sedendo contro la testiera del letto con i cuscini ammucchiati dietro la schiena, le coperte tirate fin sotto le ascelle e lo sguardo fisso sulla finestra. Dopo un po', le parve di vedere un'ombra passare dietro la tenda abbassata. E se continui a guardare ancora, comincerai a vedere fatine danzanti intorno a un palo del Calendimaggio... non che io abbia studiato in modo approfondito le abitudini degli esseri fatati, ma il palo del Calendimaggio è un simbolo fallico, quindi potrei anche sopportarne la vista. Una cosa le risultò ben presto evidente: per quanto fosse un'ora antelucana, finché fosse rimasta nella sua stanza non sarebbe più riuscita a riprendere sonno, quindi scese dal letto e, con un cuscino infilato sotto il braccio, attraversò il corridoio fino alla camera da letto di sua madre, scivolando nel letto accanto a lei e posandole la mano destra sulla spalla. «Ancora incubi?», mormorò la madre, che come sempre aveva il sonno leggero. «A dozzine», rispose Kayla, poi sbadigliò e infine scivolò nuovamente nel sonno.
Winnipeg, Manitoba Canada Wendy Ward, wiccan3 ventenne che da un anno aveva abbandonato il college, si accigliò nel sonno, disse qualcosa a mezza voce e lottò per controllare il proprio sogno, che era piuttosto un ricordo. Le fiamme si levano ruggenti verso l'alto, avviluppando Gina Thorne, il ricettacolo più recente di un'antica entità malvagia un tempo nota come Wither, entità che ha albergato all'interno di dozzine di ospiti umani nel corso delle migliaia di anni della sua esistenza. Avvolta nella sua sfera magica protettiva, Wendy viene scagliata lontano da quell'inferno senza essere toccata dal calore dell'esplosione di gas, il cui bagliore ha però l'effetto di accecarla temporaneamente. Né Gina né l'entità che si è impossessata di lei muoiono all'istante. Per lunghi, tormentosi attimi, Gina urla in preda all'agonia, e nella propria mente formula contro Wendy una potente maledizione, strinando l'etere stesso con l'assoluta avversione e veemenza delle sue parole, nel momento stesso in cui le fiamme le consumano la carne. Quelle parole mute vengono compresse in un groviglio di odio che attinge potere dall'incantesimo, e Wendy tenta di decifrarle, nella speranza di poter neutralizzare la maledizione una volta che sia riuscita a decodificarla. «... l'oscurità... tormenterà...» «... caos eterno...» Il tempo a sua disposizione si esaurisce troppo presto, e Wendy vortica lontano, priva di qualsiasi controllo. L'immagine di Gina è svanita, le sue urla tacciono pochi istanti dopo essere cominciate, e la sua maledizione mentale, spazzata via dal fuoco purificatore e dalla luce, si trasforma in immondi echi, lenti a spegnersi... Ma finalmente Gina è morta. «È morta», sussurrò Wendy nell'aprire gli occhi, mentre le dita della mano destra si staccavano finalmente dal polso sinistro dove, ne era assolutamente consapevole, erano rimaste chiuse intorno all'ametista incastonato nel suo bracciale composto di molte pietre diverse. Afferrati il blocco per appunti e la penna che aveva lasciato sul tavolino accanto a sé, estraniò la propria mente cosciente da ciò che stava facendo e lasciò che la mano
scrivesse spontaneamente nel buio, confidando nelle direttive che stava ricevendo dal subconscio. Quando poi la mano smise di muoversi, apparentemente di propria iniziativa, lasciò cadere sul tavolo il blocco e la penna e si tirò su, a sedere sul letto. O meglio, sul divano, ad essere precisi. Spinta da un lato la trapunta fatta a mano che usava come coperta, accese la lampada lì accanto, si sfregò gli occhi e si chinò sul blocco appoggiato sul tavolinetto per esaminare quanto aveva scribacchiato. Quella di combinare la scrittura automatica con la magia del sogno era un'idea che le era stata suggerita un paio di settimane prima da Tara, la sua ospite, una wiccan di Winnipeg, e i risultati erano stati alquanto incoraggianti, evitando almeno che Wendy rinunciasse a qualsiasi speranza di riuscire a decifrare la maledizione di Wither. Accigliandosi, lesse la frase che aveva scribacchiato: Verrà l'oscurità e tormenterà i suoi giorni «D'accordo, a quanto pare il mio subconscio non è molto propenso a usare apostrofi e accenti», commentò. «Sembra dica qualcosa come: "Verrà l'oscurità, e tormenterà i suoi giorni". Versi sciolti decisamente sgradevoli», sospirò, «ma non mi dicono molto che già non sappia». Si diresse verso la finestra dell'appartamento, passando accanto all'albero di Natale decorato con ghirlande di popcorn, pacchettini di spezie fragranti e ghiaccioli di cristallo; Tara aveva trasferito il suo altare nella camera da letto del piccolo appartamento per fare posto al vaso che conteneva l'albero, altrimenti non sarebbero più riuscite a muoversi. Alla finestra, alzò un poco le tende per poter osservare l'ipnotico cadere dei fiocchi di neve, e forse per cercare sollievo nella bellezza invernale della natura, ma continuò a essere tormentata da un vago senso di disagio. Mentre scrutava nella notte, un brivido repentino le corse lungo la spina dorsale; il pigiama di cotone, con un tema di cielo azzurro e batuffoli di nuvole più intonato ai giorni estivi che al cuore dell'inverno, avrebbe dovuto tenerla abbastanza calda, ma i piedi nudi che poggiavano sul pavimento di legno sembravano collegarla al freddo intenso che stringeva la città nella sua morsa. Questo avrebbe potuto spiegare il senso di gelo che le permeava le ossa, ma era solo una delle cause possibili. Incrociò le braccia, massaggiandosele. «Bene, sei sveglia», commentò Tara Pepper, cogliendo Wendy alla sprovvista e spaventandola più di quanto le andasse di ammettere. Uscen-
do dalla sua camera, Tara si spostò lungo il perimetro del salotto per raggiungere il minuscolo angolo cottura, dove accese la bassa luce bianca da quaranta watt; si allacciò la cintura della vestaglia rosa, passandosi le dita di entrambe le mani nella massa intricata di capelli castani che le scendeva fino alle spalle. Palladineve, il suo gatto, le sfrecciò intorno e in mezzo alle gambe, una scorta d'onore felina che esprimeva così una vibrata protesta perché le pantofole della sua padrona erano prive di lacci. «Prendiamo un po' di tè», decise Tara, sorridendo, come se fosse stato pomeriggio invece che le quattro del mattino. Riempita una teiera, la sistemò sul fornello anteriore, poi prese due tazze da una credenza e due bustine di tè da un vasetto decorativo della Currier & Ives su cui era raffigurata l'immagine invernale di una slitta trainata da un cavallo. «Non ti preoccupare, è deteinato». Tara soffriva di dolori cronici alla schiena, risultato di una fuga per i tetti conclusasi poco felicemente quando, da adolescente, aveva dovuto sottrarsi a un incendio scoppiato nella casa dei suoi genitori, e quel disagio costante era abbastanza intenso da impedirle di dormire per periodi di tempo prolungati, cosa che compensava concedendosi alcuni sonnellini nel corso della giornata, perfino durante l'intervallo di chiusura del negozio di abbigliamento che gestiva. In questo modo riusciva a mettere insieme più o meno sei o anche sette ore di sonno nell'arco delle ventiquattro ore. Di nascosto, Wendy aveva eseguito un incantesimo diretto ad alleviare il dolore alla schiena che affliggeva Tara, e quando i suoi sforzi erano risultati inutili aveva addirittura sospettato che l'antica lesione fosse ormai diventata più che altro un disturbo psicosomatico, un meccanismo di difesa inconscio con cui Tara si proteggeva dal rischio di un altro incendio notturno. «Avanti, tanto sei già sveglia», insisté Tara. Wendy annuì, spinse Palladineve giù dalla sedia e prese posto al piccolo tavolo da colazione, di fronte a Tara, sfregandosi gli occhi ancora appannati dal sonno. «Allora, si può sapere come mai sei sveglia a quest'ora?» «Immagino di essere irrequieta», rispose Wendy. «Dai, ricordati che sono una specie di surrogato di sorella maggiore, per cui devi confidarmi tutte le tue preoccupazioni». Tara sosteneva di avere ventotto anni, ma aveva ammesso a Wendy di dichiarare quella stessa età ormai da un paio d'anni di fila. «È di nuovo quel sogno, vero?» «Ho la sensazione che non smetterà di perseguitarmi finché non lo avrò interpretato», annuì Wendy.
Tara sollevò il coperchio di una scatola di pasticcini e arricciò le labbra mentre valutava la scelta di dolciumi che le si offriva; Palladineve intanto le era saltato in grembo e sbirciava anche lui i dolci. «La maggior parte dei sogni non ha molto senso. Sono soltanto... vendite inconsapevoli di oggetti usati, servono a liberare la psiche da tutte le cose inutili che ha accumulato». «Il sogno contiene eventi che in gran parte ho vissuto». «Ah, già, avevo dimenticato questo piccolo dettaglio». Tara prelevò dalla scatola un pasticcino oblungo rivestito di zucchero a velo, coperto di frutta candita e, senza dubbio, imbottito con una generosa dose di crema. Wendy calcolò che doveva equivalere quanto meno a diecimila calorie. Nonostante i suoi frequenti eccessi megacalorici, Tara aveva il fisico ossuto di una persona cronicamente denutrita. Se lo mangiassi io, pensò Wendy con un pizzico di invidia, correrebbe a depositarmisi sui fianchi con la velocità di un treno espresso. «Ne vuoi uno?», chiese intanto Tara, indicando il contenuto della scatola. «No, grazie». «Non sai cosa ti perdi». Oh, se lo so! Tara staccò con un solo morso un terzo abbondante del pasticcino e si leccò via dal labbro superiore lo zucchero a velo, roteando gli occhi in una rapita espressione di appagamento che era quasi comica a vedersi. «Come fai a...?», cominciò Wendy. «Ho il metabolismo di un colibrì». «Beata te». «Non riesco a dormire», ribatté Tara. «Quantomeno, però, posso mangiare». «Chi lo dice che la vita non è giusta?» Palladineve tirò una zampata al pasticcino, mancandolo completamente. «Che ne dici di un po' di latte, Palladipelo?» Tara sosteneva che i gatti in generale, e il suo in particolare, non rispondevano mai al nome che veniva loro dato, per cui si sentiva libera di modificarlo; Wendy l'aveva sentita utilizzare almeno una mezza dozzina si scherzose variazioni, incluse Palladipelo, Fioccodineve, Batuffolo e Zolletta. Dopo aver riempito il piattino del gatto con del latte intero intiepidito nel microonde, Tara tornò al tavolo e, finalmente tranquilla, procedette ad assaporare il dolcetto con cui aveva iniziato quella colazione antelucana;
quando la teiera cominciò a fischiare, spense il fuoco, versò l'acqua bollente in entrambe le tazze, e mentre le bustine erano in infusione si rimise a sedere, contemplando quanto rimaneva del pasticcino, con le labbra arricciate in un'espressione che Wendy conosceva bene. «Cosa stai pensando?» «Che dovresti rimanere qui, venire da Donovan insieme a me e alle altre ragazze, usare la notte per dare ai pettegoli molto di cui parlare, bere vino spumante fino a sentirti brilla, e passare l'indomani a dormire». «Mi piacerebbe», replicò Wendy, schiarendosi la gola, «ma ci sono posti in cui devo andare, persone che devo vedere». La verità era che si sentiva a disagio a trascorrere con chicchessia... non le veniva in mente un termine migliore... festività legate a memorie sentimentali. Nel corso dell'ultimo anno, aveva sempre fatto in modo di essere in viaggio in occasione di qualsiasi ricorrenza, cosa che non le era riuscita difficile considerato che per la maggior parte del tempo se n'era andata a zonzo facendo la turista. Tuttavia le accadeva spesso di pensare ai suoi genitori, uccisi da Gina Thorne nell'agosto dell'anno precedente. Lei e la sua famiglia avevano trascorso insieme tante festività indimenticabili, ed essendo figlia unica, non aveva mai dovuto dividere con fratelli o sorelle l'affetto dei genitori. La maggior parte dei suoi ricordi d'infanzia la vedevano come il punto focale del loro affetto, che l'aveva fatta sentire speciale ogni volta che si trovava insieme a loro. Il prezzo di quella sensazione di esclusività era però la sua attuale solitudine, il non avere nessuno che le fosse abbastanza vicino da poterne condividere il dolore. La prospettiva di rimanere a Windale e di trovarsi al centro di tante manifestazioni di solidarietà da parte di persone che erano virtualmente degli estranei, l'aveva letteralmente indotta alla fuga, dapprima sul piano emotivo e poi anche su quello fisico. Rimanere avrebbe significato mettere il suo dolore sotto il microscopio, dove chiunque avrebbe potuto esaminarlo, e lei aveva sentito di non poter sostenere l'impatto di tanta gentilezza di circostanza. Al tempo stesso, però, era consapevole che evitare le proprie emozioni non era precisamente il modo più sano per conviverci. A volte, pensava che liberarsi di quel sogno ricorrente le avrebbe permesso di accettare una volta per tutte la morte dei genitori, di riprendere la propria vita, di ritrovare un senso di equilibrio; allora, forse, le festività trascorse in compagnia di altri non le avrebbero suscitato un dolore così intenso, un desiderio così struggente di trovarsi insieme a coloro che le erano stati strappati. Per ora, tuttavia, era meglio che rimanesse sola, evitando
perfino di pensare al fatto che quelli erano giorni di festa; doveva andarsene, e lasciare che i bei momenti di allegria scorressero via senza di lei, senza che niente le ricordasse quanto aveva perduto. «Ti ho imposto la mia presenza fin troppo a lungo, Tara». «Tesoro, tu non sei un'imposizione», ribatté l'amica prima di dare un ultimo morso al pasticcino; poi si leccò dall'indice un po' di ripieno alla crema e si alzò per finire di preparare il tè. Wendy lo beveva liscio e senza zucchero, ma naturalmente Tara aveva bisogno di almeno tre cucchiaini di zucchero per rendere il suo accettabile. «E poi», aggiunse ridendo, la schiena rivolta verso Wendy, «se te ne andrai, con chi parlerò alle tre del mattino?» Wendy aveva momentaneamente sospeso i propri viaggi a Manitoba dopo il Winnipeg Wiccan's Samhain Festival; là, in mezzo a tanti spiriti affini, aveva fatto amicizia con Tara Pepper, che le aveva offerto ospitalità. Dal momento che Tara aveva ripetutamente rifiutato la sua offerta di contribuire al pagamento dell'affitto, Wendy aveva preso l'abitudine di pagare la maggior parte dei conti di ristorante e delle spese per eventuali intrattenimenti, perché altrimenti si sarebbe sentita in tutto e per tutto una scroccona. Quella soluzione aveva funzionato così bene che le settimane si erano trasformate in mesi, mentre il clima... anche se di certo non la compagnia... si faceva sempre più inospitale. Di recente, Wendy aveva cominciato però a sperimentare quello che definiva un avvertimento del suo intuito wicca, che insisteva nel dirle che era tempo di fare i bagagli e di andarsene. E in genere lei aveva la tendenza a dare ascolto a quella voce interiore. «C'è sempre Palladineve», obiettò. «Lei sta ferma soltanto se le faccio il solletico sulla pancia», affermò Tara, schiacciando le bustine del tè per estrarne tutto l'aroma. «Mai sottovalutare il potere di un buon massaggio alla pancia». «Ah... comincio a intravedere una luce», sorrise Tara, girandosi con una tazza fumante in ogni mano. «Minneapolis ti chiama. Alex... Dunkirk. È così che si chiama, vero?» «Non vedo Alex da mesi». «Esattamente quello che intendevo», annuì Tara. «Hai preso una bella sbandata, dolcezza». «Volevo solo dire che le cose non sono come...», cominciò Wendy, arrossendo. Tara sgranò gli occhi e lanciò un urlo, mentre entrambe le tazze di tè le scivolavano dalle mani paralizzate dalla sorpresa.
Wendy scattò in piedi rovesciando la sedia, mentre le tazzine di ceramica s'infrangevano sul pavimento della cucina schizzando dappertutto il tè bollente. Palladineve si trasformò in una chiazza bianca sfrecciante e indistinta, scomparendo all'istante. «Un... un fantasma!», annaspò Tara. «Wendy...» Non è un fantasma, pensò Wendy, e un istante più tardi la vide. «La Vecchia», mormorò. Pur avendo ormai familiarità con la connessione metafisica fra passato e futuro che regolava le apparizioni della Vecchia, Wendy si rendeva bene conto che qualcuno poteva scambiare le manifestazioni della presenza della donna per l'apparizione di un fantasma. L'immagine della Vecchia era bianca e trasparente, e si librava a qualche centimetro dal pavimento fradicio di tè; il volto, incorniciato dai lunghi capelli fra il grigio e il bianco, era la sua caratteristica meglio definita e pareva scolpito nella nebbia, con gli occhi magicamente tinti di azzurro e un pallido rossore che le coloriva le labbra e le guance. Forse si tratta di un pizzico di vanità, pensò Wendy. Le mani ben modellate scomparivano nelle maniche voluminose di una morbida veste sottile, le cui pieghe si facevano sempre più indistinte a mano a mano che lo sguardo si spostava verso il basso, fino a scomparire nel nulla. «Tara, è tutto ok», affermò con calma Wendy. «Ok? Cosa intendi con "ok"? C'è uno spettro nella mia...» «La conosco», affermò Wendy. «È un'amica... uno spirito affine». La Vecchia sfoggiò un breve sorriso rassicurante per dare conferma a quelle parole, ma ciononostante Wendy notò che l'apparizione sembrava agitata, preoccupata per qualcosa. Erano mesi che non aveva occasione di vedere la Vecchia o di parlare con lei, fin da prima del suo lungo soggiorno a Winnipeg, e il fatto che le fosse apparsa proprio adesso, andandosi a sommare agli sgradevoli messaggi che l'intuito le stava inviando, non lasciava presagire nulla di buono. È morta, si ripeté per la millesima volta. Wither è morta. «Wendy, qui sta accadendo qualcosa, e tu ne sei al centro». Wendy lanciò una rapida occhiata a Tara, e soppesò con cura le parole con cui formulare la domanda. «Cosa puoi dirmi?» «Un punto di svolta», affermò la Vecchia. «Futuri divergenti». Oh che bello, pensò Wendy. Una biforcazione della strada temporale: probabilmente una direzione conduce al disastro, e l'altra alla sciagura.
«Sei qui per dirmi quale strada dovrei imboccare?», chiese quindi. «So soltanto che devi tenerti pronta», replicò la Vecchia, mentre la sua immagine astrale tremolava e perdeva in definizione. «C'è... altra magia all'opera. Una potente». Quell'esitazione da parte della Vecchia strappò a Wendy un brivido. Sta parlando di qualcosa di malvagio, e non vuole che Tara lo capisca, rifletté. Ha qualcosa a che vedere con la maledizione di Wither, e i sogni che ho cominciato a fare sono stati una sorta di primo campanello d'allarme. Tutto quello che mi hanno fruttato sono però pagine di quaderno piene di una quantità di frasi incomprensibili ricavate con la scrittura automatica. «Capisco», si limitò a dire. «Davvero?», commentò Tara, lanciandole un'occhiata piena di meraviglia. «Come fai?» «È complicato. Te lo spiegherò più tardi». «Sii... pronta, Wendy», insisté la Vecchia, la cui voce si stava affievolendo. Tutto si riduce sempre al mio addestramento magico, pensò Wendy. «Ci proverò», rispose. «Wendy, devi... andare», continuò la Vecchia, la cui immagine stava sbiadendo lungo i contorni come anelli di fumo sotto il soffio di una brezza. «Non appena potrai, devi andare...» E con quell'avvertimento, l'immagine scomparve. «Io... hai visto...?», balbettò Tara, scuotendo il capo con aria incredula e indicando il punto in cui la vecchia si era librata appena pochi momenti prima. «Sì», annuì Wendy con un accenno di sorriso. «Non hai avuto un'allucinazione». «L'hai... l'hai già vista altre volte?» «Di tanto in tanto». «Ho sentito che... l'hai chiamata... la Vecchia», insisté Tara, che stava ancora tremando. «Come in Fanciulla, Madre, Vecchia4? Quella Vecchia?» «In realtà no», replicò Wendy, facendo una rapida retromarcia mentale. «È solo un modo con cui mi piace chiamarla». L'entità che lei avrebbe sempre considerato come il terzo e ultimo aspetto della dea Wicca, era in realtà l'io futuro della piccola Hannah Glazer, di due anni, che la bambina incanalava, o forse proiettava astralmente nel
presente... Wendy non aveva un'idea molto chiara di quale fosse l'effettivo meccanismo della manifestazione. Finora Hannah era apparsa sempre e solo a Wendy e, per estensione, a chiunque si era venuto a trovare in quel momento nelle sue immediate vicinanze. Tara si lasciò cadere sulla sedia, con le pantofole che creavano una serie di piccole onde nel tè che copriva il pavimento della cucina. Afferrato un rotolo di carta assorbente, Wendy cominciò ad asciugare quel disastro. Anche se aveva passato parecchio tempo in mezzo a wiccan seriamente impegnate in quel campo, aveva tenuto sempre per sé i particolari delle esperienze estreme vissute nell'ambito della magia, note soltanto a pochi amici intimi: erano troppo difficili da spiegare e avrebbero suscitato incredulità o scatenato migliaia di domande. Si era invece limitata a frequentare le altre wiccan mantenendo un atteggiamento di silenzioso rispetto. «È come... una specie di angelo custode?», chiese Tara, che stava ancora cercando di venire a patti con quanto aveva visto. «Una definizione abbastanza adeguata», annuì Wendy, poi sollevò gli occhi dalla palla di carta inzuppata che stringeva in mano, dirigendoli verso il punto in cui era apparsa la Vecchia, e aggiunse: «Però era passato parecchio tempo dall'ultima volta che lei...». «Non credi che sia una cosa stupefacente?» «Sì», convenne Wendy, incapace di reprimere un sorriso di fronte all'eccitazione di Tara. Quel sorriso però ben presto si spense e lo stupore cedette il posto alla paura, perché l'avvertimento da parte dello spirito della Vecchia, proveniente dal futuro, era andato ad accumularsi a quello del suo istinto di wiccan, ammonendola che era giunto per lei il tempo di partire. Menlo Park, California «... go! Wendy, go!5», gridò stridula Hannah, dibattendosi nel letto fino ad aggrovigliare tutte le coperte. Un momento più tardi Karen accese la luce e sedette sul bordo del letto della figlia. «Hannah, svegliati». «Wendy... go!» «Hannah!», gridò Karen, scuotendo la figlia per le spalle. Un estraneo che l'avesse vista le avrebbe attribuito sei anni, ma in realtà Karen aveva dato alla luce Hannah Nicole Glazer ventisei mesi prima. Rebecca Cole, una delle tre letali streghe di Windale che erano sopravvissute
all'impiccagione nel 1699 rimanendo ibernate per lunghi periodi di tempo e trasformandosi successivamente in pericolose creature demoniache, aveva cercato di possedere la piccola prima ancora della nascita, e la sua malvagia contaminazione aveva in qualche modo modificato Hannah. Pur essendo nata perfettamente sana e non avendo mai sofferto neppure di un semplice raffreddore o di un'otite, fin dalla nascita, avvenuta la notte di Halloween del 1999, Hannah era cresciuta a ritmo accelerato, un fenomeno che nessuno dei pediatri consultati da Karen era riuscito a spiegare. I più avevano espresso il desiderio di trattenere Hannah in osservazione per studiarla, ma Karen non lo aveva permesso e si era invece rivolta a Wendy Ward, una strega praticante la magia bianca, nella speranza di ottenere qualche risposta; anche perché la stessa Wendy era stata scelta come bersaglio da Wither, il capo della malvagia congrega, e pareva avere un'idea abbastanza chiara di quello che era successo a tutte loro, due anni prima. Purtroppo, per quanto riguardava Hannah, anche Wendy era sconcertata quanto i dottori. Karen viveva oppressa dal quotidiano timore che alla sua bambina potesse accadere qualcosa di male, più di quanto supponeva facessero i genitori di bambini normali che non fossero stati contaminati dal Male. L'idea di rimanere a Windale, così vicina agli orribili eventi che avevano vissuto, fra i quali rientrava anche la morte del padre di Hannah e di Paul, le era riuscita intollerabile, e quando l'Università di Stanford le aveva offerto una cattedra presso la Facoltà di Lettere, l'aveva accettata senza esitazioni o rimpianti. Lei, Hannah e Art Leeson, il fratello di Paul, avevano cominciato così a rifarsi una vita in California, ma anche se si trovavano sulla costa opposta, a quasi cinquemila chilometri di distanza da Windale, lei era ancora preoccupata, perché per quanto fossero fuggiti lontano, non avrebbero mai potuto sottrarsi a ciò che c'era dentro Hannah. «Mamma!», esclamò Hannah, spalancando gli occhi azzurri. Karen l'abbracciò, e sentì il corpo della bambina tremare contro il proprio. «È stato solo un brutto sogno, tesoro», disse, e intanto pensò: Oh, Dio, speriamo che si tratti davvero solo di questo. «No, mamma, non era un sogno. Non proprio». «Hai ragione, era un incubo». «No, mamma. Era qualcosa che succederà». «Ne vuoi parlare?» Karen non se la sentiva di ignorare la possibilità che Hannah stesse a-
vendo un'altra premonizione. L'incredibile consapevolezza che aveva avuto della situazione creata da Gina Thorne, l'anno precedente, e del pericolo mortale che Wendy si sarebbe trovata a fronteggiare a causa dello spirito risorto di Wither, sarebbe stata sufficiente a convincere chiunque delle facoltà psichiche di cui la bambina era dotata. Gli ultimi due anni vissuti con Hannah erano riusciti a cancellare in Karen qualsiasi forma di scetticismo nei confronti del soprannaturale. «È difficile ricordare...», continuò Hannah, aggrottando la fronte. Allontanandola da sé, Karen armeggiò per un momento con i bottoncini a forma di bocciolo di rosa della camicia da notte di flanella bianca della bambina, poi emise un sospiro rassegnato e fissò la figlia negli occhi. «Stavi urlando piccola. Parlavi di Wendy, le stavi dicendo di fuggire, di andare da qualche parte». «Non ricordo che ci fosse Wendy nel mio sogno... Voglio dire, nella mia...» «Nella tua visione?» «Visione». «Che cosa ricordi?» «Neve... stava nevicando... e c'era qualcosa di grosso e spaventoso. Un mostro. Era grande e grosso e aveva...» Hannah ripiegò le dita di entrambe le mani e si fissò le unghie, continuando: «Aveva gli artigli e c'era... mamma, credo che ci fosse del sangue». «Oh, piccola», mormorò Karen, abbracciando di nuovo la figlia e desiderando di poterle estrarre dalla mente quelle immagini orribili. «Mi dispiace così tanto!» «E ho sentito la sua voce», sussurrò Hannah, il volto premuto contro il petto della madre. «Quale voce? Quella di Wendy?» «No. Di quella ragazza... Gina». Karen rabbrividì. Hannah non aveva mai incontrato Gina Thorne, perché la ragazza diciottenne era morta prima che il loro aereo atterrasse al Logan International. Hannah non poteva in nessun modo sapere che suono avesse la voce di Gina. In nessun modo naturale... «Ma non era soltanto la voce di Gina, mamma», continuò Hannah. «Era anche la sua voce, quella di Wither». «Non so cosa voglia dire, Hannah», replicò Karen. «Forse domattina dovremmo telefonare a Wendy. Non credi che sarebbe una buona idea?» E attese una risposta della figlia, magari un semplice cenno del capo. «Han-
nah?» Il corpo della bambina cominciò a tremare. In un primo momento Karen pensò che la figlia stesse piangendo, incapace di mantenere una facciata coraggiosa di fronte alla paura che la sopraffaceva. A volte Karen stessa faticava a fronteggiare quella situazione, quindi come poteva aspettarsi che Hannah fosse in grado di... Poi il tremito si fece violento. «Piccola?» Karen allontanò da sé la figlia e vide che gli occhi di Hannah si erano rovesciati all'indietro nelle orbite al punto che si vedeva soltanto il bianco; una sottile linea di saliva le colava lungo il mento e il corpo era sconvolto da violente convulsioni; per impedire che la bambina si soffocasse con la lingua, Karen le infilò in bocca due dita, e sussultò quando Hannah le morse con forza. Mai un'influenza o un raffreddore, e adesso questo! Cosa sta succedendo alla mia bambina? «Art! Oh, Gesù! Art! Chiama il 911!» Con Hannah stretta fra le braccia, Karen stava però già correndo lei stessa verso il telefono. Windale, Massachusetts Christina Nottingham, moglie dello sceriffo di Windale, era sola in cucina, intenta a preparare le frittelle per la colazione e a lamentarsi mentalmente del fatto che lo sceriffo di una piccola città non poteva esentarsi dal lavorare anche nelle festività. La compagnia di un adulto avrebbe infatti costituito un cambiamento piacevole, per una volta, ma se non altro la casa era tranquilla perché i quattro bambini e Rowdy, il loro labrador color cioccolata, stavano giocando nel cortile posteriore mentre lei faticava davanti alla piastra rovente. Max e Ben avevano chiesto frittelle a forma di dinosauro, Erica voleva una principessa o un gattino, e Abby, la loro figlia adottiva, aveva optato per un lupo. Non un piccolo, grazioso cagnolino. Un lupo. Christina se la stava cavando come meglio poteva, il suo acume artistico messo a dura prova che si limitava all'attenta applicazione di dosi di pastella qua e là per tratteggiare zampe, artigli, corone e quant'altro. Scostandosi dagli occhi una ciocca di capelli biondi, Christina sorrise fra sé. «Quello che conta non è il pasto, ma come viene presentato», si disse. Pochi momenti più tardi Erica si precipitò in cucina, gli occhi dilatati in un'espressione allarmata.
«I tuoi fratelli stanno facendo arrabbiare il cane?», chiese Christina. Erica non era esattamente una spiona, ma badava a fare in modo che la mamma fosse informata di tutti i piccoli drammi domestici, con l'impaziente entusiasmo di una giornalista in erba. «Non sono Max e Ben», disse, scuotendo il capo. «È Abby». La mano di Christina ebbe un sussulto involontario, la pastella traboccò dal bordo del cucchiaio e la tiara della principessa divenne un turbante. Christina voleva bene ad Abby, e si preoccupava sempre per quella bambina più di quanto facesse per i suoi figli naturali. Abby aveva già sofferto così tanto, e pareva che per lei le prove non finissero mai: prima aveva dovuto vivere con un padre che la maltrattava e che in seguito era stato assassinato, poi c'era stato quell'incidente con la macchina che l'aveva lasciata temporaneamente paralizzata a tutti gli arti. In seguito la bambina era guarita in maniera inspiegabile, ritrovando l'uso degli arti sulla scia di una strana mutazione delle ossa, che era a sua volta ormai guarita. Nell'ultimo anno, infine, Abby era stata assalita dall'impulso di andarsene in giro di notte, o forse si era trattato di crisi di sonnambulismo che avrebbe finito per superare... Ma con Abby non si poteva mai dare niente per certo: Sarah Hutchins, una delle infami streghe-mostro della congrega fondata a Windale da Elizabeth Wither, aveva cercato di prendere possesso del corpo della bambina. Christina avrebbe voluto dimenticare tutto quanto, lasciarselo alle spalle, ma le era impossibile, e quell'interrogativo sarebbe stato sempre presente, un fattore X che avrebbe continuato a incombere su Abby per tutta la vita. «Cosa sta succedendo ad Abby?», chiese a Erica, la gola serrata dalla tensione, pensando: Che altro sta succedendo, stavolta? «È sul tetto». Christina spense il fuoco, prese in braccio Erica e uscì di corsa sul retro. Max e Ben si stavano godendo lo spettacolo mentre Rowdy sembrava dell'opinione che Abby si stesse mettendo in pericolo e, nella sua veste di protettore della famiglia, esprimeva la propria preoccupazione facendo in modo che chiunque fosse a portata di orecchio potesse sentire il suo abbaiare. «Oh, mio Dio», mormorò Christina. Anche se la loro era una casa a un piano, vedere Abby in piedi sul tetto, con le braccia alte, larghe e parallele alle spalle mentre girava lentamente in cerchio su se stessa, a occhi chiusi e con gli stivali che scricchiolavano sulla neve, le fece salire il cuore in gola.
«Abby! Scendi immediatamente di lì!», ingiunse. Sempre con gli occhi chiusi, Abby sorrise e continuò il suo lento movimento rotatorio. Un alito di brezza le smosse i sottili capelli biondi sotto il cappello di lana azzurro. «Voglio soltanto volare, signora Nottingham. Solo un poco». «E io ti voglio immediatamente giù da quel tetto, signorina!» Abby aprì gli occhi e si accigliò. «Oh, d'accordo», rispose con un sospiro alquanto drammatico. Christina Nottingham si diresse verso il bordo del tetto con l'intenzione di aiutare la bambina a scendere, ma Abby sfrecciò lungo le tegole inclinate senza perdere l'equilibrio, per poi ruotare su un tallone e lasciarsi cadere sulla terrazza sottostante con grazia animalesca. L'impavidità dei giovani, pensò Christina, senza però riuscire a liberarsi da uno strana sensazione indefinita che l'aveva assalita mentre osservava la discesa di Abby. Poi qualcosa la distrasse. «Cos'hai nei capelli?» Abby si portò una mano dietro l'orecchio destro e recuperò una lunga penna infilata fra i capelli. «Una penna d'aquila», spiegò, contemplandola con apprezzamento. «L'ho trovata sul tetto. Pensi che le aquile volino sulla nostra casa?» «Può darsi che lo facciano», replicò Christina, «ma tu non sei un uccello, Abby, e ti proibisco di andare sul tetto. Hai capito?» Abby si fissò i piedi, poi contemplò la penna d'aquila che teneva stretta in mano. «Sissignora», borbottò. «Bene», annuì Christina, poi si guardò intorno in modo da abbracciare con lo sguardo anche gli altri bambini e aggiunse in tono più dolce: «Ora tutti dentro a mangiare le frittelle». I due maschi si precipitarono in casa gridando di gioia, con Rowdy che li seguiva a ruota; Erica accennò a entrare, ma poi tornò accanto ad Abby, la prese per mano e la guidò all'interno dell'abitazione. Mentre si soffermava a seguirle con lo sguardo, Christina si rese conto con un senso di shock che quella sensazione senza nome che aveva avvertito era qualcosa di molto affine alla paura. Era possibile? Possibile che quando non aveva paura per Abby avesse paura di lei? Paura di quello che la bambina sarebbe potuta diventare, se la contaminazione di Sarah Hutchins ne avesse infine assunto il controllo? Sapeva che una cosa del genere era ridicola, che Sarah Hutchins era scom-
parsa per sempre, ma nonostante questo, mentre tornava verso il conforto offerto dalla sua casa, non poté trattenere un brivido causato da quel pensiero persistente. Winnipeg, Manitoba Canada Wendy stava facendo jogging lungo Portage Avenue, diretta all'incrocio con Main Street, indicato spesso come l'angolo più ventoso dell'America Settentrionale. Se da un lato gli spazzaneve avevano reso percorribili le strade, dall'altro i risultanti cumuli di neve ammucchiati un po' dovunque facevano sì che fosse pericoloso procedere a piedi; infagottati in abiti pesanti, i numerosi passanti dell'ora di pranzo procedevano con la massima cautela lungo la strada trafficata. Wendy si era vestita a strati, cotone sulla pelle, poi una tuta da jogging a strisce verdi e nere e una giacca di Gore-Tex con cappuccio che le arrivava fino alla vita; tirando i lacci del cappuccio, se lo strinse intorno alla testa in modo da lasciare esposto alla gelida aria invernale soltanto l'ovale del volto. Purtroppo, al livello del terreno, l'aspro clima invernale stava vincendo la battaglia, in quanto la neve ridotta a poltiglia aveva già trapassato le sue Sketcher e aveva trasformato in un pasticcio freddo e umido il doppio strato di calzini all'interno. Accumulare la quantità quotidiana di chilometri di jogging era sempre una questione di dominio della mente sulla materia. Ogni volta che correva, Wendy cercava di distaccarsi dall'immediatezza dell'atto fisico, entrando in quella che lei definiva la zona di disconnessione, una sorta di stato Zen in cui era possibile ignorare i piccoli disagi. Di solito se ne serviva per escludere i primi falsi segnali di sfinimento, il modo in cui il suo corpo protestava per il fatto che lei stava per affrontare di nuovo quell'esercizio fisico; in seguito, mentre correva, cercava di non pensare all'affaticamento dei muscoli, al respiro affannoso o al dolore pungente al fianco. Sentirsi a proprio agio significava non voler migliorare, mentre lei era solita aumentare la frequenza del battito cardiaco scegliendo il tragitto più difficile, correndo più in fretta sulla stessa distanza oppure allungando il percorso. Naturalmente non aveva l'intenzione di correre fino a crollare, ma era consapevole dei propri limiti, sia reali che immaginari. Come per la maggior parte delle cose che si intraprendono nella vita, la crescita viene con la fatica. Per quanto desiderasse sprofondare completamente nella zona di di-
sconnessione, durante la corsa rimaneva sempre cosciente di quanto la circondava, perché una volta era stata aggredita proprio mentre correva, e probabilmente sarebbe stata violentata e uccisa se Abby non le fosse venuta in aiuto nella sua forma di lupo. Era un incidente che non avrebbe mai dimenticato: come conseguenza, non correva mai sola di notte e limitava i suoi tragitti a posti pubblici; inoltre, per quanto lottasse per distaccarsi mentalmente dal proprio disagio fisico, rimaneva sempre consapevole di quanto la circondava... Fu per questo che si accorse del cambiamento non appena si verificò. I monoliti di vetro e acciaio che formavano il centro di Winnipeg tremolarono e si spostarono sotto i suoi occhi davanti allo sfondo del cielo. Pensando di aver sperimentato una sorta di illusione ottica, Wendy sbatté le palpebre sugli occhi che lacrimavano per il freddo, ma il cambiamento risultò permanente. Adesso non stava più correndo lungo Portage Avenue, ma procedeva lungo la passeggiata alberata che costeggiava il fiume, da sola. Tutti erano scomparsi, e c'era anche un'altra cosa che non quadrava. Su entrambi i lati, gli scheletrici alberi decidui e i resistenti sempreverdi ricoperti di neve erano avvolti nel bagliore dorato del crepuscolo. Aveva cambiato dislocazione fisica... o era scivolata in avanti nel tempo! O forse sono tornata indietro, pensò. Tutto è possibile. Se non altro, era rimasta a The Forks, il punto di confluenza del Red River e dell'Assiniboine, un luogo che aveva alle spalle seicento anni di storia di caccia, commercio e riti cerimoniali. I mesi trascorsi a Winnipeg le permettevano di riconoscere la zona, dandole la certezza di non essersi spostata di molto. E tuttavia... Wendy si rese conto che stava sognando, ma non se la sentì di ignorare quanto le accadeva in quello stato di consapevolezza alterato, perché altre volte informazioni importanti le erano giunte sotto forma di sogni. In lontananza, un uomo vestito con la divisa rossa e nera da ambasciatore della guardia cittadina, una delle guide turistiche ufficiali di Winnipeg, la stava aspettando. Perché è qui? si chiese Wendy. Per guidarmi nel mio sogno? Intuendo che quell'uomo le avrebbe fornito delle risposte, cercò di accelerare la corsa per raggiungerlo prima che se ne andasse o che svanisse, ma le gambe parvero divenirle di piombo, ogni passo in avanti uno sforzo spossante. Abbassando lo sguardo sui propri piedi, vide che stavano sprofondando nella neve e ancora più giù, nel cemento! Ogni volta che sollevava una gamba, il terreno si alzava insieme alla scarpa, e a ostacolare ulteriormente i suoi progressi c'era il vento teso e pungente che le feriva il
volto e le offuscava la vista. Su entrambi i lati, gli alberi spogli si chinavano verso di lei, i rami le sferzavano la faccia e le laceravano la pelle. Riparandosi il viso con le mani, continuò a procedere barcollando lungo la passeggiata, fino a quando non incespicò e crollò al suolo su un ginocchio. Districarsi dal cemento che la risucchiava era quasi impossibile, e lo sforzo le stava prosciugando le forze. Impotente, sollevò lo sguardo e sussultò per lo sfinimento mentre la guida turistica abbassava su di lei lo sguardo con aria impassibile. «Mi aiuti», disse all'uomo, «per favore». «Hai preso la strada sbagliata», ribatté l'uomo, i cui occhi erano bianchi e ciechi sotto il cappello nero e rosso. «Mostrami... la strada giusta». «Troppo tardi». «Perché?» «La maledizione». «La maledizione di Wither? Questo ha a che fare con la maledizione di Wither?» «Sì, condiziona la tua vita». «Hai ragione», ammise Wendy. «Dovrei sapere come ricostruirne il contenuto... come ricordarla tutta». L'uomo cieco si volse e cominciò ad allontanarsi, camminando senza difficoltà. Wendy cercò di seguirlo, ma incespicò, una gamba immersa fino al ginocchio nel cemento molle e appiccicoso. «Aspetta!», chiamò. «Non posso aspettare», replicò l'uomo da sopra la spalla. «Non c'è più tempo». Wendy si protese in avanti, si sbilanciò e cadde a faccia in avanti sopra e dentro il terreno. Con il viso sprofondato dentro il cemento gelido non poteva muoversi, urlare... respirare! Annaspò, rotolando lontano dalla coperta che le si era avvoltolata intorno a braccia e gambe, poi cadde sul pavimento, fra il divano e il tavolino, e cercò di ritrovare l'orientamento. Anche se aveva preparato i bagagli nelle prime ore del mattino, aveva poi deciso di concedersi un sonnellino prima di iniziare il primo tratto del lungo viaggio in macchina fino a Minneapolis, in modo da partire quando le celebrazioni della vigilia di Capodanno
non fossero ancora cominciate sul serio. La luce del primo pomeriggio entrava a fiotti dalla finestra adiacente l'albero di Natale, illuminando l'appartamento di Tara quanto bastava perché Wendy potesse leggere le pagine del blocco contenente le annotazioni sui sogni senza aver bisogno di accendere una lampada o le due candele poste nei portacandela di ceramica a forma di gatto, alle due estremità del tavolino. Rapidamente sfogliò i risultati delle diverse sessioni di scrittura automatica, guardando ciascuna pagina appena per il tempo necessario a registrare le parole scritte sopra senza comprenderle davvero, istantanee di frammenti di pensieri, gli ingredienti della maledizione estrapolati dal loro contesto. Gradualmente, un'immagine le prese forma nella mente... E Wendy rivive il ricordo della distruzione di Wither. Gina Thorne, l'ultima ospite di Wither, è avviluppata da alte volute di fiamma incandescente, fiamme che - Wither ne è consapevole - infine la distruggeranno. Echeggia un urlo devastante, un disperato, folle lamento che cessa solo quando i polmoni umani di Gina vengono distrutti dal fuoco. E tuttavia, nella mente di Wendy, la voce mentale di Wither continua a echeggiare, ripetendo in continuo: «IO TI MALEDICO... TI MALEDICO... MALEDICO!». Facendo appello agli ultimi residui della sua malvagia forza di volontà, Gina Thorne investe la mente di Wendy con la maledizione, un incantesimo messo insieme in quegli ultimi momenti di agonia, permeato di tutta la sua folle, caotica magia. Il puro e semplice potere di quell'incantesimo investe Wendy come un vento di tempesta anche all'interno della sua sfera protettiva, facendole venire la pelle d'oca. Mentre le parole le affioravano di nuovo nella mente e le scaturivano dalle labbra, come sospinte da una distante vibrazione di quella magia selvaggia, Wendy rabbrividì ancora e sentì i capelli che le si rizzavano sulla nuca. «Creature del caos, levatevi! Levatevi e ascoltate la mia chiamata. Venite per costei, la wiccan Wendy Ward, affinché certa sia la sua caduta! Una per una, e per una ancora, cercatela, in eterno. Nota vi sia la sua via, e noto il suo modo di agire, Che l'oscurità verrà e avvelenerà i suoi giorni».
Entrambe le candele si accesero spontaneamente. Wendy ebbe un sussulto. Le pareti dell'appartamento tremarono, il pavimento sotto i suoi piedi parve sollevarsi e poi ricadere, come se il terreno sottostante l'edificio fosse stato percorso da una scossa tellurica. «Magia», mormorò. L'aria pareva carica di elettricità, e Wendy ebbe la premonizione di essere sul punto di venire colpita da un fulmine... o da qualcosa di peggio. «D'accordo», esclamò, cercando di calmarsi. «Che diavolo è successo?» Posò lo sguardo sulle candele, che si erano in qualche modo accese magicamente, anche se non si era trattato della sua magia. La magia di Wither, pensò. Ho continuato a portarla con me, nella mente, fin da quella notte di agosto. Un incantesimo, con una formula di attivazione a tempo... e qualcosa mi dice che ciò che lei ha attivato per me non mi piacerà. Hudson Falls, Manitoba Canada La creatura si desta dal suo lungo sonno senza sogni. A forza, si apre un varco in mezzo ai detriti che la ricoprono, spinge via il tronco marcio e fatiscente che per tanto tempo l'ha celata allo sguardo e trae un profondo respiro, assaporando l'aria odorosa di neve. Inverno! In quel luogo tranquillo e appartato, la neve riveste il suolo della foresta e ricopre i rami degli alberi; in alto il cielo grigio e incombente lascia supporre che stia per cadere altra neve. È passato più di un anno da quando ha sentito per la prima volta il richiamo pressante di quella magia selvaggia, e adesso ne è appena giunta un'altra eco potente, solo che stavolta è avvenuto nella stagione più propizia, nel periodo del freddo e della neve, in cui la creatura è libera di vagare e di saziare la sua inestinguibile fame di carne umana. Questa volta, tuttavia, deve fare qualcosa di più che cercare semplicemente di che nutrirsi, deve trovare e distruggere una preda particolare, perché il richiamo della magia è come una febbre che la sospinge verso la vittima prescelta. Finché durerà la sua stagione, la creatura non conoscerà riposo se non avrà prima risposto a quel richiamo. Si avvia nel bosco con passo incerto, la fame che si ridesta progressivamente nel suo ventre. Prima di tutto deve trovare nutrimento. La grossa
testa irta di zanne si gira lentamente di qua e di là sul collo possente, le narici si dilatano nel sondare l'aria alla ricerca di una preda. Come si aspettava, le immediate vicinanze risultano deserte, ma la creatura ha molta pazienza e si mette in caccia attraverso la foresta, avviandosi nella direzione in cui ricorda che c'è dell'acqua. Alta circa due metri, con il petto ampio ma reso di una magrezza scheletrica dal lungo periodo di ibernazione, la creatura cammina incurvata in avanti, gli occhi gialli e infossati che scintillano mentre cerca una qualsiasi traccia di movimento. Coperta di una pelliccia ispida, nera lungo le braccia e le gambe muscolose ma bianca sul torso, la creatura ha un aspetto a mezza strada fra quello di una scimmia e quello di un uomo, ma cammina con una determinazione solenne e minacciosa più appropriata a un essere umano. Il suo passaggio sul terreno privo di ogni traccia di colore, sotto il cielo grigio e coperto, è come un alternarsi continuo di luci e ombre. Arrivata a un'apertura nella vegetazione, la creatura si arresta e fissa una dimora isolata che si leva in lontananza, una casa di tronchi rischiarata dalla luce dorata che scaturisce dalle finestre del primo piano. Le lunghe dita si contraggono per un senso di anticipazione, facendo ticchettare gli artigli gli uni contro gli altri. Un tempo umana essa stessa, anche se i ricordi di quell'esistenza risalgono a due o tre secoli prima, la creatura sa riconoscere un'abitazione umana... e sa che presto si potrà nutrire. Mentre spicca la corsa verso la casa sente un cane cominciare ad abbaiare, e lentamente raccoglie intorno a sé una coltre di gelo... Accomodato su una poltrona con accanto una lampada a piede, Earl Cady stava leggendo tranquillamente Sotto il segno del pericolo, di Tom Clancy e non aveva nessuna intenzione di rimanere alzato fino a mezzanotte per festeggiare il nuovo anno. Dopo decenni trascorsi a lavorare come guardia notturna, infatti, negli ultimi cinque anni si era sempre concesso il piacere di andare a letto a un'ora decente. Lui e Amanda avrebbero fatto un brindisi con lo champagne subito dopo cena, magari avrebbero guardato un vecchio film alla televisione e poi sarebbero andati a letto, molto tempo prima che la maggior parte delle feste di Capodanno arrivasse al suo culmine. Domani è soltanto una giornata come tutte le altre, pensò. Amanda aveva messo in forno un arrosto, e il suo delizioso profumo aveva appena cominciato a far venire a Earl l'acquolina in bocca, quando
Cody cominciò ad abbaiare. Non era mai stato un cane propenso ad abbaiare per un nonnulla, e quella esternazione improvvisa sembrava maledettamente motivava, un insieme di avvertimento e di minaccia. Con un sospiro di rassegnazione, Earl posò il libro sul tavolino sistemato accanto alla poltrona e si avvicinò alla finestra che si affacciava sull'ampio cortile: il pastore tedesco stava correndo freneticamente avanti e indietro, strattonando la catena. «Cody!», gridò, battendo contro la finestra. «Ehi, che ti prende?» Il cane si arrestò di colpo, fissò per un momento in faccia il suo padrone dalla finestra, poi riprese ad abbaiare con veemenza anche maggiore, mettendosi addirittura a ululare. «Earl?», chiamò Amanda, dalla cucina. «Cos'ha il cane?» «Non lo so...», cominciò Earl, poi la voce gli si bloccò in gola, alla vista dei fiocchi di neve grossi e fitti che stavano scendendo dal cielo coperto. «Che sia dannato!», sussurrò. Le previsioni del tempo non avevano parlato di neve. «Sta nevicando», disse, guardando verso la cucina. «Forse il cane vuole rientrare». «Non sembra che...» Cody uggiolò, un suono tormentato che indicava un dolore improvviso, seguì un nuovo breve lamento, poi il silenzio. Earl sbirciò di nuovo attraverso la finestra bordata di ghiaccio, cercando di vedere il cane. Il suo sguardo seguì la lunghezza della catena attraverso il cortile, aspettandosi... Earl non sapeva bene cosa aspettarsi, ma di certo non un collare vuoto. Cody non si vedeva più da nessuna parte. «Resta qui!», gridò ad Amanda. «Torno subito». Cosa è successo a quel dannato idiota di un cane? pensò, mentre si infilava il giaccone di lana. «Probabilmente si è fatto male nello sfilarsi il collare», borbottò fra sé e senza crederci davvero. «O forse un orso...» Preferì lasciare in sospeso quel particolare pensiero; più verosimilmente, il cane si era lanciato a caccia di una puzzola o di un procione che aveva commesso l'errore di venire a ficcanasare nel suo cortile. «Probabilmente si tratta soltanto di questo», concluse, ma prelevò comunque dal ripostiglio la doppietta a canna corta e una scatola di cartucce; inserito un proiettile in ciascuna canna, se ne infilò una manciata di riserva nelle tasche del giaccone, afferrò il mazzo delle chiavi appese a un piolo vicino alla porta principale e accese l'interruttore delle luci esterne, poi uscì all'aperto e si richiuse a chiave la porta alle spalle. Certamente non si
aspettava che un orso affamato aprisse la porta principale mentre lui si trovava sul retro, e Hudson Falls non era pericolosa di notte quanto il centro di Winnipeg, ma era un uomo cauto per natura; intorno a lui, la neve continuava a cadere vorticando, per poi sciogliersi quando entrava in contatto con il terreno troppo caldo. Per prima cosa, Earl aggirò il lato della casa per esaminare il collare e la catena del cane. Poiché riteneva che quelli a strozzo fossero una cosa inumana, Cody portava un robusto collare di cuoio, o almeno lo aveva portato, fino a pochi minuti prima. Earl piegò un ginocchio sul terreno umido - i giorni in cui aveva potuto accovacciarsi con disinvoltura appartenevano ormai a un passato lontano - e raccolse il collare vuoto. Era ancora intatto, ma... era macchiato. Bagnato. Passato un dito lungo la chiazza scura, Earl sollevò la mano in modo da esporla alle luci esterne e da poterla esaminare meglio. «Sangue», mormorò. Era il sangue di Cody? Oppure quello della bestia a cui il cane aveva dato la caccia? Rialzatosi in piedi, s'incamminò lontano dal cerchio di luce, nella direzione verso cui Cody aveva teso la catena, verso il limitare degli alberi e l'oscurità che vi si addensava sotto. Sollevando maggiormente la doppietta, ne puntellò la canna con la mano sinistra e si addentrò nella fitta ombra proiettata dalle conifere, poi si arrestò nel vedere Cody sdraiato a terra, che faceva capolino da sotto un abete, guardando fisso verso di lui. «Ehi, Cody! Perché te ne stai lì nascosto, amico?» Piegando di nuovo a terra un ginocchio, tese la mano verso il cane, aspettandosi di sentirne la lingua ruvida lambirgli le dita in un gesto di contrizione canina, ma Cody rimase immobile, gli occhi fissi, solo che il suo sguardo non era rivolto verso di lui. Fissava qualcosa in lontananza, come se... Intanto la vista di Earl aveva cominciato ad adattarsi all'oscurità quanto bastava a permettergli di notare che c'era qualcosa che non andava. Tremante, allungò la mano sinistra oltre la testa di Cody, e non trovò nulla, niente di niente. «Dio Santo», mormorò. Quasi senza accorgersi di quello che faceva, posò accanto a sé la doppietta e raccolse la testa del cane con entrambe le mani: la sollevò facilmente, adesso che non c'era più attaccato nulla se non pochi filamenti di carne e il pallido chiarore della spina dorsale, recisa a
forza. Earl cominciò a tremare e sentì la pelle accapponarglisi sulle braccia e sulle gambe; volute di vapore gli uscivano a ogni respiro dalla bocca e dalle narici, mentre i fiocchi di neve gli vorticavano intorno sempre più fitti. Un rametto si spezzò con un rumore secco. Earl lasciò cadere la testa recisa del cane, sperando dentro di sé che Cody gli perdonasse quel trattamento privo di rispetto, e raccolse di scatto la doppietta rialzandosi in piedi. Un ramo di un abete si spostò all'improvviso di lato e una chiazza indistinta di oscurità e di candore fluì verso di lui, proveniente dalla sua sinistra. Troppo tardi Earl girò in quella direzione le canne della doppietta. Qualcosa lo colpì al basso ventre con una forza tremenda, spingendogli via il braccio sinistro, le ginocchia gli si piegarono e la doppietta si abbassò fra le mani intorpidite. Ciò che lo aveva afferrato non gli permise però di cadere a terra e lui sentì una pressione che si muoveva verso l'alto... che lo squarciava!... come una mano munita di coltelli... o di artigli! Il suo universo si ridusse a un dolore atroce e intollerabile, e un'ultima immagine avanzò repentina verso di lui, penetrando la spirale di oscurità che saliva vorticante a reclamarlo: una grossa testa coperta di una pelliccia incolta bianca e grigia, orecchie appuntite sovrastate da ciuffi di pelo, roventi occhi gialli, narici sottili e grandi fauci irte di lunghi denti acuminati. Fauci che si andavano aprendo sempre di più. Amanda Cady stava gironzolando per la cucina, aprendo gli armadietti e preparando una lista della spesa mentre aspettava che l'arrosto finisse di cuocere. Quando infine si infilò i guanti da forno e tirò fuori l'arrosto, si rese conto che non aveva più sentito Earl da qualche tempo, e cioè da quando era uscito per dare un'occhiata a Cody. Aveva dato per scontato che fosse rientrato e si fosse rimesso a leggere, ma adesso cominciava a preoccuparsi, e la sua inquietudine aumentò notevolmente quando si accorse che la sua poltrona era vuota. La casa sembrava immersa in una quiete innaturale, pervasa di aspettativa, e lei aveva la strana sensazione che qualcuno la stesse osservando. In realtà, una cosa del genere era ridicola, dato che lì a Hudson Falls vivevano isolati e che i vicini più prossimi si trovavano a una distanza notevole. Spinte di lato le sottili tende bianche della finestra, provò a sbirciare fuori. Earl aveva acceso le luci esterne, e anche con la fitta nevicata in corso non ebbe difficoltà a ispezionare le immediate vicinanze della casa. Non
c'erano ombre in cui un potenziale intruso si potesse nascondere, e quelle luci intense avrebbero scoraggiato chiunque si fosse aggirato all'esterno, dal tentare di entrare. Nonostante questo, il tratto di catena che terminava con un collare vuoto, unito all'assenza di Earl, ebbe l'effetto di spaventarla. Già si sentiva sola, abbandonata e impaurita in quella casa silenziosa, e dovette lottare contro l'impulso di accendere tutte le luci. Con un fuoco che ardeva nel camino, di solito la relativa oscurità della casa di tronchi risultava calda e accogliente, ma adesso appariva soltanto cupa e minacciosa. E fredda. Amanda si aggirò nervosamente per le stanze, massaggiandosi le spalle al di sopra del maglione per contrastare un improvviso senso di gelo. In cucina aveva insistito per avere muri a secco, in modo che la pittura bianca e la carta da parati floreale potessero fornire alla loro casa un calore più luminoso. Adesso pensò di tornare in cucina, e magari di chiamare la polizia per denunciare la scomparsa di suo marito. Probabilmente l'avrebbero presa per una vecchia scema, ma nella sua vita aveva già smesso da tempo di preoccuparsi di ciò che gli altri pensavano di lei. Peraltro Earl era ancora assente da poco tempo, e probabilmente nella notte di Capodanno la polizia aveva cose più importanti da fare che non rintracciare un vecchio che stava cercando il cane. Amanda decise quindi che poteva aspettare ancora un poco prima di telefonare. Si sarebbe seduta nella cucina luminosa e avrebbe cercato di liberarsi di quel senso di gelo, mettendosi vicina al forno ancora caldo. Ci sarebbe stato poi tempo a sufficienza per... Uno strano movimento fuori dalla finestra attirò il suo sguardo. Era stato un effetto ottico causato dalla luce, oppure... Tornata alla finestra, scostò la tenda di lato e il respiro le si condensò in una nuvola bianca davanti al volto. Intravide qualcosa che si muoveva all'improvviso, lanciandosi verso la finestra, poi un terribile urlo le paralizzò la schiena mentre... La finestra esplose verso l'interno della casa, ferendola in tutto il corpo con schegge di legno e di vetro. Istintivamente si coprì la faccia, ma non prima di vedere un'ombra indistinta, una guizzante sagoma bianca avvolta in un vortice di neve e schizzi rossi, poi fu lacerata da un dolore devastante... Saziata dal suo banchetto a base di carne umana, la creatura torna a sentire l'insistente pressione della magia selvaggia, che le impone di pie-
garsi al suo volere, di cercare quella preda speciale che deve distruggere. Ricorda il suo nome, sussurrato tanto tempo prima, e tuttavia quel nome, da solo, non significa nulla, sarebbe inutile se quella strana magia non avesse anche marchiato la preda fornendo alla creatura un mezzo sovrannaturale per rintracciarla. Anche se si trova molto lontana, la magia evidenzia un cordone psichico fra il bianco e l'azzurro, una sorta di filamento luminoso che porta fino a lei. Quel filamento lucente, sospeso nell'aria come una pulsante vena psichica, è il sentiero che la creatura deve seguire. Percepisce che la preda è giovane, il che significa che la sua carne sarà tenera e dolce, degna ricompensa di una lunga caccia. Per trovarla dovrà aggirarsi di nuovo fra gli uomini, come era solita fare in passato, ma questo la preoccupa ben poco, perché quando caccia in mezzo agli uomini, la sua naturale magia le fornisce un travestimento umano, un camuffamento illusorio da predatore, e il suo vero aspetto rimane nascosto finché non decide di colpire. Non può essere riconosciuta. Non può essere fermata. Presto la troverà, e per sbarazzarsi del pungolo febbrile della magia, per essere di nuovo libera, banchetterà gioiosamente con la giovane carne di colei che si chiama Wendy Ward. Note 1. Gli Animaniacs sono i personaggi di una serie di cartoni animati Warner creata da Steven Spielberg [ndt]. 2. Ralph Waldo Emerson (1803-1882) è uno dei maggiori filosofi americani; propone un'etica individuale basata sulla fiducia in se stessi [ndt]. 3. Praticante la religione wicca, forma di neopaganesimo incentrata sulla sacralità della Natura e sulla celebrazione di rituali magici mirati a raggiungere una forma di «armonia» con tutti gli altri esseri del creato [ndt]. 4. Divinità della religione wicca, che rappresenta la creatura femminile nelle tre stagioni fondamentali della vita [ndt]. 5. Viene lasciato in originale per mantenere il necessario gioco di parole fra Wendy go ('vai, Wendy!') e Wendigo, mostruosa creatura dei boschi del folklore americano, in qualche modo simile allo Yeti [ndt]. Capitolo 2 Windale, Massachusetts
Nel ripensarci più tardi, Kayla si sarebbe resa conto che quel lunedì, la vigilia di Capodanno, i suoi incubi avevano cominciato a consumarla anche quando era sveglia. Naturalmente la giornata in questione ebbe inizio in maniera del tutto innocente; del resto, era ancora troppo presto per arrivare a mettere in discussione la propria sanità mentale o la propria umanità. Però, se avesse posseduto soltanto un grammo di preveggenza, quel giorno se ne sarebbe rimasta a letto. Con il Crystal Path chiuso sia il 31 dicembre che il giorno successivo, Capodanno, Kayla si ritrovava davanti la prospettiva di quello che aveva definito un weekend extra; sua madre, Selena Zanella, che lavorava come cameriera al Witches' Stewpot, era meno fortunata: reagì doverosamente allo stridulo richiamo che la sveglia lanciò prima dell'alba, senza tentare neppure una volta di temporeggiare facendo ricorso al tasto snooze, con il risultato di ritrovarsi già lavata, vestita e fuori di casa prima che i raggi del sole penetrassero attraverso le strisce verticali delle veneziane, disturbando il sonno irrequieto di Kayla. Rifiutando di capitolare davanti al primo attacco del sole, la ragazza si tirò le coperte sopra la testa borbottando qualche protesta e girò le spalle alla finestra. Tre ore più tardi fu finalmente pronta ad affrontare la giornata, e un'ora dopo si sentì addirittura in condizione di affrontare il resto del mondo. Il pensiero di rimanere in casa, tormentata dai recenti ricordi di una faccia sogghignante che faceva capolino dalla finestra della sua camera da letto, bastò a indurla a uscire e ad allontanarsi dalla casa silenziosa. Non era mai stata una persona mattiniera né, conseguentemente, amante della prima colazione, ma decise che non le sarebbe dispiaciuto un piccolo spuntino al Witches' Stewpot. Un bel pasto caldo, pensò, un consistente sconto famiglia e un'occasione di far visita alla mamma. Aperto ventiquattro ore al giorno, il Witches' Stewpot era un antiquato ristorante economico situato su Main Street; il cibo buono e i prezzi ragionevoli ne facevano il luogo di sosta favorito di camionisti, turisti, studenti e windalesi... o windalieni, come a volte Kayla amava definire la gente del posto. Fortunatamente per lei, la stagione turistica estiva e autunnale si era da tempo conclusa e gli studenti si trovavano nel periodo di pausa fra i due semestri, il che significava che stavano oziando a casa, impegnati a riprendersi dai troppi esami o dai troppi party a base di birra... probabilmente da entrambi. Tutto questo significava che il parcheggio asfaltato antistante lo
Stewpot era pieno solo per metà: due semiarticolati, una manciata di furgoni per le consegne, una dozzina di macchine e un camion bianco, con la scritta Danfield Furniture Emporium applicata su un fianco con lettere dorate che cominciavano a staccarsi. Lungo e stretto, dipinto di un nero opaco, l'esterno del ristorante era messo in evidenza da una cascata di saette stilizzate ed era punteggiato di qualcosa che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto rappresentare polvere magica, il tutto realizzato con scintillante vernice color argento. Di notte, i fari delle macchine e dei camion si riflettevano su quelle decorazioni argentate che sembravano scendere a pioggia dall'insegna che spiccava sul tetto dell'edificio e che rappresentava tre streghe raffigurate secondo lo stereotipo abituale dei cartoni animati, con il cappello nero a punta e il naso coperto di verruche, chine su un calderone che esalava tortuose volute di fumo realizzate con luci a neon. Sotto il calderone, fiamme formate da neon rossi componevano il nome del ristorante, mentre le sagome delle tre streghe erano delineate da tubi di luce a neon bianca, in modo da evidenziare meglio il loro vestiario nero. Naturalmente dovevano rappresentare la congrega di Elizabeth Wither. Se da un lato non riusciva a trattenere un brivido nel vedere quel letale terzetto trattato come un semplice fumetto, dall'altro Kayla era consapevole che la maggior parte degli abitanti di Windale riteneva le tre streghe innocue, in quanto la cittadinanza partiva dal logico presupposto che tre freddi secoli separassero l'attuale Windale dalla loro malvagità. Ci metterebbero un solo istante a buttare in un fosso quelle caricature, se sapessero che sedici mesi fa la forza vitale di Wither, racchiusa in Gina Thorne, è stata responsabile di quasi una dozzina di omicidi. Dato che lavorava insieme a Wendy Ward, Kayla aveva attirato l'attenzione di Gina Thorne, in cui Wither era rinata. Gina aveva tentato di reclutare Kayla nella sua nuova congrega, costringendola a bere il sangue nero di Wither che le scorreva nelle vene, ma la ragazza era riuscita a sottrarsi a quell'arruolamento forzato nella congrega, inducendosi a vomitare il sangue infetto. In seguito, Wendy le aveva garantito che era guarita, che era del tutto libera dall'influsso malefico di Wither. Allora perché gli incubi sono ricomparsi? si chiese sulla scia di quelle riflessioni. Gina Thorne era morta, ma Kayla era tutt'altro che convinta di aver davvero visto la fine del regno di Wither. Accelerò il passo, in parte per reagire al freddo invernale, ma soprattutto per liberarsi da quei pensieri cupi. Nonostante la giornata ventosa, aveva
percorso a piedi la distanza che la separava dallo Stewpot, come aveva fatto in precedenza anche sua madre. La loro casa si trovava a meno di un chilometro dal ristorante, a pochi isolati da Main Street, e camminare fin là richiedeva una parte minima del tempo che ci sarebbe voluto per tirar fuori la macchina da dietro la barriera di neve ammucchiata dagli spazzaneve ai margini della strada e ulteriormente rinforzata da ogni loro passaggio lungo la stretta via che conduceva alla loro abitazione. Gli spazzaneve erano passati anche nel parcheggio dello Stewpot, e adesso due collinette di neve simili a parentesi congelate ne contrassegnavano ciascuna estremità, mentre piccole pozzanghere e mucchietti di fanghiglia sporca costellavano l'asfalto messo a nudo. Uno strato di salgemma scricchiolò sotto gli stivali di Kayla quando si diresse verso l'ingresso del locale; vicino alla cassetta dei giornali contenente le nuove copie del Windale Record, si soffermò a dare un'occhiata ai titoli della prima pagina, ma non vide nulla che valesse la spesa di cinquanta centesimi, e proseguì in direzione della porta del ristorante. Le maniglie di metallo applicate ai battenti di vetro doppio avevano la forma di manici di scopa, dipinti di un nero uniforme per evidenziarne la sagoma, e risultarono gelide a contatto con le sue mani nude. Non c'era da meravigliarsi se le barrette d'argento del piercing al sopracciglio sembravano piccoli ghiaccioli che le trapassavano la carne. Se non altro, pensò, quello che ho alla lingua rimane sempre al caldo. All'interno del ristorante, un lungo bancone costellato da una falange di seggiolini neri fissati al pavimento correva di fronte a una fila di separé con tavoli di formica nera e sedili di vinile arancione. Quello schema di colore, che faceva pensare a un Halloween perpetuo, indipendentemente dalla stagione o da altre eventuali decorazioni temporanee, era una cosa voluta. Come sostenevano gli onnipresenti dépliant della Camera di Commercio, «a Windale è sempre Halloween!». La varietà degli aromi, da quello dello zucchero a velo e dalla pancetta che friggeva a quello degli hamburger e dei pasticcini, ebbe l'effetto di farle borbottare lo stomaco. E poi, naturalmente, l'aria era pervasa da una quantità di suoni familiari. Accanto al rumore ipnotico dei cucchiaini che rigiravano enormi tazze di caffè e al ticchettare scandito di cucchiai e forchette contro i piatti, poteva sentire il frusciare dei giornali e un miscuglio di conversazioni che trattavano delle cose più disparate, dalle possibilità che i Patriot avrebbero avuto nei playoff alle iniziative di politica estera in un'era di terrorismo globale. Anche se non era una cosa di cui amasse vantarsi, lo Stewpot le era fa-
miliare come la sua stessa casa, e in quell'ambiente si sentiva rilassata e a proprio agio. Liberatasi della giacca di cuoio nero con il colletto e i polsini di pelliccia sintetica, Kayla la gettò su uno degli appendiabiti di ferro battuto dipinto di nero, tutti a forma di strega a cavallo della scopa, che erano fissati ai montanti dei separé. Sotto la giacca indossava un maglioncino argentato, e l'insieme era completato da un paio di jeans neri. L'unica nota di colore era rappresentata dagli orecchini raffiguranti Betty Boop: Betty strizzata in un provocante miniabito rosso. L'abbigliamento era decisamente troppo pesante per l'infaticabile sistema di riscaldamento del locale, ma sotto il maglioncino aveva soltanto il reggiseno nero e la pelle nuda, neppure una maglietta. Un vero peccato. La prossima volta si sarebbe ricordata di vestirsi a strati sovrapposti e di portare con sé i guanti. Dopo aver rivolto un sorriso e un cenno del capo a un paio di clienti abituali che l'avevano salutata chiamandola per nome, si mise a sedere sullo sgabello più vicino al registratore di cassa; in base a una sua ricerca sociologica non ufficiale sulla frequentazione dello Stewpot, sapeva infatti che quello sarebbe stato l'ultimo sgabello scelto da qualsiasi avventore non occasionale, e poiché là mangiava praticamente gratis, riteneva che scegliere uno dei posti meno richiesti fosse il minimo che poteva fare. Afferrato il bordo del bancone, fece ruotare il sedile fino a descrivere un cerchio completo, un gesto di buon augurio che era solita fare fin da bambina ogni volta che veniva allo Stewpot, ancora prima che sua madre cominciasse a lavorare là. «Ciao, Kayla», salutò Bethany. «Vuoi un menu? Oppure sei venuta soltanto a trovare tua madre?» In qualità di cameriera e di cassiera dello Stewpot, Bethany si trovava di tanto in tanto a servire ai tavoli. Aveva vent'anni, uno in meno di Kayla anche se quest'ultima aveva al suo attivo soltanto cinque anni bisestili, una sfumatura tecnica che supponeva le sarebbe tornata utile più avanti negli anni. All'epoca in cui frequentavano entrambe le superiori, Bethany aveva sempre avuto un aspetto denutrito, sottolineato ulteriormente dai capelli sfibrati di un biondo opaco, ma da quando aveva cominciato a lavorare allo Stewpot, la sua passione - qualcuno avrebbero potuto definirla debolezza - per la torta tedesca al cioccolato l'aveva aiutata a risalire qualche taglia dell'uniforme nera e arancione. Anche se questo la faceva apparire più sana, i capelli rimanevano spenti come sempre. «Sono qui per uno spuntino e per rispondere a un richiamo del sangue»,
rispose Kayla. «Non ho bisogno di un menu, solo di mia madre». «D'accordo», annuì Bethany. «Le dirò che sei qui». In quel momento le porte a doppio battente della cucina si spalancarono e Lena Zanella ne emerse camminando all'indietro, con parecchi piatti di tramezzini e alcuni cestini di patatine fritte in equilibrio su un braccio e un vassoio carico di bicchieri di soda bilanciato sull'altra mano. «Chi è arrivato?», chiese, poi vide Kayla seduta vicino al registratore di cassa. Più alta di qualche centimetro rispetto alla figlia, Lena aveva anche una figura dalle curve più pronunciate. Entrambe avevano gli occhi azzurro chiaro e i capelli neri, anche se quelli di Lena erano più lunghi e raccolti in una treccia; le labbra ampie avevano la frequente tendenza a distendersi in un sorriso generoso e disinvolto, mentre quelle di Kayla, più piene, avevano la tendenza ad assumere un'espressione imbronciata ogni volta che era pensierosa o irritata. A parte questo, la somiglianza fra madre e figlia era più che evidente. Lena indossava la divisa standard delle cameriere dello Stewpot, nera con il grembiule arancione. «Oh, Kayla! Ciao, piccola. Ti porto qualcosa da mangiare?», chiese. «Quando hai un minuto di tempo». Kayla cominciò con una pila di frittelle con lo sciroppo e un grosso bicchiere di succo d'arancia, seguiti da una coppa di frutta e da un caffè nero con il dolcificante. Mentre mangiava, sua madre si fermò a tratti a chiacchierare con lei, almeno finché non arrivava una nuova ordinazione o un'altra richiesta di caffè, e per lo più la loro conversazione si concentrò sui problemi notturni di Kayla. «Se non altro stanotte mi troverò avvantaggiata, essendo la vigilia di Capodanno», commentò Kayla. «Lascia perdere la vigilia di Capodanno. Dobbiamo capire perché stai facendo questi sogni». Kayla aveva descritto quegli incubi a sua madre in maniera edulcorata, lasciando fuori piccoli dettagli privi di importanza, come il consumare la carne di un essere umano che urlava e si dibatteva. Sua madre possedeva più libri di analisi dei sogni di quanti se ne potessero trovare al Crystal Path, e Kayla poteva solo provare a immaginare come avrebbe reagito nel sentire l'elenco completo degli orrori che si riversavano nella mente di sua figlia intorno alle tre di ogni notte. Senza dubbio, quella reazione sarebbe stata seguita dal suggerimento che Kayla si facesse ricoverare spontaneamente presso l'ospedale psichiatrico più vicino.
«Ecco, non so il perché», replicò scrollando le spalle. «Forse si tratta di stress post-traumatico, anche se non è come se stessi vivendo dei flashback». Se non altro, pensò, non sono flashback relativi alla mia vita. «Ti riferisci a quella faccenda di Gina Thorne?» Kayla annuì. Per quanto ne sapeva sua madre, Gina Thorne era stata soltanto un'adolescente impazzita, convinta di essere l'infame Elizabeth Wither. In una piccola cittadina, l'idea di un'adolescente assassina faceva già abbastanza paura, per cui Kayla aveva deciso di non mettere sua madre al corrente delle caratteristiche soprannaturali della possessione subita da Gina Thorne e della serie di omicidi che ne era derivata. In quanto madre single obbligata a lavorare, Lena si era mostrata un genitore alquanto permissivo nell'educazione di Kayla, la quale aveva risposto a quell'approccio evitando, una volta adolescente, di abusare eccessivamente dei privilegi di cui godeva. Anche se dubitava che sua madre potesse mai rimanere davvero sconvolta da qualcosa, Kayla aveva interrotto tre anni prima i tentativi volti a farne vacillare il sangue freddo. Sperando e pregando interiormente che tutta la faccenda relativa a Wither fosse ormai da considerarsi storia passata, aveva deciso che per la pace mentale di sua madre era meglio che lei venisse a saperne il meno possibile; adesso però, oltre a preoccuparsi per la propria integrità mentale, era costretta anche a prendere in considerazione gli eventuali rischi a cui avrebbe potuto essere esposta sua madre. E se Wendy si fosse sbagliata? Se non fosse davvero guarita? Kayla si aggrappava alla speranza che i suoi sogni fossero il prodotto della sua immaginazione morbosa e che non stesse realmente rivivendo eventi della vita di Wither, perché l'alternativa... «Forse dovresti consultare qualcuno». Chi, un esorcista? si disse Kayla. «Non possiamo permettercelo», obiettò. «Escogiteremo qualcosa», ribatté sua madre, scrollando le spalle. Sì, pensa già che stia dando i numeri. «Sai quanto prendono all'ora?», chiese Kayla mentre finiva il caffè. «E non ti dedicano neppure un'ora completa, solo cinquantacinque minuti. In ogni caso, non è una cosa così importante. Sono solo incubi, niente di più». Smettila di pensare a facce che ti fissano attraverso la finestra della camera da letto! «Eviterò di mangiare tacos prima di andare a dormire». «Kayla...»
«Ehi! Perché nessuno mi ha detto che Miss Kayla era qui, eh?» Bill Borkowski eruppe dalla porta doppia della cucina, vestito nella sua tenuta bianca da cuoco e pulendosi le mani massicce con uno strofinaccio. Noto come Wild Bill fin dai tempi in cui giocava a football al college, militando nella difesa, Borkowski era alto un metro e novantatré, aveva un torace enorme e i capelli bianchi tagliati a spazzola che cominciavano a diradarsi. All'inizio degli anni Sessanta aveva servito per qualche tempo nella marina, prevalentemente come cuoco, e adesso lavorava part-time allo Stewpot, prevalentemente quando risultava difficile trovare lavoro nel campo dell'edilizia. Nell'autunno del '99, dopo il ritorno della congrega di Wither e le assurde tempeste e gli incendi che ne erano derivati, l'economia di Windale aveva vissuto un periodo di boom nel campo della demolizione e della ricostruzione; era durato per oltre un anno, e questo aveva permesso a Wild Bill di guadagnare in una sola stagione abbastanza da potersi comprare la barca a motore dei suoi sogni, prontamente battezzata Millennium Madness1. «O anche M&M», era solito dire a volte, subito aggiungendo, «ma non come quel rapper». Alzata l'asse del bancone vicino al registratore di cassa, Wild Bill insinuò a fatica la propria mole nell'apertura e strinse Kayla in un abbraccio caloroso, sollevandola dallo sgabello. «Salve, Wild Bill», annaspò Kayla. «Come sta la mia bambina?» «Senza... fiato». Fin da quando aveva scoperto che Kayla era cresciuta con una madre nubile - e indipendentemente dal fatto che era abbastanza vecchio da poter essere il padre di Lena, o che la ragazza aveva ormai ventun'anni - Wild Bill aveva deciso unilateralmente di fare da sostituto padre per la ragazza, almeno finché Lena non si fosse accasata con qualche «tipo per bene». Secondo il modo di vedere di Bill, per bene era una qualità imprescindibile, anche se non si era mai espresso esattamente in tali termini. Aggettivi come coraggioso, fedele, affidabile, lavoratore e rispettabile, erano per lui tutti riuniti nell'essere un individuo per bene, una definizione che non contemplava la mancanza anche di una sola di quelle qualità. Nel posare a terra Kayla, Wild Bill notò il suo piatto vuoto. «Scommetto che non stai mangiando abbastanza, vero? Lena, guardala, sta deperendo!» La madre di Kayla si limitò a sorridere. «Qualsiasi cosa tu voglia mangiare, basta che me lo dica, e te la prepare-
rò in un momento». «Va... va bene così. Sono sazia, davvero!» E anche strizzata quanto basta, e ben lungi dal deperire, grazie tante. Un fattorino che indossava un giubbotto marrone su una divisa dello stesso colore, le rivolse un sorriso mentre passava accanto a Wild Bill e si andava a sedere sullo sgabello accanto a lei. Kayla lo notò soltanto di sfuggita, ma poi con la coda dell'occhio lo vide posare qualcosa sul bancone, e per un lungo momento le parve che la forma e le dimensioni dell'oggetto fossero sbagliate. Girò la testa di scatto, mentre l'oggetto pareva scendere al rallentatore verso il bancone, atterrandovi con un impatto echeggiante e prolungato. Intorno a lei, le voci cessarono di risuonare, le luci si attutirono e l'aria parve farsi pesante e pressurizzata, con una quantità insufficiente di ossigeno. A giudicare dalle loro azioni, gli altri non si erano resi conto che lo scorrere del tempo era rallentato drasticamente. Ignorandoli, Kayla si concentrò sull'oggetto, finendo per non riuscire più a guardare da nessun'altra parte: si trattava di un tomo scuro rilegato in cuoio... libro era una parola troppo moderna per definire ciò che stava vedendo: le sue pagine erano fragili e ingiallite, con i bordi irregolari e sgualciti, quasi sgretolati. Poi, il suo sguardo incatenato, ipnotizzato, fu attratto verso il centro della copertina di cuoio e il grande monogramma impresso su di esso, una W. Spinta dal bisogno di possedere quel tomo, di conoscerne il contenuto, Kayla protese le mani verso di esso, ignorando il fattorino che lo aveva portato nel ristorante. Tirandolo verso di sé, cercò di sollevare la copertina, ma quella rifiutò di muoversi. «Si... i... gno... rina?» Il tempo tornò di colpo a scorrere normalmente. Dopo essere rimasta con il fiato sospeso per un momento così lungo, Kayla trasse un profondo respiro, sentendo il cuore che le martellava in petto: fra le mani stringeva i bordi di una tavoletta per appunti in alluminio, una di quelle spesse, che avevano uno scomparto portaoggetti sotto la superficie per scrivere. «Signorina? Si sente bene?» Kayla annuì parecchie volte, spinse di nuovo la tavoletta verso l'uomo e scese dallo sgabello, sentendosi le gambe molli. «M... mi dispiace. Io... non so a cosa stavo pensando», disse, mentre armeggiava con il portafoglio, lasciava cadere sul bancone una banconota da dieci dollari e, senza aspettare il resto, si dirigeva incespicando verso l'attaccapanni. Sua madre la chiamò per nome.
«Cosa c'è che non va?», chiese Wild Bill. Kayla scosse il capo. «Niente», rispose. «Ho solo bisogno di prendere un po' d'aria». Infilatasi la giacca, uscì nella pungente aria del mattino, sperando che servisse a dissipare la nebbia che le aveva avviluppato la mente. Ripiegando il mento contro il petto, affondò le mani nelle tasche, troppo immersa nei propri problemi per badare al rumore di passi che le risuonava alle spalle. Una mano forte le afferrò il braccio e le sfilò la mano di tasca, poi Kayla sentì il freddo contatto del metallo contro il polso nudo, seguito dallo scatto rumoroso di... di un paio di manette! «Sei in arresto!» Ospedale dell'Università di Stanford Palo Alto, California Seduta su una scomoda sedia di ospedale, Karen Glazer era intenta a fissare la sua stupefacente figlioletta, troppo piccola e al tempo stesso troppo grande, immersa in un sonno profondo. Al suono lento del suo respiro facevano da sfondo le luci silenziose e il pulsare dei monitor. Chi avesse guardato Hannah adesso - e da parecchie ore Karen non faceva altro - non avrebbe mai immaginato cosa avesse passato nei due anni trascorsi dalla sua nascita, o nelle ultime dodici ore. La crisi convulsiva di Hannah era durata poco, ma era risultata comunque violenta. Con Art al volante della Camry 95 bianca di Karen, si erano precipitati al pronto soccorso dell'ospedale, mentre Hannah si addormentava sul sedile posteriore della macchina. In un primo tempo Karen aveva avuto paura di non riuscire più a svegliarla, ma la bambina aveva reagito alle sue scrollate chiedendo il perché di tutta quell'agitazione e dicendo loro che voleva soltanto continuare a dormire. Al pronto soccorso, il medico aveva prenotato una TAC e un EEG e aveva deciso di ricoverare la bambina in osservazione; per tutto quel tempo Karen non aveva chiuso occhio. La pesante porta da ospedale si aprì verso l'interno, attirando la sua attenzione, e un'ombra proiettata dalle luci intense del corridoio si disegnò sulla parete opposta della stanza di Hannah, rivelando i contorni della testa di Art e la sua familiare coda di cavallo. Art aveva aperto la porta con un'anca perché reggeva fra le mani un vassoio su cui spiccavano due grosse tazze di caffè e un contenitore di cartone; sparsi sul vassoio c'erano confezio-
ni di panna liquida, bustine di zucchero e cucchiaini di plastica, insieme a un sacchetto di salatini e a un pacchetto di cracker al burro di arachidi. «È successo qualcosa, mentre non c'ero?», chiese posando il vassoio sul tavolino alle spalle di Karen. «È passato il neurologo infantile», rispose Karen, che stava già scuotendo il capo a indicare quanto la cosa fosse stata inutile. «La dottoressa Montoya?», chiese Art, e Karen annuì. Avevano incontrato la dottoressa Elena Montoya circa un'ora dopo che Hannah era stata ricoverata, e avevano parlato con lei per un po' mentre la donna effettuava un rapido esame fisico della bambina. «Il risultato dei test?» «La TAC e l'EEG erano entrambi normali», replicò Karen. «Tutto è normale». S'interruppe, soffocando un singhiozzo, e Art si affrettò a stringerla fra le braccia mentre lei proseguiva: «Non trovano mai niente, Art. A che serve tutto questo?» «Ecco, qualsiasi cosa siano queste crisi, non le abbiamo certo immaginate, giusto?», ribatté Art. «Scienza e medicina non sono ancora abbastanza...» «Credo che lei si renda conto delle condizioni di Hannah», lo interruppe Karen a bassa voce, il volto contro la sua spalla. Naturalmente stava parlando della crescita e dello sviluppo fisico accelerati della bambina. «Ha parlato di trattenerla per uno studio a lungo termine». «E tu cosa le hai risposto?» Karen si appoggiò all'indietro e lo fissò con espressione significativa. «Allora, quando possiamo portarcela via?» Dal letto, Hannah mormorò qualcosa con voce assonnata. Scambiandosi una rapida occhiata che esprimeva insieme curiosità e preoccupazione, Karen e Art si avvicinarono e Karen si protese oltre la sponda del letto. «Cosa c'è, piccola?» «Adesso voglio andare a casa», borbottò Hannah. La sua voce aveva un che di remoto, come se stesse parlando in sogno. Karen le allontanò i capelli dalla fronte, badando a non smuovere le piastrine adesive o i cavi a esse collegati. «Siamo in ospedale, Hannah. I dottori vogliono essere certi che tu stia bene, prima che ti portiamo a casa». «Ora sto bene, mamma». «Ti senti meglio?»
Hannah annuì, gli occhi ancora chiusi, sospesa fra veglia e sonno. «Tutto era... mescolato... dentro la mia testa». «Adesso non ti senti più in quel modo?» Hannah scosse due volte il capo. «E sai perché è successo?», insisté Karen. Visto che i dottori non sanno che pesci prendere, tanto vale chiedere direttamente ad Hannah, pensò. «Due modi... in cui le cose possono succedere», disse Hannah. «Mi confondeva troppo. O un modo o l'altro. Tenerli dentro tutti e due... mi faceva male alla testa. Cercare di scoprire... il modo migliore mi faceva male». «Ma adesso lo sai?» Hannah annuì. «Adesso c'è... c'è soltanto un modo, Hannah?» Di nuovo, la bambina annuì. «Hannah, e questo modo è... è una cosa buona?» La risposta fu una scrollata di capo, poi la bambina si accigliò. «No. Nessuno è buono. Sono tutti e due cattivi». «Perché?», domandò ancora Karen, con voce tremante, cercando di controllare la propria paura. «Perché questo modo è cattivo, piccola mia?» «Perché...», mormorò Hannah, oppressa dallo sfinimento. «Perché adesso sta arrivando». «Cosa sta arrivando, Hannah?» Ma la bambina era scivolata di nuovo in un sonno profondo. Tre ore più tardi, quando si svegliò nuovamente, non ricordava più niente di quella conversazione. Windale, Massachusetts «Sei in arresto». Mentre la voce autoritaria risuonava nella fredda aria del mattino, Kayla si sentì tirare all'indietro per il polso ammanettato, fino a perdere l'equilibrio, e nel girarsi barcollò verso due mani forti che l'afferrarono per gli avambracci e la sorressero. Il giovane poliziotto, una quindicina di centimetri più alto di Kayla, che raggiungeva un metro e settantatré centimetri, indossava una giacca di cuoio nera, completa di cinturone di servizio con una Magnum .357 nella fondina; sfoggiava un distintivo d'argento appuntato sul taschino, pantaloni grigio scuro con una banda dorata laterale e lucidi stivali di cuoio nero.
Anche se i capelli tagliati cortissimi erano castani, i baffi ben curati avevano qualche sfumatura ramata; gli occhi verde giada, la mascella squadrata e il naso che dava l'impressione di essere stato fratturato due volte, ma rimesso a posto una soltanto, davano l'impressione di una certa bellezza virile. Nel complesso, il giovane sembrava una persona da non prendere alla leggera, una qualità importante in un agente di polizia. «Vicesceriffo McKay, mi stai mettendo sotto custodia?» «È la procedura operativa standard, signora». Rimanendo di fronte a lei, il giovane avanzò di un passo e le spinse il polso ammanettato dietro la schiena con la mano destra, servendosi della sinistra per afferrarle quello ancora libero e manovrarlo accanto a quello ammanettato; con un sonoro scatto, chiuse quindi l'altra manetta, in modo che lei avesse entrambi i polsi bloccati dietro la schiena. «Ecco», sorrise Kayla, «sei davvero un poliziotto che... cattura l'attenzione». «Sono ben attrezzato?» «Oh, moltissimo», ammise Kayla, cercando di liberare i polsi dalle manette. «Bene», commentò lui. Era abbastanza vicino da poterla baciare, e lo fece. Prendendole il volto fra le mani, si chinò su di lei e premette le labbra sulle sue. Abbandonandoglisi leggermente contro, Kayla permise alla propria bocca di schiudersi, e sentì la lingua di lui che scivolava a giocherellare con il piercing che lei aveva sulla propria. «Anche questa è una procedura operativa standard?», gli chiese. «Ho una tecnica assai poco convenzionale», mormorò lui. «Non incontra molta approvazione all'Accademia di Polizia». «Mmh», mormorò Kayla, premendo con più forza le proprie labbra contro le sue. «Io non ho certo di che lamentarmi». «Allora non ci saranno problemi di resistenza all'arresto?» «Come potrebbero essercene? Una volta, mi hai detto che sono irresistibile». «Come potrei dimenticarlo?», rise lui. «Probabilmente, in questo momento mia madre ci sta guardando», osservò Kayla, piegando la testa all'indietro e ritraendosi un poco. «Forse sarebbe ora che mi accompagnassi in cella». «Ti preoccupa che lei scopra i tuoi guai con la legge?» «Ormai è troppo tardi per questo», ribatté Kayla, «ma cerchiamo almeno
di evitare che la cosa finisca sulla colonna dei pettegolezzi del Record, d'accordo?» «Forse potremo evitare i giornali, ma i pettegolezzi? Direi che è troppo tardi», osservò lui. «In una città tanto piccola, è impossibile mettere piede fuori dalla porta di casa senza ficcare il naso negli affari di qualcun altro, signorina Zanella», continuò, girandole intorno e rimuovendo le manette, «per questa volta la lascio andare con una semplice ammonizione». «Ma la prossima volta mi presenterai il conto con gli interessi, giusto?», ritorse lei, con un sorriso provocante. «Senti, sto per smontare dal servizio», disse lui. «Torna con me all'edificio di pubblica sicurezza e vedremo cosa fare riguardo a quella cella». «Oooh! E possiamo attivare la sirena e passare qualche semaforo rosso?» Insieme si avviarono verso la macchina di pattuglia, una Crown Victoria bianca e nera le cui portiere erano decorate con la sagoma di una strega a cavallo di una scopa, accanto a cui il numero 911 era dipinto in grossi numeri bianchi sullo sfondo di un cerchio nero che rappresentava una luna piena; sotto la luna spiccavano poi le parole POLIZIA DI WINDALE e il numero telefonico del dipartimento di polizia. «Prometti di comportarti bene», ammonì McKay, tenendo aperta la portiera per Kayla, «altrimenti ti sistemerò sul sedile posteriore, dietro il vetro a prova di proiettile». «Che ne sarà della mia reputazione di ribelle?», obiettò Kayla. «A te la reputazione, a me i rimproveri», ribatté Bobby, aggirando rapidamente il muso della macchina. Kayla scivolò intanto sul sedile anteriore e adocchiò il cruscotto, affascinante con tutti quegli interruttori e quelle luci intermittenti, come sempre stupita dal numero di apparecchiature che il dipartimento di polizia era riuscito ad assemblare. Sopra il parabrezza c'era una videocamera a circuito chiuso che entrava in funzione ogni volta che le luci interne venivano accese, sul cruscotto era montata una pistola radar e davanti a essa c'era lo schermo da dodici pollici del Terminale Dati Mobile; la relativa tastiera era posata sulla massiccia consolle fra i due sedili anteriori, dove dominava il display e il microfono della radio. Al di sopra della partizione di vetro antiproiettile era stata montato un fucile Remington 870 a canne sovrapposte bloccato da una catena. L'attenzione di Kayla era però concentrata sulla fila di interruttori rossi situati sulla consolle antistante i comandi radio, interruttori che controllavano tutti i
fischi, le sirene e le luci... Affascinante. Con movimenti resi fluidi dalla pratica malgrado l'ingombro del cinturone di ordinanza, Bobby prese posto al volante della macchina di pattuglia e subito si accigliò notando che Kayla cominciava ad armeggiare con i comandi. Allontanandole la mano dagli interruttori, la costrinse a posarla in grembo. «Senti un po' questa proposta», suggerì Kayla. «Se lo sceriffo Nottingham dovesse multarti, potrai sculacciarmi». «Niente sirene, e niente luci lampeggianti». «Guastafeste». Anche se Bobby si aspettava qualche nuova iniziativa, Kayla si lasciò sprofondare sul sedile, incrociò le braccia e appuntò lo sguardo nel vuoto, a malapena consapevole delle occhiate indagatrici del suo ragazzo e del sommesso borbottio che giungeva dalla radio della polizia e ricreava una specie di sottofondo. Kayla finiva sempre per chiedersi come avessero fatto lei e Bobby a legare, a diventare una coppia, e spesso si domandava anche come mai si sentisse tanto a proprio agio quando era con lui; soltanto negli ultimi giorni era finalmente riuscita a mettere bene a fuoco la risposta a quegli interrogativi, ma scoprirla e gestirne le ripercussioni erano due cose del tutto diverse. A prima vista, costituivano una coppia davvero insolita. Lui era ligio alle regole, mentre lei amava vivere a modo suo; Bobby rappresentava la legge e l'ordine, laddove lei era una ribelle, una esponente della «gioventù bruciata» del nuovo millennio. Il modo in cui si erano incontrati era l'unica cosa a non avere niente di insolito. In seguito al breve ma devastante regno di terrore instaurato da Gina Thorne, lo sceriffo Nottingham aveva incaricato Bobby di tenere regolarmente d'occhio il Crystal Path e i suoi dipendenti, particolarmente Kayla. Bobby non era ancora a Windale quando si era scatenata la furia omicida di Gina Thorne, ma la sua assunzione era stata una diretta conseguenza di quegli eventi, perché Jen Hoyt, che era entrata a far parte della congrega di Gina, aveva ucciso uno dei vice dello sceriffo Nottingham, il secondo a perdere la vita in servizio in meno di un anno (il solo vice rimasto, Jeff Schaeffer, aveva deciso che la vita del poliziotto sarebbe stata più tranquilla e sicura nell'Ovest, e aveva fatto le valige per il Wyoming). Dopo gli omicidi e la distruzione che si erano scatenati nell'autunno del 1999 e poi nell'estate del 2000, gli stanziamenti a favore del dipartimento di polizia erano stati rivisti e aumentati, data la notevole
carenza di attrezzature e di personale; lo sceriffo Nottingham aveva così ottenuto tre nuove autopattuglie e l'autorizzazione ad assumere quattro agenti nel 2001 e altri quattro nel 2002. Robert Louis McKay, arrivato di recente da Baltimora, era stato il primo dei nuovi arrivi e aveva avuto modo di toccare con mano gran parte della devastazione che Gina si era lasciata alle spalle... il che lo aveva portato dritto da Kayla. Tutte le merci del Crystal Path erano state distrutte o depredate e tutti e tre i dipendenti erano stati vittime di violenza, diretta o indiretta. Tristan Roger era rimasto ucciso nel negozio, fatto a cui nessuna dose di assistenza civica poteva porre rimedio. Kayla aveva assistito all'omicidio in questione, poi era stata rapita, abusata fisicamente e costretta a sottomettersi alla contaminazione da parte del sangue infetto di Gina (fra le vittime superstiti, Wendy Ward era stata quella che aveva maggiormente sofferto, avendo perso entrambi i genitori). Essendo stato l'epicentro di tanta morte e tanta distruzione, il Crystal Path si era meritato un incremento dei pattugliamenti e delle visite a sorpresa a opera della polizia, incarico che era diventato parte regolare della ronda quotidiana di Bobby McKay. Anche se, ignorando il parere di sua madre, aveva rifiutato l'offerta delle autorità cittadine di pagarle una consulenza psicologica, Kayla si era resa conto di trovare piacevoli le visite quotidiane che il giovane vicesceriffo aveva continuato a fare al Crystal Path durante il lungo periodo di restauro e di riassortimento. Dato che la fonte di pericolo era ormai scomparsa, erano stati entrambi consapevoli che quella particolare attenzione era più una cortesia che una forma di protezione, ma ciononostante avevano continuato a recitare il rispettivo ruolo. Nell'arco di parecchi mesi - il tempo di cui Kayla aveva avuto bisogno perché il ricordo dell'assassinio di Tristan si facesse sfocato e distante, pur senza riuscire a dimenticarlo - l'alchimia fatta di conversazione cortese e di crescente attaccamento reciproco aveva modificato i loro abituali rapporti approdando progressivamente al corteggiamento scherzoso; finalmente, in una bella giornata luminosa quanto illuminante, Bobby le aveva chiesto nel modo più convenzionale possibile di uscire con lui per andare a cena e al cinema. Quasi stupita di sé, Kayla aveva accettato. La cena era stata un gradevole insieme di conversazione brillante e di silenzi esitanti, mentre il film era risultato un disastro, tanto che dopo la prima mezz'ora avevano deciso di comune accordo di mollarlo. Bobby aveva allora suggerito di andare a ballare: Kayla aveva accettato, proponendo un rave nell'area di Boston.
Erano seguiti altri appuntamenti, sporadici perché Bobby era limitato dagli straordinari e dai cambi di turno a cui era costretto nell'attesa che lo sceriffo arruolasse altri agenti. Le settimane erano diventate mesi, il tempo a disposizione era aumentato, e Bobby e Kayla si erano ritrovati a trascorrere insieme una quantità sempre maggiore del rispettivo tempo libero. E in tutto quel periodo, Kayla non si era mai chiesta per quale motivo fossero diventati la coppia più insolita di Windale. Aveva il sospetto che Bobby nascondesse in sé l'animo di un ribelle e che quella componente del suo io fosse particolarmente attratta da lei, una persona che amava sfidare o ignorare le convenzioni. Forse era perfino riuscita a ingannare se stessa, inducendosi a pensare che il suo obiettivo in quel rapporto fosse far affiorare il ribelle che era dentro Bobby, sgretolare il muro di convenzione e di conformismo dietro cui si trincerava. Adesso però cominciava ad avere il sospetto che il proprio subconscio avesse avuto fin dall'inizio motivazioni del tutto diverse - motivazioni che erano state portate alla superficie dai suoi recenti incubi. Anche se Bobby apprezzava la sua singolarità, non era quella la ragione principale per cui si sentiva a proprio agio in sua compagnia. No, era perché la faceva sentire al sicuro. Un guardiano della comunità che diventa un protettore personale, pensò. Ricordava bene i loro dialoghi iniziali, le battute che lei aveva fatto riguardo al trovare di proprio gradimento un uomo in uniforme. Possibile che quelle battute fossero servite a mascherare un bisogno più profondo di sentirsi al sicuro? Se avessi accettato quell'offerta di consulenza psicologica, forse adesso conoscerei la risposta a questa domanda, si disse. La fredda verità era di fatto che lei era stata presente quando i due sicari di Gina - i suoi strumenti - avevano assassinato Tristan, per poi minacciare anche lei con lo stesso coltello; e anche se Gina e i suoi sicari erano morti, una parte di lei si sentiva ancora vulnerabile, ferita ed esposta. O forse era soltanto una sensazione che le derivava dal trovarsi a Windale; ultimamente la città aveva l'effetto di innervosirla. Mi sento al sicuro? si chiese. Oppure mi sento protetta soltanto quando sono con Bobby? È questo tutto ciò che lui significa per me? O fra noi c'è davvero qualcosa? D'accordo, tutte queste domande sono troppe, e non ci sono abbastanza risposte. «A cosa stai pensando?», chiese Bobby mentre dirigeva la macchina all'interno del parcheggio municipale. «Cosa...? Oh...» Kayla sospirò, si accorse che si era accasciata sul sedile
e si raddrizzò. «Pensavo che forse è il caso di cambiare pettinatura», continuò, portando una mano ai capelli induriti dal gel. «Gli spuntoni a gogò sono un po' sorpassati». «Davvero?», ribatté Bobby; parcheggiata l'autopattuglia accanto alla centrale, a due posti di distanza dalla sua Mustang GT rosso ciliegia, spense il motore. «Cos'hai in mente?» «Capelli blu», rispose Kayla. «Ti vergogneresti di farti vedere in pubblico con me, se avessi i capelli di un blu iridescente? Tu sei un Windale Blue2, e io sarei Kayla Blue». «Saresti facile da individuare in mezzo a una folla», replicò Bobby, poi prese a massaggiarsi distrattamente il braccio a cui lei aveva sferrato un pugno scherzoso a titolo di risposta, e aggiunse: «I capelli sono i tuoi. Chi sono io per evitare di ammirarli?» «Sei il mio ragazzo, ecco chi sei», disse Kayla con tono solenne. «Dio, quanto suona trito e sdolcinato». «Lo pensi davvero?» «Cosa? Trito e sdolcinato?» «No, i tuoi capelli. A cosa stavi pensando, prima?» «Ne parleremo, ma più tardi», temporeggiò Kayla, e di fronte alla sua espressione dubbiosa aggiunse con un sospiro: «Prometto. Ora va' a cambiarti e tagliamo la corda, prima che mi venga l'impulso di confessare crimini che non ho commesso». Dieci minuti più tardi, quando Bobby uscì dalla centrale, Kayla era seduta a gambe incrociate sul cofano della Mustang, con la schiena appoggiata al parabrezza e gli occhi chiusi. Non stava dormendo, stava solo riesaminando mentalmente l'immagine di quell'antico tomo, la fugace illusione che aveva sperimentato quando quel fattorino in uniforme marrone aveva posato la sua tavoletta per gli appunti sul bancone dello Stewpot. Tutto era apparso così nitido: il monogramma inciso, quello sfregio nel cuoio a forma di W, la grana scura e grossolana della copertina, i bordi crepati e ingialliti delle pagine racchiuse all'interno. Era convinta che fosse stato qualcosa di più di una mera allucinazione. Era piuttosto una specie di visione, si disse. La tavoletta di alluminio era stata un fattore scatenante, un mezzo per informarla dell'esistenza di quell'antico libro. Forse esiste ancora. «Cattive notizie», annunciò Bobby. Le palpebre di Kayla si sollevarono a fatica, come se si stesse riscuotendo da uno stato di trance autoindotta, per non parlare del torpore provocato
dal freddo intenso. Forse era davvero una trance, pensò. Autoipnosi? Al Crystal Path c'erano una dozzina di libri su quell'argomento. «Dimmi di che si tratta». Bobby si era cambiato, indossando un cappello a visiera, una giacca verde pisello, jeans sbiaditi e stivaletti Timberland, un insieme che lo faceva sembrare un marinaio in licenza. Ecco, forse tranne che per gli stivali, rifletté Kayla. Ruotate le gambe oltre il bordo della macchina, tese la mano per farsi aiutare a scendere. Lui l'afferrò per la vita, l'assistette nella discesa e quando gli atterrò accanto le assestò una pacca scherzosa sul posteriore. «Quello è il cofano di una macchina, non la panchina di un giardino pubblico», osservò. «L'ultima volta che mi hai sorpresa seduta sulla tua macchina, abbiamo fatto sesso sul cofano», protestò Kayla accigliata, massaggiandosi la parte offesa. «Se ben ricordo, quella volta non hai avuto di che lamentarti». «Se ben ricordo, era una notte di primavera, ed eravamo lontani dai parcheggi municipali». «D'accordo, allora che mi dici del picnic all'Harrison Park? O di quella mattina nella Round-the-Clock Laundromat? E che dire...» «Ecco, in quelle occasioni siamo stati poco discreti». «Per loro natura, discrezione e passione sono due cose incompatibili». «E tuttavia riescono in qualche modo a coesistere, in una società civile», ribatté Bobby, sorridendo anche se stava scuotendo il capo. «Ora salta su». Kayla levò gli occhi al cielo, ma obbedì. «Allora», disse dopo che Bobby fu salito a sua volta, ebbe acceso il motore e attivato il riscaldamento, «quella di prima era una valutazione personale, oppure stavi cercando di dirmi qualcosa?» «Cosa?» «Mi riferisco alle "cattive notizie"». «Oh, no, non si tratta di te, tu sei zucchero speziato, Kay», replicò Bobby con un sorriso. «Più spezie che zucchero». «E assolutamente simpatica, vero?» «Quando non fai la cattiva», precisò lui scrollando le spalle. «Torna in argomento, McKay». «Stanotte devo lavorare», sospirò Bobby. «Devo riprendere servizio alle undici». «Oh, no».
«Oh, sì». «Ma è la vigilia di Capodanno. Stanotte dovevi essere fuori servizio». «È vero», annuì Bobby. «Fino al momento in cui il Capitano Kirk non si è trovato confinato a letto a causa di un fastidioso virus intestinale». Soprannominato affettuosamente «Capitano Kirk»2 dai colleghi, James Kirkbride tollerava bonariamente la cosa, pur non apprezzandola in modo particolare. «Nottingham rimarrà in servizio, e vuole avere con sé me e Curtis almeno fino all'alba, nel caso che ci sia qualche problema». «Cosa mi dici di Auto Club?» Angelo Ambrose Antonelli, detto Auto Club dai colleghi, era l'ultimo nella lista in quanto ad anzianità... però c'era un problema. «È andato a Disneyworld, ricordi?», rispose Bobby. «È partito in macchina con la famiglia la settimana prima di Natale: due settimane di code interminabili e di animazioni elettroniche. Rientrerà solo il 3 gennaio». «Potrebbe prendere l'aereo e tornare in tempo», obiettò Kayla in tono petulante. «Kayla...» «Lo so», annuì lei protendendosi a stringergli affettuosamente la coscia. «È solo che quello che mi hai appena dato è un preavviso troppo breve». «Per te?» «Certo. Mi lascia meno di dodici ore di tempo per trovare qualcuno da baciare a mezzanotte». «Ah, ah», commentò Bobby, uscendo dal parcheggio municipale per immettersi nel traffico di mezzogiorno. «Potresti dare un bacio sulla guancia a tua madre». «E tu potresti saltare il turno». «Non posso farlo». «E se a mezzanotte meno un quarto segnalassi la presenza di un malintenzionato?» «Potrebbe anche funzionare», ammise lui arricciando le labbra. Kayla sorrise, poi lasciò vagare lo sguardo fuori dal finestrino mentre passavano davanti al nuovo Museo delle Streghe. In un primo tempo, le parve strano non essere ancora andata a visitarlo, ma poi ricordò che il museo era stato riaperto al pubblico dopo tutta la faccenda con Gina Thorne, in un periodo in cui lei aveva voluto soltanto mettere una grande distanza fra se stessa e tutto ciò che aveva a che vedere con Wither e la sua congrega di assassine. Rabbrividì.
«Hai freddo?» «No», rispose Kayla. «Andiamo da qualche parte, spogliamoci e teniamoci abbracciati». «Mi piace il tuo modo di pensare», approvo Bobby. «Casa mia?» «Codardo!» «Con questo vento gelido, credo che fuori ci siano almeno dieci gradi sotto zero», ribatté Bobby. «Quei tuoi capelli coperti di gel ti si spezzeranno come ghiaccioli. Onestamente, ti va davvero di rimanere nuda là fuori?» Visto che il suo bluff era stato scoperto, Kayla scosse il capo e prese a fissare la strada vuota. «Ehi, non mi hai ancora detto a cosa stavi pensando davvero, prima». «Prova a immaginarlo». «Devo preoccuparmi?» «Ti preoccupi troppo», dichiarò Kayla, stringendogli di nuovo la coscia. «Rischio del mestiere». «Pensa solo a guidare, d'accordo?» Annuendo, lui le diede un'ultima occhiata incuriosita, poi concentrò la propria attenzione sulla strada, mentre Kayla prese a contemplare distrattamente il centro di Windale dal finestrino. Oltrepassarono il basso edificio di mattoni rossi dell'ufficio postale, un tassidermista, una lavanderia a secco, Becket Books con la sua insegna di un occhialuto topo di biblioteca, il grandioso Palace Cinema con la sporgente tettoia a cuspide. Ormai chiuso da mesi, dopo essere stato condannato alla demolizione a causa di danni strutturali e di un crollo parziale del tetto, l'antiquato ed elegante teatro era già avviato comunque sulla china di un progressivo declino economico dovuto alla concorrenza dei multiplex di Harrison e di Peabody, e probabilmente quella crisi economica spiegava come mai il proprietario non fosse stato assicurato. Con le bacheche vuote e la targa con la scritta IN VENDITA, il Palace costituiva uno spaccato di decadimento urbano nel cuore di Windale. Kayla distolse lo sguardo dall'edificio abbandonato. Un silenzio cameratesco scese fra loro quando si lasciarono alle spalle l'area del centro cittadino. Ben presto le case cominciarono ad essere più distanziate, un dilatarsi delle distanze tipico della periferia che si trasformò gradualmente in un'area rurale e agricola dove la strada a due corsie si faceva più stretta, con una quantità di cumuli di neve fangosa a occuparne praticamente tutto il bordo. A causa del traffico molto più rado, le strade extraurbane avevano la tendenza a ghiacciare in fretta e a diventare perico-
lose, e costituivano luoghi isolati e potenzialmente letali; accalcati ai due lati della strada tortuosa come un raduno di sentinelle silenziose, scheletrici alberi decidui si alternavano a pini e abeti, impervi al gelo invernale. Il silenzio assunse poi una qualità spettrale, perfino il lieve ronzio prodotto dagli pneumatici della macchina parve perdersi in lontananza, e Kayla si sentì scivolare in quello stato semi-ipnotico che aveva già sperimentato in precedenza. Poi la Mustang cominciò a ruotare su se stessa... E una scarica elettrica si scatenò lungo la schiena di Kayla. «Cos'è stato?», chiese. «Una chiazza di ghiaccio invisibile», replicò Bobby togliendo il piede dall'acceleratore e controsterzando per riprendere il controllo della macchina. «Continuo a ripetermi che dovrei venderla e prenderne una a quattro ruote motrici. Questa era già poco adatta agli inverni di Baltimora, e quaggiù è un vero e proprio suicidio su ruote». «Non era questo che intendevo. Ho avvertito qualcosa... d'altro». «Cosa?» Kayla guardò verso gli alberi alla sua destra e sussultò. «Ferma la macchina!» Prima ancora che la Mustang si fosse completamente arrestata, Kayla spalancò la portiera e scese sull'asfalto scivoloso. Al di là della fila di alberi c'era qualcosa che la stava chiamando, non con una voce fisica, e di certo non con delle parole o con un suono udibile. Era una comunicazione a un livello più profondo e primitivo, forse addirittura istintivo, al tempo stesso un'esortazione e un invito pressante. Una convocazione? Qualsiasi cosa fosse, era troppo importante per poterla ignorare, per quanto fosse difficile darle una spiegazione, troppo fragile e fugace per poter essere esaminata, come se si cercasse di tenere un fiocco di neve sul palmo della mano, e l'unica alternativa era quella di rispondere al richiamo. «Kayla! Kayla, aspetta!» Kayla si girò: Bobby aveva parcheggiato la Mustang addossandola ai cumuli di neve e aveva acceso le quattro frecce; aggirato il retro della macchina, superò con un salto i cumuli irregolari di neve e la seguì lungo il lieve pendio che portava agli alberi. «Fa' presto!», gridò Kayla. Forse perché si era distratta, il richiamo cominciò ad attenuarsi. Tornò a girarsi verso il bosco, tormentandosi con impazienza il labbro inferiore e concedendosi soltanto una minima esitazione prima di riprendere a camminare fra gli alberi, dove il suo passo venne rallentato da otto
centimetri di neve intatta, a tratti anche più profonda. Continuò comunque a camminare, prendendo una storta a una caviglia e inciampando in una radice che affiorava sul terreno. Bobby intanto stava accorciando le distanze, ma Kayla arrivò per prima alla radura, al cui centro si levava un accumulo disordinato di legno fragile e carbonizzato: quanto restava di un vecchio incendio. «Conosco questo posto», affermò Bobby quando infine riuscì a raggiungerla. «Lo sceriffo mi ha portato qui, poco dopo che sono stato assunto. Ha detto che si trattava di un granaio di proprietà di un certo Stone, Matthias Stone, che era stato complice e favoreggiatore di un gruppo di donne convinte di essere la reincarnazione delle originali streghe di Windale». Per settimane lo sceriffo Nottingham aveva tenuto quell'area perimetrata in quanto scena ufficiale di un crimine, senza dubbio il crimine più infame di tutta la storia di Windale. Resti umani smembrati in diversi stadi di decomposizione, da pochi giorni a centinaia di anni, erano stati sepolti un po' ovunque nella proprietà di Stone, e all'interno del granaio era stato trovato un assortimento di ossa completamente spolpate, da cui era stato succhiato anche il midollo. Erano trascorsi due anni da quando quei resti erano stati rimossi per essere seppelliti. Ma questo posto è ancora malvagio, pensò Kayla. In qualche modo irradia un'aura maligna. Forse di notte vi fanno ritorno gli spettri. «Non erano reincarnazioni», sussurrò. «Erano quelle stesse streghe». «Questo è impossibile», fu la replica di Bobby. «Avrebbero dovuto avere trecento anni». «Sì», annuì Kayla, «ma Wither era molto più antica di così». «Dai, questa è una storiella per turisti». «Non hai idea», ribatté Kayla, scuotendo il capo. «In ogni caso, non è qui». «Cosa non è qui?» «Non qui... ma vicino», aggiunse Kayla a bassa voce. «Lo sento». «Tutto questo è follia», protestò Bobby. «Non ho idea di cosa tu stia parlando». «Allora siamo in due», dichiarò Kayla, allontanandosi dai resti carbonizzati del granaio di Matthias Stone e imboccando un sentiero che dal granaio puntava verso gli alberi. Confuso, Bobby sollevò le mani all'altezza dei fianchi, poi le lasciò ricadere scuotendo il capo in segno di resa, e la seguì senza altre proteste. Più
avanti videro una fattoria abbandonata e cadente, con la vernice bianca quasi completamente scrostata, le assi del portico distorte, le finestre infrante da tempo. «La casa di Stone», commentò Bobby. La costruzione non aveva alcun interesse per Kayla, che deviò sulla destra lungo uno stretto sentiero che sembrava invisibile finché non lo ebbe imboccato, come se gli occhi le stessero giocando uno strano scherzo. Su entrambi i lati, i tronchi degli alberi s'inclinavano verso l'interno come richiudendosi, e anche se era primo pomeriggio, il cielo si fece scuro come se fosse già calato il crepuscolo. Bobby prese a guardarsi intorno come se si fosse smarrito, accorgendosi che respirare gli riusciva sempre più faticoso e difficile. «Kayla, c'è qualcosa che non va. Dovremmo tornare indietro». «Serve a scoraggiare gli intrusi». «Che cosa?» «Il luogo». «In che modo?» «Non lo so. Forse un incantesimo di qualche tipo». «Se lo dici tu...», commentò Bobby. «Per me, è tutto assurdo». «Ma lo senti anche tu, vero?» Accigliandosi, Bobby si massaggiò la nuca, e Kayla ebbe l'impressione di vederlo rabbrividire. «Sì, e tu?», chiese lui. Kayla annuì. «Allora perché stiamo dirigendoci verso questa cosa, quale che sia?» «Perché c'è qualcosa di ancora più forte». Finalmente il claustrofobico sentiero boschivo sbucò in una piccola radura che misurava meno di tre metri di diametro; all'estremità opposta c'era una pietra grigia, liscia e oblunga, larga quanto una panchina da parco ma inclinata con un'angolazione di dieci gradi. Kayla sollevò lo sguardo verso il tratto di cielo che faceva capolino da sopra il cerchio di alberi. Era ancora troppo buio. «Che ore sono?», domandò. Bobby lanciò un'occhiata all'orologio, e scosse il capo. «Non può essere giusto. Dovrebbe essere mezzogiorno, al massimo mezzogiorno e mezzo». «L'orologio cosa segna?» «Le cinque e mezzo», rispose Bobby, sempre più accigliato.
«Mi torna». «Come? Non abbiamo camminato tanto a lungo». «Me ne sono resa conto quando siamo entrati nella radura. Sto morendo di fame, come se non avessi mangiato da parecchio tempo». Riportò lo sguardo nella direzione da cui erano venuti, e aggiunse: «Prima il senso di paura, e adesso questo. In qualche modo il tempo rallenta quando si viene in questa direzione. Lei era in grado di alterare la natura, quindi perché non avrebbe potuto fare lo stesso anche con lo scorrere del tempo?» «È più probabile che il mio orologio abbia bisogno di pile nuove». «Forse è una spiegazione più confortante, ma il cielo buio e il mio stomaco concordano entrambi con il tuo orologio». Kayla riprese a guardarsi intorno nella radura. La neve si era sciolta - o forse non era mai caduta - il terreno era caldo e spoglio e il posto appariva del tutto anonimo, a parte la pietra liscia. Si trattava di un luogo speciale. Lì lei teneva qualcosa! Avvicinatasi alla pietra oblunga, Kayla vi s'inginocchiò davanti e fece scorrere il palmo sulla superficie, da sinistra a destra. La pietra era grigia, a tratti chiazzata di scuro, e sembrava vibrare sotto il suo tocco. «Forse questo era un altare». «E forse dovresti allontanarti di lì», ribatté Bobby, muovendo verso di lei qualche passo esitante. «Qualsiasi cosa sia, potrebbe non essere sicura». Kayla girò la testa di scatto, fissandolo con occhi roventi. «Non ho bisogno che tu mi protegga, McKay, sono cresciuta abbastanza». «Intendevo soltanto...» Kayla cominciò a tremare come per un freddo intenso, con i denti che battevano. «So cosa volevi dire. Che sono... una sventata, che ho bisogno della mia... guardia del corpo personale perché mi tenga fuori... fuori dai guai». «Kayla?» «Ebbene, signore, ho una notizia per... per lei», continuò Kayla, mentre prendeva a oscillare, il suo equilibrio sempre più precario. «Sono in grado di... badare a me stessa». «Kayla, il tuo naso», esclamo Bobby. «Sta sanguinando». Si premette contro le narici le dita della mano destra, avvertì una sensazione di bagnato e le ritrasse per esaminare il sangue. «Oh, Dio! Oh, Dio, no...» Forse è solo colpa della luce... qui è così buio e forse non è...
Era in bilico sull'orlo di una crisi isterica, di un abisso che poteva mettere a repentaglio la sua integrità mentale. Bobby intuì che c'era qualcosa che non andava, al di là della semplice epistassi: coperta la distanza che li separava, s'inginocchiò davanti a lei e la prese per le spalle. «Che c'è che non va? Dimmelo». Con le guance rigate da lacrime silenziose, Kayla si morse le dita dell'altra mano. «Bobby, guarda!», gemette, sollevando le dita tremanti e insanguinate perché lui potesse vederle. «Oh, Dio, Bobby, è nero... il mio sangue è nero!» «Non capisco...» «Dobbiamo andarcene», disse Kayla, lo stomaco attanagliato dalla morsa del panico. «Dobbiamo andare via di qui. Subito!» E allungò una mano dietro di sé, verso la liscia pietra grigia, per puntellarsi e aiutarsi a rialzarsi sulle gambe deboli, per fuggire da quella radura, dal bosco, da tutta quella malvagità che era penetrata nel terreno come la contaminazione radioattiva di un reattore nucleare. Mentre spingeva contro la pietra, l'aria divampò intorno a lei, con un'esplosione di luce e un rombo soffocato. Kayla precipitò in avanti nell'oscurità, già priva di sensi prima che il corpo colpisse il terreno. Fargo, Nord Dakota «Per quanto tempo si fermerà da noi?», chiese l'impiegato alla reception del Fargo Motor Lodge. «Solo stanotte», rispose Wendy, rosicchiandosi un angolo dell'unghia del pollice. «Tutta sola?» Il tono intimo della domanda e il sorriso in tralice troppo familiare strapparono Wendy dal suo stato di tranquillità. In un batter d'occhio, la valutazione dell'uomo che aveva davanti passò da innocuo impiegato a potenziale minaccia, e la indusse a metterlo meglio a fuoco. Si trattava di un individuo prossimo alla quarantina, appesantito ai fianchi, con capelli biondo sporco che cominciavano a diradarsi sulla testa, occhi pallidi, una faccia grassoccia e baffi spioventi che evidenziavano il mento sfuggente. Indossava una camicia bianca sgualcita chiazzata di sudore sotto le ascelle, una cravatta a farfalla azzurro polvere, jeans chiari e stivali di cuoio graf-
fiati e consunti. Niente fede nuziale. «La cosa le crea qualche problema... Lloyd?», chiese, ricavando il nome dalla targhetta di riconoscimento bianca e verde. «A chi? A me? No, no», rispose l'uomo, alzando le mani in un gesto conciliatorio. «Nessun problema. Soltanto», continuò, schiarendosi la gola, «è decisamente insolito, ecco tutto, dato che... insomma, dato che è la vigilia di Capodanno». Scrollò le spalle. «Immaginavo che una ragazza giovane e carina avrebbe...» «Ho guidato a lungo», tagliò corto Wendy. «Ora posso avere la chiave, per favore?» «Certo, la chiave». L'uomo posò una chiave d'ottone con la targhetta di plastica bianca sopra la carta di credito di Wendy e spinse il tutto verso di lei. «Stanza 2-1-3. Su questo lato, secondo piano». «Grazie». «Se dovesse avere bisogno di aiuto per portare di sopra il bagaglio, signorina Ward, basta che me lo dica. Aiutarla sarebbe un piacere, davvero». «Me la caverò da sola». «Non ne sia tanto sicura. L'ascensore è rotto». «Sono più forte di quanto sembri». Lloyd interpretò quella frase come l'occasione per squadrarla per bene, con un'espressione che minacciava di diventare lasciva. Non che lei stesse rivelando molto, infagottata com'era in un piumino voluminoso, con jeans neri e calosce. «Bene, allora si goda il soggiorno qui da noi». Wendy uscì di nuovo fuori e l'aria fredda le tolse il fiato. Che viscido verme, pensò. Nella sua mente, il desiderio di un'immediata doccia purificante combatteva con il vivido ricordo della morte violenta di Janet Leigh in Psycho, tanto da indurla a chiedersi se fosse stato davvero saggio spezzare in due il viaggio. Il tragitto da Winnipeg a Minneapolis era di circa nove ore, forse anche meno, a seconda delle condizioni della strada e del numero di soste. Non sarebbe stata una cosa impossibile... se avesse voluto arrivare a Minneapolis in tempo per passare con Alex la notte di Capodanno. Naturalmente, l'alternativa sarebbe stata quella di trovare un motel a Minneapolis e di non chiamare Alex per avvertirlo che era arrivata, ma aveva dubitato di avere la forza di volontà necessaria: trovandosi tanto vicina, avrebbe finito per cedere. Dovette ricordare a se stessa che aveva lasciato Winnipeg appositamente per trascorrere da sola quella sera di festa; inoltre, lo strano incantesimo che aveva fatto seguito alla sessione
di scrittura automatica l'aveva sconvolta: se a questo si aggiungeva il messaggio della Vecchia che l'avvertiva di mettersi subito in viaggio, tutto, e non soltanto le sue precarie emozioni, indicava che doveva dirigersi a sud. Aveva lasciato la Nissan Pathfinder verde bosco parcheggiata sotto il portico del motel; sospirando, saltò a bordo e sbatté la portiera con un po' più forza del dovuto. Appeso allo specchietto retrovisore, dondolando avanti e indietro, c'era un pupazzetto in legno di Winnie Pooh da appendere all'albero di Natale, raffigurato con un barattolo di miele stretto sotto un braccio, un oggettino che aveva acquistato dopo aver scoperto che il personaggio aveva preso il nome da un orso in carne e ossa di nome Winnipeg. Portò il SUV nello spiazzo sul retro del motel, trovò un posto vicino alle scale esterne, e parcheggiò con le ruote anteriori addossate ai mucchi ghiacciati creati dagli spazzaneve. Il Fargo Motor Lodge era un lungo rettangolo a due piani circondato da un parcheggio a forma di U; l'ascensore fuori servizio si trovava vicino alla parte anteriore del motel, affiancato dai distributori di ghiaccio e di bevande, mentre le scale erano posizionate sul retro, vicino a un paio di cassonetti dei rifiuti da cui esalava un odore sgradevole, ben più penetrante della naturale fragranza proveniente dalla fila di abeti che cresceva subito dietro il parcheggio. Prelevò dal bagagliaio soltanto la borsa col nécessaire per la notte. Il SUV era stato la macchina di sua madre, e le era parso più adatto della sua Civic per quel viaggio prolungato, ma guidarlo aveva l'effetto di ricordarle di continuo che sua madre e suo padre non c'erano più, che entrambi erano stati uccisi da Gina Thorne mediante una tempesta di fulmini che aveva distrutto la residenza del preside del college, e con essa la maggior parte dei beni dei suoi genitori. Wendy aveva lasciato in custodia i pochi oggetti che si erano salvati, ma non aveva ancora dato alcuna disposizione al riguardo, volendo attendere un anno prima di prendere qualsiasi decisione. L'anno si era poi trasformato in sedici mesi, perché era più facile rimanere lontana da casa, dai ricordi che sopravvivevano in mezzo alle cose che erano appartenute ai suoi genitori. Un giorno sarebbe stata abbastanza forte da affrontarli, ma non quel giorno, e probabilmente neppure l'indomani. Trascinando il trolley sopra la moquette verde che copriva il corridoio esterno, Wendy cercò la sua stanza, verificando le targhette numerate di ottone annerito sulle porte scrostate. Dal momento che la gestione del motel non aveva convertito le serrature meccaniche, sostituendole con lettori elettronici di schede, decise che po-
teva esercitarsi ad aprire la porta con la magia. Fece scorrere lentamente le dita lungo i solchi e i rilievi della chiave d'ottone con una carezza delicata, prima di riporla nella tasca dei jeans insieme alla sua targhetta di plastica. In quel modo stava barando leggermente, ma la cosa le avrebbe fatto risparmiare parecchio tempo. Sfilatasi il bracciale di pietre, lo fece ruotare fino a serrare fra il pollice e l'indice l'agata e il cristallo di quarzo. Dal momento che il quarzo era di aiuto in numerose attività magiche, ne aveva intervallato un cristallo a ciascuna delle altre pietre, in modo da poterli toccare simultaneamente. Quelle pietre l'aiutavano a focalizzarsi, ad accumulare l'energia magica attraverso la mano ricettiva per poi modellarla con la propria volontà. Aveva provato anche a esercitarsi nella magia senza l'ausilio delle pietre, ma il loro impiego le permetteva sempre di arrivare alla visualizzazione più in fretta. Ogni volta che assumeva la sua veste di mentore, la Vecchia ribadiva che quel bracciale era una semplice stampella mentale, facendo ricordare a Wendy che, quando stava muovendo i primi passi nel campo della magia wicca, aveva avuto bisogno anche di un'altra stampella, il rituale del cerchio protettivo. Per lei è facile definirla cosi, pensò. Usando la stampella costituita da una macchina, riesco ancora a completare un percorso più in fretta di quanto possa fare a piedi. A volte, approfittare di un piccolo aiuto rendeva la vita più semplice... Subito dopo, Wendy allungò la mano destra, quella proiettiva, verso la serratura, concentrandovi sopra la propria consapevolezza e percependone il meccanismo interno. Le prime serrature che aveva aperto erano state quelle con il pulsante a pressione; i dispositivi a chiave erano molto più difficili, ma il suo indice destro conservava ancora il ricordo tattile della chiave. Visualizzò l'energia come luce dorata che si solidificava e assumeva la forma della chiave, e nel liberare quell'energia girò il polso destro, come se stesse ruotando la chiave fantasma nella serratura, poi sorrise sentendo lo scatto del chiavistello che si ritraeva nel suo alloggiamento. La Vecchia sarebbe orgogliosa di me, si disse. O meglio, a parte il fatto che ho toccato la chiave. L'ironia insita nel ricorso a quel tipo di magia risiedeva ovviamente nel fatto che avrebbe potuto aprire la porta con la chiave vera in un tempo notevolmente minore. Si stava preparando in previsione del giorno in cui avesse perduto o dimenticato una chiave, o in cui si fosse trovata nella ne-
cessità di entrare a forza in una stanza. Un momento più tardi era dentro la camera 2-1-3, e stava esaminando la propria sistemazione per la notte. Accesa la luce, inarcò un sopracciglio e sospirò. «Se non altro, è pulita», cercò di farsi forza, ma arricciò comunque il naso per il lieve sentore d'acido che c'era nell'aria. Le coperte erano sottili e malandate, la moquette logora sfoggiava una mezza dozzina di bruciature di sigaretta, e la carta da parati era costellata di macchie. Dopo aver chiuso a chiave la porta, gettò la valigetta sull'unica sedia e si sedette ai piedi del letto. Un misto di voci chiassose e musica rock penetrava da entrambi i lati attraverso le pareti sottili della stanza. Sembrava che da un lato fosse in corso una festa, dall'altro una lite. Puntellati i gomiti sulle ginocchia, posò il mento sui palmi congiunti. «Si può sapere perché ho voluto passare questa notte sola come un cane?» Da qualche parte lungo la I-29 224 chilometri a nord di Fargo, Nord Dakota Vede il sentiero che porta fino a lei - la sua preda speciale - e quel sentiero si stende lungo la strada fatta dall'uomo. La creatura corre quindi parallelamente alla strada - quasi instancabile e perennemente famelica e continua a invidiare quelle macchine che passano ruggendo, incredibilmente veloci. Neppure la sua corsa più rapida può tenere testa a quei veicoli scintillanti. Anche lei deve essere a bordo di uno di essi, perché la creatura la sente molto più lontana di quanto fosse quella mattina. Se vuole mai avere una speranza di rimuovere quell'ossessione e riuscire a distruggere la preda speciale, si dovrà adattare ai mezzi degli umani e ai loro strumenti. Deve cercare l'opportunità di viaggiare come ora viaggiano gli umani, perché allora e soltanto allora, potrà accorciare la distanza e porre fine all'inseguimento. Assumendo il suo fittizio aspetto umano, devia verso la strada e rallenta in maniera quasi intollerabile, fino ad assumere un'andatura umana... e si dispone ad attendere l'occasione giusta... Note 1. Millennium Madness significa 'Follia del Millennio' [ndt].
2. Protagonista della popolare serie tv Star Trek, da cui sono stati ricavati anche numerosi film per il cinema [ndt]. Capitolo 3 Da qualche parte lungo la I-29 176 chilometri a nord di Fargo, Nord Dakota 31 dicembre 2001 «Accosta». «Oh, Cristo, Clay! Non mi dire che ti scappa da pisciare proprio adesso. Là fuori ti congelerai il pisello». «No, Hank, non devo pisciare», rispose in tono indignato Thomas Clay dal sedile passeggero del pick-up Dodge Ram chiazzato di ruggine. «Accosta senza tante storie, d'accordo?» Henry Turner diresse il pick-up verso il bordo della strada, dove le ruote passarono scricchiolando sui resti dell'ultima nevicata. «Gesù, siamo ancora a un paio d'ore da Fargo. Spero che tu abbia un buon motivo per fermarti». Henry parlava con una Marlboro spenta che gli pendeva all'angolo delle labbra, perché da un paio di settimane aveva deciso per l'ennesima volta di smettere di fumare; a volte, limitarsi a tenere una sigaretta fra le labbra gli bastava, ma di tanto in tanto cedeva all'impulso di accenderla. Una crisi d'astinenza del cazzo, pensava in quei casi, e quella era la frase che spesso lo si sentiva borbottare subito prima di cominciare a frugarsi in tasca alla ricerca di uno Zippo. «Guarda quel vecchio laggiù», replicò Clay accennando alle proprie spalle con un gesto secco del pollice. «Diamogli un passaggio fino a Grand Forks, o in qualche altro posto, prima che crolli dove si trova». «Quale vecchio?», chiese Hank, guardando accigliato nello specchietto retrovisore. Infine si voltò e guardò fuori dal finestrino, girandosi di qua e di là fino a individuare la figura curva che avanzava con passo pesante circa un centinaio di metri più indietro del pick-up, e a dieci metri dal bordo della solitaria autostrada interstatale. Il vecchio aveva una folta e arruffata massa di capelli fra il bianco e il grigio, e indossava un lungo cappotto nero. «Quel figlio di buona donna è davvero alto, non trovi?» Clay annuì. «Che diavolo ci fa quaggiù, in un deserto di neve?»
«Forse gli si è rotta la macchina». «Non l'ho vista lungo la strada». «Nemmeno io, ma siamo molto distanti da qualsiasi centro abitato». «Devo ammettere che per essere un vecchio cammina veloce». «Che ne dici di fare retromarcia?» «Perché diavolo dovrei farlo? Ha visto che ci siamo fermati. Ma guarda un po'... adesso non sembra più così scattante, non trovi?», disse Hank, sfregandosi le mani davanti alla ventola del riscaldamento. «Siamo ancora dannatamente lontani da Fargo. Spero proprio che l'amica di Janet sia calda e arrapata come dici tu». Clay annuì, si schiarì la gola e allungò le mani verso la visiera del suo cappello da baseball dei Minnesota Twins, piegandone i lati verso il basso in un gesto nervoso. Hank notò il movimento e capì subito che c'era qualcosa che non andava. «Al diavolo! Mi hai rifilato una bufala di qualche tipo, vero?» «Accidenti, Hank, non ti devi preoccupare. Fidati di me, Janet mi ha detto che Lisette è davvero una bella sventola». Hank Turner aveva il volto cotto dal sole, stretti occhi grigi che ricordavano il colore del ghiaccio sporco, baffi cespugliosi e un ispido velo di barba vecchio di due giorni; così rada, la barba gli conferiva una sorta di rude avvenenza, ma lui stava prendendo in considerazione di lasciarla crescere un po' di più per nascondere il mento sfuggente. Da quando Maria se n'era andata, infatti, aveva cominciato a preoccuparsi del proprio aspetto. «Quello che mi stai dicendo, è che non hai mai visto personalmente questa Lisette, vero?» «No, non di persona», ammise Clay. «Però è divorziata, come te, e ha alle spalle parecchie conquiste, stando a quello che ho sentito». «E a questo curriculum si accompagna magari un culo grande come una chiatta». «Nemmeno per sogno, Hank», ribatté Clay. «Lisette ha una bella figura... Ecco, quelle due si scambiano i vestiti, quindi hanno la stessa taglia. Non ti preoccupare». «Allora scommetto che ha una faccia da cavallo», disse Hank. «Sei un gran bastardo, Hank. Non mi meraviglia che tu non riesca mai a scopare». «Scopo quanto voglio, invece». «Contando anche le pecore?» «Fanculo, Clay», tagliò corto Hank tirando fuori lo Zippo. «Guarda, il
tuo arzillo vecchietto è qui». «Ottimo. Adesso smettila di preoccuparti di Lisette, Hank. È la vigilia di Capodanno. Ti ubriacherai, e scoperai. Garantito». Il vecchio continuò a camminare fino ad arrivare all'altezza del finestrino passeggero, poi rimase fermo, curvo in avanti, a fissare i due. I capelli gli ricadevano intorno al viso in una massa incolta, e la faccia - quel poco che si riusciva a vedere fra le sopracciglia cespugliose e lo schermo costituito da baffi e barba - appariva pallida e immobile in modo innaturale. Una volta, da ragazzo, Hank era stato a un museo delle cere a Las Vegas, e ricordava quelle facce senza vita, prive di qualsiasi animazione, quei vuoti occhi di vetro, che lo avevano spaventato a morte, provocandogli incubi per settimane. Quel vecchio aveva gli stessi occhi privi di vita delle repliche di personaggi famosi esposte nel museo delle cere, occhi che sembravano fissare senza vedere; indossava vestiti comuni e insignificanti, il lungo cappotto nero era aperto e lasciava vedere una camicia o una maglia bianca. Per chissà quale motivo, distinguere i particolari era difficile, come in una fotografia sfocata. Clay abbassò il finestrino. «Dove sei diretto?», chiese. Senza parlare, il vecchio indicò verso sud, lungo l'interstatale. «Considerati fortunato e salta su. Ti faremo posto». Quando Clay aprì la portiera, la cabina di guida fu invasa da una folata di aria gelida che portava con sé un odore nauseante, inducendo Hank ad arricciare il naso con aria disgustata. «Fanculo, Clay, non gli permetterò di viaggiare qui dentro. Quel bastardo puzzolente può sedersi di dietro». «Fuori? Al freddo?» «Sempre meglio che camminare». Scrollando le spalle, Clay si girò verso il vecchio e con un gesto del braccio gli indicò il piano di carico del pick-up. «Il mio amico dice che devi viaggiare lì dietro, vecchio». Il vecchio annuì, si trasse indietro e si arrampicò oltre il pannello laterale del furgone, che scricchiolò e gemette per l'improvviso aumento di peso. Per un momento, Hank immaginò le ruote anteriori del pick-up che si sollevavano da terra e scoppiò in una risatina nervosa. Alto quasi due metri, il vecchio sembrava di una magrezza scheletrica, ma evidentemente doveva avere un fisico che ingannava lo sguardo. In lui c'era qualcosa di decisamente strano, a parte gli occhi vitrei e il lezzo orribile.
Forse è un po' fuori di testa, pensò Hank, guardando verso il vecchio che se ne stava seduto sul pianale, immobile come una statua, con la schiena addossata alla cabina di guida, le ginocchia ripiegate contro il petto e le braccia strette intorno a esse. Dopo che Clay ebbe rialzato il finestrino, Hank ingranò la marcia e riportò il Dodge Ram sulla I-29. «Puzza maledettamente, non trovi?», commentò, e quando Clay annuì, aggiunse: «Come se quel figlio di puttana si fosse scordato di pulirsi il culo». «Forse non ha più il controllo, da quelle parti», suggerì Clay. «Ad alcuni succede, quando diventano molto vecchi». «Se vuoi, prova pure pena per quel bastardo», ribatté Hank, «ma vigilia di Capodanno o meno, stanotte finiremo per andare in bianco tutti e due, se puzzeremo come due fogne intasate». «Bene, adesso è là fuori, quindi non ci sono problemi», replicò Clay. «Fidati di me». Una sorta di istinto primitivo avvertì Hank che avrebbe fatto meglio a non prestare fede alle rassicurazioni di Clay. La premonizione era maledettamente azzeccata. Per fortuna Hank avrebbe avuto a disposizione solo un fugace, doloroso momento per rimpiangere di non averle dato ascolto. Windale, Massachusetts Kayla si sentiva il collo irrigidito. Borbottò qualcosa, poi si accigliò nel rendersi conto che le parole non suonavano comprensibili; aveva il lato destro della fronte premuto contro il finestrino gelato. «Kayla?» Le palpebre le si sollevarono a fatica, la consapevolezza riaffiorò a poco a poco e l'ambiente circostante si mise gradualmente a fuoco, permettendole di rendersi conto che era rimasta priva di sensi e si era accasciata di lato sul sedile di destra della Mustang di Bobby. Raddrizzandosi, sollevò una mano per nascondere uno sbadiglio monumentale e si accorse che il cielo era buio; su entrambi i lati della macchina in movimento, gli alberi erano sagome inquietanti che torreggiavano sul tappeto di neve candida, che appariva a sua volta stranamente incandescente. «Ho fatto un sogno stranissimo...», cominciò, scuotendo il capo. «Eravamo nel bosco, e...» «Non è stato un sogno».
Per un momento, Kayla fissò Bobby in silenzio, poi si portò una mano alle narici: l'emorragia era cessata. «Ti sto portando al General Hospital». «No, niente ospedali», disse Kayla. «Kayla, là fuori sei svenuta». «Adesso sto bene», garantì lei, e quando Bobby non si mostrò per nulla convinto, aggiunse: «Senti, ultimamente ho dormito male, d'accordo? E tutta la stanchezza mi è... mi è semplicemente piombata addosso. Tutto qui». Fece un profondo respiro carico di tensione, poi: «Il naso. Mi stava...». «Hai avuto un'emorragia». «E il sangue... era...» «Hai creduto che fosse nero». «E non era così?» «Era buio laggiù, e probabilmente hai immaginato che fosse nero», rispose Bobby. Kayla si guardò le dita per esaminare le macchie di sangue, e quando non ne trovò, lui aggiunse: «Ti ho pulita, per evitare di sporcarti i vestiti. Ho sfregato della neve su un fazzoletto. Prima che tu me lo chieda», continuò scrollando le spalle, «il fazzoletto non ce l'ho più, l'ho perduto laggiù, da qualche parte. Mi deve essere caduto di tasca». «Mi hai portata in braccio fino alla macchina?» «Non riuscivo a svegliarti, e non avevo intenzione di lasciarti là svenuta mente correvo a cercare aiuto». «È un bel tratto di strada da fare, reggendo un peso». «Non me ne sono nemmeno accorto». «Sei più forte di quanto sembri, vero?», sorrise Kayla. «Si è trattato di pura e semplice forza adrenalinica, Kay. Ero preoccupato per te». «Hai... hai perso del tempo nel tornare indietro?» «Non ho guardato l'orologio», replicò lui scuotendo il capo, «ma ho fatto in fretta, e non ci sono stati cambiamenti nel cielo. Qualsiasi cosa sia stata a provocare quell'effetto, funziona soltanto in un senso. Personalmente, penso che ci siamo immaginati tutto e ci siamo autosuggestionati». Ben sapendo quale fosse la verità, Kayla rabbrividì, ma preferì non insistere sull'argomento. «In ogni caso, adesso mi sento bene. Atteniamoci al nostro piano originale. Portami a casa tua». «Mi sentirei più tranquillo se ti visitasse un dottore».
«Io mi sentirei meglio se fossi tu a visitarmi», ribatté lei, carezzandogli un braccio. «Ecco», tergiversò lui, fissandola con gli occhi verde giada, mentre la sua determinazione cominciava già a indebolirsi, «non posso certo trascinarti in ospedale a forza». «No, non puoi farlo», convenne Kayla, «quindi portami a casa tua finché la notte è ancora giovane». Del resto, pensò intanto, l'ospedale sarebbe una perdita di tempo. I dottori non erano certo attrezzati per riuscire a diagnosticare quello che lei riteneva essere il suo problema. Wendy, forse... Ma Wendy non era più tornata a Windale da mesi, e l'ultima volta si era fermata solo per brevissimo tempo. Posso contare solo su me stessa, si disse. D'impulso, afferrò la mano destra di Bobby posata sulla leva del cambio, e la strinse. Rimasero entrambi in silenzio per il resto del tragitto. Bobby aveva preso in affitto entrambi gli appartamenti di una villetta bifamiliare da una vecchia signora che trascorreva nove mesi all'anno in Florida; durante i semestri autunnale e primaverile del college, ne subaffittava uno a qualche studente che aveva un mezzo di trasporto personale e a cui non importava di vivere a parecchi chilometri di distanza dal campus. Alcuni preferivano addirittura quella sistemazione fuori mano, perché garantiva loro una certa privacy, e anche per la vista che offriva; quando poi scoprivano di avere come padrone di casa un poliziotto, gli inquilini accantonavano immediatamente qualsiasi progetto potevano aver accarezzato riguardo a orge a base di birra che durassero tutta la notte, evitando così di suscitare le ire del vicinato. Essendo per natura una persona mattiniera, Bobby aveva scelto il lato destro della bifamiliare, perché gli piaceva il modo in cui la luce del mattino si riversava attraverso le finestre; inoltre il vialetto di destra aveva una tettoia per la macchina che proteggeva la lucida vernice rossa della Mustang dai raggi del sole, dalla grandine e dal bombardamento degli uccelli. Avrebbe preferito un garage, ma in un'abitazione in affitto anche quella tettoia poteva bastare. Kayla lo prendeva sempre in giro, sostenendo che la casa era troppo grande per lui. Bobby aveva portato con sé pochissime cose da Baltimora, e da quando si era trasferito a Windale non aveva fatto molti sforzi per arredare l'abitazione, attribuendo la cosa alla mancanza di tempo. Alcune stanze erano quasi completamente arredate, altre apparivano disabitate. Nella sala da pranzo c'erano una lampada a stelo, un portaombrelli di vi-
mini e un tappeto navajo al centro del pavimento di legno; nient'altro. Nella seconda camera da letto aveva sistemato una vecchia scrivania di metallo con un PC assai poco utilizzato, e una branda dall'aria poco comoda per accogliere potenziali ospiti. Cactus in vaso, di diverse forme e dimensioni erano sparsi per tutta la casa, e alle pareti erano appese svariate fotografie di famiglia, immagini della parte sudovest degli Stati Uniti e le riproduzioni incorniciate di diversi avvisi di taglia risalenti all'epoca del Selvaggio West. Bobby appese le loro giacche in un armadio a muro, poi si offrì di preparare delle bistecche e delle patate al forno, ma Kayla suggerì invece di ordinare una pizza. Anche se non aveva smesso completamente di mangiare carne, sapeva che Bobby preferiva le sue bistecche piuttosto al sangue, e da quando erano cominciati gli incubi non era certo nello stato d'animo giusto per guardare del sangue che colava sul piatto. Scrollando le spalle con fare accomodante, Bobby prese il telefono e fece l'ordinazione. «A quanto pare, dobbiamo aspettare un'ora prima che arrivi la pizza», annunciò. «Sbagliato», dichiarò Kayla, avvicinandosi e posandogli le mani sulle spalle. «In che senso?» «Non è un'ora di attesa», dichiarò Kayla. «È un'ora di passione». «Prospettiva interessante», commentò Bobby appoggiando l'indice sull'anellino di metallo che attraversava il centro del labbro inferiore di lei. «Hai qualche idea specifica?» «Cominciamo con una bella doccia bollente», propose Kayla, attirando il volto di lui verso il proprio e baciandogli le labbra in due lievi passaggi, da sinistra a destra e viceversa. «Poi magari improvvisiamo». «Ci sto». «Prima devi spogliarmi», gli ricordò Kayla con un sorriso malizioso. Abbassata la cerniera degli stivali, se li tolse con un calcio, poi sollevò le braccia e Bobby le sfilò il maglione, aspettando che lei liberasse la testa e le braccia; sotto, Kayla indossava un reggiseno nero con la chiusura sul davanti, che Bobby sganciò prontamente, sentendo il peso dei seni di lei liberati dalla costrizione gravargli in modo sensuale contro il dorso delle mani. «Mmh... porti sempre il reggiseno». «Regola di moda», replicò Kayla, trattenendo leggermente il fiato quando lui insinuò le mani sotto le coppe di satin del reggiseno. «Mai tenere a
contatto maglioni di lana e piercing al capezzolo». Soltanto il capezzolo sinistro era perforato da un sottile anello di acciaio, ma la prima volta che quel cerchietto si era impigliato in un maglione era stata così dolorosa da farle giurare che sarebbe stata anche l'ultima. Girandosi nel cerchio delle braccia di lui, avvertì un delizioso brivido di eccitazione quando Bobby le chiuse i palmi intorno ai seni e prese ad accarezzarle i capezzoli con il pollice, dedicando una particolare attenzione all'anello che passava attraverso quello sinistro. Quelli che Kayla definiva i suoi piercing pubblici, consistevano nelle barrette attraverso le sopracciglia, nel cerchietto alla narice destra e in quello al labbro inferiore, senza contare i lobi e le cartilagini delle orecchie che sfoggiavano un mix di oggettistica varia assieme ad alcuni orecchini decorativi. Il cerchietto all'ombelico era pubblico in modo elastico, esposto durante i mesi estivi e nascosto per il resto dell'anno, mentre quello alla lingua era un jolly a sé stante, in quanto a volte veniva notato e a volte no. Kayla aveva dovuto lavorare parecchio per perdere la pronuncia blesa che le causava, e per compensarla finiva spesso per parlare con una dizione scandita e precisa. Le mani di Bobby le scivolarono lungo l'addome per slacciarle i jeans e tirare giù la cerniera, poi agganciò i pollici e gli indici lungo il bordo del calzoni neri e li spinse giù. Per un momento la sua mano destra indugiò sopra le mutandine nere, premendo contro la morbida curva che esse coprivano, ma ben presto cedette alla tentazione e le sfilò anche quelle. Se da un lato pareva non notare quasi i piercing pubblici di Kayla, o almeno non faceva mai commenti al riguardo, Bobby era costantemente affascinato da quelli privati. Oltre al piercing al capezzolo sinistro, e solo dopo aver bevuto un paio di bicchierini di vodka per farsi coraggio, Kayla si era infatti fatta fare un altro piercing sulla sommità del clitoride. Se da un lato non era pentita di quell'ultimo piercing, il più intimo di tutti, dall'altro le era scattato nel cervello una sorta di interruttore sociale automatico, che consisteva in una specie di dichiarazione di principio: basta così. Aveva sentito storie di persone che sviluppano una dipendenza dalla chirurgia plastica o dai tatuaggi, al punto che in loro il bisogno di esprimersi cessa di dare ascolto all'autocensura, e se da un lato non le importava che gli altri la considerassero strana - anzi, era una cosa che la divertiva e che la incoraggiava, finendo con l'essere il suo piccolo grido di guerra ribelle - dall'altro non voleva finire per considerarsi lei stessa tale. Finiamo tutti per darci una linea di confine, o almeno dovremmo farlo,
si era detta. Era soddisfatta della quantità e varietà dei suoi piercing, e sperava di continuare ad esserlo per sempre. Un'ondata di piacere la fece tremare quando le mani di Bobby le scivolarono di nuovo sull'intimità più segreta, giocherellando con l'anellino, poi sorrise fra sé nel sentire che improvvisamente si immobilizzavano. «Sì?» «Sei... sei completamente rasata». «Ah, lo hai notato?» «Difficile non accorgersene». «Di recente ho attraversato un periodo di avversione ai peli», disse Kayla, «e mi sono chiesta perché dovessi limitarmi a depilare gambe e ascelle. Avevo pensato di rasarmi anche la testa, ma forse per ora tingermi i capelli di blu sarà un cambiamento sufficiente». Scoppiò a ridere, poi sussultò nel sentire le mani di lui che scendevano in esplorazione più in basso. «Ti piace?» «Mmh...» «Credo vada interpretato come un sì», commentò Kayla, appoggiandogli contro il petto e assaporando le esplorazioni in corso alla convergenza delle cosce. «Oh... sembra decisamente un sì». Si girò di nuovo, lasciando che le mani di lui le scivolassero lungo i fianchi fino a racchiuderle le natiche nude. Passandosi la lingua sull'anello che le trapassava il labbro, con dita d'un tratto goffe cominciò a slacciare i bottoni della camicia di flanella e dei jeans di Bobby; in un minuto furono entrambi nudi. «Boop boop be doop», canticchiò Kayla nella sua migliore imitazione di Betty Boop, poi prese Bobby per mano e lo pilotò verso il bagno e la promessa doccia bollente. Entrambi sapevano che la doccia era soltanto un preludio: stuzzicandosi a vicenda con le mani, le labbra e la lingua, avrebbero attizzato il calore del reciproco desiderio fino a portarlo ai massimi livelli. Ben presto furono un groviglio di arti insaponati che si stringevano e scivolavano via, gli occhi chiusi ma la bocca aperta e annaspante a causa degli spruzzi di acqua bollente e delle ondate di piacere crescente. Parzialmente avvolti in morbidi asciugamani, raggiunsero entrambi la camera da letto con passo un po' incespicante, lasciandosi cadere di traverso sul letto e bagnando le coperte con la pelle ancora umida; si rotolarono insieme, non ancora fuori controllo e tuttavia impazienti, alla ricerca di una posizione comoda che li soddisfacesse entrambi.
In termini di manifestazione fisica della passione, Bobby fu inizialmente in vantaggio, infiammato forse dalla novità visiva del sesso glabro di lei, dominato dallo scintillante accessorio che le attraversava il clitoride. Con la fronte aggrottata in un'espressione di piacevole concentrazione, tenne allargate le ginocchia sollevate di Kayla affondando in profondità dentro di lei, e sottolineò ogni affondo sfregando il proprio bacino contro il suo, in modo da eccitarla con il movimento e la pressione del piercing. Kayla rispose con bruschi sussulti, gli occhi socchiusi, mentre cercava di aggrapparsi a ogni istante, a ogni sensazione, a ogni sconvolgente ondata di piacere. Quando infine Bobby tremò, cedendo a sua volta all'orgasmo, e le si accasciò contro, Kayla lo trasse maggiormente a sé e premette la bocca contro quella di lui, insinuandogli la lingua fra le labbra e ascoltando il ticchettare del piercing contro i propri denti e contro quelli di lui. Ben presto, però, la sua attenzione si rivolse altrove. Poco più tardi, dopo averne ridestato l'eccitazione usando bocca e lingua, Kayla scivolò a cavalcioni su di lui e lo accolse dentro di sé con un lungo movimento lento e profondo. Stavolta cominciò piano, con le gambe ancora deboli e tremanti per le dolci ripercussioni dell'estasi di poco prima, guardando l'alzarsi e abbassarsi del petto di lui nell'affanno della passione rinnovata. Le sue mani le accarezzarono le cosce e le si chiusero intorno alle natiche; poi, quando lei si chinò in avanti per baciargli il petto, le scivolarono sui seni, stuzzicandoli. La pelle le formicolava ovunque, ogni momento era un nuovo distillato di piacere, e quasi inconsciamente lei accelerò il ritmo fino a renderlo febbrile. Il respiro le si fece affannoso, e quando Bobby chiuse gli occhi, fece altrettanto, perché in quel modo poteva concentrarsi sul brivido di piacere che le provocava sentirselo dentro, che la riempiva, pulsante, avvicinandosi all'esplosione e... e oltrepassandola con un sussulto e un brivido dei muscoli tesi, un dolce atto di resa. Con uno sospiro di sfinimento, si abbandonò contro di lui assaporando il calore della vicinanza dei loro corpi sudati, dei respiri che si mescolavano, lasciando che il tempo trascorresse, finché non lo sentì scivolare fuori; allora gli si raggomitolò contro, il braccio destro steso sul petto di lui. «Mmh...», mormorò. «Tutto qui? Mmh?» «Troppo stanca per parlare». «Mmh», convenne Bobby. Dopo qualche minuto, aggiunse: «Che sensazioni ci sono... laggiù?» E per chiarire la propria affermazione si girò verso di lei, allungando la
mano sinistra per esplorare l'area in questione. «Ah, ecco, tutto è molto sensibile al tocco», replicò Kayla posando la propria mano sulla sua e tenendola ferma, poi si protese verso di lui e gli accarezzò i baffi con l'indice. «Mi pare di riuscire a distinguere ogni singolo pelo». Bobby sorrise, ma dopo un momento, nell'abbassare lo sguardo sul petto di lui, Kayla si accigliò. «Oh! Ti ho graffiato!», esclamò. Le sue dita avevano tracciato due graffi paralleli che correvano dalla clavicola alla base del torace, gonfi e rossi nel mezzo, dove le sue unghie erano affondate maggiormente. Kayla premette per un momento le dita su di essi, poi se le portò davanti alla faccia, arricciando le labbra. «Verso la fine ti sei lasciata trasportare un poco», commentò Bobby con un sorriso nervoso, e Kayla si accorse che non gli piaceva molto il modo in cui lei stava esaminando il suo sangue. «Non ti preoccupare». Il campanello suonò prima che lei potesse rispondere. Senza preoccuparsi di coprire la propria nudità, Kayla saltò giù dal letto, guardandosi di nuovo le dita. «Aspetta qui», disse. «Ho un'idea». Mentre lei usciva a grandi passi dalla camera da letto, Bobby balzò in piedi, afferrò un accappatoio dall'armadio e la seguì. «Se apri la porta in quel modo, farai meglio a non dare la mancia al ragazzo delle pizze». Già in fondo alle scale, Kayla svoltò verso la cucina. «Il ragazzo delle pizze?», ripeté, mentre il campanello suonava ancora. «Oh... quel ragazzo delle pizze». Abbassò quindi lo sguardo sulla propria nudità, con tanto di scintillanti piercing metallici, e aggiunse: «Allora tienilo fuori della cucina». Mentre Bobby si allacciava in vita l'accappatoio e prendeva alcune banconote che aveva lasciato sul tavolino vicino all'ingresso, Kayla attraversò il corridoio che portava in cucina e accese le luci centrali. Non le interessava molto cercare di non farsi vedere... dopotutto, l'infreddolito fattorino delle pizze stava per andare a godersi la notte di Capodanno, e l'esibizionista che era in lei non se la sentiva di negargli una piccola emozione gratuita; tutta la sua concentrazione era dedicata a frugare nei cassetti di cucina, alla ricerca di ciò di cui aveva bisogno. Quando Bobby venne a raggiungerla, lei gli stava dando le spalle. Lasciato cadere sul tavolo il contenitore della pizza, Bobby si girò verso l'ar-
madietto sopra il lavandino e ne prelevò due piatti di carta. «Il coltello per la pizza è in fondo al...», cominciò, poi la guardò in faccia e il suo sguardo seguì quello di lei, andandosi a posare sul grosso coltello da scalco che Kayla stringeva nella destra, con tanta forza da farsi sbiancare le nocche. «Kayla...?» Lei sbatté le palpebre, fissandolo sconcertata come se fosse appena emersa da uno stato di trance. «Eh?» «A che ti serve quel coltello?» «Io... devo vedere il mio sangue», replicò Kayla deglutendo a fatica. Diario di Wendy Ward 31 dicembre 2001 Luna calante, ultimo quarto, giorno 16 Fargo, Nord Dakota Wendy Ward, in diretta dal perimetro claustrofobico della stanza 213 del Fargo Motor Lodge dove, dopo parecchie ore di una noia tale da intorpidire il cervello, sono finalmente riuscita a scomporre la strana, aspra mistura di odori nei suoi componenti di base: birra stantia, vomito vecchio e Lysol. In ogni caso, alcuni punti a favore della gestione per l'uso del Lysol. È una causa persa, ma almeno ci stanno provando. Poco fa sono scesa ai distributori automatici per prendere una Diet-Coke e ho visto il viscido-impiegato-Lloyd che si aggirava vicino al distributore del ghiaccio come un barbone vicino a un cassonetto dei rifiuti. Mi ha detto di considerarmi invitata a una festa privata nella stanza 240. Sottolineando la parola «privata». Probabilmente, lui e un paio di suoi amici intenti a guardare un canale porno. L'ho ringraziato e, come si suol dire, mi sono affrettata a battere in ritirata. Forse, se pensa che mi farò viva alla sua squallida festa, per adesso mi lascerà in pace (sigh). Sono preoccupata per Hannah... la Vecchia non è più tornata a casa di Tara e ho la sensazione, anzi, definiamola pure una premonizione, che dovrei chiamare Karen per sentire come sta Hannah. Ci ho provato due volte, ma a casa non c'era nessuno e ho lasciato un messaggio sulla segreteria. Chissà, forse Karen e Art sono andati a una festa di Capodanno e hanno lasciato Hannah con una babysitter. Spero proprio che sia così. Se non la smetto di preoccuparmi per tutto quello che non ho sotto controllo, finirò per dare i numeri. L'interrogativo più pressante è: come sono finita qui?
Ancora prima che attivassi io stessa l'incantesimo a tempo annidato nel mio inconscio da oltre un anno, la Vecchia mi aveva avvertita di lasciare Winnipeg. Ho avuto troppa paura di rimanere... e sono stata troppo vigliacca per trovare il coraggio di fare il resto del tragitto fino a Minneapolis. Non potevo correre il rischio che Alex mi attirasse nella sua orbita. Sola con Alex la vigilia di Capodanno... D'accordo questo non sta succedendo, ho evitato di consumarmi in quel genere di atmosfera, cosa per cui posso benissimo aspettare domani. Quindi forse ho scelto questa topaia per punirmi della mia vigliaccheria, forse mi merito l'odore disgustoso, la moquette bruciacchiata e le pareti di cartongesso. Sembra che ultimamente non faccia che autopunirmi. Ebbene, se voglio essere onesta con me stessa - e a che altro serve un diario, se non a questo? - non c'è ragione per usare la parola «ultimamente». Ho continuato ad autopunirmi da quando... da quando Wither ha assassinato i miei genitori per vendicarsi di me. Devo essere ancora più onesta? Non ho viaggiato né ho fatto la turista, ho continuato a scappare, nascondendomi da tutto e da tutti quelli che potevano significare qualcosa per me. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Fingendo con me stessa che al mio ritorno ogni cosa sarebbe tornata per magia com'era prima. Per magia... Mi mancate, mamma e papà, mi mancate tanto, sempre di più ogni giorno che passa. È difficile credere che sia passato un anno, che abbia vissuto ogni singolo giorno di un anno intero senza vedervi né sentirvi: si dice che il tempo guarisce tutte le ferite, ma è anche qualcosa di distruttivo. Il passato è freddo, immutabile e inflessibile. Questo quanto ho imparato. Però l'espressione «lontano dagli occhi, lontano dal cuore» è una bugia. Se chiudo gli occhi, vedo ancora il vostro viso, mi ricordo di voi e dei momenti trascorsi insieme, e sorrido. Però ricordo anche quello che lei vi ha fatto per causa mia, e questo mi fa così male dentro che non riesco a respirare. È una cosa a cui la magia non può porre rimedio, nulla può farlo. Avrei dovuto avvertirvi, avrei dovuto... Tutto quello che ho sempre desiderato era che foste entrambi orgogliosi di me come figlia, e invece vi sono venuta meno nel peggior modo possibile, vi ho sacrificato per colpa della mia presunzione. Ho creduto di sapere... Adesso mi rendo conto che, se sono sola in questo posto orribile, non è perché i morti non perdonano, ma perché non merito il loro perdono. Mamma, papà, so che voi non la pensate così, eravate entrambi anime dol-
ci e gentili, con una notevole capacità di tolleranza e comprensione; forse non mi biasimate neppure, ma sapete quanto riesca a essere cocciuta. Non sono capace di immaginare che possa venire un tempo in cui non continuerò a essere tremendamente addolorata per il modo in cui ho rovinato tutto, né riesco a vedere all'orizzonte il giorno in cui questo potrà fare un minimo di differenza. Tuttavia, è così che vivo adesso, giorno per giorno. La maggior parte delle giornate è difficile da affrontare, le altre sono insopportabili. Se mai avevo avuto qualche illusione di riuscire a dormire durante il passaggio dal vecchio al nuovo anno, ignorando i vari festeggiamenti, tali illusioni sono state rumorosamente cancellate. I miei vicini (cioè le camere 212 e 214), stanno già entrando nello spirito della festa... o per meglio dire stanno già dandogli sotto con le libagioni. Inoltre, perché aspettare mezzanotte per cominciare a fare buon uso di trombette e mortaretti? Non riesco a dormire, tanto vale che mi eserciti a materializzare sfere e in altre piacevolezze del genere. Domani è un altro anno. Wendy premette il pulsante sulla barra degli strumenti per salvare il diario sul disco rigido del portatile, poi spense il computer e lo ripose nella sua custodia da viaggio. Non si era presa la briga di collegarlo alla linea telefonica del motel per controllare se c'erano delle e-mail, perché anche se era passata a un provider nazionale di Internet quando aveva cominciato a viaggiare, e quindi avrebbe potuto probabilmente trovare il numero locale di connessione - ecco, forse no, dato che era nel Nord Dakota - quella sera preferiva evitare qualsiasi tipo di contatto. Per scrivere al computer, aveva indossato il pigiama azzurro cielo con le nuvole, e aveva tirato indietro le coperte per potersi sedere sulle lenzuola. Adesso assunse una variante della posizione del loto, con la schiena eretta e le gambe incrociate, ma con le mani appoggiate sulle ginocchia a palmo in su, come se contenessero dell'acqua. Con il riscaldamento del motel regolato al massimo, l'aria calda fluiva rumorosa attraverso la ventola e l'avvolgeva. La temperatura era più elevata di quanto avrebbe desiderato, ma ne aveva bisogno per aiutarsi nella sua magia. Anche se quello era stato un concetto difficile da assimilare per una nativa del New England, molto tempo prima, nel corso di una lezione di scienze, aveva appreso che non esiste il freddo, soltanto la relativa assenza di calore. Un frigorifero non funziona raffreddando le cose, ma rimuovendo il calore dal proprio inter-
no; adesso il suo compito non era quello di rimuovere il caldo dalla stanza, ma di manipolare il calore ambientale fino a ridurlo a una forma concentrata, quella del fuoco. Finora aveva avuto poco successo in quel tipo di arte magica. L'idea di evocare una fiamma, esponendosi a scottature, la spaventava un poco. La prima volta che c'era riuscita era stata in condizioni di estrema tensione, mentre si trovava bloccata a terra ed esposta alla minaccia di essere violentata e mutilata; di fronte al pericolo costituito dal suo assalitore, quello di qualche piccola ustione le era parso insignificante. Dopo di allora, era riuscita a evocare una fiamma anche senza avere letteralmente un coltello puntato alla gola, ma i progressi erano stati lenti, e le fiamme da lei generate cosa di poco conto. Preso un profondo respiro per purificarsi, ricominciò a respirare secondo un ritmo regolare, inspirando dalle narici ed espirando dalla bocca; quella respirazione controllata, disciplinata, l'aiutò a focalizzarsi e attivò quasi istantaneamente la concentrazione necessaria a operare una magia, escludendo dalla sua sfera cosciente la lamentosa musica heavy metal che faceva tremare i muri della stanza. Dopo oltre un anno di studi magici, era ormai capace di trovare il proprio centro interiore quasi senza sforzo alcuno. Trascorsero alcuni lunghi momenti, durante i quali fu consapevole del ritmo lento e costante del proprio battito cardiaco, mentre attirava a sé il calore presente nella stanza mediante il potere della visualizzazione avanzata, immaginando ondate tremolanti di calore che rotolassero verso di lei, vorticando fino a formare dense sfere, un paio di centimetri al di sopra dei suoi palmi. Poi cominciò a comprimere quelle sfere con la forza della volontà, riducendone le dimensioni, inizialmente pari a quelle di un pallone da basket, fino a portarle dapprima a quelle di una palla da bowling, poi da softball, da tennis, da ping pong, e infine a quelle di una pallina di marmo che risplendeva di una luce ambrata. Applicò di nuovo una compressione decisa, immaginando quelle palline che si riducevano a punti di luce fissa, e poi a delle singolarità. In quel momento, due lingue di fiamma eruppero al di sopra dei suoi palmi a coppa. Wendy temperò la propria eccitazione espirando in modo controllato, mantenendo in essere le fiamme e continuando ad alimentarle con il calore che andava sottraendo all'aria circostante. Adesso viene il difficile, pensò. Il calore addensato veniva sempre da lei convertito in fiamma visualizzando un livello critico di compressione, in base al principio che a dimensioni più piccole corrisponde un calore maggiore.
Come spesso le ricordava la Vecchia, le fiamme sovrannaturali da lei evocate erano diverse da quelle naturali: non avendo combustibile da consumare, dipendevano per la loro esistenza esclusivamente dalla concentrazione del loro creatore, a meno che e finché non fossero state applicate a una fonte di combustibile, condizione in cui avrebbero potuto acquistare quella che, in mancanza di una definizione migliore, si poteva chiamare una vita propria. Una fiamma soprannaturale evocata a mezz'aria era una cosa transitoria, difficile da mantenere e ancora più difficile da modificare. Wendy si concentrò per accumulare altro calore con cui alimentare le sue fiamme alte cinque centimetri, e sentì la pelle che le si accapponava lungo le braccia e le gambe; in seguito avrebbe constatato che il termostato della stanza era calato di parecchi gradi nel corso del suo esercizio, ma per il momento, mentre alimentava il suo fuoco soprannaturale, non riuscì a reprimere un sorriso nel vedere le due fiammelle crescere sopra i palmi delle mani, completamente azzurre alla base per poi levarsi in tremolanti lingue di fuoco arancione. Tuttavia, a mano a mano che le fiamme ingrandivano, arrivando ad essere larghe quasi quanto i suoi palmi, il loro centro di... origine si abbassò, riducendo la già scarsa distanza fra il fuoco e la pelle. Invece di librarsi al di sopra dei suoi palmi a coppa, le fiamme stavano scendendo, ed erano sul punto di entrare in contatto con la pelle nuda. Mantenendo la concentrazione, si costrinse a ignorare l'immagine della propria carne annerita e fumante, cercando conforto nelle rassicurazioni della Vecchia riguardo al fatto che il fuoco era sotto il suo controllo, letteralmente nelle sue mani. A meno che non mi comporti da sbadata, non mi brucerà. Sono io a controllarne l'espressione. Nel momento in cui le fiamme arrivavano a toccarle i palmi, un contatto lieve e fluttuante quanto quello di una piuma, caldo e confortevole, ma non rovente - non rovente! - qualcosa sbatté conto la parete con forza sufficiente a far fuoriuscire dal suo gancio un vecchio dipinto e da farlo cadere al suolo, dove la stampa di un daino che si abbeverava a un ruscello scivolò fuori dalla cornice infranta. Wendy perse la concentrazione, e nel momento stesso in cui distolse lo sguardo dalle fiamme che le sobbalzavano sui palmi, lanciò uno strillo di dolore. Immediatamente prese ad agitare le mani a destra e a sinistra, ma le fiamme sovrannaturali erano svanite nel momento stesso in cui la sua concentrazione aveva smesso di alimentarle, e si era bruciata leggermente solo in quel momento fugace il cui il controllo le era sfuggito, perché l'attimo successivo la perdita della concentrazione aveva già estinto il fuoco. È una
fortuna che le fiamme non si siano abbassate abbastanza da venire a contatto con il mio pigiama nel momento in cui ho perso il controllo, pensò, altrimenti quel fuoco sovrannaturale avrebbe trovato una fonte di combustibile naturale per realizzare una Wendy arrosto. «Se voglio giocare ancora con il fuoco a letto», borbottò poi fra sé, «sarà meglio che mi procuri della biancheria ignifuga». Un pugno sbatté contro la parete. «Ehi, amico! Scusa la goffaggine da notte di Capodanno! Non succederà più!» Wendy si esaminò i palmi. La pelle era sensibile e forse un po' arrossata, ma a parte questo non pareva aver risentito del suo numero da giocoliere con sfere di fuoco grandi come meloni. Potrò sempre trovare lavoro in un baraccone da circo, pensò. «Non importa, non è successo niente», gridò intanto in risposta, e subito si rese conto dell'errore commesso. «Grandioso!», esclamò l'uomo, poi ci fu un momento di pausa prima che aggiungesse, a voce più bassa ma pur sempre chiaramente udibile: «Ehi, è un'amica! Ehi!», continuò, tornando a gridare per comunicare attraverso la parete, «Vieni qui da noi! Abbiamo birra, erba e musica da sballo!» «Stiamo bene così, grazie», gridò di rimando Wendy. Ci fu una pausa di riflessione, poi: «Come preferisci, bella. Continua a darci dentro!». Come preferisco, pensò Wendy, e riprese a respirare in modo controllato, solo che questa volta procedette a evocare una sfera magica protettiva. Il giorno in cui i suoi genitori erano morti era stata la volta in cui aveva impiegato meno tempo in assoluto a evocare una sfera: anche allora, uno stato di massima tensione era stato la chiave del successo, forse perché le aveva permesso di superare i propri blocchi mentali o perché aveva potenziato la sua visualizzazione, o forse per entrambe le cose. Usando l'athame, il coltello rituale dal manico nero, come stampella mentale, era in grado di evocare una sfera nell'arco di alcuni secondi, e senza di esso ne impiegava forse una ventina. In entrambi i casi, la sfera così ottenuta era di quasi tre metri di diametro, abbastanza grande da proteggere parecchie persone che fossero ferme e strette le une alle altre al suo centro. Le dimensioni andavano benissimo, ma aveva bisogno di perfezionare la rapidità di evocazione. La Vecchia le aveva detto che la sua meta doveva essere quella di riuscire a innalzare una sfera con la stessa rapidità con cui premeva un interruttore per accendere la luce, perché da questo sarebbe dipesa la sua vita, e
anche quella di altri. Invece di migliorare, tuttavia, la sua concentrazione andò deteriorandosi. Anche se riusciva a escludere la musica heavy metal e le voci chiassose, c'era peraltro un suono immaginario che dominava ogni altro rumore e che le faceva accapponare la pelle: il ticchettio mentale di un orologio. La mezzanotte è vicina, pensò, e io sono circondata dai festeggiamenti. D'altro canto, che alternative aveva? Dovunque fosse andata, avrebbe trovato qualcuno intento a festeggiare e a brindare al nuovo anno con persone care, amici o conoscenze occasionali, ma non per questo meno entusiastiche. «Dovrei nascondermi in macchina per evitare...», cominciò a dire, poi lasciò a metà la frase ed esclamò: «Ma certo, la macchina! Che stupida! Del resto non mi andava comunque di dormire in questa topaia!» Nonostante l'ora tarda, lo sfinimento fu sostituito dall'ansia. Poteva partire adesso e guidare fino a Minneapolis. Quando fosse arrivata, mezzanotte sarebbe passata da un pezzo e avrebbe evitato ogni festeggiamento, avrebbe trovato un motel e avrebbe chiamato Alex il mattino successivo. Naturalmente c'era la possibilità che lui rimanesse alzato per tutta la notte, ma non sarebbe stata tanto sconsiderata da chiamarlo per scoprire se era davvero sveglio. Saltata giù dal letto, aprì la valigetta. Quindici minuti più tardi era vestita e stava pagando il conto. Con suo grande sollievo, il viscido Lloyd era stato sostituito dal portiere notturno, un certo Sylvester, un pallido pancione vicino alla sessantina dall'aria profondamente annoiata, che non le fece domande riguardo alla sua permanenza o al perché se ne stesse andando e si limitò a consegnarle la ricevuta con poche, flemmatiche parole. «Torni ancora a trovarci». Trascinato il trolley lungo la stretta area di parcheggio, Wendy raggiunse il retro della Pathfinder e tirò fuori le chiavi dalla tasca della giacca. Un pallido lampione montato su un palo adiacente ai due puzzolenti cassoni dei rifiuti proiettava un debole chiarore sull'intero parcheggio; l'unica altra fonte d'illuminazione erano le luci montate sul corridoio esterno del secondo piano del motel. In quel momento, tutto quello che Wendy desiderava era andarsene al più presto da quel parcheggio freddo e maleodorante. Mentre inseriva la chiave nella serratura sentì un rumore di passi che si avvicinavano. No, ci risiamo, pensò con un sospiro prima ancora di sollevare lo sguar-
do. «Non puoi ancora andartene», disse Lloyd, con un sigaro in una mano e una bottiglia aperta di champagne nell'altra; sulla sua faccia c'era un sorriso sdolcinato, ma negli occhi non c'era traccia di allegria. «È ora di festeggiare». I-29, Fargo, Nord Dakota Hank stava attribuendo al nervosismo la propria tensione. Dopo il lungo tragitto sul vecchio e malandato pick-up Dodge Ram, erano finalmente a Fargo, a pochi chilometri dall'incontro con Janet e Lisette, la sua attraente amica dalla lunga lista di conquiste. Hank ricorreva sempre alla spacconeria per sopperire all'insicurezza, e adesso si stava chiedendo se quella notte sarebbe davvero riuscito a spassarsela come Clay gli aveva praticamente garantito. Le prospettive sembravano buone, a patto che non rovinasse tutto nell'incontro iniziale. Borbottando qualcosa fra sé, infilò una mano nella tasca della giacca. «Fottuta crisi da astinenza», disse con una risata, pur sentendosi la gola arida per la tensione, e accese la Marlboro che gli pendeva dall'angolo della bocca. Aspirando profondamente, assaporò la prima sigaretta che si fosse concesso negli ultimi due giorni. Al diavolo, pensò, posso sempre smettere domani, invece che oggi. Soffiando via una boccata di fumo, sentì aumentare la propria sicurezza. Quella puttanella farà bene a non ritenersi troppo superiore ad Hank Turner. «Passami la bottiglia che c'è nel portaoggetti». Clay gli porse il whisky senza fare commenti, Hank svitò il tappo e bevve due rapidi sorsi, più o meno l'equivalente di un bicchierino e mezzo, giusto per calmarsi un poco. Non l'ho ancora incontrata, e già quella puttanella mi sta rendendo dannatamente nervoso. L'ultima cosa che gli passava per la mente era quel vecchio bastardo puzzolente grande e grosso accovacciato sul pianale del furgone. E non ci pensò finché non fu troppo tardi. Più avanti, un semaforo passò al giallo. Con entrambe le mani sul volante, la sigaretta infilata fra le dita della sinistra e la bottiglia stretta nella destra, Hank pensò che sarebbe riuscito a passare lo stesso con facilità e calcò il piede sull'acceleratore. FERMO! «Che cazzo succede?»
Clay sussultò e si premette le mani sulle orecchie. Lanciando un'occhiata allo specchietto retrovisore, Hank vide riflessa l'immagine del lungo volto magro del vecchio che lo fissava dal finestrino posteriore, i grossi guanti premuti contro il vetro. «Quel bastardo sta gridando qualcosa...», disse. Eppure la voce stentorea, quasi un ruggito, pareva provenirgli da dentro la testa. «Stattene fermo lì, vecchio!», gridò. «Hank!» Un'occhiata rapida in direzione della strada rivelò un furgone che stava attraversando l'incrocio. «Oh, merda!» Premette l'acceleratore a tavoletta per sfrecciare attraverso l'incrocio prima che il furgone gli venisse a sbattere addosso. Nello stesso momento, l'urlo gli esplose di nuovo nella mente. FERMO! Le mani di Hank sussultarono sul volante e lasciò cadere la bottiglia, ma riuscì comunque a evitare il furgone, dal cui clacson si levò una protesta indignata. Per un momento, in cui il tempo parve arrestarsi, l'improvviso rumore di vetro infranto rifiutò di registrarsi nella mente di Hank: aveva evitato il furgone, quindi cosa...? Poi vide quello che sembrava un braccio peloso sfondare il finestrino posteriore e una grossa mano dotata di artigli afferrare Clay sotto il mento, tirandolo all'indietro... proprio nel momento in cui anche la testa di Hank veniva strattonata contro il vetro fracassato; il piede scattò involontariamente in avanti, premendo di nuovo a tavoletta l'acceleratore, mentre i grossi artigli gli trapassavano la carne e un fiotto di liquido caldo gli si riversava sul petto. L'oscurità cominciò a incombere al limitare del suo campo visivo, e la penultima cosa che vide fu la testa di Clay che veniva strappata dal corpo con un nauseante scricchiolio di ossa spezzate e uno zampillare di sangue. Poi gli artigli dell'altra mano gli affondarono in profondità nella gola. Il pick-up sbandò, passò sobbalzando sopra uno spartitraffico a una velocità che superava i novanta chilometri all'ora e, emettendo scintille dal telaio che strideva sull'asfalto, schizzò su per il viale di accesso del Fargo Motor Lodge. L'ultima cosa che Hank Turner vide fu la reception del motel, la grande vetrata con l'insegna rossa al neon che formava due sole parole di invito: STANZE LIBERE. Purtroppo per lui, aveva appena pagato l'ultimo conto.
La creatura non ha pratica del modo di comunicare umano. Anche se le sembianze illusorie le hanno permesso di assumere un aspetto umano credibile, decenni di sonno e di oblio hanno atrofizzato la sua capacità di interagire con gli uomini. Le corde vocali non sono ancora abbastanza flessibili da riuscire a comporre il loro linguaggio. Tuttavia, quando il pulsante sentiero azzurro si fa luminoso al punto che il suo chiarore risulta quasi intollerabile, la creatura ordina agli umani di fermare il loro veicolo lanciato in velocità: lo fa nel solo modo possibile, impartendo direttamente l'ordine dalla propria mente con un semplice, imperioso comando: FERMO! L'umano sente, ma non obbedisce. Il veicolo sembra addirittura andare più in fretta di prima, e l'umano alla sua sinistra, quello che regge fra le mani quella strana ruota, grida qualcosa in tono di sfida, rifiutando di obbedire. La creatura urla di nuovo il proprio ordine, inutilmente. Impaziente, reagisce con la semplice logica della violenza: una volta morti, gli umani saranno impotenti, e il loro veicolo si dovrà fermare. Sfondando con le braccia la barriera di vetro, li afferra entrambi per la testa, affondando gli artigli nella carne morbida del loro collo. La spina dorsale umana non è fatta per resistere alla sua forza primordiale: ossa e cartilagini protestano e resistono invano per uno o due inutili secondi prima di cedere, fra fiotti di sangue. Le teste volano roteando attraverso il vetro fracassato, rimbalzando nel retro del veicolo che, intanto, continua a sfrecciare sulla strada malgrado la morte dei suoi padroni. Sconcertata, la creatura decide che deve saltare giù dal veicolo in corsa, ma è troppo tardi... nell'alzare lo sguardo dai corpi accasciati, fa appena in tempo a vedere che il veicolo sta andando a sbattere contro una grossa costruzione. L'impatto è devastante, e accartoccia l'estremità anteriore del veicolo, che infine si arresta... violentemente. Impreparata all'urto e priva di appigli, la creatura vola oltre il tetto, atterrando a sua volta con impatto brutale... Windale, Massachusetts «Kayla, metti giù quel coltello», disse Bobby in tono calmo e controllato. Decisa, Kayla scosse il capo. «No», rispose. «Perché non ci ho pensato prima? Farmi un taglio. Era
così ovvio!» Bobby vide in lei qualcosa di primitivo, ferma com'era nella sua cucina, completamente nuda e con un coltello serrato nella destra. Qualcosa di primitivo e di sconcertante. «Kayla, per favore, metti giù quel coltello», insisté avanzando lentamente verso di lei. «È molto affilato». «È quello che spero», ribatté lei, mentre un bagliore d'ira, o forse di sarcasmo, le divampava nello sguardo. «Bobby, non sei obbligato a proteggermi. Non ho bisogno di una guardia del corpo». «Lo so», replicò lui, sempre calmo. «Allora smettila di comportarti come tale», ingiunse lei, traendo un profondo respiro. «Sono in grado di badare a me stessa». «Me ne rendo conto». «Fra noi c'è qualcosa di più di questo, vero?» «Certo», annuì lui, «però ho paura che finisca per farti del male». «È questa l'intenzione, ma solo un poco». Kayla si premette conto l'avambraccio sinistro la lama lucente del coltello dal manico nero, e Bobby scattò in avanti per cercare di afferrare l'arma. La ragazza però aveva previsto la sua mossa e indietreggiò per mettersi fuori dalla sua portata. «Kayla... sapevo che avrei dovuto portarti al... perché stai facendo questo?» «Tieni pronto qualche fazzolettino di carta», replicò lei. «Non mi farò un taglio molto profondo». «Non voglio che ti faccia nessun taglio! Questa è follia bella e buona!» «Ho bisogno di vederlo», insisté lei. «Solo così posso essere sicura». «Sicura di cosa?» «Del mio sangue», spiegò lei a bassa voce. «Ho bisogno di essere sicura che sia ancora il mio». «Kayla, quello che dici non ha senso», dichiarò Bobby scuotendo il capo. «È ovvio che quello è il tuo sangue! Come potrebbe essere quello di qualcun altro?» Kayla si limitò a scuotere il capo. «È una cosa troppo complicata per spiegartela così su due piedi», rispose. «Lasciami fare». «No...!» Bobby scattò ancora in avanti... ma arrivò troppo tardi per fermarla. Seguì un momento di spaventosa ineluttabilità, mentre lei si feriva il
braccio con un rapido colpo di coltello. Coerente con quanto aveva detto, non praticò un taglio profondo, ma il sangue prese subito a colare dalla ferita. Gettato il coltello nel lavandino, Kayla alzò lo sguardo su di lui con un sorriso, e Bobby si chiese se non stesse contemplando l'affiorare della follia. Possibile che quella sua ragazza ribelle fosse semplicemente impazzita, mentre se ne stava nella sua cucina, in attesa di una fetta di pizza? Confusa dalla sua espressione, o per meglio dire dall'assenza di qualsiasi espressione dal volto di lui, Kayla scosse la testa per segnalargli che non aveva capito niente, poi scoppiò a ridere e si passò l'indice lungo il taglio sanguinante, raccogliendo il sangue fresco come se fosse la glassa su una torta e mostrandoglielo perché lo esaminasse. «Vedi?», disse. «È rosso. Rosso! Sono ancora io». Fra sé e sé, Bobby si domandò quando mai ci fosse stato qualche dubbio al riguardo. Fargo, Nord Dakota «Non dirmi che ti eri dimenticata del mio invito alla festa», la apostrofò Lloyd, il sorriso leggermente brillo che non era affatto in tono con la freddezza dello sguardo. «Mi dispiace», rispose Wendy, optando per un atteggiamento disinvolto mentre apriva il bagagliaio del SUV verde bosco e gettava la valigetta sopra il resto dei bagagli. «Sono troppo stanca per festeggiare». Lui si accarezzò i baffi spioventi con il pollice della mano con cui reggeva il sigaro, un gesto che ebbe l'effetto indesiderato di attirare l'attenzione sul suo mento sfuggente. «Dai, è Capodanno!» «Devo comunque andare», ribatté Wendy, chiudendo con forza la portiera posteriore e assicurandosi che la serratura fosse scattata. Lui avanzò di un altro passo e bevve un sorso dalla bottiglia di champagne. «Ci sarà pure qualcosa che posso fare per persuaderti a rimanere qui ancora un poco». Wendy si portò alla gola la mano sinistra, toccando con voluta noncuranza il pendente di cristallo a goccia che portava al collo appeso a una catenina d'argento. Nel momento in cui lo sfiorò, avvertì un caldo formicolio simile a una lieve scossa di energia statica, e la sua concentrazione mise immediatamente a fuoco un punto compresso; trovato il proprio centro in-
teriore, usò quindi la volontà per espandere quel punto intorno a sé fino a formare una larga bolla... una sfera che la proteggesse. Quando parlò, la voce suonò piatta e fredda. «Scordatelo, Lloyd». «Andiamo», insisté lui allargando le mani, come a dimostrare che era soltanto il vecchio, innocuo Lloyd, «dammi una possibilità». «Togliti di mezzo! Non abbiamo altro da dirci». «Ti andrebbe un sorso di champagne?», suggerì lui, porgendole la bottiglia e avanzando di un altro passo. «Cambierebbe completamente il tuo atteggiamento». All'inizio Wendy aveva visualizzato le sue prime sfere protettive come qualcosa di rigido, una sorta di lega trasparente e impenetrabile, ma la Vecchia le aveva detto che la Wendy del futuro sarebbe stata più creativa nell'impiego di quelle sfere, e da allora lei le aveva sempre visualizzate rigide dall'esterno verso l'interno, ma plasmabili da parte sua nel senso opposto. Quando Lloyd avanzò ancora, lei spinse, immaginando che una sezione della sfera si protendesse verso l'esterno in un affondo rapido, colpendo il viscido portiere in pieno plesso solare. Lloyd sussultò e indietreggiò di due passi barcollando, sbilanciato, prima di cadere seduto con la bottiglia di champagne che si frantumava al suolo e il sigaro che gli finiva in grembo; rimase lì come inebetito, farfugliando senza riuscire a parlare. In quel momento Wendy sentì uno stridore metallico provenire dalla parte anteriore del motel e sollevò lo sguardo proprio nel momento in cui un pick-up scuro sfrecciava a una velocità da autostrada attraverso il parcheggio anteriore, lasciandosi dietro una scia di scintille prima di andare a sbattere contro la vetrata della reception. Si ribaltò quasi quando il muso scomparve all'interno dell'edificio, poi l'assale posteriore si abbatté nuovamente al suolo con uno schianto. Per una frazione di secondo, Wendy ebbe l'impressione che ci fosse stato qualcuno in piedi sul pianale posteriore del mezzo, il che sarebbe equivalso a morte certa. Poi si ricordò del vecchio portiere notturno, Sylvester. Mantenendo in essere la sfera protettiva, spiccò la corsa verso l'ufficio. Usando la parte anteriore della sfera avrebbe potuto sfondare la porta laterale di vetro, ma questo avrebbe significato riversare all'interno un'altra pioggia potenzialmente letale di schegge di vetro, quindi si focalizzò sull'interno malleabile della sfera, afferrò la maniglia e tirò verso di sé il battente, sgusciando all'interno.
Un istante fu sufficiente a valutare la portata dei danni. Naturalmente il muso del pick-up aveva disintegrato la vetrata, distrutto il televisore e la macchina del caffè che erano lì davanti, su un tavolo, ed era penetrato dentro l'ufficio, con forza sufficiente a demolire anche il banco della reception, prima di arrestare finalmente la propria corsa. Da dietro il bancone distrutto giunse un gemito prolungato. Sylvester? All'interno della cabina di guida del furgone, oscurata dal sangue che chiazzava i finestrini laterali crepati, Wendy vide tremolare il bagliore ambrato di un principio di incendio, mentre nere volute di fumo oleoso cominciavano a scaturire dal finestrino posteriore frantumato. Lingue di fiamma stavano già consumando i sedili e avviluppando gli abiti degli uomini che si trovavano nella cabina di guida. Wendy era in grado di guarire le ustioni, soprattutto se riusciva a intervenire subito su di esse, quindi chiuse la mano protetta intorno alla maniglia della portiera e tirò... invano, perché la portiera si era incastrata nel telaio del furgone. Nel frattempo notò qualcosa di strano nei due uomini. La visuale era in parte ostruita dai finestrini coperti di sangue, ma forse se avesse guardato da uno dei punti in cui il vetro era rotto... Oh, Dio! No! La nausea le serrò lo stomaco e si sentì assalire da un conato di vomito quando un'ondata di bile rovente le salì lungo la gola. I corpi... erano senza testa! Entrambi erano rimasti decapitati nell'incidente. Troppo tardi, troppo tardi, pensò. Non posso aiutarli... Consapevole che se avesse visto le teste recise avrebbe perso del tutto il controllo, ebbe paura di guardarsi intorno. Poi da dietro il bancone giunse un altro gemito. Sylvester! Wendy distolse lo sguardo dai corpi decapitati e indietreggiò dal furgone; sentendo qualcosa di vischioso sotto i piedi, guardò verso il basso, e vide che la benzina stava scaturendo da sotto il furgone, fuoriuscendo probabilmente da un foro al serbatoio. Doveva agire in fretta. Afferrato il bordo del bancone con le mani protette, cercò d'infilarvisi dietro, ma scoprì di non essere abbastanza forte da riuscire a spostarlo. Preso un profondo respiro per calmarsi, tornò a concentrarsi e immaginò la sfera protettiva che si gonfiava, l'esterno impenetrabile che spingeva in fuori... Il bancone sfondato scivolò rumorosamente all'indietro di una sessantina
di centimetri, spingendo davanti a sé il muso accartocciato del furgone. Sylvester era per terra, raggomitolato su se stesso per il terrore, le braccia a coprirsi il viso. Protendendosi attraverso l'interno malleabile della sfera, Wendy lo afferrò per il maglione all'altezza della spalla e lo trascinò fuori da dietro il bancone. «Non ha rallentato... è piombato attraverso... attraverso la...» «Lo so», l'interruppe Wendy. «Dobbiamo uscire di qui». La benzina poteva incendiarsi da un momento all'altro, facendo esplodere l'intero serbatoio. Doveva portare Sylvester all'interno della sfera protettiva, ma non poteva tirarselo dentro attraverso la membrana magica, e questo non le lasciava alternative. A cosa le servivano le sue capacità, se non aveva fiducia in esse? Mettendo a repentaglio la propria sicurezza, annullò la sfera, assorbendo dentro di sé l'energia usata per la sua creazione, si tirò accanto Sylvester con una mano e portò l'altra al pendente di cristallo. Innalza di nuovo la sfera, disse a se stessa, distratta dal puzzo intenso di benzina e dal crepitare famelico delle fiamme all'interno del furgone. Poi sentì un sibilo violento quando la benzina prese fuoco, e un'ondata di calore intenso le investì faccia e mani. Un carbone ardente doveva essere caduto sul... Adesso o mai più! In ritardo, le bocchette antincendio situate nel soffitto entrarono in funzione, riversando sull'ufficio spruzzi di acqua fredda pressurizzata che le incollarono i capelli sulla faccia ma servirono ad alleviare comunque il calore sempre più intenso. Sforzandosi di isolarsi dalle numerose fonti di distrazione che la circondavano, Wendy si concentrò sul cristallo che aveva in mano, sul caldo formicolio che la stava pervadendo e che le permise di ritrovare la calma, mentre il rinnovarsi della focalizzazione dava a quel momento una qualità di assoluta chiarezza. Un punto di energia le scaturì dal petto verso l'esterno, avviluppando sia lei sia Sylvester, proprio nel momento in cui il serbatoio del furgone esplodeva: uno scoppio tanto violento da sollevare da terra il veicolo. Il rumore fu assordante, la luce accecante, e l'onda d'urto si andò ad abbattere contro la sfera non ancora del tutto formata, scaraventandola attraverso la porta laterale in mezzo a un'altra marea di schegge di vetro. All'interno della sfera, Wendy e il vecchio portiere rotolarono entrambi su loro stessi. Wendy si trovò a rivivere mentalmente l'esplosione di gas che aveva ucciso Gina Thorne, e mentre rivedeva quelle immagini in ogni vivido dettaglio, si trovò a ruzzolare sul marciapiede, priva di qualsiasi protezione. La
distrazione aveva annullato la sua focalizzazione quanto bastava per disintegrare la sfera ancora incompleta, fragile quanto una bolla di sapone se priva della sua volontà per alimentarne le qualità fisiche sovrannaturali. Rotolando fino a sollevarsi carponi, si issò in piedi e ansimando barcollò di lato di un paio di passi. Gemendo, anche se aveva riportato soltanto qualche abrasione superficiale, Sylvester stava strisciando lontano dall'ufficio e dall'incendio che divampava al suo interno. Lloyd, che intanto si era ripreso dal colpo magico in pieno plesso solare, aiutò il vecchio a rialzarsi e disse qualcosa riguardo al fatto che aveva già usato il cellulare per chiamare i vigili del fuoco. Nel guardare verso l'ufficio, Wendy ricordò la fugace immagine di un corpo che veniva proiettato oltre il tetto del furgone nel momento in cui il veicolo andava a sbattere contro l'ufficio. Lo aveva solo immaginato, oppure là dentro c'era ancora qualcuno, forse vivo e bisognoso di immediate cure mediche? La logica l'avvertiva di tenersi alla larga dall'incendio, e la voce dell'autoconservazione si faceva sentire chiara e nitida. Anche se a un livello primitivo il suo io non riusciva ad accettarlo, era consapevole di avere le capacità necessarie a proteggersi dal fuoco, e tuttavia stava avvertendo una sorta di ammonimento che giungeva dal profondo del suo essere, una premonizione di...? Era una sensazione troppo viscerale perché riuscisse a darle una spiegazione razionale, cosa per cui del resto non c'era tempo. Afferrato di nuovo il pendente di cristallo, avanzò verso l'ufficio, la porta fracassata e le fiamme che infuriavano al di là di essa. Qualcuno l'afferrò per un braccio, inducendola a girare di scatto la testa per fissare con occhi roventi chi la stava bloccando. Lloyd. «Sei impazzita? Non puoi tornare là dentro!» «Credo che dentro ci sia qualcuno», ribatté Wendy, scrollandosi la sua mano di dosso. Qualche metro più indietro, Sylvester scosse il capo. «Ero solo», disse. L'ululato delle sirene dei vigili del fuoco in rapido avvicinamento risuonò nella notte. «Mi è parso di vedere qualcuno sul retro del furgone», spiegò Wendy, tornando a farsi avanti. La mano toccava il cristallo, senza però avvertire nessun formicolio, nessun riattivarsi della focalizzazione. Niente. Non importa, si disse. Si tratta di un semplice segnale. Posso attivare la sfera anche senza.
Si avvicinò alla porta di altri tre passi, e ancora nessun segno della sfera. Portandosi verso il davanti dell'ufficio, lasciò vagare lo sguardo sui rottami, esaminando l'area su entrambi i lati del furgone. Anche senza la sfera, avrebbe forse potuto lanciarsi rapidamente in mezzo a quel caos, afferrare la persona e cercare di tirarla fuori... ma non c'era niente! Possibile che si fosse immaginata quella figura sul pianale del veicolo? Cominciava a dubitare di se stessa, e forse era per questo che non riusciva a evocare un'altra sfera. Di nuovo l'istinto, quella forma di premonizione, tornò a farsi sentire nel suo subconscio, solo che adesso il messaggio riguardava la sua magia: era svanita. Qualcosa nel modo in cui si era dissipata la sua ultima sfera incompleta, aveva danneggiato la sua... la sua cosa? La sua psiche? Wendy scosse il capo, in preda alla frustrazione. A che serviva addentrarsi fra le fiamme, se non c'era nessuno da salvare? Si fece indietro con un sospiro, libera infine dall'impulso di lanciarsi in quell'inferno, poi sussultò violentemente al suono ripetuto della sirena dei vigili del fuoco, ormai vicini, e raggiunse di corsa il marciapiede nel momento stesso in cui il veicolo imboccava il viale di accesso e parecchi pompieri balzavano a terra, entrando subito in azione. Decidendo di lasciare a quei professionisti il compito di occuparsi dell'incendio, indietreggiò verso la Pathfinder lanciando una rapida occhiata in direzione di Sylvester e di Lloyd. Entrambi la stavano ignorando, e Lloyd si stava già dirigendo verso il camion dei vigili del fuoco per spiegare che era stato lui a chiamarli, pochi istanti dopo l'incidente. Mentre alla guida del SUV aggirava il retro del motel, Wendy immaginò che Lloyd non avrebbe perso tempo ad attribuirsi il merito del salvataggio di Sylvester, non appena si fosse reso conto che lei se n'era andata. Il povero portiere notturno era così sconvolto che avrebbe creduto lui stesso a quella versione degli eventi, e probabilmente Lloyd si sarebbe ritrovato con la foto pubblicata sul giornale locale, oltre a ricevere una ricompensa degna di un grande eroe. Il più grande idiota a cui poteva succedere una cosa del genere, pensò. Personalmente, non le interessava la pubblicità e non aveva nessun desiderio di passare tutta la notte a rispondere alle domande del capo dei pompieri o della polizia. Mentre affrontava il lungo tragitto fino a Minneapolis, cercò di scacciare dalla mente l'incidente ma non ci riuscì, perché i suoi pensieri continuavano ad accentrarsi sul danno che aveva riportato, non sulle minime lesioni
fisiche, lividi e graffi che con il tempo sarebbero guariti... no, quello che la preoccupava era la lesione magica. Cosa sarebbe successo se non fosse mai guarita? Se non fosse più riuscita a usare la magia? L'impatto è improvviso e violento. La creatura atterra stordita sul lato opposto del veicolo danneggiato e in fiamme. Dopo qualche momento ritrova le forze, quanto basta per sollevarsi sulle mani e sulle ginocchia, poi la struttura di legno fracassata e il veicolo le vengono spinti contro da una mano invisibile, e la creatura indietreggia barcollando, confusa. Pochi momenti più tardi, l'odiato fuoco dilaga ruggendo sul pavimento della costruzione fatta dall'uomo, incendiandole la pelliccia; più che il dolore fisico della carne che brucia, è il cerchio di calore che quasi la fa impazzire. Cerca di richiamare intorno a sé il freddo, l'aria gelida, il sollievo della neve... Ma i danni riportati nell'impatto, le fiamme roventi, l'agonia della carne ustionata risultano un insieme troppo devastante per poterlo dominare. I momenti trascorrono mentre lotta silenziosamente, colpendo con le mani le fiamme che tentano di divorarle braccia e gambe, anche se sta rotolando lontano dal muro di fuoco sempre più esteso che si va allargando sul pavimento. Cerca di alzarsi in piedi, proprio nell'istante in cui un'esplosione solleva da terra il veicolo con un ruggito assordante e un bagliore doloroso, uniti a un calore ancora più spaventoso e insopportabile. Ora totalmente avvolta dalle fiamme, la creatura viene scagliata lontano dal veicolo, vola attraverso una porta e, quasi folle per il dolore, si allontana barcollando dalla dimora umana... Poi però vede il bosco, gli alberi spogli e i sempreverdi che si levano da una distesa di neve ghiacciata, e corre in quella direzione, quasi incapace di pensare, le narici colme del puzzo della sua stessa carne che brucia. I suoi piedi si lanciano in corsa sulla neve fresca e si lascia cadere, rotolandosi su quella superficie fredda e umida mentre le fiamme divoranti sibilano in una protesta che diventa una resa... Rotola addentrandosi sempre di più nell'oscurità del bosco, sprofondando nel conforto della neve finché le fiamme non si spengono, poi sgattaiola, quasi strisciando, verso il punto più buio che riesce a trovare, la depressione più profonda. Gravemente ferita, avrà bisogno di tempo per guarire, tempo che dovrà trascorrere nascosta dallo sguardo dell'uomo, perché si tratterà di un lungo periodo di vulnerabilità. Per distogliere la mente dal dolore pulsante che
le pervade gli arti, pensa alla sua preda speciale, stupita per come il sentiero che portava a essa si fosse fatto incandescente, verso la fine, tanto nitido da farle rendere conto che a quest'ora il suo compito sarebbe già stato portato a termine, se non fosse stato per quel momento in cui ha perso il controllo. Gli umani sono creature deboli e insignificanti da usare come prede, ma adesso la creatura rispetta i loro veicoli, che sono strumenti mostruosi, capaci di infliggere gravi lesioni anche a un essere dotato del suo potere. I tempi sono cambiati, dall'ultima volta che si è aggirata fra gli umani per nutrirsi, e ha molto da imparare. Con il tempo guarirà, e si nutrirà per rinvigorire il proprio corpo e alimentare la propria capacità di evocare il gelo. Stavolta la sua preda è stata fortunata a riuscire a sfuggirle, ma la fortuna è sempre una cosa transitoria, e la sua non durerà a lungo. La creatura la troverà, e banchetterà con la sua carne. Presto, molto presto... PARTE SECONDA L'eredità di Wither Capitolo 4 Diario di Wendy Ward 1 gennaio 2002 Luna calante, ultimo quarto, giorno 17 Minneapolis, Minnesota Notte stancante. Ho guidato a lungo. Ho preso una stanza in un motel di Minneapolis poche ore dopo la mezzanotte, giusto in tempo per concedermi un po' di sonno prima dell'alba. Naturalmente gli incubi hanno tolto a quelle poche ore di sonno qualsiasi effetto riposante. Dunque, vediamo: uomini decapitati che bruciano in un furgone che esplode; una sagoma massiccia che fluttua sopra tutta quella distruzione; occhi gialli scintillanti e artigli affilati come rasoi, una creatura mostruosa e tuttavia indistinta. Questa è stata una prima tornata di incubi. Più tardi: sto tenendo delle sfere di fuoco magico in entrambe le mani, ma perdo il controllo, i vestiti mi prendono fuoco e fuggo urlando nella notte, coperta dalle fiamme. Al risveglio da questa seconda sessione di incubi, la parte analitica del mio io ha avuto il sopravvento, ha esaminato bene quei sogni e ne ha dedotto che sta per piombarmi addosso qualcosa di brutto e che non sono as-
solutamente preparata ad affrontarlo. Davvero di conforto. È ancora troppo presto per chiamare Alex. Mi chiedo come se la sia passata durante tutto questo tempo... «Ho il diritto di saperlo?», si chiese Wendy, distogliendo lo sguardo dallo schermo illuminato del portatile. Seduta a gambe incrociate sul letto, con indosso il pigiama con il disegno del cielo e delle nuvole, teneva in equilibrio sulle cosce il computer alimentato a batteria, il cui schermo costituiva in quel momento la sola fonte di illuminazione artificiale della stanza del motel. L'oscurità la circondava e la isolava dalla stanza, dal mondo: non che le importasse di essere sola, visto che meritava quell'isolamento, quella quarantena. Aveva abbandonato Alex a Windale oltre un anno prima, convinta che fosse per il meglio, dato che alle persone che le erano vicine succedevano cose spiacevoli. Non poteva proteggere tutti quelli che la circondavano, era una responsabilità eccessiva a cui era troppo facile venire meno. E adesso, con tutto il tempo che era trascorso, era possibile che Alex fosse andato avanti con la sua vita. Come poteva pretendere che mettesse anche lui in stand-by la propria esistenza, così come aveva fatto lei? Era consapevole della concreta possibilità di aver bruciato tutti i ponti fra loro due. Anche se l'isolamento era una sua scelta, risentiva di quello stile di vita nomade, e non soltanto perché finiva per rappresentare una vittoria per Wither. Se proprio doveva dire la verità, avvertiva la mancanza di una vita semplice e normale, senza paura, sensi di colpa o dolore. Anche se aveva sconfitto Wither per due volte, in due forme differenti, aveva poi abbandonato tutto ciò che per lei aveva significato, e forse era proprio questa l'essenza della maledizione di Wither. Se solo fosse così facile, pensò con amarezza, se solo fosse qualcosa che si può curare con qualche anno di terapia. Ma sapeva che non era così. Qualcosa di spiacevole stava per piombarle addosso: era come se si portasse una sorta di bersaglio soprannaturale appeso in mezzo alle scapole. Lo schermo luminoso del portatile si spense, facendola sprofondare in un'oscurità assoluta. Wendy sussultò, poi ridacchiò della propria paura rendendosi conto che non c'era niente di sinistro, il computer era semplicemente passato in modalità di attesa a basso consumo di energia. Un colpetto sulla barra spaziatrice fu sufficiente a ripristinare la luce. Con un sospiro nervoso, tornò a concentrare la propria attenzione sullo schermo il-
luminato e riprese a scrivere... Diario di Wendy Ward (segue) Mi trovo ad avere bisogno dei consigli della Vecchia che, dal futuro, beneficia di un punto di osservazione privilegiato. Lei possiede le risposte, sa cose a cui io devo ancora arrivare, su cui non ho ancora riflettuto... o per meglio dire, ha la capacità di vedere alcune di queste cose, che però possono verificarsi oppure no. La Vecchia è l'io futuro di Hannah, incanalato e proiettato astralmente fino a me tramite il subconscio dell'Hannah attuale. Io visualizzo Hannah come un luminoso specchio soprannaturale del suo io futuro, mentre la Vecchia è l'immagine che rimbalza fino al nostro tempo. Il vero messaggero non è l'io futuro di Hannah. Piuttosto, ciò che mi appare e che mi tiene informata, è la «precognizione» (non è precisamente la definizione più adatta, ma probabilmente la parola giusta non è ancora stata inventata) del suo io futuro, interpretata attraverso la mente infantile di Hannah. Purtroppo la bambina non è in grado di esercitare un controllo cosciente sulle manifestazioni della Vecchia, non è in grado di evocare a piacimento il suo io futuro. Un'altra complicazione, che tende a confondere chi ha difficoltà a capire i grovigli temporali - sì, al riguardo mi metto anch'io nella lista - è il fatto che il passato della Vecchia è inalterabile e fisso, mentre il mio futuro non lo è, anche se si tratta dello stesso periodo temporale. Questo significa che io posso alterare quello che la Vecchia percepisce come il suo passato, in quanto dalla mia prospettiva, il suo passato è soltanto una linea temporale potenziale. Deve essere spaventoso rendersi conto che anche il proprio passato, oltre al proprio futuro, è incerto, ma la cosa non sembra preoccupare la Vecchia, che definisce «flusso temporale» la spaccatura fra il mio e il suo presente. Noi parliamo di fato, di destino e di predeterminazione, ma in realtà il futuro è soltanto la somma delle scelte passate e presenti di una persona. Noi abbiamo la possibilità di operare delle scelte, in genere cerchiamo di fare quelle giuste, e diventiamo la somma di tutte quelle scelte, perché esse riflettono i nostri valori, la nostra forza di volontà, la nostra integrità e il nostro impegno. Tutto questo ci definisce, e il risultato è che la linea temporale, il «flusso» temporale, non subisce alterazioni eccessive. Forse la Vecchia ha ragione a non essere preoccupata. Infine, lei non è certo una perfetta sfera di cristallo attraverso cui vedere il futuro. Le informazioni
che mi fornisce riguardano la mia situazione più... immediata. Ovvero, quando nel presente accade qualcosa di magico, questo qualcosa attiva l'angolazione o la direzione di messa a fuoco dello «specchio» futuro di Hannah. Forse dovrei definirlo intuito precognitivo, ma per me la Vecchia è molto più di una semplice sbirciata al futuro, è anche un'amica. Purtroppo è un'amica che non posso mai chiamare al telefono o andare a trovare. Devo aspettare che sia lei a farsi viva. L'alternativa migliore consiste nel contattare la stessa Hannah, tramite Karen, ed è ancora troppo presto per telefonare. Sta decisamente succedendo qualcosa, e io ho bisogno di sapere di che si tratta. Un argomento che sto evitando in queste annotazioni è la magia... la mia magia. Non ho ancora provato a praticare da quando la mia sfera è implosa, a Fargo. Ero troppo sfinita e - lo confesso - un po' preoccupata. Una parte di me è terrorizzata dall'idea che la magia non riaffiori mai più, mentre l'altra si chiede se sarebbe poi davvero una cosa tanto terribile. Forse starei meglio senza magia, senza la responsabilità che comporta. Ah, la normalità... Windale, Massachusetts Con una coperta arrotolata sotto il braccio, lo sceriffo Nottingham percorreva con cautela lo stretto sentiero tracciato dalla selvaggina che si addentrava nel bosco alle spalle di casa sua. I rami bassi e le radici esposte degli alberi costituivano fastidi minimi per i numerosi abitanti a quattro zampe del bosco che erano soliti percorrere quella pista, ma per un uomo adulto erano ostacoli potenzialmente pericolosi, soprattutto se l'interessato aveva lavorato per tutta la notte di Capodanno e fino alle ore piccole della mattina successiva per proteggere la cittadinanza locale dai suoi stessi eccessi festaioli. Se non altro, pensò, questa mattina non devo vedermela con i postumi da eccesso di alcolici. Mi duole un po' la testa per la mancanza di sonno, ma niente di più. Aveva fatto ritorno alla sua casa silenziosa e buia poco dopo le quattro del mattino e aveva trovato quasi tutti a letto. Perfino Rowdy era troppo stanco per fare qualcosa di più del sollevare la testa dai piedi del letto di Ben e borbottare un saluto canino. Un solo letto non era occupato, ma lo sceriffo non ne era rimasto sorpreso: la luna era quasi piena, e Abby doveva essere stata assalita dal desiderio incontrollabile di uscire all'aperto, at-
tendendo con impazienza che tutti si addormentassero per poter tagliare la corda. Christina doveva essere stata l'ultima ad andare a letto, l'ultima a prendere sonno, anche se aveva permesso ai bambini di rimanere alzati fin dopo mezzanotte. Del resto, non poteva certo rimproverarla per aver voluto un po' di compagnia allo scoccare del nuovo anno. L'aveva chiamata più o meno a mezzanotte, mandandole un bacio per telefono, dato che non poteva farlo di persona. I bambini avevano sospeso il loro strillare e picchiare su pentole e coperchi per il tempo strettamente necessario ad augurargli buon anno. Christina li aveva rimpinzati di spuntini per tutta la sera, e senza dubbio doveva aver fatto non poca fatica per riuscire a metterli a letto. Tutti, salvo Abby. Lei doveva aver aspettato che si addormentassero, uno per uno, e non appena la casa era sprofondata nel silenzio non aveva perso tempo a sgusciare fuori nei boschi... dopo aver assunto la sua altra sembianza. Anche se lo sceriffo e Abby erano arrivati a un accordo riguardo alla capacità e all'apparente bisogno che la bambina aveva di mutare forma, Christina era ancora all'oscuro di quel segreto. Inizialmente lo sceriffo era stato vincolato dalla promessa fatta ad Abby, che lo aveva implorato di non parlare del suo segreto con nessun altro membro della famiglia, per timore che gli altri la considerassero uno scherzo della natura, e poi... Ecco, sembrava non essere mai il momento adatto per spiegare a sua moglie che la loro figlia adottiva di dieci anni era una mutaforme e che ogni mese, per una dozzina di notti, si tramutava in lupo. Forse la convinzione che Christina si sarebbe preoccupata ancora di più per Abby se avesse saputo la verità, era da parte sua un semplice tentativo di razionalizzare il tutto, dato che non riusciva a ignorare un piccolo, tormentoso seme di dubbio nei confronti della moglie e della sua disponibilità ad accettare ancora Abby, se avesse saputo della sua vera natura. Se l'avesse scoperta, Christina avrebbe respinto Abby? Lo sceriffo era stato testimone di cose che non poteva aspettarsi venissero mai accettate come vere da parte del mondo razionale. Gli venne in mente l'espressione «dovevi esserci». E se non c'eri, allora probabilmente il mondo ti appare ancora un posto sensato, o almeno nella misura in cui lo è sempre stato, si disse. Se Christina le avesse girato le spalle, la bambina ne sarebbe stata devastata... E Abby MacNeil - o meglio, Abby MacNeil Nottingham - aveva già sofferto fin troppo per una bambina della sua età; come poteva esporla coscientemente ad altre sofferenze? Detestava nutrire dei dubbi nei con-
fronti della moglie ma, paragonato alla possibilità di infliggere ad Abby una devastazione emotiva, tenere il segreto con Christina gli appariva come il minore fra due mali. L'alba spuntò mentre stava ancora procedendo a fatica lungo la stretta pista; non ci furono raggi di sole improvvisi e abbaglianti, solo un progressivo rischiararsi del cielo nuvoloso, mentre le sagome scheletriche degli alberi apparivano sempre più nitide nella penombra che si andava attenuando. Più avanti, oltre il limitare degli alberi, sentì il rumore di acqua corrente di un ruscello: considerato lo strato di neve scricchiolante su cui stava camminando, era sorprendente che il ruscello non si fosse gelato. Emerso dagli alberi, guardò a destra e a sinistra prima di scorgerla: un lupo bianco, quasi invisibile sullo sfondo candido della neve, intento a fissare il cielo. Gli occhi azzurri scintillarono sul muso nero quando il lupo si girò a fissarlo. «Ho pensato che ti avrei trovata qui». Avendo imparato a conservare la propria identità e intelligenza anche quando assumeva la forma di lupo, Abby lo riconobbe e non si sentì minacciata dalla sua presenza. All'inizio, le era a volte capitato di smarrirsi nella parte istintiva del lupo, nel desiderio di correre liberamente e di cacciare, una sensazione che aveva descritto come un «farsi portare a spasso». Anche se quella perdita di controllo l'aveva preoccupata, il lupo era sempre stato guidato dalla sua coscienza umana, dal suo senso di lealtà nei confronti della propria famiglia e di Wendy - era nella sua forma di lupo che aveva salvato la vita a Wendy - e poi anche dello sceriffo che, dopo quei due incidenti, aveva rinunciato a qualsiasi eventuale diritto avesse mai avuto di ingiungerle di conservare la forma umana. Le aveva invece chiesto soltanto di rimanere nelle vicinanze di casa, per evitare che un cittadino spaventato, un cacciatore o un altro poliziotto le sparassero. «Si sta facendo tardi, Abby», le disse. «Torna a casa, prima che qualcuno si svegli, si accorga della tua assenza e si preoccupi». Avanzando di parecchi passi, il lupo fissò intensamente lo sceriffo prima di urtare con il muso la coperta arrotolata. Annuendo, lo sceriffo la srotolò, rivelando dentro di essa un sacchetto di plastica con dei vestiti di ricambio, e gliela drappeggiò intorno alle spalle. Di nuovo il lupo lo fissò, poi mosse di scatto la testa emettendo un breve uggiolio. «Oh, certo», annuì lo sceriffo, girandosi di spalle. Pur non manifestando un pudore eccessivo riguardo alla propria nudità,
Abby era comunque imbarazzata all'idea che qualcuno la vedesse mentre si trasformava da lupo in bambina o viceversa, e senza dubbio ricordava ancora la reazione turbata che lui aveva avuto nell'assistere a una trasmutazione solo parziale: la mano che diventava una zampa. Fermo con le spalle girate, lo sceriffo sentì lo sconcertante insieme di suoni che accompagnava la trasformazione e che, sganciati da un contesto visivo, furono sufficienti ad aprire una porta oscura nella sua immaginazione; seguì qualche altro istante di crepitii e scricchiolii soffocati, uniti ai brevi gemiti e grugniti di fatica di Abby, e lo sceriffo serrò gli occhi, quasi che quel gesto potesse in qualche modo ridurre l'enormità di quanto stava accadendo pochi metri più indietro. «Tutto fatto», annunciò poi la bambina. «Adesso puoi passarmi i vestiti». Lo sceriffo si girò appena, quanto bastò per vederla accovacciata, con la coperta stretta intorno al corpo nudo e tremante, trattenuta con una mano intorno alla gola. Dopo avere gettato ai suoi piedi il sacchetto con i vestiti, tornò a distogliere lo sguardo mentre lei li indossava. Priva della pelliccia protettiva del lupo, Abby era vulnerabile al freddo come una qualsiasi bambina - un pensiero che indusse lo sceriffo a mettere in discussione la propria obiettività nel mentire alla moglie. Sapeva di trattare Abby in modo diverso, ma come poteva non farlo? Se da un lato non poteva certo classificarla come una bambina normale, questo però non voleva dire che lei fosse anormale o, per usare le sue stesse parole, che fosse uno scherzo della natura; eppure lui si costringeva a vederla come una bambina decisamente insolita. Era solo questione di parole? Forse, e tuttavia non poteva evitare di chiedersi se quei pregiudizi sepolti nel profondo del suo essere non stessero influenzando la sua mancanza di fiducia nella moglie. Sono stato ingiusto con te, Christina? Ti ho forse dipinta usando il pennello della mia stessa intolleranza? Come potrò mai saperlo, dato che non sono più capace di guardare al mondo in maniera obiettiva? Sicuramente ho ormai superato qualsiasi considerazione sulla mia sanità mentale... Ma se sono pazzo, almeno mi trovo in buona compagnia. «Adesso puoi guardare». A parte i capelli arruffati, nessuno avrebbe mai immaginato che quella bambina bionda avesse trascorso buona parte della notte sotto forma di lupo. Lo sceriffo scosse di nuovo il capo, momentaneamente a corto di parole, poi piegò a terra un ginocchio e tese le braccia. Con un sorriso, Abby lasciò cadere la coperta e si lanciò in avanti per abbracciarlo con forza,
mentre lui le carezzava schiena e capelli. «Ehi», borbottò fingendo una smorfia. «Sei sicura di non essere in parte orso?» Ridendo, Abby indietreggiò per guardarlo. «Sai che non posso diventare un orso». «Meno male. Non sopravvivrei mai all'abbraccio di un orso». Abby alzò lo sguardo verso il cielo con aria malinconica, la fronte aggrottata. «Cosa c'è che non va?» «Non voglio essere un orso», dichiarò Abby con un sospiro. «Voglio volare». «Un lupo volante?», scherzò lo sceriffo. «No! Voglio essere un'aquila». «Perché mai vorresti essere un'aquila calva?», ribatté lui serio, pettinandole i capelli con le dita. «Sciocco, le aquile non sono calve», esclamò Abby ridendo. «È solo che le penne della testa sono bianche, più o meno come il colore dei miei capelli». «E tu vorresti... assumere la forma di un'aquila?» Guardando di nuovo verso il cielo, Abby gli fece il più grande dei sorrisi. «Librarsi nel cielo, in alto sopra gli alberi. T'immagini quanto sarebbe bello?» «Sono certo che sarebbe molto bello, Abby, ma a volte dobbiamo accettare i nostri limiti. Tu hai già questa meravigliosa... capacità di trasformarti in lupo, il che è più di quanto possa fare il resto di noi». «Lo so», convenne Abby con una nota contrita nella voce, «ma le mie ossa... a volte, quando sto per dormire ma non sono ancora del tutto addormentata... è come se le ossa mi parlassero, e volessero che io diventassi... altre cose». «Come fanno a parlarti, Abby?» Lei scrollò le spalle, come solo i bambini sanno fare. «Non sono proprio parole, credo. È solo che... si muovono sotto la pelle, le sento che si spostano, per verificare cosa sono capaci di fare, come se pensassero che io non me ne accorga». «Abby, ti fa male quando questo succede, quando le ossa si muovono?» «Non fa male, ma mi fa un po' di solletico», spiegò lei. «A volte sembra soltanto... strano. Mi rende difficile prendere sonno». «Ti fa paura?»
«No, non ho paura. Voglio dire, all'inizio avevo paura di diventare un lupo, ma adesso mi sembra una cosa naturale». Di nuovo Abby scrollò le spalle. «Sai, come quando a volte le palpebre si mettono a tremolare e non riesci a fermarle». «Ah, contrazioni nervose», annuì lo sceriffo. Quando era a corto di sonno, e soprattutto dopo una giornata di pesante lavoro d'ufficio, gli capitava che le palpebre gli si contraessero; che fosse la conseguenza della stanchezza, della mezza età o della vista che cominciava ad abbassarsi, quei piccoli spasmi involontari costituivano un fastidio di poco conto. Provò a immaginare cosa si dovesse provare nell'avere tutta la struttura scheletrica che prendeva a contrarsi in quel modo mentre si stava cercando di prendere sonno, e per un momento riuscì ad avere un'idea di quello che Abby doveva sperimentare quasi ogni giorno. Non mi meraviglia che non riesca a resistere all'impulso di cambiare forma. Per lei è forse il solo modo di far cessare quella particolare sensazione, pensò. «Credo di capire... Ecco, almeno nella misura in cui può farlo chi non è un mutaforme», disse infine. «Cosa ti fa pensare che questo contrarsi delle ossa non sia soltanto un tentativo di manifestarsi da parte della tua forma di lupo?» «Perché so come si muovono le ossa, quando divento un lupo», spiegò Abby. «Succede sempre nello stesso modo, come se le ossa ricordassero cosa devono fare. Mentre questo... è diverso. È come se le ossa stessero facendo degli esperimenti». In quel momento lo sceriffo provò un'estrema gratitudine per il fatto che Abby non si lasciasse spaventare dalla duttilità delle proprie ossa, perché su di lui la cosa aveva invece l'effetto di terrorizzarlo. Nel tentativo di nascondere alla bambina il proprio improvviso disagio, si schiarì la gola, le posò una mano sulla spalla e indicò con l'altra in direzione del bosco. «Dovremmo tornare indietro», suggerì. «D'accordo», assentì Abby. «Vado io per prima. Conosco la strada a memoria». La sua memoria di lupo, pensò ancora lo sceriffo, ma non lo disse, e raccolse invece la coperta e il sacchetto di plastica. «Senti, Abby», disse. «So che vuoi volare, che vuoi trasformarti in un'aquila, ma cerca di essere paziente. Se è una cosa che è destinata a succedere, accadrà. Dalle tempo, e nel frattempo promettimi che non forzerai qualcosa che potrebbe sfuggire al tuo controllo».
«Starò attenta, sceriffo... Voglio dire, papà», garantì Abby. «Promesso». Chiamare «papà» lo sceriffo era una cosa a cui stava ancora cercando di abituarsi, ma stava facendo progressi. «Brava ragazza», approvò lui con un sorriso. «Adesso fammi strada verso casa». Diario di Wendy Ward (segue) Ho appena finito di parlare al telefono con Karen. Lei e Art hanno passato la notte all'ospedale con Hannah, dopo che la bambina ha avuto una crisi convulsiva. Povera piccola! Vorrei poter fare qualcosa per aiutarla, o almeno per aiutare sua madre e Art a far fronte a questa situazione. Posso anche essere il loro esperto in fatto di magia, ma in questa faccenda non so che pesci pigliare. Quando è rientrata a casa dall'ospedale, Karen ha controllato la segreteria e mi ha lasciato sul cellulare un messaggio stanco e avvilito, che ho sentito stamattina, mentre stavo per chiamare Alex. Immediatamente ho messo Alex in coda e ho chiamato Karen a casa; stava «girando a vuoto in cucina», sono le sue stesse parole, mentre Art e Hannah si erano addormentati da circa un'ora. Anche se ha mantenuto bassa la voce per tutta la conversazione, la frustrazione nei confronti dell'ospedale suonava più che evidente. Cosa che non mi sorprende affatto, le analisi di Hannah sono risultate tutte negative. Di qualsiasi cosa si tratti, ciò che sta causando la sua crescita accelerata non è individuabile mediante la medicina moderna, e la sua crisi convulsiva non ha alcuna apparente causa fisiologica: è l'ennesima manifestazione degli effetti sovrannaturali che circondano quante erano state scelte come ospiti dei membri della congrega di Wither... specificatamente Hannah, Abby e io stessa. Karen mi ha riferito gli eventi che hanno portato alla crisi convulsiva di Hannah, descrivendomi il suo incubo, che era probabilmente una visione o una profezia, e riferendomi come Hannah avesse gridato nel sonno dicendomi di fuggire, parole che ribadiscono l'avvertimento della Vecchia. Quello che mi preoccupa di più sono i tempi. La visione di Hannah e la sua crisi si sono verificate più o meno nello stesso momento in cui io stavo ricordando e, un pensiero raggelante che oso a stento formulare, evocando la maledizione di Wither. Sarei una sciocca a pensare che i due eventi non siano correlati, ma... la Vecchia è qui!
Wendy salvò il file del suo diario, spense il computer e lo ripose nella borsa da viaggio. Si era fatta portare in camera una colazione «tutta americana», quindi era ancora in pigiama, intenta a godersi il lusso di oziare un poco dopo una notte quasi insonne. «Lieta che tu sia tornata. Dobbiamo parlare», disse. La Vecchia, che era apparsa ai piedi del letto mentre Wendy stava scrivendo il suo diario, annuì. «Sì, dobbiamo parlare». «La scorsa notte è accaduto qualcosa. Io... ho perso la mia magia. Ho cercato di creare una sfera, e non ci sono riuscita». «Raccontami con esattezza cosa è successo». Wendy sintetizzò gli eventi della notte precedente, riferendo dell'esplosione del serbatoio del pick-up e di come non fosse più riuscita a materializzare un'altra sfera, dopo che la precedente era stata investita dallo scoppio mentre stava ancora assumendo le sue normali dimensioni. «Ho bruciato il mio potere magico?», chiese quindi. «Da quando hai fallito con la sfera, non hai più tentato di usare la magia?» «No. Per qualche motivo, non me la sono sentita». «Non ti preoccupare, Wendy», disse la Vecchia. «Sono certa che si tratta soltanto di una perdita temporanea. Dato che nel momento in cui si è verificata l'esplosione stavi incanalando le tue energie magiche, questo ha probabilmente fatto scattare nella tua mente un interruttore psichico automatico». «Non sapevo che ce ne fosse uno». «È quella parte della tua mente strutturata in modo da proteggerti dall'assorbire troppa energia in un tempo troppo breve». «Potrei assorbire un'esplosione? E incanalarne l'energia nella magia?» «Wendy, non pensare neppure di tentare una cosa del genere! Non per molto tempo ancora», disse categorica la Vecchia. «Potresti incenerirti dall'interno. Promettimi che non tenterai di fare una cosa tanto pericolosa». «D'accordo, stavo solo chiedendo», si schermì Wendy. «Fare surf su esplosioni di benzina non è esattamente la mia attività preferita nell'ambito degli sport estremi. Che mi puoi dire riguardo all'incidente verificatosi a Winnipeg?» «Non so quanto ti saranno utili le mie informazioni». «Mi hai detto di lasciare Dodge... ecco, Winnipeg... ma il senso era co-
munque chiaro». La Vecchia appariva opaca, e tuttavia assumeva una certa solidità ogni volta che Wendy si concentrava esclusivamente sulla sua immagine proiettata a livello astrale e temporale; a volte doveva addirittura ricordare a se stessa che quel corpo non era presente fisicamente, che era soltanto una proiezione vocale e visiva soprannaturale. «Causa ed effetto erano un po' mescolati», disse la Vecchia, accigliandosi. «La domanda più ovvia è: "Come?"» «Il motivo per cui dovevi lasciare Winnipeg non si era ancora verificato». «Ma nel contesto di una fuga per salvarsi la vita, questo è anche meglio, giusto?» «Ti ho dato un avvertimento, ma era quello sbagliato. Eri tu stessa il motivo per cui dovevi lasciare Winnipeg». «Io sarei dunque il peggior nemico di me stessa? Senti, adesso non ti seguo proprio... Oh, accidenti! Si trattava dell'incantesimo, vero? Della maledizione di Wither». La Vecchia annuì. «Nel mio passato, da qualche parte nel periodo di flusso temporale che ci divide, tu avevi già riattivato la maledizione. Il problema è stato che nel mio passato la cosa è successa due volte», spiegò. «Ho commesso due volte lo stesso stupido errore?» «Non esattamente», replicò la Vecchia, «e da qui è derivata la mia confusione. Quando ti ho dato quell'avvertimento, tu ti trovavi a un crocevia temporale, un punto in cui la linea temporale può subire ampi cambiamenti. Come ti ho già spiegato in passato, la linea temporale non è modificabile quanto si potrebbe pensare, e grandi cambiamenti, o anche solo la loro potenzialità, sono un evento raro. Io ho reagito a questo... fulcro temporale, invece di reagire al vero problema». «Ti riferisci all'incantesimo?» «Sì. Visto che ti trovavi nel fulcro, in quello che tu definiresti un "punto caldo", io...» «Io li chiamo "punti caldi"?» «Non ancora, ma lo farai». «Ah», si limitò a commentare Wendy, sapendo bene che non era il caso di insistere su quell'argomento. «Vista la tua posizione a quel bivio, ho sperimentato qualcosa che non mi era mai capitato prima, qualcosa di insolito e... inatteso».
«È stato questo a causare la crisi convulsiva di Hannah?» «Sì. Si è scatenata quando ho ricordato simultaneamente entrambe le linee temporali». «Quindi in quel momento non avevi un solo passato, ma due? Due gruppi di ricordi del tutto diversi?» «Temo che il mio io più giovane non sia stato in grado di risolvere, o almeno di tollerare, tante contraddizioni, anche se per lei nessuno dei due gruppi di ricordi si era ancora effettivamente verificato». «Due possibili passati per il suo io futuro», mormorò Wendy. «Due gruppi di ricordi sperimentati attraverso il prisma del suo futuro. Perfino io sto avendo dei problemi a chiarirmi le idee al riguardo!» Se non altro, adesso avrebbe potuto spiegare a Karen che cosa era successo, rassicurandola sul fatto che la crisi aveva avuto una causa concreta e che era difficile che si ripetesse... o almeno così sperava. «Hannah sa quello che mi stai dicendo?», domandò. «Non a livello cosciente, anche se può avvertirne una parte a livello intuitivo». «Ma tu sei una proiezione della sua mente...» «Sono una sorta di stato alterato della consapevolezza creato dalla sua mente. Così come non ha un controllo cosciente sulle mie apparizioni qui, Hannah non ha una conoscenza cosciente dei miei pensieri e dei miei ricordi». «Come una scissione della personalità?» «In un senso molto approssimativo, sì», replicò la Vecchia. «Fra noi filtra però qualche comunicazione, cosa che probabilmente è la causa delle sue occasionali premonizioni e che, altrettanto probabilmente, costituisce il motivo per cui io riesco a esistere nel presente». «Ti credo sulla parola», sorrise Wendy. «Ma qual è stato il problema di causa ed effetto connesso al tuo avvertimento?» «Ho pensato erroneamente che tu avessi già attivato la maledizione dormiente e che fossi già in pericolo a Winnipeg», spiegò la Vecchia allargando le mani. «E non lo ero?» «Non in quel momento...», cominciò la Vecchia, ma si bloccò prima di completare quel pensiero. «Che ti prende?», domandò Wendy. «Percepisco che eri in pericolo, ma che quella minaccia non è più immediata».
«Hannah ha parlato di un mostro con artigli insanguinati, una creatura grande e spaventosa». «La maledizione di Wither è stata strutturata in modo da essere in sintonia con le creature del caos». «Stando alla descrizione, questo mostro risponde ai requisiti». «Nelle linee temporali sovrapposte, ricordavo che tu avevi attivato la maledizione quel giorno, ma anche molto più in là nella tua vita». «Quindi è successo in entrambe le linee temporali?» «Sì, ma in una delle due tu hai avuto più tempo per prepararti». «Il che sarebbe stata una buona cosa». «Sì, ma... in quella linea temporale il mostro ti ha uccisa. Avevi maggiori conoscenze, ma eri meno cauta. Anni di pace ti avevano isolata, lasciandoti impreparata a fronteggiare minacce sovrannaturali». «Ma nell'altra linea temporale - quella che ho accidentalmente scelto, recitando l'incantesimo di Wither - in quella linea temporale, sono riuscita a scamparla?» «Sì, però dobbiamo sempre considerare il flusso temporale». «Il che significa che, se tu mi dici adesso che sopravviverò al mio incontro con Vecchi Artigli Insanguinati, io potrei andare in battaglia troppo sicura di me o impreparata, e...» «Proprio così», la interruppe la Vecchia. «Se questo dovesse accadere, e tu morissi, io ricorderei una terza linea temporale». «Una in cui io sono morta in battaglia?» «Sì, e non ricorderei più che c'erano state altre conclusioni per quegli eventi». «Ho capito. In questi giochi temporali non ci sono garanzie». «Sono lieta che tu capisca, Wendy. La mia presenza qui è come un inganno temporale, un forzare le regole», replicò la Vecchia. «Però non devi mai prendere per oro colato nulla di quanto ti dico. Niente è un dato di fatto inalterabile. Io... interagisco con te a rischio di alterare il mio passato e il tuo futuro. Naturalmente le mie intenzioni sono buone, voglio aiutarti, altrimenti non cercherei di contattarti, ma nonostante questo la decisione di apparire per me è sempre difficile da prendere». «Quindi dal tuo punto di vista siamo tornati a una sola linea temporale?» La Vecchia annuì. «Il che significa che Hannah non dovrebbe avere altre crisi convulsive, giusto?» Un altro cenno di assenso.
«E com'è la situazione con Vecchi Artigli Insanguinati?» «Poco dopo che tu hai rinnovato l'incantesimo della maledizione di Wither, la creatura ha cominciato a inseguirti. Purtroppo, questo è successo mentre io ero... incapacitata», spiegò la Vecchia. «Ora non percepisco più la sua presenza... l'ho persa. Credo sia di nuovo in letargo». «Non capisco. Mi devo preoccupare?» «Non potendo percepire l'esatta natura di questa minaccia, non sono in grado di guidare la direzione del tuo addestramento. Continua a eseguire gli esercizi attuali. Come sempre, dovresti lavorare per ridurre il tempo necessario a raggiungere la focalizzazione ed evocare la sfera protettiva. Esercita la tua capacità di mantenere la focalizzazione in condizioni difficili e di fronte a fonti di distrazione, migliora la qualità della visualizzazione e, soprattutto, rimani cauta. Purtroppo, quando sarò in grado di essere più specifica, vorrà dire che la minaccia è imminente, che la creatura ha ripreso l'inseguimento e che il tempo a disposizione per addestrarti è limitato». L'immagine della Vecchia tremò, e lei chinò lo sguardo sulle proprie mani trasparenti. «Hannah è molto stanca. Presto dovrò andarmene», aggiunse. «D'accordo, ma spiegami come... Voglio dire, perché questa creatura ha aspettato che io recitassi la maledizione di Wither, prima di svegliarsi? È una specie... non so, una specie di scherzo che Gina Thorne mi sta facendo dalla tomba?» «Il suo incantesimo è stato efficace, ma è stato sventato da un mancato tempismo», spiegò la Vecchia. «La prima creatura del caos che il suo incantesimo ha tentato di evocare, è di un genere che va in letargo durante la stagione calda». «Gina è morta in agosto». «La creatura ha cercato di darti la caccia già allora, ma ha ceduto all'impulso di tornare in letargo». «Come fai a saperlo?» L'immagine proiettata fu attraversata da un altro tremolio. «Sono state le tue stesse indagini nel... nella zona di Winnipeg a portarti a questa conclusione». «Il caso ha voluto che la prima creatura evocata per realizzare la vendetta di Wither si trovasse ibernata nell'area di Winnipeg, dove sempre il caso ha voluto che io mi stabilissi per un prolungato periodo di tempo, sedici mesi dopo. Mi sembra una coincidenza troppo strana e forzata». «Non partire dal presupposto di una coincidenza, Wendy. O sono stati
gli effetti residui della maledizione a condurti a... Winnipeg oppure un possibile effetto complementare della maledizione è... quello di farti trovare, ogni volta che se ne presenti l'occasione, il più vicino possibile al pericolo che... dovrai affrontare». «Può darsi, ma il saperlo non mi aiuta», replicò Wendy. Sta perdendo il contatto con me, pensò intanto, vedendo che adesso l'immagine della Vecchia era quasi trasparente. «Non posso fare supposizioni sulla base della preveggenza», continuò. «Se rimango ferma, può darsi che questo sia esattamente ciò di cui la maledizione ha bisogno per rendermi vulnerabile, e se fuggo, può darsi che finisca per dirigermi proprio verso il pericolo». «Purtroppo è vero. Non puoi conoscere la strada che non hai percorso. Per definizione, essa non esiste. Di nuovo... consiglio di... essere cauta». «C'è altro?» «No. Sfortunatamente, finché la creatura... dormiente, la conoscenza di Hannah degli eventi della linea temporale... mio passato... nebulosa. Una volta mi... suggerito, mi suggerirai... un giorno, che scoppi di energie soprannaturali... nel presente... aprono buchi di precognizione nella nebbia temporale... oscura il futuro». «Aspetta, prendo una penna», disse Wendy, con un sorriso asciutto. «Quella che elaborerò è una teoria grandiosa, e mi piacerebbe ricordarmela». «... è un'altra cosa...» L'immagine della Vecchia tremò ancora, facendosi indistinta lungo i contorni, come un cerchio di fumo che svanisce, e quando parlò ancora la sua voce suonò molto più fievole. «Reso chiaro, per mo... di dire, da energie soprannaturali... altro tipo». «Spiegami». «Parla... Kayla. È prossima a scoprire... qualcosa che devi sapere, qualcosa che serve a tutti noi...» «Cosa?» «I piani di Wither riguardo a...» «Aspetta!» Troppo tardi. Con quelle ultime parole, la Vecchia era svanita dalla stanza del motel. Diario di Wendy Ward (segue) Purtroppo, anche dopo la sua morte, l'influenza malvagia di Wither continua a diffondersi. Avevo sperato e supposto che soltanto noi tre - Han-
nah, Abby e io - avremmo dovuto trascorrere il resto della nostra vita preoccupandoci delle conseguenze dell'essere state scelte dalle streghe della congrega di Wither. È come se fossimo state contagiate da una malattia letale, ma siamo tutte e tre in uno stato di remissione dei sintomi. Vivere in preda alla paura e all'incertezza è diventato per noi uno stato normale. Adesso la Vecchia mi ha detto che anche Kayla è coinvolta, il che può significare soltanto una cosa: che non si è liberata dalla contaminazione del sangue nero di Gina Thorne. Anche se è stata costretta a inghiottire quel sangue demoniaco, in seguito lo ha espulso dal proprio organismo ficcandosi due dita in gola per vomitare; visto che entrambe temevamo che quel rimedio potesse rivelarsi insufficiente, ho tentato di guarire Kayla con la magia, ma per fortuna non ho trovato niente da guarire, nessuna traccia di Wither annidata nella sua mente. Ho pregato e sperato che Kayla fosse fuori da tutta questa storia, e il passare del tempo ha dato a entrambe un certo conforto, per lo più inespresso, in quanto Kayla non ha mostrato nessun segno di quella che potrebbe definirsi una contaminazione malvagia... È così che cominciamo a ingannare noi stessi, a credere alle nostre stesse menzogne. Tutte queste cose di magia mi suonano ancora così nuove. Appena poco tempo fa, ero solo una neofita... Che cosa sapevo? Forse c'è un'altra spiegazione, accanto a quella fornita dalla logica, ma si tratta di una spiegazione che mi mette i brividi... E se la contaminazione fosse rimasta dormiente dentro Kayla per tutto questo tempo? Forse a quell'epoca ero troppo inesperta per individuarla, forse l'infezione ha continuato a suppurare dentro di lei e soltanto adesso è pronta a manifestarsi con - e spero che sia solo una supposizione - conseguenze spaventose. D'accordo, Wendy, calmati. Se la situazione fosse stata così grave, la Vecchia si sarebbe mostrata più preoccupata. A meno che, naturalmente, stia cercando di non allarmarmi. No, no, devo smetterla con questi pensieri. L'informazione è arrivata quasi come un ripensamento. Lei ha detto che Kayla è prossima a scoprire un'informazione relativa a Wither. Niente di più. È tempo di tornare in contatto con il mondo esterno... Altro contrattempo. Speravo di parlare di questa faccenda con Kayla, e invece mi ha risposto la segreteria telefonica di sua madre (sì, questo balletto di segreterie mi sta davvero facendo salire la pazienza a livelli di guardia. Un respiro rilassante, un altro...). Le ho lasciato un messaggio, dicendole di chiamarmi sul cellulare.
Alex, d'altro canto, era sveglio e a casa, e ha ricevuto la mia chiamata. Pareva di buon umore, ma la conversazione si è fatta imbarazzata, perché è passato troppo tempo dall'ultima volta che ci siamo visti, troppo tempo da quando abbiamo anche solo parlato per telefono o scambiato un'e-mail. Abbiamo decisamente bisogno di vederci faccia a faccia, quindi c'incontreremo al Mall of America di Bloomington, in Minnesota. Sì, a un paio si chilometri dal mio motel c'è il più grande centro commerciale del Nord America. Alex ha detto che avrebbe portato una bussola, la tenda e i sacchi a pelo, ma spero che stesse scherzando. In ogni caso, se non riuscirò a trovare niente da comprare in un posto del genere, per la vergogna ridurrò l'assortimento delle mie carte di credito, il che probabilmente non sarebbe una cattiva idea. D'alto canto, mi servirebbe proprio un bel giro di shopping, come terapia. E adesso, la doccia mi chiama... Bloomington, Minnesota «Allora, che ne pensi?» «Ho pronto lo zaino», rispose Wendy. «Possiamo entrare a Camp Snoopy?» Camp Snoopy, un parco dei divertimenti ampio sette acri, e situato al centro del complesso multipiano del Mall of America, offriva giostre, giochi, spettacoli e ristoranti, ma purtroppo non c'erano stanze a pagamento. «A Camp Snoopy non succedono cose brutte, vero?» «Non saprei», rispose Alex Dunkirk. «Dopotutto, Charlie Brown ha perso i capelli quando era ancora molto giovane, non ha mai molta fortuna con il football e, a quanto ho sentito, pare che il banchetto di consulenze psichiatriche di Lucy stia facendo affari d'oro. Credo che quei piccoletti con la testa grossa abbiano un sacco di problemi personali». «Allora non sono diversi da noi?» «Però il bracchetto è in gamba», replicò Alex, scuotendo il capo. Alex era alto quasi un metro e ottanta, con i capelli castani, al momento infilati sotto un berretto da baseball dei Minnesota Wild, e occhi grigi segnati da una cicatrice sopra la palpebra destra, seminascosti da un paio di occhiali da sole tenuti bassi sull'arco del naso. Quando Wendy lo aveva conosciuto, Alex le aveva spiegato che aveva gli occhi estremamente sensibili alla luce e che, ogni volta che dimenticava di mettere gli occhiali da sole, sviluppava una terribile emicrania. Wendy supponeva che adesso
quel problema fosse migliorato, e che gli occhiali da sole fossero diventati più un'affettazione che una vera necessità, ma non gli faceva mai osservazioni al riguardo. Anzi, stava pensando che, considerati il bomber di cuoio marrone, i pantaloni di velluto beige e gli stivali scuri da lui indossati, un paio di occhialoni da aviatore si sarebbero adattati di più all'insieme. Magari, glieli avrebbe comprati prima di lasciare il centro commerciale. Wendy aveva indosso un lungo cappotto di lana verde con cintura che aveva comprato a Winnipeg, sotto cui portava un maglione verde smeraldo abbinato a una lunga gonna nera con disegni celtici ricamati in argento intorno al bordo. Era più elegante rispetto alla sua abituale tenuta invernale costituita da maglione, jeans e piumino d'oca, ma non vedeva Alex da secoli e, anche se si vergognava ad ammetterlo, si era vestita in modo da fare colpo. Oltre all'abituale ciondolo di cristallo e al braccialetto di pietre, quel giorno sfoggiava un paio di pendenti d'argento con due stelle a cinque punte, e poco prima di lasciare il motel aveva deciso anche per un rossetto borgogna e un tocco di ombretto. Una notte, a Winnipeg, mentre stavano facendo qualche esperimento per trovare nuovi look, lei e Tara avevano scoperto per caso quella combinazione di colori che le si addiceva. «Mette in risalto il verde degli occhi», aveva dichiarato Tara. Wendy non era certa che gli occhi così truccati avessero operato su Alex una qualche magia, ma le prime parole che gli erano uscite di bocca, nel vederla, erano state: «Hai un aspetto splendido!». Naturalmente poteva essersi trattato di una reazione automatica, considerato che non era abituato a vederla con il trucco più di quanto lei fosse abituata a portarlo. Lasciò scorrere lo sguardo sulle file di negozi, per lo più con nomi resi familiari dalle campagne pubblicitarie su scala nazionale e dalla presenza diffusa in tutti gli Stati Uniti e, probabilmente, nel mondo. Nel Mall of America - e se mai c'era un nome appropriato per la madre di tutti i centri commerciali, si trattava proprio di quello - l'omogeneità delle catene a grande diffusione era una dimostrazione del potere del capitalismo. «Nei centri commerciali non si vedono molti negozi a conduzione familiare», commentò. Con un vero atteggiamento da laureando in economia, Alex si grattò il mento con aria pensosa. Quindi replicò: «Il capitalismo è la sopravvivenza delle forme imprenditoriali più forti. Le catene commerciali significano un volume di clienti superiore a quello dei negozi a conduzione familiare, il che si traduce in un maggior volume di sconti sui rifornimenti di merci che porta a prezzi più competitivi, i quali generano a loro volta altre vendite,
gonfiando la linea di base e dando vita a nuovi franchising. Un cerchio in espansione continua». «E aiuta il fatto che noi americani preferiamo le cose note», ribatté lei. «Probabilmente è qualcosa che risale all'accettazione tribale. E le campagne pubblicitarie su scala nazionale contribuiscono in parte a questa comunione mentale, dicendoci in che modo possiamo fare parte del tutto». Levò in alto lo sguardo dal primo livello del centro commerciale. «Credi che sarebbe una forma di minimizzazione, dire che questo posto è immenso?» «Una minimizzazione esagerata, signora. Sapevi che qui dentro ci si potrebbero far entrare sette Yankee Stadium?» «Uno sarebbe sufficiente», dichiarò Wendy. «Io però sono qui per degli stivali... due paia, per l'esattezza. Me ne serve un paio robusto, per andare nella neve, e un altro più elegante, magari a metà polpaccio. Oh, e voglio anche degli orecchini». «Qui non dovrebbero esserci problemi a trovare quello di cui hai bisogno». «È bello rivederti, Alex». «Vale lo stesso per me. È passato molto tempo». «Troppo». Dopo un momento di indecisione, Wendy gli depose un casto bacio su una guancia. «Hai avuto cura di te stesso?», chiese quindi. «Ho un bastone nuovo», disse lui, mostrando un bastone con una testa di gargoyle come impugnatura. «Preso nello stesso negozio dove mi sono fatto fare il primo». Quando la sua mobilità era risultata limitata, Alex aveva avuto bisogno di un bastone, e aveva pensato che tanto valeva optare per uno che potesse servire anche come arma. La pressione di un pulsante faceva scattare verso l'alto l'impugnatura, liberando dall'alloggiamento una corta lama. «Però adesso non ne ho quasi più bisogno». «È splendido, Alex». «Ecco, se cammino davvero a lungo, le gambe mi si affaticano, ma riesco a fare un po' di jogging un paio di volte alla settimana senza avere dolori». «Ne sono davvero felice», affermò Wendy, che continuava a sentirsi colpevole per le lesioni che Wither aveva inflitto ad Alex, nel suo fallito tentativo di ucciderlo e di rimuoverlo così dalla sua vita. Anche con la riabilitazione, Alex avrebbe sofferto conseguenze a lungo termine, forse perfino un danno permanente e dolori cronici, se Wendy non fosse intervenuta con la sua magia risanante. I notevoli effetti di quell'incantesimo l'avevano
convinta di essere davvero in grado di usare la magia, una cosa di cui aveva cominciato a dubitare da quando Wither era entrata nella sua vita. Quanto era successo l'aveva portata a pensare che ogni prova del suo potere magico fosse soltanto il risultato di un'elaborata serie di illusioni create da Wither in una specie di distorto, perverso gioco psicologico. L'incantesimo di risanamento operato su Alex l'aveva però convinta del contrario; quando poi Alex era tornato a Windale, Wendy aveva incanalato il proprio potere e portato avanti il risanamento mediante contatto fisico diretto. «Non sono ancora al cento per cento dell'efficienza», ammise Alex, «ma sono vicino al novanta per cento». «Eccellente!» «Ecco, di questo devo ringraziare te», disse, elargendole a sua volta un casto bacio. «Ti sei sottoposto a mesi di riabilitazione». «Ma la tua... medicina ha fatto miracoli», ribatté Alex, guardandosi intorno per essere certo che nessuno li stesse ascoltando. «Ecco a voi Miss Meraviglia», scherzò Wendy. «Lo sei davvero», dichiarò Alex, con un sorriso in tralice. «Una meraviglia, intendo». «Fra sei settimane controlla la cassetta della posta per vedere se ti è arrivata l'iscrizione al mio fan club. Da questo momento sei un membro ufficiale». «Ehi, credevo di essere il presidente!», esclamò Alex, battendosi una mano contro il petto. «D'accordo, siamo seri, altra adulazione e la testa mi esploderà», tagliò corto Wendy. «Ripassiamo i nostri piani. Come procediamo, per conquistare il centro commerciale?» «Troviamo i tuoi stivali, accarezziamo uno squalo, facciamo una fotografia con Snoopy, pranziamo al Cafè Odyssey, dove l'ambiente è fantastico, e poi magari andiamo al cinema, o a ballare...» «Ehi, piano, tigre, frena», lo interruppe Wendy. «Non stai dimenticando qualcosa? Come per esempio la cena con la tua famiglia?» «Ah, già», annuì Alex, «mi ero dimenticato che si suppone che io condivida la tua compagnia. Devo continuare a ricordare a me stesso che oggi è soltanto il primo di gennaio, e che abbiamo davanti un'intera settimana insieme». Quello era stato il piano originale, basato sulla supposizione che Wendy sarebbe riuscita ad arrivare a Minneapolis per il primo dell'anno: una set-
timana insieme, poi Alex sarebbe tornato in aereo al Danfield College e Wendy lo avrebbe raggiunto a Windale via terra alla guida della Pathfinder. Tuttavia, le cose erano cambiate rispetto all'ultimo giorno che aveva trascorso a Winnipeg: adesso non poteva azzardare di rimanere a Minneapolis più di un giorno o due, ma come fare a dire ad Alex che sarebbe ripartita tanto presto? Il loro rapporto - ciò che ne rimaneva - era in standby ormai da oltre un anno. A causa di quei lunghi mesi di anticipazione, rimpianto e aspettative, ogni parola e gesto sarebbe risultato ingrandito, al di là delle proporzioni effettive. Ora però tutto era cambiato, dei meccanismi erano stati messi in moto, leve e ingranaggi magici, e a ogni ora che passava Wendy sentiva crescere la propria ansia. Se non fosse stata attenta, sarebbe precipitata in quel marchingegno soprannaturale e ne sarebbe stata schiacciata. Tutto quello che poteva fare era godersi quel momento. Tratto un profondo respiro per calmarsi, accantonò temporaneamente le sue gravose preoccupazioni e infilò il braccio sotto quello di Alex. «Sono pronta», annunciò. «Andiamo». Capitolo 5 Bloomington, Minnesota 1 gennaio 2002 Parecchie ore più tardi, mentre lei e Alex stavano tornando verso il negozio Nordstrom, da cui era iniziato il loro giro di shopping, Wendy riunì parecchi sacchetti più piccoli dentro quello grande che conteneva gli stivali nuovi. Privo di sacchetti, ma con un paio di nuovi occhiali da aviatore sul naso, Alex le camminava accanto con entrambe le mani infilate nelle tasche dei pantaloni di velluto e il bastone incastrato sotto il braccio destro. Insinuando la mano libera sotto il braccio sinistro di lui, Wendy gli assestò un lieve strattone; Alex si girò a guardarla, sorrise e le prese la mano. «È stato divertente», commentò Wendy. «Prima d'ora non avevo mai toccato uno squalo». «No?» Wendy scosse il capo. «Credevo avessero la pelle più ruvida, più coriacea», aggiunse. «Quello che abbiamo visto non è certo il branco di squali più ruvidi e coriacei che ci siano in giro. L'iniziazione alla corporazione degli squali
cazzuti richiede che il candidato trangugi almeno una targa automobilistica o un vecchio stivale di gomma. Interi. Quei piccoletti non sono riusciti a superare la prova, e quindi sono finiti a lavorare alla Under Water Adventures, con salario minimo». «Salario minimo, eh?», ridacchiò Wendy. «Certo. Non hanno il permesso di accettare mance, nemmeno un bocconcino». «Allora farò meglio a buttare via tutte quelle teste di pesce che stavo tenendo da parte». «Teste di pesce?», ripeté Alex inclinando la testa da un lato. «Credevo fosse il tuo nuovo profumo». Wendy gli urtò un fianco facendolo barcollare lateralmente. «Hai appena perso il tuo diritto alle coccole notturne, signor Dunkirk», ribatté. «Acc! Questo è un colpo basso». «Quanto le temperature invernali del Minnesota, baby», rise Wendy. «Ehi, ti ho detto quanto mi piacciono i tuoi nuovi occhiali da sole?» «Lo hai detto quando li hai scelti, e di nuovo quando li hai pagati», sorrise lui. «Ti ho ringraziata?» «Sì, ma non ce n'era bisogno. Il tuo compleanno è fra quattro giorni», replicò Wendy. «Ehi, compirai ventun'anni, quindi potrò corromperti per comprarmi i liquori, almeno finché non effettuerò anch'io il grande giro di boa, il prossimo agosto». «Bevi molto, vero?» «No, in realtà no. D'accordo, l'ho fatto qualche volta, in Canada, ma credo che là fosse legale». «Mi chiedo sempre come mai a diciott'anni una persona possa essere arruolata nell'esercito e le si possa chiedere di morire per il suo Paese, mentre se compra una birra prima dei ventuno commette un atto illegale». «A diciott'anni si è troppo irresponsabili per bere alcolici, ma non per imbracciare un fucile? È una logica alquanto distorta, ma del resto di questi tempi non c'è il pericolo di arruolamenti forzati», disse Wendy, poi si fermò e chiese: «Dove hai parcheggiato? Io credo di essere al livello tre». «Mi ha accompagnato qui Suzanne», rispose Alex. «Ho pensato che avresti potuto accompagnarmi tu a casa». «Stasera tua sorella sarà a cena con noi?» «Forse faremo in tempo a incontrarla», replicò Alex, «ma non si fermerà molto, perché ha un appuntamento importante».
«Hai detto che i tuoi genitori hanno comprato una casa a Roseville?», chiese più tardi Wendy, mentre già stava guidando la Pathfinder fuori dal parcheggio. «È subito a nord di St. Paul. Prendi la 494 in direzione est. Ti dirò io quando svoltare». «D'accordo», annuì Wendy. «Ehi, qui vicino ho visto i cartelli di una riserva naturale». «Sì, il Minnesota Valley National Wildlife Refuge, aperto tutto l'anno». «Mi sembra giusto aver scelto per la mia visita i mesi più freddi dell'anno». «Gennaio va benissimo come periodo», rispose Alex, poi sollevò una mano e cominciò a contare sulle dita, elencando: «L'Agenzia di Viaggi Dunkirk, di recente formazione, ci ha prenotati per un po' di sci di fondo domani, un giro in motoslitta giovedì e una visita alla pista di pattinaggio sul ghiaccio di Milwaukee Depot venerdì. Lasceremo la pesca sul ghiaccio per sabato, a meno che tu non preferisca pescare venerdì e andare a pattinare sabato». «Brrr», commentò Wendy simulando un brivido, «e ancora brrr. Nella tua agenda non c'è niente che non preveda ghiaccio e neve?» «Ecco, ci sarebbe il Minnesota Zoo, ma ci sarà neve anche là», rispose Alex. «Non posso certo scioglierla a forza. Oh, e che ne dici dell'Istituto di Belle Arti o del Weisman Museum? E poi, ecco... stavo pensando che forse sabato sera potremmo concederci una cena romantica al St. Paul Grill o da Kincaid». «Alex...» «Che c'è? È in vigore anche la messa al bando del lume di candela?» «Riguardo a questa settimana», cominciò Wendy, «so che hai fatto tutti questi progetti, ma...» Il suo cellulare trillò proprio in quel momento, e lei s'interruppe per tirarlo fuori dalla borsa e rispondere. Windale, Massachusetts Seduta nel mezzo del letto ancora intatto, Kayla rigirava il telefono fra le mani sentendosi sperduta. Di tanto in tanto, alzava lo sguardo verso il poster della Harley Davidson attaccato con il nastro adesivo sul retro della porta della sua stanza, e lo focalizzava sulla foto della Softail Night Train, la sua moto ideale, senza vederla veramente. Più appropriate al suo attuale
stato mentale erano le stampe Escher che decoravano le pareti nelle loro cornici, immagini che erano illusioni ottiche e giocavano strani scherzi alle percezioni visive di chi le fissava. Quando non sei più certa di chi sei, puoi davvero essere sicura di quale sia l'alto e quale il basso? si chiese. Anche se Bobby si era spaventato a morte la notte precedente, quando lei si era tagliata il braccio, Kayla aveva ribadito che si trattava solo di un taglietto, giusto quanto bastava per far uscire un po' di sangue - sangue rosso! - e non di un maldestro tentativo di suicidio. Non che le sue rassicurazioni fossero servite a molto. Per parecchio tempo, anche dopo aver finito di medicarle il braccio con il contenuto della cassetta del pronto soccorso, lui aveva continuato a fissarla come se fosse appena scappata da un manicomio, e le ci era voluto tutto il resto della serata per convincerlo che non era un caso da ricovero psichiatrico. Nonostante tutto, quando infine lui era andato a montare servizio per la notte lasciandola a casa sua, Kayla gli aveva letto negli occhi la domanda che non osava formulare ad alta voce: posso rischiare di lasciarti sola per tutta la notte? Adesso, sotto l'aspra luce del giorno, non faticava a immaginare quanto il suo ferirsi impulsivamente il braccio dovesse essere apparso folle a Mister Poliziotto Razionale. Versare sangue rosso non era certo una garanzia di sanità mentale, e ferirsi spontaneamente era invece un atto che sembrava favorire la tesi della follia, quindi come avrebbe fatto a convincere Bobby che lei era una persona normale, almeno nella misura in cui lo era sempre stata, senza raccontargli tutta la verità riguardo a Wither e a Gina Thorne? Quella verità avrebbe potuto risultare più dannosa di una bugia di comodo. Peraltro, con il passare delle ore della giornata, aveva cominciato a convincersi che il tempo avrebbe risolto ogni cosa. Era normale, continuava a essere Kayla Zanella, niente di più e niente di meno, cosa di cui Bobby avrebbe finito per rendersi conto. Il tempo risana tutte le ferite, giusto? Incluso questo stupido taglio sul braccio. Aveva perfino cominciato a pregustare un graduale ritorno alla normalità, ma poi aveva sentito il messaggio che Wendy aveva lasciato sulla segreteria telefonica: «Ciao, Kayla, sono Wendy. Non ci sentiamo da molto, mi dispiace, come anche di essermi fatta viva così poco. Ho viaggiato molto, e ho trascorso troppo tempo rinchiusa in me stessa». Un sospiro, poi: «Senti, devo parlarti di una cosa. Accidenti, vorrei che fossi stata tu a rispondere, non la segreteria... In ogni caso, la Ve... cioè, la mia vecchia i-
struttrice è passata a trovarmi e ha detto che dovevo mettermi in contatto con te, che potevi avere qualche notizia per me riguardo... riguardo a una nostra comune conoscenza. Ti spiegheremo tutto quando potremo parlarne di persona. Per favore, chiamami sul cellulare, al più presto. Ciao». Finché non aveva sentito il messaggio di Wendy, Kayla aveva sperato che gli incubi e le visioni fossero stati soltanto il risultato di un'immaginazione troppo reattiva, e aveva razionalizzato perfino il proprio svenimento nel bosco, attribuendolo alla stanchezza eccessiva, una conseguenza delle notti insonni e delle preoccupazioni inutili. Era stata sua intenzione convincere di questo prima se stessa, e poi anche Bobby, nell'ordine, ma il messaggio nervoso di Wendy aveva cambiato tutte le carte in tavola. Stava succedendo qualcosa. Quel riferimento alla vecchia insegnante indicava senza dubbio la Vecchia, e la Vecchia era collegata alla tastiera temporale degli eventi. Se la Vecchia era convinta che lei fosse contaminata, allora molto probabilmente lo era davvero. Se smetterò di essere me stessa, Wendy diventerà mia nemica? Sarà costretta a distruggere ciò che diventerò, qualsiasi cosa possa essere? E io tenterò di distruggere lei? Nel porsi quelle domande, rabbrividì. Se la richiamo, darò conferma ai suoi sospetti? Cosa succederà se eseguirà al telefono una sorta di cartina tornasole magica, scoprendo che sono una sorta di seme malvagio sul punto di germogliare nel suolo contaminato di Windale? Prima, quello stesso giorno, mentre cercava di rimandare il momento di fare quella telefonata, si era tagliata i capelli molto corti e, come promesso, se li era tinti di un blu elettrico. Era rimasta per un po' a fissare la propria immagine riflessa nello specchio del bagno, tamburellando distrattamente contro gli incisivi con il piercing alla lingua, mentre si pettinava i capelli con le dita e rifletteva se fosse il caso di tingere di blu anche le sopracciglia. Dal momento che i suoi occhi erano di un azzurro chiaro che sconfinava quasi nel grigio, alla fine aveva deciso che non era il caso di farsi le sopracciglia blu, perché quella combinazione avrebbe fatto apparire slavata la sua carnagione già pallida. «Indipendentemente dai capelli blu», si era detta, «io sono ancora io». Quella semplice decisione ne aveva portata con sé un'altra, più difficile, e alla fine Kayla non aveva avuto altra scelta se non quella di confidare nell'amicizia di Wendy. Se mi ha chiamato, deve essere in grado di aiutarmi. Conoscendola, sta cercando di prevenire anziché di reprimere, e di troncare la mia nascente
malvagità mentre è ancora in boccio, rifletté, ridacchiando sulla scia di quell'ultima riflessione. Sì, è solo una risatina, si disse quindi. So ancora distinguere fra una risatina e una risata folle. Respirò a fondo per calmarsi i nervi, compose il numero del cellulare di Wendy, notando che le dita le tremavano leggermente mentre premeva i tasti del telefono. Wendy rispose dopo quattro squilli, la sua voce nitida ma debole e remota, come se si fosse trovata dall'alta parte di una porta dimensionale. «Pronto?» «Ehm... ciao, Wendy. Sono Kayla. Sto... sto rispondendo alla tua chiamata». «Oh, ciao, Kayla! Scusami per il messaggio criptico, ma mentre stavo già parlando mi sono resa conto che tua madre avrebbe potuto sentirlo per prima. Non le hai ancora detto tutto...?» «No, sono rimasta zitta al riguardo, e credo di aver agito per il meglio. Inutile farla preoccupare, giusto? È acqua passata». «È per questo che ti ho chiamata», replicò Wendy con una lieve esitazione nella voce. «Hai accennato a una vecchia istruttrice», osservò Kayla. «La Vecchia è passata a trovarti?» «Sì», confermò Wendy, «e prima di scomparire ha detto che dovevo contattarti, che avevi delle notizie di qualche tipo riguardo a Wither. Hai qualche idea di cosa questo significhi?» Kayla trasse un profondo respiro. «No, Wendy, mi dispiace ma non ne ho la minima idea». «È successo qualcosa di strano, laggiù? Qualche fatto insolito?» Kayla sentì Alex dire: «Qui svolta a sinistra». «Ti rendi conto che non posso parlare a nome di tutta la città», rispose poi, mordendosi l'anello che le attraversava il labbro, «ma... ecco... mi sembra sciocco parlare di questo...» Allora perché mi sto cominciando ad agitare? «Per favore, Kayla, continua. Potrebbe essere importante». «Io... non vedo come, ma... ecco, ho fatto dei brutti sogni, tutto qui. Probabilmente è stata soltanto una vendetta da parte dei tacos che ho mangiato a tarda notte, e comunque si è trattato solo di qualche incubo, niente d'importante». «Incubi riguardo a Wither, devo presumere?» «No... forse. Forse riguardavano Wither».
«Sogni molto realistici sulla Windale coloniale? Frammenti della sua vita passata, vissuti al suo posto?» «Non proprio», replicò Kayla con un sospiro di rassegnazione. «Non erano sogni del periodo puritano, come quelli che facevi tu. Credo riguardino un'epoca successiva... Forse un paio di secoli più tardi». «1899? Ma a quel tempo Wither doveva aver già cominciato a...» «A cambiare», finì Kayla per lei. «Non era ancora la bestia alta tre metri con cui hai avuto a che fare qualche anno fa... ma era già abbastanza grossa da poter giocare come centrocampista nell'NBA». «Non soltanto grossa. Doveva essere già in parte un...», cominciò Wendy, fermandosi prima di pronunciare la parola mostro. «Era brutta, decisamente orribile», convenne Kayla, optando per un eufemismo. «E di certo non avrebbe mai vinto il premio di Miss Simpatia». «Hai visto mentre... si nutriva?», chiese Wendy intuendo la verità. «È stato come in quei sogni in cui ti pare di precipitare da una grande altezza, ma ti svegli prima di toccare il fondo», spiegò Kayla chiudendo gli occhi. «Ho capito», disse Wendy. «Credo che stia cercando di dirti qualcosa». «"Abbandona gli spuntini notturni a base di tacos", o magari: "Entra in terapia"», ribatté Kayla. «So cosa si prova», fu il commento di Wendy, poi ci fu una pensosa pausa di silenzio, prima che domandasse: «Che altro è successo?» «Chi ha detto che c'è dell'altro?» «La Vecchia mi ha lasciato intendere che avresti potuto dirmi qualcosa riguardo ai piani che Wither aveva per noi». «Wither è morta, scomparsa», esclamò Kayla, cominciando a irritarsi. «A chi possono ancora importare i piani di quella cagna?» «Ad Hannah, tanto per cominciare», replicò Wendy. «E anche ad Abby. Inoltre, a Winnipeg mi è successo qualcosa che aveva a che fare con Wither». «Wendy, cos'è successo?», domandò Kayla, sentendo la pelle accapponarsi sulle braccia nude. «Ne parleremo quando arriverò a Windale». «Stai tornando?», chiese Kayla, incapace di impedire che le trasparisse dalla voce rassegnazione mista a una sfumatura di sollievo. «Presto sarò lì», rispose Wendy. «Kayla, credo che anche a te dovrebbe interessare scoprire quali piani avesse Wither per noi tre. Gina Thorne ha cercato di reclutarti nella sua congrega, il che non differisce di molto da
quello che è successo ad Abby, ad Hannah e a me». «Lo so, Wendy, lo so», ammise Kayla, sentendo un singhiozzo che minacciava di salirle in gola. «Cerco di non farmi ossessionare da questa complicata situazione di merda. Voglio soltanto riavere la mia vita così com'era. Forse non era normale, ma era la mia». «Kayla, c'è dell'altro che dovrei sapere?» Dall'altro capo del ricevitore ci fu un profondo sospiro. «Credo forse di essere...», stava per dire stata attirata, ma esitò e optò per un: «... di essere capitata per caso in uno dei suoi posti segreti, nel bosco, vicino a quel granaio che è bruciato». «Il granaio di Matthias Stone?», chiese Wendy. «Il covo della congrega di Wither?» «Proprio quello», confermò Kayla, poi spiegò come fosse saltata giù dalla macchina di Bobby e si fosse addentrata nel bosco, come lo scorrere del tempo fosse parso rallentare lungo il tragitto fino alla radura che albergava la lunga pietra piatta. Ammise anche di essere svenuta, ma tralasciò la parte relativa all'emorragia dal naso e all'aver visto che il suo sangue era nero, così come non parlò del taglio che si era fatta con il coltello da macellaio la notte della vigilia di Capodanno, perché se mai si fosse decisa a rivelare quei particolari, voleva farlo guardando Wendy in faccia, per poter valutare la sua reazione di persona, e non al telefono. «Cosa credi che significhi?», chiese infine. «Non lo so con certezza», rispose Wendy. «Quella roccia piatta potrebbe essere un altare. Forse nel XVII secolo Wither era solita eseguire in quella radura dei rituali. Comunque deve essere un posto importante, se l'incantesimo di protezione che lo avvolge è ancora efficace». Pur temendo la risposta, Kayla si decise infine a porre la domanda che più le faceva paura. «Cosa mi ha condotta là? E perché?» «Sei stata in contatto con il sangue di Wither», rispose Wendy dando voce ai suoi timori. «Io... ho attivato qualcosa, mentre ero a Winnipeg. Più o meno nello stesso momento, Hannah ha avuto una crisi convulsiva in California, e tu sei svenuta a Windale. Può darsi che abbia suscitato un vero e proprio vespaio magico». Wendy pensa che sia colpa sua, ma sono settimane che io sto avendo quegli incubi, rifletté Kayla. «Hannah?», chiese intanto. «Ora sta bene?» «Sì, sta bene, almeno dal punto di vista medico», la rassicurò Wendy. «Il
suo problema era di natura soprannaturale, ma ora è stato superato, o almeno la Vecchia pare ritenere che sia così». «Bene». «Una cosa però è ovvia». «Cosa?», domandò Kayla trattenendo il fiato. «Devi portarmi in quella radura». «Temevo che lo avresti detto», fu la risposta di Kayla, anche se si era aspettata qualcosa di molto peggio. «Suppongo che non siamo ancora fuori dai guai...» «In senso letterale e figurativo», ammise Wendy con una risatina piena di disagio. «Wendy, riguardo a questa... questa cosa che hai attivato a Winnipeg», aggiunse Kayla. «Devo preoccuparmi?» «Se la situazione è grave quanto temo», rispose Wendy, «dovremmo preoccuparci tutti». Roseville, Minnesota «Abbi cura di te, Kayla. A presto». Wendy si sfilò l'auricolare dall'orecchio e chiuse la comunicazione, scuotendo il capo con un sospiro. «Gira a sinistra», disse Alex. All'ingresso del prestigioso complesso residenziale, un grande cartello verde su cui era incisa a lettere dorate la scritta HORIZON ESTATES sbucava dagli alti cumuli di neve. Wendy diresse la Pathfinder lungo il viale d'ingresso, sul lato opposto rispetto a un'elaborata aiuola spartitraffico, sentendo la neve pressata che scricchiolava sotto gli pneumatici. Se non fosse stato per i mucchi di neve spalata che li fiancheggiavano, i viali d'ingresso e d'uscita sarebbero stati ognuno abbastanza largo da permettere il passaggio di due SUV affiancati, lasciando ancora spazio sufficiente a farvi passare in mezzo un'utilitaria. Fin dall'inizio di novembre, in Canada, Wendy si era abituata alle superstrade intasate di neve; qualcosa nella prospettiva di una nevicata tale da paralizzare tutto il traffico la induceva sempre a desiderare il conforto della sua casa, per quanto misero questo fosse ultimamente, impulso che riteneva una semplice reazione umana alla possibilità di trovarsi esposta a inconvenienti e disagi. Invece di cedere all'ansia e a una leggera depressione, aveva sempre cercato di liquidare quelle sensazioni come irrazionali e po-
co produttive, e finora c'era sempre riuscita. L'Horizon Estates era costituito da grandi case che avevano per lo più dai cinque ai dieci anni di vita, edifici realizzati in pietra e legno, con garage a due porte e verande elaborate, spesso a più livelli, che si affacciavano su parecchi acri di terreno. Wendy intravide dei solarium e altre rifiniture lussuose, mentre la luce del sole pomeridiano si rifletteva sui lucernari dei vestiboli a due piani. «Come sta Kayla?» «Non bene», rispose Wendy schiarendosi la gola. «È preoccupata, ed è stata un po' evasiva. Credo che la situazione sia peggiore di quanto mi ha fatto capire». «È una sensazione che conosco». «Come sarebbe a dire?», domandò Wendy, accigliandosi perché non riusciva a capire cosa c'entrasse quell'affermazione. «Wendy, tu potresti tenere conferenze sull'arte di essere un libro chiuso». «Non sono così». «Sai che è vero», insisté Alex. «Solo, non capisco il perché del tuo comportamento. Forse non ti fidi di me, o forse non vuoi condividere il tuo mondo segreto». Wendy scosse il capo, scoppiando a ridere. «A sentirti, sembra che parli di una società segreta», commentò poi. «Ecco, a volte...» «Senti, ho condiviso... delle cose con te. Ne ho condivise un sacco». «Ma mi hai anche escluso, lasciandomi all'oscuro». «Ehi, guarda che mi sto perdendo, qui». «Sto parlando del modo in cui hai...» «No, no... mi riferivo a queste strade», precisò Wendy indicando davanti a sé. «Dov'è casa tua?» «Scusa. Alla prossima, gira a sinistra, poi prendi la prima a destra. È la terza casa sulla destra, 1840 Orchard Drive». Wendy annuì. «Senti, Alex, mi dispiace che pensi che ti stia escludendo», disse poi. «Non è una cosa intenzionale. È solo che... ecco, non ci siamo più visti da un sacco di tempo». Nel frattempo svoltò a sinistra, si fermò più a lungo del necessario allo stop successivo, poi girò a destra. «Sei tu quella che ha scelto di fare un viaggio prolungato».
«Lo so, Alex, ma non si tratta di questo», sospirò Wendy. «Non capisci? Io voglio solo che fra noi le cose siano normali, almeno per un po'. Credevo che fosse possibile, lo credevo davvero, ma poi...» «Questo cosa dovrebbe significare?» «Non ti ho più visto da mesi, quasi da un anno», disse Wendy scuotendo il capo, «quindi non voglio che le prime parole che mi escono di bocca siano tutte relative a predizioni magiche nefaste. Penseresti... non voglio che tu mi ritenga pazza, d'accordo?» «Come potrei? Io ero là, ricordi? Ho visto da vicino quel demonio di Wither, e l'ho conosciuta in maniera fin troppo diretta, quando ha cercato di uccidermi. So che non sei pazza». «Forse io no, ma la mia vita di certo», ribatté Wendy mentre accostava al marciapiede, metteva il SUV in folle e abbandonava la testa contro le mani, ancora posate sul volante. «È questo il problema. Ho una vita assurda. Che cosa ho da offrire?» Alex le tirò il braccio destro fino ad allontanarle la mano dal volante, stringendola fra le proprie. «Quello non è tutto ciò che hai da offrire», disse. «A volte, è la sola cosa che sembra avere importanza». «Questo succede perché ti tieni tutto dentro. Finirai per impazzire sul serio se continui ad allontanare tutti». Wendy si girò a guardarlo, gli occhi velati di lacrime. «Sai di che cosa ho paura?», chiese, e quando lui fece di no con il capo proseguì: «Ho paura che questa possa essere la cosa migliore da fare, che forse dovrei allontanare tutti da me». «Perché?» «Non lo hai saputo?», ribatté lei, mentre amarezza e senso di colpa le trapelavano dalla voce. «Starmi troppo vicino è pericoloso». «Ora che mi ci fai pensare, c'era quell'articolo sul giornale...» «Quale... quale articolo?», chiese Wendy, raddrizzandosi di scatto. «Quello secondo cui le autorità sanitarie volevano tatuarti sulla fronte un avvertimento: "Attenzione: Wendy Ward può essere dannosa per la vostra salute"». «Oh, quella vecchia storia», rise Wendy. «Non sapevo che fosse arrivata sui giornali». «Non ti preoccupare, non era in prima pagina, e sono certo che non l'ha notata nessuno», affermò solenne Alex. «Rendiamo grazie per le piccole cose buone», commentò Wendy, poi af-
ferrò un fazzolettino di carta dal pacchetto da viaggio posato sul cruscotto, si asciugò gli occhi e rise ancora, aggiungendo: «Sai, quel genere di cose ti può trasformare in un paria agli occhi della società. Tu pensi che mi stia commiserando, vero?», chiese con un sospiro. «No», la rassicurò lui, stringendole la mano. «Forse, non hai abbastanza fiducia nelle persone che tengono a te». «È proprio perché ho fiducia in loro che non voglio avere responsabilità quando le cose andranno storte... E le cose vanno sempre in modo spaventosamente storto! Non riesco a sopportare il pensiero che...» «Wendy, non puoi proteggere tutti. Là fuori ci sono persone pericolose, ci sono sempre state, e noi stiamo cominciando a renderci conto soltanto adesso di quanto siano in effetti inumane e letali», sospirò Alex. «Di questi tempi, tutti hanno paura. Forse non lo ammettono, ma non si sentono più veramente al sicuro». «Dove vuoi andare a parare?» «Voglio semplicemente farti capire che la sicurezza è sempre stata un'illusione. La maggior parte degli incidenti d'auto si verifica a pochi chilometri da casa. Che tu ci creda o meno, è ancora più sicuro prendere un aereo che non guidare una macchina, ma non senti mai le persone dire che hanno paura di guidare fino al supermercato». «Suppongo che dipenda dal fatto che pensano di avere il controllo del mezzo». «Questo è ovvio», annuì Alex. «Però la vera illusione è credere che chiunque fra noi possa mai avere il controllo di ciò che accade nella sua vita. Possiamo risparmiare in previsione di tempi difficili, prepararci per una carriera lucrativa e obbedire a tutti gli articoli del codice della strada, ma nulla di tutto questo ci può proteggere da un conducente ubriaco che invade la nostra corsia, o da una malattia incurabile, da un incidente industriale o da un attacco terroristico, o...» «Ok, ok», lo interruppe Wendy. «Però prepararsi e pianificare può migliorare le possibilità di sopravvivenza». «A volte, forse... ma probabilmente non quanto ci piacerebbe pensare, forse solo quel tanto che basta da permetterci di dormire la notte». «Ebbene, stare vicino a me è il modo più sicuro per ridurre in modo significativo le tue probabilità di sopravvivenza». «Come ha detto Paul Newman in Hud il Selvaggio, "Nessuno lascia mai vivo questa vita"», ribatté Alex scrollando le spalle. «Vuoi davvero sapere tutto?», domandò Wendy, stringendogli la mano
fra le proprie. «Suppongo che questo fosse il senso implicito delle mie affermazioni. Non posso certo tirarmi indietro proprio adesso». «Certo che puoi farlo», replicò Wendy, con un sorriso asciutto. «Basta che tu dica la parola magica, e ne sarai fuori. Completamente». «Raccontami tutto». «D'accordo. Dopo quello che hai passato a causa mia...» «Non a causa tua», ribadì Alex. «A causa di Wither. Non darti colpe che non hai». Wendy non era d'accordo con lui, ma non se la sentì di affrontare di nuovo quell'argomento che tornava sempre al punto di partenza, e si limitò ad annuire. «Comunque sia», continuò, «dopo tutto quello che hai passato, meriti di sapere la verità su quel che sta succedendo. Il problema», aggiunse con un sospiro, «è che non sono molto sicura di me stessa». «Comincia con il dirmi cosa è successo a Winnipeg». «Ho commesso un errore», spiegò Wendy, «forse un errore grave». Alex attese, senza interromperla, e lei proseguì: «Gina Thorne non è morta subito in quell'esplosione. Per uno o due istanti lei... Wither... ha capito di essere condannata, e prima che la sua potenza malvagia venisse infine estinta, mi ha... lanciato una maledizione». «Suppongo che con questo tu non voglia intendere che si è messa a imprecare come uno scaricatore di porto, vero?» «No», confermò Wendy sorridendo suo malgrado. «Si è trattato di una formula magica di maledizione. A quel tempo, mi è parso che pronunciasse le parole, che me le urlasse contro, ma in realtà non ce stato il tempo per una cosa del genere. Me le ha urlate nella mente, usando la telepatia». «Questo però è successo sedici mesi fa», obiettò Alex. «Si è trattato soltanto di uno sfogo, amaro e inutile. Tu hai vinto, lei ha perso, e lo sapeva. Adesso è morta. Caso chiuso». Wendy scosse il capo. «È quanto pensavo anch'io, ma adesso non la penso più così. La sua maledizione mentale si è diffusa attraverso... ecco, definiamolo un etere telepatico, lanciando un richiamo ad altre creature del caos... forse a una soltanto. E per poco non ha funzionato». «Per poco? Come? E come fai a saperlo?» «Un problema di stagioni: la creatura evocata per prima dalla sua maledizione era in letargo. A quanto pare, questa creatura ha cercato di venire a
darmi la caccia, ma non è riuscita a svegliarsi del tutto ed è scivolata di nuovo in un sonno ibernato». «Quindi la maledizione è fallita. Lei ha avuto la sua ultima occasione, ma l'ha sprecata. Partita chiusa». «Aveva un piano di emergenza». «Chi? Gina? Wither?» «A quel punto, era Wither ad avere il controllo», disse Wendy. «Gina era stata soltanto l'ultima di una lunga fila di ospiti umane». «Qual era il piano di emergenza?» «La maledizione è stata radicata nella mia mente come uno strano suggerimento post-ipnotico», disse Wendy battendosi un colpetto sulla tempia. «No, questo non è esatto, più come una sorta di prurito, qualcosa che dovevo continuare a grattare mentalmente per trovare sollievo. Ho pensato che per liberarmi di quel fastidio dovevo decifrare la maledizione, e poiché essa era nascosta alla mia mente cosciente, ho provato con vari espedienti, comprese la scrittura automatica, la magia del sogno, qualsiasi cosa che mi sia venuta in mente per sbloccare questa... questa informazione chiusa nella mia testa». «Oh, Wendy, non dirmi che...» «Sì», annuì lei. «Alla fine l'ho sbloccata, e pronunciandola, invocandola, le ho ridato energia con il mio potere magico». «Praticamente hai ridato energia a una batteria scarica?» «Temo di sì», confermò Wendy passandosi le dita fra i capelli ramati. «Non so cosa dire, Alex. Forse quest'uomo nero, o qualsiasi altra cosa sia, se ne sarebbe rimasto beatamente in letargo in eterno, o almeno abbastanza a lungo da dimenticarsi di dover vendicare Wither». «E dov'è adesso quest'uomo nero?» «Noi... non lo so», rispose Wendy. «Per il momento è addormentato». «Ma tu pensi che in qualche modo l'incantesimo che hai riattivato abbia influenzato Hannah e Kayla?» «È questo che mi preoccupa», confessò Wendy mentre spegneva il motore e arrestava così anche la ventola del riscaldamento. Quasi immediatamente, l'interno della Pathfinder si fece gelido. «Parliamone più tardi», aggiunse. «Mi sembra giusto», convenne Alex. «Entriamo». L'oscurità stava cominciando a calare come un sudario dal cielo coperto. Lungo la strada, le file di luci natalizie si stavano via via accendendo a delineare le finestre e i tetti, mentre ogni traccia di colore svaniva dalle abita-
zioni, trasformandole in sagome scarne. Dopo che furono scesi dalla Pathfinder ed ebbero richiuso le portiere con due tonfi gemelli che suonarono ovattati nell'aria immota della sera, Wendy premette il telecomando azionando il blocco delle serrature, poi aggirò il muso del SUV e scavalcò un mucchietto di neve per raggiungere il marciapiede spalato e coperto di sale su cui Alex la stava aspettando. «A quanto pare, non riusciremo a vedere Suzanne», commentò lui, indicando il vialetto vuoto che portava al garage annesso alla casa. «L'appuntamento importante non poteva aspettare?» «Meglio così», annuì Alex. «Avrebbe fatto del suo meglio per mettermi in imbarazzo, come riescono a fare soltanto i fratelli e le sorelle maggiori». «Per favore, spiegati», chiese Wendy con fare ingenuo. «Io sono figlia unica». «Sai cosa intendo, parlare delle cose stupide che ho fatto da bambino», rispose Alex, «come quando sono saltato giù dal tetto del garage con un asciugamano legato intorno al collo fingendo di essere Superman e mi sono slogato la caviglia, che non aveva niente di super. Storie di sbrodolamenti e di altre spiacevoli escrezioni fisiche, di quando avevo pochi anni e cercavo di rosicchiare i cavi della corrente elettrica». «Rosicchiavi i cavi della corrente?» «È una storia elettrizzante». «Ne ho sentite di più imbarazzanti», rise Wendy. «E poi, naturalmente, avrebbe parlato di Allison». «Allison?», ripeté Wendy fermandosi a metà del vialetto. «Chi è Allison?» «Allison Kramer», spiegò Alex, con indifferenza. «Una ragazza con cui uscivo quando ero alle superiori». «E questo sarebbe stato imbarazzante perché...?» «Per nessun motivo», garantì Alex, ma poi si accorse che lei non ci aveva creduto e con un sospiro aggiunse: «D'accordo, può darsi che... mi sia imbattuto in Allison un paio di volte, durante le vacanze». «Imbattuto? Aiutami a visualizzare la cosa». «Non è niente d'importante. Davvero». «Alex, sono stata io a rovinare tutto, quindi non posso biasimarti se...» «Allison e io siamo amici, niente di più. Fine della storia. Il resto appartiene al passato». «D'accordo, non dire altro», replicò Wendy, ma per quanto cercasse di apparire disinvolta, sentì lo stomaco fare una sorta di nauseante capriola
all'indietro che la indusse a chiedersi se aveva perso qualcosa di prezioso. Se questa Allison è una storia chiusa, rifletté accigliandosi mentre riprendevano a camminare, allora perché Alex è tanto sulla difensiva? Nessuno dei due parlò, mentre i loro stivali scricchiolavano sui cristalli di sale sparsi in abbondanza lungo il marciapiede. Quando poi arrivarono ai gradini d'ingresso, Wendy si sentì assalire dal panico per un motivo del tutto diverso e afferrò Alex per un braccio. «Aspetta! Cosa devo sapere riguardo ai tuoi? Parlami della tua famiglia. Sono del tutto impreparata sull'argomento». «Vuoi essere ragguagliata sulla famiglia Dunkirk?», chiese lui, e quando Wendy annuì con decisione, proseguì: «Dunque, vediamo. Suzanne lavora per la Ready-Set-Tech, una ditta di consulenza informatica. È un'analista di sistema, o una specialista di hardware, qualcosa del genere, ma ha avuto dei colloqui con dei cacciatori di teste e ha avuto un'offerta di lavoro a Boston. Continua a minacciare visite a sorpresa nella mia stanza al dormitorio, se dovesse decidere di accettare. E poi parlano di fratelli invadenti!» «E i tuoi genitori?» «Mio padre è a capo dell'ufficio legale della Waterman Pharmaceuticals di St. Paul, dove lavora da un anno, e mia madre lavora al dipartimento risorse umane della TCFPC, una compagnia di servizi finanziari di Minneapolis. Sono persone serie ma innocue, quindi non ti preoccupare», disse Alex, poi schioccò improvvisamente le dita e aggiunse: «Dimenticavo. Jeremy, il ragazzo di Suzanne, lavora part-time in un'agenzia che prenota biglietti. Potrà provvedere lui a prenotarci i biglietti per la Riserva Naturale, domani, o per i Timberwolves, venerdì. Là giocano sia a basket che a hockey, ma è tutto al coperto, per chi teme il gelo del Minnesota. A te la scelta». «Domani o venerdì, giusto?» Per quanto si sforzasse di assaporare il presente, Wendy avvertiva un tormentoso senso di ansia che l'ammoniva a non fare progetti per una permanenza prolungata a Minneapolis. «Se non ti vanno gli sport», aggiunse Alex, sempre accomodante, «potremmo andare a vedere Lo Schiaccianoci. Pensavo che avremmo trascorso insieme qualche giorno, dato che non devo rientrare a Danfield prima della prossima settimana e che tu non...» S'interruppe, notando che Wendy stava fissando il marciapiede per non incrociare il suo sguardo, poi chiese: «Si tratta dell'incantesimo di Wither, vero?» «Devo mettere insieme i pezzi di questa faccenda prima che tutto mi
precipiti addosso», spiegò lei, incontrando infine gli occhi avviliti di Alex. «Può darsi che Kayla sia in possesso di uno dei pezzi mancanti, e la Vecchia potrebbe avere delle notizie da riferirmi da un giorno all'altro, forse addirittura da un momento all'altro». «Ma ti fermerai per cena?» «Questo sì», annuì Wendy, con un sorriso. «E poi parleremo?» «Poi parleremo». Wendy scoprì che per Scott Dunkirk, il padre di Alex, cucinare era un passatempo rilassante, a cui poteva peraltro dedicarsi di rado, se non nei fine settimana. Mentre lui preparava la parmigiana di pollo, Kate Dunkirk, la madre di Alex, preparò un piatto d'insalata fresca per ciascuno dei commensali. Intanto Alex e Wendy apparecchiarono per quattro il lungo tavolo della sala da pranzo, disponendo i coperti intorno a una stella di natale posta al centro. Dovunque nella casa c'erano elementi che ricordavano il Natale appena passato. Una quantità di biglietti d'auguri raffiguranti Babbo Natale, renne e scene di natività erano incollati con il nastro adesivo sul retro della porta dell'armadio a muro e intorno all'arcata che dava accesso in cucina, dalla cui volta pendeva un invitante rametto di vischio. Un abete scozzese naturale, carico di tutte le opportune decorazioni natalizie, dominava l'enorme salotto, con una quantità di scatole di cartone e di contenitori di plastica aperti sparsi intorno alla base avvolta da un panno di feltro verde. Quando si sedettero a tavola, Kate Dunkirk espresse per conto di Suzanne il suo rammarico per non aver potuto cenare con loro, e Alex suggerì che avergli risparmiato una serata di storie imbarazzanti era stato probabilmente il miglior regalo di Natale che la sorella gli avesse fatto. «Oh, ma anch'io ho alcune storie che potrei raccontare», ribatté sua madre. «Non ci provare!», esplose Alex, rischiando di rovesciare il bicchiere che aveva in mano. Tutti scoppiarono a ridere, e Wendy gli batté un colpetto sulla mano in un gesto di supporto morale; Alex appariva ancora più nervoso di quanto non fosse lei, e questo, stranamente, ebbe l'effetto di aiutarla a calmarsi. Una volta eliminati i consueti convenevoli - manifestazioni di apprezzamento da parte di Wendy per la bella casa dei Dunkirk, le domande di Kate sul Canada e quelle di Scott circa le condizioni delle strade al Nord - la
conversazione scivolò su Danfield, sul ritorno di Alex al college e, inevitabilmente, sulla decisione di Wendy di abbandonare gli studi al secondo anno. A quel punto, Alex si gettò nella mischia verbale facendo un commento sugli occhiali da sole che Wendy gli aveva comprato come regalo anticipato per il suo compleanno. Imperturbato, Scott Dunkirk, un uomo alto dai capelli rossicci striati di grigio, tornò subito in argomento per chiedere a Wendy che intenzioni avesse riguardo alla futura carriera lavorativa. «Hai pensato al tuo futuro? Come ti guadagnerai da vivere?», domandò. «Scott, per favore», intervenne Kate con un'occhiata di ammonimento. «Aveva soltanto bisogno di un po' di tempo lontano da ogni pressione». «Suvvia, Kate, tutto quello che sto dicendo è che a queste nuove generazioni non farebbe male un po' di pianificazione, un po' di messa a fuoco. Non è mai presto abbastanza per cominciare a pensare al resto della propria vita. Sono certo che Wendy è d'accordo con me». «Sì, ci penso continuamente». «Per esempio», proseguì Scott, «Alex ha scelto la specializzazione in Amministrazione Aziendale fin da quando era una matricola, ha preso una decisione e si sta impegnando al massimo per raggiungere la meta prefissata. Al giorno d'oggi, troppi ragazzi annaspano lungo tutti gli anni del college senza scegliere una specializzazione. Che diavolo di senso ha?» «Wendy aveva una specializzazione», spiegò Alex. «Ha solo sospeso gli studi dopo che...» «Scott, quella povera ragazza ha perso entrambi i genitori in un terribile incidente», intervenne Kate, lanciando in direzione di Wendy una rapida occhiata di solidarietà. «Non c'è niente di sbagliato nel fatto che si sia presa un po' di tempo per decidere cosa fare della sua...» «Ho bisogno di un po' di aria fresca», la interruppe Wendy. «Per favore, scusatemi». Poi lasciò cadere il tovagliolo sulla sedia e si affettò a uscire dalla sala da pranzo. Stava prendendo il cappotto dall'armadio a muro quando Alex la raggiunse. «Wendy, mi dispiace...», cominciò, in fretta. «Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno, d'accordo? Ho solo bisogno di uscire per qualche minuto». Afferrando a sua volta il cappotto, Alex la seguì fuori dalla porta. «A volte tendono a prendere le cose un po' troppo sul serio», disse men-
tre scendevano i gradini. «Non mi approvano», ribatté Wendy. «Ok. Arrivata a questo punto della mia vita, non cerco più l'approvazione di nessuno». «Non si tratta di te», spiegò Alex. «Si tratta di mio padre. La sua filosofia di vita è che, se non stai andando in una direzione precisa, non stai andando da nessuna parte». Arrivata nel punto in cui il vialetto dei Dunkirk incrociava il marciapiede pubblico, Wendy si fermò e si girò a fissare Alex. «Cosa hai detto loro sul mio conto?» «Ho spiegato che ci siamo conosciuti nella classe della professoressa Glazer, che siamo usciti insieme per un po'...» «Che i miei genitori sono rimasti uccisi in un "orribile incidente" e che io ho lasciato il college per ritrovare me stessa». «Ecco, ho dovuto lasciare fuori tutto quello che riguardava la magia. Se ne avessi parlato, avrebbero pensato che mi stessi drogando o che avessi bisogno di un po' di psicoterapia. E se si esclude la magia, non rimaneva più molto da raccontare sul tuo conto. Credo siano semplicemente curiosi», concluse scrollando le spalle. «Curiosi?» «Soprattutto mia madre. Quanto a mio padre, quando vede quello che lui recepisce come un problema, pensa solo a rimboccarsi le maniche e a mettere le cose a posto». «Quindi vorrebbe mettere a posto me?» «Nel suo modo di fare conforme al modello dell'adulto preoccupato, sì», ridacchiò Alex. «Poi sarà pronto per attaccare il problema successivo». «E cosa mi dici di te?», chiese Wendy inarcando le sopracciglia. «Pensi anche tu che abbia bisogno di essere messa a posto?» «Stai cercando di avviare una lite?» «No». «Allora sei a caccia di complimenti?» «Forse», sorrise Wendy. «Ne hai qualcuno a disposizione?» «Sei adorabile», dichiarò Alex. «Piena di talento e stupefacente». «Ma poco comunicativa». «Misteriosamente riservata». «E priva di una direzione?», insisté Wendy con una risata. «Non per quanto mi riguarda. Hai una sorta di GPS cosmico che dirige la rotta della tua vita». «Vorrei che fosse così semplice».
«Lo so», annuì Alex. «Camminiamo. Intanto potrai parlarmi di Winnipeg». «E i tuoi genitori?» «Lasciamo che capiscano quanto siano sbagliati i loro modi opprimenti». Insieme, presero a passeggiare per il quartiere, irrigidendosi quando venivano investiti da qualche occasionale folata di vento teso e gelido. Wendy camminava con le braccia incrociate sul petto, Alex con le mani nelle tasche perché faceva troppo freddo per tenersi per mano, e la loro conversazione, lungi dal suscitare gesti romantici, stava somigliando sempre più a una riunione informativa militare. Wendy provvide rapidamente a ragguagliare Alex sui recenti avvenimenti magici della sua vita, partendo dal progredire del suo addestramento per poi esporre i fatti che si erano verificati negli ultimi tempi, incluso l'avvertimento della Vecchia, anche se la presentò come «una vecchia amica e mentore» dotata di talento psichico, senza cercare di spiegarne la complicata storia; parlò della crisi convulsiva di Hannah e di come Kayla avesse trovato quella radura protetta dalla magia di Wither. Infine, gli raccontò di come la notte precedente il pick-up si fosse schiantato contro l'ufficio del motel e di come il suo tentativo di creare una sfera protettiva appena prima dell'esplosione potesse aver mandato in corto circuito il suo talento magico. «Però questa tua vecchia amica wiccan pensa che si tratti solo di una perdita temporanea?», chiese Alex. «Potrei già essere guarita, o riattivata, quale che sia il termine più esatto. È solo che non ho avuto il bisogno o il desiderio di tentare qualche atto di magia». «Non pensi che dovresti provare a rimontare a cavallo?» «Non è che abbia paura. Forse sono solo esausta dal punto di vista magico». «Hai bisogno di una ricarica mentale», concluse Alex. Intanto, avevano fatto un giro completo dell'isolato e si stavano avvicinando di nuovo alla casa dei Dunkirk. «Credi che io abbia paura di provare, vero?», domandò Wendy, fermandosi e fissando Alex in volto. «Sono convinto che ti fidi di te stessa e del tuo istinto...», cominciò lui, soppesando le parole. «D'accordo, stai a guardare». «Wendy, se non ti senti pronta, non costringerti a farlo!»
«Sono pronta», ribatté lei, insinuando la mano dentro il bavero del cappotto per afferrare il pendente di cristallo che portava al collo; intanto tese l'altra mano con il palmo rivolto verso l'alto, e fece parecchi respiri per rilassarsi e focalizzarsi, concentrandosi su un punto appena al di sopra del palmo piegato a coppa. La serata era talmente gelida che dovette lottare per attirare a sé del calore, per metterlo a fuoco e comprimerlo fino a ottenere il punto incandescente di cui aveva bisogno. Dopo alcuni minuti di inutile concentrazione, la fronte iniziò a imperlarsi di sudore. «Wendy, non devi dimostrare...» «Shhh», sussurrò lei, rinnovando la propria focalizzazione. Trascorse un altro mezzo minuto, un succedersi di lunghi secondi, poi Wendy rabbrividì per un senso di gelo ancora più intenso, sentendo la pelle che le si accapponava sulle braccia e sulle gambe, anche se erano avvolte nella lana; nel sentirsi quasi febbricitante, si rese conto che stava attingendo calore dal suo stesso corpo per alimentare la fiamma che voleva evocare, ma continuò a concentrarsi per ottenere il punto di calore compresso, visualizzando l'energia e concentrandosi sempre più, finché essa divenne una luce dorata da cui scaturì una minuscola fiammella azzurra dalla saettante punta arancione. «Incredibile», mormorò Alex, sbalordito. Wendy elargì ancora un po' del proprio calore alla fiamma, facendola sbocciare e crescere prima di lasciarla svanire. «È stato più difficile di quanto mi...», cominciò, poi le ginocchia le cedettero e incespicò. «Stai bene?», chiese Alex, sorreggendola prontamente fra le braccia. Wendy annuì. «Attingo il calore da quanto mi circonda», spiegò, lasciando vagare lo sguardo lungo la strada deserta, fiancheggiata da cumuli di neve. «Qui non c'è molta materia prima su cui lavorare», disse, mentre Alex continuava a sostenerla, aspettando che ritrovasse le forze e l'equilibrio. «Naturalmente, la V... la mia vecchia amica wiccan... sosterrebbe che siamo parecchio al di sopra dello zero assoluto, e che quindi non dovrei avere problemi a creare qualche dozzina di sfere di fuoco». «Dovresti sempre tendere ad andare oltre la tua portata». «Ehi! Ha parlato anche con te?» «È solo qualcosa che mio padre ripete di continuo», ridacchiò Alex. «Mmh». «Immagino che lui abbia qualcosa in comune con la tua amica».
«Forse sì». «Devo ammettere però che quel trucchetto della fiamma è stato davvero stupefacente». «Speravo in qualcosa che facesse un po' più di scena», ammise Wendy, «ma se non altro so che la mia magia c'è ancora». Forse, questa piccola dimostrazione non era soltanto a beneficio di Alex, pensò intanto. Stavo cercando di dimostrare qualcosa a me stessa? «Ti dispiace se torniamo dentro?», suggerì intanto Alex. «Non mi sento più i piedi, e tu cominci a essere bluastra intorno alle branchie». «Branchie?», ripeté Wendy, portandosi al collo entrambe le mani. «La mia amica mi aveva garantito che non ci sarebbero stati effetti collaterali». «Ehi, dovevi aspettarti una battuta sulle branchie», ribatté Alex. «Ricorda che stai parlando con uno che ha i piedi palmati». Non appena rientrarono nella casa dei Dunkirk, Wendy dovette sostenere un fuoco di fila di scuse sincere e incessanti. Sentì dire «mi dispiace» tante di quelle volte che cominciò a scusarsi a sua volta per essere stata troppo suscettibile. Poi, una volta ripristinati ordine e armonia, Kate annunciò una sorpresa, scomparve in cucina e tornò un minuto più tardi con una torta quadrata, illuminata a ciascun angolo da una girandola sfrigolante: sopra c'era scritto in corsivo con glassa rosata WENDY, BENVENUTA A CASA NOSTRA! Un secondo viaggio in cucina da parte della signora Dunkirk portò all'apparizione di un contenitore da mezzo chilo pieno di gelato al cioccolato con scaglie anch'esse di cioccolato; intanto, il signor Dunkirk tirò fuori una pila di piatti di vetro smerigliato. Il calo del livello di serietà della conversazione fu evidenziato dall'animata discussione sui rispettivi meriti del gelato al cioccolato normale contrapposto a quello con scaglie di cioccolato alla menta e a quello con scaglie di cioccolato fondente. Il signor Dunkirk preferiva la versione originale, che a suo parere era un «classico», mentre la signora Dunkirk era a favore delle scaglie di cioccolato alla menta. Alex e Wendy, dal canto loro, erano dell'opinione che l'abbinamento con le scaglie di cioccolato fondente costituisse l'inevitabile vetta evolutiva del gelato al cioccolato o che fosse, per usare le parole di Wendy, «l'epitome della delizia cioccolatiera». Più tardi, i genitori di Alex si ritirarono in salotto per guardare La vita è meravigliosa, che la madre di Alex aveva registrato alcune settimane prima e che, a detta di Alex, aveva già guardato almeno altre tre volte nell'ar-
co di quelle vacanze. «Altra torta?», chiese Alex. «No, grazie, sono piena fino alle mie branchie bluastre». «A dire il vero, adesso sono di una bella tonalità rosata». Wendy sorrise ma non rispose, intenta a spostare la forchetta in giro per il piatto come se quell'attività richiedesse tutta la sua attenzione. Quella rilassata pausa di silenzio si protrasse per qualche istante. «Quanto presto?», chiese infine Alex. «Cosa?» «Sono ancora in grado di cogliere qualche dozzina di input», affermò Alex. «Ogni volta che accenno ai progetti per questa settimana, tu ti accigli. Allora, quanto presto hai intenzione di partire?» Wendy riteneva che fosse pericoloso perdere tempo in giro quando Kayla poteva avere qualche indizio riguardo a quello che stava succedendo, ed era decisa a non affrontare impreparata l'incubo incombente che la stava seguendo da Winnipeg. Di fronte all'impossibilità di procrastinare l'inevitabile, esalò un profondo sospiro. «Domani», rispose. Capitolo 6 Durante il tragitto di rientro al suo motel di Minneapolis, Wendy non poté fare a meno di ripensare all'espressione delusa dipinta sul volto di Alex; si era fatto insolitamente silenzioso per il resto della serata, tanto che adesso Wendy si rimproverava per essergli di nuovo venuta meno, forse per l'ultima volta. Scosse il capo, mentre le lacrime scendevano a bruciarle gli occhi. Teneva molto ad Alex, che era stato una persona speciale nella sua vita. Era forse questo il problema? Il fatto che lui appartenesse al passato? Aveva sperato che non fosse troppo tardi per rimediare, ma adesso temeva di aver fatto esattamente il contrario. Quante volte poteva ancora scappare via in quel modo e aspettarsi che lui rimanesse in attesa, ponendo la propria vita in stand-by senza neppure avere un'idea precisa di cosa significasse davvero il loro rapporto? «Forse è meglio così», si disse, asciugando una lacrima che minacciava di colarle lungo la guancia. «Una rottura netta. Devo passarci sopra e continuare a vivere», aggiunse, annuendo per convincersene. I finestrini della Pathfinder avevano cominciato ad appannarsi, avvolgendola in una sorta di bozzolo protettivo; al di là del parabrezza velato di bianco, le case erano delineate da file di luci natalizie, le cui lampadine ac-
cese apparivano come chiazze di vernice multicolore: la rappresentazione realizzata da un impressionista di una stagione di festa nella quale lei aveva ben poco da festeggiare. Premette il pulsante per sbrinare il vetro posteriore, accese la ventola del riscaldamento e attese che le immagini tornassero ad apparire in tutta la loro scarna nitidezza. La neve stava cominciando a cadere in una lieve cortina, un caos vorticante illuminato dai raggi paralleli dei fari, i fiocchi di neve quasi ipnotici nel percorso casuale e instancabile della loro discesa. Fargo, Nord Dakota Troppo debole per cacciare... Si sveglia in preda a un dolore intollerabile... Incapace di nutrirsi e, conseguentemente, di risanarsi... Si contorce sulla pelle bruciata e sulle terminazioni nervose scoperte. Il dolore è troppo intenso per poterlo sopportare per più di pochi secondi senza urlare o senza cercare un qualche sollievo. Un istinto di sopravvivenza affinato nell'arco di centinaia di anni di esistenza non permette alla creatura di urlare, cosa che ne rivelerebbe la presenza, quindi cerca di spegnere la propria mente, di scivolare nel fugace sollievo offerto dal proprio subconscio tormentato. Questo sonno, tutt'altro che privo di sogni, è invece infestato da un incubo costituito da un ricordo sgradevole antico ormai di quasi duecentoquarant'anni, da tempo represso e quasi dimenticato... almeno finora. È il ricordo della sua nascita, o per meglio dire, della sua rinascita. E quel ricordo pervade l'incubo di una forma di dolore diversa, ma non per questo meno insopportabile. Come sopravviverà ora, così la creatura è sopravvissuta anche allora, anche se mutata per sempre. Nata uomo, rinata mostro... Rupert's Land, Red River Valley Canada Ottobre 1768 Hanno continuato a remare nella canoa di corteccia di betulla fin da parecchie ore prima dell'alba, senza riposo. Gerard Lambert, il più basso e anziano dei due, siede davanti, Jacques Robitaille dietro, e il carico della loro attrezzatura per posare trappole e merci da scambiare occupa la maggior parte dello spazio in mezzo a loro. Percorrono chilometri interminabili su corsi d'acqua troppo piccoli per avere un nome, troppo insi-
gnificanti per meritare di essere segnati su una mappa. Quando uno si fa troppo poco profondo per essere navigabile, i due trasportano a spalla canoa ed equipaggiamento fino al successivo fiumiciattolo senza nome, un'operazione ripetuta più volte. Sono due voyageurs francesi, noti anche come coureurs de bois, corridori dei boschi, e vivono negli anni successivi alle guerre indiane e francesi, risentendo delle conseguenze delle schiaccianti vittorie britanniche che hanno lasciato i francesi in gravi difficoltà, che si aggiungono a quelle attribuibili al duro inverno canadese. Come sono costretti a fare anche altri voyageurs, Jacques e Gerard continuano a piazzare trappole e a commerciare su terre assegnate alla Hudson Bay Company. Se da un lato i forti controllati dai francesi sono ormai una cosa del passato, i trading post non rifiutano le pellicce di nessuno, perché la richiesta del mercato europeo è ancora elevata, anche se i territori di caccia della Valle del Red River si sono impoveriti con il passare degli anni. Ora gli indiani cacciano molto più a ovest, i cree hanno cominciato perfino a utilizzare i cavalli per dare la caccia a castori, otarie, volpi, linci, martore ed ermellini, ma in quella valle tanta abbondanza sta diventando poco più di un bel ricordo. Anche i mercanti si stanno spostando a ovest, sebbene in questo modo i terreni di caccia diventino sempre più lontani dagli uffici della loro compagnia. Jacques ritiene di fare parte di una razza in via di estinzione. Ha una moglie cree, Piccola Cerva, da cui ha avuto un figlio meticcio che ha ormai quattro anni, François, e porta il nome del nonno paterno. I mezzosangue non sono una rarità nella Rupert's Land, dove le necessità della società locale hanno generato un nuovo modo di vivere, e nel complesso quella terra è diventata per Jacques una nuova casa. Nell'arco di qualche anno, potrebbe trovarsi costretto, per smerciare le sue pelli, a spingersi più a ovest, più lontano da Piccola Cerva e da François: ma finché gli sarà possibile intende continuare a vivere come sta facendo. Gerard, invece, è un solitario, e anche se frequenta spesso e volentieri donne a pagamento, non ha una famiglia né legami fissi. Già dal finire dell'anno precedente ha cominciato a parlare di volersi dirigere a ovest, e Jacques gli ha augurato ogni fortuna, mettendo bene in chiaro la propria intenzione di rimanere nelle vicinanze della sua nuova casa. Un'ora dopo l'alba decidono di fermarsi per fare colazione, ma una curva del corso d'acqua rivela un tratto isolato di prateria erbosa coperta di neve. Là, le rive del fiumiciattolo hanno cominciato a ghiacciare, ma ciò
che attira la loro attenzione non è tanto il fiume quanto la chiazza carminia che spicca sulla distesa innevata. Remano più in fretta, dirigendosi rapidi verso la riva, e lungo il tragitto vedono un palo per trappole - i raggi del sole nascente si riflettono sul metallo - che sporge dall'acqua in un piccolo corso parallelo, dove un castoro ha cominciato a erigere la sua diga. Cacciatori indiani all'opera con attrezzature europee acquistate in cambio di pellicce, un cerchio che si ripete all'infinito. Vicino al palo, c'è il classico ramo di salice che sporge dall'acqua. La sua punta deve essere stata cosparsa dell'odore di castoro per fungere da esca. Il castoro è infatti un animale territoriale per natura, e tende ad andare a indagare su qualsiasi possibile intrusione nell'area sotto il suo controllo. Il ramo di salice tagliato di fresco conficcato nel fondale, con la punta esposta e intrisa di un odore estraneo, serve ad attirare l'animale in trappola. Jacques e Gerard ritirano a bordo le pagaie e saltano giù dalla canoa quando l'acqua arriva ancora al ginocchio, avvertendone immediatamente il morso gelido attraverso i pantaloni di pelle di daino, i gambali e i mocassini fatti in casa. Con un'economia di movimenti derivante da lunga pratica, issano la canoa sulla riva, poi prelevano dal suo interno entrambi i loro fucili a pietra focaia, che tengono sempre a portata di mano. Jacques sfila l'arma dalla custodia di pelle di daino frangiata che Piccola Cerva ha cucito per lui e la getta nella canoa; non essendo tipo portato per gli ornamenti eccessivi, Gerard ha per il suo fucile soltanto una semplice custodia di pelle di vitello, che serve a mantenere asciutta la carica di polvere. La getta a sua volta nella canoa, poi rivolge un cenno a Jacques. Insieme, avanzano con cautela, chini in avanti per essere meno visibili, anche se la prateria aperta offre ben poco riparo. Le frange delle loro camicie di pelle di daino si agitano sotto il soffio costante del vento gelido, e Jacques è lieto di essersi lasciato crescere una folta barba, perché gli protegge la faccia da quell'aria gelida; per contro, Gerard sfoggia solo un paio di lunghi baffi a manubrio, che gli danno un'aria perennemente riflessiva. Anche se Gerard si tiene leggermente all'avanguardia, è Jacques a effettuare una prima valutazione delle vittime della carneficina. «Cree», sussurra a Gerard, indicando i tre corpi devastati distesi al centro del campo innevato. I due più vicini sono ridotti a poco più di un
ammasso di visceri fumiganti esposti alla fredda luce del giorno, con i brandelli di pelle che coprono a stento le ossa lucide e infrante; sparse intorno ai corpi ci sono le provviste del campo e una dozzina di pellicce di castoro, alcune già ripulite e stese a seccare su intelaiature di rami di salice. Jacques scorge poco lontano un fucile spezzato e due coltelli che giacciono sull'erba insanguinata. Il terzo cree è in condizioni migliori, ma solo perché la maggior parte degli organi esposti è ancora dentro il corpo. Sul torso, il sangue è filtrato attraverso la casacca di pelle di daino a brandelli, e sono visibili due costole rotte, che spiccano bianche sullo sfondo rosso del sangue; più in basso, un pezzo di carne manca da ciò che resta della coscia destra, i bordi dell'orribile ferita sono irregolari, segno che essa è il risultato non di un'arma, ma di zanne. Al di là di quella vittima quasi intatta c'è un grosso cumulo di neve, e Jacques si chiede se sotto di esso vi sia un altro corpo; più probabilmente, si tratta di provviste, coperte con una pelle di bufalo conciata e celate sotto la coltre di neve. Le vittime sono morte da poco, il sangue è ancora caldo, e forse il terzo cree è ancora vivo, anche se non può averne ancora per molto, a giudicare dal suo aspetto. Forse i tre sono stato aggrediti quando sono arrivati per controllare le trappole per i castori, ma che sorta di animale può essere stato così letale e famelico... «Un grizzly?», si chiede Gerard. Jacques lascia scorrere lo sguardo sulla prateria, alla ricerca della massiccia sagoma scura di un orso, ma non vede nulla, e infine scrolla le spalle. «Forse», risponde. Quella supposizione, infatti, è valida quanto qualsiasi altra. «Questo è ancora vivo», osserva Gerard, avvicinandosi al terzo indiano. Jacques vede una mano insanguinata che cerca debolmente di sollevarsi, le dita tremanti, ma poi ricade al suolo. «Wicihin...», ansima il cree, con voce sofferente e tremante. Aiutatemi... Gerard gli si inginocchia accanto, e posa il fucile accanto a sé prima di prendere fra le mani la testa dell'indiano. «Chi è stato?», chiede. Non c'è nulla che lui o Jacques possano fare per aiutare l'indiano, che ha perso troppo sangue e ha sofferto più di una ferita mortale. Possono solo cercare di capire cosa sia successo laggiù. «Win... winti...» L'indiano tossisce, cerca ancora di parlare, la bocca contratta che si apre e si chiude a vuoto nello sforzo di formulare le paro-
le, ma ne esce soltanto un suono gorgogliante, seguito da un fiotto di sangue. Jacques si guarda nuovamente intorno, ma lui e Gerard sono soli sulla prateria; mentre riporta lo sguardo sul compagno e sul cree morente, la neve comincia a cadere intorno a loro, grossi fiocchi che vorticano sotto il soffio teso della brezza. Un senso di gelo più intenso gli penetra nelle ossa, facendogli drizzare i capelli sulla nuca. Mancano ancora parecchie settimane al cuore dell'inverno, ma in quel momento sembra che quel periodo sia già arrivato. Vicino, troppo vicino, qualcosa lancia un verso orribile. Jacques s'immobilizza. Gerard indietreggia dall'indiano ormai morto, guardando con orrore mentre il cumulo di neve distante solo qualche metro sembra erompere dal suolo della prateria, rivelando arti coperti di una pelliccia scura e una faccia bianca dalle fauci grondanti sangue e irte di zanne affilate come rasoi. Avendo affrontato più di un grizzly negli anni trascorsi a cacciare pellicce, Gerard ha la presenza di spirito di afferrare il fucile e di prendere di mira la mostruosità che si sta alzando dalla prateria. Qualsiasi cosa sia, è di una rapidità infernale, più veloce di Gerard, e gli spinge da un lato la canna del fucile. La carica di polvere esplode con un ruggito, ma la palla di piombo saetta lontano dal bersaglio. Per quanto coperta di pelliccia bianca e nera, quella creatura sembra più un uomo di dimensioni spropositate che non un orso; gli arti inferiori sono infatti più lunghi di quelli di un orso, sono fatti per camminare in posizione eretta, e quelli superiori, rapidi e possenti, terminano con mani munite di artigli, non con delle zampe. Mentre la palla di piombo descrive un'innocua traiettoria in direzione della riva opposta del corso d'acqua, Jacques si porta a sua volta il fucile alla spalla, pronto a sparare, ma esita, perché sebbene sia alta quasi tre metri, la creatura è china sopra Gerard, e questo gli impedisce di mirare con precisione. Per quanto prudente in condizioni normali, la sua esitazione, in quella circostanza, si rivela fatale. Il momento successivo, infatti, la creatura lo colpisce con forza micidiale: un gruppo di artigli lo sventra e l'altro gli attraversa il collo, quasi decapitandolo in un solo colpo. Consapevole che il suo amico è morto, nel momento in cui la creatura affonda le zanne spaventose nella carne della gola di Gerard, Jacques a-
pre il fuoco, mirando all'occhio destro. È un tiratore eccellente, ma la testa della creatura sta sobbalzando su e giù in modo grottesco, le fauci coperte di nuovo sangue, e la palla di piombo lacera un lato della gola invece di trapassarle l'occhio. Sangue del colore del pus schizza dal collo coperto di pelliccia, e Jacques si trova a essere al centro dell'attenzione della creatura, che lascia cadere il corpo di Gerard sull'erba, accanto a quello del terzo indiano, e con un ruggito agghiacciante si lancia contro Jacques. Lui però non è rimasto inerte, e subito dopo aver fatto fuoco ha cominciato a ricaricare il fucile. Con l'acre odore della polvere da sparo che gli aleggia ancora nelle narici, allunga la mano verso il contenitore di legno in cui sono riposte le palle, attaccato con un laccio di cuoio alla sacca della polvere, e ancora prima di tirare fuori una seconda palla si lancia all'indietro sull'erba, cercando di mantenere una certa distanza fra se stesso e la creatura, la bête. Questa tuttavia guadagna terreno, muovendosi con una rapidità sorprendente, considerato il fiotto di sangue che le sta schizzando dalla ferita al collo. Adesso la neve circostante è coperta di carminio, il sangue degli uomini, e del sangue giallo-pus della bête. L'istinto, affinato dalla vita di frontiera, ha sempre contribuito alla salvezza di Jacques, e adesso lui conta su quello, negando a se stesso il lusso di cedere al panico cieco. Viviti quest'istante, dice a se stesso, non preoccuparti del successivo. Senza pensarci coscientemente, ha già versato nella canna una dose premisurata di polvere da sparo, l'ha pressata e ha inserito la palla. In quei pochi secondi, la creatura gli è ormai arrivata addosso, lui è alla portata di quelle braccia dall'apertura quasi smisurata. Non ha il tempo di portare il fucile alla spalla, di prendere la mira... Preme il grilletto tenendo l'arma all'altezza del fianco. La pietra focaia genera una scintilla, incendia la polvere e fa saettare la palla di piombo verso la creatura, ma non si tratta certo del fatale colpo alla testa che avrebbe voluto tentare di infliggere; la palla affonda invece nel ventre della creatura, sotto le costole, proseguendo la sua corsa - così spera Jacques - verso organi vitali. Un fiotto giallo erompe dal ventre ricoperto di pelliccia bianca. Non è sufficiente... La creatura piomba violentemente addosso a Jacques, facendolo barcollare all'indietro. Una mano dotata di artigli colpisce il fucile appena sotto
la protezione del grilletto, crepando il calcio di legno e strappando dolorosamente l'arma dalla stretta di Jacques, facendola volare a spirale nell'aria per poi mandarla a cadere fra l'erba alta della prateria al di là del campo innevato, dove scompare alla vista. Jacques abbassa la mano destra verso il fodero del coltello, ma ha le dita intorpidite e cincischia un istante di troppo per afferrare l'impugnatura. Un manrovescio della creatura gli spinge con violenza la testa da un lato, stordendolo e facendolo crollare in ginocchio. Gli artigli gli hanno lacerato la fronte, e il suo stesso sangue gli cola sulle guance e lungo il naso. Jacques barcolla, cerca di ritrovare l'equilibrio, ma la creatura gli si lancia ancora contro, gettandolo al suolo. La bête... La mole mostruosa nasconde il sole basso nel cielo, proiettando un'ombra sulla faccia di Jacques: in quell'oscurità, aleggia il gelo della morte. Lenti fiocchi di neve tracciano percorsi a spirale nell'aria sopra di lui, gli aderiscono alle ciglia insanguinate e rifiutano di sciogliersi; il suo corpo sembra immerso nel giaccio e lui rabbrividisce, battendo i denti, ma continua ad armeggiare con l'impugnatura del coltello. La creatura gli si accoccola sopra, spalancando le fauci insanguinate. Lo sguardo di Jacques è attratto da quegli occhi gialli, che scintillano nell'oscurità proiettata dalla sua stessa ombra infernale e brillano di una intelligenza malevola che non ha niente in comune con la semplice famelicità animalesca o con la furia di una belva ferita. In quel momento, certo della propria morte, Jacques comprende che quella creatura è l'incarnazione del male. «Démon...», sussurra. Con quello che sembra un sorriso di assenso, che ha l'effetto di esibire altre zanne ancor più spaventose - una bocca irta di zanne grondanti sangue! - la creatura abbassa la testa e, con una zaffata di respiro fetido strappa un boccone di carne dalla spalla di Jacques. Ma intanto lui è riuscito a estrarre il coltello... Quando la creatura gli azzanna la carne, non riesce a trattenere un urlo di agonia, e tuttavia giura a se stesso che quello non sarà il suo ultimo atto. Con le poche forze che gli rimangono, conficca la punta del coltello nella ferita aperta nel ventre della creatura, poi spinge la lama sempre più in su, finché non affonda nello sterno. Se da un lato ciascuna ferita, singolarmente, non è stata sufficiente a uccidere la creatura, Jacques spera che l'accumulo della perdita di sangue e dei danni agli organi vitali cominci a
fare il suo effetto. La creatura si ritrae e si solleva, indietreggiando e lasciandolo ansimante per il dolore e lo sfinimento. Stringendosi il ventre squarciato, la bestia lo fissa con occhi pervasi di tutto l'odio dell'Inferno, e Jacques deglutisce a fatica, deciso a celare la paura. Muori, pensa intanto, muori, dannazione a te! Non ha più la forza di lottare, le energie lo hanno abbandonato, anche se la forza di volontà non lo ha fatto. Però può ancora fingere, ed è deciso a nascondere la propria paura, a ignorarla e a sostenere lo sguardo della bête fino alla fine. Per lunghi, spaventosi momenti, i due si fissano a vicenda, soppesandosi. Il coltello di Jacques, là dove non è coperto dello strano sangue giallo della creatura, brilla sotto il sole del mattino, e la sua mano non trema, perché lui non intende permetterle di farlo. La creatura annuisce una volta, poi indietreggia di un passo, di un altro, e infine si volta per allontanarsi di corsa fra l'erba alta della prateria, al di là del dedalo di corsi d'acqua che ha condotto Gerard e Jacques incontro alla loro sorte. Jacques non si concede la lusinga di pensare di aver vinto la battaglia, sa che è stato soltanto un pareggio forzato, e che la creatura avrebbe ancora potuto avere la meglio su di lui. Forse aveva semplicemente lo stomaco troppo pieno per prendersi il disturbo di concedersi quell'ultimo, difficile boccone. D'altronde, il collo di Jacques continua a sanguinare, e lui è troppo debole per viaggiare, troppo debole per fuggire; la sua unica alternativa è quella di aspettare che la fame riaffiori nella creatura, che la bête decida di tornare indietro. Sempre che per allora lui non sia già morto dissanguato... O che non sia la creatura a dissanguarsi nel frattempo... Ridacchia, e la cosa gli provoca un dolore intenso. «Se non ho fatto abbastanza per vincere la guerra, mi accontenterò di aver vinto questa battaglia...» Ma, come presto scoprirà, non ha vinto proprio nulla. A modo suo, la creatura lo ha condannato. La febbre sta già cominciando a salire. Fargo, Nord Dakota 1 gennaio 2002 La creatura si riscuote dal suo sonno tormentato. Il dolore ricordato in sogno è così intenso, l'incubo così viscerale che
essa si riscuote dall'oscurità pervasa di ricordi angosciosi da tempo sepolti e torna all'agonia della presa di coscienza. Al risveglio, avverte un cambiamento: o ha smesso di avvertire il tormento della pelle ustionata, oppure il dolore è diminuito. Si rotola su un tratto di neve fresca, assaporando il freddo abbraccio dell'acqua cristallizzata. Il sangue ha smesso di scorrere, la pelle annerita ha cominciato a staccarsi in pezzi carbonizzati, esponendo quella nuova sottostante, ancora tenera. In base ai suoi lunghi anni di esperienza, sa di essere in grado di guarire con una rapidità soprannaturale, e di avere la capacità sovrumana di rigenerare arti tranciati. Un uomo che avesse riportato la stessa quantità di ustioni tanto gravi sarebbe già morto da ore, ma la creatura non è più umana. Volti scaturiti dalla memoria aleggiano dietro la nebbia che ammantava ricordi lontani e che ora si sta dissipando. Un nome, collegato a un volto dai baffi spioventi... Gerard. Gerard Lambert! Morto da oltre duecento anni. Disturbata dal riaffiorare di quei ricordi, la creatura rotola carponi e cerca di alzarsi in piedi, appoggiandosi a un pino per sorreggersi. Incespica, cade in ginocchio, poi crolla nella neve, e per lunghi momenti trema sotto l'aggressione di nuove ondate di dolore. Immobile, attende... E nella mente le appare un altro volto... un'immagine spettrale riflessa in uno specchio d'acqua, prima che mani chiuse a coppa ne disturbino la superficie e cancellino quel volto, perso per sempre. Quella era la sua faccia, prima che rinascesse, all'epoca in cui era un essere umano, un uomo di nome Jacques Robitaille. Informazioni inutili. Di Jacques Robitaille non resta più nulla, se non un groviglio di ricordi confusi. La febbre era stata il principio, ma Jacques stesso aveva provveduto al resto. Lui conosceva la via di casa, e aveva distrutto di persona ciò che la bête non poteva toccare. Con un profondo ruggito, si porta alla testa le mani munite di artigli, affondandoli nella pelle ustionata del cuoio capelluto fino a far sgorgare altro sangue. Sotto la nuova ondata di dolore incandescente, la creatura prende ad ansimare lottando per reprimere l'impulso di urlare. Mediante un distorto processo logico, un fittizio meccanismo di sopravvivenza pervaso del potere della propria convinzione, intensificata dalla sofferenza, la creatura si convince che uccidere la preda speciale porrà fine alle sue sofferenze, agli incubi, all'agonia delle ustioni e a tutti i ricordi tormentosi... le basterà uccidere colei che si chiama Wendy Ward per trovare la via del
ritorno al suo sonno senza sogni e all'oblio. Passano alcuni momenti, il suo respiro rallenta, la consapevolezza si appanna, ma l'incubo perdura, in attesa appena sotto la superficie... fintanto che lei continua a vivere. Minneapolis, Minnesota Troppo scossa per dormire o per esercitarsi con la magia, Wendy passeggiava avanti e indietro per la sua stanza, sentendosi in gabbia anche se era spaziosa e ben arredata. Per un po', prese in considerazione l'eventualità di pagare il conto nel cuore della notte, salire sulla Pathfinder e dirigersi a est, ma per fortuna la logica ebbe la meglio. La strada fino a Windale era molto più lunga di quella che separava Fargo da Minneapolis, ci sarebbero voluti almeno un paio di giorni per arrivare a destinazione, quindi era bene che riposasse un poco. Prima, però, doveva scaricare la tensione. «Un bagno rilassante», si disse. «Un buon punto da cui cominciare». Dopo aver regolato l'acqua in modo che fosse abbastanza calda da non raffreddarsi troppo presto senza però scottarla, dispose parecchie candele accese sul lavandino e su ogni angolo della vasca da bagno, cosa che le permise di spegnere l'intensa luce artificiale. Prelevati un po' di fiori di lavanda da un sacchetto che teneva sempre nella borsa da notte, li gettò nell'acqua, e mentre aspettava che la vasca si riempisse a sufficienza, i suoi pensieri tornarono di nuovo all'equazione Alex e Allison. Le serviva qualcosa che le permettesse di voltare pagina in fretta, ma cosa? Liberatasi del maglione color smeraldo e della gonna nera bordata con disegni celtici, li appese entrambi nello stretto armadio del motel. «E adesso cosa faccio?», si chiese ad alta voce. «Anzi, a chi mi rivolgo?» Toltasi il reggiseno e le mutandine nere, li gettò sul letto, recuperò il cellulare e tornò in bagno. Nel posare sul piano del bagno l'orologio da polso in argento, lanciò un'occhiata all'ora e annuì fra sé: a seconda delle condizioni della sua schiena, Tara Pepper era un gufo, un'insonne o una persona dal sonno leggero. L'ora era ancora adatta a una chiamata di cortesia. Scivolò nella vasca, sospirando nell'assaporare il caldo abbraccio rilassante dell'acqua. Così a nord, il freddo penetrava nelle ossa e vi rimaneva, al punto da generare quasi una minaccia di ipotermia. Un bagno caldo era proprio quello che ci voleva... Dopo qualche minuto di rilassamento privo di pensieri, compose il nu-
mero di Tara, e dopo pochi squilli sentì dall'altra parte del telefono la voce della vivace wicca di Winnipeg. «Spero di non averti svegliata». «No davvero», rispose Tara, la cui voce suonava incredibilmente lontana. «Stavo smaltendo i postumi della sbronza di Capodanno, ma il sonno è ancora ben lontano». «Allora sono contenta di averti chiamata». «Che succede, tesoro? Aspetta... non me lo dire! Stai per tornare a Winnipeg». Wendy ridacchiò, e sentì i muscoli della fronte rilassarsi. «No», rispose. «Ecco, se dovessi cambiare idea, surrogato di sorella minore, sai che hai un posto dove stare». «Grazie, surrogato di sorella maggiore», replicò Wendy. «In ogni caso, mi chiedevo se potessi farmi un favore». «Subito dopo che avrò sentito gli aggiornamenti su Alex». «Stiamo andando in direzioni opposte», affermò Wendy, accigliandosi. «Mi dispiace, tesoro», fu il commento di Tara, che pareva sinceramente dispiaciuta. «Continua a guardare avanti, e vedrai che ti dimenticherai di lui in pochissimo tempo. Ora, qual è questo favore? Lo spirito è disponibile, a patto che non sia una cosa illegale, immorale o poco pratica». «Niente di illegale», garantì Wendy, «ma potrebbe richiedere qualche piccolo scavo». «Per favore, non in un cimitero, vero?», chiese Tara. «Dopo aver visto quella tua amica spettrale, scavare in un cimitero non mi sembra più una cosa tanto assurda». «Niente visite al cimitero, prometto», sorrise Wendy. «O almeno, spero che non siano necessarie e che basti la biblioteca, e forse l'obitorio... quello giornalistico, intendo. Ecco cosa dovresti cercare...» «Sei certa della data?», domandò Tara, quando Wendy ebbe finito di parlare. «No, ma di certo non devi cercare prima di quella data». «Allora d'accordo», concluse Tara. «Ti chiamerò se dovessi trovare qualcosa». «Grazie, Tara. Chiama comunque, mi piacerebbe che restassimo in contatto». Prima di chiudere la comunicazione, diede a Tara il numero della sua casa di Windale. In quei mesi, aveva continuato a pagare la sua parte dell'af-
fitto del cottage che aveva deciso di dividere con Frankie Lenard, per il semplice fatto che era il solo posto rimasto a Windale che potesse ragionevolmente definire casa propria. La maggior parte delle sue cose erano ancora in quella camera da letto vuota. Protendendosi dalla vasca, posò il cellulare sul piano dall'altro lato del bagno, prima di sprofondare nell'acqua calda fino al mento. Con un asciugamano caldo drappeggiato sulla fronte, liberò la mente da ogni fonte di distrazione e visualizzò invece un posto riposante, un tranquillo prato estivo sotto un cielo azzurro, con batuffoli di nuvole bianche che fluttuavano davanti al sole di mezzogiorno, e gli uccelli che cantavano sugli alberi vicini... Wendy sta fluttuando sull'erba, priva di corpo, e nota una chiazza di un candore lucente. Spingendosi più vicino con la forza della volontà, rimane sorpresa nel constatare che si tratta di neve, e la sorpresa aumenta quando il sole si abbassa nel cielo, la sua luce dorata ora sfumata di rosso che tinge la neve di carminio... adesso però la neve è chiazzata dal sangue di un uomo barbuto, che indossa abiti laceri di pelle di daino intrisi di sangue. La sua attenzione si sposta sul volto rude, vede i segni degli artigli sulla fronte e il sangue fresco che sgorga dalle ferite. Si chiede se l'uomo sia morto, ma quel momento di incertezza sospeso nel tempo termina quando lui alza le palpebre e la fissa con occhi d'ambra rovente. Poi l'uomo apre la bocca per parlare, e i suoi denti sono zanne aguzze che grondano sangue; altro sangue gli schizza dalla bocca mentre sibila: «WENDY!». Wendy si svegliò in preda alla sorprendente e sgradevole sensazione di uno spasmo che le attraversava il corpo nell'acqua ormai tiepida. Allontanato di scatto l'asciugamano dalla faccia, si alzò a sedere, stringendosi le ginocchia contro il petto; diamanti d'acqua le imperlavano le ciglia, fiori di lavanda erano incollati alle braccia e alle gambe, ora increspate dalla pelle d'oca. Un volto dal passato, pensò. Un passato collegato al suo futuro. Le labbra le tremarono, e il freddo tornò a pervaderle le ossa. «Wither, maledetta cagna bastarda», disse scuotendo il capo. «Che cosa mi hai fatto?»
Rupert's Land, Red River Valley Canada Ottobre 1768 Passano un giorno e una notte, e la bête non fa ritorno. Jacques comincia a sperare che, finalmente, la creatura sia morta. Ben presto desidererà di essere morto anche lui. La febbre gli devasta il corpo, mentre nel profondo del suo essere cresce una fame innaturale. Saccheggia le proprie provviste, e anche quelle di Gerard, ma pemmican1 e farina di grano riescono soltanto a farlo vomitare. Usa l'acciarino per far cadere qualche scintilla su un po' di esca, accende un fuoco e arrostisce un paio di code di castoro che ha trovato fra i resti del campo dei cree. Purtroppo, anche le code lo fanno vomitare; non riesce a trattenere dentro niente, tranne l'acqua. Raggomitolato sull'erba, tremante, si gratta le braccia e le gambe a causa di un prurito tormentoso che continua a rimanergli sotto pelle; più e più volte torna vicino ai cadaveri, accarezzando la carne esposta, mentre sente crescere dentro di sé una sorta di fascino morboso. Le ferite al collo e alla spalla smettono di sanguinare di loro iniziativa, senza bisogno di fasciature o di cure, e lo stesso fanno le ferite che gli artigli gli hanno lasciato sulla fronte. Adesso non si preoccupa più di poter sviluppare un'infezione o la cancrena, un nuovo istinto lo informa della sua relativa invulnerabilità: la febbre è un segno di cambiamento, non di malattia, anche se il cambiamento stesso potrebbe essere considerato una forma di malattia. In realtà, è molto peggio, è la perdita della sua umanità. Cade la notte per la seconda volta, e i suoi occhi sembrano adattarsi in modo innaturale all'oscurità. Passa le ore più fredde della notte a fissare il cadavere del terzo indiano, ma soprattutto quello di Gerard, che la bête non ha quasi toccato. Si chiede se la creatura gli abbia lasciato il corpo di Gerard come forma di sostentamento, ma dubita che le sue azioni siano guidate da qualche considerazione nei confronti degli altri. Pensa solo a se stessa, tutto il resto è incidentale. Presto Jacques dovrà decidersi a mangiare la sola cosa che lo può sostentare, se non vuole morire. Ha paura che nonostante il freddo, che peraltro non lo disturba più quanto faceva prima, il corpo di Gerard stia già cominciando a marcire. Il senso di attrazione morbosa si trasforma gradualmente in disgusto, ma non per l'idea su cui stava finora evitando di soffermarsi. Ora non è più anatema per lui,
sente soltanto che ormai la carne è troppo vecchia. Qualsiasi cosa sia ciò che sta diventando, una parte di lui si rende conto che per sopravvivere ha bisogno di carne fresca. Purtroppo, la prateria è un luogo vasto e solitario... dovrà spingersi lontano per trovare quantità sufficienti di carne fresca, e tuttavia c'è un posto che conosce, che lo attira come un faro con la promessa di poter soddisfare la sua fame infernale... un posto che un tempo conosceva come la propria casa. Diario di Wendy Ward 2 gennaio 2002 Luna calante, ultimo quarto, giorno 18 Minneapolis, Minnesota Quella di passare notti insonni sta decisamente diventando una prassi troppo di routine. Pare proprio che d'ora in poi avrò tre borse da notte, contando anche quelle sotto gli occhi. Non è possibile effettuare il check-out automatico prima delle undici, ma voglio essere in viaggio molto prima di allora, con la strada davanti a me, pronta a ricominciare da capo. D'accordo, ammetto che non sarà tanto semplice, ma adesso che nella mia vita il capitolo Alex sta per chiudersi, probabilmente questa è la cosa migliore per entrambi, più sicura per Alex, e meno emotivamente dolorosa per me. Una frattura netta. Lavare via tutto e ricominciare. Già, questa è la soluzione (sigh). Adesso ho una preoccupazione più pressante, quello che ritengo essere il sogno veridico - ecco, più un'immagine che un vero sogno - di un uomo vestito di pelle di daino e vissuto nel XVII o nel XVIII secolo, un uomo che però ha scintillanti occhi gialli. Non so con certezza cosa questo breve sogno significhi, non c'era un vero contesto perché mi sono svegliata troppo presto... per fortuna! Lui però ha chiamato il mio nome dal passato, quindi è un avvertimento di qualche tipo, un risultato della maledizione di Wither. Forse la Vecchia mi saprà dire di cosa si tratta. Oggi ho davanti a me molti chilometri. Nel frattempo, potete scommettere il culo che me ne starò alla larga da individui vestiti con pelle di daino frangiata. Dal momento che aveva deciso di abbreviare la propria permanenza, Wendy pagò il conto alla vecchia maniera, alla reception del motel. La sua mente era già concentrata sulla lunga giornata che l'aspettava. Secondo la
mappa elettronica, fra Minneapolis e Windale c'erano più di 2.240 chilometri, che pensava di poter percorrere con tre giorni di guida costante. Prevedendo di dover passare parecchio tempo al volante della Pathfinder, si era vestita comodamente con un maglione di lana nera e un paio di vecchi jeans; decidendo che non era ancora il caso di provare gli stivali nuovi, aveva optato per le Sketchers verdi, con le quali avrebbe avuto meno probabilità di pigiare troppo sull'acceleratore e di beccarsi una multa per eccesso di velocità. Attraversato l'atrio tirandosi dietro la borsa da notte, con il sacchetto da shopping che le penzolava dalla mano libera, si arrestò davanti alla porta girevole automatica per abbottonarsi il cappotto e avvolgersi intorno al collo la sciarpa verde, poi s'irrigidì, pronta all'impatto della gelida aria mattutina del Minnesota, e tirò fuori dalla tasca dei jeans la scheda del parcheggio. Stava per svoltare a sinistra, verso il gabbiotto del custode, quando la sua attenzione fu attratta da qualcosa - o per meglio dire qualcuno che appariva fuori posto in quel luogo. Fermandosi, si girò a destra per guardare verso l'ingresso del motel, e lo vide appoggiato contro il muretto, vestito con un parka azzurro, pantaloni di velluto beige, un paio di stivali Timberland malconci e, naturalmente, i nuovi occhiali da sole da aviatore. Era fermo accanto a una panchina di metallo marrone, con una sacca di tela dei Minnesota Timberwolves ai piedi e la custodia nera del computer portatile che gli pendeva dalla spalla destra. Wendy gli andò incontro, accigliandosi. «Alex...?», chiese. «Che ci fai qui?» «Ho pensato che potevo scroccare un passaggio fino a Windale», replicò lui con un sorriso esitante. «Cosa?» «Sei diretta là, giusto?», insisté lui, continuando a sorridere. Wendy annuì. Anche se era infagottato da capo a piedi, Alex aveva la testa scoperta, con i capelli castani che si agitavano al soffio della brezza pungente e il volto arrossato dal freddo. «Da quanto tempo stavi aspettando qui fuori?» «Da un'ora», rispose lui, «e prima ancora ho aspettato un'altra ora nell'atrio. Avevo paura che partissi molto presto». «Alex, qui fuori si congela», disse Wendy, che si sentiva già le labbra intorpidite dal freddo. «Sei pazzo, lo sai?» «Me lo hanno già detto».
«E vuoi un passaggio fino a Windale». «Contribuirò alla benzina». «Le lezioni cominciano solo fra quanto... cinque giorni?» «Perché arrivare all'ultimo minuto?», ribatté lui, scrollando le spalle. Un inserviente del parcheggio custodito si avvicinò a Wendy, ritirò il talloncino e promise di farle avere la macchina entro cinque minuti; dopo averlo ringraziato, lei tornò a rivolgersi ad Alex. «Accetto a una condizione, a parte il denaro della benzina». «Sentiamo». «Come stanno davvero le cose con Allison?» «Te l'ho detto. Uscivamo insieme alle superiori, ma era già finita a quell'epoca. Cose passate. Di recente, l'ho incontrata per caso al centro commerciale e abbiamo cominciato a vederci di tanto in tanto... non erano veri appuntamenti, una cosa assolutamente platonica». «Per ricordare i bei tempi andati?» «Un poco, forse, ma niente di serio. È stato un innocuo andarsene un po' in giro insieme. Senti, l'unico motivo per cui ho anche solo...» Interrompendosi, Alex prese un profondo respiro, poi riprese: «Mi stavo chiedendo come stessero le cose fra noi. Speravo che quello che avevamo... che abbiamo... fosse ancora recuperabile, ma a volte non potevo fare a meno di pensare che fosse una causa persa». Wendy sapeva di non avere un motivo valido per essere infuriata con Alex, se aveva ripreso a uscire con quella Allison. Quando aveva abbandonato Windale, lo aveva lasciato senza chiarire lo stato effettivo della loro relazione, e ancora non sapeva spiegare a se stessa se la notte precedente era andata a casa sua per rimettere insieme i pezzi del loro rapporto o per dirgli definitivamente addio. Era stata pronta ad affrontare la fine della loro storia, ma non poteva ignorare il dolore sordo che le generava la concreta possibilità che lui avesse già ripreso a vivere la sua vita. Il solo immaginare quei due insieme... che riesumavano una vecchia cotta del liceo... che si ritrovavano e si riscoprivano ad anni di distanza, le faceva salire in gola un nodo doloroso. «Pensavo che forse stavo per provare una delusione», aggiunse Alex. «Anch'io», replicò Wendy. Una folata di aria gelida la fece rabbrividire e si chiuse le mani a coppa davanti alla faccia, alitandoci sopra per scaldarsi. «Qui fuori si gela», disse. «Vuoi che andiamo dentro?» «No, il freddo è meglio di un caffè forte», ribatté lei «E poi, la macchina
sarà qui da un momento all'altro». «Quando hai inizialmente lasciato Windale», osservò Alex, «ho pensato che avessi bisogno di stare lontana per un po'...» «Le ferite erano troppo dolorose, soprattutto là, dove ogni giorno qualcosa mi ricordava i miei genitori. E poi, ogni volta che ti vedevo, mi sentivo colpevole per averti tenuto all'oscuro. Per poco non ti ho fatto uccidere... e per ben due volte!» «Ecco», ridacchiò Alex, «la prima non avevi modo di sapere che sarebbe successo, e la seconda... be', le tue intenzioni erano buone. Errate, forse, ma buone. Per quanto mi riguarda», continuò con una scrollata di spalle, «sono cose del passato. Non è forse vero che impariamo dai nostri errori?» «Alex, non sono certa di capire che cosa vuoi da me», sospirò Wendy. «Allora siamo in due», ammise lui, «però mi piacerebbe passare un po' di tempo con te, mentre cerchiamo di capirlo». Fresca e riposata dopo la breve vacanza nel parcheggio coperto del motel, la Pathfinder imboccò il vialetto e si fermò vicino a loro. L'inserviente scese dalla macchina e chiese a Wendy se aveva bisogno di aiuto per caricare i bagagli; rifiutando, lo ringraziò e gli diede una mancia. Poi tornò a girarsi verso Alex, che inclinò la testa verso il SUV inarcando le sopracciglia. «Sei deciso a venire, vero?», sorrise. «Potremmo alternarci alla guida», suggerì lui, pieno di entusiasmo, «e dimezzare i tempi di viaggio». «Alex, forse non è poi una così buona...» «Senti, hai detto che è importante tornare subito a Windale, scoprire cosa sa Kayla e andare a dare un'occhiata al posto segreto di Wither, nella foresta, quindi guidare a turno ha senso, giusto? E poi, qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere?» Potrei innamorarmi di nuovo di te, pensò Wendy. «Che la prossima volta la tua fortuna si esaurisca e tu finisca davvero ucciso», rispose. «Ho già detto che è un rischio che sono disposto a correre». «Forse non sono disposta a permetterti di farlo». «Non posso costringerti a portarmi con te», ammise Alex, «ma in un modo o nell'altro, presto o tardi, io tornerò a Windale, e dal momento che non riesco a smettere di volerti bene, mi preoccuperò e veglierò su di te, il che probabilmente mi porrà comunque sulla linea di fuoco di questa faccenda. Non sarebbe meglio se avessimo una possibilità di condurre nel
frattempo una vita abbastanza normale insieme, giusto per scoprire se quello che c'è fra noi può dare ancora dei profitti?» «Dare dei profitti?», sorrise Wendy. «Scusami. La mia ormai prossima laurea in Economia richiede l'assimilazione di una quantità di gergo tecnico», spiegò Alex. «A volte, mentre faccio colazione, mi ritrovo a snocciolare indici finanziari. La mia vita non è più la stessa, da quando mio padre mi ha regalato un abbonamento al Wall Street Journal». «Povero ragazzo», rise Wendy. «Magari a Windale riuscirai a trovare un gruppo di sostegno. Come sei arrivato qui?», chiese poi, guardandosi intorno. «A piedi? Con un passaggio?» «Niente del genere», spiegò Alex. «Servizio Taxi Materno». «Allora non posso certo lasciarti qui appiedato. Ecco, potrei, ma sarebbe alquanto insensibile da parte mia, giusto?» «E assolutamente contrario al tuo carattere». «Il che è una fortuna per te», ribatté Wendy con un sorriso. «Carichiamo e mettiamoci in viaggio». Un minuto bastò a riporre il loro bagaglio nel retro del veicolo, poi Wendy si mise al posto di guida, accese il riscaldamento al massimo e assaporò quel gradito calore sul volto. Salito accanto a lei, Alex chiuse rapidamente la portiera chiudendo fuori il freddo pungente, si sfilò i guanti e si sfregò le mani tenendole accanto alla ventola dell'aria calda. Abbassato il freno a mano, Wendy inserì la marcia e lasciò il vialetto del motel, cercando i cartelli che la indirizzassero alla I-94. «Viaggi leggero», osservò. «I miei verranno a trovarmi in aereo fra una settimana circa», spiegò Alex, «e si sono offerti di portarmi il resto. Ho con me solo l'essenziale: la roba da toeletta, un cambio di vestiario e il portatile». «Un computer nuovo?» «Regalo di compleanno dei miei genitori», disse lui, «insieme a un po' di software forniti da Suzanne. Naturalmente, anche la mia gratifica natalizia è praticamente finita in quell'acquisto, ma non me ne lamento». La rampa di accesso alla I-94, direzione est, era a poco più di un chilometro dal motel. Sarebbero rimasti sull'interstatale per oltre 270 chilometri, e da lì a una cinquantina sarebbero entrati nel Wisconsin. Una navigazione tranquilla, per così dire, pensò Wendy, se il clima e gli spazzaneve decideranno di collaborare. «Per quanto riguarda... l'organizzazione del viaggio», disse. «Guideremo
a turno, d'accordo, ma credi che così potremo fare un'unica tirata?» «A parte le soste per riposare, i pasti e quant'altro». «Cosa sarebbe questo "quant'altro?"» «Non lo so», replicò Alex con una scrollata di spalle. «Potrebbe succedere qualcosa. Di certo, non puoi escluderlo». «Uh-uh», annuì Wendy sorridendo della malizia sottintesa nelle parole di lui. «E contribuirai alla benzina». «Contanti alla mano», garantì lui, battendosi un colpetto sulla tasca. «Faremo il pieno a turno». «Mi sembra ragionevole», convenne Wendy. «C'è altro che dovrei sapere? Eventuali... aspettative?» «Puoi aspettarti di essere intrattenuta. Per esempio, sono pieno di notiziole inutili ma divertenti». «Per esempio?» «Dunque, vediamo», rifletté Alex, tormentandosi pensosamente il labbro inferiore. «Sapevi che nel 1840 St. Paul si chiamava Pig's Eye Landing2?» «È un bene che le abbiano cambiato nome». «Con uno classico che non sforza le meningi». Wendy scoppiò a ridere. Era piacevole avere di nuovo Alex intorno. Forse, poteva permettersi di aspettarsi qualcosa di più di un semplice intrattenimento, qualcosa che permettesse di salvare il loro rapporto. Fargo, Nord Dakota La lunga notte agitata è stata tormentata da incubi relativi alla sua vita passata, ma il mattino porta la consapevolezza e una fame crescente. In qualche modo deve trovare una preda, perché la carne fresca la rimetterà in forze e accelererà il processo di risanamento. Quello è il solo modo in cui riuscirà a trovarla. Già il sentiero si fa indistinto. La creatura percepisce che la preda speciale è di nuovo in movimento e che sta aumentando la distanza che le separa. All'inizio striscia attraverso il sottobosco sul ventre ustionato, ma poi si solleva carponi, proseguendo a quattro zampe come un animale malato. Lì nelle profondità del bosco non ha speranza di imbattersi in qualche umano, quindi deve andare dov'è possibile trovarne, vicino alle loro abitazioni e alle loro macchine, nei posti dove si ritengono al sicuro. La creatura ansima per lo sforzo, si arrampica oltre un tronco abbattuto e crolla fra i cespugli, con la faccia nella neve. Riprenderà a muoversi dopo aver riposato
un momento... un momento soltanto... Rupert's Land, Red River Valley Canada Ottobre 1768 Dopo un'ora inutile di colpi di pagaia goffi e inefficienti, Jacques abbandona la canoa di corteccia di betulla. I suoi muscoli sono forti, forse più di quanto lo siano mai stati, ma hanno perso la disciplina e la pazienza necessarie per movimenti meccanici e ripetitivi. Man mano che diventa più inumano, gli strumenti dell'uomo perdono interesse ai suoi occhi. Tuttavia si stanca facilmente, forse per la fame, e questo ne ostacola il cammino verso casa. Ora fame e rabbia crescono di pari passo. È disperato per il bisogno di nutrirsi e furente per il fatto che il cibo scarseggia. Giorni freddi si alternano a notti gelide mentre lui vaga per la prateria, girando la testa di qua e di là e massaggiandosi distrattamente con le mani, adesso dotate di artigli, la pelle sempre più ruvida delle braccia. Ha la bocca spalancata, perché non si è ancora abituato alle file di zanne aguzze che vi sono spuntate, e si è già ferito parecchie volte le labbra. Ha subito parecchi cambiamenti, alcuni graduali e altri improvvisi, perlopiù a seguito di una lunga notte di sogni irrequieti. Mentre la fame inumana e la capacità di vedere al buio si sono manifestate subito, l'aumento di statura e l'indurirsi della pelle hanno richiesto un paio di settimane; di contro, una fatale mattina tutti i suoi denti umani sono caduti, e il mattino successivo, nel tastarsi le gengive, ha sentito crescere delle punte di zanna. Nell'arco di due notti si è poi ricoperto di pelo, bianco sulla faccia e sul torso, nero sulle gambe e sulle braccia, che da allora si è infoltito e arruffato. Ora il freddo gli dà conforto... al contrario delle pelli di daino che gli coprono il corpo, impacciandolo e limitandogli i movimenti. Finché un giorno non si strappa via quegli indumenti umani dal corpo rivestito di pelliccia. È diventato come la creatura che lo ha attaccato, come la bête, ma non ne conosce i comportamenti. Quella parte di lui, sempre più piccola e remota, che è ancora Jacques Robitaille, desidera la morte e l'oblio, la liberazione da quell'incubo vivente, ma ogni giorno che passa quella voce interna si fa sempre più debole, meno insistente, più estranea a ciò che lui è
diventato. Sa soltanto che ha fame, ma non sa come soddisfarla. Un castoro, da poco preso in una trappola, gli offre un misero sostentamento. Quel piccolo banchetto, divorato intero e crudo, la saliva che si mescola liberamente con il sangue di quella creatura insignificante, serve soltanto ad attizzare il fuoco della sua fame inumana. Disgustato da quel pasto così misero, getta via le ossa residue e si accinge a riprendere il cammino verso i posti abitati dall'uomo, ma poi si arresta e lo sguardo dei suoi occhi gialli indugia sul palo lucido piantato nell'acqua. L'uomo non è mai lontano dai suoi strumenti... Ah, sì, questo è il modo di agire della bête. La promessa di cibo placa la sua impazienza: preparerà una trappola per sorprendere i cacciatori. Indietreggiando, gira la testa di qua e di là, scrutando la prateria e cercando con lo sguardo tracce di movimento. Deve vedere senza essere visto. Una trappola deve essere camuffata, ma come fare? Comincia a cadere una neve leggera. Jacques, o per meglio dire colui che era Jacques, alza lo sguardo ambrato verso il cielo nuvoloso e allarga le braccia a ricevere quella neve, i cui fiocchi gelidi si sciolgono a contatto con il suo pelo, calmandolo e placandone la fame febbrile. Lasciatosi cadere a terra, ripiega le braccia e le gambe sotto il torso, pensando soltanto al freddo e alla neve. I minuti si dissolvono, diventando un tempo sempre più prolungato, ma lui rimane immobile, l'udito teso a cogliere qualsiasi segno di presenza umana. Una volta apre gli occhi, e si meraviglia alla vista della distesa di neve che lo circonda e che il vento ha accumulato intorno al suo corpo raggomitolato. Vedere senza essere visto... Perso nella sua trance predatoria, in un'immobilità che gli permea le ossa, non si accorge neppure del passare del tempo finché non avverte l'odore dell'uomo. Le sue orecchie, ora appuntite e sovrastate da ciuffi di pelo bianco, sussultano nel cogliere il frusciare dell'erba, un suono di passi umido e soffocato, uno strofinare tenue di pelli di daino. Un momento più tardi, un uomo impreca nel trovare la trappola vuota, e le sue parole suonano quasi ignote alle orecchie mutate di Jacques. Altri fruscii, un tintinnio di un oggetto metallico gettato con noncuranza al suolo, poi... silenzio. Jacques sa che l'uomo ha trovato i resti insanguinati del castoro e pensa che un animale abbia divorato la sua preda. La catena attaccata al palo piantato al centro del ruscello permette al castoro di nuotare verso l'acqua più profonda, dove annega prima di potersi rosicchiare la zampa fino a riuscire a fuggire. Qui, però, qualcosa ha tirato
in secco la catena e il castoro, divorando l'animale tutto intero. Mentre l'uomo cerca di dare una spiegazione a quel piccolo enigma, con le spalle rivolte sopravvento rispetto a dove si trova Jacques, quest'ultimo emerge dal cumulo di neve fresca e si lancia in avanti con una grazia soprannaturale e quasi senza il minimo rumore, superando a grandi passi la distanza che li separa. Forse un cambiamento nella direzione del vento o lo spezzarsi di un ramoscello mettono in guardia il cacciatore, le cui reazioni appaiono però molto lente. Ruotando sui talloni, l'uomo raccoglie il fucile e lo solleva prima ancora di vedere la natura del pericolo. Ancora accoccolato a terra, l'uomo sgrana gli occhi nel vedere cosa lo sta attaccando. Jacques sperimenta uno strano, fugace momento di consapevolezza e ineluttabilità. Per una frazione di secondo, il volto che lo sta fissando con orrore è la sua stessa faccia, è lui l'uomo, ma è anche la bête. I due sono una cosa sola. Poi però quel momento passa, e Jacques si precipita avanti protendendo gli artigli affilati, perché sa quale concreta minaccia sia un fucile. Senza rallentare la propria carica, non concede a quel cacciatore la possibilità di ferirlo come lui ha fatto in precedenza con la creatura che popola i suoi incubi peggiori. Prima che la canna dell'arma possa puntarsi contro di lui e sputargli in faccia la sua letale palla di piombo, Jacques emette un urlo, che non è però di paura: quel suono spaventoso e assordante è un grido di guerra che gli scaturisce istintivo dal di dentro. Raggelato da quel grido acuto, l'uomo si blocca per un istante, quanto basta perché per lui sia la fine. Jacques gli piomba addosso con forza infernale, e l'uomo grugnisce quando l'impatto gli spezza diverse costole. Il fucile vola via, sfuggendo dalle mani intorpidite, e Jacques ruota su se stesso, affondando nel terreno gli artigli dei piedi per trovare appiglio. Ansimando di dolore, raggomitolato su un fianco, l'uomo sta cercando di estrarre un coltello che porta alla cintura, ma Jacques cala un braccio dall'alto in basso, come se fosse un'ascia o un bastone, in un colpo violento che frantuma il polso della preda. Il cacciatore emette un ruggito di agonia, mentre Jacques gli balza addosso, le file di denti simili a rasoi che si chiudono sulla gola barbuta, affondando nella carne calda. L'uomo ora giace immobile, e Jacques assapora il caldo fiottare del sangue. È diventato davvero la bête. Non c'è modo di tornare indietro, nessuna
salvezza. Abbassando le fauci già insanguinate, la creatura si nutre. Note 1. Carne essiccata, classico cibo a lunga conservazione per gli uomini della frontiera [ndt]. 2. 'Approdo dell'Occhio di Maiale' [ndt]. Capitolo 7 Windale, Massachusetts 2 gennaio 2002 Abby si lancia dal tetto di una casa vittoriana a tre piani, allarga le ali di ampiezza considerevole e sente le correnti ascensionali che sorreggono il suo peso e la sollevano sempre più in alto, mentre i refoli di aria invernale che le scorrono sul volto ne aumentano l'eccitazione. Il suo volo lungo le correnti d'aria traccia un percorso circolare intorno al perimetro rurale esterno di Windale finché lei non vira verso l'interno, inclinando un'ala per cabrare, in una stretta curva. A poco a poco, chiude il cerchio e guarda i radi camini molto più in basso riunirsi in gruppi, quasi si stessero stringendo gli uni agli altri in cerca di sostegno, fino a trasformarsi in file e falangi, l'ordine che prende il posto del caos. Nel sorvolare il centro del distretto commerciale, riconosce l'ACME dal suo lungo parcheggio e il Gibsons' Package Store per via delle tende a strisce verdi. Intravede l'insegna rotante con la scritta 1-STOP del OneStop Mini-Mart, e nota all'angolo l'antiquata tettoia che sporge dal Palace Cinema, il cartello che annuncia tuttora che l'edificio è IN VENDITA. E in cima al tetto è visibile il motivo di quel cartello: un pezzo di tela cerata nera, simile a un buco quadrato, trattenuto da mattoni, indica il punto in cui il tetto è crollato, dopo anni di usura causata dalla pioggia e il colpo finale inferto dalla fatale tempesta di grandine generata da Wither. Più oltre, Abby sorvola l'umoristica insegna del Beckett Books, poi lo squallido edificio di mattoni dell'ufficio postale di Windale, la centrale di polizia, e... Una forma insolitamente grande cattura il suo sguardo, un nuovo edificio dai muri di lucido marmo nero; vista dall'alto, però, la sua forma è qualcosa di più di una semplice esigenza architettonica. Al contrario della
processione di quadrati e di rettangoli che lo circondano, quell'edificio è un cerchio, due mezze lune che si toccano alle estremità, è il simbolo della luna crescente e della luna calante proprio della Dea Wicca. Abby sa che quello è il nuovo Museo delle Streghe di Windale, vitale centro economico del turismo della cittadina, e tuttavia ai suo occhi acuti appare come qualcosa di più, qualcosa di sinistro. Se da un lato non dichiara apertamente di voler commemorare la vita e la morte di donne innocenti perseguitate da una popolazione isterica e condannate da un sistema legale fallace, il suo simbolismo incoraggia tuttavia a pensare proprio questo: Abby lo vede come un monumento alla memoria del Male, un cuore malato che pompa sangue in un'economia altrettanto malata. Windale prospera grazie all'oscurità, al caos che essa abbraccia e celebra. Proprio come lei... Di fronte a quel pensiero appena abbozzato, le ali di Abby esitano, il suo volo si fa sussultante, terrorizzandola, mentre le sue ossa si contorcono, si piegano e si modellano come cera fusa. Simile a un moderno Icaro, ha volato troppo vicina al sole, con la differenza che l'astro in questione è un disco scuro situato sotto di lei, il cui nero abbagliante l'attira a sé con la propria spietata forza di gravità. Le penne si staccano fluttuando dalle sue ali malate, cadono turbinando nel cerchio di oscurità, dando forma al vortice che si è saldamente impadronito di lei. Priva di controllo, precipita a spirale, incapace di volare o di librarsi sulle correnti d'aria, capace solo di cadere in quell'oscurità. Il suolo s'innalza per venirle incontro. Abby avrebbe voluto gridare, ma era completamente senza fiato. Si svegliò al buio, in preda a un estremo disagio, coperta da un lucido velo di sudore, con il braccio destro piegato dietro la schiena a formare un angolo impossibile, come se qualcuno stesse cercando di strapparglielo dall'articolazione, quasi fosse stata un pupazzo del Giorno del Ringraziamento; le dita erano troppo lunghe, sottili e deboli come cannucce, quasi prive di vita. «Oh, Dio», gemette, rotolandosi sul fianco sinistro, come per sottrarsi a quella deformità. Artigliando il materasso con la sinistra, cercò poi di strisciare. Con un sussulto riuscì a rotolare oltre il bordo del letto, cadendo goffamente sul pavimento; trascinandosi sul tappeto e puntellandosi contro il pavimento, spingendo e tirando, riuscì a raggiungere l'angolo, dove si raggomitolò a
palla, quasi incapace di pensare. Gemendo per il persistere di quella sensazione di disagio, sbatté la testa conto il muro, non per causarsi danni ulteriori, ma soltanto per schiarirsi la mente. Dall'altra parte della stanza, Erica dormiva profondamente. E probabilmente sta facendo sogni piacevoli, pensò Abby con un pizzico di invidia. Quanto a lei, era dominata da un solo pensiero: nessuno, neppure lo sceriffo Nottingham, doveva vederla in quello stato, intrappolata nel bel mezzo di una deformità scheletrica. Lo sceriffo non si era mai sentito del tutto a suo agio di fronte alla sua capacità di cambiare forma, ma anche se non l'avrebbe mai capita, quanto meno l'accettava. Se dovesse vedermi in questo stato, rifletté Abby, non mi permetterebbe mai più di diventare un lupo - anche se io non posso impedire il cambiamento - e nel rendersene conto mi spedirebbe in un orfanotrofio. Ultimamente, per lei era diventata un'abitudine sognare di diventare un'aquila e di volare, ma mai prima di allora quei sogni le erano apparsi tanto reali e la sua forma umana così distante. In qualche modo, aveva cominciato a cambiare fattezze nel sonno, ma la vista del Museo delle Streghe l'aveva sconvolta, bloccando il processo di trasformazione. No, no, no! Distrazioni... tutti quei pensieri pervasi di panico la stavano distraendo dal compito che doveva affrontare: correggere il problema verificatosi con le sue ossa, perché se ci fosse riuscita niente altro avrebbe avuto importanza. Chiudendo gli occhi, cominciò a respirare profondamente. I suoi muscoli erano tesi, le ossa rigide e doloranti, uno stato che era andato peggiorando quanto più lei cedeva al panico; tuttavia, appena si rilassò e smise di lottare contro la mutazione in corso nelle sue ossa, le articolazioni iniziarono a distendersi e a poco a poco, nell'arco di alcuni minuti, l'ossatura tornò normale. Il braccio destro scattò in avanti, mentre il gomito riprendeva l'usuale articolazione umana, le dita lunghe, sottili e allargate presero a contrarsi e a ingrossarsi, finché poté fletterle di nuovo e stringerle a pugno. In fondo al corridoio, dalla camera da letto di Max e di Ben, arrivò un tonfo familiare, seguito dal fruscio di quattro zampe dotate di morbidi cuscinetti, e Abby alzò lo sguardo verso la porta giusto in tempo per vedere un muso nero che la spingeva per aprirla, permettendo così a Rowdy di entrare nella camera delle bambine. Il labrador esaminò rapidamente l'ambiente, poi si diresse verso l'angolo in cui Abby stava cominciando di nuovo a sentirsi una normale bambina di dieci anni.
«Ciao, amico», sussurrò accarezzando il collo liscio del cane. Rowdy l'annusò, dedicando una particolare attenzione al braccio destro appena tornato normale, e un istante più tardi le leccò la faccia, gesto che lei suppose essere il suo sigillo di approvazione canina. «Abby? Stai bene?» Guardando dall'altra parte della stanza, Abby vide che Erica si era sollevata a sedere sul letto nella sua camicia da notte Powerpuff Girls, e con una mano si stringeva al petto una bambola Blossom, mentre con l'altra si stropicciava gli occhi. «Sto bene, Erica, torna a dormire». «Ok. Perché sei seduta per terra?» «Ho fatto un brutto sogno», rispose Abby. Come spiegazione non era granché, ma parve essere sufficiente per la logica di una bambina di otto anni, dato che Erica annuì con fare solenne e si raggomitolò su un fianco e tirandosi le coperte fino al mento. Ritraendosi da Abby, Rowdy si sedette, la fissò per un lungo momento, poi si girò di scatto e saltò sul letto di Erica, trovandosi un punto comodo e sdraiandosi con la testa appoggiata alle zampe anteriori, gli occhi chiusi. «Che sogno strano...», mormorò Abby fra sé mentre tornava a letto; con la sinistra si accarezzò il braccio destro, dove la pelle formicolava ancora. «Come se fossi caduta e mi fossi rotta un'ala». Sbagliato, pensò. Non si era trasformata in un uccello, quel sogno rappresentava un altro fallimento. Tornò a prendere sonno prima che il sole sorgesse spazzando via dal pavimento l'oscurità della notte e rivelando tre penne d'aquila che giacevano accanto al suo letto. Il vicesceriffo Bobby McKay poteva anche accontentarsi di un abbondante caffè nero, ma Kayla era decisa a fare una colazione completa prima di guidare la sua vecchia Dodge Neon fino al Crystal Path e cominciare la giornata di lavoro. Seduto sullo sgabello accanto al suo, nel Witches Stewpot, Bobby tamburellava con lo stivale contro il poggiapiedi di acciaio inox. «Se il fatto che non mangio ti dà fastidio», disse con un sorriso, «potrei adeguarmi allo stereotipo del poliziotto e prendere una ciambella». «Vivi pericolosamente», suggerì Kayla. «Prendine una alla cannella». «Non c'è tempo, ho solo cinque minuti di pausa». Lena, la madre di Kayla, era impegnata in uno dei separé d'angolo, men-
tre Bethany, la cassiera dai capelli biondo sporco, se ne stava appoggiata alla parete accanto alla porta della cucina con un sorriso stampato sulla faccia, fingendo di non ascoltare la loro discussione. O forse trova divertenti i miei capelli blu elettrico, pensò Kayla accigliandosi, poi calò una mano sulla coscia sussultante di Bobby, appena sopra il ginocchio, ponendo fine al suo incessante tamburellare sulla barra. «Dove trovi tutta questa energia?» «Nel doppio cheeseburger con patatine fritte che mangio a mezzogiorno». «Ah, quindi quando non ci sono ti intasi le arterie di grassi». «Legittima indignazione, dato che proviene da una signora che fa colazione con pancetta e salsiccia». «Le davano con lo speciale del giorno». «Allora non ti dispiacerà se ne mangio un pezzo», argomentò Bobby, allungando la mano verso una striscia di pancetta. «Fermo!», esclamò Kayla, battendogli un colpo sulla mano. «Rovini la simmetria del piatto». «Cosa?» «Chiedi a Wild Bill», insisté Kayla, facendo una pausa per sorseggiare il suo succo d'arancia. «Per i cuochi la presentazione è tutto». «D'accordo», rise lui, «allora che ne dici se mi limito a rubare un bacio?» E prima che Kayla potesse rispondere, si allungò di lato, depositandole un rapido bacio su una guancia. Kayla fece scivolare di nuovo la destra sotto il bancone, posandogliela sul ginocchio, ma questa volta la fece scorrere per tutta la lunghezza della coscia; intanto, con la sinistra prelevò dal piatto una striscia di pancetta allungandogliela, e quando lui aprì le labbra gliela infilò in bocca, assestandogli intanto una vigorosa stretta con la destra, sotto il bancone. «Ah... questo ha colpito nel segno». Il suono del campanello della porta del ristorante annunciò l'ingresso di un nuovo cliente, accompagnato da un vortice di aria gelida; Bobby e Kayla si girarono entrambi verso il nuovo venuto. «Salve, sceriffo», salutò Kayla, con un sorriso. «Sono innocente». «È quello che dicono tutti», replicò lo sceriffo Nottingham, sorridendo a sua volta. «Quasi non ti riconoscevo, Kayla, senza i tuoi soliti capelli». «Questo è il mio debutto in blu». «È una piccola campanula blu», dichiarò Bobby, riuscendo a schivare di
stretta misura una gomitata di Kayla. «Con qualche spina, a quanto pare», osservò lo sceriffo, poi concentrò la propria attenzione su Bobby, chiedendo: «Mi volevi parlare?» Bobby si schiarì la gola. «Ehm... sì, sceriffo», rispose, saltando giù dallo sgabello. «Niente di grave, solo alcuni rapporti con cui sto avendo qualche problema...» «Rapporti», ripeté lo sceriffo, lasciando scorrere lo sguardo dall'una all'altro dei due e notando l'espressione supplichevole negli occhi di Bobby. «Già, sono la dannazione del nostro mestiere». «D'accordo», convenne Kayla con un cenno di assenso lento e misurato. «Ci vediamo più tardi, McKay». «Con tanto di campanellini», ribatté lui. «Lascia a me gli ornamenti corporei», sussurrò Kayla, con voce alta appena perché solo lui potesse sentirla, e le parve quasi di vederlo arrossire prima di affrettarsi a seguire fuori lo sceriffo Nottingham. Kayla attese che se ne fossero andati entrambi, poi tirò su la manica del maglione in modo da esporre la fasciatura artigianale; si massaggiò il braccio attraverso la benda, cercando di non gemere di sollievo, perché il prurito l'aveva quasi fatta impazzire per tutto il tempo in cui Bobby le era rimasto accanto. Pur essendo certa che la ferita non avesse niente che non andava, dato che s'era già formata una crosta circondata da pelle rosea, paventava l'idea di attirare ancora l'attenzione di Bobby su quello che lui considerava senza dubbio un atto di follia incipiente. Giusto quella mattina, prima di applicare una nuova fasciatura, aveva esaminato la ferita: nessuna traccia di infiammazione, quindi probabilmente non c'era infezione. Del resto, il coltello era pulito, e lei si era subito disinfettata. Per convincersi che nel suo corpo non c'era niente che non andava, aveva tormentato l'estremità della lunga crosta fino a far uscire un po' di sangue... rosso. Soddisfatta, aveva applicato altro disinfettante e ricoperto il tutto con altre bende sterili, fermate da un cerotto. Bethany era ferma accanto a lei, con in mano una brocca di caffè, ma con lo sguardo fisso sul suo braccio fasciato. «Sì?», domandò Kayla. «Io... ehm... mi stavo chiedendo se volevi ancora del caffè». «Quello è decaffeinato», osservò Kayla, indicando il manico arancione della brocca. «Non bevo mai quella roba». «Ah, giusto, scusami», replicò Bethany. «Non ho potuto fare a meno di notare...»
«Mi sono tagliata». «Ah». «Spostando degli scatoloni in cantina», spiegò Kayla. «Mi sono ferita il braccio con una graffa metallica». «Se ti prude, potrebbe essersi infettato». «Grazie», tagliò corto Kayla. «Visto che parlavi di altro caffè, che ne dici di darmene ancora un po' ad alto livello di ottani?» «Certo», assentì Bethany, prendendosi il tempo di dare una rapida occhiata dalla lunga finestra anteriore del ristorante. «Te lo porto subito». Mentre Bethany si allontanava, Kayla fece ruotare il seggiolino di vinile arancione in modo da guardare fuori a sua volta. Bobby e lo sceriffo Nottingham erano intenti a parlare accanto alla macchina dello sceriffo. Quest'ultimo sembrava portare avanti gran parte della conversazione, ma la schiena di Bobby le copriva la visuale. Ignaro che lei lo stesse tenendo d'occhio attraverso le ghirlande natalizie che decoravano la vetrina, lui annuiva ogni tanto, il ritratto dell'ascoltatore perfetto. Kayla dubitava che Bobby avesse raccontato allo sceriffo Nottingham che lei si era ferita con un coltello da cucina, ma era chiaro che era nervoso in merito a qualcosa che le stava tenendo nascosto. Probabilmente sta chiedendo allo sceriffo se pensa anche lui che mi manchi un set completo di rotelle mentali, sospirò. E le cose potranno soltanto peggiorare, aggiunse fra sé, consapevole che Wendy stava tornando a Windale per scoprire quello che lei sapeva riguardo al posto segreto di Wither, nei boschi di proprietà di Matthias Stone. Probabilmente Wendy pensa che io sia Wither rinata. Dio sa che a volte me lo chiedo io stessa, soprattutto alle tre del mattino. Contemplò senza più molto appetito la colazione per buona parte ancora intatta e si costrinse a sbocconcellare una striscia di pancetta mezza mangiata, chiedendosi perché mai le avesse fatto gola. Non appena fuori dal Witches' Stewpot, l'inverno del New England tornò ad annunciare la sua presenza, strattonando la tesa dei cappelli e facendo salire le lacrime agli occhi dei due uomini. Bobby si tirò su la cerniera del giubbotto fino alla gola e infilò in tasca le mani nude mentre seguiva lo sceriffo Nottingham verso la Crown Vic bianca e nera ferma in fondo al parcheggio. Lo sceriffo si fermò, si girò e si appoggiò contro la portiera di destra, le braccia incrociate sul petto, e Bobby gli si fermò davanti, incerto su come
procedere per esporgli le proprie preoccupazioni. Per fortuna lo sceriffo parve percepire il suo disagio e avviò la conversazione con una domanda. «Quindi tu e Kayla siete...?» «Usciamo insieme, sì». «Un rapporto fisso?» «Non per regio decreto», sorrise Bobby, «ma pare che stia prendendo questa piega». «È una brava ragazza». «Non pensa che sia un po'...» «Insolita?», chiese lo sceriffo. «Senza dubbio». Bobby era stato sul punto di dire che Kayla era strana, ma trovò preferibile la definizione scelta da Nottingham. «Non è certo da biasimare per questo», continuò intanto Nottingham. «Kayla è una ragazza in gamba. Avresti potuto trovare di peggio, di molto peggio». «Era di questo che le volevo parlare». «Vuoi delle referenze riguardo al carattere della signorina Kayla Zanella?», sorrise lo sceriffo, divertito. «Non credi che sia un po' tardi, ormai?» «No... voglio dire, non è questo che sto chiedendo». «Allora cosa? Non hai bisogno di fare il timido, Bobby». «Quando mi ha assunto», replicò Bobby scuotendo il capo, «mi ha aggiornato rapidamente riguardo alla storia recente di questa città. Gli omicidi con mutilazioni e la morte in servizio di un vice nel '99, e quella di un altro nel 2000, la strana tempesta di grandine che ha danneggiato la città e la tempesta di fulmini che ha distrutto la residenza del preside del college». «Abbiamo avuto la nostra dose di brutto tempo», convenne lo sceriffo, ma se le parole apparivano disinvolte, il tono e l'espressione erano decisamente gravi. «Poi c'è l'ondata di omicidi collegata a Matthias Stone, a Gina Thorne e alla sua congrega di svitate...» «Dove vuoi andare a parare, Bobby?» «Ecco, Kayla è stata coinvolta in quella faccenda di Gina Thorne, e...» «E voi due ne avete parlato?» Bobby annuì. «Kayla ha detto alcune cose, ne ha lasciate intendere altre, e io stesso ho sperimentato situazioni che sono difficili da spiegare». Lo sceriffo si allontanò dalla macchina, raddrizzandosi e mostrandosi
più attento. «Qualcosa di cui dovrei essere informato?» «Ci è successa una cosa strana vicino alla proprietà di Stone», disse Bobby. «Nel bosco». «Ti dispiacerebbe dirmi perché ve ne stavate andando a zonzo su una proprietà privata?» «Kayla mi ha fatto fermare la macchina, ha detto che là c'era qualcosa che l'attirava», spiegò Bobby. «In ogni caso, quello che è successo è stato che il tempo è parso... scivolare via». «Avete avuto un salto di tempo?» «Suppongo che questa sia la definizione giusta», convenne Bobby, «ma sul momento ho dato poca importanza alla cosa, ho pensato che non avessimo davvero perso quel tempo, ma che non ci fossimo semplicemente accorti del suo trascorrere... sa cosa intendo». «Il mio consiglio è di tenervi alla larga da quei boschi». «Non ce bisogno che me lo dica due volte, ma...» Bobby s'interruppe sospirando, poi riprese: «Signore, non vorrei apparire irrispettoso, ma tutta questa città è permeata da una particolare sensazione, come se tutto mi dicesse: "Dovevi esserci". Qui sono successe delle cose strane... stanno ancora succedendo, e io faccio molta fatica a capirci qualcosa». «Bobby», cominciò lo sceriffo, massaggiandosi il mento con aria pensosa mentre tornava ad appoggiarsi contro la macchina, «quando ti ho assunto, ti ho spiegato tutto quello che ritenevo dovessi sapere per lavorare bene qui». «Certo». «Il fatto è che non ti ho detto tutto quello che è successo. Io stesso non riesco ancora a credere ad alcune cose, pur avendole viste con i miei occhi. Che sia dannato se riesco a spiegarmi». «Signore?» «Riguardo a quella ragazza là dentro, hai intenzioni serie?» «Può darsi di sì, ma...», cominciò Bobby. «Vedi, Bobby», lo interruppe lo sceriffo prima che lui potesse completare il pensiero. «Kayla è stata coinvolta negli strani eventi del 2000 ed è al corrente di quelli del 1999. Basta sperimentare personalmente una piccola parte di queste cose per credere al resto: si è testimoni di cose inspiegabili, e si esce cambiati da quell'esperienza. Diavolo, sono cose che ti cambiano per sempre. Bobby, c'è un vecchio modo di dire, secondo cui l'ignoranza è una benedizione. A volte, io ho un antiquato desiderio di essere rimasto
nell'ignoranza». «Non capisco». «Sei disposto a veder cambiata per sempre la tua visione del mondo? Una volta che ti si è aperta la mente, non è così facile richiuderla. Naturalmente, tu e io, essendo poliziotti, non siamo per natura persone che tendono a voler rimanere nell'ignoranza». «Cosa mi sta dicendo, esattamente, sceriffo?» «La verità, se sei disposto ad ascoltarla. Però pensa prima bene a ciò che chiedi». Bobby cambiò posizione, accigliandosi. «Voglio sapere. Dannazione, signore, credo di aver bisogno di sapere. Non mi tenga all'oscuro». «Hai detto che tutta la città pare emanare una sensazione del tipo: "Dovevi esserci", ma questo non è del tutto vero. Io ho una mia teoria». «Che sarebbe?» «Che questa città sta ancora riverberando delle precedenti ondate di stranezza, se vogliamo dire così, come un diapason che continua a vibrare dopo che l'hai colpito. Però non tutta la città è stata testimone di quei fenomeni inspiegabili, solo pochi di noi erano presenti. Quella giovane donna là dentro è una che ha visto, che ci crede, e questo la rende diversa. Sotto questo aspetto, i capelli blu elettrico sono soltanto la punta dell'iceberg, ma se le tue intenzioni nei suoi confronti sono serie, sarà meglio che tu capisca, e che accetti le cose come stanno». «Le mie intenzioni sono serie, e voglio capire... ma non è facile». «Non ho mai pensato che lo fosse», convenne lo sceriffo, con un sorriso asciutto. «Tuttavia, hai detto di aver sperimentato tu stesso qualcosa di bizzarro. Avvicinati a quel fuoco, ed esso ti brucerà, ti segnerà a vita, e questo vorrà dire che la tua mente si aprirà ad altre possibilità, decisamente estreme». «Cosa mi dice di lei, sceriffo?» «Io?» «Lei è uno che ci crede?» Nottingham scoppiò in una risata, un suono secco e rassegnato che non conteneva alcuna traccia di ilarità, in quella fredda mattina di gennaio. «Bobby, non puoi avere idea di quali siano le mie cicatrici». Fargo, Nord Dakota
Si ridesta con l'approssimarsi del crepuscolo ed emerge da sotto una lieve coltre di neve fresca. Ha i muscoli irrigiditi, ma l'atroce sofferenza si è trasformata in un dolore sordo che le pervade il corpo, fastidioso ma sopportabile. Un rapido esame delle braccia e delle gambe rivela che la carne ustionata e sanguinante è guarita; la pelle è sensibile, ma non duole più, e la folta pelliccia sta cominciando a ricrescere. Ancora una notte, forse due, e la creatura sarà di nuovo integra. Sollevata dal dolore intollerabile, i suoi pensieri si concentrano di nuovo sul bisogno di nutrirsi. È AFFAMATA! Il risanamento sovrannaturale ha sottratto al corpo molte energie, e per ottenere una guarigione completa ha bisogno di riempirsi lo stomaco. Tuttavia è sempre soggetta alla compulsione di trovare e uccidere quella preda speciale. Sollevando la grossa testa, sonda intorno a sé con quella particolare capacità di percepire la via che porta fino a lei, e per lunghi momenti si sente assalire dall'angoscia non riuscendo a individuare il sentiero. Deve ucciderla! Ma come fare, se lei rimane invisibile, nascosta? Dovrà forse vagare all'infinito per il mondo alla ricerca di...? La creatura trattiene il respiro con un sussulto. Eccolo! È come una voluta di fumo sottile, trasparente, prima che il soffio della brezza la disperda. Risplende, ma è così pallido, di un azzurro quasi bianco che a tratti si fa addirittura trasparente. Più immaginario che reale, il sentiero che porta fino a lei è un costrutto magico, una sorta di bussola che una strega ha posto con un incantesimo nel cervello della creatura per facilitare il suo compito letale. E adesso, per poco non ha smarrito la strada... Insieme a quel pensiero, affiora la consapevolezza improvvisa dell'esistenza di un'altra compulsione, nascosta sotto quel macabro compito: se dovesse fallire, se dovesse smarrire la strada che porta a quella preda speciale, dovrà autodistruggersi. La minaccia è sempre esistita, invisibile, inutile fino a quel momento in cui la via sembra quasi smarrita. La creatura è doppiamente condannata dalla maledizione magica! Ridestata dal suo appagato stato di oblio, costretta a intraprendere un viaggio lungo e difficile per abbattere quella particolare preda, sarà punita con la morte se dovesse fallire. Ma solo se fallirà. Se ucciderà quella preda speciale, avrà garantite la vita e la libertà. La carne sanguinante della preda avrà un sapore ancora più dolce in virtù del prezzo che sarà costata. Tuttavia, quella Wendy si è spostata mentre la creatura giaceva debole e impotente nel bosco: adesso deve nutrirsi, rimettersi in forze e seguire
quel filo quasi svanito che porta alla morte della preda e alla sua libertà. Strisciando attraverso la vegetazione, trovando d'istinto il percorso più silenzioso attraverso il sottobosco, arriva nelle vicinanze di una radura creata dall'uomo, uno slargo pavimentato dove gli umani lasciano i loro veicoli, raccolti intorno a una dimora a due piani. Un puzzo di cibo marcio, immangiabile, filtra attraverso gli alberi; girando la testa, la creatura individua la fonte di quell'odore, due contenitori di metallo marrone, con il coperchio aperto, pieni di rifiuti. Poi l'istinto da predatore la induce a immobilizzarsi. In piedi accanto al contenitore di destra, intento a fumare una sigaretta, c'è un uomo. La creatura avanza con cautela, avvolgendosi il gelo intorno come un mantello, chiamando a sé la neve, ma l'evocazione è debole, i fiocchi di neve sono piccoli e si sciolgono a contatto con la superficie su cui è collocato l'uomo. La debolezza è il prezzo del risanamento, ma uno stomaco pieno le restituirà completamente i suoi poteri, e per quanto indebolita, è più che capace di abbattere un semplice umano. Lloyd non poteva fumare nell'ufficio del Fargo Motor Lodge. Prima di allora, quella proibizione non gli aveva mai impedito di farlo lo stesso, e un portacenere di quelli che assorbivano il fumo, sistemato sotto il bancone, era servito a evitare qualsiasi problema con Carl, il direttore del motel. Questo però prima della vigilia di Capodanno, prima che quel pick-up sfondasse la vetrata dell'ufficio e prendesse fuoco, prima che quella strana ragazza che viaggiava sola affittasse una stanza per poi andarsene solo poche ore più tardi, appena qualche minuto prima dell'incidente. Forse ha avuto una premonizione, o qualcosa del genere, pensò Lloyd, nell'aspirare una lunga boccata dalla Marlboro. Di certo, non voleva saperne di venire alla mia festa, quella puttanella che se la tirava tanto. Adesso però era disposto a essere magnanimo, perché dopo l'incidente la sua posizione nel mondo era andata migliorando vistosamente. Sul giornale locale era stato pubblicato un articolo riguardo a Lloyd Fetty, contenente il racconto, da lui fornito personalmente, di come aveva tirato fuori dalla padella e dal fuoco quel vecchio tacchino di Sylvester solo pochi secondi prima che il furgone esplodesse. Non aveva importanza che in realtà fosse stata quella puttanella a salvare il vecchio Sly, perché lui era rimasto troppo confuso da tutto quel succedersi di eventi per riuscire a ricordarsi chi aveva tirato fuori dal fuoco quel vecchio culo rinsecchito. E così, grazie
all'edizione del mattino, Lloyd era emerso da quell'assurda vigilia di Capodanno godendo di un po' di notorietà e con la promessa di un aumento da parte di Carl. Sarà meglio per lui che mi elegga impiegato del mese, pensò, con uno spazio tutto per me nel parcheggio. Inoltre, probabilmente continuerò a trovare persone disposte a offrirmi da bere fino a primavera inoltrata. Il vero motivo per cui stava fumando all'aperto, congelandosi il posteriore nonostante la recente celebrità, erano quelle maledette esalazioni. Le finestre infrante erano state chiuse con delle assi, e questo aveva soltanto l'effetto di intensificare il puzzo penetrante della lacca e della pittura umida; gli procurava emicranie spaventose, ma quello non era neppure l'aspetto peggiore. Il problema era che tutte quelle porcherie puzzolenti erano dannatamente infiammabili, e lui non aveva nessuna intenzione di finire come un salsicciotto, infilzato in un bastoncino e arrostito su un fuoco da campeggio. Del resto, quasi tutti i clienti se n'erano già andati e nell'immediato futuro non pareva che ci fosse nessuno intenzionato a prendere alloggio in quella topaia dall'aspetto malridotto, il che significava che lui si ritrovava semplicemente a far passare il tempo, accumulando un po' di ore tranquille che gli sarebbero state pagate con l'aumento di salario. Dopotutto, qualcuno doveva pur rimanere di servizio, quindi tanto valeva che lo facesse lui. L'odore dei cassonetti era fetido, certo, ma a dire il vero aveva l'effetto di liberargli la testa dai fumi della vernice; a parte il freddo intenso, non aveva di che lamentarsi. Poi cominciò a nevicare. Alle sue spalle ci fu un movimento improvviso. Lloyd si girò di scatto, e per poco la sigaretta non gli cadde di bocca. «Merda! Mi hai spaventato a morte, vecchio. Che cazzo ci fai qui fuori, frughi nei cassonetti?» Il vecchio, che indossava una giacca nera su una camicia bianca, si limitò a fissarlo, rimanendo immobile. Questo dannato vecchio è strano, pensò Lloyd. Alcuni di quei barboni sono fuori di testa. «Sei andato a pisciare nel bosco, vero? Amico, qui fuori rischi di congelarti le palle e ritrovarti con un sacco di piccoli ghiaccioli appesi alle parti basse», commentò, ridendo della propria battuta. «Accidenti, sei un figlio di puttana davvero incupito». Il vecchio venne avanti senza il minimo suono.
Lloyd indietreggiò d'istinto, mentre il vecchio allungava il braccio coperto dalla manica nera. «Ah... vuoi scroccarmi una sigaretta. È questo che vuoi? Certo amico», disse Lloyd scrollando le spalle. «Suppongo di potermi permettere un po' di generosità», continuò, infilandosi la mano in tasca in cerca del pacchetto delle sigarette. «Non credo che tu abbia letto sui giornali la storia che mi...» Le parole gli si strozzarono in gola. La mano del vecchio era scattata in avanti con la velocità di un cobra, ma invece delle zanne erano stati degli artigli robusti ad affondargli nella gola. Che cazzo sta succedendo? pensò. Il vecchio strinse le dita a pugno, strappandogli via una sostanziosa porzione di gola; con la vista che già gli si appannava, Lloyd ebbe l'impressione che gli occhi stessero giocando un brutto scherzo alla mente in preda al panico: il vecchio pareva essere cresciuto di dimensioni, essere diventato qualcosa coperto di pelliccia, qualcosa di inumano. Un mostro del caz...! Il pensiero gli si congelò nella mente, mai concluso, un suono gorgogliante scaturì dalla gola distrutta e l'oscurità continuò a contrarsi intorno a lui. L'ultima cosa che vide furono occhi gialli scintillanti che lo fissavano, un attimo prima che quelle file di denti affilati come rasoi gli affondassero inesorabili nella carne esposta del collo. La creatura divora in fretta quel pasto sostanzioso, lasciandosi alle spalle poco più di uno scheletro, dalle cui ossa spezzate è stato succhiato anche il midollo. Infilati quei miseri resti nel più vicino dei due contenitori per i rifiuti, sguscia di nuovo nel bosco; soddisfatta, ma non sazia, spicca la corsa sotto la copertura offerta dagli alberi. A ogni nutriente boccone di carne umana, ha sentito le forze ritornare, il suo potere soprannaturale espandersi, e adesso è decisa a recuperare il tempo perduto. Per prima cosa attira a sé il gelo, infonde vigore a quei miseri fiocchi di neve fino a trasformarli in una vera e propria tormenta, un vortice incessante di grossi fiocchi che ricopre i veicoli e la strada e che, cosa più importante, riduce la visibilità, dapprima a un centinaio di metri, poi a non più di cinquanta. Con una neve così fitta, la creatura può abbandonare l'illusorio aspetto umano e viaggiare liberamente. Nascosta all'interno della bufera da essa stessa creata, lascia la prote-
zione degli alberi e si lancia verso le ampie strade pavimentate che sembrano collegare tutte le fiorenti città umane, arterie della civiltà che essa deve ora usare per i propri scopi. Di nuovo avrà bisogno di viaggiare su uno di quei veicoli umani dalla velocità demoniaca. Per qualche istante sonda intorno a sé, alla ricerca del sentiero magico che porta alla preda speciale, e infine localizza quel pulsante filamento fra l'azzurro e il bianco, che si estende a spirale verso sud-est. Lì infondo l'attende la libertà, la preda chiamata Wendy, colei che deve morire perché la creatura possa essere libera dalla compulsione magica. Poi, se lo vorrà, potrà tornare all'oblio. Adesso però le si offre, invitante, una diversa alternativa, rivelata dalle circostanze contingenti. Nel corso dei lunghi anni che ha trascorso immersa nel letargo e nell'oblio, il suo terreno di caccia si è popolato di un'abbondanza di prede deboli e quasi impotenti. Invece di volgere le spalle a tutto questo, quindi, perché non trascorrere i prossimi anni banchettando a spese di quelle facili prede? Di fronte a quella prospettiva, la saliva comincia a colarle dalle fauci... Prima, però, la ragazza deve morire. In viaggio: dall'Illinois all'Ohio, I-94 Est e I-80 Est Il loro piano aveva previsto che Alex cominciasse il suo turno di guida dopo che avessero raggiunto la prima area di parcheggio oltre il confine di Stato dell'Illinois. Quando arrivarono nelle vicinanze, Wendy era al volante da quasi sei ore consecutive, durante le quali aveva superato parecchie bufere di neve e tratti della I-90 in cui una o due corsie dell'interstatale erano occupate dai cumuli ammucchiati dagli spazzaneve, ma decise comunque di modificare i piani, insistendo che poteva resistere ancora per i centoquaranta chilometri circa che mancavano a Chicago, dove intendevano fermarsi per un pranzo tardivo (o una cena anticipata). Alex acconsentì a quella modifica dei piani, ma solo dopo essersi accertato che lei fosse ancora abbastanza lucida e reattiva. Affinché Wendy potesse rimanere concentrata sulla guida, ridussero la conversazione al minimo, con il risultato che l'atmosfera si fece monotona; tutto quello che avevano da mangiare erano alcuni snack acquistati nel negozietto annesso alla stazione di servizio dove avevano effettuato l'unica sosta per il rifornimento. Deciso a godersi una grossa e succulenta bistecca, Alex era intenzionato a fermarsi alla prima steak-house di Chicago che avessero avvistato, e promise di pagare lui il conto; Wendy però si accigliò all'idea di trascorre-
re tanto tempo rimanendo letteralmente immobili. «Mi dispiace, Alex», disse, «ma ho una...» «Una premonizione che ti mette in guardia dalla carne troppo dura?» «No, non riguarda la carne», replicò Wendy. «Però ho la sensazione che il tempo sia prezioso, che sia successo o stia per succedere qualcosa. Dobbiamo continuare a muoverci». Alla fine decisero per un drive-in, e mangiarono nel SUV parcheggiato. Alex optò per un cheeseburger con patatine, Wendy fece una scelta ragionevolmente più sana, costituita da insalata, panino con pollo alla griglia e una patata al forno. Anche se per mangiare persero soltanto trenta minuti, quando infine si rimisero in viaggio, con Alex al volante, era già scesa la notte. Seduta accanto ad Alex, Wendy chiuse gli occhi stanchi. Se fosse stata sola, senza dubbio si sarebbe costretta a proseguire per altri due o trecento chilometri, cedendo poi alla stanchezza a mano a mano che le condizioni della strada si fossero deteriorate. Permettere ad Alex di accompagnarla nel lungo viaggio di rientro a Windale era stata una buona decisione. Sorridendo, si rese conto che le sue iniziali riserve in proposito erano quasi del tutto svanite. A un certo punto dovette essersi addormentata, dato che quando guardò di nuovo il display dell'orologio a cristalli liquidi, erano trascorse quasi due ore ed erano a una settantina di chilometri dall'Ohio, segno che stavano tenendo una buona media. «Quanto siamo lontani da Windale?», chiese, massaggiandosi il collo irrigidito. «Dannatamente troppo», rispose Alex tenendo lo sguardo fisso sulla strada. «Pensarci è troppo deprimente. Rimettiti a dormire. Se te la senti, potrai riprendere il volante vicino a Toledo, altrimenti troveremo là un posto dove passare la notte». «Prometti che se dovesse venirti sonno mi sveglierai». Alex annuì. «Bene. Forse riusciremo a raggiungere lo Stato di New York prima di fare sosta». «È fattibile», convenne Alex, «a patto che il clima e le condizioni stradali ci diano una mano. Dopo Natale, su Buffalo sono caduti oltre due metri di neve». «Accidenti, potremo doverci scavare una galleria attraverso lo Stato di New York», commentò Wendy.
Pensare alle condizioni climatiche le fece venire in mente il controllo prodigioso del clima che Wither, e poi anche Gina, erano state capaci di esercitare, incluse tempeste di grandine e letali temporali estivi. La massima influenza che lei avesse mai esercitato sul clima - che era stata anche la prima prova tangibile dell'efficacia della sua magia - era stata una pioggerella sottile. Un giorno, forse, sarò in grado di tenere a bada queste bufere di neve, pensò. Purtroppo le mancavano le conoscenze, e probabilmente anche il potere, per bloccare una tempesta di neve, e comunque, considerando le conseguenze devastanti delle manipolazioni operate da Wither sulle manifestazioni meteorologiche, dubitava di voler mai possedere un simile potere magico, i cui effetti erano così spaventosi. «Un pacchetto di azioni per i tuoi pensieri», disse Alex, lanciandole un'occhiata preoccupata. «Niente d'importante», sorrise Wendy scrollando le spalle. «Pensavo al clima, tutto qui». «Wendy...» «D'accordo, d'accordo», sospirò lei, «stavo pensando a controllare il clima». «Vorresti davvero tentare una cosa del genere? So che hai... evocato la pioggia, ma maneggiare fronti freddi provenienti dall'Artico e bufere di neve sembra...» «Rischioso?» «Spaventoso». «Non ti preoccupare, non tenterò di spingere le bufere di neve lontano dal nostro tragitto», garantì Wendy battendogli un colpetto sul braccio. «Stavo pensando al controllo esercitato sul clima da Wither. Per quanto ne so, lei aveva soltanto un controllo distruttivo, il clima non era che un'altra arma nel suo arsenale magico. Non te ne viene niente a placare una tempesta». «Forse placare una tempesta è più difficile», azzardò Alex. «È gentile da parte tua, cercare di sminuire i suoi poteri ponendoli al livello dei miei, ma non è necessario», replicò Wendy. «Non sono in competizione con Wither, non voglio essere come lei. D'accordo, Alex», aggiunse con uno sbadiglio. «Ti prendo in parola: sei lucido e attento, quindi hai tu il comando. Io intanto cercherò di accumulare qualche altra ora di sonno, in modo da poterti dare il cambio più tardi». Reclinato il sedile, incrociò le mani in grembo, abbandonò la testa all'in-
dietro e cercò di svuotare la mente da qualsiasi turbamento. «Sogni d'oro», sussurrò Alex. Scivolando già nel sonno, Wendy sorrise... E l'istante successivo la Pathfinder sbandò violentemente, facendole sbattere la testa contro il finestrino. Menlo Park, California Karen Glazer incontrava qualche problema a concentrarsi sull'articolo relativo allo sviluppo mentale nell'infanzia presente in Psychology Today, perché trovava molto più interessante il disegno che sua figlia stava realizzando su un foglio bianco con un assortimento di pastelli. Anche se l'attenzione di Hannah sembrava concentrata sulla sua composizione, Karen sapeva che la bambina aveva la strana capacità di accorgersi comunque se qualcuno la stava osservando: se avesse cominciato a guardare da sopra la spalla, Hannah si sarebbe sentita imbarazzata e avrebbe smesso di disegnare, quindi Karen si accontentava di dare di tanto in tanto una sbirciatina alla casa bianca con tanto di staccionata in legno, ombreggiata dagli alberi e sovrastata da un tondo sole giallo e da un gigantesco arcobaleno, il tutto realizzato con pastelli a cera. Karen aveva già sciacquato i piatti della cena e caricato la lavastoviglie, mentre Art faceva una corsa al minimart per quella che era la sua unica indulgenza alimentare, che Hannah e Karen erano ben liete di dividere con lui... e cioè una confezione-famiglia di gelato alla ciliegia. Lanciando un'occhiata all'orologio a muro, Karen calcolò che Art sarebbe rientrato nell'arco di altri cinque minuti. «Prendo qualche ciotola e i cucchiaini», disse, ma dubitava che Hannah l'avesse sentita. All'anagrafe, Hannah aveva poco più di due anni, ma dal punto di vista fisico e mentale sembrava già pronta ad affrontare la prima o anche la seconda elementare. La cosa comunque non aveva importanza, dato che Karen e Art avevano deciso di istruirla a casa, in quanto gli altri bambini non avrebbero saputo capire né accettare Hannah, per la quale la frase «scatto di crescita» era un'espressione minimizzante. A volte, a Karen sembrava che fosse possibile misurare la statura di Hannah la mattina prima di colazione e riscontrare già un cambiamento evidente entro l'ora di cena, e anche il suo sviluppo mentale era impressionante. In qualsiasi classe fosse stata inserita, presto gli altri sarebbero rimasti indietro rispetto a lei, e
un'insegnante con una classe numerosa non avrebbe mai potuto elargirle tutta l'attenzione di cui aveva bisogno per rimanere interessata. Tuttavia, nuovi vestiti e lezioni più avanzate costituivano problemi di minore entità. Ciò che veramente preoccupava Karen era lo sviluppo emotivo di sua figlia. Esisteva qualche reale sostituto all'esperienza? La maturità emotiva giunge attraverso le avventure e i contrattempi della vita, deriva dai successi e dai fallimenti. La vita sarebbe stata molto più semplice se avessero potuto rallentare lo sviluppo di Hannah, portandolo alla normalità, e anche se la scienza medica non era in grado di arrestarne la crescita accelerata, Karen continuava a sperare che un giorno Wendy trovasse l'incantesimo segreto o la formula arcana necessari per annullare la fattura che Rebecca Hutchins aveva apposto su Hannah. Nel disporre sul tavolo tre ciotole e relativi cucchiai, Karen si accorse che Hannah stava colorando il disegno con fare leggermente frenetico; per qualche motivo, aveva preso il pastello nero e aveva cancellato il sole estivo, riempiendo il cielo di piccoli cerchietti. «Hannah, cosa stai disegnando?» «Neve, mamma», rispose la bambina senza alzare lo sguardo. «Neve in una giornata estiva come quella?» «Tanta neve, mamma», dichiarò Hannah. «È quello che succede». In preda a un crescente senso di allarme, Karen sedette accanto alla figlia mentre disegnava una grande figura, più alta della casa, con le braccia sollevate con fare minaccioso e artigli al posto delle dita. La bambina serrava con forza il pastello, premendolo sulla carta al punto da schiacciare la morbida punta di cera. Adesso si muoveva a scatti, il volto congelato in una smorfia, come se fosse decisa a portare a termine un compito sgradevole. «Diglielo, mamma. Diglielo». «Cosa, Hannah?» Afferrato un altro pastello, Hannah tracciò strisce rosse sulle mani artigliate. «Wendy, Wendy, Wendy...» «Cosa devo dire a Wendy?» Adesso spesse righe rosse uscivano dalla bocca della figura, una bocca piena di denti aguzzi. Karen non poteva più fingere che non fosse sangue quello che sua figlia stava disegnando sulle mani e sulla bocca della grossa sagoma. «Diglielo, Wendy go! Dillo a Wendy! Wendy go, mamma. Diglielo!»
«Dove deve andare Wendy, piccola?» «No! No! Diglielo!», insisté Hannah, tracciando con violenza righe rosse sopra la casa. Karen le afferrò le mani, immobilizzandole. «Hannah! Guardami!» Hannah distolse lo sguardo dal disegno e fissò la madre, con le lacrime che le colavano lungo le guance. «Sono stanca, mamma. Posso andare a dormire?» «Certo, certo, piccola», disse Karen. «Ti porto a letto». E la prese in braccio, tenendola stretta mentre salivano le scale. «Posso avere il gelato domani, mamma?», mormorò Hannah contro la sua gola. «Te ne lasceremo una grossa ciotola, Hannah», promise Karen, lottando a sua volta contro le lacrime. «Ora riposa. Domattina andrà tutto meglio». Dopo che Hannah si fu lavata i denti, Karen le rimboccò le coperte e indugiò un po' ad accarezzarle i capelli. Qualche minuto prima aveva sentito Art rientrare e gettare le chiavi sul bancone della cucina, ma non aveva detto niente ad Hannah, temendo che la bambina decidesse di voler comunque scendere di sotto per mangiare un po' di gelato. «Ti senti meglio, piccola?» Hannah annuì. «Meglio, ma ho sonno...», rispose, intervallando le parole con uno sbadiglio. «La mia piccola bambina sonnacchiosa», mormorò Karen, baciandola sulla fronte. «Ora dormi, piccola». «Mm-hmm. Diglielo, mamma, d'accordo?» «Chiamerò Wendy stanotte stessa, Hannah. Promesso». «Bene... e dille che la vedrò presto, mamma». «Lo farò, cara», garantì Karen, ferma sulla soglia. «Posso spegnere la luce?» Hannah, che aveva già chiuso gli occhi, annuì. «La luce notturna è accesa. Se ti serve qualcosa, chiamami». «Mm-hmm». Karen si affrettò a scendere in cucina, dove trovò Art seduto al tavolo, due vaschette di gelato accumulate una sull'altra sotto il mento, lo sguardo fisso sul disegno grondante sangue realizzato da Hannah. «Non è un quadretto allegro», borbottò. Karen gli sedette accanto e gli posò una mano sulla spalla.
«Era cominciato con un bell'arcobaleno e tutto il resto». Art si tormentò la coda di cavallo, si passò la mano sulla mascella ispida di barba e infine si assestò gli occhiali sul naso. «Poi cos'è successo?», domandò. «Si è... agitata. Ha disegnato quella cosa con gli artigli e ha cominciato di nuovo a gridare qualcosa riguardo a Wendy». «Non ha avuto crisi, spero». Karen scosse il capo. «Qualsiasi cosa sia stata, l'ha comunque sfinita», aggiunse. «Voleva andare a letto, e credo si sia già addormentata». «Ora che si fa?» Karen si alzò in piedi, dedicò qualche secondo al tentativo di rilassare una contrattura al collo, sospirò e allungò la mano verso il telefono. «È tempo di chiamare qualcuno», disse. «Il dottore?» «No», replicò Karen, dirigendosi verso il frigorifero e posando l'indice sulla tavoletta per appunti magnetica su cui aveva annotato il numero di cellulare. «Wendy». In viaggio: Ohio, I-80 Est Con la testa che pulsava, Wendy venne proiettata bruscamente in avanti dal contraccolpo e si dovette tenere al cruscotto. «Cos'è successo?», chiese. Gli airbag non erano entrati in funzione, quindi non c'era stato nessun urto, almeno non in frontale. «C'era un daino sulla strada?» Alex stringeva il volante con tanta forza da farsi sbiancare le nocche, lo sguardo che andava di continuo dai fiocchi di neve danzanti illuminati dai fari a qualcosa che stava inquadrando nello specchietto retrovisore. «Non è un daino», rispose deglutendo a fatica. «È un'allucinazione... una piccola allucinazione da guida notturna, tutto qui». «Vuoi che ti dia il cambio?» «C'è un piccolo problema», aggiunse Alex, dando un'altra occhiata allo specchietto retrovisore. «Quale?» «Lei è ancora là», spiegò Alex, accennando all'indietro con la testa. «A dire il vero, è proprio dietro di te». «Cosa stai...», cominciò Wendy, girandosi sul sedile per guardare dietro
la macchina, timorosa che Alex avesse investito qualcosa o qualcuno; invece aveva inteso indicare alla lettera il posto dietro di lei, sul quale la visitatrice sedeva con aria accigliata, a disagio. «Oh, sei tu», disse, accennando un saluto con la mano. «Bentornata». «Un momento. Tu conosci le mie allucinazioni?», esclamò Alex. «Come fai a... oh, merda! È come in quella storia, An Occurrence at Owl Creek Bridge1, vero? Impiccano quel tizio, la corda si spezza e lui scappa, ma poi scopriamo che si è immaginato tutta la fuga nel tempo che la corda ha impiegato a spezzargli il collo. In realtà mi sono addormentato al volante, e stiamo per volare giù da una collina o qualcosa del genere». «No, Alex, stai calmo», lo rassicurò Wendy. «È tutto ok. Fidati di me». «Ciao Wendy... e Alex», disse la Vecchia. «Impossibile trovarti da sola, Wendy. Non mi ero resa conto che stavi dormendo, e... credo di avere spaventato Alex». Naturalmente avrebbe potuto parlare a Wendy per via telepatica, ma sapeva che una conversazione unilaterale avrebbe sconvolto Alex ancora di più. «D'accordo, è tutto a posto», commentò Alex. «Stai solo parlando con uno spettro seduto nel retro di una Nissan Pathfinder sulla I-80, nell'Ohio. Certo, è del tutto naturale». «Se in questo momento ti trovassi con una qualsiasi altra ragazza», ribatté Wendy nel protendersi a baciargli la guancia, «faresti bene a dubitare della tua sanità mentale». «Quindi, oltre ad essere una strega, sei anche perseguitata dai fantasmi?» «Lei non è un fantasma». «Ma è... è apparsa dal nulla! E le posso vedere attraverso. È trasparente... voglio dire, le si vede attraverso. Non è davvero qui». «Tutto vero», annuì Wendy. «Lei è... ecco, io la chiamo la Vecchia». «Come in Fanciulla, Madre, Vecchia? I tre aspetti della Dea?» «Ehi! Ti sei documentato sulla magia wicca?» «Ho letto qualcosa», sorrise Alex. «Non che stia pensando di convertirmi o cose del genere. Cioè, senza offesa». «Nessuna offesa», risposero all'unisono Wendy e la Vecchia. «Solo... ehm... ecco, forse è meglio che tu mi avverta, se prevedi che la Fanciulla o la Madre passino presto a trovarti». «Non devi preoccuparti di questo», rise Wendy. «Inoltre, la Vecchia non è davvero quella Vecchia... la prima volta ho immaginato che lo fosse, e il nome le è rimasto, soprattutto per evitare qualsiasi confusione con Han-
nah». «La piccola Hannah? In California? Quale confusione?» «Perché anch'io mi chiamo Hannah», rispose la Vecchia prima che Wendy potesse lanciarsi in una spiegazione completa. «Ah», annuì Alex. «Immagino sia un nome abbastanza comune. Suzanne, mia sorella, ha un'amica che si chiama come lei, ma che noi chiamiamo Suzie. Ehm... vecchia signora, senza offesa, ma che cosa sei?» «Lei... viene dal futuro», disse Wendy. «È una specie di premonizione vivente». Se non altro, questo spiegava il cosa, se non il chi. «Dal futuro? Davvero? Ehi, quest'anno, i Timberwolves arrivano in finale?» «Mi dispiace, ma non seguo lo sport», replicò la Vecchia. «Puoi darci qualche numero della lotteria vincente? Dirci chi vincerà il Super Bowl? O il Kentucky Derby?» «Chi ricorda cose insignificanti vecchie di anni?», sorrise la Vecchia scuotendo il capo. «Giusto», annuì Alex, poi si girò verso Wendy e chiese: «Aspetta un momento, lei è il tuo vecchio mentore, vero?» «Sì», confermò Wendy. «Te lo avrei spiegato, ma è ovvio che è una cosa piuttosto complicata». «Accidenti, se è il tuo mentore, non mi meraviglia che la chiami la Vecchia». «Sarebbe più esatto dire che lo studente istruisce l'insegnante», precisò la Vecchia. «Ecco, dopo che l'insegnante lo ha a sua volta istruito... Non importa, Wendy ha ragione, è una cosa complicata». «La sua prospettiva temporale mi fornisce l'equivalente di un corso accelerato di magia», semplificò Wendy. «Mi mostra su cosa concentrare i miei studi». «Anche adesso, sono qui per dire a Wendy cose che deve sapere, prima che sia costretta ad andarmene». «Alex, prometto di metterti al corrente di tutto, dopo...», cominciò Wendy, ma poi bloccò e si girò a guardare verso la Vecchia, ricordando come lei l'avesse interrotta quando aveva accennato a spiegare come fosse una rappresentazione futura di Hannah Glazer che si manifestava nel presente. «Sempre che a te la cosa vada bene, Hannah», aggiunse. La Vecchia chiuse gli occhi, e Wendy suppose stesse accedendo al ricordo che aveva degli eventi che la giovane Hannah avrebbe vissuto, pri-
ma di decidere cosa si potesse dire ad Alex. «Mi fido del tuo giudizio, Wendy», affermò infine. «Non avverto problemi né in un senso né nell'altro. Informa pure Alex, se lo desideri, però richiedo in modo categorico, e dovresti farlo anche tu, che non parli della cosa con nessun altro». Alex annuì in segno di assenso. «Bene, allora passiamo al problema attuale», continuò la Vecchia, «a questa nuova minaccia». «È di nuovo in movimento», intuì Wendy. «Purtroppo sì», confermò la Vecchia. «Percepisco che si è risanata quasi completamente e che ha mietuto più di una vittima da quando si è destata. È ancora lontana, ma è a meno di mille seicento chilometri da te». «Ma è appiedata, giusto?», interloquì Alex. «Oppure è in grado di volare, come Wither?» «Non ha capacità di volo, ma è instancabile», rispose la Vecchia. «E cosa intendevi esattamente, dicendo che ha mietuto delle vittime?», continuò Alex. «Si nutre della carne degli esseri umani», spiegò la Vecchia, cupa in volto. «La stessa dieta di Wither, ma senza voli attraverso la finestra». «Possiamo già dare un nome a questa cosa?», domandò Wendy, con una nota di ansia che le affiorava nella voce. Non sapere con esattezza cosa fosse decisa a trasformarla in sashimi era snervante, e dare un nome a quella creatura avrebbe forse potuto calmarle un poco i nervi tesi. Meglio sottolineare quel forse. «Cos'è esattamente questa creatura grande, grossa e cattiva, scatenata dalla maledizione di Wither?» «La creatura è un demone, la cui natura è descritta nel folclore dei cree e degli algonchini della provincia di Manitoba, nel Canada, anche se i primi avvistamenti da parte di missionari gesuiti, nel XVII secolo, sono anteriori alla formazione legale di quella provincia. Ci sono molti riferimenti a questa creatura nei libri giornale del XVIII secolo tenuti dalla Hudson Bay Company. È nota con il nome Ojibwa di wintiko o wendigo, che si traduce approssimativamente come spirito malvagio e cannibale». «Splendido!», commentò Alex, scuotendo il capo. «Il nome mi è familiare», osservò Wendy. «Che aspetto ha questo wendigo?» «I cree e gli ojibwa ritenevano che il wendigo fosse un umano posseduto da uno spirito malvagio e portato al cannibalismo. Tuttavia, un essere umano che diventasse un wendigo risulterebbe molto più piccolo del vero
wendigo, che dovrebbe essere alto quanto un albero. Naturalmente, dobbiamo tenere conto di qualche possibile esagerazione». «Ah, la versione normale e quella diet», commentò Alex. «Come fa un umano a diventare un wendigo?» «Si ritiene che il morso del wendigo sia contagioso». «Che importanza ha? Tanto ti divora...» «Suppongo che non ne abbia, in quel caso», replicò la Vecchia. «Di che genere è quello che mi dà la caccia?», domandò Wendy. «È del tipo gigantesco o un ibrido umano?» «Non ho ricordi di giganti alti quanto alberi», affermò la Vecchia. «A dire il vero, non ho nessun ricordo diretto della creatura, segno che non sono stata presente. Ciò che so deriva da una tua descrizione, Wendy: una creatura insolitamente grande e coperta di pelliccia, bianca sul torso, nera sulle braccia e sulle gambe». «Che genere di poteri ha? Ha qualche capacità da cui stare in guardia?» «Vuoi dire che un cacciatore di taglie cannibale, posseduto da uno spirito malvagio, infetto e maledetto da una strega non è abbastanza spaventoso per te?», domandò Alex, fissandola con occhi sgranati. «Le ragazze amano essere preparate a tutto», ribatté Wendy, scrollando le spalle con una sfumatura di finto coraggio. Le mie alternative sono un falso coraggio o il panico cieco, pensò. «Prospera nel gelo», disse la Vecchia. «Attacca con neve e bufere, e si crede che il suo urlo abbia il potere di paralizzare le vittime». Wendy alzò le mani, con il palmo in fuori. «Penso che questi ragguagli sul wendigo possano bastare», disse. «Ora passiamo alla parte in cui mi spieghi come combatterlo... anzi, come l'ho combattuto». «Lei, dunque, sa già come andrà questa battaglia?», chiese Alex. «In una certa misura», tergiversò Wendy, «ma c'è il problema di possibili alterazioni delle linee temporali. Io... noi non possiamo dare niente per scontato». Guardò verso la Vecchia, constatando che era molto più trasparente, segno che Hannah si stava stancando e che bisognava accelerare i tempi di quel colloquio informativo. «Però l'ho sconfitto, vero?», chiese. La Vecchia annuì, ma sul suo volto affiorò un'espressione dolente. «Cosa c'è? Dimmelo! Cosa è andato storto?» «Nella mia linea temporale», spiegò la Vecchia scuotendo la testa, «nel
passato così come esso esiste per me, tu hai sconfitto il wendigo, ma hai pagato un prezzo personale elevato». «Oh, Dio», mormorò Wendy coprendosi la bocca con le mani. Per un momento, chiuse gli occhi, poi scosse il capo, sussurrando: «No. Non di nuovo. Per favore, non di nuovo». «Cosa succede?», domandò Alex, facendo scorrere lo sguardo dall'una all'altra; intanto, l'immagine della Vecchia cominciava a perdere definizione lungo i contorni. «Qualcuno me lo spieghi». «Qualcuno morirà, Alex», disse Wendy, fissandolo con occhi dilatati. «Qualcuno che mi è vicino». «Oh», mormorò Alex, poi si schiarì la gola e aggiunse: «Capisco». «Prima che tutto questo sia finito, moriranno in molti», sussurrò la Vecchia. Note 1. È un racconto di Ambrose Bierce, da cui è stato anche tratto un telefilm della serie Ai confini della realtà [ndt]. Capitolo 8 Wendy tremava, troppo terrorizzata per porre la domanda che aveva in mente. Però doveva chiederlo alla Vecchia, sapere se portare con sé Alex era stato un terribile errore. «Alex...?», cominciò, poi la voce le si bloccò in gola prima che potesse completare la domanda. «No, non lo voglio sapere!», gridò. Forse, in un momento in cui Alex fosse stato addormentato, in cui lei e la Vecchia avessero potuto parlare in privato, forse allora sarebbe riuscita a porre quella domanda, ma non ora... «Alex, una volta a Windale, voglio che tu stia alla larga da me, molto alla larga!» Alex si girò in direzione della Vecchia, dando prova del coraggio che Wendy non era riuscita a trovare. «Io sono uno di quelli... ehm... uno di quelli che sono morti?», domandò. «Questa è una cosa che il dolore mi impedisce di vedere», replicò la Vecchia. «Molti volti mi vorticano nella memoria, fra gli altri anche il tuo e quello di Wendy, ma non so chi sia sopravvissuto. Tutto quello che so, che rammento, è una battaglia devastante. Wendy, ti ho già parlato in passato di quanto siano malleabili le linee temporali».
«Wendy, cosa sta dicendo? Che le cose potrebbero non andare necessariamente nel modo in cui lei le ricorda?» «Forse possono andare meglio, o forse peggio». «E per quanto riguarda il tuo addestramento preventivo?», insisté Alex. «Essere preavvertiti significa potersi preparare adeguatamente». «Un'osservazione valida», convenne Wendy, aggrappandosi a quell'aspetto positivo nel tornare a rivolgersi alla Vecchia. «Su cosa dovrei concentrare il mio addestramento?» «Quando il wendigo si è destato, ho avvertito tre aree magiche vitali», rispose la Vecchia, con la voce che a tratti si affievoliva e l'immagine che andava perdendo definizione. «Dal momento che il freddo lo favorisce, immagino che il fuoco sia uno dei suoi punti deboli». «Il fuoco potrebbe svolgere un ruolo utile, ma non sarà determinante in battaglia», disse la Vecchia. «O forse... sembra così perché... già conosce fuoco...» «Allora dimmi quali sono queste tre armi». «Proiezione astrale, visione periferica... sfera...» «La sfera? Ho già...» «Più versatile... non vulnerabile a...» «D'accordo, altri trucchi con la sfera protettiva. La proiezione astrale è una cosa che capisco, e la terza è... la visione periferica?» La Vecchia annuì, un movimento che finì di farle dissolvere la testa. «Vedere tra le righe... resto... tornerò... hai tempo, tu...» «Dannazione!», imprecò Wendy. «Abbiamo sprecato troppo del suo tempo». «Mi dispiace, è stata colpa delle mie interruzioni». «No, siamo stati tutti e due», sospirò Wendy. «Ha detto che sarebbe tornata, che ho ancora tempo. Non sono molte le cose in cui mi posso esercitare, viaggiando a ottanta chilometri all'ora, giusto? Comincerò con la proiezione astrale, che è una cosa semplice... o almeno spero. Quando tornerà, potrà provvedere lei a spiegarmi le altre cose non tanto semplici». «Sei tu l'esperta». «Vorrei esserlo», ribatté Wendy; le sembrava infatti che quanto più avanzava nell'apprendimento della magia, tanto più numerose diventavano le cose che aveva ancora bisogno di imparare. «In ogni caso, è ora di cominciare. Devo sgombrare la mente da ogni distrazione e iniziare la Proiezione Astrale 101».
Stiracchiò il collo, le braccia e le gambe nella misura in cui questo le era possibile all'interno dello spazio limitato del SUV, cercando di sgranchire i muscoli e di sistemarsi il più comodo possibile sul sedile. Più che di comodità, aveva bisogno di serenità. Con le mani incrociate in grembo, la testa appoggiata al sedile, chiuse gli occhi e cercò di ricordare tutto ciò che aveva letto o sentito dire riguardo alla proiezione astrale. BBRREEEEEPP! «Ah... il cellulare!», esclamò, sussultando come se fosse stata urtata da un pungolo elettrico per il bestiame, poi armeggiò goffamente per parecchi istanti, frugando nella borsetta e finendo per impigliare la cinghia del telefono nella testa di gargoyle del bastone di Alex prima di riuscire a rispondere. BBRREEEEEPP! «Devo proprio decidermi a impostare una di quelle rilassanti suonerie musicali», osservò mentre premeva il tasto di risposta. «Pronto?» Winnipeg, Manitoba Canada «Palladineve, giù di lì!», ordinò Tara; subito la gatta saltò con naturalezza dalla sedia al tavolo di cucina, dove si raggomitolò allegramente sul blocco note contenente gli appunti scribacchiati da Tara, come una piccola palla di pelo bianco. Accigliandosi, Tara sollevò la gatta dai fogli e la scaricò sulla sedia opposta; mentre aspettava che Wendy rispondesse al telefono, bevve un sorso di infuso di erbe, poi sorrise nel sentire la voce familiare dell'amica dall'altro capo della linea telefonica. «Ciao, Wendy, qui è il tuo contatto di Winnipeg». «Ehi, Tara! Come vanno le cose là?» «La schiena va abbastanza bene. Avevo dimenticato cosa significasse dormire parecchie ore di fila. E tu come stai? Hai superato la faccenda del tuo ex?» «Non quanto pensavo. Te ne parlerò più a lungo in un altro momento. Promesso». «Ricevuto», disse Tara. «Ti ho chiamato a proposito di quelle ricerche che mi avevi chiesto di fare». «Hai avuto fortuna?» «Forse», disse Tara, passandosi una mano nei capelli corti. «Dopo aver scavato in alcune vecchie copie su microfilm del Winnipeg Sun e della
Free Press, a partire dal 6 agosto del 2000, ho pensato che sarei rimasta a mani vuote. La sola cosa che aveva attirato la mia attenzione era stata una strana nevicata nell'area di Hudson Falls». «Il 6 di agosto?» «Secondo me rientra nel novero delle cose insolite», affermò Tara, «una sorta di evento innaturale. Però forse non gli avrei dato importanza se non fosse stato per altre notizie più recenti. In genere evito i notiziari, perché mi deprimono terribilmente. Oggi però ho letto il giornale, e...» «È successo qualcosa di brutto a Hudson Falls?» «La notte di Capodanno a Hudson Falls è successo qualcosa di macabro, e anche questo termine è una minimizzazione bella e buona». «Dimmi di cosa si tratta». Adesso la voce di Wendy era più fievole, carica di tensione. «Ecco, Hudson Falls è una piccola cittadina rurale, a nord-est di qui. Non figura neppure sulle carte geografiche. Ci sono state due vittime, tre se si calcola anche il cane. Un vicino è passato per fare gli auguri per il nuovo anno e ha trovato i corpi. La teoria prevalente è che si sia trattato dell'attacco da parte di un animale selvaggio, un animale che mangia carne umana. Ufficialmente danno la colpa a un grizzly, ma se vuoi il mio parere, doveva essere un grizzly rabbioso. I grizzly contraggono la rabbia?» «Non lo so». «Ecco», continuò Tara, lanciando un'occhiata agli appunti, «pare si sia trattato di qualcosa di grosso e cattivo, con artigli possenti, un sacco di denti acuminati e un appetito incredibile. Ha divorato quasi completamente l'uomo... Earl Cady, una guardia notturna in pensione... sua moglie Amanda e il loro pastore tedesco. Earl e il cane - o almeno quel che ne restava sono stati trovati nel bosco, vicino alla casa dei Cady, mentre il corpo della moglie era dentro casa. A quanto pare, l'animale si è lanciato attraverso una portafinestra per attaccarla». «Tara», disse Wendy, «hai mai sentito parlare del wendigo?» «È strano che mi parli proprio di questo. I giornalisti hanno intervistato alcuni vicini per sentire le loro reazioni... come se non fosse possibile immaginarle! In ogni caso, un vecchio ha detto che l'accaduto gli ricordava le leggende relative al wendigo». «Cosa sai al riguardo?» «Sui wendigo? Non molto. Secondo il folklore dei nativi americani, sono una sorta di demoni... mi pare di aver letto, o sentito dire... che possono infettare gli esseri umani, o che gli esseri umani possono in qualche modo
diventare dei wendigo, ma non ho mai capito perché un uomo dovrebbe voler diventare una creatura del genere. In ogni caso, ho sempre immaginato una via di mezzo fra un lupo mannaro e l'abominevole uomo delle nevi». «I conti tornano». «Ehi... aspetta un minuto!», esclamò Tara. «Credi davvero che un wendigo...» «È una teoria». «Ma, Wendy, i wendigo sono... ho sempre pensato che fossero soltanto figure spaventose del folklore, materia per fiabe moraliste, o antiche versioni del Bigfoot o del Mostro di Loch Ness. Giusto?» «Forse è così», convenne Wendy per la pace mentale dell'amica. «Forse è soltanto uno psicopatico che sta impersonando un wendigo». «In ogni caso, non è niente di buono», osservò Tara. «No». «Questa storia mi provocherà degli incubi, vero?» In viaggio: Ohio, I-80 Est Wendy premette il pulsante per chiudere la chiamata e rimase a fissare il telefono in preda a un senso di shock a scoppio ritardato. Dio, sono stata io a svegliare quella creatura! Dalla tomba, Wither mi ha manovrata e mi ha fatto ridestare quella cosa maledetta. Scosse il capo, poi intercettò lo sguardo interrogativo di Alex e si costrinse a ricomporsi. «Ho chiesto a Tara di controllare sui giornali se si era verificato qualche macabro incidente poco dopo il 6 agosto 2000, il giorno in cui Gina Thorne è morta, quello in cui Wither ha lanciato la sua maledizione», spiegò. Poi riferì i dettagli della conversazione. «I pezzi combaciano», commentò Alex. «Cosa ha detto Tara riguardo al wendigo?» «Che si tratta di una creatura appartenente al folklore dei nativi americani, e che per lei è soltanto una figura leggendaria, non è reale», rispose Wendy. Se solo fosse così semplice, pensò intanto fra sé. «Lo immagina come una via di mezzo fra un lupo mannaro e l'abominevole uomo delle nevi». «Un'immagine che non mi piace proprio per niente», BBRREEEEEPP!
Per poco Wendy non fece cadere il telefono, ma riuscì a rispondere al secondo squillo. «Tara? Hai dimenticato...? Oh, Karen. Ciao!» Wendy aveva tuttora la sensazione che avrebbe dovuto rivolgersi alla sua ex insegnante chiamandola professoressa Glazer, ma Karen insisteva per essere chiamata per nome. «Hannah sta bene?» Menlo Park, California «Sta bene», rispose Karen. «Ora sta dormendo». Era seduta al tavolo della cucina; in piedi dietro di lei, Art le stava massaggiando il collo e le spalle, carichi di tensione fin da quando Hannah aveva attaccato il suo disegnare frenetico. Il gelato alla ciliegia era nel freezer, praticamente dimenticato. «Bene. Sono contenta che stia...» «Però ha avuto un altro episodio strano», la interruppe Karen. «Non si è trattato di una crisi vera e propria, ma si è agitata parecchio. Stava disegnando con i pastelli...» E proseguì descrivendo la trasformazione dei disegno di Hannah da un cielo solcato dall'arcobaleno a un mostro coperto di sangue. «È orribile. Non riesco a immaginare... un'immagine del genere nella mente di una bambina! È... scusami». «Non devi scusarti, Karen. È orribile, lo so», la confortò Wendy. «Hannah è un piccolo angelo prezioso. Adesso sta bene?» «Sì. Era molto stanca e si è addormentata in fretta, ma prima mi ha fatto promettere che ti avrei trasmesso il suo avvertimento», rispose Karen. «Si tratta della stessa cosa che ha gridato prima di avere quella crisi convulsiva, un invito a fuggire, o ad allontanarti. Non so cosa significhi, in realtà non ha senso. Continuava a ripetere: "Di' a Wendy di andare via". Pensava che fosse importante, quindi ho promesso di riferirtelo». «Quali sono state, esattamente, le sue parole? Riesci a ricordarlo?» «Non ha detto molto», ribatté Karen. «Forse era: "Dille di andare!"... No, aspetta. Ha detto: "Dille, Wendy go" E poi: "Dillo a Wendy, Wendy go". Evidentemente...», aggiunse, con una risata asciutta priva di qualsiasi buonumore, «...ha bisogno di migliorare la grammatica». «No», mormorò Wendy. «Credo che si sia espressa perfettamente». Karen lanciò un'occhiata verso Art con un'espressione perplessa sul volto, poi si allungò in avanti sul tavolo. «Io... non capisco bene cosa intendi dire».
«Non mi stava incitando ad andare via», spiegò Wendy. «Fin dall'inizio Hannah ha cercato di dirmi cos'era la minaccia che mi stava inseguendo. Non si tratta di due parole, Wendy go, ma di una sola, W-E-N-D-I-G-O». Poi procedette a descrivere il demone del folklore dei nativi americani, ma per quanto cercasse di apparire disinvolta, il quadro da lei tracciato risultò comunque orrendo. «Oh, mio Dio, Wendy, ne sei sicura?», chiese Karen. «Questo mostro è reale?» «Noi crediamo di sì. È un'altra pietanza della vendetta cucinata da Wither». «La maledizione di cui mi hai parlato? Ma è passato così tanto tempo che ormai pensavo...» «Come si dice, la vendetta è un piatto che va servito freddo», replicò Wendy cupa. «È una cosa complicata». «E Hannah sa di tutto questo?» «La Vecchia è passata a trovarmi poco prima che tu mi chiamassi». «Mentre stava disegnando, Hannah sembrava essere in una sorta di trance». «Uno stato di consapevolezza alterato. Ha senso». «Non so cosa dire, Wendy». «Che te ne pare di "buona fortuna"? E promettimi che questa volta rimarrete sulla costa occidentale». «Ma se Hannah può esserti d'aiuto...» «Può esserlo, nei panni della Vecchia», interruppe Wendy. «Promettimi che la terrai al sicuro». «È ovvio che lo farò», rispose Karen, senza però fare nessuna promessa. Quando Wendy aveva affrontato Gina Thorne, Hannah aveva dovuto restare nelle vicinanze affinché la sua manifestazione come Vecchia potesse mantenere il contatto con Wendy. Hannah non era mai stata direttamente in pericolo, e tuttavia la sua presenza era stata d'aiuto. «Hannah mi ha chiesto di riferirti anche che vi rivedrete presto». «Spero si riferisse a una visita della Vecchia», ribatté Wendy. «Non voglio ritrovarmi con una bella bimba bionda sul campo di battaglia, quando affronterò quel mostro». Karen sorrise, ma a fatica: già preoccupata per Hannah, adesso doveva aggiungere anche Wendy alla lista. «Sta' attenta, Wendy», disse. «Lo farò», promise Wendy. «Abbi cura di quello zuccherino per conto
mio». Karen sorrise di nuovo, questa volta in maniera più accentuata, e riappese la cornetta, poi esalò un sospiro che si trasformò in un brivido. Alzandosi in piedi, si girò verso Art, levando su di lui gli occhi velati di lacrime. Art appariva cupo in volto: sentire anche soltanto metà della conversazione era stato sufficiente a metterlo in allarme. «Quanto è grave la situazione?», chiese. Karen scosse il capo, incapace di dare voce alle proprie preoccupazioni: dopo ciò di cui era stata testimone, che aveva sperimentato di persona, le spiegazioni razionali e i dinieghi non rientravano più nella sua visione del mondo; in loro assenza, poteva soltanto accettare il concetto che il peggio non era una possibilità... era una certezza. Facendosi avanti, passò le braccia intorno alla vita di Art e insinuò la testa sotto il mento di lui; tenendola stretta fra le braccia, Art le carezzò i capelli in silenzio, aspettando. «Oh, Art... è spaventoso», disse infine Karen. Dio Santo, pensò intanto, aiuta Wendy ad affrontare tutto questo e, te ne prego, tieni al sicuro la mia bambina. In viaggio: Ohio, I-80 Est e I-90 Est 2-3 gennaio 2002 «Spero che Hannah riesca a rilassarsi, ora che sa che ho ricevuto il suo avvertimento», disse Wendy ad Alex. «Detesto pensare che possa avere degli incubi a causa di questa faccenda. È già abbastanza brutto sapere che finirò per averne io». Stava cadendo una neve leggera, fiocchi ben definiti che si accumulavano contro il parabrezza. Alex attivò a intermittenza i tergicristalli, che con un ronzio meccanico presero a ripulire il parabrezza ogni manciata di secondi. Rosse luci posteriori scintillavano davanti a loro lungo l'autostrada, più o meno evidenti a seconda del mutare della visibilità; a volte sembrava che fossero soli sulla lunga strada buia, che stessero andando alla deriva nel mare della notte. «Ma se la Vecchia lo sa, non è logico che lo sappia anche Hannah?», chiese Alex. «Devi pensare ad Hannah e alla Vecchia come a due individui differenti, due consapevolezze distinte unite da un legame speciale. A volte si sovrappongono, e quando... il feedback dal futuro attiva qualcosa nel subcon-
scio della nostra Hannah, la Vecchia si manifesta a me. Forse Hannah avverte quando la Vecchia è qui, ma non ha accesso ai dettagli delle nostre conversazioni». «Non si incontrano mai per confrontare le rispettive informazioni?» «Hannah non può manifestare la Vecchia quando lei stessa è presente. Forse si tratta di un paradosso, ma non è in grado di influenzare gli eventi della sua vita, sono troppo vicini al punto zero temporale. Questi limiti le permettono, peraltro, di avere una vita quasi normale, considerato quanto la cosa potrebbe essere più traumatica». «Ora cosa succederà?», domandò ancora Alex, annuendo. «Te la senti di continuare a guidare?», chiese Wendy, e quando lui annuì, proseguì: «Probabilmente, non vedremo più la Vecchia per qualche tempo. Dal momento che ho bisogno che mi spieghi questa faccenda della "vista periferica" e che mi dica quali nuovi trucchi devo imparare ad applicare alla mia sfera protettiva, la sola opzione che mi rimane è di esercitarmi nella proiezione astrale. Ne afferro i concetti di base, ma non provo più a metterli in pratica da anni». «Di cosa si tratta? Lettura degli astri? Oroscopo?» «Come in Astrology1?», lo provocò Wendy con un sorriso. Alex sorrise e scosse il capo... mordendosi la lingua per buona misura. «Dove devo firmare per iscrivermi a un corso di recupero sul New Age?», chiese. Il sorriso di Wendy scomparve. «Oh, Alex, mi dispiace di aver fatto la saputella, ma sono esaurita, stanca e spaventata, tutto nello stesso tempo». «Lo capisco. Io non ho una sorta di bersaglio soprannaturale appuntato sulla schiena, e ho paura lo stesso. Tutto considerato, sei di una calma stupefacente». «È il mio stile», commentò Wendy, costringendosi a sorridere. «Far le cose con grazia anche sotto pressione». Pur essendo consapevole di costituire il bersaglio principale, continuava a temere che Alex potesse essere uno dei molti che erano morti nel passato ricordato dalla Vecchia, che potesse cadere vittima del fuoco incrociato che si sprigionava dalla maledizione di Wither. Per lei, la consapevolezza che quanti le erano vicini correvano un grave pericolo era ancora peggio del dover affrontare, alla lettera, il proprio demone personale. La sua vicinanza metteva a rischio tutti coloro che la circondavano. «Alex», disse, «può darsi che debba affrontare questa cosa da sola».
«No», ribatté lui, senza esitazione, «non te lo permetterò». Wendy gli allontanò la mano destra dal volante e gliela strinse fra le mani. Alex voleva dimostrarsi coraggioso, non per un eccessivo e malinteso senso di cavalleria, solo perché teneva davvero a lei. Tutto qui. Quanto sarebbe potuta risultare peggiore la maledizione di Wither, se lei fosse stata veramente sola? E tuttavia, permaneva la possibilità che, all'ultimo momento, il suo gesto più altruistico potesse essere proprio quello di tenersi lontana da coloro che amava. «Grazie, Alex, ma spero che non si arrivi a questo. La maledizione di Wither ha scatenato questa cosa, quindi forse esiste un incantesimo per rimandarla in ibernazione». «Come disinnescare una bomba?» «Proprio così», annuì Wendy, pur sapendo che non sarebbe stato tanto semplice. Non lo è mai, pensò con amarezza. «Allora, come funziona la proiezione astrale?» «Ah, giusto, quasi me n'ero dimenticata. Hai mai sentito parlare di esperienze extracorporee?» «Come quelle in punto di morte?» «Già, qualcosa di simile. In quei casi, la persona è clinicamente morta o quasi. Un esempio classico è quando il cuore smette di battere, ma viene riattivato con un defibrillatore. La persona riferisce a volte di aver visto una luce in fondo a una galleria, o magari un amico o parente defunto che l'aspettava. È anche possibile che si sia trovata a guardare dall'alto il proprio corpo fisico, mentre l'anima - o lo spirito - l'abbandonava». Alex si limitò ad annuire, segnalandole di continuare. «Con la proiezione astrale, una persona sperimenta la stessa sensazione di uscire dal proprio corpo e librarsi su di esso, ma la causa di questo effetto non è un trauma semiletale, bensì l'autoipnosi». «Come funziona?» «Si tratta di una trance autoindotta, di uno stato di consapevolezza alterato. Io la concepisco così, e questo è il metodo che ho usato... ho provato a usare... per eseguire la proiezione astrale». «Ma a cosa serve?», domandò Alex. «Guardare dal di fuori il proprio corpo sembra una cosa un po' morbosa». «Sì, se ci si limita a fare soltanto questo», convenne Wendy, con un sorriso asciutto. «Immagino che l'utilità consista nel fatto che il corpo astrale non ha gli stessi limiti di quello fisico. In teoria, la tua consapevolezza può volare attraverso le pareti, fra le nuvole e fino a terre lontane, mentre il
corpo fisico rimane esattamente dove lo hai lasciato, immobile». «Sempre ipnotizzato? Allora come fai a uscire dalla trance? Se non puoi muoverti, come fai a battere le mani o schioccare le dita per svegliarti?» «Bisogna mantenere il controllo della propria consapevolezza», spiegò Wendy, «e riportarla indietro quando si ha finito di andarsene in giro. Una volta che la consapevolezza è rientrata nel corpo, ti svegli semplicemente dalla trance». «Esiste qualche eventualità che si possa rimanere bloccati in stato di trance? Finire in coma?» «Non ho mai sentito dire una cosa del genere», rise Wendy. «Signor Dunkirk, stai cercando di spaventarmi?» «No, per niente», ribatté Alex, con un accenno di sorriso che gli incurvava gli angoli della bocca. «Mi stavo solo chiedendo se potrei ritrovarmi a doverti praticare la respirazione bocca a bocca per rianimarti». «Ehi, amico», ammonì Wendy, agitando un dito nella sua direzione, «se cercherai di approfittartene mentre sarò in trance, io lo saprò». «Bada di non confondere un controllo dei segni vitali con un tentativo di approfittare della situazione, e non ci saranno fraintendimenti», dichiarò Alex, sfoggiando la sua espressione più ingenua e innocente; consapevole che si trattava di una facciata, Wendy attese che si sgretolasse, ma lui risultò essere un giocatore di poker troppo abile per mollare così. «Ora comincia pure con la tua proiezione astrale, signorina», aggiunse. «Io devo concentrarmi sulla strada». «Sissignore», rispose Wendy con finta serietà, poi si tolse il pendente di cristallo, lo tenne nel palmo della mano e cominciò il rituale di rilassamento, coinvolgendo gradualmente ciascun gruppo di muscoli. Come accadeva con gran parte della magia, la chiave di tutto era la visualizzazione. Il rilassamento era importante per l'autoipnosi, e il cristallo l'aiutava a mettere a fuoco la mente. Adesso, però, il suo stato di sfinimento stava risultando l'ostacolo principale, perché quelle stesse tecniche di rilassamento che inducevano l'autoipnosi servivano anche a facilitare il sonno, e Wendy si rese conto che l'esercizio non sarebbe servito a niente allorché il suo tentativo di autoipnosi produsse come unico risultato una serie di sbadigli prolungati. «Forse prima dovresti dormire un poco», azzardò Alex. «Uhm... credo che tu abbia ragione. Ti dispiace?» «No, naturalmente», la rassicurò Alex. «Dovremmo arrivare nelle vicinanze di Toledo prima delle undici, e Cleveland è a circa centosessanta
chilometri di distanza, verso est. Cercherò di resistere almeno fin lì. E poi, se sbadigli di nuovo in quel modo, finirò per addormentarmi». Al risveglio, Wendy scoprì che la Pathfinder era ferma, e per un istante ne fu allarmata, perché non sapeva cosa fosse successo o dove si trovassero. Luci intense penetravano all'interno della macchina, e la costrinsero a socchiudere gli occhi nel guardarsi intorno. Alex non c'era. Protendendosi di traverso sul sedile di guida, lo vide all'esterno, infagottato nel parka, con il respiro che gli creava nuvolette bianche davanti alla faccia, mentre era intento a pagare la benzina. È proprio quello che mi serve per liberarmi della sonnolenza, pensò aprendo la portiera. Credeva di sapere cosa aspettarsi, ma si trovò impreparata a fronteggiare la folata di aria gelida che le vorticò intorno, facendole penetrare il gelo nelle ossa. Pochi istanti e cominciò a battere i denti e a sentire le orecchie che le dolevano, e prese a saltellare, battendosi le mani sulle braccia, mentre lasciava che il freddo svolgesse la funzione della caffeina. Quando infine risalì in macchina, era abbastanza sveglia e lucida da poter tentare di nuovo con l'autoipnosi. Alex salì al posto di guida, osservò per un momento il suo volto arrossato dal freddo e sorrise. «Fa abbastanza freddo per te?», chiese. «Non vincerai certo un premio per l'originalità dei tuoi commenti. Dove siamo, grande saggio?» «A Toledo». «Te la senti di guidare ancora?» «Certo, soprattutto se vuoi tentare di nuovo con quella faccenda dell'uscire dal corpo». Dopo che ebbero imboccato di nuovo l'interstatale, Wendy fu assalita da un'ispirazione improvvisa che la indusse ad allungare una mano per rimuovere il pupazzetto di Winnie Pooh che era appeso allo specchietto retrovisore e riporlo nel cruscotto. «Mi serve uno strumento di focalizzazione», disse a titolo di spiegazione, poi si tolse di nuovo la collana con il pendente, ma questa volta la agganciò allo specchietto. Là, il cristallo trasparente prese a oscillare lentamente, intercettando la luce con una sfaccettatura e riflettendola con un'altra. Forse non era abbagliante come lo sarebbe stato sotto il sole di mezzogiorno, ma sotto la poca luce disponibile brillava e scintillava abbastanza
da catturare la sua attenzione, la sua focalizzazione. Eseguì il rituale di rilassamento, questa volta senza soccombere agli sbadigli, poi eliminò dalla mente ogni pensiero che potesse distrarla, concentrando tutta la propria attenzione sul cristallo che oscillava lentamente avanti e indietro, avanti e indietro, avanti... e... indietro... avanti... e... una volta raggiunta una condizione assoluta di progressiva indifferenza e passività totale, procedette alla visualizzazione. Il primo passo, quello più semplice, fu chiudere gli occhi e tuttavia continuare a vedere il pendente di cristallo, malgrado lo schermo fisico delle palpebre. Lo visualizzò che dondolava appeso al sostegno dello specchietto retrovisore, in fondo alla sua sottile catenella d'argento, senza che il flusso del movimento risultasse interrotto dall'avere chiuso gli occhi. Lo vide in tutti i suoi scintillanti dettagli, osservò ogni sfaccettatura, ogni solco, ogni gioco di luce che creava nell'oscillare e ruotare sotto lo specchietto. La visualizzazione era la madre della convinzione. Sapeva cosa avrebbe visto se avesse aperto gli occhi in quel momento, quale lato del cristallo sarebbe stato rivolto verso di lei, dove si sarebbe trovato nella sua lieve oscillazione sopra il cruscotto, come la luce si sarebbe riflessa attraverso la sua superficie e sopra di essa. Lo sapeva... E con un senso vertiginoso di assenza di peso, innalzò quella consapevolezza al di sopra del corpo, lentamente, un centimetro per volta; adesso che il cristallo l'aveva aiutata a raggiungere uno stato di autoipnosi, di consapevolezza alterata, non aveva più bisogno di rimanere concentrata su di esso. Era libera, totalmente distaccata dai confini del corpo, stava librando in alto se stessa... la propria consapevolezza... portandola in su e lontano, come sospinta da una debole corrente di aria calda, e alla fine fu in grado di abbassare lo sguardo e di esaminare con distacco il proprio corpo. La Wendy astrale esaminò quella fisica con uno strano senso di calma, quasi si fosse lasciata alle spalle tutte le emozioni, come se esse fossero troppo pesanti per il volo astrale. Attribuisce una nuova dimensione alla frase «bagaglio emotivo», pensò. La Wendy fisica sembrava quasi addormentata, con gli occhi chiusi, la testa inclinata leggermente verso sinistra; le dita erano intrecciate, ma probabilmente la minima pressione verso l'esterno, il minimo sobbalzo sull'interstatale, le avrebbe separate. La Wendy astrale faticò a credere a quanto il suo io fisico apparisse rilassato. E i dettagli! Tutto spiccava nitido ed evidente, come se lo stesse vedendo per la prima volta, con una vista perfetta: la grana del soffitto di vinile,
la trama incrociata della stoffa dei sedili, un nodo nei capelli del suo io fisico, il bagliore metallico del supporto della luce interna, le gocce di condensa sulla lattina di soda di Alex, l'angolo spiegazzato di una vecchia cartina stradale gettata sopra il cruscotto insieme a una ricevuta accartocciata del distributore di benzina, il velo di barba sul mento e sul collo di Alex, una piccola macchia di grasso sulla seconda articolazione del suo indice destro. Una cosa, tuttavia, rimaneva invisibile: il corpo astrale di Wendy. Era una consapevolezza fluttuante, ma al contrario della Vecchia, non era un'entità visibile. Abbassando lo sguardo, vide i sedili e il fondo della Pathfinder, per lo più avvolti nel buio, ma non scorse traccia del proprio corpo astrale. Poi la Wendy astrale fluttuò maliziosamente più vicina ad Alex. Poteva muoversi con la forza del pensiero, andando dovunque volesse la sua volontà, senza le pastoie della forza di gravità, di limiti fisici, del momento o dell'inerzia. Le sembrò una sensazione diversa, più liberatoria addirittura dell'assenza di gravità nello spazio, perché non aveva bisogno di puntellarsi a qualcosa per indirizzarsi in una qualsiasi direzione: la mente era sufficiente a fornirle tutto il controllo di volo di cui aveva bisogno, e in quel momento stava usando la forza di volontà per portarsi più vicina ad Alex, avvicinando la propria consapevolezza al volto di lui, arrivando quasi a toccarlo, a sovrapporsi ai confini fisici della sua pelle. Sorridendo interiormente, avanzò con estrema lentezza con l'intenzione di dargli l'equivalente di un bacio astrale, e rimase sorpresa quando lui rabbrividì, come solleticato da una piuma invisibile. Si chiese se sarebbe potuta passare attraverso il suo corpo, ma decise che era meglio non provarci. Ruotò invece la propria consapevolezza in modo da portarla davanti al viso di lui, dapprima lateralmente, poi scivolando fino a sovrapporsi direttamente al suo campo visivo. Era pronta a ritrarsi all'istante, se fosse sembrato che gli stava ostruendo la visuale, ma continuò a essere una presenza invisibile. Per qualche istante si limitò a fissarlo in volto, notò la linea frastagliata del tessuto cicatriziale che gli correva sulla palpebra destra, poi la sua attenzione fu attratta dagli occhi nocciola, punteggiati di castano, verde e oro. Le sue pupille avevano qualcosa di strano... ma certo! Sembravano strane perché la sua immagine non vi si rifletteva! Se la sua faccia fosse stata tanto vicina a quella di lui, avrebbe dovuto vederne un riflesso miniaturizzato nelle pupille, nelle quali scorgeva invece soltanto le linee spartitraffico dell'autostrada che si perdevano in lontananza, come in uno studio di prospettiva.
Mentre Alex si massaggiava gli occhi, la Wendy astrale notò che apparivano arrossati e avevano le palpebre leggermente abbassate: sui lunghi tragitti, guidare di notte era più stancante che farlo di giorno, perché gli occhi mancavano dello stimolo costituito dalle informazioni visive. Inoltre, il corpo era abituato a trascorrere le ore di oscurità dormendo, a meno che non si trattasse di una persona che lavorava in un turno di notte e aveva finito, con il tempo, per invertire il proprio ritmo circadiano. Alex sollevò il pugno socchiuso a soffocare uno sbadiglio, inconsapevole che la presenza astrale di lei era così vicina alla sua faccia. La Wendy astrale cercò di sussurrarne il nome, un esperimento per verificare i limiti della proiezione e non uno stupido scherzo per terrorizzarlo. Non successe nulla, quindi tentò di nuovo, e questa volta sentì un borbottio indistinto provenire dal sedile di sinistra: la Wendy fisica aveva farfugliato qualcosa nel suo stato di autoipnosi, un tentativo di parlare che però non aveva nulla di coerente. Se si fosse sforzata maggiormente, forse la Wendy astrale sarebbe riuscita a indurre il proprio corpo fisico a pronunciare le parole, ma a parte una marginale eccitazione derivante da quell'esibizione di ventriloquio, non vedeva l'utilità di un simile esperimento. Se la Wendy astrale fosse riuscita a parlare, però, questo sarebbe potuto tornare molto utile, e non soltanto per qualche trucchetto da salotto. In ordine logico, il prossimo esperimento avrebbe dovuto essere quello di attraversare la carrozzeria della Pathfinder e fluttuare nella notte, ma Wendy esitò a metterlo in atto. Alex stava viaggiando a ottanta chilometri all'ora, e se avesse perso di vista il SUV, lei avrebbe potuto trovarsi impossibilitata a rientrare nel proprio corpo fisico. Cosa succedeva se un corpo astrale non riusciva più a trovare la via del ritorno? La Wendy fisica sarebbe rimasta in stato d'incoscienza, intrappolata in una trance autoindotta, in coma, come aveva ipotizzato Alex? Qualcuno avrebbe potuto strapparla alla trance, se dentro di lei non fosse rimasto più nulla del suo io cosciente? Non era il momento più adatto per tentare un esperimento del genere. Se si fosse trovata sdraiata su un divano, nella sua casa di Windale, avrebbe corso il rischio di lasciare l'edificio, magari perfino la città stessa, sapendo dove doveva tornare, in quale direzione avrebbe dovuto dirigere la sua volontà al termine della sessione. Ma di notte, su una macchina in viaggio, era riluttante a correre un simile rischio. Trascorse invece qualche minuto a fluttuare nel retro del SUV, spostando la propria consapevolezza intorno ai bagagli e ai souvenir che aveva accumulato a Winnipeg, passando attraverso il cappio della cinghia della cu-
stodia di una fotocamera, sgusciando sotto i sedili e spingendosi fino alla minima piega, all'angolo più nascosto, come se la sua consapevolezza fosse stata ridotta a un punto minuscolo e concentrato, a una singolarità corrispondente alla sua mente, un viandante privo di ossa, di corpo, di massa, libero dai limiti dello stato fisico. Questo potrebbe tornarmi utile se mai dovessi perdere le chiavi, pensò, con una risata mentale che più che un suono fisico fu uno scoppio di euforia inattesa. Adesso però era arrivato il momento di porre fine all'esperimento, almeno finché non si fossero fermati e lei non avesse potuto provare a spostarsi più lontano sul piano astrale. Con la volontà, si riportò sul sedile anteriore della macchina, notando che a un certo punto le mani della Wendy fisica si erano separate; le parve strano non aver percepito in qualche modo quello spostamento... Ma del resto, lo scopo per cui aveva focalizzato la propria consapevolezza esclusivamente sul cristallo, e su niente altro, era stato proprio quello di raggiungere lo stato di distacco assoluto necessario alla proiezione astrale. Tornò quindi ad adagiarsi nei confini del proprio corpo, come se scivolasse sotto una coperta. Il momento prima la sua consapevolezza era un'entità separata, quello successivo tornò ad avvertire la pressione delle gambe contro il sedile, il contatto delle dita con il cotone dei jeans, e la lieve tensione muscolare del collo inclinato. Le palpebre si sollevarono e alzò la testa; portando una mano alla nuca per massaggiarsi il collo, si accigliò di fronte alla relativa difficoltà di quel semplice movimento. Si sentiva gli arti pesanti, non per il pungente formicolio che accompagnava il ripristino della circolazione, ma per uno sconcertante senso di... pesantezza, come se fossero stati rivestiti di un'armatura... «La forza di gravità», mormorò piena di meraviglia. Durante il breve esperimento di estraniamento della consapevolezza, si era liberata dalle pastoie della forza di gravità. Non era la prima volta che si chiedeva come Wither e gli altri membri della sua congrega fossero state in grado di volare, quale meccanica magica si fosse celata dietro il loro volo, e cercò di immaginare l'esaltazione che dovevano aver provato la prima volta... e anche la centesima! Conoscere una simile assenza di peso, e tuttavia conservare il proprio corpo fisico, volare senza bisogno di ali o di qualsiasi altro tipo di mezzo fisico, avendo un controllo assoluto... Scosse il capo, interrompendo quelle inutili riflessioni. Ma se è possibile, è davvero una cosa inutile? insisté un angolo della
mente. «Non hai avuto fortuna, vero?» «Cosa?», domandò Wendy, disorientata da quella domanda. «Ti sei addormentata di nuovo». «No, ha funzionato», ribatté lei. «Mi sono proiettata astralmente fuori dal corpo, sono andata alla deriva nell'etere cosmico. La chiave era la focalizzazione, ma naturalmente quel sonnellino mi è stato di aiuto». «Davvero?», commentò Alex, mascherando un altro sbadiglio. «Non che non ti creda, ma da dove mi trovo, ecco, non sono riuscito a capire... che stavi facendo così tanto. Quindi... ha funzionato davvero?» «Sì, davvero», annuì Wendy, poi ridacchiò, un po' ebbra per il successo riportato e per il fatto di poter condividere l'esperienza con qualcuno. «Ho fluttuato dappertutto, qui dentro». «E sei certa che non sia stato... un sogno?» «No, non era un sogno. Era una cosa diversa, liberatoria. Un'esperienza un po' strana, ma affascinante. Non ci credi, vero?», continuò, fissandolo con espressione accigliata. «Pensi che stia mascherando un altro sonnellino». «Ecco, io...» «Ero a questa distanza dalla tua faccia», insisté Wendy sollevando la mano, pollice e indice a un paio di centimetri uno dall'altro. «Ti ho guardato negli occhi, e ho perfino provato...» S'interruppe, sentendosi arrossire. «Cos'hai provato?» «A titolo di esperimento», cominciò Wendy, a disagio per il proprio imbarazzo, «per vedere che sensazione avrebbe dato, ho cercato di darti un bacio astrale». Alex inarcò di scatto le sopracciglia e si portò la mano destra alla guancia. «Il punto è quello», confermò Wendy. «Ti ho fatto rabbrividire». «Sei stata tu», mormorò lui fissandola stupito, e quando Wendy annuì, con un ampio sorriso, aggiunse: «Ho sentito qualcosa, come una sorta di brivido... ha funzionato davvero!» «È quello che sto cercando di dirti, sciocco!» «Accidenti», commentò Alex. «Volevo dire... accidenti! Che si prova?» «In realtà, non riuscivo a sentire più niente: niente pelle, niente sensazioni tattili. Ero priva di peso, e potevo dirigere la mia consapevolezza dove volevo andare, anche nei posti più piccoli, ma per qualche ragione ero riluttante ad attraversare gli oggetti solidi. Poi ho pensato di passare attra-
verso la macchina, ma ho avuto paura di non riuscire a trovare la via del ritorno?» «Niente occhi, ma potevi vedere». «In un modo diverso da quello normale, però. È difficile da spiegare, ma quello che vedevo sembrava essere soltanto un'estensione della consapevolezza. Niente si metteva a fuoco o si faceva sfocato, tutto era semplicemente là, nitido come il cristallo, dovunque indirizzassi la mia consapevolezza». «Scommetto che la Vecchia rimarrà...», cominciò Alex, interrompendosi a metà per fare un enorme sbadiglio, «...impressionata dal tuo programma di autoistruzione». «Ricorda che il suo motto è: "Ciò che realizzi deve sempre superare le tue stesse aspettative"». «Giusto, è un classico». «Quanto tempo sono rimasta...» Wendy stava per dire addormentata, ma si corresse in tempo. «Quanto sono rimasta in trance?» «Direi che sei stata fuori dal corpo per un'ora abbondante. Ci stiamo avvicinando a Cleveland». «Così tanto? Immagino di aver perso la nozione del tempo». Se mai mi sono resa conto del suo trascorrere, pensò, muovendo le spalle per rilassarle. «È stata un'esperienza straordinaria», continuò, «ma tornare sul piano fisico è letteralmente opprimente, come avere le ossa rivestite di cemento». «Se vuoi continuo a guidare io...» «No, no, mi sto decomprimendo... o ricomprimendo... o almeno credo», disse Wendy. «Inoltre, adesso sei tu quello che sta sbadigliando a catena, mentre io sono riposata. Guiderò io. Accosta alla prossima piazzola di sosta, e ci diamo il cambio». Fargo, Nord Dakota 2 gennaio 2002 La creatura può correre per molti chilometri e per molte ore senza stancarsi e senza riposare, finché la fame non diventa troppo insistente, e tuttavia, paragonata alla velocità dei veicoli umani... non c'è da meravigliarsi che abbiano accantonato i cavalli... Un inseguimento a piedi sarebbe condannato al fallimento già in partenza. Rimarrebbe impossibilitata a raggiungere la preda speciale per intere settimane! Quel pensiero è intol-
lerabile, quindi non le resta altra scelta se non quella di approfittare di nuovo della potenza e della velocità dei veicoli degli uomini per accorciare le distanze, per portare a termine la caccia. Non appena arriva a un'area di sosta pavimentata, separata dalla strada principale, uno di quegli spazi dove gli umani arrestano i loro veicoli per parecchi minuti prima di riprendere il viaggio, la creatura si rannicchia su se stessa, avanzando silenziosa fra i cespugli. Alcune di quelle strade pavimentate portano lontano dalla preda speciale, ma molte altre conducono a lei, non a volo d'uccello, ma secondo il modo di viaggiare degli uomini. Tutti i veicoli che si fermano in quel luogo, presto riprenderanno il cammino. Il filo pulsante fra il bianco e l'azzurro tremola nell'aria sopra la strada, perdendosi nella sua stessa direzione. Lei è passata di lì, e la creatura deve seguirla. Vede profilarsi la sua occasione quando uno dei veicoli di tipo più lungo si ferma al limitare dell'area di sosta, stridendo e sibilando come una bestia irritata che sia costretta ad arrestarsi contro la propria volontà. Il conducente salta giù dalla corta sezione anteriore del veicolo e si dirige verso le costruzioni umane, con le loro insegne vivaci e le loro luci, assestandosi i pantaloni intorno a una grossa pancia. La creatura concentra la propria attenzione sul veicolo, che ha la sezione di guida attaccata a una lunga estremità a forma di scatola, posta su molte ruote nere; la parte posteriore è grande quanto una carrozza ferroviaria. Sfruttando la copertura offerta dai pini, la creatura avanza guardinga, chiedendosi se quella bestia di metallo possa avvertire la sua presenza ora che è tanto vicina, se reagirà o cercherà di avvertire in qualche modo il suo padrone. Però non accade nulla. La creatura si avvicina al retro, vede una piccola sporgenza vicino alla porta posteriore e vi salta sopra, protendendosi ad affondare gli artigli nell'acciaio per sorreggersi. Una mano dopo l'altra, con gli artigli che forano il metallo, si issa su per lo sportello posteriore del veicolo fino a salire sul tetto, dove aspetta, aspetta, finché... L'uomo ritorna fischiettando... Si sente uno scricchiolio quando sale sulla parte anteriore del veicolo. Pochi istanti dopo, la bestia metallica prende vita ruggendo e borbottando, il suo potere si è liberato. Il veicolo si muove, acquista velocità. Il vento sferza la creatura nella sua posizione esposta sul tetto, e quando la velocità aumenta, il vento diventa tanto forte da costituire un vero e proprio ostacolo. La creatura si protende in avanti, e affonda gli artigli nel metallo, chiudendo parzialmente le mani a pugno
fino ad avere una presa sicura. Forse sta solo immaginando che il filo fra il bianco e l'azzurro pulsi ora un po' più intenso, più definito, ma si sente rassicurata dal fatto che sta ora viaggiando veloce quanto la sua preda. È spietata e instancabile, e non si fermerà prima di essersi accertata che la preda sia morta, e di poter di nuovo vagare liberamente. I minuti diventano ore, i chilometri sembrano interminabili. Malgrado il vento sferzante e la neve, la creatura tiene duro. Presto si addormenta, permettendo alla mente di Jacques Robitaille di riesumare ricordi carichi di emozioni vecchi centinaia di anni, che la creatura ha abbandonato quando ha rinunciato al suo ultimo brandello di umanità. Ricordi di un posto che un tempo chiamava casa... Rupert's Land, Red River Valley Canada Novembre 1768 Appiedata, vagabondando verso nord, la creatura è tornata nel luogo che ricorda essere la sua casa, una dimora umana che ora le appare strana. Qui viveva e trovava conforto in una vita precedente, che adesso è priva di significato. La creatura non ha più bisogno di trovare riparo dalle tempeste invernali: è lei stessa a generarle! Il cambiamento è ormai completo, anche se non del tutto consapevole. Tutto ciò che in essa era umano è scomparso, e i pochi mutamenti ancora in corso servono soltanto ad allontanarla sempre più dalla sua condizione precedente. Adesso è incapace di manovrare una canoa o di piazzare una trappola per castori, incapace di caricare o di azionare un fucile; ha invece il potere di avvolgersi intorno la neve come un mantello, di usare le tempeste invernali per accecare e sferzare gli uomini; mentre se ne stanno raggomitolati per proteggersi dall'imperversare del gelo, può dar loro la caccia impunemente. Come sta facendo anche ora. Striscia in avanti, seguendo il perimetro della capanna di tronchi, dal cui tetto scaturiscono volute di fumo nero; quando si ferma, assume un'immobilità inumana che la fa quasi apparire parte del gelido panorama, mimetizzata nella bianca coltre che copre il mondo, mentre l'aria è frustata da grandi fiocchi di neve. La sente muoversi all'interno, sente la sua fragile voce portata dal vento, e un nome le affiora nella mente... Piccola Cerva. Quel nome sembra importante... Ma nulla ha importanza, nulla tranne cacciare e nutrirsi. Un bambino sta piangendo... ha freddo o ha fame, forse entrambe le cose. Affiora un altro
nome... François; anch'esso significa qualcosa per la creatura che un tempo era Jacques, ma i ricordi si sono frantumati e restano soltanto frammenti d'immagine, spezzettati al punto da non poter essere ricomposti né riconosciuti. Cacciare e nutrirsi sono le sole cose che contano... tutto il resto non ha significato. Certa che i due siano soli, senza possibilità di ricevere aiuto immediato, la creatura si alza e avanza a lunghi passi verso la porta, dapprima correndo, poi lanciandosi alla carica fino a sbattere contro il legno. Il primo colpo è abbastanza possente da permetterle di entrare nel fragile riparo degli umani: il legno s'infrange sotto la sua furia, rivelando la femmina umana dai lunghi capelli neri intrecciati e dalla pelle scura, vestita di pelli animali; un bambino è fermo dietro di lei, a bocca aperta. Sulla sinistra c'è un piccolo, misero fuoco di ceppi, e accanto al fuoco c'è un letto con un lato attaccato alla parete; sotto di esso è infilato un lettino da bambino. Per un istante, forse due, la creatura guarda la femmina in un fugace intervallo di indecisione. La donna fissa con orrore ciò che essa è diventata, sul suo volto non ci sono altre espressioni. In quel fatale, immobile istante, sembra importante che lei riesca a riconoscere chi fosse la creatura prima del cambiamento, e quando questo non accade, può soltanto dare sfogo alla sua fame insaziabile. La donna è priva di armi, e così pure il bambino scarno dietro di lei. Niente ha importanza, sola la fame... e poterla saziare. Avverte che la donna sta per urlare, ed emette il suo stridio, il suo lamento di caccia, che trapassa il gelo come un ghiacciolo conficcato nel cuore. La donna la fissa con occhi dilatati, impotente e paralizzata dal terrore, poi in qualche modo ritrova il controllo dei muscoli e si volge di spalle, cercando di riparare il bambino, la cui pelle è più chiara della sua, ma comunque più scura di... Il pensiero si disperde quando i denti della creatura affondano nella nuca della donna, i suoi artigli le avvolgono i fianchi e affondano nella carne delle cosce. Lei si ritrae, crollando sul bambino, che ora sta urlando. La creatura si lancia su entrambi, schiacciandoli con il suo peso e la sua furia, devastando la carne e le ossa finché entrambi non vengono messi per sempre a tacere dalla sua fame spietata e insaziabile. E questo è tutto ciò che conta...
In viaggio: I-94 Est Nei dintorni di Minneapolis 3 gennaio 2002 La creatura si sveglia, ricorda frammenti di un sogno in cui si cibava, saziando la fame incredibile. Quel ricordo serve soltanto a farle rendersi conto di avere di nuovo fame, e la induce a pensare al conducente del veicolo su cui sta viaggiando, quell'uomo grasso. Quando si fermerà di nuovo, lo divorerà. Ci sono molti conducenti sulle larghe strade che portano alla sua preda speciale, quindi non avrà problemi a trovare un altro veicolo su cui viaggiare. Si sposta in avanti, praticando con gli artigli nuovi fori nel tetto di metallo. Troppo famelica per poter dormire ancora, resta in attesa, mentre la lunga notte invernale scorre lenta, osservando quel pulsante filamento fra il bianco e l'azzurro che si contorce nell'aria, girando e roteando, ma mostrando sempre la via verso la libertà. Finalmente il conducente si ferma di nuovo. Prima che il veicolo emetta l'ultimo sibilo e stridio, prima che le grosse ruote nere smettano di girare, la creatura salta a terra vicino alla sezione anteriore, sul lato opposto a quello del conducente, e proietta la sua illusione più semplice, quella di un vecchio dai vestiti neri. Poi spalanca la portiera. Il massiccio guidatore si gira di scatto fissandolo a bocca aperta, sorpreso, più confuso che intimidito dalla vista di quel vecchio. «Che diavolo succede?» La creatura si lancia nel veicolo, la mano destra sfreccia in avanti e affonda in quella tenera gola umana. Con l'altra mano, tira a sé il pasto e si china su di esso per nutrirsi. Note 1. È il titolo di un brano musicale degli Astralasia [ndt]. Capitolo 9 In viaggio: Ohio, Pennsylvania, New York, I-90 Est 3 gennaio 2002 Durante le prime ore del mattino, Alex dormì un poco mentre Wendy
guidava; la vasta massa di oscurità del Lago Erie fiancheggiava la I-90 alla sua sinistra. I secondi scorrevano lenti, i minuti si trascinavano e le ore parevano interminabili. Da Cleveland a Buffalo c'erano quasi trecentoventi chilometri, ognuno dei quali sembrava più lungo dei precedenti, come se il continuum spazio-temporale fosse diventato elastico e lei si stesse allontanando dalla sua destinazione in maniera proporzionale al tempo trascorso alla guida; e dato che Alex stava dormendo, non poteva nemmeno chiacchierare per far passare il tempo. Aveva davanti a sé così tanto lavoro da svolgere per prepararsi, e tuttavia il modo di procedere per addestrarsi rimaneva un mistero; peraltro, anche ammesso che avesse avuto un piano, la possibilità di praticare la magia era decisamente limitata finché rimaneva al volante di una macchina, soprattutto di notte e con la minaccia quasi costante di una nuova bufera sulle strade già intasate di neve o ghiacciate. Dopo la lunga notte di guida che era stata necessaria per attraversare l'Ohio, tagliare attraverso il camino nord-occidentale della Pennsylvania in meno di un'ora fu un vero sollievo. Quando però arrivò allo Stato di New York, controllò la cartina e calcolò che ancora quasi seicento chilometri la separavano dal Massachusetts, sentì infine le energie venirle meno, e nonostante le terribili nevicate che vi si erano verificate nell'ultima settimana, Buffalo divenne la sua meta. Là avrebbero potuto prendere una stanza in un motel, concedersi un po' di ore di sonno in un vero letto, fare il pieno di caffè e ritrovarsi a meno di ottocento chilometri da Windale, una distanza che non sarebbe più apparsa tanto spaventosa, se affrontata al mattino, dopo una notte di sonno. Nell'avvicinarsi a Buffalo, cominciò a scrutare i cartelloni pubblicitari che indicavano motel vicini alle uscite della I-90, ne scelse uno e imboccò lo svincolo, rallentando ogni tanto per seguire i cartelli che indirizzavano al motel prescelto. Il cambiamento di velocità ebbe l'effetto di riscuotere Alex da quello che era stato, nel migliore dei casi, un sonno leggero in una posizione scomoda, raggomitolato sul sedile. Per chissà quale motivo, nessuno dei due aveva pensato di passare sul sedile posteriore per dormire disteso: a parte i possibili rischi connessi al viaggiare in quella posizione, abbandonare il sedile anteriore sarebbe parso poco sportivo. Uno per tutti e tutti per uno, pensò distrattamente Wendy. Il codice d'onore dei moschettieri. I due moschettieri, se non si calcola la Wendy astrale. D'accordo, sto dando leggermente i numeri. «Dove siamo?», borbottò Alex, sfregandosi gli occhi assonnati. «E per-
ché ci stiamo fermando?» «Siamo a Buffalo», rispose Wendy. «Sono irrigidita, affamata, annoiata e, francamente, un po' delirante. Penso che abbiamo fatto abbastanza strada in un solo giorno, e arrivare a Windale totalmente distrutti non servirebbe a nulla», aggiunse imboccando il viale d'ingresso dell'Hampton Inn. «Prega che abbiano camere libere», aggiunse mentre parcheggiava davanti all'ingresso. «Aspetta qui, vado a vedere». Quindici minuti più tardi trascinarono i rispettivi trolley fuori dall'ascensore e lungo il corridoio del secondo piano, fino alla loro stanza; a parte lo stridio delle ruote della valigetta di Wendy, il solo rumore era il sommesso ronzare del motore dei distributori di ghiaccio e bevande. «Hai fame?», domandò Alex. «Sono troppo stanca per mangiare, ma domattina non perderò tempo a lanciarmi sul buffet della colazione». «Spero solo che il borbottio dello stomaco non mi tenga sveglio tutta la notte... O è già mattina? A proposito, che ore sono?» Intanto si arrestarono davanti alla loro stanza. Wendy inserì nella fessura la chiave magnetica, abbassò la maniglia e spinse il battente con la spalla, accendendo la luce: la camera era abbastanza ampia, ben illuminata e pulita. «Letti gemelli?», commentò Alex, fermandosi al centro della stanza e scuotendo il capo. «A cosa stavi pensando?» «Oh, stavo sognando a occhi aperti il momento in cui avrei potuto sognare davvero». «Dormire è per gli imbranati», dichiarò Alex, dirigendosi con passo affaticato verso il letto più lontano; si sfilò il parka e lo lanciò verso una sedia dall'altra parte della stanza, mancandola completamente, poi si lasciò cadere all'indietro sul letto. «Dormire, eh?» «Cos'avete, voi maschi? Non riuscite mai a staccare la spina?» «Siamo cablati», dichiarò Alex, scrollando le spalle senza alzarsi. «Dobbiamo alzare la bandiera... anche se siamo troppo stanchi per eseguire il saluto». «Io ho intenzione di lavarmi la faccia e i denti, di dormire e di essere di nuovo in viaggio per le sei». «Le sei? Ti ha dato di volta il cervello? Quanto manca alle sei... un'ora?» «Non proprio», rispose Wendy. «Va bene, diciamo alle sette, allora». Ignorando il gemito di protesta di Alex, compose il numero per il servizio sveglia e inserì l'orario 7.00 a.m. nel sistema automatico di risposta.
Windale, Massachusetts È il tramonto. Il crepuscolo, una chiazza rossa sparsa nel cielo a Occidente, sbiadisce progressivamente in un livido color porpora. Sta volando sopra Windale, ma è una Windale dalle strade di terra battuta segnate dai solchi delle ruote dei carri, come se avesse volato nel passato della cittadina. Cabra sulla sinistra, scendendo in picchiata verso un campo di grano, gli occhi che vedono nel buio intenti a cercare una traccia di movimento, fino a trovare... Un uomo che indossa una logora tuta da lavoro cammina con passo incerto, zigzagando e soffermandosi a brevi intervalli per bere un sorso da una bottiglia; il whisky gli cola lungo il mento, e lui lo asciuga con il dorso della mano abbronzata. Forse si è addormentato nei campi, ubriaco, e ora sta tornando verso casa, noncurante di quanto lo circonda, inconsapevole di quanto incombe sopra di lui. La bottiglia di whisky esplode per l'impatto improvviso, frantumandosi nella mano dell'uomo, ma prima che lui abbia il tempo di reagire, gli artigli gli affondano nella carne, schiacciandogli le costole e strappando tutta l'aria dal torace scarno. Reggendo il suo fardello, torna a salire verso l'alto disegnando un arco, poi torna a scendere in picchiata, diretta questa volta verso i rami di una vecchia quercia. Là, incastra l'uomo stordito nella biforcazione di un ramo e con un colpo dei potenti artigli gli squarcia la gola per impedirgli di urlare. Le ampie labbra si ritraggono su file di denti aguzzi e irregolari, e la testa scura, dalla pelle spessa come il cuoio, scatta in avanti. Mentre le zanne affondano nella carne dell'uomo, un fiotto di sangue caldo le si riversa in bocca... Kayla si svegliò sentendosi in bocca un sapore di sangue caldo. In un primo tempo le parve che si trattasse di un'illusione sensoria, un residuo lasciato da quel terribile sogno ciclico, poi si accorse che il sapore era reale... perché lo era anche il sangue! Ci volle un intero, spaventoso istante per rendersi conto che si trattava del suo stesso sangue; la lingua le pulsava, segno che doveva essersela morsa nel sonno. Con i nervi profondamente scossi, continuò a tremare per parecchi minuti. Il quadrante luminoso della sveglia accanto al letto indicava le 2.13 a.m.
Gli incubi stanno cominciando prima, pensò, si avvicinano all'ora delle streghe. Le tende a scorrimento erano abbassate, le persiane chiuse, ma non riuscì a resistere alla tentazione di dare una sbirciatina all'esterno, pronta a trovarsi davanti la faccia di Wither, o magari quella del mostro, a farle rendere conto che credeva soltanto di essersi svegliata. Forse non mi sono morsa la lingua, si disse, forse si tratta solo di un incubo dentro un altro incubo. Scostate leggermente le tende interne, insinuò un dito fra le lamelle delle veneziane, divaricandole, e vide... soltanto la coltre di neve che brillava di un candore quasi assoluto nel riflesso della luna calante. Almeno per quella notte, all'esterno non c'erano sorprese. Dovrei essere grata delle piccole cose buone, pensò, mentre si dirigeva in cucina a piedi nudi. Non sapendo bene come disinfettare un morso alla lingua, alla fine decise di fare qualche sciacquo con acqua e sale, usando l'acqua fredda, dato che quella calda avrebbe provocato una nuova emorragia. Il sale bruciava, ma accolse con piacere quel fastidio... qualsiasi cosa, pur di togliersi dalla mente quel sogno spaventoso. Quando ebbe finito, si fermò in bagno, in fondo al corridoio, e aprì l'acqua fredda con l'intenzione di sciacquarsi la faccia, nella speranza che l'aiutasse a rimanere sveglia abbastanza a lungo da evitare di ricadere nello stesso sogno. Quando l'assalivano in un orario più vicino all'alba, quei sogni le sembravano meno... meno immondi. Facendo scorrere l'acqua, si esaminò la faccia con occhi assonnati: a quell'ora della notte, le sue labbra piene sembravano addirittura gonfie... Poi la sua attenzione fu attratta dal labbro inferiore, quello attraversato dall'anello, e in particolare da parecchie, piccole macchie di sangue scuro che lo chiazzavano. Sangue scuro... Socchiudendo gli occhi per proteggerli dal chiarore improvviso, accese la luce dello specchio e si strinse il labbro fra pollice e indice, tirandolo in fuori per esaminarlo: il sangue secco appariva marrone, e non nero, come aveva temuto. Grattate via le piccole incrostazioni con l'unghia smaltata di nero, fece scorrere l'acqua per farle finire nello scarico, poi tirò fuori la lingua, girandola di lato per esaminare il morso che appariva un po' infiammato... ma fortunatamente rosso. Soddisfatta, si spruzzò un po' d'acqua sul viso, si asciugò con un asciugamano e tornò in camera. Una volta seduta sul letto, fu assalita nuovamente dall'impulso di sbir-
ciare fuori della finestra. Merda! imprecò fra sé. Sta diventando una specie di ossessione compulsiva. Decisa a resistere all'impulso, si tirò su le coperte e si girò sul fianco opposto alla finestra. Trascorse un minuto, poi un altro, e una tensione crescente al centro della schiena la fece rabbrividire. D'accordo, solo un'occhiata, si arrese. Saltata giù dal letto, raggiunse in fretta la finestra, serrò la mano intorno al cordone della tenda, fece un profondo respiro e assestò uno strattone deciso. La tenda scattò verso l'alto... Niente, Solo una coltre di neve, e gli alberi ammantati di bianco. Allora perché il cuore le stava martellando nel petto? Rabbrividendo, riabbassò la tenda, tornò a letto e, dopo molto tempo, riuscì a prendere sonno. In viaggio: I-94 Est Entrando nel Wisconsin Dopo aver divorato la maggior parte del corpo grassoccio del conducente del lungo veicolo a due sezioni, la creatura non ha difficoltà a trovare un altro mezzo di trasporto, lasciando l'area di sosta prima che gli umani possano scoprire la carcassa divorata. Grande, ma non lungo quanto il precedente, questo veicolo ha una sola sezione, è bianco e ha delle finestre sul retro e lungo i lati; per fortuna sono coperte da tende. Questo nuovo veicolo ha un nome dipinto sul lato, un nome indiano: Winnebago. Un particolare interessante è una scaletta di metallo fissata sul retro, ma quella comodità è chiaramente destinata soltanto ai fragili umani, dato che quando la creatura vi si arrampica sopra, i pioli di metallo si piegano sotto il suo peso e uno quasi si stacca, prima che riesca ad arrivare in cima. La creatura si sdraia sul tetto, con gli artigli che affondano nel metallo liscio. Avverte che questo veicolo è meno robusto del precedente: il minimo movimento della sua mole è sufficiente afar sì che il metallo scricchioli e gema in segno di protesta. Nonostante le molte pecche, comunque, quel mezzo di trasporto è rapido quanto il precedente. La creatura se ne sta distesa immobile, tenendosi aggrappata per resistere al vento e tuttavia assaporando quell'aria gelida che la rinvigorisce. Dalle palpebre socchiuse, osserva il sentiero che le si snoda davanti, affascinata dal filo pulsante fra il bianco e l'azzurro e dalla sua promessa di libertà. I chilometri scorrono via senza fatica.
Buffalo, New York Wendy scosse Alex per una spalla. Entrambi si erano addormentati ancora vestiti, e Alex non aveva perso neppure il tempo necessario a infilarsi sotto le coperte, si era limitato a sfilarsi gli stivali, poi si era raggomitolato su un fianco e si era addormentato. Wendy tornò a scuoterlo, questa volta con maggiore decisione. «Non possono essere già le sette», borbottò lui. «Fuori è ancora buio». Wendy si diresse alla finestra e aprì gli scuri pesanti con un unico movimento deciso, inondando la stanza della luce del mattino. Alex sussultò, come un vampiro sorpreso all'interno di una serra al sorgere del sole, si tolse il cuscino da sotto la guancia e se lo premette sopra la testa. «Guiderò io per prima», disse Wendy, «ma non posso trasportarti di peso fino alla macchina». Ottenne una risposta assai poco entusiastica, soffocata dal cuscino ipoallergenico. «Di sotto ci aspetta il buffet della colazione», insisté, facendo ora appello allo stomaco vuoto di lui. La reazione fu un'altra risposta borbottata che suonava come: «Portami uno di tutto». Wendy si rese conto che doveva trovare il modo di snidarlo da sotto quel cuscino: la parte peggiore del risveglio erano infatti sempre i primi cinque minuti. «Aspettami qui», disse. «Nessun problema», fu la risposta soffocata. In bagno, Wendy si spogliò e si avvolse in un telo da doccia bianco, infilandone l'angolo sotto l'ascella sinistra, poi perse ancora un momento per districare i capelli ramati lunghi fino alle spalle, pettinandoli con le dita, e infine tornò accanto al letto di Alex, sedendo sul bordo e battendogli un colpetto sulla coscia. «Sei pronto per la doccia?» «Tu l'hai già fatta?» Forse Alex aveva intravisto la sua coscia nuda, il che avrebbe potuto spiegare come mai il cuscino sembrava ora meno incollato alla sua testa e la voce suonava più nitida. «No». «Vuoi che vada io per primo?»
«Nooo», fu la risposta, dal tono decisamente strascicato. Anche così assonnato, Alex avrebbe dovuto impiegare solo un paio di secondi a capire cosa stava sottintendendo. Finalmente incuriosito a sufficienza, gettò da parte il cuscino e si sollevò sul gomito destro. «Doccia mista?», chiese. «Tecnicamente parlando, non sono più una studentessa del college, ma...» «Sarebbe un trucco davvero crudele, se...» «Niente trucchi», sorrise Wendy. «Parola di strega». «E non stiamo parlando di una doccia mista fredda?» Wendy gli assestò una pacca sulla coscia, poi si alzò e si diresse verso il bagno. «La faremo calda quanto vuoi», promise, lanciandogli un'occhiata da sopra la spalla con un sorriso seducente. «Ma solo se sarai fuori da quel letto entro i prossimi dieci secondi». Alex ne impiegò meno di cinque per alzarsi e seguirla in bagno. In viaggio New York, I-90 Est Nonostante il tempo perso ad assaporare la colazione del buffet e quello dedicato alla doccia in comune, prima delle nove Wendy e Alex erano di nuovo in viaggio. Wendy si offrì di guidare finché non fosse apparsa la Vecchia o finché non avesse avuto bisogno di un po' di riposo, qualsiasi delle due cose si fosse verificata per prima; con il serbatoio pieno di benzina e un sacchetto di carta marrone pieno di snack e di lattine di soda acquistati a un minimarket, erano pronti al lungo tragitto attraverso lo Stato di New York. «Quanti chilometri mancano al Massachusetts?», chiese Alex. «Circa cinquecento», rispose Wendy, poi notò l'espressione seria apparsa sul volto di lui, e domandò: «Cosa c'è?» «Per quanto abbia gradito immensamente il tempo trascorso insieme», disse Alex, «e in particolare il tuo rinnovato impegno a ridurre i consumi di acqua, visto che era passato molto tempo da...» «Sì, molto tempo», convenne lei, «ma...» «In retrospettiva, con vista da dieci decimi del senno di poi, saresti potuto rientrare in aereo». «Non volevo abbandonare la macchina... la mia macchina», replicò Wendy, che era stata sul punto di dire: la macchina di mia madre.
«Avrei potuto riportarla io a Windale». Quando si era trovata a dover affrontare da sola il viaggio di rientro, non aveva preso nemmeno in considerazione l'idea dell'aereo, e quando Alex aveva chiesto di poterla accompagnare, aveva accolto a braccia aperte l'occasione di poter riallacciare i rapporti con lui, di poter ristabilire il loro legame emotivo; dopo la doccia di quella mattina, che era stata una sua idea, doveva ammettere che, se gli aveva permesso di accompagnarla, non era stato solo per motivi pratici. Inoltre, per via della crisi in corso, doveva addestrarsi, acquisire familiarità con nuove procedure magiche, e in quest'ottica il luogo in cui si trovava non aveva importanza. Tuttavia, aveva un altro motivo per voler rimandare il rientro a Windale, un'altra causa d'incertezza che aveva il terrore di dover affrontare. «Mi serve tempo per addestrarmi e per venire a patti con l'idea che lei potrebbe essere tornata, che potrebbe essere a Windale ad aspettarmi», disse. «Aspetta... non vorrai dire...», cominciò Alex, raddrizzandosi di scatto. «Lei è già tornata una volta, in un corpo diverso, quando io la credevo morta già da molto tempo». «E tu pensi che Kayla potrebbe essere...» «No», lo interruppe Wendy, pensando: Parla del diavolo, e ne spunta la coda... «No, non lo penso, ma devo comunque essere pronta a ogni eventualità», proseguì con un sospiro profondo. «Kayla era stata infettata dal sangue di Wither, e adesso le sta succedendo qualcosa, e forse... forse non sarà mai più la stessa». Ecco, rifletté, adesso ho anche pronunciato il suo nome! «Devo scoprire di cosa si tratta. Ho il sospetto che mi stia nascondendo qualcosa, ma... ecco, forse non è importante». «Kayla è forte. Se la caverà benissimo». Wendy annuì, anche se l'intuito le diceva che tutto ciò che riguardava Kayla poteva essere importante. E se diventasse mia nemica? si chiese. Non potrei sopportarlo. In viaggio: New York, Massachusetts, I-90 Est Stavano viaggiando da solo tre ore quando arrivarono nelle vicinanze di Syracuse, e tuttavia Wendy si sentiva già le gambe rigide. Sindrome di affaticamento da guida, pensò. Il recupero diminuisce ogni giorno che passa. A Schenectady si fermarono per un pranzo tardivo a un
drive-in, dove si concessero parecchi minuti per sgranchirsi e andare alla toilette; con Alex alla guida, entrarono quindi nel Massachusetts, avendo ancora davanti quasi duecentocinquanta chilometri prima di arrivare a Windale. A quel punto Wendy telefonò a Kayla, al Crystal Path, per avvertirla che sarebbero arrivati a Windale in prima serata, più o meno presto a seconda delle condizioni della strada. «State tenendo una buona tabella di marcia», osservò Kayla, e Wendy si chiese se nella sua voce non ci fosse una nota di tensione. «Grazie al fatto che guidiamo a turno e che resistiamo cocciutamente al sonno», rispose. Ci siamo, pensò intanto, mentre continuava: «Kayla, stasera hai il tempo di incontrarti con noi? Vorrei parlare con te di... di quello che sta succedendo». Seguì un silenzio prolungato. «Certo... richiamami quando sarete nelle vicinanze, e prenderemo gli ultimi accordi. Guidate con prudenza. Ad Alissa dispiacerà di non riuscire a incontrarti». «Ci vediamo presto», rispose Wendy, poi chiuse la comunicazione e commentò rivolta ad Alex. «Sembra un po' nervosa». «E ne ha motivo», osservò lui. «È coinvolta in una situazione di merda dannatamente seria». «Hai ragione. Sto dando troppo peso alla cosa». «Faremo luce su questa faccenda, Wendy, tutti noi, insieme», la rassicurò prendendole la mano. In un modo o nell'altro, troveremo le risposte che stiamo cercando, pensò Wendy, ma potrebbero non essere quelle che vogliamo. In viaggio: Massachusetts, I-90 Est, I-95 Nord Si stavano avvicinando a Worchester, ed erano ormai a poco più di un'ora di viaggio da Windale, quando la figura spettrale della Vecchia tornò infine ad apparire sul sedile alle spalle di Wendy. «Cominciavo a pensare che non ti saresti fatta vedere», commentò Wendy con una nota di sollievo evidente nella voce. «Non è una cosa semplice, Wendy», replicò la Vecchia. «A mano a mano che il tuo presente si avvicina all'inevitabile, fondamentale evento del mio passato... un punto fermo, se così si può dire... sperimento una... una resistenza sempre maggiore allorché cerco di manifestarmi. Il flusso del tempo, come quello dell'acqua, scorre lungo percorsi familiari».
«A causa del numero e della portata delle loro conseguenze», spiegò Wendy a beneficio di Alex, «gli eventi fondamentali del passato della Vecchia scavano... solchi più profondi, e sono più difficili da indirizzare». «Quindi, puoi modificare il corso di un affluente, ma non quello del Mississippi?», sintetizzò Alex rivolgendosi alla Vecchia, che annuì, accettando la metafora dell'acqua. «Le creature del caos, come Wither e il wendigo, sono una sorta di jolly temporali. Quello che nel mio passato era un esito positivo, potrebbe essere alterato dal caso nel vostro presente. Il male e il caos troveranno il modo di farlo, e il mio intento è quello di preparare Wendy a ciò che deve affrontare». «Giusto, quindi rimaniamo concentrati sul mio addestramento», annuì Wendy, preoccupata che la Vecchia non riuscisse più a riapparire se non dopo il superamento di quel punto fermo. «Hai menzionato tre cose su cui devo lavorare: la proiezione astrale, la sfera protettiva e la visione periferica». «Sì. Ti sei esercitata?» «Sono riuscita a effettuare una proiezione astrale», confermò Wendy, «ma a parte usarla per spiare le persone, non so come potrà aiutarmi a combattere quel grosso bestione». «Alex ha visto il tuo corpo astrale?» «No. Avrebbe dovuto?», chiese Wendy accigliandosi. «Non al primo stadio della proiezione astrale. Nel primo stadio sì è invisibili, e il solo senso di cui si dispone è la vista, e forse anche l'olfatto». «Devo essere visibile?» «Sì», confermò la Vecchia. «Questa è una cosa di importanza critica. Il tuo corpo astrale dovrebbe essere visibile, e più opaco di quanto sia adesso il mio». «Ti avevo detto che non sarebbe rimasta impressionata», commentò Wendy guardando verso Alex con un mezzo sorriso. «Non è di fare impressione su di me che devi preoccuparti, Wendy», disse la Vecchia. «Qui la posta in gioco è la tua stessa sopravvivenza». «Ho afferrato il punto», annuì cupa Wendy. «Sei tu l'esperta. Qualche suggerimento?» «Le mie manifestazioni qui», riprese la Vecchia, «sono dissimili da una pura proiezione astrale per via del rimbalzo temporale, quindi la mia tecnica non potrà esserti d'aiuto. Il mio suggerimento è di trattare il secondo stadio della proiezione astrale come una forma potenziata del componente
della visualizzazione. Dopo aver estrapolato la tua consapevolezza, sforzati di visualizzare il tuo apparire. Quanto migliore sarà la visualizzazione, tanto più opaca e realistica sarà la tua copia astrale». «Ci sono più di due stadi?» «Sì. La proiezione di un'immagine illusoria, per esempio, invece che di una replica di se stessi, e lo sviluppo di altri sensi astrali a parte la vista. Gli stadi successivi presentano livelli di difficoltà più elevati, ma fortunatamente, per ora il secondo stadio dovrebbe essere sufficiente». «Cosa può succedere, se il mio corpo astrale perde di vista quello fisico?» «Il tuo corpo fisico rimane inerte, finché la tua consapevolezza è altrove», spiegò la Vecchia. «Se a tale consapevolezza dovesse essere impedito di rientrare in esso, il corpo fisico, abbandonato a se stesso, finirebbe per morire di sete». «Deperirebbe fino a morire?» La Vecchia annuì. «Peraltro», affermò, «è improbabile che ti trovi a vagare tanto lontano dal tuo corpo da non riuscire a ritrovare la strada del ritorno, e comunque ci sono dei metodi per ritrovare un corpo perduto». «Corpo perduto? La cosa ha un suono che non mi piace. Come...?» «Potrebbe accadere se vagassi troppo lontano, finendo per perderti, o se qualcuno spostasse il tuo corpo mentre la tua consapevolezza è fuori di esso». «Non dovrei imparare questi metodi di ritrovamento?» «A un certo punto sarà consigliabile farlo, ma per il momento non è necessario», rispose la Vecchia. «Presto potrai cominciare a visualizzare un filo d'argento che collega il tuo corpo astrale a quello fisico, ma nella situazione attuale la cosa non è d'importanza critica». «Un filo d'argento? Come un cordone ombelicale psichico?» «In un certo senso sì». «Lo annoterò sulla mia lista delle cose-wicca-da-fare», commentò Wendy. «Adesso, però, ho bisogno che mi spieghi quella faccenda della visione periferica». «Sei stata tu a coniare questa definizione, Wendy... o almeno lo farai presto», ribatté la Vecchia con un sorrisetto astuto. «Cosa?», esclamò Alex, e subito aggiunse: «Chiedo scusa, ma dovevo chiederlo». «Continua a rubarmi la scena», disse Wendy in atteggiamento di anta-
gonismo scherzoso. «Viene qui dal futuro a dirmi cose che io un giorno dirò a lei. Ricorda che tutto questo confonde le idee solo se non si interpretano le regole di causa ed effetto con un po' di elasticità». «Ma non è obbligatorio farlo?», obiettò Alex con aria sconcertata». «A quanto pare, non lo è, se sei un viaggiatore temporale proiettato astralmente», rispose Wendy, poi riportò la propria attenzione sulla Vecchia, aggiungendo: «E adesso, per favore, spiegami questa definizione che avrei coniato». «La visione periferica è un modo per vedere le cose che non vogliono essere viste», fu la misteriosa spiegazione della Vecchia, «o per vedere attraverso qualcosa che non è reale. A volte, il wendigo proietta un'illusione per sembrare umano e ingannare la preda che sta per attaccare». «E io ho questa capacità?» «L'avrai, devi averla. È importante che impari come fare». «Allora non tenere per te questo segreto», la incalzò Wendy, pensando che era necessario accelerare i tempi di quella conversazione. L'immagine della Vecchia si era già fatta indistinta lungo i contorni e stava perdendo in lucidità, tanto che la stoffa del sedile era visibile con chiarezza sempre maggiore attraverso il suo torace. «Una volta mi hai descritto la visione periferica come un vedere di più, evitando di focalizzarsi su qualcosa in particolare». «Come si suppone che si debba fare per vedere quelle immagini stereoscopiche 3-D nascoste dell'Occhio Magico?» «Mi hai anche detto che la visione periferica comincia lungo i contorni esterni del campo visivo», continuò la Vecchia, «e che le illusioni sono meno efficaci lungo quei contorni». «Che costituiscono una sorta di confine fra ciò che si può vedere e ciò che c'è nel proprio punto cieco», aggiunse Wendy annuendo. «Forse, è stato per questo che hai coniato quel nome», rifletté la Vecchia. «Ricorda soltanto che per contrastare un'illusione non la devi guardare direttamente. Anche gli specchi possono rivelare un'illusione, ma solo se la persona non l'ha ancora guardata direttamente; per qualche motivo, una volta che la mente è stata ingannata, l'illusione resiste anche all'impatto con le superfici riflettenti». «Una volta che avrò sviluppato la visione periferica, il wendigo non sarà in grado di prendermi alla sprovvista?» «È... una creatura spaventosa», disse la Vecchia. «Non la sottovalutare... il suo urlo paralizza di terrore gli esseri umani».
«Magicamente?» «Non lo so... deve essere solo... effetto nervoso». «Prima di andartene, dimmi che sorta di esercizi devo effettuare con le sfere protettive. Evocazione più rapida? Diametro maggiore?» La Vecchia scosse il capo, e quel gesto fece dissolvere parte della guancia sinistra e del mento. I suoi occhi azzurri si erano sbiaditi. «La sfera... origine nel cerchio protettivo. Tu... un'arma offensiva, estendendola... colpire. Pensa... plicazioni. Offensiva... evasiva... dovrai sfuggire... anche... Proteggi la magia... divora...» La Vecchia allargò le mani, come se tutto dipendesse dall'inventiva che Wendy sarebbe riuscita ad avere nell'uso delle sfere protettive... e rimase a guardarsi impotente le dita che si dissolvevano nel retro della Pathfinder. Un istante dopo anche il resto della sua immagine spettrale si dissolse nel nulla. Sospirando, Wendy guardò verso Alex. Non era la prima volta che la Vecchia le diceva che avrebbe scoperto molte applicazioni creative per la sfera magica protettiva, ma in quel momento non si sentiva particolarmente creativa. «Niente è mai facile». «Se posso esserti di aiuto, dimmelo». Pochi minuti più tardi Alex lasciò la I-90 per imboccare il raccordo con la I-95, che aggirava la vasta distesa urbana di Boston. «Troviamo un ristorante economico o qualcosa del genere, fermiamoci e mangiamo», propose Wendy. «Devo chiamare Kayla e spiegarle quello che ho in mente di fare. Spero che possa raggiungerci a casa mia». «È il solo motivo per cui ci fermiamo?» «Sì, sono affamata». «E...?», insisté Alex, forse avvertendo la sua esitazione. Wendy scosse il capo e non replicò immediatamente, perché non sapeva con esattezza che cosa dirgli. Non le rimaneva abbastanza tempo da trascorrere in macchina per tentare un altro esercizio con la proiezione astrale o per comporre il prossimo capitolo dei 101 Utilizzi della Sfera Protettiva, e le promesse meraviglie della visione periferica rimanevano tuttora un mistero. Adesso che era tanto vicina a Windale, stava tergiversando per rimandare l'inevitabile confronto con... con il passato? O con il presente? Aveva paura di ridestare i dolorosi ricordi connessi alla morte dei suoi genitori, oppure temeva che Kayla non fosse più lei? Perché non aveva insistito per ottenere dalla Vecchia altre informazioni sul suo conto?
Se le cose fossero state gravi, si disse, mi avrebbe avvertita... A meno che un punto fermo temporale non le impedisse di interferire. Questa volta, è parsa svanire più in fretta. Potrei non rivederla di nuovo prima di... Magari non la rivedrò mai più se... se... Tratto un profondo respiro, cercò di concentrarsi su ciò che sapeva. Kayla aveva scoperto, o stava per scoprire, informazioni relative a Wither e ai piani che questa aveva avuto per una rinata congrega formata da Wendy, Abby e Hannah. Quei piani erano poi falliti, ma tutte e tre risentivano ancora pesantemente delle conseguenze delle macchinazioni della congrega. Se avesse capito meglio i piani di Wither, forse avrebbe potuto anche scoprire come fare a rimuovere la maledizione. Guarda agli aspetti positivi, consigliò a se stessa. «Wendy?» «Ho bisogno di un po' di tempo per fare ordine nei miei pensieri», ammise infine Wendy. Più di uno di quei pensieri che andavano rimessi in ordine riguardava l'enorme demone cannibale delle nevi evocato da Wither con il suo ultimo respiro, una malvagia forza del caos decisa a estinguere la sua vita. «E il tempo a mia disposizione si sta esaurendo», aggiunse. Capitolo 10 Windale, Massachusetts 3 gennaio 2002 Wendy guidò per l'ultima ora del tragitto fino a Windale. Il percorso più rapido per raggiungere casa sua attraversava il campus del college. Arrivata in College Avenue, rallentò l'andatura e nell'avvicinarsi alla biblioteca accostò il SUV al marciapiede, mettendo in folle e tirando il freno a mano. Quando fece per scendere sulla strada resa viscida dalla neve, l'attenzione di Alex fu attratta dal cartello di divieto di sosta affisso al palo telefonico più vicino. «Tranquillo», disse lei. «Mi fermerò soltanto un secondo, e poi dubito seriamente che mi darebbero una multa proprio qui». Poi rimase ferma a fissare le parole che spiccavano sul lato del massiccio edificio di pietra bianca, illuminate da faretti a parete, in modo da essere visibili anche di notte: due file di lettere corsive alte sessanta centimetri, in metallo argentato, la riga inferiore centrata sotto quella superiore.
The Lawrence A. Ward & Carol G. Ward Memorial Library Sono morti insieme, pensò. È giusto che siano commemorati insieme. Data un'ultima occhiata alla scritta, risalì sulla Pathfinder e tolse il freno a mano, poi rimase immobile con la mano sul cambio. «Lo scorso anno», disse ad Alex senza guardarlo, mentre sospirava e si schiariva la gola nel vano tentativo di rimuovere il nodo che la serrava, «il... il rettore mi ha mandato una lettera... un invito a presenziare alla cerimonia di dedica». «Com'è stato...», cominciò Alex. «Non... non ho potuto intervenire», lo interruppe Wendy. «All'epoca ero in viaggio. In ogni caso, lei... il rettore, intendo... ha detto che dentro c'è una... una mostra... fotografie, targhe e cose del genere... che commemorano gli anni in cui mio padre è stato rettore, e l'opera che i miei genitori hanno svolto in seno alla comunità. A quanto mi ha detto, è un grande tributo». Alex la fissò, comprendendo la verità. «Lo è davvero, Wendy», disse prendendole la mano. «Dovresti...» Lei però fece di no con la testa. «Non ancora», rispose, continuando a evitare il suo sguardo. «Lo farò... ma non è ancora il momento». Poi inserì la marcia e guidò per l'ultimo chilometro circa, fino a Kettle Court. Parecchie delle case circostanti erano visibili solo come sagome delineate dalle luci natalizie, alcune intermittenti, altre no; i giardini sfoggiavano renne illuminate o pupazzi di neve in plastica luminescente, e sul tetto inclinato di un garage c'era un Babbo Natale a grandezza naturale sulla slitta, trainata da una formazione ridotta di sole quattro renne. In fondo alla strada senza uscita, il cottage bianco con la facciata in pietra appariva triste, un'immagine rurale buia e sotto tono, con l'ampio cortile e il solitario acero rosso attualmente spoglio e, come il prato, ammantato di neve. Il marciapiede e il vialetto erano stati entrambi spalati e cosparsi di pastiglie per sciogliere il ghiaccio. Wendy aveva continuato a mandare al giardiniere, un ex venditore di giornali, un assegno mensile perché si occupasse dalla piccola manutenzione, anche se aveva il sospetto che lui stesse diventando troppo vecchio per lavori del genere e probabilmente avesse subappaltato l'incarico al fratello minore. Comunque la cosa non le importava, finché la casa veniva mantenuta in buono stato.
Infagottata in una giacca di cuoio nero adorna di borchie d'argento, logori blue jeans e stivali neri, Kayla era seduta sul piccolo portico all'estremità del vialetto ricurvo, con una valigetta di nylon nero posata accanto a sé. Quando la Pathfinder si fermò accanto al marciapiede, Kayla si alzò e avanzò di parecchi passi lungo il vialetto, arrestandosi sotto la luce pallida e fredda dell'unico lampione e passandosi una mano fra i corti capelli blu elettrico. «Forti, quei capelli!», le gridò Alex abbassando il finestrino. «Blu acciaio», ribatté Kayla con una sfumatura di malizia. Spero che questo sia l'unico cambiamento, pensò Wendy un po' preoccupata dal fatto che l'immagine che conservava di Kayla includesse ancora capelli corvini con le punte sporgenti rivestite di gel. «Bentornata a casa, straniera», commentò Kayla quando Wendy scese dal SUV e lo aggirò per raggiungere il bagagliaio. «Grazie. È stato un viaggio spossante, e le cose possono soltanto peggiorare». Alex, che si era issato in spalla un carico superiore a quello costituito dal suo solo bagaglio, si soffermò a guardarla con preoccupazione, forse pensando che fosse sul punto di accusare Kayla di essere la nuova Wither in versione blu elettrico. Wendy si aspettava dicesse qualcosa, ma lui si limitò a scuotere il capo e a scavalcare con cautela la neve accumulata dagli spazzaneve per poi avviarsi lungo il vialetto. Kayla intanto afferrò le poche borse che Wendy non era in grado di trasportare, permettendole così di chiudere a chiave la macchina e poi avviandosi accanto a lei. «Lo pensi davvero?», chiese accigliandosi. «Purtroppo sì». Annuendo con aria cupa, Kayla rallentò il passo in modo da rimanere leggermente indietro; intanto Wendy armeggiò con il mazzo delle chiavi fino a trovare quella giusta, aprì la porta ed entrò insieme agli altri. Il cottage aveva un'aria abbandonata, anche se Frankie doveva essersene andata meno di due settimane prima, all'inizio delle vacanze di Natale. Tutto era pulito e ordinato, riposto negli armadi o nelle credenze, e questo dava la netta impressione che nessuno vivesse veramente in quella casa; una piantana gestita da un timer settato in modalità random dava dall'esterno l'impressione che la casa fosse occupata. Wendy lasciò cadere il bagaglio vicino all'armadio a muro sulla sua sini-
stra, consigliando agli altri di fare lo stesso, poi indugiò a esaminare il cottage deserto come se non lo avesse mai visto prima. Se da un lato le dimensioni e la disposizione delle stanze le erano familiari, dall'altro Frankie aveva apportato delle modifiche dall'ultima volta che lei era stata lì, e questo faceva sì che la casa le apparisse ancora più estranea. La porta d'ingresso si apriva sul salotto, che un muretto separava dal tinello; la cucina e la stanza da pranzo si trovavano sulla sinistra del tinello e si affacciavano sulla terrazza di pietra posizionata sul retro. Sulla sinistra del salotto, dopo un armadio a muro e un ripostiglio, c'era un piccolo corridoio con un altro sgabuzzino e la stanza di Frankie sulla sinistra, il bagno e la stanza di Wendy sulla destra; Wendy aveva scelto quella camera perché le sue due finestre si affacciavano sul cortile posteriore, invece che sul prato anteriore. Anche se la moquette era ancora verde foresta e le pareti erano sempre di un bianco antico, l'arredamento aveva subito qualche modifica, pur rimanendo minimale e molto eclettico, acquistato in svendite private di oggetti usati e in negozi che vendevano articoli di seconda mano. Accanto alla piantana c'era una traballante sedia a sdraio - la nuova sedia da lettura di Frankie? - e vicino a essa alcune sedie pieghevoli e un tavolino; nel tinello, un logoro divanetto di colore bruno era addossato al muretto davanti alla televisione appartenuta un tempo ai genitori di Wendy; adiacente al divanetto, sulla sinistra, c'era un'orribile sedia gialla che un tempo doveva essere stata rozzamente dipinta in modo da somigliare a una faccia sorridente che stava facendo una linguaccia. Frankie deve aver perso una scommessa, si disse Wendy nel vederla. Le pareti rimanevano relativamente spoglie, e sfoggiavano soltanto alcune stampe naturaliste che Wendy aveva acquistato più di un anno prima, oltre a delle foto incorniciate che raffiguravano Frankie insieme ad amici di cui Wendy non riusciva a ricordare il nome, ammesso che lo avesse mai saputo. Un orologio a muro era appeso in cucina, e gli scatti precisi del suo meccanismo al quarzo echeggiavano nella casa silenziosa. Nella zona pranzo Wendy scoprì un'ulteriore aggiunta: un piccolo tavolo di legno di pino con sedie dello stesso materiale, il tutto in buone condizioni. Assalita da una strana ondata di malinconia, tirò indietro una delle sedie e si sedette, senza badare al fatto che traballava leggermente. Dopo aver dato a sua volta un'occhiata, Alex venne a raggiungerla. «Non manca niente?», chiese. «No», rispose Wendy, «ma ci sono alcune cose che non avevo mai visto
prima». Kayla entrò in cucina per ultima, sfoggiando un atteggiamento troppo noncurante, con le dita infilate nella cintura borchiata di cuoio nero. «Quella sedia gialla è orribile», commentò. «Potremmo bruciarla in giardino». «Probabilmente è tossica», opinò Alex. «Allora forse è per questo che nel guardarla mi bruciano gli occhi». «Dammi cinque minuti per disfare i bagagli, poi parleremo», la interruppe Wendy. «Mi sembra una buona idea», convenne Kayla. «Hai bisogno di aiuto?» In quel momento suonò il campanello, seguito da un bussare deciso alla porta. Wendy e Alex si scambiarono un'occhiata perplessa. «Oops», esclamò Kayla. «Spero che non vi dispiaccia, ma prima di venire qui ho ordinato della pizza. Se ne volete, servitevi pure...» «Grazie, ma abbiamo già mangiato», rispose Wendy. «Io ho sempre dello spazio per la pizza», dichiarò Alex. «Nel mio stomaco c'è uno scompartimento speciale, che è in modalità pizza permanente». «Perfetto», rise Wendy. «Voi due godetevi la pizza mentre io disfo i bagagli». La sua camera da letto aveva la moquette bianca e le pareti azzurro polvere, abbinamento scelto nel tentativo di ricreare un insieme di cielo e nuvole; un sottile strato di polvere ricopriva il comò, la cassapanca di legno di cedro ai piedi del letto e il pentacolo di legno appeso al muro, segno che probabilmente Frankie non era più entrata in quella stanza da quando lei era partita. Delle parecchie fotografie incorniciate che un tempo avevano decorato le pareti, ne rimanevano soltanto due, entrambe di Alex; in una lui indossava la tenuta da jogging, e nell'altra era in posa con il vecchio bastone dal pomello a testa di drago e un quadratino di nastro isolante nero al posto dei baffetti. Nel complesso, come imitazione di Charlie Chaplin non era granché, ma la fece sorridere... al contrario delle foto dei suoi genitori, che l'avevano colta alla sprovvista una volta di troppo: alla fine le aveva ammucchiate in una scatola di cartone e riposte nell'armadio a muro, dove sarebbero rimaste finché non si fosse sentita pronta ad affrontarle. Quella era ancora una volta la via più facile. Mentre riponeva i vestiti puliti nel comò e nell'armadio a muro, gettando
gli altri nel contenitore dei panni sporchi, sentì giungere dal corridoio una banale conversazione: Kayla stava commentando come la città sembrasse quasi deserta adesso che gli studenti di Danfield erano in vacanza, e Alex le stava consigliando di godersi quella pace e quella quiete, finché fossero durate. Se non fosse stato per il tono scherzoso, avrebbe potuto alludere all'imminente arrivo del wendigo. Dopo aver svuotato le valigie, Wendy sedette a gambe incrociate sul letto, lasciando scorrere le dita sulle cuciture del copriletto, la mente che andava alla deriva. Dopo un po' alzò gli occhi, quando qualcuno bussò contro lo stipite. Era Kayla. Da sola. «Rimane ancora qualche fetta. Ultima occasione». «Grazie, ma non mi va», rispose Wendy. Sentì la televisione che veniva accesa. Alex è in caccia della sua dose di ESPN, pensò, accennando suo malgrado un mezzo sorriso. Kayla intanto entrò nella stanza e sedette accanto a lei sul bordo del letto. «È troppo tardi, giusto?», disse. «Per andare là fuori e farla finita, intendo». «Nel bosco? Probabilmente, adesso sarà troppo buio per vedere qualcosa». «Quindi credi che prima dovremmo fare quest'altro tentativo?», sospirò Kayla. «Decisamente. Di solito, la magia del sogno è un punto sicuro da cui partire», disse Wendy, poi contrasse il volto in una smorfia, nel ricordare come si fosse artigliata da sola una coscia nel corso di uno dei suoi sogni relativi a Wither. «Probabilmente è una perdita di tempo», osservò Kayla. «È sempre lo stesso sogno. Un... un pasto». «Dobbiamo indagare sull'eventuale collegamento fra questo sogno ricorrente e il tuo impulso a recarti in quella radura che si trova sulle terre di Matthias Stone». «Wendy...», cominciò Kayla, poi s'interruppe e scosse il capo prima di continuare con un sospiro. «Spero che fra le due cose non ci sia nessun collegamento, ma... che sia dannata all'Inferno!», imprecò, facendo scorrere avanti e indietro i denti sull'anello d'acciaio che le attraversava il labbro inferiore. «Wendy, vorrei che tu potessi garantirmi che non succederà an-
che a me. Non voglio diventare come... come...» La voce le si spezzò in gola, ma non c'era bisogno che completasse la frase: «Non voglio diventare come Gina Thorne». L'idea... il pericolo... che Wither potesse tornare in vita ancora una volta era una cosa che le spaventava entrambe, ma per Kayla si trattava di un incubo a occhi aperti, del terrore di perdere la propria identità. Wendy si protese a prenderle la mano fra le proprie, stringendola con forza. «Non succederà», disse, augurandosi che il tono suonasse abbastanza deciso da convincere entrambe. Prossima alle lacrime, con le labbra tremanti, Kayla la fissò intensamente, riluttante ad accettare una menzogna intesa a darle conforto. «Come fai a saperlo?», ribatté poi. «Perché... a quest'ora ce ne saremmo accorte», rispose Wendy facendo appello alla semplice logica. «Wither ha impiegato parecchi mesi a possedere completamente Gina, ed è trascorso quasi un anno e mezzo da quando...» Da quando Gina ti ha costretta a bere dalle sue vene il sangue nero di Wither, completò fra sé. «Allora cosa mi sta succedendo?», insisté Kayla, con una nota di disperazione nella voce. «Kayla, quando ti ho telefonato la prima volta, dopo che la Vecchia mi aveva consigliato di contattarti... ho avuto la sensazione che tu stessi...», nascondendo qualcosa, pensò, ma invece disse: «Che stessi tacendo su qualcosa». Kayla annuì. «Io... quel giorno che io e Bobby siamo andati nella radura, io... ho perso sangue dal naso», spiegò, portandosi una mano a toccarlo con fare nervoso. «Ho creduto... mi è sembrato... che il mio sangue fosse...» Nero? si chiese Wendy fra sé. Possibile che sia ancora dentro di lei, dopo tutto questo tempo? «Lo era?», domandò. «Io... non lo so», ammise Kayla. «Sono svenuta, e Bobby mi ha ripulita. Si stava facendo buio, e ha pensato che mi fossi immaginata la cosa. Io però ho continuato a sentirmi preoccupata, finché...» «Finché cosa?», domandò Wendy. Kayla si sfilò la giacca di cuoio nero e tirò su la manica del maglione di Felix the Cat, rivelando una garza applicata sull'interno dell'avambraccio sinistro. «Oh, no!», esclamò Wendy. «Cosa ti è successo?»
«Ho deciso di fare una verifica», spiegò Kayla con un sorriso asciutto. «Dio, Kayla... ti sei tagliata da sola?» «È un atto morboso, lo so», ammise Kayla accigliandosi, «ma non ho fatto un taglio profondo. Guarda...» Rimuovendo il cerotto, sollevò un lato della garza rivelando una crosta rosata e quasi guarita. Per essere una ferita autoinflitta, sembra guarire bene, pensò Wendy. «Naturalmente», aggiunse Kayla, «adesso Bobby è quasi convinto che sia pazza». «Kayla, forse questi... sintomi non hanno niente a che vedere con il Male. Non sono assolutamente una psichiatra, ma potrebbe trattarsi di una forma di stress post-traumatico». «Ci ho pensato, ma come spieghi quello che è successo nella radura?» «Non possiamo essere certi che si sia trattato di qualcosa di magico», obiettò Wendy. «Sei svenuta, è vero, ma stai dormendo poco e male, e la cosa potrebbe essere stata causata dalla stanchezza». Kayla però scosse il capo, tutt'altro che convinta. «Wendy, sarei felice di crederlo, ma prenderei solo in giro me stessa. Non mi chiedere come faccio a saperlo, ma sono certa che in quel bosco c'è qualcosa, e che questo qualcosa si vuole rivelare a me. Non so il perché... Maledizione, ho paura di scoprirlo! Ho la nauseante sensazione che la risposta non mi piacerà». «Wendy!», chiamò Alex dall'altra stanza. «Vieni qui! C'è una cosa che devi vedere!» Wendy e Kayla si scambiarono un'occhiata sorpresa, poi balzarono entrambe dal letto e percorsero in fretta il corridoio. Alex stava guardando il notiziario della CNN. «Che succede?», domandò Wendy lasciandosi cadere accanto a lui sul divano, mentre Kayla si sistemava sull'orribile sedia gialla passandosi nervosamente le dita fra i capelli. «È successo qualcosa a Fargo», disse Alex. «Stanno parlando di un tizio di nome Lloyd Fetty, un dipendente del Fargo Motor Lodge. Hanno trovato il suo corpo in un cassonetto dei rifiuti. Si tratta di quel tizio che voleva abbordarti, giusto?» «Già, Lloyd». Il viscido impiegato Lloyd. «Cosa gli è successo?» «Qualcosa lo ha divorato quasi completamente», spiegò Alex, poi puntò il telecomando e alzò il volume. «... giunge notizia di un altro decesso simile nelle vicinanze di Minnea-
polis, Minnesota, dove un camionista, George Mooney, è stato trovato quasi completamente divorato nella cabina del suo camion a rimorchio». A questo punto il primo piano del cronista ben pettinato venne sostituito da una macabra ripresa dell'interno della cabina di guida del camion: un telo giallo copriva il corpo, ma a giudicare dalla sagoma che s'intravedeva, sotto di esso non rimaneva più molto da coprire. Intanto le notizie continuavano a scorrere in stampatello sul fondo dello schermo, comunicando assurdamente i risultati degli eventi sportivi. «Inizialmente la polizia aveva attribuito l'aggressione di Fargo a un animale selvatico, magari un grizzly, ma la notizia di una seconda uccisione, a centinaia di chilometri di distanza dal primo incidente, fa sorgere il timore che si tratti di un serial killer cannibale, o forse dell'attività di qualche culto satanico». Adesso, l'immagine offriva di nuovo un primo piano del cronista. «Christopher Hall, capo della polizia di Minneapolis, ha comunicato oggi in una conferenza stampa che l'FBI si sta già interessando a quelli che alcune fonti già chiamano gli omicidi dello "Squartatore della Strada"». «Ti avevo detto che le cose potevano solo peggiorare», affermò Wendy, lanciando a Kayla un'occhiata preoccupata. «Quindi si tratta di quella... quella...» Kayla deglutì a fatica, poi riprese: «A causa di quella cosa, il digo-comesichiama?» «Il wendigo», precisò Wendy. «È un termine dei nativi americani che indica...» «Siamo fottuti», dichiarò Kayla. «Completamente fottuti». «Non cediamo al panico», ammonì Wendy «Ce la caveremo». «Se a quella cosa piace tanto la neve, compriamo un biglietto di sola andata per le Hawaii». «E poi cosa faremo?» «Impareremo a fare il surf», ribatté Kayla. «Che cazzo te ne importa? Saremo vivi». «Kayla, tu sei libera di andare dove vuoi», dichiarò Wendy. «Per quanto ne so, io sono l'unica che figuri sulla lista nera del wendigo». «D'accordo, allora vola al sud per il resto della tua vita». «Non è così semplice», sospirò Wendy. «Perché diavolo non lo è?» «Perché lei può anche aver mandato questo mostro a dare la caccia a me, ma intanto sta assassinando persone innocenti! E continuerà a uccidere per nutrirsi finché non mi avrà uccisa, o finché non troverò il modo di fermarlo», disse Wendy, poi abbassò lo sguardo e aggiunse: «Sono in parte re-
sponsabile di tutto questo». Kayla si alzò dalla sedia gialla e prese a camminare avanti e indietro per la stanza. «Come puoi essere anche solo lontanamente responsabile di tutto questo?», protestò. «Sono stata io a riattivare la maledizione, a Winnipeg», ammise Wendy fissandola. «Non ho potuto evitare di svegliare il... il wendigo che dormiva. Wither mi ha ingannata, ma io ho evocato quella creatura, ho contribuito a mettere in moto questo incubo, e adesso devo fermarlo». «A costo di morire nel tentativo?», domandò Kayla, che appariva sempre più agitata. «È possibile», ammise Wendy. «La mia morte potrebbe porre fine all'ondata di uccisioni, e se questa è l'unica soluzione, ebbene... non mi renderò responsabile di altre morti. Se fuggissi a nascondermi», continuò serrando convulsa le mani, «o se mi trasferissi in luoghi dal clima perennemente mite, non potrei più convivere con me stessa. Ogni giornata sarebbe resa insopportabile dalla consapevolezza che la mia vigliaccheria sta condannando a una morte violenta altre persone innocenti. Se fossi al mio posto, riusciresti a convivere con te stessa?», chiese, e quando Kayla abbassò la testa senza rispondere, continuò: «Peraltro, non intendo neppure sacrificarmi alla cieca. Non abbiamo nessuna prova certa che la mia morte possa porre fine alle morti, ed è del tutto possibile che io sia la sola in grado di fermare questa cosa. Non fuggirò, ma non ho neppure intenzione di arrendermi». Alex le strinse un ginocchio in un silenzioso gesto di sostegno. Lui aveva avuto il tempo di adattarsi alla spaventosa realtà che stava per piombare su di loro, e in particolare su Wendy; del resto, lei stessa gli aveva reso facile arrivare a una decisione, dato che il loro rapporto non avrebbe mai potuto funzionare se lui non fosse riuscito ad accettare le stranezze della sua vita. Di conseguenza, per quanto spaventato, avrebbe supportato le sue decisioni. Forse per loro c'era ancora speranza. Kayla si premé le dita contro le tempie e scosse il capo in un gesto di muta rassegnazione, poi inspirò a fondo ed espirò con forza. «Bella situazione del cazzo, vero?», disse. «Se ti decidessi a seguire tu stessa il consiglio che mi hai appena dato, non potrei biasimarti. Non è la tua battaglia». «Sarà meglio che rimanga», sospirò Kayla. «Perché?»
«Per motivi puramente egoistici», dichiarò lei con un sorrisetto. «Che sarebbero?» «Ho bisogno che tu mi rimetta a posto», spiegò Kayla. «Ho questa... nuvola oscura che incombe su di me, ogni minuto di ogni dannato giorno. Sai quante volte mi sveglio nel cuore della notte e mi chiedo se Wither non stia per caso aprendo bottega nel mio cervello? Se il mattino dopo sarò ancora me stessa? È come avere nella testa una cazzo di bomba a orologeria. Vorrei poterti aiutare», continuò con un sospiro, «e Dio sa che se posso lo farò, ma per favore, per l'amore di Cristo, toglimi dalla testa questa cagna malvagia una volta per tutte». «Kayla», garantì Wendy, avvicinandosi e abbracciandola, «prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti». «Grazie», mormorò Kayla con gli occhi lucidi. «Grazie». Guardarono poi le repliche dei notiziari, fino ad avere la certezza di aver sentito tutti i dettagli rilevanti relativi alle due uccisioni perpetrate dal wendigo, che venivano alternativamente etichettate come opera dello «Squartatore della Strada» o dell'«Assassino dell'Autostrada». La polizia e l'FBI non avevano nessun sospetto e nessun testimone, e a parte la località e le condizioni dei corpi, i notiziari dicevano ben poco. «Non che in questa faccenda ci siano lati positivi», commentò Alex, «ma almeno quella creatura si trova probabilmente a più di millecinquecento chilometri di distanza. Abbiamo tempo». «Ma come ha fatto a percorrere in meno di un giorno centinaia di chilometri?», obiettò Kayla. Un momento più tardi, si fece cinerea in volto, mentre esclamava: «Oh, no! Wither poteva volare. Ditemi che questa creatura non vola». «No, ma potrebbe aver usato un'illusione per apparire umana e chiedere un passaggio». «Cosa?», sbottò Alex balzando in piedi. «Il pick-up che si è schiantato contro il Fargo Motor Lodge», disse Wendy, guardandolo, mentre sentiva affiorare un barlume di consapevolezza. «Per un momento mi è parso di vedere qualcosa sul retro del furgone... una figura, che però poi è scomparsa». «Ma hai detto che i corpi nel furgone erano entrambi...» «Decapitati», concluse Wendy per lui, annuendo. «Al momento, ho pensato che fosse successo nell'impatto, ma se il wendigo stava viaggiando sul pianale, e voleva che il furgone si fermasse...» «Cosa mi sta sfuggendo?», chiese Kayla.
«Lo sapeva», mormorò Alex, con voce ridotta quasi a un sussurro, e si lasciò ricadere sul divano. «Gesù... Wendy, quella cosa sapeva che tu eri là... proprio là! E ha strappato la testa a quei due per fermare...». «Per fermare il furgone», annuì Wendy. «Oh, merda», commentò Kayla. «Una mossa davvero astuta». «La Vecchia ha detto che era in letargo», disse Wendy, «e io ho avuto una visione di un uomo che indossava pelli di daino». «Come Daniel Boone?», chiese Kayla. «O i Village People?» «Era autentico. Non si è trattato di un sogno vero e proprio, ma credo che dovesse essere lui, l'aspetto che aveva prima...» «Chi?» «L'uomo che è diventato questo particolare wendigo», spiegò Wendy. «Se è così, ha... ha centinaia di anni». «Un cucciolo, paragonato a Wither», osservò Kayla. «E decisamente vivace», aggiunse Alex, lanciando un'occhiata solenne in direzione della televisione; avevano abbassato il volume, ma sullo schermo continuavano ad apparire a intervalli regolari le immagini dei corpi coperti dai teloni. «Kayla, hai portato dal Crystal Path i libri che ti ho chiesto?», domandò Wendy. «Ho detto ad Alissa che li avresti pagati», rispose Kayla annuendo, «ma lei ha risposto che puoi limitarti a restituirli quando non ti serviranno più». «Bene. Ho bisogno di trovare dei punti deboli in questa creatura, e quei libri potrebbero aiutarmi», spiegò Wendy, poi lanciò un'occhiata all'orologio della cucina che segnava quasi la mezzanotte, e aggiunse: «E adesso, Kayla, se sei pronta dovremmo cominciare». Diario di Wendy Ward 4 gennaio 2002 Luna calante, ultimo quarto, giorno 20 Windale, Massachusetts Non ho mai tentato niente del genere prima d'ora. Certo, ho usato la magia del sogno, sogni lucidi, sogni guidati, ma in passato si è sempre trattato dei miei sogni, e la mente che stavo esplorando era la mia, mentre questa volta cercherò di scivolare nei sogni e negli incubi di un'altra persona, di insinuarmi nel suo subconscio. Non sono certa che la cosa funzioni, o che sia possibile, ma ci devo provare.
Ho a disposizione questi pochi minuti - solo una manciata! - per registrare i miei pensieri, mentre Kayla è in bagno a cambiarsi, e non posso fare a meno di chiedermi se saranno i miei ultimi pensieri, le mie ultime parole, se non debba preparare fin da ora il mio epitaffio. Cosa succederà, infatti, se Kayla non è più lei? O almeno, se non lo è più nel profondo del subconscio? Per quanto ne so, Wither potrebbe essere là in attesa, intenta a crescere nel buio come un fungo velenoso, aspettando di poter rinascere ancora. Se la raggiungerò a quel livello, sul campo di battaglia di un subconscio estraneo, sarò in grado di sfuggirle? Oppure sarà lei che riuscirà a spegnermi come una fiamma di candela soffocata fra due dita? E poi c'è un'altra possibilità: che accadrà se finirò per scivolare così in profondità nella mente di Kayla da non ritrovare più la via per uscirne? Alex è preoccupato. Diamine, lo sono anch'io! Ma non posso permettere a nessuno dei due di vedere la mia paura, perché Alex tenterebbe di dissuadermi dall'operare questo tentativo... e forse mi lascerei perfino convincere; quanto a Kayla, se conoscesse la portata dei miei dubbi, potrebbe rifiutarsi di portare avanti l'esperimento (vorrei poter avere al riguardo i suggerimenti della Vecchia, ma non posso certo chiamarla con il cellulare, e non ho idea se sarà in grado di manifestarsi ancora, prima che tutto questo sia finito). In ogni caso devo sapere, perché la mia vita, quella di Kayla... e di molte altre persone innocenti possono dipendere da ciò che è chiuso nella sua mente. Oops, sta arrivando... Windale, Massachusetts «Pensa alla cosa come a un pigiama party per wiccan, molto esclusivo», disse Wendy, sorridendo per mettere Kayla a proprio agio; con la coda dell'occhio notò un angolo del portatile che sporgeva da sotto il letto: aveva fatto in tempo a salvare il file incompleto, ma non a spegnere il computer. La sua attenzione tornò poi a concentrarsi su Kayla. Erano sedute entrambe a gambe incrociate sul letto di Wendy, una di fronte all'altra, tutte e due in tenuta da notte. Wendy indossava una camicia da notte verde pastello con delle piccole rose rosse ricamate lungo la scollatura a V e l'orlo, mentre Kayla s'era messa una maglietta di Betty Boop di taglia abbondante che aveva portato con sé nella piccola valigia, contenente anche un cambio di vestiti, perché al telefono Wendy l'aveva avvertita di prepararsi a passare lì la notte. Anche Alex era in pigiama. Dal momento che i dormitori del college e-
rano chiusi fino al 5 di gennaio, Wendy lo aveva invitato a rimanere lì per la notte; fermo a piedi scalzi sulla soglia, le stava osservando in silenzio, appoggiato allo stipite con le braccia conserte su una maglietta grigia del college, abbinata a un paio di pantaloni del pigiama a righe. Con una tazza da tè di appoggiata su ciascun ginocchio, Wendy stava cercando di apparire calma e rilassata per contrastare il nervosismo di Kayla, che aveva la fronte leggermente aggrottata e continuava a passarsi su e giù l'indice sinistro sull'anello che le attraversava il labbro inferiore. «È ancora presto», osservò. «L'ultima volta che ho avuto quell'incubo erano le due passate». «Avremo bisogno di tempo per addormentarci», replicò Wendy, «e poi, non sappiamo né come né quando avrà inizio il sogno. Bevi questo», aggiunse, offrendo a Kayla una delle due tazze. Kayla l'accettò e ne fissò il contenuto con aria sempre più perplessa. «È solo un infuso per favorire la magia del sogno», spiegò Wendy. «Acqua con camomilla e valeriana». Kayla reagì con un mezzo sorriso, il che costituiva un piccolo miglioramento. «Ti rendi conto che non sono una wicca?», obiettò. «Non importa, questo ti convertirà», ribatté Wendy, impassibile in volto. Kayla s'irrigidì nell'atto di bere un sorso. «Cosa?» «Rilassati, stavo scherzando». «Certo, è ovvio», convenne Kayla schiarendosi la gola, e trangugiò l'infuso come se fosse stato un bicchierino di whisky. «Non sento nessuna differenza». «Bene», commentò Wendy, che stava bevendo dalla propria tazza. «Alex, potresti prendere queste?» Alex venne avanti, recuperò le tazze vuote e le posò sul comodino. Posti sul letto fra Wendy e Kayla c'erano due sacchetti di lino chiusi da lunghi lacci. Wendy prese il primo e se lo legò al collo, in modo che le poggiasse fra i seni, vicino al cuore. «Avvicinati», le disse, e legò il secondo sacchetto al collo di Kayla. «Cosa c'è dentro?», chiese lei, sfregandolo fra pollice e indice. «Frutti d'anice per potenziare l'energia magica e due pietre, ametista e pietra di luna, che favoriscono entrambe la magia del sogno». Anche se Kayla non era una wicca, e sebbene stesse cercando, dietro i-
struzioni della Vecchia, di distaccarsi dai rituali quando accedeva alla magia, in questo caso Wendy riteneva che l'aspetto formale dell'incantesimo sarebbe servito a mettere Kayla a proprio agio, e l'avrebbe aiutata a credere che la cosa avrebbe funzionato. Come nella maggior parte delle cose, la fede corrispondeva al successo. Wendy prese le mani di Kayla nelle proprie, la fissò negli occhi e le rivolse un sorriso pieno di sicurezza. «Pronta?», chiese. «C'è qualche possibilità che la cosa scivoli nel vizioso?», chiese Alex dalla porta, con un sorriso malizioso. «Devo dire che personalmente non avrei niente in contrario». «Buona notte, Alex», disse Wendy, scuotendo il capo senza però riuscire a reprimere un sorriso. «Spegni la luce e chiuditi la porta alle spalle. Ci serve un po' d'intimità». «D'accordo». Alex premette l'interruttore, poi afferrò la maniglia della porta e accennò a chiuderla, ma all'ultimo momento si soffermò per aggiungere: «Date una voce, se avete bisogno... ehm, di qualsiasi cosa». Poi la porta si chiuse con uno scatto. Con i volti che spiccavano pallidi sotto la luce della luna che entrava dalle finestra, Wendy e Kayla si fissarono a vicenda per un momento, prima che Kayla prendesse a ridacchiare. «Povero ragazzo», commentò. «Muore dalla voglia di vivere un'esperienza degna di Penthouse». «Non posso biasimarlo se pensa al sesso», replicò Wendy, ridacchiando a sua volta. «Dopotutto, è un maschio ed è sveglio». «Dovresti porre fine alle sue sofferenze». «Allungare un po' il collo... non gli farà male». «Allora, adesso che si fa? Come...?» Wendy si spostò in modo da raggiungere il lato del letto più vicino alla porta. «Avanti, sdraiati», disse, battendo un colpetto sul cuscino sul lato opposto, e quasi a dare una dimostrazione, si adagiò sul fianco sinistro con le gambe distese e la testa sul cuscino. «Sì, Sensej1», obbedì Kayla con un formale cenno di assenso, e si sdraiò a sua volta sul fianco, girata verso Wendy, il gomito sul cuscino e la testa appoggiata sul palmo. «Hai mai fatto questa cosa, prima d'ora?» «No». «C'è una prima volta per tutto, vero?»
«Mm-hmm», borbottò Wendy, serrando le labbra per reprimere una risata. «A me piace fare esperimenti», continuò Kayla, «ma non avrei mai pensato che tu fossi un tipo a cui potevano interessare». «Con la gente, non si può mai sapere», dichiarò Wendy, inarcando un sopracciglio con fare seducente e mandandole un bacio. «Notte, maritino». Ridendo, Kayla si girò supina e rimase a fissare il soffitto, entrambe le mani poggiate sul sacchetto di lino che le pendeva dal petto. «Non sarà una cosa piacevole», disse. «Lo so». «Questo, naturalmente, sempre che funzioni davvero», aggiunse Kayla assumendo un'espressione pensosa. «Perché funzioni, devo credere in questo qui?», domandò quindi, toccando il sacchetto e lanciando un'occhiata a Wendy. «Cerca di restare aperta a ogni possibilità. Una persona che resiste all'ipnosi non può cadere in trance. Non rifiutarti attivamente di credere, rilassati e lascia che sia io a occuparmi della magia». «Mi ipnotizzerai?» «No», rispose Wendy. «Scusa, era un'analogia sbagliata. Ti limiterai a dormire, come al solito...» «Non c'è niente di solito in questo scenario», sorrise Kayla. «Ho nel mio letto una piccola wicca bollente». «Sei degna di Alex!», protestò Wendy, assestandole una leggera spinta. «In ogni caso, dormirai, e spero che l'aspetto magico del sonno apra la porta di accesso ai tuoi sogni quanto basta a permettermi di sgusciare dentro. A quel punto, assumerò il controllo del sogno». «Saprò che sei lì?», chiese Kayla, in tono ora più serio. «Nel mio sogno, intendo». «Può darsi che tu non mi veda», spiegò Wendy, «ma se la cosa funzionerà, il tuo sogno cambierà, perché lo farò uscire a forza dalla sua ripetitività, cercando di reindirizzarlo». «Un sogno lucido?» Wendy annuì. «Ma se questi sogni sono reali, se non sono un prodotto della mia immaginazione inconscia, questo vorrà dire che...» Interrompendosi, Kayla lanciò un'altra occhiata in tralice a Wendy, poi tentò ancora: «Vorrà dire che sono...» «Registrazioni akashiche», spiegò Wendy, e quando Kayla la guardò
con aria perplessa, proseguì: «Alcune persone credono che i ricordi delle esperienze di ogni singolo individuo, dall'inizio dei tempi, siano immagazzinati in una sostanza spirituale chiamata akasha». «Un grosso magazzino psichico?» «L'idea è questa, e là dentro c'è tutto. Forse, quello che lei ti ha fatto tramite il contatto con il suo sangue, qualsiasi cosa sia stata, ti ha semplicemente sintonizzata con i suoi ricordi, e niente di più». «Quindi esiste la possibilità che io non sia... contaminata?» «Una buona possibilità», garantì Wendy. Finché non troveremo prove che dimostrino il contrario, pensò intanto fra sé. Magari fra qualche ora lo saprò. Se però le dico una cosa del genere, dopo sarà troppo nervosa per riuscire ad addormentarsi. «Cerchiamo di chiarire questa cosa insieme, d'accordo?», disse invece. Kayla annuì. Wendy si allungò per accarezzarle il viso, scostandole dalla fronte una ciocca ribelle di capelli blu elettrico. «Mi piacciono», affermò in tono più rilassato. «Sono audaci, una dichiarazione senza mezzi termini, ma non sono estremi come i piercing». «Mi stai facendo una proposta, Wendy Ward?», sorrise Kayla. «Colta in flagrante», commentò Wendy, avvicinandosi fino a baciarle la fronte. «Ora sta' zitta e dormi, prima che sia costretta a sculacciarti». «Sapevo che avevi un motivo nascosto per volermi nel tuo letto!» «Sono subdola», ammise Wendy. «Allora, cosa prevede il protocollo? Chi seduce chi?» «Sto troppo sulla difensiva, vero?» «Ehm, un poco». «Sono nervosa». «Parlami di Bobby. È una cosa seria?» «A parte la sua convinzione che io sia pazza... sì, è abbastanza seria». «Progetti di fidanzamento?» «Oh, mio Dio, no! Non seria fino a quel punto», ridacchiò Kayla. «Stiamo vivendo nel peccato. Sono troppo giovane per il matrimonio, non ho neppure ancora la mia Harley. Devo sperimentare qualche anno in sella a una Harley, prima di pensare di legarmi una corda intorno al collo». «Al collo?» «Ti sembra un lapsus freudiano?», domandò Kayla. «No, è che a volte lui è iperprotettivo». «Proteggere e servire2», commentò Wendy. «Sono i requisiti del suo la-
voro». «Lo so, lo so», disse Kayla, «ma non voglio vivere la mia vita agli arresti domiciliari o sotto la costante protezione della polizia. Ti sembra una cosa irragionevole?» «No, ma a volte si ha bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi, di un puntello». «Hai ragione», ammise con un lungo sospiro. «Mi sono messa troppo sulla difensiva, ma forse è il fuorilegge che è dentro di me. Bobby è fantastico, lui è... non so perché io...» «Non devi avere paura». «Cosa? Non ho mai detto di avere...» «Se il sogno sarà troppo brutto, ti sveglierò», garantì Wendy. «Promesso». Un altro sospiro. «D'accordo, allora facciamolo. Aiutami ad addormentarmi». «Che ne dici di un esercizio di rilassamento?» Kayla annuì, gli occhi chiusi. «Sgombra la mente dalle cose estranee di cui abbiamo parlato e pensa a un posto di pace assoluta. Una spiaggia... una spiaggia deserta, dove ci sei soltanto tu. È quasi il crepuscolo, le onde lambiscono leggere la riva, schizzando spuma sulla sabbia liscia e fresca. Un'onda dopo l'altra, che s'infrange sul bagnasciuga alzando rilassanti spruzzi di acqua increspata...» Nell'arco di pochi minuti il respiro di Kayla si fece regolare, poi divenne quello più profondo proprio del sonno. Con un gesto lieve, cauto, Wendy le prese la mano destra nella propria sinistra, intrecciandone le dita alle sue. Quelle di Kayla si ripiegarono un poco, quasi aggrappandosi inconsciamente alla mano di Wendy; posata anche la destra su quella di Kayla, in modo da racchiuderla fra le proprie mani, se la portò vicino al petto e al sacchetto di lino, poi chiuse a sua volta gli occhi e fece alcuni respiri lunghi e lenti, lasciando che la naturale sonnolenza le si riversasse addosso, trasportandola verso il sonno e nell'incubo di un'altra donna... È il tramonto. Il crepuscolo, una chiazza rossa sparsa nel cielo a Occidente, sbiadisce progressivamente in un livido color porpora. Sta volando sopra una Windale da tempo scomparsa... le case sono meno numerose, e quelle esistenti sono separate da strade sterrate, segnate dai solchi delle ruote dei carri; cabra sulla sinistra, e scende in picchiata
verso un campo di granturco ormai alto, gli occhi capaci di vedere al buio che cercano traccia di movimento... movimento umano. Un uomo che indossa una logora tuta da lavoro cammina con passo incerto, zigzagando e soffermandosi a brevi intervalli per bere un sorso da una bottiglia; il whisky gli cola lungo il mento, e lui lo asciuga con il dorso della mano abbronzata. Forse si è addormentato nei campi, ubriaco, e ora sta tornando verso casa, incurante di quanto lo circonda, inconsapevole di ciò che incombe sopra di lui. Cala dal cielo con l'agilità di un rapace che ha preso di mira un prelibato boccone coperto di pelo, al centro di un prato erboso. Le braccia si protendono, allarga le dita munite di artigli affilati... La bottiglia di whisky esplode per l'impatto improvviso, frantumandosi nella mano dell'uomo, ma prima che lui abbia il tempo di reagire, gli artigli gli affondano nella carne, schiacciandogli le costole e strappando tutta l'aria dal torace scarno. Riprende quota in un lungo arco e vira verso i rami di una vecchia quercia, dove incastra l'uomo stordito nella biforcazione di un ramo robusto, poi sferra un fulmineo colpo di artigli... e un altro ancora... ma l'uomo è scomparso! Infuriata, vola intorno all'albero, girando in cerchi sempre più bassi per scoprire dove sia caduta la sua preda, che ormai deve probabilmente essere morta, con il collo spezzato. Banchetterà finché il sangue è caldo... scende e gira, scende e gira fino alla base del tronco, poi atterra con impatto frettoloso sul terriccio morbido... l'uomo è scomparso. (Wendy?) (Sono qui). Poi l'albero sparisce... Allarmata, si slancia in cielo (Come...) (Cosa?) (... fa a volare?) (Oh) con la rapidità del pensiero... Si chiede dove sia finito l'albero, che sorta di magia stia operando contro di lei... chi può osare tanto? Da un punto molto elevato, scruta dapprima il terreno alla ricerca di movimento. Se l'uomo dovesse cercare di fuggire, lo avvisterà, lo afferrerà e gli caverà gli occhi per il fastidio che le sta procurando... ma dov'è? Scende più in basso, passando fra le cime degli alberi e zigzagando sui campi, poi si addentra nel bosco fino ad avvistare il granaio, il nido, il covo... ma ha fame, quindi perché rientrare? Levandosi in alto per un breve tragitto, scende con agilità derivante dalla pratica attraverso il tetto semiscoperchiato, e atterra nel fienile con un tonfo sonoro che attira l'atten-
zione delle altre due... che la guardano con scintillanti occhi rossi (Sono forse...?) (Sì), la osservano, e il granaio è più buio di quanto sia mai stato prima. Lancia un'occhiata verso l'alto e vede che il buco nel tetto è scomparso, il cielo non è più visibile, il danno è stato riparato... questo non è mai successo... dove si trova? O, per meglio dire, in che epoca? Questa è prima che... Attraversa di corsa il fienile e balza sul muro anteriore, affondando gli artigli nel legno; l'appiglio non è sufficiente a reggerne il peso, ma in qualche modo, magicamente, vince la trazione della gravità e scende lungo il muro con la grazia lieve di un ragno in caccia. Giunta appena sopra alla porta a doppio battente, si lascia cadere al suolo davanti al granaio. Anche se le dimensioni del suo corpo sono più piccole, ed è quindi meno possente, è comunque più agile di quanto sarà in futuro, e molto più forte di un essere umano. Dunque, in che epoca è? E quelle voci nella sua testa... di chi sono quelle voci... che razza di magia è mai... chi osa... l'anno, l'anno in cui si trovava prima, quello dell'ubriaco, era il 1899. A quel tempo era più grande, ma non ancora al massimo delle dimensioni, il massimo giungeva alla fine del ciclo, indicava il tempo della rinascita e di un nuovo corpo... ma adesso è prima, quindi questo prima deve essere il 1799. Il braccio possente colpisce la porta del granaio, e l'oscurità cede il posto alla notte, poi sta volando di nuovo, ha di nuovo fame, ma dove (Wendy, che sta succedendo?) sta volando questa volta? E perché? La foresta (Dov'è la radura?) vortica sotto di lei, la casa del custode (Cosa?) rischiarata da un'unica luce, ma quale custode, quale (Falla andare nella radura, stimolale quei ricordi!) Stone... di quale anno... si tratta? Voci... strane voci. Quale magia... Chi osa? Scarta sulla destra, lontano dalla casa, verso il posto speciale, ma perché andare adesso nel posto speciale? Circondato dagli alberi, esso sembra attirarla verso il basso, verso le cime degli alberi, ma lei è già là con un custode... Quale custode?... Non Matthias, che verrà dopo... che è morto... è stato ucciso... Quello debole prima di lui? Quello che si è ucciso? No, questo è ancora prima, è il primo custode nel Nuovo Mondo, la nuova discendenza, il primo Stone, ma lei è (Cos'ha la sua mente che non va?) già cambiata, ha la pelle nera e dura come cuoio, ma è di soli trenta centimetri più alta del... di Ezekiel Stone. Quindi questo è il primo risveglio (Tutti i suoi ricordi sono accessibili, ma in questo presente tende a confondere passato e futuro) ed è già difficile coordinare i pensieri e trascriverli sulla carta degli umani, pensieri na-
scosti e protetti, il suo diario, la sua eredità. Nessuno deve trovare o leggere... Protetto! Segreto! Nascosto!... ciò che lei tiene qui. Con il nuovo, imminente ciclo, cresceranno, cambieranno, evolveranno, sperimenteranno. Niente limiti, nuovi limiti, limiti noti. Si cala all'interno del corpo, il suo corpo, il primo ridestato, lei è quel corpo. Ezekiel... guardingo... è fermo con una pala in mano, aspettando che lei abbia finito. Pietre e ossa e pietre e ossa e sangue, il suo sangue per sigillare i suoi - nascosti! segreti! protetti! - pensieri trascritti su carta umana. Perché è qui adesso? Non è la prima volta (Torna alla prima volta!) quando è stata la prima volta (Tu lo sai) per terra e ossa e pietre (Tu lo sai!) e sangue... il buco, il posto segreto. Desideri... È di nuovo umana! Questo è successo prima del sonno... del letargo... del cambiamento, dell'oscuramento, prima che venisse impiccata... che venissero impiccate... da quelli che avevano paura di lei e delle altre, Sarah e Rebecca, la sua congrega... è l'anno in cui ha fondato la congrega, l'anno 1699. È umana o almeno ne ha l'aspetto - e loro sono donne... non-donne, un tempo umane, adesso inumane, cose sconosciute... Lei indossa abiti umani, cuffietta, farsetto e gonna sotto un mantello da equitazione con cappuccio. La faccia di Ezekiel è lucida di sudore per la fatica di aver scavato il buco... Lui veste un giustacuore e ampi pantaloni di cuoio legati sotto il ginocchio... ed è rispettoso, timoroso, ansioso, aspetta i suoi ordini. Comincia a cadere una fitta pioggia, che martella Ezekiel ed Elizabeth Wither. Lei è nella radura, il buco è appena stato scavato in questo - protetto! segreto! nascosto! - posto creato da Ezekiel, il primo custode Stone. Lui saprà (Questo è l'inizio) di questo posto, ma ha paura, è fidato perché ha paura, sarà un custode per questo posto come è un custode per la congrega. Sa, ma non tocca. Solo il sangue può toccare, solo il sangue (Qui ha nascosto qualcosa!) può vedere, può percepire sotto le pietre e le ossa e la terra, fino a toccare il fondo. Solo il sangue! Altri conosceranno... lui conoscerà... soltanto MORTE! Sarà così, sarà così, sarà così, e lei sbircia nel buco - nell'abisso! - e vede la terra e le pietre e le ossa e più giù dove giace - dove la morte è in attesa! - che nessuno sappia (È una trappola!) che non sia del sangue... così sarà! Le grosse gocce di pioggia diventano rosse, si trasformano in sangue, inzuppano il terreno e filtrano nella polvere che si tramuta in fango carminio. La luce si estingue nel cielo e l'oscurità incombe. Con l'incupirsi delle ombre, il carminio diventa nero...
Il terreno sobbalza, trema e si contorce sotto di lei, trascinandola in basso (WENDY!) ma lei ha il sangue giusto!... Si protende (Andiamo...!) verso il cielo, sprofonda incontro alla sua sorte, respira terra (TI PREGO!) e soffoca, lotta (...via!...) invano - ma lei appartiene al sangue?! - i vermi le scavano nella carne (AIU...!), banchettano (...di qui!) con la sua carne, lei urla d'agonia, il suo petto (...TAMI!) brucia... brucia... BRUCIA! Wendy annaspò e strinse con forza la mano di Kayla fra le proprie mentre si sollevava a sedere tossendo. Kayla soffocava, rantolando alla ricerca di quell'aria che era ovunque intorno a lei tranne che nel sogno. Intrappolata nell'incubo che stava vivendo, e che la stava uccidendo. Wendy la scosse per le spalle, gridando il suo nome. «Kayla! Svegliati!» Nella fioca luce ambientale, vide che le labbra dell'amica si stavano facendo bluastre. Sedendosi a cavalcioni su di lei, all'altezza della vita, le infilò le mani sotto le spalle e la tirò su, scrollandola senza ottenere nessuna reazione; alla fine sollevò la mano aperta, schiaffeggiandole con forza una guancia. Le palpebre di Kayla si spalancarono di scatto, il bianco degli occhi che spiccava enorme, ancora intenta a vivere il sogno, intrappolata nell'oscurità soffocante, sepolta viva e impossibilitata a sfuggire all'incubo. «Kayla! Mi senti? Sono Wendy! Parlami!» «Uh... uh... uh!» Kayla rabbrividì, annaspando, la voce che suonava rauca. «Non... respiro...!» «Qui puoi respirare! Quello era un sogno! Solo un sogno! È finito!» «R... r... respirare?» Wendy annuì energicamente. Kayla prese una grande boccata d'aria, come se fosse rimasta sott'acqua per più di due minuti e fosse riaffiorata soltanto allora, e intanto Wendy l'abbracciò, badando a non stringere troppo, accarezzandole i capelli blu elettrico e battendole dei colpetti sulla schiena mentre la faceva dondolare avanti e indietro con un movimento rilassante. «Sogno... il sogno», disse infine Kayla, tremando. «Tu eri là... ti ho sentita, ti ho parlato... nella mente! La sua mente!» «Sì», annuì Wendy, poi ripeté. «Adesso stai bene. È finita». Il volto solcato di lacrime, Kayla si ritrasse appena quanto bastava per
guardare l'amica negli occhi. «Mi hai salvata. Gesù!... Ha cercato di uccidermi! Ma tu mi hai salvata. Tu!» E baciò Wendy sulla guancia, poi trovò le sue labbra una, due volte, prima di premere la guancia contro quella di Wendy, tenendo vicine le loro teste come se stesse per sussurrarle chissà quale segreta confidenza. Invece si limitò a tremare e a ripetere all'infinito una sola parola. «Grazie». «Ho salvato entrambe», precisò Wendy, sentendo sulle labbra il sale delle lacrime di Kayla. «Se ricordi, ero intrappolata là anch'io». «Sembrava così reale...» Kayla scosse il capo, incredula. «Cosa è successo?» «Abbiamo cominciato a sperimentare la trappola che lei stava piazzando», spiegò Wendy. «Stava apponendo un incantesimo sulla radura, su ciò che ha seppellito in quel buco, qualsiasi cosa fosse». Kayla si sedette all'indietro sui talloni, in modo da poter vedere in faccia Wendy, e si concesse un momento per asciugare con il palmo della mano le lacrime che si stavano già seccando sulla pelle. «Una trappola, eh? E adesso che si fa?» «Troviamo il modo di disinnescarla». «Non so, Wendy, è tutto troppo strano. Forse dovremmo...» «È un incantesimo per gli ignari», disse Wendy. «Non per noi. Saremo protetti». «Come? Con giubbotti antiproiettile? Indumenti protettivi da agenti NBC?» «Con la magia», replicò Wendy. «Combattere il fuoco con il fuoco? Wendy, non so...» «Kayla, se vuoi delle risposte, devi fidarti di me, ancora una volta», ribatté Wendy. «Wither ha nascosto là qualcosa, lo ha protetto con la magia per centinaia di anni. Tu sei stata attirata in quel posto. Stranamente, credo lei voglia che tu lo trovi». «È proprio di questo che ho paura». Wendy si coprì la bocca per soffocare una risatina improvvisa. Anche Kayla sorrise, alla ricerca di un po' di umorismo, anche macabro. «Che c'è?», chiese. «Stavo solo pensando che Alex si prenderebbe a calci da solo, se sapesse di essersi perso quel... quel bacio di prima», rise Wendy. «Quel bacio?», ripeté Kayla, inarcando un sopracciglio. «Cosa intendi
dire?» «Quando tu... prima, quando hai...» «Oh», sorrise Kayla, «vuoi dire quando ho fatto questo...» E si protese in avanti, offrendo le labbra in un gesto esagerato e sbattendo le ciglia in modo comico. Wendy afferrò un cuscino, lo infilò fra loro e la spinse indietro con uno strillo. «Cos'è questo?», esclamò Kayla, fingendosi sconvolta. «No, non può essere, non... una lotta con i cuscini!» E afferrò a sua volta il cuscino; stava per calarlo sulla testa di Wendy quando la porta della camera da letto si spalancò e Alex apparve sulla soglia, a bocca aperta per la sorpresa. «Mi è parso di sentir gridare... Oooh, una lite fra innamorati?» Entrambe gli scagliarono contro il cuscino, scoppiando in una risata isterica. Diario di Wendy Ward (segue) Adesso è finita. La cosa mi ha terrorizzata, ma è finita. Ho vissuto l'incubo insieme a Kayla, nella sua mente, e qualcosa... qualcuno... ha cercato di assalirci. Forse però questo è un guardare i fatti in maniera un po' troppo semplicistica. Non so veramente se là ci fosse qualcosa... di senziente, qualcosa di malevolo. In qualche modo, però, il sogno ha acquisito una sua realtà psicologica o subconscia. Sono riuscita a emergere dal sogno, ma ho fatto molta fatica a svegliare Kayla, e per tutto il tempo lei ha continuato ad annaspare, non riuscendo a respirare. Purtroppo, non so ancora se siamo al sicuro dall'influenza di Wither. Non posso esserne certa, né in un senso né nell'altro. Se Wither è annidata all'interno di Kayla, in una forma embrionale che sta tentando una nuova rinascita, perché quella forza vitale avrebbe cercato di ucciderla, considerato che lei è il suo ospite? Invece, sembra che Kayla sia in pericolo quanto me o chiunque altro: se è qualcosa di senziente, allora non guarda in faccia nessuno, ma credo questa sia una caratteristica del caos. A beneficio di Alex ho cercato di minimizzare quello che è successo, di sminuire i rischi che ho corso e il pericolo che abbiamo affrontato. In questo mi ha aiutato il fatto che non ho intenzione di tentare un altro sogno cosciente-congiunto. Oops, devo informare la Vecchia, ho coniato un'altra definizione! Domani, visiteremo la radura di Wither, e scopriremo cos'ha tenuto na-
scosto là per tutti questi anni. E stanotte? Stanotte... ma sarebbe più esatto dire stamattina... ecco, ho bisogno di imparare qualche nuovo trucco. Kayla sta dormendo nella stanza di Frankie, perché il sogno cosciente l'ha esaurita (ho promesso di darle un'occhiata ogni tanto, e di svegliarla se avesse avuto un altro incubo, ma credo di aver infranto il ciclo di quei sogni). Ho detto ad Alex che avevo bisogno di tempo per meditare, quindi lui è nell'altra stanza a guardare chissà quale incontro sportivo su una delle stazioni televisive che trasmettono ventiquattro ore su ventiquattro. Non importa di quale sport si tratti, basta che qualcuno stia calcolando i punteggi, e lui è disposto a guardarlo. Basta procrastinare. Devo cominciare a prepararmi contro questo demone invernale, ho molto da fare e il tempo a mia disposizione si sta esaurendo. Note 1. Vuol dire letteralmente 'nato prima' in giapponese, ed è l'appellativo con cui gli allievi si rivolgono al maestro di karate o di altre arti marziali [ndt]. 2. È il motto della polizia di Los Angeles, poi diventato di tutta quella degli Usa [ndt]. Capitolo 11 Windale, Massachusetts 4 gennaio 2002 Il mezzo di focalizzazione di Wendy era una fiamma. Dall'altra parte della sua camera da letto, sistemata sul comò ma ben visibile dal letto, una candela ardeva in un portacandele di vetro; per agevolare la concentrazione, Wendy stava tenendo fra le dita uno dei cristalli di quarzo del suo bracciale. Adesso che aveva vinto la sfida costituita dalla proiezione astrale di primo livello, era decisa ad approdare alle complessità del secondo livello. Non potrei trovare un momento migliore di questo per provarci, pensò. La casa era silenziosa, e lei avrebbe dovuto sentirsi stanca, ma la frenetica esperienza di quel sogno-trappola aveva pompato nel suo sistema una quantità di endorfina tale da farle sentire il bisogno di bruciare le energie
in eccesso. Meglio che ci provi adesso, si disse, prima di esaurirmi e crollare per lo sfinimento. La parte più difficile era sgomberare la mente dai pensieri relativi a quanto era appena successo, fino a raggiungere lo stato di rilassamento assoluto e di totale disconnessione necessario all'autoipnosi. Per fortuna aveva alle spalle anni di pratica nel perseguimento di uno stato meditativo, nel trovare il proprio centro mentale e nel focalizzarsi sul problema magico da affrontare. In meno di cinque minuti, il suo corpo astrale - o meglio, la sua consapevolezza astrale - scivolò fuori dal suo io fisico e fluttuò oltre i piedi del letto, passando davanti allo specchio del comò. Poteva vedere lo specchio, con la chiarezza cristallina propria della vista astrale, ma la sola immagine che esso rifletteva era quella del suo io fisico seduto. Quello fu un momento molto strano, perché gli occhi della Wendy fisica erano chiusi, e tuttavia lei vedeva la propria immagine riflessa. Anche se non è la mia immagine attuale... ammesso che un'affermazione del genere abbia senso, si disse. Trascorsero alcuni minuti, durante i quali la sua consapevolezza continuò a librarsi davanti allo specchio. La Vecchia aveva detto che doveva usare la volontà per rendere visibile il suo io astrale: tutto era un'estensione della fede e della volontà, il dominio della mente sulla materia, sull'etere. Se si fosse concentrata abbastanza a lungo, la sua consapevolezza si sarebbe dilatata da un punto concentrato fino ad acquisire la completa dimensione di un corpo. Lanciando un'occhiata al riflesso del corpo fisico, la Wendy astrale pensò che avrebbe potuto esserle d'aiuto imitare lo stato attuale della Wendy fisica, perché le sarebbe stato più facile visualizzare un'immagine che si trovava proprio davanti ai suoi occhi astrali. Immaginò il proprio corpo astrale come se fosse stato leggero quanto il fumo, poi ancora più leggero, fino a essere privo di peso; immaginò gli arti che si congiungevano, le gambe incrociate, le mani sulle ginocchia, con il palmo verso l'alto. Continuò a fissare l'immagine della Wendy fisica riflessa nello specchio, registrando nella mente astrale ciascun dettaglio in un elenco che si andava facendo sempre più lungo... le pieghe della camicia da notte, una ciocca ribelle dei capelli ramati che le copriva il sopraciglio destro, un livido sbiadito delle dimensioni di una monetina sullo stinco sinistro, il tatuaggio con la luna crescente e le stelle sulla caviglia destra, la scheggiatura dello smalto sul pollice destro, e così via... finché la somma delle parti divenne un tutto visualizzato. A un certo punto, la Wendy astrale smise di concentrarsi sul corpo fisico abbastanza a lungo da notare un
duplicato spettrale che si rifletteva accanto a quest'ultimo nello specchio: se avesse avuto la capacità di respirare, avrebbe sussultato. È come se avessi composto un dipinto di me stessa fatto d'aria, pensò con meraviglia. Focalizzando la propria consapevolezza sul suo io astrale, ne raddrizzò le gambe e cercò di alzarsi in piedi, ma essendo priva di massa poteva soltanto avvicinarsi in maniera approssimativa all'aspetto derivante dalla forza di gravità, e la sua immagine trasparente conservò una sensazione di assenza di peso, come un astronauta in grado di spingersi nel vuoto ed eseguire parecchie lente capriole attraverso la stiva della navicella spaziale. Piuttosto che cercare di immaginare se stessa piantata sul pavimento, si concentrò per migliorare la propria opacità. La sua replica astrale appariva accurata in tutti i dettagli, ma priva di sostanza quanto la pellicola di un film proiettato su una colonna di fumo bianco. Esaminando il problema in maniera logica - dopotutto, uno dei sacri testi manageriali di Alex sosteneva che «non ci sono problemi, solo opportunità» - doveva ammettere che tutti i colori apparivano sbiaditi, dai toni della sua pelle al verde della camicia da notte con le minuscole rose rosse ricamate. Se è solo una questione di volontà, rifletté, dovrebbe essere sufficiente intensificare i colori da me visualizzati. Dopo pochi istanti i colori della sua immagine astrale cominciarono a mutare, quasi stesse regolando i controlli della tonalità, della saturazione e della luminosità di una tivù a colori. In un certo senso, quella metafora le fu di aiuto, fece apparire naturale quella regolazione, e rese quindi più semplice immaginarla. Wendy prese a risplendere, i colori che emanavano dalla sua forma astrale come se fosse stata illuminata dall'interno. D'accordo, forse la luminosità è un po' eccessiva, rifletté. Abbassiamola e lavoriamo sulla saturazione. Nell'arco di pochi altri minuti di sperimentazione, riuscì a scurire la maggior parte dei colori fino a ottenere un'opacità completa; soltanto i toni della sua carnagione continuarono a costituire una sfida, rimanendo leggermente spettrali: se restava immobile per più di pochi secondi, i dettagli della stanza, visti attraverso la sua persona cominciavano a farsi definiti. Dopo un po', riuscì a trovare una soluzione di compromesso. Se da un lato il suo io fisico effettivo aveva un colorito sano, anche se privo di abbronzatura, di contro l'immagine astrale rimaneva di un colore alabastrino, simile al marmo e, quindi innaturale; alla fine, dato che la sua immagine astrale era immune dai dannosi raggi UVA del sole, decise di regalarsi un
po' di abbronzatura visualizzata. Pochi minuti più tardi, l'abbronzatura era completa e la trasparenza scomparsa. Dopo aver esaminato con soddisfazione quella sua nuova e migliorata immagine astrale, tentò di camminare, ma scoprì che quella era un'illusione impossibile da creare: non aveva massa, non avvertiva frizione o resistenza e non aveva una sensazione di equilibrio fisico, per cui il risultato era che i suoi arti si agitavano nell'aria in una strana pantomima, simile alla camminata di un astronauta. Provò allora a tenere immobile la propria opaca immagine astrale e a fluttuare avanti e indietro usando la volontà per aggirarsi per la stanza. La cosa risultò molto più facile da realizzare, ma ancor più maledettamente strana. Forse il problema dipendeva dal fatto che appariva vestita con una camicia da notte che lasciava quasi del tutto scoperte braccia e gambe; l'illusione di camminare avrebbe potuto essere molto più facile da mantenere se lei si fosse visualizzata in una lunga veste ampia, una che lasciasse esposte solo le mani. Duplicare il fluire e l'ondeggiare del tessuto in movimento avrebbe richiesto una precisione molto minore di quella necessaria per imitare i movimenti delle articolazioni umane. Finora, però, era riuscita a creare con successo una propria immagine astrale soltanto duplicando ogni dettaglio della propria forma fisica, quindi per il momento avrebbe dovuto accontentarsi di fluttuare. Magari nel prossimo esercizio si sarebbe visualizzata avvolta in un lungo mantello con cappuccio oppure, per semplificare le cose, avrebbe indossato fisicamente un mantello prima di cominciare la visualizzazione. A un certo punto, avrebbe dovuto progredire fino a passare a stadi più elevati della proiezione astrale, il che significava generare illusioni, visualizzando abiti e aspetti diversi. Soddisfatta dei risultati ottenuti con il secondo stadio, decise di sperimentarlo su strada - alla lettera - e diresse il proprio io astrale attraverso la porta chiusa della camera da letto, registrando una minima resistenza... no, quella non era la parola giusta, piuttosto una forma di esitazione... nel passare attraverso la sostanza fisica del legno. Esitazione e un infinitesimale istante di oscurità, poi si ritrovò nel breve corridoio. Prima di lasciare la casa, decise di dare un'occhiata a Kayla, come promesso, quindi passò attraverso la porta della camera di Frankie, entrando con una certa cautela nell'improbabile eventualità che Kayla fosse sveglia. Potrei terrorizzarla a morte, dopo quel sogno infernale che per poco non l'ha soffocata, rifletté. Kayla però stava dormendo, stesa supina, con il petto che si alzava e si
abbassava nella respirazione regolare del sonno. Invertendo la propria direzione, Wendy uscì dalla camera da letto e percorse il corridoio, silenziosa come il pensiero... e immersa nel silenzio più assoluto. Nel librarsi dietro ad Alex, che si era assopito a sua volta, fissò le immagini che si susseguivano sullo schermo del televisore e si rese conto che la sua immagine astrale era sorda. Secondo la Vecchia, il primo stadio della proiezione astrale aveva soltanto un senso, la vista astrale, ma era possibile sperimentare anche gli altri. Dei cinque, la vista era quello che forniva maggiori informazioni, probabilmente quello d'importanza più critica, ma l'udito lo seguiva di stretta misura. Il tatto poteva dimostrarsi controproducente nel mondo astrale, anche se il controllo astrale degli oggetti del mondo fisico avrebbe potuto essere decisamente utile. Avrebbe potuto divertirsi a fare il poltergeist, il prossimo Halloween. Dal momento che non poteva mangiare quando era sul piano astrale, l'olfatto sembrava il meno importante dei sensi. Sentire ed essere udita - ma come faceva un corpo astrale a emettere suoni? - erano due priorità assolute. La vista astrale era stata una cosa automatica, una caratteristica standard, ma adesso le serviva qualche altro equipaggiamento opzionale per far sì che la proiezione astrale diventasse uno strumento davvero utilizzabile del suo armamentario wicca. Dal momento che gli indizi visivi l'avevano aiutata a creare una forma visibile, forse quelli uditivi l'avrebbero aiutata a sentire astralmente. Sullo schermo, le facce dei cronisti, teste parlanti, si alternavano agli eventi sportivi, e anche se lei non aveva mai imparato a leggere le labbra, alcune parole apparivano ovvie; nel leggerle, cominciò a immaginare di poterle anche sentire. Iniziò come un sussurro soffocato che crebbe fino a diventare un suono simile a quello prodotto in una stanza piena di persone intente a bisbigliare, quasi il rumore di una folla lontana, un susseguirsi rapido di parole indistinguibili, un muro di suono. Poi però quelle parole, dedotte dal movimento rivelatore delle labbra, cominciarono a emergere dalla massa, a sollevarsi dal rumore di fondo che permeava l'etere intorno a lei. I suoni erano soltanto vibrazioni, compressioni ed espansioni nell'aria; sentire era interpretare quelle vibrazioni, dare loro un senso udibile. Quanto più guardava il movimento delle labbra dei cronisti sportivi, tanto più si accorciavano i vuoti fra le parole comprensibili. «Questo è frrrr-frrrr... per frrrr-frrrrfrrrr. Nel frrrr collegamento, daremo uno frrrr-frrrr ai principali eventi NBA. A risentirci fra due minuti!» Seguì lo spot pubblicitario di uno shampoo, e Wendy riuscì a distinguere la maggior parte delle parole, per-
fino quelle pronunciate da voci fuori campo. Recepiti astralmente, i suoni avevano una qualità strana, probabilmente perché li stava ascoltando senza l'ausilio o i limiti delle orecchie organiche. Pareva quasi che provenissero da tutte le parti contemporaneamente. Ma era davvero così? Oppure erano soltanto dentro di lei, parte della sua nuova consapevolezza? Adesso che era in grado di sentire sul piano astrale, suppose che avrebbe potuto cogliere anche i suoni più deboli, se solo si fosse concentrata abbastanza a lungo e abbastanza intensamente. Sentire... ed essere sentita. Cercò di parlare, ma non successe nulla. Ma certo, razza di idiota, si disse, non hai le corde vocali! Però la Vecchia riusciva a parlare nella sua forma astrale; in passato aveva comunicato direttamente con la sua mente, perfino in sogno, usando una modalità di linguaggio telepatica, ma era anche in grado di parlare ad alta voce, per quanto questo dovesse probabilmente risultare più difficile e stancante. Probabilmente, in forma astrale, è più facile imparare a usare il linguaggio dei segni che non a emettere suoni, rifletté. Tuttavia, anche se la maggior parte delle persone non comprende il linguaggio dei segni... più o meno tutti capiscono determinati gesti universali. Chissà come mai, si chiese sulla scia di quei pensieri, esiste un gesto universale per dire «fanculo», ma non ce né uno che significhi «grazie»? Utilizzando le tecniche di visualizzazione avanzata, dedicò parecchi minuti a una serie di esperimenti diretti a creare a sua volta dei suoni, vibrazioni che scaturissero dalla testa e dalla gola della sua immagine astrale. Non avendo adeguate cognizioni di anatomia, non era in grado di visualizzare il funzionamento delle corde vocali da un punto di vista strettamente medico, quindi affrontò il problema da un altro angolo uditivo, manipolando l'aria e creando in essa vibrazioni. Ben presto riuscì a produrre un assortimento di sbuffi, sibili, soffi e fischi; erano tutti fievoli, ma con un po' di pratica avrebbe potuto mescolarli e modularli fino a ottenere quasi delle parole. «Wenn-wee... Ahh-eesss... Hehh-woh h...» Grandioso, pensò. Potrò sempre trovare lavoro nella casa degli orrori di qualche Luna Park. Cercare di emettere suoni senza l'uso delle labbra doveva somigliare ad apprendere l'uso del ventriloquio, solo che era più difficile, incredibilmente più difficile.
«Ahh-eess... sseeaa-aaiii!» Lungi dallo svegliarsi, Alex non si mosse neppure; per lui le sue parole, o meglio i suoi suoni, non erano che sussurri spettrali, lievi esalazioni di fiato. «Puoooii seee-nhiii-mii?» No, a quanto pareva. Abbandonando quel corso accelerato di logopedia astrale, Wendy decise di continuare le esplorazioni, non solo fuori dal corpo, ma anche fuori dall'edificio. Fluttuando in avanti con la grazia di un fantasma, passò attraverso la porta scorrevole di vetro che dava accesso alla terrazza e scoprì un nuovo vantaggio dell'assenza di qualsiasi sensazione tattile: non avvertiva il freddo! Se la Wendy fisica fosse uscita di casa senza avere indosso nient'altro che una camicia da notte di satin e le mutandine, probabilmente si sarebbe subito congelata il posteriore, le sarebbe venuta la pelle d'oca e avrebbe cominciato a battere i denti con un crepitio degno di un mortaretto. La Wendy astrale, d'altro canto, era capace di conservare ogni singolo grammo - ogni singolo grammo figurato, dato che era priva di peso - della sua dignità. Non che fluttuare in giro in camicia da notte sia poi una cosa cosi dignitosa, ammise fra sé. Però il freddo non può toccare il mio sedere astrale! Un solo pensiero fu sufficiente a farla salire in verticale nel cielo, ma una volta al di sopra delle cime degli alberi le parve inutile salire ulteriormente; peraltro, mentre fluttuava lassù, le venne in mente un'altra complicazione potenziale: adesso era visibile, una giovane donna seminuda che volava sopra i tetti come Campanellino, ma senza l'aiuto della polvere fatata, il che significava che chiunque avesse casualmente guardato in alto nel momento sbagliato, si sarebbe preso probabilmente uno spavento, avrebbe perso il controllo della macchina o avrebbe rischiato un attacco alle coronarie. Certo, erano le ore piccole del mattino, ma sarebbe bastato un singolo incidente... La soluzione più semplice era quella di raggiungere una maggiore elevazione, portarsi tanto in alto da risultare indistinta per chiunque si fosse trovato a terra. Prima o poi, avrebbe dovuto imparare come fare a diventare visibile o invisibile a suo piacimento, ma per ora si limitò a salire in cielo fino a quando le case sotto di lei assunsero le dimensioni di un cartone del latte e le automobili divennero dei giocattoli. La velocità era un'altra variabile su cui poteva esercitare un certo controllo. A quanto pareva, aveva una rapidità di fluttuazione automatica, ma un tocco della sua «volontà» poteva produrre una rapida accelerazione, e con una concentrazione appena maggiore poteva sfrecciare attraverso il
cielo notturno più spedita di un uccello. Se però cercava di accelerare ulteriormente, i pensieri le si facevano vaghi e confusi, come se il punto concentrato della sua consapevolezza si stesse espandendo e assottigliando eccessivamente. Temendo quello che sarebbe potuto succedere se avesse perso coscienza di sé mentre era separata dal corpo fisico, rallentò il proprio volo, adeguandolo a quello di un uccello. Il suo corpo astrale non era aerodinamico e non era strutturato per il volo, ma nulla di tutto questo aveva importanza, perché non aveva bisogno di fare alcuno sforzo fisico per rimanere sospesa, in quanto non incontrava attrito ed era immune alla trazione della forza di gravità. Per volare in una qualsiasi direzione a una velocità ragionevole, le bastava semplicemente volerlo fare. Poteva arrestarsi di colpo a mezz'aria, restare immobile - perfino a testa in giù - piroettare, scendere o librarsi. Le possibilità apparivano infinite. Guardando in basso verso la distesa urbana di Windale, cercò di valutare dove si trovava esaminando la rete delle strade, gli agglomerati delle case buie, le irregolari linee di alberi e le macchie di bosco. Usando Main Street come punto di riferimento, descrisse una curva verso il basso dirigendosi verso la proprietà di Stone, e calò di quota fino a portarsi a meno di quindici metri dalla cima degli alberi più alti. Da quel punto di osservazione sopraelevato, individuò i resti carbonizzati del granaio che era servito da covo per la mostruosa congrega, e anche se la struttura era completamente bruciata, percepì i residui di malvagità che ne emanavano... non c'era altro modo per descrivere il senso di disgusto che provava, il desiderio di trovarsi ovunque, tranne che là. Gli esseri astrali sono forse più sensibili alla presenza o ai manufatti del Male? si chiese, sperimentando l'equivalente di un brivido astrale. Probabilmente, pensò poi, è una sorta di compensazione mentale, come una persona che abbia subito un'amputazione e senta prudere l'arto mancante. Fluttuando lontano dal granaio in rovina, salì più in alto e cercò di localizzare la radura che aveva visto nel sogno di Kayla, ma per quanto si librasse avanti e indietro intorno alla vecchia casa, non ebbe fortuna; ebbe invece, a tratti, la fugace impressione di perdere conoscenza, brevi istanti di vuoto o di smarrimento, e dopo alcuni minuti di vane ricerche giunse all'inevitabile conclusione che l'incantesimo protettivo di Wither doveva probabilmente schermare la sua area speciale dallo spionaggio astrale: un modo ulteriore, e tutt'altro che inatteso, di proteggere il suo tesoro segreto. Domani andrà benissimo, si disse. Domattina Kayla troverà la radura.
Mentre tornava a prendere quota nel cielo, la sua attenzione fu attratta da qualcosa di piacevole, una sensazione che sapeva di familiarità e di accettazione, e che era l'esatto opposto della repulsione e del disgusto che emanavano dal granaio in rovina. Non riusciva a vedere cosa la stesse attirando, e quasi chiamando, ma era consapevole della sua presenza e si lasciò andare alla deriva nel cielo notturno, facendosi guidare da quella sensazione come se fosse stata un faro; quando si accorse di averne oltrepassato di troppo la fonte, invertì la direzione finché il segnale non tornò a essere intenso, riducendo le distanze da quella sensazione strana e invitante mediante un procedimento del tutto intuitivo. Un ruscello, una striscia scintillante di ghiaccio fra cui scorreva un rivolo di acqua gelida, riflesse verso di lei la luce della luna. Nello scendere in picchiata da un'altezza superiore a quella degli alberi, Wendy intravide una macchia indistinta di pelliccia bianca che avanzava fra gli alberi in cerca di acqua; quando infine raggiunse il terreno, librandosi a un paio di centimetri dall'erba, la chiazza bianca risultò essere un lupo. «Aaa-iiii!», cercò di esclamare, capendo di chi si trattava. La testa del lupo si girò di scatto sul corpo possente e la fissò con sorpresa, ma senza timore, mentre lei rimaneva sospesa nell'aria, chiedendosi che impressione avrebbe avuto il lupo Abby della Wendy astrale, considerato che il lupo non poteva avvertire il suo odore; sotto quell'aspetto, il suo io fisico era invisibile e non percepibile per il lupo, ma era evidente che poteva invece vedere la sua forma astrale; Wendy notò poi sul suo dorso una sorta di zaino cachi modificato, con dei passanti cuciti sulla parte inferiore a sostituire le cinghie per le braccia. Qualcosa che Abby si mette addosso prima di cambiare forma? si chiese. «Ooono io o... Weenn-iii». La testa del lupo annuì con un gesto secco. Non solo Abby poteva vederla e riconoscerla, ma riusciva anche a sentirla! «Èèè dii-fii-cieee pahaaehhe». Il lupo Abby roteò gli occhi, quasi a dirle: «Prova a essere un lupo». «Soho-noo aaa Winnnhaaee». Il lupo annuì ancora e avanzò di qualche passo verso di lei, annusando invano l'aria in cerca di un odore. «Mah oon shoo-no hea-ee-nte ui ora. Ueeshsta è poo-hiieione asshale», cercò di spiegare Wendy. Anche ammesso che decifri cosa ho detto, pensò intanto, probabilmente non lo capirà. «Tu noo phoi fhuitahmi». Il lupo Abby le si sedette davanti, inclinando la testa da un lato.
«Uooii ienthaee uhuanha? Oshi pahiiamhoo». Dopo un momento, il lupo annuì e indietreggiò di un paio di passi. Piena di meraviglia, Wendy rimase a guardare mentre le ossa del lupo parevano piegarsi e torcersi ad angolazioni impossibili, duttili come l'argilla; il corpo si contorse, le articolazioni schioccarono e la pelle ondeggiò in un modo sgradevole a vedersi, così da indurre Wendy a chiedersi che sorta di sensazioni bizzarre dovesse dare tutto questo. Poi il pelo si ritrasse nella pelle e si assottigliò fino a diventare una lieve peluria umana, la pelle stessa si fece rosea e tenera. Se era stato sconcertante guardare il rimodellarsi delle gambe, la trasformazione della faccia lo fu ancora di più: le ossa del muso collassarono nella faccia ora priva di pelo, il cranio si estese verso l'alto, arrotondandosi, le orecchie persero la forma appuntita sormontata da ciuffi di pelo per diventare normali orecchie umane dai lobi forati. L'intera trasformazione non richiese più di un minuto, poi Abby tornò a essere umana, nuda e gelata fino alle ossa. Con una disinvoltura priva di imbarazzo, si sfilò i passanti dalle braccia sottili e tirò fuori una coperta dallo zaino, avvolgendosela intorno alle spalle e accoccolandosi su se stessa per cercare di conservare il calore corporeo. «Nuda così non sono abbastanza coperta per il freddo di gennaio», commentò, battendo i denti. «Mii ispiahee, Aa-iii». Wendy era stata così decisa a riuscire a parlarle che non aveva pensato alle conseguenze fisiche di un suo ritorno alla forma umana. «Non importa, mi ci sto abituando», rispose Abby. «Vengo qui di notte per cercare di assumere altre forme. Vorrei volare, Wendy, ma ancora non ci riesco. Ci provo così tanto... E a volte quasi funziona. Le ossa vogliono cambiare, ma continuo a combinare pasticci». «Noon hombhaeerlo», suggerì Wendy. «Non devo combatterlo? Ti riferisci al cambiamento?» «Perheethi alle ossa hi chreahe huovo horho», annuì Wendy. «Devo permettere alle mie ossa di creare il nuovo... corpo? Ma io voglio volare, essere un uccello, un'aquila». Wendy fece di sì con la testa, a indicare che approvava quella scelta. «Lhashia hecidehe alle ossa», suggerì. «Devo lasciar decidere alle mie ossa», ripeté Abby, poi sorrise, esclamando: «Devo lasciare che siano loro a scegliere che uccello vogliono diventare!» «Sssi», sorrise Wendy. Adesso stava cominciando ad avvertire la stan-
chezza, non tanto una debolezza fisica quanto una mancanza di concentrazione, un graduale offuscarsi della consapevolezza, il che costituiva probabilmente un segnale che la avvertiva di far ritorno al più presto al suo corpo fisico. La Vecchia aveva parlato della possibilità che potesse perdere la consapevolezza, ma cosa sarebbe successo se avesse smarrito la focalizzazione al punto da non poter effettuare il viaggio di ritorno? Potrei... la mia essenza potrebbe dissiparsi nei venti dell'etere? si domandò. «Sei davvero a Windale?», chiese intanto Abby. Wendy annuì. «Possiamo vederci domani? Dopo la scuola?» «Sssi», rispose Wendy «Bene», disse Abby, poi si accigliò e aggiunse: «E... dove abiti?» «Ssstesso posssto...» «Bene. Verrò io da te, in qualche modo. Troverò il sistema. Come me stessa, come lupo, o magari come un uccello!» «Ssta attehenta», ammonì Wendy. «Orha devo andare... d'hacchordo?» «D'accordo, Wendy», rispose Abby. «Grazie per il suggerimento. Farò un tentativo». Wendy riprese quota nel cielo notturno, guardando la piccola sagoma di Abby rimpicciolire sotto di lei. In basso, Abby ripose la coperta nello zaino, infilò di nuovo a fatica le braccia nei passanti fatti in casa e tornò ad assumere la forma di un lupo. Prima ancora che lei avesse ultimato la mutazione, Wendy sfrecciò via attraverso una fila di alberi, poi salì di quota con un'angolazione di quarantacinque gradi mentre sorvolava le case, in modo da ottenere elevazione e distanza con un solo movimento. In meno di due minuti di volo si ritrovò di nuovo sulla sua terrazza. Guardando attraverso la porta a vetri, si accorse che Alex era sveglio, con il telecomando in equilibrio su un ginocchio. Il movimento improvviso del suo avvicinarsi doveva averne attirato l'attenzione, dato che un istante prima era concentrato sulle immagini sportive e quello dopo la stava fissando dal vetro. Crede che sia in piedi qui fuori in camicia da notte! pensò Wendy. Alex si alzò dal divano e si affrettò verso la porta a vetri per farla entrare in casa, chiedendosi probabilmente se dovesse aggiungere anche il sonnambulismo all'elenco delle stranezze di Wendy Ward. Lei lo precedette, passando attraverso la porta a vetri ed entrando nella sala da pranzo, poi non riuscì a trattenere un sorriso nel vedere il teleco-
mando cadergli dalle dita improvvisamente inerti. Lui sbatté le palpebre, si sfregò gli occhi e scosse la testa, tutti tentativi inutili di cancellare quella che credeva essere un'allucinazione da sonno dovuta all'ora tarda. «Wendy... cosa? Come?», farfugliò. Questa volta lei si sforzò al massimo per cercare di scandire bene le parole, e riuscì quasi a pronunciarle nel modo giusto. «Lhivhe-llo due». «Live... cosa?», chiese Alex. «Hai la voce debole, e le labbra non... non si muovono». Oops, pensò Wendy. Devo rimanere concentrata. Due parole, tre sillabe e una sillaba. Devo dirle! «Livello due». «Livello due?», ripeté Alex inarcando le sopracciglia mentre cominciava a capire. «Oh! Il livello due... della proiezione astrale. Ce l'hai fatta! Ce l'hai fatta davvero! Posso vederti, è come se fossi proprio... posso toccarti?» Wendy sollevò il braccio destro con il palmo rivolto in fuori. Vengo in pace, pensò, e sorrise. Alex si fece avanti con una lieve esitazione, alzando la mano sinistra fino a portarla davanti alla sua destra, palmo a palmo, avvicinandola un millimetro per volta senza però arrivare a toccarla. Probabilmente, ha paura che gli dia la scossa, pensò Wendy. «Booo!», esclamò quindi, e spinse la mano contro la sua... attraversandola di netto e ritrovandosi con due dita che sporgevano dall'avambraccio di lui. Alex si ritrasse di scatto, come se fosse stato punto da una vespa. «Oh, Dio... che sensazione strana!», commentò, massaggiandosi con la destra l'avambraccio sinistro e rabbrividendo. Wendy sorrise e scosse il capo. Si sentiva stanca, scarsamente focalizzata, e questo non andava bene. «Ora torno nel mhio chorpho». «E la prova della sculacciata?» «Quahe phova?» «Quella in cui io ti sculaccio per vedere se senti il colpo», spiegò Alex, con un sorriso malizioso, «e... magari anche per ripagarti della paura infernale che mi hai fatto prendere». Wendy fece no con la testa e, con un pensiero, fluttuò attraverso la cucina... alla lettera.
La metà inferiore del corpo attraversò di netto la lavastoviglie, prima che l'intera figura scomparisse dentro il muro per poi riapparire nel corridoio. Alex ebbe a stento il tempo di allargare la mano e di farsi avanti, che Wendy già era scomparsa; Alex raggiunse di corsa il corridoio e arrivò alla porta della camera da letto di lei proprio nel momento in cui Wendy svaniva attraverso la porta chiusa. Con sua sorpresa, Wendy scoprì che il corpo fisico aveva abbandonato la posizione del loto e giaceva ora sul fianco sinistro, con la testa che quasi penzolava oltre il bordo del letto. Non è del tutto incosciente, pensò, si trova piuttosto in uno stato di precoscienza. Adesso lo sfinimento fisico si stava facendo sentire anche a spese del suo corpo astrale, il che forse spiegava la mancanza di focalizzazione e i pensieri confusi. Alex aprì la porta e si arrestò sulla soglia a bocca aperta, il sorriso ampiamente ridimensionato. Wendy si slanciò verso il proprio corpo prono, come se si stesse tuffando in una polla di acqua calda, e sentì la propria consapevolezza diffondersi in tutta la sua forma fisica, facendole formicolare gli arti. Sperimentò ancora una volta l'improvvisa trazione della gravità sul torace e sugli arti, la sgradevole e innaturale pesantezza di una creatura fisica; poi si mise seduta, e immediatamente sbadigliò. «Ehi», riuscì a dire. Se non altro, adesso parlare le riusciva di nuovo facile e normale. «Stai bene?», chiese Alex. «Quando ti ho vista stesa là, ho creduto che ti fossi fatta male». «Sto bene», lo rassicurò Wendy, armeggiando per tirare indietro coperta e lenzuolo. «Ecco, sono esausta, però sto bene». «Posso immaginarlo», annuì Alex con fare comprensivo. «Ecco, non proprio, ma...» «Già», annuì Wendy, poi inarcò un sopracciglio e aggiunse: «Ti vanno due coccole?» «Non me lo farò ripetere. Dammi solo due secondi per spegnere la tivù». «Fra due secondi...», sbadigliò Wendy, «... potrei essermi già addormentata». «Al diavolo la tivù», decise Alex, e s'infilò nel letto accanto a lei. Fece appena in tempo a cingerle la vita con le braccia e a premere il volto contro i suoi capelli per avvertirne il profumo, che lei borbottò un «not-
te, Alex», e si addormentò. Qualcuno la stava scuotendo per una spalla. «Wendy!», sussurrò una voce, in tono deciso. «Wendy, svegliati!» Aprì gli occhi, e mise a fuoco il volto di Kayla, continuando a rimanere sorpresa alla vista dei capelli blu elettrico al di sopra delle barrette gemelle che le attraversavano le sopracciglia; Kayla aveva ancora indosso l'ampia maglietta di Betty Boop. Alex stava dormendo, steso su un fianco e rivolto verso la finestra, con la schiena girata verso Wendy. «Che ore sono?» «Sono passate da poco le sei», rispose Kayla. «Devo essere al Crystal Path per le dieci, quindi se davvero vogliamo fare questa cosa, dobbiamo darci una mossa». «D'accordo», annuì Wendy, sollevandosi a sedere e passandosi una mano fra i capelli. «Doccia. Caffè. Oppure... viceversa». «La caffettiera è già sul fuoco, con dentro un po' della mia miscela speciale», disse Kayla. «Faccio un salto nella doccia, mentre tu finisci di svegliarti. Avete fatto tardi?», chiese quindi, indicando Alex. «Sì, ma purtroppo non come pensi tu», spiegò Wendy. «Addestramento magico, proiezione astrale avanzata. Sono perfino andata a trovare Abby in... a parecchi chilometri da qui». «Dici sul serio? Grande! Grandioso, fottutamente grandioso, ragazza». «Lo ricorderò», ribatté Wendy con un sorriso in tralice. «Qualche sogno?» Kayla scosse il capo. «Non dopo quello che abbiamo condiviso. Una vera testa di legno», rispose Kayla, picchiandosi le nocche sulla testa. «Splendido», commentò Wendy, stiracchiando le braccia e muovendo le dita dei piedi. «Ora mi alzo». «Cosa credi che farà Alex?», domandò Kayla. «Verrà con noi?» «Suppongo che dovrei chiederlo a lui». «Allora chiediglielo con le buone... non so se mi spiego», suggerì Kayla. Wendy sentì un'ondata di rossore salirle al volto. «E dato che impari in fretta», continuò Kayla gettandole sul cuscino una bustina quadrata di carta metallica, «divertiti». Mentre Wendy scoppiava a ridere, Kayla uscì dalla camera da letto lanciandole da sopra la spalla un'ultima occhiata con tanto di strizzata d'oc-
chio maliziosa. Wendy rimase seduta per un po', ascoltando Kayla fischiettare mentre si dirigeva nella camera da letto di Frankie per poi uscirne di nuovo e percorrere il corridoio fino al bagno, chiudendovisi dentro. Un istante dopo, sentì lo scrosciare dell'acqua contro la tenda. Al diavolo, decise, meglio cogliere l'attimo. Quando gli sussurrò all'orecchio chiamandolo per nome, Alex borbottò qualcosa di incomprensibile, ma che ricadeva nella famiglia di frasi del tipo «vattene» o «lasciami in pace». Evidentemente erano necessarie misure più drastiche. Afferrato il bordo della camicia da notte, se la sfilò dalla testa e la gettò per terra, accanto a dove erano caduti i due sacchetti di lino della magia del sogno; sotto era senza reggiseno e indossava soltanto un paio di slip di seta nera. Mi pare che così vada bene, rifletté. Questa volta, quando chiamò Alex sussurrandogli all'orecchio, premette il proprio torace contro la sua schiena e insinuò la mano sotto la cintura dei pantaloni del pigiama; baciandolo sulla nuca, si dispose quindi al compito di risvegliarlo, sotto più di un aspetto. A mano a mano che le sue carezze si fecero più decise, Alex cominciò ad accorgersi di quanto stava succedendo, e finalmente, nonostante l'ora antelucana, Wendy riuscì ad avere la sua attenzione assoluta e totale. Dopo una serie di preliminari frenetici ma deliziosi, Wendy si ritrovò piacevolmente senza fiato ma pronta a procedere, tranne che per un piccolo dettaglio; allungando la mano, trovò la bustina metallica sotto il cuscino, l'aprì e rimosse il cerchio di latex contenuto all'interno, agitandolo davanti al naso di Alex fino a riuscire a distogliere la sua attenzione da altre cose importanti. «Oops!», commentò lui, a sua volta con il fiato un po' corto. «Ci è mancato poco», convenne Wendy, ma quando lui allungo la mano verso il profilattico, scosse il capo, aggiungendo: «Vieni più vicino e lascia che ci pensi io». Lui fu più che lieto di accontentarla; quando ebbe finito di srotolare il preservativo, Wendy gli assestò una stretta decisa. «Ora puoi riprendere la rotta, marinaio», annunciò. «Avanti a tutta forza?», chiese Alex con un sorriso. «Contrordine», precisò Wendy, fingendo di accigliarsi. «Va bene così, lento e costante... ma faremo meglio a finire prima che Kayla esca dalla doccia». Alex inclinò la testa da un lato, come se avesse sentito solo allora l'acqua che scorreva.
«È una sfida che posso affrontare», dichiarò. «Non ho potuto fare a meno di accorgermene», sorrise Wendy. Lui abbassò la bocca, prendendole delicatamente fra i denti il capezzolo sinistro, mentre le scivolava dentro con un solo movimento che le fece vibrare i nervi. Per quanto fosse stata la prima a chiedere moderazione, Wendy si ritrovò a incitarlo e a pungolarlo. Più tardi, mentre Alex le giaceva accanto tremante e con il respiro affannato, Wendy gli lanciò un'occhiata. «A proposito, Kayla vuole sapere se pensi di venire». «È una domanda un po' personale, ma credo di aver già risposto». Wendy ridacchiò, rendendosi conto che non stava più sentendo lo scrosciare della doccia già da qualche tempo; quasi le avesse dato l'imbeccata, in quel momento Kayla lanciò un richiamo dalla camera da letto di Frankie. «La doccia è libera, pigroni!», gridò. «Pensi che lo sappia?», chiese Alex, accigliandosi. «Chi credi che mi abbia lasciato quel pacchettino sotto il cuscino... la fatina dei preservativi?» «Lei...?», cominciò Alex, sgranando gli occhi. «Ah, questo è imbarazzante». «Soltanto se tu lasci che lo sia», replicò Wendy, assaporando quella risposta sofisticata, soprattutto alla luce del fatto che prima di allora Alex non l'aveva vista arrossire. «Allora, vuoi rispondere alla mia domanda?» «Vuoi sapere se vi accompagnerò in quella radura misteriosa? È ovvio che lo farò». «Bene», approvò Wendy con un sorriso soddisfatto. «Ci serve qualcuno che lavori di pala». «Me la sono cercata». Mentre si crogiolava sotto il massaggio del getto caldo della doccia, Wendy fu felice di essersi concessa un po' di tempo personale... intimo... con Alex. Oh, aveva assaporato a fondo l'esperienza sul piano fisico, ma si trattava di molto più di questo. In un angolo della mente c'era un orologio che scandiva i minuti, segnalando che il suo tempo si stava esaurendo, e avvertiva l'approssimarsi del pericolo con una rinnovata consapevolezza della fragilità della vita, della natura fugace di cose troppo spesso date per scontate, e della vulnerabilità quotidiana delle persone che s'imparava ad ama-
re. Avrebbe custodito quei momenti come un tesoro, perché sapeva con certezza malinconica che non c'erano garanzie per il futuro. Cosa aveva detto la Vecchia? Molti moriranno... Nonostante il vapore fumante che riempiva la doccia, rabbrividì per un rinnovato senso di angoscia che parve permearle le ossa di ghiaccio: una premonizione di eventi prossimi... una premonizione nel cuore dell'inverno. Entro le 7.30 erano tutti vestiti e infagottati dentro giacche, sciarpe e guanti, pronti a salire sulla Pathfinder per raggiungere la radura di Wither. Alex suggerì di fare colazione, magari passando da un drive-in, ma Kayla pose il veto assoluto all'idea del cibo. «Credetemi», affermò in tono cupo, «non ci conviene andare là con lo stomaco pieno, perché non lo sarà più quando ce ne andremo». Wendy aveva già puntato il telecomando della chiave verso la macchina e stava per aprire le portiere, quando vide avvicinarsi un'autopattuglia della polizia. «Qualcuno ha dimenticato di pagare un parcheggio?», chiese. «È Bobby», spiegò Kayla, accigliandosi di fronte a quella complicazione di primo mattino. L'auto bianca e nera si parcheggiò dietro la Pathfinder, con il motore in folle. «Bobby sarebbe?», cominciò Alex, che aveva in spalla una pala... manifestamente non da neve... che aveva recuperato nella baracca degli attrezzi dietro il cottage. «Ah, Bobby McGee... no, quella è la canzone di Janis Joplin... Bobby McKay!», continuò, annuendo. «Avremo la scorta della polizia?» «No», ribatté Kayla in tono secco. «Lui non verrà con noi». «Sarà meglio che tu glielo dica», consigliò Alex, che aveva l'aria colpevole quanto un tombarolo sorpreso a scavare in un cimitero. Un poliziotto alto, dalla mascella squadrata, con capelli castani e baffi ben curati, scese dall'autopattuglia e guardò verso Kayla con aria severa. «Ciao, Kayla», disse dopo un po', sfoggiando un sorriso poco convincente. «Ciao, Bobby», rispose lei, con un rapido gesto cordiale della mano. «Come ti ha trovata?», sussurrò Wendy. «La scorsa notte gli ho detto che mi sarei fermata da te», rispose Kayla, senza muovere le labbra. Wendy annuì. Una risposta semplice quanto la domanda...
Mentre il vicesceriffo aggirava il retro della macchina, Kayla si fece avanti per intercettarlo a mezza strada. «Stavamo giusto... uscendo», disse, protendendosi a dargli un rapido bacio su una guancia. Lui ricambiò con un abbraccio altrettanto rapido, poi si tirò indietro, ma continuò a tenerle la mano destra. Di nuovo si accigliò, lasciando in sospeso qualcosa di non detto. «Ti chiamo io più tardi, Bobby. D'accordo?» «Ti dispiacerebbe dirmi dove state andando?» «Questo è ancora un Paese libero, giusto?», ribatté Kayla, inclinando la testa da un lato e sfoggiando un sorriso provocante per rendere meno aggressivo il modo con cui aveva eluso la sua domanda. «Sì, ma le strade sono un po' infide in alcuni punti», obiettò lui. «Punti brutti, posti pericolosi». «Lo terrò a mente, vice McKay». «Basta giocare, Kay», sospirò Bobby. «So cosa state combinando». «Allora perché lo hai chiesto?», replicò lei, un po' sulla difensiva. «Per vedere se mi avresti mentito». «Tacere un'informazione non è come mentire». «È ostacolare la giustizia», sottolineò Bobby. «Di quale crimine si tratterebbe?» «Violazione di proprietà privata», dichiarò Bobby, che pareva esasperato. «Quell'area è segnalata come proprietà privata». «A dire il vero, questo non è un problema», intervenne Wendy, facendosi avanti. «Wendy Ward, giusto?» «Sì, ma...» «Lo sapevo. Non appena lei mi ha detto che Wendy Ward era tornata in città e che avrebbe passato qui la notte, ho capito che era questo che avevate in mente di fare. Dunque, mi dica, perché la violazione di proprietà privata non sarebbe un problema?» «Perché quella terra mi appartiene», spiegò Wendy schiarendosi la gola. «Cosa?», esclamarono tutti e tre simultaneamente. E Wendy non avrebbe saputo dire chi di loro apparisse più sorpreso. «Durante le indagini per gli omicidi, in casa di Stone è stato trovato un testamento», spiegò. «Ho il sospetto che Wither abbia costretto Stone a lasciare tutto a me, il che ha senso, naturalmente, se si pensa che intendeva trasferirsi dentro il mio corpo. Probabilmente Matthias Stone non era molto entusiasta di quella prospettiva. A quanto pare, è venuto meno al suo fe-
dele servizio, e... D'accordo, ora sto parlando a vanvera». «Ma... e le vittime? E le azioni legali di risarcimento?» «Certo, nei rapporti ufficiali lo sceriffo Nottingham ha spiegato tutto con la storia del serial killer, ma Wither voleva quella terra, quindi ho pensato che avrei fatto meglio a conservarne la proprietà, almeno finché non avessi scoperto il perché delle sue scelte». «Ma come ha fatto?» «L'ho fatta stimare e ho pagato alle famiglie delle vittime il doppio del suo valore di mercato, usando denaro proveniente dai fondi dei miei genitori. Di sicuro è stata una perdita, come investimento immobiliare, ma ho pensato che la cosa potesse essere importante per Abby, per Hannah e per me... E adesso, naturalmente, anche per Kayla». «Credi che andare là possa risolvere qualcosa?», domandò Bobby, rivolto a Kayla. Lei annuì. «Allora vengo con voi». «Bobby, questa non è una faccenda che riguarda la polizia». «Non si tratta di questo», ribatté lui ammorbidendo un po' il tono. «Se è importante per te, allora lo è anche per me». Kayla gli prese la mano e se la portò contro la guancia, fissandolo con occhi velati di lacrime. «Bobby, ho bisogno di fare questo senza di te. Ti prego di capirmi». «Non ci riesco», dichiarò lui, scuotendo il capo. «Non posso». «Le risposte che troverò là potrebbero non piacermi», spiegò Kayla, «e se il peggio risultasse vero, non potrei sopportare che tu fossi là a vedermi». «Sarai in pericolo», insisté Bobby. «Io sono un poliziotto, posso proteggerti». «Non da questo», dichiarò Kayla, «non da ciò che ci potrebbe essere dentro di me. Wendy forse potrebbe aiutarmi, ma lei è la sola». «Allora cosa dovrei fare? Cosa vuoi che faccia?» «Che aspetti», disse Kayla. «Devi solo aspettarmi. Aspetta qui e... spera che tutto vada per il meglio». Bobby fissò ciascuno di loro, e infine il suo sguardo si fermò su Alex e sulla sua pala. «E lei? Che ci fa qui?» Alex tossì e si schiarì la gola, manifestamente a disagio. «Io... ehm... sono l'addetto al lavoro manuale. Voglio dire, sono Alex Dunkirk, amico di Wendy e studente a Danfield».
Bobby fissò Kayla per un momento ancora, poi riportò la propria attenzione su Wendy. «Dopo che Kayla e io siamo stati in quel bosco, ho parlato con lo sceriffo Nottingham, e lui mi ha spiegato alcune cose. Tutto questo è quanto meno strano e non so cosa...» S'interruppe con un sospiro, poi riprese: «Ecco, so che là fuori c'è qualcosa che non è normale, neppure alla lontana». Wendy annuì, consapevole di quello che lui stava cercando di ammettere, anche se era costretto a lottare contro la parte logica della sua mente, passo dopo passo. «Cosa c'è là fuori? Può dirmelo?» «Un'eco», rispose Wendy. «Un'eco del male». «Lo sceriffo ha definito questa città un diapason che sta ancora vibrando», disse Bobby. «Ebbene, quello è il posto in cui le vibrazioni sono cominciate, un posto intenzionalmente intriso di malvagità per tenere la gente alla larga», spiegò Wendy, trattenendosi appena in tempo dal precisare: «La gente sana di mente». «Questo perché Wither ha nascosto là qualcosa». «Qualcosa che lei crede potrà esserle... utile?», insisté Bobby, rivolgendo la domanda a Wendy ma tenendo d'occhio la reazione di Kayla. «Qualcosa che apparteneva a Wither stessa», rispose Wendy. «I suoi progetti per la congrega, progetti che includevano Hannah, Abby e me». «E cosa c'entra Kayla? Stando a quanto mi ha detto lo sceriffo, lei non avrebbe dovuto fare parte della rinata congrega di Wither». «Sotto tutti gli aspetti pratici e magici, Gina Thorne è diventata Wither», disse Wendy, «e ha ripreso dove Wither era stata interrotta, dando vita a una nuova congrega con Jensen Hoyt e Kayla. Però anche lei ha fallito, perché Jen è morta nell'esplosione e Kayla... è fuggita prima che Gina potesse convertirla». Bobby sospirò, un suono pieno di rassegnazione, e annuì, poi posò le mani sulle spalle di Kayla e la fissò negli occhi come se pensasse che avrebbe potuto non rivederla più e avesse bisogno di ricordare in eterno la sua immagine. «Chiamami non appena sarete fuori di là», disse. Kayla annuì. «Sarà meglio che uno di voi abbia un dannato cellulare», aggiunse Bobby, lasciando scorrere di nuovo lo sguardo su tutti e tre. «Non si preoccupi, vice McKay», garantì Wendy. «Mi prenderò cura io
di lei. Promesso». Alex guidò fino alla vecchia proprietà di Stone, con Kayla seduta dietro e intenta a guardare fuori dal finestrino e Wendy che, seduta accanto, osservava con attenzione le sue reazioni facciali all'ambiente circostante; quando la Pathfinder rallentò, notò una lieve contrazione sotto l'occhio sinistro. «Qui», sussurrò Kayla. Un breve tratto a piedi li condusse fino al vecchio granaio carbonizzato, posto che mise Wendy a disagio, ma non quanto aveva fatto quando si era librata su di esso in forma astrale. Kayla precedette quindi gli altri verso le rovine della vecchia e malconcia fattoria di Stone, deviando poi sulla destra per imboccare il sentiero che s'intravedeva appena. La neve scricchiolava sotto gli stivali, l'aria gelida scivolava nei polmoni, intrisa dell'odore pungente di pini e abeti, ma pareva essere priva di ossigeno. Camminare era una lotta che lasciava senza fiato, e Wendy cominciò a sentirsi lo stomaco contratto da un'ansia composta in pari misura da timore e nausea. Anche gli altri lo stavano avvertendo: qualcosa voleva che girassero i tacchi e se ne andassero, corressero via, ma tutti e tre resistettero a quell'impulso. «È poco più avanti», disse Kayla. «Ci siamo quasi». Parvero però passare delle ore prima che la macchia di alberi si aprisse a rivelare una radura circolare del diametro di circa tre metri, con una lunga pietra piatta delle dimensioni di una panca che giaceva di traverso sul lato più lontano. Alex lanciò un'occhiata all'orologio e scosse il capo con un'aria incredula che indusse Wendy a ricordare come Kayla avesse parlato di «tempo perso» nel corso del suo primo tragitto fino alla radura. Kayla era insolitamente pallida in volto. «E così ce l'abbiamo fatta», commentò tremando visibilmente, «ma... la cosa non mi entusiasma poi così tanto». Bobby McKay fu tentato di seguire Kayla e gli altri, ma poi pensò che Kayla si sarebbe infuriata; riflettendo sul fatto che forse stava reagendo in maniera emotiva piuttosto che logica, decise quindi di concedersi un po' di tempo per schiarirsi le idee, e concluse che il modo migliore per farlo, per recuperare oggettività, sarebbe stato quello di trovare una cassa di risonanza, qualcuno di cui potesse fidarsi abbastanza da permettersi di poter apparire... ecco, apparire fuori di testa. Conosceva la persona perfetta per quel
compito, quindi girò l'autopattuglia e fece ritorno nel centro di Windale. Nell'imboccare l'ingresso del parcheggio della centrale, vide lo sceriffo Nottingham scendere le scale sul retro e dirigersi in fretta verso la propria macchina; fermando l'auto perpendicolarmente a quella dello sceriffo, Bobby si sporse dal finestrino. «Sceriffo!», chiamò. «Ha un minuto?» «Cosa c'è, Bobby? Ho un problema a casa». «Grave?» «Christina non riesce a trovare Abby». «Posso aspettare», disse subito Bobby. «Le serve una mano?» «No, è tutto a posto», replicò lo sceriffo scuotendo il capo. «Abby ha già fatto cose del genere, e di solito se ne va in giro nei boschi dietro casa. Sono certo che tornerà presto, probabilmente prima che arrivi io». «Bene. Cercherò di essere breve. Sono preoccupato per Kayla». «È una ragazza in gamba. Sono poche le cose che non sia in grado di affrontare». «Questa potrebbe essere una di quelle poche». «Di cosa si tratta?», chiese lo sceriffo, soffiandosi sulle mani gelate e sfregandole una contro l'altra. «Salti su», offrì Bobby, accennando alla portiera dal lato passeggero. «Ho il riscaldamento al massimo». «Credo che lo farò», rispose lo sceriffo, e pochi secondi più tardi era a bordo, intento a scaldarsi le mani vicino alla ventola. «Cosa ti preoccupa, Bobby?» «Il diapason malvagio», rispose Bobby, fissandosi le mani, serrate intorno al volante fino a far sbiancare le nocche. Avanti, dillo chiaro e tondo, si ingiunse intanto. Stando allo sceriffo, lei ha visto di molto peggio. «Sta tornando in quel posto... in quel bosco dove è svenuta. Nella proprietà di Stone». «Perché?» «Dice che deve scoprire qualcosa su di sé», spiegò Bobby. «Qualcosa che potrebbe non piacermi». «Non so con esattezza cosa questo possa significare, Bobby, ma non è stata una buona idea lasciare che andasse in giro da sola per quei boschi». «Oh, non è sola. La cosa peggiore è che ha praticamente ammesso di essere in pericolo, ma sostenendo che io non potevo aiutarla. Ha detto che solo Wendy poteva farlo». «Wendy Ward?»
«È con lei, adesso, con Wendy e con uno studente di Danfield, Alex qualche-cosa». «Dunkirk», disse lo sceriffo. «Lui è... era... il ragazzo di Wendy. Però non sapevo che Wendy fosse tornata in città», osservò massaggiandosi la mascella con aria pensosa. «A quanto pare, è tornata di corsa da Minneapolis per parlare con Kayla», disse Bobby. «Kayla era agitata, ma ho avuto l'impressione che avessero progettato tutto questo insieme... Andare nel bosco, intendo. Cosa crede che significhi? Dovrei essere più preoccupato di quanto già non sia?» «In tutta onestà, Bobby, non lo so», ammise lo sceriffo, «ma se dovessi azzardare un'ipotesi, direi che in qualche modo la cosa riguarda Wither. Presa isolatamente, considererei questa visita nel bosco come un semplice atto di curiosità. Penserei che Wendy sta cercando di scoprire qualcosa di più su Wither, cosa in cui non c'è nulla di male, considerato che quella terra le appartiene». «Così mi hanno detto». «Di per sé il pericolo insito in questa visita sembrerebbe minimo...» «Ma...» «Ma il ritorno precipitoso di Wendy a Windale, unito alla fretta con cui è stata organizzata questa visita e alla scomparsa improvvisa di Abby...» «Ma aveva detto...» «È stato prima che sapessi che Wendy era tornata. Lei e Abby sono diventate molto intime, dopo quella faccenda di Wither. Tutti questi pezzi separati potrebbero essere una coincidenza, ma ultimamente tendo a diffidare delle coincidenze». «A causa del diapason che continua a vibrare?» «Sì. Pensaci un attimo: Wendy è tornata, Kayla è preoccupata per qualcosa che si trova nel bosco di Wither, e Abby è sparita. Bobby, è ora di fare una seria chiacchierata con la signorina Ward», dichiarò lo sceriffo, scuotendo il capo. «Ho una brutta sensazione». «Ti ho già detto che questo posto mi dà una brutta sensazione?», chiese Alex. Nel guardarlo fermo lì, con la pala tenuta alta e stretta con entrambe le mani, Kayla trovò che ricordava un giocatore di hockey che stesse per commettere un fallo; il suo sguardo nervoso si spostava di continuo da un'estremità all'altra della radura.
Wendy stava reagendo in maniera più complessa, in lei la curiosità per il senso di avversione si mescolava alla preoccupazione per Kayla. «Stai bene?», le chiese, guardandola con aria accigliata. «Mi gira un po' la testa», ammise Kayla; in realtà si trattava di molto più di questo, e Wendy parve leggerglielo in faccia, quindi si affrettò ad aggiungere: «Non ti preoccupare, sono calma. Arriverò fino in fondo». Wendy le rivolse un cenno di assenso che le concedeva il beneficio del dubbio; dopo un po', si accoccolò e passò il palmo della mano sul terreno nudo - niente erba o neve, solo terra battuta - prima di grattarne un po' con un'unghia. Osservandola, Kayla si vide riaffiorare davanti agli occhi un'immagine del sogno della notte precedente: la pioggia di sangue che trasformava quella terra in fango carminio. Dopo qualche istante, Wendy infine si diresse verso la lunga pietra piatta dalla superficie costellata di macchie, e vi s'inginocchiò davanti. «Nel sogno, questa non c'era», osservò. «Probabilmente è stata messa dopo», replicò Kayla, avvicinandosi a Wendy, ma tenendo lo sguardo fisso sulla pietra, quasi si aspettasse di vederla infrangersi nel momento in cui avesse smesso di prestarle attenzione. Al pensiero di toccarla di nuovo, si sentì assalire da un'ondata di terrore misto a desiderio, un desiderio egoistico. Aveva bisogno di possedere ciò che si trovava sotto quella pietra, di tenerlo lontano da chiunque altro potesse azzardarsi a toccarlo. «È un sigillo», disse a Wendy, indicando la pietra. «Un sigillo magico». «Come fai a saperlo?» «Lo so e basta», tagliò corto Kayla stringendosi le braccia intorno al corpo. Poi, vedendo Wendy scrollare le spalle e allungare la mano verso la pietra, urlò: «No!». Alex accennò ad avanzare, preoccupato: la mano di Wendy era sospesa ad appena pochi centimetri dalla superficie della pietra. «Kayla?», chiese. «Non ricordi il sogno?», disse Kayla. «Solo il sangue. Gli altri non conosceranno che morte». «La trappola», annuì Wendy. «Dimmi di nuovo cosa è successo quando l'hai toccata». «È pazzesco, lo so, ma ho creduto... ho sentito la pietra vibrare, poi il naso ha cominciato a sanguinarmi... e quando ho cercato di rialzarmi, sono svenuta». «Lasciate provare me», propose Alex brandendo la pala. Wendy e Kayla
indietreggiarono, e Alex diresse la punta dell'attrezzo in modo da infilarla sotto l'angolo della pietra, poi piantò la suola dello stivale contro il bordo piatto della pala e spinse per farne affondare la punta nel terreno. Cambiando posizione, posò quindi entrambe le mani sul manico di legno e spinse verso il basso per smuovere la lastra. Il metallo stridette contro la pietra, e una scintilla azzurra si trasformò in un'irregolare scarica elettrica dello stesso colore che saettò lungo il manico, investendo Alex e scagliandolo dall'altra parte della radura. Kayla urlò. Emettendo un grido soffocato, Wendy si precipitò accanto ad Alex nel momento stesso in cui questi toccava terra, inginocchiandosi accanto al suo corpo in preda alle convulsioni. Invece di toccarlo, però, si sfilò il bracciale composto di pietre e ne strinse una fra il pollice e l'indice della sinistra, chiudendo gli occhi e protendendo la destra verso il petto di Alex. Dopo qualche momento le convulsioni cessarono, e intanto Kayla sbatté parecchie volte le palpebre per liberarsi dall'effetto di un gioco di luce che le aveva dato l'impressione di vedere per un momento un'aura di luce dorata circondare il corpo di Alex. Subito dopo Wendy si accovacciò sui talloni, dando l'impressione di essere senza fiato, e fece parecchi profondi respiri, pur sorridendo nel vedere Alex che si massaggiava la testa e si sollevava a sedere. «Ti senti meglio?», gli chiese. La reazione fu un cenno quanto meno esitante. «Sì», rispose, «ma è stata una scossa degna del calcio di un mulo». Tutto questo è stupido, pensò intanto Kayla. La pietra vuole me. Rassegnata, si portò sul lato opposto della pietra piatta e macchiata... del sigillo... decidendosi ad ammettere finalmente a se stessa quale era la probabile origine di quelle macchie scure. Dopotutto Wither era tornata in quel posto più di una volta. Inginocchiatasi davanti alla pietra, si sfilò i guanti infilandoli nelle tasche della giacca, poi fece un profondo respiro tremante e protese le mani verso la superficie, con il palmo rivolto verso il basso. «Kayla! No!», grido Wendy, accennando a dirigersi verso di lei. «Deve essere così, Wendy», ribatté Kayla. «È il solo modo». Evidentemente Wendy aveva risanato Alex fin troppo bene: prima che lei avesse il tempo di muovere due passi in direzione di Kayla, infatti, lui l'afferrò per la vita e la tirò indietro a forza. «Ha ragione lei! Sai anche tu che ha ragione», disse.
«Lascia almeno che le crei intorno una sfera protettiva!» «Non funzionerebbe», intervenne Kayla. «Non posso toccare la pietra, se sono sigillata dentro la tua bolla magica». «Allora penserò a qualche altra cosa! Dammi solo un mome...» «No, Wendy», la interruppe Kayla. «Proteggi te stessa e Alex, se vuoi. Quanto a me, non ho scelta, devo dare a quella cagna quello che vuole, altrimenti non saprò mai la verità». «Cazzo!», gridò Wendy, in preda alla frustrazione più devastante. Kayla non se la sentiva certo di biasimarla, ma non poteva rifiutare la richiesta di Wither, che rivendicava la sua libbra di carne - o, in questo caso, di sangue - per la pietra. «Alex, rimani vicino a me», disse intanto Wendy che, a quanto pareva, aveva deciso di seguire il consiglio di Kayla e di creare intorno a loro due una sfera protettiva. Un brivido corse lungo la schiena di Kayla, e un'ondata di nausea le contrasse lo stomaco, ma ormai aveva deciso. «O la va o la spacca!», gridò, e premette entrambe le mani sulla pietra ruvida. «Oh, merda!», gemette subito dopo, le braccia che tremavano. «Che succede?», domandò Wendy ansiosa, facendosi più vicina. «Sta vibrando di nuovo», rispose Kayla. «Mi arriva fin nelle ossa... Tu non lo senti?» «No. Da qui vedo tremare te, ma la pietra è ferma». «Suppongo che questo renda più...» Kayla si accasciò in avanti, ma si riprese prima di andare a sbattere con la faccia contro la pietra, anche se risollevare la testa le costò un certo sforzo. Poi si chiese se, dopotutto, non avesse davvero urtato contro l'altare, visto che del sangue le colava dalle narici e lungo le labbra, per poi gocciolare sulla pietra, formando una pozza irregolare fra le sue mani allargate. Mentre la fissava, quella pozza scura parve venire assorbita dalla pietra come un'offerta sacrificale, che di colpo smise di vibrare. Sollevando le mani, Kayla ne usò il dorso per pulirsi la faccia dal sangue. «Adesso non ci sono rischi... a muovere la pietra», disse. Wendy annuì, ma aveva gli occhi dilatati e il viso era di un paio di tonalità più pallido rispetto a pochi momenti prima. «L'hai visto anche tu?», chiese Kayla, costringendosi a sfoggiare un mezzo sorriso. Wendy annuì, deglutendo a fatica. «Cosa?», domandò Alex, spostando lo sguardo dall'una all'altra.
«Cos'hai visto?» «Non è ovvio?», ribatté Kayla con una risatina aspra. «Il sangue», spiegò Wendy in tono basso e piatto. «Ha il sangue nero». Alex fissò Kayla in volto, notando le tracce residue di sangue scuro che già cominciavano a seccarsi sulle labbra e sul mento. «Nero? Come... vuoi dire che...?» «Kayla?», chiese Wendy. «Come ti senti?» «Stordita, debole come un gattino... e affamata, ma questo è tutto», rispose Kayla, pensando: In altre parole, puoi abbassare senza rischi la tua sfera protettiva. Peraltro evitò di dirlo, timorosa di confermare che Wendy non si fidava più di lei, e invece aggiunse: «Non sono in grado di dimostrarlo, ma dentro mi sento ancora me stessa». Wendy annuì con cautela, facendo scorrere di nuovo le dita lungo il bracciale. «Alex, te la senti di lavorare di pala?», domandò. «Non so cosa tu mi abbia fatto prima, ma sto benone. Affamato, ma in forma». «Mangeremo più tardi», replicò Wendy. «Adesso vediamo cosa c'è nella fossa di Wither, e andiamocene via da qui a razzo». «Per me non sarà mai abbastanza presto», dichiarò Kayla. Alex incastrò di nuovo la punta della pala sotto la pietra, ma questa volta assestò al manico solo una spintarella misurata: il metallo stridette contro la roccia, ma non ci furono scintille né scariche di energia. Come promesso, Kayla aveva disattivato la trappola. Alex fece leva sotto la pietra fino a sollevarla a un'angolazione di quarantacinque gradi, poi Wendy e Kayla s'inginocchiarono accanto a lui, sui due lati, e la rovesciarono. Adesso che il sigillo di pietra era stato rimosso, Alex accennò a cominciare a scavare, ma Kayla lo fermò prima che potesse affondare la pala nel terreno. «Prima fammi fare un controllo», disse. «Potrebbe esserci un'altra trappola». Poi passò le mani sul tratto di terreno che fino a poco prima era stato coperto dalla pietra, da un'estremità all'altra, ma non colse vibrazioni, strane sensazioni o premonizioni. Tutto ciò che provava era un senso di timore molto umano per quello che avrebbero trovato in fondo a quel buco. Alex aveva cominciato a scavare da non più di cinque minuti quando s'imbatté nel primo osso umano, che sembrava un femore adulto spezzato a metà. Kayla si premette le mani sulla bocca in un gesto di disgusto, mentre
Wendy si limitò a scuotere il capo con una smorfia. Questo è solo l'inizio, pensò intanto Kayla. Alex imprecò quando trovò l'altra metà del femore, poi di nuovo quando portò alla luce alcune falangi e una mandibola fratturata; verso il fondo, incontrò infine un mucchietto di quelle che sembravano pietre rotonde ma che erano in effetti teschi umani, alcuni troppo piccoli per poter essere appartenuti ad adulti, tutti allineati con cura, come uova in un contenitore di cartone. Kayla si allontanò barcollando e crollò su un ginocchio, vomitando bile; stava ancora tremando con il respiro affannoso, quando le giunse il richiamo di Alex. «Trovato!», gridò, dopo aver rimosso i teschi e aver gettato da un lato la pala. «Mi serve aiuto per tirare fuori questa roba». Kayla tornò vicino al buco. Per fortuna Wendy aveva sospinto i teschi e le ossa al di là della linea degli alberi, dove poteva ancora vederli soltanto sforzandosi a individuarli; sbirciò invece verso il fondo della fossa da sopra le spalle degli amici, e vide un piccolo forziere rinforzato in ferro. Anche se a tratti il metallo era arrugginito, sembrava strutturalmente solido e in condizioni notevolmente buone, se si considerava quanto era antico e dove aveva trascorso tutti quegli anni. Conservazione magica? si chiese Kayla. E in tal caso, che altro possiamo aspettarci? «Meglio che facciate controllare a me», disse. «Non escludo che abbia piazzato un'ultima trappola nella sua fossa di morte». Gli altri due indietreggiarono per farle spazio, in modo che si potesse sdraiare prona e allungare le braccia dentro il buco, finché le dita sfiorarono la superficie del forziere. Le bande di ferro erano fredde come il ghiaccio, tanto che le fecero dolere le dita, e il legno sembrava spugnoso, stranamente organico, ma non le sembrò che emanassero minacce o energie magiche. Allargando le braccia per afferrare i lati del forziere, cercò di estrarlo dalla fossa, ma riuscì a sollevarlo solo fino a un certo punto. «Sta scivolando! Qualcuno lo afferri!», avvertì. Girando sul lato opposto del buco, Alex si distese sopra il cumulo di terra smossa e protese a sua volta le braccia; insieme, riuscirono a tirare fuori il forziere, che non poteva pesare più di una quindicina di chili. Kayla scrutò con attenzione il fondo della fossa, aspettandosi di vedere un nido di sanguisughe o un groviglio di serpi, oppure, peggio ancora, altri resti umani, e si sentì sollevata nel constatare che c'era soltanto terra. Riportò allora la propria attenzione sul forziere nero rinforzato in ferro, che era in pratica
l'equivalente di una cassetta di sicurezza di tre secoli prima, e scoppiò in un'amara risata. «Siamo colpevoli di aver effettuato un prelievo non autorizzato presso la First International Bank di Wither», disse. Inginocchiandosi davanti al forziere, Alex scoprì che era chiuso da un pesante lucchetto. «Potrei romperlo con la pala, oppure sfondare questo vecchio legno», disse. «Meglio di no», replicò Wendy. «Non sappiamo cosa ci sia all'interno, o quanto sia fragile». «Che facciamo, allora? Cerchiamo una chiave? Oppure telefoniamo a un fabbro?» «Niente di tutto questo», disse Wendy. «Lascia fare a me». Appena Alex si fece da parte, s'inginocchiò davanti al forziere, sfilò da sotto il cappotto la collana con il pendente di cristallo e lo tenne nella mano sinistra, protendendo la destra verso la superficie del lucchetto. «Non dovrebbe essere una cosa troppo complicata», affermò. Kayla lanciò ad Alex un'occhiata interrogativa. «Non ti ha mai detto che si sta addestrando come scassinatrice wicca?», sorrise lui. Trenta secondi più tardi, sentirono uno scatto sonoro e rugginoso. Rimosso il lucchetto, Wendy lo gettò da un lato e sollevò il coperchio del forziere, mentre gli altri due le si stringevano intorno per sbirciare il solo oggetto che questo conteneva. «Una specie di diario», commentò Kayla, delusa. «È così antico», osservò Wendy. «Probabilmente è il suo Libro delle Ombre, o un equivalente. Lo si può toccare senza rischi?» Kayla premette le dita sulla superficie scura, non avvertì nulla e rivolse un cenno di assenso a Wendy, che prelevò il tomo dal forziere e lasciò scorrere le dita sulla copertina di cuoio scuro tutta chiazzata, su cui era incisa la lettera W. Nel vederla, Kayla ricordò la visione che aveva avuto allo Stewpot. Spesso meno di un paio di centimetri, era il genere di libro più rudimentale che si potesse immaginare, a stento meritevole di tale appellativo. Il rivestimento di cuoio era più che altro un involucro protettivo - una copertina puritana, pensò Kayla - e le pagine contenute all'intero erano sciolte, con i bordi fragili e ingialliti. Wendy cercò di sollevare la copertina, e si accigliò.
«È incollata», disse, facendo inutilmente forza con le unghie sotto il bordo del cuoio. «È come se fosse pietrificata». Comprendendo, Kayla scosse il capo. «Non pietrificata, è sigillata. Guarda le macchie». Desistendo dal tentativo di aprire il libro, Wendy esaminò nuovamente la rozza copertina di cuoio. «Oh... questo significa che vuole...» «Cosa?», domandò Alex, inginocchiandosi accanto a loro. «Soltanto il sangue», disse Kayla, togliendo il libro dalle mani di Wendy. Non si aprirà mai senza altro sangue nero, ma che cosa mi succede dentro, ogni volta che verso del sangue nero per questa cagna? si chiese. In tutto questo c'è un'ironia perversa. Il solo modo per scoprirlo è dare ancora un po' di sangue. Lottò quindi per ritrovare la voce: aveva bisogno di essere certa che quella che stava per prendere era la decisione giusta. «Credi davvero che questa cosa ci aiuterà?» «Deve farlo, Kayla», affermò Wendy. «Lei è ancora un mistero, antico di millenni, e quanto più scopriamo...» S'interruppe e scrollò le spalle, riluttante a dare garanzie. «Deve farlo...», ripeté. «D'accordo, allora ci proverò», decise Kayla. «Ma non qui. Non di nuovo». «Anch'io sono dell'idea di lasciare questo posto dimenticato da Dio e non tornarci più», dichiarò Alex. «Siamo tutti d'accordo», annuì Wendy. «Andiamo». Mentre imboccavano lo stretto sentiero che portava alla fattoria di Stone, Kayla continuò a passare la mano sulla copertina di cuoio del libro, augurandosi che vi fossero contenute informazioni conclusive che servissero a tutti loro. «Questo è tutto ciò che rimane», commentò, con la voce resa aspra dal disgusto. «L'eredità di Wither». In viaggio: I-80 Est, I-69 Sud Fuori da Jamestown, Indiana Area del Pokagon State Park «Quella è la nostra uscita, Eleanor», disse Sal Orsini indicando attraverso il parabrezza del Winnebago, mentre si passava nervosamente l'altra mano fra i capelli grigi che si andavano diradando. Detestava cedere il volante del camper a Eleanor, ma aveva guidato per ottocento chilometri, e
aveva gli occhi stanchi. «Dobbiamo prendere la 69-Sud. Ci farà sbucare ottanta chilometri a nord di Fort Wayne». «So leggere i cartelli, Sal», lo rimbeccò Eleanor, «e non sono cieca. Passa nel retro e rilassati». Poi diede un colpo di freno e imboccò la corsia di uscita. Improbabile che mi rilassi, pensò Sal. Eleanor era una guidatrice distratta anche nei momenti migliori, e quel viaggio era un incubo fatto per generare ansia, con le bufere di neve che sembravano seguirli ovunque andassero come una loro tempesta personale. E tutta questa follia solo perché Rachel aveva deciso di sposarsi nel cuore dell'inverno. Cosa non siamo disposti a fare per i nostri nipoti, si disse. «Non restartene lì a farmi sentire il fiato sul collo», insisté Eleanor. «Guarda qualcosa alla televisione». «Con questa tempesta? La ricezione sarà orribile». «Allora metti su quel video di Jack Lemmon che ti sei portato dietro», disse Eleanor esasperata. «Parola mia, sei il peggior passeggero del mondo!» Con un grugnito neutro, Sal raggiunse il tavolo e si mise a sedere sulla panca. L'unità TV/VCR era montata su un supporto ed era collegata a una delle prese elettriche inserite nel soffitto del camper. Senza molta speranza, accese l'apparecchio e cercò di trovare una stazione VHF nitida, ma vide per lo più uno schermo annebbiato, cogliendo solo una parola qua e là. Qualsiasi cosa però sarebbe stata meglio che infilare nel VCR Un provinciale a New York. Quando avevano lasciato Minneapolis, quel film gli era parso una scelta appropriata, particolarmente umoristica, ma il lungo tragitto reso più difficoltoso dalla neve gli aveva prosciugato dalle ossa qualsiasi capacità di apprezzare dell'umorismo. Ed Eleanor non aveva voluto che portasse con sé qualche film di guerra o qualche giallo. Di cattivo umore, Sal incrociò le braccia sul torace massiccio e cercò di dare un senso alle immagini distorte e frammentarie offerte dalla televisione. È una perdita di tempo, pensò intanto. Farei meglio a stare al volante, anche se sono maledettamente stanco. Aveva portato con sé una copia del nuovo libro di Hawking, L'universo in un guscio di noce, ma aveva gli occhi troppo stanchi per starsene a fissare quei caratteri così piccoli, anche con le lenti bifocali. Caratteri piccoli? Dannazione, non riesco quasi più neppure a leggere i cartelli stradali... Whap... BANG! Whap... BANG! Whap... BANG!
«Sal?» «Ho sentito», rispose lui, e intanto pensò: Proviene dal tetto. «Che cos'è?» «Sembra che si stia staccando qualcosa». «Sono preoccupata. E se cadesse giù?» «Almeno non farà più rumore», grugnì Sal. «Salvatore Orsini! E se quel qualcosa volasse via e finisse addosso al parabrezza di qualcuno?» «D'accordo, d'accordo», borbottò Sal. «Accosta e andrò a controllare... E già che ci sono, mi congelerò il posteriore». «Rachel ci aveva offerto i biglietti per l'aereo», gli ricordò Eleanor. «Ti ho detto cento volte, Eleanor, che non intendo salire su nessun dannato aeroplano». Due minuti più tardi, infagottato in un parka blu e dopo essersi infilato i guanti di cuoio nero, Sal si portò sul retro del camper. L'oscurità di quel tratto deserto di autostrada era attenuata soltanto dalle loro luci di emergenza lampeggianti, ma la cosa peggiore era che la nevicata si era infittita ancora, e i grossi fiocchi gli volavano contro la faccia, accecandolo quasi. Nell'arrampicarsi sulla stretta scaletta di metallo sul retro del Winnebago, notò i gradini danneggiati e imprecò fra sé. «Dannati ragazzacci. Distruggono tutto», borbottò. Nel momento in cui la sua testa affiorò oltre il bordo superiore del camper, gli parve di cogliere un movimento indistinto, una forma oscura in mezzo al vorticare della neve; guardò a sinistra e a destra, ma... quella cosa stava puntando dritta verso di lui! Le sue dita paralizzate dal terrore persero la presa sulla scaletta, ma due braccia possenti coperte di pelliccia scattarono in avanti e degli artigli lacerarono il parka, affondandogli nella carne e issandolo sul tetto con la facilità con cui un orso avrebbe potuto estrarre un pesce da un ruscello montano, senza lasciargli la minima possibilità di salvezza. Dal basso giunge una voce di donna. «Sal?», chiama. «Salvatore?» Sono in due, e viaggiano insieme. Adesso uno è morto, ma la creatura deve zittire entrambi prima di potersi nutrire. Ha dovuto agire in fretta, quando gli umani si sono allontanati dal sentiero pulsante fra il bianco e l'azzurro. Una volta che hanno svoltato verso sud, ha dovuto fermarli. E adesso che li ha fermati, si potrà nutrire.
Lascia il vecchio sventrato disteso sulla sommità del veicolo, gli occhi già vitrei nella morte, ma prima di allontanarsi fissa il suo volto intatto, assimilandone i lineamenti. «Sal? Perché ci metti tanto?» Eleanor si era già stancata delle lamentele di Sal, senza contare che detestava guidare una macchina in mezzo alla neve, tanto più se si trattava di quel carrozzone di Winnebago. Che guidi pure per tutta la strada, per quel che me ne importa, si disse. Mi siederò dietro e mi guarderò quello stupido film. Però quel vecchio idiota farà bene a non addormentarsi al volante. Seduta sulla panca, cercò di ascoltare un notiziario speciale, reso incomprensibile dalla scarsità del segnale e dal terribile chiasso che Sal stava facendo sul tetto. «Sal? Salvatore?» Nessuna risposta. Fra qualche secondo, pensò, comincerà a gridare che gli passi la cassetta degli attrezzi. Seguirono lunghi momenti di silenzio, quanto bastava perché lei riuscisse a mettere insieme i frammenti della notizia relativa a un serial killer cannibale che aveva già colpito a Fargo e a Minneapolis. Per una volta, si sentì contenta che fossero lontani da casa. Qualcuno bussò alla portiera sul lato del passeggero. «Per l'amor del cielo, Sal! La portiera non è bloccata! Togliti i guanti, e... Oh, non importa», sospirò in tono rassegnato. «Ti apro io». Nel tornare nella parte anteriore del veicolo, intravide i capelli grigi di Sal scompigliati dal vento, poi aprì la portiera. «Al notiziario stanno parlando di un serial killer», disse. Lui spinse di lato la portiera e scavalcò il sedile del passeggero, avanzando verso di lei. «Sal! Hai lasciato la portiera spalancata!», cominciò Eleanor. Troppo tardi si accorse che in lui c'era qualcosa di strano. Era troppo grosso, troppo veloce. La sua artrite... «Sal?», chiamò, con voce che suonò flebile alle sue stesse orecchie. Sal sorrise, mostrando lunghe zanne aguzze. Poi stridette, ed Eleanor sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene. L'afferra per la gola e la trascina al suolo, dilaniando e squarciando
finché il fondo del veicolo è fradicio di sangue e cosparso di interiora. Dopo essersi saziata, avverte le voci fievoli, il sibilo e il crepitio. Sul tavolo vede una piccola scatola che contiene immagini colorate di persone che si muovono e che parlano, del grasso conducente del veicolo, del sedile su cui lo ha ucciso, di uomini in uniforme che portano uno stemma. Lentamente, arriva a capire. Questi umani sono fisicamente deboli, ma hanno un'altra magia, quella di inviare gli uni agli altri immagini in movimento, e stanno avvisando gli altri della loro razza del fatto che lei è in caccia. È stata troppo sprovveduta a lasciare quei resti umani all'aperto, dovunque sia passata e abbia ucciso. Gli uomini in uniforme hanno moderne armi da fuoco, e trasformeranno il cacciatore in preda, ma la creatura è ancora in vantaggio. Non conoscono la sua destinazione, non possono vedere il filo pulsante che porta alla preda speciale, sanno solo dove la creatura è stata, non dove andrà, e d'ora in avanti starà bene attenta a non fornire più loro una pista di corpi semidivorati da seguire. Sì, è stata sprovveduta, ma si adatterà. Aspetterà più a lungo fra un'uccisione e l'altra, e quando avrà finito di nutrirsi, occulterà le carcasse. Quando infine gli umani scopriranno quei resti nascosti, sarà troppo tardi perché possano fermarla e impedirle di raggiungere e distruggere la sua preda speciale. PARTE TERZA Nel cuore dell'inverno Capitolo 12 Windale, Massachusetts 4 gennaio 2002 Distrattamente, senza distogliere quasi mai lo sguardo dal libro antico secoli che aveva in mano, Kayla guidò Wendy e Alex lungo il sentiero che attraversava il bosco scuro e minaccioso e che dalla radura portava alla fatiscente fattoria. Pareva quasi che Kayla avesse già percorso quel sentiero centinaia di volte. Forse, pensò Wendy, una parte aliena e inconsapevole di lei lo ha fatto davvero. In qualche modo, quella donna di ventidue anni che sfoggiava capelli blu elettrico e una dozzina di piercing, era collegata a una creatura delle
tenebre antica millenni. Mentre oltrepassavano la fattoria e svoltavano a sinistra in direzione del granaio carbonizzato, Wendy si augurò che quel vecchio diario - libro d'incantesimi, Libro delle Ombre, o qualsiasi altra cosa fosse - riuscisse a fare un po' di luce su quelli che erano stati i piani di Wither per la sua nuova congrega, e offrisse una spiegazione e una cura per... l'infezione di cui Kayla era affetta. E forse mi mostrerà anche come annullare la maledizione di Wither, pensò. Quali che fossero le risposte contenute in quel libro, avevano bisogno di trovarle in fretta. «Wendy!», chiamò la voce dello sceriffo cogliendola di sorpresa. «Mi piacerebbe avere qualche risposta». Kayla si arrestò di colpo, affiancata da Alex e da Wendy. Lo sceriffo e Bobby McKay li stavano aspettando davanti al granaio semidiroccato, all'apparenza per nulla disturbati dal freddo e dalla leggera nevicata. Lo sceriffo aveva le braccia conserte e un'espressione aggrottata; i lineamenti di Bobby tradivano un insieme di emozioni, mentre faceva nervosamente avanti e indietro con i pollici agganciati nella cintura e il cappello abbassato sugli occhi. Wendy si augurò che lei e gli altri apparissero meno colpevoli di quanto in realtà si sentisse, anche se sapeva che non avevano infranto alcuna legge. Ecco, abbiamo inquinato una scena del crimine, si disse, comunque è antica centinaia di anni. «Salve sceriffo», rispose intanto. «Vice McKay...» «Bobby», lo investì Kayla, «ti avevo detto di stare alla larga». «Io... cioè, lo sceriffo... considerato ciò che è successo in passato in questo posto, abbiamo ritenuto che fosse opportuno indagare sulla situazione». «Piantala con queste stronzate da piedipiatti», scattò Kayla, cedendo all'irritazione. «Non potevi rispettare la mia privacy? Ti avevo detto che ti avrei chiamato». «Non te la prendere con lui, Kayla», intervenne Nottingham. «Se questa faccenda è seria come credo, Bobby aveva tutto il diritto di rivolgersi al sottoscritto. Allora, Wendy?», continuò, mentre Kayla distoglieva lo sguardo, tutt'altro che convinta. «Vuoi dirmi cosa sta succedendo?» «Abbiamo dissotterrato quel libro», spiegò Wendy. «Apparteneva a Wither».
«Dov'eravate? Abbiamo cercato dappertutto». «In quella stessa dannata radura», rispose Kayla, guardando verso Bobby. «Allora perché noi non siamo riusciti a trovarla?» «È protetta», rispose Wendy. «Solo Kayla può trovarla». «Perché?» «È quello che speriamo di scoprire», disse Wendy guardandolo negli occhi. «Questo libro potrebbe dirci quali fossero i progetti della congrega di Wither riguardo ad Hannah, a Kayla, a me e ad Abby». «Abby era con voi?» «No», si affrettò a dire Wendy, e subito dopo chiese: «È scomparsa?» «Lo era fino a poco fa, e ho pensato che potesse essere con te, finché Christina non mi ha contattato tramite la radio della polizia. Abby sta bene. Stava di nuovo girovagando per i boschi e ha perso la nozione del tempo». «Lei non ha partecipato in alcun modo a tutto questo, ma naturalmente sono felice di sentire che sta bene», disse Wendy; sia lei sia lo sceriffo sapevano della capacità della bambina di mutare forma, ma Abby aveva raccomandato di non rivelare il suo segreto. «Quel vecchio libro è tutto quello che avete trovato?» Wendy sospirò, poi scosse il capo. «C'erano anche delle ossa, un mucchio di ossa umane spezzate, e dei teschi». Nottingham incamerò l'informazione senza sorpresa, mentre Bobby assunse un'espressione incredula... del resto lui non si trovava a Windale durante il regno del terrore di Wither. Con aria di cupa determinazione, lo sceriffo fece intanto la domanda più rilevante. «Qualcuna di quelle ossa era recente?» «No», affermò Wendy con sicurezza. «Erano state sepolte tutte più di cento anni fa, forse anche due o trecento», aggiunse poi, dato che non poteva sapere con certezza quanto tempo fosse trascorso dall'ultima volta che Wither aveva aperto il suo nascondiglio segreto. «Con ogni probabilità, non ci sarà possibilità di identificare i resti», sospirò rassegnato Nottingham. «Tuttavia dovremo ispezionare la scena del crimine». Kayla però prese a scuotere il capo. «Non ho nessuna intenzione di tornare in quel posto, né adesso né nel prossimo futuro», dichiarò, poi lanciò un'occhiata all'orologio e continuò: «Abbiamo perso del tempo anche questa volta, e sono già in ritardo per il
lavoro. Inoltre, Wendy e io dobbiamo... capire cosa sia questo libro». «Se hanno aspettato dei secoli, sono certo che quelle ossa potranno aspettare ancora un poco», intervenne Bobby, comprensivo. «Cos'è quel libro, esattamente?», chiese lo sceriffo, mentre annuiva con una certa riluttanza. «È sigillato con la magia», spiegò Wendy. «Avremo bisogno di tempo per aprirlo. «Benissimo, Wendy, però sarà meglio che tu mi metta al corrente di tutto», disse Nottingham. «Ho la sgradevole sensazione che stia per ripetersi una brutta storia». «Si fidi di quella sensazione, sceriffo», dichiarò Wendy. «Il tempo a nostra disposizione si è quasi esaurito». «Non c'è niente che detesti più dell'avere ragione», commentò lo sceriffo. Una volta rientrati al cottage, Wendy preparò del caffè fresco per Alex e per lo sceriffo Nottingham, che sedevano uno di fronte all'altro al piccolo tavolo di pino, intenti a dividersi il contenuto di una scatola di ciambelle: lo sceriffo era per quelle alla marmellata e Alex per quelle alla crema, il che lasciava a disposizione quelle ricoperte di glassa al cioccolato. Wendy optò per una colazione dietetica, costituita da una ciotola di cereali con latte scremato e un succo alla banana, che consumò appoggiata al lavandino della cucina. Il diario di Wither - come avevano cominciato a chiamarlo - giaceva sul piano della cucina, ancora magicamente sigillato, un mistero la cui soluzione era stato forzatamente necessario rimandare. Usando il cellulare di Wendy, Kayla aveva chiamato il Crystal Path cercando di farsi accordare la giornata libera, ma Alissa era sommersa dai resi e dai cambi di merce immediatamente successivi alle festività e aveva bisogno di tutto il personale, anche se aveva promesso a Kayla che sarebbe potuta andare via in anticipo, se si fosse sbrigata ad arrivare. Bobby aveva quindi accompagnato Kayla al Crystal Path con la macchina di servizio direttamente dalla proprietà di Stone, lasciando la malconcia Neon di Kayla parcheggiata davanti alla casa di Wendy, insieme alla Pathfinder, alla Honda Civic di Wendy e alla macchina dello sceriffo. In ogni caso, indipendentemente dalla situazione che c'era al Crystal Path, Kayla aveva comunque bisogno di tempo per riprendersi dalla dura prova a cui si era sottoposta nella radura, doveva ritrovare un senso di identità dopo aver versato del sangue nero
per aprire il nascondiglio segreto di Wither. Sotto questo aspetto, qualche ora trascorsa al Crystal Path avrebbe potuto aiutarla a recuperare un po'; mentre stavano tornando verso la pathfinder, Kayla aveva sussurrato a Wendy che non poteva assolutamente cercare di aprire il diario davanti a Bobby finché non fosse stata sicura della propria identità, finché non avesse avuto la certezza di non costituire una minaccia per chicchessia, si sentiva infatti troppo vulnerabile per correre il rischio di mettere in mostra davanti al proprio uomo qualcosa di terribile, forse nascosta dentro di lei. «Non posso permettere che mi veda in quello stato», aveva detto. «Lo capisco», aveva replicato Wendy. «Aspetteremo, ma cerca di non rimandare troppo, d'accordo?» Consapevole dell'urgenza della situazione, Kayla aveva acconsentito a operare un tentativo al più presto. Mentre Kayla era al lavoro, Wendy ne aveva approfittato per mettere al corrente lo sceriffo Nottingham degli eventi dell'ultima settimana, e lo sceriffo si era andato accigliando sempre di più man mano che lei parlava. «Dal contenuto di quel dannato libro dipendono un sacco di cose», commentò, infine. «Spero che contenga delle risposte per tutti noi, e sono convinta che sia così», disse Wendy. «Quanto alla possibilità che fornisca anche un modo per annullare la maledizione di Wither o bloccare il wendigo... ecco, non lo so». «Questa cosa ti starebbe dando la caccia attraverso metà della nazione», osservò lo sceriffo con evidente scetticismo. «Com'è possibile?» «Una bomba intelligente attivata magicamente?», azzardò Alex. «Credete che quella creatura sia intelligente?» Wendy avvicinò al tavolo una sedia pieghevole e si sedette. «Ecco quanto sappiamo. Ho accesso a tre fonti di informazione...» In ordine di affidabilità decrescente, quelle fonti erano: a) La Vecchia, che dalla sua prospettiva futura forniva le informazioni più attendibili, peraltro con dei vuoti e con l'incertezza collegata alla linea temporale; b) la breve visione che Wendy stessa aveva avuto di un uomo vestito di pelli di daino; c) i libri del Crystal Path che Kayla aveva preso in prestito e portato al cottage. Wendy presentò le informazioni fornite dalla Vecchia sotto forma di premonizioni psichiche, un concetto che lo sceriffo era disposto ad accettare, considerate le esperienze pregresse vissute a Windale. «Alcune di queste notizie sono affidabili, ma le altre sono attinte dal mito, dal folklore e dalla leggenda, quindi potrebbero essere errate, o costitui-
re mere supposizioni. Questo particolare wendigo un tempo era un uomo, probabilmente contagiato da un demone wendigo originario o da un altro wendigo infettato a sua volta. Si ritiene che i demoni primari siano più grossi, ma anche questo è comunque di dimensioni notevoli, si ciba di carne umana e ha la capacità di camuffarsi». «Come?» «In due modi», spiegò Wendy. «Innanzitutto sfrutta un'illusione magica che lo fa apparire umano agli occhi della preda. Non so quanto questa illusione sia sofisticata, ma in teoria immagino che sia in grado di apparire con l'aspetto di chiunque di noi». «Davvero confortante», grugnì lo sceriffo. «Inoltre viaggia accompagnato da bufere di neve, e poiché ha il pelo prevalentemente bianco, si mimetizza fra la neve come un leone fra l'alta erba della savana. Il wendigo è una creatura in sintonia con l'inverno, preferisce questa stagione, ed è stato per questo che la maledizione originale di Wither, lanciata nell'agosto del 2000, ha avuto un successo solo parziale». «E tu pensi che questa maledizione abbia un risvolto simile alla Legge di Murphy?», chiese lo sceriffo sorseggiando il caffè. «Che se una cosa può andare storta, lo farà sicuramente?» «Lanciare la magia non richiedeva prossimità al wendigo, e credo che avrebbe funzionato ovunque. La mia presenza a Winnipeg, tuttavia, ha aumentato le probabilità che il wendigo potesse farmi fuori in un tempo record: ero nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per fortuna, ho lasciato Winnipeg nello stesso giorno in cui ho involontariamente ridestato l'incantesimo, e questo mi ha dato un po' di vantaggio. Però per poco il wendigo non mi ha raggiunta a Fargo». «Questo potrebbe funzionare contro di te anche in altri modi? La Legge di Murphy, intendo». «Dio, spero di no, però è una cosa possibile». «E questo... wendigo ha già ucciso quattro persone?» «Quattro sono quelle che ha divorato», rispose Wendy, «almeno da quando si è svegliato dal suo lungo letargo. Tuttavia, ha anche decapitato i due tizi del pick-up. Non li ha mangiati, ma comunque sono morti». «Adesso è coinvolta anche l'FBI». «Per quello che ci può servire», ribatté Wendy. «A quella creatura non può essere adattato un profilo da serial killer, e loro non riusciranno a prenderla, né sanno come fare per ucciderla. Ho accennato alle urla para-
lizzanti, che immobilizzano le vittime per il terrore?» «Noi abbiamo un vantaggio rispetto all'FBI», osservò lo sceriffo. «Non dobbiamo cercare il wendigo, perché conosciamo la sua destinazione: è solo questione di tempo, prima che si faccia vedere a Windale per venire a cercarti». La cosa suona anche peggio, quando è qualcun altro a enunciarla così, senza mezzi termini, pensò Wendy. «La soluzione è ovvia», proseguì Nottingham. «Prepariamo una trappola, e quando quella bestiola viene a bussare alla tua porta, la facciamo fuori». «Davvero semplice», commentò Wendy con una sfumatura di sarcasmo. «Ora mi sento molto meglio». «Naturalmente questo piano può funzionare solo se esiste un modo per ucciderla», continuò lo sceriffo. «Quella cosa ha per caso un tallone d'Achille?» «Non sono certa che ce l'abbia», replicò Wendy. «Alcuni testi suggeriscono di lanciarle contro degli escrementi». «La buona, vecchia busta di merda», interloquì Alex. «Forse dovremmo lasciare sulla soglia di casa un sacchetto pieno di escrementi di cane», riprese Wendy. «Perché escrementi?», chiese lo sceriffo, che appariva perplesso. «Pare che confondano il wendigo». «Allora siamo in due», dichiarò lo sceriffo. «A che serve confonderlo?» «Ad avere il tempo per scappare», spiegò Wendy. «Tuttavia, anche se fossi il tipo di ragazza che lancia escrementi in giro, scappare servirebbe solo a rimandare l'inevitabile». «Dammi qualcosa di più su cui lavorare». «Ecco, se a Windale ci fosse uno sciamano locale, forse potrebbe avere qualche buon consiglio da darci», rispose Wendy. «In mancanza di questo, forse dei proiettili d'argento potrebbero ucciderlo». «È davvero un incrocio fra l'abominevole uomo delle nevi e un lupo mannaro», disse Alex. «Inoltre, chi dovesse rimanere infettato dal morso del wendigo non passerà momenti piacevoli». «Suppongo sia qualcosa che le punture antirabbiche non riescono a curare». «Non ci sono accenni a cure possibili, ma i testi descrivono come fare a fermare il diffondersi del... dell'infezione. La cosa era vista come una for-
ma di possessione demoniaca, ma non si accenna a nessun tipo di esorcismo». «Questo cosa vorrebbe significare? Che bisogna uccidere la persona posseduta?» «Prima la si uccide», confermò Wendy, «poi si fa a pezzi il cadavere e infine si bruciano i pezzi per distruggere - così quantomeno si spera - anche lo spirito ed evitare che possa contagiare altre persone». «Ricordami di non farmi morsicare», disse Alex, che appariva un po' sconvolto. «Dunque, la mia idea è questa», propose lo sceriffo. «Prepariamo una trappola usando Wendy come esca...» «Fin qui la proposta non mi piace granché», lo interruppe Wendy, «ma continui pure. Forse andando avanti la cosa migliorerà». «I miei uomini saranno armati con pallottole d'argento». «Dove si comprano le pallottole d'argento?», chiese Alex. «Non ne ho mai cercate», sorrise lo sceriffo, «ma conosco un tizio a cui piace trafficare con armi da fuoco e stampi per pallottole. Gli chiederò di riempire d'argento dei proiettili a punta cava. Non vi preoccupate, quella è la parte più facile». «Questo tizio potrebbe anche modificare una spada?» «Forse. Ne hai una?» «Ecco, di solito è un bastone», spiegò Alex, «ma può trasformarsi in spada». Lo sceriffo gli disse di consegnargli l'arma prima che se ne andasse. «C'è nient'altro che possiamo utilizzare contro quella cosa?», domandò quindi a Wendy. «Non so... acqua benedetta, croci, aglio». Wendy scosse il capo. «Non farà male informarsi», aggiunse Nottingham. «In ogni caso, una volta pronti, ordinerò ai miei uomini di sorvegliare casa tua giorno e notte. Bobby capisce la situazione, o almeno credo che la capisca, ma non sono certo che gli altri siano disposti ad accettare l'inspiegabile, almeno non prima di averlo visto con i loro occhi, il che, in questo caso, potrebbe essere un po' troppo tardi. Di conseguenza, credo che spiegherò questa minaccia facendo cenno a un energumeno con un debole per le droghe chimiche». «Questo dovrebbe metterli decisamente sulla difensiva». «Bene», concluse lo sceriffo. «Ora che mi dici di te? Hai qualche asso segreto nella manica?» «Un incantesimo protettivo, che può servire solo fino a un certo punto.
L'evocazione del fuoco, in cui mi eserciterò, perché dubito che questo stregone dell'inverno sia in grado di resistere al fuoco. E altri progetti... in lavorazione». «Se le cose dovessero volgere al peggio», disse lo sceriffo, «ci terremo pronti a innaffiarlo di benzina». Si girò quindi verso Alex. «Tu sarai con Wendy?», chiese, e quando lui annuì, aggiunse: «Hai familiarità con le armi da fuoco, Dunkirk?» «Sono andato al poligono di tiro un paio di volte». «Revolver o automatica?» «Automatica». «Forse ho qualcosa per te», rifletté lo sceriffo grattandosi la mascella. «Una Glock 23, calibro .40, compatta, più potente di una nove millimetri. Quest'anno il dipartimento ha intenzione di farne la nostra arma da fuoco standard. Te la caricherò con alcune pallottole d'argento, però la pistola dovrà rimanere in questa casa, e me la dovrai restituire non appena eliminata questa... creatura». Alex annuì di nuovo. «E che Dio ci aiuti tutti», aggiunse lo sceriffo. Prima di andarsene con il bastone dalla testa di gargoyle di Alex, Nottingham si fece promettere da Wendy che lo avrebbe avvertito se il diario di Wither avesse fornito informazioni utili di qualsiasi tipo. Wendy lo accompagnò alla porta e la richiuse a chiave alle sue spalle mentre Alex sgombrava il piccolo tavolo. Tornata in cucina, posò il diario sul tavolo e sedette su una delle sedie di pino, rimanendo a fissarlo per qualche tempo. Seduto di fronte a lei, Alex se ne stava in silenzio, ma Wendy ebbe l'impressione che ci fosse qualcosa che non voleva dire. «Cosa c'è?», chiese. «Niente. È solo che... ecco, credo che dovremmo avvertirli». «Chi?» «L'FBI, tanto per cominciare». «E cosa dovremmo raccontare, esattamente? Che c'è in circolazione un pericoloso serial killer? Questo lo sanno già. Che si nutre di carne umana? Sanno anche questo. Alex, cosa potremmo aggiungere?» Alex si accigliò e assunse un'aria riflessiva, intrecciando le dita e facendo poi crocchiare le nocche. «Potremmo dire loro delle pallottole d'argento». «Riformulerò la domanda. Cosa possiamo dire che abbia una minima possibilità di essere creduto?»
«Che c'è di così sbagliato nel parlare di pallottole d'argento?» «Cosa risponderemmo, se dovessero chiederci perché devono essere d'argento?» «Ho afferrato il punto. Ci ritroveremmo tutto d'un tratto a essere candidati al manicomio». «Non c'è niente che tu possa dire che li indurrebbe a darci retta», affermò Wendy. «In un certo senso, spero che quella creatura riesca a seminarli, perché non si lascerà fermare, e chiunque si troverà sulla sua strada finirà ucciso». «Uccide per nutrirsi», le ricordò Alex. «Lo so», replicò Wendy in tono amaro, «quindi probabilmente non dovrei cercare di annullare la maledizione». «Perché?» «Perché è quella che la sta costringendo a venire qui così in fretta...» «Sì! Per ucciderti!» «Credimi, non sto affatto trascurando questo dettaglio», replicò Wendy, «ma pensa all'alternativa. Cosa succederà se riuscirò a elaborare un incantesimo che mi cancelli dalla sua "lista dei ricercati"?» «Sarai al sicuro». «Sì, io, forse». «Era una domanda trabocchetto, vero?», disse Alex contraendo le labbra. «Se non darà la caccia a te, probabilmente se ne andrà in giro senza una meta precisa per tutto l'inverno, ritrovandosi ogni pochi giorni preda di una fame micidiale». «Non sapendo dove potrebbe colpire la volta successiva, non avremmo modo di fermarla. Finché la maledizione è attiva, il numero di persone innocenti in pericolo è ridotto al minimo». «Sì, ma tu sei una di quelle poche». «Sbagliato», lo corresse Wendy. «Io sono in parte responsabile di tutto questo, il che costituisce un motivo in più perché debba porvi fine». Ancora una volta provò ad aprire la copertina del diario di Wither, ma non riuscì neppure a sollevarne un angolo. Finché Kayla non avesse operato un tentativo di aprirlo, quel libro non sarebbe stato più utile di un grosso fermacarte. «Visto che abbiamo alcune ore da far passare, tanto vale che mi eserciti un po'», decise infine. «Posso aiutarti?» Vorrei conoscere un modo per esercitarmi nella visione periferica, ma
per adesso la cosa è fuori discussione, pensò Wendy. Ulteriori progressi nella proiezione astrale avrebbero richiesto tempo e pazienza ma, stando alla Vecchia, il secondo livello avrebbe dovuto essere sufficiente per il suo incontro con il wendigo. L'evocazione di una sfera era un'altra possibilità, e forse... «Il fuoco», disse. «Tutto il resto della mia magia è difensiva». «Il mezzo di offesa migliore è una buona difesa». «Può darsi», convenne Wendy, «ma mi sentirei meglio se avessi nella manica qualche asso segreto finalizzato non solo alla difesa, per usare la definizione dello sceriffo, ma che sia capace di stendere il wendigo». «E stavi pensando al fuoco?» «Ho evocato delle sfere di fuoco... ecco, una specie... ma ho bisogno di imparare come fare a scagliarle, e non è una cosa che si possa sperimentare al chiuso». «Non fanno guanti da forno abbastanza grandi per maneggiare una sfera di fuoco». «Inoltre, mi devo esercitare a evocare il fuoco in mezzo al freddo», aggiunse Wendy. «Ricordi quanta difficoltà ho avuto nel Minnesota a generare una semplice fiammella?» Alex annuì. «Il wendigo è schermato dalla neve e dal ghiaccio, ma questo non dovrebbe impedirmi di attingere calore dall'aria». «Ah, già, visto che siamo nel cuore dell'estate...» Wendy gli fece un sorriso. «È questa la logica della Vecchia. Ha detto che il fatto che utilizzi il fuoco non svolgerà un ruolo considerevole nella battaglia imminente. Forse, nel suo passato non sono riuscita a evocare il fuoco a causa del freddo estremo, ed è stato per questo che sono morte così tante persone». «È una teoria». «Ha senso, Alex, ha davvero senso. Devo prendere alcune cose, poi cercheremo un posto dove fare pratica, un luogo isolato...» «Forse conosco il posto adatto...» Erano al centro del parcheggio deserto della Schongauer Hall, che era stato sgomberato dalla neve in modo da essere pronto per l'arrivo degli studenti il giorno successivo; gli spazzaneve avevano spinto enormi mucchi di neve intorno a ciascun lampione, e ne avevano addossati altri in fondo al piazzale.
Wendy arrestò la Pathfinder nella parte anteriore del parcheggio e Alex provvide a scaricare il materiale, suggerendo di limitare le loro attività al lato occidentale, in modo da rimanere nascosti alla vista delle automobili che sarebbero transitate lungo la strada più o meno in quell'ora di cui Wendy avrebbe avuto bisogno per capire se era in grado di evocare il fuoco con un clima così rigido. Ogni volta che guardava verso Alex, doveva lottare contro l'impulso di ridacchiare, perché lui si era avvolto intorno alle spalle una coperta ignifuga, drappeggiandola come un mantello, e stringeva fra le mani un fucile ad acqua, delle dimensioni di uno vero, con piglio degno di un berretto verde; il fucile era stato riempito con acqua tiepida, in modo che impiegasse più tempo a gelare. «Tranquillo, Alex, prometto di non scagliare nessuna sfera di fuoco nella tua direzione», disse Wendy. «Ehi, gli incidenti possono sempre capitare», ribatté Alex, scrollando le spalle con tanto vigore che per poco non fece scivolare la coperta. «Ti rendi conto che la coperta e il fucile ad acqua servono a proteggere me?» «Te?», esclamò Alex, fingendosi stupito. «La saggia e potente wicca?» «Già, proprio così», confermò Wendy, in tono sardonico. «L'ultima volta che ho tentato l'esperimento, per poco non mi sono data fuoco al pigiama che indossavo in quel momento». «Ah», commentò Alex. «Allora mi terrò pronto a innaffiarti nel momento stesso in cui dovessi apparire troppo surriscaldata...!», esclamò, modificando la presa sul grosso fucile ad acqua e puntandolo contro di lei. «Alex...», cominciò Wendy in tono di ammonizione. «Falso allarme», la rassicurò Alex. «Continua pure così». Non appena riuscì a smettere di sorridere, Wendy afferrò il pendente di cristallo e iniziò il procedimento per trovare il proprio centro mentale, cominciando con un esercizio di respirazione profonda. Ogni inalazione le ricordava in modo brutale quanto facesse freddo là fuori, quanto fosse scarso il calore da cui poteva attingere; per quanto si focalizzasse, la sua tecnica di visualizzazione risentiva dell'aspra realtà del gelo invernale del New England. Il freddo come tale non esiste, ricordò a se stessa. C'è soltanto assenza di calore. Qui fa molto, molto più caldo che nello spazio profondo. Forse era quello il modo per superare lo stato di stallo in cui si trovava la sua visualizzazione. Doveva cominciare avendo in mente lo zero assoluto, le frigide profondità prive di vita dello spazio. Immaginò temperature tanto
basse da ghiacciare l'aria stessa, ossigeno liquido, azoto liquido... immaginò le terre dell'Antartide, perennemente bloccate sotto i ghiacci, un freddo così profondo da solidificare il sangue nelle vene. Immagini su immagini di freddo intenso, assoluto, finché... tornò alla Windale dell'inizio di gennaio, e avvertì il calore presente tutt'intorno a lei, il caldo che emanava dai loro corpi, che scaturiva dal loro respiro, che si levava dal cofano della Pathfindfer. Protendendo i palmi, immaginò allora che tutto quel calore vorticasse verso di lei, un turbine di miraggi di calore che scendevano a spirale verso i suoi palmi e si appallottolavano a formare sfere di energia, arrivando quasi a risplendere. Chiudendo gli occhi, si riempì la mente con immagini di calore, come una sorta di mantice magico che alimentasse l'energia che si andava addensando sulle mani visualizzò spiagge rese torride dal sole, forni per la pizza, saune fumanti e griglie roventi, fuochi da campo e roghi funebri, torce da saldatore e lava fusa, vulcani che eruttavano ed esplosioni solari... La sua mente si riempì di un'immagine dopo l'altra, fino a quando si ritrovò con la fronte imperlata di sudore. «Wendy!» Aprendo gli occhi, Wendy sussultò, e per poco non perse il controllo delle sfere di fuoco gemelle che ruggivano al di sopra dei palmi protesi, due globi di fuoco vorticanti delle dimensioni di un pallone da basket. Essendo fiamme magiche, non avrebbero emesso calore finché non fossero uscite dal suo controllo o non avessero incendiato qualcosa. «Accidenti...», mormorò quasi senza fiato. Non aveva neppure avuto bisogno di visualizzare la compressione del calore per raggiungere un punto di luce che prendesse fuoco. È incredibile, pensò, ma è qualcosa di più di un semplice fenomeno da baraccone? «Sta' calma», le disse Alex, facendosi avanti e aumentando la pressione dell'aria nel fucile ad acqua. «Ti spegnerò prima che...» «Non farlo!», si affrettò a bloccarlo Wendy. «Ho bisogno di sapere se questa è davvero un'arma funzionante». «Io me la sono fatta addosso», dichiarò Alex. «Pensi che conti qualcosa?» «Fatti indietro», ingiunse Wendy, ignorando la sua battuta... sempre che fosse stata davvero una battuta. Mosse quindi un esitante passo in avanti, poi un altro, sempre tenendo in equilibrio le due fiamme; si girò quindi di scatto verso il lampione più vi-
cino, in modo da trovarsi davanti allo scatolone di cartone che Alex aveva incastrato nella neve, e abbassò la mano sinistra verso il proprio fianco in un lento movimento rotatorio, badando a mantenere la fiamma ben lontana dal corpo, dai vestiti e dai capelli. «Pronti... mirate...», cominciò, quindi proiettò in avanti la mano chiusa a coppa, gridando: «Fuoco!» La sfera lasciò la sua mano roteando pigramente nell'aria, e saettò verso lo scatolone, ma a meno di un metro di distanza da Wendy evaporò prontamente nell'aria gelida. Il cartone incastrato nel mucchio di neve parve farsi beffe di lei, mentre sulla sua mano destra la sfera di fuoco restante continuava a risplendere, impressionante quanto lo era stata pochi secondi prima. «So cosa stai per dire», commentò Alex. «Tutto fuoco e niente arrosto». «Non ha una fonte di alimentazione», disse Wendy. «Una volta che la scaglio lontano, deve diventare subito una fiamma vera, altrimenti svanisce come un trucchetto da palcoscenico da quattro soldi. Se fossi più abile, forse potrei riuscire a mantenere il controllo più a lungo, abbastanza da...» S'interruppe con un sospiro. «Oppure...» «Cosa?» «Purtroppo, può darsi che questa sia un'arma a distanza ravvicinata... molto ravvicinata». «Fai un tentativo». Wendy annuì, tenendo in equilibrio la sfera di fuoco mentre avanzava con cautela di uno o due passi verso il cumulo di neve. Adesso lo scatolone era a circa un metro e mezzo da lei, il che doveva costituire più o meno la distanza giusta, se si considerava la portata del suo braccio; in ogni caso, avvicinarsi maggiormente al wendigo sarebbe stato un atto suicida. Tratto indietro il braccio destro, si concesse un momento per immaginare il lancio perfetto e la traiettoria, poi, esalando il fiato, scagliò la sfera di fuoco a disegnare una traiettoria ad arco, lasciandola andare nel momento in cui il suo braccio si veniva a trovare in posizione orizzontale, puntato verso il bersaglio. La scintillante sfera arancione ruotò nell'aria con lo stesso movimento pigro della precedente, ma questa volta andò a sbattere contro la sommità del cartone prima di potersi dissipare, e parve avvolgervisi intorno prima di incendiarlo. «Fuoco e dannazione!», applaudì Alex, lanciando in aria uno schizzo dopo l'altro con il suo fucile ad acqua, come un combattente ebbro di gioia per la libertà impegnato a celebrare un colpo di Stato.
«Ha funzionato», affermò Wendy in tono pacato, incapace di smettere di sorridere. Intanto lo scatolone bruciò e si accartocciò per effetto del fuoco vero, emettendo una voluta di fumo che venne subito spazzata via dal vento. «È davvero stupefacente», commentò incredulo Alex. «Ricordami di non farti mai arrabbiare». Wendy si esercitò per oltre un'ora, durante la quale, come conseguenza della sua nuova tecnica di visualizzazione, non avvertì quasi il freddo. Alex però non fu altrettanto fortunato, e mentre Wendy riuscì addirittura a ricoprirsi di sudore a forza di evocare sfere di fuoco, lui cominciò a sentire la faccia che gli si intorpidiva per il freddo e si ritrovò con le orecchie rosse come pomodori. Quando la voce cominciò a farglisi impastata, Wendy gli suggerì di rifugiarsi a bordo della Pathfinder, ma lui prendeva il suo incarico troppo sul serio per abbandonarla: sarebbe bastato che lei perdesse la concentrazione per un solo momento perché il cappotto s'incendiasse. Il che per poco non successe quando il cellulare si mise a suonare, interrompendole la concentrazione. In quel momento, il suo primo istinto fu quello di allungare la mano verso l'apparecchio, che si trovava nella tasca della giacca; tale distrazione, unita all'aver portato la sfera di fuoco a contatto con la materia infiammabile del cappotto, rappresentava il culmine dell'idiozia magica, qualcosa che Wendy avrebbe dovuto essere abbastanza assennata da evitare. Per fortuna, nel momento stesso in cui sentì suonare il cellulare, Alex capì che lei avrebbe cercato istintivamente di prenderlo e si lanciò in avanti, lasciando cadere a terra il fucile ad acqua e togliendosi dalle spalle la coperta ignifuga. Vedere Alex lanciato alla carica verso di lei, con in mano la coperta svolazzante, indusse Wendy a rendersi conto del pericolo che stava correndo. Un solo pensiero fu sufficiente a liberare l'energia calda che aveva imbrigliato, e una frazione di secondo più tardi Alex le avvolse la coperta intorno alle mani e ai polsi, cosa che le permise di archiviare quell'errore senza riportare ustioni. La chiamata era di Kayla, che aveva lasciato il lavoro in anticipo, come convenuto con Alissa, e li avrebbe aspettati dieci minuti più tardi alla fermata dell'autobus di Theurgy Avenue. «Dovremmo avere tempo a sufficienza», disse Wendy ad Alex, poi entrambi si affrettarono a raggiungere la Pathfinder. Adesso che aveva smesso di incanalare il calore necessario a generare le
sfere di fuoco, Wendy poteva sentire il sudore evaporarle dal corpo, generandole una serie di brividi lungo la schiena, cosa che la indusse ad accendere in tutta fretta il riscaldamento e a regolare la ventola al massimo. «Hai pensato al problema di Kayla?», chiese Alex con voce ancora ispessita dal freddo. «Mi riferisco al sangue nero». «Non ho nessuna risposta», replicò Wendy «A questo punto, tutto è possibile. Continuo a pregare che Kayla rimanga nella nostra squadra». «Amen», disse Alex. Kayla rimase in silenzio per tutto il tragitto in macchina fino al cottage di Wendy, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, intenta a osservare gli sporadici fiocchi di neve che stavano chiamando a raccolta le loro forze per ammantare di bianco ogni superficie nel raggio di chilometri. Quando Kayla era salita sul sedile posteriore della Pathfinder, Wendy le aveva stretto la mano con fare amichevole, ma né lei né Alex avevano accennato al diario di Wither. Tutti e tre sapevano che quel libro li stava aspettando, e che Kayla era la sola che poteva aprirlo e rivelarne i segreti, ed erano tutti preoccupati che, attingendo ancora al suo collegamento con Wither, Kayla potesse offrirle una via di accesso alla propria psiche, una leva mediante cui corrompere la sua anima o prendere possesso della sua mente. Cosa potevano dire che non sembrasse trito e ovvio? Risparmiatemi i luoghi comuni, stava pensando Kayla. Arrivati al cottage, uscirono tutti dalla Pathfinder e si avviarono su per il vialetto, silenziosi, se non addirittura cupi. D'un tratto Wendy, che procedeva per prima, si fermò e si girò a guardare gli altri. «Avete sentito?», chiese. Kayla e Alex si scambiarono un'occhiata che esprimeva confusione, ma un momento più tardi tutti e tre sentirono quel suono, che cominciava con una nota acuta per poi farsi più basso. «KEE-arr!» Wendy tornò indietro fino al marciapiede e alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso. «Cos'è?», chiese Alex. «Non sarà il wendigo...?» «No», rispose Wendy, con un accenno di sorriso. «È un uccello», disse Kayla. «Molto grande». «KEE-arr!» «Non è un semplice uccello, è un falco», precisò Wendy, indicando il cielo per indirizzare l'attenzione dei compagni verso il falco dal piumaggio bianco che stava volando in cerchi pigri al di sopra del cottage; intanto il
rapace virò con eleganza, scendendo verso di loro in una spirale disinvolta. «Un presagio di qualche tipo?» «Non è un presagio», spiegò Wendy. «È Abby». «Ehm... hai per caso un falco addomesticato che si chiama Abby?», chiese Kayla, fermandosi accanto a lei. «Non proprio». Intanto, il falco era sceso più in basso, portandosi di poco al di sopra dei tetti, e il centro del suo volo circolare si era spostato dal cottage a Wendy. Accorgendosene, lei tese il braccio in modo da tenerlo rigido e parallelo al terreno; il falco scese allora in picchiata e, battendo a più riprese le grandi ali, serrò i possenti artigli intorno alla manica del cappotto di Wendy. «Ci ero quasi cascata», sussurrò Kayla, indietreggiando cautamente di un passo. «Ciao, Abby», salutò intanto Wendy, raggiante e orgogliosa. Forse è stata lei a insegnarle ad atterrarle sul braccio, pensò Kayla. Magari dandole dei topolini come premio. Due case più in là, un vicino che stava aprendo la portiera della macchina aveva assistito alla scena e scosse il capo con aria stupita, ma salì comunque sul veicolo e si allontanò; Kayla si disse che quel vecchio impiccione avrebbe telefonato alla protezione animali prima della fine del pomeriggio. «Meglio entrare», li esortò intanto Wendy. Una volta nel cottage, trasferì il rapace da un braccio all'altro in modo da potersi sfilare il cappotto. Il falco aveva il petto bianco e il dorso marrone con striature candide; le penne della coda erano rossicce, le zampe gialle e munite di artigli neri lunghi e affilati. Alex e Kayla si tenevano entrambi a distanza dal rapace, e Kayla incontrava parecchie difficoltà a distogliere lo sguardo dal becco affilato, dato che aveva tutta l'aria di poter cavare gli occhi a un incauto, e il modo in cui il falco continuava a girare la testa di qua e di là, fissando con strana intensità prima lei e poi Alex, le dava l'impressione che stesse decidendo quali occhi fossero i più succulenti. «Non dovete aver paura di Abby», li tranquillizzò Wendy. «Lei è... addomesticata. Non è vero, Abby?» Incredibilmente, la testa del falco si alzò e si abbassò in un cenno di assenso. «Un uccello intelligente», commentò Alex. Il falco annuì altre due volte.
«Abby...?», disse intanto Wendy, dando quasi l'impressione di cercare di leggere i pensieri del rapace. «Conosci già Alex e Kayla, vero?» La testa del rapace andò su e giù. «Sono entrambi buoni amici». Un altro cenno. «Amici fidati». Un cenno, seguito da un lieve inclinarsi della testa da un lato. «Ti piacerebbe che... imparassero a conoscerti meglio?» «Non intendo darle dei topolini da mangiare», dichiarò Kayla infilando le mani nelle tasche. Per un lungo momento il falco fissò Alex, poi spostò il proprio sguardo penetrante su Kayla per un tempo altrettanto lungo, e infine riportò la propria attenzione su Wendy. Passò un altro momento, poi la testa abbozzò un cenno infinitesimale, che a Kayla parve quasi un assenso riluttante alla domanda di Wendy. Sono stata esposta troppo a lungo ai cartoni della Disney a una età in cui ero impressionabile, pensò. Sarei capace di raffigurarmi come umana perfino una spazzola da toeletta. «Scusateci per un momento», disse intanto Wendy, e percorse il corridoio fino alla sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Kayla guardò verso Alex inarcando le sopracciglia, ma lui si limitò a scrollare le spalle. Meno di un minuto più tardi, Wendy tornò senza il falco. «Scusate», disse, «aveva bisogno di un po' di privacy». «I falchi hanno un'indole timida?», domandò Kayla. «Oppure è solo questo a fare lo schivo?» «Solo questo», confermò Wendy con un sorriso misterioso. «Forse dovrebbe consultare un analista per falchi», suggerì Alex sorridendo. «Hai lasciato un rapace solo nella tua stanza», osservò intanto Kayla, accennando con un pollice verso la camera in questione. Wendy annuì. «Mentre parliamo, probabilmente sta facendo a brandelli tutte le tue cose». «O forse sta indossando una delle sue vestaglie», ribatté Alex, che sfoggiava un'espressione palesemente confusa. «Indossando...», cominciò Kayla, seguendo la direzione del suo sguardo. «Oh...» La bionda Abby McNeil era ferma fuori dalla camera da letto di Wendy, avvolta in una vestaglia verde che le arrivava alle caviglie, e stava cercando con scarso successo di arrotolare le maniche troppo lunghe e ampie;
scrollando le spalle, rinunciò infine all'impresa e avanzò a piedi nudi verso di loro lungo il corridoio. «Salve a tutti!», salutò con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. «Quanto sono stata brava?» «Abby è una mutaforme», spiegò Wendy. «Fino a oggi, era in grado di assumere soltanto la forma di un lupo». «Promettete di non dirlo a nessun altro, d'accordo?», aggiunse Abby. «Certo», si affrettò a rispondere Alex, che era abituato a custodire i segreti di Wendy e di Windale; probabilmente quello della natura mutaforme di Abby gli appariva soltanto come un altro aspetto di quella situazione complessiva. «Labbra cucite», garantì Kayla, senza riuscire a trattenere un sorriso. Abby sembrava una bambina che si stesse provando i vestiti della madre per fingere di essere un'adulta. Una bambina di dieci anni capace di trasformarsi in un lupo o in un falco può nutrire un qualche interesse per i tacchi alti o per il rossetto? si chiese. «Ho pensato che non ci sarebbero stati problemi nel dirvelo, perché già siete al corrente di Wendy e di Wither e di tutto il resto. Siete in grado di capire», proseguì Abby. «Non penserete che sia uno scherzo della natura, come farebbero i miei compagni di scuola, se lo sapessero». «Certo che capiamo», garantì Wendy, mentre Alex e Kayla si affrettarono ad annuire. «Era un'eternità che cercavo di trasformarmi in un uccello», spiegò la bambina, agitando senza neppure accorgersene le braccia avvolte nelle ampie maniche per sottolineare il proprio entusiasmo. «All'inizio, ho cercato di forzare il cambiamento, di creare penne e piume. Mamma mia, che pasticcio! Per poco non mi sono trasformata in una frittella, invece che in un uccello». «Adesso, però, te la cavi decisamente bene», osservò Kayla. «Grazie a Wendy», replicò Abby. «È stata lei a dirmi di smettere di forzare le ossa e di lasciare che fossero loro a decidere». «Parli alle tue ossa?», domandò Alex. «Ecco, non a voce alta», spiegò Abby, «ma a volte riesco a sentire quando vogliono cambiare. Se resisto, la sensazione peggiora sempre di più, finché devo cedere». «Sembra il mio problema con la cioccolata», commentò Kayla. «In ogni caso, io volevo assumere la forma di un'aquila», continuò
Abby. «Non riuscivo a pensare ad altro. Ho ritagliato foto da giornali e riviste, ho disegnato aquile, letto libri su di esse, le ho sognate, e così via». Fece una pausa, riprendendo fiato, poi concluse: «Ma le mie ossa non volevano essere un'aquila». «Volevano essere un falco?», domandò Alex, cominciando a capire. «Per la precisione, un falco dalla coda rossa», rispose Abby. «Sono mutata per la prima volta questa mattina, prima della scuola... mi sono dimenticata di che ora fosse, e mi sono cacciata nei guai... comunque, mi sono posata sulla terrazza e ho guardato la mia immagine riflessa nel vetro, in modo da poter poi fare una ricerca, più tardi, a scuola. La mia schiena è più chiara di quella degli uccelli disegnati sul libro, forse perché ho i capelli così chiari. Comunque, non so il perché, ma le mie ossa volevano che diventassi un falco dalla coda rossa. Sono venuta qui per ringraziare Wendy per avermi aiutata a volare». «Abby, lo sceriffo o la signora Nottingham sanno che sei qui?», chiese Wendy. «Ho lasciato un biglietto per lo sceriffo», rispose Abby, facendosi più seria. «Gli ho chiesto di portarmi dei vestiti se non fossi tornata a casa per cena. Forse dovrei telefonare, vero?» «Sarebbe una buona idea», approvò Wendy. «Alex, puoi prendere il cordless che c'è in salotto e aiutare Abby a fare la sua telefonata, mentre io e Kayla diamo un'occhiata a... a quell'altra cosa?» «L'altra...? Certo, non c'è problema». «È arrivato il momento, vero?», disse Kayla, lanciando a Wendy un'occhiata nervosa. Wendy annuì, e insieme passarono in cucina, mentre Alex afferrava il telefono e rimaneva con Abby nel salotto; dopo che lei e Kayla si furono sedute una di fronte all'altra al tavolino, Wendy spinse l'antico tomo verso l'amica. «Se potessi fare da sola...», cominciò. «Lo so», la interruppe Kayla, poi abbassò lo sguardo sulla copertina scura e macchiata, ed esalò un brusco respiro per farsi coraggio. «Sono pronta. Vorrei solo sapere cosa fare», disse poi. «Quando ho toccato quella pietra, nella radura, mi ha vibrato sotto le mani e mi ha fatto sanguinare». A titolo di esperimento, fece scorrere le mani sulla rozza copertina, poi rabbrividì al pensiero che probabilmente Wither non l'aveva ricavata da una pelle animale ma da quella di un essere umano scuoiato. «Che c'è?», chiese Wendy.
«Niente, si affrettò a rispondere Kayla. «È uno di quei momenti che ti mettono i brividi», sospirò, poi scosse il capo. «Lo sto toccando, ma... niente. Nessuna vibrazione, nessuna visione, non mi viene da parlare in strane lingue, nada de nada». Forse non sarebbe mai riuscita ad aprire quel libro, per quanto si sforzasse. D'altra parte, se fosse stato perché le mancava qualche ingrediente metapsichico necessario, sarebbe stata la notizia migliore delle ultime settimane. Significherebbe che potrò rimanere me stessa, dopotutto, pensò. «Lo hai toccato», osservò Wendy, «ma hai cercato di aprirlo?» «Certamente», ribatté Kayla, quasi sdegnata. «Cosa vorresti sottintendere?» «Ma vuoi davvero aprirlo?» Quella domanda così diretta fece sentire Kayla un po' a disagio. Voglio farlo? si chiese. Oppure sto inconsciamente opponendo resistenza perché ho paura delle conseguenze? Come fa questo stupido libro a sapere che non voglio... che non voglio aprirlo? Cazzo! Mi sono solo presa in giro. Il problema è tutto qui. Contrariata dalla propria mancanza di determinazione, rivolse a Wendy un sorriso contrito. «Proprio il momento giusto per farsi venire un attacco di fifa, giusto?» «Anch'io sarei spaventata, se dovessi trovarmi al tuo posto», garantì Wendy. «Ma tu stai affrontando qualcosa di anche peggio», obiettò Kayla. «Qualcosa di letale». «Non credere che non abbia paura». «Sei spaventata?» «Me la faccio sotto», precisò Wendy, ed entrambe sorrisero. «Se può esserti d'aiuto, ricorda che quello che stai cercando di aprire non è il vaso di Pandora, se non per le speranze che nutriamo. Questo diario dovrebbe contenere delle risposte, magari perfino delle soluzioni, delle cure. Al momento Abby è eccitata per la sua capacità di cambiare forma, ma non sappiamo quali conseguenze questo potrà avere sul resto della sua vita. Lei non ha guardato tanto avanti - non sarebbe stato naturale che lo facesse - ma io ci ho pensato, e lo ha fatto anche lo sceriffo. Hannah sta crescendo tanto in fretta che potrebbe aver bisogno di un bastone e della dentiera prima di compiere sedici anni. Wither mi ha usata, più di una volta, e ha usato anche te. Non ti piacerebbe cambiare le carte in tavola, strappare via i veli, i
segreti, e rovinare i suoi piani, qualunque essi siano?» «Ci puoi giurare, dannazione!», sorrise Kayla. «D'accordo, va bene, ci proverò». Nel sollevare i palmi al di sopra del libro, non rimase sorpresa dal vedere che stavano tremando, sospesi sopra la W intagliata. Ma adesso era decisa: voleva leggere il diario di Wither, violare la proprietà e l'intimità di quella strega per vendicarsi del modo in cui Gina Thorne aveva violato la sua vita. Augurami buona fortuna, Bobby, pensò, mentre calava con decisione le mani sulla copertina di cuoio chiazzata di sangue. Gli avambracci presero a tremarle, mentre stringeva il libro con tanta forza da farsi sbiancare le nocche e insinuava le unghie della mano destra sotto il bordo ripiegato della copertina. Wendy non era riuscita a smuoverne neppure un angolo, ma Kayla avvertì subito che si distaccava dai fogli sottostanti. Mentre cercava di alzare la copertina, il tremito le si diffuse in tutte le braccia, su per le spalle, fino al collo e giù per la schiena. I muscoli le dolevano, la mascella le si serrò, rifiutando di riaprirsi, e ben presto tutto il volto divenne una tremante maschera di agonia. «Kayla?» Sentì che la vista cominciava a farsi indistinta e a offuscarsi, una perdita di fuoco che ebbe inizio alla periferia del campo visivo per poi avanzare lentamente verso il centro, come l'allargarsi di una macchia d'inchiostro. Le lacrime le salirono agli occhi e le colarono lungo le guance, gocciolando sul dorso delle mani protese e sulla copertina di cuoio. Le pareva che tutto fosse nero. Cercò di parlare, ma aveva ancora la mascella bloccata. «UH... uh... uh...» «Kayla, lascialo andare!», esclamò Wendy scandendo le sillabe, mentre si alzava di scatto dalla sedia, ma tutto quello che Kayla riusciva a sentire era il suo stesso sangue che rombava nelle orecchie. Alzò lo sguardo sull'amica, con occhi imploranti... Ma l'oscurità la circondò, la stanza parve inclinarsi e scivolare via da un lato, poi... più niente, tranne... il silenzio e... l'oscurità... Wendy non aveva saputo con esattezza cosa aspettarsi. In un primo tempo Kayla prese a tremare, poi s'irrigidì, il volto duro come legno pietrificato. La mascella le si chiuse di scatto e non riuscì più a parlare, solo a grugnire. Subito dopo parve che stesse per piangere, ma le lacrime che le scaturirono dagli occhi non erano limpide. Erano nere... lacrime di sangue nero.
Mentre Wendy balzava in piedi per aiutarla, per cercare di staccarle le mani dal diario, Kayla barcollò sulla sedia e cadde di lato, svenuta. Nell'accasciarsi, tuttavia, con un ultimo atto cosciente tirò convulsamente indietro con la mano la sommità della copertina di cuoio. Finalmente il diario di Wither era dissigillato, aperto. E Kayla giaceva riversa sul pavimento. Wendy si lasciò cadere in ginocchio accanto a lei, controllandole il battito e la respirazione, fin troppo consapevole delle scie scure che le lacrime di sangue nero le avevano lasciato sulle guance. «Kayla? Mi senti?» «Ehi», chiamò Alex entrando in cucina, «credevo che avreste fatto meno chiasso qui dentro, con... Cosa è successo?» «È svenuta», rispose Wendy sgomenta. «Ha aperto il diario, ma è svenuta. È caduta dalla sedia». «Devo chiamare il 9-1-1?» «No... no, aspetta. Prima lasciami tentare di risvegliarla. Resta di là con Abby». Intanto Kayla emise un gemito sommesso, accennò a sollevare la testa, poi si premette una mano sugli occhi. «Ouch!», gemette. «Un'aspirina... Dio! Un'aspirina!» «L'armadietto delle medicine è in bagno», disse Wendy ad Alex. Mentre aspettavano, aiutò Kayla a sollevarsi a sedere; con la testa inclinata in avanti, si passò una mano tremante nei capelli blu elettrico. Di lì a poco Alex fu di ritorno con un bicchiere d'acqua e due pastiglie di Excedrin. «Avvertitemi se vi serve altro», disse, prima di tornare in salotto da Abby. Kayla si mise in bocca le pastiglie, le mandò giù con l'acqua e accartocciò il bicchiere di carta, gettandolo più o meno nella direzione del cestino dei rifiuti. «Perché quella fottuta cagna di una strega mostruosa non si è limitata a comprare uno di quei piccoli lucchetti per il suo diario nero del cazzo?» «Dubito che lei avesse altrettante difficoltà ad aprirlo». «Aprirlo? Ha funzionato?» «Non te lo ricordi?», chiese Wendy, e mentre Kayla scuoteva il capo, aggiunse con un sorriso: «Sì, ha funzionato». «Figlia di puttana!», commentò Kayla, con una risata di sollievo. «C'è ancora speranza di fare di te una scassinatrice wicca».
«Niente trattamenti di favore, grazie», ribatté Kayla, poi: «Ripensandoci, potresti aiutarmi ad alzarmi? Mi sento le gambe molli come spaghetti scotti». Wendy le passò un braccio intorno alla schiena e un altro intorno al gomito, aiutandola a raggiungere la sedia. Kayla fissò il libro aperto, e trasse un profondo sospiro. Ora non stava più sorridendo. «Dovrei sentirmi eccitata... e allora perché d'un tratto mi sento invece terrorizzata a morte?», chiese, e spinse il libro - che in realtà non era che un mucchietto di pagine ingiallite raccolte dentro la copertina di cuoio verso Wendy. «Leggi prima tu», la invitò. «Io non ho lo stomaco per farlo». Wendy avvicinò a sé il diario. La prima pagina era vuota, scolorita e con i bordi fragili, sgretolati. La sollevò da un angolo con estrema cura e la girò, posandola sulla sinistra rispetto al mucchio principale. Anche la seconda pagina era vuota, mentre sulla terza c'era una grande W scribacchiata nel centro; in fondo, sull'angolo in basso a destra, c'era il numero 1699. È l'anno in cui ha cominciato questo diario, pensò Wendy. Seguì un altra pagina vuota; mentre la girava, intravide quella successiva, piena di testo, composto da grosse lettere indistinte - l'inchiostro doveva essere penetrato nella carta - tracciate da una mano impacciata. Tentò di leggerle, ma quasi subito scosse il capo con aria delusa. Kayla aveva seguito con lo sguardo ogni pagina girata in preda a un'ansia crescente; quando Wendy parve arrendersi, si protese sul tavolo, puntellandosi sui gomiti. «Cosa c'è che non va? Non è in inglese?» «Decisamente no». «Inglese medievale? Greco? Latino? Aramaico?» «È una lingua che non ho mai visto», mormorò Wendy. «Vista a testa in giù, somiglia al cirillico. Forse è russo», osservò Kayla. «C'è qualche professore che insegni il russo, al Danfield?» «Non è russo», ribatté Wendy. «Non è... niente». «E se fosse cifrato? Forse è in codice, oppure... cosa intendi affermando che non è niente?» Wendy girò di scatto il libro e lo spinse verso di lei. «Leggilo», rispose soltanto. «Non conosco la lin...» «Esamina la prima frase. Attentamente». «D'accordo. Vedo parole senza senso, parole senza senso e ancora parole
senza senso». «Ora leggi... esamina di nuovo la stessa frase». Lo sguardo di Kayla si spostò da sinistra a destra, due volte. «Non è... ma questo è impossibile!» «È diverso ogni volta che lo si legge. Ciascun carattere cambia, ogni volta che lo si guarda». «C'è qualche possibilità che prima o poi diventi inglese?» «Questa lingua non è inglese», spiegò Wendy. «La posizione di ciascun carattere ruota casualmente attraverso la stessa sequenza di simboli. Forse sono rune, ma non di un genere che mi sia familiare». «Forse, come per aprirlo, dobbiamo davvero volerlo leggere per renderlo leggibile». «Provaci». Kayla si tirò vicino il mucchio di fogli e si concentrò sulla pagina dal testo mutevole. «Passami qualche fazzolettino di carta», disse. «Sai, nel caso che questa volta mi metta a sanguinare dalle orecchie». Wendy spinse verso di lei il contenitore dei kleenex e attese. Dando apparentemente prova di un'assoluta determinazione, Kayla si concentrò - la fronte aggrottata, i denti superiori che accarezzavano il piercing del labbro inferiore - ed esaminò attentamente la pagina che aveva davanti. Dopo quasi due minuti, però, scosse il capo con aria disgustata e allontanò da sé il diario. «Per favore, dimmi che tutto questo non è stato soltanto uno spreco del mio tempo e della tua aspirina». Wendy non seppe cosa risponderle. «Ehi, adesso c'è troppo silenzio», disse Alex comparendo sulla soglia insieme ad Abby. «Che sta succedendo?» «Non molto», replicò Kayla, alzandosi in piedi e allontanandosi dal tavolo con le mani strette dietro la nuca. «È aperto. È già un progresso», osservò Alex. Dopo che Wendy gli ebbe spiegato i cambiamenti ciclici di quei simboli misteriosi, Alex si lasciò scivolare sulla sedia che Kayla aveva lasciato libera e scrutò attentamente la pagina. «Posso toccarlo?», domandò, e quando Wendy annuì passò alla seconda pagina, cosa che Wendy non aveva provato a fare, poi scosse il capo. «Stesso groviglio di simboli che si avvicendano», disse. Per esserne certo, girò parecchie pagine. «È una codifica di qualche tipo, ma come decifrare
il codice, quando non si ha mai due volte la stessa lettera? A meno che...» «Cosa?» «Vedi di trovare un po' di carta e delle matite e siediti qui accanto a me». «Che cosa hai in mente, Alex?» «Dammi retta. Ci porterà via dieci minuti, al massimo quindici». Wendy andò in cucina a recuperare le cose richieste, una matita e un po' di fogli bianchi per ciascuno di loro, poi si fece spiegare l'idea di Alex e ritenne che valesse la pena di fare un tentativo; a quanto pareva, anche Kayla lo pensò, dato che tornò al tavolo e si mise a guardare da sopra la spalla di Wendy; Abby si soffermò alla destra di Alex, curiosa quanto gli adulti. «Al mio tre, cominciamo», disse Alex. «Uno... due... tre!» Entrambi si misero a scrivere i simboli della prima riga sui rispettivi fogli bianchi, concentrandosi su una lettera per volta. Arrivati in fondo alla prima riga, tornarono all'inizio e ne scrissero la versione modificata. Era una cosa che richiedeva una certa pratica, anche perché alcuni di quei simboli somigliavano a complicati ideogrammi ed erano difficili da disegnare. Una volta che si sentirono tutti abbastanza sciolti nel trascrivere quello strano linguaggio, ripeterono la prima riga venti volte, poi confrontarono attentamente i rispettivi fogli. La prima riga scritta da Wendy era diversa da quella di Alex, e così pure la seconda: nessuna di esse combaciava. La cosa peggiore era però che, sebbene avessero trascritto più volte entrambi la medesima riga, nessuna delle rispettive venti versioni corrispondeva ad alcuna delle altre. «Ecco», sospirò Alex, «è un campione troppo ridotto, ma direi che la successione dei simboli è del tutto casuale. Non vediamo mai lo stesso raggruppamento di lettere, o di simboli, o di quello che sono. Un codice cifrato non può essere tanto casuale, giusto? Voglio dire, forse, se inserissimo questa roba in un computer...» «Un codice cifrato ha una base tecnologica», obiettò Wendy. «Io credo che il solo modo per decifrare questa roba sia attraverso la magia, con un incantesimo di qualche tipo». In quel momento suonò il campanello. «Sei nei guai, signorina», commentò Alex, guardando verso Abby. Lo sceriffo era venuto a prenderla, portandosi dietro un sacchetto con dei vestiti; per nulla contento del fatto che fosse scomparsa per l'ennesima volta, non si lasciò incantare dalla sua eccitazione per essere riuscita a trasformarsi in un falco dalla coda rossa.
«Abby», le sussurrò inginocchiandosi accanto a lei, «devi imparare a essere più responsabile nell'uso di questo tuo talento, altrimenti ne dovremo parlare con la signora Nottingham». «No!», esclamò Abby, quasi strillando. «Lo hai detto a queste persone». «Perché loro sanno di queste cose, non pensano che sia uno scherzo della natura». «Ora la signora Nottingham è tua madre, piccola, e si preoccupa per te. Se continuerai a scomparire in questo modo, dovremo dirle cosa sta succedendo nella tua vita». «D'accordo. Io... ci penserò su». «Lieto di sentirtelo dire. Ora va' a vestirti. Ho bisogno di parlare con Wendy». Poi si rialzò, battendo un colpetto sulla spalla di Abby per incitarla ad andare a cambiarsi, e attese che si richiudesse la porta della camera da letto alle spalle, prima di parlare ancora. «Ecco come stanno le cose: voglio Abby immediatamente fuori di qui. Non deve trovarsi qui, quando...» «Sono d'accordo», lo interruppe prontamente Wendy. «Bene. Dovrei avere le pallottole d'argento per stasera, almeno abbastanza perché ogni uomo abbia un caricatore pieno, e magari anche un mezzo caricatore per la Glock che presterò ad Alex. A cominciare da stasera, ci sarà sempre uno dei miei uomini appostato qui fuori, su una macchina senza contrassegni; inoltre chiederò alla pattuglia in servizio di passare di qui a intervalli regolari. Se decidete di uscire, chiamatemi prima per dire dove andate, poi avvertite anche chi sarà parcheggiato qui fuori. Vi presenterò ciascuno dei miei vice, in modo che li conosciate tutti. Quando il wendigo verrà a cercarti, noi vogliamo poter essere dove sarai tu. Tutto chiaro?» «Tutto chiaro». «Bene», ripeté lo sceriffo. «Avete guardato i notiziari?» Nessuno di loro lo aveva fatto di recente. «Nelle prime ore di questa mattina, la polizia di stato dell'Indiana è stata chiamata a indagare su un camper abbandonato sul bordo della I-69 Sud, vicino al Pokagon State Park. Hanno trovato due corpi, mezzi divorati». «Oh, Dio», mormorò Kayla. «Marito e moglie», continuò Nottingham. «Salvatore ed Eleanor Orsini, in viaggio da Minneapolis a Fort Wayne per il matrimonio della nipote».
«Quando è successo?», chiese Wendy. «L'ora esatta della morte è ignota», disse lo sceriffo. «Dieci, forse dodici ore fa. E questo risponde all'interrogativo sull'intelligenza della creatura». «In che modo?» «Quei due hanno percorso per qualche tempo la I-80. Il wendigo li ha uccisi pochi minuti dopo che hanno imboccato la I-69 Sud». «E allora?», domandò Kayla. «Non capisco». «In qualche modo, lui sa dove sono», replicò Wendy. «La I-80 Est porta più o meno verso Windale, mentre la I-69 Sud si allontana da qui. Il wendigo li ha uccisi per fermarli e trovare un passaggio migliore». «Quanto è lontano da qui quel posto?», chiese Alex. «Circa milletrecento chilometri», rispose lo sceriffo. «Se ha continuato a viaggiare in questa direzione a una velocità media di ottanta chilometri all'ora...» «È a sedici ore da Windale, e da me...», finì Wendy per lui. «Dal momento che gli omicidi nel camper risalgono a dodici ore fa», intervenne Alex, «quella cosa potrebbe trovarsi ormai a quattro ore da qui...» «Ricorda che sono tutte supposizioni», osservò Nottingham. «Il momento della morte è una stima approssimativa, e così pure il tempo che il wendigo può aver impiegato a trovare un altro passaggio. Potrebbe aver avuto degli intralci che l'hanno ritardato... o aver trovato un conducente dal piede pesante, capace di fargli coprire il tragitto in dodici ore. Da questo momento, gente, state in guardia», ammonì, poi attese un lungo momento per dare loro il tempo di assimilare quel pensiero tutt'altro che rassicurante, e aggiunse: «Avete ottenuto qualche risultato con il diario di Wither?» Wendy gli mostrò il testo indecifrabile e mutevole. «Un mucchio di simboli insensati che ruotano in continuazione, ecco cos'è», commentò lo sceriffo, girando avanti e indietro un paio di pagine. «È come un'illusione ottica. Mi ricorda quelle figurine olografiche che Max e Ben collezionano. Le immagini cambiano se le si inclina avanti e indietro». «Un vero peccato che la visione periferica non funzioni sulla carta», osservò Alex. «Cosa?», esclamò Wendy, afferrandolo per un braccio. «Ecco, è una cosa che dovrebbe aiutarti a vedere attraverso le illusioni, giusto? Per rivelare la vera forma del wendigo. Ho pensato che se...» «Sei un genio, Alex!», approvò Wendy. «Forse ci troviamo di fronte a un incantesimo d'illusione che serve a camuffare il contenuto del libro fa-
cendolo apparire un mucchio di simboli insensati. Un codice cifrato magico! Però... c'è un piccolo problema. Non ho ancora imparato a usare la visione periferica». Abby sbucò dalla camera da letto, vestita con un maglione azzurro polvere, jeans e stivali, e tirandosi dietro per il cappuccio un parka rosso. «Sono pronta», annunciò con quell'aria d'importanza sussiegosa che riesce tanto naturale ai bambini. «Sì, dovremmo andare», convenne Nottingham. «Ripasserò dopo che avrò lasciato Abby al sicuro a casa. Prima che me ne vada, però, vi voglio presentare James Kirkbride. Sorveglierà la casa fino alle undici di stanotte, poi lo sostituirà Angelo Antonelli. Gli uomini di turno stazioneranno qui fuori in una macchina senza contrassegni, in modo da non allarmare il vicinato. Cercate una Crown Victoria blu, che si troverà qualche porta più in giù lungo la strada». Premette quindi il pulsante di trasmissione del microfono radio che era appuntato sul giubbotto. «Jimmy», disse. «Entra un momento». Un minuto più tardi il vice Kirkbride era alla porta, intento a battere per terra i piedi per liberare gli stivali dalla neve e a scrollarsi di dosso i fiocchi che si erano posati sulle spalle e sulle braccia della giacca di cuoio marrone con il collo di montone, indossata sopra i pantaloni grigi dell'uniforme. Kirkbride era un uomo massiccio, con corti ricci rossi, la carnagione pallida, occhi grigio-azzurro e un naso aquilino che dominava le guance segnate dall'acne. «Lieto di conoscervi», disse, stringendo la mano a Wendy e poi ad Alex. «Ciao, Jimmy», salutò Kayla in tono familiare. «Se vedi Bobby, digli che sto bene». «Lo farò», promise il vice. «Ti stai tenendo fuori dai guai?» «Più che altro sono i guai che hanno la tendenza a trovare me, Capitano Kirk». «Oh, Kayla, sai che detesto quel soprannome», ridacchiò il vice nel rimettersi il cappello. «Comunque», continuò, rivolto ora di nuovo a Wendy, «avvertitemi immediatamente di qualsiasi cosa sospetta, telefonate strane, rumori sul retro, eccetera. Capito?» «Certo», lo assicurò Wendy, «però questa cre... questo tizio non è uno che va' per il sottile. Quando si farà vedere, se ne accorgerà anche lei». «Lo inchioderemo prima che se ne renda conto», garantì Kirkbride, ammiccando con fare sicuro, poi aggiunse rivolto allo sceriffo: «Siamo in gamba, vero, sceriffo?»
Nottingham lo ringraziò e lo rimandò fuori. «Non ti preoccupare, Wendy», aggiunse prima di andarsene con Abby, «mi accerterò che gli uomini si rendano conto di quanto è in effetti pericolosa la situazione. Hai il mio numero di cellulare: per qualsiasi urgenza, chiamami direttamente. Questo vale anche per qualsiasi cosa di... ehm... natura magica. Se però dovesse esserci una qualche emergenza medica, non perdere tempo e chiama subito il 9-1-1. Quanto a me, potrai sempre avvertirmi in un secondo tempo. È chiaro?» «Grazie, sceriffo, di tutto». «E chiudete a chiave la porta dopo che siamo usciti», concluse Nottingham, guidando fuori Abby. «Ciao, Wendy», salutò la bambina agitando la mano guantata. «Ciao ciao». Wendy chiuse la porta per escludere il freddo e tirò il catenaccio, anche se il battente di metallo non sarebbe servito a molto come protezione contro la furia del wendigo. Era arrivato il momento di fare il punto della situazione. Godeva della protezione della polizia ventiquattro ore su ventiquattro, e più tardi, nel corso della notte, tutta la polizia di Windale, e anche Alex, sarebbero stati armati con proiettili d'argento, il che costituiva un buon inizio. In quanto incaricata di gestire la crisi dal punto di vista magico, però, lei era male equipaggiata per far fronte a quella sfida, perché i fattori ignoti erano troppi. Quali nuovi perfezionamenti apportati alla sfera protettiva avrebbero potuto aiutarla contro il wendigo? Come rientrava la proiezione astrale nella strategia di guerra da adottare? E come, esattamente, si supponeva che lei imparasse a utilizzare la... «La visione periferica. Grazie, Alex». «Forse dovresti aspettare a ringraziarmi», replicò Alex. «La visione periferica potrebbe non funzionare sul libro». «Un'illusione è soltanto questo, un camuffamento magico», spiegò Wendy mentre tornava in cucina, con Kayla e Alex che la seguivano, ascoltandola con attenzione. «Se è un'illusione quella che sta mascherando il testo del libro di Wither, allora la visione periferica dovrebbe essere in grado di neutralizzarla. In ogni caso, questa è la mia teoria, e intendo attenermici», aggiunse con un sorriso. «A meno che non riesca a elaborarne una migliore». «Ma ancora non sai come funzioni la visione periferica», obiettò Kayla. «La Vecchia ha detto che questo talento è più facile da esercitare al limite del proprio campo visivo, che è di per sé un confine fra ciò che l'occhio
umano è o non è in grado di vedere. È una tematica comune. I confini sono luoghi magici speciali, il margine fra il dentro e il fuori, fra oscurità e luce, fra un giorno e il successivo... l'ora delle streghe». Mentre parlava, Wendy girò la sedia di lato in modo da essere di fronte a Kayla e ad Alex e da avere il tavolo alla sua destra, con le pagine del diario impilate accanto al gomito. Continuando a guardare davanti a sé, posò la mano destra sulle pagine e le sospinse verso la parte anteriore del suo campo visivo. Se le spostava troppo in avanti, gli strani simboli si mettevano a fuoco come una serie di combinazioni senza senso che si rinnovavano di continuo, mentre se le lasciava troppo indietro, non riusciva a mettere per niente a fuoco quelle strane lettere massicce. Per qualche tempo continuò a regolare progressivamente la posizione delle pagine, tenendo sempre lo sguardo rivolto davanti a sé. Adesso poteva vedere i fogli alla periferia del proprio campo visivo, ma si trattava di un'immagine sfocata e inutile. Senza muovere la testa, ruotò leggermente gli occhi verso destra, come una lancetta che si sposti dalle dodici alle tre, con il libro nella posizione corrispondente alle tre. Nel tempo che impiegò a regolare la direzione dello sguardo e a modificare la posizione del diario in modo che corrispondesse più o meno alle 2.15, aveva già sviluppato una violenta emicrania; per un momento serrò gli occhi in reazione a quel dolore pulsante, e quando li riaprì sussultò violentemente. «Non me lo dire», commentò Kayla. «Stai vedendo dei fantasmi». «No, intelligentona», ribatté Wendy, poi scoppiò in una risata. Fino a quel momento non era stata sicura di quale fosse la cosa peggiore, se la tensione che regnava nella stanza o la sua emicrania pulsante; se fosse stata costretta a fornire un parere, avrebbe detto che erano alla pari. «Vedo delle parole! Ora riesco a leggere quelle maledette parole!» Capitolo 13 «Avanti», la incitò Kayla. «Dicci cosa c'è scritto». «Dunque...», rispose Wendy, «dice... "Mercoledì, ritirare la roba in lavanderia"». «Adesso chi sta facendo l'intelligentona?» «Scusa, ma non ho saputo resistere», replicò Wendy. «Oh, maledizione... riesco a leggere questa roba, ma farlo mi sta procurando una terribile emicrania». «So riconoscere una richiesta di aspirina, quando la sento», disse Alex
allontanandosi. «Non so quanto a lungo riuscirò a concentrarmi». «Sfoglia più avanti», suggerì Kayla. «Cerca i punti interessanti». «È una cosa bizzarra... in modo affascinante. Ogni simbolo è solo un frammento di una lettera. Prima sembrava che ci fossero venti righe per pagina, mentre se si guarda così, se ne vedono una trentina. I simboli cambiano di continuo, sono quasi liquidi, come onde in uno stagno, ma invece di espandersi in cerchi concentrici, queste onde sono le forme delle lettere, delle parole e delle frasi. L'illusione consiste nel far sembrare statici i simboli. Vedevamo le lettere cambiare ogni volta che le guardavamo, ma era come vedere una serie di fermo immagine dalla pellicola di un film. Con la visione periferica, il proiettore è in funzione, e tutto il movimento ha senso. D'accordo», continuò sfregandosi gli occhi, «basta farfugliare in modo incoerente e andiamo avanti con la lettura». Socchiuse gli occhi nel guardare la pagina. «Sta parlando di alcuni abitanti della città, ci sono le sue impressioni sul loro carattere, chi potrebbe essere pericoloso, chi corruttibile, chi... vulnerabile». Sfogliò alcune pagine. Alex intanto fece ritorno con una confezione di aspirina e un bicchiere di carta pieno d'acqua. Li posò sul tavolo, ma Wendy rifiutò di distogliere lo sguardo dalle pagine, per quanto le tempie e la fronte protestassero per quella decisione. «È tutto qui... come ha arruolato Ezekiel Stone in qualità di suo primo custode, promettendogli dell'oro e una lunga vita, e affidandogli un assortimento di... "oscuri incarichi", per metterne alla prova competenza e fedeltà, e al tempo stesso per indurlo a mettersi contro gli interessi della comunità, degli esseri umani suoi simili». Sfogliò altre pagine, poi: «Ok... qui riferisce di aver cominciato a controllare il proprio corpo alla ricerca dei segni del cambiamento indicanti l'"ascesa della bestia interiore"... e parla della nuova impossibilità di farsi passare per un essere umano». Scosse il capo, poi: «È ossessionata dal bisogno di controllare le vene degli avambracci... "gli avambracci e l'interno delle cosce riveleranno le prime tracce del sangue nero che è dentro di me"». Wendy smise di leggere, consapevole che davanti a lei Kayla si stava arrotolando le maniche fino al gomito. «Per il momento sono a posto», disse. «Sentiti libera di controllare anche l'interno delle cosce», suggerì Alex
con indifferenza. «Ti piacerebbe!» Wendy riprese a voltare le pagine, fermandosi quando notò un nome familiare. «Oh! Qui menziona Sarah Hutchins ed esprime la convinzione che il marito la picchi... Avanti, avanti... Sì, ne ha avuto conferma mediante... "l'altra vista"? Forse sta parlando della proiezione astrale. Sì, e a seguito di una conversazione segreta con Sarah si offre di aiutarla a uccidere il marito in modo che sembri un incidente... Vuole indurla a rivoltarsi contro gli uomini e contro la sua stessa natura... Ok, ok... Menziona il potere della congrega, la forza dei numeri e quella della magia, della corruzione... Salto ancora... Adesso sta parlando di Rebecca e delle sue crisi epilettiche, e di quel magistrato lascivo, Cooke... Aspettate, mi deve essere sfuggito un accenno precedente, ma credo che Wither abbia ammesso di aver ucciso il marito di Rebecca in un crollo avvenuto in chiesa... Lui è rimasto schiacciato, e lei ammette che era questo il suo piano - "in realtà, è stato semplice ottenere che la struttura si deteriorasse proprio dove lui si sarebbe trovato" - parla di voler isolare Rebecca, renderla vulnerabile e disperata a causa delle sue crisi continue». Wendy smise di leggere per aprire il tubetto delle aspirine, e mandò giù un paio di pastiglie con un po' d'acqua. «Non vedo l'ora che facciano effetto», disse, chiudendo gli occhi per un attimo nel tentativo di attenuare il dolore e facilitarne la scomparsa. «Prenditi una pausa», suggerì Alex. «Non ancora», replicò Wendy, continuando a far riposare gli occhi. «Credevo che potesse trattarsi di un libro di incantesimi, fondamentalmente un Libro delle Ombre, ma non sto trovando granché, da questo punto di vista. Più che altro lei visualizzava corruzione, poteva sovvertire la natura, l'ordine naturale delle cose, piegare la natura alla sua volontà. Anche la sua capacità di volare doveva funzionare in quel modo. A quanto pare, ogni tanto aveva bisogno di ricorrere a rituali... ma forse solo per magie particolarmente raffinate». Finalmente riaprì gli occhi, ma poi dovette impiegare parecchi minuti per rimettere a fuoco la visione periferica. Impaziente di vedere lo sviluppo della storia, prese a girare le pagine sempre più in fretta e a saltare i brani più lunghi, pensando che avrebbe potuto rivedere quelle sezioni in seguito. «Ricordo alcune di queste cose dai sogni lucidi, i sogni veri che ho fatto
un paio di anni fa... Wither voleva entrare in letargo prima che la sua mutazione risultasse evidente, e nel commissionare gli omicidi ha commesso abbastanza errori da farsi scoprire. "Ho permesso a questa gente semplice di mente di vedere ciò che perfino uno sciocco avrebbe visto, in modo che fossimo condannate agli occhi della loro giustizia..." A quanto pare, Wither voleva che fossero scoperte, in modo da forzare la mano alle altre due donne e convincerle a entrare a far parte della congrega, mescolando il loro sangue al suo e poi bevendo il proprio sangue nero. "Le due che ho scelto si sono già dannate nel cercare di sopravvivere alla loro situazione. È improbabile che scelgano ora di soccombere, potendo decidere di prosperare e avendo la possibilità di vivere per sempre". Ha promesso loro che i corpi mutati sarebbero sopravvissuti all'impiccagione, e aveva già preso accordi con Ezekiel perché li disseppellisse al momento opportuno. Faceva affidamento sul suo egoismo e sulla sua avidità». Continuò a sfogliare. «Adesso sono nel 1799... si sono svegliate dopo il primo, lungo letargo. Hanno la pelle di cuoio nero, sono alte quasi tre metri e hanno perso la maggior parte dei capelli... cacciano di notte e parlano ancora inglese, fra loro e con Ezekiel. Queste annotazioni sono brevi, sporadiche. Stanno già guardando avanti. Rebecca è turbata per il feto non nato che ha dentro di sé. Wither è convinta che si sia trasformato in tessuto cicatriziale, ma Rebecca insiste che ha una mente, una mente infantile che le parla nel sonno. "Delira di continuo, sta perdendo quel poco cervello che le è rimasto". Rebecca è convinta che se... se consumerà un numero sufficiente di bambini, potrà ridare forma al corpo del suo neonato e finalmente partorirlo. Oh, Dio, è orribile! Salto più avanti, se non vi dispiace! Dunque, qui... Sarah ha sviluppato un interesse morboso per le storie di umani che possono assumere forma di animali, indossandone la pelle o applicandosi degli unguenti. Sta parlando di teriantropia». «Come i mutaforme navajo?», chiese Kayla. «Proprio così», confermò Wendy. «Si trattava di streghe che potevano imitare l'aspetto di diversi animali, lupi, coyote, orsi, pur conservando un'intelligenza umana. Peraltro, le storie relative a creature mannare e a mutaforme sono presenti in numerose culture, in tutto il mondo. Dunque, vediamo... l'eigi einhamir della Svezia e della Norvegia può diventare un lupo se indossa una pelle di lupo, come fa anche l'ulfheobar della Scandinavia, simile al berserker, che diventa un orso se ne indossa la pelle. Poi abbiamo una leggera variazione sul tema: i selkie celtici sono lontre che
diventano umane togliendosi la pelle di lontra, mentre in Groenlandia hanno l'hamrammr, che si può trasformare nell'ultima creatura che ha divorato, quale che sia. Più vicini a casa abbiamo i nuhales del folklore messicano, stregoni che possono assumere la forma di svariati animali, prevalentemente coyotes». Batté un dito sul diario e aggiunse: «Questo potrebbe però essere precedente a tutto quel folklore... o esserne addirittura la fonte! Wither infatti non riporta nessuno di quei termini, e asserisce che l'interesse di Sarah deriva da storie che lei stessa le ha raccontato... e Wither è stata in giro attraverso tutto il mondo, per migliaia di anni». Wendy saltò altre pagine; davanti agli occhi vedeva dei punti neri che stavano cominciando a danzare una vera e propria tarantella. «Ok... qui abbiamo dell'altro riguardo a Sarah e al suo interesse... "le ossa giovani sono ossa che si possono modificare". Oh, merda! Ecco perché ha scelto Abby... Sarah Hutchins si lamenta del fatto che le sue ossa di umana adulta hanno ormai una forma definitiva, che non sarà mai in grado di "correre su quattro zampe o volare con delle ali", nonostante tutti i suoi poteri sinistri. Wither le consiglia di scegliere una bambina per il suo prossimo ciclo vitale, in modo da ereditare ossa che "stanno ancora crescendo e possono ancora apprendere la forma delle bestie". Sarah deve aver trovato un modo per trasferire quella capacità in Abby, e qualche residuo del suo potere è rimasto dentro di lei...» «Dopo quell'incidente di macchina, Abby è rimasta paralizzata per qualche tempo», osservò Alex, «ma intanto le sue ossa hanno cominciato a crescere e a cambiare». «Sarah l'ha preparata in anticipo, prevedendo di vivere dentro di lei il suo nuovo ciclo, senza mai immaginare che le cose sarebbero andate diversamente, che avrebbe fallito e sarebbe morta», replicò Wendy, scorrendo in fretta quella pagina e passando alla successiva. «Rebecca pare incuriosita dai progetti di Sarah... ha dimenticato la sua idea di cercare di partorire, ma sostiene che la sua mente si potrebbe fondere con quella del suo bambino, se scegliesse un neonato per il suo prossimo ciclo vitale. Sentite cosa scrive Wither: "Adesso sta facendo progetti per il suo prossimo ciclo, ma vuole iniziarlo in veste di neonata. È pura follia. Le ho detto che in quel modo sarà impotente quanto il neonato che diventerà, che verrà riconosciuta come un essere diabolico e uccisa prima ancora di essere svezzata"». Passò oltre, poi: «Ah... parla di nuovo di Rebecca, e... ecco qui! "Sarà un neonato che cresce in fretta", e ancora: "Un neonato, all'inizio, ma solo all'inizio". Rebecca diviene reticente a proposito dei suoi progetti, limitan-
dosi a parlare soltanto di una "distorsione del tempo interiore". Wither continua a darle della demente, ma Rebecca insiste nell'affermare che "compattare molti giorni in uno solo trasformerà la neonata in donna con tutta la rapidità necessaria". Wither la provoca, chiedendole chi "tollererà che una simile creatura diabolica continui a vivere, dopo appena un anno di questi giorni compattati", e Rebecca ribatte che una madre proteggerà il bambino finché lei, all'interno di quel bambino, non sarà in grado di proteggersi da sola. Wither ribadisce che "un bambino così anormale verrà abbattuto come un cane rabbioso" e sostiene che Rebecca è una folle a credere il contrario». Wendy gemette e strizzò gli occhi. Alex le suggerì un'altra pausa di riposo, ma lei era determinata continuare a leggere finché le fosse stato umanamente possibile. Ancora non aveva trovato i piani che Wither aveva elaborato per il suo ciclo successivo, piani che avrebbero incluso l'appropriazione del suo corpo. «Ancora un poco», rispose. «Credo si possa supporre senza tema di smentita che Rebecca deve aver trovato il modo di ripiegare il tempo, e aver incluso quella capacità negli stadi preliminari al suo trasferimento nel corpo di Hannah». «Una capacità, oppure un effetto?», si chiese Wendy. «È una cosa che Rebecca aveva intenzione di disattivare, una volta arrivata alla maturità? Se è così, allora forse Hannah potrebbe imparare a neutralizzare il processo, ma... se deve essere lei a bloccare questa crescita accelerata e non riesce a imparare come fare, i suoi giorni continueranno a ripiegarsi e a compattarsi finché lei non invecchierà e...» «Rimanda questa preoccupazione a un altro giorno», suggerì Kayla. «Avrai tempo più tardi per trovare una soluzione. Forse quell'interruttore è nascosto da qualche parte all'interno di questo libro. Un incantesimo per arrestare il processo, o per invertirlo». «Invertirlo potrebbe essere pericoloso», disse Wendy. «A questo punto, sono certa che a Karen basterebbe fermare l'accelerazione». Wendy girò qualche altra pagina. Ormai, era a più di tre quarti del mucchio di fogli. «Si stanno preparando al letargo successivo, quello che le porterà nel 1899. Wither non è riuscita a convincere né Sarah né Rebecca a modificare i piani per il loro prossimo ciclo, piani che, anche ammesso che abbiano successo, non verranno portati a compimento fino al 1999. Adesso sta parlando di se stessa... "E io che farò? Un altro ciclo ancora come l'ultimo, e
quello prima ancora, e quello che lo ha preceduto? Cosa potrei cambiare? Per troppo tempo ho seguito lo stesso schema, con risultati pressoché identici. Deve per forza essere sempre così? Supponiamo che, invece di scegliere una femmina a caso, selezioni una giovane donna dotata lei stessa di qualche potere? Una femmina umana con poteri in sintonia con la natura costituirebbe un contenitore interessante. La mia corruzione sovvertirà il suo potere, votandolo all'oscurità e al caos? Oppure i suoi poteri naturali potenzieranno la mia corruzione, portandola a livelli inimmaginabili? Che prospettive attraenti!"» Wendy trasse un profondo respiro. «Sta parlando di te», sottolineò Kayla, nell'eventualità che Wendy rifiutasse di ammettere la cosa con se stessa. «Ancora non ti conosce», aggiunse Alex. «Non mi sorprende», ribatté Wendy, cupa, «considerato che quando ha scritto queste cose mancavano ancora centottanta anni alla mia nascita». Poi fu assalita da un altro pensiero, e aggiunse: «Lei però parte dalla supposizione che esista qualcuno come me, il che significa che nella sua epoca ci dovevano essere donne in grado di fare quello che faccio io. Non può essersi trattato, da parte sua, di pura e semplice supposizione». «Probabilmente hai ragione. Tuttavia, quelle donne sarebbero morte da tempo, quando lei fosse stata pronta a iniziare il suo nuovo ciclo», obiettò Kayla. «Ma se si aspettava di trovare in circolazione qualcuna come me anche dopo duecento anni, questo vuol dire che anche adesso là fuori ci sono altre donne del genere, spiriti affini». «Può darsi che le altre abbiano un potenziale latente», osservò Alex, «ma è possibile che lei abbia attivato le tue capacità magiche per un suo tornaconto futuro». «Stava facendo frollare la carne», aggiunse Kayla, «solo che voleva divorarti la mente, non il corpo». «Tutto questo mi sta facendo di nuovo sentire strana», disse Wendy reprimendo a stento un brivido. «Andiamo avanti». E riprese a sfogliare le pagine. «Non c'è più molto, prima del risveglio successivo... parla del fatto che gli istinti oscuri stanno avendo il sopravvento, man mano che "la bestia interiore diviene dominante". Dubita di poter continuare ancora per molto questo diario, prima del ciclo successivo. "La bestia dentro di noi è tutta potere, forza e arroganza, ha poca astuzia e ancor meno flessibilità. Il corso che abbiamo scelto ci guiderà, e non ci lasceremo fermare da niente.
La bestia si nutrirà e s'infurierà, ma di rado metterà in discussione ciò che ha scelto in un tempo in cui aveva la mente più lucida"». Wendy girò la pagina, scoprendo che quella successiva era vuota; quella ancora dopo recava scribacchiata solo una data. «Adesso è il 1899», disse agli altri, passando alla pagina successiva che era piena solo per metà di simboli mutevoli, leggibili a malapena, come tracciati da una mano goffa o artritica. «È furente, irritata per la propria incapacità di continuare questo diario. Pensieri disorganizzati, interrotti di continuo da discorsi di nutrimento e da commenti incompleti su quali parti del corpo umano siano... Cristo!... "più dolci al palato"». Voltando in fretta le ultime pagine, si soffermò a leggere ad alta voce poche righe. «"Inutile, inutile! Perché scrivere? Perché? Ho bisogno solo di mangiare... non di scrivere! Le parole si confondono confondono CONFONDONO! fra loro... odio le parole e le mani goffe, mani non umane incapaci di scrivere. Quel che è fatto è fatto! Troveremo quello che cerchiamo. NIENTE PIÙ LIBRO! Niente è cambiato... ma tutto lo è. Noi siamo QUESTO!" È tutto», disse poi, girando l'ultima pagina. «Spero di aver colto le cose importanti. È solo che... c'è molto di più, soprattutto nella sezione del 1699, ma non so quanto ci possa aiutare». «Ho sbagliato a illudermi di trovare una cura», dichiarò Kayla, in tono avvilito. «Non ho ancora finito», la rincuorò Wendy prendendola per mano. «La visione periferica dovrà diventare più facile con la pratica, altrimenti l'avrei definita "visione dell'emicrania devastante"». Se non altro, riuscì a strappare a Kayla un sorriso. «Personalmente», osservò Alex, «credo che Gina abbia commesso un errore nella tua contaminazione». «In che modo?», domandò Kayla incuriosita. «Se ricordi, io ero là», sottolineò Alex, e Kayla annuì, dato che era improbabile che dimenticasse qualcosa di quegli eventi. «Ti ha costretta a bere il suo sangue». «Sì, il mio problema è proprio quello». «Però non ha mescolato il suo sangue con il tuo», continuò Alex. «Quando Wither era in quella cella con Sarah e con Rebeca, quelle due hanno mescolato il loro sangue con il suo, e solo dopo hanno bevuto il sangue nero di Wither. È stato così che sono diventate come lei, sono entrate a far parte della congrega». «Un'osservazione valida», approvò Wendy.
Gina, peraltro, era un'aberrazione - non mi viene in mente un termine migliore - del ciclo riproduttivo di Wither, pensò intanto. Era più un'evoluzione che una continuazione, i poteri e i limiti di Gina sembravano meno ristretti di quelli delle sue precedenti incarnazioni. Comunque fosse, la differenza nel processo di iniziazione di Kayla era qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che poteva spiegare come mai lei conservasse la propria identità malgrado quel saltuario riaffiorare del sangue nero. «Forse, di per sé, bere il suo sangue non è stato sufficiente a contaminarti, soprattutto in considerazione del fatto che lo hai vomitato immediatamente». Kayla annuì con aria speranzosa. «Hai fatto fatica a dissigillare la pietra, e ancora di più ad aprire il libro. Come ho già detto prima, dubito che Wither facesse tutta quella fatica con i suoi chiavistelli e le sue trappole. In questo c'è qualcosa che non funziona come dovrebbe... il che non è una cosa negativa, dal nostro punto di vista». «Quindi non raggiungerò il male assoluto, magari mi fermerò al livello di malvagità di chi gode a strappare le zampe alle mosche». «Dico sul serio», insisté Wendy. «Continua a pensare in positivo. Ne usciremo». Poi si alzò in piedi, e l'emicrania si trasformò in un senso di vertigine che la fece barcollare. Alex la prese fra le braccia, sorreggendola finché non ebbe ritrovato l'equilibrio. «Se non altro, abbiamo trovato la risposta ad alcune domande», continuò Wendy dopo un momento, «però abbiamo avuto anche delle grosse delusioni. Al di là delle limitate informazioni sul rituale del sangue, non c'era niente che avesse a che fare con la maledizione. Non che mi aspettassi qualcosa di specifico, dato che ci è giunta tramite Gina, molto tempo dopo che Wither aveva smesso di trascrivere i propri pensieri sul diario... ma avevo sperato che ci fossero più informazioni sulla sua magia, sugli incantesimi, le pozioni, i poteri di cui disponeva». «Una specie di Libro delle Ombre». «O anche qualcosa di molto meno formale», disse Wendy. «Invece, lei dava per scontata così tanta parte del suo potere». «Non scriveva a beneficio dei posteri», osservò Alex. «Solo per se stessa». «Hai ragione», convenne Wendy. «Credo che tenesse questo diario per ricordare a se stessa... al suo io di un ciclo futuro... ciò che era successo in precedenza a lei e alla sua congrega. Forse, negli stadi più avanzati del ci-
clo, quando diventava completamente un mostro, perdeva i ricordi, e questo diario potrebbe essere stato una sua innovazione, un riepilogo scritto che avrebbe potuto riesaminare per evitare errori e calamità del passato». «Coloro che dimenticano il passato sono condannati a riviverlo», citò Kayla... «Proprio così». «E per qualcuno il cui passato risaliva a parecchie migliaia di anni», aggiunse Alex, «dimenticarlo poteva costituire davvero un bel problema». Decisero poi di dare un'altra occhiata ai notiziari, sperando in qualche aggiornamento sugli omicidi dell'Indiana, ma temendo al tempo stesso di venire a sapere di altre uccisioni verificatesi in zone più vicine. Alex e Wendy presero posto sul divano e Kayla si rilassò sulla sedia di tela gialla, le gambe stese davanti e incrociate all'altezza delle caviglie. Wendy sedeva con gli occhi chiusi e un panno caldo appoggiato sulla fronte, in attesa che l'aspirina compisse la sua magia farmacologica. Voleva familiarizzare con tutto il diario di Wither, e stava pensando che forse la cosa migliore sarebbe stata leggerlo ad alta voce mentre qualcun altro lo trascriveva parola per parola... anzi, sarebbe stato ancora meglio registrare la lettura. Avrebbe potuto trascriverlo in seguito sul computer mediante un programma di audioscrittura per... BBRRREEEEEPP! Il trillo del suo cellulare, che aveva lasciato sul ripiano della cucina, strappò a Wendy un violento sussulto. «Sta' seduta, lo prendo io», disse Kayla, lottando per emergere dalle profondità della sedia di tela, come se fosse impantanata fino alla coscia nelle sabbie mobili. BBRRREEEEEPP! Kayla riuscì a rispondere prima che l'apparecchio emettesse un terzo, snervante squillo. «Solo un momento», disse, mentre portava l'apparecchio a Wendy. «È la professoressa». Wendy aprì gli occhi e si accigliò. «Ciao, Karen. Hannah sta bene?» «Sì, sta bene. È qui con me». «Aspetta un momento!», esclamò Wendy, alzandosi a sedere in posizione più eretta, allarmata. «Dove siete?» «Non ti preoccupare, non siamo a Windale». «Bene. Per un attimo ho creduto...»
«Siamo a Boston». «Cosa? Perché a Boston?» «Hannah era preoccupata. Ha detto che stava arrivando qualcosa di orribile, che doveva aiutarti». «Tienila lontana da qui, Karen». «Lo so, Wendy, credimi», replicò Karen. «Prima di partire, ho dovuto promettere ad Art che sarei rimasta a Boston e che non mi sarei avvicinata più di così a Windale. Il nostro volo è appena atterrato, e pare che abbiamo anticipato di stretta misura una brutta tempesta di neve in arrivo dai Grandi Laghi. In ogni caso, qualora avessi bisogno di contattarci, potrai trovarci al Copley Plaza Hotel. Hai una matita a portata di mano?» Wendy chiese a Kayla di recuperare blocco e penna dal cassetto della cucina, poi scrisse le informazioni che Karen le stava fornendo. «Karen, perché...?», cominciò infine a chiedere. Dall'altro capo del filo ci fu una lunga pausa di silenzio. «L'ultima volta, con Gina Thorne, la vicinanza di Hannah è parsa esserti d'aiuto... giusto?» «Sì, ma...» «E in quell'occasione, Hannah non ha mai corso alcun pericolo effettivo», proseguì Karen. «Se adesso dovesse succederti qualcosa perché io, per egoismo, ho tenuto Hannah troppo lontana... Non pretendo di capire il tuo rapporto con Hannah, è una cosa che mi fa venire l'emicrania ogni volta che provo a pensarci, ma ero là quando quel... quel mostro, Rebecca Cole, ha sfondato il lucernario per entrare nella sala parto. Ho visto che cosa era, e non posso più dubitare dell'esistenza dell'inspiegabile. La mia vita da struzzo è finita il giorno in cui è nata Hannah». «Grazie, Karen, apprezzo l'aiuto... a patto che voi due rimaniate a Boston!», disse Wendy. «Già che ci siamo, ho qualche notizia per te. Anche se è ancora decisamente troppo poco, abbiamo scoperto alcune cose riguardo a Wither e alla sua congrega». Procedette quindi a riferire a Karen una versione abbreviata di come avessero scoperto e decifrato il diario di Wither, spiegandole quello che aveva appreso riguardo ai progetti della congrega e, in particolare, ai piani di Rebecca. «Se non altro, questo spiega perché Hannah sta sperimentando quest'accelerazione della crescita», commentò Karen. «Ora, se soltanto quel libro ci dicesse come arrestarla...» «Ho solo sfogliato rapidamente quel diario», replicò Wendy, augurando-
si di apparire fiduciosa. «Dentro potrebbe esserci la risposta». «In caso contrario, possiamo solo sperare che l'accelerazione cessi quando... quando...» La voce soffocata di Karen si spense nel silenzio, e Wendy ebbe l'impressione di sentirla piangere per un po', prima che recuperasse il controllo quanto bastava ad aggiungere: «È orribile, Wendy... privare una bambina della sua infanzia. Chi può sapere quali effetti a lungo termine questo potrà avere su di lei?» Privare Hannah della sua infanzia non rientrava però che nei piani di Rebecca. Lei aveva avuto intenzione di impadronirsi del corpo della bambina, spegnendo o espellendo la mente e l'identità di Hannah per rimpiazzarla con la propria. Se il suo piano avesse avuto successo, Hannah avrebbe cessato di esistere pochi momenti dopo la sua nascita, anche se adesso questo era, naturalmente, di scarsa consolazione per Karen. Tuttavia, nel pensare ai propri rapporti con la Vecchia, l'immagine dell'io futuro di Hannah, Wendy si sentì incoraggiata. «Qualsiasi cosa succeda, Karen», disse, «so che per Hannah andrà tutto bene». «È una cosa per cui prego tutti i giorni, Wendy». Wendy aveva validi motivi per ritenere che quelle preghiere sarebbero state ascoltate. Prima di chiudere la comunicazione, Karen le chiese di tenerla informata, il che era il minimo che Wendy potesse fare, considerato che Karen, con un preavviso relativamente minimo, era saltata su un volo da San Francisco a Boston per esserle d'aiuto in un momento di crisi. Dopo la telefonata, ripresero a far scorrere i canali alla ricerca di informazioni, intercettando una serie di notiziari dopo l'altra; quando anche l'ultima edizione di Headlines News reiterò per l'ennesima volta i pochi dettagli noti relativi agli omicidi dell'Indiana, insieme a un piccolo riepilogo degli eventi di Fargo e Minneapolis, Kayla sfoggiò un sorriso ottimistico. «Se non altro», commentò, «non ci sono state altre uccisioni». Wendy era però giunta a una conclusione più agghiacciante. «Oppure quella creatura sta diventando più abile a nascondere le proprie tracce», replicò. Bobby McKay non sarebbe smontato dal servizio che alle undici, ma decise di passare comunque dalla casa di Wendy Ward per vedere come stava Kayla, che non gli aveva quasi più parlato, se non per solo pochi monosillabi mentre la stava accompagnando al Crystal Path, da quando lei, Wendy e Alex avevano ritrovato quel vecchio diario.
Probabilmente è ancora arrabbiata con me perché l'ho seguita nel bosco, pensò. D'altro canto non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei, non poteva disattivare la propria preoccupazione come la suoneria di una sveglia, soprattutto alla luce del fatto che lei era parsa temere ciò che poteva esserci in quel diario, una cosa che lo aveva tormentato per tutto il giorno. No, si disse, è cominciato ancora prima, la vigilia di Capodanno, quando ha preso quel coltello e si è ferita al braccio. A dire il vero, non è più stata la stessa dalla prima volta che è andata in quella dannata radura. Come previsto, Jimmy Kirkbride era parcheggiato poche porte più in là rispetto alla casa di Wendy, chiuso nella vecchia Crown Vic blu, con il fumo che usciva a fiotti dal tubo di scappamento del motore in folle. Probabilmente, Jimmy doveva accenderlo per un po' ogni quarto d'ora circa per azionare il riscaldamento. I finestrini erano appannati, il che significava che il vecchio sbrinatore perdeva colpi, e Kirkbride era ricorso al vecchio sistema della manica passata sul vetro per riuscire a vedere attraverso il parabrezza e il finestrino. Dopo aver parcheggiato dietro la macchina priva di contrassegni, si avvicinò e batté contro il finestrino, attendendo che Kirkbride lo abbassasse. «Ehi, Jimmy, come vanno le cose?» «A parte il fatto che mi sto congelando le palle?» «Sì, a parte questo». «Solo pace e fottuta tranquillità», rispose Jimmy. «Non che mi lamenti», aggiunse, poi lanciò un'occhiata all'orologio e osservò: «È presto. Non sei venuto a darmi il cambio, vero?» «Non hai tanta fortuna, amico. Sono passato solo per un minuto». Accennò quindi ad allontanarsi, ma poi si bloccò e chiese: «Lei è ancora dentro, vero?» «L'inimitabile signorina Zanella? Difficile non notarla, con quel suo nuovo look in blu. Sì, socio, è ancora dentro, a meno che non se la sia squagliata dal retro». «Grazie», rispose Bobby. Se lo sceriffo riteneva davvero che la minaccia contro Wendy Ward fosse concreta, allora forse avrebbe dovuto piazzare due agenti a sorvegliare la casa, uno sul davanti e uno sul retro. All'improvviso non si sentì molto entusiasta all'idea che quella notte Kayla rimanesse nel cottage. Suonò al campanello, poi sorrise quando Kayla venne ad aprire la porta. «Salve, agente Affascinante! Cosa posso fare per te?»
«Non staccarmi la testa a morsi è già un buon inizio», rispose Bobby, ricambiando il sorriso. «Lieto di trovarti di umore migliore. Posso sperare in qualche buona notizia?» Kayla lo afferrò per il colletto della giacca e lo tirò dentro; dopo aver richiuso la porta, lo baciò rudemente sulle labbra. «Non era niente di trascendentale», disse. «Baciami di nuovo, e ci metterò più impegno». «Non il bacio, sciocco», precisò Kayla. «Parlavo del diario». «Salve, vice McKay», salutò Wendy dal salotto. «Ehi», aggiunse Alex agitando con disinvoltura una mano. «Siediti qui», disse Kayla, indicando la logora sedia a sdraio vicino alla finestra che affacciava sul davanti della casa, e non appena lui ebbe obbedito gli si piazzò in grembo, passandogli il braccio sinistro intorno al collo. «Mi dispiace di essere stata scostante, prima. Avevo un sacco di cose per la testa». «Ma... adesso la situazione è migliore?» «Io... noi», rispose Kayla indicando verso Wendy e Alex, «abbiamo motivo di sperare. Forse non sarò mai normale come qualsiasi altra ragazza non che ci tenga a esserlo, bada bene - ma è possibile che il peggio sia passato». «Bene, ne sono felice», replicò lui. «È splendido». «Sempre che tu riesca a sopportare il mio livello di stranezza abituale». «Farò del mio meglio. Adesso però c'è un'altra cosa che mi preoccupa». Interrompendosi, si schiarì la gola prima di riprendere in tono più sommesso: «Spero che tu non abbia intenzione di passare di nuovo qui la notte. Lo sceriffo è convinto che la minaccia nei confronti di Wendy sia decisamente concreta». «È l'opinione di tutti noi». «Allora non credi che saresti più al sicuro a casa, o...» «A casa tua?», domandò Kayla con un sorriso. «Ora che mi ci fai pensare, smonto dal servizio alle undici». «E speravi di rimontare subito dopo?» «Che giovane signora pudica». «Sì, sono proprio io», rise Kayla. «In ogni caso... a dire il vero non ci ho ancora pensato». «Il libro ti ha dato le risposte che cercavi?» Kayla annuì con una sfumatura di esitazione, ma pur avendo l'impressione che potesse esserci sotto qualcosa che lei stava tacendo, Bobby evitò
di insistere sull'argomento. «C'è un qualsiasi modo in cui tu possa essere di aiuto qui? A parte...» «A parte fungere da carne da cannone?», completò per lui Kayla, accigliandosi nuovamente. «Non lo so. Se me ne vado, avrò l'impressione di abbandonare...». Avvertendo un movimento alla sua destra, sollevò lo sguardo e vide Wendy che si stava avvicinando. «Wendy?», chiese. «Vice McKay...» «Per favore, chiamami Bobby». «D'accordo, Bobby, dimmi che sei venuto per portare a casa questa signorina». «Ecco, stavo appunto... noi...» «Come hai fatto a...?», cominciò Kayla, fissando Wendy in tralice. «Kayla, non c'è bisogno che resti. Anzi, dovresti proprio andartene». «Ma che accadrà se...» «Ci hai già fornito tutto l'aiuto che potevi dare, portando alla luce quel nascondiglio e il diario rischiando personalmente. Apprezzo tutto quello che hai fatto, ma è più che sufficiente. Va' a casa e riposati un poco. Se dovesse succedere qualcosa, ti chiamerò». «Grazie, ma preferisco rimanere ancora per un po'», ribatté Kayla. «Non mi va di starmene a casa da sola, e Bobby resterà in servizio fino alle undici». Decisero che Kayla sarebbe rimasta da Wendy fino alle undici, quando fosse finito il turno di Bobby... del resto Wendy pensava che fino a mezzanotte non avrebbero dovuto esserci grossi rischi a trovarsi nel cottage. Bobby prese in considerazione l'eventualità di scambiare il turno con il Capitano Kirk, nella Crown Vic, ma poi decise che il tempo sarebbe passato più in fretta se avesse continuato a muoversi pattugliando le strade di Windale, e intanto continuò a ripetersi che quella minaccia, quale che ne fosse la natura, non era rivolta nei confronti di Kayla. Più tardi, dopo che lo sceriffo lo ebbe intercettato all'incrocio fra Main Street e Familiar Way, consegnandogli sei pallottole a punta cava riempite d'argento con cui caricare il revolver d'ordinanza, Bobby cominciò seriamente a chiedersi cosa diavolo stesse succedendo a Windale. Come promesso, lo sceriffo torno al cottage per consegnare ad Alex la Glock 23 automatica, approfittandone anche per informarlo che le modifiche al bastone-spada non erano ancora state ultimate, ma che l'arma sarebbe stata pronta presto; poi si accertò che Alex sapesse come maneggiare
una pistola. «Non ho potuto procurarti un intero caricatore. Hai soltanto sei pallottole con la punta d'argento, ciascuna delle quali dovrebbe essere sufficiente ad abbattere un uomo di taglia media», spiegò. «Purtroppo, se Wendy ha ragione - e ho il sospetto che sia così - abbiamo a che fare con qualcosa che non somiglia neppure lontanamente a un uomo di taglia media. Una pallottola è già in canna. Speriamo che l'argento abbia dal punto di vista soprannaturale quell'effetto letale che manca alle pallottole normali. Non hai ancora trovato un tallone d'Achille in quel demone?», chiese quindi, rivolto a Wendy. «No, però abbiamo aperto il diario, che spiega in maniera indiretta perché Sarah abbia scelto Abby». E procedette a spiegare il desiderio di Sarah di cominciare il ciclo di vita successivo in un corpo ancora immaturo e quindi dotato di uno scheletro ancora in via di sviluppo, in modo da poter perseguire il proprio obiettivo come mutaforma. «Abby ha avuto la sfortuna di essere la bambina che viveva più vicina al covo delle streghe», aggiunse Kayla. «Una vera jella», convenne lo sceriffo. «Sarah però non ha mai finito di trasferire la propria consapevolezza nel corpo di Abby, quindi perché si ritrova questa capacità di cambiare forma?» «Ci ho riflettuto sopra», rispose Wendy. «La mia teoria è che Sarah abbia dovuto usare la magia inerente al corpo che aveva in quel momento, per poter dotare le ossa di Abby della capacità di assumere forme diverse. Forse il trasferimento della consapevolezza doveva essere l'ultimo atto del ciclo vitale del vecchio corpo. Pare infatti che Rebecca abbia preparato nello stesso modo il corpo di Hannah. In entrambi i casi, le streghe - oh, quanto detesto usare questo termine in riferimento a quelle creature demoniache - in entrambi i casi, sono state uccise prima che potessero trasferire la loro... essenza nei corpi che avevano preparato». «Sia ringraziato Dio per i piccoli favori», commentò lo sceriffo. «Tuttavia, quei cambiamenti magici preparatori sono rimasti all'interno di Hannah e di Abby». «Questo significa...» Lo sceriffo s'interruppe e si fece visibilmente forza, poi chiese: «C'è qualche possibilità che Abby diventi come Sarah?» «Il corpo e la forza vitale di Sarah sono stati distrutti. Non vedo nulla che indichi la possibilità che Abby diventi come lei. Naturalmente, a causa di quello che le è successo, lei è unica... ecco, è decisamente fuori dal co-
mune... per via della sua capacità di mutare forma». «Quindi per lei la peggiore delle ipotesi è quella di dover accettare la sua natura mutaforme e di dover imparare a convivere col suo corpo... o forse dovrei dire corpi». «Tre, al conteggio attuale. E direi che si sta adeguando decisamente bene». «Tre sono più che sufficienti», commentò lo sceriffo, scuotendo il capo con fare meravigliato. «Attualmente, ciascuno dei miei vice, incluso Jimmy, qui fuori, ha pallottole d'argento per la sua pistola, come le ha anche Alex. Spero di poter fare affidamento su un comportamento responsabile da parte tua nell'uso di quell'arma, Alex». «Le pistole mi terrorizzano», dichiarò il ragazzo tenendo l'arma nera di piatto sul palmo della mano. «È già un buon inizio», approvò lo sceriffo. «Vuoi un consiglio? Rispetta quel dannato arnese, altrimenti potresti non vivere abbastanza a lungo da pentirti di non averlo fatto. Ricorda che rappresenti l'ultima linea di difesa, e rimani qui, qualsiasi cosa succeda. Lascia che siano i miei uomini ad affrontare la situazione. Questa notte, per lo meno, dovrebbe essere lunga e tranquilla, forse la nostra ultima notte di calma prima che si scateni l'inferno. Oltre all'agente parcheggiato là fuori, aspettatevi di veder passare lungo la strada a intervalli regolari la mia macchina, o un'altra autopattuglia». Durante la breve visita dello sceriffo, all'esterno del cottage la temperatura era calata di parecchi gradi, e gli sporadici fiocchi di neve si erano trasformati in una vera e propria bufera; adesso grossi fiocchi punteggiavano il vialetto spalato, adagiandosi sul cofano e sul parabrezza delle macchine parcheggiate lungo la strada. Sollevato il collo coperto di pelliccia, Nottingham si alitò sulle mani per scaldarle; il singolo lampione in fondo a quella strada senza uscita non sembrava più in grado di tenere a bada l'oscurità, e chiunque avesse avuto un po' di buon senso era già trincerato in casa per la notte. Nel passare in macchina accanto alla vecchia Crown Vic, lo sceriffo rivolse un cenno di saluto in direzione della pallida faccia di Jimmy, incorniciata nell'unica zona non appannata del parabrezza. Una notte orribile per fare servizio di sorveglianza, pensò mentre Jimmy rispondeva al suo saluto. Speriamo solo che sia anche tranquilla. Jimmy Kirkbride controllò per la centesima volta l'orologio, constatando che mancavano ancora quindici minuti prima che venissero a dargli il
cambio... un tempo interminabile. Il freddo pareva filtrargli nelle ossa e prendervi dimora permanente; che dipendesse dalla struttura dinoccolata, dal metabolismo o dall'insufficiente pannicolo adiposo, una volta che cominciava a sentire freddo non riusciva a liberarsene se non trasferendosi al chiuso, al riparo dagli elementi; quella notte, invece, doveva accontentarsi di far funzionare a intervalli il riscaldamento della macchina, per innalzare la temperatura interna. Con il passare delle ore, tuttavia, era costretto a mantenere il motore in funzione sempre più a lungo, e gli pareva che il freddo tornasse a farsi maledettamente pungente trenta secondi dopo che lo aveva spento. Già una mezza dozzina di volte era stato tentato di bussare alla porta del cottage, per chiedere una cioccolata calda o un caffè, ma si era trattenuto dal farlo al pensiero che la cosa sarebbe apparsa poco professionale. Certo, non gli farebbe male portarmi fuori qualcosa, pensò. Probabilmente, però, erano convinti che lui si fosse rifornito di tutto il caffè, le ciambelle e il cibo take-away di cui un poliziotto potesse aver bisogno per una serata di sorveglianza all'aperto. In ogni caso, il suo turno era quasi finito, e non si era ancora vista traccia del ladro, guardone, aggressore o cos'altro fosse ciò per cui lo sceriffo era così visibilmente preoccupato. Pallottole speciali? pensò. D'accordo, è possibile che un tizio imbottito di droga sintetica possa costituire un notevole problema dal punto di vista del «fanculo, io non sento il dolore», ma... pallottole con la punta d'argento? Andiamo! Cosa diavolo dobbiamo aspettarci, in nome di Dio, Dracula o l'Uomo Lupo? A volte, mi chiedo proprio cosa passi per la testa di quell'uomo... Per la duecentesima volta si sfregò le mani davanti alla ventola per cercare di scaldarle. Questa città delle streghe ha davvero un che di strano, si disse, mentre controllava l'ora per l'ennesima volta. Ancora dieci minuti di questa stronzata e avrò finito... Qualcuno bussò con le nocche contro il finestrino. Auto Club è in anticipo, fu il suo primo pensiero mentre abbassava il cristallo appannato, ma poi vide che non si trattava di Angelo Antonelli. «Salve, sceriffo. Dimenticato qualcosa?», chiese. Sotto la tesa scura del cappello, Nottingham lo fissò con occhio vacuo, senza rispondere. Perché è a piedi? Se n'è andato un momento fa con la sua macchina, e... Nel formulare quel pensiero, il vice notò che gli occhi dello sceriffo sembravano come morti, e si chiese se non si sentisse male.
«Signore, sta bene?», domandò. Più che gli occhi, tutta la faccia sembrava... sbagliata, come una brutta copia. «Ce qualcosa...?» Il resto della domanda si bloccò nella gola di Jimmy Kirkbride, perché un braccio era scattato attraverso il finestrino aperto e una mano gli era affondata nella gola, lacerandogli la carne. Mentre la vista gli si offuscava rapidamente, Jimmy comprese che la vaga simulazione dei pallidi lineamenti dello sceriffo, insieme al cappello e alla giacca, era una specie di strano travestimento del cazzo da parte di qualcuno, o di qualcosa, dotato di forza innaturale. Con dita deboli e tremanti, cercò di raggiungere la .357 Magnum che aveva nella fondina, caricata con le pallottole dalla punta d'argento. Ma che cazzo è questa cosa? si chiese, mentre gli veniva squarciata la gola. «Era mia madre», annunciò Kayla posando il cordless. «Ha la macchina dal meccanico, e ha bisogno di un passaggio fino a casa perché sta nevicando fitto». «Allora farai meglio a muoverti», la esortò Wendy. «La tua Neon non è precisamente un fuoristrada. A pensarci bene, forse è meglio che prendi la Pathfinder». «No, grazie. Potreste averne bisogno, e poi lo Stewpot non è lontano». «Sta attenta», raccomandò Wendy, «e chiamami appena sarai al sicuro a casa». «Lo farò», promise Kayla infilandosi la giacca. «Abbiate cura di voi, ragazzi, e chiamatemi, se avete bisogno di qualcosa». Esitò, poi aggiunse con un sospiro: «Ho l'impressione di abban...» «Non ci stai abbandonando! Stai andando a soccorrere tua madre. Adesso va', prima che là fuori la situazione peggiori». «D'accordo, d'accordo. Se Bobby dovesse chiamare, ditegli che sto andando allo Stewpot, e poi a casa». «Lo manderemo da te». «Splendido. Grazie». Mentre sgusciava fuori dalla porta, con Wendy pronta a richiuderla a chiave alle sue spalle, sentì Alex chiedere se poteva passare per un po' sui canali ESPN. Wendy scoppiò a ridere, ma Kayla non se la sentì di biasimarlo troppo, perché la costante raffica di notiziari stava diventando soffocante. Una volta fuori, Kayla comprese la preoccupazione di sua madre nel ve-
dere l'incombente cappa di nuvole basse e la vertiginosa abbondanza di fiocchi di neve che intasava l'aria e che si era già accumulata in uno strato di almeno due centimetri sul marciapiede, precedentemente sgombro. La sua macchina era un grosso cumulo bianco, in cui la sola cosa visibile erano alcune sezioni degli pneumatici scuri. Armeggiando, riuscì a fatica a inserire la chiave nella serratura nascosta dalla neve, recuperò il raschietto per il ghiaccio e se ne servì per liberare i finestrini e i fari; quando ebbe finito e poté finalmente salire in macchina, nel chiudere la portiera sì trovò a guardare in direzione di Jimmy Kirkbride, che sedeva dentro la sua auto priva di contrassegni, e notò che il finestrino dal lato del guidatore era abbassato e lasciava esposti il volto pallido e i capelli rossi. È strano, pensò. Mi sta fissando come un pazzo. Probabilmente è intorpidito dal freddo, e tuttavia... Allungò la mano verso la maniglia della portiera, accarezzando per un momento l'idea di attraversare la strada e di dirgliene quattro. Possibile che fosse davvero seccato fino a quel punto perché lo aveva chiamato con il suo soprannome? La tempesta di neve stava però peggiorando, e si rese conto che doveva spicciarsi a raggiungere lo Stewpot, anche perché se avesse aspettato ancora un paio di minuti avrebbe dovuto pulire di nuovo i finestrini. «Al diavolo», si disse, e avviò la macchina, accennando un poco sentito cenno di saluto mentre passava accanto all'auto parcheggiata, accigliandosi ulteriormente quando Jimmy non ricambiò il gesto. Accidenti, sei proprio deciso a tenerti il tuo stupido risentimento, vero? si disse, ma qualcos'altro, a parte quello sguardo vacuo, ebbe l'effetto di lasciarla turbata. Solo molto più tardi si sarebbe resa conto che non aveva visto la condensa del respiro davanti alla faccia di Jimmy, come sarebbe stato normale se lui avesse respirato, qualora fosse stato caldo... o umano. La creatura non si è mai sentita tanto potente. O tanto confusa. Camuffata con l'aspetto della sua vittima più recente, siede al posto dell'umano sul sedile davanti del veicolo rombante, stupita da ciò a cui ha assistito e da quanto continua ad avvertire. Senza perdere tempo a nutrirsi del cadavere che già si sta raffreddando, ha infilato l'uomo morto sotto il veicolo, dove è nascosto alla vista, il sangue già quasi coperto dalla neve che continua a cadere. Anche se ha una fame considerevole, perché dopo aver visto le immagini che si muovevano nella scatola magica si è nutrita soltanto una volta, adesso la sua attenzione è concentrata su quello che deve fa-
re per recuperare la libertà. Da quando è entrata in questa città silenziosa e insignificante, il suo potere sul gelo e sulla tempesta si è centuplicato, e si sta chiedendo se questo aumento di potere derivi dal luogo in sé, che percepisce come il punto d'origine della magia oscura che l'ha condotta fino alla preda speciale, o se quell'inebriante abbondanza scaturisca proprio dalla specialità della preda. Più probabilmente è un effetto finale della magia oscura, inteso a garantire che la creatura riesca a uccidere la ragazza; se le cose stanno così, la creatura perderà quel potere aggiuntivo non appena lei sarà morta... e tuttavia in cambio sarà di nuovo libera. Per adesso, assapora il potere che le scorre nelle vene, e si chiede fino a che punto quel tenero boccone potrà costituire una minaccia. Il sentiero lucente fra il bianco e l'azzurro scompare attraverso il muro più vicino della piccola casa bianca. Ora che è a così poca distanza dalla preda, il sentiero si è fatto spesso come una grossa fune, pulsante e vibrante di energia. Se rimane immobile abbastanza a lungo, la creatura può avvertire il battito del cuore della sua preda, può sentire il ritmo di ogni respiro. È così vicina... ma che dire dell'altra ragazza, quella con gli strani capelli blu, che si è girata a fissarla dal piccolo veicolo? Quella ragazza si lascia dietro un filamento nero, un sentiero che si estende da dove lei è andata, ovunque sia, per avvilupparsi intorno al cordone pulsante azzurro e bianco che la creatura ha davanti agli occhi. Istintivamente sa che le due donne sono collegate, e che quella con i capelli blu è in qualche modo responsabile di tutto. È stata lei a eseguire l'oscura magia che ha svegliato la creatura dal suo letargo e l'ha guidata lungo quel sentiero di distruzione. È per questo che sta fuggendo, perché sa che la fine dell'altra è vicina? Forse, dopo aver abbattuto la preda speciale, dovrebbe provare a seguire il filo nero, per avere delle risposte. Finché quel filo nero scorrerà dalla ragazza ai suoi occhi, la creatura saprà dove trovarla. Prima, però, deve reclamare la propria libertà. Scende dal veicolo rombante, sbatte la portiera e si avvia a lunghi passi decisi verso la piccola casa. Un singolo pensiero pervaso di un'ondata di energia basta a far sì che il gelo l'avviluppi come un mantello fatto di ghiaccio, di vento gelido e di neve. «L'emicrania va un po' meglio», affermò Wendy poco tempo dopo che Kayla se ne fu andata. «Ti dispiace se riprendo a lavorare alla proiezione astrale? Devo esercitarmi a rendere realistici i movimenti del corpo».
«Certo. Puoi venire qui vicino e tenermi compagnia dal piano astrale?» «Non potrò farti le coccole». Alex arricciò le labbra, come se non avesse considerato quel problema logistico. «Allora siediti sulla sedia gialla, e fai finta di essere infuriata con me», suggerì. «Se fossi infuriata con te, saresti tu a sedere sulla sedia gialla», ribatté Wendy. Mentre si stava avviando lungo il corridoio, qualcuno bussò alla porta, tre colpi decisi. «Alex, puoi andare tu a vedere chi è?» Wendy...! «Chi... è?», domandò Wendy, bloccandosi dove si trovava. Wendy, io... Una voce nella sua mente. Era la Vecchia? Ma come mai non si era manifestata, se Hannah era tanto vicina, a Boston? A meno che... Il respiro le si stava addensando davanti alla faccia. «È il vice Kirkbride», disse Alex. «Probabilmente è venuto ad avvertirci del cambio di turno». ... illusione! Interferenza del punto fermo nella linea temporale! Wendy intanto stava già tornando verso il salotto. «Chiedigli il suo soprannome!» «Cosa?» «Chiedigli... NO! Non lasciarlo entrare!» Ma era troppo tardi. Alex aveva già tirato indietro il catenaccio e cominciato a ruotare la maniglia. La porta parve quasi esplodere verso l'interno, investendolo con tanta forza da farlo barcollare all'indietro, poi il vice Kirkbride avanzò nella stanza di due grandi passi e il suo sguardo si spostò di scatto su Wendy, quasi fosse stato attratto verso di lei magneticamente. «TU!», sibilò una voce cavernosa. Strano, pensò Wendy, ha i contorni indistinti, quasi lanuginosi! Poi girò appena la testa da un lato, quanto bastava per mettere a fuoco la visione periferica... e scorse l'altra immagine, i veri contorni, simili a una sagoma tridimensionale che era di quasi trenta centimetri più alta di Kirkbride e più larga di lui. È lanuginoso perché è coperto di pelo! realizzò d'un tratto, e il suo pensiero successivo fu permeato di cupa inevitabilità: è il wendigo! Ma è
troppo presto! Non sono pronta! Alex intanto si lanciò in avanti nel tentativo di afferrare quell'uomo-chenon-era-un-uomo, ma un potente manrovescio lo fece barcollare e, arretrando per evitare di cadere, andò a sbattere contro il muretto di divisione. Wendy sentì un tonfo forte e sordo, ma non poté permettersi di lanciare un'occhiata per determinarne la causa. Ignorando Alex, che non costituiva più un ostacolo, il wendigo stava infatti concentrando tutta la sua attenzione su di lei, e le braccia possenti si erano sollevate a formare la strana sagoma rivelata dalla visione periferica. Adesso Wendy poteva quasi guardare direttamente la creatura, continuando a scorgere i nudi contorni degli artigli affilati che avrebbero potuto sventrarla o aprirle la gola con un solo colpo. Portò la mano al pendente di cristallo che aveva al collo... «Wendy! Giù!» Dopo che lo sceriffo se ne era andato, Alex aveva posato la Glock sul muretto, in modo da poterla facilmente raggiungere dal divano, e quando era andato a sbattere contro il muretto, l'arma doveva essere caduta sul pavimento, ai suoi piedi. Wendy si acquattò al suolo... La bocca del wendigo... che continuava stranamente a ricordare quella del vice Kirkbride... si allargò in maniera impossibile rivelando denti affilati, e la creatura emise uno stridio orrendo. La mano sinistra di Wendy, ancora stretta intorno al pendente, prese a tremare in reazione. Concentrati! ingiunse a se stessa. BLAM! In quello spazio ristretto, il rombo della Glock risultò assordante, come lo fu anche il ruggito furente del wendigo che fece seguito allo sparo. In quell'istante l'illusione del wendigo si dissolse, come un'immagine riflessa su uno specchio d'acqua immota che venisse cancellata dal cadere di un ciottolo. La sagoma spropositata tremò e si trasformò nell'aspetto effettivo della creatura, che era alta almeno due metri, dotata di muscoli massicci e coperta da un folto pelo arruffato, bianco sulla testa e sul torso, striato di nero lungo gli arti. Gli scintillanti occhi gialli erano impressionanti, ma non abbastanza da distogliere l'attenzione di Wendy dalle fauci irte di zanne aguzze e dai neri artigli sussultanti. Per una frazione di secondo, quell'immagine le s'incise con assoluta chiarezza nella mente, come una foto digitale raffigurante la pura essenza del male.
Intanto il wendigo si girò di scatto per fronteggiare Alex, mentre un fiotto di sangue giallo come il pus gli scaturiva dalla spalla ferita e andava a macchiare il muro sopra la testa di Wendy; anche se ribolliva e sfrigolava, la ferita pareva essere troppo alta perché la pallottola potesse aver perforato un polmone, a meno che non si fosse frammentata, o che l'argento... Con un altro stridio, la creatura si scagliò contro Alex. Lo scorrere del tempo parve rallentare fin quasi ad arrestarsi, assumendo il ritmo scandito e inevitabile del fato. Tutto pareva di colpo troppo luminoso e nitido. Alex puntò la pistola contro il wendigo, la mano destra sorretta dalla sinistra secondo la posizione di sparo che si era esercitato ad assumere con lo sceriffo Nottingham. Nel corso dell'esercitazione, però, le mani non gli avevano tremato come stavano facendo adesso: non riusciva a far fuoco... sembrava pietrificato dal terrore! Serrando il pendente nella mano sinistra, Wendy si lanciò lungo il corridoio. Angelo Antonelli aveva sottovalutato l'intensità della tempesta di neve, e appena cinque minuti dopo aver lasciato la centrale si rese conto che sarebbe arrivato a dare il cambio a Kirkbride in ritardo. Come sua moglie Carla era sempre pronta a dire a tutti, però, lui aveva una vena di ottimismo larga un paio di chilometri, anche quattro alla domenica, dopo che la famiglia al completo era andata alla Messa del primo mattino, al Santo Redentore. La sua chiesa aveva subito una serie di rovesci... la perdita del campanile nel 1999, seguita nel 2000 dalla scomparsa del suo capo spirituale, padre Murray, ma era sempre riuscita a riprendersi dalle avversità. Il credo di Angelo era che, se non si riusciva in qualcosa al primo tentativo, era solo perché non ci si era impegnati abbastanza. Di conseguenza, continuò ad alimentare la tenue speranza di arrivare in tempo a Kettle Court, anche senza le catene agli pneumatici della sua autopattuglia; quando poi anche un ottimista nato come lui dovette accettare l'evidenza di alcuni inevitabili minuti di ritardo, Angelo contattò via radio Jimmy per fargli le sue scuse, ma non ottenne alcuna risposta. Quando svolto il Kettle Court, con la bufera che infuriava al massimo, riuscì a individuare la Crown Vic perché era la sola macchina dell'isolato a non essere sepolta sotto cumuli bianchi. Il calore del motore sta sciogliendo la neve, pensò. Per essere una macchina che non avrebbe dovuto dare nell'occhio, la
Crown Vic spiccava come un papavero tra le margherite, e anche se non poteva negare che il suo collega avesse il diritto di non ritrovarsi con i geloni al posteriore, Angelo sentì il proprio istinto di poliziotto che si destava, dicendogli che c'era qualcosa che non andava. Nell'avvicinarsi al retro dell'auto, notò poi che il finestrino dal lato di guida era abbassato e che il vento stava spingendo la neve all'interno della macchina. Senza preoccuparsi di parcheggiare, Angelo lasciò l'autopattuglia in doppia fila, aprì a fatica la portiera a causa del vento violento e della neve vorticante, e affrontò la notte ostile con una torcia nella sinistra e la pistola nella destra. Per prima cosa diresse il raggio della torcia sul sedile anteriore della macchina: era tutto bagnato, a causa della neve sciolta e... c'era del sangue! A bordo non c'era nessuno, né davanti né sul retro, dietro la partizione. Perfino un ottimista come lui cominciò a preoccuparsi e a rimpiangere di non aver già chiamato rinforzi. Mentre si prendeva mentalmente a calci per aver riposto le pallottole speciali nella tasca della giacca, invece di caricarle subito nella pistola, diresse il raggio della torcia sulle impronte che si andavano già ricoprendo di neve e che portavano alla casa sotto sorveglianza, ma così facendo illuminò anche una zona di neve smossa lungo il lato della macchina. Piegato a terra un ginocchio, provò a guardare sotto la Crown Vic... e si trovò a fissare il volto pallido e ghiacciato di Jimmy Kirkbride, gli occhi fissi e inerti. La gola di Kirkbride era un ammasso di carne insanguinata, squarciata a tal punto che era possibile vedere il bianco della spina dorsale esposta. Dalla casa giunsero delle grida... BLAM! Angelo scattò in piedi e si precipitò verso la porta, afferrando al tempo stesso il microfono della radio e premendo il pulsante di trasmissione. Bobby McKay decise di modificare i propri piani. All'inizio aveva pensato di lasciare la macchina di pattuglia alla centrale, smontare dal servizio, mettere le catene alla Mustang GT e passare dal cottage di Wendy per prelevare Kayla, questo naturalmente a meno che lei avesse preferito portare la Neon a casa propria o almeno guidarla fino a casa di Bobby e poi lasciarla lì. Quando però la tempesta andò aumentando d'intensità, ritenne che la linea d'azione più prudente fosse quella di andare a prendere Kayla con la macchina di pattuglia e portarla con sé in centrale; del resto, era im-
probabile che lei decidesse di guidare la sua macchina sotto quella straordinaria bufera di neve, con la visibilità quasi a zero. Bobby aveva però un altro motivo per varare il piano B: voleva che Kayla lasciasse quella casa, ma se avesse permesso che lei restasse là ancora a lungo, probabilmente la nevicata l'avrebbe indotta a pernottare da Wendy per la seconda notte di fila. In qualsiasi altro momento non sarebbe stato un problema; del resto, quando ci si trovava davanti a quella che prometteva di essere la madre di tutte le bufere di neve, la cosa più saggia da fare era restare in casa. Tuttavia, quella era una regola a cui era decisamente il caso di fare eccezione se la casa in questione costituiva il bersaglio primario di un demone invernale lanciato all'attacco. Prima sarà fuori di li, e meglio sarà, si disse. Quando infine svoltò in Kettle Court, era stato ormai costretto a settare i tergicristalli alla velocità massima, e il loro frenetico oscillare - KATHRUMP! KA-THRUMP! KA-THRUMP! - gli procurava preoccupanti immagini stroboscopiche della scena in fondo alla strada senza uscita. S'incurvò in avanti sul volante, concentrandosi sulla guida. Con un ginocchio piegato a terra, Angelo guardò sotto la macchina priva di contrassegni. Ciò che vide, qualsiasi cosa fosse, dovette preoccuparlo, perché l'istante successivo balzò in piedi e spiccò la corsa verso la casa; contemporaneamente, dalla radio di Bobby giunse una scarica di energia statica, seguita dal suono di una voce frenetica: «...333 Kettle Court! Sparatoria in corso! Agente a terra! Agente richiede assistenza!» Bobby attivò la sirena e le luci, diede un lieve colpo all'acceleratore e portò la macchina ad arrestarsi con una scivolata accanto a quella di Antonelli, in modo da bloccare completamente l'estremità della strada. In quel momento, Antonelli raggiunse la porta del cottage. Bobby si lanciò giù dalla macchina, in preda a un turbinio di pensieri e di emozioni dettati dalla preoccupazione. Oh, Dio... Kayla! Maledizione! Avrei dovuto portarla fuori di lì quando ne ho avuto la possibilità! BLAM! BLAM! Dall'interno della casa giunse uno schianto fragoroso. Si diceva che l'urlo del wendigo fosse in grado di paralizzare le sue vittime, bloccandole dove si trovavano; a meno di tre passi di distanza da A-
lex, la creatura lanciò il suo urlo agghiacciante. Alex sentì la pistola tremargli fra le mani e sgranò gli occhi inebetito dallo shock. Il cuore di Wendy parve rallentare fin quasi ad arrestarsi mentre registrava ogni orribile particolare della scena che aveva davanti, chiedendosi se Alex avrebbe avuto abbastanza presenza di spirito da riuscire a sparare un altro colpo, e se questo sarebbe servito a rallentare la carica della creatura. Stringendo il pendente nella sinistra, innalzò una sfera protettiva, per creare la quale le fu sufficiente un istante di concentrazione: come sempre, a una crisi imminente corrispondeva una focalizzazione istantanea. Peraltro, avvolgersi in una bolla protettiva non avrebbe aiutato Alex. Doveva escogitare qualcosa subito... e non c'era tempo per evocare sfere di fuoco! BLAM! Alex aveva sparato! Nel rendersene conto, Wendy avvertì un senso di trionfo che però svanì immediatamente, quando un pezzo di intonaco esplose in alto alla sua sinistra. Il colpo era andato a vuoto! BLAM! Il wendigo sussultò, barcollando all'indietro, ma il proiettile lo aveva raggiunto solo di striscio, e fu invece lo schermo di Wendy ad assorbire l'impatto della pallottola modificata: la sfera protettiva emise un bagliore e uno stridio, poi il proiettile rimbalzò via e andò a schiantarsi contro qualcosa in cucina, fracassandola. Wendy ricorse allora a quel trucco con la sfera che aveva imparato nel corso della sua battaglia contro Gina Thorne. Dall'esterno la sfera era una bolla impenetrabile, come un vetro a prova di proiettile, ma dall'interno era in grado di modellarla. Aveva già avuto occasione di utilizzare una porzione della sfera come arma d'offesa, trasformando ciò che aveva visualizzato in uno pseudopodo di energia simile a quello di un'ameba. Visualizzare di nuovo una propaggine del genere era facile... ecco fatto! E adesso? si chiese, e subito trovò la risposta: Devo creare un'arma migliore... in fretta! Ma certo! In fretta! Devo farla ruotare! Muovendosi rapida all'interno della sfera, immaginò che questa prendesse a ruotare, rapida e indistinta quanto la lama di una sega circolare, girando sul suo asse verticale mentre lei avanzava. La sfera aveva però una sporgenza... adesso erano due, una per lato, per conferire equilibrio, mentre proseguiva a modellare la sua arma con la velocità del pensiero.
Se il wendigo si fosse lanciato alla carica verso Alex, gettandolo a terra o sbattendolo contro il muro, Wendy sarebbe arrivata troppo tardi; invece, la creatura si fermò davanti a lui e gli colpì con violenza la mano che stringeva la pistola, mandando la Glock a scivolare lontano lungo il pavimento; poi levò gli artigli dell'altra mano con l'intento di sferrare il colpo di grazia. In quel momento la sfera rotante di Wendy entrò in collisione con il demone: la prima delle due sporgenze fatte di energia andò a sbattere contro la creatura e la scaraventò contro la parete; Alex si addossò al muretto per scansare il wendigo, quando lo sfiorò barcollando. Wendy non aveva però calcolato il rinculo. Nel momento in cui colpì il demone, la sfera protettiva si arrestò violentemente, e dato che non aveva visualizzato una rotazione in senso antiorario, Wendy si trovò ad essere catapultata all'indietro, andando a rimbalzare conto la parete esterna della cucina per poi finire contro il piccolo tavolo di pino, rovesciandolo e sparpagliando sul pavimento i fogli sciolti del diario di Wither. La sfera l'aveva protetta, ma l'impatto violento la lasciò stordita e infranse la concentrazione; incapace di rimanere focalizzata, liberò involontariamente le energie che formavano la sfera. Stordita, si stava sollevando sulle mani e sulle ginocchia quando un agente di polizia di bassa statura e dalla pelle olivastra... Angelo qualcosa... fece irruzione dalla porta con la pistola spianata. Insieme a lui entrò in casa un torrente di neve vorticante, sospinto da un vento gelido che fece svolazzare intorno a Wendy le pagine fragili e ingiallite come fossero farfalle impazzite. L'agente Angelo abbracciò la scena con una rapida occhiata: Wendy stordita e carponi, Alex a terra ma illeso, vicino al muretto, e una creatura inferocita, pelosa e alta due metri, dotata di fauci irte di zanne e di artigli spaventosi, che si stava rialzando in piedi. «Mio Dio!», mormorò, e cominciò a sparare, svuotando l'intero caricatore addosso al wendigo. La creatura emise un verso lacerante che esprimeva ira, non dolore. Illeso, si lanciò alla carica verso l'agente di polizia e calò con forza la massiccia mano pelosa, spezzandogli il polso. Angelo lasciò scivolare la pistola dalle dita inerti e crollò in ginocchio con un gemito di dolore, tenendosi il braccio ferito. Il wendigo gli sferrò un manrovescio che lo scaraventò all'indietro nella notte nevosa, poi si girò di nuovo verso la stanza, lasciando vagare per un momento i penetranti oc-
chi gialli prima di posarli su Wendy con un ringhio di soddisfazione. «La pistola?!», gridò Alex appoggiandosi al muretto. Wendy si guardò freneticamente intorno fino a scorgere l'automatica, incastrata sotto un lato della sedia gialla. La indicò, e Alex balzò su di essa, rotolando su se stesso e impugnandola con entrambe le mani. Anche se due erano andati a vuoto, i suoi tiri precedenti avevano ferito e fatto infuriare la creatura, e tuttavia il poliziotto aveva mandato a segno ogni pallottola, a distanza ravvicinata, senza alcun effetto. Lo sceriffo Nottingham aveva detto che erano tutti armati con pallottole dalla punta d'argento, quindi come mai...? Domande inutili, si disse Wendy, rivolgendo attenzione e focalizzazione sulla creazione di sfere di fuoco, a rischio di appiccare il fuoco a tutto il cottage. Il wendigo avanzò minacciosamente di un passo prima di accorgersi che Alex era di nuovo in possesso della pistola, poi Wendy ebbe l'impressione di veder affiorare negli strani occhi gialli un barlume, forse di rispetto riluttante. O di cautela. Alex intanto prese la mira e sparò, aprendogli un foro in alto nella spalla sinistra: il sangue giallo schizzò contro la parete e il wendigo emise un ruggito di dolore, barcollando all'indietro attraverso la soglia, mentre un altro colpo andava a scheggiare lo stipite. «Oh, cazzo!», esclamò qualcuno dall'esterno. Wendy intravide una breve lotta, sentì un uomo urlare e il fragore di uno sparo, seguito dal suono di un corpo che cadeva. Alzandosi in piedi, rinnovò i propri sforzi per creare sfere di fuoco, ma si rese conto che era troppo tardi: se mai aveva avuto un'opportunità di usare il fuoco contro quel demone invernale, ormai era sfumata. Ciononostante, avanzò barcollando oltre la soglia, e in mezzo all'infuriare della bufera. «Wendy... NO!», urlò Alex. Ma lei continuò a camminare. Doveva farlo... doveva fermare quella creatura. Poi la sua mente registrò il gracidio delle radio della polizia, e per la prima volta si rese conto dell'ululato di una sirena che fendeva la notte. Fuori, Angelo si stava contorcendo al suolo, stringendosi il polso fratturato e gemendo piano. Il wendigo era svanito nella bufera e... Bobby McKay giaceva al suolo, immobile come la morte. Capitolo 14
Windale, Massachusetts 4 gennaio 2002 Mentre fugge nella notte gelida, la sua forma coperta di pelo bianco simile a una macchia indistinta sullo sfondo del panorama innevato e del cielo carico di altra neve, la creatura è... dilaniata dal dolore... confusa. Le immagini dei recenti avvenimenti le si susseguono rapide nella mente, mentre cerca delle risposte... La sua preda speciale, quella che si fa chiamare Wendy Ward, si aspettava un attacco, ma questo come stato possibile? Anche ammesso che abbia visto nella scatola magica le immagini delle altre vittime, come faceva a sapere di essere lei il bersaglio? E la sua casa... protetta da uomini armati di pistola... armi caricate con l'argento! L'argento brucia all'impatto, e brucia ancora di più quando il corpo cerca di risanarsi. Una quantità sufficiente di armi dalla lama d'argento o di proiettili di quel metallo potrebbero infliggere danni mortali... ma come faceva la preda speciale a saperlo, a essere preparata? Argento! La creatura teme ben poco le normali armi da fuoco: i proiettili di piombo sono per lei una banale diversione, un lieve disagio, come ha potuto scoprire a proprie spese l'uomo sulla porta! Il suo corpo è in grado di espellere i proiettili di piombo, risanando completamente le ferite da essi inflitte nell'arco di poche ore, e in quel posto speciale, dove i suoi poteri sono centuplicati, le ferite guariscono addirittura nell'arco di minuti. Non però quelle inflitte dall'argento. Quelle ferite bruciano, e i proiettili d'argento conficcati nella carne sono come ferri roventi. Con il tempo, il suo corpo riuscirà comunque a espellerli, ma questo consumerà buona parte delle sue energie, e forse richiederà perfino un periodo di sonno rigeneratore. Un'altra sorpresa è stata la forza fisica della giovane donna. Non è che una ragazzina minuta, e tuttavia in qualche modo è riuscita a sbattere il corpo della creatura contro il muro con forza sufficiente a farla barcollare e crollare in ginocchio, stordita. Incredibile! La creatura è abituata a essere nettamente superiore ai fragili esseri umani, a fare affidamento sulla propria velocità e la propria forza per abbattere facilmente le sue prede legittime, e tuttavia un solo colpo di quella esile ragazza è stata sufficiente ad atterrarla! Mentre corre lungo le strade deserte della città, in mezzo alla violenta
bufera di neve e ai cumuli bianchi che si vanno ingrossando sotto la sferza del vento e l'incessante cadere dei grossi fiocchi di neve, la sua confusione viene sostituita da una certezza, dalla convinzione che quella preda speciale è veramente tale, e che non è un normale essere umano. Così come la creatura è dotata di quelli che gli umani considererebbero poteri magici o soprannaturali, così quella ragazza che si chiama Wendy Ward deve essere a sua volta dotata di poteri. Per prevedere il suo attacco e pianificare la forma migliore di difesa, deve possedere il talento di una veggente, e inoltre deve avere accesso a una forza formidabile, derivante dalla magia. Però non è invulnerabile, e la creatura non ha ancora finito con lei: anche se potesse liberarsi della compulsione che la spinge a ucciderla, sceglierebbe comunque di distruggerla per vendicarsi delle ferite che le sono state inflitte. Nonostante tutto, però, decide di battere in ritirata per studiare il modo migliore con cui procedere. Per troppo tempo le è bastato scegliere una vittima, schiantarla e nutrirsi. Adesso la creatura è convinta di essere stata ingannata, di essere stata guidata in una trappola proprio come un tempo, in un'altra vita, essa stessa intrappolava piccole bestie pelose. E sa anche chi ha piazzato quella trappola particolare, sebbene ne ignori il perché: colei che l'ha destata e spronata a percorrere molti chilometri per uccidere la preda speciale. Ricorda l'altra ragazza, quella che si è lasciata alle spalle il sottile filo nero. Lei era dentro la casa della preda speciale pochi momenti prima che la creatura attaccasse. Era là per avvertirla? Per proteggerla, rivelandole il segreto di come distruggere il suo nemico? Ma perché? Perché trascinarla fin lì con la sua magia oscura solo per farla fallire nel suo compito, cercare di distruggerla? Perché...? Il tempo delle domande è passato. La creatura prende una decisione. Prima di uccidere la preda speciale, andrà a trovare l'altra e la costringerà a piegarsi al suo volere. Per prima cosa dovrà dirle come conservare quei suoi poteri intensificati, e poi le dovrà spiegare perché l'ha condotta verso quella che era chiaramente una trappola. Vede una curva nella traiettoria del filo nero e cambia direzione per seguire il vago sentiero che porta fino all'altra donna. Ne percepisce la presenza a poca distanza, sempre più vicina. Una volta che ne avrà appreso i segreti, un solo interrogativo dovrà ancora trovare risposta. Quanto sarà dolce il sapore della sua carne?
Temendo il peggio, attanagliato dall'ansia, Bobby si accovacciò un momento per vedere cosa Angelo avesse trovato sotto la macchina priva di contrassegni; con sua vergogna, dovette ammettere di provare un momentaneo sollievo misto a un senso di shock nel vedere il volto di Jimmy che lo guardava con la fissità vitrea della morte. Grazie a Dio, non era Kayla... Era però più che probabile che chi aveva ucciso Jimmy, qualsiasi cosa fosse, non avesse ancora completato l'opera. Issandosi in piedi, Bobby spiccò la corsa verso la casa: con gli stivali che scricchiolavano rapidi sulla neve, la pistola in pugno, concentrò la propria attenzione sulla sagoma di Angelo Antonelli, che si stagliava sulla soglia. Meno di due passi più tardi, Bobby vide Angelo vuotare senza preavviso tutti i colpi del suo caricatore, e fu in quel preciso momento, senza ancora aver avuto sotto gli occhi nessuna prova tangibile, che finalmente accettò la verità: gli omicidi che si erano verificati nel Midwest non erano opera di un serial killer cannibale, almeno non di uno appartenente alla razza umana. Il vero colpevole era una forza soprannaturale, una creatura non umana spedita ad attraversare il Paese sulla via della vendetta a causa della maledizione lanciata in punto di morte da una certa Gina Thorne, la più recente incarnazione di Elizabeth Wither, capo della famosa congrega di streghe assassine che risaliva al periodo coloniale di Windale. In sintesi, questa era la realtà di fatto, e lui ora l'accettava, perché se esisteva un'altra spiegazione, una di tipo razionale, proprio non riusciva a trovarla. Un momento più tardi il quadro sinistro che aveva delineato trovò una drammatica conferma. Una massiccia forma pelosa sovrastò la sagoma bassa e tozza di Angelo e gli colpì il polso con la mano munita di artigli. Antonelli lasciò cadere il revolver ormai scarico e crollò in ginocchio con un gemito di agonia, poi la creatura gli sferrò un manrovescio che lo fece rotolare all'indietro e lo mandò a cadere disteso lontano dalla soglia mentre si contorceva e continuava a lamentarsi. Nel tempo che Angelo aveva impiegato a scaricare il proprio revolver contro la creatura mostruosa, Bobby aveva coperto la distanza che lo separava dal cottage; adesso che era a terra, Angelo si era rimosso dalla linea di tiro di Bobby, e nel frattempo la creatura si era girata a fronteggiare l'interno dell'abitazione. Dentro la casa risuonarono altri due spari, e uno dei proiettili colpì la creatura, mentre l'altro strappò delle schegge dallo stipite
della porta. Un momento più tardi, l'essere mostruoso si girò di scatto, tentando di fuggire. Era ciò che Bobby stava aspettando. La creatura dagli occhi gialli - un wendigo, così l'aveva definito lo sceriffo Nottingham - colmò con un solo, lungo passo la distanza che li separava, e colpì il braccio di Bobby; riuscì a non perdere la presa sull'arma, ma l'istante successivo il wendigo lo circondò con le braccia possenti, schiacciandolo in una stretta soffocante. Bobby lottò per respirare e cercò invano di liberarsi, sforzandosi di sollevare la pistola; tentò perfino di sparare un colpo, ma la canna dell'arma era rivolta verso il basso, e la pallottola si conficcò nel terreno gelato. Fortunatamente per lui la creatura era ferita, e sembrava voler disperatamente fuggire di lì. Con un ringhio infuriato, gli affondò le zanne nella spalla coperta dalla giacca di cuoio fino a strappargli un sussulto di dolore, poi lo scagliò al suolo lasciandolo senza fiato. Impotente a reagire, Bobby poté solo starsene a guardare mentre il mostro spiccava la corsa e scompariva nella furia della tormenta. Guardandosi intorno alla ricerca della pistola, Bobby la vide a pochi centimetri dal ginocchio, irraggiungibile in quel momento come se si fosse trovata in un'altra zona temporale. Poi un'ombra lo coprì, e anche se si sentiva tutto il corpo dolorante, Bobby dubitò che si trattasse della nera mietitrice. Dopotutto, pensò, sono in condizioni molto migliori di quelle di Angelo. «Agente McKay? Bobby?» Si rese conto che si trattava di Wendy, e che era ancora viva. «Kayla... lei è...?», gracchiò, con voce tanto debole da risultare a malapena percettibile a causa del rumore del vento. «Sta bene», rispose Wendy. «Se n'è andata alcuni minuti fa. Sei ferito in modo serio?» «Sono soltanto... senza fiato. Angelo... è grave. Chiama l'ambulanza... e lo sceriffo Nottingham. Digli... Jimmy è morto». «Chiama l'ambulanza!», gridò Wendy ad Alex. Quanto a Nottingham, vide la sua macchina emergere dalle dense cortine della nevicata, avanzando con uno scricchiolio di catene nello strato di neve sempre più spesso, mentre lei s'inginocchiava accanto ad Angelo che continuava a contorcersi. Wendy si era già sfilata il bracciale di pietre, tenendo fra pollice e indice
il quarzo rosa, e ora si protese con la massima delicatezza possibile a posare la mano destra sul polso fratturato del vice, sussultando lei stessa nel vederlo così gonfio e chiazzato di rosso e di blu. Gemendo, Angelo ritrasse la mano di scatto. «Per favore, cerchi di stare fermo!», gridò Wendy. «Posso aiutarla!» Pur gridando, temette che lui non riuscisse a sentire la sua voce al di sopra dell'ululato del vento, del suono lacerante delle sirene e dell'intenso dolore che lo tormentava. Riuscendo ad appoggiare la punta delle dita sul polso, cercò quindi di concentrarsi per caricarsi di energia risanante, in modo da poterla poi riversare nell'agente. Sentì lo sceriffo gridare ai vicini incuriositi di rientrare in casa: considerata la bufera di vento e ghiaccio che imperversava, gli interessati non ingaggiarono una resistenza significativa. Prima di poter focalizzare la concentrazione e generare l'energia risanante, Wendy dovette escludere le fonti di distrazione costituite dal freddo - in quanto non aveva indosso la giacca - e dai rumori, inclusi i penosi gemiti di Angelo, ma stava diventando sempre più abile a scivolare nello stato meditativo, e inoltre la sensazione tattile del quarzo rosa fra le dita intorpidite dal freddo l'aiutò a isolarsi dal mondo esterno. Ben presto sentì il calore accumularsi al suo interno, immaginò la sfera pulsante di potere dorato che attendeva solo di essere modellata e applicata. Tenendo le dita appoggiate all'avambraccio di Angelo, visualizzò ossa prive di fratture, il sangue che scorreva senza ostacoli attraverso vene e arterie, la pelle liscia e intatta... Poi liberò l'energia, incanalandola nel braccio di Angelo attraverso la mano proiettiva. Il poliziotto rabbrividì sotto il suo tocco, sussultò e tremò ancora, per poi rimanere disteso immobile. «Come...?», cominciò a chiedere, alzandosi a sedere e tastandosi cautamente il polso con la mano sinistra. «È guarito! Il dolore è scomparso! Ma come?» «Non era niente di serio», replicò Wendy, che si sentiva ora leggermente stordita e senza fiato. Cercò di alzarsi in piedi, ma barcollò e dovette aggrapparsi allo stipite per non cadere. Devo aver liberato troppa energia, pensò. Anche quando aveva risanato Abby, molto tempo prima, le era successa la stessa cosa; malgrado le gambe malferme e il senso di vertigine, tornò vicino a Bobby, che intanto si stava issando in piedi facendo leva su un gi-
nocchio, nel vedere lo sceriffo che si avvicinava. «Bobby?», chiamò Wendy in tono interrogativo. «Rilassati, sto bene», rispose lui, «anche se mi sentirei molto meglio se con quel colpo che ho sparato fossi riuscito ad azzoppare quella cosa. Mi ha spazzato via come se fossi stato una bambola di stracci, ed è scappato con la coda fra le gambe, forse addirittura in senso letterale. Non so... aveva la coda?» Wendy scosse il capo con un sorriso asciutto. Se è in vena di fare battute, pensò, forse si sente meglio di quanto sembri. Bobby intanto si stava massaggiando la spalla sinistra, come se cercasse di farsi passare un crampo; notando che in quel punto la giacca di cuoio era lacerata, Wendy pensò che se la fosse strappata cadendo. «Dove quella cosa?», domandò lo sceriffo. «Andata», rispose Bobby. «Aveva una sola direzione in cui fuggire, ma che sia dannato se l'ho vista allontanarsi, con questa neve. Entro un'ora, se ne saranno posati più di trenta centimetri». «L'ambulanza sta arrivando», avvertì Alex, fermo sulla soglia alle spalle di Wendy. «Venite tutti dentro», ordinò lo sceriffo. «Voglio sapere cosa diavolo è successo». Notando il tono aspro, Wendy intuì ciò che la domanda sottintendeva, e cioè cosa diavolo fosse andato storto. Una volta che furono entrati tutti, chiuse la porta, ma l'interno del cottage continuò a essere freddo come un congelatore. Anche se non sarebbe servito a nulla, dato che la caldaia stava già funzionando a pieno ritmo, andò ad alzare di qualche grado il termostato, per la piccola soddisfazione che le poteva derivare da quel gesto. Alex l'aiutò a raddrizzare il piccolo tavolo di pino e poi a raccogliere le pagine sparse del diario di Wither, molte delle quali erano rimaste danneggiate durante l'attacco del wendigo: alcune erano strappate, altre si erano bagnate e i simboli si erano fatti sbavati e indistinti. Alcune erano talmente fradice che si sbriciolarono al minimo tocco, riducendosi a una pappa molliccia, e Wendy fu più che contrariata per la perdita di tanta parte della storia di Wither in un solo colpo. Quel che è fatto è fatto, pensò con amara rassegnazione. Non mi resta che raccogliere quel che è rimasto e riporlo in un posto sicuro finché non avrò il tempo di trascriverlo. Tutti cominciarono poi a parlare contemporaneamente, e anche se una
cosa del genere avrebbe dovuto creare solo confusione, in pratica servì a ricomporre il puzzle degli attacchi improvvisi e brutali del wendigo. Mentre parlava, Angelo parve incapace di smettere di massaggiarsi il polso risanato, e continuò a lanciare occhiate incuriosite a Wendy, chiedendosi senza dubbio se lei non fosse una sorta di operatrice di miracoli. «Che diavolo era quella cosa?», domandò allo sceriffo. «Pensa a un grizzly incazzato imbottito di steroidi», suggerì Alex. «In realtà è qualcosa di peggio», precisò Wendy, «perché è intelligente e, a quanto pare, è in grado di controllare il clima invernale». «Qualsiasi cosa sia», mormorò Angelo con un brivido, «ha ucciso Jimmy». «Dove diavolo è quell'ambulanza?», chiese per la terza volta Nottingham, che continuava a guardar fuori dalla finestra per tenere d'occhio la scena del crimine. «Non mi va di lasciarlo là fuori...» «Ha famiglia?», domandò Wendy. «Qui non ha nessuno, anche se credo che uscisse con una ragazza che lavora all'One-Stop Mini-Mart», replicò Nottingham, massaggiandosi la mascella ispida di barba mentre rifletteva sul compito spiacevole che lo attendeva. «Dovrò telefonare ai genitori, a Rhode Island». «Ho piantato sei proiettili in corpo a quella cosa, a distanza ravvicinata, e... niente», affermò Angelo. «Sembrava che stessi usando una cerbottana». «Evidentemente l'argento non ha effetto, sceriffo», osservò Bobby, e poi aggiunse in tono mortificato: «Anche se il solo colpo che ho sparato è conficcato da qualche parte nel prato». «Non è vero. Mi riferisco all'argento», intervenne Wendy. «Alex lo ha colpito due volte, e ho visto il sangue, l'ho visto barcollare e infuriarsi. Effetti tangibili». «Io... ecco...», confessò Angelo schiarendosi la gola, «non avevo caricato le pallottole d'argento...» «Io te le avevo consegnate», gli fece notare lo sceriffo in tono irritato. «Lo so, le ho qui nella tasca della giacca», replicò Angelo imbarazzato come non mai. «Avevo intenzione... Mi dispiace, sceriffo, ho pensato... che una pallottola andasse bene quanto un'al...» «Ebbene, non è così. Accertatevi tutti e due di avere fino all'ultima pallottola d'argento inserita nel caricatore e pronta all'uso», ribatté Nottingham. «Se vedete Curtis prima di me, ditegli di fare lo stesso. Questa creatura è troppo pericolosa, non possiamo permetterci altri errori!» Fece una
pausa, poi trasse un lungo respiro e continuò: «Sentite, mi rendo conto che ci troviamo di fronte a qualcosa che esula completamente dalla vostra esperienza di agenti di polizia. Non cercate una spiegazione razionale, perché non la troverete, accettate questa creatura così com'è e affrontatela di conseguenza. Non è una cosa a cui avrei potuto prepararvi, non in un modo che poteste accettare. Non mi avreste mai creduto, non sul serio, non negli aspetti fondamentali, non senza conservare dei dubbi riguardo alla mia sanità mentale o a questa creatura, dubbi che avrebbero ostacolato l'efficacia delle vostre azioni. Adesso, se non altro, spero vi rendiate conto che siamo di fronte all'ignoto, e che siate pronti ad affrontarlo, almeno nella misura in cui ciò è possibile». Wendy osservò i due vice. Angelo appariva ancora in stato di shock, impegnato a superare lentamente la propria incredulità; avendo già conosciuto almeno una parte dei segreti di Windale, Bobby aveva invece l'espressione cupa e decisa di uno che è fermamente convinto, mentre continuava a massaggiarsi inconsciamente la spalla dolorante. Wendy si sarebbe offerta di guarirgliela, ma si sentiva ancora un po' scossa e il danno da lui riportato non pareva essere niente di più grave di un livido. Sarà meglio che conservi le forze, si disse. La nottata non è ancora finita. «Adesso che facciamo?», chiese intanto Bobby, quasi le avesse letto nella mente. «Tu che dici?», domandò lo sceriffo, guardando verso Wendy. «Non credo si possa sperare che questa creatura si dilegui sulle colline e non si faccia più vedere, vero?» «No. L'abbiamo solo spaventata, probabilmente perché non si aspettava l'argento. Però tornerà, e dubito che userà di nuovo la porta principale». «Lascerò qualcuno qui in casa», decise lo sceriffo. «Angelo?» «Certamente». «Hai detto che Kayla se n'è andata non da molto», osservò Bobby guardando verso Wendy. «È andata a prendere sua madre allo Stewpot, e poi credo che intendesse andare a casa». «Ti dispiace se uso il telefono?» Wendy gli porse il cordless. Attraverso la finestra giunsero le luci dell'ambulanza, accompagnate dal rabbioso ululato di una sirena, che subito cessò. Bobby aveva spento le luci e la sirena della sua auto, e lo sceriffo aveva avvertito i paramedici in arrivo che avrebbero dovuto prelevare un cadave-
re, per cui potevano fare a meno della sirena, ma aveva chiesto loro di sbrigarsi a raggiungere Kettle Court. A quanto pareva, quelle ultime istruzioni non erano state assimilate, o forse le strade si stavano facendo veramente infide. «Sarà meglio che vada là fuori», disse Nottingham, alzandosi e chiudendosi la giacca, poi strinse il sottogola del cappello e si predispose ad affrontare il freddo. Wendy... Di nuovo quella voce dentro la sua testa. «Quante pallottole d'argento hai ancora in quell'automatica?», stava chiedendo Angelo ad Alex. «È scattata la segreteria», stava dicendo Bobby. Riesci a sentirmi...? «Scusatemi un momento», disse Wendy. Raccolto quanto restava del diario di Wither, avvolse le pagine nella copertina di cuoio che, per fortuna, non tornò a sigillarsi, e si allontanò lungo il corridoio, diretta nella camera. Una volta che si fu chiusa la porta alle spalle, posò il diario sul comò, si sfregò le mani per cercare di scaldarle e chiamò: «Vecchia? Sei tu?» Wendy...? La voce era ancora presente solo nella sua mente, fievole. «Sono sola, se vuoi apparire». Difficile... ma meglio di prima... Un'immagine sfocata della Vecchia prese forma davanti a Wendy, visibile sebbene quasi trasparente; dalla vita in giù la figura aveva l'opacità di un miraggio da calore. «È il meglio che posso fare...» «Siamo stati attaccati», spiegò Wendy. «Alex ha colpito due volte la creatura con proiettili d'argento e io l'ho... l'ho atterrata con una sfera». «Siete stati fortunati... coglierla di sorpresa. Ma non è finita... è viva... e infuriata...» «Hai idea di quando potrà tornare?» «Strano... non là dove sei tu», rispose la Vecchia. «Prima Kayla...» D'un tratto parve sorpresa dai propri ricordi futuri riguardo a ciò che sarebbe successo nel presente di Wendy. «Non solo te... vuole uccidere Kayla!» «Kayla! Ma lei non era qui, quando il wendigo ha attaccato. Perché lei?» «Crede che Kayla sia l'altra... sia Wither? La incolpa... della maledizione. Perché...?»
La Vecchia scosse il capo, confusa. «È per via del sangue», disse Wendy. «Mi ha trovata tramite la maledizione, una pista di briciole di pane magiche o qualcosa del genere, ma probabilmente percepisce anche il sangue nero che è in Kayla, e suppone che sia stata lei a dare inizio tutto questo. Oh, dannazione!» Quanto poteva ancora peggiorare quella situazione? «Dovrò dirlo a Bobby, che è già preoccupato per lei». La Vecchia fece di no con la testa. «Troppo tardi... l'ha già presa...» «No! Dio... no!», gemette Wendy. «Il bersaglio avrei dovuto essere io!» Avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro, ma si accontentò di lasciarsi cadere sul letto, stringendo la coperta fino a farsi sbiancare le nocche. Dannazione, il bersaglio ero io, non Kayla, pensò. Però c'è qualcosa in quello che ha detto... «Un momento. Hai detto: "L'ha già presa", quindi vuol dire che non l'ha ancora uccisa. Dov'è? Dove l'ha portata?» «Non lo so...» Di nuovo la Vecchia scosse il capo, ma stavolta il movimento le fece perdere parte della consistenza. Stava cominciando a sbiadire. «Non riesco a ricordare...» «Provaci! Prima che sia troppo tardi!» «Un... un posto che non esiste...» La Vecchia s'interruppe confusa, poi riprese: «Strano... file scure, un muro... bianco... un buco nel cielo... Abby l'ha visto...» Poi scomparve senza che Wendy potesse dire o fare qualcosa per riportarla indietro; spalancata la porta della camera, si lanciò di corsa nel corridoio e vide Bobby che indicava con sgomento il telefono stretto in una mano. «Nessuna risposta, né allo Stewpot né a casa sua», disse prima che Wendy potesse parlare. «Potrebbe trovarsi bloccata da qualche parte in mezzo a questa tempesta». «Peggio», replicò Wendy. «Il wendigo le sta dando la caccia». «Cosa? Perché?» «Crede che lei sia la responsabile della maledizione», spiegò Wendy. «Che sia stata Kayla a chiamarlo qui». «Oh, Cristo!», gemette Bobby con voce incrinata. «Dio... Kayla...» In quel momento sentirono arrivare sulla radio della polizia una chiamata urgente, in cui si riferiva di almeno un omicidio avvenuto al Witches'
Stewpot, su Main; l'istante successivo, lo sceriffo oltrepassò a precipizio la soglia, il volto arrossato dal freddo e distorto in una smorfia. «Tutta questa fottuta città è maledetta», disse. «Bobby, vieni con me». «Vengo anch'io», disse Wendy, allungando la mano verso la giacca. «Non senza di me», fu pronto ad aggiungere Alex. «Sarete entrambi più al sicuro qui, con Angelo». «Sceriffo, ha bisogno di me per questo», affermò Wendy. «Cosa?» «Si tratta del wendigo», spiegò lei. «Sta dando la caccia a Kayla». Nottingham si arrestò di colpo, la mano stretta sulla maniglia nell'atto di aprire la porta, ma non accennò neppure a chiederle come facesse a saperlo. Non ne aveva bisogno, aveva imparato a crederle sulla parola. «Andiamo», disse soltanto. Kayla arrivò al Witches' Stewpot alle 11.45. Per tutto l'ultimo chilometro e mezzo l'insegna al neon raffigurante le tre streghe curve sul loro calderone fumante era stata per lei un vivido faro di speranza: se era in grado di vederla, forse sarebbe anche riuscita a raggiungerla. Finalmente, dopo quelle che le parvero ore di guida in preda alla tensione, riuscì ad arrivare al parcheggio, e mentre arrestava la Neon accanto all'unica altra macchina presente, la vecchia Taurus giardinetta bianca di Bill Borkowski, si concesse un grosso sospiro di sollievo. Durante il tragitto da casa di Wendy, la macchina aveva minacciato parecchie volte di bloccarsi nella neve alta, con gli pneumatici che giravano a vuoto emettendo uno stridio frustrato. Questo le era successo ogni volta che era stata costretta a fermarsi a un semaforo rosso o a uno stop, e alla fine aveva cominciato a passare gli incroci senza fermarsi, approfittando del fatto che le strade erano deserte; la sua unica concessione al codice della strada era stata quella di scalare marcia, passando in prima per avere una trazione maggiore. Al diavolo, si era detta, esco con un poliziotto. Nessuno dei suoi colleghi si azzarderebbe a farmi la multa. Perfino lo sceriffo Nottingham mi permetterebbe di cavarmela con una severa reprimenda. Ecco, aveva poi riflettuto, accigliandosi, forse l'unico potrebbe essere Jimmy, dato che a quanto pare sono sulla sua lista nera. Aperta la portiera, accennò a scendere dalla macchina lottando contro le violente raffiche di vento che cercavano di richiudergliela in faccia. Il parcheggio era già coperto da una quindicina di centimetri di neve, e la tem-
pesta non mostrava in alcun modo di volersi placare; anzi, la neve stava cadendo ancora più fitta e il vento spingeva i grossi fiocchi con un'angolazione di quarantacinque gradi, rendendo la visibilità praticamente nulla. Nell'allungare la mano verso la maniglia della porta del locale a forma di manico di scopa, notò che qualcuno aveva spento la scritta arancione al neon che diceva APERTO 24 ORE. Non stanotte, gente, pensò. Stanotte, i più intrepidi fra i windalieni dovranno cercarsi altrove cheeseburger e patatine. Il vento violento cercò di afferrare il battente, facendolo sussultare contro i cardini cigolanti, ma lei riuscì a insinuarsi nel piccolo vestibolo e a richiudersi la porta alle spalle, facendo squillare il campanello collegato al battente; assaporò il relativo calore dell'interno, chiedendosi se il volto intorpidito avrebbe mai riacquistato sensibilità. A parte sua madre e Wild Bill, il locale era deserto. Lena Zanella era seduta al posto abitualmente occupato da Kayla, lo sgabello vicino al registratore di cassa; indossava ancora la divisa nera da cameriera, ma si era tolta il grembiule arancione. Sullo sgabello accanto aveva posato il parka rosso, il cappello, i guanti e la borsetta di cuoio nero. «Ciao, piccola», disse sorseggiando una tazza di caffè, «mi dispiace di averti trascinata fuori con questo tempaccio». «Nessun problema», rispose Kayla, sentendosi le labbra intorpidite dal freddo. «Stavo comunque per andare a casa». A dire il vero, l'intenzione era stata quella di andare a casa di Bobby, ma non se la era sentita di affrontare quel tragitto con la sua piccola Neon, visto il tempo che c'era fuori in quel momento. Wild Bill era in piedi di fronte a Lena, le mani massicce che stringevano il bordo del bancone; anche lui indossava ancora la divisa bianca da cuoco, punteggiata di macchie di grasso dopo una giornata trascorsa davanti alla griglia e ai fornelli; di traverso su una spalla aveva un panno per asciugare i piatti. «Come sta la mia ragazzina? Quel poliziotto ti tratta come si deve?», domandò, mentre s'insinuava attraverso l'apertura nel bancone, senza dubbio con l'intenzione di elargire a quella figlia putativa uno dei suoi famosi abbracci strizzacostole. «Sono congelata», avvertì Kayla, alzando una mano per fermarlo, «e se mi abbracci in questo momento, mi romperò in cento pezzi. A proposito, lui si chiama Bobby McKay, e mi tratta benissimo». «Splendido», approvò Wild Bill. «Ho giusto qui quello che ti ci vuole
per combattere il freddo», aggiunse, alzando un dito per chiedere un minuto di pazienza, poi scomparve in cucina e tornò di lì a poco con un cestino di cartone pieno di croccanti patatine fritte e una tazza di cioccolata fumante. «Ho dovuto scaldartele al microonde. La cioccolata calda è stata un'idea di tua madre, ma voglio che tu sappia che quelle patatine sono state cotte nel migliore strutto invecchiato. Sono un trionfo di colesterolo, ma hanno personalità. L'ultima infornata prima che pulissi la friggitrice». «Grazie, Wild Bill», disse Kayla, appollaiandosi a due sgabelli di distanza dalla madre; per un momento tenne la tazza di cioccolata bollente fra le mani, poi la posò e assestò un calcio alla sbarra poggiapiedi, in modo da far fare un giro completo al seggiolino. «Per buon augurio», spiegò agli altri, scrollando le spalle. Già, una sciocca superstizione, pensò intanto fra sé. La cioccolata calda era una cosa celestiale, e la stava scongelando dall'interno; una volta che le dita delle mani e dei piedi ebbero riacquistato sensibilità, decise quindi di assaggiare qualcuna di quelle patatine assassine, dato che da parecchio non aveva più mangiato nulla, a parte qualche snack a casa di Wendy. «Avete davvero intenzione di chiudere per stanotte?», chiese mentre si ingozzava di patatine, consapevole intanto che la tempesta si stava ulteriormente intensificando, al di là delle lunghe vetrate del locale. «Il proprietario ha telefonato», rispose sua madre. «Ha detto che le strade sono impraticabili e che soltanto dei pazzi andrebbero in giro in una notte come questa». «In tal caso, noi cosa siamo?» «Degli svitati», rispose Wild Bill, «ma dal momento che siamo in tre, tanto vale che facciamo branco, giusto?» «Un branco che dovrebbe sloggiare da qui». «Tanto perché tu lo sappia, Kayla, mi sono offerto di accompagnare a casa tua madre. Le ho detto che potevamo andarcene non appena avessi finito di pulire la griglia, ma lei ha rifiutato». «Tu vivi a Harrison, Bill», gli fece notare Lena, «quindi nella direzione diametralmente opposta. Inoltre, avevi appena finito di dirmi che la tua macchina ha il riscaldamento rotto. Hai mai visto come guida?», aggiunse poi a bassa voce, rivolta a Kayla. «Allora, mamma, sei pronta ad affrontare la tundra ghiacciata?», sorrise Kayla. BRRINNGG-RRINNGG!
Bill lanciò un'occhiata disgustata al vecchio telefono nero fissato alla parete dietro il registratore di cassa. «Accidenti!», commentò, senza accennare a prendere il ricevitore. BRRINNGG-RRINNGG! Lena posò il cappello, i guanti e la borsa sul bancone e s'infilò il parka rosso. «Due secondi e sono pronta, piccola», annunciò. «Non hai intenzione di rispondere?», chiese Kayla a Wild Bill. BRRINNGG-RRINNGG! «No», disse lui. «Ha continuato a suonare a intervalli da quando abbiamo deciso di chiudere, e la richiesta è sempre la stessa: fate consegne a domicilio? Come se avessimo sul retro una slitta con i cani!» Bill scosse il capo e puntò un dito verso la finestra in direzione di Harrison. «Non appena quella griglia sarà lucida e splendente, me ne andrò a casa». BRRINNGG-RRINNGG! Kayla vide il respiro che le si condensava davanti alla faccia. Sembra che la caldaia si sia fermata, pensò. Intanto il suo sguardo si spostò per un puro riflesso condizionato nella direzione indicata da Bill, e fu per questo che si trovò casualmente a guardare verso la vetrata quando la cosa apparve. Con la pelle che le si accapponava, fu percorsa da un brivido di paura e balzò giù dallo sgabello, tremando. «Oh, mio Dio!», gridò. «Che cazzo è quello?» Gli altri seguirono la direzione del suo sguardo attonito, proprio nel momento in cui la grande vetrina implodeva, schizzando schegge di vetro per tutto il Witches' Stewpot. BRRINNGG-RRINNGG! Jeff Ryan e Daniel Wilkins strapparono a metà il cartone d'imballaggio di un frigorifero e risalirono con fatica il pendio che portava in cima alla Collina della Strega, uno dei posti preferiti per andare in slitta, cui i ragazzi della scuola superiore Harrison High si riferivano spesso come la Tetta della Strega; e senza dubbio, in quel primo venerdì di gennaio del 2002, la collina era più fredda che mai come il suo soprannome lasciava intuire. In qualità di studenti dell'ultimo anno della buona, vecchia HH, Jeff e Daniel ritenevano che usare dei veri slittini avrebbe fatto fare loro la figura di due imbranati, mentre d'altro canto scendere il pendio di quella collina su due pezzi di cartone da imballaggio, nel bel mezzo di quella che era la madre di tutte le tempeste di neve, era senza dubbio una cosa da tipi con le
palle. «Davvero favoloso, amico», commentò Danny, lottando per impedire al vento di strappargli di mano il pezzo di cartone svolazzante. «Non si vede nemmeno il fondo, e abbiamo il pendio tutto per noi». «Domattina, per prima cosa mi procurerò uno snowboard», dichiarò Jeff. «Domattina questo posto sarà pieno di sfigati. Goditela finché puoi, amico!» Seguendo il proprio stesso consiglio, Daniel ripiegò il davanti dell'improvvisata slitta di cartone, ci si lasciò cadere e si spinse giù dal pendio. Per un paio di metri saettò verso il basso in linea retta, poi cominciò a sbandare di lato e il momento successivo Jeff lo perse di vista. L'ultima cosa che sentì, prima che il vento disperdesse la voce di Danny fu: «WOOHOO! Queste rocce del cazzo!» Jeff annuì fra sé, sorridendo come un idiota. La neve gli vorticava intorno alla testa in un milione frammenti che spiccavano candidi nell'oscurità, il vento gli sferzava il corpo, agitandogli i capelli davanti alla faccia. Ripiegato il davanti del cartone come aveva fatto Danny, cercò di saltarci sopra per effettuare a sua volta la prima discesa lungo la Tetta della Strega, ma la spalla gli si impigliò in qualcosa. Gli alberi erano però a qualche metro di distanza, più in su lungo la collina. Sconcertato, Jeff accennò a voltarsi... Due occhi gialli lo fissarono roventi da una massiccia faccia pelosa. Delle mani artigliate scattarono in avanti... e il breve urlo di Jeff si perse nella notte. Saziata temporaneamente la fame, la creatura trascina fra gli alberi la carcassa del ragazzo e la spinge dentro un cumulo di neve nell'affrettato tentativo di nasconderla. L'energia aggiuntiva che ha dovuto consumare per risanare le ferite inflitte dall'argento l'ha resa famelica, tanto che se avesse aspettato più a lungo prima di nutrirsi, avrebbe finito per scivolare nel sonno risanante, perdendo così l'occasione di ampliare il proprio potere e di vendicarsi. Quell'obiettivo rimaneva primario, e proprio quando la fame minacciava distoglierla da esso, si è imbattuta in quel ragazzo, in piedi in cima alla collina, un boccone troppo agevole e a portata di mano perché potesse ignorarlo. Riprende la corsa lungo le strade isolate e intasate dalla neve, poi rimane sorpresa nel vedere più avanti delle ammiccanti luci gialle in movi-
mento. Si tratta di un grande veicolo giallo, con una massiccia pala di metallo sul muso, inclinata in modo da spingere la neve su un lato della strada. Lo scopo del conducente è quello di sminuire e render vano il potere dell'inverno, di rendere le strade percorribili per veicoli più piccoli. La creatura si lancia all'inseguimento di quel mezzo isolato, in un primo momento mossa soltanto dall'ira; ben presto, però, si rende conto che la fame indotta dal risanamento non è ancora saziata, e che quel conducente isolato che sta sfidando il potere dell'inverno rappresenta un'altra opportunità di nutrirsi. Portandosi accanto al lento veicolo, balza sul predellino della portiera e spinge il pugno attraverso il vetro. L'uomo all'interno lancia un grido, poi continua a urlare mentre viene trascinato fuori di peso attraverso il finestrino fracassato. Là, nel bel mezzo della strada deserta, la creatura divora le parti migliori. Senza più nessuno alla guida, il veicolo sbanda fino a uscire di strada, sale su un marciapiede e va a sbattere contro un muro di mattoni rossi. In fretta, la creatura sospinge il corpo del conducente sotto il veicolo fermo più vicino. Sa che sta agendo con poca cautela, ma ormai è così vicina - il filo nero è più vibrante, sta quasi pulsando - e lei deve essere al pieno delle forze e avere l'assoluto controllo dei propri poteri per poter affrontare colei che lo emana, e anche quell'altra, la preda speciale. Per alcuni minuti corre con il vento alle spalle, poi vede un lungo edificio con uno strano disegno colorato sul tetto; quell'insegna è però solo un oggetto di interesse secondario: quello che conta è il pulsante filo nero che attraversa l'edificio stesso. Lei è là, quasi abbastanza vicina da poterla vedere. I frammenti di vetro piovvero all'interno del Witches' Stewpot, sospinti da un vento violento e seguiti da vortici di neve, ora mista a nevischio e a pioggia ghiacciata. Davanti a loro, là dove era appena atterrata dopo essersi scagliata attraverso la vetrina, c'era l'incarnazione di tutta la furia dell'inverno. Kayla capì subito cosa doveva essere quella bestia pelosa, non poteva essere altro se non il wendigo. Alto due metri, con lunghi artigli e denti affilati come rasoi, le orecchie sovrastate da ciuffi di pelo e gli occhi ambrati che brillavano di una ribollente furia inumana, quello era il demone dell'inverno. In quel primo momento di terrore che le parve eterno, Kayla notò parec-
chi particolari macabri, le gocce di sangue di un rosso vivido cristallizzate sul mento della creatura, e un fluido giallo... il suo stesso sangue?... sulla spalla e sul fianco. È ferito, pensò, ma si è nutrito di recente. Ma chi ha divorato? Ha già attaccato Wendy? L'ha uccisa? E perché è qui? si chiese, e in una folata di umorismo macabro si disse: Ha ancora fame, quindi ha fatto solo uno spuntino. «Mi dispiace, siamo chiusi», disse poi, rimanendo lei stessa sorpresa di essere riuscita a parlare senza urlare, anche se la voce le sembrava una cattiva imitazione di Minnie. Il wendigo si fece avanti con cautela, quasi si aspettasse una trappola, e girò la grossa testa in modo da tenerli tutti e tre sotto controllo, Wild Bill dietro il bancone, Lena e Kayla davanti. Mentre la creatura avanzava, il vento teso che soffiava alle sue spalle le agitò il pelo arruffato, diffondendo per tutto il locale un puzzo nauseante. Kayla pensò che quel fetore sarebbe persistito tanto a lungo da sopravvivere al ristorante, e molto probabilmente anche a lei. «Oh, mio Dio», mormorò Lena, una mano premuta contro la bocca. «È un... mostro». «È un wendigo», affermò Kayla. «Un cosa?» «Lascia perdere», tagliò corto Kayla. «È cattivo, veramente cattivo». Con movenze calme e decise, Wild Bill allungò la mano sotto il bancone e tirò fuori un lungo manico d'ascia, un'arma purtroppo più adatta a disperdere adolescenti in vena di vandalismo che non a combattere un demone cannibale. «Kayla, mettiti dietro di me», sussurrò Lena, portandosi al centro del corridoio centrale. «Ho un'idea migliore. Svignamocela tutti». «Mi piace l'idea di Kayla», approvò Wild Bill. «Voi due correte verso la porta». «E tu?», chiese Kayla. «Oh, io vi seguirò a ruota», garantì Bill, poi si batté il manico d'ascia sul palmo e aggiunse: «E avrò in serbo qualche sorpresa per quel figlio di puttana, se cercherà di fermarmi». Il wendigo avanzò di altri due passi, spostando gli occhi gialli dal manico d'ascia a Kayla. D'accordo, ditemi se questa non è la sfiga più dannata che ci sia al mondo, pensò lei, deglutendo a fatica. Ce l'ha con me. Con
me... ma perché? Comunque, se vuole soltanto me, forse posso portarlo lontano... «Va'!», urlò Lena, trascinandola con sé. Kayla incespicò e si girò di scatto. Davanti a lei sentì trillare il campanello che segnalava l'apertura della porta: sua madre era ferma sulla soglia e le teneva aperto il battente per accertarsi che si affrettasse a mettersi in salvo. «Mamma, lascia stare quella cazzo di porta e scappa!» Intanto Wild Bill sgusciò di traverso nell'apertura del bancone e fronteggiò il wendigo continuando a brandire il manico d'ascia; passando, aveva anche prelevato dal bancone una zuccheriera di vetro, che scagliò contro la testa del mostro. Il wendigo intercettò la zuccheriera con una mano, mandandola in pezzi e spargendo zucchero ovunque, poi emise uno stridio, un suono agghiacciante che parve iniettare loro nelle vene l'essenza pura del terrore. «A... andate!», gridò Wild Bill. Kayla attraversò il vestibolo e spalancò la porta spingendola con la schiena, lottando contro le folate di vento; poi, mentre sua madre accennava a seguirla, Kayla provò un moto di scoramento di fronte alla velocità e alla forza della creatura. Wild Bill era alto un metro e novantatre, aveva un torace massiccio e braccia possenti, ma fu tradito dall'età non più verde. Riuscì a calare dall'alto in basso un colpo abbastanza energico da spezzare il manico d'ascia sulla spalla del wendigo: questo però l'assorbì con disinvoltura e afferrò Wild Bill per la testa con entrambe le grandi mani artigliate, sbattendogliela violentemente contro il bancone, una, due volte. Quando la creatura mollò la presa, Kayla vide che la forma del cranio di Bill aveva qualcosa di innaturale, di sbagliato. Poi il wendigo sollevò sopra la propria testa il corpo massiccio dell'uomo e lo scagliò contro la parete con un impatto tale da frantumargli le ossa; il corpo di Bill cadde a terra dietro il bancone, rovesciando un tabellone col menù del giorno, mandando in frantumi parecchi bicchieri e sparpagliando i contenitori delle salse. «No!», gemette Kayla. «È me che vuole! È qui per me!» «Scappa!», stridette la madre, le labbra tese, il volto esangue. Il wendigo la sollevò di peso afferrandola per un lembo del parka rosso e la scaraventò all'indietro contro la fila degli sgabelli dove giaceva inerte, troppo stordita per muoversi. Kayla ebbe un solo istante di tempo per guardare la sagoma immobile della madre, prima che il wendigo oscurasse la luce della porta, staccandola dal cardine superiore. «TU!»
Parla! pensò Kayla, stupita, poi ricordò l'uomo vestito di pelli di daino che Wendy aveva scorto nella sua visione, rammentò che un tempo quella cosa era stata un essere umano, anche se questo non le dava comunque la speranza di poterla indurre a ragionare. Una furia inarrestabile e una fame insaziabile di carne umana tendono a ostacolare i processi razionali, si disse, mentre oltrepassava barcollando la porta e veniva investita in pieno dalla violenza della tempesta. Un istante dopo, il wendigo mandò in frantumi i vetri della porta, staccando di netto uno dei battenti, e prese a incalzarla, con la bocca spalancata e la saliva che le formava lunghi ghiaccioli sotto il mento, mentre lei continuava a indietreggiare. Se quella creatura era decisa a ucciderla, il minimo che poteva fare era allontanarla da sua madre. Wild Bill era certamente morto, perché il trauma alla testa era già stato di per sé devastante, ma sua madre poteva sopravvivere ai danni riportati, che dovevano ammontare al massimo a qualche costola rotta, quindi lei doveva fare in modo che quell'abominio si allontanasse dal locale quanto bastava a fargli dimenticare le vittime impotenti che si trovavano al suo interno. «Perché?», gridò. «Perché proprio io?» «Tu... trucco!», tuonò la creatura con voce che era un gracchiare torturato. «Tu vuoi che uccida... ma inganni... e rendi forte. Come?» «Non capisco che vuoi dire». «Tu inganni... quindi io ti uccido». Quella parte era fin troppo chiara. Kayla si girò e si mise a correre lungo Main Street, in mezzo al ghiaccio e alla neve, la testa china per resistere alla sferza del vento carico di neve vorticante, con alle calcagna il demone dell'inverno alto due metri. Naturalmente, non aveva la minima possibilità di farcela. All'interno del Witches' Stewpot, Lena Zanella stava lottando per riprendere fiato, ma ogni respiro le causava nel petto un dolore bruciante, segno che probabilmente quel mostro le aveva rotto più di una costola. Per alcuni lunghi momenti di atroce sofferenza, durante i quali il suo pensiero dominante fu per la figlia, fuori nella bufera alla mercé di quel... del wendigo, non riuscì neppure a sollevarsi a sedere. Alla fine, si impose di stringere i denti e si issò in piedi, aggrappandosi a uno sgabello per sorreggersi. Un centimetro per volta, prese quindi a spostarsi lungo il bancone, scivolò attraverso l'apertura e si protese verso il telefono a muro, il respiro ridotto a un ansito doloroso e irregolare.
Nel vedere Wild Bill che giaceva prono a terra con una pozza di sangue che gli si allargava sotto la testa, si lasciò sfuggire un singhiozzo, poi si sforzò di ritrovare il controllo delle proprie emozioni, ma riprese subito a piangere nel pensare a Kayla, fuori nella tempesta e inseguita dal wendigo. Con mani deboli e tremanti, prese il telefono e compose il 9-1-1. Windale, Massachusetts 5 gennaio 2002 Con la sirena accesa e le luci che lampeggiavano nella notte, lo sceriffo aprì la processione che lasciò Kettle Court, seguito da Bobby, che aveva il lampeggiatore in funzione ma non aveva attivato la sirena. Angelo li seguiva, contribuendo alla luminaria generale, e per ultima veniva la Pathfinder verde, anch'essa con i lampeggianti accesi. Alex era al volante e Wendy gli sedeva accanto, intenta a fissare attraverso il finestrino l'interminabile susseguirsi di fiocchi di neve che scendevano dal cielo: intendeva sfruttare a proprio vantaggio il loro effetto ipnotico, in modo da raggiungere lo stato di autoipnosi necessario per la proiezione astrale, il che la costringeva a distogliere forzatamente l'attenzione dalla strada e dalla compatta processione di macchine. Prima che si avviassero, lo sceriffo aveva ordinato ad Angelo di contattare il vice Curtis Johnson, a casa sua. «Digli di alzare il culo dal letto», aveva detto. «Abbiamo bisogno di lui adesso, e non alle sette di domattina». Quanto a Nottingham, aveva l'intenzione di chiamare personalmente l'ufficio dell'FBI a Boston, ma considerata la bufera in corso dubitava che riuscissero a inviargli dei rinforzi prima dell'indomani mattina, se non addirittura più tardi. Non che pensasse che l'FBI o qualsiasi altro dipartimento di polizia degli stati confinanti, potesse essere di qualche aiuto, senza il giusto tipo di munizioni. Si era inoltre concesso qualche momento per ricaricare di pallottole d'argento la Glock di Alex. «Finora sei il solo che sia riuscito a ferire quella dannata creatura», aveva commentato in tono di approvazione, assestando una pacca sulla schiena di Alex. «Ah, quasi dimenticavo», aveva poi aggiunto, prelevando dal sedile posteriore il bastone dalla testa di gargoyle. «Placcatura in argento speciale», aveva detto nel restituirlo ad Alex. «È soltanto decorativa, a detta dell'artigiano, e probabilmente si scheggerebbe nel corso di un combattimento prolungato, ma ho pensato che questo non sarebbe stato un pro-
blema». Pronta a sgombrarsi la mente, Wendy continuò a fissare il vorticare della tempesta. A un certo punto smise di seguire la spirale discendente dei singoli fiocchi e focalizzò invece gli occhi sul movimento casuale della massa bianca in se stessa, vedendola come un tutto ipnotizzante. Pochi momenti più tardi, il suo io astrale sgusciò fuori dal corpo fisico e si levò nell'aria attraverso il tetto della Pathfinder. Prima di cominciare l'esercizio di meditazione, Wendy aveva avvertito Alex di non lasciare il Witches' Stewpot finché lei fosse rimasta in stato di trance, perché aveva bisogno di sapere dove rintracciare il proprio corpo e non era certa di saper localizzare il SUV di notte e in quella bufera accecante, mentre girovagava per le strade di Windale. Confidando in Alex, si levò quindi nella notte gelida e burrascosa; nella forma astrale era immune agli elementi, e nutriva la segreta speranza di riuscire a rientrare nel corpo fisico molto tempo prima che il corteo di macchine arrivasse al ristorante. Anche se il corpo astrale non risentiva degli effetti della violenta tempesta, la sua visuale era comunque offuscata dai milioni di fiocchi di neve vorticante, quindi non le restò che fare affidamento sulla sua familiarità con la propria città natale, prendendo nota dei principali punti di riferimento che incontrava e usandoli per pilotare il suo io astrale in direzione dello Stewpot. In una notte limpida, era possibile vedere l'insegna al neon del tetto da chilometri di distanza, ma quella notte, con la bufera in corso, non riuscì a individuarla se non quando vi si trovò a poche centinaia di metri. Non essendo ostacolata dalle strade scivolose o dalle violente folate di vento, procedette senza fatica e il più in fretta possibile, avvicinandosi quanto più possibile a quella velocità di volo al di sopra della quale rischiava di perdere la coesione con la propria consapevolezza. Librandosi sopra il parcheggio, vide la finestra fracassata e si rese conto che erano arrivati troppo tardi per fermare il wendigo. Fluttuò quindi all'interno del locale esposto alla furia degli elementi, notando come la neve si stesse ammucchiando sotto tavoli e sgabelli. In un primo tempo il ristorante le parve deserto, ma una macchia di sangue sul bancone attirò la sua attenzione, e quando volò fino in fondo al locale per controllare dalla propria posizione sopraelevata, vide un uomo massiccio vestito da cuoco steso a terra dietro al bancone. Una sola occhiata al cranio schiacciato fu sufficiente per indurla a scuotere il capo con rassegnazione. «Sei... un angelo?» Wendy si girò verso sinistra e guardò in basso. Lena Zanella era seduta
per terra dietro il bancone, con la schiena appoggiata al muro e la mano stretta contro il fianco in un atteggiamento di evidente sofferenza, il ricevitore del telefono a muro che le penzolava accanto appeso al suo filo. «Sembri... Wendy». Wendy annuì. «Sono io», rispose, constatando che la sua voce astrale era in buona forma, con una dizione scandita, anche se il timbro suonava un po' spettrale. «Adesso è troppo complicato da spiegare. Gli aiuti stanno arrivando. Cosa è successo qui? Dove Kayla?» «Un mostro ci ha attaccati... ha ucciso Bill», spiegò Lena guardando verso il cuoco, un leggero movimento della testa che le strappò comunque un sussulto di dolore. «Kayla è fuggita... quella cosa l'ha inseguita...» «Sa se è ferita?» Una lacrima colò lungo la guancia di Lena. «Non lo so... per favore... aiutala». «Lo farò», promise Wendy. «Lei pensa di farcela?» «Hai detto... che gli aiuti stanno arrivando...», annuì Lena. «Resisterò... tu va'...» Forse è il mio intuito da strega, ma sento che Kayla è viva, pensò Wendy. Senza dubbio è terrorizzata, e forse ferita, ma è viva. Ma per quanto ancora? Il wendigo era troppo imprevedibile e pericoloso per cercare di prevenirne le mosse. Per salvare Kayla dovevano agire in fretta, lei doveva agire in fretta. Cosa aveva detto la Vecchia? «Abby ha visto... il buco nel cielo». «Tenga duro, signora Zanella», la incoraggiò. I chiari occhi azzurri di Lena, uguali a quelli di Kayla, si dilatarono per la meraviglia nel vedere Wendy fluttuare attraverso il soffitto; probabilmente, avrebbe dovuto aspettare altri cinque minuti perché arrivasse lo sceriffo, e forse altri cinque prima che sopraggiungesse l'ambulanza. Wendy sfrecciò attraverso la tempesta, senza neppure tentare di nascondersi o di rendere trasparente la sua immagine astrale; anche se rasentava le cime degli alberi, infatti, la visibilità era talmente scarsa da indurla a dubitare che qualcuno al livello della strada potesse vederla. In meno di trenta secondi, percorse i pochi chilometri che la separavano dalla casa dello sceriffo Nottingham. Ricordando dove fosse situata la camera da letto che Abby divideva con Erica, aggirò la casa e sbirciò attraverso la finestra, ritraendosi l'istante successivo con uno scatto, come un colibrì spaventato,
perché si era aspettata che entrambe le bambine stessero dormendo e si era invece trovata davanti il volto di Abby, che la fissava a sua volta attraverso la finestra. Lanciata una rapida occhiata al letto dall'altra parte della stanza, Abby le fece segno di entrare. «Mi stavi aspettando?», chiese Wendy, una volta dentro. «Oppure ti stavi preparando ad andare a zonzo?» «Avevo la sensazione che stanotte stesse succedendo qualcosa», rispose Abby, con una scrollata di spalle, «che tu avessi bisogno di me, come quando quell'uomo cattivo ti ha aggredita con un coltello», precisò, riferendosi a una sua passata premonizione che aveva salvato la vita a Wendy. «Questa volta, però», proseguì, «non sapevo con certezza di quale... versione di me stessa avessi bisogno». «Ho un'idea», ripose Wendy. «Una cosa cattiva ha preso Kayla e intende ucciderla». «Ricordo il suo odore», sorrise la bambina. «Forse il lupo Abby potrebbe rintracciarla». Per un attimo Wendy si chiese se quella potesse essere la soluzione giusta. «No...», disse quindi. «La Vecchia ha detto che tu hai visto, o vedrai, un buco nel cielo. File scure e un muro bianco. A me sembra un lavoro più adatto al falco Abby». «Il vento è molto forte», osservò Abby, «ma ci proverò. Da dove devo partire?» «È stata portata via dal Witches' Stewpot. Sai dov'è? Bene. Comincia da lì». Mentre Abby iniziava a sbottonarsi il pigiama, Wendy si rese conto che la bambina avrebbe dovuto uscire nuda con quel gelo e tramutarsi in falco, per poi sfidare quella tempesta spaventosa. «Abby, forse non è una buona idea. È troppo pericoloso...» L'incertezza che aveva scorto al suo arrivo sul volto di Abby era però scomparsa, sostituita da una sicurezza e da una determinazione che trascendevano i suoi anni. «È previsto che lo faccia», ribatté. «Lo sappiamo entrambe». Alla fine, Wendy si arrese e sgusciò fuori in silenzio nella notte burrascosa. In quel momento, se avesse avuto uno stomaco astrale, questo avrebbe ospitato uno squadrone di farfalle impegnate a volare in formazione compatta. Un terrore senza nome si stava impadronendo di lei. Se questa è la cosa giusta da fare, pensò, perché di colpo mi sembra tut-
to sbagliato? Intercettò la Pathfinder con la precisione di un missile teleguidato, proprio nel momento in cui il SUV si arrestava nel parcheggio dello Stewpot, accanto alle tre macchine della polizia e a un'ambulanza del Windale General Hospital. Prima di scivolare attraverso il tetto del veicolo, si concesse un momento per esaminare la scena del crimine. Sull'altro lato rispetto all'ambulanza, poteva vedere la station wagon nera del medico legale della contea, e più oltre ancora una Jeep Cherokee blu da cui stava scendendo un alto agente di polizia di colore... Curtis Johnson, appena buttato giù dal letto e in anticipo di sette ore rispetto all'inizio del suo turno del mattino. I paramedici avevano già sistemato Lena sulla lettiga pieghevole e il medico legale si trovava all'interno del ristorante, probabilmente intento a stendere una valutazione preliminare delle cause del decesso. Scuotendo il capo per l'impazienza, Wendy si proiettò attraverso il tetto della Pathfinder nel momento in cui la macchina si arrestava del tutto, e ricongiunse il suo io astrale con il corpo fisico. Questa volta, il riadeguarsi alla forza di gravità le causò meno problemi, forse perché si andava abituando, o forse perché era rimasta in forma astrale per un tempo relativamente breve. «Bentornata», disse Alex teso, mentre lei si stiracchiava e si raddrizzava sul sedile. Wendy lo ragguagliò sulle condizioni di Lena, sulla fuga di Kayla e sull'offerta di aiuto da parte di Abby. «Kayla non ha alcuna speranza di distanziare quella cosa nel suo elemento», osservò Alex. «Lo so», annuì Wendy. «Se non l'ha già uccisa, la sta portando da qualche parte». «Se crede che lei sia Wither, probabilmente vuole che annulli la maledizione e la lasci libera». «Già». «Cosa succederà quando si renderà conto che lei non è Wither?» «Dobbiamo trovarla prima che accada», replicò Wendy, «e stare seduti qui a parlare non migliora le nostre probabilità di riuscita». «Suggerimenti?» «Lieta che tu me lo abbia chiesto». Il vicesceriffo Bobby McKay entrò nella toilette dello Stewpot e si chiuse la porta alle spalle, dando un giro di chiave. Fino a quel momento aveva continuato a ignorare il lieve tremore alle mani che era cominciato durante il periglioso tragitto in macchina dalla casa di Wendy al ristorante, attri-
buendolo all'ansia e alla tensione. Che però non potevano spiegare anche il senso di vertigine che lo aveva assalito quando era sceso dalla macchina, o il dolore alle articolazioni. Nel fissare la propria immagine riflessa nello specchio, vide che aveva il volto arrossato, ma non per il freddo: era febbricitante, con gli occhi che bruciavano e dolevano nelle orbite. La febbre, pensò. Che brutto momento per beccarsi l'influenza. «Non puoi andare in pezzi proprio adesso, McKay. Kayla ha bisogno di te, quindi niente cazzate. Capito?» Tentò poi di mitigare la rigidità alla spalla sinistra, ma quando cercò di massaggiarsela con la destra, sussultò per il dolore. La giacca era lacerata nel punto in cui il wendigo aveva cercato di alleggerirlo di una buona libbra di carne, il che significava che i denti erano riusciti a penetrare abbastanza in profondità. Penso che la clavicola non sia fratturata, rifletté, ma nessuno mi toglierà un bel livido in technicolor. Si sfilò la giacca con una smorfia di dolore e la drappeggiò sulla ventola ad aria calda per asciugarsi le mani, agganciando temporaneamente il microfono della radio alla spallina della camicia d'ordinanza, anch'essa lacerata, come pure la maglietta bianca che indossava sotto. Sbottonata la camicia, la spinse giù dalla spalla, e attraverso lo strappo nella maglietta poté vedere il punto in cui i denti aguzzi del wendigo gli avevano perforato la pelle. La maglietta era chiazzata di sangue, ma le piccole ferite da perforazione avevano smesso di sanguinare e pareva anzi che stessero già formando una crosta. Tutt'intorno, però, la carne appariva rossa e dolorante, sensibile al tocco. «Cazzo», commentò, sussultando nuovamente. «Probabilmente mi dovranno fare l'antirabbica». Quello non era però il momento di preoccuparsi per un ago nello stomaco o per la serie di antibiotici che i dottori gli avrebbero sicuramente prescritto. La salvezza di Kayla aveva precedenza assoluta. Lei era là fuori da qualche parte con quel mostro, ma se l'istinto di Wendy aveva ragione, era ancora viva, e per adesso questa era la sola cosa che contasse. Kayla prima di tutto. «Datti da fare, McKay», si disse a voce alta mentre riabbottonava la camicia e si rimetteva la giacca di cuoio. «Trova quel bastardo peloso dimenticato da Dio, e abbattilo prima che faccia del male a Kayla. Di tutto il resto ti preoccuperai più tardi».
Raggomitolata sotto una coperta per proteggere la propria nudità dal freddo intenso, Abby rimase accoccolata fuori dalla finestra chiusa della sua stanza finché il cambiamento non fu completo; quando infine la coperta cadde al suolo, rivelando un falco dalla coda rossa, emise un «KEEarr!» deliziato e si lanciò nel cielo. Abby aveva letto che gli uccelli possedevano migliaia di penne ed erano ben protetti dal freddo; se migravano, non lo facevano perché il clima invernale costituisse per loro un pericolo, ma semplicemente perché d'inverno le fonti di cibo si facevano scarse. Gli uccelli acquatici, per esempio, migravano perché laghi e stagni ghiacciavano. Di conseguenza provò soddisfazione ma non sorpresa, nel costatare fino a che punto la sua forma di rapace fosse in grado di sopportare il freddo intenso. Il vento teso costituiva però un problema diverso, e fu costretta a intraprendere una costante battaglia per rimanere in volo e non perdere quota. Pur essendo più grande e possente di un vero falco, incontrò serie difficoltà anche solo a percorrere in volo Main Street. Per fortuna, i suoi occhi non erano soltanto come quelli di un falco, erano letteralmente occhi di falco, e il Witches' Stewpot non poteva passare inosservato, circondato com'era dai lampeggianti delle macchine della polizia e dell'ambulanza. Partendo da quel punto, Abby descrisse un cerchio verso l'esterno, lottando contro il vento e la neve; quell'esplorazione stava facendo nascere nella sua forma di rapace un notevole appetito. Ho tanta fame che potrei mangiare un ratto, pensò, e subito dopo: Che schifo! Per distogliere la mente dallo stomaco che borbottava, cercò di ricordare le parole esatte usate da Wendy: «File scure... un muro bianco... un buco nel cielo». Cos'è, esattamente, un buco nel cielo? si chiese poi. E dove avrebbe potuto vedere anche delle file scure e un muro bianco? Anche avendo occhi di falco, in quella tempesta era difficile scorgere qualsiasi cosa. Sorvolò il parcheggio dell'ACME e intravide le tende a strisce verdi del Gibsons' Package Store, cosa che le fece sperimentare un'inquietante sensazione di déjà vu: in tutto questo c'era qualcosa di familiare... Poi sotto di lei passò l'insegna rotante con la scritta 1-STOP. Il mio sogno! ricordò di colpo. Quello che ho fatto prima di imparare davvero a volare, quando ho sognato di sorvolare questi stessi edifici. Forse quel sogno era un'altra visione... Scendendo a spirale al di là dell'One-Stop Mini-Mart, diresse il proprio
volo verso l'edificio che si trovava sull'angolo successivo, quello con il tetto che era rimasto danneggiato a causa della grandinata generata da Wither nel 1999 e che era poi crollato parzialmente per l'accumulo di umidità. Dal suo punto di osservazione sopraelevato, scrutò verso il basso in mezzo alla tempesta, e vide... un buco! Il buco nel cielo! Kayla ricordava di aver corso... e di non essere andata molto lontano prima che la mole massiccia del wendigo le piombasse addosso, sbattendola a terra su trenta centimetri di neve con forza sufficiente a lasciarla stordita. Per quanto cosciente, si era sentita troppo debole e disorientata per rialzarsi od opporre resistenza. A quel punto, aveva supposto di essere ormai mangime per il wendigo. Fine partita. Adieu. Tempo di passare dall'altra parte e mettere all'incasso i suoi punti karma. Per sua fortuna era troppo stordita per riuscire a preoccuparsene. Che si trattasse di uno stato di shock o di chissà che altro, anche solo rimanere cosciente richiedeva tutte le sue capacità mentali... per quanto esserlo in un momento come quello potesse sembrare una cosa idiota. Sarebbe stato infatti molto meglio essere immersa nell'oblio, in quei pochi, orribili momenti che avrebbero separato l'essere divorata viva dal diventare un cadavere fatto oggetto di scempio. L'ignoranza è una benedizione, baby, si disse... ma per quanto leggermente delirante, lottò comunque per non perdere conoscenza, per poter cogliere l'eventuale occasione di fuggire, di sopravvivere. Qualcosa, nel profondo del suo intimo, rifiutava di arrendersi. Sebbene rappresentasse potenzialmente una ricca fonte di proteine per il wendigo, si rese ben presto conto che il demone dell'inverno aveva altri progetti, e si augurò che prevedessero una dieta priva dell'alimento Kayla. La creatura la sollevò di peso dalla neve, se la caricò sulla spalla sana e si avviò, all'apparenza per nulla affaticata dal dover reggere il suo peso; i suoi lunghi passi non rivelavano infatti il minimo cenno di disagio o fatica, il corpo possente sembrava immune allo sfinimento. Nel suo stato di semi-incoscienza, Kayla non aveva idea di dove la creatura la stesse portando; drappeggiata com'era sul suo dorso, tutto ciò che riusciva a vedere nei pochi momenti di lucidità era il culo peloso del wendigo sullo sfondo anonimo del terreno innevato. Ebbe poi un attimo di disorientamento quando il wendigo entrò in un vicolo e cominciò ad arrampicarsi su per un muro di mattoni rossi. L'allontanarsi del terreno ampliò la sua visuale, inserendovi un bidone dei rifiuti
rovesciato e del pattume coperto di neve. Poi si rese conto che il wendigo non la stava più tenendo, che il suo corpo era bilanciato in maniera precaria sulla spalla della creatura, perché questa doveva usare entrambe le mani per scalare il muro. Stordita com'era, se fosse caduta da quell'altezza si sarebbe probabilmente rotta il collo, quindi scelse di evitare il pericolo più immediato e affondò entrambe le mani nel pelo arruffato, tenendosi ben stretta. Che importanza aveva se sembrava Fay Wray in un bizzarro remake di King Kong? Almeno, sarebbe sopravvissuta un po' più a lungo. Una volta arrivato sul tetto dell'edificio, il wendigo tornò a passarle un braccio intorno alle cosce, graffiandole i jeans con gli artigli mentre avanzava di alcuni lunghi passi e si soffermava a spostare di lato con un calcio un mattone smosso, che aveva tenuto bloccato un angolo di una tela cerata nera, per lo più coperta di neve. Non appena libero, il telone prese a svolazzare sotto il soffio del vento; il wendigo si accoccolò per sbirciare sotto di esso ed emise un grugnito di apparente sorpresa, prima di rialzarsi e di muovere qualche altro passo, spingendo di lato un secondo mattone. Il telone si gonfiò a causa del vento, sbattendo rumorosamente come una bandiera issata in cima alla sua asta, e sotto quel rumore Kayla colse anche lo scricchiolare del tetto che si abbassava sotto il peso del wendigo. Il telone aveva coperto un grosso buco nel tetto, attraverso cui lei poteva ora scorgere delle travi marce e l'oscurità sottostante; il wendigo era fermo su una depressione naturale del tetto, in un punto in cui l'acqua si era raccolta per anni, filtrando nei materiali da costruzione fino a comprometterne l'integrità e causare un crollo parziale. Conosco questo posto! Siamo sul tetto del Palace Cinema, pensò. Il wendigo intanto si chinò in avanti sul buco largo un metro e scrutò il buio sottostante; evidentemente, i suoi lucenti occhi gialli potevano vedere nell'oscurità meglio di quelli umani, perché la creatura emise un grugnito soddisfatto; se avesse dovuto giudicare in base ai propri occhi, Kayla avrebbe anche potuto pensare di trovarsi sull'orlo della più immonda fossa dell'inferno. Il wendigo calò con forza un piede, in modo da spezzare alcune travi e assi che erano marciti, e Kayla sentì i detriti schiantarsi nel buio sottostante; il momento successivo, il wendigo la abbassò dalla spalla, se la premette contro il petto e saltò nel buco che aveva appena allargato. Kayla strinse gli occhi e contrasse la bocca in una smorfia mentre cadevano per una decina di metri, in una discesa che parve al tempo stesso interminabile e fulminea.
Atterrarono con un fragoroso schianto di legno infranto e di metallo piegato. Mentre il wendigo si districava da quella nuova devastazione, gli occhi di Kayla cominciarono ad adattarsi all'oscurità più fitta, e poté rendersi conto che erano finiti sulle prime due file di sedie del cinema, distruggendo quattro sedili. Il massiccio rettangolo bianco dello schermo brillava nell'oscurità di un candore spettrale, incorniciato dalle pieghe dei tendoni raccolti, e davanti c'era una passerella simile a un palcoscenico tronco, a cui si poteva accedere da entrambi i lati grazie a due file ricurve di gradini. Il Palace Cinema aveva avuto poltrone comode e una grande balconata, ma un solo schermo, per quanto enorme, e la varietà di film offerta dalle multisale di Harrison e di Peabody ne avevano segnato la rovina. La tempesta di grandine e la successiva infiltrazione d'acqua, che aveva danneggiato il tetto privo di assicurazione, avevano conficcato il chiodo finale sulla bara del locale. Una bara che adesso stava per diventare la sua. Senza troppe cerimonie, il wendigo la scaricò sul palcoscenico tronco davanti allo schermo, poi balzò su a sua volta e le si accoccolò davanti. «Ora dici...», gracchiò, con la sua voce simile a carta vetrata che sfrega sul cemento. Kayla, naturalmente, aveva paura di quella creatura, ma temeva ancor più di poter dire qualcosa che scatenasse nel wendigo una furia assassina... e famelica. Improvvisando un po' di recitazione su quel palcoscenico abbandonato, emise un debole gemito, fingendosi non del tutto cosciente o delirante, nel tentativo di guadagnare tempo. Il wendigo la afferrò per la giacca con le mani artigliate, stringendola alla gola e avvicinandole il viso verso la propria testa orribile. «Ora dici... o MUORI!» Il piano di Wendy era semplice: due paia di occhi erano meglio di uno. Mentre Abby, nella forma del falco dalla coda rossa, sorvolava il centro di Windale alla ricerca di un buco nel cielo, lei avrebbe contribuito a quelle ricerche aeree nella sua forma astrale; nel frattempo, Alex avrebbe fatto affidamento sulle quattro ruote motrici e sugli pneumatici da neve della Pathfinder per effettuare esplorazioni a terra, usando il ristorante come punto di partenza per poi espandere a ogni giro il raggio delle ricerche di un isolato per volta, in tutte le direzioni. Il wendigo era a piedi, e stava trascinando o trasportando Kayla, cosa che lo avrebbe ostacolato non poco, tanto da dare loro la possibilità che Alex potesse intercettarli prima che il wendigo fosse riuscito a nascondere la sua prigioniera.
Prima che Alex lasciasse il parcheggio del ristorante, lo sceriffo Nottingham gli consegnò una radio della polizia, raccomandandogli di chiedere soccorsi nel momento stesso in cui avesse avvistato qualcosa d'insolito; adesso che disponeva della radio e di una pistola automatica del tipo in dotazione alle forze dell'ordine, Alex poteva praticamente considerarsi arruolato, anche se non era stato investito ufficialmente della carica di vicesceriffo. Mentre percorreva le strade intasate di neve, la forma astrale di Wendy si levò nuovamente attraverso il tetto del SUV, allontanandosi nella bufera. Non sapendo con esattezza cosa fosse il «buco nel cielo» o dove dovesse cercare un fenomeno del genere, Wendy prese a fluttuare al di sopra del livello degli edifici e degli alberi messi a dimora durante l'ultima ondata di abbellimento urbano di Windale. Dal momento che il wendigo era incapace di volare, quel riferimento al «buco nel cielo» la lasciava più che mai perplessa. Forse questo riferimento confonde soltanto le idee, rifletté. Quella creatura deve essere là sotto, da qualche parte. Prese poi a rimuginare sugli altri indizi che la Vecchia le aveva fornito... un muro bianco... file scure... Vedeva file di negozi, di residenze signorili, di case più modeste e di alberi. In una notte di tempesta, tutto appariva scuro... e senza speranza. E il tempo a loro disposizione si stava esaurendo. Soprattutto per Kayla. Capitolo 15 Windale, Massachusetts 5 gennaio 2002 Trovandosi di fronte ai roventi occhi gialli del wendigo, al suo naso appiattito e alla bocca fetida irta di file irregolari di zanne aguzze, Kayla riuscì a stento a trovare un filo di voce. «Cosa... cosa vuoi?», chiese in un sussurro spaventato. «Dimmi... perché? Perché portato qui per uccidere... Wenn-dee?» «Non... non sono stata io», rispose Kayla. «Non ti ho portato io, qui». «Tu... MENTI!» ringhiò la creatura, stringendole più forte la giacca al suo collo. «No!», gracchiò Kayla. «Wither ti ha chiamato... e lei è morta!»
«Tu menti... tu sei LEI!» «È morta, molto tempo fa», insisté Kayla. «Due estati fa!» Stranamente, la presa si allentò. «Estate...?» «Esatto, in agosto. Quindi sei libero... libero di tornare a... a casa. Ok?» «Niente casa, non libero... finché Wenn-dee non muore!» «No! Wendy è pericolosa, una wicca molto potente. Vattene, prima che sia troppo tardi». «Niente scelta. DEVO uccidere», ribadì la creatura, e la spinse indietro in un gesto di rabbia e di frustrazione, mandandola a sbattere con la testa contro il pavimento di legno del palcoscenico. «Tu... non quella che mi fa uccidere?» Kayla scosse il capo. Era una domanda retorica? Nuovi dati di fatto stavano finalmente penetrando in quel cranio duro? Le conveniva stare zitta, e sperare che se ne andasse per gli affari suoi. «Se tu non lei...», cominciò il wendigo, poi si soffermò a riflettere e concluse: «Tu non aiuti... non servi». Kayla si rese conto troppo tardi del suo errore: aveva pilotato una conversazione potenzialmente pericolosa facendole prendere una direzione decisamente letale. Per qualche motivo, il wendigo aveva riportato l'impressione erronea che lei fosse Wither, e voleva qualcosa da lei. Adesso però la considerava inutile, tranne che come possibile spuntino di mezzanotte. La creatura girò il suo volto orribile, fissandola. Nella luce spettrale riflessa dallo schermo bianco che li sovrastava, Kayla ebbe l'impressione che stesse sbavando, quasi avesse avuto l'acquolina in bocca. «Non servi... viva». «Ehi... aspetta... aspetta un momento...» KEE-AAR!? Kayla e il wendigo alzarono entrambi lo sguardo verso il foro nel tetto, attraverso cui continuavano a riversarsi torrenti di neve vorticante: appollaiato su una delle travi spezzate che sporgevano dai contorni del foro, c'era un grosso uccello, quasi completamente bianco. Oh, Dio, pensò Kayla, con un'ondata di sollievo. È Abby... mi ha trovata! «Abby! Va' a cercare aiuto!», gridò. Con un ruggito infuriato, il wendigo le sferrò un colpo. Kayla riuscì a schivarlo parzialmente in modo da non essere centrata in pieno, ma l'impatto la raggiunse comunque alla spalla con violenza tale da farla scivolare
sul pavimento e mandarla a sbattere contro la parete sottostante lo schermo. Il falco dalla coda rossa allargò le ali e si lanciò attraverso il buco, lottando contro un'improvvisa corrente che cercava di trascinarlo verso il basso. Oh, Dio, pensò Kayla mentre il rapace svaniva nella notte. Fa presto, Abby! Fa presto! Wendy non aveva ancora trovato niente che potesse far pensare anche lontanamente a un «buco nel cielo», quando vide la sagoma di un uccello bianco che lottava contro la forza violenta del vento e stava virando verso di lei. Con un impulso della volontà, fluttuò incontro al falco e nel giro di pochi secondi si trovò a librarglisi accanto, cercando di seguire come meglio poteva il volo irregolare del rapace. «Abby, l'hai trovato? Hai trovato il buco nel cielo?», chiese. KEE-AAR! «E Kayla? È viva?» Il rapace stridette ancora. «Fammi vedere!» Il falco Abby descrisse una curva di quasi 180 gradi e prese a sbattere le possenti ali per contrastare il vento di tempesta; dopo uno o due isolati, Abby scese verso il tetto del Palace, il cinema che aveva chiuso nella tarda primavera a seguito di danni strutturali e non aveva mai riaperto, ricordò Wendy. Un momento più tardi scorse il buco nel tetto del Palace. «Kayla... è laggiù? Con il wendigo?», chiese indicando, e ottenne un altro gracchiare affermativo. In un istante tutti i dettagli acquistarono significato: le «file scure» erano le poltroncine del cinema, e il «muro bianco» era lo schermo. «Abby, ascoltami. Trova Alex! Macchina verde. Grossa. Portalo qui, poi TU va' a CASA! Hai capito?» Il falco stridette nuovamente, ma questa volta nel suono ci fu qualcosa che parve a Wendy poco convincente. «Promettilo!», insisté. Il falco virò da un lato e scese a spirale per abbassarsi maggiormente al livello delle strade buie. Per la sicurezza di Abby, Wendy si augurò che la bambina mostrasse di avere un po' di buon senso e tornasse a casa dopo aver localizzato Alex. Quanto a lei, in quel momento aveva fin troppo da fare. Doveva rimanere
là, valutare la situazione e capire se Kayla stesse correndo un pericolo immediato. Devo trovare il modo di aiutarla nella mia forma astrale, si disse. Devo darle il tempo di fuggire. Suppongo che sia a questo punto che dovrei avere a portata di mano degli escrementi da scagliare contro il wendigo per confonderlo e... un momento! Confonderlo. Questo è tutto ciò che conta. Forse sarà sufficiente. Spinse lo sguardo attraverso il buco nel tetto, verso l'oscurità sottostante. La neve che vorticava sopra il tetto sembrava essere magicamente attratta verso il foro, e vi scendeva a spirale, come acqua che si riversa lungo un imbuto. Smettila di tergiversare, si ingiunse. Per prima cosa visualizzò il proprio io astrale, immaginandolo del tutto trasparente, poi lo fece sprofondare in quella fossa. In un primo momento Alex credette di avere un'allucinazione e si sfregò due volte gli occhi prima di convincersi che nel bel mezzo di quella bufera un grande uccello bianco stava svolazzando avanti e indietro davanti alla Pathfinder. «Cristo, è Abby!», esclamò poi, ricordando che uno dei compiti astrali che Wendy si era assunta era stato quello di procurarsi l'aiuto di Abby nelle ricerche per ritrovare Kayla. Wendy deve essere rimasta sul posto e ha mandato Abby perché mi guidi da lei, comprese. Dopo aver lampeggiato con gli abbaglianti per indicare ad Abby che aveva capito, lanciò un'occhiata preoccupata al corpo fisico di Wendy, accasciato in stato di trance sul sedile accanto al suo. Lei era al sicuro in forma astrale... o no? Prese quindi ad armeggiare con la radio della polizia, e per poco non la lasciò cadere quando Abby cabrò a sinistra e lui dovette effettuare una svolta improvvisa per non perderla di vista. «Sceriffo, sono Alex», disse in fretta premendo il tasto di chiamata. «Abby ha trovato qualcosa e adesso mi sta portando là. Chiamerò non appena saprò dove siamo diretti. Passo». «Abby?», esclamò la voce dello sceriffo, attraverso la radio. «Di che diavolo stai parlando, Alex?» «Del... ehm... del falco addomesticato di Wendy», rispose Alex, riluttante a rivelare sulla banda radio della polizia troppi particolari riguardo all'attuale forma fisica di Abby. «Lo ha chiamato Abby... ricorda?»
Che spiegazione del cazzo, pensò mentre lasciava andare il pulsante, e gli parve di sentire lo sceriffo che imprecava. Intanto il falco virò a destra e Alex svoltò all'incrocio. Più avanti c'era la tettoia bianca del Palace Cinema: quando il falco scese su di essa e si appollaiò sul bordo, Alex si affrettò a prendere di nuovo la radio. «Il Palace! Sono al Palace Cinema!», gracchiò in tono eccitato la voce di Alex, attraverso la radio. «Aspetta i rinforzi!», replicò lo sceriffo. «Non fare sciocchezze». Stava per chiudere la comunicazione, ma poi cambiò idea e aggiunse: «E porta Ab... porta via di là quell'uccello». Mentre parlava, lo sceriffo effettuò un'inversione a u nel centro di Main Street, perché stava andando nella direzione opposta rispetto al Palace, verso Harrison. In quel momento Bobby e Angelo si trovavano probabilmente sul lato opposto della centrale, e stavano tornando indietro anche loro dopo aver sentito quel messaggio urgente. Quando avevano lasciato il ristorante, in anticipo rispetto alla polizia, Alex e Wendy avevano promesso di chiamare non appena avessero trovato qualcosa, ma Wendy aveva trascurato di menzionare il coinvolgimento di Abby, cosa che non piaceva affatto allo sceriffo: indipendentemente dai suoi poteri di mutaforme, infatti, Abby era la sua figlia adottiva, e aveva appena dieci anni. Si costrinse poi a concentrarsi sull'utilizzo delle risorse disponibili. L'ambulanza con Lena era giù partita alla volta dell'ospedale e sarebbe poi tornata a prendere il corpo di Borkowski. Curtis sarebbe rimasto sulla scena del crimine finché il patologo legale non avesse autorizzato la rimozione del corpo e i paramedici non l'avessero portato via, poi avrebbe sigillato il ristorante con il nastro giallo, sarebbe tornato alla centrale per ritirare la sua dotazione di proiettili d'argento e si sarebbe infine unito alla caccia all'uomo... o meglio, al demone. Era inutile che cercasse di entrare nella mischia finché non avesse avuto il giusto tipo di munizioni, dato che con quelle normali sarebbe stato praticamente indifeso. Il piano era quello, per quanto poteva valere. Mentre Nottingham stava per lasciare la scena del crimine, però, era giunto sul posto un furgone della WTKN, sbucato fuori dal massiccio muro di neve per conquistarsi un'esclusiva sull'assassinio del ristorante. Le istruzioni che aveva lasciato a Curtis riguardo alla stampa erano state molto semplici, un'unica risposta per qualsiasi domanda, un semplice «no comment». Per stanotte atteniamoci alla politica dell'ostruzionismo, pensò. Entro domattina questa storia sarà finita, in un modo o nell'altro.
«Non servi... uccido... mangio», gracchiò il wendigo, distendendo le fauci in quella che voleva essere la parodia di un sorriso astuto: il risultato fu orribile, ma forse l'intento era stato proprio quello. Addossata al muro, subito sotto lo schermo, Kayla non aveva più spazio per indietreggiare. Fece scorrere lo sguardo sul grande teatro buio che, a parte le dimensioni insolite e le bizzarrie architettoniche, aveva una struttura abbastanza standard. Tre sezioni di sedili disposti a cuneo, orientati verso lo schermo e divisi da due ampi corridoi che salivano verso le porte d'uscita situate sotto una grande balconata, sorretta da una fila di eleganti colonne. I cumuli di neve che si andavano formando sulle prime file di sedili, tuttavia, aggiungevano agli arredi un che di surreale. A suo tempo Kayla aveva visto un paio di dozzine di film in quel cinema, e ne conosceva la disposizione interna bene quanto qualsiasi altro windalieno. Potrei correre verso l'uscita, pensò, ma non riuscirei mai a oltrepassare le porte, a superare il botteghino e ad attraversare l'atrio abbastanza in fretta. E poi, anche se riuscissi ad arrivare fin lì, dovrei sfondare le porte esterne per poter fuggire davvero. Per quanto potessero apparire scarse, le sue possibilità di cercare scampo attraverso la fuga erano comunque migliori di quelle che avrebbe avuto se avesse cercato di lottare. Era infatti consapevole dell'enorme divario fisico rispetto alla creatura, dato che il wendigo era più grosso, più forte e più veloce del miglior esemplare fisico che la razza umana fosse in grado di esprimere. Che possibilità di salvezza ho? si chiese cupa. Più o meno le stesse di un palloncino nell'esplosione di una fabbrica di spilli. Comunque fosse, doveva spicciarsi a fare qualcosa, se non altro per distogliere il wendigo dal suo appetito famelico. «Aspetta, aspetta, aspetta», disse, mettendo le mani avanti. «È vero, non sono stata io a chiamarti, ma lei... lei mi ha infettata con il suo sangue». Il wendigo incombeva ora su di lei, gli artigli scuri che si contraevano senza però colpire, una cosa che doveva considerare incoraggiante. «Il suo sangue...?» «Sì! Significa che io sono in grado di fare delle... delle cose che lei faceva», insisté Kayla, sperando di attirare l'interesse di quella creatura sovrannaturale, di cui ignorava la capacità percettiva e i poteri. «Ho aperto il suo posto segreto e anche il suo libro di incantesimi», continuò. Sapeva
che ci stava ricamando un po' sopra, ma quella versione era indubbiamente più suggestiva della nuda verità. Doveva continuare a temporeggiare! «Incantesimi... magia? Conosci la sua magia?» «Una parte... mi viene naturale. Deriva dal suo sangue, che è dentro di me». «Più forte qui... il potere è più forte... cade molta neve... come conservo potere?» Che mi venga un colpo se lo so, pensò Kayla. «Ok, questa... è una cosa difficile». Kayla... La creatura protese gli artigli davanti alla faccia di Kayla e annuì. «Ti faccio sanguinare... allora conservo poteri più forti?» Oh, merda, ci risiamo... gemette interiormente Kayla. «No!», esclamò. «Non è così che funziona». Kayla... ascoltami... Una voce, molto debole. «Wendy?», sussurrò Kayla. «Come fai a parlarmi?» «Allora fai vedere... adesso!» Sono in proiezione astrale... lo distrarrò... sta pronta a scappare... «D'accordo, d'accordo. Sono pronta». «Fai vedere ora! O MUORI!» «Devo essere in piedi», disse Kayla, rialzandosi con cautela. Il wendigo si tese e indietreggiò di un passo, ma rimase abbastanza vicino da poterla afferrare. Per un istante Kayla rivide con l'occhio della mente la creatura nell'atto di sbattere la testa di Wild Bill contro il bancone del ristorante, e rabbrividì. «SONO QUI, BRUTTO SCIMMIONE PELOSO!» Ringhiando, il wendigo girò le spalle a Kayla per affrontare la nuova minaccia. Un istante prima Kayla aveva visto l'immagine astrale di Wendy apparire dal lato opposto del palcoscenico; a parte il fatto che i suoi piedi fluttuavano a qualche centimetro dal pavimento, quell'immagine illusoria appariva solida e reale. «WENN-DEE!», ruggì il wendigo, credendola tale. «Ci si aspetta che tu mi uccida, batuffolo di pelo, rammenti?» «Uccidere te... sì!» «Bene... allora che stai aspettando?», lo provocò Wendy, lanciando un'occhiata significativa in direzione di Kayla. «Vuoi porre fine alla male-
dizione di Wither? Allora vieni a prendermi!» Mortificata per non aver colto al volo il suggerimento, e su un palcoscenico, per di più, Kayla prese a indietreggiare alle spalle del wendigo, sgusciando giù dal palco e lasciandosi cadere silenziosa sul pavimento coperto di moquette, per poi dirigersi di soppiatto verso l'atrio del cinema lungo il corridoio di destra. Subito dopo però si arrestò nel ricordare che c'erano delle uscite di sicurezza su entrambi i lati dello schermo; adesso le luci di emergenza erano spente, quindi le uscite non erano in evidenza, ma erano ancora là, e molto più vicine della porta a doppio battente in fondo alla sala. Una rapida occhiata al palcoscenico le rivelò che il wendigo stava avanzando verso Wendy con evidente cautela. Teme la sua magia o è insospettito dalla sua sicurezza? si chiese. Senza fare il minimo rumore, si diresse verso la porta d'acciaio a lato del palco e premette sul maniglione antipanico: la barra di metallo cigolò... e si bloccò con un tintinnio di catenacci. Oh, cazzo! Deve aver sentito tutto questo chiasso, gemette interiormente mentre si girava e spiccava la corsa lungo il corridoio di destra, lanciando un'altra occhiata al palcoscenico. Il wendigo si stava lanciando contro la forma astrale di Wendy menando all'impazzata colpi di artigli, una serie di attacchi furiosi che passarono attraverso l'immagine astrale senza recare danno, anche se questa tremolò dopo ogni violento impatto. Purtroppo nella furia degli assalti il wendigo girò la testa quel tanto che gli fu sufficiente a vedere Kayla che stava correndo verso l'uscita. «Corpo fantasma! TRUCCO!», ringhiò. «UCCIDO finta strega...» Il pavimento tremò sotto i piedi di Kayla quando la creatura saltò giù dal palco, e continuò a tremare a ogni passo pesante che mosse per accorciare la distanza che li separava. Senza perdere altro tempo a guardarsi ancora alle spalle, Kayla si lanciò verso la porta d'uscita, afferrò la maniglia più vicina, la tirò e... La porta le venne strappata di mano con uno stridio di protesta dei cardini e uno schianto di legno fracassato. Incespicando, si ritrovò nel lungo atrio, lottò per recuperare l'equilibrio e si rimise a correre. Davanti a sé vide Alex scendere dalla Pathfinder di Wendy e precipitarsi verso i battenti di vetro della porta d'ingresso. Un momento più tardi, anche lui la vide corrergli incontro a precipizio, e sgranò gli occhi nel mettere a fuoco ciò che la stava tallonando da presso.
Con i capelli dritti sulla nuca, Kayla oltrepassò le vetrine vuote del banco del bar, sulla sua destra, e la porta della cabina di proiezione, sulla sinistra. Davanti a lei, Alex assestò uno strattone ai battenti di vetro, facendo sferragliare la serratura a cui erano state aggiunte anche delle catene con un lucchetto, poi cominciò a prendere a calci il pannello inferiore con il piede calzato di stivale; al secondo colpo, il pannello di vetro cominciò a creparsi, ma era troppo poco, e troppo tardi. Kayla riuscì ad arrivare fino alla porta del bagno prima che il wendigo la raggiungesse. Le lunghe braccia possenti del mostro le si chiusero intorno alla vita e lui la sollevò in aria senza difficoltà. «Bastardo, fottuto figlio di PUTTANA!», gridò Kayla. «LASCIAMI!» Come se avesse avuto a disposizione tutto il tempo del mondo, il wendigo si girò e riattraversò con passo pesante la porta danneggiata, tornando nel teatro buio. Quando furono a metà strada dal palcoscenico, Kayla sentì il frastuono, quasi un'esplosione, del vetro che s'infrangeva. Ancora una volta, troppo poco e troppo tardi. La forma astrale di Wendy era svanita, ma del resto anche se fosse rimasta, il wendigo non si sarebbe lasciato ingannare due volte dallo stesso trucco. Non è divertente stare a guardare la propria amica che viene divorata viva, pensò Kayla. Non posso biasimarla se ha tagliato la corda prima che la parte sanguinosa dello spettacolo avesse inizio. Quasi a sottolineare la futilità del suo tentativo di fuga, il wendigo la gettò di nuovo sul palcoscenico e tornò a saltare su di esso, accanto a lei. Eccoci di nuovo al punto di partenza, pensò Kayla disperata. «Ora versi sangue per trucco... finta strega». Un singolo artiglio saettò lungo la faccia di Kayla, lacerandole la guancia dall'orecchio all'anellino che le attraversava il naso. Sussultò per l'improvviso dolore bruciante e si premette la mano sulla guancia, ma il wendigo le afferrò il polso e mise a nudo la ferita. «Sangue umano», disse. «Sangue rosso... niente potere... ragazza faccia di metallo...» Faccia di metallo...? Kayla si rese conto che gli strani occhi gialli le stavano fissando il lato destro della faccia, in particolare la scintillante barretta di acciaio del piercing all'estremità del sopracciglio, e si sentì assalire dal panico. No! Non...! La creatura pinzò la barretta fra due artigli appuntiti e gliela strappò via.
L'urlo di Kayla echeggiò per il cinema diroccato. La mia forma astrale è un trucco che può funzionare una volta sola, pensò amaramente Wendy. Adesso che il wendigo si era reso conto che quella che stava cercando di sventrare era una forma priva di corpo, non poteva più aiutare Kayla in quel modo. Mentre l'amica correva lungo il corridoio, inseguita dalla creatura, Wendy sfrecciò dall'altro lato della sala, attraversò il tetto e scese lungo la tettoia fino a rientrare nella Pathfinder e a ricongiungersi al suo corpo fisico, che si ridestò con un sussulto. Contrastando la pressione della forza di gravità, aprì la portiera nel momento in cui Alex cominciava a prendere a calci la porta d'ingresso. Non solo i battenti erano chiusi a chiave, ma per buona misura una catena con lucchetto passava intorno a ciascuna delle maniglie. Avendo tempo a disposizione, probabilmente Wendy sarebbe riuscita a forzare quelle serrature con la magia, ma in quella situazione preferì ricorrere al suo nuovo trucco con la sfera, creando sporgenze nella sua superficie e facendola ruotare tanto in fretta che, se fosse stata visibile, sarebbe risultata una macchia indistinta. Ordinando ad Alex di tirarsi da parte, si fece avanti e investì la porta con la sfera protettiva ruotante: il vetro s'infranse all'istante, innaffiando di schegge tutto l'atrio tappezzato di moquette rossa. «Non potevo sparare alla serratura», spiegò Alex, che stringeva sotto il braccio il bastone-spada. «Avrei sprecato i proiettili d'argento». «Andiamo dentro». «Lo sceriffo ha detto di aspettarlo». «Se aspettiamo», disse Wendy, «Kayla morirà». «Hai ragione», convenne Alex, e si abbassò per oltrepassare la porta fracassata. Wendy lo seguì, e mentre correvano lungo l'atrio sentirono Kayla urlare. L'istante successivo oltrepassarono la porta interna e si addentrarono nella fitta oscurità della sala, dove Wendy intravide il wendigo che incombeva sulla forma raggomitolata di Kayla: l'amica si teneva una mano premuta sulla fronte e aveva il lato destro della faccia coperto di sangue. Sembrava che il wendigo fosse intento a strapparle qualcosa dalla faccia con gli artigli. Oh, Dio! pensò Wendy. Le sta strappando via i piercing! «Alex, quanto sei bravo a sparare?», sussurrò. «Non abbastanza», mormorò lui di rimando. «Da qui, potrei colpire Kayla».
«Quella cosa vuole soprattutto uccidere me. Mi porterò sull'altro lato del cinema e l'attirerò lontano da Kayla». «È questo il tuo piano?» «Quando verrà verso di me, sparagli», continuò Wendy. «E... cerca di non mancarlo, d'accordo?» «Prendi questo», suggerì Alex, porgendole il bastone-spada. «Giusto nel caso che la magia non basti. Non discutere. Ho bisogno di arrivare più vicino, quindi aspetta che sia in posizione. Ora va'!» Preso il bastone, Wendy ne infilò la punta in uno dei passanti dei jeans, appoggiando il palmo sulla testa di gargoyle per tenere la lama contro la gamba, poi si avviò lungo una fila di poltroncine, fino a raggiungere il corridoio opposto. Tenendosi basso, Alex si diresse intanto verso il davanti della sala percorrendo l'altro corridoio. Wendy attese che si fermasse accanto alla sezione centrale, dietro la terza fila di poltrone, e che le rivolgesse un cenno di assenso, poi trasse un profondo respiro e si alzò in piedi, portandosi allo scoperto e cominciando a percorrere il lungo tratto di corridoio che la separava dal davanti del teatro. «Ehi, wendigo, sono qui!», chiamò. La creatura le lanciò un'occhiata da sopra la spalla, gli occhi gialli che ardevano d'ira. «Stesso trucco», ringhiò in tono disgustato. «Niente trucchi, questa volta», ribatté Wendy, con voce permeata di una calma notevole, se si considerava che era terrorizzata. Arrestandosi, si sfilò il bastone dalla cintura e lo batté contro lo schienale della poltrona più vicina, aggiungendo «È solido. Sono proprio io. Carne fresca». Intanto Kayla si era ritratta di qualche centimetro dalla creatura, ma era ancora alla portata di quelle braccia così lunghe. Il sangue, diluito dalle lacrime, le brillava su una guancia, e la ragazza stava quasi ansimando per il terrore. Il wendigo contraeva gli artigli smanioso, ma non stava abboccando all'esca. Per attirarlo lontano da Kayla, Wendy avrebbe dovuto farsi più vicina, abbastanza perché lui potesse cercare di afferrarla, quindi riprese a camminare verso la parte anteriore del teatro. Il wendigo calò una mano sul fianco di Kayla, strappandole un sussulto, ma continuò a tenere gli occhi ambrati fissi su Wendy. «Sono io quella che vuoi», insisté lei, fermandosi sull'angolo di destra della sezione centrale di posti, vicino alla prima fila. «Uccidimi, e la maledizione finirà. Sarai di nuovo libero di andartene in giro a tuo piacimento». «Uccido... ENTRAMBE!»
«NO! Se la uccidi, volerò via... in un posto tropicale, sotto un sole cocente», minacciò Wendy continuando a parlare per impedire che la creatura si accorgesse di Alex che, dall'altro lato del teatro, si stava alzando in piedi e lasciava il riparo offerto dalle poltrone per prendere accuratamente la mira. «Senti, quanto spesso ti capita che la cena ti si offra spontaneamente?», insisté Wendy, distante ormai meno di tre metri dal demone, portando la mano sinistra al pendente di cristallo. «Sono qui, sono calda e appetitosa. Avanti, vieni a prendermi». Il wendigo si spostò leggermente verso di lei e abbandonò la posizione accucciata, ritraendo la mano piazzata possessivamente addosso a Kayla. «E poi, non ti conviene mangiarla», aggiunse Wendy. «Tutti quei pezzi di metallo ti scheggerebbero i denti. Andiamo, prendi me, invece, e lascia che lei vada». Kayla colse l'enfasi di quel «vada», e stavolta fu pronta a cogliere l'invito, saltando giù dal palcoscenico e imboccando il corridoio al centro del quale Alex aveva assunto una posa da tiratore. La fuga improvvisa attirò l'attenzione del wendigo che, troppo tardi, si girò nella sua direzione, individuandola proprio nel momento in cui oltrepassava Alex che, contemporaneamente, faceva esplodere un colpo. BLAM! Il wendigo ruggì allorché un solco giallo, seppur superficiale, gli apparve sul braccio destro. Intanto Kayla sgusciò attraverso la porta scardinata, e Wendy provò un moto di sollievo, destinato a essere soltanto temporaneo. Invece di scagliarsi contro Alex, che era armato di pistola, il wendigo si lanciò infatti giù dal palcoscenico verso di lei, un brusco cambiamento di direzione che fece andare a vuoto il secondo colpo di Alex, mandando la pallottola ad aprire un lungo strappo nello schermo bianco. Wendy aveva già cominciato a indietreggiare dopo il primo sparo, non volendo trovarsi alla portata del wendigo infuriato, e quando la creatura saltò giù dal palcoscenico, si affrettò a premere il pulsante che faceva scattare il congegno del bastone, liberando la corta spada. Anche stringendo in mano quell'arma d'argento, però, l'idea di cercare di infilzare una creatura con le braccia lunghe abbastanza da poter abbattere un aereo a bassa quota, non la entusiasmava particolarmente; alzò quindi di nuovo la sfera protettiva prima di avvicinarsi al palcoscenico. Badando a tenere Wendy fuori dalla linea di tiro, Alex aggirò la prima fila di poltrone e si avvicinò alla creatura, che però intuì la manovra e strappò un bracciolo alla poltrona più vicina, scagliandoglielo contro la te-
sta con forza letale. Alex lo riuscì a schivare, ma il proiettile improvvisato lo raggiunse comunque alla spalla, facendolo barcollare. «Ho alzato la sfera, Alex! Spara!» Il wendigo si lanciò verso Wendy e investì la sfera protettiva con tutta la sua considerevole forza, mandandola a sbattere contro la prima fila di poltrone con un impatto che schiantò parecchi sedili. All'interno della sfera, Wendy rimase illesa, anche se disorientata, e notandone lo stordimento, Alex esitò a mettere alla prova l'impenetrabilità della sfera, dato che era soltanto la focalizzazione di Wendy a mantenerne l'integrità. «Alex! Spara!» Con una smorfia di concentrazione, prese accuratamente la mira e fece fuoco... La pallottola centrò la creatura alla coscia, strappandole un ruggito di dolore, ma senza riuscire a distoglierla dalla preda; protese invece entrambe le mani e affondò gli artigli nella superficie della sfera, lottando contro lo strato di resistenza originato dalla magia. Wendy dubitava che la creatura avrebbe potuto aprirsi un varco attraverso quella barriera finché lei fosse rimasta focalizzata, e adesso che Alex non stava più correndo pericoli immediati, mantenere la concentrazione non sarebbe stato un problema. «Magia...», gracchiò il wendigo, schizzando lo schermo con dense gocce di bava. «Mangio... magia... rende più forte». Wendy si accigliò. Mangiare la magia? Che diavolo stava blaterando? Era un carnivoro, un divoratore di carne cruda, non un... mangiatore di magia, sempre che esistesse un termine di quel tipo. La sfera era incastrata fra i sedili fracassati e gli artigli del wendigo, in uno spazio così ridotto da rendere inutile il tentativo di ricorrere alla tecnica di rotazione; provò allora a colpire con gli pseudopodi, come fossero pugni di energia, ma il wendigo si limitò a grugnire e a incassare i colpi stringendo i denti. Intanto stava accadendo qualcosa di strano: il sudore le imperlava la fronte e, anche se forse poteva essere frutto della sua immaginazione, le sembrava che la sfera si fosse come contratta, diventando leggermente più piccola. E che gli artigli del wendigo, le fauci grondanti bava, si fossero fatti più vicini. D'un tratto ricordò qualcosa che la Vecchia aveva detto riguardo alla sfera protettiva, un pensiero che era però rimasto incompleto perché in quel momento lei stava già svanendo. «Più versatile... non vulnerabile a...» La sfera era vulnerabile a... cosa?
Oh, Dio, è vero, pensò allarmata. Il wendigo sta assorbendo la mia energia magica! Bobby raggiunse il Palace Cinema prima dello sceriffo e di Angelo. Nonostante la temperatura gelida, continuava a sudare, e scendendo dalla macchina della polizia sentì braccia e gambe tremargli. Sollevando una mano a grattarsi la faccia, notò che la pelle appariva al tatto ruvida come quella di un animale e quasi insensibile, ma si disse che avrebbe pensato a curarsi più tardi, una volta che Kayla fosse stata in salvo. La Pathfinder verde era rivolta verso il marciapiede, quasi a spina di pesce, e stranamente c'era un falco bianco appollaiato sulla tettoia del cinema. Quasi si fosse reso conto che lui lo stava guardando, il falco lanciò un verso e spiccò il volo nella notte tempestosa, girando in cerchio intorno al tetto del cinema. Alla radio avevano detto qualcosa riguardo a quel falco, ma Bobby non riuscì a ricordare di cosa si fosse trattato, perché concentrarsi gli riusciva difficile. Chinandosi per oltrepassare la porta di vetro infranta, avanzò nell'atrio buio con la pistola spianata. Con i capelli blu che apparivano quasi iridescenti nella scarsa luce, Kayla emerse incespicando dalla porta interna del cinema e passò nell'atrio, una mano premuta sulla guancia coperta di sangue. A quella vista Bobby si sentì assalire da una furia improvvisa, dal desiderio di uccidere il responsabile di quello scempio. «Bobby! Oh, Dio... oh, Dio, sei qui! Devi aiutarli!», gridò Kayla, correndogli fra le braccia e assaporandone la stretta intensa. «È nel cinema! Con Alex e Wendy... loro mi hanno salvata, ma non potevo...» «Prima... devo portarti fuori di qui», dichiarò Bobby, con voce resa aspra dall'emozione, poi ripose la pistola nella fondina e afferrò Kayla per le braccia, aggiungendo: «A... all'ospedale». «Prima aiuta loro!», ribatté Kayla, sussultando sotto la sua stretta. «Mi stai facendo male!» Bobby scosse il capo: Kayla non capiva, doveva farle capire. «Devo uccidere quella cosa adesso... è già fuggita prima...» Gli occhi gli bruciavano e pulsavano nelle orbite, i denti gli dolevano. Contrasse la mascella fino a sentirla scricchiolare. «Devo uccidere...» «Bobby... che ti sta succedendo?», domandò Kayla, il volto di nuovo una maschera di terrore. «I tuoi occhi... stanno brillando... sono gialli». «Sto male... sto soltanto male», ribatté lui, deglutendo a fatica. «Più tardi andrò... io... mi stai confondendo!», gridò, scuotendola con forza, e sfogare
anche solo quella minima parte della furia che lo pervadeva gli diede sollievo. Voleva abbandonarsi al desiderio intenso di fare del male e di... uccidere. «Lasciami andare!», protestò Kayla, puntellandogli le mani contro la vita e cercando di respingerlo, poi abbassò lo sguardo sulle dita che le serravano le braccia. «Oh, Cristo, Bobby... le tue mani! Hai del pelo sulle mani!» Bobby si fissò le mani, fissò i ciuffi di pelo bianco che erano spuntati sulla pelle sempre più ruvida. «No!», urlò, inveendo contro di lei come se fosse sua la colpa, e la respinse con tanta forza da farla barcollare attraverso l'atrio. Cedere all'ira era inebriante, liberatorio, come bere un bicchierino di scotch. «Cosa... cosa mi sta succedendo...», si chiese, passandosi le mani sulla faccia e sentendo del pelo spuntar fuori anche lì, sotto le basette e lungo la mascella. E le unghie si erano scurite, sembravano artigli di un animale. «Che sta succedendo?», urlò, avanzando verso Kayla con i pugni tremanti stretti lungo i fianchi. «Hai detto che la creatura è già sfuggita una volta, Bobby», replicò Kayla. «Tu hai visto il wendigo, vero? Ti... ti ha morso?» Lui si tolse rabbiosamente la giacca di cuoio e strappò la camicia per aprirla, esponendo le ferite causate dai denti. Là, la pelle era più che mai ruvida, e coperta di spesso pelo bianco. «Mi ha fatto... cosa sto diventando?» «Sei stato infettato», annuì Kayla, gli occhi colmi di lacrime. «Quale... qual è...» Bobby stava lottando per trovare le parole, lottando contro la rabbia che gli ribolliva in ogni angolo della mente, diffondendosi come una tossina. «Qual è... la cura?» Sapendo la verità, Kayla scoppiò in singhiozzi. Intanto era indietreggiata fino alla parete, addossata alla porta della cabina di proiezione, e adesso si lasciò scivolare a terra, sconfitta. La maniglia d'ottone della porta scintillava appena sopra la sua testa. Tremante per la confusione e la rabbia, Bobby la sovrastò. «Bobby... non c'è cura». Lui sferrò un pugno contro la porta, scheggiando il legno. «No! Un mostro del cazzo... non lo accetto! No, no, NO!», gridò estraendo la pistola e puntandosela sotto il mento. «Piuttosto mi ammazzo». Kayla gemette, le ginocchia ritratte contro il petto, le mani chiuse a pugno premute contro la faccia; in una di esse c'era qualcosa di rotondo e di
metallico che aveva un aspetto familiare, ma Bobby non riuscì a metterlo a fuoco a causa delle ondate di rabbia e di nausea. In qualche modo gli sembrava che fosse tutta colpa di Kayla, era lei la causa, lei a dirgli che quella... quella cosa lo aveva infettato! Lei la responsabile dell'odio, della furia, il motivo per cui voleva... aveva bisogno di uccidere... Ma non se stesso. No... Gettò via la pistola, che atterrò con un tonfo sordo e scivolò poco lontano sulla moquette rossa. Kayla lo stava fissando con gli occhi sgranati. Poteva quasi sentire l'odore della sua paura, poteva quasi assaporarla. E quel sangue fresco che le brillava sulla guancia... il suo odore! Si leccò le labbra. «Bobby?», mormorò Kayla con un filo di voce. «Bobby?», mormorò Kayla. La fronte le pulsava per il dolore, continuando a sanguinare mentre sedeva raggomitolata, con le ginocchia premute contro il petto nel tentativo di fare di se stessa un bersaglio il più piccolo possibile. Teneva le mani strette a pugno premute contro le guance, e avvertiva contro la destra il calore del sangue, mentre il freddo contatto del metallo stretto nella sinistra costituiva un piccolo conforto, un brandello di speranza. «Bobby, non...», cominciò, ma sapeva che era troppo tardi, che ormai era troppo cambiato, perché poteva scorgergli negli occhi una sete di sangue non umana: era stato morso dal wendigo, e adesso era completamente posseduto dal suo spirito malvagio, non era più Bobby, non gli importava più di proteggerla... e pensare che era arrivata quasi a risentirsi della sua premura... non gli importava più di lei, punto e basta. Adesso ai suoi occhi lei apparteneva a una specie diversa, era solo carne. Sono sfuggita a un mostro per finire fra le braccia di un altro, pensò con amarezza. Più sfiga di così...! Con un ringhio inumano Bobby protese di scatto il braccio destro e le serrò la mano intorno alla gola, sbattendole la testa contro la porta. «Cagna! Sei stata tu a farmi questo!», gracchiò, ormai del tutto irrazionale, il volto una maschera di furia indirizzata contro il bersaglio sbagliato. A ogni momento che passava, nuovi ciuffi di pelo bianco gli spuntavano sulle guance, circondando quegli spettrali occhi gialli. Le mani di Kayla si contrassero, armeggiando con il cerchio di metallo. «Bobby!», gridò lo sceriffo dalla porta del cinema. «Lasciala andare!» Pur continuando a stringerle con forza la gola, Bobby girò la testa per fissare con occhi roventi gli intrusi, lo sceriffo Nottingham e Angelo An-
tonelli, e quello fu per Kayla l'unico barlume di speranza, la sola distrazione di cui aveva bisogno. In un istante, passò l'anello d'acciaio intorno al polso di Bobby, gli strattonò il braccio verso l'alto e richiuse l'altro anello intorno alla maniglia rettangolare della porta. Gli scatti metallici attirarono l'attenzione di Bobby: il suo sguardo rabbioso saettò verso il polso, ammanettato alla porta, ed emise un ruggito di frustrazione. In precedenza, mentre la teneva per le braccia e la scuoteva, era stato così sconvolto da non accorgersi che gli aveva sfilato le manette dalla cintura. Adesso la spinse lontano da sé, abbandonando la presa alla gola per strattonare il braccio avanti e indietro, scrollando le manette che cingevano la maniglia; per quanto sprangata, la porta prese a tremare sui cardini. «È posseduto!», urlò Kayla, rotolandosi lontano da Bobby. Lui scattò per afferrarla con la sinistra, ma pur finendo quasi per slogarsi il braccio destro, non riuscì a raggiungerla. Attraversato in fretta l'atrio, Kayla raccolse la pistola che lui aveva gettato via e lo prese di mira. Considerata la sua forza inumana, avrebbe potuto finire per strappare la maniglia d'ottone dalla porta, ma finché questo non fosse successo, niente l'avrebbe indotta a premere il grilletto. Qualcun altro avrebbe dovuto finire l'opera per lei. Lo sceriffo e Angelo presero posizione al suo fianco, tenendosi alla larga da Bobby che continuava a urlare e a scalciare, furente per essere stato incatenato. Nel suo interesse, Kayla pregò che continuasse a essere vittima di quella furia irrazionale, perché finché la bestia fosse rimasta dominante, la parte umana del suo animo non avrebbe potuto soffermarsi a riflettere sul problema della serratura, o riuscire a risolverlo ricorrendo alla chiave. Incatenato o meno, si disse, se allungherà la mano verso la chiave gli dovrò sparare. «È stato morso dal wendigo?», chiese Nottingham, e Kayla annuì, senza preoccuparsi di asciugare le lacrime che le solcavano la guancia non insanguinata. «Non c'è cura», aggiunse; non era una domanda, e mentre Kayla si limitava ad annuire di nuovo, non fidandosi di parlare, domandò ancora: «Alex e Wendy?» «Dentro», disse Kayla. «Hanno bisogno di aiuto». «Riesci a cavartela, qui?» «So come usarla», ribatté Kayla, accennando con aria cupa alla pistola. Lanciando un'ultima occhiata dolente in direzione di Bobby, lo sceriffo fece segno ad Angelo di seguirlo e si affrettarono entrambi verso la sala... proprio mentre echeggiava un altro sparo.
La faccia ringhiante del wendigo era abbastanza vicina perché Wendy potesse vedere le gocce di sangue umano secco che gli chiazzavano le labbra scure e il mento peloso; gli artigli affilati erano sempre più prossimi a chiuderlesi intorno, a mano a mano che la sfera protettiva continuava a contrarsi con velocità allarmante. All'epoca in cui aveva cominciato a evocare quelle sfere, il loro diametro era stato limitato, e soltanto dopo mesi di pratica era stata in grado di dar vita a sfere più grandi, e perfino di modellarne a piacimento alcune porzioni, a seconda delle necessità, ma adesso aveva bisogno di una concentrazione assoluta semplicemente per impedire che la sfera si afflosciasse. La cosa peggiore era però che il potere del wendigo andava aumentando in modo direttamente proporzionale al suo indebolirsi. Il vento penetrava ululante attraverso il buco nel soffitto, sparpagliando i cumuli di neve e generando qua e là piccoli vortici; su entrambi i lati rispetto a Wendy, un sottile strato di ghiaccio rivestiva le poltroncine scardinate e lei non sudava più per lo sforzo, stava anzi tremando per il freddo, battendo i denti: il wendigo non stava soltanto assorbendo la sua magia, a quanto pareva stava anche sottraendo calore al suo corpo. Lo scorrere del flusso magico si era invertito, ed era impotente di fronte a quel fenomeno. Per quanto si sforzasse di attirare energia magica nel proprio corpo e di utilizzarla, il wendigo prontamente gliela sottraeva, impoverendola sempre più di riserve magiche e di forze fisiche a ogni momento che passava. Non potrò resistere molto a lungo, si rese conto. Intuendo le sue difficoltà, Alex si lanciò in avanti con il respiro che gli si congelava davanti alla faccia, la pistola spianata e impugnata a due mani cercando una buona angolazione per un colpo a bruciapelo. A questo punto, Wendy non era più certa che lo schermo magico fosse a prova di proiettile, e il dubbio portava a una visualizzazione difettosa, il che equivaleva a un fallimento. BLAM! Wendy sussultò, ma non tanto quanto il wendigo, cui era stato asportato un pezzo di spalla. Con un feroce ruggito, serrò le braccia intorno alla sfera sempre più contratta e cercò di lacerare con i denti la barriera di energia. Wendy urlò, ma la sfera tenne. Intanto Alex superò lo spazio che ancora lo separava dal wendigo, facendosi pericolosamente vicino. «Alex... NO!» Troppo tardi. Alex mosse l'ultimo passo e premette la canna nera della
Glock 23 contro la tempia destra della creatura. «Muori, stronzo!», urlò... poi premette il grilletto e... CLICK! Il percussore ricadde a vuoto. Il caricatore era esaurito. Frenetico, Alex premette ripetutamente il grilletto. CLICK! CLICK! CLICK! Era rimasto senza pallottole d'argento, e lo stocco placcato in argento era intrappolato insieme a Wendy dentro... Levò alta la pistola nel disperato tentativo di usarla per percuotere il wendigo, ma una mano artigliata gli afferrò il polso e impresse una violenta torsione, spezzandone l'osso; mentre Alex annaspava per il dolore, la creatura gli assestò uno strattone, tenendolo sempre per il polso danneggiato, e con uno scatto in avanti, come se stesse schioccando una frusta, lo scaraventò contro il fronte del palcoscenico, dove si accasciò in un mucchio inerte. Dal momento che stava per perdere definitivamente la sfera protettiva, Wendy decise di non aspettare: afferrata con entrambe le mani l'impugnatura della spada, lasciò dissolvere lo schermo, assorbendo dentro di sé l'energia rimanente. Il peso del wendigo era appoggiato contro la sfera magica, in quanto la creatura stava esercitando pressione su di essa, in una sorta di tiro alla fune invertito; quando Wendy dissolse la barriera di energia, eliminando quel supporto, il wendigo le rovinò addosso, e lei sfruttò le energie appena incamerate per sferrare contemporaneamente un affondo con la lama placcata in argento. Il suo stesso peso giocò a sfavore della creatura, facendo sì che l'arma le penetrasse sotto le costole, conficcandosi nel corpo fino al manico in foggia di gargoyle. Accaddero parecchie cose contemporaneamente. Non più sorretta dal suo stesso scudo, Wendy cadde in mezzo ai rottami delle poltrone: un pezzo le sbatté contro la testa, lasciandola stordita, mentre un altro le si piantò nel fianco e una sporgenza di metallo contorto le aprì il braccio dal polso al gomito. Le sedie fatte a pezzi le fornivano però una sorta di piccolo riparo per la parte superiore del corpo, in quanto la mole del wendigo, che le era crollato addosso, era puntellata dalle poltrone ancora intatte a pochi centimetri di distanza. Questo le risparmiò il pieno impatto del suo peso, anche se non la sua ira. Ruggendo per il dolore, la creatura accennò a sollevarsi per usare gli artigli affilati e sventrarla mentre lei giaceva abbandonata, troppo stordita per riuscire a muoversi. Quella ferita potrebbe risultargli fatale, pensò amaramente Wendy, ma non abbastanza in fretta.
Temendo il peggio, Alex e Nottingham arrivarono di corsa, gridando entrambi il suo nome. E al di sopra della testa spaventosa del wendigo, Wendy vide muoversi qualcosa di bianco... ampie ali candide che sferzavano l'aria carica di neve. «Abby, no...», mormorò. Due spari echeggiarono in rapida successione, troppo ravvicinati per poter provenire dalla stessa pistola, e due chiazze gialle apparvero sulla pelliccia del wendigo, una sul petto e l'altra sul fianco destro. Abby però si era lanciata all'attacco un momento prima degli spari. Temendo che Wendy stesse correndo un pericolo immediato, il falco scese in picchiata dal livello della balconata, puntando contro la testa del wendigo con gli artigli protesi nell'intento di devastare quei roventi occhi gialli. Barcollando all'indietro per il dolore causato dai due proiettili d'argento, la creatura assisté all'attacco di Abby, una minaccia che costituiva poco più di una seccatura. Adesso il wendigo era infuriato, molto infuriato. «Abby... NO!», urlò lo sceriffo, e subito aggiunse, rivolto al suo vice: «Non sparare!» Abby volò fino a pochi centimetri dalla faccia della creatura, poi un colpo di artigli le spezzò l'ala, in alto, vicino alla spalla. Il falco si rovesciò su se stesso a mezz'aria, lottando con una sola ala per raddrizzare il corpo non più equilibrato, e dopo un'irregolare discesa a spirale si ritrovò al suolo, dove giacque contorcendosi quasi impotente ai piedi del wendigo. Con un ringhio feroce, il mostro sollevò un piede con l'intento di schiacciare a morte l'uccello ferito. Non appena Abby era stata colpita, lo sceriffo aveva spiccato la corsa verso il wendigo, esitando a sparare mentre lei svolazzava al suolo, nel timore di colpirla. Quando il wendigo sollevò il piede per schiacciarla, Nottingham aprì il fuoco, avvicinandosi a ogni colpo devastante che partiva dalla sua pistola. La creatura indietreggiò barcollando di un paio di passi, il che fu sufficiente a permettere allo sceriffo di insinuarsi tra lei e la forma inerte di Abby. La sua ultima pallottola aveva strappato via la parte inferiore della mascella del wendigo, e ormai si trovava troppo vicino per ritirarsi. Dando l'impressione di sapere cosa stava per succedere, guardò verso Alex. «Portala via di qui!», gridò. Rialzatosi in piedi, Alex sfrecciò dietro di lui e raccolse il falco ferito nel cavo del braccio sano, mentre Angelo lo superava di corsa per dirigersi verso lo sceriffo, lanciando intanto un'occhiata perplessa al volatile. In
primissima fila, Wendy era nella posizione peggiore, e fu costretta a restare a guardare sgomenta mentre il wendigo afferrava la testa dello sceriffo fra le massicce mani artigliate. Si concentrò disperatamente per cercare di attingere calore al fine di materializzare sfere di fuoco da scagliare contro la creatura, per incendiarne il pelo folto e arruffato, per distrarla, per salvare... troppo tardi! Gli artigli scuri affondarono nelle guance dello sceriffo, facendone sprizzare il sangue e schiacciandogli lentamente la faccia. Nottingham ebbe però il tempo di afferrare l'impugnatura della spada che sporgeva dall'addome della creatura e di estrarla con uno strattone che provocò un altro urlo di dolore e di rabbia da parte del wendigo. A quel punto, la creatura dovette decidere di averne abbastanza, perché una mano si chiuse intorno al mento dello sceriffo e l'altra si spostò ad afferrargli la nuca. «Lascialo andare! ADESSO!», gridò Angelo. «Non cercare di convincerlo!», urlò lo sceriffo. «Spara a questo figlio di puttana!» Nel frattempo impugnò la spada con entrambe le mani e ne premette la punta sotto la mascella distrutta della creatura. In un singolo, agonizzante momento, spinse verso l'alto la spada placcata d'argento attraverso il palato del demone e nel suo cervello, e intanto il wendigo impresse alla sua testa una violenta torsione in senso orario, spezzandogli la colonna vertebrale con uno scricchiolio nauseante. Angelo svuotò il caricatore, mandando tre delle sue ultime cinque pallottole a conficcarsi nella faccia del wendigo, dove crearono un'esplosione di sangue giallo, cartilagine e ossa. Il corpo dello sceriffo Nottingham scivolò al suolo e si accasciò da un lato, e intanto il wendigo, spinto dall'impatto delle pallottole, indietreggiò di tre passi e crollò all'indietro con uno schianto assordante. Un momento più tardi, il vento si placò e la neve smise di cadere. Con il braccio destro sanguinante e la testa che era una pulsante cacofonia di dolore, Wendy strisciò fuori dal groviglio di poltrone devastate. Nulla di tutto questo aveva però importanza, in quel momento. Barcollando, raggiunse il corpo dello sceriffo, gli s'inginocchiò accanto mentre Angelo si protendeva a sorreggerla per un gomito, e lo girò supino. Fissando quegli occhi privi di vita, cominciò a piangere, e dopo un momento allungò una mano ad abbassare le palpebre del cadavere. La sua magia era in grado di risanare delle lesioni, ma non aveva risposte di fronte alla morte. Dall'atrio giunse uno schianto che la indusse a fissare il tozzo vicescerif-
fo con espressione allarmata. «È Bobby», spiegò Angelo. «Si sta trasformando in una di quelle creature». Si stavano tenendo tutti a distanza da Bobby, o da ciò che lui era diventato. Curtis Johnson, il vice di colore, era appena arrivato ed era fermo con la pistola in pugno accanto ad Alex, che aveva adagiato il falco dalla coda rossa sul banco vuoto del bar, dove l'animale si dibatteva emettendo versi di sofferenza. A gambe larghe, la pistola impugnata a due mani e puntata su Bobby, Kayla stava attenta a tenersi fuori dalla sua portata, anche se intanto lui era prossimo a liberarsi. Ammanettato alla maniglia della porta, stava strattonando violentemente il battente avanti indietro, tanto che un cardine aveva già infranto il legno, staccandosi dallo stipite. «Se si libera, dovremo abbatterlo», osservò Curtis. «Lo so», rispose Kayla, la voce rotta da un conflitto di emozioni. Wendy fu sconvolta dai cambiamenti che si erano verificati in Bobby: ciuffi di pelo bianco gli coprivano la faccia e le mani, gli occhi pulsanti erano di un colore giallastro e i canini si erano allungati, dandogli l'aspetto di un vampiro. Fermo dietro di lei, Angelo stava ricaricando la pistola con proiettili d'ordinanza, chiedendosi senza dubbio se avrebbero avuto qualche effetto su quel nuovo, demoniaco Bobby McKay. «Sei certa che non ci sia una cura?», chiese a Wendy. Lei annuì, un gesto lento, riluttante. Dubitava che la sua magia potesse curare la possessione derivante dal morso del wendigo, anche ammesso che fosse riuscita ad avvicinarsi abbastanza da effettuare un tentativo, considerato che Bobby avrebbe ucciso chiunque fosse stato tanto sciocco da avvicinarsi alla sua portata. Forse, se avessimo delle frecce anestetiche... pensò. Se riuscissimo ad addormentarlo, potrei provare a risanarlo. «Che possiamo fare?», domandò Angelo. «C'è un solo modo per porre fine...», cominciò Wendy con voce opaca, prosciugata di ogni emozione. «Cosa?» «Dobbiamo... dobbiamo ucciderlo, smembrare il corpo e bruciarne i pezzi». Bobby ruggì, strattonando avanti e indietro la porta, percuotendo con i pugni i pannelli di legno, spinto dal disperato bisogno di liberarsi e di sca-
tenare la propria furia su qualcuno, su chiunque, perfino sulla donna che amava. Kayla aveva il volto che era una maschera di sangue secco solcata di lacrime, le labbra tremanti. «Oh, Dio, Bobby, mi dispiace tanto. Mi dispiace...» Sa che dovrà ucciderlo, pensò Wendy. E se non lei, uno di noi. Eppure ci deve essere qualcosa, qualsiasi cosa... maledizione! «Lo sceriffo aveva pensato che potesse succedere una cosa del genere, e mi ha fatto portare qui della benzina e delle asce antincendio dalla stazione di polizia», disse Curtis. «Mi dispiace, Bobby», singhiozzò Kayla. «Sarebbe dovuto toccare a me. Sono io che...» Il colore dei capelli di Bobby cambiò davanti ai suoi occhi, facendosi di un bianco opaco. «Dio, sta ancora mutando», osservò Angelo. «Vorrei ci fosse il modo di fermare questo processo». «Cosa?», esclamò Wendy, girandosi a guardarlo e afferrandolo per una manica. «Un modo per bloccare la trasformazione, prima che sia completa». «Ecco la soluzione», sorrise Wendy. «Prima che finisca. Arrestare l'infezione!» Tutti si girarono a guardarla, senza ancora osare di sperare. «Vi spiegherò più tardi», disse Wendy. «Curtis, prenda asce e benzina, presto! Il tempo si sta esaurendo!» Kayla le lanciò un'occhiata, gli occhi dilatati dalla paura e da un vortice di emozioni. «Wendy, se stai per... io... io non credo di poter guardare». «È tutto a posto, Kayla», la rassicurò Wendy. «Ho un'idea. Credo che possiamo salvarlo». Curtis tornò con due accette dal manico rosso e una tanica di benzina da dieci litri. «Alex», ordinò Wendy, «porta fuori Abby, sulla macchina. Kayla, tu aspetta qui con Bobby». «E se dovesse liberarsi?», chiese Kayla. Si stava concedendo un tenue barlume di speranza, quella di non essere costretta a uccidere l'uomo che amava. Ma quali erano le alternative? «In quel caso», ribatté Wendy con una smorfia, «sparagli a un piede, a un ginocchio. Rallentalo». Segnalò poi ai vicesceriffi di seguirla, e Curtis la raggiunse, tenendosi
alla larga da Bobby e passando alle spalle di Kayla in modo da non venirsi a trovare sulla sua linea di tiro. Bobby ringhiò, sputando saliva, e con uno strattone possente sradicò il cardine superiore. La porta s'inclinò in avanti e Kayla indietreggiò fino ad andare a sbattere contro il bancone del bar, mentre Alex raccoglieva il falco e indietreggiava verso l'ingresso. «Non c'è tempo!», gridò Kayla in direzione di Wendy. «Dammi due minuti». Kayla si mostrò dubbiosa. Due minuti potevano essere un'eternità. Wendy precedette i due vice verso la parte anteriore del cinema, gridando loro le necessarie istruzioni mente trascinava il corpo dello sceriffo lontano da quello del wendigo. Pochi secondi più tardi sentì i tonfi umidi delle asce che fendevano la carne, lo schiocco secco delle ossa che si spezzavano. Una volta separato il torso della creatura dalle braccia, dalle gambe e dalla testa, i due vice gettarono da un lato le asce e procedettero insieme a inzuppare di benzina i diversi pezzi della carcassa. «Qualcuno ha un fiammifero?», chiese Wendy. Curtis scosse il capo, e Angelo spiegò che aveva smesso di fumare l'anno precedente. «In macchina ho dei razzi di segnalazione», suggerì Curtis. «Non c'è tempo», ribatté Wendy, ed evocò una sfera di fuoco. Era piccola, ma fu sufficiente. Wendy tornò nell'atrio proprio nel momento in cui Bobby riusciva infine a divellere la porta anche dall'ultimo cardine. Kayla balzò indietro appena in tempo, perché con una spinta spaventosa Bobby fece ruotare il battente, mandandolo a sbattere contro le vetrine sovrastanti il banco del bar. Kayla sparò un colpo di avvertimento verso il soffitto, sprecando una pallottola d'argento. «Bobby, non costringermi a spararti», avvertì. Lui calpestò la porta, infrangendo a calci l'ultimo pannello, poi frantumò anche il telaio fino a quando all'estremità della manetta rimasero appesi soltanto la maniglia di ottone, con la sua piastra, e qualche scheggia di legno sporgente. Con un ruggito di trionfo Bobby scattò verso Kayla, che gli prese di mira un piede, sparò e mancò il bersaglio. Wendy cercò di aggirarlo, con l'intento di raggiungere Kayla e di innalzare una sfera protettiva intorno a entrambe, ma si rese conto che non avrebbe mai fatto in tempo. «Kayla!», gridò. «Non hai scelta!»
Kayla esitò, un'espressione angosciata dipinta sul volto... «Fermalo! Da' a questo rito il tempo di funzionare!», insisté Wendy. «Sbrigati, prima che compia qualche gesto di cui poi si pentirebbe!» Come ucciderti, per esempio. «Spara! Penserò io a risanare la ferita!» Kayla però continuò a indietreggiare esitando, finché non andò a sbattere con la schiena contro la porta esterna del cinema. A quel punto, con una smorfia di rassegnazione, prese la mira e fece fuoco. Bobby crollò a terra urlando di dolore e stringendosi la coscia sinistra al di sopra del ginocchio, con il sangue che gli filtrava fra le dita: sangue rosso, non giallo! Dondolandosi avanti e indietro, prese a gemere e ad ansimare; con aria inorridita, Kayla gettò lontano la pistola e si dispose a un'attesa angosciosa, timorosa anche solo di tentare di avvicinarsi. Poi il teatro prese a vibrare in modo minaccioso, frammenti di vetro rotto caddero dalle vetrine e rimbalzarono sulla moquette dell'atrio, le pareti si misero a tremare al punto che furono investiti da frammenti delle piastrelle del soffitto. Una spettrale luce verde si andò intanto allargando dall'interno del cinema, espandendosi lentamente nell'atrio per poi uscire all'aperto nella notte. Immediatamente l'edificio tornò immoto. È la maledizione, comprese Wendy. Si è distaccata dal wendigo, ma dove è andata? E cosa ne sarà di Bobby? Nell'arco di trenta secondi ebbe la risposta a quell'interrogativo. I ciuffi di pelo bianco presenti sulla faccia di Bobby cominciarono a staccarsi e gli occhi persero l'inumano bagliore giallastro; poi, per quanto continuasse a soffrire a causa della ferita alla gamba, il corpo parve perdere ogni tensione: il nucleo di furia che l'aveva sconvolto fin dall'inizio della trasformazione era svanito. Kayla fu la prima a reagire al cambiamento, saltandogli addosso. «Razza di stupido figlio di puttana!», esclamò, percuotendogli il petto con i pugni, prima di abbracciarlo. «Mi hai costretta a spararti». «Suppongo che abbia fatto più male a te che a me, vero?», replicò lui con voce sofferente, ma in qualche modo, malgrado il dolore, riuscì a sorridere. Poi però sussultò e aggiunse: «No, non è possibile». Intanto Curtis e Angelo si precipitarono fuori, rientrando di lì a poco muniti di estintori e di coperte recuperati nel bagagliaio delle macchine di pattuglia, nella speranza di riuscire a contenere il fuoco che divampava all'interno prima che sfuggisse a ogni controllo. Alex tornò nell'atrio trasportando Abby nel cavo del braccio sano; anche lui era pallido in volto per il dolore, e aveva il polso destro gonfio e chiaz-
zato di giallo e di carminio. Kayla sollevò verso Wendy il volto striato di lacrime e di sangue, ma colmo di gratitudine. «Grazie», sussurrò. Sfilatasi il bracciale, Wendy strinse il quarzo rosa fra pollice e indice della mano sinistra, concentrandosi ad accumulare dentro di sé energia magica per quella che prometteva essere una maratona di sessioni di risanamento. Erano tutti feriti dal punto di vista fisico, alcuni più gravemente di altri, ma lei cominciò da Abby, che aveva subito la perdita più grave. Wendy era in grado di guarire contusioni, ossa fratturate e ali spezzate, ma nel fissare gli occhi consapevoli e pieni di emozioni del falco, dovette ammettere con se stessa l'esistenza di ferite che non era in grado di risanare. Come aveva scoperto a sue spese, alcune ferite non reagivano a nessuna cura se non al passare del tempo, e a volte neppure questo era sufficiente. EPILOGO Windale, Massachusetts 11 gennaio 2002 Abby sedeva sola su una sedia a dondolo di vimini vicino alla finestra della sua camera, intenta a fissare il bosco tenendo le ginocchia ripiegate contro il petto. Tutti i giorni se ne stava lì a guardare gli alberi, ma non faceva altro. Forse le ossa mutanti erano stanche, o forse per una volta erano disposte a permetterle di essere soltanto una bambina. Non sentiva il desiderio di vagare per la foresta o di solcare il cielo; mentre Erica, Max e Ben giocavano con la neve nel cortile anteriore, lei desiderava soltanto restarsene in casa e trascorrere ore interminabili cercando di dimenticare che era responsabile della morte del padre adottivo. Però non ci riusciva, e ogni volta si sentiva la mente intontita e vuota rammentando come lui fosse stato paziente, gentile e fiducioso, e allora crollava e si rimetteva a piangere. Tutti dovevano odiarla, e si aspettava che da un giorno all'altro la signora Nottingham l'accusasse di essere una bugiarda, una fonte di guai e uno scherzo della natura, chiedendole di andarsene. Bussarono alla porta. «Abby?» La signora Nottingham infine si era decisa.
Abby si asciugò il naso su una manica e sollevò appena lo sguardo per far vedere che aveva sentito. «Ciao», rispose con una vocetta spenta e smarrita. «Vieni a sederti qui accanto a me», le disse la signora Nottingham, sedendo sul bordo del suo letto e battendo un colpetto. Abby abbandonò il conforto della sedia a dondolo per prendere posto accanto a lei, sedendo con le spalle curve e la testa bassa, timorosa di incontrare il suo sguardo. «Non c'è problema, se vuoi che me ne vada adesso», mormorò. «Abby!», esclamò la signora Nottingham prendendole la mano. «Tu sei parte della nostra famiglia». «Allora... mi permetti di restare?» «Certamente», replicò la signora Nottingham. «Però dobbiamo parlare». «Mi dispiace», singhiozzò Abby, scoppiando in lacrime. «È tutta colpa mia». La signora Nottingham la tenne stretta contro il proprio vestito nero, accarezzandole i capelli finché non si fu calmata. «Sfogati, Abby», disse. «Tira fuori tutto, ma non incolpare te stessa». «Ma io...» «Wendy mi ha spiegato cosa è successo», disse la signora Nottingham. «Mi ha detto che aveva bisogno del tuo aiuto, che tutto questo risale a Wither e a quelle altre streghe, che Bill... il signor Nottingham... tuo padre è morto per cercare di salvarti da una cosa orribile». «Lo so, ma se io fossi rimasta qui, lui sarebbe ancora...» «Abby, questo non puoi saperlo. Wendy ha detto che quell'orribile creatura avrebbe potuto uccidere molte persone innocenti, se Bill non l'avesse aiutata ad abbatterla. Abby, lui è morto proteggendo la gente, quello era il suo lavoro, una cosa in cui lui credeva con tutto il cuore. Wendy mi ha detto che tu stavi cercando di proteggerla... è vero?» Abby annuì. «Allora sei proprio come lui. Non potevi permettere che accadesse qualcosa di brutto alle persone di cui ti importa, alle persone che ami», continuò la signora Nottingham, accarezzando i capelli biondo cenere della bambina. «Abby, io sarei pronta a sacrificarmi per salvare te, o i tuoi fratelli e tua sorella. Quando ami qualcuno, ti preoccupi di più per quella persona che per te stessa, saresti pronta a rischiare la vita per salvarla, perché è questo che lei significa per te. Hai capito?» «Sissignora», assentì Abby con aria pensosa. «Non permetterei mai a
nessuno di fare del male a te o a Erica, a Max, a Ben o perfino a Rowdy». «Bill... tuo padre, è stato un eroe praticamente per tutta la vita», affermò la signora Nottingham, «ed è così che è morto, da eroe. Sentiremo molto la sua mancanza, ma lo terremo sempre nel nostro cuore e saremo orgogliosi di lui». «Sempre», ripeté Abby tirando su con il naso, poi alzò lo sguardo incrociando quello della signora Nottingham, che aveva gli occhi umidi di lacrime trattenute e che le rivolse un sorriso coraggioso. «Signora Nott... voglio dire, mamma...», continuò, sorridendo a sua volta, «c'è qualcosa che Wendy non ti ha detto, qualcosa che avevo fatto promettere a lei e al signor Nottingham di non rivelare mai. Lui però pensava che avrei dovuto confidarti il mio segreto, e adesso credo di essere pronta a farlo». «Quale segreto, Abby?», chiese la signora Nottingham. «Riguarda Sara Hutchins?» Abby annuì, allontanandosi i capelli dagli occhi arrossati dal pianto. «Lei mi ha cambiata, mi ha resa diversa. Lo ha fatto per se stessa, ma questa cosa è rimasta dentro di me dopo che lei è morta. Lei era cattiva, ma questo non rende cattiva anche me, vero?» «Certo che no, Abby». «Se una cosa è destinata a essere cattiva, a fare del male alla gente, ma tu la usi soltanto in modi buoni, per aiutare gli altri, allora è una cosa buona, giusto?» «Direi che lo è». «Perché questo è più o meno quello che mi è successo». La signora Nottingham... sua madre... le strinse gentilmente la mano e le baciò la fronte. «Nulla di quello che potrai dirmi mi indurrà ad amarti di meno, Abby, perché nel mio cuore so che sei una bambina meravigliosa». Lo sceriffo Nottingham è morto per salvarmi la vita, si disse Abby, quindi forse lo pensava anche lui. Avvertendo dentro di sé un'improvvisa sensazione di calore, comprese che poteva affidare la propria vita alla signora Nottingham. E così la condivise con lei. Tutta quanta. Windale, Massachusetts 12 gennaio 2002 Kayla non poté fare a meno di continuare a fissare Bobby, mentre lui ac-
costava la Mustang GT rossa al marciapiede di Theurgy Avenue, metteva in folle e azionava il freno a mano. «Cosa c'è?», chiese lui, consapevole della costante attenzione di lei. «Hai un aspetto molto migliore, senza tutto quel pelo rognoso e gli occhi gialli». «Ecco», rise Bobby, «ho pensato che, visti i tuoi capelli blu elettrico, il fatto che io avessi gli occhi gialli non sarebbe stato poi così insolito». «No, niente affatto», sorrise Kayla. «Grazie per avermi accompagnata al lavoro, signor Facente Funzioni di sceriffo». «Quello non è un titolo ufficiale, ma un passaggio era il minimo che potessi offrirti, dopo la colazione che mi hai cucinato». «Considerala un modo per scusarmi per aver cercato di farti saltare una rotula. A proposito, come va la gamba?» «Come nuova», garantì Bobby, allungando inconsciamente la mano a toccare il punto in cui era penetrata la pallottola. «Niente dolore, niente cicatrice o necessità di fisioterapia. Wendy dovrebbe lavorare al pronto soccorso». Si soffermò quindi a studiare il volto allegro di Kayla, e protese le dita a toccare il punto al di sopra del sopracciglio destro, dove un tempo portava una barretta di acciaio chirurgico. «Sa fare davvero un buon lavoro», commentò. «Ha risanato perfino il foro del piercing». «Già. E per qualche strana ragione, mi vengono i brividi all'idea di rifarlo». «Non riesco a immaginare il perché?» «Ora devo entrare, prima che Alissa mi riduca la paga», sorrise Kayla, protendendosi a dargli un bacio con tutti i crismi. «Pensami». «Come potrei dimenticare la donna che mi ha sparato per dimostrarmi il suo amore?» «Non dare la colpa a me, se non riesci a fronteggiare metodi di corteggiamento estremo», ribatté lei assestandogli un pugno scherzoso sul braccio. Quando però si protese verso la maniglia della portiera, lui la trattenne per il gomito, facendole inarcare con aria interrogativa un sopracciglio, quello con il piercing. «Kayla, volevo solo dirti... che capisco quello che hai passato, credendo che Wither fosse dentro di te, chiedendoti se eri ancora te stessa». «E cosa mi dici di te, Bobby?», domandò Kayla. «Ti senti in qualche modo diverso, ora che hai sperimentato il tuo demone interiore?»
«Decisamente, provo un nuovo senso di apprezzamento per la vita... e per la persona che la condivide con me». «Incubi?», sorrise Kayla. «Di tanto in tanto», rispose, con aria un po' accigliata. «Fidati di me, Bobby», garantì lei in tono solenne. «Gli incubi se ne andranno, prima o poi». Diario di Wendy Ward 12 gennaio 2002 Luna calante, ultimo quarto, giorno 28 Windale, Massachusetts Anche se negli ultimi mesi non avevo più visto lo sceriffo Nottingham, la sua morte mi ha fatto comprendere che era diventato per me una sorta di figura paterna. Mentre i miei veri genitori erano ignari delle mie capacità magiche, lo sceriffo ne era al corrente e le accettava. Col senno di poi, rimpiango di non aver condiviso con i miei genitori quella parte della mia vita; il mio errore è stato quello di dare per scontato che avessimo davanti a noi anni da passare insieme. Credevo di aver bisogno di definire me stessa, prima di arrivare a spiegare ciò che ero, ma non ne ho mai avuto la possibilità. Ho lasciato scivolare via il tempo. A volte, è come se sapessi che c'è in me una parte che i miei genitori non hanno mai conosciuto davvero, ma credo che se avessero saputo... e sono certa che lo sanno, che mi stano guardando da un posto migliore... sarebbero stati orgogliosi di me. La lezione più importante che mi abbiano mai insegnato è stata quella di essere una persona per bene, leale, affidabile, onesta e degna di fiducia, un ideale che mi sforzo ogni giorno di raggiungere. Lo sceriffo Nottingham era orgoglioso di Abby quanto qualsiasi padre potrebbe esserlo di sua figlia; ultimamente leggo nello sguardo di Abby che anche lei ne è convinta, e credo che questo le sia di conforto. Anche se si trova ormai da tempo a proprio agio nelle sue molteplici pelli (e ossa), vederla adesso con la signora Nottingham e con gli altri suoi figli mi fa bene al cuore: Abby ha davvero trovato una casa calda e accogliente, e se da questa tragedia potrà mai derivare qualcosa di buono, sarà l'aver reso ancora più forti quei vincoli familiari. Una volta che la situazione si è calmata, Karen e Hannah sono venute a Windale per una breve visita prima di tornare a casa, la domenica pomeriggio. Karen ha deciso di istruire Hannah privatamente, a casa, finché lei
continuerà a crescere in maniera accelerata; nel frattempo, ha fiducia che io riesca a trovare una cura nelle pagine rimaste del diario di Wither. Intendo tornare a esaminarlo, presto, anche se non condivido il livello di ottimismo di Karen. Quelle pagine macchiate o strappate sono adesso inutili, perché l'illusione codificante che permetteva di leggerle mediante la visione periferica è svanita, e su di esse i simboli sono effettivamente diventati segni privi di significato. Le conserverò comunque, nell'eventualità che un giorno mi riesca di trovare il modo di riattivare l'illusione che le rendeva leggibili. D'accordo, forse questo è peccare di eccessivo ottimismo. Chiedo venia. Dopo che Karen e Hannah hanno lasciato Windale, la Vecchia è passata a trovarmi e mi ha dato alcuni suggerimenti su come potrei usare la mia sfera protettiva per arrampicarmi, modellando gradini di energia virtuale nel suo interno duttile. Quando le ho chiesto come si faceva a volare, mi ha risposto che si ottiene il volo magico mediante uno spostamento controllato delle forze gravitazionali. Purtroppo quella spiegazione mi è sembrata troppo addentrata nel territorio della Fisica Teorica, quindi per ora mi limiterò a esercitarmi a creare scale con la sfera protettiva. Naturalmente la Vecchia ricorda adesso la stessa linea temporale passata che combacia con la mia, in quanto quel periodo non è più in divenire. Mi aveva detto che molti sarebbero morti, e ora mi chiedo se questo nostro passato condiviso sia migliore o peggiore di quello che lei aveva originariamente vissuto. Se da un lato il conto dei morti, a Windale, avrebbe potuto essere molto più elevato, anche così è stato decisamente doloroso. Kayla ha perso in Bill Borkowski un amico, che per lei era una sorta di figura paterna, e noi tutti abbiamo perso lo sceriffo Nottingham, insieme al vice Kirkbride. Davvero un brutto elenco, e detesto pensare a quanto avrebbe potuto diventare peggiore. Il nostro comune sentiero temporale è già abbastanza doloroso così com'è, grazie tante. Per quanto possa suonare strano, dopo che Bobby ha cercato di uccidere Kayla, e che lei ha ricambiato sparandogli in una gamba, la loro relazione è diventata più intima che mai. Si può ben parlare di vero amore! Bobby è libero dalla possessione demoniaca, e Kayla... Kayla è ancora la ribelle di sempre, ma questo è tutto. Non ci sono più stati incidenti con il sangue nero, il che è del resto normale, dato che non c'è stato niente che potesse provocarli. Lei è libera dalla malvagità di Wither? Me lo ha chiesto più di una volta, e io continuo a ricordarle la difficoltà che ha avuto nel superare le trappole e i marchingegni di Wither, anche con l'aiuto del sangue nero. I-
noltre, quel sangue non è più lo stesso, manca della qualità senziente propria del sangue puro di Wither. Forse ha perso mordente, o è diventato addirittura una specie di antidoto. Adesso in città abbiamo alcuni credenti in più, fra cui figura anche la madre di Kayla. Anche se riuscisse a convincersi che la mia forma astrale, allo Stewpot, era un'allucinazione delirante dovuta al dolore intenso e alla paura per la vita di sua figlia, infatti, non potrebbe comunque negare l'esistenza del wendigo. Finora è rimasta stranamente silenziosa riguardo a quella notte, ma del resto raggiungere la condizione di vero credente è una cosa che richiede un notevole assestamento interiore, per cui Kayla e io siamo disposte a darle tutto il tempo di cui avrà bisogno. Se ci farà delle domande, non negheremo la realtà di ciò a cui ha assistito, ma per parlarne aspetteremo che sia lei a cercarci per rivolgerci gli inevitabili interrogativi. Tenere dei segreti è una cosa faticosa, soprattutto con le persone care, ma Lena è una donna forte e si adatterà alla nuova realtà. E io? Ormai da oltre una settimana sono di nuovo a casa, nel cottage che divido con Frankie. Lei è arrivata domenica pomeriggio per rivendicare la sua camera, pronta per la sessione primaverile, ma non alla storia che dovevo raccontarle. È stata coraggiosa, alla fine dello scontro con Wither, ma non credo che le sia minimamente dispiaciuto di essere rimasta fuori da quest'ultima ondata di follia. Se è furba anche solo la metà di quanto credo, comincerà a cercarsi una nuova compagna di camera. Infine, ho continuato a pormi domande riguardo a quella mistica luce verde che si è diffusa attraverso l'atrio del cinema ed è svanita nella notte. Mi piacerebbe pensare che abbia segnato la fine della maledizione di Wither, ma il mio intuito wicca mi avverte che non è così. Non posso fare a meno di ricordare in particolare un verso del suo incantesimo di vendetta: «Una per una, e per una ancora, cercatela, in eterno». Questo mi induce a pensare che il wendigo sia stato soltanto l'inizio, e che forse non dovrei trattenermi qui a Windale più del dovuto. Prima, però, c'è qualcosa che devo fare. «È il momento», disse Wendy. Alex era seduto accanto a lei sulla Pathfinder, gli occhiali da sole da aviatore abbassati sulla punta del naso, le dita che tamburellavano sul cruscotto per accompagnare una canzone che stavano suonando alla radio. «E quale momento sarebbe?», chiese. «Credevo che mi stessi portando a pranzo e che volessi offrirmi il piatto speciale per gli amanti della bistec-
ca». «È il momento», ripeté Wendy. Alex guardò fuori dal finestrino e notò il cartello stradale indicante College Avenue. «Ah, quel momento», disse; di nuovo, Wendy aveva parcheggiato il SUV in divieto di sosta. «È una bella cosa, Wendy, ma è un modo per dire salve o addio a Windale?» «Ecco, Alissa ha accennato al fatto che se io fossi disposta a rilevare il Crystal Path, lei sarebbe propensa a trasferirsi in Italia, a Firenze o a Roma, non ha ancora deciso». «Sarebbe una cosa splendida, per tutte e due. E per noi». «Diventare la proprietaria di un'attività significa mettere radici profonde», osservò Wendy, «e non sono certa di essere pronta per questo. Inoltre, a te rimane solo un altro anno e mezzo da trascorrere in questa cittadina bizzarra, poi tornerai a Minneapolis alla conquista del distretto finanziario». «Può darsi», replicò Alex con un sorriso enigmatico, «ma non si può mai sapere». Wendy calò la mano sul volante con quello che sperava apparisse un gesto deciso. «Suppongo sia meglio che vada, prima che finiscano per darmi davvero una multa». «Non oserebbero». «In questa città, non si può mai sapere cosa aspettarsi». «Vuoi compagnia, là dentro?» «No», rispose Wendy. «Grazie, ma... no. Posso farcela. Andrà tutto bene». Poi scese dal SUV, richiuse con forza la portiera e aggirò la macchina per raggiungere il marciapiede, dove si concesse qualche momento per leggere di nuovo la scritta: The Lawrence A. Ward & Carol G. Ward Memorial Library Ricordò quanto i suoi genitori fossero stati importanti nel modellare la sua vita, quanta influenza continuassero ad avere su di lei. Forse era per questo che finora non era riuscita a venire in quel posto, a vedere l'esposizione che onorava la loro memoria, dicendo a ogni visitatore quanto Larry
e Carol Ward fossero stati importanti per il Danfield College e per la comunità di Windale. Aveva voluto prima essere certa di poter vivere una vita che soddisfacesse i loro standard elevati, ma invece di ammettere a se stessa questa verità, era fuggita via da tutto e da tutti. Alla fine, però, non poteva fuggire da se stessa e dalle sue responsabilità, proprio perché era chi era. E di questo doveva ringraziare i suoi genitori. Nella vita ci sono alcune cose che non si dovrebbero mai affrontare da soli. Abbiamo bisogno di persone speciali, nella nostra esistenza, pensò, nella stessa misura in cui abbiamo bisogno di ricordare le persone speciali che abbiamo perduto, di conservare il ricordo di ciò che abbiamo significato, e continueremo a significare, gli uni per gli altri. I ricordi sono il modo in cui li onoriamo. E poiché era in grado di salire quelle scale e di affrontare quel momento da sola, comprese che non era obbligata a farlo, non più. Guardandosi indietro da sopra la spalla, protese una mano in direzione di Alex. FINE