ELLIS PETERS L'EREMITA DELLA FORESTA (The Hermit Of Eyton Forest, 1987) CAPITOLO I Hugh accolse la notizia con modico ra...
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ELLIS PETERS L'EREMITA DELLA FORESTA (The Hermit Of Eyton Forest, 1987) CAPITOLO I Hugh accolse la notizia con modico rammarico, com'era naturale dato che conosceva a malapena Ludel e che la sua morte, quindi, non gli avrebbe creato complicazioni di alcun genere. C'era un erede legittimo e nessun secondogenito a ostacolare i suoi diritti, cosicché non vi sarebbe stata sicuramente alcuna necessità di interferire nella regolare successione. I Ludel parteggiavano per Stefano ed erano sudditi leali, anche se difficilmente il nuovo prebendario avrebbe potuto battersi per lui prima che fosse trascorso un bel po' di tempo avendo, rammentò Hugh, più o meno dieci anni. Attualmente era scolaro all'abbazia dove il padre lo aveva messo quand'era morta la madre, probabilmente, si diceva, per sottrarlo al predominio di una nonna invadente, più che per assicurarsi semplicemente che ricevesse una buona istruzione. Pareva pertanto che l'abbazia, se non il castello, avesse una invidiabile responsabilità in quel frangente, poiché qualcuno doveva pur dire al giovane Richard che suo padre era morto. Del rito funebre non avrebbe dovuto occuparsi l'abbazia, perché Eaton aveva una propria chiesa e un parroco, ma la tutela dell'erede era una questione della massima importanza. Per quanto mi riguarda, rifletté Beringar, farò bene ad accertarmi che il sovrintendente al servizio di Ludel possegga le capacità necessarie per amministrare la proprietà che resta affidata a lui mentre quel ragazzo non ha ancora l'età per farlo. «Non lo avete ancora detto al padre abate?» domandò al latore di quel triste messaggio. «No, mio signore, sono venuto prima da voi.» «E avete avuto ordine dalla signora di parlare anche con l'erede?» «No, mio signore, questo debbo lasciarlo a chi ha cura quotidiana di lui.» «Sì, forse avete ragione», convenne Hugh. «Parlerò io stesso con l'abate Radulfus. Lui saprà che cos'è meglio fare. Quanto alla successione, madonna Dionisia non ha di che preoccuparsi. Il diritto del fanciullo è indi-
scutibile.» In tempi tanto incerti, con due cugini che si contendevano accanitamente il trono e grandi signori opportunisti sempre pronti a cambiare bandiera secondo le alterne vicende di quella guerra discontinua, Beringar era ben contento di essere il custode di una contea che aveva cambiato di mano una sola volta. Il suo compito era stato quello di adoprarsi per mantenere incontrastato il titolo di re Stefano e sotto controllo l'ondata di irrequietudine che si profilava ai confini, che la minaccia provenisse sia dalle forze dell'imperatrice, con le prevedibili mosse degli indomabili gallesi di Powis a est, sia dall'ambizione calcolatrice del conte di Chester, a nord. Hugh Beringar si era destreggiato per anni con discreto successo nei rapporti con tutti quei pericolosi vicini e adesso sarebbe stata una follia pensare di consegnare Eaton a un altro affittuario, quali che potessero essere gli svantaggi del consenso alla successione di un fanciullo. Perché sconvolgere una famiglia rimasta sempre ligia e leale e puntare ostinatamente i piedi per aspettare gli eventi, quando il suo signore assoluto era fuggito in Francia? Di recente era corsa voce che FitzAlan fosse tornato in Inghilterra e avesse raggiunto l'imperatrice a Oxford. La sola consapevolezza della sua presenza, anche a quella distanza, avrebbe potuto ridestare la lealtà di un tempo tra i suoi vecchi affittuari, ma quel rischio lo si sarebbe affrontato quando se ne fosse rivelato qualche segno. Al momento, assegnare Eaton a un altro affittuario poteva ridestare senza necessità sentimenti di devozione dal loro sonno prudente. No, si dovevano riconoscere i diritti del figlio di Ludel e accertarsi a un tempo che ci si poteva fidare del sovrintendente sia per mantenere la linea politica del suo signore defunto sia per aver cura degli interessi e delle terre di quello attuale. Hugh montò a cavallo e attraversò senza fretta la città nell'aria limpida di mezza mattina. Quando la lieve nebbia si era ormai dissolta, salì verso la High Cross, ridiscese lungo il Wyle fino alla porta orientale e, varcato il ponte di pietra, raggiunse il Foregate, dove il campanile dell'abbazia si stagliava massiccio contro il cielo azzurro chiaro. Il Severn scorreva rapido ma quieto sotto le arcate del ponte, ancora al modesto livello estivo. Le due piccole isole erbose orlate di una stretta frangia brunastra sarebbero state sommerse quando le prime violente piogge avessero portato dal Galles una piena burrascosa. Oltre il ponte si apriva la strada maestra, fiancheggiata sulla sinistra da folti cespugli e alberi che, salendo dalla riva del fiume, si allineavano lungo il ciglio polveroso fino alle prime case del sobborgo con i loro cortili e
giardini. Alla destra scorreva il lungo nastro argenteo della gora del mulino, appena appena offuscato da una lieve bruma. Più lontano si ergeva il muro di cinta dell'abbazia, con l'arco della portineria. Mentre Hugh smontava, il monaco portinaio accorse a tenergli le briglie. Lo sceriffo era conosciuto lì non meno dei confratelli benedettini. «Se cercate fratello Cadfael», spiegò di propria iniziativa il monaco, «è andato a Saint Giles a rifornire l'armadio delle medicine. Ma è uscito già da più di un'ora, appena dopo il capitolo, perciò non tarderà molto a tornare, se non vi dispiace aspettare.» «Debbo parlare col padre abate, prima», ribatté lo sceriffo, sorvolando sul presupposto che tutte le sue visite all'abbazia dovessero avere come unico scopo quello di trovarsi con un vecchio amico. «Ma anche fratello Cadfael saprà ben presto ciò che ho da dire, se pure non lo sa già! Si direbbe che il vento soffi le notizie nella sua direzione prima che noialtri ne sappiamo qualcosa.» «E che i suoi compiti lo portano sempre più avanti di quanto possa essere per la massima parte di noi», osservò con bonomia il portinaio. «E a questo proposito, com'è che quelle povere anime a Saint Giles arrivano a sapere tanto di ciò che accade nel mondo? Perché ben di rado il nostro Cadfael ne torna senza qualche novità che stupisce tutti da questa parte del Foregate. Bene, il padre abate è nel suo giardino. È rimasto appartato là per più di un'ora col sagrestano, ma poco fa ho visto tornare fratello Benedict.» Il monaco tese una mano ad accarezzare il collo del cavallo, ma con un certo riguardo perché il grosso e scarno grigio di Beringar, tanto ombroso quant'era robusto, nutriva poco altro che disprezzo per ogni essere umano, escluso il suo padrone, e persino questo era considerato tutt'al più un eguale, da rispettare ma da tenere al suo posto. «Nessuna novità, ancora, da Oxford?» Anche dentro il monastero, i confratelli non potevano fare a meno di tendere l'orecchio alle notizie dell'assedio e un successo là poteva significare l'imperatrice prigioniera e la fine di quella contesa che lacerava il reame. «No, nessuna, finché il re non avrà portato il suo esercito oltre il guado e dentro la città. Ma forse potremmo saperne presto qualcosa, se avesse a capitare da queste parti qualcuno che ha fatto in tempo a uscirne. Tuttavia, la guarnigione si sarà assicurata che le dispense del castello siano ben rifornite, anche se io penso che ormai le cose non andranno più molto per le
lunghe.» Assedio significava lento strangolamento e re Stefano non brillava certo per la sua pazienza e tenacia. Non era da escludere che a un certo punto, annoiato di restarsene là ad aspettare che il nemico fosse ridotto alla fame, se ne andasse a cercare altrove un'azione più soddisfacente. Era già accaduto e poteva accadere di nuovo. Allontanando con una scrollata di spalle il fastidioso pensiero delle manchevolezze del suo signore e sovrano, Hugh attraversò la grande corte, diretto verso l'alloggio dell'abate per distogliere padre Radulfus dalle sue rose amate, anche se un po' appassite. Tornato dall'ospedale di Saint Giles, fratello Cadfael era nel suo laboratorio di erboristeria, occupato a selezionare fagioli per la semina del prossimo anno, quando Hugh, lasciato l'abate, andò a fare una capatina nell'erbario. Il monaco, riconoscendo il passo rapido e leggero sulla ghiaia, salutò l'amico senza nemmeno girare il capo. «Il fratello portinaio mi ha detto che sareste venuto qui. Affari col padre abate. Che c'è nell'aria? Qualche notizia da Oxford?» «No», rispose lo sceriffo mettendosi comodamente a sedere sulla panca contro la parete di tronchi. «Da più vicino. Appena da Eaton. Richard Ludel è morto, ci ha avvertiti la vecchia signora stamattina. Suo figlio è a scuola qui da voi.» Il monaco si girò verso di lui, tenendo in mano un piattino d'argilla colmo di semi seccati sulla pianta. «Sì, è vero. Sicché suo padre se n'è andato! Sapevamo che era molto deperito. Il ragazzo aveva appena cinque anni quando lo ha mandato qui e raramente venivano a prenderlo per portarlo a casa. Probabilmente Ludel pensava che sarebbe stato meglio da noi con compagni più o meno della sua età, piuttosto che intorno al letto di un malato.» «E sotto il dominio di una nonna dalla volontà di ferro, a quanto si dice. Una signora che conosco soltanto di fama, mentre conoscevo lui, anche se non lo vedevo da quando erano stati riportati a casa i nostri feriti di Lincoln. Un bravo combattente e un animo generoso, ma severo e di poche parole. Il ragazzo com'è?» «Sveglio, ardito... un monello simpaticissimo, debbo dire, ma con una strana tendenza a mettersi nei guai. Bravo nello studio, anche se preferisce stare fuori a giocare. Adesso toccherà a fratello Paul dirgli che suo padre è morto e lui è il signore di una vasta eredità. Forse per Paul sarà più penoso
di quanto non sia per un figliolo che conosceva a malapena il padre. Non vi saranno problemi per quanto riguarda quel possedimento, suppongo.» «No, nessuno. Io preferisco non immischiarmi, ma la posizione di Ludel era indiscutibile. Un possedimento ricco, anche. Buona terra fertile in gran parte arata, ottimi pascoli, marcite e boschi, tutti ben tenuti, a quanto pare, perché il loro valore oggi è molto maggiore di dieci anni fa. Tuttavia, dovrò mettermi in contatto con il sovrintendente, per accertarmi che sappia curare gli interessi dell'erede.» «Oh, è John di Longwood», disse prontamente Cadfael. «Un brav'uomo e un ottimo agricoltore. Lo conosciamo bene, abbiamo avuto spesso a che fare con lui ed è stato sempre onesto e leale. Eaton si trova fra due tenute dell'abbazia: Eyton-by-Severn da una parte e Aston-under-Wrekin dall'altra, e John ha sempre permesso che il nostro guardaboschi passasse liberamente sulle sue terre per andare dall'una all'altra, così da risparmiargli tempo e fatica. E portiamo anche la legna dalla nostra frazione della foresta di Wrekin alla stessa maniera. Fa comodo a entrambi. La parte della foresta appartenente a Ludel e la nostra sono così incuneate l'una nell'altra che sarebbe sciocco litigare. Negli ultimi due anni Ludel aveva affidato tutto a John, perciò non avrete problemi da quel lato.» «Il padre abate», spiegò Beringar annuendo soddisfatto per quelle manifestazioni di buon vicinato, «mi ha detto che Ludel gli aveva affidato il ragazzo come pupillo, quattro anni fa, per il caso che lui non avesse a campare tanto da vederlo adulto. Pare che avesse preso ogni provvedimento per il futuro, come se prevedesse la morte che gli si avvicinava. Purtroppo», aggiunse tristemente, «la maggior parte di noi non ha altrettanta preveggenza, altrimenti chissà quanti a Oxford si precipiterebbero subito a far dire messe per la propria anima! Ormai il re avrà conquistata la città, sarebbe caduta da sola nelle sue mani una volta che avesse varcato il guado. Ma il castello potrebbe resistere chissà fino a quando. Non esiste alcuna scorciatoia per entrarvi, l'unica speranza è la resa per fame. E se Robert di Gloucester, in Normandia, non è ancora al corrente di questa situazione, vuol dire che i suoi informatori sono assai meno abili di quanto io pensassi. Se sapesse in quale stretta si trova sua sorella, si affretterebbe a tornare. Non sarebbe la prima volta che gli assedianti diventano assediati.» «Gli ci vorrebbe comunque un bel po' di tempo per arrivare», osservò il monaco. «E in ogni caso non meglio equipaggiato di quanto fosse quando è partito.» Il fratellastro e miglior soldato dell'imperatrice era stato inviato oltrema-
re, contro la sua volontà, a chiedere aiuti per la signora al suo poco innamorato consorte, ma Goffredo d'Angiò, a quanto si diceva, pensava più alle proprie ambizioni in Normandia che non a quelle della moglie in Inghilterra ed era stato tanto astuto da indurre il conte Robert ad allearsi con lui nella conquista di un castello dopo l'altro nel ducato, invece di accorrere al fianco dell'imperatrice nella sua lotta per il trono inglese. E adesso lei era assediata da Stefano a Oxford e lui tuttora all'ingrato servizio di Goffredo in Normandia. No, non sarebbe stato né facile né questione di poco tempo per Robert venire in aiuto della sorella. La morsa ferrea dell'assedio si andava stringendo intorno al castello di Oxford e una volta tanto Stefano non dava segno di voler abbandonare l'impresa. Non era mai stato così vicino alla possibilità di fare prigioniera la cugina e rivale e costringerla a riconoscere la sua sovranità. «Chissà se si rende conto di averla in proprio potere», osservò Cadfael tappando il vasetto nel quale aveva riposto i semi selezionati. «Voi come vi sentireste, al suo posto, se aveste potuto mettere le mani su di lei?» «Dio me ne guardi!» rise Hugh a quel pensiero. «Non saprei che farne di lei! E il guaio è che sarebbe lo stesso per Stefano, se mai arrivasse a tanto. Avrebbe potuto rinchiuderla ad Arundel il giorno stesso in cui è sbarcata, se avesse avuto un po' di buon senso, e invece che cos'ha fatto? Le ha dato una scorta e l'ha mandata a raggiungere suo fratello a Bristol! Sarebbe ben diverso se fosse la regina ad avere in proprio potere l'illustre signora. Stefano è un grande combattente, ma lei è un generale anche più bravo, sa come approfittare del proprio vantaggio.» Lo sceriffo si alzò, mentre una folata di vento gli scomponeva i capelli neri e scuoteva i fasci di erbe essiccate appesi alle travi del soffitto. «Bene, non c'è modo di affrettare la conclusione dell'assedio, dobbiamo avere pazienza. Ho saputo che finalmente vi hanno dato un aiuto per il vostro erbario e ho notato che la vostra siepe è stata potata una seconda volta. Opera sua?» «Certo.» Cadfael uscì con l'amico lungo il sentiero inghiaiato tra i prati dove l'erba si era fatta un po' ispida alla fine della buona stagione. La siepe su in alto era stata effettivamente potata dei rami irregolari spuntati al termine dell'estate. «Fratello Winfrid», spiegò. «Lo vedrete al lavoro nel campo che abbiamo sgombrato dai fagioli. Un ragazzone allampanato tutto gomiti e ginocchia, che ha appena finito il noviziato. Volenteroso, un po' lento, però. Ma ce la farà. Credo che lo abbiano mandato a me perché si è dimostrato troppo maldestro per maneggiare penne e pennelli, ma dategli
una vanga e se la caverà benissimo. Sì, ce la farà sicuramente.» Fuori dell'erbario recintato si stendeva l'orto, e lungo il lieve pendio alla loro destra c'era il campo dei piselli che scendeva fino al torrente Meole, il confine posteriore dell'abbazia. E là ecco fratello Winfrid, un giovane alto, dalle giunture snodate e una corona di ispidi capelli rossi intorno alla tonsura. Col saio sollevato fino alle ginocchia vigorose premeva, con il piede calzato di uno zoccolo di legno, sull'orlo della vanga per affondarla nel groviglio di radici sotto lo strato superficiale del terreno. Gettò loro un'occhiata raggiante mentre passavano, poi continuò il proprio lavoro senza alterarne il ritmo. Hugh aveva appena avuto il tempo di scorgere un bruno viso campagnolo e due schietti occhi azzurri. «Sì, penso anch'io che se la caverà benone», osservò, sorpreso e divertito. «Sia con una vanga sia con un'ascia di guerra. Farebbe comodo anche a me una dozzina di tipi come lui, al castello.» «Winfrid non vi servirebbe a niente», obiettò con sicurezza Cadfael. «Come la maggior parte degli uomini grandi e grossi è un animo gentile. Getterebbe la spada per aiutare il nemico che ha abbattuto a rialzarsi. Sono i cani piccoli e ringhiosi quelli che mostrano i denti.» Mentre, aggirata la siepe e oltrepassato il giardino della cucina, entravano nella grande corte, a quell'ora quasi deserta, dal cortile dei magazzini dove su tre lati di un muro massiccio si allineavano granai, fienili e depositi di vario genere, sbucò una figuretta che raggiunse di corsa il chiostro, riemergendone poco dopo con passo misurato, gli occhi bassi e le mani infantili e grassocce devotamente incrociate davanti al petto, la vera immagine dell'innocenza. Il monaco si fermò prudentemente, posando una mano su un braccio del compagno, per evitare di trovarsi davanti al ragazzino. Questi raggiunse l'angolo dell'infermeria, svoltò e scomparve, lasciando tuttavia la netta impressione che, non appena fosse stato fuori di vista, si sarebbe rimesso a correre, perché un calcagno nudo balenò per un attimo oltre l'angolo. Hugh sogghignò, ma Cadfael non fece commenti. «Correggetemi se sbaglio», disse lo sceriffo strizzando un occhio. «Ieri avete raccolto le mele e non le avete ancora sistemate sui ripiani del magazzino. Per fortuna non c'era il priore Robert a vederlo, col davanti della casacca sporgente come quello di una grassa signora!» «Oh, c'è chi sa capire e tacere. Avrà preso le più grosse, ma soltanto quattro. Ruba con moderazione, lui. In parte per un onesto obbligo, in parte perché metà del gioco consiste nel tentare di tanto in tanto la provvidenza.»
Le sopracciglia nere di Hugh espressero una divertita curiosità. «Ma perché quattro?» «Perché abbiamo ancora soltanto quattro alunni a scuola e, se lui ruba, lo fa per loro. Vi sono anche parecchi novizi che hanno appena qualche anno in più, ma verso di loro non hanno alcun obbligo. Che rubino per conto proprio, se vogliono! E sapete chi è quel rampollo?» «No, ma so che state per dire qualcosa che mi stupirà.» «Bene, è messer Richard Ludel, il nuovo signore di Eaton. Benché, naturalmente», aggiunse Cadfael, pensando con tristezza a un'innocenza che sarebbe stata presto perduta, «lui non lo sappia ancora.» Richard era seduto a gambe incrociate sulla sponda erbosa sopra la gora del mulino, mordicchiando soprappensiero gli ultimi resti di polpa bianca intorno al torsolo della sua mela, quando venne a cercarlo un novizio. «Ti vuole fratello Paul», annunciò col viso compiaciuto di chi, conscio della propria virtù, riferisce a qualcun altro una chiamata probabilmente infausta. «È in parlatorio. È meglio che ti spicci.» «Vuole me?» ribatté Richard, alzando gli occhi dalla mela rubata. Nessuno aveva timore di fratello Paul, il maestro dei novizi e dei fanciulli, che era il più gentile e paziente degli uomini, ma anche un semplice biasimo da parte sua andava evitato, se possibile. «Per che cosa?» «Questo dovresti saperlo tu», rispose il novizio con una sfumatura di malignità. «A me non lo ha detto. Va' a scoprirlo tu stesso, se davvero non ne hai idea.» Richard gettò il torsolo nella gora e si alzò lentamente. «In parlatorio, hai detto?» La convocazione in quel luogo così solenne faceva pensare a qualche motivo grave e benché lui fosse certo che non si poteva incolparlo se non di qualche lieve marachella commessa in quelle ultime settimane, doveva stare in guardia, rifletté. S'incamminò senza fretta, strascicando i piedi nudi nella frescura dell'erba, poi sui ciottoli della corte e si presentò doverosamente nel parlatorio semibuio dove i visitatori del mondo esterno potevano parlare privatamente coi loro figli chiusi in convento. Fratello Paul era ritto davanti all'unica finestra, rendendo ancora più buia la stanza. A cinquant'anni, la sua corona di capelli bene ordinati intorno alla chierica lucente era ancora nera, ma le sue spalle, in piedi o seduto che fosse, erano sempre piegate in avanti, per l'abitudine contratta in tanti anni di rapporti con creature alte la metà di lui, che desiderava soltanto rassicurare, anziché dominare con la propria statura e un portamento altero. Buo-
no e indulgente, era nondimeno un ottimo maestro, e sapeva ottenere dai suoi pupilli disciplina e obbedienza, senza dover imporle con l'arma del timore. Uno degli oblati, offerto a Dio quando aveva cinque anni e ormai vicino ai quindici e al noviziato, raccontava episodi terribili sul conto del predecessore di fratello Paul, che aveva governato col bastone e possedeva occhi che ghiacciavano il sangue nelle vene. Richard fece il rituale inchino, poi rimase impavido davanti al suo maestro, alzando verso di lui un viso impassibile, illuminato da occhi verdazzurri, limpidi e innocenti. Un ragazzino sveglio, esile e un po' piccolo per la sua età, ma agile e flessuoso come un gatto, con folti capelli ricciuti castano chiaro e una spruzzata di lentiggini dorate sugli zigomi e alla radice del naso diritto. Se ne stava lì, immobile, con le gambe leggermente divaricate, gli alluci contratti sulle tavole del pavimento e un'espressione deferente e schietta che fratello Paul conosceva fin troppo bene. «Vieni, Richard», disse in tono benevolo, «sediamoci. Ho qualcosa da comunicarti.» Tanto bastò per cancellare un lieve, infantile disagio, al quale tuttavia se ne sostituì subito un altro, più grave, perché il tono di quelle parole era stato così sollecito e indulgente da far pensare che il seguito sarebbe stato doloroso. Ma l'improvviso aggrottar di ciglia di Richard non espresse altro che stupore. Si lasciò trascinare da fratello Paul fino a una panca dove sedettero vicini, il ragazzo toccando a malapena il pavimento con la punta degli alluci e il monaco con un braccio attorno alle sue spalle. Richard si era preparato per un rimbrotto, ma a quanto pareva si trattava invece di qualcosa che lui non si aspettava e che forse non avrebbe saputo come affrontare. «Sai che tuo padre ha combattuto per il re a Lincoln e che è stato ferito, vero? E da allora è sempre stato di salute cagionevole.» Forte della sua giovinezza, ben nutrito e ben curato, Richard non aveva idea di che cosa significasse salute cagionevole, salvo che era qualcosa che accadeva ai vecchi, però disse: «Sì, fratello Paul», in tono educato e compiacente, come ci si aspettava da lui. «Tua nonna ha mandato un messo allo sceriffo, stamattina. Con una cattiva notizia, Richard. Tuo padre ha fatto la sua ultima confessione e ha ricevuto i sacramenti. È morto, figliolo. E tu sei il suo erede, dovrai essere degno di lui. È nelle mani di Dio, adesso, come noi tutti.» L'espressione di pensieroso stupore non era mutata. Gli alluci del ragazzo si contrassero e le sue mani si aggrapparono all'orlo della panca sulla
quale era seduto. «Mio padre è morto?» ripeté lentamente. «Sì, Richard. Tocca a tutti, prima o poi. Ogni figlio un giorno o l'altro dovrà prendere il posto del padre e addossarsi i suoi obblighi.» «Allora da adesso sarò io il signore di Eaton?» Fratello Paul non commise l'errore di considerare quella domanda come una semplice espressione di compiacimento per un guadagno personale, invece che come la consapevole accettazione di ciò che aveva appena detto lui, cioè che all'erede sarebbero toccati gli obblighi e i privilegi che erano stati del padre. «Sì, sei tu il signore di Eaton, o quantomeno lo sarai quando avrai l'età adatta. Adesso devi studiare per acquistare la saggezza necessaria per amministrare bene le tue terre e la tua gente. È quello che tuo padre si aspetterebbe da te.» Messo di fronte agli aspetti materiali della sua nuova situazione, Richard frugò nella memoria per ritrovare una chiara visione del padre, del quale doveva essere degno. Nelle recenti, rare visite a casa, per Natale e Pasqua, era stato ammesso, all'arrivo e alla partenza, nella camera di un malato, odorosa di erbe e di prematura vecchiaia, e gli era stato permesso di baciare un viso grigio e austero, di ascoltare una voce profonda, indebolita dalla malattia, che lo chiamava figlio e lo esortava a studiare e a essere virtuoso. Ma c'era ben poco altro e persino quel volto si era ormai sbiadito nella memoria. Purtroppo lui e suo padre non erano mai stati abbastanza vicini perché potesse nascere tra loro una naturale intimità. «Volevi bene a tuo padre e facevi il possibile per compiacerlo, vero, Richard?» lo sollecitò bonariamente Paul. «Devi continuare a farlo e devi pregare per la sua anima. Sarà di conforto anche per te.» «Dovrò tornare a casa?» domandò il ragazzo, che sentiva il bisogno di maggiori informazioni, più che di conforto. «Per le esequie di tuo padre, sì, certo. Ma non per restarvi, non ancora. Lui voleva che tu imparassi a leggere, scrivere e far di conto e sei ancora troppo giovane. Sarà il sovrintendente a occuparsi del tuo possedimento, finché non sarai cresciuto.» «La nonna non vede perché io dovrei imparare tutte queste cose», spiegò Richard. «Si è arrabbiata tanto quando mio padre mi ha mandato qui. Tutto quello che ci occorre è uno scrivano istruito, i libri non si addicono a un nobile signore, dice.» «Oh, ma rispetterà i desideri di tuo padre, è un dovere sacro, adesso che
lui è morto.» Il ragazzo sporse le labbra in un'espressione dubbiosa. «La nonna ha altri progetti per me. Vuole che sposi la figlia del nostro vicino, Hiltrude, perché non ha fratelli e sarà l'erede di Leighton e Wroxeter. E adesso lo vuole più che mai», aggiunse osservando il viso lievemente allarmato del monaco. Occorse qualche momento a fratello Paul per assimilare quella notizia e collegarla al particolare che il ragazzo fosse stato mandato alla scuola dell'abbazia quando aveva appena cinque anni. I possedimenti di Leighton e Wroxeter confinavano con Eaton e potevano essere una prospettiva allettante, ma chiaramente Richard Ludel non aveva condiviso gli ambiziosi progetti di sua madre per il nipote, se aveva fatto in modo di allontanarlo da lei e un anno dopo ne aveva affidato la tutela all'abate Radulfus, per il caso che lui fosse venuto a mancare prematuramente. Meglio dunque informare al più presto il padre abate di ciò che bolliva in pentola, rifletté il monaco. Un simile abuso nei confronti di un suo pupillo, oltretutto a malapena uscito dall'infanzia, Radulfus non lo avrebbe di certo sopportato. «Tuo padre», disse finalmente il monaco, opponendo un viso grave allo sguardo fermo del ragazzo, «non ha mai detto niente dei suoi eventuali progetti per te, quando fossi stato adulto. Questioni simili vanno trattate al momento giusto, che non è ancora arrivato. Non è il caso che ti preoccupi di matrimoni ancora per un bel po' d'anni. Sei stato affidato alle cure del padre abate, il quale farà ciò che è meglio per te.» Poi, cedendo a una naturale curiosità umana, aggiunse, cauto: «La conosci, tu, quella bambina... la figlia del vicino?» «Non è una bambina!» dichiarò in tono sprezzante Richard. «È vecchia! Era già stata promessa una volta, ma il suo fidanzato è morto. E la nonna è stata contenta perché, dopo qualche anno di attesa nel suo ricordo, Hiltrude, che non è neppure bella, non avrà più molti pretendenti, così resterà là per me.» Fratello Paul sentì gelarsi il sangue. «Vecchia» probabilmente significava poco più di vent'anni, ma anche quella era una differenza inaccettabile. Matrimoni del genere, naturalmente, erano abbastanza frequenti, soprattutto quando c'erano di mezzo ricche proprietà, ma non si doveva incoraggiarli. L'abate Radulfus aveva avuto a lungo scrupoli di coscienza riguardo all'opportunità di accettare bambini molto piccoli affidati dal padre al chiostro e finalmente aveva deciso di non ammettere più ragazzi che non avessero l'età per fare una libera scelta, perciò non avrebbe certo visto di buon
occhio che si addossasse a un fanciullino il fardello non meno grave e impegnativo del matrimonio. «Bene», riprese risolutamente, «puoi toglierti dalla mente tali problemi. Adesso e per qualche anno ancora dovrai pensare soltanto allo studio e ai passatempi adatti alla tua età. Torna quindi dai tuoi compagni, se vuoi, oppure puoi restartene qui tranquillo per un poco, se preferisci.» Richard si sottrasse prontamente al braccio che gli circondava ancora le spalle e si alzò, impaziente di ritrovarsi con altri ragazzi come lui. Non si era ancora reso pienamente conto di quanto gli era accaduto. Il fatto materiale lo aveva afferrato, ma le sue implicazioni tardavano a passare dal cervello al cuore. «Se c'è altro che vuoi chiedermi», continuò fratello Paul, un po' preoccupato, «o se senti il bisogno di conforto o di consiglio, torna da me e andremo insieme dal padre abate. È più saggio di me e maggiormente in grado di aiutarti in un momento così difficile per te.» Poteva anche essere così, ma quale scolaretto avrebbe mai affrontato spontaneamente un colloquio con un personaggio che incuteva tanta soggezione? Il viso già serio di Richard aveva assunto l'espressione impensierita di chi si ritrovasse a dover percorrere sentieri sconosciuti e irti di difficoltà. Congedatosi con l'inchino di prammatica, il ragazzo uscì quasi di corsa e fratello Paul, dopo averlo seguito con lo sguardo dalla finestra, senza cogliere alcun segno di una possibile crisi, andò a riferire al padre abate quanto aveva appreso riguardo ai progetti di madonna Dionisia Ludel per il nipote. Radulfus ascoltò con attenzione e il viso accigliato e pensieroso. Quella di riunire Eaton e i possedimenti confinanti era un'ambizione comprensibile. La proprietà risultante sarebbe stata una potenza nella contea e senza dubbio la formidabile signora si riteneva perfettamente in grado di amministrarla, scavalcando la sposa, il padre della sposa e il giovanissimo sposo. La cupidigia di terre era una molla poderosa e i bambini potevano essere lo strumento per ottenere un ambito guadagno. «Ci preoccupiamo senza bisogno», commentò alla fine l'abate, con una scrollata di spalle. «Il ragazzo è sotto la mia tutela e resta qui. Sua nonna, qualunque progetto abbia in mente, non potrà toccarlo. Possiamo scordarci questo problema. La vecchia signora non è una minaccia né per Richard né per noi.» Nonostante la sua saggezza, in quel caso Radulfus avrebbe scoperto di essersi completamente sbagliato.
CAPITOLO II Erano tutti al capitolo, la mattina del 21 ottobre, quando il sovrintendente di Eaton si presentò a chiedere udienza, con un messaggio della sua signora. John di Longwood era un omone barbuto di cinquant'anni, con un principio di calvizie e gesti misurati e risoluti. Fece un rispettoso inchino all'abate e comunicò il messaggio di cui era latore con la fredda determinazione di chi svolge il proprio incarico senza assumersi alcuna responsabilità. «Padre, madonna Dionisia Ludel vi porge per mezzo mio i suoi più devoti omaggi e vi prega di rimandarle insieme con me suo nipote Richard perché abbia a occupare il proprio legittimo posto di signore di Eaton quale successore di suo padre.» L'abate Radulfus si accomodò meglio sul suo stallo, fissando il messaggero con viso impassibile. «Richard parteciperà certo al funerale. Quando sarà?» «Domani, padre, prima della messa solenne. Ma non è questo che intende la mia signora. Vuole che suo nipote lasci la scuola e torni a Eaton come signore del possedimento. Madonna Dionisia ritiene di essere la persona più adatta per aver cura di lui, adesso che sta per entrare in possesso della propria eredità, come essa è certa che potrà fare tra breve e senza intoppi. Ho ordine di riportarlo a casa con me.» «Un ordine che temo non potrete eseguire, messer sovrintendente», ribatté risolutamente l'abate. «Richard Ludel aveva affidato a me la cura di suo figlio nel caso che egli fosse venuto a mancare anzitempo. Ed era suo desiderio che il ragazzo fosse convenientemente istruito perché potesse amministrare bene le proprie terre quando le avesse ereditate. E io intendo assolvere il compito che mi sono assunto. Richard resterà qui finché non avrà l'età per controllare i propri affari. Fino ad allora, ne sono certo, voi lo servirete con la stessa lealtà con la quale avete servito suo padre e farete fruttare al meglio le sue terre.» «Certamente, padre», asserì John di Longwood con maggior calore di quanto ne avesse mostrato nel riferire il messaggio che gli era stato affidato. «Il mio signore Richard aveva già lasciato tutto nelle mie mani, dopo Lincoln, e non aveva mai avuto di che lamentarsi, ve l'assicuro.» «Non ne dubito. Dunque noi potremo continuare qui a cuor sereno e aver cura dell'istruzione e del benessere del giovane Richard come farete
voi con la sua proprietà.» «E quale risposta dovrò portare a madonna Dionisia?» domandò John, senza dar segno di alcun disappunto o riluttanza. «Ditele che le mando i miei rispettosi saluti in Cristo e che Richard tornerà domani, com'è giusto, con la debita scorta», rispose Radulfus con una lieve enfasi ammonitrice, «ma che suo padre lo ha affidato alla mia custodia fino alla sua maggiore età e io rispetterò il suo desiderio.» «Lo dirò, padre», promise il sovrintendente con uno sguardo schietto e un profondo inchino, e uscì senza chiedere altro. Fratello Cadfael e fratello Edmund l'infermiere emersero nella grande corte in tempo per vederlo montare in sella al suo tarchiato cavallo gallese e avviarsi senza fretta verso il Foregate. «Se non sbaglio», osservò Cadfael, che lo conosceva bene, «non gli dispiace eccessivamente di aver ricevuto un netto rifiuto e non lo intimorisce affatto il pensiero di doverlo riferire alla sua signora. Si direbbe quasi che assapori quel momento.» «Lui non è soggetto alla volontà di madonna Dionisia», sottolineò Edmund. «Soltanto lo sceriffo ha l'autorità per interferire in quanto riguarda il possedimento, finché il ragazzo non sarà uscito di tutela, e John sa di essere bravo nel proprio lavoro. Come lo sa lei, perché è avveduta e sa apprezzare una buona amministrazione. Per amore della pace, lui obbedirà ai suoi ordini, non è necessario che li approvi, basta che tenga la bocca chiusa.» E poiché John di Longwood era, nel migliore dei casi, uomo di poche parole, probabilmente non gli sarebbe riuscito difficile tacere e mantenere un viso impassibile. «Ma questo non metterà fine al contrasto», obiettò Cadfael. «Se la signora ha posto l'occhio su Wroxeter e Leighton, non si arrenderà tanto facilmente e il ragazzo è l'unico mezzo per mettervi sopra le mani. Avremo altre notizie di madonna Dionisia Ludel.» L'abate Radulfus non aveva preso le cose alla leggera. Richard fu accompagnato a Eaton da fratello Paul, fratello Anselm e fratello Cadfael, una scorta sufficiente per sventare persino un tentativo di sequestro con la forza, che era molto improbabile. Molto più probabile, invece, che madonna Dionisia cercasse di ricorrere alla persuasione, giocando sull'affetto e i vincoli di sangue per influire sul nipote con lacrime e blandizie e farsene un nostalgico alleato nel campo nemico. Ma se nutriva tali idee, rifletté Cadfael osservando il viso di Richard durante il tragitto, sottovalutava l'in-
nocente astuzia infantile. Quel ragazzo era perfettamente capace di vagliare il proprio interesse e sfruttare i propri vantaggi. Era abbastanza felice a scuola, con compagni della sua età, e non avrebbe abbandonato a cuor leggero una vita piacevole alla quale era ormai abituato per una che non conosceva affatto, senza neppure un fratello e con la minaccia di una sposa che considerava vecchia. Senza dubbio apprezzava e desiderava la sua eredità, ma quella tanto era sua, e al sicuro, e che restasse a scuola o tornasse a casa, lui non avrebbe comunque avuto il permesso di occuparsene. No, ci sarebbe voluto ben altro che lacrime e abbracci materni per conquistarsi l'alleanza di Richard, tanto più quando provenivano da una persona che non si era mai dimostrata particolarmente affettuosa. Eaton distava sette miglia o poco più dall'abbazia e per l'onore e la dignità del monastero dei santi Pietro e Paolo erano stati inviati alcuni cavalli per il viaggio. Madonna Dionisia aveva mandato per il nipote un robusto pony gallese, forse il primo passo di una campagna per reclutarlo, come alleato, e il dono era stato accettato con avido piacere, ma non per questo sarebbe stato necessariamente ricambiato in qualche modo. Un dono è un dono e i bambini sono abbastanza furbi, hanno una percezione dei motivi degli adulti abbastanza chiara per prendere ciò che viene offerto loro spontaneamente, anche se non hanno alcuna intenzione di ricambiarlo come ci si aspetterebbe da loro. Richard se ne stava ritto in sella, fiero e gongolante, quasi dimenticando, in quella bella, rugiadosa mattina autunnale, il triste motivo di quella cavalcata. Il mozzo di stalla che gli aveva riportato il pony, un ragazzotto sui sedici anni, trotterellava allegro al suo fianco. Fu proprio lui a guidare il cavallo quando attraversarono il guado a Wroxeter, come avevano fatto tanti secoli addietro i romani. Dove, un tempo, si diceva vi fossero state una città e una fortezza, adesso si stendeva una rigogliosa tenuta dalla terra grassa e fertile, con una ricca chiesa servita da quattro canonici. Cadfael si guardava intorno con profondo interesse, perché quello era uno dei due possedimenti che madonna Dionisia sperava di poter unire a quello dei Ludel facendo sposare Richard con la giovane Hiltrude Astley. Tutta quella campagna a nord del fiume era fatta di marcite, campi ondulati e persino qualche collinetta, e punteggiata di gruppi d'alberi che cominciavano appena a fondersi nel primo oro del loro fogliame autunnale. All'orizzonte, si stagliava contro il cielo il bastione della foresta di Wrekin, un'immensa, folta chioma che si stendeva giù fino al Severn, spingendo una grossa treccia della sua criniera scura dentro la proprietà dei Ludel e nei boschi di Eyton-by-Severn appartenenti all'abbazia.
A malapena un miglio separava la masseria di Eyton, vicina al fiume, dalla casa padronale di Richard Ludel a Eaton. I nomi stessi derivavano dalla medesima radice, ma poi il tempo ne aveva fatto due parti separate e la passione dei normanni per l'ordine e la precisione aveva fissato e ratificato le differenze. Come furono più vicini, il lungo dorso curvo della foresta mutò aspetto, presentandosi di scorcio, e quando raggiunsero il possedimento lo vedevano ormai dalla fine, mentre una collina era diventata una ripida montagna, con qualche squarcio di roccia nuda tra gli alberi vicino alla sommità. Il villaggio si stendeva sereno fra i prati, poco lontano dal piede delle colline, e il maniero, circondato da uno steccato, sorgeva sopra una cripta, accanto alla chiesa che in origine era stata una filiazione di quella di Leighton, distante un paio di miglia. Smontarono all'interno dello steccato e fratello Paul prese subito per mano Richard, mentre madonna Dionisia veniva loro incontro, si avvicinava con piglio autoritario e si chinava a baciarlo. Richard alzò il viso, sottomettendosi un po' diffidente al saluto, ma strinse più forte la mano del monaco. Da quella parte, sapeva a che punto stava, mentre dall'altra non poteva essere certo di niente. Cadfael intanto osservava con interesse la signora, che conosceva di fama ma che non aveva mai visto. Dionisia era alta e diritta, sui cinquantacinque anni al massimo e in ottima salute. Ed era pure bella, anche se intimidiva un poco, con tratti ben disegnati e gelidi occhi grigi. Un gelo che tuttavia si accese di un lampo ammonitore mentre girava lo sguardo sulla scorta del nipote, consapevole della forza del nemico. Dietro di lei erano usciti i domestici, insieme con il prete, ma per il momento non vi sarebbero stati accenni a fidanzamenti. Più tardi, forse, quando Richard Ludel fosse stato debitamente sepolto e la casa aperta per ricevere coloro che avevano partecipato alla cerimonia, Dionisia avrebbe fatto il primo passo. E non si poteva certo tenere l'erede lontano dalla nonna in un giorno come quello. Il rito solenne per Richard Ludel si svolse regolarmente e fratello Cadfael approfittò dell'occasione per osservare i dipendenti della casa, da John di Longwood al più giovane dei mandriani. Appariva da molti segni che la proprietà aveva prosperato sotto l'amministrazione di John e che i suoi uomini erano soddisfatti del proprio stato. Hugh aveva ottimi motivi per non intromettersi. Tra i vicini c'era anche Fulke Astley che esaminava con occhio attento ciò che avrebbe avuto da guadagnare se avesse avuto luogo il ventilato matrimonio. Cadfael lo aveva visto un paio di volte a Shre-
wsbury, un omone presuntuoso vicino ai cinquant'anni, lento nei movimenti, ben diverso dalla donna attiva e irrequieta, dal carattere altero, ritta con espressione grave davanti al feretro di suo figlio. Aveva al fianco Richard e gli teneva una mano su una spalla, in atteggiamento di possesso più che di protezione, mentre lui fissava con gli occhi spalancati e un'espressione solenne la tomba che si era aperta per suo padre e che stava per essere richiusa. Pensare alla morte da lontano è un conto, ma averla sotto gli occhi è un altro. Fino a quel momento, Richard non aveva afferrato nel suo pieno significato l'irrevocabilità di quella perdita. La mano della nonna non si staccò dalla sua spalla mentre il corteo dei dolenti tornava al maniero dov'era stato approntato il convito funebre. Le dita lunghe e sottili non allentarono la presa sulla tunica migliore del ragazzo, mentre lei lo guidava fra gli ospiti indicando col proprio atteggiamento che egli era il padrone della casa e la figura di primo piano alle esequie di suo padre. E Richard era pienamente consapevole della propria posizione, pronto a risentirsi di qualsiasi violazione dei suoi privilegi. Fratello Paul, un po' preoccupato, sussurrò a Cadfael che sarebbe stato meglio portarlo via prima che gli ospiti se ne andassero, altrimenti avrebbero corso il rischio di non riuscire più a farlo, quando non vi fosse stato alcun testimone. Alla presenza del prete e di altri estranei, invece, sarebbe stato difficile trattenerlo con la forza. Cadfael aveva osservato bene gli ospiti che conosceva poco. C'erano due monaci in saio grigio della casa di Savigny a Buildwas, distante poche miglia, della quale Ludel era stato generoso benefattore, e con loro, benché si tenesse modestamente in disparte, un personaggio meno facilmente identificabile. Indossava un saio di un nero rossastro, logoro agli orli, ma il cappuccio lasciava intravedere una massa di capelli neri non rasati e sul suo petto brillavano alcuni sprazzi metallici che avevano l'aria di provenire da medaglie di diversi pellegrinaggi. Forse si trattava di un religioso errante in procinto di sistemarsi in convento. Ottimi osservatori imparziali, quei tre. Davanti a tali reverendi ospiti non si sarebbe potuto tentare alcun atto di violenza. Fratello Paul si avvicinò educatamente a madonna Dionisia per congedarsi e chiedere che gli venisse consegnato il suo allievo, ma la signora lo colse di sorpresa con un gelido lampo degli occhi e una voce di un'ingannevole dolcezza. «Fratello, se me lo consentite, vorrei pregarvi di lasciarmelo ancora per questa notte. Ha avuto una giornata difficile e comincia a essere stanco. Non dovrebbe muoversi fino a domani.»
Ma non disse che lo avrebbe rimandato il giorno seguente, né levò la mano dalla sua spalla, e aveva parlato a voce abbastanza alta per essere udita da tutti: la nonna affettuosa preoccupata per il suo bambino. «Signora», ribatté tuttavia il monaco, cercando di cavarsela come meglio poteva in una posizione sfavorevole, «stavo per dirvi, con dispiacere, che dobbiamo andarcene. Non sono autorizzato a lasciare Richard qui con voi. Ci aspettano per il vespro. Vi prego di perdonarci.» Il sorriso della signora era soave, ma i suoi occhi erano freddi e taglienti come lame. Fece un altro tentativo, forse per difendere la propria causa con coloro che l'ascoltavano, più che per la speranza di ottenere qualcosa in quel momento, perché si rendeva conto di non avere armi per opporsi. «L'abate Radulfus capirà certamente il mio desiderio di avere mio nipote con me per un altro giorno. È la mia carne e il mio sangue, tutto ciò che mi è rimasto, e l'ho visto così poco in questi ultimi anni. Sarei desolata se me lo portaste via così presto.» «Signora», riprese fratello Paul con fermezza, pur sentendosi a disagio, «mi duole di dovermi opporre al vostro desiderio, ma non ho scelta. L'obbedienza al mio abate mi costringe a riportare Richard con me prima di sera. Vieni, Richard, dobbiamo andare.» Per un istante, madonna Dionisia strinse più forte la spalla del nipote, tentata di agire anche così davanti a tutti, ma poi cambiò idea. Non era il momento di mettersi dalla parte del torto, ma di conquistarsi invece simpatia. Allargò la mano e Richard si allontanò da lei, un po' incerto, per mettersi al fianco di Paul. «Riferite al padre abate», disse la signora con uno sguardo cupo e severo, ma con voce sempre dolce e melliflua, «che gli chiederò presto un colloquio.» «Lo farò senz'altro, signora», assicurò fratello Paul. Madonna Dionisia mantenne la parola. Il giorno seguente, in groppa a un agile ginetto, giunse all'abbazia ben scortata e più imponente che mai, a chiedere udienza all'abate. Rimase in riunione segreta con lui per quasi un'ora, ma uscì in una vampa di risentimento e di collera, attraversò come un turbine la grande corte, facendo sparpagliare innocui novizi come foglie sospinte dal vento, e ripartì con una furia che non piacque al suo pacifico cavallo, seguita dagli staffieri che si tenevano a prudente distanza, ammutoliti e sgomenti. «Ecco una signora abituata ad averla sempre vinta», commentò fratello
Anselm. «Ma una volta tanto ha trovato pane per i suoi denti.» «Oh, non abbiamo ancora visto la fine», replicò Cadfael, guardando la polvere che si andava depositando dopo il suo passaggio. «Non ho alcun dubbio riguardo alle sue intenzioni», convenne Anselm. «Ma che cosa potrebbe fare?» «Questo lo vedremo a suo tempo», dichiarò Cadfael, con nuovo interesse. Dovettero aspettare soltanto due giorni. Il giurisperito di Dionisia Ludel si presentò cerimoniosamente all'ora del capitolo, chiedendo udienza. Anziano, brusco e irascibile, irruppe nella sala del capitolo con un fascio di pergamene sotto braccio e si rivolse all'assemblea con fredda dignità, addolorato piuttosto che incollerito. Si stupiva, disse, che un dotto uomo di Chiesa, retto e comprensivo come aveva fama di essere l'abate Radulfus, non riconoscesse i vincoli del sangue e ricusasse di restituire Richard Ludel alla custodia e alle cure affettuose dell'unica parente che gli era rimasta, sola anch'essa e ansiosa di aiutare, guidare e consigliare il nipote nella signoria appena acquisita. Si stava commettendo una grave ingiustizia verso nonna e ragazzo, rifiutando di riconoscere il loro naturale bisogno di mutuo affetto. E il rappresentante di madonna Dionisia rinnovò la solenne richiesta di cancellare quell'ingiustizia rimandando Richard Ludel al maniero con lui. L'abate ascoltò con paziente impassibilità il ben calcolato discorso. «Vi ringrazio per la vostra ambasciata», disse cortesemente alla fine. «Siete stato molto bravo, ma non posso darvi una risposta diversa da quella che ho già dato alla vostra signora. Prima di morire, Richard Ludel ha affidato a me la cura di suo figlio, con una lettera chiara e comprovata da testimoni. Io ho accettato l'incarico e non posso disconoscerlo. Era desiderio del padre che suo figlio fosse educato qui da noi finché non avesse raggiunto la maggiore età e fosse in grado di assumersi la responsabilità della propria vita e dei propri beni. L'ho promesso e terrò fede al mio impegno. La morte del padre non fa altro che rendere più sacro e vincolante il mio obbligo. Ditelo alla vostra signora.» «Padre», ribatté il giurisperito che palesemente non si era aspettato altra risposta ed era pronto a compiere il passo successivo, «il documento in vostro possesso è senz'altro legale, ma non sarebbe l'unico argomento valido in un tribunale. I giudici del re presterebbero orecchio anche alla preghiera di una signora d'alto rango, vedova e orbata pure del figlio, ma perfettamente in grado di provvedere a tutte le necessità del nipote, oltre al natura-
le bisogno che ha lei stessa del conforto della sua presenza. La mia signora desidera informarvi che, se non le renderete il ragazzo, è decisa a ricorrere alla legge per riaverlo.» «Bene, non posso che approvare le sue intenzioni», ribatté serenamente Radulfus. «Una decisione giudiziaria al tribunale del re sarà soddisfacente per entrambi, perché ci solleverà del peso di una scelta. Dite dunque alla vostra signora che aspetterò il giudizio con fiduciosa deferenza, ma finché esso non sarà pronunciato, io dovrò tener fede all'impegno che ho giurato di assumermi. Penso che su questo saremo d'accordo.» All'ambasciatore non rimase altro che accettare quell'inattesa risposta accomodante e congedarsi con l'inchino più garbato che gli riuscì di fare. Un lieve brusio di curiosità e stupore si era propagato fra gli stalli della sala del capitolo, ma bastò un'occhiata dell'abate per farlo cessare e solamente quando i fratelli uscirono nella grande corte e tornarono alle loro occupazioni, commenti e congetture ebbero libero sfogo. «È stato saggio incoraggiarla a quel modo?» rimarcò fratello Edmund mentre si dirigeva verso l'infermeria con Cadfael. «E se quella ci trascinasse davvero in tribunale? Un giudice potrebbe benissimo prendere le parti di una donna sola che desidera avere con sé suo nipote!» «Non preoccupatevi», ribatté Cadfael, imperturbato. «È soltanto una minaccia vana. Madonna Dionisia sa fin troppo bene che la legge è lenta e costa cara, soprattutto in momenti come questo, col re lontano e alle prese con problemi assai più importanti e una metà del reame privo di ogni tipo di giustizia. No, lei spera soltanto che l'abate abbia a ripensarci e a cedere terreno per il timore di una lunga controversia. Ma ha sbagliato i suoi conti. Radulfus sa che lei non ha alcuna intenzione di ricorrere alla legge. È molto più che probabile che opti invece per un colpo di mano e cerchi di portarsi via il ragazzo. E, in tal caso, ci vorrebbe la giustizia, lenta com'è, oppure una rapida azione per riaverlo indietro, ma l'uso della forza sarebbe ben più difficile per l'abate di quanto non lo sia per lei.» «C'è soltanto da sperare che la signora non abbia ancora usato tutti i suoi mezzi di persuasione, se l'ultima risorsa dev'essere la violenza!» mormorò fratello Edmund, sbigottito di fronte a quell'eventualità. Nessuno avrebbe saputo dire come il giovane Richard fosse venuto a conoscenza di tutte le giravolte in quella contesa sul suo avvenire: non poteva avere origliato niente di quanto si era detto nella sala del capitolo, nessun novizio partecipava a quelle riunioni quotidiane e non si poteva
nemmeno pensare che qualcuno dei confratelli avesse fatto pettegolezzi sul conto del ragazzo che era al centro del conflitto. Eppure era chiaro che Richard sapeva tutto ciò che stava accadendo e che ne ritraeva un maligno piacere. Quella discordia rendeva la vita più interessante e lì nell'abbazia lui si sentiva al sicuro da qualsiasi pericolo, mentre lo divertiva il pensiero di essere l'oggetto di una contesa. «Vede tutti gli andirivieni da e per Eaton», osservò fratello Paul confidando a Cadfael le proprie ansie, nella pace dell'erbario, «ed è abbastanza perspicace da capire che cosa significano. Come ha capito fin troppo bene quanto è accaduto al funerale di suo padre. Vorrei che fosse un po' meno sveglio, per il suo stesso bene.» «Ringraziate il cielo che lo sia», lo consolò Cadfael. «Sono gli innocenti svegli quelli che evitano le trappole. E madonna Dionisia se ne resta tranquilla ormai da dieci giorni, forse si è rassegnata e ha rinunciato a battersi.» Ma non ne era affatto convinto. L'illustre signora non era avvezza alle sconfitte. «Può darsi», convenne Paul, «perché ho saputo che ha accolto un reverendo pellegrino e ha fatto rimettere in ordine il vecchio eremitaggio nel suo bosco per lui. Vuole che preghi per l'anima di suo figlio. Lo ha detto Eilmund quando ci ha portato la nostra parte di cacciagione. Lo abbiamo visto anche noi, Cadfael, al funerale di Ludel. Era con i due fratelli di Buildwas. Lo avevano ospitato per una settimana e ne hanno parlato come di un santo.» Cadfael, chino su un'aiuola di menta ormai rinsecchita, si raddrizzò con un mugugno. «Quello che aveva una conchiglia di pettine e una medaglia di Saint James sul petto? Sì, l'ho notato. Sicché ha stabilito di insediarsi fra di noi? E ha scelto una cella con una spanna di giardino nei boschi, invece di un saio grigio a Buildwas! Personalmente non sono mai stato attratto dalla vita solitaria, ma so di uomini che meditano e pregano meglio in un eremo. È un po' di tempo che nessuno occupa quella cella.» Conosceva bene quel luogo, anche se aveva avuto assai di rado l'occasione di passare da quelle parti, perché il guardaboschi dell'abbazia godeva di ottima salute e non gli occorrevano medicine. L'eremitaggio, abbandonato da anni, si trovava in un punto particolarmente fitto del bosco, una casupola in pietra con un fazzoletto di terra un tempo recintato e coltivato, ma ormai completamente inselvatichito. Là, la foresta comprendeva i terreni di Eaton e di Eyton, appartenenti rispettivamente ai Ludel e all'abbazia, e nel tratto dov'era l'eremitaggio i confini si incuneavano l'uno nel-
l'altro, accanto alla macchia ben curata del guardaboschi. «Nessuno lo disturberà, in un posto simile», osservò Cadfael. «Se decide di restarvi. Ma come si chiama il nostro nuovo eremita?» «Cuthred. Avere un vicino santo è una bella risorsa e pare che la gente abbia già cominciato ad andare a confidargli i propri guai per avere un aiuto. Può darsi», azzardò ottimisticamente fratello Paul, «che sia stato lui ad ammansire la signora. Deve avere un forte ascendente su di lei, se gli ha offerto un asilo. E adesso sono dieci giorni che non si fa viva. Potrebbe essere merito di Cuthred.» E, in effetti, mentre le dolci giornate d'ottobre scorrevano l'una dopo l'altra, con incerte albe brumose, meriggi sereni ma velati e umidi, verdi crepuscoli, pareva che non vi dovessero essere altri scontri riguardo al giovane Richard, che madonna Dionisia si fosse ravveduta circa il ricorso alla legge e rassegnata alla sottomissione. Mandò persino, per tramite del suo prete, una somma perché si celebrassero messe di suffragio per suo figlio, un gesto che poteva soltanto essere interpretato come un'offerta di riconciliazione. E così lo considerò fratello Francis, il nuovo custode della cappella di Nostra Signora, dove le messe dovevano essere celebrate. «A quanto mi ha detto padre Andrew», riferì dopo che il visitatore se ne fu andato, «da quando i fratelli di Buildwas le hanno mandato questo Cuthred, la signora sembra aver trovato il suo consigliere privato e un esempio da seguire. Si è già guadagnato una fama di santità e si dice che abbia fatto voti strettissimi, che non lasci mai la sua cella e il suo giardino, ma non rifiuta aiuto e preghiere a chi li chiede. Padre Andrew nutre una profonda stima per lui. La vita da anacoreta non fa per noi, ma non è male avere un sant'uomo così vicino, non può apportarci altro che benedizioni.» Erano in tanti a pensarla così, perché la presenza di un eremita tanto devoto arrecava gran lustro a Eaton e l'unica critica che fosse giunta all'orecchio di Cadfael riguardava la sua eccessiva modestia, che lo aveva indotto prima a deprecare e poi a proibire la diffusione delle lodi sperticate che si facevano di lui. Aveva già compiuto prodigi non trascurabili, quali un'incombente moria del bestiame scongiurata dalle sue preghiere dopo che una mandria di Dionisia si era ammalata, o una violentissima bufera che grazie alla sua intercessione era passata senza arrecare danni, ma non permise che se ne ascrivesse a lui il merito, arrabbiandosi in maniera paurosa se si tentava di farlo e minacciando la collera di Dio su chi disobbediva. In capo a un mese dal suo arrivo, la sua regola contava di più, a Eaton, di quella di madonna Dionisia o di padre Anselm, e la sua fama, della quale non si po-
teva parlare apertamente, si propagava con cauti sussurri, come un prezioso segreto del quale rallegrarsi in privato, ma da tenere nascosto al mondo. CAPITOLO III Eilmund, il guardaboschi di Eyton, si recava di tanto in tanto al capitolo dell'abbazia per rendere conto delle opere compiute, segnalare eventuali problemi o, eccezionalmente, chiedere un temporaneo aiuto per qualche situazione d'emergenza. Tuttavia, accadeva di rado che avesse a riferire altro che il buon andamento del proprio lavoro, ma una mattina della seconda settimana di novembre arrivò con la fronte corrugata e un'espressione di cupa perplessità sul volto. A quanto pareva, una strana concomitanza di disgrazie si era abbattuta sul suo bosco. Tarchiato, bruno e villoso, di poco oltre la quarantina, robusto di corpo e agile di mente, Eilmund si fermò al centro della sala del capitolo, ben piantato sulle gambe massicce come un lottatore di fronte all'avversario, e venne dritto al punto. «Padre abate, stanno accadendo nel mio territorio cose che non riesco a capire. Una settimana fa, durante quel violento temporale, il torrente che scorre fra il nostro bosco ceduo e la foresta vera e propria ha trascinato con sé una massa di cespugli e costruito una diga tale che è straripato, mutando il proprio corso e inondando la mia nuova piantagione. E quando sono riuscito finalmente a rimuovere quell'ostacolo, ho scoperto che l'acqua aveva scavato in parte il terreno sotto la sponda del mio fossato, un po' più a monte, e formato una sorta di ponte con la riva opposta. Ma prima che arrivassi a scoprirlo, erano entrati nel bosco ceduo i daini, che hanno divorato tutti i giovani virgulti spuntati nel tratto che avevamo potato due anni fa. Temo che alcuni alberi abbiano a morire, e in ogni caso ci vorrà almeno un altro paio di anni prima che tornino a germogliare. Così, in aggiunta ai danni attuali, se ne va all'aria tutto il mio piano», lamentò Eilmund, risentito per la rovina del suo ben calcolato programma di sfoltimento ciclico. Cadfael conosceva bene quei luoghi, orgoglio del guardaboschi, il tratto coltivato della foresta di Eyton, col suo bosco ceduo ben curato e protetto tutt'intorno da un fossato, dove le regolari potature di alberi di sei o sette anni consentivano alla luce di penetrare nel sottobosco, mantenendovi una ricca e varia vegetazione di erbe e fiori. Alcuni alberi, come il frassino, gettavano poi nuovi germogli dal ceppo rimasto, appena sotto il taglio; altri, come olmi e pioppi tremoli, li gettavano invece dalle radici, tutt'intorno
al tronco. Alcuni ceppi, infine, potati e ripotati più volte, avevano addirittura creato veri e propri cespugli del diametro di due buoni passi. E fino a quel momento, nessuna grave calamità naturale aveva ferito l'orgoglio di Eilmund per la propria bravura. Nessuna meraviglia che adesso si sentisse tanto addolorato e oltraggiato. E anche per l'abbazia la perdita era considerevole, perché la legna del bosco ceduo, usata come combustibile, per fare i manici di attrezzi, in carpenteria e per altri svariati impieghi, era fonte di un buon reddito. «E non è tutto», continuò cupamente il boscaiolo. «Ieri, quando ho fatto il mio solito giro dall'altra parte del bosco ceduo, dove il fossato è asciutto ma abbastanza profondo e con le sponde ripide, ho avuto un'altra sorpresa: approfittando di un palo caduto nel punto dove i nostri terreni confinano, le pecore di Eaton erano uscite dal loro recinto e, come voi ben sapete, un fossato bastante per fermare i daini non costituisce un ostacolo per le pecore, alle quali niente piace di più che brucare i primi, teneri virgulti di frassino. E quelle ne avevano fatto strage prima che potessi cacciarle via. Né io né John di Longwood sappiamo spiegarci come siano potute passare per un varco così esiguo... Ma sapete com'è, se la pecora guida del gregge si mette in testa una cosa, non c'è modo di fermarla e le altre la seguono. La mia foresta dev'essere stregata!» «Molto più probabile che si sia trattato di una semplice negligenza da parte vostra o dei vostri vicini», osservò il priore Robert con uno sguardo severo. «Padre priore», ribatté Eilmund con la brusca franchezza di chi è consapevole del proprio valore e sa di essere parimenti apprezzato dall'unico superiore che è tenuto a soddisfare, «in tanti anni trascorsi al servizio dell'abbazia, non v'è mai stata una lamentela riguardo al mio lavoro. Ho sempre fatto i miei giri di sorveglianza ogni giorno e spesso anche di notte, ma non posso né comandare alla pioggia di non cadere, né essere dappertutto nello stesso momento. E non mi è mai capitata una tale serie di disgrazie tutte in una volta. Né posso muovere alcun rimprovero a John di Longwood, che è sempre stato il miglior vicino che si possa desiderare.» «È vero», convenne in tono autorevole l'abate Radulfus. «Abbiamo avuto buoni motivi per essergli grati della sua buona volontà e non ne dubiteremo certo adesso. Come non dubito delle vostre capacità e della vostra devozione. Non ne ho mai avuto occasione prima e non ne ho in questo momento. Dio ci manda il freddo e nessuno può aspettarsi di passarla sempre liscia. La nostra perdita è sopportabile. Voi fate ciò che potete, ma-
stro Eilmund, e se vi serve qualche aiuto, lo avrete.» Il guardaboschi, che non era mai venuto meno ai suoi doveri ed era fiero della propria autosufficienza, ringraziò un po' a denti stretti e declinò per il momento l'offerta, promettendo che si sarebbe fatto vivo se qualcosa in avvenire lo avesse indotto a cambiare idea. E con quello se ne andò, rapido e risoluto com'era venuto, tornando alla sua casetta nella foresta, a sua figlia e alle imprecazioni contro la sorte, visto che onestamente non sapeva trovare un essere umano col quale prendersela. Per chissà quali vie misteriose il giovane Richard venne a sapere di quella visita e della sua inconsueta importanza: tutto ciò che riguardava sua nonna e la gente che viveva e lavorava a Eaton era del massimo interesse per lui. Per quanto saggio e vigile potesse essere l'abate suo guardiano, per quanto abile ed esperto potesse essere il suo sovrintendente, era opportuno tenere gli occhi aperti su quanto concerneva il suo possedimento. Se qualcosa andava storto a Eaton, Richard smaniava per conoscerne la causa e per lui, che era stato spesso biasimato come autore più o meno volontario di un misfatto, era più facile che per l'abate Radulfus attribuire la colpa di un guaio, anche se incomprensibilmente procurato, alla malvagità umana. Se le pecore di Eaton erano potute penetrare tra i frassini di Eyton non per qualche oscuro disegno del Signore, ma perché qualcuno aveva aperto loro la strada verso quell'invitante banchetto, lui voleva sapere chi era stato e perché lo aveva fatto: erano le sue pecore. Perciò si mise d'impegno a controllare ogni mattina chi andava o veniva all'ora del capitolo e s'incuriosì quando, due giorni dopo la visita di Edmund, vide arrivare in portineria un giovane che aveva già visto un'altra volta e che chiese educatamente il permesso di presentarsi al capitolo per comunicare un'ambasciata del suo padrone, Cuthred. Ma era troppo presto e il giovane dovette aspettare, un'attesa quanto mai opportuna per Richard, che naturalmente non avrebbe potuto marinare la scuola ma all'ora in cui terminava il capitolo sarebbe stato libero e in grado di fare la posta al visitatore per soddisfare la propria curiosità. Ogni eremita veramente degno di quel nome, avendo pronunciato voti che gli imponevano di non allontanarsi mai dal suo eremo e possedendo doni di preveggenza che era tenuto a usare a beneficio del suo prossimo, si trovava nella necessità di tenere con sé un giovane aiutante che sbrigasse per lui determinati incarichi e rendesse noti i suoi ammonimenti e rabbuffi.
Quello di Cuthred, poi, lo aveva anche accompagnato nelle sue recenti peregrinazioni alla ricerca del ritiro assegnatogli da Dio e adesso entrò nella sala del capitolo dell'abbazia con rispettosa sicurezza, sottoponendosi all'esame degli incuriositi confratelli, senza scomporsi di fronte all'invadenza di tanti sguardi penetranti e inquisitori. Dallo stallo appartato che preferiva, Cadfael osservò con profondo interesse il messaggero, che gli sembrava il servitore meno adatto per un anacoreta, un santo, almeno nel vecchio senso celtico che non teneva in alcun conto la canonizzazione, benché lì per lì non avrebbe saputo dire in che cosa consistesse l'incongruenza. Un ragazzo sui vent'anni, con tunica e calzebrache di rozza stoffa, scolorite e rappezzate (che non erano certo una rarità) e una figura snella e nervosa come quella di Hugh Beringar, ma di una buona spanna più alta, che possedeva l'agile grazia di un cerbiatto e la stessa selvaggia bellezza nei movimenti delle braccia e delle lunghe gambe. Persino la sua attuale, composta immobilità suggeriva l'idea di un improvviso scatto impetuoso, come di un animale selvatico in agguato. Veniva di pensare che, se si fosse mosso, la sua corsa sarebbe stata rapida e silenziosa, i suoi salti lunghi e alti come quelli di una lepre. Persino il suo viso mostrava la stessa mescolanza di compostezza vagamente minacciosa e di consapevolezza, sotto il casco dei folti capelli ondulati dal colore ramato delle foglie d'autunno. Un viso ovale dalla fronte alta e il naso diritto, con le narici frementi, una volta ancora come quelle di un animale attento a ogni odore portatogli dalla brezza, la bocca ben disegnata che pareva sorridere anche in riposo, come per qualche divertente segreto, e occhi ambrati e leggermente obliqui sotto folte sopracciglia arcuate. Occhi dei quali le ciglia lunghe e curve come quelle di una donna non arrivavano a celare l'ardente bagliore. Che ci faceva un sant'uomo con quel servitore bello come un Adone? Dopo aver sostenuto per un lungo momento quell'esame, il giovane sollevò le palpebre e, fissando l'abate Radulfus col candore di un bimbo innocente, gli fece un bell'inchino garbato e rispettoso. Ma non aprì bocca, aspettando di essere interrogato. «Dunque vi manda l'eremita di Eyton?» domandò finalmente l'abate, scrutando quel viso calmo e sereno, quasi sorridente. «Sì, padre. Il santo Cuthred vi manda per mio mezzo un messaggio», rispose il giovane con voce chiara e un po' acuta che echeggiò come una campana sotto la volta della sala. «Come vi chiamate?»
«Hyacinth, padre.» «Oh, ho conosciuto un vescovo che si chiamava così», ribatté Radulfus con un lieve sorriso, perché quel ragazzo semplice, vestito di scuro, non aveva certo niente del vescovo. «Avete preso da lui il vostro nome?» «No, padre. Non ne ho mai nemmeno sentito parlare. Ma so che in una vecchia storia si raccontava di un ragazzo con questo nome che era stato ucciso involontariamente da un dio innamorato di lui e dal suo sangue erano spuntati dei fiori. Me lo ha detto un prete.» Il giovane si guardò intorno con un fugace sorriso imbarazzato, consapevole del lieve disagio che le sue parole avevano provocato nell'animo semplice dei suoi ascoltatori, benché l'abate apparisse imperturbato. In quella vecchia storia, pensò Cadfael divertito, tu ci staresti assai meglio che tra i vescovi, figliolo, e lo sai. E anche tra gli eremiti. Dove diavolo ti ha scovato, il tuo? E come ti ha addomesticato? «Posso riferire il mio messaggio, adesso?» continuò pacatamente Hyacinth, appuntando sull'abate quei suoi occhi ambrati e limpidi. «Lo avete imparato a memoria?» domandò Radulfus sorridendo. «Certo, padre. Non deve esservi una sola parola fuori posto.» «Un messaggero fedelissimo, dunque! Bene, parlate.» «Fate conto di udire la voce del mio padrone, non la mia», esordì il giovane come introduzione, continuando poi con un tono di qualche ottava al di sotto della sua normale sonorità, in uno stupefacente esempio di bravura mimica che indusse Cadfael a scrutarlo con interesse crescente. «Ho saputo sia dal sovrintendente di Eaton, sia dal guardaboschi di Eyton», proseguì il sostituto eremita, «delle disgrazie che si sono improvvisamente abbattute sulla foresta. Ho pregato e meditato molto e temo che esse siano soltanto il preavviso di altre peggiori in un prossimo futuro, se non verrà sanato un falso equilibrio, o meglio una stridente discordia fra torto e ragione. E non so di alcuna colpa simile fra noi se non la negazione di un diritto che si attua nei confronti di madonna Dionisia Ludel, tenendo lontano da lei suo nipote. È vero, il desiderio di un padre dev'essere rispettato, ma non si può trascurare il dolore di una vedova, rimasta sola e priva di affetti. Perciò, vi prego, padre abate, riflettete se ciò che fate sia giusto, perché io sento pesare su tutti noi l'ombra del male.» Il lungo discorso fu pronunciato da quel giovane sorprendente con una voce grave e solenne che non era la sua e il trucco fece una profonda impressione, soprattutto sui confratelli più giovani, e superstiziosi, che si mossero sui loro scanni, scambiandosi mormorii di timorosa preoccu-
pazione, mentre il messaggero, adempiuto il proprio incarico, girava di nuovo intorno gli occhi ambrati sorridendo come se il reale significato di quell'ambasciata non fosse per lui di alcun interesse. «E queste sono le parole esatte usate dal vostro padrone?» domandò ancora l'abate, dopo averlo osservato in silenzio per un lungo momento. «Una per una, padre, come me le ha insegnate lui.» «E non vi ha incaricato di aggiungere poi qualcosa in suo favore? Non avete altro da dire?» Gli occhi del giovane si spalancarono per lo stupore. «Io, padre? Come potrei? Il mio compito è soltanto quello di fare le commissioni per lui!» «Non è una novità che un anacoreta offra asilo e lavoro a un sempliciotto», disse sprezzantemente il priore Robert all'orecchio dell'abate. «È un atto di carità. Come in questo caso, è chiaro.» Lo disse a voce bassa, ma non tanto bassa da sfuggire a orecchie fini e quasi appuntite come quelle di una volpe, perché un sorriso sbilenco illuminò per un attimo il viso di Hyacinth. Cadfael, che aveva colto a sua volta quell'impietoso commento, dubitava molto che l'abate sarebbe stato d'accordo. A lui pareva che dietro il viso bruno di quel ragazzo si celasse un'intelligenza acuta e che la sua apparente dabbenaggine fosse soltanto un calcolo. «Bene», disse Radulfus, «potete tornare dal vostro padrone, Hyacinth, e portargli i miei ringraziamenti per la sua premura e per le sue preghiere, che spero vorrà continuare a rivolgere a Dio per noi. Riferitegli che ho preso e prendo nella debita considerazione le lamentele di madonna Dionisia nei miei confronti e che ho fatto e farò ciò che mi sembra giusto. Quanto alle avversità naturali che ci angustiano tanto, agli uomini non è dato governarle o scongiurarle, soltanto la fede può aiutarci a superarle. Dobbiamo rassegnarci a ciò che non possiamo mutare. È tutto.» Senza aggiungere altro, il giovane gli fece un garbato, profondo inchino, girò sui tacchi e uscì senza fretta dalla sala del capitolo, col passo leggero e la grazia felina e quasi insolente di un gatto. Nella grande corte, quasi deserta all'ora del capitolo, il visitatore si attardò a guardarsi intorno, incuriosito dalla casa dell'abate, dall'infermeria e dalla foresteria, passando in rassegna la cerchia degli edifici fino alla portineria e al lungo tratto meridionale del chiostro, finché Richard, che era là in agguato ad aspettarlo, non emerse dalla porta meridionale e gli si fece incontro. Poiché il suo intento era palesemente quello di fermarlo, Hyacinth lo fe-
ce spontaneamente, scrutando interessato il viso solenne e lentigginoso che osservava lui con la stessa attenzione. «Buongiorno, giovane signore!» disse educatamente. «Desiderate qualcosa da me?» «So chi siete», ribatté Richard. «Siete il servitore che ha portato con sé l'eremita. Vi ho udito dire che recavate un suo messaggio. Riguardava me?» «A questo potrei rispondere meglio», obiettò ragionevolmente Hyacinth, «se sapessi chi è vostra signoria e perché il mio padrone dovrebbe occuparsi di un tale pesciolino.» «Non sono affatto un pesciolino», ritorse con fierezza il ragazzo. «Sono Richard Ludel, il signore di Eaton, e l'eremo del vostro padrone è sulle mie terre. E voi sapete benissimo chi sono, perché eravate con gli altri servitori al funerale di mio padre. Se avete portato un messaggio che mi riguarda, penso di avere il diritto di conoscerlo. È una questione di lealtà.» E Richard sporse il mento quadrato restando immobile al proprio posto, con i piedi nudi divaricati e un'espressione di sfida negli occhi verdazzurri, senza batter ciglio. Hyacinth ricambiò per un lungo momento quello sguardo inflessibile con un'espressione indagatrice, poi disse, in tono risoluto e pacato, da uomo a uomo e senz'ombra di ironia: «È giusto, e io sono d'accordo con voi, Richard. Ditemi, dove possiamo parlare tra di noi, con calma?» Il bel mezzo della grande corte non pareva davvero il posto più adatto a prolungate confidenze e Richard, al quale quell'estraneo inconfondibilmente laico sembrava una piacevole novità nell'ambiente monastico che lo circondava, intendeva sapere tutto sul suo conto, adesso che ne aveva l'opportunità. Inoltre, fra poco il capitolo si sarebbe concluso e conveniva evitare di attirare l'attenzione del priore Robert o di quel ficcanaso di fratello Jerome. Perciò prese familiarmente per mano Hyacinth e lo trascinò verso la porticina in fondo alla corte dalla quale si accedeva al mulino. Là, sull'erba sopra lo stagno, sarebbero stati al sicuro, col muro alle spalle, il morbido tappeto verde sotto di loro e il sole di mezzogiorno ancora abbastanza caldo anche attraverso il diafano velo di nebbia. «Bene!» Richard venne subito al punto. «Io ho bisogno di un amico che mi dica la verità. C'è troppa gente che dispone della mia vita e io non sono d'accordo, ma come posso badare a me stesso ed essere pronto per ogni evenienza se non ho nessuno che mi tenga informato di ciò che hanno in
mente? Se avessi voi al mio fianco, saprei come regolarmi. Volete?» Hyacinth si mise comodo appoggiandosi con le spalle al muro, distese le lunghe gambe vigorose e socchiuse gli occhi accarezzati dal sole. «Statemi a sentire, Richard. Come voi potreste destreggiarvi meglio se sapeste che cosa bolle in pentola, così io potrei esservi di maggior aiuto se conoscessi i perché e i per come di questa faccenda. Io ne conosco la fine, per il momento, e voi conoscete il principio. Vogliamo metterli insieme e vedere che cosa possiamo ricavarne?» Richard batté le mani. «D'accordo! Dunque cominciate col raccontarmi che cosa diceva il messaggio di Cuthred che avete portato oggi.» Il giovane obbedì, ripetendolo parola per parola, ma naturalmente senza ricorrere al trucco della voce. «Lo sapevo!» squittì il ragazzo, battendo un pugno sull'erba folta. «Lo sapevo che in qualche modo riguardava me. Sicché mia nonna ha indotto con l'inganno o con le chiacchiere persino un sant'uomo a perorare la sua causa! Ho saputo anch'io di quei disastri nel bosco ceduo, ma sono incidenti che capitano, no? E nessuno può impedirli. Sarà meglio che suggeriate al vostro padrone di non strafare, anche se mia nonna è diventata la sua protettrice. E ditegli come stanno realmente le cose, perché lei non lo farà di certo.» «Glielo dirò», promise di buon grado Hyacinth. «Quando lo saprò a mia volta.» «Nessuno vi ha detto perché la nonna mi vuole a casa? Nemmeno il vostro padrone?» «Amico, io sono soltanto il suo garzone, non si confida con me.» E, a quanto pareva, un garzone che non aveva alcuna fretta di tornare, a missione compiuta, perché si accomodò meglio contro il muro, incrociando le caviglie snelle. Richard gli si fece più vicino, fin quasi a toccarlo. «Vuole farmi sposare», mormorò in tono confidenziale. «Per mettere le mani sul possedimento confinante col mio. E fosse almeno una sposa adatta! Ma Hiltrude è vecchia... avrà almeno ventidue anni...» «Oh, un'età veneranda!» convenne Hyacinth. «Ma anche se fosse giovane e bella, non la vorrei. Non voglio donne, io! Non mi piacciono e non ne ho alcun bisogno.» «Allora siete nel posto giusto per restarne lontano», osservò premurosamente Hyacinth, e nei suoi occhi ambrati scintillò un lampo malizioso. «Fatevi novizio e restate fuori del mondo, qui sarete al sicuro.» «No, non voglio nemmeno questo. Ascoltate, vi spiegherò tutto.» E la
storia del minacciato matrimonio, i progetti della nonna per ingrandire il suo piccolo regno fluirono dalle labbra del fanciullo in un fiotto irruente. «Sicché, volete tenere gli occhi aperti per me e farmi sapere per che cosa debbo stare in guardia? Ho bisogno di qualcuno che sia sincero con me, che non mi tenga nascosto tutto, come se fossi ancora un bambino.» «Lo farò!» promise con calore il suo compagno, sorridendo. «Sarò il fedele seguace di vostra signoria nel campo di Eaton, con occhi e orecchie aperti per voi.» «E spiegherete la mia situazione a Cuthred? Non mi piace che pensi male del padre abate, lui sta facendo soltanto ciò che mio padre desiderava per me. Ma non mi avete ancora detto il vostro nome. Debbo sapere come chiamarvi!» «Hyacinth. C'è stato un vescovo con questo nome, ma io non ho niente a che vedere coi vescovi. I vostri segreti sono più al sicuro con un peccatore che con un santo e io sono più riservato di un confessionale. Non avete niente da temere, da parte mia.» Quel lungo, fiducioso colloquio aveva creato fra loro una tale familiarità che soltanto il tempestivo richiamo dello stomaco di Richard, un segnale che era l'ora del pranzo, li indusse finalmente a separarsi. Accompagnato il nuovo amico fino al Foregate, lungo il sentiero che costeggiava la cinta dell'abbazia, il ragazzo restò per qualche momento a osservare la sua figura snella ed eretta che si allontanava sulla strada maestra, poi se ne tornò saltellando allegramente alla porticina nel muro. Hyacinth percorse le prime miglia del tragitto con lunghe falcate elastiche, non tanto per recuperare il tempo perduto quanto per il piacere che gli procuravano l'agilità del proprio passo e la vigorosa precisione dei propri movimenti. Varcò il fiume al ponte di Attingham, guadò i prati allagati dal suo tributario, il Tern, e svoltò a sud di Wroxeter, verso Eaton. Giunto ai margini della foresta, rallentò il passo, riluttante ad arrivare, quando il cammino era così piacevole per raggiungere l'eremo, che si trovava su una stretta lingua di terra appartenente ai Ludel, incuneata nei boschi, così si avviò fischiettando allegramente lungo il sentiero in riva al torrente, al limite settentrionale del bosco ceduo di Eilmund. Più avanti, l'argine eretto a protezione dei campi coltivati era alto e ripido ma erboso e ben tenuto. Non aveva mai ceduto in alcun punto, e invece adesso lo aveva fatto, e Hyacinth scorse anche da lontano lo scoscendimento brullo e profondo. Lo tenne d'occhio mentre si avvicinava, mordendosi pensieroso un labbro, poi
scoppiò improvvisamente a ridere, scrollando le spalle. «Più grave il guaio, maggiore lo spasso», disse a mezza voce e proseguì verso il tratto dove il terreno era stato eroso dall'acqua. Era ancora a qualche iarda dal punto peggiore, quando udì un grido soffocato che pareva provenire da sottoterra, poi un miagolio sordo di fatica e di dolore, seguito da una sequela di imprecazioni. Colto di sorpresa, ma svelto a reagire, Hyacinth si lanciò in una corsa fulminea in quella direzione, fermandosi poi bruscamente sull'orlo del fossato dove l'acqua, ancora fangosa, scorreva tranquilla, ma saliva a vista d'occhio. Sulla sponda opposta v'era stata un'altra frana e un vecchio salice solitario, già parzialmente sradicato dallo slittamento precedente, si era scalzato del tutto, cadendo di traverso sopra la corrente. I suoi rami si agitavano frusciando per gli sforzi di qualcuno che vi era rimasto imprigionato sotto, mezzo dentro e mezzo fuori dell'acqua; un braccio si tese annaspando per trovare una presa tra le foglie e finalmente il giovane scorse di sfuggita il viso sudicio e contorto di Eilmund. «Tenetevi forte!» gridò. «Vengo giù!» E scese nell'acqua fino a mezza coscia, infilandosi tra i primi rami per sollevarli con le spalle e aprire un varco sufficiente a liberare il guardaboschi prigioniero. Gemendo e ansimando, Eilmund premette i pugni sul terreno e si rialzò per quel tanto che gli permettevano le gambe ancora trattenute da un grosso ramo. Lo sforzo gli strappò un grido di dolore, che non riuscì a soffocare. «Vi siete fatto male!» Hyacinth lo prese sotto le ascelle, inarcando la schiena sotto il ramo più grosso, e l'albero si spostò pesantemente. «Alzatevi!» Eilmund si puntellò di nuovo e Hyacinth assecondò il suo movimento, nuova terra franò su di loro, ma l'albero si sollevò e rotolò di lato con un tonfo e il guardaboschi fu finalmente libero, con i piedi appena sfiorati dall'acqua. Hyacinth, infangato e macchiato di verde, si inginocchiò accanto a lui. «Debbo andare a cercare aiuto, non posso portarvi via di qui da solo. Voi non sarete in grado di reggervi sulle gambe, per qualche tempo. Ve la sentite di restare qui, mentre io vado a cercare nei campi qualcuno degli uomini di John di Longwood? Ce ne vorrà più di uno, e un graticcio o un'imposta per trasportarvi. Anche se spero che non stiate peggio di quanto sembra.» Ma quanto sembrava era già abbastanza e il viso del giovane era turbato e sgomento sotto le macchie di fango.
«Ho una gamba rotta.» Eilmund si lasciò ricadere cautamente con le robuste spalle sul terreno soffice, inspirando lunghe boccate d'aria. «È una vera fortuna per me che siate arrivato voi, ero inchiodato senza scampo, e l'acqua sta salendo di nuovo. Ero venuto qui appunto per rincalzare l'argine. Figliolo» - il guardaboschi si sforzò di sorridere per mascherare un gemito - «in queste vostre spalle c'è assai più forza di quanto si possa immaginare a guardarvi.» «Dovrete pazientare ancora un poco.» Hyacinth alzò gli occhi a scrutare il cielo, ma soltanto poche innocue nuvolette lo percorrevano pigramente e l'argine compatto di terra erbosa e radici sembrava abbastanza sicuro. «Andrò di corsa. Non dovrete aspettare molto.» E partì a gambe levate, dritto e veloce come una freccia, verso i campi di Eaton, dove chiamò a gran voce i primi contadini che incontrò. Accorsero subito, portando un graticcio preso dall'ovile, e con molta attenzione e qualche comprensibile gemito da parte della vittima, vi distesero Eilmund e lo trasportarono sino alla sua casetta nella foresta, distante mezzo miglio. Sapendo che il guardaboschi aveva una figlia, Hyacinth era corso avanti per avvertirla e rassicurarla e perché potesse nel frattempo preparare un giaciglio per il padre. La casetta era in una radura, con un giardinetto ben curato intorno. Quando vi arrivò Hyacinth, la porta era spalancata, lasciando vedere una fanciulla che canticchiava sommessamente mentre lavorava. Chissà perché, dopo aver corso tanto per parlare con lei, il giovane sembrava adesso riluttante a bussare al battente o a entrare senza bussare, finché il canto non cessò e fu la fanciulla stessa a uscire, incuriosita dal rumore di passi che aveva udito sulla ghiaia del giardino. Piccola ma vigorosa, e con una figuretta aggraziata, schietti occhi azzurri, il colorito fresco di una rosa selvatica e folte trecce di capelli castani lucenti come quercia levigata, la fanciulla guardò il visitatore con un'ingenua curiosità e una simpatia tali che bloccarono una volta tanto la sua lingua pronta e senza impacci. E, nonostante l'urgenza di ciò che il giovane aveva da dire, fu lei la prima a parlare. «Cercate mio padre? È fuori, nel bosco ceduo. Lo troverete dov'è crollato l'argine.» Gli occhi azzurri si accesero di vivo interesse e di approvazione, trovando attraente ciò che vedevano. «Siete il giovane venuto con l'eremita, vero? Vi ho visto lavorare nel suo giardino.» Hyacinth assentì, ripensando con un tuffo al cuore alla dolorosa notizia che le portava. «Sì, è vero, e mi chiamo Hyacinth. Vostro padre sta ritor-
nando a casa, ma purtroppo ha avuto un incidente che temo gli impedirà di muoversi per qualche tempo. Sono corso ad avvertirvi prima che lo riportino qui. No, non temete, è vivo e non corre alcun pericolo, si rimetterà perfettamente. C'è stata un'altra frana al torrente e un albero è caduto addosso a vostro padre, spezzandogli una gamba. Un male che guarirà di certo.» Al subitaneo allarme e allo sbiancarsi del viso non si accompagnò alcuna esclamazione di dolorosa sorpresa. La fanciulla rifletté per un momento su quanto aveva udito, poi si riscosse bruscamente e prese a occuparsi dei preparativi successivi, spalancando la porta esterna e quella interna per aprire la strada agli uomini che riportavano suo padre, approntando il letto sul quale adagiarlo, mettendo sul fuoco una pentola colma d'acqua, senza smettere tuttavia di parlare con Hyacinth, in apparenza calma e tranquilla. «Non è il primo incidente che gli capita, ma nessuno così grave. Un albero caduto, avete detto? Quel vecchio salice... Sapevo che si era inclinato, ma non pensavo che potesse cadere. Siete stato voi a trovarlo? E ad aiutarlo?» Gli occhi azzurri si girarono verso il giovane, sorridendogli. «Per fortuna poco lontano c'erano alcuni uomini di Eaton che stavano ripulendo un canaletto di scolo. Sono loro che lo stanno riportando a casa.» Nel frattempo erano arrivati anche quelli e la fanciulla uscì a incontrarli, insieme con Hyacinth. Sembrava che il giovane avesse avuto altro da dirle, qualcosa di diverso, ma che gliene fosse sfuggita per il momento l'occasione perché rimase silenzioso ma risoluto in disparte, mentre gli altri portavano dentro Eilmund, lo adagiavano sul letto e lo liberavano degli stivali bagnati e delle calzebrache, con estrema cautela ma non senza l'accompagnamento di gemiti e imprecazioni soffocati. La gamba sinistra del guardaboschi era malamente deformata sotto il ginocchio, però, grazie al cielo, le ossa fratturate non avevano lacerato le carni. «Imprigionato sotto quell'albero per più di un'ora», mormorò lui a denti stretti per il dolore mentre lo manipolavano, «e se non fosse stato per questo figliolo sarei là ancora adesso, perché io non ero in grado di spostare quel peso e non c'era nessuno. Parola mia, ha più muscoli di quanto si possa pensare! Avreste dovuto vederlo mentre mi levava di dosso quel dannato salice!» Caso strano, le guance lisce di Hyacinth si colorarono di un intenso rossore sotto la patina della lieve abbronzatura. Un viso non incline ad arrossire, ma che tuttavia non ne aveva perduto la capacità. «Posso fare qualco-
s'altro per voi?» domandò con un certo imbarazzo. «Ditelo e lo farò ben volentieri. Avrete bisogno di una mano esperta per sistemare quell'osso. Io non posso esservi utile per quello, ma servitevi pure di me per qualsiasi commissione. È il mio compito.» La fanciulla si voltò verso di lui, con gli occhi azzurri spalancati e lucenti. «Bene, questo potete farlo, se vorrete essere tanto gentile e aumentare il nostro debito verso di voi. Volete andare all'abbazia e chiedere a fratello Cadfael di venire qui?» «Ma certo!» esclamò Hyacinth, raggiante come se gli avesse fatto uno splendido regalo. Ma quando lei gli girò di nuovo le spalle, esitò un attimo, poi la prese fuggevolmente per una manica, sussurrandole all'orecchio: «Debbo parlare con voi... da sola, più tardi, quando vostro padre sarà sistemato e riposerà tranquillo». E prima che lei potesse dire sì o no, benché i suoi occhi non esprimessero certo un rifiuto, il giovane fu fuori, tra gli alberi, lanciato nella lunga corsa verso Shrewsbury. CAPITOLO IV Hugh venne a cercare fratello Cadfael a metà pomeriggio, con i primi frammenti di notizie fortunosamente trapelati da Oxford dall'inizio dell'assedio. «Robert di Gloucester è di nuovo in Inghilterra», annunciò. «L'ho saputo da un armaiolo che è stato abbastanza accorto da lasciare in tempo la città. Sono stati in pochi a farlo. Dice che Robert è sbarcato a Wareham nonostante la guarnigione del re, ha ormeggiato tranquillamente in porto tutte le sue navi e si è impadronito della città. Non del castello, però, almeno non ancora, ma è pronto ad assediarlo. Ha ricavato ben poco di buono da Goffredo d'Angiò, forse un pugno di cavalieri, non di più.» «Adesso è al sicuro in terraferma e padrone della città», osservò ragionevolmente Cadfael, «che cosa vuole ancora dal castello? Mi sarei aspettato che si precipitasse a Oxford, a liberare la sorella dalla trappola.» «Ha preferito indurre Stefano ad andare da lui, per distoglierlo dal proprio assedio. A quanto dice il mio uomo, il castello non è molto ben protetto e i difensori si sono accordati per una tregua, inviando nel frattempo un messaggio al re perché vada in un dato giorno a liberarli. Un po' fanfarone, l'amico, ma bene informato, anche se nemmeno lui ha saputo dirmi quale
sia il giorno fissato o se, nel caso Stefano non si faccia vivo, la guarnigione intenda arrendersi. E questo sta bene anche per Robert, consapevole che non è mai difficile indurlo ad abbandonare una traccia. Ma credo che questa volta non si lascerà fuorviare. Quando mai potrebbe avere un'altra occasione simile? Non può assolutamente permettersi di sprecarla!» «Non c'è limite alle sciocchezze che un uomo può commettere», obiettò il monaco. «Ma bisogna riconoscere che nella maggior parte dei casi le sue idiozie sono generose, che è più di quanto si possa dire della signora. Però vorrei proprio che l'assedio di Oxford avesse a essere l'impresa definitiva. Se gli riesce di impadronirsi del castello, dell'imperatrice e di tutto il resto, lei non avrà niente da temere da parte sua. Sarà piuttosto Stefano, forse, a trovarsi in pericolo. Altre novità da sud?» «Il mio informatore mi ha parlato di un cavallo trovato a vagabondare non lontano dalla città, nei boschi vicini alla strada per Wallingford. Un fatto accaduto qualche tempo fa, all'incirca al tempo in cui Oxford era in fiamme e tutte le vie d'uscita erano chiuse. Un cavallo con la sella macchiata di sangue e le bisacce squarciate e vuote. Un mozzo di stalla, che era riuscito a sgattaiolare fuori prima che il cerchio si chiudesse, aveva riconosciuto l'uno e le altre come appartenenti a un certo Renaud Bourchier, un cavaliere al servizio dell'imperatrice e suo confidente. Secondo il mio uomo, è noto che era stata appunto lei a incaricarlo di portare un suo messaggio a Wallingford, aprendosi in qualche modo un varco attraverso le linee del re.» Cadfael smise di lavorare con la zappa per dedicare tutta la propria attenzione all'amico. «Un messaggio a Brian FitzCount, intende?» Il signore di Wallingford era il più fedele seguace e compagno dell'imperatrice, secondo al conte suo fratello, e aveva mantenuto per lei il proprio castello, l'avamposto più orientale e vulnerabile del suo territorio, in una campagna dopo l'altra, nella buona come nella cattiva sorte, sempre indomabilmente leale. «Come mai non è con lei a Oxford? È quasi sempre al suo fianco, o almeno così si dice.» «Il re si è mosso molto più in fretta di quanto tutti si aspettassero e adesso FitzCount è tagliato fuori. Inoltre l'imperatrice ha bisogno che lui rimanga a Wallingford, perché se venisse perduta anche quella non le resterebbe altro che una proprietà isolata a ovest, senz'alcuna strada in direzione di Londra. Può darsi benissimo che all'ultimo momento si sia rivolta a lui, nella situazione disperata nella quale si trova. E, a quanto pare, corre voce
che Bourchier gli portasse un tesoro, in denaro ma soprattutto in gioielli. Che sarebbe logico, perché FitzCount deve pure pagare i propri uomini. Per quanto leali e fedeli possano essere, non vivono certo d'aria e lui ha già speso una fortuna al servizio dell'imperatrice.» «Quest'autunno correva voce che il vescovo Henry di Winchester si fosse dato da fare per indurre Brian a schierarsi al fianco del re», disse Cadfael corrugando pensieroso la fronte. «Senza dubbio possiede denaro a sufficienza per comprare chiunque sia disposto a vendersi, ma dubito che persino lui sia in grado di offrirne in misura tale da smuovere un uomo come FitzCount, che finora ha dato prova di essere incorruttibile. Non è davvero il caso che l'imperatrice cerchi di superare nell'offerta i suoi nemici, per Brian.» «Vero. Però, quando si è vista accerchiata dalle forze del re, potrebbe aver pensato di mandargli un segno della propria considerazione, finché la strada era ancora aperta, o quantomeno avrebbe potuto aprirsene una un uomo coraggioso. A quel punto, potrebbe persino esserle sembrata l'ultima possibilità di comunicare con lui.» Una breve riflessione bastò al monaco per riconoscere che Hugh aveva ragione. Nonostante la loro acerrima rivalità, Stefano non costituiva una minaccia per la vita della cugina, ma se e quando fosse stata sua prigioniera, avrebbe dovuto sorvegliarla strettamente per salvaguardare la propria corona. E, d'altro canto, lei non avrebbe mai né rinunciato alle proprie rivendicazioni, neppure in cattività, né accettato condizioni d'alcun genere per riottenere la libertà. Perciò due amici e alleati separati da quelle circostanze avevano moltissime probabilità di non rivedersi mai più. «E un uomo ardimentoso ha tentato da solo una pericolosa sortita», commentò amaramente Cadfael. «Poi il suo cavallo è stato ritrovato sperduto in un bosco, con i finimenti in disordine, la gualdrappa insanguinata e le bisacce squarciate. Allora, dov'è Renaud Bourchier? Ucciso per il suo carico prezioso e seppellito da qualche parte nei boschi o gettato nel fiume?» «Che altro si potrebbe pensare? Il suo corpo non è stato ancora ritrovato. Quest'autunno, nei dintorni di Oxford, gli uomini hanno altro da fare che perlustrare i boschi in cerca di un cadavere. Ve ne sono già fin troppi da seppellire, dopo il saccheggio e l'incendio della città», sospirò Hugh cupo, ma quasi rassegnato agli omicidi accidentali che si accompagnavano a quella capricciosa guerra civile. «Quanti al castello avranno saputo di quell'incarico? Lei non avrebbe
certo propagato ai quattro venti le proprie intenzioni, ma qualcuno ne avrebbe pure avuto sentore.» «Sembra di sì, e ha fatto buon uso di quanto sapeva.» Hugh scrollò le spalle, come a scuotersi di dosso problemi lontani che non erano di sua competenza. «Grazie a Dio, non sono lo sceriffo di Oxford! E per fortuna i nostri guai qui sono abbastanza lievi. Qualche disaccordo familiare che esplode di tanto in tanto in un violento litigio, qualche furto e il consueto bracconaggio quand'è la stagione. Ah, sì, e naturalmente quella stregoneria che sembra essere calata sul vostro bosco di Eyton.» Cadfael gli aveva riferito quello che l'abate non aveva forse ritenuto meritevole di essere preso in considerazione, e cioè come Dionisia avesse in qualche modo coinvolto il suo eremita nella contesa con l'abbazia e come il brav'uomo avesse preso molto sul serio la sua raffigurazione della povera nonna affranta, crudelmente privata della compagnia dell'unico, adorato nipote. «E lui teme di peggio, vero? Mi chiedo quali saranno le prossime notizie da Eyton!» E il caso volle che le prossime notizie da Eyton stessero per l'appunto aggirando l'alta siepe di bosso poco lontana da loro, portate per mezzo di un novizio in tutta fretta dal priore Robert. Il ragazzo arrivò di corsa, col saio sventolante, fermandosi per un attimo a riprendere fiato, prima di comunicare il suo messaggio senza aspettare di essere interrogato. «Fratello Cadfael, c'è urgente bisogno di voi. L'aiutante dell'eremita è venuto ad avvertirci che è necessario il vostro aiuto a casa di Eilmund. Il padre abate ha detto che potete prendere un cavallo per andarvi immediatamente e tornare poi a riferire come sta il guardaboschi. C'è stata un'altra frana e un albero gli è caduto addosso, rompendogli una gamba.» Offrirono a Hyacinth qualche momento di riposo e un buon pasto, ma lui non volle attardarsi. Finché riuscì a stare al passo con Cadfael, corse accanto a lui, aggrappandosi a una delle sue staffe di cuoio; poi, quando fu costretto a rallentare, lo seguì ostinatamente a distanza, risoluto, a quanto pareva, a tornare in fretta alla casetta nel bosco anziché alla cella del suo padrone. Era stato un amico prezioso per Eilmund, rifletté il monaco, ma quando fosse finalmente tornato ai propri compiti gli sarebbe forse toccata qualche severa ripassata col bastone. Benché, pensandoci bene, Cadfael non riuscisse a vedere quella creatura selvaggia e un po' stravagante docilmente sottomessa a rabbuffi e men che meno a punizioni corporali. Era all'incirca l'ora del vespro quando il monaco smontò nel giardino di
Eilmund e sua figlia uscì di corsa ad accoglierlo. «Oh, fratello, non vi aspettavo così presto! Il ragazzo di Cuthred deve aver corso come il vento, per tutta quella strada! E dopo essersi immerso nel torrente per aiutare mio padre. È stato una vera provvidenza per noi, oggi! Sarebbero potute passare ore, prima che capitasse là qualcun altro.» «Come sta vostro padre?» domandò Cadfael, sfilandosi dal collo la bisaccia, mentre si dirigeva verso la casa. «Ha una gamba spezzata sotto il ginocchio. Gliel'ho fasciata stretta come meglio ho potuto e l'ho tenuto a letto immobile, ma ci vuole la vostra mano per sistemarla. E dopo essere stato per tanto tempo con i piedi nell'acqua, ho paura che si sia preso un malanno.» Eilmund giaceva ben coperto e, ormai tristemente rassegnato alla propria sfortuna, si sottomise stoicamente alle manovre di Cadfael, stringendo i denti senza lasciarsi sfuggire un gemito mentre il monaco gli stiracchiava la gamba e riallineava le estremità dell'osso. «Poteva andarvi peggio», mormorò alla fine Cadfael, rassicurato. «Una frattura netta e poco danno ai muscoli, benché sarebbe stato meglio se non si fosse dovuto muovervi.» «Sarei potuto affogare, altrimenti», borbottò Eilmund. «Il torrente si stava gonfiando di nuovo. E sarà meglio che diciate al vostro abate di mandare presto qualcuno a spostare quell'albero, se non vogliamo avere là un altro lago.» «Lo farò di certo, non temete! Adesso tenetevi forte! Non voglio lasciarvi con una gamba più corta dell'altra.» E, prendendolo per il calcagno e il collo del piede, il monaco sistemò l'arto fratturato in modo che si appaiasse esattamente all'altro. «Adesso, Annet, mettete le mani dove sono le mie e badate che non si muova.» La fanciulla non aveva perso tempo, nell'attesa: era già andata a prendere alcune asticelle lunghe e strette nella rimessa del padre e aveva preparato bioccoli di lana e bende di lino. Fra tutti e due completarono accuratamente l'opera e finalmente Eilmund poté distendersi tranquillo, con un profondo sospiro di sollievo. Il suo viso segnato dalle intemperie aveva tuttavia due macchie rosse agli zigomi che turbarono un poco Cadfael. «Scordatevi dell'albero e dell'abate, adesso, e affidatevi a me per qualsiasi altra cosa che si debba sbrigare qui: ci penserò io. Intanto vi preparerò una pozione che vi allevierà il dolore e vi aiuterà a dormire.» Il guardaboschi dichiarò sprezzantemente di non averne alcun bisogno, ma, quando fu pronta, la mandò giù senza protestare.
«Dormirà di sicuro», disse il monaco ad Annet mentre passavano nella stanza sul retro. «Ma badate che stia caldo e ben coperto stanotte, perché potrebbe avere un po' di febbre, se ha preso freddo. Io chiederò il permesso di tornare a dargli un'occhiata per due o tre giorni, ma vedo già che tutto va bene. E se vi farà tribolare un poco, abbiate pazienza, vorrà dire che non sta troppo male.» La fanciulla rise sommessamente, imperturbata. «Oh, questo non è certo un problema per me. Abbaia, ma non morde. So come prenderlo.» Cominciava già il crepuscolo quando lei aprì la porta d'ingresso, ma il cielo era ancora lievemente dorato dall'ultimo, magico bagliore dal quale piovevano gocce di luce tra i rami scuri degli alberi che circondavano il giardino. E là fuori, sull'erba accanto al cancelletto, era seduto Hyacinth, in attesa, con la pazienza senza tempo dell'albero contro il quale erano appoggiate le sue spalle forti e dritte. Era immobile, tanto da sembrare un animale selvatico in agguato. O forse, pensò Cadfael cambiando idea, di un animale selvatico inseguito che contasse di sfuggire in tal modo all'inseguitore. Come vide aprirsi la porta, balzò in piedi con un solo, agile movimento, ma non entrò nel recinto. Tuttavia, nonostante il crepuscolo, al monaco non sfuggì l'occhiata lunga e ferma che si scambiarono lui e la fanciulla. Il viso di Hyacinth rimase freddo e impassibile come una maschera, ma un raggio della pur fioca luce si rifletté nei suoi occhi fieri ed enigmatici come quelli di un gatto, un bagliore al quale corrisposero un improvviso rossore e un'espressione radiosa sul volto stupito di Annet. Niente di strano. Lei era molto graziosa e lui senza dubbio attraente, col merito, in più, dell'aiuto di incalcolabile valore prestato a suo padre. Ed era naturale e umano che tale circostanza facesse nascere un'affettuosa simpatia fra il soccorritore e chi era stato soccorso. Niente dà maggior piacere e lega di più della coscienza di aver fatto del bene, nemmeno il conforto di averlo ricevuto. «Bene, me ne vado, allora», disse Cadfael e montò in sella senza aggiungere altro, per non rompere l'incantesimo che teneva avvinti i due giovani. Ma quando fu al riparo fra gli alberi, si girò a guardarli. Erano sempre là così come li aveva lasciati, con l'unica variante della voce di Hyacinth che diceva, chiara e solenne nel silenzio della sera: «Debbo parlarvi». Annet non rispose. Richiuse piano la porta di casa e si avvicinò a lui, mentre il monaco proseguiva attraverso il bosco, rendendosi vagamente conto che stava sorridendo. Ma dopo una breve riflessione, non fu più tan-
to sicuro che vi fosse di che sorridere, in quello strambo incontro. Che cosa poteva esservi in comune, tra quei due, la figlia del guardaboschi dell'abbazia, un ottimo partito per qualsiasi bravo e promettente giovane dei dintorni, e un povero forestiero che non si sapeva di dove venisse e che viveva di carità, senza un fazzoletto di terra né mestiere né famiglia? Di ritorno all'abbazia, Cadfael si diresse verso le scuderie per sistemare il cavallo prima di andare dall'abate Radulfus a riferire come stavano le cose alla foresta di Eyton. Nonostante l'ora tarda, v'era ancora un certo trambusto da quella parte: erano arrivati nuovi ospiti e si doveva accudire ai loro cavalli. Nelle ultime settimane v'era stato scarso movimento nella contea: l'intenso traffico dell'estate, quando mercanti e bottegai erano continuamente in viaggio, era andato via via attenuandosi fino alla quiete autunnale e più tardi, con l'approssimarsi del Natale, la foresteria sarebbe stata di nuovo affollata di viaggiatori che tornavano a casa o andavano a far visita ai parenti. Ma in quella tranquilla fase di mezzo c'era tutto il tempo per osservare chi andava o veniva, soddisfacendo così la curiosità dei residenti stabili per chi seguiva il flusso e riflusso delle maree e delle stagioni. E in quel momento c'era appunto qualcuno che, uscito dal cortile delle scuderie, si dirigeva verso la portineria con passi lunghi e risoluti, l'andatura di una persona arrogante e sicura di sé: un uomo che doveva senza dubbio contare molto nel proprio campo, con ricche vesti, stivali finissimi, spada e pugnale. Il monaco ebbe modo di vederlo bene, quando l'incrociò. Grande e grosso, il volto pesante e carnoso, anche dotato di una certa bellezza brutale, di un uomo non incollerito ma pronto a diventarlo. Era perfettamente rasato e questo rendeva ancora più temibili i suoi lineamenti, e gli occhi imperiosamente fissi davanti a lui apparivano, sebbene, in realtà, non lo fossero, sproporzionatamente piccoli tra la massa di carne nella quale erano infossati. Pareva sulla cinquantina, anche se il tempo non era affatto servito ad ammorbidire ciò che madre natura aveva creato con la durezza del granito. Il suo cavallo era nel cortile delle scuderie, davanti alla porta spalancata di una stalla, senza finimenti ma fumante di sudore come se gli fosse appena stata tolta la gualdrappa, e uno stalliere lo stava strofinando energicamente, fischiettando: un tipo magro eppure vigoroso, brizzolato, in brache scolorite di stoffa scura tessuta in casa e una frusta giacca di pelle. Guardò di traverso Cadfael, con un lieve, tacito cenno di saluto, tanto abituato a diffidare di tutti che persino un fratello benedettino destava i suoi
sospetti. Il monaco invece lo salutò cordialmente e cominciò a togliere i finimenti al suo cavallo. «Venite da lontano? È il vostro padrone quello che ho incontrato vicino alla portineria?» «Sì», rispose l'altro, senza alzare gli occhi. «Non l'ho mai visto. Di dove siete? Non abbiamo molti ospiti in questo periodo dell'anno.» «Di Bosiet... Un castello dall'altra parte di Northampton, alcune miglia a sud-ovest della città. Lui è Bosiet, Drogo Bosiet, padrone di quello e di un altro bel po' della contea.» «Piuttosto lontano da casa, direi», commentò Cadfael, subito interessato. «Dov'è diretto? Da queste parti non vediamo spesso viaggiatori provenienti dal Northamptonshire.» Lo stalliere si raddrizzò per esaminare meglio quel monaco curioso e certo lo giudicò simpatico e innocuo perché le sue maniere si fecero un poco più amabili, anche se non meno guardinghe. «Lui va a caccia», svelò con un sorriso senz'allegria che pareva alludere a qualcosa di segreto. «Ma non di daini», buttò là Cadfael, ricambiando l'esame e stupito dell'ambiguità di quel sorriso. «E tanto meno di conigli, suppongo.» «Avete ragione. Va a caccia di un uomo.» «Un fuggiasco?» Cadfael non riusciva a crederlo. «Così lontano da casa? Vale la pena spendere tanto tempo e denaro per un contadino fuggiasco?» «Per questo sì. È molto bravo ed esperto, ma non è soltanto per quello», confidò lo stalliere, dimenticando sospetti e reticenza. «Ha un conto da sistemare con lui. Pare che qualcuno lo abbia visto dirigersi verso nord-ovest e il padrone ha setacciato ogni paese e città da questa parte, trascinando me per una strada, mentre suo figlio con un altro stalliere va per un'altra, e non si fermerà sino al confine gallese. Ma per quanto mi riguarda, se mi capitasse sotto gli occhi, fingerei di non vederlo. Non restituirei neanche un cane che fosse scappato al mio padrone, figuriamoci un uomo!» La voce asciutta dello stalliere era andata acquistando via via forza e calore. Per la prima volta si girò completamente verso Cadfael, così che la luce della torcia gli illuminò in pieno il viso. Una guancia era segnata da un livido e un angolo della bocca era gonfio per un taglio che aveva tutta l'aria di essersi infettato. «È stato lui?» domandò il monaco. «Certo, col sigillo del suo anello. Non sono stato abbastanza svelto con
la sua staffa quand'è montato a cavallo, ieri mattina.» «Posso medicarvi io, se avrete la pazienza di aspettare mentre andrò a parlare col mio abate di un altro problema. Non dovete trascurarlo, potrebbe nascere qualche complicazione. E intanto, confidenza per confidenza, qui siete abbastanza lontano da Bosiet e abbastanza vicino al confine da potervi sgranchire le gambe con una bella corsa, se ne aveste voglia.» «Fratello», ribatté lo stalliere con una risatina nervosa, «ho moglie e figli, io, sono incatenato. Brian è giovane e scapolo e le sue gambe sono certo più veloci delle mie. Ma adesso è meglio che finisca di accudire al suo cavallo e vada ad aspettare il padrone, se non voglio che mi ripeta il trattamento sull'altra guancia.» «Allora venite fuori sui gradini della foresteria, quando lui sarà a letto», concluse il monaco, richiamato bruscamente a sua volta ai propri doveri, «e vi pulirò per bene quella ferita.» L'abate Radulfus ascoltò preoccupato e rassicurato a un tempo il resoconto di Cadfael, e promise di mandare al più presto gli uomini necessari per rimuovere il salice, sgombrare i detriti e rinforzare l'argine, annuendo gravemente alla supposizione che il fatto di essere rimasto tanto a lungo nell'acqua potesse ostacolare in qualche modo la guarigione di Eilmund, anche se la frattura non presentava problemi. «Vorrei tornare a vederlo domani e assicurarmi che rimanga a letto», aggiunse poi Cadfael. «Potrebbe avere qualche linea di febbre e, lo sapete anche voi, padre, ci vuole ben altro che qualche rabbuffo di sua figlia per tenerlo quieto. Ma forse vi darà retta, se glielo ordinate voi. Intanto, gli prenderò le misure delle stampelle, ma non gliele lascerò a portata di mano finché non sarò ben certo che possa alzarsi.» «Bene, avete il permesso di andare e venire come vi sembrerà opportuno, finché avrà bisogno delle vostre cure. Tenete pure il cavallo a vostra disposizione. Impieghereste troppo tempo per andare a piedi e la vostra presenza è necessaria qui, almeno per una parte della giornata, perché fratello Winfrid non è ancora abbastanza pratico.» Cadfael sorrise a un ricordo. «Non è stato un problema per il giovane Hyacinth. Oggi ha fatto di corsa tutte quelle miglia per quattro volte, avanti e indietro, prima per conto dell'eremita e poi ancora di Eilmund. Spero soltanto che quel sant'uomo non se ne abbia a male se il suo aiutante lo ha trascurato per tanto tempo.»
Cadfael temeva che lo stalliere avesse troppa paura del suo padrone per azzardarsi a uscire di notte, anche se quello dormiva come un ghiro, invece sgattaiolò fuori furtivamente mentre i confratelli uscivano da compieta, e il monaco lo condusse al suo laboratorio di erboristeria in fondo al giardino, dove accese subito una lampada per esaminare da vicino la ferita. Come al solito, il fuoco nel piccolo braciere era, per la notte, ricoperto di cenere, ma non spento (una precauzione per il caso che avesse a presentarsi qualche necessità improvvisa). E quella sera doveva avervi provveduto fratello Winfrid che, a quanto pareva, stava imparando in fretta a destreggiarsi fra erbe e medicamenti, mentre era totalmente negato all'uso di penne e pennelli. Cadfael riattivò il fuoco e mise a scaldare un po' d'acqua. «Dormiva sodo il vostro signore? Non c'è pericolo che si svegli? Benché, anche se accadesse, non avrebbe certo bisogno di voi a quest'ora. Comunque, farò il più presto possibile.» Lo stalliere rimase seduto, docile e silenzioso, sotto il tocco delle abili mani del monaco, girando obbediente il viso alla luce della lampada. Il livido sulla guancia si andava scolorendo ai margini dal viola scuro al giallo, ma la ferita alla bocca trasudava sangue e pus. Cadfael tolse delicatamente qualche crosticina, poi ripulì la lacerazione con una lozione di bettonica e sanicola. «È prodigo di pugni, sua signoria!» commentò amaramente. «I colpi sono due, qui.» «Oh, non si ferma quasi mai al primo, è fatto così! Del resto ce n'è di peggio, che Dio aiuti i poveretti che sono al loro servizio. E suo figlio è della stessa stoffa. Che cosa ci possiamo fare, se è così dalla nascita? Fra un giorno o due sarà qui anche lui e se non sarà ancora riuscito a mettere le mani su Brand - Dio non lo voglia! - la caccia continuerà.» «Bene, se resterete qui ancora per un paio di giorni, questo taglio potrà arrivare a rimarginarsi. Ma come vi chiamate, amico?» «Warin. E so già come vi chiamate voi, me lo ha detto il fratello infermiere. Questa roba che mi avete messo è fresca e calmante.» «Avrei pensato che il vostro signore sarebbe andato prima di tutto dallo sceriffo, se quel suo fuggiasco ha veramente commesso qualcosa di grave. I signori delle gilde, in città, terrebbero probabilmente la bocca chiusa, anche se sapessero qualcosa, ma gli ufficiali del re, volenti o nolenti, hanno il dovere di aiutare una persona a riavere ciò che le appartiene.» «Sì, ma come avete visto siamo arrivati tardi e non si poteva fare più niente. Quello che avete detto lo sa benissimo anche lui, sa che a Shre-
wsbury Brand potrebbe trovare un rifugio sicuro, se è arrivato fin là, e intende andare dallo sceriffo. Ma dal momento che è alloggiato qui e ritiene che la Chiesa abbia, come la legge, il dovere di aiutarlo, ha chiesto di presentare il proprio caso al capitolo di domani, poi andrà in città a parlare con lo sceriffo. È pronto a rivoltare anche le pietre per scoprire il nascondiglio di Brand.» Cadfael, intanto, si stava chiedendo se non sarebbe stato possibile avvertire Hugh perché si rendesse difficilmente reperibile. «Che cosa ha mai fatto quel poveretto perché il vostro padrone si accanisca tanto contro di lui?» domandò. «Be', tanto per cominciare pareva che andasse in cerca di guai, battendosi sempre accanitamente per se stesso e per gli altri, e questo era già un delitto sufficiente per il padrone. Poi... non so esattamente che cosa sia accaduto quell'ultimo giorno, però ho visto riportare al castello il maggiordomo, che è anche lui dello stesso stampo, disteso su un'asse, e so che dopo gli è toccato restare a letto per alcuni giorni. A quanto pareva, c'era stato uno scontro tra lui e Brand e questi lo aveva messo fuori combattimento. Difatti, dopo, non lo si è più visto da alcuna parte e hanno cominciato a dargli la caccia lungo tutte le strade intorno a Northampton. Ma non sono riusciti a trovarlo, così eccoci qui, ancora accaniti sulle sue tracce. Se arriverà a scovarlo, Bosiet lo striglierà ben bene, ma starà attento a non storpiarlo, perché è troppo prezioso. Farà in modo di renderlo docile come un agnellino, poi continuerà a sfruttare a proprio vantaggio la sua bravura per tutto il resto della sua vita, assicurandosi che non abbia alcuna possibilità di fuggire un'altra volta.» «Allora sarà meglio che il vostro Brand faccia buon uso dell'occasione che ha adesso», osservò caritatevolmente Cadfael. «E se un buon augurio può aiutarlo, gli mando di tutto cuore il mio. Adesso state fermo un momento... ecco fatto! Potete portarvi via quest'altro unguento e usarlo quando vorrete. Serve a calmare il bruciore e ridurre il gonfiore.» Warin rigirò il vasetto fra le mani, incuriosito, poi si passò un dito sulla guancia. «Che cosa c'è dentro, perché faccia tanto bene?» «Erba di San Giovanni e pratellina, tutt'e due ottime per le ferite. Se vi è possibile, tornate da me domani, a farmi vedere come state. E tenetevi alla larga dal vostro padrone!» Poi il monaco ricoprì di nuovo con la massima cura il fuoco, perché covasse senza pericoli fino a mattina. Drogo Bosiet comparve infatti al capitolo, la mattina seguente, grosso,
rumoroso e imponente in un'assemblea dove una persona appena un poco più saggia si sarebbe subito resa conto che l'autorità stava dalla parte dell'abate e che l'abate sapeva farla valere bene per quanto calma e misurata fosse la sua voce e austero il suo viso. Tanto meglio, rifletté Cadfael, osservando attentamente e un po' ansioso la scena dal suo stallo appartato. Così Radulfus avrebbe saputo quale concetto farsi di quell'uomo e in quale conto tenere le sue parole. «Padre abate», esordì Bosiet, strusciando i piedi sul pavimento come un toro prima della carica, «sono qui in cerca di un malfattore che ha aggredito e ferito il mio maggiordomo e poi è fuggito. Sappiamo che si è diretto verso Northampton, poiché il mio possedimento, al quale egli è legato, si trova alcune miglia a sud-est della città, e penso che intenda raggiungere il confine col Galles. Gli abbiamo dato invano la caccia per tutte queste miglia e da Warwick io ho preso la strada per Shrewsbury, mentre mio figlio ha proseguito per Stafford e mi raggiungerà qui domani. Chiedo soltanto di sapere se negli ultimi giorni sia arrivato da queste parti un forestiero della sua età.» «Da quanto ho capito», disse l'abate dopo una lunga pausa, guardando fisso il volto massiccio e arrogante del visitatore, «quest'uomo è un vostro servo della gleba.» «Sì, padre.» «E voi sapete», continuò l'abate, «che, poiché, a quanto pare, avete mancato di avanzare i vostri diritti su di lui nel giro di quattro giorni, adesso dovrete rivolgervi al tribunale per rientrarne legalmente in possesso?» «Padre», ribatté Drogo con sprezzante impazienza, «questo posso anche farlo, ma prima bisogna che lo ritrovi. È mio e intendo riaverlo. Mi ha procurato qualche guaio, ma possiede capacità preziose e io non intendo essere derubato di ciò che è mio. La legge riconoscerà i miei diritti nelle terre dove il reato è stato commesso.» E qualunque fosse la legge, lo avrebbe fatto, a un semplice cenno del suo capo. «Descriveteci dunque il vostro fuggiasco», riprese l'abate, «e fratello Denis potrà dirvi subito se c'è stato qualcuno come lui qui all'abbazia.» «Si chiama Brand e ha vent'anni, biondo scuro, snello e forte, senza barba...» «No», disse senza esitare fratello Denis, l'infermiere, «nessun giovane di quel tipo si è fermato qui da noi, certamente non nelle ultime cinque o sei settimane. Se per via avesse trovato lavoro con qualche mercante, per aiu-
tarlo a portare la sua merce, come ne capitano con tre o quattro aiutanti, potrebbe forse essere passato di qui, ma un giovane solo... no, nessuno.» «Per questo», aggiunse Radulfus in tono autoritario, per prevenire qualsiasi altro intervento, benché in realtà nessuno all'infuori del priore Robert si sarebbe azzardato a parlare senza esserne autorizzato, «dovreste rivolgervi allo sceriffo, al castello. I suoi uomini sono certo meglio informati di noi, relegati qui dentro, sul conto di eventuali forestieri giunti in città. La ricerca di criminali e trasgressori come quello di cui ci avete parlato è il loro compito, e lo svolgono in modo attento e scrupoloso. Anche i membri delle gilde in città sono vigili e gelosi dei propri diritti e hanno ottimi motivi per tenere gli occhi aperti e la mente sveglia. Vi consiglierei di rivolgervi anche a loro.» «Lo farò senz'altro, padre. Ma, vi prego, non dimenticatevi di me e se qualcuno avesse a ricordare qualcosa al riguardo, fatemelo sapere.» «Faremo il possibile, coscienziosamente», assicurò l'abate con fredda cortesia, osservando impassibile Drogo Bosiet che, limitandosi a un lieve cenno del capo come saluto, girava sui tacchi e usciva a lunghi passi dalla sala. Non sembrava affatto disposto a fare qualche commento o a esprimere qualche conclusione una volta uscito il visitatore, come se non sentisse il bisogno di chiarire i propri sentimenti più di quanto non avesse già fatto col tono delle proprie risposte. Quando i confratelli uscirono dalla sala del capitolo, Bosiet e il suo stalliere se n'erano ormai andati, senza dubbio verso il ponte e in città, per recarsi da Hugh Beringar al castello. Fratello Cadfael si era proposto di fare un salto all'erbario e al laboratorio per accertarsi che tutto fosse in ordine e affidare a fratello Winfrid qualche lavoro tranquillo e adatto alle sue modeste capacità, prima di andare a casa di Eilmund, ma gli eventi glielo impedirono. In infermeria stava agonizzando un vecchio confratello ricoverato da tempo e fratello Edmund, avendo bisogno di un compagno per assisterlo, dopo aver ascoltato la sua estrema confessione sussurrata con un filo di voce e avergli somministrato gli ultimi sacramenti, si rivolse all'amico che già aveva lavorato spesso con lui tra gli infermi. Entrambi indossavano il saio da quasi quarant'anni, imposto fin dalla nascita, anche se poi portato con fede, nel caso di Edmund, e scelto invece per vocazione, dopo una lunga e fortunosa esperienza mondana, da Cadfael, e ormai si capivano così bene che tra loro non v'era più nemmeno bisogno di parole. La morte del vecchio monaco fu indolore ma lenta, perché le forze vitali
del suo corpo un tempo svelto e vigoroso erano già consunte. La lieve fiammella che ancora lo animava andò estinguendosi a poco a poco, impercettibilmente, così che ai due confratelli sfuggì l'attimo in cui anche l'ultima scintilla si spense. Se ne resero conto solamente quando si avvidero che le impronte degli anni sul suo viso si stavano appianando. «Così passano i buoni!» esclamò commosso Edmund. «Una morte benedetta quale non ho mai visto. Chissà se Dio sarà altrettanto buono con me, quando sarà il mio momento!» Si presero cura insieme del fratello defunto e insieme uscirono per andare a predisporne il trasporto nella cappella mortuaria, ma allora sorse un altro piccolo problema con uno dei più giovani pupilli di fratello Paul che era scivolato e caduto scendendo di corsa una scala e si era sbucciato un ginocchio, cosicché si dovette portarlo in infermeria per lavare e bendare la ferita, ricompensandolo poi con una mela perché era stato così bravo e coraggioso da negare persino di sentire dolore. Finalmente Cadfael fu libero di andare a sellare il suo cavallo, benché fosse ormai quasi l'ora del vespro. Stava attraversando la corte principale quando entrò, anch'egli a cavallo, Drogo Bosiet, con le lussuose vesti un po' scomposte e impolverate dalle infruttuose fatiche della giornata, il viso scuro e corrucciato e lo stalliere poche iarde dietro di lui, attento a obbedire prontamente a un suo gesto, ma badando anche a tenersi lontano dai suoi occhi e dalla sua mente. Evidentemente la caccia non aveva arrecato alcuna selvaggina e i cacciatori tornavano, alla fine della giornata, a mani vuote. Warin avrebbe fatto bene a tenersi fuori portata, quella notte. Cadfael varcò il portone contento e rassicurato e partì di buon passo verso la piccola casa nella foresta. CAPITOLO V Richard aveva trascorso tutto il pomeriggio con i suoi compagni nel grande orto dell'abbazia lungo il fiume dove si stavano cogliendo le ultime pere. I ragazzi avevano avuto il permesso di collaborare alla raccolta e anche di fare, con moderazione, qualche assaggio, benché i frutti non fossero ancora del tutto maturi. Era stata una giornata meravigliosa, con tanto sole, libertà e la possibilità di sguazzare un poco dove l'acqua era più bassa, e adesso al giovane Ludel non sorrideva affatto l'idea di rientrare per il vespro e la cena e poi filare a letto. Indugiò quindi dietro la processione che si snodava lungo il viottolo in riva al fiume e poi su tra i cespugli del pen-
dio fino alla strada del Foregate. Nella pace del tardo pomeriggio, v'erano ancora nubi di moscerini danzanti sopra l'acqua e pesci che guizzavano fuori lanciandosi verso di loro. Sotto il ponte, la corrente sembrava quasi ferma, ma lui sapeva che era invece rapida e profonda, tanto che là, un tempo, era stato ormeggiato un mulino galleggiante. Edwin, che aveva nove anni ed era il suo fedele alleato, si attardò con lui, pur occhieggiando con una certa preoccupazione la distanza crescente fra loro e la fila che li precedeva. Era stato elogiato e premiato per lo stoicismo di cui aveva dato prova quand'era caduto e non aveva alcuna intenzione di perdere la buona reputazione così guadagnata arrivando in ritardo al vespro. D'altro canto, non poteva neppure abbandonare spensieratamente l'amico del cuore. Rifletté per qualche momento, strofinandosi il ginocchio bendato che gli doleva ancora un poco. «Richard, andiamo!» disse. «Non dobbiamo perdere altro tempo. Guarda, sono già quasi arrivati alla strada.» «Oh, possiamo raggiungerli quando vogliamo», ribatté Richard, agitando gli alluci nell'acqua. «Ma tu va' pure, se vuoi.» «No, non senza di te. Ma io non posso correre tanto, con questo ginocchio rigido. Su, muoviti, o faremo tardi.» «Per me non è mai tardi. Posso restare qui fin quando voglio, prima che suoni la campana, ma avevo dimenticato che tu non sei in grado di correre svelto come al solito. Va' avanti, ti raggiungerò prima che arrivi alla portineria. Prima voglio vedere di chi è quella barca che sta scendendo verso il ponte.» Edwin esitò, indeciso tra la fedeltà al dovere e la diserzione, e una volta tanto vinse la prima. L'ultimo saio nero alla fine della processione era quasi giunto a livello della strada, poi anche quello sarebbe sparito. Nessuno si era voltato indietro per chiamare o rimproverare i ritardatari, li avevano lasciati alle prese con la propria coscienza. Senza indugiare oltre, Edwin si mise a correre con quanta velocità gli consentiva il ginocchio bendato e, alla sommità del pendio, si fermò a guardare indietro, ma Richard se ne stava immerso nell'acqua fino alle caviglie, lanciando con abilità ciottoli che scivolavano rimbalzando sulla superficie in una serie di spruzzi argentei. Edwin lo lasciò solo. Richard non aveva avuto l'intenzione di mancare ai propri doveri, ma si lasciò sedurre dal gioco via via che i suoi lanci miglioravano e si mise a cercare altri ciottoli più lisci e più piatti, con l'ambizione di farli arrivare fino alla sponda opposta. Poi, un ragazzo di Shrewsbury che stava nuo-
tando vicino a riva da quella parte raccolse la sfida e prese a rispondere alla pioggia di ciottoli danzanti, finché Richard non fu così concentrato nella gara da scordarsi completamente del vespro. Soltanto i lontani, fiochi rintocchi della campana lo richiamarono al dovere. Allora lasciò cadere il ciottolo che aveva in mano e, abbandonando il campo al rivale, corse a recuperare le scarpe che aveva lasciato ai piedi del pendio e si precipitò veloce come una lepre verso il Foregate e l'abbazia. Troppo tardi. Come giunse, trafelato, alla portineria, cercando di sgattaiolare non visto davanti alla guardiola, udì provenire dalla chiesa il canto del primo salmo. Non sarebbe stato tuttavia un gran peccato mancare per una volta a una funzione, ma Richard non voleva aggiungere anche quello in un momento in cui doveva già vedersela con gravi questioni familiari al di fuori dell'abbazia. Per fortuna, al vespro assistevano anche i figli dei fattori e dei servitori laici, e il loro numero era tale che uno più uno meno non avrebbe fatto differenza. Se fosse riuscito a frammischiarsi a quei ragazzi mentre uscivano dalla chiesa, si sarebbe potuto credere che fosse stato con loro anche durante il vespro. Era la miglior soluzione cui potesse pensare e, di conseguenza, passò nel chiostro e s'infilò nel primo scomparto del porticato dove nella buona stagione lavoravano i monaci scrivani, e dal quale poteva sorvegliare di nascosto la porta della chiesa, in attesa che fratelli, ospiti e ragazzi ne emergessero alla fine del vespro. Una volta che obedenziari e monaci del coro fossero passati, non sarebbe stato difficile intrufolarsi nel gruppo dei ragazzi senz'essere notato. Ed ecco apparire finalmente l'abate Radulfus, il priore Robert e tutti i confratelli che procedevano seri e dignitosi verso il refettorio e poi, in una massa assai meno ordinata, i giovani dell'abbazia. Richard stava sgattaiolando lungo il muro che li nascondeva, pronto a scivolare fuori per mescolarsi a loro, quando dall'altra parte dell'arcata sotto la quale essi sarebbero dovuti passare echeggiò una voce familiare e severa. «Fate silenzio! Non voglio udire chiacchiere così presto dopo un ufficio divino! È così che vi hanno insegnato a uscire da un luogo santo? Mettetevi bene in fila, due per due, e comportatevi con la dovuta reverenza.» Raggelato, Richard si strinse contro il muro e si ritrasse guardingo nell'angolo più scuro dello scomparto. Che cosa era preso a fratello Jerome per lasciare che i fratelli del coro si allontanassero senza di lui e per restare lì a infastidire poveri fanciulli innocenti? Perché adesso se ne stava lì immobile, esigendo da loro un ordine perfetto, così che Richard fu costretto
ad acquattarsi nel suo nascondiglio, intrappolato in quell'angolo mentre la sua unica speranza di salvezza si dileguava nell'aria della sera? Di tutti i confratelli, Jerome era l'ultimo davanti al quale il ragazzo si sarebbe rassegnato a strisciare ignominiosamente, per ricavarne poi soltanto biasimo e prediche. E intanto i ragazzi se n'erano andati e soltanto pochi ospiti dell'abbazia uscivano, ormai senza fretta, dalla chiesa, mentre Jerome era tuttora in agguato, ne vedeva lui stesso l'ombra sulle lastre del pavimento. E, a un tratto, risultò che stava aspettando qualcuno degli ospiti, perché alla sua ombra smilza se ne aggiunse un'altra più massiccia. Un'ombra che a Richard parve quella di un forestiero che aveva già visto, un uomo grande e grosso, dal viso duro e rossastro come un muro di mattoni, con le ricche vesti della media nobiltà, non proprio di un barone o di un vassallo, ma comunque una persona di un certo rango. «Vi ho aspettato, signore, perché desidero parlare con voi», spiegò fratello Jerome in tono presuntuoso ma non privo di rispetto. «Ho riflettuto su ciò che avete detto stamattina al capitolo. Volete sedervi per qualche momento con me? Qui non ci disturberà nessuno.» Il cuore di Richard parve fargli una capriola nel petto perché lo scomparto nel quale stava nascosto era il più vicino a loro e il solo pensiero di venire scoperto era terrificante. Ma, grazie a Dio, Jerome, forse temendo che qualcuno rimasto ancora in chiesa lo scoprisse lì in riunione segreta, preferì mettersi un po' più in disparte e si ritirò con il compagno nel terzo scomparto. Adesso che la via era sgombra, Richard avrebbe potuto svignarsela tranquillamente, ma non lo fece. Una comprensibile curiosità lo trattenne lì. Era immobile e tratteneva quasi il respiro, ma aveva le orecchie ben tese. «Il malfattore del quale avete parlato», esordì Jerome, «quello che ha aggredito il vostro maggiordomo e poi è fuggito... come avete detto che si chiama?» «Brand. Perché, ne sapete qualcosa?» «No, non con quel nome. Io sono fermamente convinto», continuò il monaco col tono dell'uomo dalla moralità ineccepibile, «che sia dovere di tutti aiutarvi a riprendere il vostro servo, se è possibile. E che tanto più sia dovere della Chiesa, che dovrebbe sempre schierarsi dalla parte della giustizia e della legge e condannare chi le viola. Avete detto che il vostro uomo è giovane, sui vent'anni, senza barba e con capelli biondo scuro?» «Esatto. Conoscete qualcuno che gli somigli?» domandò bruscamente
Drogo. «Potrebbe non essere lui, ma da queste parti c'è un giovane che risponde alla vostra descrizione, l'unico che, per quanto ne so, sia arrivato di recente. Vale comunque la pena fare qualche indagine. È venuto insieme con un pellegrino, un sant'uomo che si è sistemato in un piccolo eremo a poche miglia da noi, nel possedimento di Eyton. Il giovane è al suo servizio. E se è davvero il vostro briccone, deve aver approfittato di quell'anima santa che nella sua immensa bontà gli ha offerto rifugio e lavoro. Se poi risultasse che non è lui, non si sarebbe fatto comunque alcun danno. Ma io avevo già avuto qualche dubbio a riguardo, quando è venuto qui con un messaggio. C'è in lui una sorta di arroganza che non si addice a chi è al servizio di un santo.» Accoccolato sulla sua panca, abbracciandosi le ginocchia, Richard aguzzò più che mai le orecchie per non perdere una sola parola. «Dove si trova quest'eremo?» domandò Bosiet con la voce arrochita dalla brama della caccia all'uomo. «E come si chiama quel giovane?» «Hyacinth. E l'eremita si chiama Cuthred. Tutti a Wroxeter o a Eaton sapranno indicarvi dove vive.» Ciò nonostante, Jerome si lanciò con tanto calore in un'accurata descrizione delle strade da seguire che, anche se dallo scomparto vicino fosse provenuto qualche rumore, non lo avrebbe certo udito. Ma i piedi scalzi di Richard non ne fecero alcuno sulle lastre di pietra mentre balzava dalla panca, aggirava l'angolo del porticato, passava sotto l'arcata e attraversava a corsa pazza la corte, diretto verso le scuderie, sempre con le scarpe in mano. Le piante indurite dei suoi piedi risonavano come sassolini sui ciottoli del cortile dov'erano le stalle, ma lui non si preoccupava più di fare rumore, adesso che era lontano da quello scomparto stretto e buio dove riecheggiavano quelle voci, una ipocrita e l'altra che progettava spietatamente la cattura e la rovina di Hyacinth. Ma non l'avrebbero preso, no, se lui riusciva a impedirlo. Per quanto precise fossero le istruzioni di fratello Jerome, quell'uomo che voleva riavere il suo servo e che avrebbe certo infierito su di lui se lo avesse ritrovato, avrebbe pur sempre dovuto cercare la strada e saper scegliere tra i sentieri del bosco, quando ci fosse arrivato, mentre lui, Richard, conosceva ogni viottolo, ogni scorciatoia e lo avrebbe preceduto, se soltanto fosse riuscito a sellare il suo pony e scivolare fuori della portineria prima che il nemico avesse il tempo di mandare lo stalliere a sellare il suo cavallo. Perché non lo avrebbe fatto di certo lui, quando aveva un servo apposta per quello.
Il pensiero del bosco al tramonto non preoccupava affatto Richard, anzi il suo cuore batteva più forte per l'eccitazione di quell'avventura. La fortuna o il cielo lo favorirono perché a quell'ora tutti erano a cena e persino il monaco portinaio si era ritirato per mangiare, lasciando il portone aperto. E anche se aveva udito il rumore degli zoccoli ed era uscito per vedere chi fosse il cavaliere, era arrivato troppo tardi, quando ormai Richard trottava sulla strada del Foregate, in direzione di Saint Giles. Aveva persino dimenticato di avere fame e non gli doleva di perdere la cena. Oltre tutto era un beniamino di fratello Petrus, il cuciniere dell'abbazia, e con qualche moina sarebbe probabilmente riuscito a farsi dare qualcosa da lui, dopo. Quanto a ciò che sarebbe accaduto quando si fosse scoperta la sua assenza, se non a cena certamente all'ora di coricarsi, era inutile preoccuparsene. Adesso importava soltanto trovare Hyacinth e, se era davvero lui quel Brand, avvertirlo che doveva fuggire in fretta, con tutta la velocità che le sue gambe gli consentivano, e nascondersi in qualche posto sicuro, perché gli stavano dando la caccia ed erano già sulle sue tracce. Dopo di che, accadesse pure ciò che doveva! Svoltò nella foresta oltre Wroxeter, imboccando un ampio sentiero che Eilmund aveva aperto e segnato con paletti per raggiungere il suo bosco ceduo. Portava direttamente alla casetta del guardaboschi ma era anche la via più breve per arrivare a un viottolo laterale che diramava verso l'eremo, ovviamente il primo posto dove cercare il fuggiasco. In quel tratto, gli alberi erano per la massima parte querce vecchissime e le foglie cadute nel corso di tanti autunni avevano formato un alto strato soffice sul quale gli zoccoli del pony non facevano alcun rumore. Richard aveva rallentato l'andatura e il cavallino procedeva quieto su quel morbido cuscino, così che il ragazzo poté udire le voci che altrimenti gli sarebbero sfuggite: indubbiamente quelle di un giovane e di una fanciulla, nitide ma troppo sommesse perché si potesse distinguerne le parole. Poi li vide, a fianco del sentiero, vicini l'uno all'altra e immobili accanto al poderoso tronco di una quercia. Non si toccavano, ma dal modo come si guardavano appariva chiaro che ciò che avevano da dirsi era urgente e della massima importanza. Al grido che Richard lanciò al vederli, tuttavia, si separarono bruscamente come passeri spaventati. «Hyacinth! Hyacinth!» Più che smontare, Richard rotolò dalla sella e corse verso di loro, mentre essi correvano verso di lui, stupiti. «Hyacinth, dovete nascondervi... dovete andar via, subito! Vi stanno in-
seguendo, se siete Brand... Siete Brand? È arrivato all'abbazia un tale che vi cerca, è alla caccia di un suo servo della gleba che si chiama Brand, dice...» Hyacinth, allarmato e tremante, lo prese per le spalle, abbassandosi sulle ginocchia per avere gli occhi all'altezza dei suoi. «Un tale come? Un servitore o lo stesso padrone? E quando è venuto?» «Io li ho uditi parlare dopo il vespro... Fratello Jerome gli ha detto che da queste parti è comparso di recente un giovane che potrebbe essere quello e gli ha spiegato dove e come trovarlo. E adesso lui sta venendo a riprendervi, stasera stessa. Un uomo orribile, grande, grosso e arrogante. Io sono corso a prendere il mio pony mentre stavano ancora parlando e l'ho preceduto, ma voi non dovete più tornare da Cuthred, dovete fuggire immediatamente e nascondervi.» Hyacinth lo strinse a sé in un abbraccio breve e convulso. «Siete l'amico più sincero e valoroso che un uomo possa avere, ma non temete per me. Adesso che mi avete messo in guardia, che cosa mi può accadere? Quell'uomo è proprio lui, non v'è dubbio. Per Drogo Bosiet io valgo tanto da giustificare lo sperpero di tempo, uomini e denaro, per rintracciarmi, ma alla fine resterà a bocca asciutta.» «Allora siete Brand? Eravate il suo servo?» «Mi siete tanto più caro perché considerate la mia servitù come una condizione del passato. Il nome che mi avevano dato era Brand, mi sono scelto io quello di Hyacinth e lo manterremo fra noi due. Ma adesso dobbiamo separarci, amico mio, perché voi dovete tornare subito all'abbazia, prima che faccia buio e prima che si accorgano della vostra assenza. Andiamo, voglio vedervi sano e salvo fuori della foresta.» «No!» protestò Richard, risentito. «Vado da solo, non ho paura. Voi dovete sparire... subito!» La fanciulla aveva posato una mano su una spalla di Hyacinth, e Richard vide nei suoi occhi una ferma determinazione, anziché un pusillanime timore. «Lo farà, Richard! Conosco un posto dove sarà al sicuro.» «Dovreste cercare di fargli passare il confine del Galles», ribatté lui inquieto, persino un poco geloso, perché quello era il suo amico e lui era il suo salvatore, e quasi gli doleva che Hyacinth dovesse in parte la propria salvezza a qualcun altro, e a una donna, poi! Il giovane e la fanciulla si scambiarono una rapida occhiata e sorrisero, e la natura di quel sorriso illuminò la foresta. «No, quello no», disse in tono garbato Hyacinth. «Se debbo fuggire lo farò, ma non andrò lontano. E non
temete per me, non correrò alcun pericolo. Adesso rimontate in sella, mio signore, e tornatevene là dove non correrete alcun pericolo neppure voi, altrimenti io non muoverò un passo.» A Richard non rimase altro che obbedire. Dopo un breve tratto si voltò per salutarli con un cenno della mano e li vide sempre là come li aveva lasciati, seguendolo con lo sguardo. Si voltò una seconda volta, prima che il punto dove si trovavano venisse nascosto dal folto degli alberi, ma loro se n'erano andati, e la foresta era immobile e silenziosa. Richard pensò ai problemi che lo aspettavano e spronò inquieto il suo pony, verso l'abbazia. Drogo Bosiet cavalcava nel crepuscolo lungo le strade che gli aveva indicato fratello Jerome, fermandosi di tanto in tanto a chiedere se era sulla via giusta per arrivare alla cella di Cuthred. A quanto pareva, egli godeva della stessa venerazione popolare che circondava gli antichi eremiti celti, perché molti degli interrogati parlavano di lui come di un santo. Drogo entrò nella foresta vicino al punto in cui, come gli disse un pastore, confinava con quella di Eyton e uno stretto sentiero lo portò dopo quasi un miglio a una piccola radura circondata da fitti alberi, al centro della quale si trovava una casupola di pietra, piccola e bassa, che mostrava i segni di recenti migliorie apportate dopo anni di abbandono ed era circondata da un giardinetto delimitato da una bassa palizzata. Drogo smontò al margine della radura e si avvicinò alla palizzata tenendo il cavallo per le redini. Il silenzio della sera era profondo come se non vi fosse anima viva, intorno, per miglia. Ma la porta della casupola era spalancata e all'interno, sul fondo, brillava una luce. Bosiet legò il cavallo e, attraversato il minuscolo giardino, si fermò davanti all'uscio. Poi, non udendo alcun rumore, entrò e si trovò in una stanzetta semibuia arredata semplicemente con un pagliericcio addossato a una parete, un tavolo e una panca. La luce proveniva da una seconda stanza e, attraverso l'apertura senza battenti tra l'una e l'altra, Drogo vide che era una cappella. La lampada ardeva su un altare di pietra, davanti a una piccola croce d'argento posata sopra un reliquiario di legno scolpito, tra due candelieri pure d'argento, e sul piano dell'altare c'era un lussuoso breviario con rilegatura dorata. Evidentemente doni della protettrice dell'eremita, che doveva essere senza dubbio l'uomo alto e magro, vestito di un rozzo saio nero col cappuccio rialzato, inginocchiato davanti all'altare. Contro la luce piccola ma ferma della lampada, la figura nera appariva imponente, col dorso eretto e dritto come una lancia e il capo non chino ma
alzato. La vera immagine della santità. Persino Drogo rimase per un momento senza parole, ma un attimo solo, perché il suo scopo importava più di tutto, anche delle preghiere di un eremita. Tra non molto le prime ore della sera sarebbero diventate quelle profonde della notte, non c'era tempo da perdere. «Siete Cuthred?» domandò risolutamente. «All'abbazia mi hanno detto dove vi avrei trovato.» La figura ieratica non si mosse. Soltanto una voce misurata e senza stupore disse: «Sì, sono Cuthred. Che cosa volete da me? Venite avanti e parlate liberamente». «Avete un ragazzo che sbriga le vostre commissioni, dov'è adesso? Desidero vederlo. Può darsi che senza saperlo siate stato indotto a tenere con voi un malfattore.» Finalmente la figura si voltò, alzando il capo a fissare l'estraneo, e l'alone di luce che la circondava palesò un volto scarno dagli occhi infossati, la barba, l'aristocratico naso lungo e diritto e un ciuffo di capelli neri sotto il cappuccio. Drogo Bosiet e l'eremita della foresta di Eyton, adesso, si scrutavano con occhi fermi e impassibili. Seduto accanto al letto di Eilmund, fratello Cadfael mangiava di gusto pane, formaggio e mele poiché, come Richard, aveva saltato la cena, soddisfatto accanto a un paziente che non lo era altrettanto. Annet rientrò dopo aver accudito alle galline e munto la mucca, ma aveva impiegato un tempo irragionevole, e il suo imbronciato genitore non mancò di farglielo rilevare. Non aveva più febbre, il suo colorito era normale e il disagio non eccessivo, ma era infuriato per quella forzata immobilità e non vedeva l'ora di poter tornare al proprio lavoro, convinto com'era che i volenterosi ma inesperti sostituti inviati dall'abate non fossero in grado di badare come si doveva alla sua foresta. Il suo stesso malumore, comunque, era una prova delle sue ottime condizioni di salute. La gamba andava benone e Cadfael non nutriva più alcun timore. Annet rise del rabbuffo paterno, per nulla intimorita. «Vi ho lasciato in buona compagnia e sapevo che sareste stato meglio senza di me per un'oretta, come sarei stata io senza di voi, orso come siete diventato. Perché avrei dovuto affrettarmi a ritornare, in una sera così bella? Adesso che fratello Cadfael vi ha rimesso in sesto, non privatemi di una boccata d'aria!» Ma, a giudicare dalle apparenze, c'era stato qualcosa di più efficace che una semplice boccata d'aria a svagarla. Era raggiante e briosa come per ef-
fetto di una coppa di buon vino, con gli occhi splendenti nel viso roseo più colorito del solito e i suoi capelli sempre in perfetto ordine erano un po' scomposti, qualche ciocca si era sfilata dalle trecce come se si fosse impigliata tra bassi rami. Cadfael notò pure sul pavimento un paio di foglie appassite che aveva portato in casa lei, appiccicate alle scarpe. Vero, la stalla era al margine della radura, tra i primi alberi, ma non c'erano vecchie querce, là. «Bene, adesso che siete tornata e non lascio vostro padre a mugugnare senza nessuno che lo ascolti, è meglio che io vada, prima che sia completamente buio. Tenetelo a letto ancora per qualche giorno, poi, se si comporterà bene, gli permetterò di alzarsi, usando le grucce. Meno male che non si è buscato alcun malanno restando per tanto tempo nell'acqua, è stata una grazia di Dio!» «Merito di quel ragazzo di Cuthred, Hyacinth», gli rammentò Annet. Lanciò una rapida occhiata al padre e le fece piacere che lui aggiungesse cordialmente: «È la sacrosanta verità! Si è comportato come un figlio con me, quel giorno, non lo dimenticherò mai!» Era stata immaginazione o un colore più acceso era salito davvero alle guance della fanciulla? «Portate ancora un po' di pazienza», consigliò il monaco alzandosi, «e vi faremo tornare sano e forte come prima. Vale la pena di un piccolo sacrificio, no? E non state a preoccuparvi per il vostro bosco ceduo, gli uomini dell'abbazia hanno fatto un ottimo lavoro, sgombrando per bene il torrente e rinforzando l'argine. Non v'è più alcun pericolo.» Rimise la sua roba nella bisaccia e si avviò verso la porta. «Vi accompagno fino al cancello», si offrì Annet, e uscì con lui nella mezza luce della radura, dove il suo cavallo stava brucando tranquillo l'erba. «Figliola», osservò Cadfael con un piede nella staffa, «siete fiorente come una rosa, stasera.» Lei sorrise, mentre si lisciava le ciocche disordinate e le riuniva alle trecce. «Però sembra che abbiate ficcato la testa in un cespuglio di rovi!» Cadfael si chinò sulla sella e prese delicatamente una foglia secca di quercia che le era rimasta tra i capelli. La fanciulla alzò gli occhi, lo vide rigirarsela fra le dita tenendola per lo stelo e un incantevole sorriso le illuminò il volto. La lasciò così, immobile e sorridente, risoluta senza dubbio a passare
impavida attraverso tutti i cespugli di rovi che avesse incontrato lungo la via tra lei e ciò che voleva. CAPITOLO VI A quell'ora, ormai, v'erano ben poche possibilità di trovare un aiuto immediato né all'abbazia né al castello, e nessuna di scoprire qualcosa nella foresta che si andava oscurando. A Cadfael non rimase altro da fare che inginocchiarsi accanto al cadavere per tastargli il polso, auscultargli il cuore e controllare se vi fosse ancora un pur minimo segno di vita. Ma, benché le carni fossero ancora tiepide e cedevoli sotto le sue dita, il respiro era completamente cessato e il cuore, quasi certamente trafitto dalla pugnalata alle spalle, era immobile come una pietra. Non doveva essere morto da molto tempo, anche se non sgorgava più sangue dalla ferita e quello che c'era cominciava a seccarsi ai bordi. Forse da un'ora, giudicò il monaco, o anche da due. E le cinghie tagliate, la borsa sparita, lì nella loro foresta! Chi mai aveva sentito parlare di predoni così vicini? Oppure qualche delinquente della città aveva saputo che Eilmund era confinato in casa sua e si era avventurato a cercar fortuna ai danni di qualche occasionale e solitario viaggiatore? Il tempo ormai non aveva più alcuna importanza per Drogo e con la luce del giorno chissà che non si scoprisse qualche traccia che portava all'assassino. Meglio lasciarlo lì, per il momento, e portare subito la notizia al castello dove c'era sempre qualcuno di guardia, con la raccomandazione che si avvertisse Hugh al più presto possibile. A mezzanotte i confratelli si sarebbero alzati per il mattutino e allora si sarebbe potuto, o meglio dovuto, informare dell'accaduto anche l'abate Radulfus. Il morto era un ospite dell'abbazia, dove tra un giorno o due sarebbe arrivato anche suo figlio, e là si doveva riportare, perché si potesse averne debita e reverente cura. Non v'era più niente da fare per Drogo Bosiet, ma se non altro si poteva ricondurre alla stalla il suo cavallo. Cadfael rimontò in sella tenendo con la sinistra le briglie del roano che lo seguì docilmente. Non c'era fretta, aveva tempo fino a mezzanotte, tanto, anche se avesse avuto la possibilità di coricarsi per un poco prima del mattutino, non sarebbe riuscito a dormire. Meglio curarsi dei cavalli, in attesa che suonasse la campana. L'abate Radulfus giunse alla chiesa un po' in anticipo per il mattutino e trovò Cadfael ad aspettarlo sotto il portico meridionale, mentre nel dormi-
torio cominciava appena a suonare la campanella. Erano sufficienti pochi momenti per informarlo, senza dilungarsi, che era morto un uomo e non per mano di Dio. Radulfus non era solito sprecare parole in vane esclamazioni e non lo fece nemmeno allora apprendendo che un ospite della sua casa era andato incontro a una fine delittuosa nella sua foresta. Accettò in cupo silenzio il grave affronto e l'ancor più grave offesa alla carità umana e riconobbe con un energico cenno del capo il diritto-dovere della punizione che spettava alla Chiesa non meno che all'autorità secolare. Nel silenzio che seguì mentre rifletteva, udirono i passi sommessi dei confratelli sulla scala interna che si usava di notte. «Avete avvisato Hugh Beringar?» domandò l'abate. «Sì, ho lasciato un messaggio per lui a casa sua e al castello.» «Allora non c'è altro da fare sino a domattina. Bisogna riportarlo qui, perché qui verrà a cercarlo suo figlio. Ma ci sarà bisogno di voi per fare da guida fino al posto dov'è adesso. Andate dunque a riposare un poco, vi dispenso dall'assistere alla funzione. Domattina all'alba accompagnate là lo sceriffo e ditegli che manderò io gli uomini necessari per riportare a casa il corpo.» Erano lì intorno a Drogo Bosiet nella prima, esitante luce di una mattina gelida: Hugh Beringar, Cadfael, un sergente e due soldati della guarnigione del castello, silenziosi e con gli occhi fissi sulla larga chiazza di sangue ormai essiccato che aveva intriso il dorso della lussuosa veste per cavalcare. L'erba era curva sotto la rugiada come se fosse piovuto e l'umidità si era condensata in grosse perle tra le pieghe degli indumenti del morto. «Se ha levato il pugnale dalla ferita», osservò Hugh, «è molto probabile che se lo sia portato via, ma è meglio che diamo un'occhiata in giro per il caso che lo abbia invece gettato mentre fuggiva. Tuttavia, voi avete detto che le cinghie della borsa erano state tagliate... Dopo il delitto, naturalmente, dunque ha avuto bisogno di un coltello. Più spiccio e più facile che stare a sfibbiarle nel buio, perdendo tempo prezioso. Strano, però, che un uomo a cavallo possa essere caduto vittima di un'aggressione simile! Gli sarebbe bastato dare un colpo di sprone al primo rumore per mettersi in salvo.» «Secondo me», obiettò Cadfael osservando la posizione del cadavere, «Bosiet doveva essere a piedi in quel momento, tenendo il cavallo per la briglia. Era un forestiero e qui il sentiero è stretto, tra fitti alberi, e già fa-
ceva buio. Guardate le foglie appiccicate sotto la suola degli stivali. Non ha avuto neppure il tempo di voltarsi, è bastato un sol colpo. Dove fosse stato non si può sapere, ma stava tornando all'abbazia quando è stato pugnalato, senza alcuna reazione da parte sua e ben poco rumore. Il cavallo non si è impaurito, vagava tranquillo a poche iarde da qui.» «E questo fa pensare a un brigante esperto», commentò Hugh. «Non riesco a crederlo. Nella mia giurisdizione e così vicino alla città?» «No. Ma anche un furfante clandestino o forse persino un ladruncolo di città avrebbe potuto arrischiarsi a una simile impresa, se avesse saputo che il guardaboschi era per così dire prigioniero in casa. Ma naturalmente queste sono solo supposizioni», sottolineò il monaco, scuotendo la testa. «Una volta tanto persino un semplice contrabbandiere potrebbe soggiacere alla tentazione, se avesse a imbattersi in un uomo evidentemente ricco che cavalca solo di notte, in una foresta! Le supposizioni non servono a niente.» Gli uomini inviati da Radulfus per riportare all'abbazia il povero Drogo stavano già percorrendo con la loro lettiga il sentiero serpeggiante. Cadfael s'inginocchiò sull'erba, incurante della rugiada che gli ammollò il saio fino alle ginocchia, e girò cautamente il volto del cadavere che cominciava a irrigidirsi. Le guance sode e piene si erano afflosciate e gli occhi piccoli e sproporzionati erano semiaperti. Morto, Drogo sembrava più vecchio e meno arrogante e brutale, un misero mortale come tutti gli altri, che muoveva quasi a compassione. Soltanto allora notarono il massiccio anello d'argento che il morto portava. «Un oggetto prezioso che al ladro è sfuggito», mormorò Hugh con una sorta di sbigottito rimpianto per tanto potere ormai ridotto all'impotenza. «Un altro segno della sua fretta. Altrimenti avrebbe frugato ed esaminato la sua vittima dalla testa ai piedi. Un'altra prova che il corpo non è stato toccato. È ancora così com'è caduto, rivolto verso Shrewsbury. Stava tornando all'abbazia.» «Aspettate suo figlio, avete detto?» domandò Hugh. «Possiamo lasciarlo ai vostri uomini, ormai, mentre i miei setacceranno i boschi qui intorno, per il caso che fosse rimasta qualche traccia dell'assassino, benché io ne dubiti. Noi due intanto torneremo all'abbazia per sentire se è venuto a galla qualcosa di nuovo. Perché ci deve essere un motivo per il quale Bosiet è stato spinto a uscire di nuovo a quell'ora!» Il sole aveva ormai superato la linea dell'orizzonte quando il monaco e lo sceriffo rimontarono in sella e tornarono indietro lungo l'angusto sentiero,
e sotto i primi raggi che foravano la bruma i cespugli splendevano di mille piccoli diamanti. Quando poi raggiunsero i campi aperti, i cavalli si ritrovarono a guazzare in un basso mare di vapore color lilla. «Che cosa sapete di quel Bosiet», domandò Hugh, «oltre a quanto mi ha detto lui oppure ho arguito io senza che me lo dicesse?» «Ben poco, temo. È il signore di parecchi manieri nel Northamptonshire e di recente un suo servo della gleba, a torto o a ragione, ha conciato per le feste un suo maggiordomo poi se l'è data saggiamente a gambe, prima che potessero mettergli le mani addosso. Bosiet e i suoi uomini gli davano la caccia da allora e suppongo che debbano aver sprecato un bel po' di tempo a cercarlo per tutta la contea prima di venire a sapere da qualcuno che era stato visto non lontano da Northampton, probabilmente diretto verso nordovest. E tutti lo hanno seguito fin qui, per strade diverse. Per quanto, a quel che si dice, sia dotato di molti pregi, dev'essere costato ben più del suo valore, ma adesso è il suo sangue che vogliono e sono disposti a pagare qualsiasi prezzo. Bosiet doveva essere animato da un odio implacabile e non lo ha nascosto al capitolo. Il padre abate non sembrava molto entusiasta al pensiero di aiutarlo a vendicarsi spietatamente come, con ogni probabilità, avrebbe fatto.» «E lo ha scaricato addosso a me», osservò Hugh con una lieve smorfia. «Be', non oso dargli torto. Però ho seguito il vostro consiglio e mi sono tenuto alla larga finché ho potuto. Non gli sarei stato comunque di aiuto. Che cos'altro sapete di lui?» «Era arrivato con uno stalliere, Warin, che disgraziatamente non lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio. Forse lo aveva mandato a sbrigare qualche commissione, ma quando ha ricevuto quell'avviso non ha avuto la pazienza di aspettarlo ed è partito solo. Pare che sia... che fosse incline a usare liberamente i pugni con i suoi servitori, anche senza alcuna colpa da parte loro. Perlomeno lo ha fatto con Warin, che ne ha ricavato un brutto taglio alla bocca. E, a quanto dice, non è stata un'eccezione. Il figlio, ha aggiunto, è tale e quale il padre, da evitare come la peste. Arriverà tra un giorno o due a Stafford.» «Per venire a sapere che gli toccherà il compito di mettere nella bara suo padre e riportarlo a casa per seppellirlo.» «Scoprendo al tempo stesso di essere diventato il nuovo signore di Bosiet», sottolineò Cadfael. «L'altra faccia della medaglia. Chi può dire quale gli sembrerà più importante?» «State diventando cinico, amico mio», ribatté Hugh con un sorrisetto
amaro. «Sto soltanto pensando ai motivi che possono indurre gli uomini a uccidere. L'avidità, ad esempio, che potrebbe albergare nell'animo di un figlio ansioso di raccogliere una cospicua eredità. Oppure l'odio. Un servitore maltrattato può lasciarsi trascinare da un odio covato per anni, se gli si presenta l'occasione di vendicarsi. Ma i motivi possono essere tanti, e più contorti, come quello di un ladro che, dopo il furto, voglia essere certo che la sua vittima non possa tradirlo. Un peccato, Hugh, un vero peccato che ci si affanni tanto per procurare a qualcuno la morte, che arriverà comunque per tutti, a tempo debito.» Quando raggiunsero la strada maestra a Wroxeter, il sole era ormai alto e limpido, benché sopra i campi stagnasse tuttora un leggero strato di vapore perlaceo. Proseguirono ad andatura sostenuta in direzione di Shrewsbury e arrivarono all'abbazia alla fine della messa solenne, mentre i confratelli se ne stavano tornando ognuno ai propri compiti. «Il padre abate ha chiesto di voi», annunciò il fratello portinaio, uscendo dalla guardiola non appena ebbero varcato il portone. «È nel suo parlatorio privato insieme con il priore e vi prega di andare subito da lui.» Lasciarono i cavalli agli stallieri e andarono direttamente alla casa di Radulfus. Nel parlatorio, l'abate alzò gli occhi dal suo scrittoio, mentre il priore Robert, austeramente eretto su una panca accanto alla finestra, li abbassò sul proprio aristocratico naso con una marcata espressione di contrariato distacco. Leggi, omicidio e caccia all'uomo non avevano diritto di accesso nel dominio monastico e Robert mal sopportava di essere costretto a riconoscere la loro esistenza e occuparsi dei problemi che ne derivavano quando essi riuscivano ad aprirsi un varco nelle mura. Accanto a lui, modesto all'ombra del suo superiore, c'era fratello Jerome, con le spalle curve, le labbra sottili serrate e le mani infilate nelle maniche, l'immagine della virtù che porta con umiltà la propria croce. C'era sempre una larga parte di compiacimento nell'umiltà di Jerome, ma quel giorno v'era pure una sorta di atteggiamento difensivo, come se la sua rettitudine fosse stata in qualche modo, seppur indirettamente, messa in dubbio. «Oh, siete tornati!» esclamò l'abate. «Non avrete già riportato anche quel poveretto!» «No, padre, non ancora. I vostri uomini ci hanno seguiti, ma a piedi ci vuole più tempo. È come vi ha già riferito fratello Cadfael. Bosiet è stato pugnalato alle spalle, probabilmente mentre camminava tenendo il cavallo per la briglia, perché in quel tratto il sentiero è stretto e invaso dall'erba.
Saprete già che è anche stata rubata la sua borsa e, da quanto ha potuto rilevare Cadfael dall'esame del cadavere, dev'essere stato ucciso più o meno a compieta, forse un poco prima, e senza lasciare la minima traccia. A quell'ora stava certo tornando all'abbazia, lo prova la direzione verso la quale era rivolto quand'è caduto, e risulta anche dalla posizione del corpo, che l'assassino non ha neppure toccato dopo il delitto, altrimenti non gli sarebbe sfuggito il prezioso anello che ancora portava. Ma dove fosse andato, non v'è modo di saperlo.» «Penso che abbiamo noi qualcosa da dirvi, a questo riguardo», dichiarò l'abate. «Fratello Jerome vi ripeterà ciò che ha appena riferito al priore Robert e a me.» Di solito, Jerome era fin troppo desideroso di ascoltare la propria voce, si trattasse di un sermone o di un rabbuffo, ma era chiaro che stavolta cercava le parole con cura particolare. «Il nobile signore», esordì, «era un ospite e una persona retta. Al capitolo aveva detto di essere alla ricerca di un malfattore che aveva aggredito senza motivo il suo maggiordomo, cagionandogli danni gravissimi, e che poi era fuggito. Più tardi, io mi sono ricordato che da queste parti era arrivato da poco uno sconosciuto che poteva essere l'uomo che lui cercava e ho ritenuto fosse dovere di noi tutti dare un aiuto alla causa della giustizia e della legge. Così, ho parlato col signore di Bosiet e gli ho detto di quel giovane al servizio dell'eremita Cuthred, che è arrivato qui da poche settimane e che corrisponde alla descrizione da lui fatta del suo servo fuggiasco Brand, benché si faccia chiamare Hyacinth. Età e aspetto concordano e qui nessuno sa niente di lui. Ho pensato che fosse giusto dirgli la verità. Se poi quel giovane potrà provare di non essere Brand, non gli si sarà fatto comunque alcun danno.» «E gli avete anche detto, credo», intervenne l'abate in tono distaccato, «come raggiungere la cella dell'eremita.» «Certo, padre, com'era mio dovere.» «E lui è partito immediatamente per andare là.» «Sì, padre. E siccome aveva mandato in città il suo stalliere per una commissione, ha dovuto sellare lui stesso il cavallo. Non ha voluto aspettare, perché era già pomeriggio inoltrato.» «Ho parlato con quel Warin, quando abbiamo saputo della morte del suo padrone», riprese Radulfus, guardando Hugh. «Bosiet lo aveva mandato a interrogare tutti gli specialisti nella lavorazione del cuoio a Shrewsbury, perché pare che in questo campo fosse bravissimo anche il suo Brand, e poteva darsi che fosse andato a cercare lavoro e rifugio da qualcuno di lo-
ro. Non si può muovere alcun rimprovero allo stalliere; quando è tornato, il suo padrone se n'era andato da un pezzo. Ciò che si proponeva di fare non poteva essere rimandato alla mattina seguente, pare.» La sua voce era calma e misurata, senza alcuna inflessione né di approvazione né di biasimo. «Questo, penso, risolve il problema di dove fosse andato.» «Che è dove debbo andare io», esclamò soddisfatto lo sceriffo. «Vi sono obbligato, padre, per avermi indicato il prossimo passo del mio cammino. Se era andato veramente a parlare con Cuthred, potremo almeno sapere che cosa si sono detti e se Bosiet ha trovato ciò che cercava... benché sia fin troppo chiaro che tornava solo. Se avesse ripescato il suo servo, non lo avrebbe certo lasciato in condizioni di poter fuggire un'altra volta. Col vostro permesso, padre, porterei con me all'eremo come testimone fratello Cadfael, invece di qualcuno dei miei uomini.» «D'accordo», accondiscese volentieri l'abate. «Quello sventurato era nostro ospite, abbiamo il dovere di fare tutto il possibile per scoprire il suo assassino. E di celebrare per lui tutte le funzioni rituali. Fratello Robert, volete provvedere voi perché il suo corpo sia ricevuto con reverenza, quando lo riporteranno? Potrete partecipare anche voi, fratello Jerome, dando un'altra prova dello zelo che avete posto nell'aiutarlo. Veglierete accanto a lui, stanotte, e pregherete per la sua anima.» Così si sarebbero trovati in due a fianco a fianco nella cappella mortuaria quella notte, rifletté Cadfael mentre usciva con Hugh dal parlatorio: il vecchio monaco che aveva chiuso una lunga, pacifica esistenza spegnendosi quietamente come un fiore che perdesse i petali, e il ricco signore padrone di terre e manieri strappato violentemente alla vita con l'animo colmo di rancore e odio, senza preavviso, senza avere avuto il tempo di mettersi in pace né con Dio né con gli uomini. L'anima di Drogo Bosiet avrebbe avuto davvero bisogno di tutte le preghiere possibili. «Avete pensato, fratello», domandò Hugh mentre cavalcavano per la seconda volta lungo la strada del Foregate, «che potrebbe essere stato proprio fratello Jerome col suo vantato amore per la giustizia a mandare Bosiet incontro alla morte?» Anche se era stato così, il monaco non intendeva discuterne in quel momento. «Stava tornando all'abbazia», osservò invece. «E a mani vuote. Dunque, deluso nelle sue speranze. Vale a dire che quel giovane non è il suo servo sparito.» «Potrebbe anche voler dire che lo è e che ha visto arrivare il suo padrone in tempo per sparire. Ormai deve conoscere bene quei boschi, almeno
quanto basta per sapere dove andare. Se fosse stata la sua, la mano che stringeva il pugnale?» Era innegabilmente una possibilità. Chi poteva avere un motivo migliore per conficcare un pugnale nella schiena di Drogo Bosiet di un servo che egli intendeva trascinare di nuovo nel proprio maniero per scorticarlo prima e tornare a sfruttarlo poi per tutto il resto della sua vita? «È quello che si dirà», convenne cupamente Cadfael. «A meno che noi non troviamo Cuthred e il suo aiutante tranquilli nel loro eremo, pensando ai fatti propri senza immischiarsi in quelli degli altri. Serve a poco fare supposizioni, finché non sapremo che cos'è accaduto là.» Si avvicinarono alla lingua di terreno appartenente a Eaton seguendo lo stesso percorso di Drogo e si trovarono quasi all'improvviso davanti alla piccola radura tra il folto d'alberi, proprio come doveva essere accaduto a lui, solo che adesso era pieno giorno, mentre egli era arrivato quando cominciava a far buio. La luce attenuata che filtrava tra i rami trasformava in oro opaco il grigio spento della capanna di pietra e i paletti dello steccato intorno al giardino erano distanti l'uno dall'altro, un confine appena abbozzato che non costituiva una barriera né per gli uomini né per gli animali. La porta, poi, era spalancata, così che si poteva vedere la stanza interna, dove la fiammella della lampada sempre accesa sull'altare appariva minuscola come una semplice scintilla, quasi sopraffatta dalla luce di una finestrella senza imposte, più in alto. A quanto pareva, la cella del santo Cuthred era aperta a tutti. Una parte del piccolo giardino era ancora incolta, benché l'erba che vi cresceva fosse tagliata con cura, e lì, armato di zappa e vanga, era al lavoro l'eremita. Evidentemente inesperto, ma ostinato e paziente, tanto da insistere a maneggiare strumenti ai quali non era certo avvezzo e sobbarcarsi a lavori che sarebbero toccati a Hyacinth, il quale, per l'appunto, non si vedeva da nessuna parte. Alto e magro, col ruvido saio scuro alzato fino alle ginocchia e il cappuccio abbassato sulle spalle, all'avvicinarsi dei visitatori l'eremita si raddrizzò, girando verso di loro il viso scarno e olivastro, dagli occhi infossati e incorniciato da barba e folti capelli neri. Passò lo sguardo dall'uno all'altro e rispose con un cenno del capo, senza abbassare gli occhi, all'inchino di Hugh. «Se cercate l'eremita Cuthred», disse con una voce calda e sonora e un tono autorevole, «benvenuti nel mio rifugio. Sono io Cuthred.» Poi osservò per qualche momento Cadfael e aggiunse: «Mi pare di avervi visto a
Eaton, al funerale di Richard Ludel. Siete un fratello di Shrewsbury, vero?» «Sì, ero là di scorta a suo figlio. E questo è Hugh Beringar, lo sceriffo della contea.» «La sua visita è un onore per me. Ma, vi prego, accomodatevi nella mia cella.» L'eremita sciolse la logora cintura di corda che gli teneva sollevato il saio e fece strada agli ospiti. Il folto arruffio dei suoi capelli sfiorò l'architrave della porta, mentre entrava, tanto era alto, una spanna abbondante più di loro. Nel modesto soggiorno c'era una finestra dalla quale entravano la luce pomeridiana e una lieve brezza che portava il profumo dell'erba falciata e delle umide foglie d'autunno. Oltre l'apertura senza battenti, Cadfael e Hugh videro ciò che aveva visto Drogo, l'altare di pietra col suo reliquiario di legno scolpito, la croce e i candelieri d'argento e il breviario aperto davanti alla lampada. Notando lo sguardo dello sceriffo fisso sul libro aperto, Cuthred andò a chiuderlo religiosamente, mettendolo poi a fianco del reliquiario dove l'oro e il cuoio sbalzato della rilegatura splendettero nella luce della lampada. «In che cosa posso essere utile al mio signore lo sceriffo?» domandò poi, col viso ancora rivolto verso l'altare. «Ho bisogno di rivolgervi alcune domande riguardo a un uomo ucciso», rispose Hugh risolutamente. L'eremita girò di scatto la testa, sorpreso e inorridito. «Ucciso? Qui? Non ne so niente. Volete spiegarvi meglio, mio signore?» «Ieri sera un ospite della nostra abbazia, Drogo Bosiet, è venuto da voi, per suggerimento di un confratello, alla ricerca di un suo servo fuggiasco, un giovane sui vent'anni, che pensava potesse essere quel vostro Hyacinth. È forestiero, ha la stessa età e pare che gli assomigli, così Bosiet intendeva vederlo per accertare se fosse o non fosse quel suo servo. È così?» «Be', sì, sì, è venuto un signore», rispose senza esitare l'eremita, «ma non so come si chiamasse, non gliel'ho chiesto. Comunque, che cosa c'entra questo con un omicidio? È stato ucciso un uomo, avete detto.» «Lui, Drogo Bosiet. Mentre tornava all'abbazia è stato pugnalato alla schiena e abbandonato là, accanto al sentiero, a un miglio o più da qui. Lo ha trovato fratello Cadfael ieri sera, quand'era già buio. Lui morto e il suo cavallo che vagava nel bosco.» Gli occhi di Cuthred si spostarono dall'uno all'altro, increduli e incuriositi. «Riesce difficile credere che vi siano assassini e uomini senza legge in
un posto come questo, ben coltivato e bene amministrato... nella vostra giurisdizione e così vicino alla città! È stato anche derubato, quel poveretto?» «Della borsa, che non si sa che cosa contenesse. Ma non di un anello che portava, né di alcun indumento. Quel che è stato fatto, è stato fatto in fretta.» «Uomini senza legge lo avrebbero lasciato completamente nudo», osservò recisamente l'eremita. «No, non credo che questa foresta possa essere rifugio di banditi. Questo è un caso ben diverso.» «Che cosa voleva da voi, Bosiet? Che cos'è accaduto?» «È arrivato mentre io stavo recitando il vespro nella mia cappella. È entrato e mi ha detto che voleva vedere il giovane che sta con me. Avrei potuto scoprire di essere stato indotto con l'inganno a prendere al mio servizio un briccone, ha aggiunto, perché lui era alla ricerca di un servo della gleba fuggito dalla sua casa e aveva saputo che qui c'era un ragazzo della stessa età, arrivato da poco e sconosciuto a tutti che sarebbe potuto essere per l'appunto il suo uomo. Mi ha spiegato quando e da dove fosse fuggito e quale direzione si presumeva che avesse preso, particolari che si adattavano fin troppo bene, per la pace della mia niente, col tempo e il luogo dove ho trovato e preso con me Hyacinth. Ma non si è potuto accertare niente, perché lui non c'era. Lo avevo mandato almeno un'ora prima con un incarico a Eaton e non era ancora tornato. Per la verità, non è tornato nemmeno oggi e dubito che abbia a rivederlo mai più.» «Voi pensate che sia Brand, vero?» domandò Hugh. «Non posso affermarlo, ma mi rendo conto che potrebbe esserlo. E il fatto che non sia tornato mi fa pensare che debba essere così. Ma non fa parte dei miei doveri consegnare un uomo perché venga punito, questo riguarda Dio, e sono felice di non aver potuto dire né sì né no, contento che lui non fosse qui per essere giudicato.» «Ma se si fosse tenuto alla larga soltanto perché si era reso conto in qualche modo del pericolo di essere scoperto, sarebbe ritornato, ormai», osservò Cadfael. «Il suo signore e padrone se n'era andato a mani vuote e caso mai si fosse profilata la minaccia di un'altra visita, avrebbe sempre potuto squagliarsela di nuovo, a meno che non lo aveste tradito voi. Dove sarebbe potuto essere più al sicuro che con un santo eremita? Invece non lo avete più rivisto.» «Ma adesso voi mi dite che il suo padrone è morto... se era davvero lui quello che è venuto da me», ribatté gravemente Cuthred. «Ucciso! E se
Hyacinth avesse avuto in qualche modo sentore della sua visita e non si fosse limitato a fuggire... se avesse pensato che sarebbe stato meglio mettersi in agguato e porre fine alle sue ricerche una volta per tutte! No, credo proprio che non lo rivedrò mai più. Il Galles non è lontano e anche uno straniero senza famiglia può trovare lavoro, là, sia pure a condizioni gravose. No, non tornerà. Non tornerà mai più.» Era il momento meno adatto per distrarsi, ma a Cadfael accadde. Come se un angolo della sua mente avesse ricavato per conto proprio da un ricordo ancora più di quanto avesse fatto lui, si ritrovò a pensare ad Annet che rientrava in casa raggiante ed euforica, con una foglia di quercia tra i capelli scomposti. Col viso più colorito del solito e ansando come se avesse corso. E circa un'ora dopo compieta, quando sicuramente Drogo Bosiet giaceva già, morto, a oltre un miglio di distanza, sulla via per Shrewsbury. Vero, era andata a chiudere per la notte galline e mucca, ma aveva impiegato molto, troppo tempo e tornava col viso acceso e gli occhi scintillanti di una fanciulla che fosse stata col suo innamorato. E aveva trovato modo di dire una buona parola per Hyacinth, palesemente felice quando anche suo padre lo aveva lodato. «Come avete conosciuto questo giovane?» stava chiedendo Hugh. «E come mai lo avete preso al vostro servizio?» «Tornavo da St. Edmundsbury, diretto a Cambridge, e mi ero fermato per due notti al priorato cluniacense di Northampton. Lui era là tra i mendicanti alla porta. Benché giovane e robusto, era malmesso e arruffato come se avesse vissuto nei boschi. Suo padre era morto dopo essere stato spossessato di ogni suo bene, mi disse, e lui non aveva né parenti né lavoro. Mosso a compassione, lo rivestii e lo presi al mio servizio, altrimenti avrebbe finito col diventare un ladro e un bandito, per vivere. È stato sempre premuroso e obbediente, anche riconoscente, pensavo. E forse lo era davvero, ma a quanto pare è finito tutto in niente.» «Quando lo avete trovato là?» «Non saprei dire il giorno esatto, ma era la fine di settembre.» Tempo e luogo corrispondevano perfettamente. «Sicché adesso tocca a me vedermela con una caccia all'uomo», mormorò Hugh. «Meglio che torni a Shrewsbury e mi metta subito all'opera. Non ho scelta. Assassino o no, debbo trovare e arrestare quel ragazzo.» CAPITOLO VII
Fratello Jerome non si era mai fatto scrupolo di biasimare apertamente e in ogni occasione l'eccessiva indulgenza di fratello Paul con i suoi pupilli, novizi o scolari che fossero. In verità, Paul cercava sempre di sorvegliarli senza parere, al di fuori delle lezioni, benché fosse sempre pronto ad accorrere se avevano bisogno di lui o desideravano parlargli, mentre per le consuete pratiche quotidiane, quali le abluzioni, il comportamento a tavola, l'ora di coricarsi la sera e alzarsi la mattina, si affidava alla loro buona coscienza e all'amore per la pulizia e la puntualità che si era sforzato di insegnare loro. Fratello Jerome, tuttavia, era fermamente convinto che nessun ragazzo al disotto dei sedici anni fosse affidabile per quanto riguardava il rispetto delle regole e che anche in età più matura avessero in sé più del diavolo che dell'angelo. Fosse stato lui il maestro dei fanciulli, avrebbe sorvegliato, scrutato e corretto ogni loro mossa e fatto uso delle punizioni ben più di quanto Paul potesse neppur pensare di fare. Era un piacere per lui poter affermare, con ragione, di avere sempre predetto che tanta indulgenza sarebbe sicuramente sfociata in una catastrofe. Quattro scolari e nove novizi, tra gli otto e i diciassette anni, sono un numero sufficientemente gestibile, a meno che qualcuno non avesse un motivo particolare per contarli e accorgersi che ne mancava uno. Probabilmente fratello Jerome lo avrebbe fatto, come faceva sempre, certo che prima o poi avrebbe scoperto un'assenza ingiustificata, ma fratello Paul non li contò. Poiché c'era bisogno di lui, prima al capitolo e poi per certe questioni riguardanti i suoi compiti, aveva incaricato delle lezioni il più fidato dei novizi, un altro metodo che Jerome deplorava, ritenendolo rovinoso per la disciplina. In chiesa, poi, i ragazzini occupavano un posto così ridotto che uno in più o uno in meno non sarebbe stato notato. Accadde così che soltanto nel tardo pomeriggio, quando fratello Paul radunò di nuovo il suo gregge nell'aula della scuola, separando i novizi dagli alunni più giovani, si notasse finalmente l'assenza di Richard. Da principio Paul non se ne preoccupò troppo. Con ogni probabilità, il suo allievo si era attardato da qualche parte, dimentico dell'ora, e sarebbe comparso ben presto, affannato per la corsa. Ma il tempo passò e Richard non comparve. I suoi tre compagni, quando furono interrogati, strusciarono i piedi, stringendosi l'uno all'altro come per farsi forza a vicenda, e scossero in silenzio la testa, evitando tuttavia con cura di guardare negli occhi il maestro. I più giovani in particolare sembravano profondamente a disagio, ma neppure loro aprirono bocca, inducendo così Paul a pensare che Richard si fosse assentato di proposito e che i suoi compagni lo sapessero
benissimo e forse lo disapprovassero ma fossero comunque risoluti a non tradirlo. Si trattenne quindi dal minacciarli di severi castighi per quel loro caparbio silenzio, un atteggiamento che avrebbe confermato una volta di più la feroce disapprovazione di Jerome per i metodi del confratello. Jerome incoraggiava i delatori, mentre Paul nutriva un'inconfessabile simpatia per la colpevole solidarietà di chi preferiva attirare sul proprio capo un castigo, piuttosto che tradire un amico. Si limitò dunque a dichiarare che Richard sarebbe stato chiamato a render conto del proprio comportamento e a pagare il fio di quella pazzia, poi proseguì con la lezione. Ma vedeva bene che i suoi scolari erano sempre più disattenti e a disagio, né gli sfuggivano le occhiate oblique che si scambiavano cercando di non farsi vedere, come se si sentissero in colpa. Alla fine delle lezioni, poi, ebbe la netta sensazione che il più piccolo fosse sul punto di spifferare tutto quanto sapeva e il suo evidente turbamento pareva indicare che dietro quella defezione vi fosse assai più che il semplice, capriccioso desiderio di marinare la scuola. Paul lo richiamò mentre i ragazzi stavano uscendo, sollevati e timorosi a un tempo. «Edwin, vieni qui!» Tanto bastò perché gli altri due se la dessero improvvisamente a gambe, certi che stava per crollare loro addosso il cielo e ansiosi di evitare almeno il primo colpo, senza curarsi di ciò che sarebbe potuto accadere dopo. Edwin tornò indietro, lentamente, guardandosi i piedi che strascicava sul pavimento, e si fermò tremando davanti al maestro. Aveva ancora il ginocchio bendato, ma la fasciatura si era spostata e Paul si chinò istintivamente a rifargliela. «Edwin», disse poi, «che cosa sai sul conto di Richard? Dov'è?» «Non lo so!» sbottò risoluto il ragazzino, poi scoppiò in lacrime e Paul se lo strinse al petto, lasciando che affondasse tra le pieghe del suo saio. «Dimmi, quando lo hai visto l'ultima volta? Dov'è andato?» Edwin emise un singhiozzo soffocato e il monaco lo scostò da sé, fissandolo negli occhi arrossati. «Su, dimmi che cosa sai.» E finalmente venne fuori tutto, come un fiume in piena, tra ansiti e singhiozzi. «È stato ieri sera dopo il vespro. L'ho visto prendere il pony e andarsene per la strada del Foregate. Pensavo che sarebbe tornato, invece non l'abbiamo più visto e ci siamo impauriti... Ma non volevamo che lo prendessero, è già in un tale guaio... Così non abbiamo detto niente, con la speranza che tornasse prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza.» «Mi stai dicendo che non ha dormito nel suo letto, la notte scorsa?» insi-
stette Paul sbigottito e, una volta tanto, autoritario. «È sparito da ieri sera e nessuno ha aperto bocca?» Un nuovo fiotto di lacrime inondò il viso arrossato e sconvolto del ragazzino, che annuì energicamente in una tacita ammissione di colpa. «E voi lo sapevate, tutti e tre! Non avete riflettuto che poteva essergli accaduto qualcosa, che poteva trovarsi in pericolo? Sarebbe mai rimasto fuori per tutta la notte di propria volontà? Oh, figliolo, perché non vi siete confidati almeno con me? Tutto questo tempo perduto!» Ma Edwin era già fin troppo spaventato, non restava da fare altro che cercare di calmarlo e rassicurarlo, quando era così difficile trovare calma e sicurezza. «Dunque, lo hai visto allontanarsi in sella al pony dopo il vespro, è così? Senza dire a nessuno dove intendeva andare?» Facendo appello alla poca presenza di spirito che gli era rimasta, il ragazzino farfugliò il resto. «Era in ritardo per il vespro. Quando siamo tornati dal Gaye, lui è rimasto indietro a giocare coi sassi, poi non ha fatto in tempo a raggiungerci. Probabilmente si riprometteva di infilarsi tra noi quando saremmo usciti dalla chiesa, ma non ha potuto farlo perché lì vicino c'era fratello Jerome che stava parlando con... con quel signore, quello che...» Edwin ricominciò a piagnucolare, rammentando ciò che non avrebbe dovuto vedere ma naturalmente aveva visto benissimo, gli uomini con la lettiga che entravano dalla portineria, il grande corpo immobile col volto coperto. «Io sono rimasto ad aspettare davanti alla porta della scuola», sussurrò, «e ho visto Richard correre verso le scuderie, tornare col pony e uscite di furia dal portone. È tutto quello che so. Pensavo che sarebbe rientrato presto», gemette Edwin, disperato. «Non volevamo metterlo nei guai...» E così gli avevano dato ampio tempo e spazio per cacciarsi in guai ben peggiori, probabilmente, di quelli che avrebbe potuto procurargli la loro lealtà. Fratello Paul scosse sconsolato la testa, battendo una mano su una spalla del suo penitente. «Siete stati sciocchi e avete commesso un grave errore, vi meritereste un castigo. Ma adesso vedete di rispondere sinceramente quando sarete interrogati e ritroveremo Richard sano e salvo. Corri a cercare i tuoi due compagni e aspettate qui finché non vi chiameremo.» Paul se ne andò quasi di corsa per portare la triste novella al priore Robert e all'abate e quindi accertarsi che il pony regalato da madonna Dionisia al nipote per ingraziarselo fosse davvero sparito dalla stalla. Ne segui-
rono un gran baccano e affannose ricerche nel cortile della casa colonica, nei magazzini, nella foresteria che vennero rovistati da cima a fondo per il caso che, nonostante le apparenze, il reprobo non avesse affatto lasciato l'abbazia o che, dopo una saggia riflessione, fosse tornato di nascosto, pronto a fingere di non essersi mai allontanato. Gli infelici scolaretti, bistrattati dal priore Robert e minacciati dei peggiori castighi, si fecero piccoli piccoli, tremando e piangendo al pensiero dell'enormità che avevano commesso. Persuasi di far bene, poi, sopravvissuti alla prima bufera di rimproveri, si disposero stoicamente ad aspettare il resto, senza cena. Neppure fratello Paul trovò un momento per rivolgere loro qualche parola consolatrice e rassicurante, occupato com'era a indagare fra gli intricati recessi del mulino e dei vicoli del Foregate. In quel parossismo di frenetici e allarmati andirivieni si trovò immerso Cadfael rientrando a cavallo sul far della sera, dopo essersi congedato da Hugh davanti al portone. Quella notte stessa gli uomini dello sceriffo avrebbero setacciato i boschi da Eaton verso ovest alla ricerca del fuggiasco che, fosse o no Brand, doveva essere catturato a ogni costo. Hugh non aveva simpatia per la caccia all'uomo più di quanta ne avesse Cadfael, e non era la prima volta che i maltrattamenti inducevano alla lunga un servo a fuggire diventando un proscritto, ma un omicidio era un omicidio e la legge non poteva tollerarlo. Colpevole o innocente, bisognava ritrovare Hyacinth, e Cadfael rientrava con la mente rivolta a quel problema quando si trovò di fronte allo spettacolo dei suoi confratelli che correvano dall'uno all'altro degli edifici dell'abbazia alla ricerca di un altro fuggiasco. Stava osservando a bocca aperta quella scena quando fratello Paul gli si fece incontro, ansante e animato da una nuova speranza. «Cadfael, voi siete stato nella foresta, non vi è accaduto di trovare qualche traccia del nostro Richard? Comincio a sperare che possa essere scappato a casa...» «È l'ultimo posto dove sarebbe andato, sapendo quali intenzioni ha sua nonna. Perché, mi state dicendo che avete perduto quel monello?» «Se n'è andato... fin da ieri sera, ma noi lo abbiamo scoperto soltanto un'ora fa.» Paul, nel raccontare quel deplorevole incidente, si profuse in una cateratta di autocritiche, rimorsi e ansietà. «È colpa mia! Sono venuto meno al mio dovere, sono stato troppo indulgente, mi sono fidato troppo di loro... ma perché sarà fuggito? Sembrava contento, qui, non ha mai dato alcun segno...» «Qualche motivo lo avrà certamente avuto», osservò Cadfael. «Ma da
sua nonna? Ne dubito molto. No, deve aver avuto un motivo nuovo e urgente per andarsene con tanta fretta. Ieri sera dopo il vespro, avete detto?» «Edwin mi ha riferito che si era attardato in riva al fiume ed è arrivato in ritardo per il vespro, così deve essere rimasto ad aspettare nel chiostro per infilarsi fra i compagni quando fossero usciti dalla chiesa. Ma poi non ha potuto farlo perché là sotto l'arco c'era fratello Jerome, in attesa di parlare con Bosiet. E dopo, Edwin ha visto Richard che correva verso le scuderie e poi usciva in gran fretta in groppa al suo pony.» «Davvero!» esclamò Cadfael. «E dov'erano allora Jerome e Bosiet se lui ha potuto andarsene senza essere visto? Bene, è inutile stare a farsi domande. Sappiamo già che cosa avevano da dirsi quei due... Una faccenduola privata. E Jerome voleva evitare che lo ascoltasse qualcun altro, ma a quanto pare un altro c'era, a sua insaputa. Paul, adesso debbo lasciarvi ancora per un poco alle vostre ricerche e vedere se riesco a raggiungere Hugh Beringar. È già occupato a dare la caccia a un giovane scomparso, tanto vale che lo faccia per due, risparmiando tempo e fatica.» Lo raggiunse alla porta della città e lo sceriffo fermò bruscamente il cavallo all'udire la notizia, poi si girò a guardare il monaco, soprappensiero. «Dunque ritenete che sia stato quello il motivo!» commentò. «Ma perché avrebbe dovuto preoccuparsi per un giovane che aveva a malapena visto e col quale non aveva mai parlato? O avete motivo di credere che fossero d'accordo?» «No, niente di concreto, soltanto la coincidenza delle due sparizioni sembra collegarli. Richard ha indubbiamente ascoltato di nascosto e ciò che ha udito lo ha spinto a un'azione immediata e pressante. Così, prima che Bosiet arrivasse all'eremo, Hyacinth ha preso il volo.» «E Richard ha fatto altrettanto!» Hugh corrugò le folte sopracciglia nere, riflettendo su ciò che quello poteva significare. «Intendete dire che, se ne trovo uno, potrei averli trovati entrambi?» «No, su questo ho i miei dubbi. Richard intendeva certo essere all'ovile prima che fosse l'ora di andare a letto, innocente come un agnellino. Non è sciocco e non ha alcun motivo per desiderare di lasciarci, ragione di più perché abbiamo a essere in ansia per lui. Ormai sarebbe senz'altro all'abbazia, se qualcosa non glielo avesse impedito. Se il suo pony lo avesse disarcionato e lui fosse là da qualche parte, ferito o sperduto o addirittura... Si è pensato che possa essere scappato a casa, a Eaton, ma questo è da escludere nel modo più assoluto. Non lo avrebbe mai fatto!»
Quella recisa affermazione suggerì a Hugh un'eventualità sulla quale Cadfael probabilmente non aveva avuto il tempo di soffermarsi. «No, ma avrebbe potuto trascinarlo là qualcuno! E voglia Iddio che sia stato così! Se qualcuno della casa di madonna Dionisia si fosse imbattuto in lui, solo in un bosco, avrebbe saputo bene come compiacere la sua signora. Oh, sì, lo so, il personale là è tutto dalla parte di Richard, ma potrebbero pure esservi uno o due servitori pronti ad approfittare di una buona occasione per fare un favore alla padrona. Cadfael, mio vecchio amico, tornate alle vostre erbe, voi, e lasciate Eaton a me. Non appena avrò organizzato i miei uomini per la caccia a tutti e due, andrò a sentire che cos'ha da dirmi al riguardo madonna Dionisia. E se rifiuterà di lasciarmi frugare da cima a fondo il suo maniero alla ricerca di un fuggiasco, saprò che nasconde da qualche parte l'altro e le forzerò la mano. Se Richard è là, domani andrò a riprenderlo e lo restituiremo alle amorevoli braccia di fratello Paul», promise lo sceriffo con un ottimismo forse eccessivo. «Anche se questo dovesse costargli qualche bacchettata, gli sembrerà sempre meglio del matrimonio progettato da sua nonna. Se non altro, il bruciore durerà meno a lungo!» Una palese bestemmia contro il matrimonio, pensò e disse Cadfael, tanto più quando proveniva da un uomo che aveva ottimi motivi per ritenersi benedetto dal cielo, con una moglie incantevole come la sua e un figlio del quale essere orgoglioso. Hugh, che aveva girato il cavallo verso il ripido pendio del Wyle, gettò un'occhiata divertita a Cadfael. «Venite a casa con me, adesso. Terrete compagnia ad Aline mentre io vado al castello per dare il via alla caccia.» La prospettiva di trascorrere un'oretta con Aline e di poter giocare un poco col proprio figlioccio, Giles, che aveva ormai quasi tre anni, era allettante, ma Cadfael scosse la testa, con rassegnato rammarico. «No, è meglio che torni all'abbazia. Dobbiamo insistere nelle ricerche del nostro fuggiasco e fare domande in tutto il Foregate finché non sarà buio. Non abbiamo la più pallida idea di dove sia, non possiamo trascurare nessun angolo. Vi auguro con tutto il cuore di aver maggior successo di quanto non sembri arridere a noi, Hugh.» Il monaco riattraversò il ponte dirigendosi verso l'abbazia con le redini allentate, rendendosi conto a un tratto di essere rimasto in sella più che abbastanza, per una giornata, e pregustando con ansia la pace del prossimo rito sacro nel quieto santuario della sua chiesa. Meglio lasciare a Hugh e ai suoi uomini il compito di perlustrare a fondo la foresta, inutile persino
continuare a tormentarsi chiedendosi come e dove quel figliolo avrebbe potuto trascorrere la notte, benché una preghiera particolare non sarebbe stata certo sprecata. E domani, rifletté Cadfael, andrò da Eilmund a portargli le stampelle, tenendo tuttavia gli occhi ben aperti durante il cammino. Due ragazzi scomparsi. Trovarne uno avrebbe significato scovarli entrambi? No, era troppo sperarlo. Ma rintracciare il primo avrebbe potuto essere un lungo passo verso la scoperta del secondo. Ai piedi della gradinata della foresteria c'era un ospite appena arrivato che osservava con blando interesse l'incessante tramestio delle ricerche, ormai passate dal carattere frenetico delle prime ore a una più tranquilla ispezione in ogni angolo dell'abbazia. Un uomo solido e ordinato, dall'apparenza modesta, con stivali un po' logori ma ben curati, brache scure e una casacca di buona e semplice stoffa, lunga fino al ginocchio, il consueto abbigliamento usato per cavalcare, tranne che da viaggiatori del più alto o del più misero rango. Sarebbe potuto essere il subaffittuario di un barone in viaggio per conto del suo signore, o un ricco mercante, o anche un nobile di grado inferiore. Cadfael lo notò subito appena ebbe varcato il portone, mentre il fratello portinaio usciva dalla guardiola, lasciandosi cadere sulla vicina panca di pietra con un profondo sospiro. «Nessuna traccia del ragazzo, allora?» domandò Cadfael, pur non aspettandosi alcuna risposta positiva. «No, ed è poco probabile che se ne trovino, non qui dentro almeno, visto che se n'è andato in sella al suo pony. Ma prima bisogna essere certi in casa, dicono. Parlano persino di dragare la gora del mulino. Sciocchezze! Che cosa ci sarebbe andato a fare allo stagno, se è uscito col pony... come facciamo a saperlo? Non è affogato di sicuro, nuota come un pesce. No, quello è ben lontano e chissà in quale guaio si è cacciato. Ma loro debbono andare a frugare dappertutto, persino nei fienili e nelle stalle! È meglio che voi andiate in fretta a tener d'occhio il vostro laboratorio, altrimenti vi butteranno all'aria anche quello!» Cadfael accennò con la mano al nuovo arrivato. «Chi è, lo sapete?» «Un certo Rafe di Coventry, un falconiere del conte di Warwick. Sta trattando con Gwinedd per l'addestramento di giovani falconi, così mi ha detto Denis. È arrivato da meno di un quarto d'ora.» «A tutta prima avevo pensato che fosse il figlio di Bosiet, ma vedo che è troppo vecchio... più o meno della sua stessa età.» «Lo avevo pensato anch'io. Ero un po' preoccupato perché qualcuno do-
vrà pur dirgli che cosa lo aspetta, qui, e preferirei che fosse il priore Robert a farlo.» «Mi fa piacere», osservò Cadfael con una lieve nota di apprezzamento nella voce, senza staccare lo sguardo dal forestiero, «vedere un uomo capace di restarsene così immobile in mezzo a un simile scompiglio, senza fare domande. Ma adesso è meglio che vada a liberare dai finimenti questa povera bestia e sistemarla nella sua posta. Ha fatto una bella sfaticata, oggi, con tutto quell'andare e venire. E lo stesso vale per me.» E domani, rifletté guidando senza fretta il cavallo attraverso la grande corte, dovrò ricominciare di nuovo. Forse sarò fuori strada, ma almeno proviamoci! Passò poco lontano dal forestiero sempre muto e immobile allo stesso posto, ma stavolta, all'udire il rumore degli zoccoli sul selciato, Rafe girò il capo e, incontrando lo sguardo del monaco, fece un lieve cenno del capo, con l'ombra di un sorriso. Un viso dai lineamenti marcati ma riservato, con fronte e zigomi larghi, la barba bruna ben curata e occhi scuri e fermi, segnati da piccole rughe agli angoli. «State andando alle scuderie, fratello? Volete farmi da guida? Senz'alcun biasimo per i vostri stallieri, gradirei controllare personalmente le cure prestate al mio cavallo.» «Come faccio io», ammise cordialmente Cadfael, mentre il falconiere s'incamminava con lui. «L'abitudine di tutta una vita, che non si perde più.» Era facile adattare reciprocamente il passo, perché erano entrambi della stessa, modesta statura. Nel cortile delle scuderie uno stalliere dell'abbazia stava asciugando il sudore a uno splendido sauro con una macchia bianca sulla fronte. «Il vostro?» domandò il monaco, ammirando il bell'animale. «Sì», ribatté asciutto Rafe di Coventry mentre prendeva il panno dalle mani dello stalliere. «Grazie, amico! Continuo io, adesso. Dove posso metterlo?» Diede un'occhiata alla posta che l'uomo gli indicò, poi girò lo sguardo intorno, con un cenno soddisfatto. «Avete una magnifica stalla, fratello. Non abbiatevene a male se preferisco badare io stesso al mio cavallo. I viaggiatori non sono sempre così ben serviti e, come avete detto voi, è un'abitudine.» «Siete solo?» domandò ancora Cadfael, occupato a togliere i finimenti al proprio cavallo, senza tuttavia perdere d'occhio il compagno. La cintura che gli serrava i fianchi era fatta per portare spada e pugnale, che senza dubbio aveva lasciato alla foresteria insieme col mantello e il resto che a-
veva con sé. Non è facile classificare un falconiere, quand'è in viaggio. Un mercante si farebbe accompagnare da uno o forse più robusti servitori per proteggerlo, un soldato potrebbe anche essere solo, come Rafe, ma avrebbe le armi per difendersi. «Vado di fretta», rispose questi brevemente. «I compagni a volte possono essere d'impaccio. Se un uomo dipende solo da se stesso, non corre rischio di essere piantato in asso.» «Venite da lontano?» «Da Warwick.» Un uomo di poche parole e per niente curioso, il falconiere del conte. Ma era davvero così? Per quanto riguardava le ricerche del ragazzo scomparso non era sembrato minimamente interessato, ma lo era stato senza dubbio per le scuderie e i cavalli che vi si trovavano. Anche dopo avere accudito al proprio si era soffermato a guardarsi intorno con occhio esperto. Non si era curato dei muli e dei cavalli da lavoro, ma aveva osservato con profonda attenzione il roano che era appartenuto a Bosiet. Cosa per altro comprensibile in un amatore di bei cavalli perché quello era uno splendido animale, palesemente di ottima razza. «Può permettersi un simile purosangue, la vostra casa?» Rafe passò una mano sul dorso lucente e tra le orecchie diritte. «O appartiene a qualche ospite?» «Apparteneva», rispose Cadfael, risparmiando a sua volta le parole. «Apparteneva? Come sarebbe a dire?» Il falconiere si girò di scatto a fissare il monaco con occhi attenti e penetranti. «Il suo proprietario è morto. In questo momento giace nella nostra cappella mortuaria.» Il vecchio monaco riposava da quella mattina nel cimitero, Drogo aveva la cappella tutta per sé, adesso. «Chi era? E come è morto?» Una stupita curiosità pareva aver preso il posto della precedente, distaccata, indifferenza. «Lo abbiamo rinvenuto nella foresta a poche miglia da qui, ucciso da una pugnalata alla schiena. E derubato.» Cadfael non avrebbe saputo spiegare perché non fosse diventato lui pure altrettanto reticente a quel punto né perché, ad esempio, non si fosse limitato a dire il nome del morto. E se il suo compagno avesse insistito, come sarebbe stato naturale, avrebbe risposto liberamente. Ma Rafe non fece altre domande. Scrollò le spalle ai sottintesi pericoli del cavalcare soli nelle foreste delle contee di confine e richiuse la bassa porta della posta, dietro il suo cavallo. «Me ne ricorderò. Viaggiare bene armati o tenersi sulle strade maestre.» Sfregandosi le mani, si diresse verso la porta del cortile. «Bene, andrò a
prepararmi per la cena.» Si allontanò a lunghi passi risoluti, ma non in direzione della foresteria. Raggiunse invece l'arcata del chiostro e l'oltrepassò, e Cadfael, stupito per quella decisa deviazione verso la chiesa, lo seguì, in apparenza con l'intenzione di essergli d'aiuto, ma in realtà spinto da un'innocente curiosità. Lo trovò ritto accanto all'altare parrocchiale a guardarsi in giro, dall'una all'altra delle numerose cappelle ai lati della navata, e gli indicò quella che evidentemente cercava. «Da questa parte. L'arco è basso, ma voi siete più o meno della mia statura, non avrete bisogno di chinare la testa.» Rafe non cercò né di mascherare il proprio scopo né respinse l'aiuto del monaco. Accettò la sua compagnia con un lieve cenno del capo e lo seguì. Nella cappella gelida si avvicinò senza esitazione al catafalco sul quale giaceva, reverentemente coperto, il corpo di Drogo Bosiet, con candele accese alle due estremità, e sollevò il panno dal suo viso. Scrutò per qualche momento i lineamenti pallidi e fissi, poi riabbassò il panno con gesti calmi e quasi pietosi, insoliti per lui. Aveva persino tempo per un reverente rispetto, davanti alla morte. «Non lo conoscete, per caso?» domandò Cadfael. «No, non l'ho mai visto. Che Dio l'abbia in pace!» Rafe si raddrizzò con un sospiro di sollievo. Qualunque segreto interesse per il morto avesse nutrito, era scomparso. «Drogo Bosiet, un ricco proprietario del Northamptonshire. Aspettiamo da un momento all'altro suo figlio.» «Oh, poveretto, l'aspetta una brutta sorpresa!» Ma furono parole dette superficialmente, senz'alcun coinvolgimento sentimentale. «Avete molti ospiti in questo periodo? Qualcuno della mia età e condizione, magari? Farei volentieri una partita a scacchi, dopo cena, se potessi trovare un compagno.» Se aveva perduto ogni interesse per Drogo Bosiet, sembrava però interessatissimo a conoscere altri viaggiatori ospiti dell'abbazia. Della sua stessa età e condizione! «Potrà trovarvelo fratello Denis», ribatté il monaco con studiata indifferenza. «No, è un periodo tranquillo, questo. La foresteria è semivuota.» Si stavano avvicinando alla gradinata dell'ingresso, a fianco a fianco come vecchi amici, nella luce opaca e immobile del tardo pomeriggio che già digradava nel grigio della sera. «L'uomo che è stato ucciso nella foresta», riprese Rafe. «Il vostro scerif-
fo avrà certo sguinzagliato i suoi uomini alla caccia di un fuorilegge così vicino alla città. Sospettate di qualcuno?» «Sì, ma non v'è alcuna certezza. Un giovane giunto di recente da queste parti, sparito dopo il delitto», rispose Cadfael e aggiunse, sondando il terreno senza averne l'aria: «Un giovane sui vent'anni...» Non dell'età né della condizione di Rafe, certo! E di nessun interesse per lui, che accolse la notizia con un vago cenno di assenso e, a giudicare dall'indifferenza del suo viso, l'accantonò immediatamente. «Bene, buona caccia, allora», commentò, allontanando da quella sua mente chiusa e corazzata l'insignificante problema dell'innocenza o della colpevolezza di Hyacinth. Ai piedi della gradinata della foresteria si fermò a guardarsi in giro, certamente per controllare, pensò Cadfael, ogni ospite maschio che rientrasse per la cena. Cercando qualcuno in particolare? Qualcuno il cui nome, visto che non ne aveva chiesti, non sarebbe stato di alcuna utilità perché falso? Un nome che, in ogni caso, non sarebbe stato Drogo Bosiet del Northamptonshire! CAPITOLO VIII Hugh arrivò al maniero di Eaton la mattina presto, con sei uomini a cavallo al seguito e un'altra dozzina dislocati tra il fiume e la strada maestra, con il compito di perlustrare l'intera distesa di campi e foreste tra Wroxeter e Eaton e oltre. Per l'omicida fuggiasco avrebbero dovuto spostarsi più a ovest, ma Richard doveva essere certamente lì, in quell'area, se aveva davvero avuto l'intenzione di correre ad avvertire Hyacinth del pericolo che lo minacciava. Gli uomini di Hugh avevano seguito la via diretta dal Foregate a Wroxeter, un tratto aperto e lineare, e quindi il sentiero più breve nella foresta sino all'eremo di Cuthred, dove il ragazzo si aspettava di trovare l'amico. A quanto aveva detto Edwin, precedeva soltanto di qualche momento Bosiet e si sarebbe dunque affrettato al massimo, percorrendo appunto quella via. Ma non era mai arrivato all'eremo. «Il piccolo Richard?» esclamò l'eremita, stupito. «Non mi avete chiesto di lui, ieri, ma soltanto di quell'uomo! No, non è stato qui. Lo ricordo bene, il giovane signore, Dio non voglia che gli sia accaduto qualche guaio! Non sapevo che fosse scomparso.» «Manca ormai da due notti, purtroppo.» «No, qui non è mai venuto. La mia porta è sempre aperta, giorno e notte,
e io non mi allontano mai, per il caso che qualcuno avesse bisogno di me. Se quel figliolo si fosse trovato in qualche pericolo poco lontano da qui, sarebbe certo corso a chiedere il mio aiuto.» Era vero, tutte le porte dell'eremo erano spalancate, così che anche dall'esterno si vedevano il piccolo soggiorno e la cappella con il loro scarso arredo. «Bene, se ne aveste qualche notizia», disse Hugh, «mandate qualcuno da me o all'abbazia, o ditelo ai miei uomini che stanno battendo la foresta e verranno certamente anche da voi.» «Lo farò senz'altro», promise gravemente Cuthred e rimase accanto al cancelletto del suo minuscolo giardino, seguendo con lo sguardo il gruppo di cavalieri che si allontanava in direzione di Eaton. Non appena udì il rumore sordo di tanti zoccoli sulla terra battuta del cortile, John di Longwood uscì di corsa da uno dei capannoni allineati lungo la staccionata. Le sue braccia nude e la testa calva erano scure e lustre come la quercia stagionata, abituato com'era a vivere all'aria aperta con qualsiasi tempo, perché non c'era lavoro nella tenuta che egli non sapesse eseguire. Sbarrò gli occhi al vedere lo sceriffo e i suoi uomini che entravano risoluti, ma per lo stupore e la curiosità, non certo per timore, e andò loro incontro. «Bene, mio signore, che cosa vi porta qui tanto di buon'ora?» Ma aveva già intuito il significato di quello spiegamento di forze. Nessun cane da caccia né falchi, ma spade e pugnali, due uomini persino armati di arco e frecce. Evidentemente una caccia di tipo particolare. «Non c'è alcun guaio, qui. Qualche notizia da Shrewsbury?» «Stiamo cercando due fuggiaschi», spiegò Hugh. «Non ditemi di non aver saputo che due sere fa, tra qui e la città, è stato ucciso un uomo. E l'aiutante dell'eremita è scomparso. Sospettiamo che sia un servo della gleba fuggito dalla casa dell'uomo ucciso e che avesse un buon motivo per sbarazzarsi di lui e prendere il volo una seconda volta. Questo è uno dei due che cerchiamo.» «Oh, sì, ne abbiamo sentito parlare, ma temo che sia a un bel po' di miglia da qui, ormai. Non ne abbiamo più visto nemmeno l'ombra dal tardo pomeriggio di due giorni fa, quand'è venuto a prendere certi dolci al miele che la nostra signora aveva per Cuthred. Ma alla signora non era piaciuto troppo, perché l'ho udita rimproverarlo. E, in effetti, era uno sfacciato. Ma dati i precedenti, penso proprio che non lo ritroveremo mai più. Tuttavia io non l'ho mai visto con armi di alcun genere», aggiunse obiettivamente
John, con un palese sottinteso. «C'è dunque qualche possibilità che sia stato qualcun altro a uccidere il suo padrone. La minaccia di essere trascinato di nuovo alla servitù della gleba sarebbe stata più che sufficiente per indurlo ad alzare i tacchi al più presto possibile. In un paese che non conosceva, sarebbe stato difficile per il suo signore ritrovare le sue tracce. Non v'era alcun bisogno di ucciderlo.» «E infatti non è ufficialmente accusato di niente», dichiarò lo sceriffo. «Né si potrà farlo finché non lo avremo preso. Ma non si potrà neppure scagionarlo, fino a quel momento. E, in ogni caso, io non smetterò di cercarlo. Ma abbiamo anche un altro fuggiasco, John. Il nipote della vostra signora, Richard, se n'è andato dall'abbazia in sella al suo pony quella stessa sera e non è ancora tornato.» «Il giovane signore!» esclamò John, sbigottito e costernato. «Sono passate due notti e veniamo a saperlo soltanto adesso? Ci aiuti Iddio, la signora impazzirà! Ma come è accaduto? Chi se lo è portato via?» «Non se lo è portato via nessuno. Ha sellato lui stesso il suo cavallino e se n'è andato di propria volontà. E Dio solo sa che cosa può essergli accaduto. Ma poiché uno dei due potrebbe essere un assassino, non trascurerò né una casa né un granaio, con ordini ai miei uomini di tenere gli occhi aperti anche per Richard. Voi stesso, John, per quanto siate un ottimo sovrintendente, non potete sapere quali sorci si siano infilati in ogni stalla, in ogni ovile o magazzino di un possedimento come Eaton. Ed è ciò che voglio sapere io, qui e in ogni buco tra l'eremo e Shrewsbury. Vi prego, andate a dire a madonna Dionisia che desidero parlare con lei.» John obbedì, scuotendo la testa sconsolato, mentre Hugh smontava da cavallo e si avvicinava alla gradinata dell'ingresso, curioso di vedere come si sarebbe comportata l'illustre signora quando fosse uscita. Se davvero non aveva saputo niente della scomparsa del nipote fino a quel momento, quando l'avesse senza dubbio informata il sovrintendente, sarebbe stata una furia, con l'aggravante di un sincero, doloroso sgomento ad accrescere la sua collera. Se invece ne era già al corrente, avrebbe avuto sì il tempo di prepararsi a un'esplosione di collera indignata, ma sarebbe potuta tuttavia inciampare in qualcosa che la tradisse. Quanto a John, la sua onestà era indiscutibile. Se Dionisia teneva il nipote nascosto da qualche parte, lui non c'era entrato per niente. Non era lo strumento del quale si sarebbe servita per quello scopo perché John si riteneva apertamente al servizio di Richard, più che al suo. Dionisia emerse infatti dall'ombra del vestibolo come un turbine, con la
veste azzurra fluttuante e gli occhi ardenti come carboni accesi. «Che cosa sento, sceriffo? Non può essere vero! Mio nipote sparito?» «Purtroppo è la verità, madonna Dionisia», confermò Hugh fissandola senza batter ciglio, per nulla infastidito dal fatto di dover guardare in su, come del resto avrebbe dovuto fare anche se lei fosse scesa dalla gradinata, perché era parecchio più alta di lui. «È sparito dall'altro ieri sera.» La dama alzò le braccia al cielo con un grido sdegnato. «E me lo dite soltanto adesso! È questa la cura che hanno per i loro pupilli all'abbazia? Quelle sono le persone che mi impediscono di tenere con me la mia carne e il mio sangue! Riterrò l'abate responsabile di qualsiasi danno possa essere derivato a mio nipote. La colpa ricade su di lui. E voi, mio signore, che cosa state facendo per ritrovare il bambino? Manca da due giorni e venite a dirmelo con tanto ritardo...» Seguì un momento di silenzio soltanto perché madonna Dionisia dovette chetarsi per riprendere fiato, lì eretta al sommo dei gradini, con gli occhi lampeggianti e il lungo viso aristocratico arrossato dalla collera, alta e minacciosa. Hugh fu svelto ad approfittare della pausa che certo non sarebbe durata a lungo. «È stato qui, Richard?» domandò bruscamente, in tono di sfida. Lei rimase a bocca aperta. «Qui? Vi pare che sarei in questo stato se fosse venuto qui?» «Già, avreste informato senza dubbio l'abate se fosse tornato a casa», convenne lo sceriffo con finta ingenuità. «All'abbazia non sono meno preoccupati per lui. Se n'è andato solo, di propria volontà, col suo pony... Dove cominciare a cercarlo, se non qui? Ma voi mi dite che non c'è, che non è mai venuto. E il suo cavallo non è per caso tornato per conto proprio alla sua stalla?» «Nossignore, mi avrebbero informata immediatamente. Se fosse tornato solo, avrei spedito subito tutti i miei uomini a frugare nei boschi.» «È ciò che stanno già facendo i miei, ma comunque qualcuno in più sarebbe stato il benvenuto. Dato che, a quanto pare, abbiamo fatto un buco nell'acqua», ammise Beringar, sempre scrutando attentamente in viso Dionisia. «E, in fin dei conti, Richard non è qui.» «No», scattò lei. «Non c'è e non c'è mai stato! Benché, se si è allontanato spontaneamente come avete detto, potrebbe anche darsi che intendesse venire da me. E se gli è accaduto qualcosa durante il tragitto, riterrò responsabile Radulfus. Non è l'uomo adatto per assumersi la tutela di un ragazzino di famiglia nobile, se non sa avere cura di lui come dovrebbe fare.»
«Glielo dirò», promise Hugh. «Frattanto, è mio dovere proseguire con le indagini, per Richard come per il ladro che ha ucciso un ospite dell'abbazia nella foresta di Eaton. Non temete, signora, faremo ricerche accuratissime. E poiché non posso aspettarmi che voi facciate ogni giorno un giro in tutti gli angoli del possedimento di vostro nipote, mi concederete senza dubbio il libero accesso dappertutto per sostituirvi in questo compito. Vorrete essere di esempio ai vostri affittuari e vicini.» Dionisia lo fissò a lungo con uno sguardo ostile, poi si rivolse bruscamente a guardare John di Longwood che era accanto a lei, impassibile. «Aprite le porte a questi uomini», comandò. «Tutte! Perché possano controllare che non ho dato asilo a un assassino né tengo nascosto il mio diletto nipote. E informate tutti i nostri affittuari che debbono permettere che si facciano liberamente nelle loro case le stesse ricerche. Adesso, mio signore», aggiunse fissando Hugh dall'alto, con maestosa fierezza, «potete entrare e indagare dove vorrete.» Beringar la ringraziò con imperturbata cortesia e un luccichio negli occhi che pareva preludere a un sorriso, ma Dionisia, se lo vide, sdegnò di prenderne atto e, girate altezzosamente le spalle, rientrò risoluta nel vestibolo, lasciando il visitatore poco gradito a una ricerca che, Hugh già lo sapeva, sarebbe risultata infruttuosa. Tuttavia, non era ancora detta l'ultima parola e se la nobile dama aveva calcolato che un invito tanto aspro e sprezzante sarebbe stato considerato come una prova della sua innocenza, sufficiente perché lo sceriffo sgombrasse il campo soddisfatto e persino imbarazzato, fu amaramente delusa. Hugh si mise senza indugio all'opera, perlustrando ogni angolo, vestibolo e salone, cucine e dispense, rivoltando botti, barili e casse nelle cantine, visitando granai, fienili, ovili e stalle all'interno della staccionata e spingendosi poi nei campi per controllare casupole e capanne di affittuari e servi della gleba sulle terre dei Ludel. Ma, di Richard, nemmeno l'ombra. A metà pomeriggio, Cadfael uscì a cavallo per andare da Eilmund con le nuove stampelle preparate da fratello Simon, delle misure adatte al guardaboschi e abbastanza robuste da reggere il suo solido peso. La frattura pareva rinsaldarsi perfettamente, la gamba era diritta e della sua lunghezza normale, ma Eilmund soffriva di quella forzata inattività e mal sopportava che fossero altri a occuparsi dei suoi boschi. Quando avesse avuto a propria disposizione quel valido aiuto, Annet avrebbe dovuto penare non poco per trattenerlo a casa. Annet... Cadfael aveva idea che l'infermità del padre
le avesse offerto un'inconsueta libertà per dedicarsi ai propri affarucci femminili, senza dubbio innocenti, ma che cosa avrebbe fatto lui, se li avesse scoperti? Nei pressi di Wroxeter il monaco s'imbatté in Beringar che, lasciati i suoi uomini a setacciare boschi e campi, se ne tornava solo al castello di Shrewsbury per esaminare i rapporti giunti in sua assenza, riflettere sui provvedimenti da prendere per estendere le ricerche alle zone tuttora inesplorate e decidere fino a quale distanza fosse il caso di spingersi, se non si era ancora ottenuto alcun risultato. «No», disse subito al vedere Cadfael, prevenendo una immancabile domanda, «non è là. E secondo ogni apparenza, lei non sapeva neppure che vi fosse sfuggito dalle mani, finché non ho portato io la notizia. Per quanto, lo so bene, non sia affatto difficile per una donna recitare una scena lacrimevole. Ma abbiamo comunque buttato all'aria persino la paglia dei suoi capannoni e, se abbiamo omesso qualcosa, vuol dire che era tanto insignificante da non meritare la minima attenzione. Nessun pony nelle scuderie e tutti, da John di Longwood al garzone del fabbro, sono stati concordi nelle loro risposte. Richard non c'è. Almeno non a Eaton. Anche il parroco, che è palesemente un uomo leale, ci ha aperto senza esitare la sua casa, accompagnandoci persino in giro per la tenuta.» Cadfael annuì gravemente a quella conferma dei propri dubbi. «Ho sempre avuto la sensazione che possa esservi dell'altro, in questa vicenda. Varrebbe forse la pena di indagare anche a Wroxeter, per quanto io non riesca a vedere Fulke Astley come un possibile malfattore... è troppo grasso e guardingo.» «Sono stato da lui proprio adesso. Tre dei miei uomini stanno ancora esplorando gli ultimi angoli, ma sono certo che Richard non è nemmeno là. Non trascureremo niente, nelle case o fuori. Di un trattamento imparzialmente usato con tutti, nessuno può lamentarsi, benché Astley sia stato alquanto riluttante a lasciarci entrare. Una semplice questione della sua dignità di feudatario, perché non aveva niente da nascondere.» «Il pony», osservò il monaco mordendosi pensierosamente un labbro. «Deve pur essere rinchiuso da qualche parte!» «A meno che l'altro fuggiasco non se ne sia impadronito per uscire dalla contea, lasciando Richard in condizioni tali da non poter rivelare niente, anche se lo avessimo ritrovato.» I due amici si scambiarono una lunga, intensa occhiata, ammettendo tacitamente che era una possibilità, dolorosa ma da non scartare.
«Il giovane Ludel è corso da lui», continuò Hugh, «se è davvero ciò che ha fatto, senza dire una parola ad anima viva. E se, in perfetta innocenza, fosse corso in realtà da un furfante omicida? Un cavallo piccolo ma robusto, un peso leggero come l'aiutante dell'eremita e Richard come unico testimone... Non dico che sia andata così. Dico soltanto che fatti del genere sono già accaduti e possono accadere di nuovo.» «Giusto, sono d'accordo con voi», ammise Cadfael. Ma qualcosa nel tono della sua voce indusse lo sceriffo a ribattere: «Però non ne siete convinto!» Qualcosa di cui il monaco non era stato del tutto sicuro fino a quel momento. «Vi sentite pizzicare le dita? Non sono così sciocco da ignorare un vostro pronostico», dichiarò Hugh con un mezzo sorriso. «No, Hugh.» Cadfael scosse la testa. «Non so niente più di voi, non sono l'avvocato di nessuno tranne che di Richard, in questa storia, e ho scambiato a malapena qualche parola con quel Hyacinth che ho visto due volte in tutto: quando ha portato il messaggio di Cuthred al capitolo e quando è venuto a chiamarmi perché andassi dal nostro guardaboschi. Tutto ciò che posso fare è tenere gli occhi aperti tra qui e la casa di Eilmund, su questo ci potete contare, e magari frugare un po' io stesso tra i cespugli durante il tragitto. E se avrò qualcosa da dire, di bene o di male, non dubitate che lo dirò a voi prima che a chiunque altro. Ma Dio e santa Winifred facciano sì che sia una buona notizia!» Su quella promessa si separarono, lo sceriffo per tornare al castello a informarsi se vi fosse qualche messaggio per lui, il monaco per proseguire verso la foresta. Senza fretta, perché aveva tanto su cui riflettere. Strano come il semplice fatto di ammettere che il peggio era possibile avesse immediatamente rafforzato in lui la convinzione che non era e non sarebbe accaduto. E, ancora più strano, che non appena aveva dichiarato, sinceramente, di non sapere niente di Hyacinth e di avere scambiato soltanto qualche parola con lui, si fosse sentito profondamente persuaso che quella lacuna sarebbe stata ben presto colmata e lui avrebbe appreso, se non tutto, almeno quanto aveva bisogno di sapere. Eilmund, che aveva ritrovato il suo sano colorito, accolse calorosamente il visitatore e volle provare subito le sue stampelle. Quattro o cinque giorni in casa erano stati una dura prova per il suo carattere, ma il sollievo di poter uscire di nuovo in giardino e scoprire che stava imparando in fretta l'arte di usare le sue nuove gambe fu per lui come il ritorno del sole dopo un
temporale. Quando si fu accertato della propria bravura, obbedì di buon grado agli ordini di Annet e sedette a condividere la cena con Cadfael. «Anche se dovrei tornare all'abbazia, adesso che ho visto come sapete cavarvela», obiettò il monaco, senza troppa convinzione. «L'osso sembra saldarsi perfettamente, dritto come una lancia, e voi non avete più bisogno che venga a infastidirvi ogni giorno. E, a proposito di visitatori importuni, oggi sono stati qui Hugh Beringar o i suoi uomini a frugare nei boschi? Avrete saputo, immagino, che stanno cercando quel Hyacinth, l'aiutante di Cuthred, sospettato di aver ucciso il suo padrone. E adesso è scomparso anche Richard Ludel.» «Lo abbiamo saputo soltanto ieri sera», disse Eilmund. «Sì, sono venuti stamattina e hanno setacciato ogni iarda della foresta tra la strada e il fiume. Sono venuti a guardare persino nella mia stalla e nel pollaio. Lo stesso Will Warden ha riconosciuto che era una sciocchezza, ma doveva obbedire agli ordini ricevuti. Perché sprecare tempo, ha detto, e infastidire un brav'uomo del quale tutti conosciamo l'onestà, ma guai a me se trascurassi una sola capanna o anche soltanto un cespuglio, con gli occhi di sua signoria addosso! Sapete se hanno trovato il ragazzo?» «No, non ancora. A Eaton non c'è, questo è certo. Forse vi consolerà sapere che anche madonna Dionisia ha dovuto lasciarli entrare a cercare suo nipote. Nobili o povera gente, la legge è uguale per tutti.» Annet ascoltava in silenzio, mentre disponeva sulla tavola pane e formaggio. Si muoveva leggera come sempre e soltanto all'udire il nome di Richard il suo viso si rannuvolò di ansiosa sollecitudine. Non v'era modo di capire, dietro quell'apparente compostezza, che cosa pensasse, ma Cadfael si abbandonò a qualche sua supposizione maliziosa. Si congedò abbastanza presto, nonostante l'ospitale insistenza del guardaboschi. «Sono già mancato a troppe funzioni, in questi ultimi giorni, è meglio che torni ai miei doveri e che mi faccia vedere almeno a compieta, stasera. Tornerò da voi dopodomani e intanto non commettete imprudenze. Badate che non stia troppo in piedi, Annet, e se non vi dà retta, portategli via le stampelle.» Lei rise, promettendo che lo avrebbe fatto, ma il monaco ebbe la sensazione che la sua mente fosse intanto distratta da qualcos'altro, tanto più quando la fanciulla non si associò alle proteste del padre per quella frettolosa partenza. E non lo accompagnò al cancelletto del giardino, come le altre volte, ma soltanto fino alla porta e rimase là a guardarlo mentre montava a cavallo, salutandolo con un cenno della mano quando lui si voltò,
prima di avviarsi lungo lo stretto sentiero fra gli alberi. Soltanto quando il monaco fu scomparso, Annet rientrò in casa. Cadfael non andò lontano. Qualche centinaio di iarde più avanti c'era un'infossatura erbosa circondata da un folto boschetto e lì il monaco smontò, legò il cavallo, poi tornò indietro, silenzioso e circospetto, fino a un punto dal quale poteva vedere, senza essere visto, la porta della casa. La luce andava calando nel tenero verde del crepuscolo, il silenzio della foresta era rotto soltanto dagli ultimi cinguettii degli uccelli. Poco dopo, Annet riapparve sulla soglia, restando per qualche momento immobile e attenta, aguzzando occhi e orecchie. Finalmente, rassicurata, uscì dal piccolo giardino e girò sul dietro della casa, naturalmente inconsapevole che Cadfael la seguiva passo passo dal folto degli alberi. Le galline erano al sicuro nel loro pollaio e la mucca nella stalla, le incombenze di ogni sera dalle quali Annet era rientrata circa un'ora prima, mentre suo padre si esercitava con le grucce sullo spiazzo erboso della radura, ma, a quanto pareva, la dolce fanciulla aveva qualcos'altro da fare, prima che fosse buio e la porta di casa chiusa e sprangata. Proseguì difatti in una leggera corsa gioiosa, aprendosi un passaggio tra i cespugli al margine della radura, con i capelli castani che si andavano sciogliendo e le danzavano sulle spalle mentre procedeva con la testa un po' piegata all'indietro come se cercasse qualcosa tra i rami degli alberi che cominciavano a oscurarsi, lasciando cadere qualche foglia appassita, le lacrime dell'anno ormai vecchio. Nemmeno lei andò lontano. Dopo un centinaio di passi al massimo si fermò, sempre in quell'atteggiamento gioioso come se volasse, sotto i rami della prima quercia annosa, dal fogliame ancora fitto ma già lievemente dorato, e rovesciò all'indietro la testa per lanciare un breve fischio armonico. Dall'alto, le rispose un sommesso frusciare di foglie che si propagò rapidamente lungo l'albero, come per qualcosa che cadesse, finché non apparve la figura di un giovane che, dopo essere rimasto per un attimo appeso al ramo più basso, balzò leggermente accanto ad Annet. Non appena ebbe toccato terra, i due furono nelle braccia l'uno dell'altra. Dunque non si era ingannato, pensò Cadfael che aveva seguito la scena dal suo rifugio tra gli alberi. Quei due si erano innamorati alla prima occhiata, favoriti per di più dall'atmosfera di reciproca simpatia creata dai preziosi servigi di lui al padre di lei. Finché Eilmund era rimasto prigioniero in casa sua, Annet era stata libera di dedicarsi alla sua segreta incombenza di nascondere e nutrire un fuggiasco, ma che cosa avrebbero fatto
adesso che il guardaboschi era in grado di alzarsi e uscire, anche se non sarebbe potuto andare molto lontano? Sarebbe stato giusto metterlo di fronte a un tale problema di lealtà, quand'era lui stesso un ufficiale della legge, fosse pure soltanto la legge della foresta? Ma intanto quei due ragazzi se ne stavano lì, candidamente abbracciati come bambini, e c'era in quell'abbraccio una risolutezza tale da far pensare che ci sarebbe voluto ben più di un padre, di un padrone o di una legge per scioglierlo. Annet, con la massa dei lunghi capelli castani sciolti sulle spalle e i piedi nudi, e Hyacinth, con l'innata eleganza dei movimenti e la fiera, conturbante bellezza, sarebbero potuti essere due creature generate dall'antica foresta, una ninfa e un fauno usciti da un'incantevole favola. Nemmeno la luce sempre più incerta del crepuscolo riusciva a offuscare il loro splendore. Bene, rifletté Cadfael strappandosi a quella visione, se è con questo che dobbiamo vedercela, tanto vale muoversi subito, perché indietro non si può tornare. Uscì dai cespugli senza curarsi dei fruscii e avanzò apertamente verso gli innamorati. Come lo udirono, i due giovani si girarono di scatto, alzando il capo come daini che avessero subodorato un pericolo, poi, quando lo videro, Annet allargò le braccia mettendosi davanti al compagno, così da chiuderlo tra sé e il tronco della quercia, ma Hyacinth, ridendo, la sollevò delicatamente da terra e la spostò di lato, mettendosi a sua volta davanti a lei. «Neanche avessi avuto bisogno di una prova!» commentò il monaco, cercando di rassicurarli col tono della propria voce e fermandosi a una certa distanza da loro, benché entrambi sapessero che sarebbe stato inutile fuggire. «Io non sono la legge. Se non avete alcuna colpa, non avete niente da temere, da parte mia.» «Ci vorrebbe qualcuno più ardito di me per dichiarare di non avere alcuna colpa», ribatté Hyacinth con voce chiara ma sommessa e un fugace sorriso. «Ma non ho ucciso nessuno, se è questo che intendete, fratello Cadfael, vero?» «Esatto.» Passò lo sguardo dall'uno all'altro e si rese conto che i due giovani respiravano un po' più liberamente, adesso, più tranquilli e rilassati. «Una fortuna per voi che non si fossero portati i cani, stamattina. Hugh non ama usarli per dare la caccia a un uomo. Mi dispiace, amico, che la mia visita vi abbia costretto a restare più a lungo del necessario lassù nel vostro nido. Spero che trascorriate notti più comode, di solito!» Sorrisero entrambi a quella battuta, seppure con l'espressione vigile e lo sguardo attento, ma non fecero commenti.
«E dov'eravate nascosto mentre vi cercavano, per non avere destato nemmeno l'ombra di un sospetto?» Annet si decise, a un tratto, col senso pratico che la guidava sempre in tutto ciò che faceva. Scosse la testa, così che il manto lucente dei capelli si gonfiò come una nube sulle sue spalle, e respirò a fondo, ridendo. «Sarò sincera con voi, era sotto le coperte di mio padre, mentre Will Warden beveva birra con noi, seduto sulla panca di fronte al letto, e i suoi uomini curiosavano nel mio pollaio e frugavano con le forche nel fienile. Voi pensavate, immagino», aggiunse mentre si avvicinava al monaco tirandosi dietro Hyacinth, «che mio padre non sapesse niente di noi due e me ne facevate una colpa, vero? Invece ha sempre saputo tutto, fin dal principio, o quanto meno fin da quando è cominciata questa caccia all'uomo. E adesso che sapete tutto anche voi, non sarebbe meglio che andassimo tutti a casa a vedere che cosa riusciranno a escogitare quattro teste per uscire da questo imbroglio?» «No, non torneranno più da me», affermò Eilmund, presiedendo la seduta dal trono del suo letto, quello che aveva così ben nascosto Hyacinth alla vista dei cacciatori. «Ma anche se dovessero farlo, lo sapremo in tempo e non useremo lo stesso nascondiglio.» «E non avete mai provato alcun rimorso al pensiero che forse stavate nascondendo un assassino?» domandò Cadfael, sperando in una risposta che fugasse ogni dubbio. «Non ne avevo motivo! Ho sempre saputo che non era così. E vi dirò perché. Parlo di prove positive, Cadfael, non di semplice fiducia, benché anche la fiducia non sia mai soltanto un'opinione, se è per questo. Voi eravate qui l'altra sera, stavate tornando all'abbazia quando vi siete imbattuto in quel morto, ucciso da non più di un'ora, quando lo avete trovato, lo confermate?» «Ben volentieri, se questo vi è di qualche aiuto.» «Ve ne siete andato poco dopo che Annet era tornata dai suoi compiti ogni sera e ricorderete che io l'ho rimproverata per aver impiegato troppo tempo, più di un'ora. Per un ottimo motivo. Era stata con questo giovane e se l'erano presa comoda, naturalmente. In breve, questi due figlioli sono rimasti sempre insieme nel bosco ad almeno un miglio da qui da quando lei mi ha lasciato solo con voi fino a quando è ritornata, più o meno due ore dopo. Ed era ritornata con lui, lo ha fatto entrare in casa dieci minuti dopo che voi ve ne eravate andato. E in casa lo ha trovato il giovane Ri-
chard. Non un assassino, dunque, perché durante quelle ore cruciali è sempre stato con lei o con me o con entrambi, e la notte, poi, ha dormito qui. Non è mai nemmeno passato vicino all'uomo ucciso, siamo pronti a giurarlo.» «Allora perché non avete...» cominciò Cadfael, ma si trattenne bruscamente dal pronunciare quell'inutile domanda, scartando con un cenno della mano l'ovvia risposta. «No, non dite niente! Sono un po' ottuso stasera. Dovrei averlo capito. Se foste venuto da Hugh Beringar a dirgli che stava dando la caccia a un uomo del quale potevate provare l'innocenza, avreste certo stornato dal suo capo quella minaccia, ma se un Bosiet è morto, ce n'è un secondo che deve arrivare all'abbazia da un momento all'altro... anzi, potrebbe anche essere già arrivato, per quel che ne so. Crudele come il padre, a quanto dice il suo stalliere che lo sa per esperienza, visto che di quella crudeltà porta i segni sul viso. No, mi rendo conto che avete le mani legate.» Hyacinth, seduto sul pavimento ai piedi di Annet, con le braccia strette intorno alle ginocchia ripiegate, a un tratto intervenne, senza né odio né enfasi, ma con la freddezza di una decisione irrevocabile: «No, non tornerò là a nessun costo!» «E così sarà!» lo rassicurò affettuosamente Eilmund. «Quando l'ho ospitato in casa mia, Cadfael, non c'era di mezzo alcun omicidio. Si trattava soltanto di un servo della gleba che era fuggito per motivi validissimi e mi aveva salvato da una situazione disperata. Mi sono subito affezionato a lui e niente avrebbe potuto indurmi a rimandarlo indietro, a subire altri maltrattamenti. Poi, quando si è cominciato a parlare di quell'omicidio, non ho avuto alcun motivo per cambiare idea perché sapevo che lui non c'era entrato in alcun modo. Ma purtroppo non ero in grado di andare a dirlo allo sceriffo, all'abate e a tutti, è stato questo il guaio. E il risultato è che adesso lo abbiamo qui con noi e non sappiamo che cosa fare perché non abbia a correre alcun pericolo.» CAPITOLO IX Era sembrato ovvio a tutti e quattro che Cadfael fosse dalla loro parte, complice con tutto il cuore della loro onesta cospirazione. Come sarebbe potuto essere altrimenti? Esisteva una prova inconfutabile che Hyacinth non era un assassino, prova che si poteva presentare senza timori a Hugh Beringar, uomo notoriamente giusto e onesto. Ma, al tempo stesso, si sa-
rebbe esposto di nuovo il giovane proprio al pericolo al quale era sfuggito una volta e difficilmente sarebbe potuto sfuggire una seconda. Hugh era soggetto alla legge come chiunque altro e nemmeno la sua arte di chiudere occhi e orecchie quand'era il caso sarebbe potuta essere di alcun aiuto a Hyacinth, se Bosiet avesse avuto sentore di dove egli si nascondeva. «Detto fra noi», ipotizzò il monaco senza troppa convinzione, «potremmo forse trovare il modo di farvi uscire dalla contea e passare nel Galles, dove nessuno...» «No», l'interruppe risolutamente Hyacinth. «Non fuggirò. Resterò nascosto finché sarà necessario, ma non scapperò più. Intendevo farlo, quando mi sono rifugiato da queste parti, ma adesso ho cambiato idea.» «Come mai?» domandò il monaco. «Per due ottimi motivi. Primo, perché Richard, che era accorso in mio aiuto quand'ero in pericolo, è sparito, e io sarò in debito con lui finché non saprò che è sano e salvo. Secondo, perché voglio essere libero, sì, ma qui in Inghilterra, a Shrewsbury, e trovare un lavoro che mi dia da vivere per potermi sposare.» Hyacinth guardò Eilmund con un lampo quasi di sfida e sorrise. «Se Annet mi vorrà!» «Per questo, dovreste forse chiedere il mio permesso, prima», osservò il guardaboschi, ma con un tono così bonario da lasciar intendere che quell'idea non fosse del tutto nuova per lui e non necessariamente malaccetta. «È quello che farò, quando sarà il momento, ma adesso avrei ben poco da offrire a voi e a lei. Accantoniamo dunque questo problema, pur senza dimenticarlo. Debbo trovare Richard, prima, e ci riuscirò!» «Che cosa potreste fare voi», obiettò ragionevolmente Eilmund, «più di quanto non stiano già facendo lo sceriffo e i suoi uomini? Quando poi siete ricercato voi stesso, con i cani alle calcagna? Restatevene buono e tranquillo finché la caccia di Bosiet non comincerà a costargli un prezzo esorbitante persino per il suo odio, finendo così com'è fatale che finisca. Ha possedimenti cui pensare, adesso.» Ma che Hyacinth fosse, secondo i criteri comuni, una persona assennata era una semplice congettura. Sedeva perfettamente immobile, in quel suo consueto atteggiamento rigido e provocante che pareva alludere a un'azione imminente, e il bagliore smorzato del fuoco gli illuminava il viso trasformando il bronzo in oro. Annet, vicina a lui sulla panca a ridosso della parete, sembrava animata dallo stesso spirito. Il suo volto era impassibile, ma i suoi occhi scintillavano come zaffiri. Lasciava che parlassero di lei senza sentire il bisogno di aggiungere una parola che la riguardasse, né di
posare almeno una mano su una spalla di Hyacinth come segno dei propri diritti. Se qualcuno nutriva dei dubbi sul suo futuro, lei non ne aveva nessuno. «Richard se n'è andato subito dopo avervi messi in guardia?» domandò Cadfael. «Sì. Hyacinth voleva accompagnarlo sino al margine del bosco, ma lui non ha voluto», rispose Annet. «Ha rifiutato di muoversi finché Hyacinth non si fosse nascosto, così abbiamo promesso che lo avrebbe fatto subito e quindi lo abbiamo visto lungo il sentiero. Ma non sarebbe certo andato nei pressi di Eaton perché, in quel caso, avremmo potuto pensare che lo avesse preso sua nonna. Richard intendeva tornare all'abbazia per la notte.» «È quello che abbiamo pensato tutti», convenne il monaco. «Compreso Hugh Beringar. Ma era stato qui lui stesso, prima, e ha rivoltato tutto da cima a fondo senza trovare la minima traccia del ragazzo. D'altra parte, penso che una buona metà della servitù lo avrebbe detto se fosse stato qui. Madonna Dionisia è una donna formidabile, ma Richard è il nuovo signore di Eaton ed è a lui che dovranno obbedire in avvenire. Se non avessero osato parlare davanti a lei, lo avrebbero certo mormorato alle sue spalle. No, Richard non è qui.» L'ora del vespro era ormai passata da un pezzo e anche se si fosse affrettato a tornare, Cadfael non sarebbe arrivato in tempo neppure per compieta, perciò rimase seduto, riflettendo sulla nuova situazione che si era creata, alla ricerca di una via per uscirne senza danno anche se, a quanto pareva, non c'era altro da fare che aspettare, sperando di sfuggire alla caccia. Grazie al cielo, Hyacinth non era un assassino (un bel sollievo per tutti!); ma come tenerlo lontano dalle grinfie di Bosiet? «In nome del cielo, figliolo», sospirò il monaco, «che cosa avete fatto al vostro signore di Northampton perché abbia a odiarvi tanto? Avete davvero aggredito il suo maggiordomo?» «Certo che l'ho fatto», ammise Hyacinth con un lampo di soddisfazione negli occhi. «È accaduto dopo l'ultimo raccolto. C'era una ragazza a spigolare il poco che era rimasto nei campi e nessuna fanciulla era al sicuro con lui, se la trovava sola, ma quella volta per caso c'ero io poco lontano e quel demonio, che aveva un bastone, ha mollato la sua preda e me lo ha sbattuto in testa mentre mi avvicinavo. Io me la sono cavata con qualche livido, però lui l'ho mandato lungo disteso fra le stoppie, privo di sensi. Così non ho potuto fare altro che scappare. Non mi lasciavo niente alle spalle, la poca terra che avevamo se l'era presa Drogo due anni prima, quando mio padre
era immobilizzato dalla malattia che poi lo avrebbe ucciso e toccava a me badare a tutto, al nostro campo e ai suoi, cosicché eravamo in debito con lui. Ci stava alle costole già da un pezzo, perché diceva che io gli sobillavo contro i servi della gleba... Bene, se lo facevo, era soltanto per difendere i loro diritti. Vi sono leggi anche a tutela dei servi della gleba, ma nei possedimenti di Bosiet non erano tenute in alcun conto. Mi avrebbe distrutto per aver osato aggredire il suo maggiordomo, mi avrebbe fatto impiccare se non fosse stato per la possibilità di sfruttarmi che gli si presentava, l'occasione che aspettava.» «Di sfruttarvi come?» «Ero molto bravo a lavorare il cuoio, cinture, finimenti, borse... Quando si era presa la mia terra, Drogo mi aveva offerto di lasciarmi nella casa se mi fossi impegnato a cedergli il frutto di tutto il mio lavoro a titolo di mantenimento. Non avevo scelta, ero sempre il suo servo della gleba. Ma poi ho cominciato a fare oggetti più fini e preziosi, con intagli e dorature. Una volta lui stesso mi ha fatto fare una copertina per i libri da regalare al conte, dal quale desiderava ottenere un favore particolare. Poi il priore dei canonici agostiniani di Huntingdon l'ha vista e mi ha commissionato una rilegatura speciale per il loro grande codice, il vicepriore di Cluny a Northampton ha voluto che rilegassi il loro messale più bello e il lavoro andava aumentando sempre di più. Pagavano bene, ma io non ne ricavavo niente. Oh, Drogo ha avuto il suo bel guadagno con me, anche per questo voleva riavermi indietro vivo. E lo stesso vale per suo figlio Aymer.» «Bene, se siete tanto bravo a usare le mani», osservò Eilmund con un cenno di approvazione, «non avreste alcuna difficoltà a trovare lavoro ovunque andiate, una volta che vi siate liberato da questi Bosiet. Potrebbe servirsi di voi il nostro stesso abate e qualche mercante in città sarebbe certo felice di avervi alle proprie dipendenze.» «Ma dove e come avete conosciuto Cuthred?» domandò Cadfael incuriosito. «Al priorato di Cluny a Northampton. Ero andato là per passare la notte, ma poi non ho avuto il coraggio di entrare, due o tre persone mi conoscevano, là dentro. Ho ricevuto qualcosa da mangiare unendomi ai mendicanti davanti alla porta e stavo per andarmene, poco prima dell'alba, quando è uscito Cuthred che aveva dormito là, nella foresteria, e mi ha proposto di andare con lui.» Un improvviso, triste sorriso distese le labbra del giovane, che tuttavia continuava a tenere le lunghe ciglia d'oro abbassate su quegli occhi sorprendenti. «Per carità, suppongo, o forse perché non fossi spinto a
rubare per procurarmi il cibo, precipitando in una condizione peggiore di prima.» Improvvisamente come aveva sorriso, alzò le palpebre, svelando lo splendore degli occhi fissi sul volto di Eilmund. Ma il sorriso era svanito. «È tempo che sappiate il peggio di me, non voglio che sussistano menzogne tra noi. Non dovevo niente al mondo, quando sono fuggito, ed ero pronto a tutto. Sarei potuto diventare un vagabondo, un furfante, un ladro se necessario. Prima di continuare a ospitarmi in casa vostra, dovete sapere quale motivo avreste per decidere altrimenti. Annet», continuò Hyacinth, in un tono tenero che parve accarezzare quel nome, «sa già tutto. Gliel'ho detto la sera in cui fratello Cadfael è venuto a vedere la vostra gamba rotta.» Il monaco rammentò la figura immobile pazientemente seduta fuori della casa, il sussurro ansioso: «Debbo parlare con voi!» E Annet che usciva nel buio, richiudendosi piano la porta alle spalle. «Sono stato io», riprese il giovane con ferrea risoluzione, «a ostruire il torrente con rami perché si allagasse il vostro semenzaio. Sono stato io a scavare l'argine e a fare un ponte perché i daini potessero invadere il vostro bosco ceduo. Io ho levato un palo alla staccionata per far uscire le pecore. Era stata madonna Dionisia a ordinarmi di essere una spina nel fianco per l'abbazia, finché non le avessero restituito suo nipote. Per questo aveva sistemato Cuthred all'eremo, per poter mandarmi là come suo assistente. Non sapevo niente di voi, allora, e non me ne curavo, non avrei certo sollevato obiezioni con chi mi forniva un rifugio sicuro e i mezzi per vivere finché non avessi potuto trovare di meglio. È stata ancora colpa mia, purtroppo, se è accaduto il peggio, con quell'albero che vi è caduto addosso inchiodandovi nel torrente, colpa mia se voi adesso siete mezzo zoppo e confinato in casa... anche se la frana è poi avvenuta per conto proprio, perché io non vi ho più messo mano. Dunque, sapete come stanno le cose e se intendete levarmi la pelle di dosso per ciò che ho fatto, io non alzerò un dito per difendermi. E se dopo mi butterete fuori, me ne andrò.» Hyacinth prese una mano di Annet, prima di continuare sommessamente: «Ma non andrò lontano». Seguì una lunga pausa, durante la quale Eilmund e Cadfael rimasero a fissare attentamente il giovane, mentre Annet guardava loro due meno attenta, ma l'una e gli altri senza fare commenti a quella confessione quasi provocatoria, pronunciata con un'apparente umiltà che rasentava invece l'arroganza. Se Hyacinth si vergognava, certo non glielo si leggeva in viso.
Tuttavia, non doveva essere stato facile per lui mettere a repentaglio la considerazione e la benevolenza che padre e figlia gli avevano dimostrato. Se non avesse parlato lui, Annet certo non avrebbe detto una sola parola. E Hyacinth non si era difeso in alcun modo, né aveva cercato attenuanti, pronto ad accettare ciò che si era meritato, senza lamentarsi. Ma probabilmente quella pubblica confessione era già, per un essere evasivo come lui, una penitenza sufficiente. Eilmund si spostò sul letto, appoggiandosi meglio con le larghe spalle contro la parete, e sbuffò. «Bene, se mi avete fatto cadere addosso quell'albero, mi avete anche liberato. E se credete che avrei potuto rimandare un uomo in schiavitù soltanto perché mi aveva giocato un brutto scherzo, vuol dire che non mi conoscete bene. Lo spavento che vi siete preso quel giorno dev'essere stato il castigo di cui avevate bisogno e dopo non avete più combinato altri guai perché, a quanto ne so, da allora è andato tutto liscio nel bosco. Dubito che la signora sia molto soddisfatta di quell'accordo. Adesso, dunque, usate il cervello e restate tranquillo dove siete.» «Io glielo avevo detto che non avreste restituito pan per focaccia», intervenne Annet con un sorriso fiducioso. «Non ho mai parlato perché sapevo che lo avrebbe fatto lui. Adesso anche fratello Cadfael sa che Hyacinth non è un assassino e che ha confessato spontaneamente quanto di peggio si potrebbe dire sul suo conto. Nessuno di noi lo tradirà.» No, nessuno! Ma il monaco si chiedeva inquieto che cosa si sarebbe potuto fare per aiutarlo. Senza tradirlo, non si poteva neppure scagionarlo e così la caccia sarebbe continuata, probabilmente rastrellando di nuovo tutto il bosco. E intanto Hugh, concentrando ogni sforzo su una presunta selvaggina, si sarebbe lasciato sfuggire qualsiasi possibilità di acciuffare il vero assassino. Persino Drogo Bosiet aveva diritto alla giustizia, anche se aveva sempre calpestato i diritti altrui, ma il colpevole della sua morte non sarebbe mai stato scoperto se non si fosse indotto lo sceriffo a orientare diversamente le ricerche fornendogli la prova dell'innocenza di Hyacinth. «Volete fidarvi di me e permettermi di riferire a Hugh Beringar ciò che mi avete detto?» insistette Cadfael, impaziente. «Parlerò con lui privatamente», si affrettò ad aggiungere vedendo la loro espressione costernata. «No!» Annet posò una mano protettrice sulla spalla del giovane, accendendosi in viso. «No, non potete consegnarlo allo sceriffo! Abbiamo fiducia in voi, non potete abbandonarci!» «Ma no, non è questo che intendo! Conosco bene Hugh, non consegnerebbe mai un servo della gleba a chi lo maltratterebbe ancora, per lui la
giustizia conta più della stessa legge. Gli dirò soltanto che Hyacinth è innocente e qual è la prova che lo dimostra. Non sarà necessario che gli spieghi né come l'ho saputo né dov'è lui adesso, Hugh si fiderà della mia parola. Allora potrà sospendere le ricerche e lasciarvi tranquilli finché non sarà cessato ogni pericolo e potrete parlare liberamente.» «No!» proruppe Hyacinth balzando in piedi in un solo, agile movimento, con una fiamma di allarmata ripulsa negli occhi. «Non una sola parola con lui! Se avessimo pensato che sareste andato da Beringar, non ci saremmo mai confidati con voi. È lo sceriffo, deve stare dalla parte di Bosiet... ha lui stesso possedimenti e servi della gleba, vi sembra possibile che abbia a parteggiare per me contro il mio legittimo padrone? Verrò riportato indietro, alle calcagna di Aymer, e gettato a marcire nella sua prigione.» Cadfael guardò Eilmund come a chiedere il suo aiuto. «Sono certo di poter allontanare ogni sospetto da questo figliolo, parlando con Hugh. Basterà la mia parola per fargli ritirare i suoi uomini, o mandarli altrove. Ha ancora Richard cui pensare. Eilmund, conoscete anche voi Hugh Beringar, sapete che non c'è da dubitare della sua lealtà.» Ma no, Eilmund non lo conosceva, per lo meno non quanto Cadfael. Il guardaboschi stava scuotendo dubbiosamente la testa. Uno sceriffo era uno sceriffo, soggetto alla legge, e la legge era sempre più severa con un contadino, un servo, un poveretto che non possedeva un palmo di terra. «Sì, è un uomo onesto e leale, senza dubbio», ammise Eilmund, «ma è in gioco la vita di questo ragazzo e non mi fido a scommetterla su un ufficiale del re. No, lasciamo le cose come stanno, Cadfael. Non dite niente a nessuno, finché Bosiet non sarà tornato e ripartito.» Erano tutti concordi contro di lui, che tuttavia insistette sottolineando pacatamente quale sollievo sarebbe stato sapere che più nessuno dava la caccia a Hyacinth, che la sua innocenza, quando ne fosse stato informato Hugh, avrebbe lasciato libere le forze della legge di dedicarsi completamente, e con maggiore impegno, alla ricerca di Richard, là nella foresta dov'era sparito. Ma anche gli altri tre avevano i propri argomenti, e non infondati. «Ammettiamo pure che ne parlaste privatamente con lo sceriffo e che lui vi credesse», obiettò Annet, «ma lui dovrebbe pur sempre vedersela con Bosiet. Il servitore di suo padre gli direbbe sicuramente che il fuggiasco, omicida o no, si nasconde qui da qualche parte, e lui arriverebbe forse a usare i cani, se lo sceriffo ritirasse i suoi uomini. No, non dite niente a nessuno, fratello, non ancora. Aspettate finché Bosiet non si arrende e se ne
torna a casa. Allora ci faremo avanti. Promettete! Prometteteci che conserverete il nostro segreto fino a quel momento!» A Cadfael non rimase altro che promettere. Si erano fidati di lui e non poteva opporsi al loro reciso divieto. Promise, con un profondo sospiro. Era già tardi quando finalmente si alzò per affrontare il lungo tragitto fino all'abbazia. Aveva fatto una promessa anche a Hugh, mai più immaginando quanto gli sarebbe stato difficile mantenerla. Se avesse avuto qualcosa da dire, lo avrebbe confidato a lui prima che a chiunque altro, aveva promesso. Un sottile, anche se innocente, giro di parole nel quale una mente tortuosa avrebbe potuto trovare parecchie scappatoie, ma ciò che aveva inteso promettere era stato chiaro per Hugh non meno di quanto lo fosse per lui stesso. E adesso non poteva tener fede alla promessa. Non ancora, non prima che Aymer si fosse stancato di girare a vuoto, avesse fatto il conto di quanto gli costava la vendetta e quindi avesse deciso di tornarsene a casa a godersi la cospicua eredità. Sulla soglia, il monaco si girò per rivolgere un'ultima domanda a Hyacinth. «Com'è con Cuthred? Vivete con lui... ha avuto qualche parte nei disastri che avete combinato nella foresta di Eilmund?» Il giovane lo guardò stupito, inarcando le sopracciglia e spalancando innocentemente gli occhi. «Come avrebbe potuto? Non si allontana mai dal suo eremo, lui!» Aymer Bosiet entrò a cavallo nella grande corte dell'abbazia l'indomani, verso mezzogiorno, seguito dal suo stalliere. Fratello Denis, l'infermiere, lo accompagnò subito, come gli era stato ordinato, dall'abate Radulfus, che non aveva voluto delegare ad altri il delicato compito di informarlo della morte del padre. Compito che svolse con un tatto del quale, tuttavia, non pareva esservi gran bisogno. Il figlio lo ascoltò in silenzio, riflettendo sulla triste novella e tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate. Poi, avendo evidentemente assimilato il tutto e accettato l'inevitabile, espresse in termini adeguati il proprio dolore filiale, ma con la mente sempre rivolta a problemi collaterali; una mente fredda e calcolatrice dietro un viso meno poderoso e brutale di quello del padre, ma non certo segnato dal dolore. Semmai accigliato, al pensiero dei fastidiosi doveri incombenti, quali commissionare la bara, noleggiare un carro e assumere qualche aiutante per il trasporto a casa, perdendo tempo prezioso. Per fortuna, la bara, costruita dal mastro carpentiere di Shrewsbury Martin Bellecote, per ordine dell'abate, era già pronta e ancora aperta, perché
senza dubbio Bosiet avrebbe voluto vedere un'ultima volta il padre e dargli l'estremo addio. Aymer rimuginò per qualche momento, poi uscì all'improvviso in una brusca domanda: «Non aveva ritrovato il nostro servo fuggito?» «No», rispose Radulfus che, se era stato turbato da quell'insensibilità, riuscì a non farlo vedere. «Era corsa qualche voce sul conto di un giovane giunto di recente qui nelle vicinanze, ma niente sta a indicare che sia quello che cercate. E credo che nessuno sappia dov'è adesso.» «Ma si sta cercando l'uccisore di mio padre?» «Certamente. Sono all'opera tutti gli uomini dello sceriffo.» «E anche riguardo al mio servo, spero. Abbia a risultare o no che sono la stessa persona. La legge è tenuta a fare tutto il possibile per restituirmi ciò che mi appartiene. Quel furfante crea fastidi a non finire, ma è prezioso. Non lo lascerei libero a nessun costo.» Aymer sottolineò quelle parole con uno schiocco della lingua sui denti larghi e forti. Alto come suo padre, ma più magro, col viso meno quadrato, aveva tuttavia gli stessi occhi infossati, di un colore opaco e incerto, che parevano senz'anima. Sulla trentina, consapevole e compiaciuto della propria nuova condizione, l'appagamento del possesso cominciava persino a vibrare nella sua voce dura. Un aspetto della «dolorosa» perdita che pareva prevalere su tutti gli altri. «Desidero parlare con lo sceriffo di questo giovane che si fa chiamare Hyacinth. Se davvero è fuggito, non potrebbe essere una prova che è proprio Brand? E che ha avuto mano nella morte di mio padre? Aveva già un grosso debito da saldare, non permetterò che rimanga insoluto anche questo.» «Questa è materia per la legge comune, non per noi», ribatté l'abate con gelida cortesia. «E non v'è alcuna prova che sia stato lui a uccidere il vostro povero padre, è ancora tutto da vedere. Comunque le ricerche continuano. Adesso, se volete venire con me, vi condurrò alla cappella dov'è vostro padre.» Aymer si fermò accanto alla bara aperta posta sul catafalco ricoperto di un drappo nero, e la luce delle candele accese alle due estremità non rivelò alcun sensibile cambiamento sul suo viso. Aveva la fronte aggrottata, sì, ma era il cipiglio causato da gravi pensieri più che da dolore o collera per una tragica morte. «Mi addolora profondamente che un ospite della nostra casa sia stato vittima di una tale sciagura», osservò Radulfus. «Abbiamo celebrato messe per la sua anima, ma riparazioni d'altro genere esulano dal nostro campo.
Confido che giustizia sarà fatta.» «Spero bene!» convenne Aymer, ma in un tono distaccato che rivelava come la sua mente fosse distratta da altri pensieri. «Dovrò riportarlo a casa per la sepoltura, naturalmente, ma non posso farlo adesso. Si debbono continuare le ricerche. Oggi pomeriggio andrò in città, da quel vostro mastro carpentiere, e farò fare una seconda bara esterna foderata di piombo che si possa sigillare altrettanto decorosamente qui, ma tutti gli uomini della nostra casa hanno la loro tomba a Bosiet e mia madre non sopporterebbe di non avere là anche lui.» Lo disse con una sfumatura di fastidio nella voce perché, se non fosse stato per la necessità di riportare un morto a casa, lui sarebbe potuto restare lì ancora per giorni e continuare la caccia al suo servo evaso. Ma anche così intendeva sfruttare al meglio il tempo disponibile e l'abate non poté fare a meno di pensare che lo schiavo perduto fosse il vero oggetto di quella sua spietata brama di vendetta, non l'assassino del padre. Il caso volle che Cadfael stesse attraversando la corte quando, nel primo pomeriggio, Aymer riprese il cavallo. Era la prima volta che lo vedeva e la curiosità lo indusse a fermarsi, traendosi in disparte, per osservarlo meglio. Sulla sua identità non v'erano dubbi, la sua somiglianza col padre era evidente, seppure con qualche differenza dovuta alla più giovane età, ma gli occhi stranamente infossati e rimpiccioliti come quelli del padre avevano la stessa espressione malevola. Una malevolenza che risultò evidente quando Aymer, montando a cavallo, mostrò di avere per l'animale un riguardo di gran lunga maggiore di quello che ebbe per il proprio stalliere. Non appena fu in sella, infatti, allontanò arrogantemente con la punta della frusta la sua mano che reggeva le briglie poi, come Warin fece un brusco salto indietro, spaventando il cavallo che indietreggiò a sua volta scalpitando e soffiando, sferrò allo stalliere una violenta frustata sulle spalle, con una prontezza e un'indifferenza che dimostravano come quel trattamento fosse tutt'altro che eccezionale. Finalmente Bosiet se ne andò, portando con sé in città soltanto lo stalliere più giovane venuto con lui, e Warin parve fin troppo contento di poter restarsene lì indisturbato per qualche ora. Cadfael lo raggiunse mentre tornava verso le scuderie e lui si girò per mostrargli il livido che, da viola, era diventato giallo come una vecchia pergamena e il taglio non del tutto cicatrizzato che gli deformava un angolo della bocca. «Non vi fate vedere da due giorni», osservò il monaco, scrutando le tracce della violenza passata su un viso che pareva temerne di nuove. «Ve-
nite con me nell'erbario, adesso, e lasciate che vi faccia un'altra medicazione. Aiuterà la ferita a cicatrizzarsi, anche se vedo che ormai è pulita. Lui starà fuori almeno per un paio d'ore, potete respirare liberamente.» Warin esitò soltanto per un attimo. «Hanno preso i due cavalli freschi, lasciando a me gli altri due da governare», spiegò. «Ma quelli possono aspettare.» E si accompagnò di buon grado a Cadfael, con l'esile figura un po' rinsecchita anzitempo che pareva dilatarsi in assenza del padrone. Nel laboratorio di erboristeria, gradevolmente profumato dai fruscianti mazzi di erbe aromatiche appesi al soffitto, lo stalliere sedette tranquillo e in pace mentre il monaco gli lavava la ferita e la spalmava di unguento, e non mostrò alcuna fretta di tornare ai propri cavalli nemmeno quando l'operazione fu finita. «È più accanito del vecchio nel dare la caccia a Brand», disse scuotendo la testa con sincera quanto inutile compassione per lo sfortunato compagno di schiavitù. «E non sa quale scegliere fra due strade, se impiccarlo o ammazzarlo di lavoro per guadagnarci sopra, e non sarà il fatto che Brand abbia o no ucciso il vecchio signore a determinare da che parte penderà la bilancia, perché non si sprecava certo l'affetto, tra padre e figlio. Non sanno neanche dove sta di casa. Là regna soltanto l'odio, odio spietato.» «La famiglia è composta di molte persone?» domandò Cadfael sempre più interessato. «Ha lasciato una vedova, Drogo?» «Una povera signora bianca come la cera e spremuta come un limone, ma di un casato più nobile dei Bosiet e con parenti altolocati, sicché debbono trattarla con riguardi maggiori di quelli che sono abituati a usare con gli altri. E Aymer ha un fratello più giovane, ma non prepotente e brutale come lui. Ha una mente più acuta e sa rigirare meglio le cose. Nessun altro, ma tanto basta.» «Non sono sposati, i due fratelli?» «Aymer ha avuto una moglie, ma era una cosina delicata ed è morta giovane. Però poco lontano da Bosiet c'è un'ereditiera sulla quale entrambi hanno posto gli occhi... o, meglio, li hanno posti sulle sue terre. E se Aymer è l'erede, Roger è più abile nel conquistarsi le simpatie della gente. Anche se poi cambia musica non appena ha raggiunto il suo scopo.» Non sembrava una prospettiva molto allettante per la fanciulla, qualunque dei due avesse a vincere la gara, ma sarebbe potuto essere un buon motivo perché Aymer non desiderasse indugiare lì troppo a lungo, rischiando di perdere terreno e casa. Cadfael si sentì rincuorato. La lontananza da un possedimento appena ereditato poteva diventare pericolosa se
là era rimasto un fratello minore, astuto e infido, pronto ad approfittare dell'opportunità che gli si presentava. E Aymer doveva averlo ben fisso in mente, anche quando si rammaricava di dover rinunciare alla sospirata vendetta abbandonando la caccia a Hyacinth. Il monaco non riusciva ancora a pensare a lui come Brand, tanto gli si addiceva il nuovo nome che egli si era scelto. «Mi chiedo dove mai sarà finito Brand!» proruppe all'improvviso Warin, come se gli avesse letto nel pensiero. «Una vera fortuna per lui che gli abbiano dato un po' di respiro... non che il mio signore intendesse farlo... Ma da principio si era pensato che un giovane dotato di una preziosa abilità come la sua avrebbe puntato direttamente su Londra e così si è persa una settimana o più a cercarlo verso sud. Avevamo oltrepassato Thame quando uno degli uomini del padrone ci ha raggiunti a spron battuto per avvertirci che Brand era stato visto a Northampton. Se si era diretto verso nord, ha pensato Drogo, avrebbe continuato in quella direzione, girando probabilmente più avanti verso ovest per raggiungere il Galles. Chissà se ci sarà arrivato! Nemmeno Aymer lo avrebbe seguito oltre il confine.» «E non avete avuto la minima notizia che lo avesse visto qualcun altro?» «No, nemmeno la minima traccia. Ma ormai siamo molto lontani dai posti dove qualcuno potrebbe riconoscerlo e non tutti sono disposti a immischiarsi in una faccenda simile. Inoltre Brand avrà certamente cambiato nome.» Warin si alzò per tornare, benché a malincuore, al proprio lavoro. «Spero che questo lo aiuti a cavarsela. Qualunque cosa dica Bosiet, era un bravo figliolo.» Fratello Winfrid era occupato a spazzare le foglie sotto gli alberi del frutteto che l'eccessiva umidità dell'autunno aveva fatto cadere, prima che prendessero il loro bel colore dorato, in una lieve pioggia verde che marciva pian piano sul terreno. Cadfael, uscito Warin, si ritrovò solo, senza avere niente di particolare da fare. Ragione di più per starsene lì seduto a riflettere... e non sarebbe stata sprecata neppure qualche preghiera per il ragazzo che se n'era corso via a precipizio sul suo pony nero per una missione folle e generosa che lui stesso si era assegnata, per lo strano giovane che egli si era precipitato a salvare e persino per il prepotente, spietato tiranno morto tragicamente senza avere il tempo di pentirsi ed essere assolto. Lo strappò a quei pensieri la campana del vespro e Cadfael si affrettò a rispondere al richiamo. Attraversati di buon passo i giardini e la grande corte, raggiunse il chiostro e la porta meridionale della chiesa per essere
con qualche anticipo al proprio posto nel coro. Era mancato a troppe funzioni, negli ultimi giorni, e desiderava compensare quelle assenze mostrandosi più zelante del solito. Non c'erano mai molti fedeli del Foregate al vespro: alcune pie vecchiette che abitavano nelle case concesse gratuitamente dall'abbazia, e due o tre coppie anziane per le quali il vespro era una gradita occasione per impiegare un po' del troppo tempo libero e per incontrarsi con gli amici. Spesso, però, si aggiungevano a quei pochi anche ospiti dell'abbazia di ritorno dai loro affari della giornata. Cadfael li poteva vedere tutti, oltre l'altare, nell'ampio, alto spazio della navata. Rafe di Coventry si era messo in un punto dal quale poteva sorvegliare tutta la chiesa. Religiosamente inginocchiato, aveva sempre quel suo atteggiamento composto dell'uomo sicuro di sé e con l'animo in pace che usava l'imperscrutabilità del viso come uno scudo, più che come una maschera. Era lui l'unico ospite presente. Aymer Bosiet doveva essere ancora occupato con i suoi tristi doveri in città, oppure stava battendo campi e boschi alla ricerca del fuggiasco. I fratelli entrarono a prendere i loro posti, seguiti da novizi e scolari, ma fra questi ultimi regnava un palese disagio perché ne mancava tuttora uno. Non potevano dimenticare Richard e nessuno di loro avrebbe avuto la mente e il cuore in pace finché non fosse tornato. Finito il vespro, Cadfael si attardò al proprio posto, lasciando che la processione di confratelli e novizi uscisse senza di lui. La funzione era bella e appagava lo spirito, ma il silenzio che seguiva quando anche l'ultima eco della musica e dei canti si era spenta era esso pure benefico, soprattutto se ci si trovava lì soli a quell'ora della sera, nella morbida luce grigio-rosata, e l'anima pareva espandersi e annullarsi nel vasto spazio della navata, così come una goccia d'acqua diventa l'oceano nel quale è caduta. Non esisteva momento migliore per una fervida preghiera e Cadfael ne sentiva il bisogno, in particolare per quel ragazzino anche lui solo, chissà dove, e forse in preda alla paura. E fu a santa Winifred che si rivolse, la supplica di un gallese a una santa gallese, alla quale si sentiva particolarmente vicino, tanto da nutrire per lei quasi un affetto familiare. Era poco più di una bambina quando aveva subito il martirio, non avrebbe permesso che accadesse qualcosa di male a un altro bimbo in pericolo. Frattanto era rientrato in chiesa il giovanissimo fratello Rhun, che un miracolo di santa Winifred aveva guarito da una grave infermità, e che stava riordinando sul suo altare le candele profumate che preparava lui stesso. Cadfael si avvicinò. Il giovane monaco si girò verso l'anziano confratello,
lo fissò per un momento con quei suoi grandi occhi color acquamarina che parevano splendere di una luce propria, poi sorrise e se ne andò. Non per appartarsi e tornare poi a completare la propria opera alla fine di quell'altra preghiera, no, si allontanò risolutamente, con passi agili, leggeri e silenziosi, lui che un tempo era stato sciancato e dolorante, per lasciare la santa completamente libera di raccogliere il nuovo appello e trasmetterlo al cielo. Cadfael si alzò riconfortato, senza né sapere né chiedersi perché. Fuori la luce si andava affievolendo rapidamente e lì nella chiesa la lampada dell'aitar maggiore e le candele di santa Winifred formavano minuscole isolette luminose nella semioscurità che le avvolgeva come un caldo mantello contro il gelo del mondo esterno. La grazia che gli si era appena rivelata aveva braccia abbastanza lunghe per raggiungere Richard ovunque si trovasse, liberarlo se era prigioniero, rassicurarlo se era impaurito, guarirlo se era ferito. Il monaco si avviò lentamente lungo la navata, conscio di aver fatto quanto doveva e pronto ad aspettare pazientemente che quella grazia si manifestasse. A quanto pareva, anche Rafe di Coventry aveva qualche preghiera particolare e importante da rivolgere al cielo perché si stava alzando dall'inginocchiatoio di un banco quando Cadfael lo vide e, riconoscendolo, si fermò, con un lieve ma amichevole sorriso che apparve soltanto per un breve momento sulle sue labbra ma si attardò amabilmente nei suoi occhi. «Buonasera, fratello!» esclamò il falconiere mentre proseguivano insieme verso la porta meridionale. «Spero che vogliate scusarmi se sono venuto in chiesa con stivali e speroni e tutto impolverato, ma sono tornato tardi e non ho avuto il tempo per rendermi più presentabile.» «Siete ugualmente benvenuto», lo rassicurò il monaco. «Non tutti i nostri ospiti si fanno vedere in chiesa. Avete avuto fortuna nei vostri affari? Sono stato molto in giro anch'io in questi due giorni e non ho più avuto occasione di incontrarvi.» «Be', comunque miglior fortuna di un altro dei vostri ospiti», rispose Rafe gettando una fuggevole occhiata verso la porta della cappella mortuaria. «Ma no, non potrei dire di aver trovato ciò che cercavo. Non ancora!» «È qui suo figlio, adesso», disse Cadfael, che aveva notato quello sguardo. «È arrivato stamattina.» «Sì, l'ho visto. È tornato dalla città poco prima del vespro e, a giudicare dalle apparenze, non è andata troppo bene neppure a lui, qualunque sia il suo problema. Sta dando la caccia a un uomo, se non sbaglio.»
«Sì, il giovane del quale vi ho parlato.» «Allora è tornato a mani vuote, non c'era nessun povero infelice incatenato dietro il suo cavallo.» Ma il falconiere non sembrava gran che interessato né a giovani fuggiaschi né al clan dei Bosiet, i suoi pensieri erano palesemente rivolti ad altro. Intanto erano arrivati accanto a una cassetta delle elemosine e Rafe si fermò istintivamente, prendendo dalla borsa che teneva appesa alla cintola una manciata di monete. Una gli sfuggì tra le dita, ma lui non si chinò subito a raccoglierla, prima ne infilò altre tre nella fessura e intanto fu il monaco a raccattare quella caduta, tenendola sul palmo aperto. E, nonostante la luce fioca, ebbe così il modo di notare qualcosa di strano. Un penny d'argento simile nel formato a tutti i penny d'argento, ma con qualcosa di diverso da quelli che avevano sempre trovato nella cassetta delle elemosine. Lucente e immacolato, ma coniato grossolanamente e più leggero. Intorno alla piccola croce sul rovescio si leggeva in lettere irregolari il nome del coniatore, un Sigebert che Cadfael non aveva mai nemmeno sentito nominare, e quando girò la moneta, il rozzo profilo non era quello di re Stefano e nemmeno del defunto re Enrico, ma inconfondibilmente quello di una donna con cuffia e corona. Non ci fu quasi bisogno di leggere il nome che l'incorniciava: MATILDA DOM. ANG. La denominazione ufficiale dell'imperatrice. E, a quanto pareva, le sue monete scarseggiavano un poco nel peso. Il monaco alzò gli occhi. Rafe lo stava fissando con un sorrisetto tra l'ironico e il divertito e per un momento nessuno dei due parlò, mentre si squadravano a vicenda. «Sì», disse poi il falconiere, «avete ragione. Ve ne sareste accorti dopo che me n'ero andato. Ma hanno il loro valore anche qui. I vostri mendicanti non li rifiuterebbero di certo perché sono stati coniati a Oxford!» «E non molto tempo fa.» «Già.» «Il mio peccato abituale è la curiosità», confessò Cadfael restituendo la moneta al suo proprietario, che la prese senza batter ciglio e infilò anche quella nella cassetta delle elemosine. «Ma non sono un chiacchierone. Né ritengo una colpa la fedeltà di un onest'uomo. È un peccato che abbiano a esservi due fazioni e che uomini per bene si combattano a vicenda, gli uni e gli altri persuasi di essere dalla parte della ragione. Andate pure tranquillo, non avete niente da temere da parte mia.» «E la vostra curiosità», domandò Rafe, sempre con quel sorrisetto ambi-
guo, «non vi spinge a chiedervi che cosa ci faccia qui uno come me, così lontano dal campo di battaglia? O lo avete già immaginato? Pensate che abbia ritenuto più saggio andarmene da Oxford finché ero in tempo?» «No davvero! Non mi è neppure passato per la mente. Non voi! E perché mai un uomo tanto prudente si sarebbe poi avventurato quassù al nord, nel territorio del re?» «Giusto, sarebbe stata una follia», convenne il falconiere. «Che cosa pensate, allora?» «Penso a una possibilità», ribatté pacatamente il monaco. «Abbiamo saputo di un uomo che se n'è andato da Oxford, finché era in tempo, non volontariamente, per un incarico della sua signora e portando qualcosa che valeva la pena di rubare. E sappiamo pure che non è arrivato molto lontano perché è stato rinvenuto il suo cavallo sbandato, con la sella macchiata di sangue, senza più niente di ciò che portava. E il cavaliere è sparito dalla faccia della terra.» Rafe lo ascoltava attento, col viso imperscrutabile come sempre e lo stesso sorriso, divenuto soltanto un po' più serio. «Si chiamava Renaud Bourchier», proseguì Cadfael, «e un uomo quale voi mi sembrate potrebbe benissimo essere venuto tanto a nord alla ricerca del suo assassino.» Si fissarono per qualche momento negli occhi, accettando reciprocamente, persino approvando, ciò che vedevano, poi il falconiere si riscosse con un profondo sospiro e, rompendo l'incantesimo di quel breve ma totale silenzio, disse in tono sommesso e risoluto: «No, mi dispiace, fratello, mi avete mal giudicato. Non sono alla ricerca di Renaud Bourchier. Era una buona idea e quasi rimpiango che non sia così, ma non lo è, purtroppo». Aprì la porta e uscì nella luce crepuscolare del chiostro. Cadfael lo seguì in silenzio, senza né aggiungere né chiedere altro. Sapeva riconoscere la verità, quando gliela dicevano. CAPITOLO X Più o meno alla stessa ora in cui fratello Cadfael e Rafe di Coventry uscivano dalla chiesa dopo il vespro, Hyacinth scivolò fuori della casa di Eilmund e, tenendosi il più possibile al riparo nell'ombra degli alberi, si diresse verso il fiume. Era rimasto tappato in casa per tutta la giornata, perché c'erano ancora uomini dello sceriffo a perlustrare i boschi, anche se un po' più lontano, ma ormai le ricerche erano sospese fino all'indomani mattina e il giovane, che mal sopportava di starsene rinchiuso fra quattro mura
e ancora meno di essere costretto a nascondersi, era libero di fare qualche indagine per conto proprio. Benché non gli mancassero certo preoccupazioni e timori per se stesso, che ammetteva onestamente, non poteva fare a meno di pensare a Richard che forse adesso si trovava in pericolo unicamente perché era accorso con tanta coraggiosa sollecitudine a mettere in guardia lui. Tuttavia, Hyacinth cercava di rincuorarsi. Quali pericoli avrebbero potuto minacciarlo lì, nei suoi boschi, tra la sua gente? In un paese così sconvolto v'erano senza dubbio fuorilegge che vivevano alla macchia, ma in quella contea non si erano quasi sentite nel corso di oltre quattro anni le conseguenze della guerra, si era goduta una pace sconosciuta più a sud. La città, poi, distava sì e no sette miglia e lo sceriffo era giovane e zelante, e anche benvoluto, per quanto poteva esserlo uno nella sua posizione. Più Hyacinth rimuginava su quei pensieri, più gli appariva chiaro che l'unica minaccia per Richard poteva essere costituita da madonna Dionisia, che intendeva farlo sposare a ogni costo con i due castelli sui quali aveva posto gli occhi. E, per raggiungere quello scopo, si era già servita di tutti gli strumenti possibili, persino di lui, Hyacinth. E questo non lo avrebbe mai dimenticato. Doveva essere lei la responsabile della sparizione del nipote. Tuttavia, lo sceriffo era stato a Eaton e aveva rovistato dappertutto senza trovare alcuna traccia del fanciullo, né i servitori, che pure gli erano devoti, erano stati in grado di gettare la minima ombra di sospetto su Dionisia. E la vecchia signora, che si protestava sdegnosamente innocente, non aveva altre proprietà dove poter nascondere Richard e il suo pony. Restava Fulke Astley, che si sarebbe forse prestato volentieri a farle da complice, considerando che quelle nozze gli avrebbero offerto l'occasione di assicurarsi il possesso di Eaton, altrettanto buona quanto quella che avrebbe avuto lei a mettere le mani sull'eredità della sposa. Ma anche le ricerche più accurate a Wroxeter erano risultate vane. A quanto aveva saputo Annet dagli uomini che tornavano, la caccia sarebbe ricominciata l'indomani con pari accanimento, ma frattanto non aveva ancora raggiunto Leighton, situata in riva al fiume, due miglia più a valle, e proprio lì Astley, benché preferisse vivere con la famiglia a Wroxeter, possedeva un altro maniero. Era l'unico punto di partenza al quale Hyacinth seppe pensare e valeva la pena di fare un tentativo, anche se rischioso. Se Richard era stato sorpreso nei boschi da qualcuno degli uomini di Astley, o da qualcuno di Eaton che avesse deciso di fare un buon servizio alla padrona, si sarebbe senza dub-
bio ritenuto più saggio portarlo fino a Leighton, anziché cercare di nasconderlo vicino a casa. Inoltre, se Dionisia era tuttora risoluta a costringere il nipote alle nozze - e v'era sempre il modo per estorcere la risposta desiderata anche al più caparbio dei fanciulli, con l'astuzia più che col terrore -, avrebbe avuto bisogno di un prete e Hyacinth era lì intorno da tempo sufficiente per sapere che padre Andrew era troppo onesto, non avrebbe mai accettato di farsi strumento di un tale disegno, mentre quello di Leighton, all'oscuro di tutti i retroscena, sarebbe stato certo più disponibile. Quello almeno si poteva accertarlo. Anche Eilmund, che aveva ragionevolmente insistito nel consigliargli di restarsene tranquillo dov'era e non arrischiare di farsi acciuffare, sotto sotto comprendeva e approvava quella che definiva una follia. Annet poi non aveva neppure tentato di dissuaderlo: gli aveva semplicemente dato un frusto mantello nero del padre, troppo ampio per lui, ma ottimo per muoversi nell'oscurità senza essere visto, e fornito pure di un cappuccio per nascondersi anche il viso. Tra la foresta e i meandri del fiume si stendevano vaste marcite dove si attardava ancora un po' di luce e il verde era velato da una lieve nebbia bassa che si snodava come una serpe d'argento lungo la riva. Ma più a nord la foresta continuava, a mezza strada da Leighton, e oltre quel punto saliva verso le basse colline del Wrekin, dove Hyacinth avrebbe trovato una scarsa copertura. Ma dov'era adesso crescevano ancora prati e alberi che gli consentivano di muoversi rapidamente, tenendosi al margine della foresta per approfittare della luce. L'immobilità del fogliame, il profondo silenzio e la stessa cautela con la quale procedeva, poi, gli avrebbero consentito di avvertire in tempo l'avvicinarsi di qualcuno, Aveva percorso più di un miglio quando udì il primo lieve rumore e si irrigidì, fermandosi ad ascoltare con le orecchie tese. Un breve rumore metallico, come di briglie scosse. Poi un tenue fruscio dei cespugli al passaggio di qualcuno e infine, sommessa ma inconfondibile, e sempre a una certa distanza, una voce che sussurrò qualcosa in tono interrogativo. Non una persona sola nel buio, ma due, altrimenti perché parlare? E a cavallo, anch'esse lungo il margine del bosco, quando sarebbe stato tanto più semplice attraversare i prati. Cavalieri notturni, desiderosi non meno di lui di non essere visti, che andavano nella sua stessa direzione. Hyacinth ascoltò attentamente per cercar di capire quale percorso seguissero tra gli alberi. Sempre lungo il margine, per approfittare della poca luce rimasta, ma con maggior cura per la segretezza che per la rapidità. Il giovane si addentrò, guardingo, nella foresta, nascondendosi per la-
sciarli passare. V'era ancora luce sufficiente per fare di loro qualcosa di più che due ombre incerte, quando li vide, l'uno dietro l'altro. Prima un cavallo alto, che appariva come una grande massa pallida, probabilmente grigio chiaro, montato da un omone massiccio, con la barba, a testa nuda e cappuccio drappeggiato sulle spalle, che Hyacinth riconobbe dalla figura e dal portamento. Lo aveva già visto, così simile a un sacco, ma ben saldo in sella, al funerale di Richard Ludel. Che cosa ci faceva Fulke Astley lì, nel bosco, a quell'ora, muovendosi furtivo tra gli alberi, invece di percorrere le vie normali tra i suoi due manieri? Dove poteva essere diretto? E la persona che lo seguiva, in sella a un cavallo pesante e tarchiato, era senza dubbio una donna, con ogni probabilità sua figlia, quella Hiltrude che sembrava tanto vecchia e sgradevole a Richard. Dunque il loro scopo non era poi tanto misterioso. Naturalmente, volevano che le nozze venissero celebrate il più presto possibile, se Richard era nelle loro mani. Avevano aspettato per qualche giorno, finché non si fossero concluse le ricerche a Eaton e a Wroxeter, ma adesso che la caccia si andava estendendo ad altre zone, non potevano attendere oltre. A qualunque rischio andassero incontro, una volta che il matrimonio fosse un fatto compiuto, avrebbero potuto affrontare a cuor leggero qualsiasi burrasca e persino permettere che Richard tornasse all'abbazia, perché niente e nessuno all'infuori della Chiesa avrebbe avuto la facoltà di sciogliere quel nodo. E se le cose stavano così, come si poteva impedire che il loro proposito avesse successo? Non v'era tempo per tornare da Eilmund e mandare Annet a comunicare la notizia al castello o all'abbazia, oppure andare direttamente in città, e d'altra parte Hyacinth si sentiva comprensibilmente riluttante a gettare al vento la possibilità di restare libero. E comunque, anche se lui fosse tornato indietro a cercare aiuto, prima che qualcuno arrivasse a Leighton Richard sarebbe stato bell'e sposato. Meglio dunque cercare di scoprire dove esattamente lo avessero nascosto e portarglielo via di sotto il naso. Quei due non avevano fretta e madonna Dionisia doveva ancora trovare il modo di compiere il tragitto da Eaton senza farsi vedere. E il prete... dove ne avrebbero trovato uno disposto a celebrare quel matrimonio? Non potevano fare niente, senza un prete. Rinunciando a nascondersi, Hyacinth proseguì un po' più addentro alla cintura boscosa, preoccupato soltanto di procedere rapidamente. Al passo che tenevano i due cavalieri, avrebbe potuto sorpassarli anche su un sentiero e in quel frangente si sarebbe avventurato persino su una strada maestra, se fosse stato necessario, incurante del rischio di essere visto da altri. E lì
c'era per l'appunto un sentiero, ma troppo vicino alla strada aperta perché Astley avesse a prenderlo. Il giovane seguì quello, correndo agile e silenzioso sulla strada di foglie troppo umide e molli per frusciare sotto i suoi piedi. Una volta fuori sulla stradina aperta che scendeva verso il villaggio, deviò nei campi lungo il fiume, spostandosi velocemente dall'uno all'altro degli alberi sparsi che potevano offrirgli una copertura, ormai certo di essere più avanti di Astley. Attraversò a guado il piccolo corso d'acqua che scendeva dal piede del Wrekin per gettarsi nel Severn e proseguì sull'altra sponda, dove un'isolata propaggine boscosa arrivava quasi fino all'acqua. Da quel riparo, poté vedere finalmente la bassa staccionata del maniero e, oltre quella, la distesa di tetti che si stagliavano contro il cielo ancora chiaro. Per fortuna gli alberi giungevano fino alla staccionata, sul lato più vicino alla riva del fiume, e sfrecciando dall'uno all'altro Hyacinth raggiunse una quercia i cui rami sporgevano oltre quella barriera. Vi si arrampicò per spiare cautamente dentro il recinto e vide il largo muro posteriore della dimora padronale, oltre i tetti di fienile, granaio e stalla a ridosso del recinto. L'ingresso principale doveva trovarsi sul lato opposto, perché lì c'erano soltanto una finestra con le imposte chiuse e una porticina, anch'essa sbarrata. Ma sotto la finestra c'era un muretto perpendicolare con un ripido tetto di tegole a due spioventi. Hyacinth l'osservò soprappensiero, chissà se quelle imposte erano bene assicurate! Raggiungerle non sarebbe stato difficile, ma aprirle dall'esterno poteva risultare impossibile. D'altra parte quel lato della casa era l'unico al riparo da occhi indiscreti. Tutta quella nefanda attività di Astley e Ludel sarebbe stata concentrata attorno all'ingresso principale, sul lato opposto. Hyacinth si protese lungo il ramo più sporgente, vi si aggrappò con le mani e si lasciò cadere all'interno dello steccato, rifugiandosi in un angolo buio tra il granaio e la stalla. Quella sua perigliosa impresa notturna lo aveva se non altro liberato da un timore. Richard era sicuramente lì, vivo e sano come essi lo volevano, ben nutrito e accudito, forse persino trattato con indulgenza eccessiva, per indurlo con le blandizie a pronunciare quel sospirato sì. Blandito, di fatto, fino a promettergli tutto quanto avrebbe potuto desiderare, tranne la libertà. E quello era il primo, profondo sollievo. Adesso bisognava tirarlo fuori! Lì nell'ampio recinto buio non si muoveva anima viva. Hyacinth uscì silenziosamente dal suo rifugio e scivolò da un'ombra all'altra lungo la stac-
cionata, finché non ebbe raggiunto l'angolo. Al piano superiore, sul fianco della casa, v'erano finestre con le imposte aperte, debolmente illuminate, e il giovane osò avvicinarsi, appiattendosi contro il muro. Dall'alto giunse fino a lui un mormorio indistinto, voci sommesse come se chi parlava si preoccupasse di tenere segreto tutto ciò che accadeva. Sul davanti della casa c'era una torcia accesa, Hyacinth ne vedeva il riverbero tremolante sul terreno, e anche servitori che si muovevano con passi ovattati. E finalmente udì il tonfo sordo di zoccoli che entravano nella corte. La sposa e suo padre erano arrivati e il giovane si domandò fuggevolmente che cosa ne pensasse lei di quelle nozze, se le accettasse di buon grado o se non vi fosse costretta, contro la sua volontà, come Richard, essendo anche più indifesa di lui. Gli stallieri avrebbero quindi naturalmente ricondotto i cavalli nella stalla e Hyacinth tornò precipitosamente indietro, rifugiandosi nell'angolo tra il muretto e la casa, dal quale udì arrivare un uomo solo con entrambi i cavalli. Non poteva muoversi finché quello non se ne fosse andato, ma il tempo incalzava. Lo stalliere se la sbrigò in fretta, senza dilungarsi troppo nelle cure agli animali, probabilmente sognando il suo letto, a quell'ora così tarda. Hyacinth udì richiudersi con un tonfo la porta della stalla, poi i passi dell'uomo che si allontanava rapidamente, e soltanto allora, quando poté uscire dal proprio rifugio per dare un'altra occhiata al muro quasi cieco del maniero, notò qualcosa che prima gli era sfuggito. Dalla giuntura delle massicce imposte della finestra filtrava un filo di luce sottile come un capello. E, ancora più notevole, vicino a quella giuntura c'era un occhio tondo di luce. Ma perché mai sarebbe stata chiusa quell'unica finestra, se non perché in quella stanza remota v'era un ospite che si intendeva tenere segreto? Inoltre, lo spazio fra i due montanti in pietra non sarebbe stato forse sufficiente per lasciar passare un uomo, ma sarebbe potuto esserlo per un fanciullo di dieci anni e piuttosto piccolo per la sua età. E con quel muretto là sotto, i suoi carcerieri non volevano correre il rischio che potesse fuggire o che qualche occhio indiscreto potesse spiare all'interno. Valeva comunque la pena di tentare. Hyacinth spiccò un salto per aggrapparsi alla grondaia e si issò sul tetto, acquattandosi contro il muro di pietra. Benché non avesse fatto alcun rumore, rimase tuttavia in ascolto per qualche momento, ma a quanto pareva nessuno si era accorto di niente. Allora risalì, cauto, lo spiovente e raggiunse la finestra. Le imposte erano
massicce e solide ed evidentemente ben assicurate all'interno perché quando vi infilò sotto una mano, nel punto in cui si congiungevano, tirando con tutte le proprie forze, non cedettero di un filo. E lui non aveva alcuno strumento per forzarle, per quanto dubitasse che sarebbe riuscito a farlo quand'anche avesse avuto con sé degli arnesi. I cardini erano robusti e irremovibili e le imposte sembravano un blocco di ferro. Intanto il tempo scorreva inesorabile e se vi fosse stata qualche possibilità di evadere da quella prigione, Richard, che non si arrendeva facilmente ed era ostinato e ingegnoso, lo avrebbe fatto da un pezzo. Hyacinth accostò un orecchio alla sottile fessura, ma non udì alcun rumore nella stanza. Allora, per accertarsi che non stava perdendo tempo prezioso, rischiando in più di essere scoperto, bussò contro un'imposta e, accostando le labbra al piccolo occhio luminoso, emise un fischio acuto. Fu ricompensato da un udibile ansito e da un rapido strusciar di piedi subito interrotto, come se qualcuno che stava accucciato in un angolo si fosse alzato, avesse mosso qualche passo e poi si fosse fermato, incerto e allarmato. Hyacinth bussò di nuovo, poi sussurrò attraverso il foro: «Siete voi, Richard?» Altri passi veloci e leggeri, poi la voce sommessa e ansiosa di Richard dall'altra parte della fessura. «Chi è?» «Hyacinth! Richard, siete solo? Non riesco a entrare. Va tutto bene?» «No!» alitò la voce in tono sdegnato, provando col suo stesso accento che il prigioniero era in ottime condizioni di corpo e di spirito. «Non mi lasceranno uscire, mi asfissiano perché faccia quello che vogliono, che acconsenta a quel matrimonio. La porteranno qui stanotte, mi faranno...» «Lo so», gemette Hyacinth, «e io non posso tirarvi fuori. E non c'è più tempo per avvertire lo sceriffo. Potrei farlo domani, ma li ho già visti arrivare stasera.» «Non mi lasceranno libero finché non avrò detto di sì», sibilò mestamente Richard attraverso la fessura. «E l'ho quasi detto. Insistono e io non so che cosa fare, ho paura che mi portino via e mi nascondano da qualche parte, se continuo a rifiutare, perché sanno che si faranno ricerche in tutte le loro case.» La sua voce andava perdendo il tono audace e bellicoso, assumendo quello di un'angosciosa preoccupazione. Era difficile per un ragazzino di dieci anni resistere a lungo a implacabili adulti che avevano il sopravvento su di lui. «La nonna ha promesso di darmi tutto ciò che mi piace, tutto ciò che voglio, se faccio quello che vuole lei. Ma io non voglio
una moglie...» «Richard... Richard... ascoltatemi! Ci vuole un prete per celebrare un matrimonio, non padre Andrew che avrebbe certo degli scrupoli... qualcun altro. Vedete di parlare con lui, di dirgli che lo fanno contro la vostra volontà... Sapete chi sarà?» Un pensiero improvviso attraversò la mente di Hyacinth. «Chi, Richard?» «Li ho uditi dire che non potevano contare su padre Andrew», sussurrò lui, che aveva ritrovato la calma. «La nonna intende portare qui l'eremita.» «Cuthred? Siete certo?» Per lo stupore, Hyacinth aveva quasi dimenticato di tener bassa la voce. «Sì, Cuthred, ne sono certo. L'ho udita anch'io quando lo ha detto.» «Allora datemi retta, Richard!» Il giovane si fece più vicino, appoggiando le labbra contro la fessura. «Se continuerete a rifiutare, vi castigheranno portandovi in qualche altro posto. Meglio che acconsentiate. No, fidatevi di me, fate ciò che vi dirò, è l'unico modo per sconfiggerli. Credetemi, non avrete niente da temere, non dovrete assumervi il peso di una moglie, sarete al sicuro come in un santuario. Fate soltanto come vi dico, siate docile e obbediente, date loro l'illusione di avervi domato e forse vi permetteranno persino di riprendere il vostro pony e tornare all'abbazia, perché avranno ciò che volevano e penseranno che non si potrà più disfare. E invece si potrà! Oh, non crucciatevi, non pretenderanno altro da voi, almeno per alcuni anni. Fidatevi di me, accettate! Presto, prima che arrivi qualcuno. Lo farete?» Confuso e dubbioso, Richard esitò. «Sì», mormorò, protestando subito dopo. «Ma come può essere? Come potete dire che sarò al sicuro?» Hyacinth gli sussurrò la risposta e dall'improvviso zampillo di risa capì che il suo significato era stato perfettamente compreso. Appena in tempo, perché udì all'altro capo della stanza il rumore di un catenaccio che scorreva negli anelli e poco dopo la voce miele e fiele di madonna Dionisia che diceva, tra carezzevole e minacciosa: «La tua sposa è arrivata, Richard. Hiltrude è qui. Sarai grazioso e gentile con lei, vero? Ci accontenterai?» Richard doveva essere schizzato via dalla finestra al primo rumore del catenaccio perché la sua voce incerta e appena udibile giunse da una certa distanza. «Sì, nonna.» Involontariamente rispettosa, obbediente a malincuore, un'ostinazione vinta soltanto a metà, ma metà bastava. La soddisfatta, se pur guardinga esclamazione della dama: «Oh, questo è il mio diletto bambino!» fu l'ultima cosa che Hyacinth udì mentre scivolava cauto giù per il ripido spiovente e balzava a terra.
Riprese senza fretta la via di casa, soddisfatto dell'opera compiuta. Non c'era urgenza, poteva permettersi di procedere con la massima circospezione, memore di essere lui stesso ricercato. Il suo amichetto era vivo, ben nutrito e di ottimo umore. Non gli era accaduto niente di male né gliene sarebbe accaduto in seguito, anche se gli pesava la prigionia. Alla fine, si sarebbe fatto beffe dei suoi carcerieri! Il giovane proseguì allegramente nell'aria della notte fresca e profumata, con la nebbia che si alzava dalle marcite e l'alto, soffice strato di foglie umide che cancellava il rumore dei suoi passi. Si levò la luna, ma così elevata da diffondere soltanto una pallida luce grigia. A mezzanotte, lui sarebbe stato di nuovo tranquillo nel suo santuario nella foresta di Eaton e l'indomani mattina Annet avrebbe escogitato un modo per far sapere a Hugh Beringar dove cercare lo scolaro smarrito di fratello Paul. Quando tutto fu finito, col suo pur riluttante consenso, Richard pensò che, per gratitudine, avrebbero avuto maggiori riguardi per lui, che gli avrebbero almeno permesso di uscire da quella stanzetta dov'era prigioniero, per quanto comoda fosse, anche se non era tanto sciocco da illudersi che lo avrebbero lasciato libero di fare ciò che gli pareva e piaceva. Naturalmente, avrebbe dovuto mantenere per qualche tempo la sua aria umile e sottomessa e sforzarsi di sopprimere la letizia che provava al pensiero di poter ridere segretamente di loro, soprattutto quando lo avessero presentato in pubblico raccontando chissà quale storia ben studiata per giustificare la sua scomparsa e il suo ritrovamento. Senza dubbio, avrebbero dichiarato che aveva acconsentito di propria volontà alla cerimonia appena conclusa, certi che ormai fosse troppo tardi perché lui li smentisse, dal momento che quanto era stato fatto non si poteva più disfare. Soltanto lui sapeva che in realtà non era così. Si fidava senza riserve di Hyacinth. Ciò che diceva lui era la verità. Riteneva però che gli dovessero qualche ringraziamento e una certa benevolenza per la sua remissività. Aveva mantenuto la sua espressione cupa e sottomessa perché sarebbe stato pericoloso lasciar trasparire anche soltanto un'ombra di ciò che aveva in cuore, aveva ripetuto parola per parola quello che gli suggerivano, si era persino adattato a stringere la mano di Hiltrude quando gli avevano detto di farlo, benché non l'avesse mai neppure guardata finché la sua voce dolce e sommessa che pronunciava i voti in tono rassegnato non lo aveva indotto a chiedersi se non fosse stata essa pure costretta a compiere suo malgrado quel passo. Quella possibilità non gli
era mai neppure passata per la mente e allora le aveva gettato una furtiva occhiata. Non era poi così vecchia, non troppo alta, e sembrava una vittima, anziché una minaccia. E non sarebbe stata nemmeno brutta, se non avesse avuto quell'aria così mesta e abbattuta. Ma il suo improvviso slancio di simpatia per lei era stato offuscato da un risentimento altrettanto improvviso per il fatto che avesse ad apparire tanto depressa per dover sposare lui quanto egli lo era per dover sposare lei. E, in cambio della sua condiscendenza, nemmeno una parola di ringraziamento. Anzi, la nonna aveva continuato a scrutarlo con un'espressione che non presagiva nulla di buono, persino, gli era sembrato, con un'ombra di sospetto, e da ultimo lo aveva ammonito: «Hai fatto bene a compiere finalmente il tuo dovere e a comportarti nella giusta maniera con coloro che ne sanno più di te. Vedi di tenertelo bene in mente, messere! Adesso da' la buona notte alla tua sposa. Domani avrai modo di conoscerla meglio». E una volta ancora lui aveva obbedito, ma in compenso lo avevano lasciato di nuovo lì, solo, richiudendo la porta col catenaccio, benché avessero avuto la bontà di mandargli un servo con qualcosa della cena che essi si stavano senza dubbio godendo nel salone. Richard sedette, imbronciato, sul letto, riflettendo su ciò che era accaduto e su quanto poteva accadere l'indomani. Di Hiltrude si scordò non appena fu uscita. Sapeva come andavano quelle cose. Se avevi soltanto dieci anni, non ti permettevano, chissà perché, di vivere con tua moglie. Finché fosse rimasta sotto il tuo tetto, avresti dovuto essere gentile con lei, forse persino premuroso, ma poi ella se ne sarebbe tornata dal padre, a casa propria, finché non avessero ritenuto che avevi l'età sufficiente per dividere con lei letto e dimora. Riflettendoci bene, non pareva che essere sposati comportasse qualche privilegio. La nonna avrebbe continuato a trattarlo come un bambino qualsiasi, a dargli ordini, a rimbrottarlo, a spazientirsi con lui se l'infastidiva, persino a picchiarlo se si fosse ribellato. Per farla breve, toccava al signore di Eaton ricorrere a qualsiasi mezzo gli si offrisse per riguadagnare la libertà e sottrarsi al suo dominio. Non v'era più alcun bisogno di lui, ormai: era servito al solo scopo veramente importante, l'acquisizione delle terre ambite e, una volta raggiunto quello, madonna Dionisia poteva persino essere desiderosa di liberarsi di lui. Richard si infilò sotto le coperte e si dispose a dormire. Se parlavano di lui nel salone, discutendo su che cosa fare del novello sposo, non sarebbe stato certamente quello a turbare i suoi sogni. Era troppo giovane e troppo fiducioso per portare con sé, a letto, tali problemi.
La mattina seguente, la sua porta era ancora chiusa col catenaccio e il servo che gli portò la colazione non gli offrì alcuna possibilità di sgattaiolare fuori, cosa che per altro egli non aveva la minima intenzione di fare, ben sapendo che non sarebbe arrivato lontano e che la sua parte, ormai, era soltanto quella di mostrarsi docile e remissivo per non destare sospetti. Poco dopo, tuttavia, quando venne da lui la nonna, più che l'astuzia fu la vecchia abitudine familiare che l'indusse ad alzarsi immediatamente, come gli avevano insegnato, e a sollevare il viso per il bacio rituale. Un bacio che, nonostante tutto, non fu più freddo del solito e per un momento egli avvertì l'ineluttabile vincolo del sangue che li riscaldò entrambi, una sensazione sulla quale non si era mai posto domande e che la nonna non aveva quasi mai espressa con parole. Il contatto lo fece tremare e gli fece salire agli occhi l'improvviso bruciore delle lacrime sempre inevitabile come, nella sua mente, l'impulso a tirarsi indietro. Se ne fosse accorta o no, la nonna rimase impassibile. Continuò a guardarlo dall'alto della sua imponente statura, ma con un'espressione un po' più dolce. «Bene, messere, come ti senti stamattina? Ti proponi di essere un bravo figliolo obbediente e di fare tutto il possibile per compiacermi? In tal caso, scoprirai che noi due possiamo andare benissimo d'accordo. Hai cominciato bene, continua così. E vergognati di essere stato così caparbio e disobbediente per tanto tempo!» Richard abbassò le lunghe ciglia, guardandosi i piedi. «Sì, nonna.» Poi fece un debole tentativo. «Posso uscire, oggi? Non mi piace restare chiuso qui dentro, al buio come se fosse sempre notte.» «Vedremo», rispose Dionisia, ma per Richard fu chiaro che quella risposta significava: «No!» Non avrebbe ceduto né a ragionamenti né a compromessi, ma soltanto imposto la propria legge. «Ma non ancora», aggiunse infatti. «Non te lo sei meritato. Prima dimostra di avere imparato qual è il tuo dovere, se vuoi essere di nuovo libero. Non sei trattato male, hai tutto quanto ti abbisogna. Stattene tranquillo finché non ti sarai meritato di più e di meglio.» «Ma l'ho già fatto!» proruppe lui. «Vi ho accontentata in tutto, adesso voi dovete accontentare me. È ingiusto tenermi qui chiuso, ingiusto e crudele. Non so neppure che cosa ne avete fatto del mio pony.» «È al sicuro nella stalla», ribatté Dionisia spazientita. «E bene accudito, come te. Cerca di usare maniere un po' più cortesi con me, mio caro, o avrai di che pentirti. Se all'abbazia ti hanno insegnato a essere impertinente coi tuoi vecchi, sarà meglio che dimentichi al più presto la lezione, per il
tuo stesso bene.» «Non sono impertinente», si lamentò Richard, rifacendo il broncio. «Desidero soltanto uscire, essere fuori all'aperto, non restare seduto qui senza poter mai vedere nemmeno un albero e l'erba. È deprimente qui, senza compagnia...» «L'avrai, la compagnia», promise la vecchia signora, cogliendo al volo l'unica lagnanza che era in grado di soddisfare senza complicazioni. «Manderò la tua sposa. Voglio che tu la conosca meglio, perché domani tornerà a Wroxeter con suo padre, mentre tu, caro», aggiunse in tono ammonitore, fissando il nipote con occhi penetranti, «tornerai con me al tuo maniero, a prendere il posto che ti spetta. E voglio sperare che ti comporterai come devi, là, senza smaniare per quella tua scuola, adesso che sei sposato e signore di un possedimento. Eaton è tuo e a Eaton devi restare, non dimenticarlo, caso mai qualcuno... qualcuno... avesse a dubitarne. Sono stata chiara?» Chiarissima. L'avrebbero circuito, intimidito, tormentato perché dichiarasse, persino a fratello Paul e al padre abate se fosse stato necessario, che era tornato a casa, dalla nonna, di sua spontanea volontà e che di sua spontanea volontà aveva acconsentito alle nozze progettate per lui. «Sì, signora», rispose docilmente pensando con intima gioia al segreto che teneva chiuso in cuore. «Bene! Ti manderò Hiltrude e vedi di comportarti a modo con lei. Dovrete abituarvi l'uno all'altra e tanto vale che cominciate subito.» L'altezzosa signora si indusse persino a congedarsi con un altro bacio, anche se sembrò uno schiaffo più che una cortesia. Poi se ne andò con un turbine di lunghe gonne verdi e Richard udì scorrere di nuovo il catenaccio. E che cosa aveva ricavato da quel colloquio salvo la notizia che il suo pony era lì nella stalla e che, di conseguenza, se lui fosse riuscito a riprenderselo, sarebbe potuto fuggire, in barba a tutti quanti? Ma in quel momento entrò Hiltrude e tutto il risentimento e l'avversione che nutriva per lei, benché immeritati, gli ribollirono dentro in un accesso di collera infantile. Gli sembrò tuttora che appartenesse come minimo alla generazione della mamma che egli ricordava appena, ma proprio brutta non era, aveva una carnagione chiara e liscia, grandi occhi scuri, e i suoi capelli, seppure lisci e brunastri, erano folti e le ricadevano sul petto in due pesanti trecce lunghe fino alla cintola. Né sembrava avere un cattivo carattere: appariva soltanto rassegnata e profondamente infelice. Si fermò per un momento con le spalle alla porta, fissando pensierosa il ragazzino imbronciato, accovac-
ciato sul letto. «Sicché vi hanno mandata a fare il cane da guardia», osservò lui con palese antipatia. Hiltrude andò a sedersi sul gradino della finestra sbarrata guardandolo con altrettanta ostilità. «So di non piacervi», disse in tono risoluto. «Niente di strano, date le circostanze, e del resto nemmeno voi piacete a me. Ma ormai siamo legati l'uno all'altra e non c'è niente da fare. Oh, perché, perché vi siete arreso? Io avevo soltanto detto vagamente di sì, perché ero così certa che voi foste al sicuro all'abbazia, dove non avrebbero mai permesso che si arrivasse a questo. Dovevate proprio cadere nelle loro mani come uno sciocco e lasciarvi sconfiggere a questo modo! E adesso eccoci qui tutt'e due, e che Dio ci aiuti.» Poi parve pentirsi della propria asprezza e aggiunse in tono comprensivo: «Dopo tutto, non è colpa vostra. Siete soltanto un bambino, che cosa avreste potuto fare? E non è che mi siate antipatico, non vi conosco neppure, soltanto non vi volevo. Non volevo voi come voi non volevate me». Richard la stava guardando a bocca aperta, con gli occhi spalancati, ammutolito per lo stupore di scoprire in lei non il peso insopportabile, la pietra al collo che si era aspettato, ma una persona schietta e amabile, e tutt'altro che sciocca. Stese lentamente le gambe e posò i piedi sul pavimento, per sentire qualcosa di solido sotto di sé. «Dunque non volevate sposarmi!» mormorò un po' risentito. «Un bambino come voi?» ribatté Hiltrude, senza troppi riguardi. «No davvero! Non l'ho mai voluto.» «Allora perché avete accettato?» Lo sdegno per la sua capitolazione era troppo forte perché Richard si risentisse di quello sprezzante accenno alla sua età. «Se aveste insistito a dire di no, non saremmo in questa situazione, adesso.» «Perché è molto difficile dire di no a un uomo come mio padre, che oltretutto aveva cominciato a farmi osservare che stavo diventando troppo vecchia per trovare un altro pretendente, minacciando di chiudermi in un convento sino alla fine dei miei giorni se non vi avessi sposato. E quello lo volevo ancora di meno. Inoltre pensavo che l'abate vi avrebbe tenuto ben stretto e che non si sarebbe mai arrivati a tanto. E invece eccoci qui, legati mani e piedi.» Sorpreso lui stesso di provare una curiosità quasi amichevole per quella giovane donna che aveva mutato pelle sotto i suoi occhi, Richard si azzardò a domandare: «Che cosa volete allora? Se poteste fare di testa vostra,
che cosa vi piacerebbe avere?» Gli occhi di Hiltrude si accesero a un tratto di amara collera. «Tanto per cominciare, vorrei un giovane che si chiama Evrard, segretario e maggiordomo a un tempo di mio padre a Wroxeter. Anche lui mi vuol bene, ma è un figlio cadetto, senza un palmo di terra. E dove non c'è terra da sposare alle sue, mio padre non gira nemmeno lo sguardo. Evrard ha uno zio che gli è molto affezionato e che, non avendo figli suoi, lascerà forse a lui il proprio possedimento, ma mio padre la terra la vuole subito e senza forse.» Il fuoco negli occhi della fanciulla si spense e lei scrollò la testa. «Ma perché vi racconto tutto questo? Non potete capire, non è colpa vostra. E non potete farci niente.» Richard cominciava a pensare che forse c'era qualcosa che poteva fare per lei, se in cambio avesse accettato di fare qualcosa per lui. Domandò, cauto: «Che cosa faranno adesso, vostro padre e mia nonna? Lei mi ha detto che domani tornerete a Wroxeter. Che cos'hanno in mente? E il padre abate mi ha cercato in tutto questo tempo, dopo che sono sparito?» «Non lo sapete? Non soltanto l'abate, ma anche lo sceriffo e tutti i suoi uomini vi stanno cercando. Hanno frugato dappertutto a Eaton e a Wroxeter e adesso stanno battendo ogni cespuglio nella foresta. Mio padre temeva che arrivassero anche qui, prima di questo fausto giorno, ma vostra nonna era certa del contrario. Si chiedevano se non fosse il caso di riportarvi nottetempo a Eaton, dove avevano già indagato, ma madonna Dionisia era certa che gli uomini dello sceriffo sarebbero stati occupati nelle loro ricerche ancora per parecchi giorni, prima che fosse la volta di Leighton. E che, in ogni caso, se si fossero tenuti gli occhi bene aperti, vi sarebbe sempre stato il tempo per imbarcarvi con una buona scorta sul fiume e nascondervi a Buildwas. Molto meglio, ha detto, che lasciarvi tornare a Shrewsbury.» «Dov'è adesso mia nonna?» «È tornata a cavallo a Eaton per sistemare le cose come debbono apparire e il suo eremita è tornato subito, di nascosto, alla sua cella. Nessuno deve sapere che si è allontanato.» «E vostro padre?» «Sta facendo il giro dei suoi affittuari, qui intorno, ma non andrà lontano. Ha portato con sé il suo segretario, perché credo che vi siano pagamenti arretrati da riscuotere.» A Hiltrude non interessavano molto gli andirivieni di suo padre, ma la pungeva la curiosità di sapere che cosa frullasse nella testa del suo sposo, per far vibrare di speranza la sua voce e brillare di una strana luce i suoi occhi sconsolati.
«Perché? C'è qualcosa di nuovo per voi? O per me?» domandò sfiduciata. «Potrebbe esservi qualcosa che io posso fare per voi», ribatté Richard che cominciava a rianimarsi. «Qualcosa di buono, se in cambio voi farete qualcosa per me. Se accadrà che siano entrambi fuori di casa, aiutatemi ad andarmene, mentre loro non ci sono. Il mio pony è qui nella stalla, me lo ha detto la nonna. Se potessi prenderlo e filarmela, voi potreste richiudere la porta di questa camera col catenaccio e nessuno si accorgerebbe della mia scomparsa fino alla sera.» Lei scosse risolutamente la testa. «E su chi cadrebbe la colpa? Io non accuserei di certo qualche servitore e non mi entusiasma affatto l'idea di ammettere che sono stata io! Mi bastano i guai che ho già, grazie tante!» Ma lo disse senza troppa convinzione, rendendosi conto che la fiamma di speranza negli occhi del ragazzo era tutt'altro che spenta. «Posso promettervi tutt'al più di riflettere per escogitare qualche altro sistema sicuro, sempre che abbia a derivarne un vantaggio anche per me. Farei di tutto per liberarmi... Ma a che serve parlarne? Siamo legati l'uno all'altra e non v'è alcun modo per uscirne.» Richard balzò dal letto e corse a sedersi accanto a Hiltrude, sul gradino della finestra. «Se vi confido un segreto», le sussurrò ansante all'orecchio, «giurate di non farne parola con nessuno finché io non sarò lontano, al sicuro, e di aiutarmi intanto a uscire di qui? Ne varrà la pena, credetemi!» «State sognando», mormorò lei in tono tollerante, ma, girandosi a guardarlo, si avvide che la propria incredulità non aveva per nulla offuscato quel suo segreto fervore. «Non v'è modo di sciogliere un matrimonio a meno che non si sia almeno principi e non si goda del favore del papa. Di gente comune come noi non si interessa nessuno! È vero, non siamo stati a letto assieme e non lo faremo ancora per anni, ma se pensate che vostra nonna e mio padre possano arrivare a un annullamento per questo, siete fuori strada. Hanno ottenuto ciò che volevano, non vi rinunceranno mai.» «No, non è niente del genere», insistette Richard. «Non abbiamo alcun bisogno né di leggi né del papa, dovete credermi. Promettetemi soltanto di non dire niente a nessuno e quando saprete di che cosa si tratta accetterete sicuramente di aiutarmi.» «D'accordo», acconsentì finalmente Hiltrude, un po' per compiacerlo e un po' perché cominciava a credere che egli sapesse davvero qualcosa che lei ignorava, anche se dubitava che potesse significare la libertà per entrambi. «Prometto. Che cos'è questo magico segreto?»
Accostando di nuovo le labbra al suo orecchio e infastidito da una ciocca di capelli che gli sfiorò una guancia, Richard glielo confidò, con un sommesso filo di voce, come se le pareti della stanza potessero sentire. E, dopo un momento di immobilità assoluta e di incredulo silenzio, lei scoppiò in una sonora risata, gli mise un braccio intorno alle spalle e se lo strinse al petto. «Vi aiuterò», promise. «Vi aiuterò, qualunque prezzo abbia a costarmi. Ve lo meritate!» CAPITOLO XI Ormai persuasa, fu lei stessa a studiare un piano. Conosceva la casa e tutta la servitù e, non essendovi più alcun motivo per dubitare della sua arrendevolezza, era libera di andare ovunque le piacesse e di dare ordini a stallieri e ancelle. «Meglio aspettare finché non vi avranno servito il pranzo e riportati via i piatti. Così passerà più tempo prima che venga da voi qualcun altro. C'è una porta posteriore nella staccionata, tra la stalla e il prato, e potrei dire a Jehan di condurre là fuori il vostro pony, che è rimasto chiuso troppo a lungo, poveretto. E dietro la stalla vi sono alcuni cespugli dove troverò il modo di nascondere la sella e i finimenti, prima di mezzogiorno. Poi vi condurrò là passando per il sotterraneo mentre tutti saranno a pranzo o in cucina.» «Ma ci sarà in casa anche vostro padre, allora», obiettò Richard, dubbioso. «Oh, dopo il pranzo se ne sta pacifico a russare, lui! Se mai gli venisse in mente di darvi un'occhiata per accertarsi che siate sempre al sicuro nella vostra gabbia, lo farebbe prima di mettersi a tavola. Meglio anche per me. In apparenza, sarei stata qui a tenervi compagnia per tutta la mattina, chi potrebbe pensare che abbia cambiato musica, dopo? Potrebbe persino essere divertente», osservò Hiltrude rallegrandosi al pensiero del proprio caritatevole inganno, «quando vi porteranno la cena e scopriranno che, sebbene porta e finestra siano regolarmente sbarrate, l'uccellino ha preso il volo!» «Ma così pioverebbero rampogne e imprecazioni e accuse su tutti, perché qualcuno doveva pur aver sfilato il catenaccio!» «E tutti si protesterebbero innocenti e se avessero ad appuntarsi dei sospetti su qualcuno in particolare, provvederei io a salvarlo, dichiarando che
l'ho sempre avuto sottocchio per tutta la mattina e non si è mai nemmeno avvicinato a quella porta. E qualora si arrivasse al peggio», aggiunse Hiltrude con insolita fermezza, «dirò che probabilmente mi sono dimenticata di tirare il catenaccio l'ultima volta che sono uscita dalla vostra camera. E mio padre che cosa potrebbe fare? Lui è tuttora persuaso di avervi irrevocabilmente intrappolato con questo matrimonio, ovunque possiate rifugiarvi. Ma ho un'idea migliore!» esclamò, battendo le mani. «Vi porterò io stessa il pranzo e resterò ad aspettare per riportare via i piatti, così non si potrà accusare nessuno di avere lasciato aperta la porta. Una moglie può ben cominciare fin dal primo giorno ad avere cura di suo marito, no?» «Non avete paura di vostro padre?» ardì chiedere Richard con profondo rispetto e persino ammirazione per quell'imprevedibile consorte, ma riluttante a permettere che si addossasse una parte tanto rischiosa. «L'ho... l'avevo! Adesso, qualsiasi cosa accada, penso che ne sia valsa la pena. Debbo andare, Richard, finché non c'è nessuno nella stalla. Fidatevi di me e tenetevi su di morale. Voi avete già risollevato il mio!» Era arrivata alla porta quando Richard, che aveva seguito pensierosamente con lo sguardo la giovane donna tanto diversa dalla povera creatura avvilita e amareggiata della quale aveva stretto una mano gelida la sera precedente, disse, a un tratto: «Sapete, Hiltrude, sto pensando che avrei potuto fare di peggio che sposare voi, dopo tutto!» Hiltrude mantenne la promessa. Gli portò il pranzo e rimase a fargli compagnia mentre mangiava, chiacchierando svagatamente e con frequenti interruzioni di inezie senza importanza. E Richard, non tanto per astuzia quanto perché affamato, rispondeva con borbottii invece che con parole, così che se qualcuno fosse stato ad ascoltarli avrebbe giudicato perfettamente normale quella deprimente conversazione. Riportati i piatti in cucina, Hiltrude tornò da lui non appena si fu accertata che tutti in casa erano occupati nelle proprie faccende. La stretta scala di legno che scendeva nel sotterraneo era invisibile dalla cucina e i due non ebbero alcuna difficoltà a scivolare giù di soppiatto per emergere poco dopo dalla porticina sul cortile, attraversando poi di corsa il pericoloso tratto scoperto fino al portello nella staccionata, opportunamente celato dalla massa della stalla. I finimenti erano tutti lì tra i cespugli e il pony si avvicinò felice a Richard, che se lo portò sul retro della stalla, lo bardò con mani tremanti per la fretta, poi lo condusse oltre il prato, verso il fiume dove la cintura di alberi gli offrì un riparo sufficiente perché osasse final-
mente stringere con cura il sottopancia del suo cavallino. Se tutto andava per il verso giusto, aveva davanti a sé l'intiero pomeriggio prima che si sapesse della sua scomparsa. Hiltrude ripercorse in senso inverso il tragitto ed ebbe cura di trascorrere il pomeriggio tra le donne della casa, ricamando oppure occupandosi dei compiti inerenti alla signora del maniero, senza restare mai sola nemmeno per un momento. Aveva pure badato ad assicurare per bene il catenaccio alla porta della camera di Richard, poiché anche un ragazzino di dieci anni avrebbe avuto il buon senso di farlo per salvare le apparenze, nel caso che qualcuno avesse inavvertitamente trascurato di tirare il paletto, offrendogli così la possibilità di andarsene insalutato ospite. E quando si fosse scoperta la fuga, lei avrebbe potuto benissimo sostenere che era praticamente certa di non avere mai dimenticato di sbarrare quella porta, salvo poi ammettere alla fine che, forse sì, doveva averlo fatto. Ma a quel punto, se non vi fossero stati contrattempi imprevedibili, Richard sarebbe stato ormai al sicuro all'abbazia e avrebbe trovato una giustificazione plausibile per presentarsi come una povera vittima innocente e cancellare così il ricordo della sua colpa per avere marinato la scuola, causando tutto quel trambusto e preoccupazione. Ma quelli erano affari suoi. Lei aveva fatto la propria parte. Fu un vero peccato che Jehan, lo stalliere che aveva condotto fuori nel prato il pony di Richard, avesse dovuto riportare nella stalla uno degli altri cavalli al pascolo, a metà pomeriggio, perché aveva notato che zoppicava. E così si era accorto che il pony era sparito. Gettandosi sulla prima, ovvia, benché poco probabile, spiegazione, era in mezzo alla corte, urlando che c'erano stati i ladri nel prato, prima che gli venisse in mente di tornare indietro a cercare i finimenti. E questo diede un colore totalmente diverso alla sparizione. Inoltre, perché rubare l'animale di minor valore? E arrischiarsi a farlo in pieno giorno? Una bella notte scura sarebbe stata assai più adatta al caso. Così Jehan piombò nel salone annunciando a gran voce che il pony del giovane sposo era scomparso, con sella e tutto quanto, e il signore avrebbe fatto bene a controllare se il suddetto sposo era ancora al sicuro, sotto chiave. Fulke, che stentava a credere a quella strabiliante notizia, seguì immediatamente il suggerimento e trovò porta e finestra regolarmente sbarrate, ma la camera deserta. L'urlo di rabbia che lanciò indusse Hiltrude a chinarsi sul suo ricamo, tenendo gli occhi bassi e continuando a lavorare con apparente indifferenza, finché la burrasca non irruppe dalla porta, invadendo tutta la sala.
«Chi è stato? Chi lo ha servito l'ultima volta? Quale idiota fra voi, idioti tutti quanti, ha dimenticato di sbarrare la porta? O qualcuno lo ha fatto di proposito, nonostante gli ordini ricevuti? Gli strapperò la pelle, a quel bastardo traditore, chiunque sia! Avanti, parlate! Chi ha portato il pranzo a quella piccola canaglia?» I servitori maschi si portarono prudentemente fuori della sua portata, protestando con balbettii confusi la propria innocenza; le donne si scompaginarono un poco, scambiandosi occhiate in tralice, ma nessuna osò dire una parola contro la giovane padrona. Fu Hiltrude stessa che, affrontando coraggiosamente la prova, adesso che era giunto il momento, disse in tono fermo e risoluto, come se non avesse niente da nascondere: «Ma, padre, sapete benissimo che sono stata io, mi avete vista voi stesso riportare i piatti in cucina. E avevo tirato il paletto... ne sono sicura. Dopo non è andato più nessuno da Richard, potreste averlo fatto soltanto voi, signore. Chi altri si sarebbe mai azzardato a entrare in quella stanza, a meno che non vi fosse stato mandato? E io non ho mandato nessuno». «Ne siete proprio certa, signora?» ruggì Fulke. «Tra poco mi direte che il vostro gentile consorte non se n'è andato affatto, che è tuttora seduto là dove dovrebbe essere! E se siete stata voi l'ultima ad andare da lui, allora è colpa vostra se è potuto sgattaiolare fuori e darsela a gambe. Dovete per forza avere lasciato la porta aperta, altrimenti in che modo sarebbe uscito? Come avete potuto essere così sciocca?» «Non l'ho lasciata aperta!» ripeté lei, ma con minor risolutezza, questa volta. «Del resto, anche se mi fossi dimenticata del catenaccio», concesse in tono di scusa, «e non credo che sia così... comunque ammettiamo che lo abbia fatto, quale importanza ha, ormai? Richard non può cambiare ciò che è stato fatto, né lui né alcun altro. Non vedo il motivo di tutto questo scompiglio!» «Ah, non lo vedete, vero? Non lo vedete... certo, voi non vedete al di là del vostro naso, signora! E lui che torna di corsa dal suo abate, con tutto quello che può dire?» «Ma sarebbe comunque dovuto ricomparire fra la gente, prima o poi», osservò blandamente Hiltrude. «Non avreste potuto tenerlo nascosto per sempre!» «D'accordo, lo sappiamo tutti, ma non ancora, non prima che avesse messo il suo segno di croce... no, perché sa scrivere il suo nome, che è meglio... sul contratto di nozze e dimostrato di saper concordare con la nostra la sua versione dei fatti, oltre che di avere accettato di buon grado ciò che è
stato fatto. Ancora qualche giorno e si sarebbe sistemato tutto a nostro modo. Ah, ma non gli permetterò di svignarsela così come se niente fosse!» giurò Fulke, poi si rivolse ai suoi impietriti stallieri. «Presto, sellatemi il cavallo, spicciatevi! Vado a cercarlo. Tornerà dritto all'abbazia, tenendosi bene alla larga da Eaton, senza dubbio. Lo riporterò indietro tirandolo per un orecchio!» Alla piena luce del giorno, Richard non osò seguire la strada, nemmeno per aggirare a qualche distanza il villaggio. Là avrebbe potuto procedere più in fretta, ma avrebbe avuto anche maggiori possibilità di attirare l'attenzione di qualche affittuario o dipendente di Astley che, per mostrarsi zelante, lo avrebbe portato troppo vicino a Eaton. Si tenne dunque nella fascia di bosco che si stendeva a occidente per circa mezzo miglio verso il fiume, diradandosi via via fino a divenire nulla più che una fila di singole querce spaziate lungo la riva. Più avanti, marcite verdi riempivano una vasta ansa del Severn, aperta e senz'alberi, e là Richard proseguì lungo il margine della lingua di terra appartenente a Leighton e fiancheggiata da radi cespugli che gli offrivano almeno qualche riparo. A monte di quella, la valle si allargava in un'ampia distesa verdeggiante di prati allagati, con appena qualche albero isolato nei punti più alti, ma subito dopo si trovò su un banco di solida terra che penetrava per un altro miglio nella foresta di Eaton, dove sarebbe stato al riparo fino a mezza strada da Wroxeter. Quello avrebbe significato procedere più lentamente, ma non era il pericolo di essere inseguito che lo preoccupava, bensì quello di essere riconosciuto e intercettato. Doveva evitare Wroxeter a ogni costo e l'unica via possibile era quella di varcare a guado il Severn lì dov'era, lontano dal villaggio e dal maniero, raggiungere la strada sulla sponda meridionale e puntare a briglia sciolta sulla città. Accelerò un po' troppo l'andatura nella foresta, dove la familiarità col terreno lo indusse a prendere una stretta scorciatoia fra due sentieri, e ne pagò lo scotto con una caduta, quando il suo pony mise il piede sopra una cedevole tana di tassi. Ma lo salvò il fitto strato di foglie sul quale ruzzolò, cavandosela così con qualche ammaccatura. Anche il cavallino, benché un po' confuso e intimorito, tornò docilmente da lui, non appena superato il primo fremito di paura. E se non altro quell'incidente gli insegnò che fretta non equivaleva a velocità a che sarebbe occorsa maggior cautela finché non si fosse trovato su strade più aperte. Non aveva ancora riflettuto sulla propria fuga, tutto teso com'era a rag-
giungere al più presto l'abbazia e, quali che fossero i rimbrotti e le punizioni che lo aspettavano là, fare pace con tutti, una volta rimossa ogni preoccupazione per lui. Conosceva abbastanza gli adulti per sapere che, per quanto diversi in altre occasioni, condividevano tutti lo stesso atteggiamento quando un bambino affidato alle loro cure veniva strappato a un pericolo: prima abbracciarlo, e sculacciarlo subito dopo. Sempre che, naturalmente, le sculacciate non venissero prima! Ma di quello non gli sarebbe importato nulla. Dopo essere stato trascinato con la forza lontano dalla sua scuola, dai suoi compagni, da fratello Paul e, sì, persino dal viso severo del padre abate, non desiderava altro che tornare da loro e sentire intorno a sé le solide mura e l'ugualmente immutabile orario della giornata monastica come un caldo mantello protettivo. Se ci avesse pensato, sarebbe potuto scendere lungo il fiume fino al mulino di Eyton, o raggiungere la casetta del guardaboschi o una qualsiasi abitazione su quelle terre appartenenti all'abbazia dove avrebbe trovato un rifugio sicuro. Ma quell'idea non gli era neppure passata per la mente. Correva all'abbazia come un passero verso il nido. In quel momento non aveva altra casa, anche se si dava il caso che fosse il signore di Eaton! Oltrepassata la foresta, un largo sentiero ben battuto portava quasi fino al guado, a sud di Wroxeter, due miglia di strada che Richard percorse velocemente, attento tuttavia a non dare nell'occhio, perché di tanto in tanto incontrava o sorpassava altre persone, contadini che tornavano a casa dopo una giornata di lavoro nei campi o qualcuno che andava da un paese a un altro. Tutti sconosciuti, per fortuna, anche se alcuni gli rivolgevano un cortese cenno di saluto, al quale egli rispondeva con uguale cortesia, senza rallentare l'andatura. Finalmente si profilarono davanti a lui gli alberi in riva al guado, pochi salici chini sull'acqua e, a malapena visibili oltre i rami più alti, la vetta di un campanile e l'angolo di un tetto. Come fu al riparo degli alberi, Richard smontò per osservare l'acqua che, pur poco profonda, si increspava intorno a un'isoletta e il sentiero che dal paese scendeva al guado. Udì le voci prima di poter vedere chi parlava e si fermò ad ascoltarle con attenzione, augurandosi che quegli importuni se ne andassero verso il paese, lasciando libero per lui il sentiero. Due donne che chiacchieravano e ridevano, con l'accompagnamento di un lieve sciabordio, poi una voce maschile che pareva stuzzicarle e prendersi gioco di loro. Richard si azzardò ad avvicinarsi di più finché non li vide e trattenne il respiro per lo stupore e lo sgomento. Le due donne avevano fatto il bucato e steso i panni sui cespugli ad a-
sciugare e poiché non faceva freddo e avevano trovato quel compagno giovane e attraente non mostravano alcuna fretta di tornare a casa. Non le aveva mai viste, ma l'uomo lo conosceva fin troppo bene, anche se non sapeva come si chiamasse. Quel giovane di pelo rosso, che gonfiava il petto, tronfio come un gallo da combattimento, era un bravaccio al servizio di Astley, uno dei due che lo avevano incontrato e riconosciuto mentre tornava di sera, solo nel bosco, all'abbazia e non si erano lasciata sfuggire l'occasione per fare un grosso favore al loro signore. Quelle stesse braccia muscolose che adesso si stavano prendendo qualche libertà con una delle ridenti lavandaie avevano strappato senza scrupoli dalla sella la preda inattesa, tenendola poi, scalciante e furiosa, su una spalla massiccia che sarebbe potuta essere di marmo, tanto era rimasta insensibile a pugni e calci, finché l'altro furfante non era intervenuto tappando la bocca a quell'incomodo marmocchio col suo stesso cappuccio e immobilizzandogli le braccia con le sue stesse redini. E più tardi, a notte fonda, quando la gente onesta dormiva tranquilla nel proprio letto, la medesima, fidatissima coppia lo aveva portato come un fagotto nel maniero più lontano, dove nessuno sarebbe andato a cercarlo. Richard ripensò a quei momenti con sdegnata amarezza, nel ritrovarsi davanti proprio quel briccone che gli attraversava di nuovo la strada, perché adesso lui non poteva uscire da quel riparo e raggiungere il guado senza passargli accanto ed essere riconosciuto e quasi certamente riacciuffato. Non gli restava dunque altro da fare che restarsene lì nascosto ad aspettare che quei tre sgombrassero il campo. Non poteva neppure pensare di fare un largo giro intorno a Wroxeter perché era già troppo vicino ai margini del paese e le strade non offrivano alcun riparo. Così era costretto a perdere tempo, tempo che, senza sapere perché, gli pareva prezioso. Passò più di un'ora a smaniare mordendosi le nocche per la disperata frustrazione, con gli occhi fissi sul gruppetto. Ma anche quando le donne si decisero finalmente a raccogliere i loro panni e tornare a casa, lo fecero senza fretta, camminando con calma mentre scherzavano e ridevano col giovane che si era messo tra loro due. Soltanto quando le loro voci si spensero in lontananza e il guado gli sembrò deserto, Richard si azzardò a uscire allo scoperto e rimontare in sella. Il primo tratto del guado fu facile, un bassofondo piatto e sabbioso, ma poi il pony dovette arrampicarsi sull'isolotto, che attraversò all'asciutto per ridiscendere in un vasto arcipelago di banchi di sabbia tra scintillanti vortici di acqua. A metà del percorso, Richard si fermò a guardarsi indietro.
Quella sconfinata distesa di prati verdi gli dava l'opprimente, preoccupante sensazione di essere nudo. In quel punto si poteva vederlo da un miglio di distanza, una figurina scura a cavallo, indifesa e vulnerabile contro uno sfondo di pallidi colori in una luce periata. E là, sul sentiero seguito da lui stesso, ancora lontano ma indubbiamente lanciato al suo inseguimento, galoppava un vigoroso cavallo grigio chiaro, montato da un cavaliere che il ragazzo non ebbe difficoltà a riconoscere: Fulke Astley, alla caccia del genero infedele. Richard spronò disperatamente il pony attraverso il bassofondo, puntando a occidente dove un sentiero lo avrebbe portato a Saint Giles, distante più o meno quattro miglia, e di là dritto alla portineria dell'abbazia. Ancora un miglio da percorrere, prima di poter trovare riparo fra gli alberi, e anche quando li avesse raggiunti, avrebbe avuto comunque ben poche speranze di sfuggire all'inseguitore, adesso che era stato senza dubbio scoperto. Il suo pony non poteva certo competere col poderoso cavallo che lo inseguiva, ma la fuga era la sua unica risorsa. Aveva ancora un buon distacco in partenza, nonostante ne avesse perduto gran parte nell'attesa di poter varcare il guado. Piantò gli sproni nei fianchi del pony e, stringendo i denti, si lanciò in direzione di Shrewsbury come se avesse i lupi alle calcagna. Il terreno saliva, ondulando tra basse colline, macchiato di alberi e gruppi di cespugli che nascondevano l'uno all'altro inseguito e inseguitore, ma la distanza andava certo accorciandosi e Richard approfittò di un punto in cui il terreno era pianeggiante e scoperto per gettarsi una fuggevole occhiata alle spalle. Scorse il nemico realmente più vicino, ma quella momentanea disattenzione gli costò un'altra caduta, anche se stavolta riuscì a restare saldamente aggrappato alle redini, attenuando così la violenza del colpo e risparmiandosi la fatica di riagguantare il cavallo. Sporco di terra, ammaccato e furibondo con se stesso, si arrampicò in sella e ripartì a spron battuto, sentendo lo sguardo di Astley fisso sulle proprie spalle come un pugnale. Per fortuna, il suo pony era di buona razza gallese e resistente alle fatiche, era stato in riposo per alcuni giorni e portava un peso leggero, ma ciò nonostante la lotta era impari, lo sapeva fin troppo bene e se ne crucciava, ma non poteva rimediarvi in alcun modo. Quando fu finalmente in vista del recinto di Saint Giles e il sentiero si andò allargando in una vera e propria strada, udì il tonfo di quegli altri zoccoli non molto lontano, dietro di lui, ma non aveva più molta importanza ormai. Avrebbe potuto rifugiarsi nel lebbrosario, che apparteneva all'abbazia, e fratello Oswin non lo avrebbe consegnato a nessuno senza un
ordine dell'abate. Ma quando vi giunse, non c'era più tempo per rallentare e svoltare verso l'ingresso. Chino sul collo del pony, Richard proseguì lungo la strada del Foregate, aspettandosi di vedere da un momento all'altro l'ombra massiccia di Fulke Astley al proprio fianco e la sua mano che si tendeva a stringere le briglie. Avanti oltre l'angolo del muro dell'abbazia, poi dritto fino alla portineria, mettendo in fuga artigiani e borghigiani di ritorno a casa dopo il lavoro della giornata, bambini e cani che giocavano in mezzo alla strada. V'erano non più di cinque iarde tra lui e il suo inseguitore quando Richard svoltò temerariamente verso la portineria. Al vespro, quella sera, notò Cadfael dal suo solito posto nel coro, erano presenti molti ospiti della foresteria. Rafe di Coventry, taciturno e riservato come sempre, e persino Aymer Bosiet che, dopo un'altra laboriosa giornata alla caccia del suo schiavo, aveva un'espressione grave e pensierosa come se stesse pregando il cielo perché gli facesse scoprire una valida traccia. Ma, nell'insieme, pareva avere anche altro per la mente, qualcosa di più importante, perché rimase accigliato per tutta la durata della funzione, come se cercasse di prendere una decisione. Forse la necessità di mantenere buoni rapporti con l'influente parentado di sua madre lo spingeva a tornare subito a casa con la salma di Drogo, e sfoggiare la pietà filiale. Oppure il pensiero di uno scaltro fratello minore rimasto là solo e capacissimo di perpetrare qualsiasi bricconata in vista del proprio utile operava a favore dell'abbandono di un'impresa incerta quand'era in gioco un'eredità sicura. Ma quali che fossero le sue preoccupazioni, Aymer fornì un testimone in più alla scena che si offrì a monaci e ospiti quando uscirono dalla chiesa e si sparsero nella grande corte per occuparsi dei vari preparativi per la cena. L'abate Radulfus, seguito dal priore Robert e dalla processione dei confratelli, l'aveva appena raggiunta a sua volta quando la quiete della sera fu infranta da un precipitoso, sordo scalpitare di zoccoli sulla terra battuta della strada davanti all'abbazia, che divenne rapidamente un tinnire di acciaio sulle pietre quando un robusto pony nero oltrepassò senza fermarsi l'arco della portineria, slittando e battendo sui ciottoli, subito seguito da un alto cavallo grigio. Il cavaliere che montava quest'ultimo, un omone grande e grosso, con una corta barba che gli incorniciava il viso paonazzo per la fretta o per la collera, fece un balzo avanti protendendosi per strappare le briglie dalle mani del ragazzo in sella al cavallino nero, ma entrambi erano ormai quasi al centro della corte quando riuscì ad afferrarle e i due animali
si fermarono bruscamente, slittando e soffiando. Tuttavia aveva bloccato il pony, ma non il suo piccolo cavaliere che, lanciando un grido allarmato, mollò le briglie e, più che smontare, rotolò giù dall'altra parte e si precipitò verso l'abate, come un uccello che tornasse al nido. Era a un passo da lui quando inciampò e cadde lungo disteso ai suoi piedi. Allora si aggrappò disperatamente alle sue caviglie, invocando aiuto con gemiti confusi contro le pieghe del suo saio nero, quasi aspettandosi di essere strappato via a forza e certo che nessuno avrebbe potuto impedirlo, se si fosse tentato di farlo, salvo quella roccia eretta e solida alla quale era aggrappato. La quiete così rudemente frantumata si era ricomposta con inattesa rapidità quando l'abate alzò gli occhi attenti e severi dalla figurina che gli stringeva le caviglie e li fissò sull'uomo robusto e baldanzoso che, lasciati a fianco a fianco i cavalli sudati, aveva fatto qualche passo verso di lui, per nulla intimidito dall'autorità monastica. «Signore, tutto questo è un po' irrispettoso», osservò. «Qui non siamo avvezzi a tali brusche visite.» «Padre abate, mi dispiace di essere stato costretto a infastidirvi. Se siamo entrati in maniera sconveniente, ne chiedo umilmente perdono, più per Richard che per me», ribatté Fulke in tono tutt'altro che umile. «Colpa della sua stoltezza. Speravo di potervi risparmiare questo inutile scompiglio raggiungendolo prima e riportandolo a casa, dove lo riporterò adesso, badando che non abbia a disturbarvi di nuovo.» Sembrava molto sicuro di se stesso, anche se non fece alcun gesto per agguantare il ragazzo. Rimase a fissare gli occhi di Radulfus senza battere ciglio. Alle spalle del priore Robert, i fratelli ruppero le righe per avvicinarsi a guardare sgomenti il fanciullino che aveva ormai cominciato a frammischiare ai gemiti proteste altrettanto confuse, pur senza alzare il capo né allentare la stretta delle braccia. Dopo i monaci arrivarono anche gli ospiti, non meno interessati a quell'insolito spettacolo e Cadfael, come sempre in prima fila, ebbe modo di notare l'espressione distaccata ma attenta di Rafe di Coventry e il fugace sorriso che gli sfiorò le labbra. Invece di replicare ad Astley, l'abate abbassò lo sguardo sullo scolaretto disteso ai suoi piedi e disse in tono risoluto: «Smettila di far chiasso, figliolo, e lasciami andare. Non corri alcun pericolo. Alzati!» Richard abbandonò a malincuore la presa e alzò il viso macchiato di fango e di verde, del sudore della fretta e della paura oltre che di qualche lacrima di sollievo seguita a un terrore che appariva ormai irragionevole.
«Non permettete che mi prendano, padre! Non voglio tornare là! Voglio restare qui con fratello Paul, a scuola. Non mandatemi via! Non intendevo fuggire, stavo tornando all'abbazia quando mi hanno preso. Volevo tornare qui, alla mia casa, lo giuro!» «Sembra vi sia qualche disparità di vedute riguardo a quella che dovrebbe essere la tua casa!» ribatté seccamente Radulfus. «Visto che messer Astley si proponeva di riportartici mentre tu pensi di esserci già arrivato! Qualsiasi chiarimento tu abbia a dare riguardo alle tue azioni può aspettare, ma sembra che non si possa dire lo stesso riguardo alla tua casa. Alzati e sta' dritto come si conviene.» E si chinò lui stesso per aiutarlo a rimettersi in piedi. Richard si guardò per la prima volta intorno, turbato alla vista di tanti occhi puntati su di lui e un po' irritato per la meschina figura che faceva davanti a tutti i confratelli, così sudicio e disordinato, per non parlare della sdegnosa vergogna che provava per le lacrime che gli si stavano essiccando sulle guance. Raddrizzò le spalle, passandosi una manica sul viso, poi cercò con lo sguardo fratello Paul e quando lo vide, in mezzo al cerchio di tonache scure, si sentì riconfortato. E il giovane monaco, che era stato messo a dura prova dall'impossibilità di correre ad abbracciare la sua pecorella smarrita, si affidò mentalmente al padre abate e tenne la bocca chiusa. «Abbiamo sentito tutti, messere», riprese Radulfus, «quali sono le preferenze di Richard. Sapete anche voi, senza dubbio, che suo padre lo aveva affidato alle mie cure e intendeva che egli restasse qui a studiare finché non avesse raggiunto la maggiore età. Mi è stato conferito, con un documento scritto, alla presenza di testimoni, il diritto di badare a lui ed è dalla mia tutela che è fuggito qualche giorno fa. Mentre non so ancora quale fondamento abbia il diritto che voi accampate su di lui.» «Oh, Richard cambia parere da un giorno all'altro», ribatté spavaldamente Fulke. «Soltanto ieri sera è andato di propria volontà in tutt'altra direzione. Per quanto io non creda che si debba permettere a un bambino di decidere per conto proprio, i suoi maggiori sono sempre migliori giudici di ciò che è meglio per lui. E quanto ai miei diritti a suo riguardo, è presto detto. Richard è mio genero, con la piena consapevolezza e il consenso di sua nonna. Ieri sera si è sposato con mia figlia.» Il mormorio di costernazione corso tra gli spettatori avevo lasciato impassibile Radulfus, ma a Cadfael non sfuggì la contrazione quasi impercettibile dei muscoli del suo viso scarno, indizio che il colpo era andato a se-
gno. La conclusione progettata e a lungo perseguita da Dionisia, per la quale il suo presuntuoso vicino era stato soltanto uno strumento. Quello che egli aveva affermato poteva benissimo essere vero, se avevano avuto il ragazzo tra le mani fin da quando era scomparso. Richard, dal canto suo, si era irrigidito, alzando fieramente la testa, e stava per dichiarare che era una falsità quando incontrò lo sguardo severo dell'abate e richiuse la bocca, confuso, non osando mentire davanti a quel giudice rigoroso. Inoltre, la recisa affermazione di Astley non era nemmeno falsa, perché lo avevano sposato con Hiltrude e non sarebbe bastato negarlo. Ma a quel punto un nuovo brivido di paura lo scosse, facendogli trattenere il respiro. E se Hyacinth si fosse ingannato e i voti nuziali che lui aveva docilmente ripetuti fossero davvero un legame indissolubile? «È vero, Richard?» domandò Radulfus. Una voce piana e pacata, che tuttavia al ragazzo parve terribile. Ingoiò parole che sarebbero state inutili e Fulke, spazientito, rispose per lui. «Certo che è vero, non può negarlo! Dubitate della mia parola, padre?» «Silenzio!» lo zittì l'abate in tono imperioso, ma senza alzare la voce. «Voglio che risponda lui. Coraggio, figliolo! C'è stato davvero questo matrimonio?» «Sì, padre», balbettò Richard, «ma non è...» «Dove? Chi altri era presente?» «A Leighton, padre, ieri sera, è vero, però io non sono...» Fu interrotto di nuovo e si arrese con un singulto, frustrato e sdegnato a un tempo. «E hai pronunciato le parole del sacramento liberamente, di tua volontà? Non sei stato costretto? Picchiato? Minacciato?» «No, padre, picchiato no, ma avevo paura. Mi hanno martellato a tal punto...» «Se ne è ragionato con lui e si è persuaso», l'interruppe bruscamente Fulke. «E adesso si rimangia quello che ha accettato ieri. Senza che nessuno lo toccasse nemmeno con un dito. Di propria volontà!» «E il vostro prete ha celebrato il matrimonio senza costrizioni? Dopo essersi accertato che il consenso di entrambi fosse spontaneo? Un uomo onesto, rispettabile?» «Un uomo venerato da tutti, padre!» ribatté Astley in tono trionfante. «Lo chiamano santo, il santo eremita Cuthred!» «Ma padre», proruppe Richard con il coraggio della disperazione, risoluto a portare finalmente alla luce, nuda e cruda, la verità, «io ho fatto quel
che ho fatto perché mi lasciassero libero e potessi tornare da voi. Ho pronunciato quei voti soltanto perché sapevo che non avevano alcun valore. Non sono sposato, padre! Non è stato un vero matrimonio, perché...» L'abate e Fulke proruppero insieme, alzando la voce e ordinandogli di tacere, ma al ragazzo ormai ribolliva il sangue. Se doveva dirlo lì davanti a tutti, bene, lo avrebbe detto. Strinse i pugni e gridando tanto da far riecheggiare i muri del chiostro, finì: «...perché Cuthred non è un prete!» CAPITOLO XII Nel subbuglio generale che seguì, con mormorii di stupore, dubbio e sdegno, dallo sbuffo sprezzante del priore Robert ai sussurri meravigliati e quasi divertiti dei novizi, quello che più diede nell'occhio a Cadfael fu lo sgomento di Fulke Astley. Ben lontano, naturalmente, dall'immaginare che cosa lo aspettava, era rimasto senza respiro. Se ne stava lì con le braccia penzoloni, sperduto, come se una parte del suo essere lo avesse abbandonato, lasciandolo monco e muto. E quand'ebbe finalmente ripreso fiato sufficiente per parlare, disse ciò che ci si poteva aspettare da lui, ma senza la baldanza della convinzione, bensì sforzandosi piuttosto, in preda al panico, di allontanare dalla propria mente persino la semplice possibilità che quell'affermazione fosse fondata. «È una pazzia, padre abate! Una menzogna! Richard direbbe qualsiasi cosa per levarsi dai guai. Padre Cuthred è un prete! Ce lo hanno mandato i fratelli di Savigny, da Buildwas, chiedete loro. Non v'è mai stato il minimo dubbio, a questo riguardo. È pura e semplice cattiveria diffamare così un sant'uomo!» «Una simile affermazione sarebbe certo una cattiveria», convenne Radulfus fissando sul ragazzo uno sguardo particolarmente severo. «Pensaci bene, figliolo, prima di dirlo un'altra volta. Se è uno stratagemma per poter restare qui con noi, rifletti e confessalo. Non sarai punito. Comunque sia, a quanto pare sei stato trattato ingiustamente, rapito e intimidito, e questo ti giustifica. Vorrei rammentare a sir Fulke questi particolari. Ma se adesso non dici la verità, sarai punito severamente.» «Ho detto la verità!» ribatté con forza Richard, sporgendo il mento e affrontando senza batter ciglio i temibili occhi dell'abate. «È la verità, lo giuro! Ho fatto quello che mi chiedevano perché sapevo che l'eremita non è un prete e che un matrimonio celebrato da lui non sarebbe stato un matrimonio.»
«E come lo sapevate?» proruppe infuriato Astley, riscuotendosi dal suo stato confusionale. «Chi ve lo ha detto? Padre abate, è soltanto un espediente infantile, e malevolo per giunta. Una menzogna, sì!» «Allora? Vuoi rispondere?» insistette Radulfus senza togliere gli occhi di dosso al suo pupillo. «Come lo sapevi? Chi te lo ha detto?» Proprio le domande alle quali lui non poteva rispondere senza tradire Hyacinth e rimettere sulle sue tracce, con rinnovato vigore, coloro che gli davano la caccia. «Ve lo dirò, padre», rispose, chiamando a raccolta tutto il proprio coraggio, «ma non qui. Soltanto a voi. Credetemi, vi prego, non sto mentendo!» «Ti credo», assentì l'abate, abbandonando a un tratto l'espressione severa che lo aveva fatto tremare. «Credo che tu stia ripetendo ciò che qualcuno ti ha detto e che tu ritieni sia la verità. Ma si tratta di una questione molto più seria di quanto tu sia in grado di comprendere e dev'essere chiarita immediatamente. Un uomo al quale è stata rivolta un'accusa tanto grave ha il diritto di difendersi e provare la propria buona fede. Domattina di buon'ora andrò io stesso dall'eremita a chiedergli se è o non è un prete, chi lo ha ordinato, dove e quando. Tutto questo può e deve essere provato. È anche tuo interesse accertare una volta per tutte se quel matrimonio è valido. Per quanto, anche se lo fosse, esista sempre la possibilità di annullarlo, visto che non può essere stato consumato.» «Provateci», ritorse Fulke, ritrovando un certo autocontrollo, «e ci opporremo con tutti i mezzi possibili. Ma riconosco che si deve accertare la verità. Non possiamo permettere che persistano tali dubbi.» «Allora volete venire anche voi all'eremo, domattina dopo la prima? È giusto che sentiamo entrambi ciò che avrà da dire Cuthred. Sono certo», si ritenne in dovere di aggiungere Radulfus, al quale non era sfuggito l'effetto della sorprendente sortita di Richard, «che voi foste sinceramente convinto della sua condizione di prete, col pieno diritto di celebrare matrimoni e funerali, questo è fuori discussione. Tuttavia Richard sembra aver motivo per sostenere il contrario. Vediamo dunque di stabilire chi ha ragione.» Astley parve non avere nulla da obiettare a quella proposta e nemmeno alcun desiderio di sottrarsi a quel confronto. Era stato senza dubbio profondamente sconvolto al pensiero di essere caduto in trappola e desiderava lui pure che venisse risolto al più presto quello spinoso problema, ma fece tuttavia un estremo tentativo di ristabilire la propria autorità sul ragazzo. «Verrò senz'altro», dichiarò, posando una mano su una spalla del giovane. «Così si proverà che questo bambino si sbaglia, che è stato ingannato.
Ma finché non sarà provato il contrario, è sempre mio genero e deve venire con me.» Lo prese per un braccio, ma lui si liberò con uno strattone e fratello Paul, incapace di frenarsi più a lungo, corse al suo fianco. «Richard resta qui», dichiarò fermamente l'abate. «Suo padre lo aveva affidato a me e nessuno può impedirgli di restare con noi. Di chi poi, per legge, sia genero e di chi sia marito, lo esamineremo con cura.» Fulke stava diventando di nuovo paonazzo per la collera repressa. Dopo essere arrivato tanto vicino a riprendersi quel birbante, si ritrovava di fronte a ostacoli imprevisti e imprevedibili, che stavano mettendo a repentaglio i progetti così ben studiati da lui e da madonna Dionisia riguardo ai rispettivi possedimenti. Ma non si sarebbe arreso tanto facilmente. «Oltrepassate i limiti della vostra responsabilità, reverendo padre», sottolineò, «negando i propri diritti a una parente, voi che non avete alcun legame di sangue con lui. E io penso che a questa vostra ostinazione a tenerlo qui non sia estraneo un disegno sulle sue terre, sulle sue proprietà. Non volete che si sposi, prendete la scusa della scuola per impedirgli di conoscere il mondo esterno, finché non vi riuscirà di indurlo al noviziato, assicurando così una cospicua eredità alla vostra abbazia.» Era così concentrato nelle sue accuse e i suoi ascoltatori erano così turbati dallo stupore per la sua sfacciataggine che nessuno si era accorto di un nuovo arrivato. Tutti gli sguardi erano fissi su Astley, e Hugh, lasciato il cavallo al portone, era entrato a piedi, senza rumore. Ma aveva fatto appena una decina di passi nella corte, quando notò il cavallo grigio e il pony nero, ancora luccicanti di sudore per la corsa sfrenata e trattenuti da uno stalliere che osservava a bocca spalancata un numeroso gruppo di persone incorniciato dall'arcata del chiostro. Lo sceriffo seguì il suo sguardo e inquadrò in una sola occhiata la scena sorprendente: l'abate e Fulke Astley a faccia a faccia in palese controversia e fratello Paul con un braccio intorno alle spalle di un ragazzino sporco e disordinato, Richard Ludel, che alzava sui due uno sguardo a metà tra lo spaurito e il provocatorio. Radulfus, chiuso in uno sdegnoso silenzio di fronte a quell'insolenza, fu il primo a notare il nuovo arrivato. Fissando lo sguardo oltre la testa del suo avversario, cosa che la propria altezza gli consentiva di fare agevolmente, disse con voce nitida e ferma: «Senza dubbio il nostro sceriffo vorrà considerare con la debita attenzione le vostre accuse. E potrebbe anche interessargli di sapere come Richard si sia trovato a essere sotto la vostra custodia a Leighton fino a ieri sera. Dovreste rivolgere a lui le vostre la-
mentele». Fulke girò sui tacchi con tale impeto che evitò solo per un filo di perdere l'equilibrio. Ed ecco Beringar che attraversava rapidamente la corte per raggiungerli, con le sopracciglia inarcate fin quasi alla radice dei capelli neri e gli occhi luminosi e penetranti fissi proprio su di lui. «Bene, bene, mio signore!» esclamò in tono amabile Hugh. «Vedo che vi siete dato da fare per scoprire e riportare all'ovile il monello che io ho cercato invano al vostro maniero di Leighton. Torno di là proprio adesso e venivo a informare del mio fallimento il padre abate che è il tutore di Richard, mai più aspettandomi di trovare qui voi, che avete risolto per me il problema, mentre io davo la caccia alle ombre. È stato molto gentile da parte vostra! Me ne ricorderò, se avessi ancora a che fare con piccolezze come rapimento e prigionia. A quanto pare, l'uccellino che mi ha pigolato all'orecchio che Richard si trovava a Leighton aveva ragione, ed è stata una fortuna, perché io non ho trovato alcuna traccia di lui e nessuno ha ammesso che fosse stato là. Dovevate essere uscito da non più di mezz'ora, prendendo un altro sentiero, quando sono arrivato io seguendo la strada maestra.» Il suo sguardo indagatore passò in rassegna la figuretta rigida e il viso guardingo di Richard, poi si fermò sull'abate. «Sta bene, padre? Non ha sofferto per la prigionia, non gli hanno fatto alcun male?» «Male fisico certamente no, ma c'è un'altra questione da risolvere. Pare che ieri sera a Leighton abbia avuto luogo una sorta di matrimonio tra Richard e la figlia di sir Fulke. Il ragazzo lo ammette, ma sostiene che non è stato un vero matrimonio perché l'eremita Cuthred, che lo ha celebrato, non è un prete.» «Che mi dite!» Beringar sporse le labbra in un fischio sommesso, poi si girò di scatto a guardare Astley che se ne stava zitto e vigile, consapevole della necessità di procedere con la massima cautela e riflettere bene prima di parlare. «Voi che cos'avete da dire a questo proposito, sir Fulke?» «È un'accusa assurda, priva di qualsiasi fondamento. Cuthred è venuto da noi con il consenso dei fratelli di Buildwas. Non ho mai udito una sola parola contro di lui e non credo a queste. Abbiamo sempre avuto la massima fiducia in lui.» «Questo è certamente vero», ammise l'abate. «Anche se c'è qualcosa a suo carico, le persone che hanno voluto queste nozze non lo sapevano.» «Richard però non le voleva», osservò lo sceriffo con un sorriso amaro. «Non possiamo lasciare le cose a questo punto, dobbiamo scoprire la verità.»
«Su questo siamo già d'accordo tutti», spiegò Radulfus. «Sir Fulke e io ci troveremo domattina all'eremo, dopo la prima, e sentiremo che cos'avrà da dirci Cuthred stesso. Intendevo appunto avvertirvene, sceriffo, e invitarvi ad accompagnarmi. Bene, lo spettacolo è già durato abbastanza a lungo», aggiunse, girando un'autorevole occhiata sul suo gregge attento e silenzioso. «Se volete cenare con me, Hugh, vi racconterò tutto. Robert, fate allontanare i fratelli. Mi dispiace di questo trambusto che ha turbato la nostra quiete. E voi, Paul...» Abbassò lo sguardo su Richard che stringeva con una mano una piega del saio del maestro, pronto ad aggrapparvisi con tutte le proprie forze se qualcuno avesse minacciato di trascinarlo via. «Ripulitelo per bene, rifocillatelo e portatelo da me dopo cena. Ha ancora molto da dirci. Potete andare tutti, qui non c'è più niente da vedere.» I confratelli obbedirono, rimettendosi di malavoglia ma ordinatamente in fila, senza commenti. Ne avrebbero discusso più tardi, in refettorio, con sussurri furtivi, e con la massima libertà durante l'ora di svago. Anche fratello Paul si portò via la pecorella ritrovata per ristorarla e renderla presentabile in vista dell'incontro con l'abate e lo sceriffo dopo cena, mentre Aymer Bosiet, che aveva seguito con maligna soddisfazione la scena, trovando nei guai altrui una certa consolazione per i propri, se ne tornava immusonito alla foresteria. Ma mancava qualcun altro, notò Cadfael guardandosi improvvisamente indietro: Rafe di Coventry non si vedeva da alcuna parte. Ah, sì, adesso che ci pensava, doveva essersene andato alla chetichella un po' prima che quell'avvincente spettacolo avesse termine. Perché non lo interessava? O perché vi aveva invece scoperto qualcosa che aveva destato in lui un interesse profondo e pressante? Fulke Astley rimase là, esitante, a faccia a faccia con Hugh, chiedendosi se gli sarebbe convenuto tentare di spiegarsi e giustificarsi, o ritirarsi - se gli fosse stato permesso di farlo - in dignitoso silenzio, quanto meno col minor numero di parole possibili e nessuna concessione. «Allora domani», disse, optando per la brevità, «sarò all'eremo di Cuthred come ho promesso.» «Bene, e frattanto potreste anche informare la sua protettrice del dubbio che è stato sollevato sul suo conto. Forse vorrà essere presente anche lei. Mio signore, non ho più bisogno di voi e se dovessi averne in seguito, so dove trovarvi. Dovreste forse rallegrarvi che Richard si sia liberato del suo collare. Danno riparato, prima dimenticato. Sempre che, naturalmente, non se ne abbia in programma un altro.» A quel punto Fulke se la cavò come meglio gli riuscì di fare. Dopo un
breve inchino all'abate, accennò allo stalliere che gli portasse il cavallo, montò in sella e si avviò verso la portineria, solenne e maestoso, a passo d'uomo. Mentre si dirigeva verso la casa dell'abate per il colloquio al quale era stato invitato, fratello Cadfael fu spinto da un subitaneo impulso di dare un'occhiata nelle scuderie. Il pony nero di Richard se ne stava tranquillo e soddisfatto nella sua posta, ben strigliato e rifornito di foraggio dopo quella strenua galoppata, ma il sauro dalla macchia bianca in fronte era sparito, insieme con i suoi finimenti. Qualunque fosse stato il motivo che lo aveva spronato, il falconiere era partito a cavallo per una sua misteriosa missione. Seduto su un basso sgabello accanto all'abate, Richard, ripulito, spazzolato e felice di essere a casa, raccontò la propria storia, o perlomeno quanto riteneva di poter dire senza danneggiare nessuno. Oltre a Radulfus c'erano Hugh Beringar, fratello Cadfael e fratello Paul, tuttora riluttante a perdere di vista il figliol prodigo recuperato. Richard aveva sopportato, si era persino compiaciuto di essere scrollato, sbatacchiato, strofinato, al centro del caotico procedimento dal quale era emerso lo scolaretto nitido e lustro da presentare all'esame dell'abate. Nel suo racconto vi fu qualche lacuna che, lo sapeva, avrebbe provocato altre domande, ma Radulfus era di famiglia nobile e avrebbe capito che un gentiluomo non poteva tradire chi lo aveva aiutato e nemmeno i subalterni che per ordine dei padroni lo avevano malmenato. «Li riconoscereste i due che vi hanno catturato e portato a Wroxeter?» domandò Hugh. Richard considerò per un momento l'allettante prospettiva di vendicarsi del prepotente che aveva sghignazzato dei suoi sforzi per liberarsi e lo aveva bloccato al guado, ma la scartò, seppur a malincuore, come indegna della propria nobiltà. «Non potrei dirlo con assoluta certezza, cominciava a far buio.» Nessuno insistette su quel punto. «Ti ha aiutato qualcuno a fuggire da Leighton?» domandò invece l'abate. «Mi sembra poco probabile che tu fossi in grado di liberarti da solo, altrimenti lo avresti fatto prima.» Un'altra domanda alla quale era un problema rispondere. La verità, detta lì fra amici fidati, non avrebbe arrecato alcun danno a Hiltrude, ma gliene avrebbe fatto, e come, se mai fosse giunta all'orecchio di suo padre. Me-
glio attenersi alla versione che doveva senza dubbio avere dato lei stessa, cioè che qualcuno aveva sbadatamente trascurato di chiudere la porta col catenaccio e lui se l'era svignata. Ma a Cadfael non sfuggì la lieve ondata di rossore che salì alle guance del fanciullo mentre raccontava quella parte della sua avventura con brevità e modestia che non si addicevano al caso. Se fosse stato vero, se ne sarebbe gloriato. «Astley avrebbe dovuto sapere quale pesce scivoloso aveva catturato», osservò lo sceriffo sorridendo. «Ma non ci avete ancora detto perché ve ne siete andato dall'abbazia in sella al vostro pony, tanto per cominciare, né chi vi ha raccontato che l'eremita non sarebbe un prete, come afferma di essere.» Quello era il punto cruciale e Richard vi aveva riflettuto a lungo, laboriosamente, mentre ascoltava l'affettuoso sermone di fratello Paul riguardo all'obbedienza, all'ordine e alle dolorose conseguenze alle quali si poteva andare incontro contravvenendo alle loro regole. Alzò cautamente gli occhi in viso all'abate, gettò un'inquieta occhiata a Beringar, le cui reazioni quale autorità secolare erano imprevedibili, poi disse gravemente: «Padre, ho promesso di rivelarlo a voi, ma a nessun altro. Metterei in serio pericolo una persona, se raccontassi ciò che so di lei, e sono certo che non se lo merita». «Non vorrei a nessun costo indurti a tradire qualcuno che ha avuto fiducia in te», ribatté Radulfus con la stessa gravità. «Domani verrai a confessarti da me e me lo dirai allora, facendo il tuo dovere con la certezza che quanto mi avrai confidato resterà segreto per sempre. È meglio che te ne vada a letto, adesso, perché ho la sensazione che ne abbia un gran bisogno. Portatelo pure via, Paul.» Richard fece la debita, cerimoniosa riverenza, contento di essersela cavata così a buon mercato, ma poi, passando davanti allo sceriffo, si fermò, incerto, colto da un altro pensiero. «Mio signore, avete detto che a Leighton tutti hanno sostenuto che io non ero mai stato là, naturalmente perché avevano paura ad affermare il contrario, ma lo ha dichiarato anche Hiltrude?» Hugh era capace di sommare due più due con maggiore rapidità di molti altri, ma, se lo fece, in quel caso non ne diede il minimo segno. «La figlia di Astley?» domandò, impassibile. «Non ho potuto parlare con lei, non era in casa.» Non c'era! Così non aveva dovuto mentire. Probabilmente era sgattaiolata fuori di nascosto appena uscito suo padre. Sollevato e grato al cielo Ri-
chard augurò la buonanotte a tutti e se ne andò a letto col cuore leggero. «Lo ha aiutato lei, naturalmente», osservò Beringar non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle. «Era lei pure una vittima, non meno di lui. Vedo chiaro lo schema. Richard viene preso mentre sta tornando attraverso la foresta di Eyton e che cosa c'è in quella foresta e lungo quel sentiero se non la casa di Eilmund e l'eremo? E all'eremo sappiamo che non ci è andato. Ed è proprio la figlia di Eilmund quella che è venuta da me oggi verso mezzogiorno per mandarmi a spron battuto a Leighton, dove altrimenti non sarei andato fino a domani! Però non ha mai detto chiaro e tondo da chi fosse stata informata e un paesano incontrato per caso ha dichiarato di aver visto da quelle parti un ragazzo, che sarebbe potuto benissimo essere Richard, che a sua volta non spiega come mai si trovasse solo nella foresta a quell'ora, né chi gli abbia confidato che l'eremita non è un vero prete. Padre, a me sembra che qualcuno - tralasciamo il nome! - abbia ottimi amici tra i nostri conoscenti. Spero soltanto che siano buoni giudici! Domani, a ogni modo, non vi sarà alcuna caccia. Richard è sano e salvo qui con voi, e per essere sincero, dubito che l'altra selvaggina verrà mai snidata! Bene, per domattina il nostro compito è già fissato. Vediamo di risolvere questo, anzitutto!» Subito dopo la prima, partirono a cavallo tutti e tre, l'abate, Hugh Beringar e fratello Cadfael, che quel giorno sarebbe comunque dovuto andare dal guardaboschi per controllare come andava la sua gamba. Non era la prima volta che trovava modo di combinare una visita doverosa con una ragionevole curiosità. Che poi vi fosse Hugh a spalleggiarlo era un vantaggio in più e la presenza di un altro testimone, dotato di un occhio pronto a cogliere i mutamenti anche minimi coi quali si tradiva spesso il volto di un uomo, poteva risultare preziosa in quell'incontro. La mattina era meno brumosa delle precedenti, un vento asciutto e costante spazzava le foglie cadute e creava riflessi dorati in quelle rimaste sugli alberi: fra una settimana o due, pensò Cadfael, non vi sarebbe stato più alcun rifugio per Hyacinth: se fosse arrivato a casa di Eilmund un visitatore indesiderato, persino le querce sarebbero state mezze nude. Ma fra qualche giorno, a Dio piacendo, Aymer Bosiet avrebbe abbandonato ogni pensiero di vendetta e smesso di sprecare tempo e denaro, tornandosene a casa per badare a interessi più remunerativi. La salma di suo padre era ormai chiusa nella bara e benché egli disponesse soltanto di due stallieri, c'era sempre l'ottimo cavallo di Drogo come cambio se avesse avuto fretta,
mentre non avrebbe avuto alcuna difficoltà a trovare, a ogni tappa del viaggio, portatori per la bara. Ormai aveva esplorato senza successo tutti i dintorni e dava segni evidenti di essere dibattuto fra due obiettivi, tra i quali avrebbe senza dubbio vinto il più redditizio. La liberazione di Hyacinth era forse più vicina di quanto egli pensasse. E se la meritava di certo, perché chi altri avrebbe potuto dire a Richard che l'eremita non era quello che dichiarava di essere? Hyacinth lo conosceva da prima che arrivasse lì, aveva viaggiato con lui, era il suo aiutante, poteva darsi che sapesse del suo reverendo padrone cose che nessun altro sapeva. Il fitto bosco impedì loro di vedere l'eremo finché non furono vicini e si trovarono improvvisamente davanti la radura, col suo minuscolo giardino verdeggiante circondato da un basso recinto e la piccola costruzione quadrata in pietra grigia, con le macchie più chiare delle recenti riparazioni. La porta era spalancata, come Cuthred voleva che fosse sempre per chiunque venisse a cercarlo, ma non c'era nessuno a lavorare nel giardinetto e nessun rumore provenne dalla casa quando i visitatori smontarono e legarono i cavalli fuori del recinto. L'eremita doveva essere nella sua cappella, probabilmente, a giudicare dal silenzio, immerso nella preghiera. «Entrate prima voi, padre», suggerì Hugh. «Questo fa parte della vostra giurisdizione, più che della mia.» Radulfus dovette chinare là testa per passare sotto l'architrave e rimase per qualche momento immobile, finché i suoi occhi non si furono abituati alla semioscurità dell'interno. La scarsa luce che penetrava a quell'ora dall'unica, stretta finestra era vieppiù ridotta dagli alberi vicini e lo scarso arredo della stanza andò prendendo forma lentamente: il lettuccio contro una parete, un piccolo tavolo e una panca, un piatto, un calice, una ciotola di terracotta. Oltre il vano senza battenti della cappella si scorgeva l'altare di pietra illuminato dalla piccola lampada che v'era sopra, ma nient'altro. E anche la fiammella della lampada era ridotta a poco più che un lumicino. «Cuthred!» chiamò l'abate. «Siete lì? L'abate di Shrewsbury vi saluta nel santo nome di Dio!» Gli rispose soltanto un'eco sommessa rimandata dalle spoglie pareti di pietra. Lo sceriffo avanzò fino all'apertura della cappella, ma come l'ebbe varcata si fermò di botto, trattenendo il respiro. Cuthred era lì, difatti, ma non immerso nella preghiera. Giaceva scomposto davanti all'altare, con la testa e le spalle addossate alla pietra come se fosse caduto o l'avessero gettato all'indietro mentre era girato verso il vano della porta. Il saio era ammucchiato in pieghe scure intorno al corpo, la-
sciando scoperti i piedi ossuti e le caviglie, e sul petto c'era una lunga macchia più scura, dove si era raggrumato il sangue sgorgato dalla pugnalata che lo aveva ucciso. Il volto, tra le ciocche disordinate dei capelli e la barba, era contorto in una smorfia che sarebbe potuta essere di collera o d'agonia, con le labbra tirate sui denti robusti e gli occhi semiaperti. Aveva le braccia spalancate e accanto alla mano destra, come se gli fosse sfuggito mentre cadeva, giaceva sul pavimento un lungo pugnale. Prete o non prete, Cuthred non avrebbe mai più potuto dirlo. Non v'era alcun bisogno di toccarlo per capire che era morto da alcune ore, e di morte violenta. «Cristo, aiutaci!» esclamò Radulfus in un sussurro roco, ritto come una statua accanto al corpo. «Che Dio abbia pietà di una povera vittima! Chi può aver commesso un simile delitto?» Hugh si era inginocchiato accanto al cadavere, toccandone le carni già fredde. Non v'era più niente da chiedere all'eremita Cuthred e niente da fare per lui in questo mondo, soltanto sperare nella giustizia divina. «Morto da alcune ore. La seconda vittima di un omicidio nella mia contea, quando non abbiamo ancora ripagato come si merita il colpevole del primo! In nome del cielo, quale pazzia si è scatenata in questi boschi perché si abbia a giungere a tale malvagità?» «Potrebbe esservi qualche connessione con quanto ci ha detto Richard?» si chiese l'abate. «Qualcuno lo ha forse tolto di mezzo per impedire che venisse interrogato? E seppellire con lui qualsiasi prova? Si sono fatte tante manovre per concludere quel matrimonio, col solo scopo di annettersi qualche pezzo di terra, ma un omicidio!» «Se è stato un omicidio», obiettò Cadfael come parlasse a se stesso, ma ad alta voce. Era rimasto per tutto il tempo zitto e fermo sulla soglia della cappella che rammentava molto bene, anche se vi era stato una sola volta. L'arredo era così scarso che ogni particolare gli era rimasto fisso nella mente. Più grande della stanza che la precedeva, con spazio sufficiente per muoversi liberamente, persino per una lotta, nonostante il massiccio altare di pietra, arricchito dal reliquiario di legno scolpito che reggeva un'alta croce d'argento, dai due candelieri d'argento ai lati, la lampada e davanti a quella... Ma non c'era niente, davanti a quella. Strano che il morto fosse così scomposto e in disordine, mentre sull'altare tutto era al proprio posto. Con un solo oggetto in meno, a quanto ricordava Cadfael. Il sontuoso breviario degno di un principe, rilegato in pelle lavorata a sbalzo, con orna-
menti d'oro, era sparito. Hugh intanto si era alzato e si stava guardando in giro. Erano stati lì insieme e certo i loro ricordi combaciavano. «Avete qualche motivo per dubitarne?» domandò gettando una penetrante occhiata alla mano del morto, che lui non aveva toccato. «È suo, gli è sfuggito dalle dita mentre cadeva. Ma è stato usato. Guardate, c'è del sangue sulla punta. Qualunque cosa sia accaduta, non si è trattato certamente di una pugnalata a tradimento.» Senz'alcun dubbio. La ferita era sopra il cuore, soltanto il sangue era sceso più in basso, dopo che il pugnale era stato ritratto, lasciando sgorgare insieme col sangue la vita. Il pugnale lì sul pavimento invece era macchiato per non più di un pollice oltre la punta e aveva lasciato cadere soltanto un paio di gocce sulla pietra. «Intendete dire che è stata ingaggiata una lotta?» domandò Radulfus riscuotendosi dalla sua inorridita immobilità. «Ma come poteva tenere con sé un pugnale, un santo eremita? Nemmeno per difendersi da ladri e vagabondi un uomo simile sarebbe ricorso alle armi, si sarebbe piuttosto raccomandato a Dio.» «Ma questo sarebbe stato un ladro ben strano, se si è trattato di un ladro! Qui ci sono una croce e due candelieri d'argento e non li ha neppure toccati. E li avrebbe persino rimessi a posto, se fossero caduti durante la lotta.» «Vero», convenne l'abate, scuotendo la testa su quell'inesplicabile mistero. «Questo delitto non è stato commesso a scopo di furto. Ma per che cosa, allora? Perché qualcuno avrebbe aggredito un religioso solitario, un uomo che aveva rinunciato a tutto, che non possedeva nulla di prezioso, salvo gli arredi del suo altare? Era vissuto tranquillo fra noi, sempre pronto ad aiutare e consigliare chi veniva a confidargli i propri guai e le proprie necessità! Perché qualcuno avrebbe dovuto considerare di fargli del male? Potrebbe essere stata la stessa mano che ha ucciso Bosiet, Hugh? O dobbiamo temere che vi siano due assassini fra noi?» «C'è sempre quel suo servo in giro», gli rammentò lo sceriffo, accigliandosi a quel pensiero, ma incapace di scartarlo. «Non ne abbiamo ancora trovato traccia e io comincio a pensare che possa essersi rifugiato nel Galles, però non è da escludere che sia rimasto qui nei dintorni, forse nascosto in casa di qualcuno che ha fiducia in lui. Abbiamo buoni motivi per pensarlo, come ne avrebbe avuti lui per sbarazzarsi di Bosiet, se è davvero il suo servo fuggiasco. E supponiamo che Cuthred, avendo saputo di essere stato ingannato, lo avesse scacciato e poi avesse scoperto il suo rifugio... Bene, ecco un buon motivo per uccidere anche l'eremita. Sono soltanto
congetture, naturalmente, ma da prendere comunque in considerazione.» Sì, pensò Cadfael, almeno finché Aymer Bosiet non se ne fosse tornato nel Northamptonshire e Hyacinth non fosse stato libero di uscire dal suo nascondiglio per difendersi, confortato dalle testimonianze di Eilmund, di Annet e dello stesso Richard. Fra tutti e tre avrebbero sicuramente potuto provare dove egli si trovava, in ognuno di quei momenti cruciali. No, non v'era da preoccuparsi per Hyacinth. Ma vorrei che mi avessero autorizzato fin dal principio a confidarmi con Hugh, rimpianse amareggiato il monaco. Il sole aveva ormai quasi superato la cortina degli alberi e gettava un po' più di luce sul povero corpo abbandonato ai piedi dell'altare, rivelando, tra le pieghe del saio ammassato, un punto dove due lembi della ruvida stoffa sembravano appiccicati. Cadfael si inginocchiò per staccarli e le due parti si separarono con una certa resistenza e un lieve crepitio. «Ha asciugato qui il pugnale, prima di rinfoderarlo», osservò. «Due volte», aggiunse Beringar, che aveva notato altre due pieghe leggermente incollate. Un uomo metodico, attento a pulire per bene gli strumenti, dopo un lavoro! «E guardate qui, questo reliquiario sull'altare.» Girò cautamente intorno al morto per esaminare da vicino il cofanetto di legno scolpito e passò un dito lungo il margine del coperchio, appena sopra la serratura, dove un segno inequivocabile mostrava che essa era stata forzata con la punta di un pugnale. Lo sceriffo levò la croce e alzò il coperchio, che non oppose resistenza. Il cofanetto era vuoto. Ne uscì soltanto l'aromatico odore del legno. E all'interno non v'era neppure un granello di polvere, l'artefice che lo aveva costruito era stato molto accurato nella sua opera! «Sicché qualcosa è stato rubato, dopo tutto», disse Cadfael. Non fece alcun cenno al breviario, ma era certo che Hugh avesse notato subito, lui pure, la sua scomparsa. «Ma non l'argento», ribatté Beringar. «Un eremita che cosa mai poteva possedere di più prezioso che l'argento di madonna Dionisia? È venuto da Buildwas a piedi, portando nient'altro che una bisaccia come qualsiasi altro eremita, anche se molto probabilmente Hyacinth portava qualche involto per lui. Questo cofanetto è anch'esso dono della sua protettrice o lo aveva con sé Cuthred?» Assorti com'erano tutti e tre a ponderare sugli enigmi che si presentavano loro dentro la cella, non si erano preoccupati in alcun modo di ciò che poteva accadere fuori e nessun rumore li aveva avvertiti. Nello stupore di quelle scoperte, poi, non avevano neppure fatto caso all'assenza di un altro
testimone che avrebbe dovuto partecipare a quella riunione. Ma fu una voce femminile, non quella di Astley, a parlare dal vano della porta alle loro spalle, forte e risoluta, con un tono di arrogante riprovazione. «Perché non lo chiedete a me, sceriffo? Sarebbe più semplice e corretto!» Si girarono tutti di scatto, sbigottiti, a guardare madonna Dionisia, alta, eretta e spavalda contro lo sfondo più luminoso della prima stanza. I tre uomini si trovavano fra lei e il cadavere e non v'era altro che potesse stupirla o allarmarla salvo il fatto che Hugh aveva le mani dentro il cofanetto e la croce era stata rimossa, ma lei lo notò alla prima occhiata, e ne fu indignata. «Che cos'è questa storia? Che cosa state facendo con questi oggetti sacri? E dov'è Cuthred? Come avete osato entrare mentre lui non c'è?» Radulfus si spostò per mettersi meglio fra lei e il morto, cercando di indurla a uscire dalla cappella. «Signora, vi diremo tutto, ma abbiate la compiacenza di tornare nell'altra stanza e sedervi, mentre noi finiamo di mettere ordine qui. Non abbiamo commesso nulla di irriverente, credetemi!» La scarsa luce proveniente dall'esterno fu quasi completamente oscurata dalla mole di Astley apparso alle spalle di Dionisia, come a darle man forte. Un aiuto del quale, per altro, la vecchia signora non pareva avere alcun bisogno. Rimase salda dov'era, autoritaria e sdegnosa. «Dov'è Cuthred? Sa che siete qui? Come mai si è allontanato dal suo eremo? Non lo fa mai...» Trattenne bruscamente il respiro e la bugia le morì sulle labbra. Oltre il saio dell'abate aveva visto qualcosa di chiaro che sporgeva da un ammasso di stoffa scura... un piede nudo che aveva perduto il sandalo. Lo vedeva meglio, adesso. Scansando la sua mano che cercava di fermarla, spinse di lato Radulfus e fece qualche passo avanti. Una sola occhiata bastò a fornirle la risposta a tutte le domande. Cuthred era lì, infatti, questa volta non si era allontanato dalla sua cella. L'aristocratica compostezza del suo viso divenuto color della cenere parve disintegrarsi, i lineamenti marcati si afflosciarono e con un acuto gemito, più atterrito che addolorato, madonna Dionisia si abbandonò all'indietro, tra le braccia di Fulke Astley. CAPITOLO XIII Non perse i sensi né pianse. Non era tipo da fare né l'uno né l'altro. Ma
rimase a lungo seduta sul lettuccio dell'eremita nel piccolo soggiorno, pallida ed eretta, con lo sguardo fisso davanti a sé come se vedesse oltre il muro di pietra e molto più in là. Probabilmente non udiva nemmeno le parole compassate dell'abate né l'esagitato strombazzare di Astley che di volta in volta le offriva galantemente un conforto che lei non apprezzava, o le faceva notare febbrilmente che quel delitto lasciava senza risposta tutti gli interrogativi ma finiva col confermare che l'eremita era veramente un prete e che il matrimonio da lui celebrato era un vero matrimonio. Quanto meno era chiaro che Dionisia non prestava attenzione né all'uno né all'altro. Era andata oltre considerazioni di quel genere. Tutti i suoi vecchi progetti erano divenuti irrilevanti. Aveva visto da vicino una morte improvvisa, senza né confessione né assoluzione, e non voleva che accadesse lo stesso a lei. Cadfael glielo lesse negli occhi quando uscì dalla cappella dopo aver fatto tutto il possibile per comporre decorosamente il corpo di Cuthred. Attraverso quella morte, Dionisia guardava alla propria e non aveva alcuna intenzione di affrontarla con tutti i suoi peccati sulla coscienza. Fra molti anni, sperava, ma aveva avuto l'avvertimento che, se fosse stata preparata per quel momento, la morte non sarebbe stata totale. Finalmente domandò, con voce normale e forse più dolce di quella che usava di solito con i domestici o gli affittuari, ma senza muoversi: «Dov'è lo sceriffo?» «È andato a chiamare gli uomini per portare via Cuthred», rispose l'abate. «A Eaton, se volete, visto che eravate la sua protettrice, oppure, se può servire a risparmiarvi dolorose reminiscenze, all'abbazia, dove sarà ricevuto con ogni riguardo.» «Ve ne sarò molto grata. Io non so più che cosa pensare», mormorò lei scuotendo la testa. «Fulke mi ha riferito ciò che va dicendo mio nipote e l'eremita ormai non è più in grado di difendersi. Né posso farlo io per lui. Ma non ho il minimo dubbio che fosse un prete.» «Non ne ho mai dubitato nemmeno io, signora», confermò Radulfus. Gli occhi di Dionisia avevano perduto la loro fissità e un po' di colore era riapparso sul suo viso cinereo. Stava ritrovando se stessa e ben presto si sarebbe riscossa, tornando a guardare la realtà del mondo intorno a lei, invece che le brume lontane del giorno del giudizio. Quando avrebbe certo affrontato ciò che doveva con lo stesso indomito coraggio e la caparbietà con i quali aveva condotto le sue battaglie terrene. «Padre», disse, rivolgendosi all'abate con fredda determinazione, «se domani venissi all'abbazia, ascoltereste voi stesso la mia confessione?
Dormirò meglio quando mi sarò tolta il peso dei miei peccati.» «Certamente», promise Radulfus. Era pronta a tonare a casa, e Fulke era fin troppo ansioso di farle da scorta. Nessun dubbio che, mentre pareva avere così poco da dirle lì in mezzo ad altra gente, sarebbe diventato molto loquace non appena fossero stati soli. Non era intelligente come lei, né possedeva altrettanta prontezza di spirito. Se la morte di Cuthred gettava qualche ombra su di lui, Fulke non se ne rendeva nemmeno conto. Per lui, la sola preoccupazione che ne derivava era l'impossibilità di provare la validità del matrimonio di sua figlia, non quella di una mano pesante che gli si posasse su una spalla. Così almeno parve a Cadfael, osservandolo mentre prendeva sottobraccio Dionisia per accompagnarla verso il suo ginetto e sottrarsi insieme con lei all'inquietante presenza dell'abate. All'ultimo momento, già con le redini in mano, la nobile signora si girò bruscamente. Il suo viso aveva ritrovato tutta la propria orgogliosa risolutezza, era di nuovo lei. «Mi è tornato in mente soltanto adesso», disse, «che messer lo sceriffo si era chiesto qualcosa riguardo al reliquiario sull'altare. Era di Cuthred. Se l'era portato con sé.» Quando Radulfus e Beringar se ne furono andati, insieme con gli uomini che portavano la barella, Cadfael si diede un'ultima occhiata intorno, nella cappella deserta, libero di concentrarsi meglio su ciò che vedeva, adesso che non c'era più niente a distrarlo. Non v'era alcuna macchia di sangue sulle pietre del pavimento dov'era caduto Cuthred, soltanto le due o tre gocce cadute, poco lontano, dal suo pugnale. L'eremita aveva senza dubbio ferito il proprio aggressore, anche se il taglio non poteva essere stato molto profondo. Poi il monaco scorse alcune lievi orme tra l'altare e la porta e, accesa una candela, le seguì attentamente, ma non scoprì altro lì nella cappella; e nell'altra stanza, dove il pavimento era di terra battuta, sarebbe stato assai difficile ritrovare tracce così esigue dopo tante ore. Scoprì invece qualcosa sulla porta: tre gocce di sangue sulla pietra della soglia, essiccate ma chiaramente visibili, e, sul legno nuovo e immacolato col quale era stato riparato lo stipite sinistro, una striatura rossastra e confusa all'altezza della sua spalla, dove evidentemente una manica squarciata e intrisa di sangue l'aveva sfiorato. Un uomo non più alto di lui, dunque, che il pugnale di Cuthred aveva colto alla spalla o nella parte superiore del braccio, sul lato sinistro, come
avrebbe potuto fare un colpo che mirava al cuore. Cadfael aveva avuto l'intenzione di arrivare a cavallo fino alla casetta di Eilmund, ma poi cambiò improvvisamente idea, perché gli sembrò più opportuno essere presente all'abbazia quando si fosse portato nella grande corte il corpo di Cuthred e osservare le diverse reazioni che quell'evento avrebbe provocato: la costernazione di molti, il sollievo, forse, di alcuni e il possibile pericolo per uno in particolare. Montò dunque in sella ma, invece di avviarsi verso i sentieri della foresta, tornò in fretta verso Shrewsbury per raggiungere il piccolo corteo funebre. Ebbero un curioso pubblico, non appena raggiunsero il Foregate; i soliti ragazzini incuriositi con i cani che si misero alle loro calcagna lungo tutta la strada maestra e persino rispettabili borghigiani li seguirono con maggiore discrezione, un poco intimiditi dalla presenza dell'abate e dello sceriffo ma avidi di notizie e ronzanti come mosche sui letamai in estate. Persino quando il modesto corteo svoltò nella portineria, quella brava gente che tornava dal mercato, dal lavoro o dalla taverna si accalcò davanti al portone per scrutare speranzosamente all'interno, continuando compiaciuta nelle proprie congetture. E là nella grande corte, mentre loro portavano un feretro all'interno, un altro accompagnamento funebre si apprestava a uscirne. La bara sigillata di Drogo Bosiet era stata messa su un carretto basso e leggero, noleggiato in città insieme con un carrettiere per la prima giornata del viaggio, quando si sarebbero percorse strade comode. Warin teneva per le briglie due cavalli sellati, mentre lo stalliere più giovane era occupato a sistemare un rotolo da sella per equilibrarne il peso prima di caricarlo. Alla vista di quei preparativi, Cadfael ringraziò mentalmente il cielo. Un pericolo, almeno, si stava allontanando, persino più presto di quanto egli avesse osato sperare. Aymer aveva finalmente deciso. Tornava a casa, ad assicurarsi l'eredità. Gli accompagnatori di un morto non poterono fare a meno di fermarsi per osservare gli accompagnatori dell'altro e Aymer, che stava uscendo dalla foresteria con fratello Denis, venuto ad augurargli buon viaggio, si fermò in cima alla gradinata a guardare la scena, sorpreso e incuriosito, indugiando con lo sguardo soprattutto sulla figura e sul viso coperti. Poi scese risolutamente e si avvicinò a Beringar, che stava smontando. «Che cos'è accaduto, sceriffo? Un altro morto? Avete stanato finalmente la mia selvaggina, morta?» Non sapeva nemmeno lui se rallegrarsi o dolersi, nel caso che quel cadavere fosse veramente quello del suo servo fuggi-
to. Il denaro e i favori che l'abilità di Brand gli procurava erano considerevoli, ma anche la vendetta poteva essere soddisfacente, giunta oltretutto quando lui disperava ormai di ottenere quelli o questa e aveva deciso di tornarsene a casa. Era smontato anche Radulfus, e osservava un po' stupito quei due gruppi che sembravano quasi l'immagine speculare l'uno dell'altro, raccolti intorno a un morto che arrivava e a uno che partiva. Persino gli stallieri dell'abbazia, accorsi a prendere le briglie dell'abate e dello sceriffo, si erano fermati ai margini dell'adunanza, restii ad allontanarsi. «No», rispose Hugh. «Non è il vostro servo. Se pure lo è il giovane che stiamo cercando. Comunque non ne abbiamo trovato traccia. State tornando a casa, voi?» «Ho già sprecato abbastanza tempo e denaro e non intendo sciuparne altro, benché non mi sorrida affatto il pensiero di lasciarlo libero. Sì, ce ne andiamo. C'è bisogno di me a casa. Ma chi è questo poveretto che avete riportato?» «L'eremita arrivato non molto tempo fa nella foresta di Eyton. Vostro padre era andato per l'appunto da lui, pensando che il suo aiutante potesse essere il servo che cercava, ma quello se l'era già data a gambe, così non è stato possibile accertarlo.» «Sì, lo so, me lo ha detto il padre abate. Sicché questo è l'eremita! Io non sono neppure tornato da lui. A che scopo, se tanto il giovane che teneva con sé era sparito?» Bosiet abbassò gli occhi sulla figura ricoperta dalla testa ai piedi sulla lettiga che i portatori avevano posato a terra, in attesa di sapere dove avrebbero dovuto portare il morto, poi si chinò e gli scoprì il viso. Le ciocche di capelli che gli erano cadute sulla fronte erano state rimesse a posto, la barba era in perfetto ordine e la piena luce del giorno illuminava un viso scarno, dagli occhi incassati nelle orbite, un naso dritto e labbra carnose nella cornice della barba scura. Un viso perfettamente ricomposto, nella sua severa bellezza. Aymer si chinò a guardarlo meglio, stupito e incredulo. «Ma io lo conosco, quest'uomo! Be', non esattamente. Non ha mai detto il proprio nome, ma l'ho visto, ho parlato con lui. Un eremita? Non ne aveva certo l'aspetto. Portava i capelli acconciati alla normanna, la barba più corta e accuratissima e un perfetto equipaggiamento per cavalcare, con stivali e tutto quanto. Non certo un simile saio scuro e sandali! Ed era anche regolarmente armato di spada e pugnale, con l'aria di sapere bene come usarli.»
Non si rese pienamente conto del significato di ciò che aveva detto finché non alzò di nuovo gli occhi, ma il viso intento dello sceriffo e la sua immediata domanda gli fecero capire di avere toccato un tasto assai più importante di quanto lui potesse immaginare. «Ne siete certo?» domandò Hugh. «Certissimo. Abbiamo alloggiato nello stesso posto per una sola notte, ma prima di cena io ho giocato a dadi con lui e dopo mio padre ha fatto una partita a scacchi. Ne sono certissimo.» «Dove? E quando?» «A Thame, mentre eravamo diretti a Londra per cercare Brand. Ci eravamo fermati a dormire nella nuova abbazia dei monaci bianchi e lui era arrivato prima di noi. Non saprei dire esattamente che giorno fosse, ma era verso la fine di settembre.» «Allora», insistette Beringar, «se lo avete riconosciuto voi, mutato com'è, dovrebbe averlo riconosciuto alla prima occhiata anche vostro padre, no?» «Senza dubbio. Aveva occhi anche più acuti dei miei e lo aveva avuto di fronte per un'intera serata, a faccia a faccia sopra una scacchiera. Deve averlo riconosciuto senz'altro.» E così era stato, rifletté Cadfael, quando egli era andato a caccia del proprio servo alla cella dell'eremita nella foresta e si era trovato di fronte a quel Cuthred che era stato tutt'altro che un eremita fino a circa un mese prima. E non era vissuto abbastanza per tornare all'abbazia e rivelare a qualcuno ciò che aveva appreso. Ma se non avesse saputo niente di male sul conto dell'uomo che aveva subito una simile metamorfosi? Anche in tal caso avrebbe potuto lasciar cadere in altre orecchie qualche parola che significava per loro assai più di quanto non significasse per lui, indirizzando così verso l'eremo nella foresta di Eyton qualcuno che era alla caccia di ben altro che un servo fuggiasco e sicuramente peggio di un prete spurio. Ma non era arrivato oltre il folto della foresta, abbastanza lontano dall'eremo per non attirare alcun sospetto su un supposto sant'uomo che notoriamente non lasciava mai la sua cella. Il concorso delle circostanze non è una prova certa, eppure Cadfael non nutriva più alcun dubbio. Lì davanti a loro la salma nella bara sigillata e il cadavere giacquero per qualche momento a fianco a fianco, prima che il priore Robert mandasse i portatori alla cappella mortuaria e Aymer Bosiet ricoprisse il viso di Cuthred e tornasse ai propri preparativi per la partenza, con la mente senza dubbio assorta in altri pensieri. Sarebbe stato indiscreto
disturbarlo proprio allora, ma il monaco non seppe resistere all'impulso. «Che sorta di cavallo montava l'uomo che avete visto a Thame quella sera?» Aymer smise di allacciare le cinghie delle sue borse da sella e si girò stupito, aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse, perplesso, corrugando la fronte per richiamare i ricordi di quella sera. «Come ho detto, era arrivato prima di noi e nella stalla c'erano due cavalli quando siamo arrivati noi. E quando siamo partiti, lui se n'era già andato. Ma ora che me lo chiedete... gli altri due cavalli erano ancora là quando siamo andati a riprendere i nostri. Strano! Un uomo così ben messo, armato di tutto punto... un cavaliere all'apparenza, che cosa poteva fare senza un cavallo?» «Chissà, forse lo aveva lasciato da qualche altra parte», obiettò Cadfael, senza dar peso a quell'interrogativo, come se fosse insignificante. E invece no, non era insignificante, fu la chiave per aprire una strana porta nella sua mente. Lì, davanti a tanti occhi, giacevano a fianco a fianco l'uccisore e l'ucciso, giustizia era già stata fatta. Ma chi, dopo, aveva ucciso l'uccisore? Se n'erano andati tutti, Aymer in sella al roano del padre, Warin tenendo per le redini quello col quale era venuto Aymer e lo stalliere più giovane insieme col carro e il carrettiere, ma dopo le prime tappe del viaggio Bosiet avrebbe probabilmente proseguito con maggiore rapidità, lasciandosi indietro gli stallieri con la bara e forse anche mandando poi altri uomini a dare loro il cambio, quando fosse arrivato a casa. Nella cappella mortuaria, Cadfael aveva visto il corpo di Cuthred esposto dignitosamente, con barba e capelli ben acconciati, non forse come li aveva il cavaliere a Thame, ma comunque quanto bastava perché il suo viso, nell'austera, serena immobilità della morte, sembrasse quello di un rispettabile religioso. Ingiusto che un assassino apparisse, dopo morto, nobile come un paladino. Hugh era a colloquio con l'abate e non aveva ancora detto a Cadfael che cosa pensasse della testimonianza di Bosiet, ma dalle domande che aveva fatto appariva chiaro che aveva rilevato le stesse correlazioni e di conseguenza non poteva mancare di giungere alla medesima conclusione, ma ne avrebbe parlato prima con Radulfus. Il mio compito, ora, pensò Cadfael, è quello di far uscire Hyacinth dal suo nascondiglio perché possa scrollarsi di dosso ogni sospetto di reità. Salvo, naturalmente, qualche occasionale
furtarello per riempirsi lo stomaco quand'era in fuga e un paio di bugie per restare vivo. E Hugh non gli farà colpa né di quelli né di queste. Così sarà anche risolto una volta per tutte, se c'è ancora qualche dubbio al riguardo, il problema dello stato sacerdotale di Cuthred. Una conversione improvvisa può fare di un soldato un eremita, sì, ma ci vuole un po' più di tempo per farne un prete. Andò ad aspettare Hugh nel laboratorio dell'erbario, dove lui sarebbe certo venuto a cercarlo, dopo il colloquio con Radulfus. Era rimasto troppo a lungo lontano da quel suo regno odoroso di buone erbe aromatiche, negli ultimi giorni, e ora avrebbe dovuto provvedere alla preparazione di sciroppi e pozioni per l'inverno, prima che cominciassero tossi e raffreddori e le vecchie ossa tornassero a scricchiolare. Del suo aiutante, fratello Winfrid, ci si poteva fidare tranquillamente per quanto riguardava i lavori nel giardino, zappare, diserbare, piantare, ma lì dentro aveva ancora molto da imparare. Un'ultima cavalcata da Eilmund per vedere come sta e informare Hyacinth che è finalmente libero di uscire e sgomberare il terreno da ogni equivoco, poi potrò tornare qui e rimettermi al lavoro, concluse fra sé Cadfael. Hugh arrivò poco dopo dal giardino e sedette accanto all'amico con un fugace sorriso preoccupato cui seguì qualche momento di silenzio. «Quello che non capisco», disse poi, «è: perché? Chiunque fosse, qualunque cosa avesse fatto in precedenza, qui sembra che abbia condotto una vita irreprensibile. Quale pericoloso segreto poteva nascondere, per voler chiudere la bocca a Bosiet? Cambiare aspetto e modo di vivere può destare qualche sospetto, ma non è certo un delitto. Che cosa c'era, oltre a quello, che potesse giustificare un omicidio? Che cosa, di tale gravità, se non l'omicidio stesso?» «Ah!» disse Cadfael con un sospiro di sollievo. «Sì, penso che abbiate visto tutto ciò cui ho assistito io. Ma no, non credo che fosse un omicidio quello che aveva da nascondere nell'oscurità di un saio da eremita e di una cella nella foresta. L'avevo pensato anch'io, ma non è così semplice.» «E come al solito», osservò lo sceriffo con quel suo improvviso sorrisetto sbilenco, «sono convinto che sappiate qualcosa che io non so. E che cos'era quella storia del suo cavallo, a Thame? Che cosa c'entra in tutto questo il suo cavallo?» «Non il suo cavallo, ma il fatto che non ne avesse uno. Che ci fa un soldato o un cavaliere in viaggio a piedi? Ma per un pellegrino sarebbe normale, non se ne stupirebbe nessuno. Quanto a sapere qualcosa più di voi,
ve lo avrei detto da tempo, se avessi potuto... Sì, Hugh, è così. So dov'è Hyacinth, ma mio malgrado avevo promesso di non dire niente finché Aymer Bosiet non avesse rinunciato alla caccia e se ne fosse tornato a casa. Finalmente lo ha fatto e quel figliolo può uscire allo scoperto e mettere tutto in chiaro, come, credetemi, è in grado di fare.» «È così, dunque», accondiscese Beringar, guardando l'amico senza eccessivo stupore. «Bene, non posso biasimarlo per la sua diffidenza, che cosa ne sa di me? E per quanto mi risultava allora, sarebbe potuto benissimo essere lui l'assassino di Drogo, nessun altro sembrava avere un movente più valido del suo. Adesso non ha più bisogno di dire niente al riguardo, il debito è stato pagato. E quanto alla sua libertà, non ha niente da temere da parte mia. Fatelo pure uscire quando volete. Potrebbe avere qualcosa da dirci su alcuni punti ancora oscuri.» Cadfael fu d'accordo con lui, ripensando al pochissimo che Hyacinth aveva detto riguardo ai propri rapporti con l'eremita. Franco e sincero, tra amici, a proposito delle proprie vicissitudini e del guaio combinato nel bosco ceduo di Eilmund, si era sempre scrupolosamente astenuto dal gettare la minima ombra su Cuthred. Ma ora che Cuthred era morto e si sapeva che era stato un omicida, forse il suo ex aiutante sarebbe stato altrettanto franco sul suo conto, anche se probabilmente non sapeva niente di eventuali misfatti da lui commessi e men che meno di omicidi. «Dov'è adesso?» domandò Hugh. «Non lontano, suppongo, se è stato lui a informare Richard che poteva acconsentire tranquillamente a quelle nozze, perché non avrebbero avuto alcun valore. E chi altri poteva sapere che l'eremita era un impostore?» «È a casa di Eilmund, infatti», confessò Cadfael. «Ospite assai gradito a padre e figlia. Stavo appunto per andare là, a vedere come sta il nostro guardaboschi. Debbo riportare Hyacinth con me?» «Meglio ancora, vengo con voi. È preferibile che non lasci il suo rifugio, finché non avrò trasmesso ai miei uomini l'ordine ufficiale di sospendere le ricerche e comunicato che il ricercato è prosciolto da ogni accusa ed è libero di andare in città a cercare lavoro, come chiunque altro.» Quando andò a sellare il suo cavallo, Cadfael trovò nella stalla il sauro dalla macchia bianca in fronte che se ne stava immobile come una statua lucente sotto le cure affettuose del suo padrone, che lo stava strofinando sino a farlo sembrare di rame. Rafe di Coventry si girò a guardare chi fosse entrato e lo accolse con quel suo sorriso guardingo e misurato che Cadfael
cominciava a conoscere così bene. «Costretto a uscire di nuovo, fratello? Dovete avere avuto una giornata un po' pesante!» «Lo è stata per tutti», sospirò il monaco sistemando la sella. «Ma possiamo sperare che il peggio sia passato. E voi? Avete avuto successo nei vostri affari?» «Sì, grazie! Tutto bene. Ripartirò domattina dopo la prima», spiegò il falconiere con la solita voce piana e misurata, guardando dritto negli occhi Cadfael. «Ho già avvertito fratello Denis.» Lui continuò a sistemare i finimenti in silenzio per un paio di minuti. «Se intendete andare lontano, domani», osservò poi in tono indifferente, «penso che possiate avere bisogno del mio aiuto, prima di mettervi in viaggio. Vi ha fatto sanguinare», aggiunse, come se fosse necessaria una spiegazione. E poiché Rafe continuava a tacere, continuò: «Fa parte dei miei compiti prendermi cura di malattie e ferite. Un'opera che non richiede il segreto confessionale, ma comunque una doverosa reticenza». «Ho già perduto sangue altre volte», ammise Rafe, e il suo sorriso stavolta oltrepassò i limiti consueti. «Come volete, ma io sono qui. Se ne avrete bisogno, venite da me. Non è prudente trascurare una ferita, né metterla a dura prova con una lunga cavalcata.» Cadfael si assicurò che il sottopancia fosse ben stretto poi prese le briglie e il cavallo scalpitò leggermente, ansioso di muoversi. «Grazie, ma con questo non mi impedirete di partire», ribatté il falconiere con un tono che lasciava trasparire, sotto l'amabilità, un serio ammonimento. «Ho forse cercato di farlo?» replicò il monaco montando in sella, e uscì nel cortile senza aspettare risposta. «Non ho mai detto a nessuno tutta la verità», confessò Hyacinth seduto accanto al focolare nella casetta di Eilmund, così che il riverbero delle fiamme conferiva al suo viso un luccicore bronzeo. «Nemmeno ad Annet. Per quanto riguarda me, sì, le ho detto quanto di peggio avrei potuto dire, ma non sul conto di Cuthred. Sapevo che era un furfante e un vagabondo, ma lo ero anch'io, e non mi risultava che avesse colpe più gravi, perciò ho tenuto la bocca chiusa. Un furfante alla macchia non ne tradisce un altro. Ma adesso voi mi dite che è stato anche un assassino.» «È sfuggito a ogni castigo», sottolineò lo sceriffo. «Almeno in questo mondo. Ho bisogno di sapere tutto quanto potete dire. Dove vi siete unito a
lui?» «Al priorato cluniacense di Northampton, come ho già detto a Eilmund e ad Annet, ma non come ho raccontato allora. Non portava affatto il saio da pellegrino, ma ottimi indumenti scuri, con mantello e cappuccio, ed era armato, benché tenesse nascosta la spada per quanto possibile. Fu quasi per caso che ci mettemmo a chiacchierare, o quanto meno così avevo pensato. Ma, molto probabilmente, lui aveva intuito che io stavo fuggendo da qualcosa e non ha fatto mistero di essere anche lui un fuggiasco, suggerendo che saremmo stati più al sicuro, avremmo attirato meno l'attenzione, se fossimo rimasti insieme. Eravamo diretti entrambi verso nord-ovest ed è stata sua l'idea del pellegrino. Aveva il viso e il portamento adatti. Bene, lo avete visto, lo sapete. Io ho rubato il saio per lui al priorato, la conchiglia non è stato difficile procurarsela e la medaglia di san Giacomo l'aveva già... forse se l'era pure meritata in qualche modo, chi lo sa! Quando siamo arrivati a Buildwas aveva ormai imparato alla perfezione la propria parte e barba e capelli erano cresciuti adeguatamente. Proprio il tipo che serviva alla signora di Eaton per i suoi scopi, anche se non sapeva niente di lui, salvo il fatto che intendeva guadagnarsi il proprio mantenimento al suo servizio. Le ha detto di essere un prete e lei lo ha creduto, ma io sapevo che non lo era, lo ha riconosciuto lui stesso quando ci siamo ritrovati soli. Ne ha riso addirittura! Però aveva un dono per le lingue, sapeva cavarsela benone. E la signora lo ha sistemato all'eremo, così vicino al bosco dell'abbazia da potervi provocare tutti i danni possibili per far dispetto all'abate. Dopo me ne sono addossato io la colpa, dicendo che Cuthred non ne sapeva niente: ho mentito per salvarlo. E lui non ha mai parlato male di me, come io non lo avrei mai fatto sul suo conto.» «Però vi ha abbandonato non appena ha saputo che eravate ricercato», obiettò freddamente Hugh. «Non dovete avere scrupoli a dire tutto ciò che sapete di lui.» «Bene... io sono vivo e lui è morto! Ormai è acqua passata. Sapete qualcosa di Richard? Ci siamo parlati una sola volta, ma lui mi considerava un uomo libero, non avrebbe mai permesso che mi scoprissero e mi riportassero in schiavitù e questo mi ha restituito il rispetto di me stesso. Soltanto più tardi ho saputo che era stato rapito a quel modo sulla via del ritorno, ma io ero costretto a fuggire o a nascondermi e ho preferito nascondermi finché non avessi potuto darmi da fare per trovarlo. Se non fosse stato per la generosità di Eilmund, per giunta dopo che gli avevo procurato quel bel guaio, i vostri uomini avrebbero potuto prendermi una dozzina di volte.
Ma adesso sapete che io non ci sono entrato per niente con la morte di Bosiet e tanto Eilmund quanto Annet potranno dirvi che non mi sono mai allontanato di un passo da qui dopo essere tornato da Leighton. Di quanto può essere accaduto a Cuthred non ne so più di voi.» «Meno, direi», ribatté amabilmente Beringar e guardò sorridendo Cadfael seduto dalla parte opposta del camino. «Bene, tutto sommato potete ritenervi fortunato. Da domani, nemmeno i miei uomini saranno più un pericolo per voi, siete libero di andare in città a cercarvi un lavoro. Quale dei vostri due nomi scegliereste per la vostra nuova vita? Meglio che ne conserviate uno solo, così sapremo tutti con chi abbiamo a che fare.» «Quello che preferirà Annet. Sarà lei che dovrà chiamarmi con l'uno o con l'altro per tutta la vita.» «Be', quanto a questo, forse avrei anch'io qualcosa da dire», ammonì Eilmund. «Cercate di essere meno sfacciato, o vi farò sudare per ottenere il mio consenso!» Ma sembrava più che ben disposto a quel riguardo, come se in pratica avessero già raggiunto un accordo del quale il suo scontroso ammonimento era soltanto un burbero contrappunto. «A me è piaciuto subito Hyacinth», intervenne Annet, che si era tenuta in disparte com'era dovere di una figlia obbediente, sempre pronta con coppe e caraffa, ma senza interferire negli affari degli uomini. Non per modestia o sottomissione, pensò Cadfael, ma perché aveva già quello che voleva ed era certa che nessuno, né sceriffo, né padre, né padrone, avrebbe potuto, e nemmeno voluto, strapparglielo. «Resterete Hyacinth», dichiarò serenamente, «e lascerete perdere Brand.» Un saggio proponimento. Non v'era senso a tornare al passato, e persino a guardarsi indietro. Brand era stato un servo della gleba, senza un palmo di terra, nel Northamptonshire. Hyacinth sarebbe stato un uomo libero e un apprezzato artigiano a Shrewsbury. «Esattamente un anno dopo che avrò trovato qualcuno disposto a prendermi», dichiarò Hyacinth, «tornerò a chiedere il vostro consenso, mastro Eilmund, non prima!» «E se riterrò che ve lo siate guadagnato, lo avrete senz'altro», promise il guardaboschi. Tornarono insieme nel buio crescente, come avevano fatto tante volte dal loro primo incontro in una circospetta contesa, astuzia contro astuzia, giungendo a un accordo perfetto alla fine della partita, ormai amici fidati. La sera era immobile e dolce, il mattino sarebbe stato di nuovo brumoso,
trasformando i lussureggianti campi della valle in un ondulato mare verdegrigio. La foresta odorava d'autunno, di frutti maturi, di terra umida, di funghi erompenti, dell'intenso, caldo sentore di foglie fradicie. «Io sono andato contro la mia natura», si confidò Cadfael. «Lo so. Ho intrapreso la vita monastica, ma adesso non sono tanto sicuro che riuscirei a sopportarla senza di voi, senza queste escursioni rubate fuori delle mura. Perché, alla resa dei conti, questo sono. Vero, si tratta quasi sempre di evasioni legittime, per incarichi particolari, ma io ne approfitto, mi prendo più del dovuto. E quel che è peggio, Hugh, non me ne pento affatto! Pensate che entro i limiti della grazia vi sia spazio per un uomo che, dopo essersi assunto il compito di arare, abbandona ogni suo compito per tornare fra pecore e agnelli?» «Io penso che le pecore e gli agnelli direbbero senz'altro di sì», rispose lo sceriffo, serio e sorridente a un tempo. «Pregherebbero sicuramente per lui. Anche la pecora nera e quella grigia, delle quali avete ugualmente perorato la causa con Dio e con me.» «Quasi mai sono completamente nere», obiettò Cadfael. «Chiazzate, tutt'al più, come questo vostro agile cavallo. Tutti abbiamo qualche macchiolina, che dovrebbe renderci più tolleranti nel giudicare le altre creature di Dio. Tuttavia, io ho peccato, e quasi sempre godendo del mio sbaglio. Dovrei farne penitenza restandomene doverosamente chiuso dentro le mura per tutto l'inverno e, nel caso che mi mandassero fuori con qualche incarico, svolgerlo con la massima premura e tornare subito indietro.» «A meno che non troviate sulla vostra strada un'altra pecorella smarrita. E quando comincerà questa vostra penitenza?» «Non appena sarà felicemente sbrogliata questa nostra matassa.» «Oh, un responso da oracolo!» rise Hugh. «E quando lo sarà?» «Domani», asserì il monaco. «Se Dio vorrà, domani!» CAPITOLO XIV Mentre attraversava la grande corte diretto alle scuderie, tirandosi dietro il cavallo e con un'ora buona davanti a sé prima di compieta, Cadfael vide madonna Dionisia che, evidentemente uscita dalla casa dell'abate, andava con passo misurato e il capo coperto verso la foresteria. Teneva le spalle ben dritte come al solito, ma nell'insieme appariva un po' meno altera, con la testa china e gli occhi bassi invece che spavaldamente fissi davanti a sé. Della sua confessione non sarebbe trapelata una sola parola, ma il monaco
non dubitava che avesse detto tutto quanto le pesava sul cuore, non era donna da fare le cose a metà. E non vi sarebbe più stato alcun tentativo di strappare Richard alla tutela di Radulfus. La nobile dama aveva subito una sconfitta troppo grave perché volesse correre di nuovo il rischio, almeno finché il tempo non avesse offuscato il ricordo della morte improvvisa, senza sacramenti, alla quale si era trovata di fronte. E pareva che avesse l'intenzione di trattenersi per tutta la notte, forse per proporre, l'indomani, una pace completa col nipote a quell'ora profondamente addormentato nel suo letto, grazie a Dio non sposato e di nuovo lì dove desiderava essere. Anche i suoi compagni avrebbero dormito tranquilli, quella notte, assolti da ogni colpa e liberi da ogni pensiero per Richard, ormai ritrovato. Ampia materia per un devoto rendimento di grazie. Quanto all'uomo che giaceva nella cappella mortuaria, sotto un nome che difficilmente, a quanto pareva, poteva essere il suo, non gettava alcuna ombra sul mondo dei fanciulli. Cadfael si fermò nel cortile delle scuderie, illuminato da due torce ai lati della porta, a dissellare e strigliare il cavallo. Nel silenzio rotto soltanto dai sospiri di una lieve brezza levatasi con la sera e da qualche occasionale rumore di zoccoli nelle stalle, sistemò l'animale nella sua posta, appese i finimenti e si voltò per uscire. Ma c'era qualcuno sulla porta, serio e immobile. «Buonasera, fratello», disse Rafe di Coventry. «Oh, siete voi! Cercavate me? Mi dispiace di avervi fatto aspettare fino a quest'ora, quando dovrete alzarvi presto per un lungo viaggio, domattina.» «Vi ho visto arrivare. Mi avete fatto un'offerta e, se è ancora valida, vorrei approfittarne. È difficile medicarsi una ferita con una mano sola!» «Bene, venite, allora. Andiamo nel mio rifugio in giardino, dove non ci disturberà nessuno.» Non era ancora completamente buio e le ultime rose si profilavano una per una sugli steli divenuti troppo alti, rimaste con metà dei loro petali e di un pallore spettrale nella semioscurità. Nell'erbario, riparato dall'alto recinto, si attardava ancora un po' di calore. «Aspettate», disse Cadfael, «accendo un lume.» Trafficò per qualche momento con esca e acciarino e finalmente lo stoppino della lampada prese fuoco. Rafe aspettò senza un gesto né una parola finché la fiamma non fu alta e ferma, poi entrò a sua volta nella capanna e rivolse uno sguardo stupito e curioso sullo schieramento di vasi e bottiglie
grandi e piccoli, di bilancine e mortai e sui fasci fruscianti di erbe appesi al soffitto. Si levò in silenzio la giacca e sfilò cautamente il braccio dalla manica della camicia, mentre il monaco sistemava la lampada in modo che illuminasse direttamente il bendaggio macchiato e raggrinzito che ricopriva la ferita, poi sedette paziente e attento sulla panca contro la parete, scrutando il volto segnato dal tempo chino su di lui. «Fratello», proruppe all'improvviso, «penso di dovervi almeno un nome.» «L'ho già un nome. Rafe basta.» «Per voi, forse, ma non per me. Dove ricevo aiuto, generosamente offerto, lo ripago con la verità. Mi chiamo Rafe de Genville.» «Restate fermo, adesso. La benda è appiccicata, vi farò male.» Il bendaggio si staccò con uno strappo, ma se fece veramente male, de Genville lo sopportò con indifferenza, come aveva sopportato in precedenza il dolore. La ferita era lunga, dalla spalla per un buon tratto del braccio, per fortuna non profonda, ma per la sua posizione i margini restavano aperti e una mano sola non era bastata per tenerli accostati e girare contemporaneamente la benda attorno al braccio. «State fermo!» ripeté Cadfael. «Debbo accomodarvi per bene questo squarcio, altrimenti vi resterà una brutta cicatrice. Ma avrete bisogno di aiuto per medicarlo di nuovo.» «Non sarà difficile trovarlo, quando sarò lontano da qui e nessuno si preoccuperà di sapere come l'ho ricevuto. Ma voi lo sapete, vero, fratello? Vi ha fatto sanguinare, avete detto. Non vi sfugge molto di ciò che accade intorno a voi, ma forse c'è qualcos'altro che posso dirvi io. Sono Rafe de Genville, vassallo e amico di Brian FitzCount e fedele seguace della nostra signora, l'imperatrice. Non sopporterò che si arrechi alcun danno all'uno o all'altra finché avrò vita. E quello là non farà più sanguinare nessuno, né un partigiano del re né un adepto di Goffredo d'Angiò, come penso fosse il suo scopo finale, quando ne avesse avuta l'opportunità.» Il monaco avvolse strettamente una nuova benda intorno alla lunga ferita. «Mettete la destra qui, e tenetela ferma, la ferita si cicatrizzerà più in fretta. Non sanguinerà più, o ben poco, ma cercate di non stancarvi troppo durante il viaggio, riposate il più possibile.» «Lo farò.» La fasciatura avvolgeva la spalla e il braccio, ben stretta e senza una grinza. «Ci sapete fare con le mani, fratello! Se potessi, vi porterei via con me, come preda di guerra!» «Avranno davvero bisogno di tutti i medici e i chirurghi possibili a O-
xford, temo», convenne tristemente Cadfael. «Non vi saranno irruzioni a Oxford finché il conte non porterà là il suo esercito. E dubito che avvenga anche allora. Comunque, io tornerò da Brian a Wallingford, prima, per restituirgli ciò che gli appartiene.» Cadfael assicurò per bene il bendaggio sopra il gomito poi resse la manica della camicia mentre Rafe vi infilava il braccio. Sedette accanto a lui, a faccia a faccia, occhi negli occhi. Il silenzio che scese fra loro era come la sera, mite, tranquillo, un po' malinconico. «È stato un confronto leale», disse Rafe dopo un lungo momento, fissando il vuoto davanti a sé come se rivedesse la nuda cappella nella foresta. «Non ho usato nemmeno io la spada, visto che lui aveva soltanto il pugnale.» «Che aveva usato con l'uomo che l'aveva incontrato in tutt'altra veste a Thame e avrebbe potuto smascherarlo. Come ha fatto suo figlio quando lo ha visto morto, mai più immaginando che stava guardando l'assassino del padre.» «Ah, è stato così, dunque!» «E voi, avete trovato quello che cercavate?» «Ero venuto a cercare lui», rispose cupo de Genville. «Ma sì, capisco che cosa intendete. Sì, l'ho trovato, nel reliquiario sopra l'altare. Non tutto in denaro. Le gemme occupano poco posto, è più facile trasportarle. I suoi gioielli, che le erano tanto cari. Ma le era ancora più caro l'uomo al quale li mandava.» «Si diceva che vi fosse anche una lettera.» «C'è una lettera. L'ho io. Avete visto il breviario?» «Sì. Degno di un principe.» «Di un'imperatrice. C'è una piccola tasca segreta nella rilegatura dove si può nascondere un sottile foglietto. Quando erano lontani, quel breviario andava avanti e indietro fra loro, affidato a un messaggero di fiducia. Dio sa che cosa non gli avrà scritto adesso, in una situazione tanto disperata, separati da poche miglia che valgono quanto il mondo intero, con l'esercito del re che sta per strangolare lei e i pochi compagni che le sono rimasti! All'estremo della disperazione chi bada alla saggezza, chi pensa a tenere la lingua o la penna? Io non ho cercato di saperlo. Lui avrebbe ricevuto la sua lettera e vi avrebbe trovato la consolazione che si era inteso mandargli. Un altro l'ha letta e avrebbe potuto farne cattivo uso, ma questo non ha più importanza, ormai.» La voce di Rafe si era andata animando di un ardore che non turbava an-
cora il suo glaciale autocontrollo, ma faceva vibrare i suoi nervi come una freccia in volo, sotto la spinta di un devoto amore e di un odio implacabile. La lettera che aveva con sé, col suo sigillo spezzato a riprova di un tradimento infame, lui non l'avrebbe mai aperta, ciò che conteneva era sacro come un segreto fra la donna che l'aveva scritta e l'uomo al quale era destinata. Cuthred aveva trasgredito quel limite, ma ormai era morto. Una punizione che a Cadfael non sembrava affatto eccessiva per il male commesso. «Ditemi, fratello», riprese de Genville tornando all'abituale compostezza, «è stato un peccato?» «Questo dovrete chiederlo a un confessore, quando sarete a Wallingford. Per parte mia posso dirvi soltanto che c'è stato un tempo in cui io avrei fatto altrettanto.» Che il suo segreto non sarebbe mai stato violato, Rafe non ebbe nemmeno bisogno di chiederlo: la risposta era chiaramente sottintesa. «Adesso va molto meglio», disse alzandosi. «Domattina nessuno dovrà disturbarsi per me. Me ne andrò di buon'ora, lasciando la mia camera in ordine per il prossimo ospite. Mi sentirò più leggero perché ho trovato un testimone leale. Salutiamoci qui. Il Signore sia con voi, fratello!» «E con voi», gli augurò cordialmente il monaco. Un momento dopo Rafe de Genville era scomparso nella sera, il rumore dei suoi passi sicuri e regolari sulla ghiaia del vialetto si spense sull'erba più avanti e sulla loro ultima eco risonarono i lontani rintocchi della campana che chiamava a compieta. Le consuete opere quotidiane non erano ancora cominciate quando Cadfael andò a dare un'occhiata nelle scuderie. La mattina era asciutta e soleggiata, anche se fredda, un'ottima giornata per cavalcare. Il sauro dalla macchia bianca in fronte era sparito e la quiete della stalla era rotta soltanto dal gaio cinguettio e dalle risatine provenienti dall'ultima posta, dove Richard era andato prima della scuola ad accarezzare e fare le feste al suo pony, come per ringraziarlo della bravura di cui aveva dato prova, insieme con Edwin che lo guardava ammirato e felice di essere tornato in grazia e avere ritrovato il compagno prediletto. L'allegro chiasso che facevano, come una nidiata di rondinotti, s'interruppe di colpo quando videro entrare un monaco, ma non appena si furono accertati che non era né fratello Jerome né il priore Robert, si scusarono con larghi, condiscendenti sorrisi e ricominciarono con strilli e carezze. Cadfael non poté fare a meno di chiedersi se madonna Dionisia avesse
già fatto una visita al nipote, facendo tutto quanto ci si poteva aspettare da una matriarca come lei per ristabilire la propria autorità su di lui. Senza arrivare a umiliarsi con scuse, senza dubbio, ma piuttosto con una sorta di autogiustificazione come: «Richard, ho parlato del tuo avvenire con l'abate e ho acconsentito a lasciarti qui, per il momento. Sono stata vilmente ingannata da Cuthred, non era un prete come fingeva di essere. Ma ormai è finita, meglio non pensarci più». Per finire sicuramente con una raccomandazione: «Ma se ti lascio restare qui, mio caro, bada di comportarti bene, obbedisci ai tuoi maestri e studia come devi...» Congedandosi poi con un bacio forse un po' più tenero del solito, o almeno un po' più deferente, visto quello che avrebbe potuto dire su di lei se avesse voluto. Ma Richard, esultante, liberato da ogni preoccupazione per se stesso e per quanti gli erano cari, non serbava rancori per nessuno al mondo. A quell'ora Rafe de Genville, vassallo e amico di Brian FitzCount e leale servitore dell'imperatrice Maud, doveva essere ben lontano da Shrewsbury, sulla via del sud. Così tranquillo, riservato e anonimo, nessuno lo aveva particolarmente notato mentre era lì e ci si sarebbe ben presto dimenticati di lui. «Se n'è andato», annunciò Cadfael. «Non ho voluto mettervi nell'imbarazzo, anche se credo di sapere che cosa avreste fatto. Ma l'ho fatto io per voi. Se n'è andato e io l'ho lasciato andare.» Erano seduti insieme, come spesso nei momenti di crisi, stanchi ma a proprio agio, sulla panca contro il muro dell'erbario sul lato settentrionale, dove si attardava il calore del mezzogiorno e al riparo del lieve vento. Tra una settimana o due sarebbe stato troppo freddo per restare lì fuori. Quell'autunno mite non sarebbe durato ancora a lungo, gli esperti del tempo cominciavano ad annusare l'aria, prevedendo il prossimo arrivo del gelo e abbondanti nevicate in dicembre. «Non ho dimenticato che questo è il domani per il quale mi avevate promesso una soddisfacente conclusione», ribatté Hugh. «Dunque se n'è andato e voi lo avete lasciato andare! Ma chi? Non Bosiet, certo. Quello non vedevate l'ora che rinunciasse a ogni vendetta e se ne tornasse a casa, non lo avreste lasciato andare, semmai avreste addirittura cercato di spingerlo. Coraggio, vi ascolto.» Lo sceriffo era un ottimo ascoltatore, non proclive a esclamazioni o domande inutili, capace di restarsene zitto e immobile guardando davanti a sé per non turbare nemmeno con un'occhiata chi parlava, ma senza perdere
una sola parola per capire perfettamente. «Mi devo confessare», dichiarò Cadfael. «Volete essere voi il mio prete?» «Con l'impegno di tenere scrupolosamente segrete le vostre confidenze... lo so! Ebbene, sì. Per quanto non mi sia mai accaduto di dover assolvervi da qualcosa! Allora, chi è il misterioso personaggio che se n'è andato?» «Il suo vero nome è Rafe de Genville, ma qui si faceva chiamare Rafe di Coventry, falconiere del conte di Warwick.» «Il proprietario del sauro? L'ho visto una sola volta. L'unico ospite, qui, che non avesse niente da chiedermi. E gliene sono stato grato, con tutti i Bosiet che avevo addosso. E che cosa aveva mai fatto questo Rafe di Coventry perché voi o io avessimo a trattenerlo?» «Aveva ucciso Cuthred. In uno scontro leale. Aveva persino posato la spada, perché Cuthred non l'aveva. Si sono battuti pugnale contro pugnale e Rafe lo ha ucciso.» Hugh non aprì bocca, girò soltanto il capo a scrutare il volto dell'amico, aspettando. «Per un validissimo motivo», proseguì lui. «Ricorderete certo quel che si diceva riguardo a un messaggero fuggito da Oxford per ordine dell'imperatrice quando re Stefano stava chiudendo il castello in un cerchio di ferro. Mandato con denaro, gioielli e una lettera per Brian FitzCount, tagliato fuori a Wallingford. E come in seguito si sia ritrovato il suo cavallo che si aggirava nei boschi lungo la strada con i finimenti macchiati di sangue e le borse da sella vuote. Ma il corpo non è mai stato trovato. Il Tamigi scorre poco lontano e nei boschi c'è spazio a sufficienza per una fossa. Così il signore di Wallingford è stato derubato del tesoro dell'imperatrice. Si è ridotto sul lastrico per lei, tempo addietro, e deve pur mantenere la propria guarnigione. La lettera indirizzata a lui è stata rubata con tutto il resto e Rafe de Genville, vassallo, amico devoto di Brian FitzCount e seguace fedele dell'imperatrice, non intendeva lasciare invendicato quel delitto. «Quali tracce atte a metterlo sulla giusta strada abbia trovato cammin facendo, io non l'ho chiesto e lui non lo ha detto, ma il fatto è che le ha trovate. Il giorno stesso del suo arrivo eravamo insieme nelle scuderie e così per caso è venuto fuori che nella nostra cappella mortuaria giaceva il cadavere di Drogo Bosiet. Però non ho detto il nome, ma probabilmente, anche se lo avessi detto, lui avrebbe fatto ugualmente ciò che ha fatto. Un nome si può anche cambiarlo. Ha voluto vedere il morto ma alla prima occhiata ha perduto ogni interesse per lui. Cercava sì qualcuno, un ospite dell'abbazia, un forestiero, un viaggiatore, ma non era Bosiet. E nemmeno un gio-
vane come Hyacinth lo interessava. Era un uomo della sua stessa età e posizione, quello che cercava. Del santo eremita di madonna Dionisia aveva certo sentito parlare, ma non se n'era curato, considerandolo un prete al di sopra di ogni sospetto. Finché, come tutti noi, non ha udito Richard dichiarare che egli non era affatto un prete, ma soltanto un impostore. E più tardi, quando sono andato a cercarlo, Rafe e il suo cavallo erano spariti. Era proprio un impostore, un imbroglione che lui cercava. E io ha trovato, quella sera, all'eremo. Lo ha trovato, si è battuto con lui e lo ha ucciso. Poi si è ripreso ciò che il presunto Cuthred aveva rubato, gioielli e monete che erano nel reliquiario sopra l'altare e il breviario appartenente all'imperatrice che lei e FitzCount usavano per scambiarsi messaggi quand'erano lontani l'uno dall'altra. Ricorderete che il pugnale di Cuthred era macchiato di sangue. Bene, ho medicato io stesso la ferita che Rafe de Genville aveva ricevuto, ho ascoltato le sue confidenze, che ho ripetuto a voi, e gli ho augurato buon viaggio quando è ripartito per Wallingford.» Con un profondo sospiro di sollievo, il monaco si appoggiò contro le ruvide pietre del muro e per un lungo momento nessuno dei due parlò. Finalmente Hugh si riscosse. «Come siete arrivato a scoprire a che gioco stava giocando? Dev'esservi stato qualcosa più di quel primo incontro perché vi confidasse i suoi segreti. Parlava poco, andava a caccia da solo, che altro è accaduto perché diventaste in certo modo amici?» «Ero con lui una volta che ha messo alcune monete nella nostra cassetta delle elemosine. Una è caduta sul pavimento e l'ho raccolta io. Un penny d'argento dell'imperatrice, coniato di recente a Oxford. Non ne ha fatto mistero. Non mi ero chiesto, ha detto, che cosa ci facesse un seguace dell'imperatrice così lontano dal campo di battaglia? Allora ho tirato a indovinare. Forse era alla ricerca dell'assassino che aveva ucciso e derubato Renaud Bourchier sulla strada per Wallingford, ho risposto.» «E lui lo ha ammesso?» «No, non era così, ha dichiarato. Era una buona idea e quasi gli dispiaceva che non fosse la verità, ha aggiunto. E la verità me l'ha detta lui. Io ho capito che non mentiva. No, Cuthred non era mai stato un assassino, almeno non prima che arrivasse al suo eremo Drogo Bosiet a fare indagini su un suo servo della gleba fuggito e si trovasse così a faccia a faccia con un uomo che, in sembianze ben diverse, aveva incontrato qualche settimana avanti a Thame e col quale aveva parlato e persino giocato a scacchi. Un uomo armato, che sembrava un cavaliere ma viaggiava a piedi perché non v'era alcun cavallo che potesse essere suo nella stalla a Thame e neppure
ne aveva all'arrivo e alla partenza. Questo era accaduto al principio di ottobre. Esattamente come ci ha detto Aymer, dopo la morte del padre.» «Comincio a vedere un po' più chiaro nel vostro indovinello», mormorò lentamente Hugh, socchiudendo gli occhi e guardando lontano, tra i rami quasi spogli degli alberi che superavano il muro meridionale del giardino. «Quando mai avete fatto domande in apparenza non attinenti senza uno scopo? Avrei dovuto capirlo quando vi siete informato riguardo al cavallo. Un cavaliere senza cavallo a Thame e un cavallo senza cavaliere vagante in un bosco vicino alla strada per Wallingford significano qualcosa se vengono accostati. Oh, no!» esclamò, colpito e quasi atterrito dall'iniqua possibilità che gli si era presentata a un tratto. «Dove volete farmi arrivare? È così oppure ho sbagliato bersaglio? Era lui, Bourchier?» Un vento leggero che portava il primo freddo della sera faceva tremare foglie ed erba e Beringar tremava con loro in un accesso di incredula repulsione. «Che cosa poteva valere la pena di un tradimento tanto mostruoso? Mille volte peggio di un omicidio!» «Così pensava Rafe de Genville e lo ha vendicato come gli è sembrato giusto. Adesso lui se n'è andato e io gli ho augurato buon viaggio.» «Lo avrei fatto anch'io. Glielo auguro!» dichiarò Hugh che pareva guardasse oltre il giardino, con le labbra contratte per lo sdegno al pensiero che un uomo avesse potuto degradarsi a tal punto per libera scelta. «Non c'è niente, non può esservi niente al mondo che valga un prezzo simile!» «Renaud Bourchier riteneva che vi fosse, perché a quel prezzo si sarebbe procurato benefici enormi, dal suo punto di vista. Primo, la libertà e la vita», Cadfael contò sulle dita, accompagnando ogni punto con un cenno del capo. «Mandandolo fuori da Oxford prima che l'anello d'acciaio si chiudesse, l'imperatrice gli offriva la possibilità di raggiungere pascoli più sicuri. Con questo non intendo dire che almeno aveva la scusa di essere semplicemente un vigliacco. Ha preferito freddamente, suppongo, sottrarsi al rischio di venire ucciso o catturato, che là a Oxford sembrava assai più probabile di quanto fosse mai stato. A mente fredda e con spirito pratico ha troncato ogni vincolo di fedeltà, ritirandosi nell'ombra e guardandosi intorno con la speranza di trovare una nuova opportunità. Secondo, impadronendosi del tesoro che l'imperatrice gli aveva affidato, disponeva di ampi mezzi per vivere, ovunque fosse andato. Terzo, e peggio di tutto, possedeva un'arma formidabile che avrebbe potuto usare per procurarsi un nuovo reclutamento come soldato, terre, favori e un'altra redditizia carriera in sostituzione di quella che aveva abbandonato. La lettera dell'imperatrice a
Brian FitzCount.» «Nascosta nel breviario scomparso», sottolineò lo sceriffo. «Ma non vedo come avrebbe potuto servirsene, a parte il fatto che il libro aveva esso stesso un notevole valore.» «E un valore anche maggiore per ciò che conteneva. Me lo ha detto Rafe. Un sottile foglio di pergamena nascosto nella rilegatura. Considerate soltanto la situazione in cui lei si trovava quando ha scritto quella lettera. La città perduta, della quale le restava soltanto il castello, e l'esercito del re che le si stava chiudendo intorno. E Brian, che era stato il suo braccio destro, il suo scudo e la sua spada, secondo soltanto a suo fratello, separato da lei da quelle poche miglia che contavano quanto un oceano. Dio sa se c'è qualcosa di vero nelle voci secondo le quali quei due sarebbero amanti, ma è certamente vero che si amano! E lei, ormai ridotta allo stremo, col pericolo della fame, della sconfitta, della cattura, persino della morte e forse di non rivederlo mai più, non potrebbe avergli gridato un'estrema verità, senza nascondere nulla, cose che non si dovrebbero mettere per iscritto, cose che nessun altro al mondo dovrebbe vedere? Una lettera simile potrebbe avere un valore incalcolabile nelle mani di un uomo senza scrupoli, che deve aprirsi una nuova strada e ha bisogno del favore di uomini potenti. Maud ha un marito molto più giovane di lei, che non l'ama e che lei non ama, un marito che non sacrificherebbe un solo uomo per accorrere in suo aiuto, nemmeno in una situazione simile. Supponiamo che un giorno Goffredo avesse a ritenere utile per lui ripudiare una moglie più vecchia per contrarre un secondo, vantaggioso matrimonio. Una lettera simile nelle mani di un uomo come Bourchier potrebbe fornirgliene il pretesto e per i principi i mezzi si trovano sempre. L'informatore potrebbe ottenere in cambio un posto, un comando, persino terre in Normandia, dove Goffredo ha conquistato di recente castelli coi quali premiare chi gli è utile. Non voglio dire che il conte d'Angiò sia tipo da farlo, ma un calcolatore infido come Bourchier avrebbe potuto pensare a quella possibilità e usare la lettera quando gli si fosse offerta l'occasione. Quali cognizioni, quali sospetti abbiano indotto Rafe de Genville a dubitare della realtà di quella morte nei pressi della strada per Wallingford, non lo so, non gliel'ho mai chiesto, ma sicuramente una volta accesa la prima scintilla, niente avrebbe potuto trattenerlo dal perseguire ed esigere lo scotto dovuto, non da un supposto omicida, che non esisteva, ma dal ladro e traditore che era lo stesso Renaud Bourchier.» Il vento si era fatto più forte, il cielo si andava sgombrando e gli ultimi
frammenti di nuvole correvano via veloci. Per la prima volta, il prolungato autunno pronosticava l'inverno. «Avrei fatto anch'io quel che ha fatto Rafe», dichiarò risolutamente Hugh, alzandosi di scatto come per scuotersi di dosso l'ultima traccia di disgusto. «E io pure, quando ero ancora un soldato. Ma comincia a far freddo», osservò Cadfael alzandosi a sua volta. «Vogliamo rientrare?» Il gelo e le burrasche della fine di novembre si sarebbero portati via ben presto le ultime tremule foglie. L'eremo deserto della foresta di Eyton avrebbe fornito un ricovero sicuro ai piccoli animali dei boschi e il giardino di nuovo inselvatichito avrebbe ospitato i ricci addormentati nel letargo invernale. Era assai dubbio che madonna Dionisia avrebbe accolto un altro eremita in quella cella. «Bene», continuò il monaco avviandosi con il compagno verso il suo laboratorio, «se Dio vuole è finita. Tardi, ma almeno, qualunque sia il suo contenuto, la lettera dell'imperatrice sta viaggiando verso l'uomo al quale è stata destinata, per confortarlo. Ne sono felice! Giusto o sbagliato che sia il loro affetto, nella morsa del pericolo e della disperazione l'amore ha il diritto di far sentire la propria voce e tutti gli altri debbono essere ciechi e sordi, tranne Dio, che sa leggere anche tra le righe. Alla resa dei conti, in questioni di cuore come di giustizia, sarà Lui a dire l'ultima parola.» FINE