MARION ZIMMER BRADLEY L'ESILIO DI SHARRA (Sharra's Exile, 1981) PROLOGO IL SECONDO ANNO D'ESILIO Era la patria dei miei ...
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MARION ZIMMER BRADLEY L'ESILIO DI SHARRA (Sharra's Exile, 1981) PROLOGO IL SECONDO ANNO D'ESILIO Era la patria dei miei antenati. Ma adesso sapevo che non sarebbe mai stata la mia patria. Mi dolevano gli occhi mentre guardavo l'orizzonte dove sprofondava il sole... uno strano sole giallo e non rosso come dev'essere un sole, un sole abbagliante che mi feriva gli occhi. Ma ora, per un momento, poco prima del crepuscolo divenne all'improvviso rosso ed enorme, tramontando dietro il lago in un fulgore cremisi che mi riempiva il cuore di nostalgia... Rimasi a guardare fino a quando gli ultimi bagliori cremisi scomparvero, e sulla distesa del lago, pallida e argentea, la luna solitaria della Terra apparve in un'esile falce elegante. Quel giorno era piovuto, e l'aria era carica di odori alieni. Non erano alieni, per la verità; erano conosciuti, in qualche modo, nelle profondità dei miei geni. I miei antenati erano discesi dagli alberi di questo mondo, avevano vissuto la lunga evoluzione che li aveva resi umani e più tardi li aveva mandati lontani a bordo delle navi, una delle quali - conoscevo la storia - era precipitata su Darkover; e avevano messo radici là, nel nuovo mondo, così profondamente che io, esule dalla patria della mia razza, al ritorno trovavo quella patria aliena e rimpiangevo il mondo dell'esilio della mia gente. Non sapevo da quanto tempo la mia gente risiedesse su Darkover. Il viaggio tra le stelle ha strane anomalie; le enormi distanze interstellari giocano strani scherzi con il tempo. Per la gente dell'Impero Terrestre non ci sarebbe mai stata la possibilità di stabilire quale nave coloniale, tremila o quindicimila anni prima, avesse fondato Darkover... Il tempo trascorso sulla Terra era circa tremila anni. Ma il tempo trascorso su Darkover era all'incirca diecimila, quindi Darkover aveva una storia lunga quasi come la storia di civiltà e di caos della Terra. Sapevo quanti anni prima la Terra, nei tempi anteriori alla diffusione dell'Impero da stella a stella, aveva fatto partire quella nave. Sapevo quanti anni erano trascorsi su Darkover. E neppure lo storico più meticoloso aveva la possibilità di conciliare quelle date; io avevo rinunciato a tentare.
E non ero il solo assediato da dedizioni irrimediabilmente divise, profonde quanto il DNA delle mie cellule. Mia madre era nata sulla Terra, sotto quel cielo assurdamente azzurro e sotto quella luna incolore; eppure aveva amato Darkover, aveva sposato un darkovano, mio padre, e gli aveva dato figli e alla fine era stata sepolta in una tomba senza lapide tra le colline di Kilghard, su Darkover. E io vorrei essere sepolto là con lei... Per un momento non fui sicuro che i pensieri non fossero miei. Poi li scacciai, furiosamente. Io e mio padre eravamo troppo vicini... non la comune vicinanza di una famiglia telepatica di Comyn (anche se questo sarebbe apparso già abbastanza strano per i terrestri intorno a noi) ma avvinti da paure comuni, da una comune perdita... dall'esperienza e dalla sofferenza condivise. Bastardo, ripudiato dalla sua casta perché mia madre era per metà terrestre, mio padre si era prodigato disperatamente per farmi accettare come Erede Comyn. Ancora adesso non sapevo se l'aveva fatto per me o per se stesso. I miei inutili tentativi di ribellarmi ci avevano intrappolato tutti nella ribellione fallita sotto gli Aldaran, e Sharra... Sharra. La fiamma che arde nella mia mente... l'immagine di una donna di fiamma, incatenata, irrequieta, con le chiome di fuoco sollevate da un vento di tempesta, che torreggia... si innalza, avidamente... Marjorie presa tra le fiamme, urlante, morente... No! Avarra misericordiosa, no... Tenebra. Scaccia tutto. Chiudi gli occhi, china la testa, vai via, non c'è, non c'è nulla... Sofferenza. La sofferenza che fiammeggia nella mia mano... — Stai male, Lew? — Sentii dietro di me la presenza rasserenante della mente di mio padre. Annuii, strinsi i denti, battei il moncherino dolorante della mano sinistra contro la ringhiera, lasciandomi inondare dalla strana freddezza della luna bianca. — Maledizione, ora sto bene. Finiscila... — Lottai per trovare la parola esatta e trovai: — Finiscila di ronzarmi intorno. — Che cosa posso fare? Non riesco a evitarlo — disse lui, sottovoce. — Tu stavi... come dire? Trasmettendo. Quando potrai tenere per te i tuoi pensieri, ti lascerò in pace. In nome di tutti gli Dei, Lew, sono stato tecnico della Torre di Arilinn per dieci anni! Non aggiunse altro. Non era necessario. Per tre anni, forse i tre anni più felici della mia vita, anch'io ero stato meccanico delle matrici nella Torre di Arilinn, e avevo lavorato con i complessi cristalli che collegavano i te-
lepati e le menti per fornire la comunicazione, la tecnologia del nostro mondo, povero di metalli e di macchinari. Ad Arilinn avevo imparato che significa essere telepate, Comyn della nostra casta, con la benedizione o la maledizione del legame mentale e dell'ipersensibilità alle altre menti intorno a me. Imparavi a non essere indiscreto; imparavi a non lasciare che i tuoi pensieri si aggrovigliassero con gli altri, e non soffrire troppo per la sofferenza o le esigenze degli altri, a restare squisitamente sensibile e nel contempo a vivere senza intrometterti e senza pretendere. Avevo imparato anche questo. Ma il mio controllo era stato bruciato dalla matrice del nono livello che avevo tentato, pazzamente, di maneggiare con un cerchio di telepati parzialmente addestrati. Avevamo sperato invano di restaurare l'antica tecnologia darkovana d'altro livello, tramandata come una leggenda dalle Ere del Caos. E quasi eravamo riusciti, sperimentando con le vecchie arti di Darkover chiamate magia e stregoneria dalla gente comune. Sapevamo che in verità era una tecnologia complessa potenzialmente in grado di fare tutto... alimentare astronavi perché Darkover potesse stare alla pari con l'Impero, anziché continuare ad essere un parente povero, dipendente dall'Impero Terrestre, un pianeta freddo e povero di metalli. Ceravano quasi riusciti... ma Sharra era troppo potente per noi, e la matrice che per anni era stata incatenata, portando pacificamente i fuochi alle forge dei fabbri di montagna, era stata liberata, avida e furiosa, tra le colline. Una città era stata distrutta. E anch'io, anch'io ero stato distrutto, bruciato da quei fuochi mostruosi, e Marjorie, Marjorie era morta... E adesso, nella mia matrice, non potevo vedere altro che la fiamma e la distruzione e Sharra... Un telepate si sintonizza con la matrice che usa. A undici anni avevo ricevuto una matrice; se mi fosse stata tolta, sarei morto in fretta. Non so che cosa siano le pietre matrici. Alcuni dicono che sono cristalli che amplificano le emanazioni psicoelettriche dell'attività cerebrale nelle aree «silenziose» dove risiedono i poteri dei Comyn. Altri dicono che sono esseri alieni, in simbiosi con i poteri speciali dei Comyn. Qualunque sia la verità, un telepate Comyn opera tramite la sua matrice; le matrici più grandi, multilivelli, non sono mai sintonizzate con il corpo e il cervello dell'operatore, ma collegate e trasformate attraverso la sua pietra. Ma Sharra ci aveva afferrati tutti, e ci aveva trascinati nel fuoco,.. — Basta! — Mio padre parlò con la forza particolare di un Alton, scacciando l'immagine. Un'oscurità benedetta scese dietro i miei occhi; e allora
potei vedere di nuovo la luna, potei vedere qualcosa di diverso dalle fiamme. Disse sottovoce, mentre mi riposavo gli occhi coprendoli con la mano illesa: — Ora tu non lo credi, ma è meglio, Lew. Avviene quando abbassi la guardia, sì. Ma vi sono lunghi periodi in cui puoi spezzare la dominazione della matrice Sharra... — Quando non ne parlo, vuoi dire — l'interruppi irosamente. — No — disse lui. — Quando non c'è. Ti ho osservato. Non è terribile come lo era il primo anno. All'ospedale, per esempio... non riuscivo a strapparti a questo per più di qualche ora. Adesso passano giorni, addirittura settimane... Eppure non sarei mai stato libero. Quando avevamo lasciato Darkover, sperando di salvare la mia mano bruciata dai fuochi di Sharra, avevo portato la matrice, nascosta nella sua spada elaborata; non perché volevo prenderla, ma perché dopo quello che era accaduto non avrei più potuto separarmene come non avrei potuto separarmi dalla mia matrice. La mia matrice la portavo al collo, fin da quando avevo dodici anni, e non avrei potuto toglierla senza soffrire, senza subire, probabilmente, lesioni cerebrali. Una volta mi era stata tolta - una specie di tortura intenzionale - ed ero giunto più vicino alla morte di quanto mi piaccia pensare. Probabilmente, se fosse stata tenuta lontana da me un altro giorno, sarei morto, di collasso cardiaco o cerebrale. Ma la matrice Sharra... aveva sopraffatto la mia. Non avevo bisogno di portarla al collo, o di tenerla a contatto fisico, ma non potevo allontanarmi oltre una distanza critica, altrimenti incominciava la sofferenza, e le immagini del fuoco emergevano nella mia mente, come scariche che offuscano ogni altra cosa. Mio padre era un tecnico esperto, ma non poteva far nulla; i tecnici della Torre di Arilinn, dove avevano tentato di salvarmi la mano, non potevano far nulla. Alla fine mi avevano portato lontano da Darkover, nella speranza vana che la scienza terrestre potesse fare di più. Era illegale che il Tutore del Dominio Alton, mio padre, Kennard Alton, lasciasse Darkover contemporaneamente all'Erede. Ma l'aveva fatto, e sapevo che avrei dovuto essergliene grato. Ma provavo soltanto stanchezza, rabbia, risentimento. Avresti dovuto lasciarmi morire. Mio padre uscì nella luce fioca della luna e delle stelle. Potevo scorgere appena la sua figura: alto, un tempo massiccio e imponente, ora incurvato dalla malattia delle ossa che da molti anni lo rendeva invalido; ma ancora
poderoso e dominante. Non sapevo mai esattamente se vedevo la presenza fisica di mio padre o la forza mentale che aveva dominato la mia vita da quando - avevo undici anni, allora - aveva aperto la mia mente al Dono degli Alton... il dono del rapporto telepatico forzato anche con i non telepati che caratterizza il Dominio degli Alton. L'aveva fatto perché non c'era altro modo per provare al Consiglio del Comyn che ero degno dell'essere l'Erede Alton. Ma io avevo dovuto vivere da allora con questo dono... e con la sua dominazione. La mano mi doleva, dove avevo battuto con forza quel che restava del braccio. Era un dolore strano: lo sentivo nel quarto e nel sesto dito... come se mi fossi bruciato le unghie. Eppure non c'era niente, nient'altro che una cicatrice... Me l'avevano spiegato: il dolore fantasma, i nervi rimasti nel resto del braccio. Maledettamente reale, per un fantasma. Alcuni medici terrestri e persino mio padre adesso capivano che non si poteva fare altro per la mano, e avevano fatto ciò che avrebbero dovuto fare fin dall'inizio, e l'avevano asportata. Niente da fare, neppure per la loro scienza medica giustamente famosa. La mia mente rifuggiva ancora dal ricordo della cosa distorta e terrificante che aveva coronato la loro ultima, sperimentale tecnica di rigenerazione. Qualunque cosa ci sia nelle cellule del corpo che ordina a una mano d'essere una mano, con il palmo e le dita e le unghie, e non con artigli e piume e occhi, era stato bruciato da Sharra, e una volta, tra l'effetto delle droghe, avevo visto cos'era diventata la mia mano... Allontana la mente anche da questo... C'era mai qualcosa di non pericoloso cui pensare? Fissai il cielo silenzioso dal quale era sparita l'ultima traccia di cremisi. Mio padre disse, a voce bassa: — Al crepuscolo è peggio, credo. Non ero ancora adulto quando venni per la prima volta sulla Terra; venivo qui al tramonto perché i miei cugini e i miei fratelli adottivi non vedessero. Ci si stanca... — Mi voltava le spalle e comunque era troppo buio per vedere qualcosa di più della sua presenza, ma nella mia mente scorgevo chissà come il lieve sorriso ironico. — ... della stessa vecchia luna. E i miei cugini terrestri giudicavano vergognoso che uno della mia età piangesse. Perciò, dopo la prima volta, mi assicurai sempre che non mi vedessero. Su Darkover c'è un detto: «solo gli uomini ridono, solo gli uomini danzano, solo gli uomini piangono». Ma era stato diverso, per mio padre, pensai con invidia. Era venuto qui di sua volontà, e per uno scopo; per costruire un ponte tra i nostri popoli, fra terrestri e darkovani. Larry Montray, il suo amico terrestre, era rimasto
su Darkover, adottato dal Dominio degli Alton; Kennard Alton era venuto qui per studiare le scienze di questo mondo. Ma io? Ero venuto in esilio, distrutto, mutilato; la mia amata Marjorie era morta perché io, come mio padre prima di me, avevo cercato di costruire un ponte tra l'Impero Terrestre e Darkover. E avevo una ragione migliore: ero figlio di entrambi i mondi, perché Kennard, interamente Comyn, aveva sposato la sorellastra di Montray, Elaine. Perciò avevo tentato; ma avevo scelto lo strumento sbagliato - la matrice Sharra - e avevo fallito, e avevo continuato a vivere, con tutto ciò che per me rendeva reale la vita morto o abbandonato su un mondo dall'altra parte della Galassia. Anche la speranza che aveva indotto mio padre a portarmi lì - che la mia mano, bruciata nei fuochi di Sharra - potesse venire in qualche modo salvata o rigenerata... era risultata peggio d'un miraggio; dopo tutto quello che avevo sopportato, anch'essa non c'era più. Ed ero su un mondo odiato, alieno e familiare insieme. I miei occhi si abituavano all'oscurità; adesso potevo vedere mio padre, un uomo d'età avanzata, curvo e zoppo, con i capelli un tempo fiammeggianti e adesso tutti grigi: e il suo viso era profondamente segnato dalla sofferenza e dal conflitto. — Lew, vuoi tornare? Sarebbe più facile? Io ero qui per una ragione. Ero studente in un programma di scambio, in missione ufficiale. Era una questione d'onore. Ma non c'è niente che ti obblighi a restare. Puoi prendere la nave e tornare a Darkover quando vuoi. Dobbiamo andare a casa, Lew? — Non guardava la mia mano; non era necessario. Quello era fallito, e non c'era ragione di restare lì a sperare in un miracolo. (Ma io sentivo ancora il dolore sordo come d'un'unghia strappata intorno al pollice. E il sesto dito doleva come se fosse stato stretto in una morsa, o bruciato. Strano. Ossessionato dal fantasma d'una mano che non c'era.) — Lew, dobbiamo tornare a casa? — Sapevo che lo voleva: quella terra aliena stava uccidendo anche lui. Ma poi disse qualcosa che non avrebbe dovuto dire. — Il Consiglio vuole che ritorni. Loro sanno, ormai, che non avrò altri figli. E tu sei l'Erede riconosciuto di Alton; quando partii, dissero che non era lecito che il signore del Dominio di Alton e il suo Erede lasciassero Darkover contemporaneamente. Se tu ritornassi, il Consiglio sarebbe costretto a riconoscere... — Accidenti al Consiglio! — dissi io, così forte che mio padre trasali.
Le solite vecchie manovre politiche. Lui non aveva mai smesso di cercare d'indurre il Consiglio a riconoscermi... era stato l'incubo della mia infanzia, lo aveva costretto al passo doloroso e pericoloso che aveva compiuto, forzando il risveglio prematuro del mio laran. Più tardi, mi aveva spinto a recarmi tra i miei parenti di Aldaran, e compiere lo sciagurato tentativo di acquisire potenza tramite Sharra, e Marjorie... Chiusi la porta nella mia mente, un luogo chiuso, nero e vuoto. Non volevo pensarci, non volevo... Non volevo aver niente a che vedere con il loro maledetto Consiglio, con i Comyn, con Darkover... mi voltai e mi avviai verso la baita sul lago. Sentivo mio padre dietro di me, vicino, troppo vicino... Vattene dalla mia mente! Vattene! Lasciami in pace! Chiusi la mia mente come la porta della baita, sentii la porta aprirsi e chiudersi, sentii la presenza di mio padre mentre me ne stavo lì a occhi chiusi. Non mi voltai a guardare. — Lew. No, maledizione, non escludermi ancora, ascoltami! Credi di essere il solo al mondo che sappia cosa significa perdere una persona amata? — La sua voce era brusca, ma era una bruschezza che conoscevo. Voleva dire che, se quella voce fosse stata meno ruvida, avrebbe pianto. Ci avevo messo ventidue anni per capire che mio padre poteva piangere. — Tu avevi due anni; e tua sorella era morta appena nata. Sapevamo che non dovevano esserci altri figli. Elaine... — Non aveva mai pronunciato quel nome davanti a me, sebbene lo conoscessi dai suoi amici; era sempre stata l'espressione formale e distante tua madre. — Yllana — ripeté, e questa volta usò la versione darkovana del nome. — Lei lo sapeva, come lo sapevo io, quanto è fragile il potere di un uomo con un unico figlio. E tu non eri un bambino molto robusto. Credimi, non fui io a chiederglielo. Fu una sua scelta. E per quindici anni ho portato questo peso, e ho cercato di fare in modo che Marius non lo sentisse mai... non capisse che gli serbavo rancore perché la sua vita era costata la vita di Yllana... Questo non l'aveva mai detto. Sentivo nella sua voce aspra che cosa gli era costato dirlo. Ma era stata una libera scelta di mia madre, rischiare la vita per mettere al mondo mio fratello Marius. Marjorie non aveva avuto scelta... Il fuoco. Le fiamme divoranti che s'innalzavano nel cielo, le grandi ali di fiamma. Marjorie che bruciava e bruciava tra le vampe di Sharra... Caer Donn, il mondo, Darkover, tutto in fiamme... Rinchiusi la barriera e la tenebra nella mia mente, sentii la mia voce gridare «No!» con forza, e ancora una volta alzai il braccio mutilato e lo bat-
tei, su qualcosa, qualunque cosa che mandasse la pura sofferenza fisica nella mente, al punto che potessi non pensare a niente altro. Non dovrebbe costringermi a guardare questo, che io avevo ucciso l'unica cosa che avessi amato o che avrei mai amato... Da molto lontano lo sentii chiamare il mio nome, sentii il tocco preoccupato dei suoi pensieri... Chiusi ancora di più la barriera, sentii la tenebra chiudersi. Restai lì, senza ascoltare e senza vedere, fino a quando lui se ne andò. LIBRO PRIMO L'ESILIO DARKOVER: IL TERZO ANNO D'ESILIO I Regis Hastur stava su un balcone di Castel Comyn, in alto sopra Thendara e la valle che si estendeva più oltre, e guardava la città e il centro commerciale terrestre. Dietro di lui stava il castello, in ombra sotto le montagne. Davanti a lui stava la Città Commerciale Terrestre, e più oltre lo spazioporto... e i grattacieli del Quartier Generale terrestre. Come aveva pensato molte altre volte in passato, pensò: «Questo ha una sua bellezza aliena.» Per molti anni aveva avuto un sogno. Quando fosse diventato maggiorenne, avrebbe lasciato Darkover, si sarebbe imbarcato su un'astronave terrestre, e sarebbe andato lontano, fra le stelle, fra gli strani soli e i mondi indicibilmente numerosi. Avrebbe lasciato dietro di sé tutto ciò che odiava della sua vita: la sua posizione difficile di erede d'un antico casato e di una Reggenza che diventava un anacronismo via via che passavano gli anni; la pressione continua perché si sposasse, giovane com'era, e desse eredi agli Hastur; il potenziale sconosciuto del laran, la facoltà psichica innata impressa nelle ossa e nel cervello e nei geni. Avrebbe lasciato in contesa il regno dei Dominii, ognuno dei quali aspirava a qualcosa di diverso nel mondo sempre mutevole che era il moderno Darkover. Regis aveva diciotto anni; legalmente maggiorenne da tre anni, impegnato per giuramento con Hastur. Ora sapeva che non avrebbe mai realizzato il suo sogno. Non sarebbe stato il primo dei Comyn a lasciare Darkover e ad andare nell'Impero. L'avventura, il fascino di una società aliena in un immenso,
complesso universo, avevano attirato verso l'Impero più di un darkovano, anche della nobiltà più alta. Il Dominio dei Ridenow, pensò. Non fanno mistero della convinzione che Darkover debba allinearsi con l'Impero, diventare parte di questo mondo moderno. Lerrys Ridenow ha viaggiato molto nell'Impero, e senza dubbio in Consiglio, questa stagione, canterà di nuovo le loro lodi. Kennard Alton è stato educato sulla Terra, e adesso è là, con suo figlio Lew. E poi Regis si chiese come stava Lew, in quell'universo alieno. Se fossi libero dal peso dell'eredità di Hastur, anch'io me ne andrei e non ritornerei più. E ancora una volta la tentazione lo colpì, come aveva pianificato tutto quando era un ragazzo ribelle, durante il primo anno nei Cadetti della Guardia... il necessario apprendistato di tutti i figli dei Comyn. Lui e il suo amico Danilo avevano fatto i piani insieme: sarebbero partiti a bordo d'una delle navi terrestri, avrebbero trovato un posto tutto per loro... si sarebbero perduti nell'immensità di mille mondi alieni. Regis sorrise al ricordo, sapendo che era stato un sogno infantile. Per il meglio o per il peggio, era l'Erede di Hastur, e il fato di Darkover era parte della sua vita, intimamente come il suo corpo o il suo cervello. Danilo era l'Erede di Ardais, adottato dal Nobile Dyan Ardais che non aveva figli, e veniva preparato per quell'alta carica come Regis veniva preparato per la sua. L'anno scorso era stato il loro terzo anno passato insieme nei cadetti; ufficiali inferiori, avevano imparato il comando e l'autocontrollo. Era stato un periodo tranquillo; ma era finito. Regis aveva passato l'ultimo inverno nella città di Thendara, ad assistere alle sedute delle cortes, a trattare con i magistrati della città, gli inviati diplomatici degli altri Domimi e delle Città Aride oltre i Dominii, i rappresentanti dei terrestri e dell'Impero, a imparare, insomma, ciò che doveva per prendere il posto di suo nonno come rappresentante dei Dominii. Danilo aveva fatto solo una o due visite fuggevoli in città dopo la Notte della Festa, quando era finita la Stagione del Consiglio; aveva dovuto ritornare a Castel Ardais con Dyan, per imparare l'ordinamento del Dominio che, se Dyan fosse morto senza figli, sarebbe spettato a lui. Poi, così Regis aveva sentito dire, Danilo era stato richiamato a Syrtis per la grave malattia di suo padre. Perché adesso sto pensando a Danilo, così improvvisamente? E poi Regis comprese: non era un telepate potente, ma il legame giurato tra lui e Danilo era forte, e all'improvviso si distolse dal panorama della città e dello spazioporto che stavano davanti a lui, e rientrò, chiudendo le tende.
È un vano sogno da bambino, sognare le stelle. Il mio mondo è qui. Passò nell'anticamera dell'appartamento degli Hastur proprio mentre uno dei servitori veniva a cercarlo. — Dom Danilo Syrtis, Erede e Tutore di Ardais — annunciò, e Danilo entrò, un giovane snello e di bell'aspetto, con i capelli scuri e gli occhi scuri. Regis si mosse per accoglierlo con l'abbraccio formale tra parenti, ma al di sopra della spalla vide il servitore uscire e il saluto ufficiale si caricò di maggiore entusiasmo. — Dani! Sono così contento di vederlo! Non puoi immaginare quant'è noiosa la città d'inverno! Danilo rise, e guardò affettuosamente Regis. Adesso era un po' più alto dell'amico. — L'ho scelto io. Ti giuro che il clima di Ardais ha molto in comune con quello dell'inferno più freddo di Zandru. Non credo che il Nobile Dyan soffrisse ancora di più il gelo nel monastero di Nevarsin! — Dyan è ancora a Nervarsin? — No, l'ha lasciato all'inizio dell'inverno. Siamo stati insieme ad Ardais sino alla primavera; mi ha insegnato molte cose che ha detto che dovrei sapere come Reggente del Dominio. Poi siamo venuti a sud insieme, a Thendara... Strano, non avevo mai pensato che la sua compagnia mi avrebbe fatto piacere, eppure si è dato molto da fare per farmi educare appropriatamente per il posto che occuperò... — Era logico che lo facesse, per l'onore della sua casa — commentò Regis in tono asciutto. — Eppure, quando è morto il mio povero padre, è stato la bontà in persona. — Neppure questo mi sorprende — disse Regis. — Sei diventato bello, Dani, e il Nobile Dyan ha sempre avuto un occhio di riguardo per i bei ragazzi... Danilo rise. Potevano riderne insieme, adesso, sebbene tre anni prima fosse stata una cosa molto seria. — Oh, ormai sono troppo vecchio per Dyan... preferisce i ragazzi che non hanno ancora la barba, e come vedi... — Nervosamente si arricciò i baffetti scuri. — Allora mi sorprende che non ti sia fatto crescere la barba! — No — disse Danilo, con strana, tranquilla insistenza. — Ora conosco meglio Dyan. E ti do la mia parola, non ha mai fatto un gesto e non ha mai pronunciato una parola che non fossero degni dei rapporti tra padre e figlio. Quando è morto mio padre gli ha reso tutti gli onori; ha detto che era un piacere rendere onore a chi l'aveva meritato; per fare ammenda, forse,
per l'onore che aveva dovuto rendere a quei parenti che non lo meritavano. — Tre anni prima era morto il vecchio Signore di Ardais, pazzo e rimbecillito dopo una lunga e disonorevole vita di dissipazione. — Una volta Dyan mi ha detto qualcosa del genere, — riconobbe Regis. — Ma non parliamone più... Sono contento che tu sia qui, bredu. Suppongo che quest'anno prenderai posto in Consiglio tra gli Ardais. — Così dice Dyan — confermò Danilo. — Ma il Consiglio non comincerà fino a domani e questa sera... bene, non sono stato a Thendara da anni. — Io giro raramente per le strade — disse Regis, a voce così bassa che non tradiva neppure una nota di amarezza. — Non posso percorrere neppure mezzo miglio senza che una folla mi segua... Danilo fece per rispondere con impertinenza; poi si trattenne, e la vecchia comprensione ricominciò a intessersi tra loro, un contatto più stretto delle parole; il tocco telepatico del laran, del giuramento di fratellanza e di qualcosa di più. Bene, tu sei l'Erede di Hastur, Regis. Fa parte dell'onere d'essere ciò che sei. Lo allevierei, se potessi, ma nessun essere vivente può farlo. E tu non vorresti che fosse diversamente. Lo stai alleviando con la comprensione: ed ora che sei qui, non sono più completamente solo... Non era necessario parlare. Dopo un po', Danilo disse in tono leggero: — C'è la taverna frequentata dagli ufficiali della Guardia. Là, almeno, sono abituati ai Comyn e non pensano che siamo tutti mostri o fenomeni viventi, o che camminiamo senza toccare terra come gli eroi delle vecchie leggende. Potremmo andare là a bere qualcosa, senza che nessuno strabuzzi gli occhi. Le Guardie del Castello di Thendara, almeno, sanno che siamo umani, con tutti i difetti e le colpe degli umani, a volte di più... Regis non sapeva con certezza se quel pensiero era suo, o se l'aveva captato da Danilo. Scesero attraverso il grande labirinto di Castel Comyn, e uscirono per le vie affollate della prima sera della Festa. — Qualche volta, per la Festa, vengo qui mascherato — disse Regis. Danilo sorrise. — Davvero... per privare tutte le ragazze della città delle gioie d'un amore senza speranza? Regis fece un gesto nervoso... il gesto di uno schermitore che si riconosce colpito. Danilo sapeva di essere arrivato troppo vicino al segno, ma non peggiorò la situazione scusandosi. Ma Regis captò il pensiero: Il Reggente sta facendo pressioni su di lui perché si sposi, maledetto vecchio ti-
ranno! Almeno il mio padre adottivo capisce perché non posso. Poi Danilo riuscì a mascherare i suoi pensieri; entrarono nella taverna, presso la porta del Palazzo delle Guardie. Il salone era affollato di giovani cadetti. Alcuni ragazzi salutarono Regis, che fu costretto a rivolgere loro qualche parola; ma finalmente raggiunsero la sala sul retro, più tranquilla, dove bevevano gli ufficiali più anziani. Era semibuia anche a quell'ora, e alcuni degli uomini rivolsero cenni amichevoli a Regis e al suo compagno, ma subito tornarono a occuparsi degli affari loro: non era ostilità, anzi, era un modo per lasciare all'Erede di Hastur l'unica intimità anonima che poteva avere in quei giorni. Diversamente dai ragazzi della prima sala, felici al pensiero che persino il potente Hastur fosse tenuto, per legge e consuetudine, a rispondere ai loro saluti e a riconoscere la loro esistenza, gli ufficiali conoscevano il peso che gravava su Regis ed erano disposti a lasciarlo in pace, se così voleva. Il taverniere, che a sua volta lo conosceva bene, gli portò il solito vino, senza chiedere. — Cosa preferisci, Dani? Danilo alzò le spalle. — Quello che ha portato va bene. Regis cominciò a protestare, poi rise e versò il vino; bere era soltanto una scusa, comunque. Alzò il rozzo boccale, sorseggiò il vino e disse: — Ora raccontami tutto ciò che è accaduto mentre eri lontano. Mi dispiace per tuo padre, Dani; mi era simpatico, e speravo di poterlo portare a corte, un giorno o l'altro. Hai passato tutto questo tempo negli Heller? Le ore volarono via mentre parlavano, quasi dimentichi della fiasca di vino. Finalmente sentirono il rullo dei tamburi del Primo Quarto risuonare davanti al Palazzo delle Guardie, e Regis trasalì, accennò ad alzarsi, poi rise, ricordando che non era più obbligato a rispondere a quel segnale. Sedette di nuovo. — Sei diventato un vero soldato! — scherzò Danilo. — Mi piaceva — disse Regis, dopo un momento. — Sapevo sempre esattamente che cosa ci si aspettava da me, e chi se lo aspettava, e cosa dovevo fare. Se ci fosse stata la guerra, sarebbe stato diverso. Ma le difficoltà più grandi che avevo erano domare le risse per le strade o accompagnare in guardina gli ubriachi troppo chiassosi, o indagare quando una casa era stata derubata, oppure ordinare a qualcuno di legare un cane mordace. Lo scorso anno ci fu un tumulto sulla piazza del mercato... no, questa è divertente, Dani; la moglie di un mercante di bestiame l'aveva lasciato perché, disse, l'aveva sorpreso nel suo letto con sua cugina! E così entrò di nascosto nella stalla e fece scappare le bestie che lui aveva portato da vendere.
Gli animali travolsero vari chioschi e spaccarono una quantità di vasellame... quel giorno ero in servizio, e dovetti intervenire! Uno dei cadetti si lamentò che se ne era andato di casa proprio per non essere costretto a correre tutto il giorno dietro al bestiame! Bene, finalmente recuperammo tutti gli animali, e io dovetti andare a testimoniare davanti al magistrato cittadino. Così le cortes multarono la donna di dodici reis per i danni causati dalle bestie, e toccò al marito pagare la multa! Protestò che lui era stato la vittima, e che era stata la moglie a far scappare gli animali, e la magistrata era una Rinunciata, vedi - disse che questo gli avrebbe insegnato a dedicarsi ai suoi amorazzi in modo più decente, senza offendere e umiliare la moglie. Danilo rise, più nel vedere il divertimento dell'espressione di Regis che per l'episodio. Nell'altra sala, i cadetti si spintonavano e bisticciavano mentre pagavano il conto per tornare in caserma. — Ho visto uno dei figli di tua sorella tra i cadetti, là fuori? Ormai devono essere grandi. — Non ancora — disse Regis. — Rafael ha solo dodici anni, e Gabriel ne ha undici. Immagino che Rafael avrebbe avuto l'età giusta, ma dato che suo padre è Comandante della Guardia, probabilmente ha pensato che fosse troppo presto. O forse l'ha pensato mia sorella, il che è la stessa cosa. Danilo lo fissò sorpreso. — Gabriel Lanart-Hastur è Comandante delle Guardie? Come mai? Kennard Alton non è ritornato? — Non si sono più avute sue notizie; non si sa neppure se sia vivo o morto, a quanto dice mio nonno. — Ma il comando della Guardia del Castello è un posto che spetta agli Alton, per tradizione — protestò Danilo. — Come mai è toccato a un Hastur? — Gabriel è uno dei parenti più stretti degli Alton di Armida. Ora che Kennard e il suo Erede hanno lasciato il pianeta, che altro potevano fare? — Ma senza dubbio c'è qualche Alton imparentato più strettamente di suo cognato — ribatté Danilo. — L'altro figlio di Kennard, Marius... deve avere quindici o sedici anni, ormai. — Anche se venisse riconosciuto Erede di Alton, — disse Regis, — non sarebbe abbastanza adulto per comandare la Guardia. E il fratello maggiore di Kennard aveva un figlio, quello che trovarono sulla Terra... ma è capotecnico nella Torre di Arilinn, e non sa comandare i militari più di quanto io sappia ricamare! Comunque, la sua educazione terrestre è un ostacolo... non lo danneggia, ad Arilinn, ma non lo vogliono a Thendara, a ricordare loro che ci sono terrestri nel cuore del Consiglio dei Comyn! — La voce di
Regis era amara. — Dopotutto, sono riusciti a sbarazzarsi di Lew Alton, e l'anno scorso il Consiglio ha rifiutato nuovamente di accordare a Marius i diritti e i doveri d'un figlio di Comyn. Mio nonno mi ha detto... — Il sorriso gli stirò appena le labbra. — Mi ha detto che avevano commesso quell'errore con Lew e non intendevano ripeterlo. Il sangue terrestre è sangue cattivo, è tradimento. — Lew meriterebbe di meglio — disse sottovoce Danilo. — E in ogni caso, almeno Kennard non è colpevole di tradimento e dovrebbe essere consultato. — Credi che non l'abbia detto? Sono abbastanza adulto per partecipare al Consiglio ed ascoltare quello che dicono gli altri, Dani, ma credi che loro ascoltino me, quando parlo? Mio nonno ha detto che sapeva che io e Lew eravamo stati bredin, da bambini... come per sottintendere che questo avrebbe influenzato il mio giudizio. Se Kennard fosse qui, forse lo ascolterebbero. Molti lo ascoltarono. Ma non trascurano Marius, anche se non gli hanno concesso la posizione di Alton di Armida; hanno nominato Gabriel suo tutore, e lo hanno mandato al quartier generale terrestre perché ricevesse un'educazione terrestre adeguata. È più istruito di te e di me, Dani, e quello che ha imparato là probabilmente ha più senso, in questi tempi dell'Impero e dei viaggi interstellari, di tutto questo... — Regis indicò la caverna, le guardie armate di spade. Era d'accordo con il Patto Darkovano, che vietava l'uso di ogni arma al di là della portata del braccio di chi l'usava, affermando che chi voleva uccidere doveva accettare a sua volta il rischio di venire ucciso. Tuttavia, le spade non erano soltanto armi, erano anche simboli di un modo di vivere che sembrava avere ben poco senso in presenza di un Impero interstellare. Danilo seguì i suoi pensieri, ma scrollò ostinatamente la testa. — Non sono d'accordo con te, Regis. Marius merita di più dal Consiglio di un'educazione terrestre. Non credo che Kennard avrebbe dovuto lasciare il pianeta, e certamente non avrebbe dovuto restare assente tanto a lungo. Hastur dovrebbe richiamarlo immediatamente... a meno che tuo nonno aspiri a portare un altro Dominio sotto il potere degli Hastur. Sembra che si sia già impadronito del Dominio di Elhalyn... altrimenti, perché Derik non è stato ancora incoronato, a diciotto anni? Regis fece una smorfia. — Tu non conosci il nostro Principe. Ha diciotto anni, ma è come un bambino di dieci. Mio nonno non desidera altro che liberarsi dall'onere della Reggenza di Thendara... Danilo inarcò un sopracciglio con aria scettica, ma non disse nulla. Re-
gis ripeté: — Derik non è ancora pronto per regnare. Il Consiglio ha rimandato l'incoronazione fino a quando avrà venticinque anni. Ci sono i precedenti, e se Derik è semplicemente lento nel diventare un uomo saggio, bene, questo gliene darà il tempo. Se no... bene, faremo volare questo falco quando gli saranno spuntate le ali. — E se Derik, secondo il giudizio di Hastur, non fosse mai adatto a regnare? — chiese Danilo. — Un tempo erano gli Hastur a governare su tutti questi Dominii, e la ribellione contro la loro tirannia scisse i Dominii in cento piccoli regni! — E furono gli Hastur a unirli tutti di nuovo, ai tempi di Re Carolin — disse Regis. — Anch'io ho letto la storia. In nome di Aldones, Dani, credi che mio nonno aspiri a diventare il re di tutto questo paese? Oppure io ti sembro un tiranno? Danilo disse: — No, certamente. Ma in linea di principio, ognuno dei Dominii dovrebbe essere forte... e indipendente. Se il Nobile Hastur non può incoronare Derik - e da quel po' che ho visto di lui, non mi sembra un vero re - dovrebbe cercare altrove un Erede di Elhalyn. Perdonami, Regis, ma non mi piace vedere tanto potere nelle mani degli Hastur; prima la Reggenza che controlla l'Erede della Corona, e adesso anche gli Alton sotto la tutela di Hastur. E il Dominio di Alton comporta il comando della Guardia del Castello. Cosa cercherà di fare adesso Hastur? Dama Callina di Valeron è nubile; la farà sposare, magari con te, per portare anche il Dominio di Aillard nelle mani degli Hastur? — Sono abbastanza vecchio per essere consultato a proposito del mio matrimonio — disse Regis in tono asciutto. — E ti assicuro che, se mio nonno ha progetti simili, con me non ne ha parlato. Lo vedi come un ragno al centro di una tela tanto grande? — Regis, non sto cercando di litigare con te — Danilo alzò la caraffa del vino e, quando Regis scosse il capo, versò egualmente. — So che tuo nonncsè un uomo onesto e in quanto a te... bene, sai che cosa penso, bredhyu. — Usò l'inflessione intima, e Regis sorrise, ma Danilo continuò, in tono serio: — Tutto questo stabilisce un precedente pericoloso. Dopo di te, potrebbe regnare qualche Hastur non veramente degno di tanto potere. Potrebbe venire un giorno in cui tutti i Dominii fossero vassalli di Hastur. — Per gli inferni di Zandru, Dani! — esclamò Regis, spazientito. — Pensi davvero che Darkover resterà tanto a lungo indipendente dall'Impero, o che i Comyn governeranno i Dominii, quando verrà quel giorno? Io credo che Marius Alton sia l'unico di noi veramente preparato per la dire-
zione nella quale si avvierà Darkover. — Quel giorno — disse sottovoce Danilo, — verrà solo se passeranno sui cadaveri del Dominio di Ardais. — Senza dubbio, quel giorno ci saranno anche cadaveri di Hastur, ma verrà egualmente. Ascolta, Dani — insistette Regis, — tu capisci veramente la situazione? Qualche generazione fa, quando arrivarono i terrestri, fu perché eravamo per caso nel posto sbagliato al momento giusto... un pianeta situato tra il braccio superiore e quello inferiore della Galassia, esattamente dove dovevano creare uno spazioporto come punto di transito e d'incrocio per le rotte dell'Impero. Avrebbero preferito un pianeta disabitato, e sono sicuro che discussero di rendere tale Darkover. Poi scoprirono che eravamo una colonia terrestre perduta... — E San Valentino delle Nevi è sepolto a Neversin — disse Danilo, esasperato. — Tutto questo l'ho sentito quando eravamo prigionieri in Aldaran tre anni fa, Regis! — No, ascolta... i terrestri ci trovarono, scoprirono che parlavamo lingue morte sulla Terra da moltissimo tempo; ma eravamo un mondo primitivo che aveva perduto la sua tecnologia, o così pensavano. Ci assegnarono la posizione di Mondo Chiuso, perché non venissero disturbati da rivolgimenti sociali troppo rapidi... lo fanno con tutte le società primitive, perché possano evolversi con il loro ritmo. Quindi si accorsero che non eravamo un pianeta tanto primitivo, dopotutto, che avevamo il laran e la tecnologia delle matrici. Si accorsero che le menti collegate, nei cerchi delle Torri, potevano estrarre metalli, alimentare aerei, e tutte le altre cose... bene, volevano la tecnologia delle matrici, e tentarono tutto il possibile per assicurarsela. — Regis, tutto questo lo so, ma... — Vuoi ascoltare? Lo sai come lo so io; alcuni darkovani volevano, e vogliono ancora, i vantaggi della tecnologia terrestre, un posto nell'Impero, una posizione per Darkover come colonia con forza politica, rappresentanza nel Senato imperiale... tutte queste cose. Altri, specialmente tra i Comyn, pensano che la cittadinanza imperiale distruggerebbe il nostro mondo e la nostra gente. Temono che diventeremmo una colonia come dozzine d'altre, dipendente dal commercio terrestre, dai metalli e dai lussi importati, dai turisti... Finora l'hanno spuntata. Posso capire che dovranno esserci cambiamenti su Darkover. Ma voglio che vengano con un ritmo che possiamo assimilare. — E io voglio che non vengano affatto — disse Danilo.
— E chi lo vorrebbe? Ma i terrestri sono qui, ci piaccia o no. E non intendo farmi accusare di adoperarmi per mantenere la nostra gente in uno stato primitivo e barbaro, perché io e la mia famiglia possiamo conservare i nostri poteri superstiziosi! Regis aveva parlato con più veemenza di quanto volesse, dimenticando dov'erano. Una voce languida disse: — Bravo! L'Erede di Hastur è diventato maggiorenne e ha scoperto che i terrestri sono una realtà, non un branco di babau buoni per spaventare i bambini! Regis trasali. Aveva dimenticato che non erano soli. Si voltò e vide un uomo alto, magro e biondo, con l'aria del Comyn nei lineamenti angolosi, elegantemente vestito alla darkovana ma con il mantello ornato di ricche pelli aliene. Regis s'inchinò, con un'espressione di rigida cortesia. — Cugino — disse. — Non ti avevo visto, Lerrys. — Anch'io non ti avevo visto, Dom Regis — disse Lerrys Ridenow. — Ma quando gridi così forte che i terrestri potrebbero sentirti dal loro quartier generale nella parte opposta della città, perché dovrei fingere di non udirti? Sono lieto di sapere che tu capisci la situazione. Spero che questo significhi che ci sarà un altro difensore della ragione in Consiglio, quest'anno, e che i Ridenow non saranno soli contro quel conclave rimbecillito di vecchie zitelle d'ambo i sessi! Regis disse, impettito: — Ti prego, non credere che io sia completamente d'accordo con te, Dom Lerrys. Non mi piace pensare al sovvertimento sociale che avverrebbe, se diventassimo una delle tante colonie terrestri... — Ma siamo una delle tante colonie terrestri — disse Lerrys. — E prima lo riconosceremo e meglio sarà. Sovvertimenti sociali? Bah! I nostri vogliono i vantaggi che porterà la cittadinanza terrestre, e sarebbero pronti ad accettare il resto, quando si trovassero di fronte al fatto compiuto. Non sono abbastanza istruiti per sapere che cosa vogliono, e gli Hastur e i degni signori dei Comyn si sono assicurati che non lo sappiano! — Lerrys Ridenow si sollevò a mezzo. — Dobbiamo continuare a gridare così da un tavolo all'altro? Non vuoi unirti a noi, cugino... con il tuo amico? — Usò l'inflessione intima della parola, con le sue implicazioni, e Regis, irritato, lanciò un'occhiata a Danilo, quasi augurandosi che rifiutasse; ma non c'era un motivo ragionevole per respingere l'invito. Lerrys era un Comyn, e suo parente. Non c'era motivo per il suo disgusto. Ma forse abbiamo in comune più di quanto vorrei. Lui ostenta apertamente quello che io, nell'interesse di mio nonno, tengo entro certi limiti discreti. Lo invidio, forse, perché è un figlio minore di una casta di Comyn
meno importanti, e perché non è sempre sotto gli occhi del pubblico. Tutto ciò che fa non diviene immediatamente oggetto di pettegolezzi o di critiche. Sedettero al tavolo di Lerrys e accettarono ancora da bere, sebbene non ne avessero voglia. Dopo qualche altro giro, pensò Regis, avrebbe trovato una scusa, e lui e Danilo sarebbero andati da qualche parte a cenare; il Rientro era suonato da un po'. Presto sarebbe venuto il segnale della Notte, dal Palazzo delle Guardie, e avrebbe potuto inventare un impegno altrove. I posti dove preferiva cenare erano troppo umili per Lerrys e i suoi eleganti accompagnatori; quasi tutti, vide, erano darkovani, ma portavano abiti terrestri; non le uniformi funzionali degli spazioporti, ma gli indumenti brillanti e colorati provenienti dagli angoli più lontani dell'Impero. Lerrys versò il vino che aveva ordinato e continuò, riprendendo la conversazione che aveva interrotto: — Dopotutto, noi siamo terrestri; meritiamo tutti i privilegi della nostra eredità. Ognuno, nei Dominii, potrebbe trarre beneficio dalla medicina e dalla scienza dei terrestri... per non parlare poi dell'istruzione! So che tu sai leggere e scrivere, Regis, ma devi ammettere di essere una felice eccezione. Quanti, anche tra i cadetti, sanno fare più che scarabocchiare il loro nome e compitare il manuale delle armi? — Credo siano abbastanza istruiti per ciò che devono fare al mondo — disse Regis. — Perché dovrebbero oberarsi di oziose assurdità, come quasi tutti i testi scritti? Ci sono abbastanza studiosi inutili al mondo... e nell'Impero, in quanto a questo. — E se sono ignoranti — disse Lerrys con un sorriso sardonico, — è più facile mantenerli asserviti ai Comyn con la superstizione e le storie favolose della sovranità divinamente conferita agli Hastur, parenti degli Dei... — Certo, sono d'accordo con te, non c'è giustificazione per questa specie di schiavitù mentale — disse Regis. — Se hai sentito quello che stavo dicendo prima, protestavo appunto contro questa forma di tirannia. Ma non puoi dire che siamo terrestri e niente altro. — Tese la mano attraverso il tavolo e la posò, palmo contro palmo, su quella di Lerrys, contando le sei dita; poi toccò il sacchetto di pelle che portava appeso al collo e che conteneva la matrice, una piccola pietra calda, una pulsazione... — I poteri dei Comyn sono reali. — Oh... il laran — disse Lerrys, alzando le spalle. — Persino alcuni dei terrestri che vengono tra noi l'hanno sviluppato; anche questo fa parte della nostra eredità terrestre, e possiamo insegnarlo a loro... Perché dovrebbe essere limitato ai Comyn? In cambio avremo le loro scienze; la conoscenza
del controllo del clima, che sarebbe una vera benedizione divina in certi territori al di là degli Heller; il deserto delle Città Aride, forse, potrebbe venire bonificato e coltivato, e alcune delle montagne intransitabili oltre la Muraglia-Intorno-al-Mondo potrebbero venire portate in contatto con i Dominii; l'astronomia, il volo interstellare... e in cambio, il laran e la conoscenza diffusi in tutta la Galassia... — Potrebbe essere pericoloso, troppo pericoloso per diffonderlo indiscriminatamente nell'Impero — disse in tono diffidente uno dei giovani compagni di Lerrys. — Tu c'eri quando bruciò Caer Donn, Lerrys? — C'ero io — disse Regis, guardando bruscamente lo sconosciuto. — Ti conosco. Rakhal... Rafe... — Rakhal Darriell-Scott, z'par servu — disse il giovane. — Nella Zona Terrestre mi chiamano Rafe Scott. Ho visto, allora, ciò che può fare il laran incontrollato... e spero di non rivederlo mai più! — Non temere — disse Lerrys. — La matrice Sharra fu distrutta. A quanto ne sappiamo, era l'unica delle vecchie matrici delle Ere del Caos rimasta sul nostro mondo. Inoltre, se esistono cose del genere, dobbiamo imparare a controllarle e a usarle, non a nasconderci come gli uccelli banshee alla luce del sole, e fingere che non esistano affatto. Credimi, i terrestri non sono più ansiosi di voi di vedere il laran fuori controllo in quel modo. — E qualunque cosa accada, ci saranno sempre quelli che possono usare il laran e quelli che non possono — disse un altro giovane. Anche quello aveva qualcosa di familiare; Regis pensò che era probabilmente un parente di Rafe Scott. Non desiderava ricordare quel tempo a Castel Aldaran, e il momento spaventoso in cui Sharra s'era scatenata tra le colline oltre il fiume. Lui e Danilo, fuggendo da Aldaran, avevano corso il rischio di morire, tra quelle alture... — Comunque, siamo tutti terrestri — disse Lerrys, — e l'Impero è la nostra eredità, di diritto e come privilegio; non dovremmo chiedere la cittadinanza imperiale o i benefici dell'Impero. Ci hanno dato la posizione di Mondo Chiuso, ma è ora di rettificare questo errore. Prima che possiamo farlo, dobbiamo riconoscere che l'Impero terrestre è il nostro governo legittimo, come i parrucconi e l'aristocrazia locale! Posso capire che tu, Regis, preferiresti conservare il tuo potere, ma ascoltami! Di fronte a un Impero che si estende su mille mondi, che importanza ha ciò che i contadini pensano dei nostri nobili? Finché questo sarà un Mondo Chiuso, gli aristocratici locali possono conservare il potere e i privilegi. Ma quando avremo
riconosciuto di essere parte dell'Impero terrestre - non che vogliamo diventarne parte, ma lo siamo già, e quindi siamo soggetti alle sue leggi - allora ogni cittadino di Darkover potrà reclamare quel privilegio, e... — Forse ci sono molti che non lo considerano un privilegio... — incominciò Danilo accalorandosi, e Lerrys l'interruppe con voce strascicata: — Che importanza ha ciò che pensa quella gente? Oppure, negandole questo privilegio, vuoi semplicemente rivendicare il tuo, Nobile Danilo, come Tutore di Ardais... Ma prima che Danilo potesse rispondere, ci fu un movimento nella prima sala, e Dyan Ardais entrò nella stanza sul retro, dove stavano i pochi ufficiali superiori rimasti e i Comyn. Venne direttamente al loro tavolo. — Salute a voi, parenti. — S'inchinò leggermente. Danilo, come si conveniva a un figlio adottivo alla presenza del Capo del suo Dominio, si alzò e rimase in attesa. Dyan era alto e magro, un vero darkovano degli Heller; i lineamenti erano aquilini, gli occhi grigio-acciaio, quasi incolori, quasi metallici. Da quando Regis lo conosceva, Dyan si era sempre ostentatamente vestito di nero, quando non era in uniforme o non portava i colori cerimoniali del suo Dominio; e il nero gli dava un'aria di gelida austerità. Come molti montanari, non aveva i capelli del vero rosso dei Comyn, bensì ruvidi, ricciuti e scuri. — Danilo — disse. — Ti stavo cercando. Avrei dovuto immaginare che eri qui. E che Regis era con te, naturalmente. Regis sentì il lieve guizzo ironico del contatto telepatico, fastidiosamente intimo, come se Dyan Ardais si fosse preso in pubblico una libertà un po' indecorosa, spettinandolo come se fosse un bambino di otto o nove anni; niente di tanto serio perché lui potesse obiettare senza perdere dignità. Sapeva che a Dyan piaceva vederlo a disagio; ma non sapeva perché. La faccia del Signore di Ardais, tuttavia, era indifferente. — Volete cenare tutti e due con me? — chiese. — Ho qualcosa da dirti, Danilo, che influirà sui tuoi piani per la stagione del Consiglio, e poiché so che, dopo, la tua prima mossa sarebbe dirlo a Regis, tanto vale che lo dica subito a entrambi e risparmi il tempo. — Ai tuoi ordini, mio signore — disse Danilo con un lieve inchino. — Ci fai compagnia, cugino? — chiese Lerrys, e Dyan scrollò le spalle. — Berrò qualcosa. Lerrys si spostò sulla panca per far posto a Dyan e al suo giovane amico; Regis non riconobbe quest'ultimo e anche Lerrys guardò Dyan con aria in-
terrogativa. — Non vi conoscete? Questo è Merryl Lindir-Aillard. Dom Merryl era sulla ventina, pensò Regis; snello, fulvo, lentigginoso, fanciullesco, a suo modo bello. Scrollando mentalmente le spalle - gli amici e i favoriti di Dyan non lo riguardavano, grazie ad Aldones - s'inchinò cortesemente al giovane. — Sei parente di Domna Callina, vai dom? Non credo che ci siamo mai incontrati. — Sono suo fratellastro, mio signore — disse Merryl, e Regis sentì nella sua mente, come un'eco, la domanda che il giovane non voleva fare ad alta voce: «Lord Dyan l'ha chiamato Regis. È il nipote del Reggente, l'Erede di Hastur? Che cosa ci fa qui, come un individuo ordinario?» Erano i soliti interrogativi mentali, ai quali era difficile abituarsi. — Allora quest'anno siederai in Consiglio? — Ho questo onore; rappresenterò mia sorella in Consiglio mentre è trattenuta ad Arilinn dai suoi doveri di Custode — disse Merryl, e il fastidioso intrico mentale continuò: «In qualunque altro Dominio, il seggio in Consiglio sarebbe mio, ma in questo; maledetto tutto il Consiglio, il rango viene trasmesso per linea femminile e tocca a quella carogna della mia sorellastra che, come tutte le donne, pretende di spadroneggiare...» Regis fece uno sforzo per barricarsi, e il flusso telepatico si attenuò. Disse educatamente: — Allora ti porgo il benvenuto a Thendara, parente. Il giovane bruno e snello seduto tra Lerrys e Rafe Scott disse timidamente: — Sei il fratello di Callina, dom Merryl? Allora anch'io devo porgerti il benvenuto come parente; la sorella di Callina, Linnell, è stata allevata insieme a me ad Armida, e la chiamo breda. Mi ha parlato spesso di te, parente. — Purtroppo non conosco tutti i parenti di Domna Callina — rispose Merryl, nel tono più formale e indifferente. Regis rabbrividì a quella scortesia nei confronti del ragazzo, e all'improvviso comprese chi doveva essere l'altro: il figlio minore di Kennard, Marius, mai riconosciuto dal Consiglio ed educato fra i terrestri. Regis non aveva mai visto Marius, ma non era sorprendente; frequentavano ambienti diversi e... sì, ecco, l'aveva visto quando era un bambino piccolo. Adesso doveva avere quindici anni. Sembrava indifferente alla scortesia di Merryl; era così abituato agli insulti che aveva imparato a ignorarli, oppure aveva solo imparato a fingere di non curarsene? Con estrema cortesia, Regis disse: — Dom Marius! Non ti avevo riconosciuto, cugino. Marius sorrise. Aveva gli occhi duri come quelli di un terrestre. — Non
scusarti, Nobile Regis; non sono molti, in Consiglio, quelli che mi riconoscono. — E Regis captò la parte inespressa della risposta: «O che lo ammetterebbero se lo facessero.» Lerrys riempì il breve silenzio imbarazzato versando il vino, porgendolo a Dyan e commentando con disinvoltura che nella taverna il vino non era dei migliori. — Ma come ufficiale della Guardia, cugino, senza dubbio avrai imparato a non scandalizzarti. — Ora nessuno penserebbe, che tu abbia portato l'uniforme della Guardia, Lerrys — rispose Dyan, piuttosto affabilmente. — Ecco, ho fatto la mia parte come figlio di un Comyn, — disse Lerrys con un sogghigno. — Come tutti. Però non ricordo di averti visto fra i cadetti, Merryl. Merryl Lindir-Aillard disse con una smorfia: — Oh, fui colpito da una febbre quando avrei dovuto prestare servizio fra i cadetti, e mia madre era molto timorosa, e temeva che mi sarei squagliato sotto le piogge estive... e più tardi, quando è morto mio padre, ha detto che c'era bisogno di me in casa — concluse in tono amareggiato. Danilo disse sorridendo: — Anche mio padre la pensava così; ed era vecchio e debole. Mi lasciò andare abbastanza volentieri, sapendo che nella Guardia mi sarei migliorato; ma fu ben contento di riavermi a casa. Non è facile capire dove c'è più bisogno di noi, parente. — Credo che tutti noi abbiamo fatto questa esperienza — disse Dyan. — Ma non hai perso proprio niente — disse Lerrys. — Per gli inferni di Zandru, parente, chi ha bisogno di allenarsi alla scherma con la spada e il coltello, di questi tempi? I Cadetti, scusami, Nobile Regis, sono ormai un anacronismo, e prima lo ammetteremo e diremo che sono una guardia d'onore lussuosamente vestita, e meglio sarà per tutti. Le Guardie svolgono servizio di polizia nella città, ma dovremmo approfittare dell'offerta dei terrestri, di mandare qui gli spaziali a insegnare la tecnica della polizia moderna. So che devi avere l'impressione di aver perduto qualcosa che spetta a tutti i Comyn, Merryl, ma io ho passato tre anni nei Cadetti e altri due come ufficiale, e ne avrei fatto volentieri a meno. Se hai un bell'aspetto, con il mantello della Guardia addosso - e basta vederti per capire che tu lo avresti - non hai bisogno d'imparare altro. E sono sicuro che Dyan te l'avrà detto. — Non è necessario essere offensivo, Lerrys — disse Dyan, impettito. — Ma da te avrei dovuto aspettarmelo... passi più tempo su Vainwal ad esplorare i piaceri alieni che qui a Thendara a fare il tuo dovere di nobile
Comyn! Sembra che questo sia il clima della nostra epoca! Non posso biasimarti; quando gli Alton trascurano il loro dovere, che cosa si può pretendere da un Ridenow? — Sei invidioso? — chiese Lerrys. — Su Vainwal, almeno, non devo nascondere le mie preferenze, e se gli Alton possono passare il tempo oziando nell'Impero, che diritto hai di criticarmi? — Critico anche loro non meno di... — cominciò Dyan, accalorandosi. — Nobile Dyan — disse irosamente Marius Alton, — credevo che almeno tu fossi amico di mio padre... o abbastanza amico da non giudicare le sue motivazioni. Dyan lo guardò negli occhi e chiese, lentamente: — E tu chi diavolo sei? — Sai bene chi sono — ribatté Marius, — anche se ti diverti a fingere di non saperlo! Sono Marius Montray-Lanart di Alton... — Oh, il figlio della Montray — disse Dyan, con l'inflessione insultante che significava «marmocchio» o «trovatello». Marius trasse un profondo respiro e strinse i pugni. — Se Kennard, il Nobile Alton, mi riconosce come figlio, non m'importa se gli altri non lo fanno! — Un momento... — intervenne Lerrys, ma Merryl Lindir disse: — Dobbiamo ascoltare queste cose anche a Thendera? Non sono venuto qui a bere con i bastardi terrestri... e con le spie terrestri! Marius balzò in piedi, infuriato. — Spie terrestri? Il capitano Scott è mio ospite! — Come ho detto, spie e adulatori terrestri... non è per questo che sono venuto qui! — No — ribatté Marius, — sembra che sia venuto qui per una lezione di buone maniere... e sono pronto a dartela! — Scostò la sedia con un calcio, girò intorno al tavolo, con la mano sul pugnale. — Prima lezione: non criticare l'ospite di qualcuno... e io sono qui come ospite del Nobile Lerrys, e il capitano Scott come ospite mio. Seconda lezione: non venire a Thendara per fare insinuazioni sulla discendenza di qualcuno. Chiedi scusa al capitano Scott e ritira quello che hai detto di mio padre... e di mia madre! E anche tu, Nobile Dyan, oppure dovrò chiederne conto anche a te! Bravo, pensò Regis, guardando il giovane che impugnava il coltello e si teneva pronto a battersi. Merryl batté le palpebre, poi estrasse il pugnale e indietreggiò per aver spazio per muoversi. Disse: — Sarà un piacere, bastardo di Alton... Lerrys cercò d'intromettersi. Posò la mano sul polso di Marius. — A-
spetta un momento... — Non immischiarti, mio signore — disse Marius a denti stretti. «Bene, il ragazzo ha coraggio! Ed è anche bello, a suo modo! Per gli inferni di Zandru, perché Kennard non ha...» Per un momento Regis non riuscì a identificare la fonte di quel pensiero, poi Dyan disse a voce alta: — Metti via quel coltello, Merryl! Maledizione, è un ordine! Anche tu, Marius, ragazzo mio. Il Consiglio non ha mai riconosciuto il matrimonio di Kennard Alton, ma non è difficile vedere che sei il figlio di tuo padre. Marius esitò, poi abbassò il coltello. Merryl Lindir-Aillard ringhiò: — Maledizione, allora hai paura di batterti, come tutti voi vigliacchi terrestri... pronti a uccidere a distanza con le vostre armi da codardi, ma spaventati dall'acciaio nudo? Lerrys si mise in mezzo. — Questo non è il posto per una rissa! In nome di Zandru... Regis vide che gli altri, nella taverna, si erano tirati indietro, formando una cerchia di spettatori. «Quando i parenti litigano, i nemici s'intromettono per allargare l'abisso! Gli dà piacere vedere la discordia fra i Comyn?» — Basta, tutti e due! Questa non è una casa di banditi! — Indietro, tutti e due — disse una voce nuova, autoritaria, e Gabriel Lanart-Hastur, Comandante della Guardia, si fece avanti. — Se volete battervi, che sia una sfida formale, e non una stupida rissa! Siete ubriachi entrambi? Lerrys, sei un ufficiale, lo sai che nessuna sfida è valida se i due contendenti non sono sobri! Marius... Marius strinse i pugni. — Ha insultato mio padre e mia madre, parente! Per l'onore del Dominio degli Alton... Gabriel non alzò la voce: — Lascia nelle mie mani l'onore del Dominio fino a che non sarai più grande, Marius. — Sono abbastanza sobrio per sfidarlo! — disse rabbiosamente Marius. — E lo sfido... — Merryl, maledetto stupido — disse Dyan, posando una mano sulla spalla del giovane, — è una faccenda seria... — Che io sia dannato se mi batterò onorevolmente con un bastardo terrestre! — gridò Merryl, voltandosi di scatto verso Gabriel Lanart-Hastur. Disse: — Mi batterò con te, o con tutto il tuo maledetto Dominio... se qualcuno di loro tornerà qui su Darkover, dove dovrebbe essere! Ma il tuo Nobile Alton non è migliore dei suoi bastardi! Stanno a solazzarsi nell'Impero quando c'è bisogno di loro in Consiglio... Gabriel avanzò di un passo, ma vi fu un lampo di fuoco azzurro e Merryl
arretrò barcollando. L'esplosione telepatica fu come un tuono nelle menti di tutti. FRENA LA TUA STUPIDA LINGUA, IDIOTA! DA MOLTO TEMPO SOSPETTAVO CHE DOMNA CALLINA FOSSE L'UNICO UOMO DELLA TUA FAMIGLIA, MA È NECESSARIO CHE TU LO PROVI COSÌ IN PUBBLICO? HAI IL CERVELLO DOVE TI SIEDI? Poi venne un'immagine oscena; Regis vide Merryl rabbrividire. Lo sentì anche nella mente di Danilo; Danilo aveva provato cosa significava essere insultato spietatamente da Dyan, con forza sadica, fino a quando era crollato e aveva brandito un coltello... Regis sentì Danilo rabbrividire, sentì la sua sofferenza e arretrò, ciecamente, per stargli accanto. Merryl era pallidissimo; per un momento Regis pensò che scoppiasse in pianto di fronte a tutti. Poi Dyan disse a voce alta, freddamente: — Nobile Regis, Danilo, mi pare che dobbiamo andare a cena. Dom Lerrys, grazie del vino. — Rivolse un cenno a Regis, poi voltò le spalle a tutti. Regis e Danilo non poterono far altro che seguirlo. Merryl, stordito, stringeva ancora il coltello; lo rinfoderò e si accodò a loro. Con una rapida occhiata alle spalle, Regis vide che la tensione s'era dissolta; Gabriel stava parlando in fretta e sottovoce a Marius, ma andava bene così; Regis sapeva che suo cognato aveva le migliori intenzioni e dopotutto, in assenza di Kennard, Gabriel era il tutore di Marius. Quando uscirono, Dyan guardò Merryl, accigliandosi: — Intendevo invitarti a venire con noi; voglio che tu e Regis impariate a conoscervi. Ma è meglio che stia alla larga fino a quando non avrai imparato a comportarti in città, ragazzo! La prima volta che ti porto in compagnia dei Comyn, ti cacci in una stupida rissa! Il tono e le parole non sarebbero stati diversi se avesse parlato a un bambino di otto o nove anni tornato a casa con il naso sanguinante per una zuffa a causa d'una partita a bilie. Per quanto il comportamento di Merryl fosse stato imperdonabile, Regis provò un senso di pena per il giovane che, rosso in viso, subiva senza reagire la sfuriata di Dyan. Bene, l'aveva meritata. Merryl trangugiò e disse: — Dovevo lasciarmi insultare da terrestri e mezzi terrestri, parente? — Usò la parola con l'inflessione intima che poteva significare Zio, e Dyan non lo rimproverò: tese la mano e gli diede uno schiaffetto sulla guancia. — Secondo me, sei stato tu a insultarli. E c'è un modo giusto e un modo sbagliato per fare queste cose, kiyu. Vai a pensare qual è il modo giusto. Ci vediamo più tardi.
Merryl se ne andò, ma non aveva più tanto l'aria del cucciolo preso a calci. Regis, a disagio, seguì Dyan per la strada. Il Comyn entrò in quella che sembrava una piccola, discreta taverna. All'interno, riconobbe il locale per ciò che era, ma Dyan scrollò le spalle. — Qui non incontreremo altri Comyn, e posso fare volentieri a meno della compagnia di uno come l'ultimo! — Il guizzo del pensiero inespresso, «Se tieni alla tua intimità, ragazzo mio, è meglio che ti abitui a posti come questo,» era così indifferente che Regis poteva ignorarlo, se voleva. — Come preferisci, parente. — Si mangia molto bene — disse Dyan, — e ho ordinato la cena. Non è necessario che vediate il resto del locale, se non volete. — Seguì un ossequioso servitore in una saletta parata di cremisi e oro, e incominciò a parlare del più e del meno... delle decorazioni, della musica d'archi in sottofondo, mentre giovani camerieri venivano a portare i vari piatti. — È musica tipica delle colline: è un complesso famoso, formato da quattro fratelli — disse Dyan. — Li ho sentiti quando ero ancora a Nevarsin, e li ho consigliati di venire a Thendara. — Una voce bellissima — disse Regis, ascoltando i limpidi toni di soprano del musicista più giovane. — Un tempo la mia era migliore — disse Dyan, e Regis, nel sentire il tono indifferente, comprese che nascondeva il rammarico. — Ci sono molte cose che non sa di me, e questa è una. Non ho più cantato da quando cambiai voce, anche se, quando ero al monastero lo scorso inverno, ho fatto parte del coro. C'era molta pace nel monastero, anche se non sono un cristoforo e non lo sarò mai; la loro religione è troppo ristretta per me. Spero che verrà un giorno in cui anche tu penserai così, Danilo. — Io non sono un buon Cristoforo — disse Danilo. — Ma era la fede di mio padre e sarà la mia, credo, fino a quando ne troverò una migliore. Dyan sorrise. — La religione è uno svago per menti oziose, e la tua non è oziosa abbastanza. Ma nella vita pubblica, non danneggia certo un uomo conformarsi alla religione del popolo, se il conformismo è superficiale e non contamina il suo pensiero. Sono d'accordo con quelli che dicono, persino a Nevarsin: Non c'è religione più alta della verità. E non è una bestemmia, figlio adottivo; l'ho sentita dalle labbra del Padre Maestro. Ma lasciamo stare... ho qualcosa da dirti, Danilo, e ho pensato di risparmiarti il disturbo di correre a confidarlo subito a Regis. Per dirla in breve: sono un impulsivo, come sai da molto tempo. L'anno scorso ho soggiornato per qualche tempo ad Aillard, e la sorella gemella di Merryl, dieci giorni fa, mi
ha dato un figlio. Fra le altre cose, sono venuto a Thendara per farlo legittimare dal Consiglio. Danilo disse, educatamente: — Congratulazioni, padre adottivo. Anche Regis mormorò una frase di rallegramento, ma era sconcertato. — Sei sorpreso, Regis? Lo sono un po' anch'io. In generale, anche per svagarmi, non amo le donne... ma come ho detto, sono... impulsivo. Marilla Lindir non è una sciocca; le donne Aillard sono più intelligenti degli uomini, come ho motivo di sapere. Credo che le abbia fatto piacere dare un figlio a un Ardais, dato che i figli degli Aillard non hanno possibilità di ereditare quel Dominio. Immagino sappiate come possono accadere queste cose... o siete troppo giovani? — chiese Dyan, inarcando le sopracciglia con una sfumatura di malizia. — Bene, è andata così... quando ho saputo che Marilla era incinta, non ho detto nulla. Poteva essere una figlia per gli Aillard, anziché un figlio per gli Ardais... ma mi sono preso il disturbo di farla controllare e di accertare che il figlio fosse mio. Non ne ho parlato quando ci siamo incontrati a metà inverno, Danilo, perché poteva ancora accadere qualunque cosa; sebbene sapessi che sarebbe stato un maschio, poteva esserci un aborto, il bambino poteva nascere morto o essere anomalo... i Lindir hanno nelle vene il sangue degli Elhalyn. Ma è sano e robusto. — Allora rinnovo le congratulazioni — disse Danilo. — Non pensare che questo cambierà le cose per te — disse Dyan. — Le vite dei bambini sono... incerte. Se dovesse capitargli qualcosa prima che diventi adulto, non cambierà nulla; e se io morissi nel frattempo, spero che allora tu sarai sposato e diventerai il suo Reggente. Anche cosi, quando lascerà la cura della madre, io non sono adatto ad addossarmi il compito di allevare un figlio, e alla mia età non me la sentirei di farlo; preferirei che l'adottassi tu. Presto mi darò da fare per combinarti un matrimonio adeguato... Linnell Lindir-Aillard è fidanzata con il Principe Derik, ma ci sono altre Lindir, e c'è Diatima Ridenow, che ha quindici o sedici anni e... bene, c'è tempo per decidere. Non credo che tu abbia troppa fretta di sposarti — concluse ironicamente. — Lo sai benissimo, padre adottivo. Dyan alzò le spalle. — Allora qualunque ragazza andrà bene, dato che ti ho risparmiato il disturbo di dare un Erede ad Ardais: potremo sceglierne una che sia amabile e si accontenti di dirigere la tua casa e le tue proprietà — disse. — Una finzione legale, se vuoi. — Girò gli occhi verso Regis. — E dacché ci sono, devo fare le congratulazioni anche a te; tuo nonno mi ha detto della ragazza Di Asturien, e tuo figlio... nascerà questa decade, pen-
si? C'è in vista un matrimonio? Regis si sentì sopraffare dalla collera. Aveva avuto intenzione di dirlo a Danilo a suo tempo. Rispose, impettito: — Non ho intenzione di sposarmi per ora, parente. Come non l'hai tu. Gli occhi di Dyan scintillarono di malizia divertita. — Ho detto qualcosa che non va? Ti lascerò a far pace con il mio figliolo adottivo, Regis. — Si alzò, inchinandosi con grande cortesia. — Vi prego, ordinate tutto ciò che desiderate, vino, piatti o... divertimenti. Questa sera siete miei ospiti. — S'inchinò di nuovo e uscì, prendendo il grande manto foderato di pelliccia che svolazzava come una cosa viva. Dopo un minuto Danilo disse, con voce soffocata: — Non prendertela, Regis. Invidia la nostra amicizia, niente altro, e colpisce a caso. Inoltre, credo che si senta ridicolo: avere un figlio bastardo alla sua età! — Giuro che avevo intenzione di dirtelo — mormorò Regis, avvilito. — Aspettavo il momento opportuno. Volevo dirtelo prima che venissi a saperlo da qualche pettegolezzo. — Ma Regis, che cosa mi riguarda, se tu hai una relazione con una donna? — Conosci la risposta — disse Regis, a voce bassa e rabbiosa. — Io non ho relazioni con una donna. Sai che sono cose che devono succedere, finché sono l'Erede di Hastur. Gli Eredi Comyn sono gli stalloni dei Dominii... ecco di che si tratta! A Dyan non piace più di quanto piaccia a me, ma anche così ha parlato di farti sposare. E che io sia dannato se sposerò qualcuna che altri sceglieranno per me, come se fossi un cavallo da monta! È stato così, ed è tutto. Crystal di Asturien è una giovane donna simpatica; ho ballato con lei in una mezza dozzina di feste pubbliche, l'ho trovata gentile, mi ha fatto piacere parlare con lei... — Alzò le spalle. — Che cosa posso dirti? Voleva un figlio Hastur. Non è l'unica. Devo scusarmi di ciò che devo fare, oppure preferiresti che la cosa non mi divertisse? — Non devi affatto scusarti con me. — La voce di Danilo era fredda, spenta. — Dani... — supplicò Regis, — dobbiamo lasciare che la malizia di Dyan insinui un cuneo tra noi, dopo tutto questo tempo? Il viso di Danilo si addolcì. — Mai, bredhyu. Ma non capisco. Hai già un Erede... hai adottato il figlio di tua sorella. — E Mikhail è ancora il mio Erede — ribatté Regis. — Ma per troppo tempo l'eredità di Hastur ha pesato sulla vita di un unico figlio. Mio nonno non mi costringerà a sposarmi... finché avrò figli per la stirpe di Hastur. E
io non voglio sposarmi — soggiunse. L'intesa tacita aleggiava tra loro nell'aria. Un cameriere venne a inchinarsi e chiese se i vai domyn desideravano qualcosa d'altro: vino, dolciumi, compagnia... Sottolineò quell'ultima parola, e Danilo non riuscì a nascondere una smorfia di disgusto. — No, no, niente altro. — Esitò, lanciando un'occhiata a Regis. — A meno che tu... Regis disse ironicamente: — Sono libertino soltanto con le donne, Dani, ma senza dubbio ti avrò dato motivo di pensare in modo diverso. — Se dobbiamo litigare — disse Danilo, deglutendo, — almeno facciamolo all'aria pura, e non in un posto come questo. Regis si sentì sopraffare da un'enorme amarezza. Era stato Dyan, maledizione! Disse: — Oh, senza dubbio, questo è il posto più adatto per questo genere di litigi tra amanti... e immagino che se l'Erede di Hastur e il suo favorito devono litigare, è meglio che sia qui, anziché a Castel Comyn, dove tutti i Domimi, prima o poi, verranno a saperlo! E pensò di nuovo: «È un peso più grande di quello che io posso sopportare!» VAINWAL: IMPERO TERRESTRE QUINTO ANNO D'ESILIO II Dia Ridenow li vide per la prima volta nell'atrio dell'albergo di lusso che serviva umani e umanoidi sul mondo turistico di Vainwal. Erano alti e robusti, ma fu il rosso dei capelli del più anziano ad attirare i suoi occhi: il rosso dei Comyn. Aveva passato la cinquantina e camminava zoppicando; aveva la schiena curva, ma era facile capire che un tempo era stato imponente, formidabile. Dietro di lui veniva un uomo più giovane, vestito in modo anonimo, con i capelli scuri e le sopracciglia nere, cupo, con gli occhi grigio-acciaio. Aveva quell'aria di deformità e di sofferenza che Dia aveva imparato ad associare agli invalidi; eppure non aveva difetti visibili, tranne alcune cicatrici su una guancia. Le cicatrici distorcevano una metà della bocca in una smorfia perenne, e Dia distolse gli occhi, piena di ripugnanza: perché mai un nobile Comyn doveva avere un individuo come quello al suo seguito? Perché era evidente che quell'uomo era un Comyn. C'erano persone con i
capelli rossi su altri mondi dell'Impero, e sulla Terra ce n'erano molte; ma quella era una faccia che portava un marchio etnico inconfondibile: darkovano e Comyn. E i capelli dell'uomo più anziano, rosso-fiamma, impolverati di grigio. Ma cosa ci faceva lì? E del resto, chi era? Era difficile trovare i darkovani lontani dal loro mondo. La ragazza sorrise: qualcuno avrebbe potuto rivolgere anche a lei la stessa domanda, perché era darkovana e lontana dalla patria. I suoi fratelli venivano lì perché, sostanzialmente, non si interessavano agli intrighi politici; ma avevano dovuto difendere e giustificare molto spesso la loro assenza. Il Comyn attraversò il grande atrio lentamente, zoppicando, ma con una specie di arroganza che attirava tutti gli sguardi, e Dia pensò, confusamente, che si muoveva come se fosse preceduto dai suoi pifferai e portasse gli stivali alti e un mantello svolazzante... non gli scuri abiti terrestri che indossava ora. E quando ebbe identificato l'abbigliamento terrestre, Dia riconobbe chi era. Un solo Comyn, a quanto si sapeva, aveva sposato regolarmente, di catenas e con tutte le cerimonie, una donna terrestre. Era riuscito a tener testa allo scandalo, che comunque era scoppiato prima della nascita di Dia. Dia non l'aveva visto più di due volte in tutta la sua vita; ma sapeva che era Kennard Lanart-Alton, Signore di Armida, il capo autoesiliato del Dominio degli Alton. E adesso sapeva chi doveva essere l'uomo più giovane, quello con gli occhi cupi; era il figlio Lewis, il mezzosangue, orribilmente sfigurato anni prima in una ribellione tra gli Heller. Dia non s'interessava molto a quelle cose, e comunque, quando era accaduto lei giocava ancora con le bambole. Ma la sorella adottiva di Lew, Linnell Aillard, aveva una sorella maggiore, Callina, che era Custode ad Arilinn; e da Linnell Dia aveva sentito parlare delle lesioni di Lew, aveva saputo che Kennard l'aveva portato sulla Terra nella speranza che la scienza medica dell'Impero potesse aiutarlo. I due Comyn erano fermi accanto al computer centrale; Kennard stava dando ordini a proposito del bagaglio ai servitori umani che rappresentavano uno dei lussi dell'albergo. Dia era cresciuta su Darkover, dove i servitori umani erano comuni e i robot non lo erano; poteva accettare senza imbarazzo quel genere di servizio. Molti non riuscivano a superare la timidezza e l'impaccio nel vedersi serviti da qualcosa di diverso da macchine e robot. L'atteggiamento di Dia a questo proposito le aveva assicurato prestigio fra gli altri giovani di Vainwal, molti dei quali erano nuovi ricchi dell'Impero in espansione, che accorrevano nei mondi turistici senza cono-
scere bene le raffinatezze della bella vita, incapaci di accettare il lusso come se ci fossero cresciuti in mezzo. Il sangue, pensò Dia mentre osservava Kennard e il modo perfetto in cui si rivolgeva ai servitori, non mente mai. L'uomo più giovane si voltò; Dia vide che teneva una mano nascosta in una piega della giacca, e che si muoveva goffamente, destreggiandosi con una mano sola per reggere qualcosa che non voleva venisse toccato da altri. Kennard gli parlò sottovoce, ma Dia sentì il tono impaziente; il giovane fece una smorfia, una smorfia cupa e irosa che fece rabbrividire Dia. All'improvviso, si rese conto che non voleva più vedere il giovane. Ma nel punto dove si trovava, non poteva lasciare l'atrio senza passare accanto ai due. Avrebbe voluto abbassare la testa e fingere che non esistessero. Dopotutto, una delle soddisfazioni dei mondi turistici come Vainwal era poter essere anonimi, liberi dai vincoli della classe e della casta del proprio mondo d'origine; non avrebbe parlato con loro, li avrebbe lasciati in pace come voleva che lasciassero in pace lei. Ma quando passò accanto a loro il giovane, che non l'aveva vista, fece un movimento impacciato e la urtò. L'oggetto che portava nella mano scivolò e cadde sul pavimento con un tintinnio metallico; borbottò irosamente e si chinò per raccoglierlo. Era un oggetto lungo e sottile, avvolto in un drappo; sembrava una coppia di spade da duello, e questo poteva spiegare la cautela. Spesso quelle spade erano eredità preziose, e non venivano mai affidate ad altri. Dia si scostò, ma il giovane s'inceppò con la mano illesa e riuscì soltanto a mandare l'oggetto ancora più lontano. Senza riflettere, Dia si chinò per prenderlo e consegnarglielo - era proprio ai suoi piedi - ma il giovane tese la mano e la spostò. — Non lo tocchi! — disse. La voce era aspra, così stridente da far digrignare i denti. Dia vide che il braccio che aveva tenuto nascosto nella giacca finiva nella manica vuota e ripiegata. Lo guardò, a bocca aperta per l'indignazione, mentre lui ripeteva, incollerito e brusco: — Non lo tocchi! Ma lei aveva solo cercato di aiutarlo! — Lewis! La voce di Kennard era carica di rimprovero; il giovane fece una smorfia e borbottò una scusa, si voltò e raccolse tra le braccia le spade da duello, o qualunque cosa contenesse l'involto intoccabile, girandosi sgraziatamente per nascondere la manica vuota. All'improvviso Dia rabbrividì, un brivido profondo che arrivava fino alle ossa. Perché doveva farle tanta impressione? Aveva visto uomini feriti e deformi; senza dubbio
una mano perduta non era una giustificazione per comportarsi come faceva quello, con una smorfia oltraggiata e difensiva, un mero rifiuto d'incontrare gli occhi di un altro essere umano. Si voltò, scrollando leggermente le spalle; non aveva motivo di perdere tempo con quell'individuo sgarbato, dai modi sgradevoli quanto la faccia! Ma quando si voltò, si trovò di fronte a Kennard. — Ma senza dubbio sei una nostra connazionale, vai domna! Non sapevo che ci fossero altri darkovani su Vainwal. Dia eseguì una reverenza. — Sono Diatana Ridenow di Serrais, mio signore, e sono qui con i miei fratelli Lerrys e Geremy. — E il Nobile Edric? — Il Nobile Serrais è a casa sua, su Darkover, mio signore, ma noi siamo qui con il suo permesso. — Credevo che fossi destinata alla Torre, dama Dia. Lei scrollò la testa, mentre un lieve rossore le saliva al volto. — Sono stata ordinata quand'ero bambina. Io... ero stata invitata a prendere servizio a Neskaya o ad Arilinn. Ma ho deciso altrimenti. — Certo, non tutti hanno la vocazione — disse cordialmente Kennard, e Dia confrontò il garbo del padre con il silenzio ringhioso del figlio, che continuava a fare smorfie senza pronunciare neppure la più elementare frase di cortesia. Era il sangue terrestre a privarlo di ogni vestigio della gentilezza del padre? No, perché le buone maniere poteva impararle anche un terrestre. In nome della beata Cassilda, non poteva neppure guardarla? Sapeva che era soltanto la cicatrice che gli distorceva la bocca a imprimere sul suo viso quella smorfia perpetua, ma sembrava che gli fosse penetrata nell'anima. — Dunque Lerrys e Geremy sono qui? — Ricordo bene Lerrys, nelle Guardie, — disse Kennard. — Sono qui in albergo? — Abbiamo un appartamento al novantesimo piano — disse Dia. — Ma ora sono nell'anfiteatro, ad assistere a una gara di ballo a gravità. Larrys è un dilettante di questo sport ed era arrivato alle semifinali, ma si è strappato un muscolo del ginocchio e i medici non gli hanno permesso di continuare. Kennard s'inchinò. — Portagli i miei saluti — disse. — E vi invito tutti per domani sera, quando si esibiranno i finalisti. — Sono sicura che ne saranno lietissimi — disse Dia, e si congedò. Quella sera, dai suoi fratelli, Dia sentì il resto della storia.
— Lew? È il traditore — disse Geremy. — Andò ad Aldaran come inviato del padre e tradì Kennard per unirsi a una specie di ribellione fra i pirati e i banditi di quella zona. La gente di sua madre, dopotutto. — Credevo che la moglie di Kennard fosse terrestre — disse Dia. — Per metà; la famiglia di sua madre era aldarana — disse Geremy. — E credimi, non c'è da fidarsi del sangue di Aldaran. Dia lo sapeva: il Dominio di Aldaran si era staccato dai Sette Dominii tante generazioni prima che lei non sapeva neppure quanto tempo fosse trascorso, e i tradimenti di Aldaran erano proverbiali. Chiese: — Che cosa facevano? — Dio lo sa — rispose Geremy. — Più tardi cercarono di mettere tutto a tacere. Sembrava che avessero una specie di supermatrice, forse rubata al popolo delle forge; non ho mai saputo esattamente come stessero le cose, ma pare che Aldaran facesse esperimenti con la matrice e coinvolgesse anche Lew... lui era stato addestrato ad Arilinn, dopotutto: il vecchio Kennard gli aveva assicurato tutti i vantaggi. Sapevamo che non ne sarebbe risultato niente di buono; la matrice sfuggì al controllo e bruciò mezza Caer Donn. Più tardi, ho sentito dire che Lew cambiò di nuovo bandiera e tradì Aldaran come aveva tradito noi; si mise con una di quelle sgualdrine di montagna, una delle figlie bastarde di Aldaran, mezza terrestre o qualcosa di simile, e si bruciò la mano. Se l'era meritato. Ma credo che Kennard non poteva ammettere di aver commesso un errore, dopo tutto quello che aveva fatto per far dichiarare Lew suo Erede. Chissà se sono riusciti a rigenerargli la mano. — Geremy agitò tre dita, perdute anni prima in un duello e perfettamente rigenerate dalla medicina terrestre. — No? Forse il vecchio Kennard ha pensato che dovesse avere qualcosa che ricordasse il suo tradimento. — No — disse Lerrys. — Non è affatto così. Geremy. Lew non è cattivo; ho prestato servizio con lui nelle Guardie. Fece tutto il possibile, ho sentito dire, per controllare l'immagine di fuoco quando sfuggì di mano, ma la ragazza morì. Pare che l'avesse sposata, o qualcosa del genere. Ho saputo da uno dei controllori di Arilinn che si prodigarono disperatamente per salvarla. Ma la ragazza era spacciata, e la mano di Lew... — Scrollò le spalle. — Dicevano che era stato fortunato, a cavarsela così. Per gli inferni di Zandru, è terribile! Era uno dei telepati più potenti che avessero mai avuto ad Arilinn, dicono; però lo conoscevo meglio nelle Guardie. Un tipo tranquillo, se mai un po' riservato; piuttosto simpatico, quando imparavi a conoscerlo, ma non era facile. Aveva dovuto sopportare parecchio a causa
di quelli che pensavano non avesse iì diritto di essere lì, e credo fosse questo a cambiarlo. Gli ero affezionato, o lo sarei stato se lui me l'avesse permesso; era suscettibile come il diavolo, e se ti azzardavi ad essere civile con lui, pensava che lo facessi per paternalismo, e si irritava. — Lerrys rise, silenziosamente. — Era così scostante con le donne che io commisi l'errore di pensare che avesse, diciamo, le mie stesse inclinazioni, e gli feci una certa proposta. Oh, lui non disse molto, ma non glielo chiesi mai più! — Lerrys ridacchiò. — Comunque, scommetto che non ha detto una parola gentile neppure a te! È una novità per te, no, sorellina, incontrare un uomo che non ti cade ai piedi dopo due minuti? — Lerrys le fece il solletico sotto il mento, scherzosamente. Dia ribatté stizzita: — Non mi piace. È maleducato. Spero che mi stia ben lontano. — Credo che potrebbe capitarti di peggio — mormorò Geremy. — Dopotutto, lui è l'Erede degli Alton; e Kennard non è più giovane, si sposò tardi. Forse non resterà a lungo in questo mondo. Edric sarebbe ben lieto se tu diventassi la Signora di Alton, sorella. — No. — Lerrys cinse Dia con un braccio, con un gesto protettivo. — Possiamo trovare qualcosa di meglio per nostra sorella. Il Consiglio non accetterà più Lew, dopo quella faccenda con Sharra. E non accetteranno mai l'altro figlio di Kennard, nonostante tutto quello che Ken potrà fare; e Marius vale il doppio di Lew. Quando Kennard non ci sarà più, cercheranno altrove un Capo del Dominio degli Alton... e ci sono abbastanza candidati! No, Dia... — La fece voltare gentilmente per guardarla. — So che qui non ci sono molti giovani della tua razza, e Lew è darkovano, e credo che sia bello, agli occhi di una donna. Ma stagli lontana. Sii gentile, ma mantieni le distanze. In un certo senso mi è simpatico, ma non causa altro che guai. — Non devi preoccuparti — disse Dia. — Non lo sopporto. Eppure, dentro di sé, provava una sofferenza meravigliata. Pensava alla sconosciuta che Lew aveva sposato e che era morta per salvarli tutti dalla minaccia della Dea del fuoco. Dunque era stato Lew a scatenare quelle fiamme e poi aveva rischiato la morte e la mutilazione per spegnerle di nuovo? Rabbrividì ancora, per la paura. Cosa dovevano essere i ricordi di Lew, quali incubi doveva vivere, giorno e notte? Forse non era strano che fosse così chiuso e isolato e non avesse una parola gentile e un sorriso per nessuno, uomini e donne.
Intorno al cerchio del campo a gravità zero, piccoli tavoli cristalli erano sospesi a mezz'aria, con le sedie appese a catene ingemmate di stelle. In realtà erano circondati da reti di energia, in modo che, anche se un commensale cadeva dalla sedia (e alcuni lo facevano, perché il vino e i liquori scorrevano abbondanti), non precipitava; ma l'illusione mozzava il fiato. Portò un'espressione fuggevole di meraviglia e d'interesse persino sul volto chiuso di Lew Alton. Kennard era un anfitrione generoso e garbato; aveva scelto i posti all'orlo del cerchio, e aveva ordinato i vini e i manicaretti più raffinati; sedevano sospesi sopra l'abisso di stelle, guardando i danzatori che volteggiavano in assenza di gravità nel vuoto sotto di loro, come uccelli in volo. Dia sedeva alla destra di Kennard, di fronte a Lew che, dopo il primo lampo di reazione all'illusione dello spazio lontano, sedeva immobile, con la faccia sfregiata e accigliata assorta in un'espressione di distacco. Intorno a loro, le galassie fiammeggiavano e fluivano, e i danzatori, seminudi nei veli scintillanti, volavano sui fiumi di stelle, sfrecciando come uccelli esotici. La mano destra, evidentemente artificiale e quasi immobile, era posata sul tavolo, inguaiata in un guanto nero. Quella mano immota metteva a disagio Dia; la manica vuota le era sembrata in un certo senso più onesta. Soltanto Larrys era veramente a suo agio, e aveva salutato Lew con sincera cordialità; ma Lew aveva risposto a monosillabi, e alla fine Lerrys s'era stancato di quei tentativi di conversazione e si era chinato verso l'abisso, studiando i finalisti con invidia aperta, e parlando soltanto per commentare le loro prodezze. Dia sapeva quanto avrebbe desiderato essere in mezzo a loro. Quando i vincitori furono scelti e i premi vennero consegnati, fu reintrodotta la gravità, e i tavoli scesero sul pavimento in dolci orbite a spirale. La musica incominciò a suonare e i ballerini si mossero sulla superficie della sala, scintillante e trasparente, come se volteggiassero sullo stesso abisso di spazio dove i danzatori in gara avevano eseguito le loro evoluzioni. Lew mormorò che doveva andare, e si alzò a mezzo, ma Kennard ordinò ancora da bere, e Dia lo sentì rimproverare sottovoce il figlio. Captò soltanto: — Maledizione, non puoi nasconderti in eterno... Lerrys si alzò e si allontanò; poco dopo lo videro avanzare sulla pista con una donna squisita che riconobbero per una delle concorrenti, abbigliata di una veste azzurra stellata e coperta da veli d'argento. — Come balla bene — disse cordialmente Kennard. — È un peccato che
abbia dovuto ritirarsi dalla competizione. Anche se non sembra molto adeguato alla dignità di un Comyn... — Qui essere un Comyn non significa nulla — rise Geremy. — Ed è per questo che veniamo, per fare cose non confacenti alla dignità dei Comyn sul nostro mondo! Suvvia, parente, non è per questo che tu sei venuto? Per avere la libertà di dedicarti ad avventure che nei Dominii sembrerebbero indecorose o peggio? Dia seguiva con lo sguardo invidioso i ballerini. Forse Lerrys sarebbe tornato a invitarla. Ma vide che la donna, forse riconoscendolo per uno dei concorrenti, lo aveva portato via a parlare con gli altri finalisti. Ora Lerrys stava conversando intimamente con un bel ragazzo, e teneva la testa fulva china verso di lui. Il danzatore era abbigliato soltanto d'una rete di filo dorato e di ridottissime toppe dorate per salvare la decenza; i capelli erano tinti di un azzurro vistoso. Era molto dubbio, ormai, che Lerrys ricordasse che esistevano le donne, e soprattutto che aveva una sorella. Kennard segui lo sguardo di Dia. — Vedo che gradiresti ballare, Dama Dia, e non è un grande piacere per una giovane donna danzare con i fratelli, come sostengono la mia sorella adottiva e le mie figlie adottive. Io non posso più ballare da molti anni, damisela, altrimenti mi sarei concesso la gioia di danzare con te. Ma sei troppo giovane per ballare in un locale pubblico, se non con un parente... Dia scrollò i riccioli biondi. — Su Vainwal io faccio ciò che voglio, Nobile Alton, e ballo con chi mi pare! — Poi, spinta dalla noia o dalla malizia, si rivolse a Lew. — Eppure, ecco qui un mio parente... Vuoi ballare con me, cugino? Lew alzò la testa e la guardò cupamente, e Dia rabbrividì, già pentita. Non era il tipo con cui poteva flirtare e scambiare frasi scherzose! Lew le lanciò uno sguardo feroce... ma scostò la sedia. — Capisco che mio padre lo desidera, damisela. Mi fai l'onore? — La voce aspra era abbastanza amabile... se non vedevi l'espressione nel profondo degli occhi. Le porse il braccio sano. — Dovrai perdonarmi se ti pesterò i piedi. Non ballo da molti anni. Non è un'abilità molto apprezzata sulla Terra, e questi anni non li ho trascorsi dove si ballava abitualmente. Accidenti a lui, pensò Dia. Che arroganza. Non era l'unico invalido dell'universo, né di quel pianeta, e neppure in quella sala... suo padre zoppicava al punto che stentava a mettere un piede dietro l'altro, e non si vergognava di dirlo! Tuttavia non le pestò i piedi; si muoveva con la leggerezza del vento, e
ben presto Dia si abbandonò alla musica, godendosi la danza. Dopo pochi minuti, mentre si muovevano insieme nel ritmo perfetto - lei sapeva che stava ballando con un darkovano, in nessun altro luogo dell'Impero la gente attribuiva tanta importanza al ballo come su Darkover - Dia alzò il volto e gli sorrise, abbassando le barriere mentali in un modo che qualunque Comyn avrebbe riconosciuto come un invito al contatto mentale della loro casta. Per un attimo brevissimo, gli occhi di Lew incontrarono i suoi; lo sentì tendersi verso di lei, come per istinto, sintonizzato sull'attrazione tra i loro corpi. Poi, di colpo, abbassò la barriera tra loro, con forza, lasciandola senza fiato per il trauma. Dia dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non gridare per la sofferenza di quella ripulsa; ma non voleva dargli la soddisfazione di sapere che l'aveva ferita; si limitò a sorridere e continuò a godersi il ballo a un livello ordinario, il movimento, la sensazione d'essere perfettamente in armonia con i passi di lui. Ma dentro si sentiva stordita e stravolta. Che cos'aveva fatto per meritare quel rifiuto brutale? Nulla, certamente; il suo gesto era stato ardito, certo, ma non indecente. Dopotutto, Lew era un uomo della sua casta, un telepate e un parente, e se non era disposto ad accettare l'offerta d'intimità, c'erano modi più gentili per rifiutare o per ritirarsi. Bene, dato che non aveva fatto nulla per meritarla, la ripulsa doveva essere una reazione al tumulto interiore di Lew, e lei non ne era responsabile. Perciò continuò a sorridere, e quando il ballo rallentò in un movimento romantico, e i ballerini intorno a loro si avvicinarono di più, guancia contro guancia, quasi abbracciandosi, Dia si mosse istintivamente verso di lui. Per un istante Lew rimase irrigidito, e lei si chiese se avrebbe respinto anche il contatto fisico; ma dopo un istante la strinse più forte. Attraverso quel contatto, sebbene le difese mentali fossero sbarrate, Dia sentì la sua sete... Da quanto tempo, si chiese, non aveva toccato una donna? Troppo tempo, ne era sicura. I Comyn telepati, soprattutto gli Alton e i Ridenow, erano famosi per la loro schizzinosità in queste cose; erano ipersensibili ai contatti casuali. Non molti, tra i Comyn, erano capaci di tollerare disinvolte relazioni amorose. C'erano eccezioni, naturalmente, e Dia le conosceva: il giovane erede di Hastur aveva fama d'essere un donnaiolo, anche se era il tipo che andava in caccia di musiciste o tecniche delle matrici, donne sensibili e capaci di condividere l'intensità emotiva, non donne comuni di città. E anche Lerrys, il fratello di Dia, a modo suo era promiscuo, sebbene a sua volta cercasse
di preferenza quelli che condividevano i suoi interessi più ardenti... Una rapida occhiata le disse che stava ballando con il giovane vestito di reti dorate, in una improvvisa, traboccante intimità, nella gioia condivisa dalla danza. Il ballo rallentò, le luci si affievolirono, e Dia sentì che tutto intorno a loro le coppie si stringevano. Un alone quasi visibile di sensualità sembrava aleggiare nella sala come una nebbia. Lew la teneva stretta, chinando la testa; Dia alzò il viso, invitandolo di nuovo, dolcemente, al contatto che lui aveva rifiutato. Lew non abbassò la barriera mentale, ma le loro labbra si toccarono; Dia sentì una lenta, sonnolenta eccitazione crescere in lei mentre si baciavano. Quando si staccarono, lui sorrise, ma c'era ancora una grande tristezza nei suoi occhi. Lew guardò la grande sala piena di coppie danzanti, molte ormai avvinte in stretti abbracci. — Questo... questo è decadente — disse. Dia sorrise, stringendosi di più a lui. — Senza dubbio, non più della festa di Mezza Estate nelle vie di Thendara. Non sono troppo giovane per non sapere quello che succede dopo che le lune sono tramontate. La voce aspra di Lew risuonò più gentilmente del solito. — I tuoi fratelli verrebbero a cercarmi e a lanciarmi una sfida. Lei alzò il mento e disse, irritata: — Qui non siamo tra le colline di Kilghard, Dom Lewis, e io non permetto a nessun'altra persona, neppure a un fratello, di dirmi ciò che posso o non posso fare! Se i miei fratelli disapprovano la mia condotta, sanno che possono venire a chiederne conto a me, non a te! Lui rise e con la mano sana le toccò i capelli soffici. Era, pensò Dia, una mano molto bella, sensibile e forte senza essere eccessivamente delicata. — Perciò ti sei tagliata i capelli e hai proclamato l'indipendenza d'una Libera Amazzone, parente? Hai pronunciato anche il loro giuramento? — No — disse Dia, stringendosi di nuovo a lui. — Gli uomini mi piacciono troppo per fare una cosa simile. Quando Lew sorrideva, pensò lei, era molto bello; persino la cicatrice che gli distorceva il labbro contribuiva a dare al suo sorriso più calore e più ironia. Ballarono insieme per gran parte della serata, e prima di separarsi si accordarono per andare a caccia insieme, l'indomani, nelle grandi riserve del pianeta turistico. Quando si diedero la buonanotte, Kennard sorrise benevolmente, ma Geremy era cupo e pensieroso; e quando si ritrovarono tutti e tre nel lussuoso appartamento, le chiese incollerito: — Perché l'hai fatto?
Ti avevo detto di stare lontana da Lew! Non vogliamo avere legami del genere con quel ramo degli Alton! — Come ti permetti di dirmi con chi posso ballare? Io non censuro la tua scelta di cantanti e ballerine e puttane, vero, Geremy? — Tu sei una Dama dei Comyn! E quando ti comporti in un modo così clamoroso... — Tieni la lingua a freno! — scattò Dia. — Sei insultante! Una sera ballo con un uomo della mia casta perché i miei fratelli non mi hanno lasciato altro compagno, e già siete convinti che sia andata a letto con lui! E anche se così fosse, Geremy, te lo ripeto: io faccio quello che voglio, e né tu né nessun altro potrete impedirmelo! — Lerrys — implorò Geremy, — non puoi cercare tu di farla ragionare? Ma Lerrys guardava la sorella con ammirazione. — Questo è lo spirito, Dia! A che serve essere su un pianeta alieno in un Impero civile, se conservi la mentalità e i costumi del tuo mondo arretrato? Fai quel che vuoi, Dia. Geremy, lasciala in pace! Geremy scrollò la testa, incollerito, ma rise a sua volta. — Anche tu! Sempre d'accordo, voi due, come se foste gemelli! — Certamente — disse Lerrys. — Perché credi che mi piacciano gli uomini? Perché, per mia sfortuna, l'unica donna che conosco con lo spirito e la forza di un uomo è mia sorella! — La baciò ridendo. — Divertiti, breda. Ma non voglio che tu soffra. Forse ieri sera lui si comportava bene o era addirittura d'umore romantico, ma sospetto che sappia essere anche selvaggio. — No! — Geremy divenne serio di colpo. — Non è uno scherzo. Non voglio che tu lo veda più, Diatima. Una sera, forse, per cortesia verso i nostri parenti; questo te lo concedo, e mi dispiace se ho sottinteso che fosse più d'una cortesia. Ma basta, Dia, basta. Lerrys l'ha detto ieri sera, quando non ce l'aveva con me! Se non credi che lo abbia a cuore il tuo bene, sai certamente che lo ha Lerrys. Ascoltami, sorella mia; su questo pianeta ci sono abbastanza uomini per ballare e flirtare e andare a caccia... sì, maledizione, anche per andarci a letto, se ti diverte! Ma lascia in pace il bastardo di Kennard Alton... mi capisci? Ti assicuro, Dia, che se mi disobbedirai te ne farò pentire! — Adesso — disse Lerrys, continuando a ridere, mentre Dia scrollava la testa con aria di sfida, — adesso l'hai trasformato in una certezza, Geremy: è come se avessi preparato per loro il letto nuziale! Non sai che non esiste al mondo un uomo che possa vietare a Diatima di fare qualcosa?
Il giorno dopo, nella riserva di caccia, scelsero i cavalli e i grandi falchi, non molto diversi dai verrin delle Colline di Kilghard. Lew era sorridente e di buon umore, ma Dia sentiva che era anche un po' scandalizzato dei suoi calzoni e dai suoi stivali da equitazione. — Dunque sei la Libera Amazzone che dicevi di non essere, dopotutto — commentò. Lei sorrise e disse: — No, li ho detto perché non potrei mai esserlo. — E più lo vedo, pensò, e più ne sono sicura. — Ma quando cavalco con le gonne che porterei su Darkover, mi sento come un gatto domestico con i guanti di cuoio! Mi piace sentirmi libera quando cavalco, altrimenti perché non dovrei restare a terra a ricamare cuscini? — Già, perché no? — chiese Lew, sorridendo, e nella propria mente vide, per una volta senza soffrirne, il rapido ricordo di una donna che rideva, con i capelli rossi, che cavalcava libera tra le colline... L'immagine sparì. Dia si chiese chi era stata quella donna, e provò per lei un fuggevole senso d'invidia. Lew era un buon cavaliere, sebbene la mano artificiale sembrasse dargli fastidio; poteva usarla, in un certo modo, ma Dia si chiedeva se tutto sommato non si sarebbe destreggiato meglio senza. Aveva l'impressione che anche un uncino metallico funzionale sarebbe stato più utile. Ma forse Lew era troppo fiero per questo, o temeva che lei lo giudicasse antiestetico. Teneva il falco sullo speciale corno della sella, come facevano le donne su Darkover, anziché tenerlo sul polso, come la maggioranza dei montanari; quando Dia lo guardò, arrossì e girò irosamente la testa dall'altra parte, imprecando sottovoce. E Dia pensò ancora una volta, con quella collera improvvisa che Lew sembrava suscitare in lei con tanta facilità: «Perché è così sensibile, così difensivo, così auto-indulgente? Pensa che la maggior parte della gente si curi del fatto che abbia due mani, oppure una o tre?» La riserva di caccia era stata meticolosamente adattata per creare scenari bellissimi e variati, basse colline che non affaticavano i cavalli, pianure, una quantità di animali selvatici, vegetazione pittoresca d'una dozzina di mondi. Ma mentre cavalcavano, Dia sentì Lew sospirare un poco. Disse, con voce alta quanto bastava perché lei sentisse: — Qui è molto bello. Ma il sole... è sbagliato, in un certo senso. Vorrei... — S'interruppe, con la stessa bruschezza con cui avrebbe chiuso la mente, escludendola con brutalità. — Soffri di nostalgia, Lew? — chiese lei. Lew strinse le labbra. — Sì. Qualche volta — disse. Ma l'aveva esclusa
di nuovo, e Dia rivolse l'attenzione al falco che portava sulla sella. — Questi rapaci sono molto ben addestrati. Lui fece un commento senza sbilanciarsi, ma Dia captò il suo pensiero: i rapaci abbastanza ben addestrati per poter essere usati da chiunque erano come prostitute, per nulla interessanti. A voce alta disse soltanto: — Preferisco addestrare i miei. — Mi piace la caccia — disse Dia. — Ma non sono sicura che riuscirei ad addestrare un rapace fin dall'inizio. Deve essere molto difficile. — Non dovrebbe esserlo per chi ha il dono dei Ridenow, credo — disse Lew. — Quasi tutti quelli del tuo clan hanno una speciale sensibilità per gli animali, oltre al dono per il quale foste selezionati, percepire le intelligenze aliene e stabilire un contatto... Lei sorrise e alzò le spalle. — Di questi tempi non capita spesso di farlo. Il dono dei Ridenow, nella sua forma originale... ecco, credo sia estinto. Anche se Lerrys dice che sarebbe molto utile nell'Impero Terrestre, per rendere possibile la comunicazione con i non umani. È molto difficile addestrare i falchi? — Non è certamente facile — disse Lew. — Occorrono tempo e pazienza. E in un certo senso devi entrare in contatto mentale con il rapace, e questo è spaventoso: sono selvaggi, feroci. Ma io l'ho fatto, ad Arilinn, e l'hanno fatto anche alcune delle donne. Janna Lindir è un'ottima addestratrice di falchi, e ho sentito dire che per le donne è più facile... anche se la mia sorella adottiva Linnell non ha mai voluto imparare perché i rapaci le fanno paura. Immagino sia come domare i cavalli, quello che faceva mio padre... prima di diventare così zoppo. Aveva cercato d'insegnarmi un po', molto tempo fa. — Mentre parlava tranquillamente di queste cose, pensò Dia, Lew sembrava trasformato. La riserva era popolata da una varietà di selvaggina grande e piccola. Dopo un po' lasciarono liberi i falchi, e Dia guardò felice il suo che si levava alto, volteggiava nell'aria e si lanciava sulle lunghe ali robuste all'inseguimento d'uno stormo di uccellini bianchi, direttamente al di sopra delle loro teste. Il falco di Lew lo seguì, scese velocissimo, catturò in volo uno dei piccoli uccelli bianchi. L'uccellino si dibatté disperatamente, con un lungo grido agghiacciante. Dia aveva cacciato con i falchi per tutta la vita; assisteva alla scena con interesse, ma quando le gocce di sangue caddero dall'uccellino morente, spruzzandoli, si accorse che Lew guardava in alto, con il viso pallido e contratto per l'orrore. Sembrava paralizzato. — Lew, che cos'hai?
Lui disse, con voce forzata e rauca: — Quel suono... non posso sopportarlo... — e alzò le braccia davanti agli occhi. La mano artificiale, coperta dal guanto nero, gli urtò goffamente il volto; imprecando, la staccò dal polso e la gettò al suolo, sotto gli zoccoli dei cavalli. — No, non è grazioso — disse ironicamente, infuriato, — come il sangue e la morte e le grida degli esseri morenti. Se ci trovi piacere, tanto peggio per te, mia signora! Allora trova piacere in questo! — Alzò il moncherino orrendamente sfregiato, agitandolo con furia; poi girò il cavallo tirando le redini con la mano sana, e fuggì via come se tutti i diavoli di tutti gli inferni lo stessero inseguendo. Dia lo guardò sbigottita; poi, dimenticando i falchi, si lanciò dietro di lui, al galoppo. Dopo un po' lo raggiunse: Lew stringeva le redini con l'unica mano, sforzandosi di trattenere la sua cavalcatura; ma, mentre Dia guardava con orrore, perse il controllo e fu sbalzato dalla sella, e cadde pesantemente al suolo, dove giacque senza muoversi. Dia scivolò dal cavallo e s'inginocchiò al suo fianco. Aveva perso i sensi, ma mentre lei stava cercando di decidere se doveva andare in cerca di aiuto, riaprì gli occhi e la guardò senza aver l'aria di riconoscerla. — Niente di grave — disse Dia. — Il cavallo ti ha disarcionato. Puoi sollevarti a sedere? Lew lo fece, impacciato, come se il moncherino gli dolesse; vide che lei lo guardava, rabbrividì e cercò di nasconderlo in una piega del mantello. Girò la faccia dall'altra parte e la cicatrice tese la bocca in una smorfia, come se fosse sul punto di piangere. — Per gli Dei! Scusami, domna, non intendevo... — mormorò, con voce che si sentiva appena. — Che cos'è stato, Lew? Perché hai perso la calma e sei fuggito così? Che cosa ti ha fatto infuriare? — Niente, niente... — Stordito, lui scosse la testa. — lo... non sopporto la vista del sangue, ora, o il pensiero di un esserino indifeso che muore per il mio piacere... — Disse, con voce spossata: — Ho cacciato per tutta la vita senza mai pensarci, ma quando ho visto quell'uccellino bianco che gridava e ho visto il sangue, all'improvviso ho ricordato tutto... oh, Avarra abbia misericordia di me, ho ricordato... Dia, vattene, no, non andare, in nome di Avarra la Misericordiosa, Dia... La sua faccia si contrasse di nuovo. Piangeva, a grandi singhiozzi rauchi e dolorosi, con il volto sfigurato e imbruttito, cercando di girarsi perché lei non vedesse. — Ho visto... troppo dolore... Dia, non... va' via, va' via, non
toccarmi... Lei tese le braccia, lo cinse, attirandolo a sé. Per un momento Lew resistette freneticamente, poi la lasciò fare. Anche Dia stava piangendo. — Non ho mai pensato — mormorò lei. — La morte nella caccia... sono così abituata, non mi è mai sembrato reale. Lew, che cos'era, chi è morto, che cosa ti ha fatto ricordare? — Marjorie — disse lui, rauco. — Mia moglie. Morì. Morì orribilmente nel fuoco di Sharra... Dia, non toccarmi, io faccio male a tutto ciò che tocco, vattene prima che faccia male anche a te, non voglio farti male... — È troppo tardi — disse Dia, stringendolo e sentendo in sé la sofferenza di lui. Gli prese la mano e se la portò al viso, toccando gli occhi bagnati, e sentì che lui richiudeva di nuovo le sue difese; ma sapeva che questa volta non era una ripulsa, ma soltanto la difesa di un uomo insopportabilmente colpito che non riusciva più a resistere. — Sei ferita, Dia? — chiese lui, tenendole la mano sulla guancia. — C'è sangue sul tuo viso. — È il sangue dell'uccellino. Ha macchiato anche te — disse lei, e lo asciugò. Lew le prese la mano e si portò le dita alle labbra. Quel gesto le fece provare di nuovo l'impulso di piangere. Chiese: — Ti sei fatto male, cadendo? — Non molto — disse lui, tastandosi cautamente i muscoli. — Nell'ospedale dell'Impero, sulla Terra, mi hanno insegnato a cadere senza farmi male, quando ero... prima che questo guarisse. — Mosse il moncherino, impacciato. — Non riesco ad abituarmi a quella maledetta mano. Me la cavo meglio senza. L'aveva pensato anche lei. — E allora perché la porti? Se è solo per ragioni estetiche, perché pensi che me ne curerei? Il viso di Lew era desolato. — Mio padre ci tiene. Quando porto la manica vuota, pensa che io... ostenti la mutilazione, che la metta in mostra. Odia tanto essere zoppo, e preferirebbe che io... che io non mettessi in mostra la mia invalidità. Dia rifletté rapidamente, poi decise ciò che poteva dire: — Tu sei un uomo adulto, e anche lui lo è. Lui sa affrontare la propria invalidità a modo suo, e tu a modo tuo; è facile capire che siete molto diversi. Andrebbe davvero in collera se tu scegliessi un altro modo di affrontare ciò che ti è accaduto? — Non lo so — disse Lew, — ma è stato molto buono con me, non mi ha mai rimproverato per questi anni di esilio, né per il modo in cui ho vani-
ficato tutti i suoi piani. Non voglio addolorarlo ancora di più. — Lew si alzò, andò a raccogliere la grottesca mano senza vita dal guanto nero, la guardò per un momento, poi la mise nella borsa della sella. Con l'unica mano cercò di fissare la manica vuota sul moncherino; Dia fece per offrirsi di aiutarlo, ma decise che era troppo presto. Lew guardò il cielo. — Credo che i falchi ormai se ne siano andati, e ce li faranno pagare. — No. — Dia soffiò nel fischietto d'argento che portava al collo. — Sono rapaci con i cervelli modificati, in modo che non possano far altro che accorrere al richiamo... vedi? — Indicò due punti lontani che erano apparsi nel cielo e ingrandivano, e scendevano a spirale, si posavano sulle selle e attendevano pazienti di venire incappucciati. — Il loro istinto di libertà è stato cancellato. — Sono come certi uomini che conosco — disse Lew, mentre incappucciava il suo falco. Dia lo imitò, ma nessuno dei due si mosse per rimontare in sella. Dia esitò, poi decise che probabilmente lui ne aveva avuto abbastanza degli sguardi educatamente distolti e delle finzioni di cortese indifferenza. — Hai bisogno di aiuto per salire? Posso aiutarti, o chiamare qualcuno? — Ti ringrazio, ma posso farcela, anche se sembra difficile. — Lew sorrise di nuovo, improvvisamente, e il volto sfigurato le parve di nuovo bello. — Come sapevi che mi avrebbe fatto piacere sentirmelo chiedere? — Non sono mai stata ferita gravemente — disse Dia, — ma un anno ebbi una febbre e persi tutti i capelli, e non ricrebbero per mesi; e mi sentivo così brutta che non puoi immaginarlo. E l'unica cosa che mi turbava ancora di più era quando qualcuno mi diceva che avevo un bell'aspetto, o che il mio abito o la mia fusciacca o il mio fazzoletto erano molto carini, e fingeva che non avessi niente di anormale. Ne soffrivo moltissimo, ed era come se mi agitassi spaventosamente per nulla. Quindi, se fossi... se fossi zoppa o invalida, credo che detesterei se gli altri continuassero a comportarsi come se non ci fosse niente di insolito, come se non avessi niente. Ti prego, non pensare mai di dover fingere con me. Lew trasse un profondo respiro. — Mio padre si infuria se qualcuno mostra di notare che zoppica, e un paio di volte, quando ho provato a offrirgli il braccio, per poco non mi ha aggredito. Eppure, pensò Dia, Kennard ha usato la sua zoppia, ieri sera, per spingermi a ballare con Lew. Perché? Disse: — Questo è il modo in cui lui gestisce la sua vita e la sua zoppia. Tu non sei tuo padre. All'improvviso Lew incominciò a tremare. Disse: — Qualche volta...
qualche volta è difficile esserne sicuro. — E Dia ricordò che il dono degli Alton era il rapporto mentale forzato. L'intensa vicinanza tra Kennard e il figlio, la sua profonda ambizione per lui, erano ben note su Darkover; quella vicinanza doveva diventare una tortura, a volte, doveva rendere difficile per Lew distinguere i propri sentimenti e le proprie emozioni. — Dev'essere difficile per te; lui è un telepate così potente... — In tutta obiettività — disse Lew, — deve essere difficile anche per lui: dividere tutto ciò che io ho vissuto in questi anni, e c'era un tempo in cui le mie barriere non erano forti come lo sono adesso. Dev'essere stato un inferno per lui. Ma questo non lo rende meno difficile per me. E se Kennard non accetterà nessuna debolezza in Lew... Ma Dia rifiutò di pensarci. — Non voglio essere indiscreta. Se non vuoi rispondere, dillo, ma... Geremy perse tre dita in un duello. I medici terrestri gliele hanno fatte ricrescere, come nuove. Perché non hanno tentato di fare lo stesso con la tua mano? — Hanno tentato — disse lui. — Due volte. — La voce era secca, impassibile. — Poi non l'ho più sopportato. In qualche modo, il modello delle cellule... non sei una tecnica delle matrici, vero? Sarebbe più facile spiegartelo se sapessi qualcosa della divisione delle cellule. Mi chiedo se puoi capire... lo schema delle cellule, la conoscenza nelle cellule, che fa di una mano una mano e non un occhio, o l'unghia di un piede, o un'ala o uno zoccolo, era stata danneggiata in modo irreparabile. Ciò che spuntava dal mio polso... — Trasse un profondo respiro e Dia vide l'orrore nei suoi occhi. — Non era una mano — disse lui, seccamente. — Non so che cosa fosse, e non voglio saperlo. Una volta fecero un errore con le droghe, e mi svegliai e vidi. Mi dissero che urlai disperatamente. Non lo ricordo. Da allora la mia voce non è più ritornata normale. Per mezzo anno non potei far altro che bisbigliare. — La voce aspra era completamente impassibile. — Per anni non sono più stato me stesso. Ora posso sopportarlo, perché... perché devo. Quello che non posso affrontare — disse con improvvisa violenza, — è il bisogno di mio padre di pretendere che io sia... io sia normale! Dia sentì lo slancio di collera violenta e non comprese neppure se era la sua, o dell'uomo davanti a lei. Non era mai stata così completamente conscia del proprio laran, il dono dei Ridenow, che era una divisione delle emozioni, un'empatia piena, anche con i non umani, gli alieni... Non aveva mai avuto una simile esperienza. Ora sembrava squassarla fino al profondo del suo essere. La sua voce era malferma: — Non fingere mai con me,
Lew. Io posso vederti come sei... esattamente come sei, sempre, completamente. Lui la strinse bruscamente, la trasse più vicina. Non era un vero abbraccio. — Ragazza, sai quello che stai dicendo? Non puoi saperlo. Lei ebbe la sensazione che i suoi confini si stessero dissolvendo, che si stessero fondendo con l'uomo davanti a lei. — Se puoi sopportare ciò che hai sopportato, io posso sopportare di sapere ciò che hai dovuto sopportare. Lew, lascia che te lo provi. In fondo alla propria mente si chiese: Perché lo faccio? Ma sapeva che quando si erano abbracciati sulla pista da ballo, la sera prima, anche dietro le barriere delle difese bloccate di Lew, i loro corpi avevano in qualche modo stretto un patto. Per quanto si fossero barricati l'uno rispetto all'altra, in ognuno di loro qualcosa si era proteso verso l'altro e aveva accettato ciò che l'altro era, interamente e per sempre. Dia levò il viso verso di lui. Lew la cinse con le braccia, con riconoscente stupore, e mormorò, trattenendosi ancora: — Ma sei così giovane, chiya... è una vergogna quello che faccio... ma è passato tanto tempo, tanto tempo... — E Dia comprese che non stava parlando della cosa più ovvia. Si sentì dissolvere nella totale consapevolezza di lui, sentì le barricate che recedevano... il ricordo del dolore e dell'orrore, la sessualità affamata, le sofferenze insopportabili... il nero orrore travolgente del rimorso, di un'amata morta da molto tempo, l'autoconoscenza, l'autocritica, la mutilazione accettata quasi lietamente come espiazione per vivere quando lei era morta... In un disperato, ardente abbraccio, lo strinse a sé, sapendo che era questo che lui agognava di più; qualcuno che sapesse tutto questo e potesse ancora accettarlo senza finzioni, amarlo nonostante tutto. Amore; questo era amore, la conoscenza che lei avrebbe preso lietamente su di sé tutta quella sofferenza, per risparmiargli un altro momento di dolore o di rimorso...? Per un istante Dia si vide com'era, riflessa nella mente di lui, riconoscendosi appena, calda, splendente, donna, e per un momento si amò per ciò che era diventata per lui; poi il rapporto mentale si spezzò e recedette come una marea, lasciandola intimorita e scossa, lasciando lacrime e tenerezza che non potevano mai diminuire. Solo allora Lew accostò le labbra alle sue labbra per baciarla, e lei rise e accettò il bacio e disse in un sussurro: — Geremy aveva ragione. — Che cosa, Dia? — Niente, amor mio — disse lei, sollevata. — Vieni, Lew, i falchi sono
inquieti, dobbiamo riportarli alla scuderia. Ci faremo rifondere il noleggio perché non abbiamo ucciso niente, ma io ho avuto un pieno valore per la mia caccia. Ho quello che volevo di più... — Che cosa? — chiese Lew, ma lei sapeva che non aveva bisogno di una risposta. Non la toccava, ora, mentre risalivano a eavallo, ma sapeva che in un certo senso erano ancora abbracciati. Lew alzò il braccio e gridò: — Almeno possiamo fare una galoppata! Chi arriva prima alle stalle? E partì; Dia affondò i talloni nei fianchi del cavallo e lo inseguì ridendo. Sapeva, come lo sapeva lui, come e dove sarebbe finito quel giorno. Ed era solo l'inizio d'una lunga stagione su Vainwal. Sarebbe stata una lunga, bellissima estate. Sebbene sapesse che più avanti c'era la tenebra e che vi si stava avventurando, senza paura e volontariamente, era disposta ad affrontarla. Oltre la tenebra poteva vedere ciò che Lew era stato e poteva essere ancora... se lei avesse avuto il coraggio e la forza di guidarlo. Lo rincorse, gridando: — Aspettami... Lew, andiamo insieme! — E lui fece rallentare il suo cavallo, sorridendo, e l'attese. IL RACCONTO DI LEW ALTON: VAINWAL: IL SESTO ANNO D'ESILIO III Credevo di aver dimenticato come essere felice. Eppure, quell'anno su Vainwal, ero felice. Il pianeta non è soltanto la città decadente nel mondo turistico. Forse avremmo dovuto lasciarlo completamente - anche se no, forse, per tornare a Darkover - ma mio padre trovava che il clima era benefico per la sua zoppia, e preferiva restare nella città dove poteva trovare sorgenti calde e bagni minerali, e qualche volta, sospetto, una compagnia tollerabile. A volte me lo chiedevo; ma per quanto fossimo vicini, c'erano alcune cose che non potevamo condividere completamente, e quello era uno dei campi delicati dai quali cercavo di tenermi lontano. Suppongo che sia abbastanza difficile anche per i figli normali e i loro padri. Quando padre e figlio sono telepati, diventa ancora più difficile. Durante i miei anni ad Arilinn, lavorando ai collegamenti telepatici come meccanico delle matrici, avevo imparato molte cose sull'intimità, e su ciò che suc-
cede quando tutto intorno a te ti è più vicino della tua pelle. C'era un vecchio tabù che vietava a una madre e al figlio adulto di lavorare contemporaneamente ai collegamenti; o a un padre e alla figlia naturale. Mio padre sapeva mascherare i suoi pensieri meglio di tanti altri. Anche così, descrissi questa specie di cosa, una volta, come vivere senza la pelle. Durante quegli anni d'esilio eravamo stati così vicini che a volte nessuno dei due sapeva a chi apparteneva un dato pensiero. Due uomini solitari finiscono per darsi reciprocamente sui nervi, ogni tanto. Aggiungete il fatto che uno è gravemente malato e almeno (permettetemi di non sorvolarlo troppo leggermente) pazzo a intermittenza, e questo è un altro giro di vite. Ed entrambi eravamo telepati estremamente potenti, e c'erano stati lunghi periodi di tempo durante i quali io non avevo il controllo su ciò che trasmettevo. Quando ritrovai in parte la ragione vi furono lunghi periodi in cui c'era almeno tanto odio quanto era l'amore. Eravamo stati troppo vicini troppo a lungo. Una delle cose di cui dovevo essere più grato a Dia era questa: lei aveva spezzato il blocco, aveva spezzato la malsana, eccessiva preoccupazione dell'uno per i pensieri dell'altro. Se fossimo stati madre e figlio, padre e figlia, fratello e sorella, almeno ci sarebbe stato un tabù che avremmo potuto spezzare. Per un padre e un figlio non c'era questa uscita drammatica dalla trappola; o a noi sembrava che non ci fosse, anche se non posso giurare che non passasse mai per le nostre menti. Eravamo abbastanza vecchi per prendere questa decisione, eravamo lontani dal mondo che aveva imposto quei tabù, ed eravamo soli in un universo alieno, fra quelli che non avrebbero mai conosciuto o considerato i livelli di decadenza che potevamo aver voglia di esplorare. Tuttavia, lasciammo stare; era, forse, l'unica cosa che non tentavamo mai di condividere e credo che forse fosse l'unico modo per conservare la ragione. Mio padre fu rapidamente incantato da Dia, inoltre, e credo che le fosse sinceramente grato; soprattutto perché si era messa in mezzo alla nostra malsana preoccupazione reciproca. Eppure, per quanto fosse lieto di avere un certo grado di libertà dalla mia costante presenza e dalle paure per la mia ragione (e sebbene me le nascondesse accuratamente, ne ero sempre consapevole, e un uomo continuamente osservato per i segni della follia dubiterà sempre più della propria razionalità), la venuta di Dia lo aveva lasciato solo. Non poteva ammettere la propria impotenza; Kennard Alton non l'avrebbe mai fatto. Eppure vedevo che ogni giorno peggiorava e sapevo che sarebbe venuto un tempo, anche se non era venuto ancora, in cui
avrebbe avuto bisogno di me. Era sempre stato presente quando avevo avuto bisogno di lui, e non volevo lasciarlo solo in preda alla vecchiaia e all'infermità. Perciò io e Dia trovammo una casa alla periferia della città, dove poteva venire a trovarci quando aveva bisogno di noi, e nel traboccare della nostra felicità era per noi abbastanza facile concedergli la nostra compagnia per un po' di tempo. Bene, eravamo felici. Quando avevo perduto Marjorie, nell'orrore dell'ultima notte quando Caer Donn era andata a fuoco e avevamo tentato, gettando le nostre vite nello squarcio, di chiudere la falla che Sharra aveva aperto nel tessuto del mondo, entrambi eravamo pronti a morire. Ma non era accaduto questo. Marjorie era morta e io... avevo continuato a vivere, ma qualcosa era stato distrutto in me quella notte. Non reciso nettamente ma, come la mia mano, imputridito e suppurato e trasformato in orrende forme inumane. Dia era entrata senza tremare in questo orrore, e qualcosa, dopo, era guarito. Nessuno dei due pensava al matrimonio. Il matrimonio di catenas, il matrimonio rituale e formalizzato dei Dominii, era un'unione solenne delle proprietà, una questione comune a due famiglie, a due casati, per allevare i figli nell'eredità e nel laran. Ciò che avevamo io e Dia era cosi profondamente personale che non avevamo desiderio né bisogno di chiamare in causa le famiglie. Con Marjorie, metà del mio amore per lei era stato il desiderio di farla mia moglie, perché vivesse con me ad Armida e crescesse i figli che avremmo avuto in comune, il desiderio dei lunghi anni tranquilli di pace nella nostra casa amata. Con Dia era qualcosa di diverso. Quando Dia si accorse d'essere incinta, nel secondo anno che eravamo insieme, non ne fummo veramente felici. Ma forse i nostri corpi avevano detto ciò che le nostre menti rifiutavano di riconoscere. Era una cosa profonda per entrambi, naturalmente, il desiderio di continuità, qualcosa che sarebbe venuto dopo di noi quando non ci fossimo più, il desiderio profondamente radicato dell'unica immortalità che ognuno possa mai conoscere. — Non è necessario che io abbia il bambino, se non vuoi — disse Dia, raggomitolata al mio fianco nel soggiorno, alto sopra le luci di Vainwal; luci colorate, disposte gaiamente in nastri lungo le vie; c'era sempre qualche festa, là, chiasso e allegria e confusione e ricerca del piacere. Mi era abbastanza vicina perché sentisse la mia reazione istintiva. Disse: — Tu lo vuoi... no, Lew? — Non lo so, ed è la verità, Dia. La verità: mi risentivo dell'intrusione nel nostro idillio di un terzo inco-
modo, per quanto amato; qualcuno che avrebbe inevitabilmente distrutto la profonda vicinanza tra noi: Dia non sarebbe stata più completamente presa dalle mie esigenze e dai miei desideri e in questo modo, egoisticamente, ero risentito nel sapere che era incinta. La verità: ricordavo con angoscia quella notte. La notte prima della sua morte, quando avevo saputo che Marjorie portava in grembo il figlio e che non sarebbe vissuta abbastanza a lungo per metterlo al mondo... avevo sentito quella vita fioca come adesso sentivo il nuovo, crescente seme di vita in Dia, e la mia anima si ritraeva al pensiero di vederlo estinto. Forse era soltanto schizzinosità. Ma, egoisticamente, volevo che questo figlio vivesse. Dissi: — Lo voglio e non lo voglio. Sei tu che dovrai metterlo al mondo; sei tu che devi scegliere. Qualunque cosa decida, cercherò di essere contento della sua decisione. Per molto tempo lei guardò il gioco mutevole delle luci nella città sotto di noi. Finalmente disse: — Cambierà la mia vita in modi che non posso neppure immaginare. Ho un po' paura di cambiarla. È te che voglio, Lew, non tuo figlio — e mi appoggiò la testa sulla spalla. Eppure sentivo che era ambivalente quanto me. — Nel contempo, è qualcosa che... che è venuto dal nostro amore. Non posso fare a meno di volerlo... — S'interruppe e deglutì, e si appoggiò la mano sul ventre, in un gesto quasi protettivo. — Ti amo, Lew, e amo tuo figlio perché è tuo. E questo è qualcosa che potrebbe essere... ecco, diverso e più forte di noi, ma parte di ciò che abbiamo insieme. Ha senso, per te? Le accarezzai i capelli. In quel momento mi sembrava infinitamente preziosa, molto più di prima; forse più di quanto sarebbe mai stata in futuro. — Ho paura, Lew. È una cosa troppo grande. Non credo di avere il diritto di decidere. Forse la decisione è stata presa da qualcosa che ci trascende entrambi. Non ho mai pensato agli Dei, o a quello che è. Continuo a sentire che c'è qualcosa di terribile che ci attende, e non voglio perdere neppure un minuto della felicità che possiamo avere insieme. — Di nuovo quel piccolo gesto, la mano posata sul grembo, come per proteggere il bambino. Disse, in un bisbiglio spaventato: — Io sono una Ridenow. Non è solo una cosa, Lew, è vivo, lo sento vivo... oh, non si muove, non lo sentirò muovere ancora per mesi, ma lo sento. È vivo e credo che voglia vivere. Lo voglia o no, io voglio che viva... voglio sentirlo vivo. Ho paura dei cambiamenti che causerà, ma voglio averlo, Lew. Voglio questo bambino. Misi la mano sulla sua, cercando di sentire, e sentii - forse era la mia
immaginazione - qualcosa di vivente. Ricordai l'angoscia smisurata che avevo provato, quando avevo saputo che Marjorie non sarebbe vissuta per mettere al mondo suo figlio. Era soltanto il ricordo di quell'angoscia, oppure sentivo veramente un'angoscia più profonda che ci attendeva? Forse fu in quel momento che accettai pienamente l'idea che Marjorie non c'era più, che la morte era definitiva, che non ci sarebbe stata una riunione in questo mondo o in un altro. Ma sotto la mia mano e la mano di Dia c'era la vita, un ritorno della speranza, qualcosa nel futuro. Non vivevamo soltanto di giorno in giorno, afferrandoci a un piacere interamente nostro, ma la vita continuava, e c'era sempre altra vita da vivere. La baciai sulla fronte e alle labbra, e poi mi chinai verso il suo ventre. — Qualunque cosa avvenga — dissi, — lo voglio anch'io, preciosa. Ti ringrazio. Mio padre, naturalmente, ne fu felice ma anche turbato, e non volle dirmi perché. E adesso che non eravamo più tanto vicini, poteva nascondermi i suoi pensieri. All'inizio Dia stette bene; fioriva, libera dai piccoli disturbi che alcune donne incontrano nella gravidanza; diceva che non era mai stata più felice e più sana. Guardavo con divertimento e con gioia i cambiamenti che si operavano nel suo corpo. Era un tempo di felicità; entrambi attendevamo la nascita del bambino e avevamo persino incominciato a parlare della possibilità - che prima non avevo mai voluto considerare - di tornare insieme un giorno a Darkover, per vivere con nostro figlio o nostra figlia sul mondo dove eravamo nati. Figlio o figlia. Mi turbava non sapere cosa sarebbe stato. Dia non aveva molto laran, e non era stata addestrata ad usare quel poco che possedeva. Sentiva la presenza e la vita del bambino, ma questo era tutto; non sapeva dire cosa fosse, e quando io non riuscii a capirlo, mi disse spiritosamente che un bambino non ancora nato probabilmente non era conscio del proprio genere e quindi, non conoscendo il suo sesso, lei non poteva leggergli nella mente. I medici terrestri avrebbero prelevato un campione di sangue, avrebbero fatto l'analisi dei cromosomi e ci avrebbero detto se era un maschio o una femmina, ma mi sembrava un modo malsano e spietato per scoprirlo. Forse, pensavo, Dia avrebbe sviluppato la sensibilità per capirlo, o se tutto il resto non fosse servito, l'avrei saputo quando fosse nato il piccino. L'avrei amato, maschio o femmina che fosse. Mio padre voleva un maschio, ma io mi rifiutavo di pensare in questi termini. — Questo bambino, anche se sarà maschio, non sarà l'Erede di Armida. Scordatelo — gli dissi, e Kennard rispose con un sospiro: — No, non lo
sarà. Tu hai sangue di Aldaran, e il dono degli Aldaran è la precognizione. Non so perché non lo sarà ma non lo sarà. — E poi mi chiese se avevo fatto controllare Dia per assicurarmi che il bambino stesse veramente bene. I medici terrestri dicono di sì — risposi, in tono difensivo. — Se vuoi controllarla, fallo tu stesso! — Non posso, Lew. — Era la prima volta che mi confessava una debolezza. Guardai attentamente mio padre per la prima volta dopo mesi, mi parve: gli occhi profondamente incassati nelle orbite, le mani deformi e quasi inutili. Sembrava che la carne si stesse squagliando sulle ossa. Cercai di stabilire un contatto e lui lo respinse, abbassando le barriere. Poi trasse un lungo respiro e guardò direttamente negli occhi. — Qualche volta il laran viene meno con la vecchiaia. Probabilmente è solo questo. Ora sei libero da Sharra, no? Hai sangue dei Ridenow; tu e Dia siete cugini. La moglie di mio padre era una Ridenow, e anche sua madre. Una donna che porta in grembo un figlio con il laran dovrebbe essere controllata. Sospirai. Era la più semplice delle tecniche che avevo imparato ad Arilinn. Un ragazzo di tredici anni può imparare a controllare le funzioni del corpo, i nervi, i canali psichici. Controllare una donna incinta e il bambino è un po' più complesso, ma anche così non è difficile. — Tenterò. Ma sapevo che mio padre sentiva quanto mi ripugnava. La matrice Sharra era chiusa nell'angolo più lontano del ripostiglio più lontano dell'appartamento che dividevo con Dia, e adesso non pensavo a quello strano legame più di due volte in dieci giorni. Ma del resto non usavo neppure la mia matrice personale, e non cercavo di usare il laran se non per la funzione più semplice, la lettura dei pensieri inespressi che nessun telepate può mai escludere del tutto dalla propria mente. — Quando? — insistette mio padre. — Presto — dissi, escludendolo. Vattene! Esci dalla mia mente! Fra te e Sharra non ho una mente mia! Lui rabbrividì per la violenza di quel pensiero, e io provai sofferenza e rimorso. Nonostante tutto ciò che era accaduto tra noi, amavo mio padre e non potevo sopportare quell'espressione d'angoscia sul suo volto. Gli tesi la mano. — Non ti senti bene, mio signore. Che cosa ti dicono i medici terrestri? — So che cosa direbbero, e perciò non gliel'ho chiesto — disse lui, con un guizzo di spirito, e poi continuò, in tono incalzante: — Lew, promettimelo; se scopri di non poter controllare Dia, allora promettimi... Lerrys è ancora su Vainwal, anche se credo che partirà presto per la stagione del
Consiglio. Se non potrai farlo tu, chiama Lerrys e chiedilo a lui. È un Ridenow... — Anche Dia è una Ridenow, e ha i diritti del laran, e il diritto legale di sedere in Consiglio — dissi. — Lerrys ha litigato con lei perché non mi ha sposato; ha detto che i suoi figli avrebbero il diritto di rivendicare il Dominio degli Alton! — Imprecai con tanta violenza che mio padre rabbrividì di nuovo come se l'avessi percosso o gli avessi stretto in una morsa le mani esili e deformi. — Ti piaccia o no, Lew — disse mio padre, — il figlio di Dia è figlio dell'Erede di Alton. Ciò che tu dici o pensi non può cambiarlo. Puoi rinunciare a ciò che ti spetta per diritto di nascita, ma non puoi rinunciarvi a nome di tuo figlio. Imprecai di nuovo, girai sui tacchi e lo lasciai. Mio padre mi seguì a passo faticoso, con la voce colma d'urgenza e di collera. — Hai intenzione di sposare Dia? — Questo è affar mio — dissi, chiudendo di nuovo la barriera. Ora potevo farlo senza piombare nel nulla nero. Lui disse, stringendo le labbra: — Avevo giurato che non avrei mai fatto pressioni su di te perché ti sposassi. Ma ricorda: rifiutare di decidere è una decisione. Se rifiuti di decidere di sposarla, hai deciso che tuo figlio nasca nedestro, e forse verrà il tempo in cui te ne pentirai amaramente. — Allora — dissi con voce dura, — me ne pentirò. — Hai chiesto a Dia che cosa ne pensa? Sicuramente doveva sapere che ne avevamo discusso all'infinito, entrambi riluttanti a sposarci alla maniera terrestre, ma ancora meno disposti a trascinare mio padre e i fratelli di Dia nelle discussioni sulle proprietà che sarebbero state inevitabili, prima che potessi sposarla di catenas. Non aveva nessuna importanza li su Vainwal, comunque. Avevamo considerato la possibilità di unirci in quello che i darkovani chiamavano libero matrimonio - la divisione di un letto, di un pasto e di un focolare - e non desideravamo di più; sarebbe diventato legale come qualunque matrimonio di catenas dopo la nascita del bambino. Ma ora mi trovavo di fronte anche a questo; se nostro figlio fosse nato nedestro, non avrebbe potuto ereditare da me; se io fossi morto, Dia avrebbe dovuto rivolgersi ai suoi parenti Ridenow. Qualunque cosa accadesse, dovevo provvedere a lei. Quando glielo spiegai così, in termini di semplice, pratica logica, Dia fu piuttosto ben disposta, e il giorno dopo andammo al Quartier Generale dell'Impero su Vainwal e registrammo il nostro matrimonio. Sistemai le que-
stioni legali, in modo che se fossi morto prima di lei, o prima che nostro figlio fosse diventato maggiorenne, lei avrebbe potuto rivendicare legittimamente le proprietà appartenenti a me, sulla Terra o su Darkover, e nostro figlio avrebbe avuto eguali diritti sulla mia eredità. Mi resi conto, durante queste procedure, che entrambi, senza averlo stabilito in anticipo, parlavamo della creatura come se fossimo certi che sarebbe stato un maschio. Mio padre mi aveva ricordato che in parte ero un Aldaran, e la precognizione era uno dei doni di quella famiglia. L'accettavo per questo. E sapendolo, sapevo tutto ciò che avevo bisogno di sapere, quindi perché dovevo prendermi il disturbo di controllare? Un paio di giorni dopo Dia disse all'improvviso, mentre facevamo colazione, nel nostro soggiorno che dominava la città: — Lew, ti ho mentito. — Mentito, preciosa? — Guardai il suo viso sincero. In generale, un telepate non può mentire a un altro, ma ci sono molti livelli di verità e d'inganno. Dia s'era lasciata crescere i capelli, adesso erano abbastanza lunghi perché potesse annodarli sulla nuca, e i suoi occhi avevano quel colore così comune nelle donne bionde, quel colore che può essere verde o azzurro o grigio a seconda delle condizioni di salute e dell'umore e dell'abito che indossano. Lei portava una veste sciolta, verde-foglia - adesso era appesantita - e i suoi occhi splendevano come due smeraldi. — Ho mentito — disse. — Tu credevi che fosse stato un caso... che fossi rimasta incinta per caso o per trascuratezza. Ma l'ho fatto apposta. Scusami. — Ma perché, Dia? — Non ero arrabbiato, ero soltanto perplesso. All'inizio non avevo voluto che succedesse, ma adesso mi rendeva completamente felice. — Lerrys... aveva minacciato di riportarmi a Darkover per questa stagione del Consiglio — disse Dia. — Una donna incinta non può viaggiare nello spazio. È stato l'unico modo che mi è venuto in mente per impedire che mi costringesse ad andare. Io dissi: — Sono contento che l'abbia fatto. — Ormai non potevo immaginare la vita senza Dia. — E adesso, suppongo, userà la conoscenza del fatto che sono sposato e ho un figlio — dissi. Era la prima volta che ero disposto a chiedere a me stesso cosa sarebbe stato del Dominio degli Alton, ora che io e mio padre eravamo in esilio volontario. Mio fratello Marius non era mai stato accettato dal Consiglio; ma se non c'era nessun altro Erede Alton, avrebbero potuto fare buon viso a cattivo gioco e rassegnarsi. Altrimenti, il Dominio sa-
rebbe andato probabilmente a mio cugino Gabriel Lanart; aveva sposato una Hastur, dopotutto, e aveva avuto tre figli e due figlie da quella moglie. Avevano voluto dargli il Dominio, e il comando delle Guardie, fin dall'inizio, e mio padre avrebbe risparmiato molti fastidi, se l'avesse permesso. Sarebbe stata la stessa cosa, alla fine, in ogni caso, perché non sarei mai ritornato a Darkover. Il tempo si sfuocò. Ero inginocchiato in una stanza in un'alta torre, e fuori l'ultima luce cremisi del sole rosso tramontava sugli alti picchi dei monti di Venza dietro Thendara. Ero inginocchiato accanto al letto d'una bambina di cinque o sei anni, con i capelli biondi e gli occhi dorati... gli occhi di Marjorie... mi ero inginocchiato così accanto a Marjorie... e l'avevamo vista insieme, nostra figlia, quella figlia... ma non era mai avvenuto, non sarebbe mai avvenuto. Marjorie era morta... morta... un grande fuoco sfolgorava, divampava nel mio cervello... e Dia era accanto a me, con la mano sull'impugnatura di una grande spada... Mi scossi, stravolto, e vidi che Dia mi guardava sbigottita, sgomenta. — Nostra figlia, Lew...? E su Darkover... Mi afferrai alla spalliera della sedia per sostenermi. Dopo un po' dissi, con voce tremante: — Ho sentito parlare di un laran... credevo esistesse solo nelle Ere del Caos... che poteva vedere, non soltanto il futuro, ma molti futuri, alcuni dei quali possono non realizzarsi mai; tutte le cose che avrebbero potuto accadere, un giorno. Forse... forse nella mia eredità Alton o Aldaran c'è una traccia di quel laran, e quindi vedo cose che non potranno mai essere. Perché la bambina l'ho già vista una volta... con Marjorie... e pensavo che fosse sua figlia. — Mi resi conto, vagamente, che avevo pronunciato a voce alta il nome di Marjorie per la prima volta dopo la sua morte. Avrei sempre ricordato il suo amore; ma lei era molto lontana, e io ero guarito anche di questo. — Marjorie — ripetei. — Credevo che fosse nostra figlia; aveva gli occhi di Marjorie. Ma Marjorie morì prima di poter avere una creatura, e quindi quella che credevo fosse una visione vera del futuro non si realizzò mai. Eppure ora l'ho rivista. Che cosa significa, Dia? Lei disse, con un sorriso tremulo: — Ora vorrei che il mio laran fosse meglio addestrato. Non lo so, Lew. Non so che cosa possa significare. Non lo sapevo neppure io, e questo mi rendeva disperatamente irrequieto. Non ne parlammo più, ma credo che quel pensiero si facesse strada dentro di me, colorando il mio stato d'animo. Più tardi, quel giorno, Dia mi disse che aveva un appuntamento con uno dei medici dell'ospedale dell'Impero; avrebbe potuto trovare qualunque specie di levatrice su Vainwal,
dove erano rappresentate dozzine e dozzine di culture, ma dato che non avrebbe potuto essere assistita come lo sarebbe stata su Darkover, la fredda impersonalità dell'ospedale terrestre le sembrava preferibile. Andai con lei. Ora, ripensandoci, mi sembra che fosse molto taciturna, forse oppressa dal peso della prescienza. Uscì turbata, e il dottore, un giovane magro e preoccupato, mi invitò con un gesto ad andare a parlare con lui. — Non si allarmi — disse subito. — Sua moglie sta benissimo, e il cuore del bambino è forte e sano. Ma ci sono alcune cose che non capisco. Signor Montray-Lanart... — Io e mio padre usavamo quel nome, sulla Terra, perché Alton è un Dominio, un titolo, anziché un nome personale, e là Nobile Alton non significava nulla. — Ho notato la sua mano. È una deformità congenita? Mi perdoni se lo chiedo... — No — risposi bruscamente. — È la conseguenza di un gravissimo incidente. — E non l'ha fatta rigenerare? — No. — Era una risposta secca e definitiva, e questa volta il medico capì che non volevo parlarne. So che ci sono culture nelle quali esistono tabù religiosi contro queste cose, e non m'importava che lui mi considerasse tanto idiota. Era meglio che cercare di parlarne. Assunse un'espressione allarmata, mi disse: — E ci sono gemelli nella sua famiglia? O parti multipli? — Perché me lo chiede? — Abbiamo controllato il feto con la radiosonda — disse lui. — E sembra che ci sia... qualche anomalia. Deve prepararsi al fatto che possa esserci qualche... piccola malformazione, a meno che si tratti di due gemelli e il nostro apparecchio non abbia captato esattamente quello che volevamo; due gemelli, messi uno sull'altro, possono creare immagini molto strane. Scossi la testa. Non volevo pensarci. Ma la mia mano non era una deformità congenita e quindi, perché mi preoccupavo? Se Dia portava in grembo due gemelli, o qualcosa del genere, non era sorprendente che non riuscissimo a identificare chiaramente il sesso. Quando uscii, Dia mi chiese che cosa aveva detto il medico. — Ha detto che secondo lui potrebbero essere due gemelli. Anche lei sembrava turbata. — A me ha detto che la placenta è in una posizione difficile... non ha potuto vedere il corpo del bambino abbastanza chiaramente — disse. — Ma sarebbe bello avere due gemelli. Un maschietto e una femminuccia, magari. — Si appoggiò al mio braccio e disse:
— Sono contenta che ormai non dobbiamo aspettare molto. Meno di quaranta giorni, forse. Sono stanca di portarlo... o di portarli. Sarà un piacere lasciare che sia tu a tenerlo in braccio, qualche volta. L'accompagnai a casa, ma quando arrivammo trovammo un messaggio nel comunicatore che era una parte integrante di tutti gli appartamenti dell'Impero. Mio padre stava male e chiedeva di me. Dia si offrì di seguirmi; ma era stanca dopo l'escursione della mattina, perciò gli inviò un messaggio affettuoso, scusandosi, e io partii da solo per la città. Mi aspettavo di trovarlo a letto, ma era in piedi, anche se si muoveva con passo strascicato. Mi indicò una poltrona e mi offrì un caffè o un liquore. Rifiutai. — Pensavo di trovarti a letto. E mi sembrava che dovresti andarci — dissi, rischiando di farlo incollerire, ma lui sospirò soltanto. Disse: — Volevo dirti addio. Forse dovrò tornare a Darkover. È arrivato un messaggio di Dyan Ardais... Feci una smorfia. Dyan era stato amico di mio padre fin dall'infanzia, ma non aveva mai avuto simpatia per me, né io per lui. Mio padre vide la mia espressione e disse bruscamente: — Si è preso cura di tuo fratello, quando io non ero là per proteggere i suoi interessi, Lew. Mi ha mandato le uniche notizie che ho ricevuto... — Non rinfacciarmelo — dissi bruscamente. — Non ti ho mai chiesto di portarmi qui. O sulla Terra. Mio padre fece un gesto noncurante. — Non voglio litigare con te per questo. Dyan è stato un buon amico per tuo fratello. — Se avessi un figlio — dissi, ostinatamente, — vorrei per lui un amico migliore di quel dannato portatore di sandali! — Non siamo mai stati d'accordo in questo, e non credo che lo saremo mai — disse mio padre. — Ma Dyan è un uomo d'onore, e ha a cuore il bene dei Comyn. Ora mi dice che stanno per escludere Marius, e assegnare ufficialmente il Dominio di Alton a Gabriel Lanart-Hastur. — È una tragedia tanto grande? Che l'abbia pure! Io non lo voglio! — Quando avrai un figlio tuo capirai, Lew. Quel tempo non è molto lontano. Credo che dovresti ritornare con me a Darkover, e sistemare le cose in questa stagione del Consiglio. Sentì il mio rifiuto, come un grido di rabbia, prima che parlassi senza alzare la voce: — No. Non posso e non voglio. Dia non è in condizioni di viaggiare. — Potrai ritornare prima che nasca il bambino — disse lui, ragionevol-
mente. — E avrai sistemato debitamente il suo futuro. — Tu avresti lasciato mia madre? — No. Ma tuo figlio dovrebbe nascere ad Armida... — È inutile pensarci — dissi. — Dia è qui, e starà qui fino a quando il bambino sarà nato. E resterò con lei. Il sospiro di mio padre fu pesante, come il fruscio delle foglie d'inverno. — Non mi entusiasma l'idea di fare il viaggio da solo, ma se tu non vuoi venire, dovrò farlo. Non potresti affidare Dia a me, Lew? Non so se potrò sopportare il clima delle colline di Kilghard. Eppure non posso perdere così Armida, o lasciare che neghino a Marius i suoi diritti senza essere sicuro di ciò che ne pensa lui. — E mentre parlava io fui sopraffatto dal fiume dei ricordi... Armida tra le colline di Kilghard, inondata di sole, le grandi mandrie dei cavalli che pascolavano nei prati alti, i torrenti precipitosi o immobilizzati dal gelo, arrestati in movimento e a mezz'aria; la neve sulle colline, una fila di alberi scuri contro il cielo; l'incendio che era scoppiato quando avevo diciassette anni, e la lunga fila di uomini, chini sui badili per bloccare le fiamme; quando mi ero accampato in prima linea, dividendo con gli altri le coperte e le ciotole, con la soddisfazione di vedere le fiamme che si spegnevano e di sapere che la nostra casa era al sicuro per un'altra stagione... l'odore della resina e dei fiori di kireseth, l'oro e l'azzurro del polline d'estate... il tramonto sui tetti... il profilo di Thendara... le quattro lune librate una dietro l'altra nel cielo oscuro della Festa... la mia casa. La mia casa amata e abbandonata... Vattene! Neppure i miei ricordi erano miei? — C'è ancora tempo, Lew. Non partirò prima della prossima decade. Fammi sapere che cosa deciderai. — Ho già deciso — dissi, e me ne andai, senza attendere le domande preccupate che sarebbero venute inevitabilmente, le domande scrupolose su Dia, gli auguri... La decisione era stata presa. Non sarei ritornato con mio padre. Dia non poteva andare e quindi non sarei andato, era molto semplice; non dovevo ascoltare i mille ricordi che mi richiamavano... Quella notte lei mi chiese di controllare il bambino. Forse sentiva la mia agitazione; forse, in quello strano modo in cui gli innamorati condividono le preoccupazioni e le paure (e Dia ed io eravamo ancora innamorati, dopo un anno e più trascorso insieme), lei sentiva il flusso dei miei ricordi ed era ansiosa di venire rassicurata. Feci per rifiutare. Ma per lei significava molto. Ed ero libero, adesso, li-
bero da mesi; sicuramente sarebbe venuto il tempo in cui sarei stato libero completamente. E questa era una cosa tanto semplice. E quello che aveva detto il medico terrestre mi metteva a disagio. Gemelli: era la spiegazione più semplice, ma quando aveva chiesto delle deformità congenite, avevo capito di essere inquieto, di esserlo sempre stato fin da quando il bambino era stato concepito. — Cercherò, amore. Avrei dovuto provare, prima o poi... Un'altra cosa, forse, da riscoprire con Dia: un'altra guarigione, un'altra libertà, come la virilità che avevo riscoperto tra le sue braccia. Tastai impacciato il sacchetto di cuoio che portavo al collo, dove il cristallo azzurro era avvolto negli strati di sete isolanti. Il cristallo mi cadde nella mano. Era caldo e vivo, un buon segno, senza quel lampo immediato di fuoco. Tenni la gemma azzurra nel palmo, sforzandomi di non ricordare l'ultima volta che avevo compiuto quel gesto. Era stata l'altra mano, la pietra aveva bruciato l'altra mano... non la mia matrice, ma la matrice Sharra! Basta! Scacciai i ricordi, chiusi gli occhi per un momento, cercando di adeguarmi al ritmo tranquillo e riposante della pietra. Da tanto tempo non avevo toccato la matrice. Finalmente sentii che mi ero sintonizzato con la pietra; aprii gli occhi e guardai spassionatamente nelle profondità azzurre dove minuscole luci palpitavano e guizzavano come cose vive. Forse erano vive. Da molti anni non effettuavo quel genere d'osservazione. È il primo compito assegnato ai giovani apprendisti nelle Torri; sedere all'esterno di un cerchio delle matrici e, tramite i poteri della pietra stellare, amplificare il proprio dono e vegliare sui corpi degli operatori mentre le loro menti sono altrove, a svolgere l'opera dei cerchi delle matrici. A volte gli operatori, in profondo rapporto tra loro attraverso le pietre, dimenticano di respirare, o perdono il senso delle cose che dovrebbero essere sotto il controllo del sistema nervoso autonomo; ed è compito del monitore assicurarsi che tutto vada bene. Più tardi, il monitore impara le tecniche più difficili della diagnosi medica, ed entra nelle cellule complesse del corpo umano... Era passato tanto tempo. Lentamente, cautamente, effettuai il controllo preliminare; cuore e polmoni svolgevano il loro lavoro e portavano l'ossigeno alle cellule; le palpebre battevano automaticamente per mantenere umida la superficie degli occhi, c'era la tensione nei muscoli del dorso per reggere il peso della gravidanza... Stavo esaminando i fattori superficiali. Dia sentiva quel tocco; sebbene avesse gli occhi chiusi, sentivo che mi sorrideva. Quasi non ci credevo; ancora una volta, lentamente, esitando come un
novizio, stavo riprendendo contatto con la matrice dopo sei anni, sebbene finora avessi appena toccato la superficie. Osai un contatto più profondo... Fuoco. Sfolgorava attraverso la mia mano. Dolore... tremendo, bruciava ancora... in una mano che non c'era più. Sentii il mio grido... o era il grido di Marjorie... davanti ai miei occhi sbarrati la forma di fuoco si ergeva alta, con le chiome agitate dal vento, come una donna alta e incatenata, con il corpo e le membra e i capelli tutti in fiamme... Sharra! Lasciai cadere la pietra come se mi avesse bruciato la mano illesa; sentii il dolore dell'averla lontana dal mio corpo, cercai di afferrarla con una mano che non faceva più parte del mio braccio... La sentii, sentii la sofferenza bruciante in ogni dito, sofferenza nelle linee del palmo, le unghie brucianti... Singhiozzando per il dolore, riposi la matrice nel sacchetto che portavo al collo e staccai la mente dall'immagine di fuoco, la sentii spegnersi lentamente. Dia mi fissava con orrore. Dissi, con la bocca irrigidita, cercando a tentoni le parole: — Mi... mi dispiace, bredhiya, non volevo... non volevo spaventarti... Mi strinse a sé, e le nascosi il viso sul seno. Mormorò: — Lew, sono io che devo chiederti perdono... non sapevo cosa sarebbe accaduto... non avrei dovuto chiederlo... Avarra misericordiosa, che cosa è stato? Trassi un profondo respiro, sentendo il dolore assalire la mano che non c'era più. Non potevo pronunciare le parole. La forma di fuoco era ancora dietro i miei occhi e sfolgorava. Battei le palpebre, cercando di scacciarla, e dissi: — Lo sai. Lei mormorò: — Ma come? — Non so come: quella cosa maledetta è sintonizzata sulla mia matrice. Ogni volta che tento di usarla, vedo... soltanto quello. — Deglutii e dissi, con voce pesante: — Credevo di essere libero. Credevo d'essere... d'essere guarito, libero da quello... — Perché non la distruggi? Il mio sorriso era solo una smorfia dolorosa. — Probabilmente sarebbe la soluzione migliore. Perché sono sicuro che morirei con essa... molto rapidamente e non molto piacevolmente. Ma ero troppo vigliacco per farlo. — Oh, no, no, no... — Mi abbracciò disperatamente. Deglutii, trassi alcuni respiri profondi, sapendo che questo faceva soffrire più lei di me; Ridenow, empatica, Dia non poteva sopportare le sofferenze... c'erano momenti in cui mi chiedevo se ciò che provava per me era amore, o se mi aveva dato il suo corpo, il suo cuore, il suo conforto, come si placa un bam-
bino urlante perché non si sopporta il suo pianto e si farebbe qualunque cosa pur di farlo tacere... Ma mi aveva aiutato, sapere che il mio dolore faceva soffrire Dia e che dovevo cercare di dominarlo. — Vorrei bere qualcosa. — Quando lei me lo portò, calmandosi un po' per la necessità di raccogliere i suoi pensieri, bevvi sforzandomi di acquietare la mia mente. — Mi dispiace. Credevo d'essere libero. — Non lo sopporto — disse lei, di slancio. — Non sopporto che tu creda di doverti scusare con me... — Piangeva. Mise la mano sul ventre e disse, sforzandosi di scherzare: — È già turbato, quando sente sua madre e suo padre che gridano! Stetti allo scherzo e dissi, con forzata allegria: — Bene, non dobbiamo far chiasso per non svegliarlo! Dia venne a raggomitolarsi accanto a me sul divano e si appoggiò a me, disse, in tono serio: — Lew, su Darkover... ci sono tecnici delle matrici che potrebbero liberarti... non è vero? — Credi che mio padre non abbia fatto del suo meglio? Ed era stato il Primo ad Arilinn per quasi dieci anni. Se non può farlo lui, probabilmente è impossibile. — Sì — disse lei. — Ma tu stai meglio. Ormai non accade più spesso come nei primi anni... non è così? Forse, adesso, potrebbero trovare un modo... Il comunicatore suonò e andai a rispondere. Avrei dovuto sapere che era mio padre. — Lew, stai bene? Sono irrequieto... Non ero sorpreso. Ogni telepate su quel pianeta, se ce n'erano altri, doveva aver sentito il trauma. La voce distante di mio padre cercò di rassicurarmi. — Non è successo per molto tempo, vero? Non scoraggiarti, Lew, concediti il tempo di guarire... Il tempo? Il tempo della vita, pensai, tenendo il microfono del comunicatore sotto il mento con il moncherino della mano sinistra, mentre con le dita della mano illesa accarezzavo nervosamente il rivestimento di seta della matrice. Mai più. Non avrei più toccato la matrice, quando... quando mi attendeva questo. Ciò che dissi a mio padre fu una serie di frasi fatte, e lui dovette capirlo, ma non insistette; probabilmente sapeva che avrei sbattuto il comunicatore e avrei rifiutato di rispondere ancora. Disse soltanto: — Fra dieci giorni c'è una nave che fa scalo a Darkover. Ho prenotato due posti; e ho fatto una prenotazione sulla nave che parte dieci giorni dopo,
così se qualcosa mi impedirà d'imbarcarmi sulla prima, sarò sulla seconda, e anche il tuo posto è prenotato. Credo che dovresti venire; questo, stasera, non ti ha provato che dovrai affrontarlo, un giorno o l'altro? Riuscii a non urlare il rifiuto tempestoso che infuriava nella mia mente. La distanza e il comunicatore meccanico bloccavano i pensieri; quello era il modo migliore per parlare con mio padre, dopotutto. Riuscii persino a ringraziarlo per la sua premura. Ma dopo che ebbi rifiutato di nuovo ed ebbi riattaccato, Dia disse: — Ha ragione lui, sai. Non puoi vivere così il resto della tua vita. È incominciato su Darkover e là deve finire. Non puoi vivere tutta la vita trascinandoti dietro questa... questa orribile catena. E capisco - una volta l'hai detto - che non puoi liberartene... Scrollai la testa. — No. Mi... mi assilla. Credimi, ho tentato. Avevo tentato di abbandonarla, quando avevo lasciato la baita sulla Terra dove avevamo vissuto mentre la mia mano guariva dopo il fallimento finale e l'amputazione. Avevo girato mezzo mondo e poi... la tempesta di fuoco dietro i miei occhi, che offuscava la vista e i sensi... avevo dovuto ritornare, per caricarla nel nostro bagaglio... per portarla con me, come un incubo mostruoso, un demone che mi perseguitava; come la presenza di mio padre nella mia mente, qualcosa di cui non mi sarei mai liberato. — È una domanda accademica — dissi. — Tu non puoi andare e io non ti lascio. È questo che voleva mio padre. — Il bambino non nascerà prima di quaranta giorni, almeno... potresti andare e tornare... — Non m'intendo molto di bambini — dissi, — ma so che vengono quando vogliono e non quando li aspettiamo. — Ma perché quel pensiero portava tanta angoscia e paura? Sicuramente era solo la conseguenza dell'impatto di Sharra sui miei nervi distrutti. — E gli altri? C'era tutto un cerchio delle matrici, collegato a Sharra... no? Perché loro non sono morti? — Forse sono morti — dissi io. — Marjorie morì. Era la nostra... si dovrebbe dire la nostra Custode. E io la presi da lei quando... quando bruciò. — Adesso potevo parlarne quasi spassionatamente, come se parlassi di qualcosa che era accaduto molto tempo prima a qualcun altro. — Gli altri non erano legati così strettamente a Sharra. Rafe era solo un bambino. Beltran di Aldaran, mio cugino, era fuori dal cerchio. Non credo che siano morti quando persero il contatto con la matrice, e neppure quando lasciò Darkover. Il collegamento era effettuato per mio tramite. — In un cerchio della matrice, dove c'è una matrice d'alto livello, è la Custode che ci colle-
ga con essa, e con le singole matrici dei telepati del suo cerchio. Io ero meccanico delle matrici d'alto livello: avevo insegnato a Marjorie a stabilire il collegamento e quindi, in un senso molto reale, ero stato Custode della Custode... — E gli altri? — insistette Dia. Mi risentivo perché mi faceva parlare, ma supponevo che avrei dovuto pensarci, prima o poi, altrimenti lei non avrebbe creduto che avessi esplorato tutte le possibili vie per liberarmi. E questo glielo dovevo: Sharra aveva toccato anche lei, sebbene da distanza di sicurezza, e aveva toccato nostro figlio. Dissi: — Gli altri? Kadarin e Thyra? Non so. Non so cosa sia stato di loro, né dove fossero quando... quando esplose tutto. Dia insistette. — Se non hai potuto abbandonare la matrice, loro non dovrebbero essere morti quando Sharra ha lasciato Darkover? Feci di nuovo una smorfia, tentando di sorridere. Dissi: — Lo spero — e mentre lo dicevo capivo che non era vero. Kadarin. Eravamo stati amici, fratelli, parenti, uniti da un comune sogno che avrebbe avvicinato Darkover e la Terra, avrebbe risanato la nostra eredità infranta... almeno, questo era ciò che avevamo avuto in comune all'inizio. Senza accorgermene, mi toccai le cicatrici sul viso. Era stato lui a causarmele. E Thyra, la sorellastra di Marjorie, la donna di Kadarin. L'avevo amata, odiata, desiderata... non potevo pensare che fosse morta. Chissà dove, chissà come, sapevo che viveva, e che Kadarin viveva. Non potevo spiegarlo, ma lo sapevo. Una ragione dopo l'altra, la millesima ragione per cui non potevo tornare a Darkover... Quando Dia si fu addormentata, rimasi seduto a lungo nel soggiorno dell'appartamento, a guardare le luci della città sottostante, le luci che non si spegnevano mai. Su Vainwal la ricerca del piacere continua, approfondendosi e diventando più frenetica quando i ritmi del giorno si placano, quando gli altri dormono. Laggiù, forse, avrei potuto trovare una specie di oblio. Non era per questo, dopotutto, che ero venuto su Vainwal, per dimenticare il dovere e la responsabilità? Ma adesso avevo una moglie e un figlio, e dovevo loro qualcosa. Il mignolo di Dia significava per me più di tutti i piaceri inesplorati di Vainwal. E mio figlio... Mi ero incollerito quando mio padre l'aveva detto. Ma era vero. Avrebbe dovuto nascere ad Armida. Quando avrebbe avuto cinque anni l'avrei portato fuori, come mi aveva portato mio padre, sulle spalle, a vedere la grande fiumana dei cavalli selvatici che correvano attraverso la
valle... No: questo era finito. Vi avevo rinunciato. Ci sarebbero stati altri mondi per mio figlio. Dozzine, centinaia di mondi, tutto l'Impero e oltre. Andai a sdraiarmi accanto a mia moglie addormentata e dormii. Ma nel sonno vennero sogni inquieti; rividi la mia mano, l'orrore che era cresciuto al suo posto... e la protesi, la protesi nel corpo di Dia, artigliando il bambino, traendolo fuori sanguinante, sgocciolante, moribondo... Il mio urlo mi svegliò, e Dia mi guardava inorridita. La ricoprii con cura, la baciai e andai a dormire nell'altra stanza, dove i miei incubi non avrebbero disturbato i suoi sogni. Questa volta dormii pacificamente, senza incubi; fu Dia a svegliarmi nell'aria grigia, dicendo esitante: — Lew, mi sento così strana... Credo che stia per nascere il bambino. È presto... ma credo che dovrei andare ad accertarmene. Era troppo presto; ma i terrestri hanno un sistema speciale, uteri artificiali per i bambini nati prematuri, e quasi tutti sopravvivono benissimo, anche se sono lontani dai pensieri e dalla tenerezza delle madri; mi sono chiesto, a volte, se è per questo che tanti terrestri sono privi di laran, lontani da quel più intimo tra i contatti, in cui la madre insegna al piccolo cuore a battere, a tutte le parti del corpo non nato a funzionare come devono... il corpo può crescere, artificialmente sostentato e nutrito, ma che ne è della mente e del laran? Bene, se questo doveva danneggiare il laran del bambino, pazienza, purché gli salvasse la vita... il mio laran non mi era stato molto utile. E sicuramente, non avrebbe fatto male al piccino essere lontano dalle nostre paure e dai nostri turbamenti, e dalle sofferenze come quella che aveva certamente percepito durante il mio sfortunato tentativo di controllarlo. Era stato senza dubbio quel tentativo a causare il travaglio prematuro, e Dia doveva saperlo, ma non me lo rimproverava. Una volta, quando ne parlai, mi pregò di tacere dicendo: — Anch'io lo volevo. Perciò ero sereno quando ci avviammo per le vie dove quasi tutti, tranne i più tenaci cercatori di piaceri, erano spariti nelle ultime ore grige prima dell'alba. L'ospedale terrestre era pallido e austero nella luce crescente, e Dia rabbrividì quando gli ascensori espressi ci portarono ai piani più alti, verso il reparto maternità, lassù, lontano dal chiasso del rumoroso mondo turistico. Spiegai chi ero e che cosa stava succedendo e un funzionario assicurò a Dia che sarebbe venuta subito un'infermiera per accompagnarla in una stanza. Sedemmo sulle poltroncine tipicamente scomode e aspettammo. Dopo
un po' entrò una giovane donna. Portava l'uniforme del personale, e lo strano simbolo della medicina terrestre, il bastone con i due serpenti intrecciati. Mi avevano detto che era un antico emblema religioso, ma ormai i medici non sapevano più che cosa significasse. Tuttavia, nella voce c'era qualcosa che mi fece alzare la testa con un'esclamazione di gioia. — Linnell! Perché la ragazza in uniforme era la mia sorella adottiva. Solo Avarra poteva sapere che cosa ci facesse lì, in quella strana divisa, ma le corsi incontro e le presi le mani ripetendo il suo nome. Avrei voluto baciarla, e quasi lo feci, ma l'infermiera si ritrasse, indignata. — Cosa...? Non capisco! — esclamò in tono offeso. Battei le palpebre rendendomi conto di aver commesso un errore clamoroso. Ma anche così, mentre scrollavo la testa, non potei fare a meno di dire: — È sorprendente... è più di una semplice rassomiglianza! Lei è Linnell! — Ma non lo sono — ribatté l'infermiera, con un sorriso freddo e perplesso. Dia rise e disse: — È vero, è vero. Somiglia moltissimo alla sorella adottiva di mio marito. Moltissimo! E com'è strano, incontrare una copia d'una parente stretta proprio su Vainwal! Ma naturalmente Linnell non sarebbe mai venuta qui, Lew, è troppo tradizionalista. Immagini Linnell con quell'uniforme? Non potevo immaginarla, naturalmente. Pensai a Linnell, con la pesante gonna a scacchi e la soprattunica ricamata, i capelli bruni che le scendevano sul collo in trecce lucenti. Questa donna portava una tunica bianca e calzoni aderenti... una darkovana, così vestita, avrebbe temuto di prendere la febbre polmonare, e Linnell sarebbe morta di vergogna. Portava una targhetta con il nome. Adesso riuscivo a leggere la scrittura terrestre, non molto bene, ma meglio di Dia. Lessi, lentamente: — K-a-t-h... — Kathie Marshall — disse l'infermiera, con un sorriso gentile. Aveva persino la fossetta all'angolo della bocca, e la piccola cicatrice sul mento che si era fatto quando eravamo usciti a cavallo in un canyon proibito, ad Armida, e i nostri animali erano caduti. Le chiesi: — Se non sono indiscreto, può dirmi come si è procurata quella cicatrice? — Oh, ce l'ho da quando avevo dieci anni — rispose lei. — Mi pare che fosse un incidente con l'aeroslitta. Mi diedero quattro punti. Scrollai la testa, sconcertato. — La mia sorella adottiva ne ha una identica nello stesso punto. — Ma Dia fece un movimento brusco, come se soffrisse, e subito la donna, sconosciuta e familiare, Linnell-Kathie, mostrò
una sollecitudine professionale. — Ha calcolato i tempi delle contrazioni? Bene. Venga, la porto a letto... — E quando Dia si girò verso di me e mi prese la mano in uno scatto di panico, la tranquillizzò: — Non si preoccupi: suo marito può venire a starle accanto, non appena il dottore le avrà dato un'occhiata per vedere come stanno le cose. Non si preoccupi — disse a me, e la sua espressione era esattamente come quella di Linnell, seria, dolce e gentile. — La signora è sana, e noi possiamo fare molto, anche se il bambino è prematuro. Non si preoccupi per sua moglie e per il piccino. Meno di un'ora dopo mi chiamarono nella stanza di Dia. Lei era a letto, e indossava la camicia da notte sterile dell'ospedale, ma l'ambiente era piuttosto gradevole secondo i concetti di Vainwal, con piante verdi dovunque e motivi di arcobaleni scintillanti oltre le finestre; erano ologrammi laser, pensai, ma piacevoli da osservare, e servivano a distrarre la mente della futura madre dal pensiero di quello che stava succedendo. — Il nostro coridom si comporta così quando una giumenta da esposizione sta per avere un puledrino — disse ironicamente Dia. — Si agita e l'accarezza e le mormora parole rassicuranti, invece di lasciarla in pace. Mi stavano intorno con una quantità di macchine che dovrebbero chiarire tutto, incluso il colore degli occhi del bambino; ma a me non dicono niente. Mi lasciarono stare con lei durante le fasi iniziali, e le massaggiai la schiena, le feci bere qualche sorso d'acqua, le ricordai come doveva respirare; ma sapevamo tutti che era troppo presto, e avevo paura. E sentivo anche la paura di Dia, la tensione nonostante i suoi tentativi di rilassarsi, di collaborare al processo inesorabile che già spingeva prematuramente nostro figlio nel mondo. Guardammo gli arcobaleni, facemmo un paio di partite a carte, ma persino io notai un'omissione; non parlavamo del futuro, non discutevamo il nome da dare al bambino. Mi dicevo che stavamo aspettando di sapere se era un maschio o una femmina, ecco tutto. Ogni ora o giù di lì mi facevano uscire nel corridoio mentre venivano a visitarla, e via via che il giorno declinava, dopo uno di questi intervalli, la giovane infermiera Kathie disse: — Dovrà restare qui, signor Montray; stanno portando sua moglie in sala operatoria. Le cose non vanno esattamente come dovrebbero, e il piccolo è molto prematuro, quindi abbiamo bisogno di avere a portata di mano tutta l'attrezzatura necessaria, nel momento in cui nascerà. — Ma io voglio che Lew stia con me... — gridò Dia. quasi piangendo, e si aggrappò con forza alla mia mano.
Kathie disse gentilmente: — Lo so. Sono sicura che sarebbe un conforto per entrambi. Ma, vede, dobbiamo pensare soprattutto al bambino. Non appena sarà nato lasceremo che suo marito salga e resti di nuovo con lei. Ma adesso no, purtroppo. Mi dispiace. Strinsi a me Dia, cercando di rassicurarla. Sapevo cosa provava: mi identificavo con il suo corpo, con la sua sofferenza... su Darkover nessun telepate, nessun Comyn avrebbe pensato di lasciarsi separare dalla donna che gli dava un figlio; avrebbe diviso la sua sofferenza, avrebbe conosciuto il prezzo di quella nascita... ma non eravamo sul nostro mondo e non c'era nulla da fare. — Ha paura — mormorò Dia con voce scossa; e anch'io mi spaventai nel vederla piangere. Mi ero abituato al suo coraggio, alla forza inflessibile che tanto spesso mi aveva aiutato a vincere i miei timori. Bene, ora toccava a me essere forte. — Faranno del loro meglio, preciosa. — Cercai di irradiare pensieri rassicuranti, di avvolgere Dia e il piccino in un'atmosfera di calma e di serenità: vidi la sofferenza abbandonare il suo volto. Sospirò e mi sorrise. — Non preoccuparti per me, Lew, andrà tutto bene — disse. La baciai di nuovo, e Kathie fece cenno all'altra infermiera di scostarsi, in modo che potessi adagiare Dia sul lettino a rotelle che avrebbero usato per portarla via. Lei mi cinse forte con le braccia, ma sapevo che dovevo lasciarla andare. Camminai avanti e indietro nei corridoi, aspirando gli odori acuti dell'ospedale che mi ricordavano la mia tragedia, tormentato dal dolore fantasma della mano mutilata. Avrei preferito vivere nel nono inferno di Zandru, il più gelido, anziché a portata di quegli odori insopportabili. Offuscata dalla distanza e dalla mia debolezza crescente, sentivo la paura di Dia, la sentivo piangere e chiamarmi... avrei voluto raggiungerla, ma non sarebbe servito a nulla, lì su quel mondo alieno. A casa, sotto il nostro sole rosso, avrei condiviso la sua sofferenza, in stretto rapporto mentale con lei... nessun uomo poteva permettere che la moglie affrontasse il parto da sola. Come avrebbe potuto essere veramente nostro figlio, se io, il padre, ero stato isolato dalla sua nascita? Anche in distanza, sentivo la paura di Dia, valorosamente repressa; e poi svanì nello stordimento degli anestetici. Perché l'avevano fatto? Lei era sana e forte, ben preparata per il parto, non avrebbe dovuto aver bisogno dell'anestesia, non avrebbe dovuto desiderarla, e sapevo che non l'aveva chiesta. L'avevano fatto contro la sua volontà? Mi rimproverai: il disgusto per l'ambiente ospedaliero, l'orrore rivissuto per il
ricordo dell'ospedale terrestre dove avevano tentato invano di salvarmi la mano, mi aveva impedito di fare ciò che avrei dovuto. Avrei dovuto restare in rapporto con la mente, essere presente in ogni momento, telepaticamente, anche se non potevo esserlo fisicamente. L'avevo abbandonata, ed ero pieno di paura. Cercai di placare lo sgomento crescente. Tra poche ore avremmo avuto nostro figlio. Avrei dovuto chiamare mio padre, in qualche momento di quella giornata interminabile. Lui sarebbe venuto all'ospedale, mi avrebbe tenuto compagnia. Bene, avrei potuto avvertirlo non appena fosse nato il bambino. Avrei potuto essere per mio figlio un padre come Kennard lo era stato per me? Aveva lottato senza tregua per farmi accettare, cercando di proteggermi dagli insulti e dagli sgarbi, si era battuto per farmi avere tutti i privilegi e tutti i doveri di un figlio dei Comyn. Speravo di non essere costretto ad essere duro con mio figlio come mio padre era stato con me; ne avrei avuto minori ragioni. Eppure adesso potevo comprendere, almeno un poco, perché era stato così. Come avrei chiamato il piccino? Dia avrebbe obiettato se avessi voluto chiamarlo Kennard? Il mio nome era Lewis-Kennard; il fratello maggiore di mio padre si era chiamato Lewis. Kennard-Marius, forse, come mio fratello e mio padre. O forse Dia avrebbe dovuto dargli il nome d'uno dei suoi fratelli, forse Lerrys, come il suo prediletto? Lerrys aveva litigato con me, forse non avrebbe voluto che il suo nome venisse dato a mio figlio... Giostravo con questi pensieri per nascondere la mia inquietudine disperata, la crescente proccupazione per il ritardo... perché non mi dicevano niente? Forse avrei dovuto andare nell'atrio, dove c'erano i comunicatori, e chiamare mio padre per spiegargli dov'ero e cosa stava succedendo. Lui avrebbe desiderato saperlo, e mi rendevo conto che in quel momento avrei gradito la sua compagnia. Che cosa avrebbe pensato, mi chiedevo, se avesse visto la giovane infermiera, Kathie, cosi rassomigliante a Linnel? Forse non avrebbe neppure notato la somiglianza, forse io ero semplicemente in uno stato ipernormale che l'aveva esagerata facendola apparire una quasiidentità. Dopotutto, molte donne giovani hanno una fossetta, e possono avere una piccola cicatrice. E non era eccezionale che una ragazza di discendenza terrestre - e ci piacesse o no, Darkover era stata colonizzata da un unico ceppo omogeneo, il che spiegava la nostra forte similarità etnica avesse i capelli bruni, gli occhi azzurri, il viso a forma di cuore e la voce dolce e un po' rauca. La mia agitazione aveva fatto il resto. Probabilmente
Kathie non somigliava a Linnell, e sicuramente me ne sarei accorto nell'eventualità inverosimile che le avessi viste fianco a fianco... Forse fu la crescente spossatezza, lo sforzo che stavo facendo per non addormentarmi: per un minuto mi parve di vedere una accanto all'altra, Linnel nell'abito della Festa, e inspiegabilmente mi sembrava più vecchia e sciupata; e Kathie indossava a sua volta un abito darkovano... e dietro di loro c'era un'oscurità ondeggiante... Sentii un suono lieve; mi voltai e vidi la giovane infermiera che somigliava tanto a Linnell... sì, le somigliava, non era un'illusione: evocare mentalmente l'immagine di Linnell mi aveva reso ancora più sicuro. Ah, essere a casa, tra le colline presso Armida, e cavalcare con Marius e Linnell, con il vecchio coridom terrestre Andres che minacciava di picchiarci perché galoppavamo così precipitosamente che io e Marius ci strappavamo i calzoni e il vento ingarbugliava i capelli di Linnell al punto che la sua governante non riusciva a riordinarli... ormai Linnell era probabilmente sposata al Principe Derik, e Derik era stato incoronalo, e la mia sorella adottiva era Regina... — Signor Montray? Mi voltai di scatto. — Cosa c'è? Dia? Il bambino? È andato tutto bene? — Mi sembrava avvilita, turbata, ed evitava il mio sguardo. — Sua moglie sta bene — disse gentilmente. — Ma la dottoressa DiVario vuole parlarle del bambino. Una dottoressa: ne ero lieto, lieto che a Dia fosse stata risparmiata l'umiliazione d'essere affidata alle cure di un uomo. A volte, una forte telepatia o una forte empatia può trascendere la differenza di genere, ma lì, dove erano privi del laran, sapevo che Dia avrebbe preferito un medico del suo sesso. La giovane dottoressa era stanca e tesa; e compresi che, se non possedeva l'empatia nel senso del dono dei Ridenow, aveva almeno quella consapevolezza, quella sensibilità rudimentale che distingue il buon medico da quello mediocre. — Il signor Montray-Lanart? Sua moglie sta bene; potrà vederla tra pochi minuti — mi disse, e io mormorai una preghiera di ringraziamento alla Madre Avarra, una preghiera che non sapevo di ricordare. Poi chiesi: — E nostro figlio? La dottoressa chinò la testa, e io capii... o credetti di capire il peggio. — Morto? — Era troppo presto — disse lei. — E non abbiamo potuto fare nulla. — Ma — protestai, come uno stupido, — i supporti vitali, gli uteri arti-
ficiali... sono sopravvissuti bambini nati ancora più prematuramente... M'interruppe con un gesto. Era molto tesa. Disse: — Non abbiamo lasciato che sua moglie lo vedesse. Appena abbiamo capito... l'abbiamo anestetizzata. Mi dispiace, ma ho pensato che fosse meglio così: era molto agitata. Ormai dovrebbe riprendersi dall'anestesia da un momento all'altro, e dovrebbe esserle accanto. Ma prima... — disse, e mi guardò con un'espressione di pietà, — lei deve vedere. È la legge, perché non possa accusarci di averle sottratto un bambino sano... — Ricordai che c'era un attivo commercio di bambini adottivi, per le donne che non volevano prendersi il disturbo di partorire. Sentii l'angoscia della giovane dottoressa, e inspiegabilmente questo mi rammentò un sogno... non riuscivo a ricordare i dettagli... qualcosa che il medico mi aveva detto pochi giorni prima... che avrei dovuto prepararmi a una certa deformità... qualcosa di spaventoso... sangue... orrore. Mi condusse in una stanzetta spoglia, con armadi e porte chiuse e lavabi, e un vassoio coperto da un telo bianco. Disse: — Mi dispiace — e lo scoprì. Una volta ero emerso dai veli delle droghe e avevo visto l'orrore che era cresciuto all'estremità del mio braccio. I messaggi impressi profondamente nelle cellule, che comandavano a una mano d'essere una mano e non un piede o uno zoccolo o un'ala d'uccello... Avevo urlato fino a diventare rauco... Ma questa volta non mi uscì dalla bocca neppure un suono. Chiusi gli occhi, e sentii la giovane dottoressa posarmi pietosamente la mano sulla spalla. Credo capisse che era un sollievo che mio figlio fosse lì, senza vita, perché sicuramente... non avrei potuto lasciare che vivesse. Non così. Ma era un sollievo sapere che non era stata la mia mano a... ...ad affondare nel corpo di Dia, a strappare via il bambino sanguinante, artigliato, piumato, un orrore che trascendeva ogni orrore... Trassi un lungo respiro e aprii gli occhi, fissando impietrito la spaventosa cosa deforme che giaceva senza vita davanti a me. Mio figlio. Kennard aveva provato le stesse sensazioni quando aveva visto ciò che di me aveva lasciato Sharra? Per un momento mi augurai di potermi rifugiare ancora nella tenebra della follia. Ma ormai era troppo tardi. Dissi, stordito: — Sì, sì, capisco — e voltai le spalle alla cosa. Dunque la lesione era stata più profonda di quanto avessi immaginato, era arrivata al plasma germinale. Non ci sarebbe stato un figlio mio che avrei portato sulle spalle per mostrargli i cavalli di Armida... Sebbene avessi distolto il viso, mi sembrava
ancora di vedere quell'orrore. Neppure umano. Eppure, mostruosamente, era stato vivo fino a quella notte... La Dea è stata misericordiosa con noi... — Mia moglie lo sa? — Credo sappia che era... troppo deforme per vivere — disse gentilmente la dottoressa. — Ma non sa fino a che punto, e sarà bene che non glielo dica, mai. Le dica una menzogna molto semplice... le crederà. Le donne non vogliono sapere, credo, più dell'indispensabile. Le dica una semplice verità, che il cuore del bambino s'è fermato. — Mi condusse fuori dalla stanza, lontano dalla cosa che avrei rivisto spesso negli incubi. Mi toccò di nuovo la spalla pietosamente, e disse: — Avremmo potuto... riattivare il cuore. Lei l'avrebbe voluto? Qualche volta un medico deve prendere queste decisioni. Dissi, sinceramente: — Le sono molto grato. — Ora l'accompagno da sua moglie. Dia era sul letto dove l'avevano adagiata, e sembrava stordita e minuta, come una bambina che si fosse addormentata piangendo, con le tracce delle lacrime sul volto. Le avevano coperto i capelli con una cuffietta bianca, e l'avevano avvolta nelle coperte calde; con una mano stringeva la coperta soffice come una bambina che stringe un giocattolo. Sentivo intorno a lei l'odore dell'anestetico; la sua bella bocca aveva quel sentore, quando mi chinai a baciarla. — Preciosa... Lei aprì gli occhi e ricominciò a piangere. — Il nostro bambino è morto — mormorò. — Oh, Lew, il nostro bambino, non poteva vivere... — Tu sei salva, tesoro. Per me questo è l'importante — sussurrai, stringendola tra le braccia. Ma dietro i miei occhi c'era ancora quella cosa, quell'orrore non umano... Nella sua debolezza, Dia cercò il conforto del rapporto mentale, lei che era sempre stata la più forte tra noi due, cercò la mia mente... La sentii ritrarsi da ciò che vedeva, da ciò che vedeva giacere, freddo e impersonale in quella stanzetta fredda e spoglia, su un vassoio chirurgico, non umano, terribile, orrendo... Urlò, staccandosi da me; urlò e urlò come io avevo urlato quando avevo visto ciò che aveva preso il posto della mia mano, urlò e urlò e lottò per liberarsi di me quando avrei voluto confortarla, lottò per allontanarsi dall'or-
rore... Vennero e le diedero un anestetico, per timore che si facesse male, e mi mandarono via. E quando, dopo che mi fui lavato e sbarbato ed ebbi mangiato ed ebbi dato le grottesche disposizioni legali per la cremazione di quello che avrebbe dovuto essere nostro figlio, tornai da lei, rassegnato all'idea che se voleva dare la colpa a me avrei potuto sopportarlo... Lei era vissuta con me attraverso tutti i miei orrori e i miei incubi e adesso avrei potuto essere forte per lei... Ma Dia non c'era. — Sua moglie ha lasciato l'ospedale qualche ora fa — mi disse la dottoressa, quando feci una scenata e pretesi di sapere che cosa le avevano fatto. — È venuto il fratello e l'ha portata via. — Potrebbe essere dovunque — dissi. — In qualunque parte dell'Impero. Mio padre sospirò, appoggiando la testa sulla mano magra e contratta. — Questo non avrebbe dovuto farlo. — Non le dò torto. Nessun uomo dovrebbe fare una cosa simile a una donna... — E strinsi i denti, sopraffatto dal rimorso. Se fossi riuscito a barricare i miei pensieri. Se mi fossi fatto controllare per accertarmi che non esistessero lesioni così profonde nel mio plasma germinale... allora l'avrei saputo; avrei dovuto saperlo, vedendo che la mia mano non era ricresciuta come una mano, ma come un incubo... il dolore al braccio era un incubo, adesso, distante, spaventoso, ben accetto perché smussava la sofferenza della perdita di Dia. Ma non la biasimavo. Aveva già sopportato tanto per me, e poi questo... no. Se fossi stato al posto di Dia non sarei rimasto per una decade, e io avevo avuto la sua presenza, il suo conforto, per un anno e mezzo... — Potremmo farla rintracciare — disse mio padre. — Esistono gli investigatori specializzati nel ritrovare la gente scomparsa; e per i cittadini di Darkover non è facile mimetizzarsi tra i comuni cittadini dell'Impero... Ma aveva parlato in tono diffidente; scrollai la testa. — No. Lei è libera di andare e di venire. Non è mia prigioniera o mia schiava. — Se l'amore tra noi s'era schiantato nella tragedia, che colpa ne aveva lei? Anche così, le ero grato. Due anni prima un avvenimento simile mi avrebbe annientato, mi avrebbe precipitato in un abisso di tormento e di disperazione e di autocommiserazione suicida. Ora provavo un'angoscia incommensurabile, ma ciò che mi aveva dato Dia non poteva essere distrutto dalla sua assenza. Non ero guarito - non sarei guarito mai - ma ero
di nuovo vivo, e avrei potuto vivere qualunque cosa accadesse. Ciò che lei mi aveva dato era parte di me, per sempre. — È libera di andare. Un giorno, forse, riuscirà a sopportarlo, e tornerà da me. Se lo farà, sarò pronto. Ma non è mia prigioniera, e se ritornerà, dovrà essere perché desidera ritornare. Mio padre mi guardò a lungo; forse si aspettava che crollassi di nuovo. Ma dopo un po', forse, si convinse che pensavo veramente ciò che avevo detto, e incominciò a parlare d'altro. — Ora non c'è motivo perché tu non venga con me a Darkover, a risolvere il problema dell'eredità degli Alton... Pensai ad Armida, tra le colline di Kilghard. Avevo pensato di andarvi con mio figlio sulle spalle, di mostrargli i cavalli, insegnargli ciò che era stato insegnato a me, guardarlo crescere là, compiere al mio fianco il primo turno di servizio antincendio... no. Era stata una speranza folle. Marius non era lesionato; sarebbero stati i suoi figli a continuare la casata degli Alton, se così doveva essere. Non me ne curavo più; non mi riguardava più. Ero sradicato, esule... e la sofferenza dell'esilio era meno forte del dolore del ritorno. Dissi: — No — e mio padre non tentò di convincermi. Credo sapesse che ero giunto al termine della resistenza, che avevo sopportato anche troppo, non avevo più la forza di lottare. — Non vorrai tornare nella casa che hai diviso con Dia, almeno per ora — disse. E mi chiesi come lo sapeva. Era troppo piena di ricordi. Dia, raggomitolata tra le mie braccia, che guardava insieme a me le luci della città. Dia, con i capelli sciolti sulle spalle, in camicia da notte, rideva d'un'atmosfera domestica che era nuova e divertente per entrambi. Dia... — Resta qui qualche giorno — disse mio padre. Se lei tornerà, se mi cercherà... — Saprà dove trovarti — disse mio padre. E mentre diceva così, capii che lei non sarebbe tornata. — Resta qui con me qualche giorno. Poi prenderò la nave per Darkover... e tu potrai tornare a casa tua, oppure stabilirti qui da solo. Non... — Mi guardò con una pietà che, saggiamente, non esprimeva ad alta voce. — Non... ti disturberò. — Per la prima volta in vita mia, sentii che mio padre mi parlava da eguale, da uomo a uomo. Sospirai e dissi: — Grazie, padre. Sarei lieto di venire. Non pensai ancora alla matrice Sharra, avviluppata e isolata e nascosta nell'angolo più lontano del ripostiglio più lontano dell'appartamento che avevo diviso con Dia alla periferia della città. Non ne parlammo più, in
quei giorni, gli ultimi dieci giorni che passammo in quell'appartamento. Mio padre non partì con la prima nave. Credo che volesse passare con me il tempo che restava, che non fosse disposto a lasciarmi completamente solo su un pianeta che mi era diventato estraneo come se non vi avessi vissuto quasi due anni. Mancavano ancora cinque giorni alla partenza della seconda nave per la quale aveva fatto la prenotazione. Non c'erano molte navi che avessero come destinazione finale Cottman IV, come i terrestri chiamavano Darkover. Molte, però, vi facevano scalo; era situato tra il braccio superiore e quello inferiore della Galassia, ed era una logica stazione di trasbordo. Verso mezzogiorno mio padre mi chiese, in tono incerto, se volevo accompagnarlo in uno dei grandi palazzi dei divertimenti della città: la sua attrazione principale era un complesso gigantesco di bagni, ispirato a quello di un'antica città terrestre che aveva fatto dei bagni un'arte. Mio padre era invalido da anni; uno dei miei primi ricordi era rappresentato dalle sorgenti calde di Armida... quando, dopo una gelida giornata trascorsa in sella, mi ero immerso fino al collo nell'acqua caldissima. Non piaceva soltanto agli zoppi e agli infermi. In tutto l'Impero, e soprattutto nei pianeti turistici dove niente è tabù, i bagni servono come luogo di ritrovo per coloro che s'interessano a ben altro che ai bagni termali. Forse l'atmosfera di rilassata nudità contribuisce ad abbattere le inibizioni. Vengono offerti molti svaghi che hanno ben poco a che fare con le cure. L'infermità di mio padre e la sua zoppia accentuata gli davano le ragioni più ovvie e rispettabili per recarvisi; inoltre, vi trovava i massaggiatori che potevano alleviare i suoi dolori muscolari. Io visitavo raramente quei posti... un tempo, per me era stata una tortura trovarmi in mezzo a cose simili e le femmine che si affollavano là alla ricerca di uomini le cui inibizioni erano state allentate dall'atmosfera dei bagni non erano, a dir poco, donne che mi attraevano. Ma mio padre sembrava più zoppo del solito, i suoi passi erano ancora più incerti. Avrebbe potuto far chiamare un massaggiatore che l'accompagnasse, o avrebbe potuto farsi trasportare in portantina su Vainwal, pagando, si può avere ogni sorta di assistenza e di cura - ma nelle condizioni in cui si trovava non volevo lasciarlo in mano ad aiutanti prezzolati. Lo accompagnai ai bagni, Io condussi alla porta delle piscine calde, e andai al ristorante per bere qualcosa. Mi sedetti e guardai un gruppo di ballerini che eseguivano le contorsioni più incredibili, e più tardi allontanai a cenni le donne - e gli uomini - che si aggiravano in cerca di clienti disposti a pagare per un'esibizione privata. Poi assistetti a un altro
spettacolo: questa volta era un ologramma, un dramma musicale che narrava un'antica leggenda dell'amore e della vendetta del dio del Fuoco: a uno dei suoi compagni un terzo dio aveva rapito la moglie, e il dio del Fuoco l'aveva proclamata casta, sebbene quello che l'aveva perduta fosse geloso e non volesse credere a quelle assicurazioni. Ma l'illusione delle fiamme che circondavano l'interprete del dio del Fuoco mi innervosiva. Mi alzai, irrequieto, e lasciai il ristorante. Andai in uno dei bar per bere ancora, e fu là che mi trovò il massaggiatore di mio padre. — Lei è Lewis-Kennard Lanart... Mi allarmai: compresi subito che qualcosa non andava e mi preparai a una nuova tragedia. — Mio padre... cos'è successo a mio padre? — Non corre pericoli — disse il massaggiatore, tormentando l'asciugamani che stringeva tra le dita. — Ma il caldo dei bagno a vapore era troppo intenso. È svenuto. Ho mandato a chiamare un medico — aggiunse in tono difensivo. — Volevano portarlo all'ospedale terrestre, ma non ha accettato. Ha detto che aveva bisogno di qualche minuto di riposo, e voleva che lei venisse a prenderlo per condurlo a casa. Avevano chiamato un valletto perché lo aiutasse a vestirsi, e adesso stava sorseggiando un bicchiere di brandy forte. Era pallidissimo, e sembrava più magro di prima. Fui colpito dal dolore e dal rammarico. — Lascia che ti accompagni a casa, padre — dissi, e ordinai una delle piccole aeroauto che ci portò direttamente sul tetto del nostro palazzo. Io non avevo sentito l'angoscia di mio padre, né il suo collasso; ero stato troppo occupato a guardare quegli stupidi danzatori! — Non importa, Lew — mi disse lui, gentilmente. — Non sei il mio custode. — E questo mi fece sentire teso, turbato, una volta tanto, anziché stare in piedi, mio padre si sdraiò su un morbido divano flottante, anche se non volle saperne di andare a letto. — Padre, sicuramente non avrai intenzione di andare a Darkover fra cinque giorni! Non sopporteresti il viaggio. E il clima di Thendara... — È là che sono nato — disse lui, a denti stretti. — Posso sopportarlo. E non ho scelta, a meno che tu decida di andare risparmiandomi la fatica. Io dissi, mentre la collera e la pietà lottavano in me: — Non è giusto! Non puoi chiederlo...! — Te lo chiedo — disse lui. — Ormai sei abbastanza forte. Non te l'ho chiesto prima che tu fossi pronto. Ma ora non c'è ragione perché tu non ritorni... Riflettei; o cercai di riflettere. Ma tutto il mio essere si ribellava. Ritor-
nare; ritornare in quell'angolo d'inferno dove avevo trovato morte e mutilazione, ribellione, amore e tradimento... No. No. Avarra misericordiosa, no... Mio padre sospirò pesantemente. — Dovrai farlo, un giorno o l'altro, Lew. E io non voglio affrontare da solo il Consiglio. Posso contare su un unico alleato, là... — Dyan — dissi io. — E farà di più, per te, se io non ci sarò. Mi odia, padre. Mio padre scrollò la testa. — Credo che ti sbagli. Ho promesso... — Poi sospirò. — Comunque, sia come sia, un giorno dovrai ritornare... Non puoi vivere così, Lew. Su Darkover ci sono alcuni esperti della tecnologia delle matrici che potrebbero trovare un modo per liberarti da Sharra... — Hanno tentato — dissi. — Mi hai detto che hanno tentato prima che mi portassi via da Darkover, e non hanno potuto far nulla; è per questo che dovemmo portar via la matrice, non potevi separarmi da essa senza uccidermi... — Allora eri più debole. Sono passati molti anni. Ora potresti sopravvivere. Mille rimpianti, mille terrori e mille angosce mi pervasero; se non fosse stato per il mio sfortunato tentativo di controllarla, forse Dia non avrebbe avuto un parto prematuro... E quell'orrore mostruoso sarebbe stato vivo, avrebbe respirato... Ma Dia avrebbe potuto comprendere. Avrebbe potuto... non provare ribrezzo per me. Forse non si sarebbe ritratta inorridita dal mostro che avevo generato, dal mostro che ero diventato... Libero da Sharra, la lesione si sarebbe risanata? Il legame con la matrice gigantesca che aveva danneggiato le mie cellule. .. se avessi avuto il coraggio di sopportarlo, di liberarmi di Sharra, forse l'orrore non sarebbe arrivato a toccare nostro figlio... almeno avrei potuto farmi controllare, avrei potuto saperne abbastanza, prima, per evitare di generare un figlio... avrei potuto mettere in guardia Dia, e lei non avrebbe sofferto quella perdita... — Non credo che avrebbe cambiato qualcosa. Il danno è avvenuto prima che incontrassi Dia. — Sapevo che mio padre vedeva l'immagine nella mia mente, l'immagine del mostruoso fallimento della mia mano... ma non ne avremmo mai avuto la certezza. — Un giorno. Un giorno. Forse.
Mio padre fece per parlare, poi chiuse la bocca e, sebbene potessi udire le parole che non pronunciava, chiaramente - Lev, ho bisogno di te, non posso andare solo - gli fui grato perché non usava quell'ultima arma, la sua debolezza, per persuadermi. Mi sentivo colpevole perché non mi offrivo senza che me lo chiedesse. Ma non potevo. Non potevo... Chiuse gli occhi. — Vorrei riposare. — Uscii e lo lasciai solo. Mi aggirai per l'appartamento, chiedendomi se dovevo o no scendere nel multiforme mondo del pianeta turistico, per ubriacarmi e dimenticare gli orrori che assillavano la mia mente, i rimorsi e le colpe. Mio padre aveva bisogno di me; lui aveva fatto, senza risparmiarsi, ciò che era necessario quando ero malato e indifeso, e adesso io non volevo, non sapevo decidermi a dare con la stessa generosità. Ma non lo avrei lasciato solo. Non potevo fare ciò che desiderava; ma avrei fatto ciò che potevo. Non so quanto tempo passò prima che sentissi la sua voce, quel grido di sofferenza terribile che echeggiava nella mia mente e nelle stanze. Ora so che non era un grido; era stato così rapido che non poteva aver proferito un suono, ma era un urlo di sofferenza. Mentre correvo verso la sua stanza, inciampando per la fretta, la sua voce tuonava nella mia mente come era avvenuto in quel primo rapporto, quando aveva destato a forza il mio laran, quando avevo undici anni; una sofferenza di morte e l'aspro comando inflessibile che non potevo escludere. LEW! DEVI ANDARE, IO NON POSSO... DEVI TORNARE A DARKOVER, LOTTARE PER I DIRITTI DI TUO FRATELLO E PER L'ONORE DEGLI ALTON E IL DOMINIO... DEVI TORNARE E LIBERARTI DI SHARRA... LEW, TE LO COMANDO, È IL MIO ULTIMO DESIDERIO, IL MIO ULTIMO DESIDERIO... E poi un'ondata d'amore e di tenerezza ed un momento di pura gioia. — Elaine — gridò nella mia mente. Yllana. Carissima. Poi mi precipitai nella sua stanza. Era morto. Ma sul suo volto c'era un tenero sorriso di felicità. LIBRO SECONDO LA FORMA DI FUOCO DARKOVER - LA FINE DELL'ESILIO I
C'era qualcuno alla porla. Regis Hastur si scosse dai sogni confusi e si trovò nel suo appartamento a Castel Comyn. Il suo valletto discuteva in mormorii ostinati con qualcuno che stava alia porta e insisteva. Regis si buttò sulle spalle una veste da camera foderata di pelliccia e andò a vedere cosa c'era. — Vai dom, questo... questo individuo insiste per vederti, anche a quest'ora impossibile... — Bene, ormai sono sveglio — disse Regis, battendo le palpebre. Per un momento non riconobbe il giovane robusto dagli occhi scuri che stava sulla soglia, e il sorriso ironico del giovane gli disse che lo sapeva. — Non ci siamo incontrati molte volte e non credo che siamo mai stati presentati ufficialmente — disse. — Comunque, non da quando avevo otto o nove anni. Il mio nome è Marius, e non discuterò per quanto riguarda il resto, dato che sono qui per chiederti un favore. Adesso Regis riconosceva il figlio minore di Kennard. Lo aveva visto brevemente a Thendara circa tre anni prima; forse in compagnia di Lerrys Ridenow? Disse: — Certo, mi ricordo di te, parente. — E quando ebbe pronunciato quella parola, parente, un riconoscimento formale di un eguale, pensò in ritardo, che suo nonno si sarebbe molto irritato. Il Consiglio, dopotutto, aveva fatto il possibile per non estendere il riconoscimento ufficiale al figlio minore di Kennard. Eppure avevano affidato Regis a Kennard come figlio adottivo, fra i nove e i dodici anni. Regis e Lew erano stati bredin, fratelli giurati. Come poteva rifiutare, adesso, quel riconoscimento al figlio di Kennard, al fratello di Lew che, secondo tutti i criteri dell'onore e dell'onestà, era anche suo fratello adottivo? Ma aveva trascurato quell'obbligo. Anche adesso, il suo valletto fissava Marius come se il giovane fosse un insetto con cento zampe sorpreso nella sua ciotola di minestra. Regis disse: — Entra, Marius. Che cosa posso fare per te? — Non si tratta di me — disse Marius, — ma del mio amico. Questa stagione ho vissuto nella casa di città di mio padre a Thendara. Non sono gradito, esattamente, a Castel Comyn. — Lo so e me ne dispiace, Marius. Che cosa posso dire? Non sono io che prendo le decisioni del Consiglio, ma ciò non significa che sia d'accordo. Entra, ti prego. Non stare lì nel corridoio. Vuoi bere qualcosa? Erril, prendi il suo mantello. Marius scrollò la testa. — Non c'è tempo, purtroppo. Il mio amico... lo conosci; una volta mi ha detto che eravate prigionieri insieme ad Aldaran,
e tu sai qualcosa di... — Marius si agitò e abbassò la voce come se dicesse un'oscenità ignobile. — ... di Sharra. Ora Regis rammentò il suo sogno, la mostruosa forma di fiamma che divampava nell'incubo, le navi che esplodevano tra le vampe... — Ricordo — disse. — Anche troppo bene. Il tuo amico... Rafe Scott, no? — E rammentava anche di averli visti insieme a Thendara. Sì; in compagnia di Lerrys Ridenow, che amava frequentare i terrestri. — Che cos'è accaduto, Marius? Eppure la sua mente continuava in un rapido contrappunto: Questo non può accadere, per tutti questi anni non ho neppure sognato Sharra, e adesso... questo è più di una coincidenza. — Era mio ospite — disse Marius. — E i servitori lo hanno sentito gridare e sono venuti a svegliarmi. Ma quando sono andato da lui non mi ha riconosciuto; ha continuato a urlare e a delirare e a parlare di Sharra... non sono riuscito a farmi ascoltare. Potresti... potresti venire? — Tu hai bisogno d'un guaritore — disse Regis. — Io non ho poteri adatti... — E si sorprese a chiedersi se Danilo, che era stato prigioniero con lui durante quelle settimane ad Aldaran, ed era stato egualmente toccato dalla forma di fuoco, si era svegliato in preda all'incubo terrificante di Sharra. E che cosa significava? — Nobile Regis — disse indignato il valletto, — non penserai di uscire con questo... a quest'ora di notte, al richiamo del primo venuto? Regis aveva quasi deciso di rifiutare. Marius aveva bisogno di un guaritore o di un tecnico delle matrici. Regis aveva passato una stagione in una Torre, imparando a gestire il suo laran in modo che non lo facesse ammalare o impazzire, ma non aveva nessuna delle esperienze avanzate necessarie per usare le matrici per guarire la mente e il corpo, e ciò che sapeva di Sharra era ben poco. Sapeva solo che per tutto quel tempo la sua matrice era stata dominata da un'ombra, così che non poteva toccarla senza vedere la devastante forma di fuoco... ma le parole del servitore ridestarono la sua collera. — Non so se posso esserti di molto aiuto, Marius, e non conosco affatto il giovane Scott. Non l'ho rivisto da allora, o quasi. Ma verrò come amico — disse, ignorando l'espressione indignata del valletto. — Portami i miei abiti, Erril, e i miei stivali. Se vuoi scusarmi mentre mi vesto... Mentre si abbigliava in fretta, pensò che era forse l'unico telepate ancora esistente nei Dominii che avesse avuto quell'esperienza con Sharra, per quanto indiretta. Quel po' che sapeva non gli ispirava la tentazione di sa-
perne di più. Ma questo che cosa può significare? La matrice non è neppure su Darkover! Lew e Kennard l'hanno portata con loro in esilio... Si spruzzò la faccia con l'acqua gelida, sperando di scacciare la confusione. E poi comprese ciò che poteva essere accaduto. Io sono il responsabile. Io ho mandato il messaggio e mio nonno andrà in collera quando scoprirà che sono stato io. E soffro già le conseguenze delle mie azioni. Gli lampeggiò nella mente, rivissuto in un istante, come era avvenuto. Era stato una dozzina di decadi prima; e lui, come Erede di Hastur, era venuto a conoscenza d'una decisione presa dalle cortes, l'organo giudicante di Thendara. Era vincolato dall'onore a non discutere quelle decisioni con un estraneo: ma che cosa fare, quando l'onore contrasta con l'onore? E alla fine si era rivolto all'unico uomo su Darkover che poteva avere interesse a modificare quella decisione. Dyan Ardais l'aveva ascoltato, con un lieve sorriso ironico sulle labbra, come se sentisse quanto Regis detestava tutto questo... La necessità di presentarsi come un supplice a chiedergli un favore. Regis aveva concluso, irosamente: — Vuoi lasciare che facciano una cosa simile a Kennard? Allora Dyan aveva aggrottato la fronte, e gli aveva fatto ripetere tutto. — Che cosa intendono fare, esattamente? — Alla prima seduta del Consiglio, quest'anno, confischeranno le proprietà di Kennard perché ha abbandonato Darkover; e affideranno Armida nelle mani di Gabriel Lanart-Hastur! Solo perché comanda le Guardie e ha sposato mia sorella! — Non vedo quale scelta abbiano. — Kennard deve tornare in patria — aveva ribattuto irosamente Regis. — Non devono fare una cosa simile alle sue spalle! Deve avere una possibilità di protestare! E Kennard ha un altro figlio! Dopo un lungo silenzio, Dyan aveva detto: — Farò in modo che almeno Kennard lo sappia. Poi, se deciderà di non ritornare a rivendicare i suoi diritti... bene, immagino che la legge debba avere il suo corso. Lascia fare a me, Regis. Tu hai fatto ciò che potevi. E adesso, dopo varie settimane, mentre si affrettava a raggiungere Marius, Regis ripensava a quell'episodio. Anche se Kennard fosse tornato, non sarebbe stato tanto pazzo da riportare a Darkover la matrice Sharra... Forse, pensò, forse è soltanto un incubo... forse non è la spaventosa coincidenza che io credo. Forse l'incubo di Rafe ha influito sull'unica per-
sona a Thendara che era stata toccata da Sharra, e quindi anch'io ho sognato... Si drappeggiò il manto sulle spalle e disse a Marius: — Andiamo. Erril, chiama la mia guardia del corpo. — Non l'avrebbe voluta; ma sapeva che, anche a quell'ora, non poteva girare per le vie di Thendara senza una scorta; e anche se avesse potuto farlo, era stato costretto a promettere a suo nonno che non l'avrebbe fatto. Ho più di vent'anni e sono un uomo, pensò. Eppure, come Erede di mio nonno, Erede di Hastur, sono costretto a fare ciò che vuole... Attese che arrivasse l'uomo con l'uniforme delle Guardie, e poi si avviò per i corridoi di Castel Comyn e per le strade deserte di Thendara, mentre Marius procedeva in silenzio al suo fianco. Erano passati molti anni da quando Regis era entrato nella casa di città di Kennard Alton. Sorgeva ai margini di un'ampia piazza selciata, e quella notte era tutta buia, eccettuata una luce che brillava sul retro. Marius lo condusse a una porta laterale; Regis disse alla guardia: — Aspetta qui. — L'uomo discusse per un po', sottovoce - il vai dom avrebbe dovuto essere prudente, poteva essere una trappola - ma Regis ribatté irosamente che quell'insinuazione era un'offesa per il suo parente; e la guardia che, dopotutto, aveva prestato servizio agli ordini di Kennard, e probabilmente anche di Lew come cadetto e ufficiale, borbottò e smise di protestare. Ma dopo che li ebbe lasciati, Regis pensò che, dopotutto, avrebbe gradito la compagnia di quell'uomo. Tendeva a fidarsi di Marius, ma Rafe Scott era un terrestre, e i terrestri erano famosi per la loro indifferenza al codice d'onore. E Rafe era anche un parente, in qualche modo, dell'arcitraditore Kadarin, che era stato amico giurato di Lew, ma l'aveva tradito e torturato, l'aveva drogato e l'aveva costretto, contro la sua volontà, a servire Sharra... Dalla casa buia giunse un urlo, un ululato di terrore, come se una gola umana non potesse esprimere quel grido. Per un momento, dietro i suoi occhi, Regis sentì il fulgore del fuoco... il terrore primordiale della forma di fuoco che infuriava e devastava... poi la escluse, sapendo che era il terrore della mente dell'altro, quello che aveva captato. Riuscì a barricare la propria mente, e si girò verso Marius che era bianco di paura. Si chiese se il giovane aveva abbastanza laran per captare l'immagine, o se era l'angoscia di Rafe a sconvolgerlo. Kennard aveva provato al Consiglio che Lew aveva il dono degli Alton, e lo avevano accettato. Non avevano accettato Marius: questo significava che il figlio minore di Kennard era completamente privo di laran?
— Ricorda, Marius, io non so se potrò fare qualcosa per lui. Ma dovrei vederlo. Marius annuì e lo precedette verso una delle stanze interne. Un servitore, impaurito e tremante, stava accanto alla porta, e non osava entrare. — Non ci sono stati cambiamenti, dom Marius. Andres è con lui. Regis rivolse appena un'occhiata all'uomo robusto e grigio in abito darkovano - sebbene sapesse che era un terrestre - che era stato il coridom, il maestro di casa ad Armida quando lui, Regis, vi soggiornava da ragazzo. Rafe Scott stava seduto, eretto, e fissava qualcosa d'invisibile. Quando Regis entrò, vi fu di nuovo quell'infernale grido animalesco di terrore e di paura. Anche attraverso le barriere fortissime, Regis poteva sentire la vampata del calore, del fuoco e del tormento... una donna con le chiome fiammeggianti che sfolgoravano... Regis sentì quei capelli sugli avambracci, e si sentì accapponare la pelle, come un animale alla presenza di un nemico primordiale. Marius aveva chiesto qualcosa ad Andres sottovoce, in tono preoccupato; l'uomo scrollò la testa. — Non ho potuto fare altro che trattenerlo perché non si facesse del male. — Vorrei che Lerrys fosse in città — disse Marius. — I Ridenow sono addestrati a trattare con le intelligenze aliene... con le presenze che non appartengono a questa dimensione. Regis guardò il viso atterrito del giovane che gli stava davanti. Aveva visto Rafe una volta soltanto, e brevemente; lo ricordava meglio come un bambino, un ragazzetto di tredici anni, ad Aldaran. Aveva pensato, allora, che fosse troppo giovane per essere ammesso in uno dei cerchi delle matrici. Adesso doveva avere diciannove o vent'anni... Non è un ragazzo. È un uomo. Ma, vivendo fra i terrestri, non ha avuto l'addestramento che gli avrebbe insegnato ad affrontare queste cose... ... ma Lew era stato addestrato ad Arilinn, e il massimo che hanno potuto fare non è bastato a salvarlo dai fuochi di Sharra... Sarebbe stato inutile mandare a chiamare un comune tecnico delle matrici. Potevano fare molte cose... aprire serrature senza una chiave, rintracciare oggetti perduti mediante la chiaroveggenza amplificata dalla matrice, gettare incantesimi di verità per i rapporti d'affari quando non sarebbe stata sufficiente la normale fiducia, diagnosticare disturbi oscuri, persino eseguire semplici interventi chirurgici senza coltelli e senza spargere sangue. Ma Sharra sarebbe stata al di là della loro competenza e della loro conoscenza. Per il meglio o per il peggio Regis, che sapeva ben poco, sapeva di
Sharra più di tanti altri. Provava la ripugnanza più terribile all'idea di toccare quell'orrore; ma si protese, fortificò la propria niente stringendo la matrice che portava al collo, e cercò di stabilire un lieve contatto con la mente di Rafe. A quel contatto estraneo, Rafe fu scosso da convulsioni, come se fosse riassalito dall'orrore, e gridò: — No! No, Thyra! Sorella, no... E per una frazione di secondo Regis vide e riconobbe l'immagine nella mente di Rafe: una donna, non l'orrore dai capelli di fiamma che era Sharra, ma una donna con i capelli rossi e le labbra rosse, e gli occhi d'uno strano colore dorato... E poi Rafe batté le ciglia, e fulmineamente l'immagine sparì. Guardò Regis con una luce d'intelligenza negli occhi. Con una certa sorpresa, Regis notò che anche Rafe aveva gli occhi dorati, come la donna che aveva veduto. Rafe disse: — Cosa succede? Perché mi fissi così? Che cosa fai qui... — Batté di nuovo le palpebre e si guardò intorno, angosciosamente. — Marius, che cos'è successo? — Dovresti dirmelo tu — rispose irosamente Marius. — So soltanto che hai svegliato tutta la casa, urlando e straparlando di... di... — Ancora quell'esitazione. E Rafe, finalmente, pronunciò quella parola. — Sharra. — E Regis provò un oscuro senso di sollievo, come se si fosse spezzata una stretta mortale. Marius disse: — Non riuscivo a farmi ascoltare da te; non mi riconoscevi neppure. Rafe aggrottò la fronte. — Mi dispiace di averti disturbato... Per tutti i diavoli, sei andato a tirar giù dal letto l'Hastur a quest'ora di notte? — Guardò Regis con aria sconcertata. — Scusami. Dev'essere stato un brutto sogno, nient'altro. Fuori, stava spuntando la luce grigia dell'alba. Marius disse, imbarazzato: — Vuoi onorare la mia casa, Nobile Regis, e far colazione qui? Sono addolorato di aver disturbato il tuo riposo... — Sarà un piacere, cugino — disse Regis, usando la parola in modo un po' più intimo del formale parente, un po' meno di fratello adottivo. Suo nonno si sarebbe indignato, quando l'avesse saputo; ma tutti i fabbri delle forge di Zandru non potevano riparare un uovo rotto, e quel che era fatto era fatto. Marius diede gli ordini ad Andres, e Regis soggiunse: — Chiedi ai servitori di far entrare la mia guardia a mangiare in cucina, se non ti dispiace. Quando i servitori furono usciti, Marius disse: — Cos'è successo, Rafe?
Oppure non lo sai? Rafe scrollò la testa. — Non credo che sia stato un sogno — disse. — Ho visto mia sorella Thyra e... e si è trasformata di nuovo in Sharra. Ho avuto paura... Regis chiese: — Ma perché doveva accadere proprio ora, quando non è mai successo in questi ultimi sei anni? Rafe disse: — Ho quasi paura di scoprirlo. Ho pensato che Sharra fosse scomparsa... o dormiente, almeno qui su Darkover... — Ma non è su Darkover — disse Regis. — Gli Alton la portarono via; forse sulla Terra. Non ho mai saputo perché... — Forse — disse Rafe, — perché qui su Darkover non poteva essere controllata e avrebbe potuto causare altri disastri... — Poi tacque. Ma Regis, vedendo l'immagine nella sua mente, ricordò che il vecchio spazioporto terrestre di Caer Donn, tra le montagne, era stato distrutto dalle fiamme. — Se fosse stata qui, Kadarin avrebbe potuto riprenderla. — Non so se sia ancora vivo — disse Regis. Rafe sospirò. — Sì. Anche se non ho visto nessuno dei due da anni. Sono... sono rimasti nascosti per lungo tempo. — Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa d'altro. Poi alzò le spalle e disse: — In circostanze ordinarie, sarei stato lieto di sapere che Thyra era ancora viva, ma ora... Con dita tremanti si toccò la matrice che portava al collo. — Ero solo un bambino quando il cerchio di Sharra si spezzò, e allora... fu un trauma. Rimasi malato per molto tempo. Quando mi ripresi, mi dissero che Marjorie era morta, che Lew aveva portato via la matrice dal pianeta e non sarebbe mai ritornato, e io... io scoprii che non potevo usare la mia pietra stellare: avevo partecipato e quando il legame con la matrice Sharra s'era spezzato, la mia pietra si... si era bruciata, pensavo. Ora, però, non ne sono più sicuro... Estrasse la pietra. Era, pensò spassionatamente Regis, molto piccola, una gemma azzurra sfaccettata e difettosa. Si chinò per osservarla; dentro aveva una fiamma cremisi, così chiara che persino Regis e Marius potevano vedere la forma del fuoco. Rafe ripose la pietra e le dita gli tremarono quando cercò di tirare i cordoni del minuscolo sacchetto di cuoio. — Che cosa significa? — chiese sottovoce. — Può significare una cosa soltanto — disse Regis. — Kennard è tornato in patria. O Lew. O forse entrambi. E per qualche ragione, hanno portato con loro la matrice Sharra.
Il primo giorno della stagione del Consiglio, Regis Hastur si recò presto nella Sala di Cristallo. Per un momento, si chiese se doveva passare dall'entrata degli Hastur - nel corridoio intorno alla Sala c'era un ingresso privato per ogni Dominio, e una piccola anticamera per ognuno dei segmenti recintati, in modo che i membri del Dominio potessero incontrarsi privatamente per un momento prima di presentarsi ufficialmente in Consiglio ma poi scrollò le spalle e, fermandosi per scambiare qualche parola amichevole con la guardia in servizio alla porta, entrò dall'ingresso principale. Fuori era una giornata luminosa di sole, e la luce filtrava attraverso i prismi nel soffitto che conferivano alla camera il suo nome; era come trovarsi nel cuore multicolore d'un arcobaleno. La Sala di Cristallo era ottagonale e spaziosa... almeno, pensò Regis, ora lo sembrava; al culmine della potenza dei Comyn doveva essere apparsa piccola per tutti coloro che avevano i diritti dei Domimi. Dove stava Regis c'era un podio centrale, con l'ampia, doppia porta dietro, sorvegliata da guardie fidate; gli altri sette lati erano assegnati ognuno a un Dominio, e ognuno era una sezione divisa da balaustrate di legno, con panche e palchi e alcuni recinti chiusi da tende, in modo che i nobili e le dame d'ogni dominio potessero assistere non visti fino a quando veniva il momento della seduta plenaria del Consiglio. Un segmento era vuoto, e lo era sempre stato, per quanto potesse ricordare Regis o qualunque dei suoi parenti; e ricordava che suo nonno gli aveva detto, una volta, quando era bambino, che il posto del Dominio di Aldaran era sempre rimasto vuoto da quando poteva ricordarlo lui o qualunque suo parente. Il vecchio Settimo Dominio, Aldaran, era stato esiliato dai Comyn tanto tempo prima che nessuno ricordava il perché; le ragioni, se mai c'erano state, erano andate perdute nelle Ere del Caos. L'aveva visto ogni anno, da quando era diventato abbastanza grande per assistere al Consiglio: panche e seggi polverosi e vuoti, e uno spazio vuoto alla parete dove un tempo era stata appesa la bandiera con la doppia aquila di Aldaran. Le tende erano tirate anche intorno al recinto del Dominio di Alton. Era rimasto vuoto, nelle ultime cinque stagioni; ora, all'inizio della sesta, Regis supponeva che Lew o Kennard o entrambi sarebbero apparsi per stornare la minaccia di dichiarare vacante il Dominio e metterlo ufficialmente nelle mani di Gabriel Lanart-Hastur come Tutore. Ma erano ritornati? Non poteva credere che Kennard sarebbe tornato senza fare almeno una visita di cortesia al Nobile Hastur, e quella visita non era avvenuta. D'altra parte, se fosse ritornato Lew, Regis riteneva improbabile che non avesse mandato
un messaggio a lui personalmente. Eravamo amici. Credo che Lew me l'avrebbe fatto sapere. Ma non era arrivato nessun messaggio, e Regis incominciava a sentirsi turbato. Forse Lew e Kennard avevano deciso di rinunciare al Dominio. Nel futuro inevitabile, la signoria feudale su un enorme Dominio non avrebbe più avuto un significato. Marius era ricco; Kennard aveva parecchie proprietà, oltre la Grande Casa di Armida. Forse, pensò Regis, sarebbe stato meglio per lui se gli fosse stata risparmiata quella Tutela feudale dell'antico Dominio, come lo stesso Regis sarebbe stato lieto di vedersi risparmiare i cambiamenti che sarebbero certamente venuti nella società darkovana: era meglio che quel compito ingrato toccasse a Gabriel. Si guardò intorno. Scorse qualcuno che si muoveva dietro le tende parzialmente chiuse del recinto dei Ridenow. Forse la moglie del Nobile Eldric o qualcuna delle figlie grandi. Bene, c'erano abbastanza figli e figlie Ridenow; evidentemente, non erano afflitti dalla sterilità che perseguitava alcuni dei Domimi più vecchi. La linea diretta degli Aillard era estinta; una linea collaterale, la famiglia Lindir-Aillard, governava quel casato, e Dama Callina era il capo ufficiale del Dominio; aveva una sorella più giovane, Linnell, che era stata un'altra delle figlie adottive di Kennard, e un fratello che frequentava l'ambiente di Dyan Ardais, sebbene Regis non fosse sicuro se era l'amante e il favorito di Dyan, o semplicemente un amico. In quegli ultimi tempi, Mcrryl Lindir-Aillard si era fatto vedere più spesso in compagnia del giovane Principe Derik Elhalyn. In un'occasione il nonno di Regis, Danvan, Nobile Hastur, aveva espresso il suo disappunto per la compagnia frequentata dal principe. — Non credo che dovresti preoccuparti, mio signore — aveva detto Regis, ironicamente. — Qualunque cosa sia Merryl, a Derik piacciono le donne. Merryl lo adula, niente altro. E poiché era quello che era - e sebbene vi fossero smorzatori telepatici tutto intorno alla Sala di Cristallo, non erano stati ancora attivati e regolati - Regis non si stupì nel sentire la guardia alla porta, con la voce che cambiava, dal tono amichevole sebbene rispettoso usato con Regis, a una secca deferenza. — No, vai dom, sei venuto presto; non c'è nessuno, tranne il Nobile Regis Hastur. — Oh, bene — disse la voce acuta del giovane principe. — Non ho visto Regis dall'ultima stagione. — E Regis si voltò e s'inchinò a Derik Elhalyn. Ma Derik non gli badò e venne ad abbracciarlo com'era usanza tra parenti.
— Perché sei venuto così presto, cugino? Regis sorrise. — Potrei rivolgerti la stessa domanda, mio signore. Non sapevo che fosse così presto... non credevo di essere il primo. — C'erano un paio di persone, persino tra i Comyn, alle quali avrebbe potuto dire francamente: «Mio nonno ha insistito di nuovo perché permetta che in questa stagione venga combinato il mio matrimonio, e me ne sono andato per non litigare di nuovo con lui.» Ma, sebbene Derik avesse tre anni più di lui, e fosse alto e di bell'aspetto, gli sarebbe parso fuori posto parlargli di quelle questioni da adulti. Un tempo il Dominio di Elhalyn era stato una setta di Hastur... anzi, tutti i Domimi erano discesi, un tempo, dal leggendario Hastur e da Cassilda. Ma gli Elhalyn avevano conservato la parentela con Hastur più a lungo degli altri. Qualche centinaio d'anni prima, i re Hastur avevano ceduto le loro funzioni cerimoniali ed il trono agli Hastur di Elhalyn. La madre di Regis era stata una delle sorelle del Re Stephen, e quindi «cugino» non era soltanto un titolo di cortesia. Regis conosceva Derik fin da bambino; ma già quando Regis aveva nove anni era apparso evidente che era più sveglio e intelligente, e aveva incominciato a trattare Derik come un fratello minore. Ora, da adulto, Regis si domandava talvolta se era stato per questo che li avevano separati e lo avevano mandato come figlio adottivo ad Armida, perché il giovane principe non sentisse troppo il peso dell'inferiorità. Quando erano cresciuti, era divenuto dolorosamente ovvio che Derik era tardo e ottuso. Avrebbe potuto essere incoronato a quindici anni, l'età in cui un ragazzo diventava legalmente un uomo; a quell'età, Regis era stato proclamato Erede di Hastur, e aveva ricevuto tutte le responsabilità che si accompagnavano a quella posizione; ma l'incoronazione di Derik era stata rimandata, prima fino a quando avesse compiuto diciannove anni, e adesso fino ai venticinque. E allora? si chiese Regis. Cosa farà mio nonno quando diventerà spiacevolmente chiaro che Derik non è pronto a regnare, a venticinque anni, più di quanto lo fosse a quindici? Molto probabilmente, avrebbe incoronato il giovane conservando la reggenza ufficiosa agli occhi di tutto Darkover, come avevano fatto tanti Hastur nel corso dei secoli. — Dovremmo avere una bandiera nuova, quando sarò incoronato — disse Derik, fermandosi davanti alla balaustrata del recinto degli Elhalyn. — Quella vecchia è lisa. Merryl Lindir-Aillard, che stava dietro di lui, disse sottovoce: — Ma quella vecchia ha visto l'incoronazione di cento re Elhayln, mio signore.
Racchiude tutta la tradizione del passato. — Bene, è tempo che venga introdotta qualche tradizione nuova — disse Derik. — Perché non sei in uniforme, Regis? Non sei più nelle Guardie? Regis scrollò la testa. — Mio nonno ha bisogno di me nelle cortes. — Non credo che sia stato giusto non permettermi di prestare servizio nei cadetti come tutti i figli dei Comyn — disse Derik. — Ci sono tante cose che non mi lasciano fare! Credono forse che non sia abbastanza intelligente? Era, per l'appunto, quello che pensavano; ma Regis non aveva il coraggio di dirlo. Rispose: — Mio nonno mi ha detto, una volta, che fu maestro dei cadetti per qualche stagione, ma che dovettero affrettarsi a sostituirlo perché tutti i giovani cadetti avevano paura di lui, un Hastur. — Però mi sarebbe piaciuto portare l'uniforme da cadetto — disse Derik, ancora imbronciato; e Merryl disse, garbatamente: — Non ti sarebbe piaciuto, mio principe. I cadetti si risentono di avere tra loro i Comyn... a te hanno reso la vita impossibile, non è vero, Dom Regis? Regis stava per rispondere «Solo il primo anno, solo fino a che non hanno capito che non cercavo di usare i privilegi del rango per ottenere favori speciali che non avevo meritato.» Ma pensava che Derik non avrebbe compreso. Disse: — Mi hanno dato certamente parecchi fastidi — e non aggiunse altro. — Anche se hanno rimandato la mia incoronazione, non rimanderanno più il mio matrimonio — disse Derik. — Il Nobile Hastur ha dichiarato che parlerà con Dama Callina dell'opportunità di annunciare il mio fidanzamento con Linnell in questo Consiglio. Credo che dovrei chiederlo a te, invece, Merryl. Tu sei il suo tutore, non è così? Merryl disse: — Così come sono organizzati ora i Comyn, mio signore, la casata degli Aillard è governata dalla linea femminile. Ma Dama Callina è molto occupata con il suo lavoro nelle Torri; forse si potrebbe sistemare tutto in modo che non venisse disturbata per cose di minore importanza. Regis chiese: — Callina è ancora Custode di Neskaya... no, di Arilinn, Dom Merryl? — Usò la formula ufficiale, irritato dal modo in cui il giovane stava mettendo nella mente di Derik l'idea che lui dovesse venire consultato prima della legittima Tutrice del Dominio. Merryl fece una smorfia e disse: — No, credo sia venuta qui per servire come Custode e collaborare con la Madre Ashara. — Avarra Misericordiosa, la vecchia Ashara è ancora viva? — chiese Derik. — La mia bambinaia me ne parlava per farmi paura quando avevo
sei anni! Comunque, Callina non ci resterà a lungo, vero, Merryl? — Sorrise all'amico, e Regis ebbe la sensazione che tra loro ci fosse un'intesa segreta. — Ma io non ho mai visto Ashara, e non credo che l'abbia mai vista nessun altro... la mia prozia Margwenn era la sua vice-Custode molto tempo fa, prima che io nascessi, e diceva che neppure lei la vedeva spesso. Ashara dev'essere vecchia quanto la nonna di Zandru! Regis stava cercando di ricordare ciò che aveva sentito dire della vecchia Custode della Torre dei Comyn. — Credo che l'avremmo saputo, se fosse morta — disse. — Ma senza dubbio è ormai troppo anziana per partecipare agli affari dei Comyn. È un'Hastur o un'Elhalyn? Non credo di averlo mai saputo. Derik scrollò la testa. — A quanto ne so io — disse, — potrebbe essere stata sorella adottiva della leggendaria Cassilda! Credo abbia nelle vene sangue dei chieri... ho sentito dire che sono incredibilmente longevi. — Io non ho mai visto un chieri — disse Regis. — Nessuno li ha mai visti, credo, da quando siamo vivi. Tuttavia Kennard mi raccontò che una volta, durante un viaggio tra le montagne con il fratello adottivo, era stato ospite in una dimora dei chieri; e allora non aveva ancora vent'anni. Se è per questo, sempre che nostro nonno abbia intenzione di vivere quanto un chieri — soggiunse, sorridendo. — Per me va benissimo così: possa il suo regno essere lunghissimo! Non ci tengo affatto ad assumermi il peso del Dominio di Hastur. — Ma io sono pronto per il Dominio di Elhalyn — disse Derik, imbronciandosi. — E il mio primo atto sarà trovarti una nobile moglie, Regis. Ma prima che potessero proseguire la conversazione, vi fu un movimento nel settore degli Ardais, e Dyan Ardais entrò, andò a prendere posto in uno dei palchi privati. Danilo lo accompagnava, e Regis andò a parlare con lui, mentre Derik e Merryl prendevano posto nei recinti dei rispettivi Dominii. — Dom Regis. — Come sempre, davanti agli estranei, Danilo era eccessivamente formale. — Il tuo Erede siederà in Consiglio, oggi? — No. Mikhail ha soltanto undici anni. Ci sarà tempo quando verrà dichiarato uomo — disse Regis. Sei anni prima, in una situazione di pericolo, aveva adottato come Erede il figlio minore di sua sorella Javanne. Mikhail ha undici anni. Fra due sarà abbastanza grande per entrare nei Cadetti, e per tutte le responsabilità di un figlio dei Comyn. I figli maggiori di Javanne, Gabriel e Rafael, sono già nei cadetti... quindici e quattordici anni. Se il loro padre, Gabriel, sarà nominato Tutore del Dominio di Alton,
saranno Alton o Hastur? Il rango segue il genitore più altolocato; quindi sono Hastur. Regis lanciò un'occhiata a Dyan Ardais. Quel giorno non portava il solito abito nero, ma lo scintillante nero-e-argento del suo Dominio, austero ed elegante. Regis gli disse: — Non c'è nessuno del Dominio di Alton... Dyan, meglio di chiunque altro, lo saprebbe se Kennard fosse ritornato... Forse dovrei dirgli di... di quello che è accaduto due notti fa, di Marius e di Rafe Scott... e di Sharra. Ma Dyan disse: — Regis, il Dominio non cadrà incontestato nelle mani degli Hastur, te lo assicuro. — E Regis, guardando gli occhi metallici e impenetrabili del Nobile Ardais, comprese che non poteva chiedergli esattamente che cosa aveva deciso. S'inchinò e andò al suo posto, nel settore recintato, sotto la bandiera bianca e azzurra con l'abete degli Hastur. Stavano arrivando altri, uomini e donne, e si disponevano sotto le bandiere dei diversi Dominii. Un brusio fievole e lontano gli disse che qualcuno stava attivando gli smorzatori telepatici; quando erano stati costruiti Castel Comyn e la Sala di Cristallo, si era ritenuto che tutti, lì, tutti coloro che avevano diritti nei Dominii, avessero il dono del laran; e per tradizione gli smorzatori telepatici erano inseriti a intervalli strategici tutto intorno alla sala, per impedire che qualcuno origliasse telepaticamente, in modo involontario... o volontario. Ognuno, qui, pensò Regis, è mio parente o dovrebbe esserlo. Ognuno dei Comyn discendeva dai leggendari sette figli di Hastur e Cassilda. Erano tutte leggende; la leggenda affermava che Hastur era stato un dio, figlio di Aldones, Signore della Luce. Hastur, si diceva, aveva rinunciato alla divinità per amore d'una donna mortale. Qualunque fosse la verità dietro la leggenda era velata dal tempo e dalla preistoria prima ancora che le Ere del Caos venissero a spezzare i Dominii in cento piccoli regni; e alla fine di quelle ere, sebbene la famiglia degli Hastur avesse rivendicato il potere, quasi tutte le Torri erano ormai abbattute, e il laran dei Comyn non era mai stato recuperato. Eppure, pensò Regis, i terrestri affermano di poter dimostrare che noi, qui su Darkover, Sette Dominii, Comyn e tutto il resto, discendiamo da una nave coloniale precipitata su questo mondo, da coloni terrestri. Qual è la verità? E soprattutto, cosa significa la verità? Da dove vennero le leggende! Se siamo tutti terrestri, da dove venne il laran, da dove vennero i
poteri dei Comyn? Nelle ere del Caos, Regis lo sapeva grazie alla storia che aveva studiato a Nevarsin, c'era stato un periodo di grande tirannia, quando il Consiglio dei Comyn, aveva diretto un programma genetico destinato a fissare i doni di ogni Dominio nei figli e nelle figlie; la tecnologia delle matrici aveva raggiunto il culmine, e aveva influito addirittura sui geni dei discendenti dei Comyn. E noi soffriamo ancora per tutto questo. Guarda Derik. E molti degli Ardais sono squilibrati; il padre di Dyan impazzì molti decenni prima di morire, e alcuni, in Consiglio, pensano che lo stesso Dyan non sia molto più sano di mente. Javanne Lanart-Hastur, con il marito Gabriel, entrò dalla porta del recinto degli Hastur. Abbracciò Regis in un turbine di profumo, di riccioli e di nastri, e andò a prendere posto. Gabriel — alto e robusto nell'uniforme di Comandante della Guardia del Castello - rivolse a Regis un bonario cenno di saluto mentre si sedeva. Il figlio maggiore, Rafael, un ragazzo magro e bruno di quindici anni, che ricordava a Regis com'era stato lui stesso a quell'età, s'inchinò e sedette su una delle panche in fondo. Portava l'uniforme e le armi dei cadetti. Ancora due anni, e si aspetteranno che arruoli Mikhail nei cadetti. E in nome di Aldones, Signore della Luce, e di Zandru, Signore di tutti gli Inferni, quale senso ha che io mandi nei cadetti l'Erede di Hastur, come fui mandato io, come Javanne manda diligentemente gli altri figli? Sì, certo, se un giorno Mikhail dovrà ereditare il potere degli Hastur - e io non ho mai incontrato una donna che vorrei sposare, quindi probabilmente Mikhail erediterà - dovrà imparare a comandare a se stesso e agli altri. Ma ora che l'Impero è su Darkover, ora che l'inevitabilità d'un impero interstellare è alla nostra porta, sicuramente c'è un modo migliore per educare l'Erede di Hastur, che non mandarlo a imparare la scherma e il codice del duello, e il combattimento senz'armi e i sistemi per tenere gli ubriachi lontani dalle strade! Regis sospirò, pensando alle inevitabili proteste che ci sarebbero state se lui, l'Erede di Hastur, avesse deciso di far avere a suo figlio l'educazione terrestre che aveva ricevuto Marius, il figlio di Kennard. E dov'era Marius? Sicuramente avrebbe dovuto presentarsi nel recinto del Dominio di Alton! Era abbastanza adulto, ormai, e se voleva rivendicare il Dominio prima che venisse dichiarato vacante, avrebbe dovuto essere lì! Forse anche lui si è inchinato all'inevitabile, o ha deciso che preferisce lasciare la Tutela del Dominio a Gabriel. Ancora una volta Regis sospirò,
ricordando quando aveva detto a suo nonno che avrebbe preferito lasciare il Dominio ai figli di Javanne. Almeno uno dei miei figli dovrebbe avere un'educazione terrestre. Se non Mikhail, pensò, allora il figlio suo e di Crystal di Asturien. Era presto per pensarci... il bambino era un frugoletto robusto di due anni, e Regis l'aveva visto meno d'una dozzina di volte. Aveva avuto anche due figlie da relazioni dello stesso genere. I terrestri educano le loro figlie. Farò in modo che almeno le bambine vengano istruite, anche se penso che ci saranno difficoltà; le loro madri sono abbastanza tradizionaliste per pensare che è un onore dare un figlio a un Erede di Hastur. Sapeva bene che quelle donne non avevano avuto grande interesse per lui, a parte questo e il suo bell'aspetto... le donne gli correvano dietro per quella ragione, e stava diventando piuttosto seccante. A questo punto i suoi pensieri furono interrotti dal grido delle guardie alla porta. — Danvan Hastur di Hastur, Tutore di Hastur, Reggente di Elhalyn e dei Comyn! Regis si alzò con gli altri mentre suo nonno, Hastur di Hastur, un uomo anziano con i capelli chiari che conservavano àncora qualche sfumatura d'oro tra il grigio, abbigliato dell'azzurro-e-argento degli Hastur, entrava nella Sala di Cristallo e si avviava lentamente verso il suo seggio. Prese posto nella prima fila e si guardò intorno. — Parenti, nobili, Comynari — disse con voce risonante, — vi porgo il benvenuto in Consiglio. Altezza... — S'inchinò a Derik. — Vuoi fare l'appello dei Domimi? Dunque il Nobile Hastur aveva deciso di accordare a Derik qualche privilegio, per quanto nominale! Derik si alzò e si fece avanti. Come gli Hastur, portava l'azzurro e l'argento, con la corona d'oro degli Elhalyn sovrapposta all'emblema dell'abete. — Io parlo per Hastur di Elhalyn — disse. — Hastur di Hastur? Danvan Hastur si alzò e s'inchinò. — Sono qui al tuo servizio, mio signore Derik. — Ardais? Dyan Ardais si alzò e s'inchinò. — Dyan-Gabriel, Tutore di Ardais. — Aillard? Vi fu un lieve movimento dietro le tende d'uno dei palchi nel recinto degli Aillard, e Callina Aillard, esile e pallida, nelle vesti grige e cremisi della casata, disse a voce bassa: — Para servirte, vai dom. — Regis vide
Merryl, imbronciato, su un seggio più basso di quello della sorella, e poi un gruppo di famiglie imparentate, Lindir, Di Asturien, Eldrin. Regis non li conosceva tutti, neppure di vista. — Ridenow di Serrais. Non era regolare, pensò Regis: il Dominio di Alton aveva un rango superiore ai Ridenow. Ma forse era per dare agli Alton più tempo per rispondere. — Io parlo per i Ridenow e sono qui al tuo comando, vai dom — disse Edric Ridenow. Era un uomo di mezza età, enormemente grasso, e stava in compagnia dei figli adolescenti e dei fratelli; Regis riconobbe Lerrys e Auster, che erano stati ufficiali delle Guardie. C'erano altri che non conosceva. E alcune donne, dietro le tende, nei palchi privati. I Ridenow vivevano ai confini delle Città Aride e avevano il sangue di quelle città; e sebbene non seguissero il costume delle Terre Aride e non incatenassero le loro donne, le tenevano più isolate di quanto si usasse nella maggior parte dei Dominii di montagna. — Alton? — chiamò Derik, con aria stranamente soddisfatta. Silenzio. — Alton di Armida, Alton di Mariposa... Gabriel Lanart-Hastur si alzò nel recinto degli Hastur e disse: — Per la sesta volta, rispondo per il Dominio di Alton, come Reggente in assenza dei legittimi detentori. Derik s'inchinò, poi si rivolse al Nobile Hastur. — Glielo chiedo adesso? Regis vide suo nonno trasalire leggermente. Ma annuì, e Derik disse: — Questa risposta è stata accettabile per cinque anni. Il sesto anno, è tempo di dichiarare vacante il Dominio degli Alton di Armida, e di accettare le rivendicazioni dell'Erede più prossimo. Gabriel Lanart-Hastur di Edelwaiss, fatti avanti. Regis strinse le labbra. Gabriel, o il vecchio Hastur in persona, aveva suggerito a Derik tutto questo; il giovane principe non era abbastanza intelligente per arrivarci da sé. Gabriel si alzò e si portò al centro della sala, sotto le luci iridescenti. Era, pensò Regis, un pretendente accettabile. Era un uomo onorevole; era nipote d'una delle sorelle del padre di Kennard, e quindi aveva nelle vene il sangue dei Ridenow e degli Alton; comandava da sei anni la Guardia, in assenza di Kennard; era sposato e aveva avuto diversi figli maschi. Dyan ha promesso che non sarebbe rimasto incontestato. Che cosa sta aspettando? Regis guardò il recinto degli Ardais, ma Dyan sedeva immobi-
le, senza sorridere, cupo in volto. Danvan Hastur si avviò lentamente verso il centro della sala e si fermò davanti a Gabriel. Regis vide che Javanne era eccitatissima. — Gabriel Lanart-Hastur, Alton di Mariposa — disse Hastur senza alzare la voce, — per sei anni hai governato il Dominio di Alton in assenza di Kennard-Gwynn Lanart-Alton di Armida e del suo legittimo Erede LewisKennard. Continuando l'assenza di questi due, ti invito ad abbandonare lo stato di Reggente-Erede del Dominio e di assumere quello di Tutore di Alton e di Nobile Alton di Armida, sull'intero Dominio di Alton e su coloro che gli devono lealtà e obbedienza. Sei pronto ad assumere la tutela della tua gente? — Sono pronto — disse tranquillamente Gabriel. — Dichiari solennemente che, a quanto tu sai, sei idoneo ad assumerti la responsabilità? C'è qualcuno che contesterà il tuo diritto a questa solenne tutela sul popolo del tuo Dominio? Gabriel diede la risposta rituale: — Accetterò la sfida. Ruyven di Asturien, vicecomandante delle Guardie e comandante della Guardia d'Onore, si portò a fianco di Gabriel e sguainò la spada. Poi gridò a gran voce: — C'è qualcuno che contesta la giusta e legittima tutela di Gabriel-Alar, Nobile Alton? Vi fu un momento di silenzio. Regis guardò Dyan, ma quello era impassibile come prima. Il giovane Gabriel, sulla panca in fondo al recinto degli Hastur, osservava emozionato il padre. Regis si chiese se Gabriel lo avrebbe proclamato suo erede. Oppure avrebbe fatto la cosa più giusta, si sarebbe dichiarato pronto ad adottare come Erede Marius, assicurandogli il riconoscimento del Consiglio? Giuro per il Signore della Luce, pensò Regis, che se non lo farà lui, lo farò io... Poi, da due angoli della sala, giunsero due risposte. — Lo contesto. — Anch'io. Lentamente, Marius avanzò dal palco del recinto vuoto degli Alton e disse: — Nessuno potrebbe contestare i meriti di mio cugino Gabriel, miei signori; ma contesto il suo diritto. Io sono Marius-Gwynn Lanart Alton y Aldaran, figlio di Kennard Alton e suo legittimo Erede in assenza del mio fratello maggiore Lewis-Kennard, e rivendico il Dominio di Alton e il castello di Armida. E dal fondo del recinto degli Ardais avanzò un uomo che Regis non riconobbe, alto, con le spalle ampie e i capelli di un rosso fiammante spruz-
zati di grigio. Scese lentamente i gradini e disse: — Contesto il merito e il diritto di Gabriel-Alar Lanart-Hastur. È Reggente, non Erede. Io posso legittimamente rivendicare il Dominio di Alton, sebbene anni fa vi abbia rinunciato in favore di Kennard Alton; ora lo rivendico come Reggente per Kennard, dato che Dom Gabriel ha violato la sua Reggenza richiedendo il Dominio per sé. Danvan Hastur disse solennemente: — Non ti conosco; esponi le ragioni della tua rivendicazione. — Tuttavia Regis comprese, dall'espressione di suo nonno, che conosceva quell'uomo, o almeno sapeva chi era. Una rapida occhiata a Dyan e, nonostante gli smorzatori telepatici, captò il pensiero: «Vedi, Regis, ti avevo promesso che il Dominio non sarebbe rimasto incontestato, e adesso li ho confusi con due pretendenti, anziché uno solo.» Lo sconosciuto dai capelli rossi disse: — Mia madre era Cleindori Aillard; mio padre era Lewis Lanart-Alton, figlio maggiore di Valdir, Nobile Alton. E il mio nome, sebbene non l'abbia mai usato in tutti gli anni trascorsi ad Arilinn, è Damon Lanart-Aillard; e per vent'anni sono stato Secondo nella Torre di Arilinn come Tecnico e tenerézu. — Usò la parola arcaica che poteva significare Custode o Guardiano. — Posso rivendicare diritto al Consiglio, tramite mia madre e mio padre; ed ero sposato a Elorie Ardais, figlia del Nobile Kyril, e sorellastra del Nobile Dyan. — Noi non riconosciamo quest'uomo come un Aillard! — gridò Merryl, balzando dai gradini. — È un impostore terrestre! — Silenzio, signore! — disse bruscamente il Nobile Hastur. — Non sei tu che parli per il tuo Dominio! Dama Callina? Callina disse tranquillamente: — Conosco Jeff... Dom Damon, da molti anni. La sua eredità è Alton e Aillard; se avesse avuto una figlia, ora sarebbe lei al mio posto. È vero che fu allevato sulla Terra; tuttavia è entrato nel Velo ad Arilinn, e io posso testimoniare che ha il dono degli Alton in piena misura. — Dobbiamo permettere che una donna testimoni queste cose? — chiese Merryl. E Derik disse: — Dom Merryl ha il diritto di parlare in nome di Aillard... — Non in presenza di Dama Callina, ma soltanto in sua assenza — disse bruscamente Hastur. — Dunque ora abbiamo due pretendenti ad Alton, e il tempo in cui queste rivendicazioni venivano regolate con la spada è finito per sempre. — Regis ricordava l'ultima volta in cui una sfida del genere era stata lanciata in quella sala; era stato sfidato Dyan e, poiché era un superbo schermitore, avrebbe potuto risolvere subito tutto in quel modo; ma
aveva saggiamente rifiutato di farlo. A quanto pareva, Dyan aveva stabilito un precedente. — Per la pretesa di Gabriel abbiamo la sua Reggenza degli affari del Dominio negli ultimi sei anni, e il comando della Guardia del Castello, e certamente nessuno può sostenere che abbia comandato indegnamente. Marius Lanart-Montray... — disse, rivolgendosi a Marius e parlandogli direttamente, e Regis rifletté era la prima volta che il Nobile Hastur ammetteva che Marius esistesse. Non gli aveva dato il titolo rivendicato come erede di Kennard. Lanart-Alton, ma aveva riconosciuto la sua esistenza, e questo era più di quanto avesse mai fatto in precedenza. — Marius Lanart-Montray, dato che ti sei appellato alla giustizia al cospetto dei Comyn, siamo obbligati dalla legge ad ascoltare le motivazioni della tua pretesa. Marius portava il verde e il nero del suo Dominio, e il mantello da cerimonia con lo stemma degli Alton. Regis notò che aveva la spada di Kennard. Senza dubbio, Andres l'aveva conservata per lui fino a quel giorno. Disse, con voce leggermente malferma: — Dichiaro d'essere il vero e legittimo figlio di Kennard, Nobile Alton, e di Elaine Aldaran-Montray. Hastur disse: — Noi non riconosciamo al Dominio di Aldaran alcuna rivendicazione tra i Comyn. — Ma questo dovrà cambiare — disse il principe Derik, facendosi avanti, — perché oggi ho fidanzato la sorella del mio caro amico e cugino, Merryl Lindir-Aillard, al Nobile Beltran di Aldaran; e tramite il suo matrimonio con Dama Callina, sarà mia cognata dopo le mie nozze con Linnel Lindir-Aillard, il Dominio di Aldaran riavrà il suo posto tra i Comyn. Callina proruppe in una esclamazione brusca; Regis si rese conto che non era stata informata di nulla! Merryl sogghignava come un gatto che ha appena divorato un uccellino e finge di forbirsi i baffi dalla panna. Dyan si tese in avanti, con uno sguardo sgomento. Danvan Hastur disse, in tono di rimprovero: — Mio principe, avresti dovuto informarmene privatamente! — Perché? — chiese Derik, senza cercare di nascondere un'espressione insolente. — Hai ritardato la mia incoronazione molto oltre l'età in cui ogni altro Re di Thendara è salito al trono, Nobile Hastur, ma non puoi rifiutarmi il diritto di concludere un buon matrimonio per il mio leale parente. Hastur borbottò qualcosa sottovoce. Sembrava un'imprecazione... o era una preghiera? Non poteva opporre apertamente un rifiuto all'Erede al trono e, pensò Regis, gli stava bene, perché non aveva mai affrontato il fatto
che Derik non era idoneo a regnare... e che avrebbe dovuto cercare di accantonarlo legalmente. Hastur disse, seccamente: — Ne parleremo più tardi, mio principe. Posso ricordarti che adesso si sta discutendo del Dominio di Alton? — Ma Marius è in parte Aldaran, e le pretese di Aldaran ora sono legittime — disse Derik, insistendo. Hastur, notò Regis, sembrava sul punto di dire a Derik che se non si fosse seduto e non avesse taciuto, lo avrebbe fatto allontanare; e questo, pensò Regis, avrebbe fatto saltare la finzione della competenza di Derik. Ma Linnel Aillard, sporgendosi dalla balaustrata, disse qualcosa a Derik, sottovoce, e il principe ammutolì. Marius, evidentemente, stava cercando di riordinare i propri pensieri. Disse: — Contesto la Tutela di Gabriel; non ha il dono degli Alton e non ha dato disposizioni per fare accertare se io l'ho o non l'ho. Gabriel chiese, guardando direttamente Marius: — Tu affermi di avere il dono degli Alton? — Non lo so — disse Marius. — Non è stato accertato. Tu affermi di averlo? Gabriel disse: — Di questi tempi... — Ma fu interrotto dall'esclamazione sorpresa della guardia alla porta. — Dei del cielo! Sei tu, signore? E nella Sala di Cristallo entrò un uomo alto e magro. Portava vesti terrestri; una manica, vuota, era ripiegata al polso. I capelli scuri, folti e ricciuti, erano striati di grigio, e il viso era sfregiato ed emaciato. — Io sono Lewis-Kennard, Nobile Alton, Tutore di Armida — disse con una voce aspra e forzata. — E vi chiedo perdono, miei signori, per essere giunto tardi a questa assemblea; come potete vedere, sono appena atterrato, e sono venuto subito senza neppure indossare le vesti cerimoniali del mio Dominio. Un tumulto generale esplose in tutte le direzioni nella Sala di Cristallo. In mezzo al chiasso, la voce del vecchio Hastur gridava invano per ristabilire l'ordine. Finalmente parlò a Gabriel, che muggì con l'energia di un sergente istruttore: — Il Consiglio è sospeso per mezz'ora! Poi ci riuniremo per cercare di capirci qualcosa! IL RACCONTO DI LEW ALTON II
Io non so trattare le folle; neppure telepate sa farlo, e io sono anche peggio degli altri. Pochi secondi dopo che Hastur ordinò la sospensione dell'assemblea, erano tutti intorno a me, e nonostante gli smorzatori telepatici, il miscuglio di curiosità, orrore, shock - malignità, da parte di alcuni - divenne insopportabile. Mi feci largo a gomitate e uscii nel corridoio, e dopo pochi istanti Marius mi raggiunse. — Lew — disse, e ci abbracciammo. Mi scostai di un passo per guardarlo. — Non ti avrei riconosciuto. Eri un piccolo ranocchietto magro... — dissi. Adesso era alto, quasi come me, robusto, con le spalle larghe... un uomo. Vedevo lo shock nei suoi occhi mentre guardava le cicatrici sulla mia faccia, il braccio che finiva nella manica piegata. Non so cosa gli avesse detto mio padre, se pure gli avesse detto qualcosa, ed era soltanto un bambino quando era accaduto... ma Dio solo sapeva quanti pettegolezzi aveva sentito nell'ambiente dei Comyn. Bene, ero abituato a quello shock sulla faccia degli altri quando mi vedevano per la prima volta; mi bastava ricordare la prima volta che mi ero guardato nello specchio, dopo tutto quel che era successo. Si abituavano, e se non si abituavano non restavano nella mia vita abbastanza a lungo perché avesse importanza. Perciò dissi soltanto: — È un piacere rivederti, fratello. Dov'è Andres? — A casa — disse Marius. — Ad aspettare. Non ho voluto che venisse con me questa mattina. Qualunque cosa accadesse, non volevo che fosse immischiato. Non è più tanto giovane. — Capii anche quello che Marius non aveva detto. Non voleva che si pensasse che il pretendente al Dominio degli Alton aveva bisogno di una guardia del corpo terrestre. Io non consideravo più Andres un terrestre; per me era stato come un secondo padre, e aveva fatto da padre a Marius in tutti gli anni cruciali dall'infanzia all'età adulta. Anche questo era stata colpa mia. Scacciai rabbiosamente questo pensiero. Nessuna legge imponeva che nostro padre dedicasse tutta la sua attenzione al figlio maggiore. Non era stata opera mia, ma Marius era stato trascurato per me e mi chiesi, mentre ci stavamo abbracciando, quanto se ne risentiva. Poteva pensare addirittura che ora fossi comparso giusto in tempo per strappargli dalle mani il Dominio. Ma tra i Comyn c'erano molti che in Andres avrebbero visto soltanto la sua origine e il suo nome di terrestre. Andres era una delle cinque o sei persone su Darkover che desideravo veramente rivedere. Uno degli altri attendeva in silenzio dietro Marius, fino a quando io e
mio fratello ci staccammo. Dissi: — Ebbene, Gabriel? — Ebbene, Lew? — rispose lui, quasi con la stessa inflessione. — Hai scelto il momento più sensazionale per ricomparire! — Sono sicuro che avresti preferito che aspettasse un giorno o due, fino a quando avessi avuto in pugno il Dominio — ribatté bruscamente Marius. — Non dire sciocchezze, ragazzo — disse Gabriel, senza accalorarsi, e io ricordai che il figlio maggiore di Gabriel doveva avere all'incirca l'età di Marius; un po' più giovane, forse, ma non di molto. — Che cosa dovevo pensare, dato che Kennard non si faceva più vivo? A proposito, Lew, dov'è? Non sta abbastanza bene per viaggiare? Non avrei voluto che Marius venisse a saperlo in quel modo, ma Gabriel lo captò nella mia mente prima che parlassi, e anche Marius. Gabriel disse qualcosa, sconvolto, e Marius cominciò a piangere. Gabriel lo cinse con un braccio, mentre mio fratello lottava per riprendere l'autocontrollo. Era ancora abbastanza giovane per vergognarsi di piangere in pubblico. Ma dietro di lui, l'altro mio parente non cercava di nascondere le lacrime che gli rigavano il viso. Non l'avevo visto da quando avevo lasciato Arilinn e là, sebbene tutti sapessero che era il figlio del fratello maggiore di mio padre e avrebbe potuto essere il pretendente legittimo ad Armida, prima di mio padre e di me, lui s'era fatto un punto d'onore di portare il nome del padre adottivo terrestre; era il Nobile Damon solo nelle occasioni cerimoniali. Per il resto del tempo, lo conoscevano semplicemente come Jeff Kerwin. Mentre mi guardava con le lacrime che gli scorrevano sul viso, ricordai gli stretti legami nel cerchio di Arilinn. Era stato l'unica volta, forse, che ero stato veramente felice e veramente sereno in tutta la mia vita. Ora mi chiese: — Lo hai... lo hai almeno portato a casa perché riposasse su Darkover, cugino? Scrollai la testa. — Conosci la legge terrestre — gli rammentai. — Sono venuto non appena... non appena l'ho sepolto. Jeff sospirò e disse: — Era come un padre per me, e come un fratello maggiore. — Si rivolse a Marius, lo abbracciò e disse: — Non ti ho visto da quando eri bambino... molto, molto piccolo. — Dunque qui abbiamo tutti i quattro pretendenti al Dominio di Alton — disse dietro di noi una voce aspra e musicale. — Ma anziché disputarsi virilmente il Dominio come ci si aspetterebbe da quattro montanari, si stanno scambiando espressioni d'affetto! Che spettacolo commovente, questa riunione! Marius si girò di scatto. — Stai a sentire... — Strinse i pugni, ma io gli
toccai il braccio. — Lascia stare, fratello. Lui non sa. Nobile Dyan, tu eri amico di mio padre, vorrai sapere questo. È sepolto su Vainwal. E fino all'ultimo giorno della sua vita, pochi minuti prima della morte, che è stata improvvisa e inaspettata, ha parlato con affetto di te e ha. detto che eri un buon amico per mio fratello. Ma mentre parlavo di quell'ultimo giorno, ricordando... mi sembrò di risentire quelle parole. ...Il mio ultimo comando! Torna, Lew, torna e lotta per i diritti di tuo fratello... Con quell'ultimo comando che mi echeggiava ancora nella mente, sommergendo tutto il resto, ero disposto persino ad essere garbato con il Nobile Dyan. Dyan guardava fisso davanti a sé, a denti stretti, ma vedevo muoversi i muscoli della sua gola. In quel momento provai simpatia per Dyan Ardais come non era mai avvenuto prima, e come non avvenne mai più. La sua lotta per non piangere, come se fosse un ragazzo ancora abbastanza giovane per vergognarsi delle lacrime, mi commosse come non avrebbe potuto nessun'altra manifestazione. Jeff si azzardò a posargli la mano sulla spalla, in un gesto di compassione. Ricordavo che Jeff aveva sposato la sorellastra di Dyan - non l'avevo mai vista, era morta prima che andassi ad Arilinn - e mentre li guardavo, capii in che modo Jeff si era lasciato indurre a lasciare Arilinn ed a venire lì, quando aveva per la Reggenza di Alton - o la politica dei Comyn - lo stesso interesse che nutriva per la vita sessuale degli uccelli banshee. Anche meno, per la verità; per i banshee avrebbe potuto provare una certa curiosità intellettuale. Il silenzio si protrasse. ... torna e lotta per i tuoi diritti, per i diritti di tuo fratello... l'ultimo comando... Una ripetizione interminabile che aggrediva la mia mente... Per un momento mi parve impossibile che loro non sentissero. Finalmente Gabriel disse: — È sempre stato presente in tutta la mia vita. Non posso credere che non ci sia più. — Neppure io — disse Jeff. Mi guardò, e vidi la mia faccia rispecchiata nella sua e ne fui sconvolto. — Per gli inferni di Zandru, Lew! Sei venuto direttamente dallo spazioporto? — Io annuii e lui mi chiese: — Quando hai mangiato l'ultima volta? Ci pensai e finalmente risposi: — Non ricordo. Mi hanno imbottito di
droghe a bordo della nave... sono ancora confuso. ...Il mio ultimo comando... ritorna... Per sommergere quel clamore incessante nella mia mente, mi portai la mano alla testa, ma Jeff mi prese per il braccio e disse: — Non puoi pensare lucidamente in queste condizioni, ed è la prima cosa che devi saper fare. E poi, non dovresti presentarti al Consiglio in abiti terrestri. Per qualche minuto ha fatto sensazione, forse, ma indurrebbe la gente a farsi idee sbagliate. Dyan? Il Nobile Ardais annuì, e Jeff disse: — Sono ospite qui, nell'alloggio degli Ardais... non so se qualcuno abita in quello degli Alton... — I portinai — disse Gabriel, con una smorfia ironica. — Potrò essere presuntuoso, ma non fino a questo punto! — Vieni — disse Jeff. — Ti troveremo qualcosa da mangiare e abiti decenti... Dyan disse: — I tuoi gli andrebbero troppo larghi, Jeff. — Mi squadrò. — Sei dimagrito. Di' che gli trovino uno dei miei abiti. Jeff mi condusse in fretta lungo il corridoio; io ero lieto di allontanarmi, perché altri Comyn erano usciti dalla Sala di Cristallo. Vidi qualcuno che portava i colori dei Ridenow, e il bagliore dell'oro e del verde mi fece pensare a Dia. Era lì? Mi avrebbe affrontato da un momento all'altro, gridandomi Mostro? Avrebbe pensato che ero venuto per costringerla a ritornare, come se la cerimonia terrestre l'avesse fatta mia prigioniera? Il suo tocco, la sua comprensione... avrebbero potuto acquietare il grido nella mia mente... eppure l'amore tra noi non era stato abbastanza forte per reggere alla tragedia. Come potevo chiederlo... quella cosa orribile... nessun uomo aveva il diritto di fare una cosa simile a una donna... — Calmati — disse Jeff. — Torno subito. Siediti. — Mi spinse verso un divano. Era come un sogno, déjà vu, perché non ricordavo di essere mai stato negli appartamenti degli Ardais. Eppure mio padre li aveva conosciuti bene, pensavo. Dyan era stato il suo amico più intimo, in gioventù... per gli inferni di Zandru, non avrei mai saputo con certezza quali pensieri, sentimenti, emozioni erano miei e quali di mio padre? Il rapporto forzato che aveva destato il mio dono degli Alton quando avevo undici anni era stato abbastanza terribile, ma quest'ultima stretta di morte sulla mia mente... rabbrividii e, quando Dyan mi mise un bicchiere nella mano, mi appoggiai per un momento alla sua spalla, lasciando che mi sostenesse. I ricordi di Dyan più giovane mi inondarono di un affetto quasi sensuale che mi sconvolse fino alle ossa, e abbassai la barriera, mi raddrizzai e mi liberai dal
suo appoggio. Vuotai il bicchiere senza sentire il sapore. Era il forte cordiale firi delle colline di Kilghard. — Grazie. Ne avevo bisogno. Ma un po' di minestra sarebbe meglio, credo, o qualcosa di solido... — Se ricordo bene — disse Dyan, — anche tuo padre era allergico alle droghe terrestri. — Usò la parola terrestre «allergico»: in casta non esisteva. — lo non cercherei di mangiare niente di solido per qualche ora, se fossi in te. Ti porteranno qualcosa tra poco, ma non avrai molto tempo. Potremmo chiedere un rinvio di un giorno o due, se vuoi. — Si guardò intorno, vide Marius e chiese: — Dov'è Gabriel? Marius disse: — È qui come guardia d'onore. Ha dovuto tornare indietro, ha detto. — Maledizione — disse Jeff con una smorfia. — Dovremmo tenere una specie di consiglio di famiglia. Dyan contrasse le labbra. — Tenetene fuori Gabriel — disse. — È un lacché di Hastur. Ho sempre sospettato che fosse per questo che il vecchio Hastur gli abbia fatto sposare la nipote. Non penso che tu abbia avuto tanto buon senso da sposarti e da avere un figlio, non è vero, Lew? Con uno sforzo che mi fece tremare, abbassai una barriera. Era abbastanza sapere che non mi sarei mai liberato del ricordo della cosa inumana che avrebbe dovuto essere mio figlio. Se mai avessi dovuto condividerlo, non sarebbe stato con Dyan. Poteva essere stato l'amico e il confidente di mio padre, ma non era il mio. Mi liberai dal suo braccio che mi sosteneva mentre mi alzavo. — Pensiamo ai vestiti. No, non vorrei portare i colori degli Ardais... Marius, però, aveva mandato un servitore alla casa di città, con l'ordine di portarmi un mantello e ì colori del Dominio. Mi guardai nello specchio e mi vidi trasformato. E potevo nascondere la mutilazione in una piega del manto, se volevo. Marius mi diede la spada di mio padre e me la fissai al fianco, cercando di non pensare alla matrice Sharra. Non era troppo lontana; potevo tollerare quella distanza, non di più... Avevo tentato di lasciarla su Vainwal. Avevo pensato, questa volta, di potermi liberare... e poi il bruciore, il clamore che mi stordiva... Avevo rischiato di perdere la nave perché mi ero accorto che non potevo abbandonarla, abbandonarla sarebbe stata la morte... non che mi sarebbe dispiaciuto, morire... meglio morto, piuttosto che asservito in quel modo... — Almeno adesso sembri un vero Comyn — disse Jeff. — Devi combatterli sul loro terreno...
Mi affrettai con i lacci della tunica, sfoggiando la mia abilità nell'usare l'unica mano, perché ero ancora maledettamente sensibile al fatto che Marius mi osservasse. Gli occhi di Dyan fissarono per un momento la manica vuota. — Avevo detto a Kennard che quella mano doveva essere amputata — disse. — Avrebbero dovuto farlo ad Arilinn. Lui continuava a sperare che i terrestri potessero fare qualcosa. La scienza terrestre era una delle poche cose in cui continuava a credere, anche dopo che aveva perso la fede in quasi tutto il resto. Il silenzio si protrasse. Jeff, che aveva visto la mia mano ad Arilinn e aveva tentato di salvarla, avrebbe voluto parlare, ma gli ordinai mentalmente di tacere. Avrei potuto trovare la forza di parlarne, un giorno, con Jeff, ma non con Dyan, e non con qualcuno che era lì, per il momento. Dia l'aveva accettata... Interruppi quella concatenazione di pensieri, timoroso di ciò cui avrebbe potuto condurre. Prima o poi, mi dissi, l'avrei rivista, e avrei dovuto dirle chiaramente... che era libera, non era mia prigioniera o mia schiava, non era legata a me... Bussarono alla porta e uno dei servitori di Hastur, nella livrea azzurra e argento, venne a portare i complimenti del Reggente e la richiesta che i signori di Ardais e di Alton ritornassero al Consiglio. Dyan disse, aggricciando leggermente le labbra: — Almeno adesso non c'è ragione di dichiarare vacante il Dominio. Era vero. All'inizio non c'era stato nessun pretendente legittimo, ora ce n'erano quattro. Chiesi a Marius, mentre ci avviavamo lungo le gallerie verso la Sala di Cristallo. — Tu hai il Dono degli Alton? Marius aveva gli stessi occhi scuri di nostra madre. Ho sempre pensato che gli occhi scuri siano inespressivi, insondabili. — Non ne ho la minima idea — disse lui. — Fra una cosa e l'altra, mi hanno fatto capire che sarebbe... un'insolenza inammissibile... cercare di scoprirlo. Ma sono sicuro che Gabriel non l'ha... — L'ho chiesto — dissi, esasperato, — perché mi obbligheranno a proclamare un Erede. — E sapevo che Marius poteva captare quello che non dicevo a voce alta: che preferivo presumere che lui avesse il dono, senza le tattiche sconvolgenti che mio padre aveva adottato con me. — Probabilmente non ha importanza — disse Dyan. Tutti sapevano che non avevo il Dono degli Ardais. Questo non li ha trattenuti dal dichiararmi Erede e Reggente per mio padre. — Il dono degli Ardais - la telepatia catalizzatrice, la capacità di destare il laran nascente - era stato ritenuto estimo
fino a quando era stato riscoperto in Danilo. Questo mi fece pensare a Regis; e mi chiesi perché non era venuto a salutarmi. Bene, se c'era una congiura per portare il Dominio Alton sotto la tutela degli Hastur, non ero sorpreso che Regis non volesse vedermi proprio ora. ... lotta per i diritti di tuo fratello... l'ultimo comando... Scrollai la testa per scacciare quel clamore insistente e, tra i miei parenti, ritornai nella Sala di Cristallo. C'era in corso una conferenza frettolosa dietro le tende chiuse del recinto degli Hastur. Per una volta in vita mia fui lieto che ci fossero gli smorzatori telepatici, che riducevano a livelli sopportabili il frastuono nella mia mente. Quando la seduta riprese, Danvan Hastur si alzò e disse: — Se prima non avevamo un pretendente legittimo al Dominio di Alton, ora ne abbiamo quattro, e la situazione deve essere esaminata ulteriormente. Chiedo di rimandare l'investitura ufficiale del Nobile Alton per altri sette giorni, fino al termine del periodo di lutto del Consiglio per la morte di Kennard Alton. Non potevo protestare: avevamo dato a mio padre ciò che gli spettava. Marius s'era seduto accanto a me nel recinto degli Alton. Notai che la moglie di Gabriel, Javanne Hastur, era seduta tra gli Hastur, con un ragazzo bruno e snello che somigliava a Gabriel e doveva essere il figlio maggiore. Gabriel, che era con la guardia d'onore, si vedeva risparmiata la confusione di stabilire se doveva sedersi tra gli Hastur e gli Alton, e supponevo che avesse pianificato così. Avevo sempre trovato simpatico Gabriel; preferivo pensare che avesse inteso dire veramente ciò che aveva detto. Dato che non si sapeva dove fossimo io e mio padre, aveva rivendicato il Dominio per ordine di Hastur. Non credevo che avrei dovuto preoccuparmi per Gabriel. I miei occhi cercarono il vecchio Hastur, piccolo, tozzo e inflessibile, grigio ed eretto come la pietra del Castello e altrettanto immutabile. Era lui il vero nemico che dovevo affrontare? E perché? Sapevo che non aveva mai avuto simpatia per me, ma prima di quel giorno gli avevo fatto la cortesia di credere che non fosse una questione personale. Ero semplicemente un inquietante memento dell'ostinazione con cui mio padre aveva sposato la donna sbagliata, e si era comportato come se il mio sangue terrestre e aldarano fosse un errore per il quale non dovevo essere biasimato. Ma adesso tutto era confuso: Hastur si comportava come un mìo nemico, e Dyan, che mi aveva sempre detestato, come un parente e un amico. Non riuscivo a capire. Sul fondo del recinto de-
gli Hastur vidi Regis. Non sembrava molto cambiato; era più alto e aveva le spalle più ampie, e la fresca faccia da ragazzo che adesso era ombreggiata dalla barba rossiccia, ma aveva ancora il bell'aspetto degli Hastur. Il cambiamento doveva essere stato interiore; mi sarei aspettato che venisse a salutarmi, e il ragazzo che avevo conosciuto l'avrebbe fatto, ancora più in fretta di Marius. Dopotutto, ero stato più vicino a Regis che a mio fratello, dal quale mi avevano separato sei anni. Hastur stava chiedendo di nuovo silenzio; e vidi il principe Derik, nel recinto degli Elhalyn, con alcune persone che non conoscevo. Immaginai che fossero le sue sorelle maggiori con i loro familiari, o altri parenti degli Elhalyn: forse Lindir, Di Asturien, Delleray. Contai, mentalmente: perché Derik non era stato incoronato? Ricordavo che a sedici anni era stato troppo immaturo, ma adesso doveva aver passato i venti. C'erano tante cose che non sapevo; ero stato gettato nel Consiglio senza avere il tempo di scoprire che cosa era successo! Perché, in nome di tutti gli Dei dei Comyn, probabilmente inesistenti, avevo accettato di venire? ... l'ultimo comando... lotta per i diritti di tuo fratello... Nonostante gli smorzatori, il comando mentale continuava a riverberare nella mia mente fino a che incominciai a chiedermi seriamente, come avevo fatto molte volte sulla nave che mi portava da Vainwal, se avevo subito qualche lesione al cervello! La collera scatenata di un Alton può uccidere... questo l'avevo sempre saputo; e il dono mentale di mio padre era insolitamente potente. Ora che lui era morto e che io avrei dovuto essere libero da quella voce dominante nella mia mente, mi sembrava d'essere più legato che mai, più ossessionato. Me ne sarei mai liberato? Marius vide il gesto nervoso con cui mi ero portato la mano alla testa, e si tese verso di me per sussurrare: — Cosa c'è, Lew? — Ma io scrollai il capo, irrequieto, e mormorai: — Niente. — Avevo quella strana sensazione di essere osservato da chissà dove. Bene, l'avevo sempre avuta, in Consiglio. Cercai di scuotermi e di concentrarmi su quello che succedeva. Hastur disse gravemente: — Principe Derik, prima che il Consiglio venisse interrotto... — Sentii ciò che aveva cominciato a dire... sovvertito... — dall'arrivo di un inaspettato Erede di Alton... — Almeno ammetteva che lo ero, — tu avevi parlato di un matrimonio da te combinato. Ti dispiacerebbe spiegarcelo, vai Dom? — Credo che dovrei lasciarlo fare a Merryl — disse il Principe Derik, — dato che riguarda gli Aiilard. Merryl scese lentamente dal recinto, ma fu arrestato da una chiara voce
femminile. — Protesto — disse la voce, che riconobbi. — Dom Merryl non ha il diritto di parlare per gli Aillard. — Alzai gli occhi e vidi la mia cugina Callina che si portava lentamente al centro del recinto. Si fermò alla balaustrata e attese. Quella voce chiara mi turbava; l'avevo sentita l'ultima volta quando Marjorie... era morta. Era morta tra le braccia di Callina. E io... ancora una volta mi sembrava di sentire il tormento della mano ferita che straziava ogni nervo, ogni dito, ogni unghia perduti da tanto tempo... Era una pazzia: mi afferrai all'autocontrollo che svaniva e ascoltai ciò che stava dicendo Callina. — Per cortesia, Nobile Hastur, se qualcosa riguarda il Dominio degli Aillard, dovrebbe essere richiesto il mio consenso, prima che parli Dom Merryl. Callina era esile e snella; portava le vesti cerimoniali e i veli cremisi d'una Custode in Consiglio e io, che avevo passato anni a Vainwal, vedendo donne che sembravano libere e vive, pensai che pareva una prigioniera, con le vesti pesanti e gli ornamenti cerimoniali che opprimevano la sua figura fragile e la facevano sembrare una bambina che indossa gli abiti di un'adulta. I capelli erano lunghi e scuri come vetro nero filato, per quel poco che potevo vederli attraverso il velo. Merryll si girò verso di lei con un'espressione d'odio e disse: — Sono rimasto a gestire gli affari del Dominio mentre tu eri isolata a Neskaya e poi ad Arilinn, mia signora ed ora devo cedere di nuovo tutto a te, a tuo capriccio? Credo che la mia gestione del Dominio parli in favore della mia competenza. E la tua? — Non discuto la tua competenza — disse Callina, e la sua voce era come argento fuso. — Ma per quanto riguarda le tue decisioni per i matrimoni del Dominio, ho il diritto legittimo di informarmi e, se è il caso, di porre il veto. Rispondi alla domanda che ti ha fatto Hastur, fratello mio. — Usò il modo più formale e distante della parola. — Non posso fare commenti se prima non so che cosa viene proposto. Merryl sembrava sconcertato. Non lo conoscevo; non conoscevo quasi tutti gli Aillard più giovani, sebbene la sorella minore di Callina, Linnell, fosse la mia sorella adottiva. Adesso lui si dondolava nervosamente da un piede all'altro, guardando Derik che sorrideva senza dargli aiuto. Finalmente disse: — Ho preso accordi perché Dama Callina consolidi una nuova alleanza con un matrimonio con Dom Beltran di Aldaran. Vidi che Callina era sconvolta, ma non riuscii a tacere. Proruppi: — Do-
vete essere impazziti tutti quanti... un'alleanza con Aldaran? Beltran di Aldaran? Hastur mi lanciò un'occhiata severa, e Derik Elhalyn disse: — Non vedo perché no. — Aveva un tono difensivo, molto sprovveduto. — Gli Aldaran sono già alleati per matrimonio con un grande Dominio, come tu dovresti sapere meglio di chiunque altro, Dom Lewis. E di questi tempi, con i Terrestri alla nostra porta, mi sembra giusto approfittare dell'occasione per assicurare di nuovo la loro lealtà ai Comyn. Lo disse come un bambino che ripete la lezione. Mi chiesi chi gliela aveva fatta imparare. Guardai Merryl e decisi che non era necessario cercare altrove la risposta. Ma... allearsi con Aldaran? Con quel maledetto clan rinnegato...? Callina disse: — Quando mai, prima d'ora, una Custode è stata soggetta ai capricci del Consiglio? Io sono il legittimo capo del Dominio di Aillard. E non sono soggetta a Dom Merryl. Credo che non ci sia bisogno di continuare a discutere... — Mi sembrò di sentirla cercare mentalmente un aggettivo blando, e alla fine trovò un compromesso: — ... questo piano avventato. Mi dispiace, mio principe. Rifiuto. — Tu... rifiuti? — Derik si voltò a fissarla. — Per quale ragione, mia signora? Lei fece un gesto impaziente; il velo ricadde, scoprendo i capelli scuri ornati di gemme. Disse: — Non ho desiderio di sposarmi, ora. E se e quando lo vorrò, sarò senza dubbio capace di trovarmi un marito adatto. E non credo che lo cercherò nel Dominio di Aldaran. Conosco quel Dominio più di quanto vorrei, e vi dico che sarebbe meglio consegnarci ai maledetti terrestri, piuttosto che allearci con quel... — Ancora la ricerca mentale, visibile, di una parola. — Quel Dominio rinnegato ed esiliato. Dyan disse: — Domna, sei male informata. — La sua voce aveva quella cortesia squisita e indifferente che aveva sempre quando parlava alle donne. — Gli Aldaran non sono più legati ai terrestri. Beltran ha spezzato l'alleanza con la Terra; e per questa ragione, se non per altre, non credo che possiamo permetterci di tenerlo a distanza. — Si rivolse al Consiglio e spiegò: — L'alleanza con Aldaran ci darebbe maggiore forza, ed è ciò che ci occorre ora, per essere uniti contro la pressione dell'Impero Terrestre. D'accordo, tra noi vi sono alcuni che ci consegnerebbero ai terrestri... — Girò gli occhi verso il recinto dei Ridenow. — Ma vi sono anche quelli che restano fedeli al nostro mondo e alle vecchie tradizioni. E uno di costoro, ne sono convinto, è Beltran di Aldaran. I nostri avi - per ragioni che
senza dubbio a loro sembrarono valide - scacciarono dai Comyn il Dominio di Aldaran. Ma vi erano sette Dominii; dovrebbero esservi ancora sette Dominii, e questa mossa, ne sono sicuro, colpirebbe l'immaginazione della gente comune. Callina disse: — Io sono una Custode... Dyan alzò le spalle. — Ve ne sono altre. Se Bertran ha chiesto l'alleanza con il Dominio di Aillard... — Allora, a nome degli Aillard, io dico che non vogliamo saperne — disse Callina. Inaspettatamente, si rivolse a me. — Ed ecco qualcuno che può provare la verità di ciò che dico! — Maledetti sciocchi! — Sentii la mia voce e, quando Hastur si girò verso di me, vi fu dapprima un brusio, poi un mormorio, e poi un clamore di voci, e mi resi conto che, ancora una volta, avevo sovvertito il Consiglio e mi ero precipitato a testa bassa in una controversia della quale non sapevo nulla. Ma avevo incominciato, e dovevo continuare. — I terrestri sono già abbastanza pericolosi. Ma il disastro in cui ci hanno spinti gli Aldaran... — Lottai per dominarmi. Non volevo, non volevo pronunciare il nome di quel terrore che si era scatenato divampando tra le colline, che aveva incendiato Caer Donn e aveva bruciato la mia mano e la mia ragione... — Tu dovresti essere favorevole a questa alleanza — disse Derik. — Dopotutto, se riconosciamo gli Aldaran, non ci saranno più discussioni sulla tua legittimità, no? Lo fissai, chiedendomi se Derik era davvero tanto stupido, o se quell'affermazione aveva una profondità che mi sfuggiva; nessun altro sembrava incline a contestarlo. Era come un incubo, dove persone assolutamente normali dicevano le cose più scandalose, che venivano date per scontate. Dyan Ardais disse bruscamente: — Non è questione di legittimità. Il Consiglio ha accettato il figlio maggiore di Kennard, e questo è quanto. Siediti e ascolta, Lew. Sei stato lontano molto tempo, e quando saprai ciò che è accaduto durante la tua assenza, forse cambierai idea. Non potrebbe modificare la tua posizione sociale, ma potrebbe modificare quella di tuo fratello. Lanciai un'occhiata a Marius. Ero sicuro che il riconoscimento di Aldaran avrebbe molto contribuito a confermare la sua legittimità. Ma Dyan pensava onestamente che avrebbe indotto il resto del Consiglio a dimenticare il suo sangue terrestre? Dyan continuò, con quella voce musicale, suadente e gentile: — Io credo che a parlare sia il tuo odio, non il tuo buon
senso. Comyn... — disse, guardandosi intorno, — credo che siamo tutti d'accordo sul fatto che Dom Lewis ha ragione di nutrire pregiudizi. Ma questo è avvenuto molto tempo fa. Ascolta ciò che abbiamo da dire, no? Vi fu un mormorio generale d'approvazione. Avrei potuto affrontare l'ostilità di Dyan, ma questo...! Accidenti a lui! Aveva insinuato - no, l'aveva detto apertamente - che dovevo essere commiserato, che ero un invalido con un vecchio rancore, ed ero tornato e cercavo di riprendere il dissidio! Concentrando abilmente tutti i sentimenti inespressi, la loro pietà, la vecchia ammirazione e l'amicizia per mio padre, aveva dato loro una buona ragione per ignorare ciò che dicevo. Il peggio era che io non ero sicuro che avesse torto. La ribellione ad Aldaran, nella quale avevo avuto una parte così disastrosamente ostinata, era stata come tutte le guerre civili un sintomo di qualcosa di un grave melessere nella cultura, e non un fine in se stesso. Gli Aldaran non erano i soli su Darkover che erano stati affascinati dall'Impero terrestre. I fratelli Ridenow avevano quasi rinunciato a fingere una devozione ai Comyn... e non erano gli unici. I Comyn, almeno ufficialmente, si erano schierati quasi soli contro il richiamo dell'Impero Terrestre, che prometteva un mondo reso più facile e più semplice, grazie alla tecnologia e a un'alleanza estesa fra le stelle. Io ero stato un capro espiatorio per entrambi gli schieramenti, con il mio sangue terrestre da una parte e, dall'altra, il fatto che Kennard, educato sulla Terra, aveva comunque voltato le spalle all'Impero ed era diventato uno dei più incrollabili sostenitori dei Comyn conservatori. Forse tutti i figli si ribellano ai padri normalmente, ma pochi potevano aver visto la loro ribellione personale diventare una simile tragedia, potevano aver causato simili disastri alle loro famiglie. Io ero stato trascinato nella ribellione e il mio laran, addestrato ad Arilinn, era stato posto al servizio della rivolta di Beltran e... ancora adesso non ero capace di dire quel nome, neppure a me stesso. Strinsi con la mano illesa la matrice e la lasciai come se mi scottasse. Sharra. Devastante, furiosa, una città in fiamme... Cosa diavolo ci facevo li, dominato da due ossessioni, perseguitato dalla voce di mio padre...? Lerrys Ridenow si alzò e si rivolse al Nobile Edric per chiedere formalmente il permesso di parlare; Edric gli fece un cenno lievissimo. Disse: — Con vostra licenza, miei signori, vorrei dire che forse tutta questa discussione è inutile. È passato il tempo in cui le alleanze potevano venire cementate da matrimoni con donne non consenzienti. Dama Callina è una
Custode, ed è il capo indipendente di un Dominio. Se Aldaran aspira a un matrimonio con una figlia dei Comyn... — Ti piacerebbe, non è vero? — disse Merryl. — Concludere questa splendida alleanza con una della tua famiglia, e allineare Aldaran con il resto degli adulatori che leccano i piedi dei terrestri... — Basta! — Callina parlò bruscamente, ma vidi il lieve rossore che le colorava le guance. Era troppo vecchia e troppo ben educata per rimproverargli direttamente l'oscenità, ma disse: — Non ti ho dato licenza di parlare! — Per gli inferni di Zandru! — gridò Merryl. — Vuoi far tacere questa donna, Nobile Hastur? Non sa niente di tutto questo... ha passato la vita rinchiusa in una Torre dopo l'altra... ora è qui come marionetta della vecchia Ashara, ma dobbiamo sopportare questa assurda farsa e fingere di credere che una vergine professionista reclusa sappia qualcosa del modo di gestire il suo Dominio? Il nostro mondo è sull'orlo della distruzione. Dobbiamo starcene qui a sentire una ragazza che strilla di non voler sposare questo o quello? Callina era pallidissima; si fece avanti, con la mano stretta sulla matrice che portava appesa al collo. Disse, con voce molto bassa che tuttavia echeggiava nella Sala di Cristallo: — Merryl, non è in discussione la sovranità del Dominio. Forse verrà un tempo in cui vorrai contestarla. Io non posso tenerla con la forza delle armi, forse... ma la conserverò con tutti i mezzi che dovrà usare. — Tenne la mano sulla matrice e mi parve di sentire il rombo di un tuono lontano. Senza mostrare di accorgersene, Callina girò il viso verso Gabriel e disse: — Comandante, tu hai il compito di mantenere l'ordine in questa sala. Fai il tuo dovere. Gabriel posò la mano sul braccio di Merryl e gli parlò a voce bassa e concitata. Nonostante gli smorzatori telepatici, non faticavo a seguire il significato generico di ciò che stava dicendo Gabriel: se Merryl non si fosse seduto e non avesse taciuto, lo avrebbe fatto condurre fuori con la forza. A denti stretti, Merryl guardò Dyan Ardais come per chiedere il suo appoggio, e poi il Principe Derik. Derik disse, impacciato: — Suvvia, suvvia, Merryl, non è il modo di parlare davanti alle signore. Ne discuteremo più tardi, mio caro amico. Ristabiliamo la pace e la quiete, qui dentro. Merryl si lasciò cadere su un seggio, accigliandosi. Callina disse, senza alzare la voce: — In quanto a questo matrimonio, credo che tutti qui sappiano che non sono le nozze che si stanno discuten-
do. È il potere, miei signori, il potere dei Comyn. Perché non diamo alle cose il loro vero nome? Il problema che ci sta di fronte, e credo che mio fratello lo sappia come lo so io, è questo: Vogliamo mettere questo potere nelle mani degli Aldaran? Io penso di no. E là c'è uno che può attestare la verità di ciò che affermo. Vuoi dire loro, Dom Lewis, perché sarebbe... imprudente... mettere tanto potere nelle mani di Aldaran? Sentii il sudore freddo imperlarmi la fronte. Sapevo che dovevo spiegare, con calma, perché un tempo mi ero fidato di Beltran, e come ero stato... tradito. Ora dovevo parlare con calma, senza cedere all'emozione. Eppure, dire tutto in Consiglio, davanti ai parenti che avevano cercato di negarmi il mio posto in quella sala... non potevo. La voce mi mancò; la sentii soffocare nella gola, e compresi che se avessi parlato sarei crollato completamente. La voce di mio padre, le fiamme devastanti di Sharra, le continue ondate aritmiche del tumulto telepatico... la mia testa era un pandemonio. Eppure Callina attendeva che io parlassi. Aprii la bocca, sforzandomi di trovare le parole. Sentii soltanto un suono rauco e privo di significato. Finalmente riuscii a dire: — Tu... lo sai. Tu eri ad Arilinn... E rabbrividii di fronte alla pietà nei suoi occhi. Callina disse: — Ero là quando Lew venne ad Arilinn con sua moglie, dopo che avevano rischiato entrambi la vita per spezzare il legame con Sharra. — Qui Sharra non c'entra — disse Dyan in tono aspro. — Il legame fu spezzato e la matrice venne di nuovo controllata. Ora stiamo parlando di Beltran di Aldaran. E anche lui ha un forte interesse di assicurarsi che non accada mai più una cosa simile. In quanto a Lew... — Girò gli occhi verso di me. — Mi dispiace dirlo, parente, ma coloro che affrontano forze potenti come Sharra non dovrebbero lamentarsi se... ne soffrono. Non posso fare a meno di pensare che Lew abbia attirato su di sé i suoi guai, e abbia avuto la sua lezione... come Beltran ha avuto la sua. Chinai la testa. Forse aveva ragione, ma questo non lo rendeva più facile. Avevo imparato a sopportare ciò che era accaduto, in un certo senso. Ciò non significava che fossi disposto ad ascoltare la predica di Dyan. Nel recinto degli Hastur si alzò Regis. Disse, senza guardarmi: — Non mi pare che Lew fosse tanto da biasimare. Ma in ogni caso, non credo che possiamo fidarci di Beltran. Fu opera di Beltran e di Kadarin. E Lew era parente di Beltran, suo ospite e protetto dalle garanzie dell'ospitalità. Tuttavia lo imprigionò; imprigionò me; sequestrò Danilo e tentò di costringerlo a usare il suo laran per il cerchio di Sharra. E se Beltran fece questo a un parente... — Si girò e fece un gesto, come se si scusasse di far volgere
tutti gli occhi verso di me. — Come è possibile che qualcuno si fidi di lui? Potei leggere l'orrore negli occhi fissi su di me; anche attraverso gli smorzatori telepatici, quell'orrore filtrò nella mia mente, l'orrore e lo shock... le cicatrici sul mio viso, il braccio stroncato bruscamente al polso, l'orrore che era affluito in me da Dia quando lei aveva visto nella mia mente l'orrore che era stato nostro figlio... Avarra misericordiosa, quel tormento non avrebbe mai avuto fine? Abbassai la fronte sulle braccia, nascondendo il viso, nascondendo il braccio mutilato, Marius mi posò la mano sulla spalla, ma la sentii appena. La voce di Danilo, scossa dall'emozione, proseguì il racconto che Regis aveva interrotto. — Fu opera di Beltran; fece legare e percuotere Lew. Lo privò della matrice. Tutti voi Comyn che siete stati in una Torre sapete cosa significa! E perché? Perché Lew lo implorò di essere prudente con Sharra, di affidarla a una delle nostre Torri per scoprire se era possibile trovare un modo sicuro per imbrigliarla! E guardate il volto di Lew! Questo... questo torturatore è l'uomo che invitate cortesemente a far parte dei Comyn, a sposare il capo di un Dominio, la Custode di Ashara? La voce di Dyan risuonò, sferzante. — Non ti ho dato licenza di parlare! Danilo si girò verso di lui. Era pallidissimo. — Mio signore, con tutto il rispetto, sto soltanto testimoniando la verità di ciò che vidi con i miei occhi. E ha attinenza con ciò che viene discusso dai Comyn. Ho il diritto di partecipare al Consiglio: devo dunque sedere in silenzio? Hastur disse, in tono di evidente irritazione: — Sembra che oggi tutti i membri giovani e indisciplinati dei Domimi parlino in Consiglio senza permesso! — Il suo sguardo girò su Merryl, su Danilo, e poi su Regis, e Regis trasse un profondo respiro. — Con tua licenza, mio signore, posso solo ripetere ciò che ha detto il mio amico; sto testimoniando ciò che vidi io stesso. Quando vediamo coloro che sono più anziani e... migliori di noi in procinto di compiere un passo che non potrebbero compiere onorevolmente se conoscessero tutti i fatti, allora, per... — Esitò di nuovo, quasi balbettando. — Allora, per l'onore dei Comyn, dobbiamo portarli alla luce. Oppure dobbiamo credere, mio signore, che i Comyn ritengano del tutto privo d'importanza che Beltran sia stato capace di tradire e di torturare un parente? — Le parole e il tono erano impeccabilmente cortesi, ma gli occhi sfolgoravano. — Tutto questo — disse Dyan, — è avvenuto molto tempo fa. — Comunque — disse Regis, — prima che ammettiamo Beltran di Al-
daran tra i Comyn, per diritto di matrimonio o in qualunque altro modo, non dovremmo assicurarci che sia pervenuto a pensare diversamente circa ciò che accadde? — E poi disse ciò che sapevo che avrei detto io stesso: — In nome di tutti gli Dei, vogliamo che quanto avvenne a Caer Donn si ripeta a Thendara? Vogliamo... Sharra? Lerrys Ridenow scese al centro del podio. Non l'avevo più visto da poco dopo il mio matrimonio con Dia, ma non era cambiato: snello, elegante, era vestito d'abiti darkovani, con il verde e l'oro del Dominio di Ridenow, ma con la stessa eleganza affettata che aveva avuto nell'abbigliamento portato sul pianeta turistico. Disse: — Hai intenzione di evocare ancora lo spettro di Sharra? Tutti sappiamo che il legame fu spezzato e la matrice controllata. La matrice Sharra non rappresenta più un fastidio per nessuno... o meglio — continuò, alzando la testa e inclinandola leggermente verso di me, con un'occhiata calcolatrice, — può essere un grave fastidio per Lew Alton, ma dopotutto è stato lui a cercarselo. Come poteva saperlo? Questo doveva averglielo detto Dia! Come poteva... come poteva avergli confidato qualcosa che era così personale per me? E che altro gli aveva detto, che altro aveva tradito? Mi ero fidato implicitamente di lei... Strinsi a pugno la mano e repressi un incipiente conato di nausea. Non volevo credere che Dia mi avesse tradito in quel modo. Ma accanto a me, Marius si alzò in piedi. Trasalii, quasi mi girai per rammentargli bruscamente che non aveva diritto di parlare... poi ricordai. Era uno dei pretendenti ufficiali al Dominio di Alton; non potevano più rifiutare di riconoscere la sua esistenza. Disse, con un filo di voce: — Questo non è vero, Dom Lerrys. La matrice è... di nuovo attiva. Nobile Regis, racconta ciò che hai visto... in casa di mio padre, meno di tre giorni fa. — È vero — disse Regis, pallidissimo. — La matrice Sharra è di nuovo viva. Ma io non sapevo, allora, che Lew Alton era ritornato a Darkover. Penso che debba averla riportata con sé. Non avevo scelta, ma non potevo dirglielo. Mentre Regis parlava, ascoltavo trafitto dall'orrore. Strinsi il braccio di Marius e dissi : — Rafe. È a Thendara... Ma quasi non sentii la risposta di Marius. Rafe era a Thendara. Questo significava che Kadarin e Thyra erano... in qualche posto. E c'era la matrice Sharra.
E c'ero anch'io... che tutti gli Dei di Darkover avessero pietà. III Mentre raccontava ciò che aveva visto in casa di Kennard la notte che Marius, in preda al panico, era corso a chiamarlo, Regis osservava Lew, pensando che difficilmente avrebbe riconosciuto in lui quello che era stato come un fratello nella sua infanzia. Lew, pensò involontariamente, sembrava uno spaventapasseri! Non tanto per la magrezza, anche se era scarno e sciupato, e neppure per le spaventose cicatrici. No, era qualcosa negli occhi, qualcosa di ossessivo e di terribile. In sei anni, non ha trovato pace? Sicuramente era così solo perché Lew era esausto per il viaggio, e soffriva ancora del trauma per la morte improvvisa del padre. Regis sapeva che, quando avesse avuto il tempo di riflettere, anche lui avrebbe rimpianto l'uomo gentile e cordiale che era stato il suo padre adottivo e l'aveva addestrato nella scherma e gli aveva dato l'unica famiglia e l'unica casa che avesse mai conosciuto. Ma quello non era il momento per il lutto. Completò laconicamente il suo racconto. — ... e quando ho cercato di vedere nella mia matrice, è stato come era avvenuto negli Heller, quando Sharra era libera e Lew... asservito. Non ho visto altro che la Forma di Fuoco. Dal suo posto tra gli Alton, l'uomo fulvo e imponente che era venuto da Arilinn e che era uno dei parenti di Lew - Regis aveva sentito fuggevolmente il suo nome e non lo ricordava - disse: — Tutto questo mi sembra inquietante, Nobile Regis. Perché, guarda, la mia matrice è libera da ogni contaminazione. — Con le grosse dita che sembravano più adatte e stringere l'impugnatura d'una spada e un martello da fabbro, estrasse destramente la seta dal sacchetto che portava al collo; per un momento Regis vide un bagliore azzurro prima che l'uomo lo ricoprisse di nuovo. — Anche la mia — disse Callina sottovoce, ma senza muoversi. Regis pensò che, essendo una Custode, doveva conoscere le condizioni della sua matrice senza toccarla. A volte rimpiangeva di non essere rimasto in una Torre, ad apprendere la capacità di usare tutto il suo laran latente, qualunque fosse. Di solito, Regis provava questo rammarico quando vedeva un tecnico addestrato lavorare con una matrice. Non era stato abbastanza forte da trattenerlo in una Torre contro tutte le altre rivendicazioni del clan e della casta, e supponeva che per un vero meccanico o tecnico quella voca-
zione avrebbe dovuto superare ogni altra esigenza. Callina disse a Lew: — E la tua? Lew alzò le spalle, e a Regis parve l'ultimo movimento disperato di un uomo così sconfitto da non avere più la forza di lottare contro la vergogna e la disperazione. Avrebbe voluto gridare a Callina: Non capisci cosa gli stai facendo? Finalmente Lew disse con voce atona: — Non sono mai... stato libero. Ma gli altri, nella Sala di Cristallo, stavano diventando irrequieti. La qualità della luce era già cambiata, mentre il Sole di Sangue, al di là delle finestre, scendeva verso l'orizzonte e si perdeva tra le nebbie della sera; ormai la luce era fredda e austera. Finalmente qualcuno, un nobile del Dominio di Ardais, esclamò: — Che cos'ha a che vedere tutto questo con il Consiglio? Callina disse, con voce seria: — Pregate tutti gli Dei di non dover mai scoprire cosa può aver a che fare questo con il Consiglio, comynari. Non c'è nulla che si possa fare, qui, ma dobbiamo indagare... — Guardò il parente di Lew che era arrivato da Arilinn e disse: — Jeff, qui ci sono altri tecnici? L'uomo scrollò la testa. — No, a meno che la Madre Ashara possa fornirne qualcuno. — Si girò verso gli Hastur e parlò al nonno di Regis. — Vai Dom, ti prego di sospendere il Consiglio per qualche giorno, fino a che avremo avuto la possibilità di approfondire la cosa e di scoprire perché è accaduta questa... questa esplosione di una forza che credevamo sotto controllo. Hastur aggrottò la fronte e Derik disse con voce stridula: — È troppo tardi per fermare questa alleanza, Nobile Hastur, e comunque non credo che Beltran abbia qualcosa a che vedere con quelli di Sharra... adesso. Credo che abbia avuto la sua lezione! Non la pensi cosi, Marius? Regis vide Lew trasalire e fissare sbigottito Marius, e si chiese se Lew non conosceva i legami tra suo fratello e Rafe Scott... legami che probabilmente lo univano anche agli Aldaran. Bene, erano parenti di Marius, della famiglia di sua madre. Abbiamo commesso un grave errore, pensò stancamente. Avremmo dovuto tenere legato a noi Marius con vincoli di amicizia e di parentela. Lo abbiamo respinto; a chi poteva rivolgersi, se non ai terrestri o agli Aldaran, o agli uni e agli altri? E adesso sembra che dobbiamo avere a che fare con lui quale Erede di Alton. Sembrava evidente che Lew non era in grado di assumersi la conduzione del Dominio di Alton, anche se il Consiglio lo avesse accettato.
Un tempo esisteva un laran capace di predire il futuro, pensò Regis, e apparteneva agli Hastur. Ah, se l'avessi io, quel dono! Gli era sfuggito ciò che aveva detto Marius, ma suo nonno sembrava depresso. Poi disse: — Non può esserci questione di un'alleanza con Aldaran fino a che non sapremo qualcosa di questa... Esitò e Regis vide che increspava le labbra in una smorfia di disgusto. — Di questa... riapparizione di Sharra. — Ma è ciò che sto cercando di dirvi — esclamò Derik, esasperato. — Abbiamo inviato il messaggio a Beltran, e sarà qui la Sera della Festa. — E quando lesse la collera e lo sbigottimento sul viso del vecchio Hastur, soggiunse in tono difensivo e petulante, come un bambino sorpreso a commettere una birichinata: — Bene, io sono il Signore di Elhalyn! Era mio diritto... no? Danvan Hastur prese la coppa di vino caldo alle spezie che il valletto gli aveva messo in mano, e posò i piedi su uno sgabello scolpito. Intorno a lui, i servitori si muovevano con discrezione, accendendo le lampade. Era scesa la notte; la stessa notte dopo la quale non aveva avuto altra scelta che congedare il Consiglio. — Dovrei mandare un messaggero, per vedere come sta Lew — disse Regis, — oppure andare a salutarlo. Kennard era mio amico e padre adottivo; io e Lew eravamo bredin. Hastur disse in tono aspro: — Potresti sicuramente trovarti un amico meno pericoloso. È un'alleanza che non ti farà del bene. Regis rispose irosamente: — Io non scelgo i miei amici per la loro utilità politica, mio signore! Hastur scrollò le spalle. — Sei ancora abbastanza giovane per il lusso delle amicizie. Io rimasi nella convinzione che Kennard fosse un buon amico... forse per troppo tempo. — Quando Regis si scosse, disse: — No, aspetta. Ho bisogno di te. Ho mandato a chiamare Gabriel e Javanne. Il problema è questo: che cosa faremo con Derik? Regis lo fissò senza capire; allora Hastur continuò, spazientito: — Sicuramente non penserai ancora che possiamo incoronarlo! Quel ragazzo non è molto meglio di un deficiente! Regis alzò le spalle. — Non vedo quale scelta abbia, nonno. È peggio che se fosse deficiente; allora tutti riconoscerebbero che non lo si può incoronare. Il guaio è che Derik ha i nove decimi dell'intelligenza; gli manca solo il decimo più importante. — Sorrise, ma sapeva che quella battuta non
era divertente. Danvan Hastur non sorrise. — In una posizione inferiore, e persino come Capo di un Dominio, non sarebbe una cosa decisiva. Lui deve sposare Linnell Lindir-Aillard, e lei non è una stupida. Derik l'ama, è cresciuto con la conoscenza che le donne Aillard sono Capi del Consiglio per proprio diritto, ed è disposto a lasciarsi guidare da lei. Ricordo quando mio padre fece sposare uno degli Ardais meno stabili con una Aillard: Dama Rohana fu il vero capo del clan fino al tempo di Dyan. Ma... portare la corona degli Hastur di Elhalyn... — Scrollò la testa, lentamente. — E nei tempi che si stanno preparando? No, non posso rischiarlo. — Non so se tu abbia il potere di rischiarlo o no, signore — osservò Regis. — Se avessi affrontato anni fa il fatto che Derik non sarebbe mai stato idoneo per la corona, forse quando aveva dodici o quindici anni, e lo avessi fatto porre sotto Tutela per poi accantonarlo... Chi è il primo Erede di Elhalyn in ordine di successione? Danvan Hastur fece una smorfia, e le rughe s'incisero nette dalla bocca al mento. — Non posso credere che tu sia tanto ingenuo, Regis. — Non so che cosa intenda dire, nonno. Danvan Hastur sospirò e disse pesantemente, come se stesse spiegando qualcosa a un bambino con l'aiuto di illustrazioni colorate: — Tua madre, Regis, era la sorella di Re Stephen. La sua unica sorella. — E nel caso che a Regis fossero sfuggite le implicazioni, aggiunse semplicemente: — Sei tu, quello più vicino alla corona... vieni prima dei figli delle sorelle di Derik. Il più vecchio di quei figli ha tre anni. E c'è anche un neonato. — Aldones! Signore della Luce! — mormorò Regis, e l'imprecazione era quasi una preghiera. Ricordò le parole che aveva detto scherzando a Danilo, anni prima: — Se mi vuoi bene, Dani, non augurarmi una corona! — Se l'avessi accantonato — disse suo nonno, — chi avrebbe creduto che non stessi semplicemente cercando di concentrare il potere nelle mie mani? Non sarebbe stato tanto male, a quei tempi... ma avrei perduto l'appoggio popolare del quale avevo bisogno per mantenere l'ordine in un regno senza corona. Ho procrastinato, nella speranza che diventasse chiaro a tutti che Derik non era idoneo. — Ed ora — disse Regis, — tutti penseranno che stai tentando di deporre Derik la prima volta che ha preso una decisione contraria alla tua. — Il guaio è — disse suo nonno, in tono depresso, — che questa alleanza con Aldaran potrebbe non essere una cattiva idea, se fossimo assolutamente certi che gli Aldaran sono usciti una volta per sempre dal campo ter-
restre. Ciò che accadde durante la crisi di Sharra, sembra, ha spezzato il legame tra terrestri e Aldaran. Se potessimo trarre gli Aldaran definitivamente dalla nostra parte... — S'interruppe, riflettendo. — Nonno, pensi sinceramente che i terrestri chiuderanno lo spazioporto e se ne andranno? Il vecchio scrollò la testa. — Io voglio che voltiamo loro le spalle, completamente. Credo che mio padre commettesse un grave errore quando permise che Kennard venisse educato sulla Terra, e io stesso, penso, ho aggravato l'errore quando riconobbi a Lew il diritto di partecipare al Consiglio. No, naturalmente l'Impero Terrestre non se ne andrà. Ma i terrestri avrebbero potuto rispettarci, se non avessimo continuato a guardare oltre il muro. Non avremmo mai dovuto permettere ai Ridenow di lasciare il pianeta. Avremmo dovuto dire ai terrestri: «Costruite il vostro spazioporto, se dovete, ma in cambio lasciateci in pace. Lasciateci al nostro modo di vivere, e fatevi gli affari vostri senza coinvolgerci.» Regis scosse il capo a sua volta. — Sarebbe stato inutile. Non si può ignorare la realtà, e l'Impero terrestre è una realtà. C'è. Prima o poi influirà su di noi in un modo o nell'altro, per quanto possiamo fingere che non esista. E non possiamo ignorare il fatto che siamo coloni terrestri, o che lo eravamo un tempo... — Ciò che eravamo un tempo non ha importanza — disse Danvan Hastur. — I pulcini non possono ritornare nelle uova. — È appunto ciò che sto cercando di dimostrare, mio signore. Restammo isolati dalle nostre radici e trovammo un modo di vivere che ci permetteva di accettare noi stessi come appartenenti a questo mondo, obbligati a vivere entro le sue restrizioni. Questo andava bene finché eravamo ancora isolati, ma quando siamo ritornati in contatto con... — Regis s'interruppe, riflettendo, — con un impero che si estende tra le stelle e considera normali i voli da un mondo all'altro, non possiamo pretendere di continuare come prima. — Non vedo perché no — disse Hastur. — I terrestri non hanno nulla che noi vogliamo. — Non hanno nulla che tu voglia, forse, mio signore. — Regis evitò di fissare il servizio da caffè d'argento sul tavolo, ma il vecchio se ne accorse e ribatté: — Sono disposto a fare a meno di qualunque lusso terrestre, se questo incoraggerà il resto del nostro popolo a fare altrettanto. — Ancora una volta, mio signore, ti dico che sarebbe inutile. Abbiamo dovuto rivolgerci ai terrestri durante l'ultima epidemia di febbre dei battito-
ri. E ci sono inoltre indizi di un cambiamento del clima, e abbiamo bisogno d'una certa assistenza tecnologica. Molti moriranno se non troviamo un'alternativa; ma se li lasciamo morire quando la medicina terrestre può salvarli, che cosa siamo se non tiranni? Mio signore, una cosa che nessuno può controllare è la conoscenza. Possiamo usarla o abusarne... come il laran — soggiunse cupamente Regis, ricordando che il suo laran gli aveva arrecato un'autoconoscenza così insopportabile che, un tempo, sarebbe stato lieto se fosse stato cancellato interamente. — Ma non possiamo fingere che non sia mai successo, o che sia il nostro destino restare su quest'unico mondo come se non vi fosse niente altro nell'intero universo. — Stai cercando di dire che dobbiamo diventare inevitabilmente parte dell'Impero terrestre? — chiese suo nonno con una smorfia così furiosa che Regis si pentì di avere intavolato quella discussione. — Sto dicendo, mio signore, che indipendentemente dal fatto che entriamo o no a farne parte, l'Impero terrestre è ormai una realtà della nostra esistenza, e quali che siano le nostre decisioni, dovranno essere prese nella piena conoscenza del fatto che ì terrestri esistono. Se avessimo rifiutato loro il permesso di costruire lo spazioporto, all'inizio, forse - dico forse - ci avrebbero voltato le spalle, se ne sarebbero andati e l'avrebbero costruito altrove. Ne dubito. Molto probabilmente avrebbero usato una forza sufficiente per arrestare la nostra ribellione aperta, e l'avrebbero costruito comunque. Avremmo potuto tentare di resistere... e forse, se avessimo avuto ancora le armi delle Ere del Caos, saremmo riusciti a cacciarli. Ma nel contempo avremmo annientato noi stessi. Ricorda ciò che accadde in un'unica notte, quando Beltran usò Sharra contro di loro... — Regis s'interruppe rabbrividendo. — Non è la più terribile delle armi delle Ere del Caos, ma prego di non vederne mai una peggiore. E adesso non abbiamo la tecnologia delle Ere del Caos, quindi quelle armi sono incontrollabili. E neppure tu, mio signore, credi che possiamo scacciare i terrestri con le spade delle Guardie... anche se chiamassi alle armi tutti gli uomini di Darkover. Danvan Hastur rimase in silenzio, con la testa appoggiata alle mani, così a lungo che Regis si chiese se aveva detto qualcosa d'imperdonabile, se suo nonno stava pensando di rinnegarlo e diseredarlo come traditore. Ma tutto ciò che ho detto è vero, pensò, e lui è abbastanza onesto per capirlo. — È vero — disse Danvan Hastur, e Regis trasalì. Si era abituato alla conoscenza che suo nonno non era un esperto telepate e non usava mai il linguaggio mentale se poteva farne a meno; lo usava così poco, anzi, che a
volte lui dimenticava che avevano in comune il laran. — Sarei sciocco quanto Derik se tentassi di illudermi che Darkover potrebbe opporsi all'Impero terrestre. Ma rifiuto assolutamente di lasciare che Darkover diventi una colonia terrestre e niente di più. Se non possiamo conservare la nostra integrità di fronte alla cultura e alla tecnologia dei terrestri, allora forse non meritiamo di sopravvivere. — Non è così terribile osservò Regis. — È una delle ragioni per le quali Kennard venne educato sulla Terra... dimostrare che il nostro modo di vivere è accettabile e che non abbiamo bisogno degli aspetti peggiori della loro tecnologia... che non abbiamo bisogno di adottarla, per esempio, al livello in cui ne soffrirebbe la nostra ecologia. Non possiamo mantenere il tipo di tecnologia che loro hanno in alcuni dei mondi-città, ad esempio; siamo poveri di metalli; e un'agricoltura troppo intensiva spoglierebbe il suolo e le foreste in un paio di generazioni. Io sono stato allevato con questa certezza, e anche tu. E i terrestri lo sanno. Hanno leggi che vietano di rovinare i mondi, e non ci daranno nulla che noi non domandiamo. Ma con tutto il rispetto, nonno, credo che ci siamo spinti troppo lontano nella direzione opposta, e stiamo insistendo per mantenere il nostro popolo in uno stato... — Regis cercò a tentoni le parole. — In uno stato di barbarie, in un feudalismo nel quale manteniamo la signoria sulle menti del popolo. — Non sanno quel che va bene per loro — ribatté Hastur, angosciosamente. — Guarda i Ridenow! Passano metà del tempo su pianeti come Vainwal... abbandonano il nostro popolo quando hanno più bisogno d'una guida responsabile! In quanto alla gente comune, pensa solo ai lussi che la cittadinanza terrestre le assicurerebbe... e dimentica il prezzo che dovrebbe pagare. — Forse io mi fido della gente più di te, mio signore. Credo che se le dessimo maggiore istruzione, maggiore conoscenza... forse capirebbe che cosa sta combattendo e perché tu lo rifiuti. — Io ho vissuto più a lungo di te — osservò in tono asciutto il vecchio. — Abbastanza a lungo per capire che in maggioranza la gente vuole ciò che le darà il massimo profitto con il minimo sforzo, e non pensa a quelle che saranno le conseguenze a lungo termine. — Questo non è sempre vero — disse Regis. — Pensa al Patto. Hastur disse: — Il Patto fu imposto al popolo da un fanatico quando tutti erano già spaventati ed esausti a causa di una serie di guerre suicide. Ed è stato mantenuto solo perché coloro che possedevano le vecchie armi le distrussero prima che potessero venire usate di nuovo e portarono nella tom-
ba la loro conoscenza. Guarda come è stato mantenuto! — E contrasse le labbra. — Ogni tanto qualcuno riesuma una vecchia arma e la usa per legittima difesa... o almeno così afferma. Tu non sei abbastanza vecchio per ricordare quella volta che gli uomini-felini oscurarono tutte le terre delle colline di Kilghard, o quando alcuni del popolo delle forge - credo - scatenarono Sharra contro i banditi, un paio di generazioni fa. Se le armi ci sono, la gente le usa, e al diavolo le conseguenze a lungo termine! Tuo padre fu fatto a pezzi da armi di contrabbando introdotte di nascosto dalla Zona Terrestre. E questo ti dimostra quanto é grande la forza del nostro modo di vivere in confronto a quello dei terrestri! — Io credo ancora che sarebbe stato possibile evitarlo se la gente fosse stata doverosamente messa in guardia contro le conseguenze — disse Regis. — Ma non affermo affatto che dobbiamo diventare una colonia terrestre. Neppure i terrestri lo pretendono. — Come fai a sapere che cosa vogliono? — Ho parlato con alcuni di loro, mio signore. So che non lo approvi, ma ritengo sia meglio sapere quello che stanno facendo... — E come risultato — disse freddamente Danvan Hastur, — ora li difendi. Regis represse uno scatto d'esasperazione. Finalmente disse: — Stavamo parlando di Derik, nonno. Se non è possibile incoronarlo, che alternativa c'è? Perché non possiamo farlo sposare con Linnell e contare su di lei per tenerlo a freno? — Linnell è troppo, per lui. Non la merita — disse Danvan Hastur. — E io odio vederlo ancora di più sotto l'influenza di Merryl. Non mi fido di quell'uomo. — Merryl è uno sciocco e una testa calda — disse Regis. — E pericolosamente indisciplinato. Ma immagino che in questo Dama Callina possa essere d'aiuto... se tu non le legherai le mani permettendo che Merryl la dia in sposa a Beltran. Non mi fido degli Aldaran... ora che Sharra è di nuovo scatenata. — Non posso andare direttamente contro l'Erede al trono, Regis. Se gli facessi perdere kihar... — Danvan usò volutamente l'intraducibile termine delle Città Aride che significava integrità personale, onore, dignità... di meno e di più. — Come potrebbe, dopo, governare il Consiglio? — Non può farlo comunque, nonno. Gli permetterai che dia in sposa Callina, per salvargli la faccia davanti al Consiglio? Se devi incoronarlo - e credo che forse lo dovrai - è necessario che tu gli faccia sapere, prima che
sia incoronato, che il Consiglio può sempre porre il veto alle sue decisioni, altrimenti ci tiranneggerà in tutti i modi più assurdi. Callina Lindir è Capo di un Dominio per suo diritto, è stata Custode di Neskaya e di Arilinn ed ora è qui, alle dipendenze di Ashara. Non pensi alla perdita di kihar per Callina? Danvan Hastur fece una smorfia; Regis comprese, sebbene non fosse esattamente telepatia, che suo nonno era riluttante ad accordare a Callina quel potere in Consiglio. No, se non sarà sicuro che lei lo appoggerà e appoggerà le sue tendenze isolazioniste. Altrimenti che la darà in sposa solo per allontanarla dal Consiglio! — Non credo che saresti disposto a sposarla tu! — Callina? — chiese Regis, inorridito. — Deve avere ventisette anni! — Non è decrepita — disse il vecchio in tono asciutto. — Ma io stavo parlando di Linnell. Quello sciocco di Derik non la merita. Per la misericordia di Evanda, il vecchio sta insistendo di nuovo! — Mio signore, Derik e Linnell sono innamorati fin da quando lei aveva i capelli troppo corti per intrecciarli! E tu l'hai incoraggiato. È l'unica donna dalla quale, forse, Derik consentirebbe a farsi comandare. Spezzeresti il cuore a tutti e due! Perché separarli proprio ora? — Mi piacerebbe stringere una solida alleanza con gli Aillard... L'alleanza c'è già, mio signore, con il fidanzamento tra Linnell e Derik. Ma non ci sarà più se te li alienerai facendo perdere faccia a Callina e costringendola a sposarsi contro la sua volontà... con un Aldaran — disse Regis. — E stai dimenticando la cosa più importante, nonno. — Quale? — Il vecchio sbuffò. Si alzò e incominciò a camminare irrequieto avanti e indietro. — Tutta questa storia di Sharra? — Non capisci ciò che sta succedendo, nonno? Derik ha fatto tutto alle nostre spalle e Beltran sarà qui la sera della Festa. Il che significa che è già in viaggio, a meno che si sia riconciliato con i terrestri quanto basta per farsi prestare un aereo o due, e non è molto facile attraversare in volo gli Heller. — Regis ricordava che qualcuno gli aveva riferito le descrizioni fatte dagli unici terrestri che avevano cercato di sorvolarli con mezzi più lenti e più bassi degli aerei a razzo: un incubo di correnti ascendenti e discendenti e di folli sbalzi termici. — Quindi, quando arriverà qui, che cosa gli dirai? «Ti prego, Nobile Aldaran, torna indietro perché abbiamo cambiato idea»? Il vecchio Hastur fece una smorfia. — Molte guerre sono state combat-
tute su Darkover per molto meno. — E gli Aldaran non hanno sempre rispettato il Patto — osservò Regis. — Dovremo lasciare che sposi Callina... oppure dovremo insultare Beltran dicendogli, magari in pubblico: «Perdonaci, Nobile Aldaran, lei non ti vuole». O spiegargli che il nostro Principe e Sovrano è un imbecille incapace di concludere un matrimonio! In ogni caso, Beltran avrà motivo di rancore! Nonno, mi è molto difficile credere che tu non avessi previsto tutto ciò! Hastur andò a lasciarsi cadere sul seggio scolpito e dorato, e disse: — Sapevo che non si poteva lasciare a Derik il compito di prendere una decisione importante. L'ho detto e ripetuto che non mi piaceva che andasse in giro con Merryl! Ma avrei potuto prevedere che Merryl avesse l'insolenza di parlare per il capo del suo Dominio... o che Aldaran lo ascoltasse? — Se avessi affrontato il fatto che Derik era uno stupido, con meno giudizio di un bambino di dieci anni, e certamente non all'altezza di un vero Erede al Trono... — incominciò Regis, poi sospirò e disse: — Mio signore, quello che è fatto è fatto. È inutile discutere ciò che avremmo dovuto fare. Il problema, ora, è: come possiamo toglierci da questa situazione senza causare una guerra? — Non credo che Callina consentirà a sposarlo, ad accettare la cerimonia come una formalità... — cominciò Hastur, ma s'interruppe quando il servitore entrò e si fermò accanto alla porta. — Sì? — Domna Javanne Lanart-Hastur e il suo consorte Dom-Gabriel. Regis andò a baciare la mano della sorella e a farla entrare. Javanne Hastur era una donna alta e bella, oltre la trentina, con i lineamenti forti della sua famiglia. Li guardò entrambi e disse: — Hai litigato di nuovo con il nonno, Regis? — Parlava come se gli stesse rimproverando di essersi arrampicato su un albero e di aver strappato i calzoni della festa. — Non stavamo litigando — disse Regis, in tono leggero. — Era un semplice scambio d'opinione sulla situazione politica. Gabriel Lanart fece una smorfia e disse: — Anche questo è abbastanza spiacevole. — E ho ricordato al mio Erede e nipote — disse bruscamente Danvan Hastur, — che è ormai vecchio per essere ancora scapolo, e gli ho proposto di fargli sposare Linnell Aillard-Lindir, se questo può convincerlo a sistemarsi. In nome di Evanda, Regis, che cosa stai aspettando? Regis si sforzò di dominare la collera e disse: — Sto aspettando, mio si-
gnore, d'incontrare una donna con la quale possa pensare di trascorrere il resto della mia vita. Non rifiuto di sposarmi... — Spero di no — sbuffò Danvan Hastur. — È ... indecoroso per un uomo della tua età non essere ancora sposato. Non ho niente da dire contro il giovane Syrtis: è un brav'uomo, un compagno adatto a te. Ma con i tempi che si preparano, se c'è una cosa di cui non abbiamo bisogno è che qualcuno affermi sprezzantemente che l'Erede di Hastur preferisce gli uomini! Regis disse, freddamente: — E se così fosse, mio signore? Quella sera, suo nonno stava negando troppi fatti sgradevoli. Che rimuginasse su quello, adesso. Javanne sembrava scandalizzata e sconvolta. Certo, non era la cosa più adatta da dire di fronte a una sorella; ma dopotutto, pensò irosamente Regis, suo nonno sapeva benissimo qual era la situazione. Danvan Hastur disse: — Assurdo! Sei giovane, ecco tutto. Ma se sei abbastanza adulto per avere queste opinioni così pronunciate, e se io devo prenderle sul serio, allora dovresti essere disposto a convincermi che sei abbastanza maturo perché valga la pena di ascoltarti. Voglio vederti sposato, Regis, prima che quest'anno sia concluso. Allora aspetterai un pezzo, nonno, pensò Regis. Ma non lo disse a voce alta. Javanne aggrottò la fronte e Regis comprese che lei, dotata d'una maggiore sensibilità telepatica del nonno, aveva seguito il suo pensiero. Javanne disse: — Persino Dyan Ardais ha dato un Erede al suo Dominio, Regis. — L'ho fatto anch'io — disse Regis. — È tuo figlio, Javanne. Non ti farebbe piacere se fosse il Nobile Hastur, dopo di me? E ho altri figli maschi, sebbene siano nedestro. Sono perfettamente capace di dare figli al Dominio, e sono ben disposto a farlo. Ma non voglio un matrimonio che sarebbe una frode, un imbroglio, per compiacere il Consiglio. Quando incontrerò una donna che vorrò sposare, desidero essere libero di farlo. — E mentre parlava, Regis ebbe la sensazione di camminare fianco a fianco con qualcuno, e l'emozione travolgente che sgorgò in lui era diversa da tutto ciò che aveva provato, eccettuato il primo, improvviso slancio d'amore e di gratitudine quando Danilo aveva destato il suo laran e lui aveva permesso a se stesso di accettarlo. Ma sebbene sapesse che era una donna, al suo fianco, non riusciva a scorgerne il viso. — Sei uno sciocco romantico — disse Javanne. — Il matrimonio non è questo. — Ma sorrise e Regis la vide rivolgere un'occhiata affettuosa a Gabriel. Sua sorella era fortunata: il suo matrimonio era ben riuscito.
— Quando troverò una donna che vada bene per me come Gabriel va bene per te, sorella, allora la sposerò — disse Regis, sforzandosi di mantenere un tono leggero. — E ti prometto che lo farò. Ma non ho ancora trovato quella donna, e non sono disposto a sposarmi solo per far piacere al Consiglio, o a te o al nonno. — Non mi piace sentir dire — continuò Javanne, aggrottando la fronte — che l'Erede di Hastur preferisce gli uomini. E se non ti sposerai presto, Regis, lo diranno, e allora scoppierà uno scandalo. — Se lo diranno, lo diranno, e basta — ribatté Regis esasperato. — Non voglio vivere tutta la vita nel terrore delle malelingue del Consiglio! Vi sono molte cose che mi turberebbero molto più delle speculazioni del Consiglio sulla mia vita amorosa... che, dopotutto, non riguarda i Comyn! Credevo che fossimo venuti qui per discutere di Derik e degli altri problemi che abbiamo avuto! E per cenare... e non ho ancora visto cibi né bevande! Dobbiamo stare qui a dibattere le mie faccende personali mentre i servitori tentano di tenere in caldo la cena, e non osano interromperci perché stiamo litigando sulla data del del mio matrimonio? Regis era pronto a uscire precipitosamente dall'appartamento, e suo nonno lo comprese. Danvan Hastur disse: — Vuoi chiedere ai servitori di apparecchiare per la cena, Javanne? — Mentre lei usciva, chiamò con un cenno un valletto perché prendesse il mantello di Gabriel. — Avresti potuto condurre tuo figlio, Gabriel. Gabriel sorrise e disse: — È in servizio di guardia questa sera, mio signore. Hastur annui. — Come si comporta tra i cadetti, dunque? E Rafael e al primo anno, no? Gabriel rispose: — Sto sforzandomi di non notare Rafael, parente. Probabilmente ha le stesse difficoltà che hanno tutti i ragazzi di rango, nei cadetti... Gabe lo scorso anno, o Regis, o Lew Alton... ricordo ancora che dovetti dare lezioni speciali di lotta a Lew. Ce l'avevano con lui, gli rendevano la vita impossibile! Immagino che anche Kennard avesse avuto gli stessi fastidi quando fu nei cadetti per il primo anno. Io non li ebbi, ma non ero in linea diretta di successione. — Sospirò e soggiunse: — Mi dispiace per Kennard. Ci mancherà molto. Continuerò a comandare la Guardia fino a quando Lew non potrà prendere una decisione... è molto sofferente, e questa faccenda di Sharra non lo ha aiutato. Ma quando si riprenderà... — Non penserai sicuramente che Lew sia in grado di governare il Dominio di Alton, vero? — chiese Danvan Hastur, scandalizzato. — L'hai vi-
sto anche tu! Quel ragazzo è un relitto! — Non è un ragazzo — disse Regis. — Lew ha sei anni più di me, quindi ha venticinque anni. È giusto attendere che si sia ripreso dalla morte di suo padre e dal viaggio da Vainwal. Una volta Kennard mi aveva detto che i viaggi più lunghi devono essere effettuati sotto l'effetto di sedativi. Ma quando avrà recuperato... Danvan Hastur apri la bocca ma, prima che potesse dire qualcosa, Javanne annunciò: — La cena è in tavola. Vogliamo andare? — E prese il braccio del marito. Regis la seguì, con il nonno. La cena era stata apparecchiata a un tavolo nella sala accanto, con una tovaglia elegante e i piatti e i bicchieri più fini. Al cenno del nonno, Javanne diede il segnale ai servitori e versò il vino. Ma Gabriel, mentre si metteva il tovagliolo sulle ginocchia, disse: — Credo che Lew sia abbastanza efficiente. — Ha una mano sola. Come è possibile che un invalido comandi le Guardie? — Ci sono precedenti anche per questo — disse Gabriel. — Due o tre generazioni fa Dom Esteban, che era mio bisnonno e anche bisnonno di Lew, credo, comandò per dieci anni le Guardie da una sedia a rotelle, dopo aver perduto l'uso delle gambe nella guerra contro gli uomini-felini. E del resto ci fu Dama Bruna, che prese la spada e divenne una famosa comandante, un tempo, quando l'Erede era soltanto un bambino... — Scrollò le spalle. — Lew è in grado di vestirsi e di curarsi anche con una mano sola... l'ho visto. In quanto al resto... ecco, una volta era un ottimo ufficiale. E se vuole che io continui a comandare le Guardie... bene, è il capo del mio Dominio, e farò ciò che dice. E i ragazzi stanno crescendo... poi c'è Marius. Non ha avuto un addestramento militare, ma è ben istruito. — Un'istruzione terrestre — disse Danvan Hastur, in tono asciutto. Regis disse: — La conoscenza è conoscenza, nonno. — Ricordava ciò che aveva pensato in Consiglio: avrebbe avuto più senso, forse, fare studiare Mikhail presso i terrestri, anziché mandarlo tra i cadetti a imparare la disciplina militare e la scherma. — Marius è intelligente... — E purtroppo ha certi amici terrestri — disse Javanne in tono sprezzante. — Se non si fosse impegolato con i terrestri, oggi non avrebbe tirato fuori in Consiglio quella faccenda di Sharra! — E allora non avremmo saputo che cosa sta succedendo — disse Regis. — Quando un lupo è in libertà nei pascoli, ci preoccupiamo se il mandriano perde una notte di sonno? E chi ha colpa se Marius non ha ricevuto l'addestramento dei cadetti? Sono sicuro che se la sarebbe cavata bene
quanto me. Noi abbiamo deciso di affidarlo ai terrestri; e adesso, temo, dobbiamo tenercelo com'è. Abbiamo fatto in modo che almeno un Dominio restasse alleato con i terrestri! — Gli Alton sono sempre stati troppo ben disposti a trattare con i terrestri — disse Danvan Hastur. — Fin dai tempi in cui Andrew Carr sposò una donna di quel Dominio... — Quel che è fatto è fatto — disse Gabriel. — È inutile rivangare, mio signore. — Non mi pare che Lew sia stato così felice tra i terrestri da non poter governare bene gli Alton... — Parli come se lui dovesse diventare il Capo del Dominio — disse Hastur. Gabriel posò il cucchiaio, lasciando che il brodo sgocciolasse sulla tovaglia. — Ascolta, nonno. Io potevo rivendicare il Dominio quando non sapevamo se Lew era vivo o morto. Ma il Consiglio l'aveva accettato a suo tempo come Erede di Kennard, e questo è tutto. Spetta a lui, quale Capo del Dominio, dire cosa si dovrà fare per Marius, ma suppongo che lo nominerà Erede. Se si trattasse di Jeff Kervin, potrei sfidarlo... lui non vuole il Dominio, non è stato allevato per questo... — Un terrestre? — chiese Javanne, sbalordita. — Jeff non è terrestre. Dovrei dire, Dom Damon... non ha sangue terrestre nelle vene. Suo padre era il fratello maggiore di Kennard. Fu allevato sulla Terra e abituato a credersi terrestre, e porta il nome del padre adottivo terrestre, ecco tutto — spiegò con pazienza Gabriel, non per la prima volta. — Ha meno sangue terrestre di me. Mio padre era Domenic RidenowLanart, ma tutti sapevano che era figlio di Andrew Carr. Quando due gemelle sposarono Andrew Carr e Damon Ridenow... Danvan Hastur aggrottò la fronte. — Questo è accaduto molto tempo fa. — È strano come basti un paio di generazioni per cancellare lo scandalo — disse Gabriel con un sorriso ironico. — Pensavo che se ne fosse già discusso e ridiscusso abbastanza quando esaminarono Lew per scoprire se aveva il Dono degli Alton. Lui l'aveva e io no, e questo è quanto. Danvan Hastur disse, senza alzare la voce: — Io voglio te come Capo del Dominio di Alton, Gabriel. È il tuo dovere nei confronti del clan degli Hastur. Gabriel riprese il cucchiaio, lo strofinò per un attimo con il tovagliolo e lo affondò di nuovo nel brodo. Trangugiò un paio di cucchiaiate prima di rispondere: — Io ho fatto il mio dovere nei confronti del clan degli Hastur quando gli ho dato due figli maschi... no, tre, signore: e uno l'Erede di Re-
gis. Ma ho giurato anche fedeltà a Kennard. Pensi sinceramente che contesterò a mio cugino il posto che gli spetta come Erede Alton? Ma questo, pensò Regis, osservando attentamente la faccia di Danvan Hastur, è esattamente ciò che pensa o che pensava mio nonno. — Gli Alton sono alleati della Terra — disse Hastur. — Non ne fanno mistero. Prima Kennard, e poi Lew, e persino Marius, hanno ricevuto un'educazione terrestre. L'unico modo in cui possiamo mantenere il Dominio di Alton dalla parte dei darkovani è avere al comando un forte uomo di Hastur, Gabriel. Sfidalo di nuovo davanti al Consiglio. Non credo neppure che intenda battersi. — Per il Signore della Luce! Credi davvero... — Gabriel s'interruppe. Disse: — Non posso farlo, Nobile Hastur, e non lo farò. — Vuoi che un mezzo terrestre, una pedina di Sharra, sia a capo del Dominio di Alton? — chiese Javanne, fissando il marito. — Questo spetta a lui dirlo — rispose gentilmente Gabriel. — Io ho giurato di obbedire a ogni tuo comando legittimo, Nobile Hastur, ma non è un comando legittimo quando mi ordini di sfidare il Capo del mio Dominio. Perdonami, mio signore, ma è ben lontano dall'essere un comando legittimo. Il vecchio Hastur disse, impaziente: — In questo momento, l'importante è che i Dominii rimangano incrollabili. Lew non è adatto... — Se non è adatto, signore — disse Gabriel, con aria turbata, — presto risulterà evidente. Javanne disse con voce stridula: — Credevo che lo avessero deposto come successore di Kennard, dopo la ribellione di Sharra. E adesso lui e il fratello sono ancora legati a Sharra... Regis disse: — E lo sono anch'io, sorella. O forse non hai ascoltato? Javanne alzò gli occhi, lo fissò e chiese, incredula: — Tu? Con dita esitanti, Regis prese la matrice, la estrasse dall'involucro di seta. Ricordava che, anni prima, Javanne gli aveva insegnato a usarla; e lo ricordava anche lei, perché all'improvviso si addolcì e gli sorrise. C'era una vecchia immagine nella sua mente... come se la ragazza che era stata - orfana, impegnata a fare da madre al fratellino orfano - si fosse chinata su di lui come aveva fatto tante volte quando era piccolo, e l'avesse sollevato tra le braccia... Per un momento la donna dal volto duro, la madre di figli grandi, scomparve, e ridivenne la sorella dolce e affettuosa di un tempo. Regis disse sottovoce: — Mi dispiace, breda, ma la realtà non sparisce solo perché ne hai paura. Non volevo che tu vedessi questo. — Con un so-
spiro, lasciò cadere il cristallo azzurro nel cavo della mano. La forma di fuoco infuriava e fiammeggiava nella sua mente... una grande forma convulsa, una donna alta, avvolta dalle fiamme, con i capelli sollevati come fuochi inquieti, le braccia imprigionate da catene d'oro... Sharra! Quando l'aveva vista sei anni prima, al culmine della ribellione di Sharra, il suo laran si era appena destato; e inoltre lui era afflitto dal malessere della soglia, e Sharra era stata uno dei tanti orrori di quel tempo. Quando l'aveva vista brevemente nella casa di Marius, era rimasto troppo sconvolto per notarla. Ora qualcosa di gelido lo afferrò alla gola: si sentì aggricciare la pelle e rizzare i capelli e tutti i peli del corpo, a partire dagli avambracci. Regis sapeva, senza sapere come lo sapesse, che stava vedendo un'antichissima nemica della sua razza e della sua casta; qualcosa nel suo corpo, alla profondità delle cellule e delle ossa, la riconosceva. La nausea pervase il suo corpo e sentì in bocca il sapore acre del terrore. Pensò, confuso: Ma Sharra fu usata e incatenata dal popolo delle forge, e sicuramente io sto soltanto ricordando la distruzione di Sharra scatenata, una città in fiamme... non è peggio di un incendio in una foresta... Ma sapeva che questo era qualcosa di peggio, qualcosa che non poteva capire, qualcosa che lottava per attrarlo a sé... Riconoscimento, paura, un fascino che sembrava quasi sessuale... — Aaaahhh... — Era un sospiro d'orrore; Regis udì, vide, senti la mente di Javanne, il suo terrore che si stendeva e s'avvinghiava. Javanne strinse la matrice attraverso la veste, come se la ustionasse, e Regis, con uno sforzo poderoso, distolse la mente e gli occhi dalla Forma di Fuoco che sfolgorava dalla sua matrice. Ma Javanne rimase così, atterrita e affascinata. E in Regis parve snodarsi qualcosa d'impensato, a lungo latente; come uno schermitore esperto prende nella mano l'impugnatura, senza sapere quale mossa farà o a quali colpi risponderà, ma sa soltanto di poter tenere la testa all'avversario, sentì quella stranezza ingigantire, decidere le sue azioni immediate. Si protese nelle profondità del fuoco e, delicatamente, liberò la mente di Javanne, concentrandosi in modo da non dovere neppure toccare la Forma di Fuoco... come se Javanne fosse una una marionetta e i fili fossero stati recisi, si accasciò svenuta sulla sedia, e Gabriel la sostenne, con una smorfia. — Che cos'hai fatto? — chiese. — Che cosa le hai fatto? Javanne batté le palpebre, riprendendo i sensi. Scrupolosamente, Regis avvolse di nuovo la matrice nella seta e disse: — È pericoloso anche per
te, Javanne. Non avvicinarti mai più. Danvan Hastur aveva osservato, sgomento, mentre i suoi nipoti fissavano atterriti e paralizzati e poi si ritraevano. Regis ricordò, vagamente, che suo nonno aveva poco laran. Lo stesso Regis non comprendeva ciò che aveva fatto; sapeva soltanto che stava tremando fino alle ossa, esausto, debole come se fosse stato per tre giorni e tre notti nelle linee antincendio. Senza sapere ciò che faceva, tese le mani verso un piatto di panini caldi, ne prese uno, lo spalmò abbondantemente di miele e lo mangiò. Lo zucchero gli ridiede un po' d'energia. — Era Sharra — disse Javanne in un mormorio. — Ma che cosa hai fatto? E Regis riuscì soltanto a mormorare, sconvolto: — Non ne ho la più vaga idea. IL RACCONTO DI LEW ALTON IV Non ho mai saputo come uscii dalla Sala di Cristallo. Ho l'impressione che Jeff mi portasse quasi di peso, quando il Consiglio s'interruppe in piena discordia, ma la prima cosa che rammento chiaramente è che mi trovavo all'aperto, e Marius era con me, e c'era anche Jeff. Mi raddrizzai. — Dove stiamo andando? — A casa — disse Marius. — La casa di città degli Alton; non credo che vorrai installarti negli appartamenti degli Alton, e io non ci sono mai stato... dopo la partenza di nostro padre. Vivo qui con Andres e qualche servitore. Non ricordavo d'essere stato nella casa di città da quando ero bambino. Stava venendo buio; una pioggerella fredda mi pungeva il viso e mi schiariva la mente, ma captavo frammenti isolati dei pensieri dei passanti, e il vecchio ritmo insistente: ... l'ultimo comando... ritorna, lotta per i diritti di tuo fratello... Non sarei mai stato libero? Con impazienza, mi sforzai di riprendere il controllo, mentre attraversavamo la piazza; ma mi sembrava di vedere la casa non come era, buia e tranquilla, con un'unica luce accesa, la luce della stanza di un servitore; la vidi attraverso gli occhi di un altro, viva delle luci e del calore che filtravano dalle porte aperte e dalle finestre, compagnia e amore e felicità passata... Capii, dal braccio di Jeff che mi cingeva le spalle, che la
stava vedendo come era stata, e mi scostai. Ricordavo che Jeff era stato sposato, e che sua moglie era morta da molto tempo. Anche lui aveva perduto una persona cara. Marius era già salito sui gradini, e chiamava, eccitato come se fosse più giovane di quanto lo ricordavo. — Andres! Andres! — E dopo un momento il vecchio coridom di Armida, amico, tutore, padre adottivo, mi stava guardando sbalordito e felice. — Giovane Lew! Io... — S'interruppe, addolorato nel vedere la mia faccia sfregiata, il braccio mutilato. Deglutì, e poi disse, burberamente: — Sono lieto che sia qui. — Venne a prendere il mio mantello, e mi diede una pacca impacciata sulla spalla, un gesto d'affetto e di rammarico. Immagino che Marius avesse inviato la notizia della morte di mio padre; per fortuna, Andres non fece domande. Disse soltanto: — Ho avvertito la governante di prepararti una stanza. Anche per te, signore? — chiese a Jeff, che scrollò la testa. — Grazie, ma sono atteso altrove... sono qui ospite del Nobile Ardais, e non credo che Lew sia in condizioni di affrontare una lunga conferenza di famiglia, questa sera. — Si rivolse a me e chiese: — Ti dispiace? — Tese la mano sopra la mia fronte, nel tocco dei monitori, con le dita lontane quasi una spanna, passandomi la mano sopra la testa e sul corpo. Era un gesto così familiare, e mi ricordava tanto gli anni di Arilinn - l'unico luogo dove ricordavo d'essere stato completamente felice, interamente sereno che sentii i miei occhi riempirsi di lacrime. Era l'unica cosa che volevo... ritornare ad Arilinn. E ormai era troppo tardi. Con gli inferni intollerabili nella mia mente, con la matrice contaminata da Sharra... no, non mi avrebbero accettato in una Torre, ormai. La mano di Jeff era solida, sotto il mio braccio; mi spinse su un seggio. Attraverso gli ultimi effetti delle droghe che avevano distrutto il mio controllo, sentii la sua sollecitudine, lo shock di Andres per le mie condizioni, e mi girai verso di loro, stringendo la mano, sentii il dolore fantasma quando cercai di serrare anche la mano amputata. Avrei voluto urlare irosamente contro di loro, e mi rendevo conto che erano turbati per me, preoccupati per me, e condividevano la mia sofferenza e la mia angoscia. — Stai fermo, lascia che finisca di controllarti. — Quando ebbe terminato, Jeff disse: — Non c'è nulla, fisicamente, tranne la stanchezza e i postumi di quello che gli hanno dato i terrestri. Non penso che abbia qui i soliti antidoti, vero, Andres? — Quando il vecchio scosse il capo disse, in tono asciutto: — No, non credo sia quello che si può comprare in una far-
macia o nel chiosco dell'erborista. Ma tu hai bisogno di dormire, Lew. Non credo che ci sia un po' di raivannin, in questa casa... Il raivannin è una delle droghe messe a punto per gli operatori dei cerchi delle Torri, collegati nella mente di un cerchio telepatico... Ce ne sono altre: il kirian, che abbassa la resistenza al contatto telepatico, è forse la più comune. Il raivannin ha un effetto quasi opposto a quello del kirian. Tende a chiudere le funzioni telepatiche. Me l'avevano dato, ad Arilinn, per calmare un po' la tortura e l'orrore che stavo irradiando dopo la morte di Marjorie... calmarle quanto bastava perché gli altri del cerchio della Torre non fossero costretti a condividere ogni istante di tormento. Di solito veniva somministrato a qualcuno in punto di morte o di dissoluzione, oppure ai pazzi, perché non trascinassero tutti gli altri nelle loro sofferenze interiori... — No — disse pietosamente Jeff. — Non è questo che intendo. Credo che ti farebbe bene una notte di sonno, ecco tutto. Mi chiedo... Nella Città ci sono meccanici autorizzati delle matrici, e sanno chi sono: il Primo di Arilinn. Non avrò difficoltà ad acquistarlo. — Dimmi dove debbo andare — disse un giovane, entrando nella stanza a passo svelto. — Andrò io. Molti mi conoscono. Sanno che ho il laran. Lew... — Si avvicinò e si fermò direttamente davanti a me. — Ti ricordi di me? Lo scrutai, con difficoltà, vidi gli occhi d'ambra dorata, gli strani occhi... gli occhi di Marjorie! Rafe Scott rabbrividì alla sofferenza di quel ricordo, ma si avvicinò e mi abbracciò. Disse: — Ti troverò il raivannin. Credo che ne abbia bisogno. — Cosa fai in città, Rafe? — Era un bambino, quando avevo inserito anche lui, con Marjorie, nel cerchio di Sharra. Come me, portava il marchio incancellabile, fuoco e dannazione... no! Chiusi con violenza la mente, con uno sforzo che mi fece impallidire come un morto. — Non ricordi? Mio padre era un terrestre, il capitano Zeb Scott. Uno dei terrestri addomesticati di Aldaran. — Lo disse ironicamente, con una smorfia cinica, troppo cinica per uno così giovane. Aveva l'età di Marius. Ormai non provavo più curiosità, sebbene avessi sentito Regis descrivere ciò che aveva visto, e sapevo che era l'amico di Marius. Non si fermò; uscì subito nella notte piovosa, drappeggiandosi in un mantello darkovano. Jeff sedette accanto a me, e Marius dall'altra parte. Non parlammo molto; non ero in condizioni di farlo. Dovevo fare appello a tutta la mia energia per non crollare.
— Non mi hai detto, Jeff, perché sei in città. — È venuto a prendermi Dyan — disse lui. — Non volevo il Dominio e gliel'ho detto; ma mi ha risposto che un altro pretendente avrebbe confuso il Consiglio, l'avrebbe bloccato fino a quando potesse ritornare Kennard. Non credo che aspettasse di rivedere te. — Ne sono sicuro — disse Marius. — È vero, fratello, posso vivere anche senza l'affetto di Dyan — dissi. — Non ha mai avuto simpatia per me... — Ma ero ancora confuso da quel fuggevole rapporto mentale, quando l'avevo visto con gli occhi di mio padre... ... caro, carissimo, fratello giurato... un paio di volte amante, alla maniera dei ragazzi... Scacciai quel pensiero. In un certo senso il rifiuto era una specie d'invidia. Solitario tra i Comyn, avevo avuto pochi bredin, avevo ancora meno amici che mi dessero il loro affetto in una situazione critica. Forse era questo che invidiavo a mio padre? La mia voce, la sua presenza erano un clamore nella mia mente... Dovevo dire a Jeff ciò che era accaduto. Da quando Kennard aveva destato con la violenza il mio latente Dono degli Alton, il dono del rapporto forzato, quando ero appena uscito dall'infanzia, lui era rimasto presente, con i suoi pensieri che sopraffacevano i miei, mi soffocavano, mi lasciavano troppo scarso libero arbitrio, fino a quando mi ero liberato, e nel disastro della ribellione di Sharra avevo imparato a temere quella libertà. E poi, quando stava morendo, la sua forza incredibile si era chiusa sulla mia mente in un'esplosione cui non potevo resistere... Perseguitato dagli spettri... metà del mio cervello bruciato dai ricordi di un morto... Ero mai stato qualcosa di più di un invalido, mutilato nella mente e nel corpo? Non potevo chiedere a Jeff un aiuto più grande di quello che già mi aveva dato... Lui disse, in tono neutro: — Se hai bisogno d'aiuto, Lew, io sono qui. — Ma scossi il capo. — Sto bene. Ho bisogno di dormire, ecco tutto. Chi è Custode ad Arilinn, adesso? — Miranie di Dalereuth; non so quale sia la sua famiglia... non ne parla mai. Janna Lindir, che era Custode quando tu eri ad Arilinn, ha sposato Bard Storn-Leynier, e hanno avuto due figli; ma Janna li ha dati in adozione, ed è tornata a Neskaya come Primo Monitore. Abbiamo bisogno di forti telepati, Lew; vorrei che potessi ritornare, ma credo che sarai necessario
in Consiglio... Lo vidi rabbrividire di nuovo, leggermente, alla mia reazione. Sapevo in quale stato ero, come lo sapeva Jeff; ogni emozione passeggera s'irradiava a tutta forza. Andres, per quanto fosse terrestre e privo di laran visibile, notava comunque l'angoscia di Marius; dopotutto, era vissuto con una famiglia di telepati fin da prima che io nascessi. Disse, con fermezza: — Posso trovare uno smorzatore e attivarlo, se vuoi. — Non... — cominciai a dire, ma Jeff m'interruppe. — Sì, benissimo. — E poco dopo gli impulsi aritmici incominciarono ad affluire nella mia mente, alterandola. La mascherava per gli altri - almeno, mascherava il contenuto specifico - ma per me sostituiva la nausea alla sofferenza più acuta. Ascoltai distrattamente Marius che riferiva ad Andres quanto era accaduto in Consiglio. Come avevo previsto, Andres comprese subito il fattore più importante. — Almeno ti hanno riconosciuto: il tuo diritto a ereditare era contestato, ma per una volta il vecchio tiranno ha dovuto ammettere che esisti — sbuffò Andres. — È già un inizio, ragazzo mio. — Credi che m'importi qualcosa? — ribatté Marius. — Per tutta la mia vita non mi hanno degnato di un'occhiata, e adesso, tutto all'improvviso... — Tuo padre ha lottato tutta la vita per questo — disse Andres. E Jeff soggiunse sottovoce: — Ken sarebbe stato orgoglioso di te, Marius. — Immagino — disse il ragazzo, in tono sprezzante. — Tanto orgoglioso che non è tornato neppure una volta... Chinai la testa. Era colpa mia, se Marius non aveva avuto un padre, un parente, un amico, se era rimasto solo, trascurato dagli orgogliosi Comyn. Provai sollievo quando Rafe ritornò dicendo che aveva trovato un tecnico autorizzato nella via delle Quattro Ombre, e aveva comprato qualche oncia di raivannin. Jeff lo preparò e chiese: — Quanto...? — Il meno possibile — risposi. Avevo avuto qualche esperienza con le droghe smorzanti, e non volevo restare stordito, o incapace di svegliarmi se fossi piombato in uno di quei terribili incubi travolgenti nei quali ero imprigionato in orrori indicibili e i demoni di fiamma divampavano e infuriavano tra i mondi... — Quanto basta perché non debba dormire sotto gli smorzatori — disse Jeff. Con grande vergogna, dovetti lasciare che mi portasse la bevanda alle labbra, ma quando l'ebbi inghiottita rabbrividendo al sapore aspro e amaro, sentii le alterazioni dello smorzatore telepatico placarsi gradualmente e lentamente, a poco a poco, tutto finì.
Era strano, sentirmi completamente privo di sensibilità telepatica, strano e inquietante, come tentare di udire sott'acqua oppure con gli orecchi tappati; per quanto la consapevolezza fosse stata dolorosa, ora mi sentivo stordito, accecato. Ma la sofferenza era passata, e anche il clamore della voce di mio padre; per la prima volta dopo molti giorni ero libero. Era presente, sotto le spesse coltri della droga, ma non ero costretto ad ascoltare. Trassi un lungo, profondo sospiro di liberazione. Dovresti dormire. La tua stanza è pronta — disse Andres. — Ti accompagno di sopra, ragazzo mio... e non protestare; ti ho portato su per queste scale prima ancora che mettessi i calzoni, e posso farlo di nuovo, se è necessario. Ora sentivo che sarei riuscito a dormire. Con un altro lungo sospiro mi alzai, cercando di non perdere l'equilibrio. Andres disse: — Allora non hanno potuto fare niente per la tua mano? — Niente. Era troppo lesionata. — Ora potevo dirlo con calma; dopotutto avevo imparato a vivere con quella realtà, dopo la crisi orrenda quando il figlio di Dia era nato ed era morto. — Ho una mano meccanica, ma non la metto spesso, a meno che debba fare qualche lavoro impegnativo, e qualche volta quando vado a cavallo. Non sopporta una grande tensione, e mi dà fastidio. Mi sento meglio senza, veramente. — La stanza è quella di tuo padre — disse Andres, senza badare alla mia risposta. — Lascia che ti aiuti a salire le scale. — Grazie, ma non è necessario, davvero. — Ero mortalmente stanco, ma avevo la mente limpida. Andammo nel corridoio, ma mentre stavamo per salire le scale, il campanello squillò, e sentii uno dei servitori che discuteva vivacemente; poi qualcuno lo spinse da parte, e io vidi la figura alta e fulva di Lerrys Ridenow. — Scusa il disturbo. Ti ho cercato nell'appartamento degli Alton a Castel Comyn — mi disse. — Devo parlarti, Lew. So che è tardi, ma è importante. Stancamente, mi voltai verso di lui. Jeff disse: — Dom Lerrys, il Signore di Armida è stanco. — Impiegai un momento per rendermi conto che parlava di me. — Non ci vorrà molto. — Lerrys adesso portava abiti darkovani, eleganti e alla moda, con i colori del suo Dominio. Con il gesto automatico di un telepate addestrato alla presenza di qualcuno che gli ispira diffidenza, cercai di stabilire il contatto; poi ricordai. Avevo preso il raivannin, ed ero in balia di qualunque cosa lui decidesse di dirmi. Doveva essere così per co-
loro che non erano telepatici. Lerrys disse: — Non sapevo che saresti ritornato qui. Devi sapere che non godi di grande popolarità. — Posso farne a meno — dissi. — Non siamo amici, Lew — disse lui. — E immagino che le mie parole non ti sembreranno sincere: ma mi dispiace per tuo padre. Era un uomo buono, uno dei pochi Comyn dotati di abbastanza buon senso per vedere i terrestri senza immaginarli con le corna e la coda. Aveva vissuto tra loro quanto bastava per capire come avremmo finito per orientarci. — Sospirò e io dissi: — Non sei venuto qui in una notte di pioggia solo per farmi le condoglianze per la morte di mio padre. Lerrys scrollò la testa. — No — disse. — Vorrei che avessi avuto l'intelligenza di stare lontano. Così non sarei costretto a parlarti così. Ma ora sci qui, e devo dirtelo. Stai alla larga da Dia, o ti torcerò il collo, — È stata lei a chiederti di dirmi questo? — Te lo sto dicendo — insistetie Lerrys. — Qui non siamo su Vainwal. Siamo nei Domimi e... — S'interruppe. Mi augurai con tutto il cuore di poter leggere cosa c'era dietro quegli occhi verdi e trasparenti. Somigliava a Dia, maledizione, e la sofferenza in me si riacutizzò, al pensiero che l'amore non fosse stato abbastanza forte per aiutarci a superare insieme la tragedia. — Il nostro matrimonio fu celebrato con una cerimonia terrestre. Nei Dominii non ha valore. Nessuno lo riconoscerebbe. — M'interruppi e deglutii. Dovetti farlo, prima di continuare: — Se lei volesse tornare da me, ne... ne sarei felice. Ma non la costringerò, Lerrys, non preoccuparti. Non sono un abitante delle Città Aride, per incatenarla a me. Era come lottare sott'acqua: non riuscivo a contattare la sua mente, i suoi pensieri mi erano impenetrabili. Per gli inferni di Zandru, era così essere privi di laran, ciechi, sordi, mutilati, senza avere altro che la vista e l'udito ordinari? — È questo che vuole Dia? Perché non me lo dice lei stessa, allora? Una rabbia cieca esplose sul viso di Lerrys; non era necessario il laran per capirlo. La faccia si contrasse, i pugni si strinsero. Per un momento pensai che mi avrebbe aggredito e mi chiesi se, con una mano sola, sarei riuscito a difendermi. — Maledizione, non capisci che è quello che voglio risparmiarle? — disse lui, alzando istericamente la voce. — Non l'hai fatta soffrire abbastanza? Cosa credi che possa sopportare, maledetto... maledetto... — Gli mancò la voce. Dopo un po' riprese. — Non voglio che sia costretta a rivederti, dannazione. Non voglio che
le resti il ricordo di quello che ha dovuto passare! — continuò, infuriato. — Vai al Quartier Generale terrestre e sciogli il vostro matrimonio... e se non lo farai ti giuro, Lew, ti sfiderò e darò l'altra tua mano in pasto ai kyorebni! L'effetto delle droghe mi stordiva troppo per permettermi di sentire l'angoscia. Dissi pesantemente: — Sta bene, Lerrys. Se è questo che desidera Dia, non le darò più fastidio. Lerrys si voltò e uscì, sbattendo la porta. Marius restò immobile e chiese: — In nome di tutti gli Dei, di che si tratta? Non potevo parlarne. — Te lo spiegherò domani. — Ciecamente, salii le scale e andai nella camera di mio padre. Andres mi seguì, ma non gli badai. Mi buttai sul letto di mio padre e dormii come un morto. Ma sognai Dia, che piangeva e invocava il mio nome mentre la portavano via, all'ospedale. Quando mi svegliai, avevo la mente limpida; e ancora una volta mi sembrò che fosse esclusivamente mia. Divenne una normale riunione di famiglia. Marius venne a sedersi sul letto e mi parlò come se fosse il ragazzo che avevo conosciuto, e io gli consegnai i regali che avevo ricordato di portargli da Vainwal, prodotti dell'ottica terrestre, un binocolo, una macchina fotografica. Mi ringraziò; ma sospettavo che li giudicasse regali da bambino. Una volta, parlandone, li chiamò «giocattoli». Mi chiedevo quale sarebbe stato un dono appropriato per un uomo? Disintegratori di contrabbando, forse, nonostante il Patto? Dopotutto, Marius aveva ricevuto un'educazione terrestre. Era uno di quelli che consideravano il Patto uno sciocco anacronismo, l'etica puerile di un mondo impantanato nella barbarie? E sospettavo che non soffrisse molto per la perdita di nostro padre. Non potevo dargli torto: nostro padre lo aveva abbandonato molto tempo prima. Dissi che dovevo andare al Quartier Generale terrestre, senza spiegargli altro. — Hai a disposizione sette giorni, dopotutto — osservò Jeff dopo colazione. — Hanno differito il trasferimento ufficiale del Dominio fino alla fine del periodo di lutto rituale per Kennard. E ormai è solo una formalità... ti accettarono come suo Erede quando avevi quindici anni. Si trattava di vedere, adesso, se avrebbero accettato Marius. — Stupidi bigotti — borbottò Andres. — Decidere il valore di un uomo secondo il colore dei suoi occhi!
O il colore dei suoi capelli. Sentii Jeff che lo pensava, ricordando il tempo in cui ad Arilinn quasi tutti avevano i capelli del vero rosso dei Comyn. Dissi, non troppo scherzosamente: — Forse dovrei tingermeli... e anche Marius. Così avremmo di più l'aspetto dei Comyn. — Non potrei cambiare i miei occhi — disse Marius in tono asciutto, e io pensai, con una fitta, ai mutevoli colori marini degli occhi di Dia. Ma adesso Dia mi odiava, e tutto era passato; e chi poteva biasimarla? — Mi sfideranno — dissi. — E se lo faranno... diavolo, non posso battermi con una mano sola. — È uno stupido anacronismo, ai tempi nostri — dissi Marius, com'era prevedibile. — Risolvere una questione importante come l'Eredità di un Dominio ricorrendo alla spada. Andres - lo avevamo invitato al nostro tavolo; coridom o no, era stato per noi tutore e padre adottivo - chiese in tono egualmente secco: — Avrebbe più senso battersi con i disintegratori oppure invadere l'uno il Dominio dell'altro e scatenare una guerra? Jeff era appoggiato alla spalliera della sedia, con una tazza semivuota davanti. — Ricordo di aver sentito dire, nella Torre, perché fu istituita la sfida tradizionale con le spade. Un tempo, una sfida formale per la sovranità di un Dominio avveniva con il Dono di quel Dominio... e vinceva chi aveva il laran più forte. A quel tempo i Domini generavano uomini e donne per i Doni, come fossero bestiame... e il Dono degli Alton, a piena forza, poteva uccidere. Dubito che Gabriel voglia tentare quel tipo di duello contro di te. — Non sono tanto sicuro, dopo questa notte, che potrei vincerlo — dissi. — Avevo dimenticato da dove viene l'immunità dei Comyn. — Ad Arilinn, i meccanici e i tecnici delle matrici in corso di addestramento a volte combattevano battaglie simulate con il laran, ma a me era stato insegnato il controllo fin da quando ero adolescente. Le vere battaglie con il laran erano vietate. Il Patto non fu inventato per bandire i disintegratori e le armi da fuoco, ma le più antiche armi del laran, più spaventose di quelle che poteva produrre l'Impero terrestre... — Non credo che Gabriel ti sfiderà — disse Andres. — Ma chiederanno perché, alla tua età, non sei sposato, e se hai per Erede un figlio legittimo. Feci una smorfia, e sentii contrarsi le cicatrici intorno alla bocca. — Sono stato sposato, sì, ma non per molto. Lerrys è venuto appunto a parlarmene — dissi. — E non ho figli, e non è probabile che ne abbia.
Marius fece per chiedere qualcosa, ma Jeff lo ammutolì con uno sguardo. Sapeva di che cosa stavo parlando. — Ad Arilinn aveva paura che accadesse, ma la tecnica del controllo delle cellule a quel livello andò perduta durante le Ere del Caos. Alcuni di noi stanno lavorando per riscoprirla... è più rapida e sicura del lavoro sul DNA che fanno nell'Impero. Non credo che tu abbia avuto figli bastardi prima di lasciare Darkover. Avevo avuto alcune avventure in gioventù; ma se avevo generato un figlio - mi dissi apertamente - l'interessata sarebbe stata orgogliosa di dirmelo. E Marjorie era morta prima che nascesse la sua creatura. — Forse accetteranno Marius, se accerterò che ha il Dono degli Alton — dissi. — Potrebbero non avere altra scelta. La legge dei Comyn stabilisce che deve essere nominato un Erede, per assicurare la successione. Lasciando che Kennard mi portasse via dal pianeta, diedero un tacito assenso a Marius come Erede presuntivo, credo. La legge è abbastanza chiara. — Non volevo controllare se Marius aveva il Dono degli Alton... non usando la tattica traumatizzante che mio padre aveva usato con me, e non ne conoscevo altre, adesso. E dato che la mia matrice era ridotta com'era ridotta... tutto ciò che avrei potuto fare sarebbe stato dare una dimostrazione dei poteri di Sharra! Mi voleva, i fuochi cercavano di richiamarmi... Ma c'erano altre cose cui pensare, ora. — Marius dovrebbe essere esaminato prima della sfida finale — dissi. — Tu sei il Primo di Arilinn, Jeff: puoi farlo, non è vero? — Certamente — disse Jeff. — Perché no? Sospetto che abbia il laran, forse il dono dei Ridenow... ci sono molti Ridenow ed Ardais nella famiglia degli Alton. La madre di Kennard era un'Ardais, e ho sempre sospettato che lui possedesse in parte la telepatia catalizzatrice. Marius stava facendo a pezzetti un panino imburrato. Disse, senza alzare la testa: — Quello che ho io, credo, è... è il dono degli Aldaran. Posso vedere... avanti. Non molto lontano e non molto chiaramente, ma il dono degli Aldaran è la precognizione e io... io ce l'ho. Doveva averla ereditata da nostra madre, che era per metà terrestre. In quei tempi, comunque, i Doni erano ingarbugliati, a causa dei matrimoni tra i Dominii. Ma fissai Marius e chiesi: — Come puoi sapere del Dono degli Aldaran? Lui rispose, spazientito: — Gli Aldaran sono i miei unici parenti! E diavolo, Lew, i Comyn non ci tenevano tanto ad accogliermi come uno di loro! Ho passato un'estate con Beltran... perché no?
Quello era un nuovo fattore di cui dovevo tenere conto. — So che non ti trattò bene — continuò Marius in tono difensivo. — Ma dopotutto, la vostra era una questione privata. Che cosa ti aspetti, che proclami una faida di sangue per tre generazioni, per questo? Allora siamo davvero barbari come dicono i terrestri? Non c'era una risposta, e non sapevo che cosa dire. — A tutti noi sarebbe utile qualche informazione sul futuro — dissi. — Se hai quel Dono, in nome di Aldones dimmi che cosa accadrà se rivendicherò il Dominio. Ti accetteranno come mio Erede? — Non so — confessò Marius, e ancora una volta mi parve così giovane e vulnerabile. — Ho... ho cercato di scoprirlo. Mi hanno detto che a volte succede, che non puoi vedere troppo chiaramente per te stesso e chi ti è vicino... Questo era vero; e mi chiesi, non per la prima volta, a che serviva quel Dono. Forse, nei tempi in cui gli Aldaran potevano vedere il destino dei sovrani, dei regni, addirittura del pianeta... e questo era un altro pensiero inquietante. Forse gli Aldaran, con la loro precognizione, vedevano che Darkover si sarebbe avviato sulla strada dell'Impero terrestre, ed era per questo che per tanto tempo erano stati alleati con la Terra. Mi domandai se Beltran aveva rotto completamente, dopo la ribellione di Sharra. Bene, c'era un modo per scoprirlo, ma al momento non c'era il tempo. Andò alla finestra, irrequieto, guardò il trambusto della piazza. C'erano uomini che conducevano gli animali al mercato, operai che portavano i loro attrezzi: un trambusto tranquillo e familiare. Data la stagione, c'era soltanto un velo sottile di neve sulle pietre; la Festa e l'Alta Estate erano imminenti. Eppure, mi sembrava ancora freddo dopo Vainwal, e portavo il mantello più pesante. I terrestri potevano dire che era un modo barbaro, ma ero di nuovo a casa, e portavo gli indumenti caldi del mio pianeta. La fodera di pelliccia dava una sensazione piacevole anche in quella stagione. Marius e Jeff si offrirono di accompagnarmi; ma era una faccenda privata e dovevo sbrigarla da solo. Perciò rifiutai. Era una giornata luminosa; il sole, enorme e rosso - i terrestri lo chiamavano Stella di Cottman, ma per me era il sole, ed era come doveva essere un sole - era librato all'orizzonte, emergendo dagli strati delle nubi mattutine, e c'erano due piccole ombre nel cielo, dove Liriel e Kyrddis stavano calando. Un tempo avrei saputo dire che mese e che decade era, dalla posizione delle lune, e che cosa si doveva piantare, e quali animali andavano in calore o figliavano; c'è un mese chiamato il Mese del Cavallo perché più di
tre quarti delle giumente figliano prima che finisca, e ci sono battute scherzose d'ogni genere sul Mese del Vento, perché è allora che gli stalloni e i cervini e gli altri animali vanno in calore; suppongo che dove la gente vive tanto vicino alla terra lavori troppo per avere molto tempo per andare in calore come gli stalloni, tranne nella stagione appropriata, e diventa uno scherzo inquietante. Ma tutta quella terra... la conoscenza era solo un ricordo fioco, benché pensassi che, se fossi vissuto lì più a lungo, avrei finito per ricordare. Mentre mi avviavo per le strade, mi sentivo a mio agio sotto la luce del mattino e le lune in ombra: qualcosa, nella mia mente, era placato e nutrito da quel chiarore familiare. Sono stato su parecchi pianeti, con varie lune, fino a sei - se sono più numerose, le maree rendono inabitabile il mondo - e con soli gialli, rossi e biancazzurri sfolgoranti; almeno sapevo che questo non mi avrebbe bruciato la pelle! Dunque Marius, oltre all'educazione terrestre, aveva il Dono degli Aldaran. Poteva essere una combinazione pericolosa, e mi chiesi cosa avrebbe pensato il Consiglio, quando l'avesse saputo. Lo avrebbero accettato, o avrebbero preteso che adottassi uno dei figli di Gabriel? Era una camminata piuttosto lunga dal quartiere della casa di mio padre e dei suoi avi fino ai cancelli della Zona Terrestre. Soffiava un vento forte, e mi sentivo indolenzito. Non ero abituato a camminate, e per sei anni avevo vissuto su un mondo - la Terra o Vainwal - dove gli affari urgenti venivano sbrigati per mezzo di comunicatori meccanici... dovunque, nell'Impero, avrei potuto risolvere le formalità dello scioglimento del matrimonio con i comunicatori e i videoschermi... e se fosse stata necessaria la mia presenza, avrei trovato ogni mezzo di trasporto meccanico a mia disposizione. Su Darkover non c'è mai stato molto interesse per le strade... per costruirle occorrono macchine, oppure molte ore di lavoro umano o l'intervento delle matrici, e il nostro mondo non aveva mai voluto pagare questi prezzi. Avevo trascorso diverso tempo in una Torre, fornendo il tipo di comunicazione che si può avere per mezzo dei collegamenti operati telepaticamente; e avevo fatto la mia parte nell'estrazione e nella purificazione chimica dei minerali. Avevo controllato e addestrato i controllori. Ma sapevo quanto era difficile trovare un talento adatto per il lavoro con le matrici, e non era più richiesto alla mia casta, dotata di laran, passare la vita dietro le mura delle Torri, al servizio del popolo. Noi Comyn eravamo i sovrani del nostro popolo, a causa del laran... o i suoi schiavi? Uno schiavo è uno schiavo anche se, per il suo lavoro con il
laran, il popolo che serve lo circonda d'ogni lusso e s'inchina a ogni sua parola. Una classe protetta diviene rapidamente una classe sfruttata e sfruttatrice. Bastava pensare alle donne. Il cancello del Quartier Generale terrestre torreggiava davanti a me. Di guardia c'era uno spaziale vestito di cuoio nero. Diedi il mio nome e la guardia usò il comunicatore; riconobbero che ero lì per un motivo legittimo e mi lasciarono entrare. Mio padre si era dato da fare per assicurarmi la doppia cittadinanza, e del resto i terrestri sostenevano che Darkover era una loro colonia perduta, il che significava che faceva parte della loro politica concedere la cittadinanza a chiunque si prendesse il disturbo di chiederla. Non mi ero mai degnato di votare per un rappresentante al Senato o al Parlamento imperiale, ma avevo il sospetto che Lerrys non avesse mai mancato di farlo. Non avevo molta fiducia nei governi parlamentari... tendono a scegliere non già l'uomo migliore, ma quello che sa incantare la massa più numerosa, e in generale le maggioranze tendono ad avere torto, come dimostrano la lunga storia della cultura e il continuo ricorrere di certi tipi di schiavitù e di bigotteria religiosa. Non mi andava che fosse l'Impero a prendere decisioni per Darkover; e perché, per i nove inferni di Zandru o per i quattrocento mondi conosciuti e abitati dell'Impero - i Darkovani dovevano avere voce in capitolo nelle decisioni che riguardavano mondi come Vainwal? Anche nei piccoli gruppi, come il Consiglio dei Comyn, i politici sono uomini che pretendono di dire ai loro simili che cosa devono fare; e quindi sono criminali, in fondo. Ci pensavo raramente, e preferivo così. Mio padre aveva tentato molte volte, di farmi notare le lacune di questo ragionamento, ma io avevo avuto cose migliori da fare, nella mia vita, che non occuparmi di politica. Cose migliori? Avevo fatto qualcosa della mia vita? In fondo alla mia mente mi parve di sentire un borbottio ben noto. Tenni risolutamente distolti i miei pensieri, sapendo che se mi fossi concentrato, sarebbe stato il clamore della voce di mio padre, l'assillo della matrice Sharra... no. Non volevo pensarci. Il matrimonio era una linea in un computer, niente di più. Occupazione? Quando ero partito da Darkover, drogato e semivivo dopo essere stato ustionato dai fuochi di Sharra, mio padre aveva dovuto dichiarare la sua occupazione e, per entrambi, aveva detto «meccanico delle matrici». Che scherzo! Avrebbe potuto definirsi «allevatore» - Armida produce circa un ventesimo dei cavalli delle colline di Kilghard - oppure «militare», come comandante delle Guardie; o dato il posto che aveva in Consiglio, avrebbe
potuto rivendicare un rango eguale a quello di un senatore o di un parlamentare. Ma poiché conosceva l'importanza mistica che i terrestri attribuiscono alla nostra tecnologia delle matrici, aveva scelto per sé «tecnico delle matrici» e per me «meccanico». Che scherzo! Io non potevo controllare neppure un sassolino proveniente dalle grotte del popolo delle forge! Ora che la mia matrice era ancora adombrata da Sharra... Su Darkover c'erano ancora tecnici e Custodi. Forse avrei potuto essere liberato... ma più tardi, più tardi. I guai in corso erano già abbastanza preoccupanti. Lewis-Kennard Montray-Lanart, Nobile Alton, residente su Cottman Quattro - è così che l'Impero chiama Darkover - occupazione, meccanico delle matrici, abitante ad Armida tra le colline di Kilghard, residenza temporanea... diedi il numero della via e della piazza della casa di città. Ch'io fossi dannato se volevo coinvolgere Castel Comyn! Nome della moglie: Diatima Ridenow-Montray. Secondo nome della moglie. Non credevo che l'avesse, dissi. Ero sicuro che l'avesse, invece, e che probabilmente non lo usasse. Metà dei Ridenow di Serrais chiamavano le figlie Cassilda, forse perché c'era qualche dubbio circa la loro posizione come autentici discendenti di Hastur e Cassilda, che del resto con ogni probabilità non erano mai esistiti. Residenza della moglie. Bene, era certamente affidata alla custodia del fratello, quindi diedi l'indirizzo della tenuta di Serrais, dove avrebbero dovuto vivere tutti i Ridenow, e mi augurai di cuore che fossero là. Ragione per lo scioglimento del matrimonio? A questo punto mi fermai; non sapevo che cosa dire. E l'impiegato, il quale si comportava come se vi fossero ogni giorno cento amori finiti male - e tra la popolazione dell'Impero era probabilmente così - mi disse in tono irritato che dovevo indicare una ragione per lo scioglimento del matrimonio. Bene, non potevo dire che il fratello di mia moglie aveva minacciato di uccidermi se non l'avessi chiesto! L'impiegato suggerì: — Sterilità, se entrambi desiderate avere figli; impotenza, differenze inconciliabili tra i modi di vivere; abbandono... Questo poteva andare; lei mi aveva abbandonato. Ma l'impiegato continuò a recitare l'elenco. — Allergia al pianeta o alla residenza dell'altro; mancato mantenimento dei figli nati dal matrimonio; incapacità di generare figli vitali se entrambi desiderate prole... — Ecco — dissi, sebbene sapessi che, in linea di principio, questo e la sterilità venissero raramente indicati come cause di divorzio; di solito si citavano ragioni meno offensive, per mutuo consenso, come l'abbandono o
le differenze inconciliabili tra i modi di vivere. Ma Dia l'aveva voluto, e avrei detto la vera ragione. Lentamente, l'impiegato tradusse tutto in codice per il computer; adesso era registrato che io ero incapace di generare figli vitali. Bene, doveva essere documentato nell'archivio di quell'ospedale terrestre su Vainwal... ciò che Dia aveva partorito la notte del disastro. Repressi l'immagine tormentata di Dia che mi sorrideva mentre parlava di nostro figlio... no. Era finita. Lei voleva liberarsi di me, e io non mi sarei aggrappato a una donna che aveva ogni motivo di disprezzarmi. Mentre l'impiegato finiva con i dettagli, suonò un comunicatore. Rispose e alzò la testa. — Signor Montray, se vuole fermarsi nell'ufficio del Legato, prima di uscire... — Il Legato? — chiesi, inarcando le sopracciglia. Avevo visto una sola volta il Legato terrestre, un pomposo funzionario che si chiamava Ramsat, quando avevo assistito a una conferenza mentre io ero Guardia d'Onore; ero ancora uno degli ufficiali di mio padre, allora. Forse anche lui voleva farmi le condoglianze per la morte di mio padre, quel tipo di formalità priva di senso che non era limitata a Darkover o alla Terra. L'impiegato disse: — Ecco, è fatto. — E io vidi il nostro matrimonio, il nostro amore, ridotto a poche righe stampate, immagazzinate in un computer. Quel pensiero mi riempì di ripugnanza. — È tutto? — A meno che sua moglie contesti il divorzio entro una decade — disse l'impiegato, e io sorrisi amaramente. Lei non l'avrebbe fatto. Avevo causato già abbastanza sovvertimenti nella sua vita; non potevo biasimarla se non voleva più saperne. L'impiegato m'indicò l'ufficio del Legato, ma quando vi arrivai (augurandomi di avere messo la mano artificiale, a causa di tutte le occhiate che mi venivano rivolte), scoprii che il Legato non era l'uomo che ricordavo. Questo si chiamava Dan Lawton. Lo conoscevo superficialmente. Anzi, era un mio lontano parente, e imparentato più strettamente con Dyan... il quale era, dopotutto, cugino di mio padre. La storia di Lawton era abbastanza simile alla mia, ma all'incontrano: il padre terrestre, la madre che era parente dei Comyn. Se avesse voluto, avrebbe potuto rivendicare un seggio in Consiglio; ma aveva deciso altrimenti. Era alto e magro, con i capelli più vicini dei miei al rosso dei Comyn. Il suo saluto fu amichevole, non esageratamente cordiale e, con
mio grande sollievo, non mi tese la mano; è un'usanza che disprezzavo, soprattutto da quando non avevo più una mano da porgere. Tuttavia, non eluse i miei occhi; non sono molti gli uomini che possono o vogliono guardare negli occhi un telepate. — Ho saputo di suo padre — disse. — Immagino che non ne potrà più delle condoglianze ufficiali, ma lo conoscevo e lo stimavo. Dunque è stato sulla Terra. Le piace? Risposi, nervosamente: — Vuole insinuare che avrei fatto meglio a restarci? Lawton scrollò la testa. — È affar suo. Adesso è il Signore di Armida no? — Credo. Spetta al Consiglio confermarmi. — Ci farebbe comodo avere amici in Consiglio — disse lui. — Non intendo spie; intendo persone che capiscano il nostro modo di esistere e non pensino automaticamente che tutti i terrestri sono mostri. Danvan Hastur diede disposizioni perché suo fratello minore venisse educato qui al Quartier Generale terrestre. Ha ricevuto la stessa istruzione che avrebbe avuto il figlio d'un senatore: politica, storia, matematica, lingue... potrebbe incoraggiarlo a continuare, quando sarà abbastanza cresciuto. Ho sempre sperato che suo padre richiedesse un seggio nel Senato imperiale, ma non ero mai riuscito a convincerlo. Forse suo fratello... — Sarebbe una strada buona per Marius, se il Consiglio non lo accettasse come mio Erede ufficiale — risposi, temporeggiando. Aveva senza dubbio più senso che metterlo a capo delle Guardie. Quella era una carica che Gabriel desiderava conservare, ed era l'uomo adatto. — Gliene parlerò. — Prima di essere eleggibile al Senato imperiale — disse Lawton, — dovrà vivere almeno su tre pianeti diversi, un anno ciascuno, e dimostrare di capire le diverse culture. Non è troppo presto per incominciare a organizzarsi. Se a suo fratello interessa, potrei fargli assegnare un incarico diplomatico da qualche parte... su Samarra, forse. O su Megaera. Non sapevo se a Marius interessava la politica. Lo dissi, e soggiunsi che glielo avrei chiesto. Per mio fratello poteva essere un'alternativa passabile. E non avrò bisogno di esaminarlo per il Dono degli Alton, non avrò bisogno di fargli correre il rischio di morire per opera mia... come mio padre aveva rischiato con me... — Anche lui è meccanico delle matrici? Scossi il capo. — Non credo. Non so neppure se è un telepate. — Vi sono telepati su alcuni mondi — disse Lawton. — Non molti. E
questa è l'unica cultura dove sono considerati normali. Ma se preferisse un mondo dove la popolazione accetta naturalmente i poteri telepatici e psi... — Glielo chiederò. — Speravo che, quando avrei affrontato l'argomento, Marius non pensasse che stavo cercando di sbarazzarmi di lui. Nella storia, i fratelli erano alleati; in pratica, troppo spesso erano rivali. Marius doveva sapere quanto ero poco disposto a disputargli il Dominio! Feci per alzarmi. — C'è altro? — Per la verità sì — disse Lawton. — Che cosa ne sa di un uomo chiamato Raymon Kadarin? Trasalii. Sapevo troppe cose del maledetto traditore Kadarin che un tempo era stato un amico, quasi un fratello; che aveva portato la matrice Sharra dalle forge, l'aveva consegnata a me, mi aveva causato quelle cicatrici, aveva costretto Marjorie a tentare di gestire il potere di Sharra... No! M'imposi di non pensare all'accaduto. Strinsi i denti. — È morto. — Lo credevamo anche noi — disse Lawton. — E dovrebbe essere morto, secondo il corso della natura e del tempo. Faceva parte del servizio segreto terrestre molto prima che io nascessi... diavolo, prima che nascesse mio nonno, il che significa probabilmente che ha cent'anni o anche di più. Ricordavo gli occhi grigi, incolori... c'era il sangue dei chieri tra gli Heller, come c'era stato in Thyra, nella stessa Marjorie, nella sua sconosciuta madre. E i montanari, con il sangue chieri semiumano, erano anormalmente longevi, come lo erano stati alcuni dei vecchi re Hastur. — È morto comunque, se mi attraversa la strada — dissi. — La sua vita è mia, dove e come potrò togliergliela; se lo vedrò, l'avverto, l'ucciderò come un cane. — Una faida di sangue? — chiese Lawton. E io dissi: — Sì. — Era uno dei pochi terrestri che potevano capire. Una faida di sangue irrisolta trascende ogni altro obbligo, tra le montagne... Se fosse stato necessario, avrei potuto sospendere il procedimento ufficiale per la rivendicazione del Dominio di Alton parlando d'una faida di sangue alla vecchia maniera. Avrei dovuto ucciderlo prima... Credevo che fosse morto. Ero stato lontano da Darkover, dimenticando il mìo dovere e il mio onore... L'avevo creduto già morto... e una voce mormorò nella mia mente, pronta a ruggire di nuovo... Il mio ultimo comando... ritorna a Darkover, lotta per i diritti di tuo fratello... il Dominio di Alton non poteva sopravvivere con l'onda di una faida di sangue irrisolta... — Che cosa le fa pensare che sia vivo? — chiesi. — E perché mi chiede di lui? Sono stato lontano da Darkover, in ogni caso, e anche se non fosse
così, molto difficilmente si nasconderebbe sotto il mio mantello! — Nessuno l'ha accusata di dargli rifugio — ribatté Lawton. — Ma mi risulta che foste alleati durante la ribellione e gli incidenti di Sharra, quando bruciò Caer Donn... Mi affrettai a rispondere, per evitare altre domande: — Senza dubbio avrà saputo una parte della storia da Beltran... — No. Non ho mai conosciuto l'attuale Nobile Aldaran — disse Lawton, — anche se una volta l'ho visto. Sapeva che le somiglia notevolmente? Siete cugini, no? Annuii. Ho visto diversi gemelli che si somigliavano meno di me e Beltran. E c'era stato un tempo in cui quella rassomiglianza mi aveva fatto piacere. Dissi, toccandomi le cicatrici sul viso: — Ora non siamo più molto simili. — Comunque, a prima vista, chi vi conosce potrebbe scambiarvi l'uno per l'altro — disse Lawton. — Mezzo grammo di cosmetico coprirebbe le cicatrici. Ma questo non c'entra... Che cosa aveva a che fare Kadarin con Beltran e con lei? Gli raccontai laconicamente e freddamente la storia. Spronato da Beltran di Aldaran, quando il Nobile Aldaran - che era il mio prozio - stava morendo, il vecchio che si faceva chiamare Kadarin aveva portato la matrice Sharra dal popolo delle forge. — Il nome Kadarin è una sfida — dissi. — Negli Heller, ogni bastardo è chiamato «figlio dei Kadarin», e lui ha adottato quel nome. — Era uno dei nostri agenti segreti migliori, prima che lasciasse il servizio — disse Lawton. — O almeno così afferma la documentazione. A quei tempi io andavo ancora a scuola. Comunque, c'era una taglia sulla sua testa... aveva prestato servizio su Wolf; nessuno sapeva che fosse tornato a Darkover prima che scoppiasse il disastro di Sharra. Lottai contro un ricordo: Kadarin, magro, con quel sorriso da lupo, che mi parlava dei suoi viaggi nell'Impero; e io l'avevo ascoltato, affascinato come un ragazzino. E anche Marjorie, Marjorie... Il tempo slittò per un momento, e io camminavo per le vie d'una città che adesso era un mucchio di macerie bruciate, e tenevo per mano una ragazza sorridente dagli occhi d'ambra... e avevamo in comune un sogno che avrebbe potuto unificare terrestri e darkovani come eguali. Riferii la storia seccamente, come potei. — Beltran, come Kadarin, aveva un piano: formare un cerchio intorno a una delle vecchie matrici d'alto livello; mostrare ai terrestri che avevamo
una tecnologia, una scienza nostra. Era una delle matrici che potevano alimentare gli aerei, estrarre i metalli... pensavamo di offrirla all'Impero, quando avessimo imparato a dominarla, in cambio di alcune scienze terrestri. Formammo un cerchio... un cerchio come nelle Torri, ma senza una Torre, un cerchio di meccanici... — Non sono esperto di tecnologia delle matrici — disse Lawton. — Ma qualcosa ne so. Continui. Soltanto lei, Kadarin e Beltran, o c'erano altri? Scrollai la testa. — La sorellastra di Beltran, Thyra; si diceva che sua madre fosse una chieri, una trovatella del popolo della foresta. Lei... la chieri, non ricordo il nome, aveva avuto anche due figli da uno degli ufficiali terrestri del Nobile Aldaran, un certo capitano Scott. — Conosco suo figlio — disse Lawton. — Rafael Scott... era uno di voi? Non poteva avere più di nove o dieci anni, vero? Avevate coinvolto un bambino in una cosa simile? — Rafe aveva dodici anni — risposi. — E il suo laran si era destato, altrimenti non avrebbe potuto essere uno di noi. Conosce abbastanza Darkover per sapere che se un ragazzo è abbastanza grande per svolgere le funzioni di un uomo o di una donna, allora è abbastanza grande e nessuno discute. So che voi terrestri tendete a tenere i giovani sotto protezione quando sono già cresciuti; ma noi non lo facciamo. Dobbiamo discutere le consuetudini sociali? Rafe era uno di noi. E lo era anche Thyra, e la sorella di Rafe, Marjorie. — M'interruppi. Non potevo parlare di Marjorie, ora, con le vecchie ferite riaperte. — La matrice sfuggì al controllo. Metà Caer Donn s'incendiò. Immagino che lei lo sappia. Marjorie morì. Io... — Alzai le spalle, agitando leggermente il moncherino. — Rafe non sembrava averne sofferto, quando l'ho visto l'ultima volta. Ma credevo che Kadarin e Thyra fossero morti entrambi. — Non so la donna — disse Lawton. — Non ne no saputo nulla. Non la riconoscerei neppure se entrasse in questo ufficio. Ma Kadarin è vivo. È stato visto a Thendara meno d'una decade fa. — Se è vivo, è viva anche lei — disse. — Kadarin sarebbe morto, prima di permettere che le accadesse qualcosa di male. — Il rimorso mi artigliò di nuovo: come io avrei dovuto morire prima che Marjorie, Marjorie... E poi venne un pensiero inquietante. Thyra era un Aldaran, non soltanto una chieri. Aveva previsto il ritorno di Sharra a Darkover... ed era venuta a Thendara, trascinata da quell'attrazione irresistibile, prima ancora che io sapessi che avrei riportato la matrice?
Non eravamo altro che pedine di quella maledetta cosa? Lawton chiese: — Che cos'è Sharra? Soltanto una matrice...? — Lo è, certamente — dissi. — Una matrice di livello altissimo, nono o decimo... — E anticipai la domanda. — In generale, una matrice del nono livello è tale che può essere controllata e usata soltanto da un minimo di nove telepati qualificati, al livello di meccanico. — Ma mi sembra di capire che è qualcosa di più... — Sì — dissi io. — Probabilmente è... non so bene cosa sia. Il popolo delle forge pensava che fosse il talismano che controllava una Dea, la Dea che portava loro il fuoco... Lawton disse: — Non le ho chiesto di parlarmi delle superstizioni darkovane su Sharra. Ho sentito le leggende della chioma di fuoco... — Non è una leggenda — dissi. — Lei non era presente quando bruciò Caer Donn, vero? Sharra apparve... e incendiò le navi... Irrequieto, Lawton obiettò: — Ipnotismo. Allucinazione. — Ma il fuoco era reale — dissi. — E mi creda, anche la Forma di Fuoco lo è. — Chiusi gli occhi, come se potessi vederla davanti a me, come se la mia matrice fosse sintonizzata sulle fiamme in quella matrice più grande e più antica... Forse Lawton aveva un po' di laran; non ne sono mai stato sicuro. Molti terrestri l'hanno, senza sapere cosa sia e senza sapere come usarlo. Chiese: — Ritiene che Kadarin sia venuto a Thendara perché lei è qui? Per cercare di recuperare la matrice Sharra? Era ciò che temevo. Era ciò che temevo più di ogni altra cosa: la matrice, di nuovo nelle mani di Kadarin... ... e io, schiavo involontario della matrice, che bruciavo e bruciavo, vincolato alla forma di fuoco... — Lo ucciderei, prima di permettere che questo avvenisse — risposi. Lo sguardo di Lawton si fissò sulla mia unica mano più a lungo di quanto lo permettesse la cortesia. Poi disse: — Nell'Impero c'è una taglia sulla testa di Kadarin. E lei è cittadino dell'Impero. Se vuole, le consegnerò un'arma per proteggersi da un criminale condannato a morte, e le darò l'autorizzazione a ucciderlo. A mia eterna vergogna, devo dire che presi in considerazione quella proposta. Avevo paura di Kadarin. E l'etica del Patto - una volta mio padre l'aveva detto, cinicamente - si sgretola di fronte alla paura o all'interesse personale. Il padre di Regis Hastur, vent'anni prima, era morto lasciando il Dominio a un figlio non ancora nato, perché certi ribelli avevano accettato
armi di contrabbando per ragioni che, sono sicuro, ritenevano abbastanza importanti per controbilanciare la devozione al Patto. Poi dissi, con un brivido: — Non ci pensi neppure. Non sono più molto abile a maneggiare una spada, ma non credo che saprei sparare abbastanza bene perché ne valesse la pena. Mi batterò con lui, se sarà necessario. Se vorrà prendere la matrice Sharra, dovrà passare sul mio cadavere. — Il suo cadavere non ci servirebbe a molto se Kadarin s'impadronisse della matrice Sharra — rispose Lawton, spazientito. — E in questo momento non sto pensando al suo onore o al Consiglio. Sarebbe disposto a trasferirsi, con la matrice, nella Zona Terrestre, in modo che possiamo proteggerla con armi efficaci? Era una questione darkovana. Dovevo nascondermi dietro i terrestri, farmi proteggere dalle loro armi e dai loro disintegratori, le armi dei vigliacchi? — Lei è uno sciocco ostinato — disse Lawton, senza irritarsi. — Non posso costringerla. Ma sia prudente, maledizione. Sia prudente, Lew. — Era la prima volta che mi chiamava per nome e, nonostante la mia collera, mi sentii riscaldato. Avevo bisogno di amici, anche terrestri. E rispettavo quell'uomo. Lui disse: — Se cambiasse idea, o volesse una pistola o una guardia del corpo armata di pistola, me lo dica. Noi abbiamo bisogno di amici nel Consiglio, lo ricordi. Dissi, con riluttanza: — Non posso promettere d'essere vostro amico, Lawton. Lui annuì. — Capisco. Ma... — Esitò e mi guardò negli occhi. — Ma posso prometterle d'essere amico suo. Lo ricordi, se ne avrà bisogno. E la mia offerta resta valida. Ci pensai mentre uscivo e scendevo con gli ascensori. Fuori il vento era gelido e il cielo era coperto di nubi; più tardi avrebbe nevicato. Ero sorpreso della rapidità con cui stavo ritrovando la sensibilità meteorologica. Neve, nell'alta estate! Non era un caso senza precedenti. Una volta, una nevicata estiva aveva salvato Armida, durante un terribile incendio della foresta, quando metà dei nostri edifici erano bruciati. Ma non era neppure un caso molto comune e, forse, presagiva sfortuna. Ecco, questa non sarebbe stata una sorpresa. Non mi fermai a guardare le astronavi. Ne avevo viste anche troppe. In fretta, drappeggiandomi il mantello intorno alle spalle per proteggermi dal freddo, mi avviai per le vie. Dovevo tornare al più presto possibile negli
appartamenti degli Alton a Castel Comyn, per stabilirne il possesso, e dimostrare che mi consideravo il capo legittimo del Dominio degli Alton, il Nobile Armida. E la matrice Sharra, che avevo lasciata nella casa di città, protetta solo dal fatto che nessuno sapesse dov'era... anche quella sarebbe stata più al sicuro a Castel Comyn. Meglio ancora, avrei dovuto portarla alla Torre dei Comyn e chiedere a mia cugina Callina, che adesso era Custode per conto della vecchissima Ashara, di metterla nel laboratorio, sotto un blocco speciale. Kadarin avrebbe potuto entrare nella casa di città, forse avrebbe potuto addirittura penetrare nel Castello, ma non credevo che potesse fare irruzione in un laboratorio bloccato da una matrice nella Torre dei Comyn, sotto la tutela di un Custode. Ma se fosse riuscito a farlo, saremmo stati tutti spacciati, e nulla avrebbe più avuto importanza. Quando ebbi preso questa decisione mi sentii meglio. Era piacevole respirare... non gli odori meccanici della Zona Terrestre, ma gli odori puliti e naturali della mia parte della città; le spezie d'una cucina, il calore di una fucina dove qualcuno stava ferrando un gruppo di animali da soma; un drappello di Rinunciati, con i capelli tagliati così corti che era difficile capire se erano uomini o donne, avvolti nelle voluminose vesti da viaggio, che si preparavano a una spedizione tra le colline; una dama velata e imbacuccata su una portantina. L'odore pulito degli animali, gli aromi freschi delle piante da giardino. Thendara era una città bellissima, anche se avrei preferito trovarmi fra le colline di Kilghard... Potevo andarci. Ero proprietario di tenute che avevano bisogno di me. Adesso Armida era mia... la mia casa. Ma era la stagione del Consiglio, e la mia presenza era necessaria... Mentre attraversavo una piazza sentii chiamare. Era una pattuglia di giovani guardie. Alzai gli occhi e Dyan Ardais lasciò la pattuglia e mi venne incontro a grandi passi, nell'ondeggiare del mantello. Quell'incontro era l'ultima cosa che desideravo. Da bambino avevo detestato Dyan con tutte le mie forze; crescendo, mi ero chiesto se il mio odio era dovuto in parte al fatto che era stato amico di mio padre, e io, bastardo, solo e senza amici, avevo invidiato ogni attenzione che mio padre aveva rivolto ad altri. La malsana vicinanza tra me e mio padre non era stata tutta opera sua, e adesso lo sapevo. Comunque, Kennard era morto e, in un modo o nell'altro, dovevo liberarmi della sua influenza, della sua voce reale o immaginaria che dominava la mia mente. Dyan era mio parente, era un Comyn, e s'era comportato amichevolmente con mio fratello e mio padre. Perciò lo salutai abbastanza urbanamente,
e lui ricambiò, da Comyn a Comyn. Era la prima volta in vita mia che mi trattava da eguale. Poi abbandonò la formalità e disse: — Devo parlarti, cugino. — Quella parola, un po' più intima di «parente», sembrava gli costasse fatica. Alzai le spalle; non ero molto soddisfatto. La conversazione con Lawton mi aveva reso ancora più irrequieto per quanto riguardava la matrice Sharra; volevo metterla al sicuro prima che qualcuno - e per qualcuno intendevo Kadarin, l'unico che, a quanto sapevo, poteva prenderla - venisse a conoscenza della sua presenza su Darkover tramite il risveglio della sua matrice... e se la mia matrice si era risvegliata, altrettanto poteva essere accaduto alla sua. E quando avesse saputo che Sharra era tornata su Darkover, che cosa avrebbe fatto? Non avevo bisogno di chiederlo. Lo sapevo. — Ecco là una taverna. Vuoi bere con me? Ho bisogno di parlarti, cugino. Esitai. Non sono un grande bevitore. — Per me è presto, ti ringrazio. E ho piuttosto fretta. Non puoi aspettare? — Preferirei di no — disse Dyan. — Ma ti accompagnerò, se vuoi. — Troppo tardi mi resi conto che l'aveva inteso come un gesto amichevole. Alzai le spalle. — Come vuoi. Non conosco molto bene questa parte della città. La taverna era abbastanza pulita e non troppo buia, anche se provai un brivido lungo la schiena mentre entravo nella stanza priva d'illuminazione, seguito da Dyan. Lui, evidentemente, era conosciuto in quel locale, perché lo sguattero gli portò da bere senza chiedere nulla. Dyan versò anche per me, e io tesi la mano per trattenerlo. — Pochissimo, grazie. — Era più un rito che altro; bevemmo insieme e, distrattamente, pensai che se mio padre l'avesse saputo, sarebbe stato lieto di vedermi bere amabilmente in compagnia del suo più vecchio amico. Bene, potevo rendere quell'omaggio alla sua memoria. Dyan notò la mia occhiata, e compresi che condivideva il mio pensiero: bevemmo in silenzio alla pace di mio padre. — Sentiremo la sua mancanza in Consiglio — disse Dyan. — Lui conosceva il modo di vivere dei terrestri e non si lasciava sedurre. Mi chiedo... — Mi fissò un attimo più a lungo di quanto imponesse la cortesia, scrutando la cicatrice e la manica piegata. Ma ormai ero abituato. Dissi: — Non sono affascinato dal modo di vivere dei terrestri... o più esattamente dell'Impero. La Terra... — Alzai le spalle. — È un mondo molto bello, se sopporti di vivere sotto un sole giallo e di vedere i colori tutti sbagliati. C'è
un certo... prestigio... nell'appartenere a un antico ceppo della Terra, o nel vivere là. Ma non mi piaceva. In quanto all'Impero... — Hai vissuto a lungo su Vainwal — disse Dyan. — E non sei un decadente come Lerrys, dedito al piacere e ai... divertimenti esotici. Era quasi una domanda, la sua. Risposi: — Posso vivere senza i lussi dell'Impero. Mio padre pensava che il clima facesse bene alla sua salute. Io... — M'interruppi, chiedendomi perché ero rimasto. Inerzia, stanchezza, la convinzione che un posto valesse l'altro, fino a quando avevo incontrato Dia, e allora ogni posto era bellissimo, purché lei fosse con me. Se Dia me l'avesse chiesto, sarei tornato a Darkover? Probabilmente, se ne avessimo parlato prima che per lei diventasse impossibile viaggiare. Perché non eravamo tornati prima che restasse incinta? Lì, almeno, avrebbe potuto farsi controllare, avremmo avuto un preavviso della tragedia... Mi interruppi. Ciò che era fatto, era fatto. Avevamo fatto del nostro meglio, ignorando la realtà, e non potevo portare anche il peso di quel rimorso, oltre al resto. — Ero rimasto con mio padre. Mi ha chiesto di tornare, prima di morire. È stato il suo ultimo desiderio. — Lo dissi con impaccio, temendo che il clamore ricominciasse nella mia mente, una volta evocato: ma era soltanto un mormorio. — Potresti prendere il posto di Kennard in Consiglio — disse Dyan, — e avere lo stesso potere che aveva lui. Dovetti rabbrividire, perché Dyan continuò, quasi irosamente: — Sei pazzo? C'è bisogno di te in consiglio, purché non ti schieri con i Ridenow e non cerchi di trascinarci tutti nell'Impero! Scrollai la testa. — Non sono un politico, Nobile Dyan. E... senza offesa, vorrei un po' di tempo per valutare la situazione, anziché sentirmi dire dagli altri interessati che cosa dovrei pensare! Mi aspettavo che si infuriasse per il mio atteggiamento, ma Dyan si limitò a sogghignare, quel sogghigno da lupo che, a suo modo, era bello. — Sta bene: almeno, sei capace di pensare. Mentre valuti la situazione, osserva il nostro principe. Ci sono abbastanza precedenti... il Consiglio sapeva che mio padre era pazzo come un kyorebni nel Vento Fantasma, e prese le misure necessarie per strappargli le zanne. Avevano nominato Dyan come reggente per il padre, e durante uno dei suoi intervalli di lucidità, il vecchio Dom Kyril aveva accondisceso. Ma dissi: — Derik non ha nessun parente prossimo. Non è l'unico Elhalyn adulto? — Le sue sorelle sono sposate — disse Dyan. — Anche se, forse, non
tanto vicino alla nobiltà come sarebbe avvenuto se si fosse saputo che uno dei loro mariti avrebbe potuto diventare reggente degli Elhalyn. Il vecchio Hastur vuole mettere Regis al posto di Derik, ma il ragazzo non vuole saperne, e chi può dargli torto? È già abbastanza impegnativo governare Hastur, anche senza una corona. Una corona è un assurdo, di questi tempi, naturalmente. Abbiamo bisogno di un forte Consiglio di eguali. E c'è la Guardia... non che poche dozzine di uomini armati di spade possano far molto contro i terrestri. Ma possono tenere il nostro popolo dalla parte giusta della barricata. — Chi comanda la Guardia, ora? — chiesi, e Dyan scrollò le spalle. — Chiunque. Nessuno. Gabriel, di solito. L'ho fatto io, i primi due anni... Gabriel sembrava un po' giovane. — Ricordavo che Dyan era stato uno degli ufficiali migliori. — Poi è toccato a lui. — Può tenersi la carica — dissi. — Non ho mai avuto molta passione per la vita militare. — Ma è una carica che si accompagna al Dominio — disse Dyan, in tono concitato. — Immagino che saresti disposto a fare il tuo dovere e a comandare la Guardia. — Prima debbo orientarmi — dissi. — E mi incollerii. — Che cos'è più importante? Trovare qualcuno competente per comandare le Guardie oppure qualcuno che abbia il sangue giusto nelle vene? — Sono entrambi fattori importanti — disse Dyan, assolutamente serio. — Soprattutto di questi tempi. Con gli Hastur che ingoiano un Dominio dopo l'altro, Gabriel è esattamente l'uomo meno adatto per comandare le Guardie; dovresti porre la questione e togliergli il comando al più presto possibile. Per poco non scoppiai a ridere. — Porre la questione? Gabriel potrebbe annodarmi come un fiocco per le chiome di sua moglie, anche con una mano sola... — M'interruppi: quella similitudine era particolarmente sgradevole. — Non posso certamente battermi a duello con lui: mi stai suggerendo di farlo assassinare? — Io credo che le Guardie sarebbero fedeli a te, in memoria di tuo padre. — Può darsi. — E se tu non prendessi il comando della Guardia? Che cosa intendi fare? Ritornare ad Armida ad allevare cavalli? — Dyan caricò di disprezzo quelle parole. La sofferenza mi riassalì, ricordando quanto avevo desiderato condurre là mio figlio. — Probabilmente potrei fare di peggio.
— Startene a casa tua a occuparti dei tuoi affari mentre Darkover cade nelle mani dell'Impero? — chiese lui, indignato. — Tanto varrebbe che ti nascondessi dietro le mura di una Torre! Perché non torni ad Arilinn con Jeff... oppure hanno bruciato anche questo? La rabbia m'invase. Come osava, Dyan, facendo appello alla parentela e all'amicizia per mio padre, sondare così vecchie ferite non rimarginate? — Ad Arilinn — dissi, lentamente, — mi hanno insegnato a parlare di queste cose solo con gli esperti. Tu sei un monitore, un meccanico o un tecnico, Nobile Dyan? Avevo sempre pensato che la frase «nero di rabbia» fosse solo un modo di dire; ma ora lo vidi. Vidi il sangue salire, cupo e congestionato, alla faccia di Dyan, fino a quando pensai che sarebbe stramazzato in preda a un colpo apoplettico. Troppo tardi, ricordai: Dyan era stato per breve tempo in una Torre e nessuno, neppure mio padre, sapeva perché l'aveva lasciata. Quello che io avevo inteso come un rimbrotto, un modo per dirgli di tenersi a distanza, era stato interpretato come un insulto personale gravissimo... Un attacco contro il suo punto più debole. — Né monitore né meccanico o tecnico, accidenti a te — disse finalmente, e si alzò rovesciando la sedia. — E neppure solo per le forze di Sharra, maledetto bastardo insolente! Torna ad Armida ad allevare cavalli, o in una Torre, se ti accettano, oppure torna nell'Impero, o vai all'inferno se Zandru è disposto ad accoglierti, ma stai fuori dalla politica del Consiglio... mi hai sentito? Si voltò e se ne andò, e io lo seguii con gli occhi, sgomento. Capivo di aver trasformato un uomo che era stato disposto a diventare mio amico nel più pericoloso dei nemici. V La Torre dei Comyn si ergeva sopra il Castello; faceva parte dell'ampio complesso che guardava Thendara dall'alto, e tuttavia ne era isolata, più antica, incommensurabilmente vecchia, costruita di quell'arenaria rossiccia che, altrimenti, appariva solo nelle decrepite case in rovina della Città Vecchia. Regis non vi si era mai recato prima di quel giorno. Disse al servitore non umano: — Vuoi chiedere a Domna Callina LindirAillard se vuole ricevere Regis Hastur? L'essere lo squadrò per un lungo momento con gli occhi scuri, vigili e intenti; una forma quasi umana, ma Regis non poteva fare a meno di scac-
ciare la sensazione di aver parlato a un grosso cane non troppo amichevole. Aveva visto i kyrri dal pelame argenteo durante il breve soggiorno d'addestramento nella Torre di Neskaya; ma non si era mai abituato alla loro presenza. L'essere l'aveva fissato più a lungo, pensò, di quanto avrebbe fatto un umano. Poi annuì con la lucida testa argentea e si allontanò senza far rumore. Regis si chiese, vagamente, appena consapevolmente, come avrebbe fatto il kyrri a trasmettere il suo messaggio a Callina. L'origine dei kyrri era perduta nelle Ere del Caos... forse avevano fatto parte del mostruoso programma genetico che gli Hastur avevano svolto per secoli, allo scopo di fissare i Doni dei Comyn nelle famiglie dei Sette Dominii. C'erano stati risultati ancora più bizzarri dei kyrri, prodotti dalla genetica modificata per mezzo delle facoltà laran e della tecnologia delle matrici. Eppure avevano un'origine ancora più antica, avevano fatto parte della preistoria della stella di Cottman prima ancora che una colonia terrestre venisse a chiamarla Darkover? Regis sospettava che persino nelle Torri non sapessero con certezza che cos'erano i kyrri e come erano diventati servitori tradizionali. Li accettava come cose normali, aveva imparato a tenersi fuori dalla portata delle dolorose scosse elettriche che erano in grado di impartire quando erano eccitati o minacciati, era stato curato dalle loro strane mani prive di pollici quando sarebbe stato insopportabile avere accanto telepati umani che potevano leggere e contattare la sua mente. Ma tutto questo era alla superficie dei suoi pensieri e non aveva nulla a che fare con il disagio profondo che l'aveva condotto lì; e per un momento si chiese se avrebbe dovuto cercare Callina negli appartamenti degli Aillard, affidandosi alla sua amicizia con Linnell... che, come lui, era stata allevata ad Armida ed era sorella adottiva di Lew e di Marius. Non aveva mai rivolto più di una dozzina di parole a Callina, e sempre in forma ufficiale. A Linnell avrebbe potuto parlare come a una parente, ma Callina era diversa... Custode a Neskaya e poi ad Arilinn, e quindi inviata lì come vice-Custode nella più antica delle Torri, che da molto tempo era inattiva ma ospitava l'antica Ashara. Ashara non aveva mai lasciato la Torre a memoria di essere vivente e... una volta Danvan Hastur gli aveva detto che non l'aveva mai lasciata nella memoria di qualcuno che lui conosceva; e suo nonno si avvicinava ai cento anni. Regis presumeva che quelli del cerchio di Ashara, se aveva un cerchio, e i suoi assistenti dovevano vederla qualche volta... Un tempo doveva essere stata una donna normale; o almeno normale per
quanto lo si poteva dire di qualcuno dei Comyn; e non immortale, ma soltanto longeva come lo erano alcuni degli Hastur. C'era sangue chieri mescolato al sangue dei Dominii. Regis sapeva poco dei chieri, ma si diceva che fossero immortali e bellissimi, e vivessero ancora in una valle remota, dove gli umani non andavano mai. Ma suo nonno dava segno di essere uno degli Hastur il cui regno poteva abbracciare intere generazioni... era una fortuna per i Comyn che Danvan Hastur fosse stato vivo per governare come Reggente in quegli anni turbati... Regis si accorse che i suoi pensieri scivolavano in canali inaspettati, come se un'altra mente avesse toccato brevemente la sua; trasalì, batté le palpebre come se si fosse addormentato in piedi per un momento; si sentì aggricciare la pelle, e qualcosa lo toccò... Provò un vago, profondo senso di nausea. Un'ombra era apparsa sulla soglia... e là c'era Callina Aillard. Non l'aveva vista arrivare. Signore della Luce! imprecò tra sé Regis, sudando. Era rimasto lì, addormentato in piedi, con un sorriso idiota sulla faccia, gli abiti in disordine o peggio? Si sentiva scoperto, disperatamente a disagio. Callina era una Custode, ed era strana. Riuscì a mormorare un saluto ufficiale: — Su serva, Domna... Callina, adesso, non portava le tradizionali vesti rosse che aveva indossato nella Sala di Cristallo, gli abiti cerimoniali che distinguevano una Custode, intoccabile, sacrosanta. Invece, portava una veste lunga di lana azzurra, aderente e accollata, stretta in vita da una cintura di rame, lamine quadrate di metallo prezioso, con una grossa pietra semipreziosa azzurra al centro di ogni riquadro; e i capelli, annodati sulla nuca, erano trattenuti da un inestimabile fermaglio di filigrana di rame. — Vieni con me. Poi potremo parlare, se vuoi. Taci: non disturbare i collegamenti. — La voce di Callina era cosi bassa che faceva appena vibrare l'aria tra loro. Regis la seguì in punta di piedi, come se un passo normale risuonasse come un grido. Attraversarono una grande camera silenziosa e spoglia, con gli schermi dei collegamenti spenti e vitrei e azzurri, e altri oggetti che Regis non riconobbe. Davanti a uno degli schermi c'era una ragazzina, raggomitolata su un sedile morbido. Il viso aveva l'espressione strana, non del tutto presente di una telepate la cui mente era fissata ai collegamenti che comunicavano con altre Torri. Regis non conosceva la ragazza e Callina, naturalmente, non mostrò di notarla: in effetti, soltanto il suo corpo era lì nella stanza con loro. Senza far rumore, Callina aprì una porta in fondo. Entrarono in un piccolo, comodo salotto privato, con divani bassi e poltrone e una grande fine-
stra dai vetri colorati che gettava luci iridescenti tutto intorno; ma fuori era buio, e se non fosse stata alta estate Regis avrebbe pensato che stesse nevicando. Callina chiuse la porta silenziosamente, gli indicò di sedersi e prese posto su un divano, ripiegando le gambe e avvolgendole nella lunga gonna azzurra. Disse, con quella sua voce atona: — Ebbene, Regis, il vecchio Hastur ti ha mandato a chiedermi se accetto la cerimonia delle nozze con Beltran, per risparmiare un imbarazzo al Consiglio? Regis si sentì avvampare: lei gli aveva letto nella mente quando stava immobile, addormentato in piedi? Disse, sinceramente: — No, anche se me ne ha parlato ieri sera a cena. Non credo che avrebbe l'arroganza di chiederlo veramente, Dama Callina. Callina disse, con un sospiro: — Derik è un maledetto stupido. E io non sapevo ciò che quello sciocco di mio fratello stava combinando alle mie spalle, e non immaginavo che Derik fosse tanto stolto da ascoltarlo. Linnell ama Derik: le si spezzerebbe il cuore se venissero separati. Non so come possa volergli bene...! — Callina scrollò la testa, esasperata. — Merryl non si è mai rassegnato all'idea di essere un Aillard, soggetto a un Capo femminile del Dominio. E credo che non si rassegnerà mai. — Mio nonno ha suggerito che potresti accettare la cerimonia... niente altro... pro forma... — disse Regis. — Sarebbe più facile che dire a Beltran ciò che dovrebbe dirgli altrimenti — rispose Callina. — Che queste nozze sono state combinate da un giovane avido di potere e da un principe troppo sciocco per capire che veniva manovrato. — E non dimenticare — disse Regis in tono asciutto, — un reggente troppo pigro o smemorato per tenere saldamente in pugno il principe non molto sveglio. — Credi davvero che sia stata soltanto pigrizia o smemoratezza? — chiese Callina, e Regis disse: — Non voglio pensare che mio nonno possa aver tramato contro il Capo di un Dominio... Poi rammentò una conversazione che aveva avuto con Danilo tre anni prima, come se si fosse svolta quel giorno: e così un Dominio dopo l'altro cade nelle mani degli Hastur; gli Elhalyn sono già sotto la Reggenza di Hastur, e poi gli Aillard, quando Derik sposerà Linnell... e sarà ancora più facile, pensò, se Callina fosse sposata e relegata nel lontano Dominio di Aldaran. E aveva assistito alle macchinazioni di suo nonno contro gli Alton. — No, non poteva tramarlo — disse Callina, con un lieve sorriso. — Ma
poteva restare inerte mentre Merryl e quello sciocco di Derik creavano una situazione tale da obbligarmi ad accettare per non mettere in imbarazzo i Comyn. — Callina, neppure Hastur può far sposare il Capo di un Dominio senza il suo consenso. E tu sei la Custode per Ashara; lei cosa dirà? — Ashara... — Callina tacque un momento, come se il suono stesso del nome suscitasse inquietudine nel suo volto calmo. Sembrava turbata, — Vedo raramente Ashara. Trascorre gran parte del tempo in meditazione. Potrei usare tutto il suo potere in Consiglio, ma ho paura... — S'interruppe a metà della frase. — Tu non sei stato addestrato in una Torre, Regis? Lui scrollò la testa. — Ho avuto l'addestramento indispensabile per gestire il mio Dono senza ammalarmi, ma non sono un telepate potente, e mio nonno aveva bisogno di me a Thendara... o così diceva. — Io credo che tu sia un telepate più potente di quanto creda, parente — disse Callina con aria scettica. Quell'affermazione tranquilla e sicura lo rese irrequieto; aggrottò la fronte, accingendosi a protestare. — Sono inutile nei collegamenti, e non sono riusciti a insegnarmi molto del controllo... — Può darsi — disse lei. — Nelle Torri cerchiamo di scoprire solo quei doni che sono utili nelle loro funzioni: il controllo, l'abilità di restare in rapporto con uno schermo della matrice per l'estrazione dei minerali e la manipolazione dell'energia... di questi tempi, sembra l'unico tipo di laran che le Torri trovano utile. Ma tu stai scoprendo che nel tuo laran c'è più di quanto credessi... non è così, cugino? Regis rabbrividì, come se Callina avesse toccato una piaga che non sapeva di avere. — Faresti meglio a parlarmene — disse lei. — Ho visto come hai captato la presenza di Sharra in Consiglio. Fammi vedere la tua matrice, Regis. Apprensivamente, Regis toccò il sacchetto di velluto, slacciò i cordoni e fece cadere nel palmo della mano il piccolo cristallo azzurro. Era placido, baluginante di piccole luci lontane, e non c'era traccia di fiamme, della devastante Forma di Fuoco... — È sparita! — esclamò Regis, sorpreso. — E ti aspettavi che ci fosse — disse Callina. — Davvero, penso che faresti meglio a dirmi tutto. Regis stava ancora fissando incredulo la matrice. Dopo un momento riuscì a mormorare qualcosa: Javanne era slata imprigionata dall'immagine, e lui, senza pensare, le aveva liberato la mente dalla matrice...
— È stato come... una volta, l'avevo vista disfare un fregio sbagliato in un arazzo... credo che debba essere stato così, anche se non so come si lavorano gli arazzi... — Io lo so — disse Callina. — Ed e esattamente la sensazione che devi aver provato. — Ma che cosa ho fatto? — Regis non si era accorto d'essere tanto impaurito, fino a quando sentì la propria voce tremare. — Come ho potuto farlo? Pensavo... che ci volesse un telepate potente, forse una Custode... per abbinare così le risonanze... — Ci sono stati Custodi maschi nella storia — disse distrattamente Callina. — Abili e potenti. Solo negli ultimi secoli vi sono state solo Custodi donne. E fino a poche generazioni fa, erano rinchiuse, trattate come incantatrici, vergini consacrate, oggetti rituali potentissimi e venerati. — Il suo viso era freddo e ironico. — Ora, naturalmente, in questi tempi illuminati, sappiamo che non è così... oggi una Custode non deve essere altro che il centro dei cerchi delle matrici, quella che tiene gli anelli dell'energon. Regis, hai avuto un addestramento sufficiente, nella Torre, per avere una vaga idea di quello di cui sto parlando? — Penso di sì. Conosco il linguaggio, anche se non credo di capirlo veramente. Non hanno mai pensato che avessi abbastanza forza, come telepate, per permettermi di lavorare in un cerchio; e inoltre c'era bisogno di me qui. Ma se non potevo neppure lavorare come controllore, non avrei certo potuto svolgere il lavoro di un Custode, dato che ero del tutto privo di addestramento, no? — La voce di Regis si spezzò, ma non aveva paura. Callina ne aveva parlato come di un problema tecnico, non come di una strana, terrificante lacuna in lui stesso. — Ma il lavoro di una Custode, di questi tempi, non è altro che ciò che può fare un tecnico, e poteva fare quasi tutto ciò che faceva Elorie di Arilinn, tranne tenere il centro di un cerchio. Credo che Jeff potrebbe farlo, se fosse necessario e se la tradizione glielo permettesse. E tu sei un Hastur, e tua madre era un'Hastur di Elhalyn... cosa sai del Dono degli Hastur, Regis? — Non molto — disse lui, francamente. — Quand'ero bambino, una leronis mi disse che non avevo neppure il laran normale. — Quel ricordo, come sempre, era una stratificazione di sofferenze, la sensazione d'essere indegno di seguire le orme dei suoi progenitori Hastur, e nello stesso tempo la libertà, la libertà dalla strada tracciata per i figli di Hastur, una strada che doveva percorrere, lo volesse o no...
— Ma il tuo laran si è destato... — disse Callina, in tono quasi interrogativo, e Regis annui. Danilo Syrtis, amico, scudiero, fratello giurato, l'ultimo di cui si sapeva che possedesse il quasi estinto dono della telepatia catalizzatrice... Danilo, aveva destato il laran di Regis, gli aveva dato l'eredità dei Comyn: ma non era del tutto una benedizione, perché aveva comportato la perdita della libertà. Ora doveva addossarsi l'onere, assumere l'eredità di tutti gli Hastur, e abbandonare i sogni di liberarsi da tutti quei vincoli insopportabili... Sono stato un buon Erede degli Hastur; ho fatto il mio dovere, ho comandato la Guardia, ho partecipato al Consiglio, ho adottato come mio Erede il figlio di mia sorella. Ho persino dato figli e figlie al clan degli Hastur, anche se non ho voluto sposare le donne che li hanno partoriti... — Io so qualcosa di questi vincoli — disse Callina, e a Regis parve che quella voce spassionata assumesse un tono comprensivo. — Io sono una Custode, Regis, non una Custode nel senso nuovo, una tecnica altamente specializzata, ma una Custode nel senso antico; fui addestrata sotto Elorie di Arilinn. Era la sorellastra di Dyan, lo sai... Cleindori, Dorilys di Arilinn, liberò le Custodi riducendo le vecchie superstizioni a ciò che oggi chiamano la scienza della meccanica delle matrici, e oggi le Custodi non sono più costrette a rinunciare alla loro vita, a vivere come vergini recluse... ma io ero stata addestrata alla vecchia maniera, Regis, e dopo che ebbi prestato servizio ad Arilinn e a Neskaya venni qui perché ero l'unica donna nei Dominii che fosse stata addestrata con l'antico sistema e fosse ancora vergine, perché non avevo mai avuto il desiderio di sposarmi o di lasciare il mio posto sia pure per pochi anni, per prendermi un marito o un amante... — Il sorriso di Callina era fievole, quasi assente. — Ero contenta del mio lavoro, e non avevo mai incontrato un uomo che potesse indurmi ad abbandonare la vocazione. Perciò fui mandata a prestare servizio agli ordini di Ashara, io che ero capo di un Dominio... semplicemente perché ero ciò che ero. — Per un momento parve che vi fosse terrore nei suoi occhi, e Regis si chiese: ha tanta paura di Ashara? La paura sembrava un'emozione inverosimile per una Custode. Di che cosa potevano aver paura le donne? Non avrebbero dovuto combattere nelle prossime guerre, sarebbero rimaste protette, al sicuro... Callina chiese: — Che cosa sai del Dono degli Hastur? — Di nuovo, con insistenza. — Non molto, come ti ho detto. Sono cresciuto convinto di non aver neppure il normale laran...
— Ma qualunque sia, in te è latente — mormorò lei. Regis chiese bruscamente: — Tu sai qual è il Dono degli Hastur? Mordendosi le labbra, Callina rispose: — Ashara deve saperlo... — E Regis si chiese che cosa c'entrava. Quasi parlando a se stessa, lei continuò: — Il Dono degli Ardais: telepatia catalizzatrice, la capacità di destare il laran negli altri. I Ridenow sono i migliori monitori perché hanno l'empatia... i Doni sono tutti così confusi, ormai, dai matrimoni misti e dalle nozze con i non-telepati, che è raro trovare la forza piena di qualcuno dei vecchi Doni. E ci sono tante superstizioni e tradizioni che offuscano la conoscenza chiara dei Doni... secondo una tradizione, il Dono originale degli Hastur può essere stato quello che le Custodi acquisiscono con l'addestramento: la capacità di operare con altre matrici, senza le complesse salvaguardie di cui hanno bisogno le Custodi. Originariamente la parola Custode... — Callina usò il termine casta, tenerésteis, - significava uno che detiene, uno che vigila... un Custode, nei termini più semplici, escludendo la funzione di operare al centro degli anelli d'energon, è chi mantiene le altre matrici del gruppo in risonanza comune; è l'abilità speciale di operare con altre matrici, non soltanto con la propria. Come ho detto, alcuni tecnici d'alto livello possono farlo. Mi chiedo... — Callina esitò un attimo, poi disse: — Gli Hastur, in generale, sono molto longevi e maturano tardi. Il normale laran, in te, si è destato tardi... avevi quindici anni, no? E forse era solo il primo preannuncio del laran che avrai alla fine. Quanti anni hai ora? Ventuno? Ciò significherebbe che la tua matrice si destò all'incirca al tempo della crisi di Sharra... — Ero tra le montagne, allora; e la mia matrice fu adombrata, come tutte le matrici nelle vicinanze di Sharra — disse Regis. E inoltre era passato attraverso un'intollerabile crisi personale, con il destarsi della sua eredità; la sua decisione di accettare se stesso com'era, e non come volevano che fosse suo nonno e i Comyn; accettare la conoscenza di sé e l'onere indesiderato degli Hastur, oppure seppellire tutto, vivere una vita senza l'una e senza l'altro, una vita senza comprensione e senza pesi, senza laran e senza responsabilità. Ma adesso c'era questa nuova dimensione del suo laran, e non poteva neppure intuire quali altri oneri gli avrebbe imposto. — Vorrei esserne sicura — disse Callina. — Mentre tu eri fra le montagne, durante la ribellione di Sharra, la tua matrice fu adombrata; non potevi usarla a causa di... di ciò che vidi in quella di Lew, a quel tempo: la Forma di Fuoco. Ma più tardi, quando Sharra era lontana da Darkover...
— Era limpida — disse Regis. — E ho imparato a usare la mia matrice, senza segno di Sharra. Solo quando Lew ha riportato su Darkover la matrice Sharra... Lei annuì. — Eppure hai schiarito la tua matrice — disse. — Sarà abbastanza facile vedere se hai talento naturale per le funzioni di un Custode. — Estrasse la sua matrice dal minuscolo sacchetto di cuoio che portava al collo. La tenne nel palmo della mano e disse: — Puoi abbinare le risonanze e toccarla senza farmi male? Regis distolse gli occhi, deglutendo; la sua mente era piena del ricordo di quel giorno, a Castel Aldaran, quando aveva visto Kadarin togliere a Lew la matrice e farlo crollare sul pavimento in preda a convulsioni violente, demenziali... Mormorò: — Non saprei dove cominciare. E avrei paura di tentare. Potrei... potrei ucciderti. Callina scrollò la testa. — No, non potresti, qui, con tutte le protezioni che ho — disse. — Tenta. La sua voce era sommessa e indifferente, ma era un ordine; e Regis, sudando, cercò di immaginare se stesso nel cristallo azzurro che stava sul palmo di Callina. Tentò di ricordare come era entrato nella mente di Javanne, protendendosi per distaccarla dalla matrice, come se fossero stati i fili intrecciati di un arazzo... Sentì una forza strana e spiacevole opporsi alla sua mente e si mosse con ribrezzo. Era Callina? Alzò gli occhi, esitante, incapace di riconciliare quella forza gelida con la donna gentile e sorridente che gli dava davanti. — Non... non posso — disse. — Non pensare a me! Abbina le risonanze con la matrice, ho detto! È assurdo. Conosco Callina da sempre. È assurdo avere paura di lei! Regis si protese di nuovo, incerto, sentì la pulsante forza vitale, i suoi pensieri velati... Callina aveva la barriera più forte che avesse mai incontrato: doveva essere così perché era una Custode. Captò soltanto frammenti, la luce che le feriva gli occhi entrando da una finestra, la coscienza sublimale della sua presenza, Regis è un bel ragazzo... come era stanco di quella reazione da parte delle donne... Sentì di nuovo il pulsare della matrice, tentò di adattarvi il suo respiro... Un viso si impresse leggero nella sua mente, freddo, distante, facendolo rabbrividire come se fosse nudo al gelo... bellissimo, terribile, alieno... Bandì quel volto e la paura, e s'impose a forza nella matrice, sentendo la risonanza, la fredda vita della pietra, le luci splendenti in armonia con il suo respiro, il sangue nelle sue vene... Si protese, senza essere consapevole del movimento, e chiuse le dita, solle-
vandola con leggerezza dalla mano di Callina... occhi distanti e freddi, grigi e incolori come il metallo... Mari freddi che inondavano la sua mente... La sofferenza squarciò la mente di Callina, e Regis lasciò prontamente la matrice, rimettendola nella mano di lei. Callina batté le palpebre, e Regis sentì che controllava la fitta di dolore. — Bene, hai il talento... ma non so fin dove arrivi. Ho visto qualcosa, come una visione... — Callina cercava a tentoni le parole; sentì che Regis condivideva quell'incertezza e s'interruppe. Non era affatto come il contatto con Javanne; non era come i contatti avuti con le donne che erano state le sue amanti per breve tempo... Forse perché lei era una Custode, quella fredda cosa aliena nella sua mente, una leronis dei tempi andati, votata alla verginità, a non toccare mai un uomo con un minimo di sessualità? Ma era stata Callina? Gli doleva la testa. Callina disse: — Se puoi fare questo, e se hai potuto schiarire una matrice che aveva toccato Sharra... — Si morse le labbra e Regis vide la sofferenza riapparire sul suo viso. — Hai un dono del quale non sappiamo nulla. Forse può essere utile... — E Regis captò le parole che lei esitava a dire: «Forse può servire a controllare la matrice Sharra, a liberare il figlio di Kennard dal dominio di quella... di quella cosa terribile...» Un secondo di terrore; qualcosa di avido, di famelico, che si tendeva... Poi sparì. Ma c'era mai stato? — Vai a dire a Lew Alton che dovrebbe portare la matrice qui, dove sarà al sicuro... non c'è tempo da perdere. Forse potrai aiutare a liberarlo... — Avrei paura di tentare — disse Regis, scosso. — Ma non devi aver paura — disse Callina, imperiosamente. — Se hai questo Dono... — E Regis sentì che lei non lo vedeva come un essere umano, come Regis, ma solo come un Dono, uno strano e sconcertante problema per un tecnico delle matrici, qualcosa da risolvere e districare. Lo turbava; per un momento avrebbe voluto costringerla a vederlo come un umano, come un uomo; lei era tutta freddo distacco, e la donna che era in lei era repressa, con il viso freddo e statico, e per un istante Regis ricordò la strana faccia che gli aveva attraversato la mente come una visione nella matrice... Anche quella era Callina? Quale era reale? E poi, così rapidamente che non avevo potuto esserne sicuro, era sparito, e Callina era soltanto una donna fragile, snella, turbata, in una veste di lana azzurra, che lo guardava e si premeva le mani sulle tempie come se le dolessero. — Lei disse: — Ora devi andare, ma fai in modo che la matrice Sharra venga portata qui... — E aprì la porta della sala del collegamento. Ma men-
tre l'attraversavano, la ragazzina raggomitolata davanti allo schermo alzò la testa e fece un cenno, e Callina, indicando a Regis di passare nell'anticamera, le si avvicinò silenziosamente. Dopo pochi minuti raggiunse Regis. Era pallidissima e sembrava stordita. — È peggio di quanto pensassi — disse. — Lilla ha ricevuto notizie attraverso i collegamenti... Beltran è partito. E sta viaggiando con una scorta abbastanza numerosa per poterla chiamare esercito. Sarà qui per la Sera della Festa, qui alle nostre porte, a Thendara. Avarra misericordiosa — mormorò, — questo significherà guerra nei Dominii! Come è possibile che Hastur abbia permesso una cosa simile? Com'è possibile che Merryl mi abbia fatto questo? Mi odia tanto? E Regis non seppe cosa rispondere. Poiché non c'era altro da fare, tornò nel suo appartamento, con la mezza intenzione di affrontare il nonno e di dirgli che il piano di Derik aveva dato frutti inattesi; che poteva significare guerra nei Dominii se Callina avesse rifiutato di fare ciò che volevano. Ma il maggiordomo di suo nonno gli disse che il Reggente era andato a conferire con le cortes, e Regis partì per andare a casa degli Alton. Almeno avrebbe potuto riferire il messaggio: la matrice Sharra sarebbe stata più sicura nella Torre dei Comyn. Ma quando si avvicinò alla casa, vide una figura familiare nelle vesti verdi e nere del Dominio degli Alton. Lew era cambiato, in quegli anni; Regis l'aveva riconosciuto a malapena in Consiglio; ma la sua andatura non era mutata, e adesso Regis lo riconobbe, sebbene gli voltasse le spalle. Regis affrettò il passo per raggiungerlo, esitando a stabilire il vecchio contatto mentale. Ma Lew doveva aver sentito una presenza dietro di lui, perché si voltò e attese che Regis lo raggiungesse. — Bene, Regis, è passato molto tempo. — Sì, cugino — disse Regis, e lo strinse nell'abbraccio di rito fra parenti, premendo la guancia contro la faccia sfregiata. Si scostò e sorrise. — Stavo venendo a cercarti, e ti trovo sulla mia strada... dove stai andando, a quest'ora? — Non è tanto presto — disse Lew, guardando il cielo con occhio esperto. — Non è troppo presto perché Dyan mi abbia offerto da bere... e un litigio! — È meglio non litigare con Dyan — disse Regis, serio. — Come è successo?
Lew sospirò. — Non lo so, di preciso. Qualcosa che mi ha detto... immagino che volesse dirmi «vai all'inferno», «mi hai offeso»... ma sembrava una dichiarazione di guerra. Io... — S'interruppe, turbato. — Vuoi accompagnarmi a casa? Sono irrequieto, senza una ragione. Ma volevo parlarti. — E io ho un messaggio per te da parte della leronis — disse Regis. Cominciò a parlare, poi s'interruppe, sopraffatto dalla convinzione schiacciante che non doveva pronunciare per la strada quel nome di malaugurio, Sharra. Era un nome da pronunciare nell'intimità, in una stanza ben protetta. Invece disse: — Dovresti trasferirti a Castel Comyn, nell'appartamento degli Alton. È normale, nella stagione del Consiglio, e se abiterai nell'alloggio appropriato, per loro sarà più difficile contestare i tuoi diritti... — Ci ho pensato — disse Lew. — I terrestri hanno un detto: il possesso è nove decimi della legge. Ma non credo di dovermi preoccupare di Jeff, e il problema principale potrebbe essere indurli ad accettare Marius come mio Erede. Non so neppure se ha avuto un esame regolare quando aveva tredici anni... non abbiamo avuto il tempo di parlare di queste cose. — Forse non significa nulla anche se ha avuto l'esame — disse Regis. — Ricorda, a me avevano detto che non avevo il laran. — Brevemente, riaffiorò un vecchio ricordo amaro. — Almeno, se risulterà che Marius non ha il laran, non lo manderai a Neversin, vero, perché venga allevato là? — No, a meno che lui voglia andarci — disse amabilmente Lew. — Un ragazzo portato all'erudizione potrebbe apprezzare la possibilità di studiare a Nevarsin, ma ho sentito dire che Marius ha già ricevuto la migliore educazione che i terrestri potessero dargli. Devo ringraziare tuo nonno, per tutto questo. — Non l'ha fatto per compiacerti. Al contrario. — Era stato, ed entrambi lo sapevano, un modo per sottolineare che Marius doveva cercare il suo destino fra i terrestri, non tra la gente di suo padre. — Mentre eri via, immagino che tu abbia imparato molto di ciò che i terrestri hanno da offrire... — Non quanto avrei voluto; sono stato quasi sempre in ospedale — disse Lew, e dietro il volto sfregiato Regis sentì molto di ciò che Lew non gli avrebbe mai detto, la sofferenza e l'accettazione finale della mutilazione. — Ma durante la convalescenza, sì, stavo impazzendo senza avere qualcosa da fare. Ho provato a studiare topografia e rilevamenti; ci sono parti delle colline di Kilghard e quasi tutti gli Heller che non sono mai stati ben esplorati. È meglio che lo facciamo noi, anziché lasciarlo fare ai terrestri perché non vogliamo fare la fatica di insegnare ai nostri i sistemi di misurazione. Sembra assurdo che loro abbiano su Darkover un Servizio Carto-
grafico, e noi no! Regis disse: — Io ho pensato di far educare dai terrestri alcuni dei miei figli. Anche se, immagino, dovrei lottare con mio nonno ad ogni passo. Sarebbe meglio se qualcuno che ha ricevuto un'educazione terrestre - come Marius o come te - li istruisse, anziché mandarli lontano da Darkover o nella Città Commerciale... Lew disse, con quell'improvviso, radiante sorriso che fece dimenticare a Regis, una volta per sempre, lo sfregio sul suo volto: — Io ho vissuto troppo a lungo nell'Impero; mi sembri troppo giovane per avere una famiglia. Ma hai ventun anni, avrei dovuto immaginare che Hastur ti ha fatto sposare ormai da molto tempo. Sarei orgoglioso di adottare i tuoi figli. Chi è tua moglie? Quanti figli... Regis scosse il capo. — Anche questo è un continuo motivo di discussioni con mio nonno. Ma ho adottato il figlio di mia sorella, poco prima che tu lasciassi Darkover... — S'interruppe, esitante, ricordando che Lew non era stato in condizioni di rammentarlo. Ma Lew annuì e disse: — Ricordo. Me lo dicesti ad Aldaran. — Ho un figlio nedestro e due figlie — disse Regis. — Il più grande ha tre anni fra un paio d'anni lo porterò davanti al Consiglio. E Mikhail ha già undici anni. Quando ne avrà dodici, lo condurrò a Thendara e mi occuperò della sua educazione. — Sorrise e disse: — Ho fatto molta esperienza lottando con mio nonno a questo proposito; credo di poter dirigere l'educazione di mio figlio. Non lascerò che cresca nell'ignoranza. — Hai ragione, abbiamo conservato per troppo tempo i vecchi sistemi — disse Lew. — Ricordo che mio padre diceva che, quando aveva quindici anni, era ufficiale delle Guardie ma non sapeva leggere né scrivere, e ne era orgoglioso; quando andò fra i terrestri, lo giudicarono un idiota perché nessuno che non fosse completamente stupido poteva restare così incolto... — I monaci di Nevarsin lo deplorano quanto i terrestri — disse Regis. — Dovrei essere grato a mio nonno perché ha fatto in modo che ricevessi almeno quell'educazione. — Nel monastero di Nevarsin aveva imparato a leggere e a scrivere, a fare i conti più elementari e a leggere quel po' di storia di Darkover che si conosceva... e non era molta. — Kennard mi aveva fatto imparare a leggere e a scrivere, anche se devo ammettere che non ero molto abile — disse Lew. — Quando ero in ospedale ho recuperato gran parte del tempo perduto; ma i ragazzi vengono ancora allevati come se fosse una cosa indegna di un uomo... immagino sia perché uno studioso non ha abbastanza tempo per imparare l'uso delle ar-
mi, e naturalmente quando i Dominii erano un campo di battaglia, di anno in anno, questa era la cosa più importante nell'educazione di un ragazzo, saper usare bene la spada e le armi. Persino quando ero bambino io c'erano parecchi banditi nelle colline di Kilghard. Per secoli, fu necessario tenere Armida come un accampamento fortificato. Kennard non sarebbe stato certo criticato se mi avesse tenuto là a difendere le sue terre anziché mandarmi in una Torre... Regis captò la parte inespressa di quel pensiero: il lavoro di Lew nella Torre di Arilinn, la sua abilità nella tecnologia delle matrici, avevano portato alla ribellione di Sharra e alla spada che non era una spada, la spada che nascondeva Sharra... E vide crescere e ingigantire dietro gli occhi di Lew l'orrore che calò sulla faccia di Lew; senti i propri capelli rizzarsi mentre le fiamme divampavano nella sua mente... Sharra! Guardo Lew. L'uomo sorridente, il parente con il quale aveva discusso i meriti rispettivi dell'educazione darkovana e di quelia terrestre, era scomparso; il viso era pallidissimo, e le cicatrici spiccavano come marchi cremisi, e i suoi occhi erano... un orrore vacuo, e fissavano qualcosa che Regis non poteva vedere. Ma entrambi potevano vedere la forma furiosa della Dea del Fuoco che squassava le catene, con la chioma di fiamma che si agitava altissima contro il cielo... Non era nella via tranquilla intorno a loro, non era in questo mondo, ma era là, là nelle loro menti, orribilmente presente per entrambi... Regis respirò con uno sforzo, imponendosi di dominare il tremito delle mani, cercò di contattare la mente di Lew, cercò di fare ciò che aveva fatto con la mente di Javanne, di staccare la forma di fuoco dalla trama dei pensieri di Lew... e trovò qualcosa che non aveva mai toccato. Javanne aveva visto Sharra soltanto nella mente di Regis; Rafe aveva visto soltanto la matrice... questo era qualcosa d'altro, qualcosa di più pericoloso; vide una faccia, magra, da lupo, con i capelli incolori e gli occhi grigi, e un viso di donna come una fiamma irrequieta... — Kadarin... — ansimò, senza sapere se l'avesse detto a voce alta o no. L'orrore raggelato e statico abbandonò gli occhi di Lew, che disse, deciso: — Vieni. È questo che temevo... Cominciò a correre e Regis, seguendolo, sentì il dolore bruciante nella mano di Lew... la mano che non c'era più, un fuoco fantasma... ma abbastanza reale per imperlare di sudore la fronte di Lew mentre continuava a correre, stringendo con la mano illesa il pugnale che portava alla cintura... Svoltarono in una piazza e udirono le grida. Regis non era mai entrato
nella casa di città degli Alton, sebbene l'avesse vista dall'esterno. Mezza dozzina di Guardie in uniforme si stavano battendo al Centro dello spiazzo, ma Regis non vide con chi si battevano, Lew gridò: — Marius! — e salì correndo i gradini. La porta si spalancò all'improvviso e nello stesso istante Regis vide le fiamme eruttare da una finestra al piano superiore. Uno degli ufficiali della Guardia stava cercando di organizzare una catena per combattere l'incendio: l'acqua veniva passata di mano in mano dai pozzo più vicino e da un altro, più piccolo, nel giardino dietro la casa, ma la confusione era troppo grande. Sulla scala, Lew si stava battendo con un uomo alto del quale Regis non riusciva a vedere la faccia: si batteva con il pugnale. Per gli dei! Ha una mano sola! Regis accorse sguainando la spada. Vide Andres lottare con un bandito dalle tipiche vesti dei montanari... ma cosa ci fanno i montanari a Thendara? Le guardie salirono la scala, mentre un ufficiale gridava ordini. Era difficile, in quella mischia, distinguere l'amico dal nemico. Regis riuscì a piazzarsi schiena a schiena con Lew, per proteggerlo, e per un momento, mentre alzava la spada, scorse una faccia che riconobbe... Scarno, con gli occhi grigi, le labbra contratte in un ghigno ferino... Kadarin sembrava più vecchio e più pericoloso. La faccia sanguinava; Lew l'aveva ferito con il pugnale. Dietro Regis vi fu un rombo scrosciante, come un'esplosione le guardie scesero a precipizio i gradini, gridando, e la casa s'inclinò lentamente ed eruttò verso il cielo. Regis fu gettato in ginocchio dalla forza dell'esplosione. Poi vi fu un grido alto e chiaro, una voce di donna, e all'improvviso i banditi sparirono, dileguandosi attraverso la piazza, evaporando come nebbie di montagna nel labirinto delle vie. Stordito, Regis si rialzò, vide le guardie alle prese con ciò che restava della casa incendiata. In un angolo del giardino alcune cameriere piangevano, spaventate. Andres, con la giacca sbottonata, il volto annerito dal fumo e uno stivale slacciato, scese zoppicando la scala e si chinò su Lew. Jeff accorse e aiutò Lew a mettersi seduto. Con voce confusa, Lew disse: — L'avete visto? Regis lo fece riadagiare. — Non cercare di alzarti. — Il sangue colava sul viso di Lew da un taglio alla fronte; cercò di toglierlo dagli occhi con la mano illesa e disse: — Non è niente. — Tentò di alzarsi. — Cos'è successo? Jeff Kerwin guardò il pugnale che aveva in mano. Non era neppure insanguinato. — È accaduto così in fretta. Era tutto tranquillo, e all'improvviso sono apparsi i banditi, dovunque, e una delle cameriere ha gridato che
la casa bruciava... e io mi sono trovato a battermi per ia mia vita. Non avevo mai usato un pugnale da quando ero entrato ad Arilinn! Lew disse, agitato: — Marius! Dei dell'inferno, Marius! Dov'è mio fratello? — Si sollevò di nuovo, sebbene Andres cercasse di trattenerlo. C'era di nuovo l'orrore, nei suoi occhi, e Regis poté vedergli nella mente la grande immagine fiammeggiante, Sharra, che si ergeva sempre più alta su Thendara... ma non c'era nulla. La via era silenziosa, le guardie avevano spento l'incendio; ma c'era stata un'esplosione ai piani superiori, e il tetto era squarciato. Regis pensò, incongruamente, che adesso Lew sarebbe stato costretto a trasferirsi nell'appartamento di Castel Comyn che, da tempo immemorabile, era riservato al Dominio degli Alton. Jeff stava esaminando delicatamente la ferita alla testa di Lew. — Brutta faccenda — disse. — Ci vorrà qualche punto... Ma Lew si svincolò. Regis lo afferrò; gli passò la mano sugli occhi, si protese con la mente, cercando di scacciare l'immagine di fiamma... poco a poco le vampe si spensero nella mente di Lew, i suoi occhi ritornarono alla realtà; barcollò, appoggiandosi al braccio di Jeff. — L'avete visto? — chiese di nuovo, angosciato. — Kadarin! Era Kadarin! Hanno preso la matrice Sharra? Sconvolto da quel pensiero, contagiato dall'orrore di Lew, all'improvviso Regis comprese che era ciò che aveva temuto Callina. Lew disse: — Marius! Marius... — E s'interruppe soffocato da un singhiozzo. Dei misericordiosi! Questo no! Mio fratello, mio fratello... Si accasciò sui gradini come una marionetta con i fili recisi, con le spalle squassate dallo shock e dall'angoscia. Jeff lo abbracciò come un bambino; aiutato da Andres, lo portò su per la scalinata. Ma Regis rimase immobile, sopraffatto dall'orrore. Kadarin aveva la matrice Sharra. E Marius giaceva morto nella casa incendiata, trapassato da un proiettile terrestre. IL RACCONTO DI LEW ALTON VI — Ecco. — Jeff mi mise in mano uno specchio. — Un medico terrestre avrebbe fatto di meglio, e io sono fuori esercizio... ma almeno non sanguina più, e questo è l'importante.
Respinsi lo specchio. Riuscivo - qualche volta - a guardare ciò che Kadarin aveva lasciato del mio viso; ma in quel momento non ne ero capace. Non era colpa di Jeff: aveva fatto del suo meglio. Dissi, cercando di darmi un'aria noncurante: — Ne avevo proprio bisogno... un'altra cicatrice, per simmetria. Jeff mi aveva esaminato accuratamente per accertarsi che il colpo alla testa non avesse lasciato conseguenze; ma il taglio era superficiale e per fortuna non mi aveva toccato l'occhio. Avevo un mal di testa grande quanto Castel Comyn, ma sembrava che non ci fossero altri danni. E c'era il grido ossessivo che non voleva tacere, come un ruggito nella mia mente... a Darkover, lotta per i diritti di tuo fratello... E ormai non avrebbe mai taciuto. Marius non c'era più, e il mio dolore era immenso; non solo per il fratello che avevo perduto, ma per l'uomo che stava diventando e che non avrei mai, mai conosciuto. Angoscia e anche rimorso perché, mentre io ero lontano, Marius era stato trascurato, ma vivo. Avrebbe forse perduto il Dominio; ma come terrestre avrebbe potuto vivere una vita soddisfacente altrove. Adesso la vita e la possibilità di scegliere erano perdute. E al di sotto dell'angoscia e del rimorso c'era uno strato più profondo d'ambivalenza che non volevo vedere: un filo di sollievo al pensiero che non avrei mai dovuto rischiare la prova spaventosa del Dono degli Alton, non avrei dovuto rischiare di farlo morire, come aveva fatto mio padre con me... — Ora non puoi far altro che trasferirti nell'alloggio degli Alton a Castel Comyn — disse Jeff. Annuii con un sospiro. La casa, almeno per il momento, era inabitabile. Gabriel era venuto con l'ultimo gruppo di guardie che avevano spento il fuoco. Si offrì di dare disposizioni perché i suoi uomini sorvegliassero quelle rovine e impedissero il saccheggio fino a quando avessimo chiamato gli operai per riparare il tetto e restaurare l'edificio. Ogni stanza era piena di fumo, i mobili erano anneriti e malconci. Cercai, senza riuscire, di chiudere gli occhi e le narici a quella vista e a quell'odore. Ho... l'orrore del fuoco; e in quel momento, lo sapevo, in fondo alla mia mente, se le avessi dato l'avvio, la forma di fuoco era là, furiosa, devastante, pronta a distruggere... e a distruggere anche me. Non che m'importasse, ormai... Andres sembrava invecchiato di vent'anni. Si avvicinò e chiese, esitando: — Dove... dove dobbiamo portare Marius? Era una domanda giusta, ma io non sapevo cosa rispondere. Non c'era mai stato posto per lui a Castel Comyn, da quando era diventato abbastan-
za grande perché notassero la sua esistenza; non l'avevano mai notato, in vita, e adesso, nella morte, non se ne sarebbero curati. Gabriel disse sottovoce: — Fatelo portare nella cappella di Castel Comyn. — Alzai la testa, stupito, per protestare, ma lui continuò: — Questo deve averlo in morte, parente, anche se non l'ha avuto in vita. Guardai una sola volta il viso di mio fratello. Il proiettile che l'aveva ucciso aveva lasciato intatto il viso; e da morto sembrava il fratellino che ricordavo. Adesso ero veramente solo. Avevo sepolto mio padre su Vainwal, accanto a mio figlio che non era mai vissuto se non nei sogni che avevo condivìso con Dia prima della sua nascita. Ora mio fratello avrebbe riposato in una tomba senza lapide, secondo la consuetudine, sulle rive del lago di Hali, dove venivano sepolti tutti i parenti degli Hastur. Mille dettagli legali mi separavano da Dia. Non avrei mai dovuto ritornare! Guardai la neve leggera che cadeva per la via, e compresi che non aveva importanza dove fossi, lì o altrove. Andres, oppresso e vecchio; Jeff, che aveva abbandonato per Darkover il suo mondo adottivo; e Gabriel, che aveva la sua famiglia ma che adesso, in mancanza di altri, era un Alton. Si tenesse il Dominio; io avrei dovuto mandare a chiamare Marius, avrei dovuto portarlo via prima che si arrivasse a questo... No. Su quella strada c'era soltanto un rammarico senza fine, un tempo nel quale avrei cercato avidamente la voce di mio padre nella mia mente perché era tutto ciò che mi restava del passato, e sarei vissuto con i fantasmi e l'angoscia e il rimorso... no. La vita continuava e forse un giorno avrei trovato qualcosa d'importante... perché ora c'erano due cose che era necessario fare. — Kadarin è in città — dissi a Gabriel. — Bisogna trovarlo. Non ripeterò mai abbastanza... quanto è pericoloso. È pericoloso come un uccello banshee o un lupo reso furioso dalla fame... E aveva la matrice Sharra! E in un modo o nell'altro sarebbe riuscito a evocare di nuovo la devastante forma di fuoco che avrebbe distrutto Castel Comyn e le mura di Thendara come una manciata di fascine in un incendio nella foresta... E c'era di peggio... Anch'io ero vincolato a Sharra... Non potevo parlarne con Gabriel. Neppure con Jeff. Cercai di assicurare a me stesso che Kadarin non poteva fare nulla da solo, nulla. Anche se fosse riuscito a evocare le forze di Sharra, da solo o con Thyra... che doveva
essere egualmente viva... i fuochi si sarebbero rivolti contro di loro e li avrebbe consumati, come avevano devastato me. Sentivo la mia mano bruciare di nuovo, bruciare nei fuochi di Sharra... potevo sentirlo, ora, quel bruciore che i medici terrestri chiamavano «dolore fantasma»... perseguitato, mi dissi all'orlo dell'isteria, perseguitato dallo spettro di mio padre e dallo spettro della mia mano... e m'interruppi bruscamente. Anche così sarei impazzito. Dissi cupamente ad Andres: — Portami qualcosa da mangiare, rimedia un pasto per tutti. Poi trasporteremo Marius nella cappella di Castel Comyn, e andremo là per il resto del Consiglio. I guardiani sono uomini degli Alton; mi riconosceranno come Erede di mio padre. E c'è un'altra persona che deve essere informata: Linnell. Gli occhi di Andres s'intenerirono. — Povera Linnie — mormorò. — Era l'unica tra i Comyn che gli fosse affezionata. Anche quando nessun altro ricordava che lui fosse vivo, era sempre il suo fratello adottivo. Gli mandava doni per la Festa e andava a cavalcare con lui durante le vacanze... Quando erano bambini, gli aveva promesso che se lui si fosse sposato per primo sarebbe stata la dama d'onore della sposa, e se si fosse sposata per prima lei, l'avrebbe voluto come testimone. Era venuta qui, meno d'una decade fa, a dirgli che il suo matrimonio con Derik era stato fissato, e avevano riso e parlato delle nozze... — Il vecchio non riuscì a continuare. Non avevo parlato con Linnell, dopo il mio ritorno. Quando fossi andato a parlare con Callina della necessità di mettere al sicuro la matrice Sharra, avevo decìso che avrei fatto visita a Linnell... come età era più vicina a Marius, ma eravamo stati amici, fratello e sorella. Ma non c'era stato tempo. Ora il tempo fuggiva; e io dovevo parlare con Callina, non solo come parente ma come Custode. Anch'io ero stato vincolato a Sharra... potevano trascinarmi in quella cosa empia, in qualunque momento... Mi chinai sul corpo di Marius e presi il pugnaletto dalla cintura. Glielo avevo regalato quando aveva dieci anni; non mi ero accorto che l'aveva portato per tutti quegli anni. Durante il tempo passato su Vainwal non avevo mai portato armi. Infilai il pugnale nel fodero vuoto dello stivale e mi stupii che quel gesto mi venisse cosi facile, dopo tanto tempo. Prima che Sharra possa attrarmi di nuovo in sé, questo pugnale troverà il mio cuore... — Portatelo al Castello — dissi, e seguii lentamente la piccola processione sotto la leggera nevicata estiva. Ero quasi lieto del dolore che mi ruggiva nella mente e mi impediva di pensare al viso di Linnell quando le
avrei detto della morte di Marius. Quella notte Marius riposò a Castel Comyn, nella cappella, sotto gli antichi archi di pietra e i dipinti alle pareti; dalla sua nicchia silenziosa la beata Cassilda, azzurrovestita e con un fiorstellato in mano, vegliava eternamente sui suoi figli. Mio padre non si era curato molto degli Dei, e mi aveva allevato nello stesso modo. In morte, Marius era più vicino ai Comyn di quanto fosse stato in vita. Ma io guardai i Quattro Dei effigiati nei quattro angoli della cappella... Avarra, la madre oscura della nascita e della morte, Aldones, Signore della Luce, Evanda, la madre luminosa della vita e della crescita, Zandru, il signore tenebroso dei Nove Inferni... e come la pressione di un dente dolorante, sentii il tocco bruciante di Sharra nella mia mente... Sharra era stata incatenata da Hastur, che era figlio di Aldones, che era figlio della Luce... Favole, fiabe per spaventare i bambini o consolarli nel buio. Che cosa c'entravano gli Dei con me, che portavo i fuochi di Sharra come un torrente furioso, capace un giorno di bruciare il mio cervello... come aveva bruciato la mia mano... Ma quando uscii dalla Cappella pensai: il fuoco era reale, abbastanza reale per bruciare la città di Caer Donn, abbastanza reale per uccidere Marjorie, per imprimere alla mia mano cicatrici che non sarebbero mai guarite, e alla fine per distruggermi al livello delle cellule, così che mio figlio era stato una cosa mostruosa e inumana... questo non era una favola. Doveva esserci qualcosa di vero, dietro le leggende. Se esisteva una spiegazione sotto le quattro lune, doveva essere nota alle Custodi, oppure nessuno poteva conoscerla. Uscii e guardai il cielo notturno che si era un po' rasserenato, e l'oscurità della Torre dietro il Castello. Ashara, la più vecchia delle Custodi di Darkover, poteva conoscere la risposta. Ma prima dovevo far seppellire mio fratello. E dovevo andare a dirlo alla sua sorella adottiva, perché piangesse per lui le lacrime che io non potevo più spargere. Marius fu sepolto due giorni dopo. Quella che andò ad Hali fu una piccola processione; io e Gabriel, Linnell, Jeff ed Andres e, con mia sorpresa, Lerrys Ridenow. Al mio sguardo interrogativo rispose bruscamente: — Ero affezionato al ragazzo. Non come potresti pensare tu, maledizione. Ma era un bravo ragazzo e non aveva molti parenti disposti a rivolgergli una parola buona come avrebbero fatto con un cane. Avevamo bisogno di lui come Erede degli Alton; avrebbe portato un po' di buon senso nel Consi-
glio, e tutti gli Dei sanno che di questi tempi abbiamo bisogno di buon senso! Ripeté qualcosa del genere anche davanti alla tomba, dove era tradizione ricordare il morto con parole che trascendessero il dolore e dessero a tutti qualcosa da rammentare sul conto di chi veniva sepolto. Ricordai l'amarezza di mio padre, quando mia madre non era stata inumata lì; era quasi il mio primo ricordo. Elaine ha dato due figli ai Comyn, eppure non permettono che il suo corpo riposi tra i figli di Hastur! Ora, accanto alla tomba del figlio di mia madre, che era stato accettato in morte e non in vita, mi sorpresi a ricordare il grido di mio padre morente; ma dopo... dopo, avevo sentito il suo ultimo pensiero, il grido stupito di gioia: Elaine! Yllana... carissima! La sua mente aveva avuto una visione, era stata la misericordia della morte, oppure c'era qualcosa oltre la morte? Non l'avevo mai creduto; la morte era la fine. Eppure, sebbene anche mio padre non avesse mai creduto, nei suoi ultimi momenti aveva gridato per salutare qualcuno, qualcosa, e quell'ultima emozione era stata sbalordimento e gioia. Qual era la verità? Anche Marius, sebbene la sua morte fosse stata terribilmente improvvisa, aveva un'aria serena. Forse, dunque, chissà dove, nonostante la galassia di stelle che stava in mezzo, al di là del tempo e dello spazio, Marius sapeva che l'ultimo pensiero di suo padre era stato per lui... lotta per i diritti di tuo fratello... o forse ora, chissà dove, era come la madre cui aveva tolto la vita nascendo... No, era un'assurdità morbosa, era una favola per consolare chi soffriva. Eppure quel grido di gioia... Pensai, cinicamente: Ebbene, lo saprò quando sarò morto, oppure non conoscerò mai la differenza. Lerrys finì il suo breve discorso e indietreggiò. Io riuscii soltanto a pronunciare un paio di frasi: — Le sue ultime parole, gli ultimi pensieri di mio padre erano stati per il figlio più giovane. Era molto amato, e mi addolora che non l'abbia mai saputo. Linnell portava un pesante mantello grigio scuro, quasi troppo opprimente per la sua figura fragile. Disse, con voce incrinata dalle lacrime: — Non ho mai conosciuto i miei fratelli; furono allevati lontano da me. Quando io e Marius eravamo molto piccoli, prima ancora di sapere che eravamo un bambino e una bambina, lui mi disse: «Linnie, senti, tu puoi essere mio fratello e io sarò tua sorella». — Rise, tra le lacrime. Senza dubbio, pensai, Marius era stato per lei un fratello migliore di quel briccone arrogante di Merryl!
Era quasi mezzogiorno; il sole rosso era alto nel cielo, e gettava ombre nette attraverso le nubi che coprivano la superficie del lago di Hali. Lì su quella riva, affermava la leggenda dei Comyn, il loro progenitore, Hastur, figlio del Signore della Luce, era caduto su Darkover e aveva incontrato Cassilda la Beata, e lì lei aveva dato alla luce il figlio che aveva generato tutti i Comyn... quale era la verità della leggenda? Le colline s'innalzavano al di là di Hali, distanti e in ombra, e sopra le vette c'era la minuscola ombra di una luna, celeste nel cielo colorato. E sull'altra riva, la cappella di Hali, dove stavano gli oggetti sacri dei Comyn, dai tempi in cui erano conosciuti i poteri sommi delle loro menti... Noi eravamo soltanto una reliquia, un'ombra dei poteri che erano esistiti anticamente nei Sette Dominii. Un tempo c'erano state molte Torri nei Dominii, e i telepati dei collegamenti avevano trasmesso i messaggi più rapidamente dei segnali meccanici dell'Impero terrestre; i poteri della mente, alleati alle matrici, avevano fatto volare i mezzi aerei, avevano portato alla superficie i metalli dalle profondità del pianeta, guardato entro i corpi e guarito le malattie e le ferite, controllato le menti degli animali e degli uccelli, scrutato nel plasma delle cellule per scoprire se un figlio non ancora nato sarebbe stato dotato di un tipo specifico di laran... sì, e a quei tempi c'erano state guerre combattute con armi strane e terribili, che spaziavano in altre dimensioni, e Sharra era una delle meno potenti tra quelle armi... tra le bianche mura splendenti di quella cappella c'erano altre armi, una delle quali poteva essere efficace contro Sharra...? Non lo sapevo. Ai tempi del Patto, la conoscenza di quelle armi era andata distrutta, e forse era giusto. Chi avrebbe potuto prevedere allora che i discendenti dei Comyn avrebbero riscoperto l'antico talismano di Sharra e avrebbero scatenato quel fuoco divoratore? Girai lo sguardo sulle rive del lago di Hali, scosso da un brivido improvviso. Kadarin! Kadarin aveva la matrice Sharra, e forse avrebbe tentato di costringermi a ritornarvi... Un tempo, ad Aldaran, Kadarin e Beltran avevano trovato dozzine di seguaci fanatici, pronti a scatenare le loro emozioni, a lasciarsi attrarre nei fuochi furiosi di Sharra, riversando tutto quell'avido, rudimentale potere della mente nelle fiamme distruttive da scatenare sulla città... Kadarin poteva portare quella forza a Thendara, poteva ricatturarmi per liberare quel potere distruttore nella mia mente?... Tremai, guardando le colline, e sentii che ero osservato, che Kadarin era in agguato chissà dove, in attesa di af-
ferrarmi, di costringermi a tornare al polo del potere di Sharra, ad alimentare quella fiamma empia! E Sharra si leverà e mi distruggerà e mi brucerà completamente nel fuoco... tutto il mio odio, la mia rabbia e il mio tormento... Rafe Scott non era venuto al funerale. Eppure era stato uno dei pochi amici di mio fratello. Kadarin aveva preso anche lui, l'aveva ritrascinato in Sharra? Colto dalla vertigine, vidi un esercito di uomini a cavallo, sulla strada, in marcia verso Thendara... La mano di Andres sulla mia spalla mi sostenne. — Calmati, Lew — mormorò. — È quasi finito. Presto ce ne andremo e potrai riposare. Riposare! Con tutto ciò che incombeva su di noi, la matrice di Sharra libera e di nuovo nelle mani di Kadarin, per molto tempo non avrei potuto riposare. Uno scalpitio di zoccoli! Mi tesi, stringendo l'impugnatura della spada da cerimonia che mi ero lasciato indurre a portare per l'occasione. Kadarin con la sua marmaglia, venuto per catturarmi e riportarmi all'asservimento a Sharra? Ma i cavalieri si avvicinarono lentamente alla tomba, e vidi che portavano l'uniforme della Guardia del Castello. Regis Hastur smontò e si avvicinò lentamente. Mi ero chiesto che cosa gli era successo; era stato presente quando Marius era morto e la casa era bruciata... Per un momento si fermò accanto alla tomba e disse solennemente: — Non conoscevo bene Marius e questo mi addolora. Ma una volta lo sentii pronunciare, in una taverna, le parole che avremmo bisogno di udire in Consiglio. La sua morte ricade sulle nostre teste; e prometto che avrò il coraggio di dire in Consiglio le parole che lui non ebbe mai occasione di pronunciarvi. Alzò la testa, in attesa, e dietro di lui scorsi la figura alta e magra di Dyan Ardais, nelle vesti cerimoniali grige e nere del suo Dominio. Si accostò alla tomba aperta. Ma non parlò. Prese una manciata di terra e la gettò nella fossa. Poi, dopo un lungo silenzio, disse: — Riposa in pace, parente; e che tutte le follie e gli errori che causarono la tua nascita riposino qui con te. — Volse le spalle alla tomba e disse: — Il Nobile Regis mi ha spiegato che era opportuno proteggervi; in questi tempi ci sono molti nemici, e i Comyn non devono restare senza scorta. Vi accompagneremo al Castello. In silenzio mi allontanai dalla tomba di mio fratello. Tornammo ai cavalli. Mentre Lerrys montava in sella, dissi sottovoce: — Sei stato generoso a venire, parente. Ti ringrazio.
Lerrys si oscurò in viso e rispose rabbiosamente: — Non l'ho fatto per te, maledizione, l'ho fatto per Marius! — Mi voltò le spalle e si issò in sella con un movimento agile, da danzatore. Portava un abito darkovano ed era imbacuccato di lana e di cuoio per proteggersi dal freddo pungente delle colline; non indossava le eleganti sete e le stoffe sintetiche dei mondi turistici. Montai a cavallo, goffamente, con una mano sola. Regis disse: — Sarei venuto prima. Ma ho ritenuto necessario chiedere il permesso di portare le guardie. Non ho avuto la possibilità di dirtelo: sta arrivando Beltran, accompagnato da una specie di esercito. Non ha nessun affetto per te. E se Kadarin è in libertà... Dissi, con una smorfia: — Non dirmi che Hastur non sarebbe sollevato se Beltran mi raggiungesse... o se mi rompessi il collo! Regis abbassò gli occhi poi disse, sottovoce: — Anch'io sono un Hastur, Lew. Io e mio nonno abbiamo avuto altre divergenze, e ne avremo ancora. Ma devi credermi: lui non si augura che tu cada nelle mani di Kadarin. Questo sarebbe vero in ogni caso, qualunque cosa provasse per te personalmente. E non ti vuole male. Si è comportato con stupida ostinazione nei confronti di Marius, forse. Ma qualunque cosa pensi, tu sei il Signore di Armida e il capo del Dominio degli Alton, e questo non può cambiarlo; lo accetterà di buon grado. Tuo padre era suo amico. Girai lo sguardo verso le colline. Danvan Hastur non era mai stato scortese con me. Presi le redini e per un tratto cavalcammo fianco a fianco. La nebbia che saliva dal Lago di Hali fluttuava sul nostro cammino e copriva la tomba silenziosa dove Marius giaceva tra gli altri Comyn. I loro affanni erano finiti; i miei mi attendevano ancora al varco. Stringevo le redini con la mano; non potevo lasciarle per stringere l'impugnatura della spada e mi sentivo a disagio, come se in fondo alla mia mente potessi vedere Kadarin circondato dai suoi fanatici, potessi vedere gli strani occhi dorati di Thyra, tanto simili a quelli di Marjorie. Dov'era Rafe? Kadarin aveva catturato anche lui? Rafe temeva Sharra quasi quanto la temevo io, ma poteva opporsi a Kadarin? E io, lo potevo? Avrei lasciato che mi spingessero di nuovo tra quei fuochi spaventosi? Non avevo avuto il coraggio di morire, prima... Sarei vissuto da vigliacco in Sharra, senza il coraggio di morire...? Gabriel cavalcava alla testa delle guardie, e notai che aveva portato con sé i due figli: lo snello, bruno Rafael dagli occhi grigi che somigliava a Regis, e il robusto Gabriel, i cui capelli rossi mi ricordavano mio padre.
Pensai che prima o poi avrei dovuto adottare uno dei due come mio Erede, dato che non avrei avuto altri figli... Sentii Regis parlare e mi accorsi che i miei pensieri erano volati molto lontano. — Sai se Marius avesse un figlio, Lew? — No — dissi. — Se l'aveva, non me l'ha mai detto... — Ma c'erano state tante cose che non aveva avuto il tempo di dirmi. Non era stato un ragazzo, sebbene Lerrys l'avesse chiamato così; era morto a vent'anni, e a quell'età io ero stato tre anni ad Arilinn, tre anni come cadetto e ufficiale nella Guardia, mi ero venduto alla schiavitù e ai fuochi di Sharra. — Credo sia possibile. Perché? — Non ne sono sicuro — disse Regis. — Ma il mio figlio adottivo, Mikhail... il figlio di Javanne, mi ha detto che suo fratello Gabriel ha parlato d'una voce che circolava tra le Guardie, poco prima del Consiglio. Tutti sapevano, naturalmente, che il Dominio degli Alton sarebbe stato dichiarato vacante e... perdonami, Lew... non avrebbero voluto accettare la successione del figlio minore di Kennard, a causa della sua educazione terrestre. Ma diceva che il Consiglio, o qualcuno, aveva trovato un figlio Alton, e che l'avrebbero proclamato Capo del Dominio, sotto la Reggenza di Hastur. Qualcosa del genere. Tu sai che razza di voci circolano tra i cadetti; ma questa sembrava più insistente delle altre. Scrollai la testa. — Credo che non sia impossibile. Marius potrebbe aver avuto un figlio. O se è per questo, mio padre potrebbe aver lasciato un bastardo o due; non mi aveva raccontato tutto, della sua vita. Comunque, credo che l'avrei saputo... — È possibile che qualcuna abbia avuto il figlio da lui, da una relazione passeggera e non l'abbia detto a nessuno fino a quando lui è partito — disse Regis. E io captai ciò che aveva taciuto: c'erano tante donne che sarebbero state ben liete di dare un figlio a un Comyn, e lui lo sapeva bene... — Inoltre — conclusi, — nessuna donna oserebbe mentire al riguardo ad un telepate, a un Comyn. Ma penso che, se fosse vero, tuo nonno avrebbe agito molto prima. — Lo penso anch'io — disse Regis, e alzò una mano per invitare Gabriel Lanart-Hastur ad affiancarsi a noi. Credo che anch'io avrei interrogato i ragazzi che avevano diffuso quella voce; ma forse Regis giudicava indecoroso per la sua dignità fare una cosa simile. Quando Gabriel si accostò a noi disse: — Cognato, cos'è la storia che circola fra i cadetti a proposito di un figlio Alton?
— Non ne so nulla, Regis. Rafael ha detto qualcosa e, a quanto ho sentito io, era un mio figlio bastardo — disse bonariamente Gabriel; e io pensai: se avessi una moglie dalla lingua tagliente come Dama Javanne, farei in modo che non scoprisse mai l'esistenza di un mio figlio bastardo! Il sorriso di Gabriel era malinconico. — Ho potuto assicurare a Rafael che non era mio, ma che nei Domimi ci sono altri Alton. Senza dubbio, se c'è qualcosa di vero, chi l'appoggia porterà il figlio davanti al Consiglio, alla prossima riunione. — Mi guardò con l'aria di scusarsi e disse: — Non sei più molto benvoluto, Lew. Le guardie ti seguirebbero fino all'inferno - ricordano che eri un ottimo ufficiale - ma questo è ben diverso dall'essere Tutore di Alton. E per un momento provai una profonda nausea per tutta quella faccenda. Pensai che la cosa migliore da fare, quando fossi arrivato a Thendara, sarebbe stato mettermi d'accordo con Gabriel per quel che riguardava il Dominio, e poi trovare una nave e andarmene, lontano da Darkover e da Sharra e da tutto il resto... ma pensai ad Armida, tra le colline di Kilghard, la mia casa. E ricordai, con una sofferenza che mi artigliava le viscere. Kadarin aveva la matrice Sharra. Per due volte avevo tentato di abbandonarla su un altro pianeta. Per due volte ero stato costretto a riprenderla... Ero schiavo ed esule per Sharra, e non mi avrebbe mai lasciato libero, e in un modo o nell'altro dovevo combatterla e distruggerla... combattere anche Kadarin, se era necessario, e tutti i suoi pazzi seguaci... Combatterli? Solo? Sarebbe stato come affrontare tutte le armate di Beltran con la mia fragile spada da cerimonia e la mia unica mano... e io non ero un leggendario eroe dei Comyn, armato d'una spada magica uscita dal mito! Girai la testa e guardai il lago di Hali e la bassa, splendente cappella sulla riva. Sentivo Regis e Gabriel pensare che stavo dicendo addio al luogo dove riposava mio fratello. Invece mi stavo domandando se, in tutta la storia dei Comyn, era esistita un'arma contro Sharra. Ashara doveva saperlo. E se lei lo sapeva, forse lo sapeva la mia parente Callina. Dissi: — Gabriel, Regis, scusatemi, devo andare a parlare con Linnell. Voleva molto bene a Marius, e sta piangendo ancora. — Spinsi avanti il cavallo, sentii di nuovo il formicolio alla schiena come se fossi osservato e compresi che, chissà come, con una piccola banda di briganti o attraverso la matrice, Kadarin mi stava spiando... ma poiché Regis e Dyan avevano portato un distaccamento di guardie non osava attaccare subito.
Kadarin aveva accesso alle armi terrestri. Marius era stato ucciso da un proiettile che gli aveva attraversato la testa. Ma anche così, non poteva affrontare un intero distaccamento di guardie... quindi per il momento ero al sicuro. Forse. Ignorando il formicolio ammonitore, andai a parlare con Linnell, cercando di confortare la mia sorella adottiva. Linnell aveva gli occhi rossi e il viso macchiato dal pianto, ma sembrava più serena. Tentò di sorridermi. — Deve farti molto male la testa, Lew... è un brutto taglio, no? Jeff mi ha detto che ti ha dato dieci punti. Dovresti essere a Ietto. — Ce la farò, sorellina — dissi, usando la parola bredilla, come se fosse ancora una bambina. Ma ormai Linnell doveva avere ventidue o ventitré anni, era una giovane donna alta e posata, con i morbidi capelli bruni e gli occhi azzurri. Era graziosa, credo; ma nella vita di ogni uomo ci sono due o tre donne - sua madre, le sue sorelle - che ai suoi occhi non sono donne. Per me, Linnell era sempre e soltanto la mia sorellina. Davanti ai suoi grandi occhi colmi di comprensione, all'improvviso mi augurai di poterle parlare di Dia. Ma non volevo addolorarla con quella storia terribile; soffriva già tanto a causa di Marius. Linnell disse: — Almeno è stato sepolto come un vero Comyn, con tutti gli onori. Persino il Nobile Ardais è venuto a rendergli omaggio, e Regis Hastur. — Stavo per ribattere amaramente... a che servono gli onori ai morti? Ma tacqui: se Linnell poteva trovare conforto in quel pensiero, tanto meglio. La vita continuava. — Lew, ti dispiacerebbe molto se io e Derik ci sposassimo poco dopo la Festa. — Perché dovrebbe dispiacermi, breda? Ne sarei lieto per te. — Quel matrimonio era nell'aria da quando Linnie aveva smesso di giocare con le bambole. Derik non era molto intelligente, e non era degno di lei; ma Linnell lo amava, e io lo sapevo. — Ecco... dovrei osservare ancora il lutto per... per Kennard e per mio fratello... Lasciai le redini per un momento, per batterle la mano sulla spalla. — Linnie, se mio padre e Marius possono vedere tutto ciò che avviene — non lo credevo, ma non l'avrei detto a Linnell, — pensi che i loro spettri siano gelosi della tua felicità? Ti amavano, e si rallegreranno nel vederti felice. Lei annuì e mi sorrise.
— L'ha detto anche Callina. Ma lei è così distaccata dal mondo... Non vorrei che la gente pensasse che non ho rispetto per la loro memoria... — Non preoccuparti — le dissi. — Tu hai bisogno di avere una famiglia, ora più che mai; senza un padre o un fratello adottivo, devi avere un marito che ti ami e si prenda cura di te. E se qualcuno dovesse insinuare che non hai per loro il dovuto rispetto, mandalo da me, e glielo confermerò io stesso. Linnell batté le palpebre per scacciare le lacrime e sorrise. Era come un arcobaleno tra le nubi. — E ora tu sei il Signore del Dominio. — disse. — Quindi spetta a te stabilire quale deve essere il lutto. E Callina è il Capo del mio Dominio. Quindi, se entrambi mi avete dato il consenso, lo dirò a Derik. Possiamo sposarci il giorno dopo la Festa. E durante la Festa, Callina si fidanzerà con Beltran... La fissai, a bocca aperta. Nonostante tutto, il Consiglio insisteva ancora in quella follia suicida? Dovevo assolutamente vedere Callina, e non c'era tempo per gli indugi. Mentre entravamo in città, Andres mi chiese se volevo andare a parlare agli operai che erano stati ingaggiati per riparare la casa. Feci per protestare - l'avevo sempre obbedito senza discutere - e all'improvviso ricordai che adesso non dovevo dare nessuna spiegazione. — Provvedi tu, padre adottivo — disse. — Ci sono altre cose che devo fare. Qualcosa, nella mia voce, lo fece trasalire; alzò la testa e disse, in tono stranamente smorzato: — Certamente, Signore di Armida — e accennò a un inchino. Mentre mi allontanavo, identificai quel tono: mi aveva parlato come aveva sempre parlato a mio padre. Linnell aveva ancora gli occhi rossi, ma sembrava più calma. — Devo vedere Callina, sorella. Mi riceverà? — Di solito, a quest'ora è nella Torre, Lew. Ma potresti venire a cena con noi... — Preferirei non attendere tanto a lungo, breda. È molto urgente. — Sentivo ancora il formicolio, come se Kadarin mi osservasse da un gruppo d'alberi o da un vicolo stretto e buio. — Andrò a cercarla. — Ma non puoi... — cominciò Linnell, e poi s'interruppe, ricordando che avevo trascorso tre anni in una Torre. Non ero mai stato nella Torre dei Comyn, sebbene fossi andato al Castello ogni estate della mia vita, eccettuati gli anni trascorsi ad Arilinn. Avevo parlato con i tecnici per mezzo dei collegamenti, ma non pensavo
che vi fossero molti telepati viventi che avessero varcato i veli isolanti. E anche tra coloro che tenevano i collegamenti in funzione, non credevo che fossero molti quelli che avevano visto la vecchia Custode, Ashara. Certamente, mio padre diceva che non era mai stata vista, a memoria di coloro che lui aveva conosciuto. Forse, pensai, non esisteva neppure! Forse Callina sapeva che stavo arrivando; mi venne incontro e mi invitò con un cenno ad attraversare la sala dei collegamenti - notai che davanti allo schermo c'era una ragazzina, ma non la riconobbi - e una stanza interna che doveva essere stata l'antico laboratorio delle matrici... almeno, così l'avremmo chiamato ad Arilinn. Potevo immaginare che fosse stato costruito in tempi molto lontani, nelle Ere del Caos o anche prima; c'erano schermi per controllare le matrici, e altri apparecchi del cui uso non avevo la più vaga idea. Preferivo non pensare al livello della matrice che sarebbe stata necessaria per adoperare alcuni di quegli strumenti. Sentivo le vibrazioni calmanti di uno smorzatore telepatico appositamente modulato, che filtrava i soprattoni telepatici senza inibire il pensiero normale. C'era un immenso pannello, brillante come vetro fuso, che non immaginavo a che servisse; forse era uno degli schermi psicocinetici, quasi leggendari. Tra tutte quelle cose c'erano i comuni, prosaici strumenti dell'arte dei meccanici delle matrici: supporti, tralicci, cristalli vergini, una cannuccia da soffiatore di vetro, cacciaviti e saldatori, pezzi di tessuti isolanti. Callina m'invitò a sedermi con un gesto. — Ti aspettavo — disse, — da quando ho saputo che hanno rubato la matrice Sharra. Immagino che sia stato Kadarin. — Non l'ho visto — dissi. — Ma nessun altro avrebbe potuto toccarla senza uccidermi. Sono ancora qui... purtroppo! — Allora sei ancora sintonizzato? È una matrice proibita, non è così? — Non è sugli schermi di Arilinn — dissi. L'avevo scoperto quando era morta Marjorie. Ma questa era una Torre più antica, e poteva essere rimasto un ricordo. Callina disse: — Se puoi darmi lo schema cercherò di scoprirlo. — Mi condusse allo schermo di controllo, lampeggiante di minuscoli bagliori, uno per ogni matrice nota e autorizzata di Darkover. Fece un gesto che ricordavo; slacciai faticosamente il cordone del sacchetto che portavo al collo, distolsi gli occhi quando lasciai cadere il cristallo nella mia mano, vedendo i fuochi cremisi all'interno... Era ancora in risonanza con la matrice Sharra; e per me era inutile. E finché lo portavo, chiunque avesse la matrice Sharra poteva trovarmi... e mi sembrava, anche se forse era uno scherzo della mia immaginazione,
di sentire Kadarin che mi osservava per suo tramite... Callina prese la matrice, abbinando le risonanze così delicatamente che non sentii scosse o sofferenza, e la posò in un supporto davanti allo schermo. Le luci sullo schermo incominciarono ad ammiccare lentamente; Callina si tese, silenziosa e intenta, con un'espressione chiusa. Alla fine sospirò. — Non è una matrice controllata. Se potessimo localizzarla, forse riusciremmo a distruggerla... anche se distruggere una matrice del nono livello non è un compito che io sia tentata d'affrontare, tanto meno da sola. Forse Regis... — Guardò pensosamente la mia matrice, ma non si spiegò, e io mi chiesi che c'entrava Regis. — Puoi darmi lo schema? Se gli altri, Kadarin e Thyra, usavano matrici in risonanza con Sharra... — Thyra, almeno lei, era una telepate irregolare. Non so dove avesse preso la sua matrice, ma sono sicuro che non è controllata — dissi io. Immaginavo che l'avesse avuta dal vecchio Kermiac di Aldaran; lui aveva addestrato i telepati tra quelle colline, prima ancora che nascesse mio padre. Se fosse vissuto, tutta la storia del cerchio di Sharra sarebbe stata diversa. Tentai di mostrarle lo schema sullo schermo vuoto, ma nella superficie azzurra apparvero soltanto turbini confusi,, e Callina mi accennò di riprendere il mio cristallo e metterlo via. — Non avrei dovuto lasciare che lo tentassi, subito dopo una ferita alla testa. Vieni con me. In una stanza più piccola, dalle grandi finestre, mi rilassai su una comoda poltrona, mentre Callina mi osservava, distaccata e pensierosa. Finalmente disse: — Perché sei venuto qui, Lew? Che cosa vuoi da me? Non ero sicuro. Non sapevo se poteva fare qualcosa contro la voce fantasma nella mia mente, la voce di mio padre. Sia che fosse un vero spettro o un riverbero delle cellule cerebrali lesionate dalla sua stretta mortale, alla fine sarebbe svanita; di questo ero certo. E Callina non poteva fare molto per il fatto che la matrice Sharra fosse nelle mani di Kadarin e di Thyra, e che loro fossero a Thendara. Dissi, aspramente: — Non avrei mai dovuto riportarla a Darkover! — Non avevi scelta — osservò Callina, ragionevolmente. — Se eri sintonizzato... — Allora non avrei dovuto ritornare! E questa volta lei non discusse; alzò appena le spalle. Adesso ero su Darkover, e c'era anche la matrice. Dissi: — Credi che Ashara ne sappia qualcosa? Lei è molto vecchia... — M'interruppi, esitante. La voce di Callina mi rimproverò: — Nessuno chiede di vedere Ashara!
— Allora forse è tempo che qualcuno lo faccia. La sua voce era sommessa, fredda e remota. — Forse lei consentirà a vederti. Lo chiederò. — Per un momento mi apparve ben diversa dalla ragazza che conoscevo; avevo quasi paura di lei. — Deve esserci stato un tempo in cui i telepati sapevano domare cose come la matrice Sharra. So che veniva usata dal popolo delle forge per portare i metalli alle fucine; e veniva adoperata come arma. Se l'arma non fu distrutta, perché dovrebbero avere distrutto le difese contro di essa? Callina trasalì lievemente, come se fosse stata molto lontana e il suono della mia voce l'avesse richiamata. Ricordavo quell'espressione sul viso di Marjorie, lo straziante isolamento di una Custode, sola anche al centro di un grande cerchio. E questo mi fece provare un senso di nostalgia per i giorni di Arilinn. Io e Callina non eravamo stati là contemporaneamente, ma lei vi aveva partecipato, ricordava, e insieme ci sentivamo a nostro agio. — Che cosa può fare Kadarin con la matrice? — mi chiese. — Personalmente nulla — dissi. — Ma ha Thyra per controllarla. — Fin dall'inizio, aveva voluto che fosse Thyra a controllare la matrice; lei era stata più docile ai suoi voleri di Marjorie che, alla fine, s'era ribellata e aveva tentato di chiudere la porta dell'altro mondo o dell'altra dimensione da cui Sharra veniva in questo mondo tra le fiamme furiose... Dissi: — Se vuole, può bruciare Thendara, oppure andare nella Città Commerciale e far scendere dal cielo una di quelle maledette astronavi! La matrice è potentissima; e il fatto è che Kadarin non ha abbastanza telepati per controllarla come se fosse una matrice normale del nono livello. E non lo è: È qualcosa di empio, un'arma, una forza... — M'interruppi. Come Callina, ero stato addestrato in una Torre, e non avrei dovuto parlare così. Le vecchie leggende facevano apparire magiche le matrici, le chiamavano porte della stregoneria e della magia aliena. Io conoscevo la scienza di cui erano parte. Una matrice era uno strumento, e non era migliore o peggiore di chi la usava; uno strumento per amplificare e orientare il laran, lo speciale potere psichico ipersviluppato dei Comyn e di quelli del loro sangue. I superstiziosi potevano parlare di Dei e di poteri magici. Io sapevo che non era così. Eppure la forma di fuoco sfolgorava nella mia mente, una donna alta e maestosa, che adombrava tutto... e adesso aveva il viso di Marjorie. Marjorie, efficiente e intrepida in mezzo alle crescenti fiamme-illusioni di Sharra, e poi... e poi si accasciava, urlando di dolore mentre le fiamme colpivano... la mia mano che bruciava come una torcia sotto la matrice...
Callina tese una mano e mi sfiorò leggermente la testa, dove Jeff aveva suturato la ferita. Sotto il suo tocco, il fuoco si spense. Mi accorsi che mi stavo inginocchiando ai suoi piedi. La testa china sotto il peso. Callina disse: — Ma lui oserebbe? Nessun uomo sano di mente... Io dissi, con profonda amarezza: — Non sono sicuro che sia un uomo... e sono ancor meno sicuro che sia sano di mente. — Ma cosa potrebbe sperare di ottenere, a meno che sia semplicemente smanioso di distruggere? — chiese Callina. — Sicuramente, non rischierebbe la donna... Thyra, l'hai chiamata?... Era la sua... — Esitò, e io scrollai la testa. Non avevo mai capito il rapporto tra Kadarin e Thyra. Non era il normale rapporto tra amanti: era qualcosa di più e di meno. Chinai la testa; anch'io ero stato affascinato dalla tenebrosa, splendente bellezza di Thyra, così simile a Marjorie e così dissimile. Avevo scelto. E Marjorie era stata annientata... Mi voltai con uno scatto di collera. Callina disse sottovoce: — Lo so, Lew. Lo so. — Lo sai? Ringrazia gli Dei di non saperlo... — ribattei, con una rabbia cieca. Cosa poteva sapere, lei, di quel fuoco divorante, di quella furia tremenda scatenata tra i mondi...? Ma sotto il suo sguardo fermo la mia rabbia si dissolse. Sì, lei sapeva. Quel giorno terribile, quando m'ero scagliato contro Kadarin con la disperazione di un uomo che si sa condannato a morte, e avevo colpito la porta tra i mondi escludendo Sharra da questo mondo, con le mie ultime forze avevo trasportato me stesso e Marjorie in mezzo alle soglie. I terrestri lo chiamavano teletrasporto. Avevo portato entrambi nella camera delle matrici di Arilinn; eravamo entrambi orribilmente ustionati, e Marjorie stava morendo. Callina aveva lottato per salvarla; Marjorie era morta tra le sue braccia. Chinai la testa, ossessionato ancora da quel ricordo impresso nel mio cervello; Callina, che teneva Marjorie tra le braccia, il momento di pace che, all'ultimo, era disceso sul suo volto. Sì, lei sapeva. Dissi, sforzandomi di pensare con calma senza riapprofondire quell'orrore: — Non credo che, se fosse sano di mente, rischierebbe Thyra; ma non sono sicuro che si renda conto del pericolo e, se la matrice li tiene entrambi in suo potere, non so se abbia una possibilità di scelta. — Sapevo che la matrice poteva dominare un operatore; sapevo come aveva strappato il controllo persino al nostro cerchio meticolosamente equilibrato, scatenandosi per compiere la sua tremenda distruzione. — Vuole... vuole distruggere — dissi con voce malferma. — Credo che venisse fatta nelle Ere del Caos, per sfuggire al controllo, per uccidere più
che poteva e bruciare e annientare... non credo che ci sia qualcuno al mondo capace di controllarla. — Per anni, lo sapevo, la matrice Sharra era rimasta senza causare danni sugli altari del popolo delle forge, come un talismano consacrato alla Dea del fuoco. Per illuminare quegli altari e portare il fuoco alle fucine: e la Dea, accontentandosi dei suoi adoratori e dei loro fuochi, non si era scatenata in questo mondo... E io l'avevo scatenata su Darkover; io, docile marionetta nelle mani di Kadarin. E lui aveva usato la mia rabbia, i miei fuochi interiori... Era un'assurdità superstiziosa. Trassi un profondo respiro e dissi: — Nelle Ere del Caos c'erano molte armi simili, e da qualche parte devono esserci le difese, o almeno il ricordo di queste difese. Forse, quindi, Ashara lo sa. — Ma se ne curava, se si era ritirata tanto lontano dal mondo? Callina captò la mia domanda inespressa e disse: — Non lo so. Io... ho paura di Ashara... — Vedevo che tremava. Disse: — Tu credi che io sia qui, isolata, al sicuro... lontana dai problemi del Consiglio e dei Comyn... Merryl mi odia, Lew, sarebbe disposto a fare qualunque cosa per impedirmi di avere potere nel Consiglio. E adesso c'è questa alleanza con Aldaran... tu sai che Beltran sta guidando un esercito alle porte di Thendara, e se alla fine rifiuteranno la sua richiesta, se gli rifiuteranno questa alleanza... credi che lui sappia di Sharra e che possa usarla come arma? Non lo sapevo. Beltran era mio parente; c'era stato un tempo in cui mi ero fidato di lui, come m'ero fidato di Kadarin. Ma Sharra si era impadronita anche di lui, e sentivo ancora che era per questo che aveva quella sete di potere... e anche lui doveva essere divenuto consapevole della sua presenza. Dissi: — Non possono darti così in sposa a Beltran! Sei Capo di un Dominio, sei una Custode... — Così pensavo — disse Callina, spassionatamente. — Ma se non fossi Capo d'un Dominio, Beltran non mi vorrebbe... non credo che voglia me. Se volesse semplicemente sposare una donna dei Comyn, ce ne sono altre egualmente vicine al centro del potere; la sorella di Derik, Alanna, è rimasta vedova lo scorso anno. In quanto al fatto che sono una Custode... non credo che il Consiglio voglia una Custode al potere. E se mi sposo... — Scrollò le spalle. — È la fine. Ricordavo la vecchia credenza secondo la quale una Custode conservava il potere solo grazie alla castità. È una frottola superstiziosa, naturalmente; ma come tutte le superstizioni ha un nucleo di verità. Il laran, in un Comyn telepate, viene trasmesso negli stessi canali delle forze sessuali. Il
principale effetto secondario, per gli uomini, è che un'attività pesante o prolungata con le matrici chiude temporaneamente quei canali al sesso, e causa un periodo d'impotenza. È la prima cosa cui si deve abituare un uomo che lavora nelle Torri, e alcuni non imparano mai ad adattarsi. Immagino che per molti possa sembrare un prezzo molto alto. Una donna non ha questa salvaguardia fisica. Quando opera al centro di un cerchio, tenendo le forze immani delle matrici collegate e amplificate, deve mantenere i canali fisici sgombri per quel lavoro, altrimenti rischia di bruciare come una torcia. Un riflusso di tre secondi, quando avevo diciassette anni, aveva lasciato sulla mia mano una cicatrice che non era mai guarita, grande come una moneta d'argento. E la Custode è al centro di questi flussi. Mentre lavora al centro degli schermi, si mantiene casta per ottime ragioni pratiche che non hanno nulla a che vedere con la morale. È un onore pesante; poche donne vogliono sopportarlo per più di un anno o due. Nei tempi antichi, le Custodi s'impegnavano a conservare la carica per tutta la vita, erano venerate e trattate quasi come Dee, e vivevano distaccate da tutto ciò che è umano. Ai tempi nostri, una Custode è semplicemente tenuta a mantenersi casta finché lavora attivamente; poi può abbandonare il suo posto, vivere come preferisce, sposarsi e avere figli, se vuole. Avevo sempre pensato che Callina avrebbe deciso di farlo; dopotutto, era il Capo del Dominio, e la sua figlia primogenita avrebbe ereditato il Dominio degli Aillard. Lei seguì i miei pensieri e scosse la testa. Disse, ironicamente: — Non ho mai avuto il desiderio di sposarmi, e non ho mai incontrato un uomo che potesse indurmi a lasciare la Torre. Perché dovrei portare un duplice peso? Janna di Arilinn - era la tua Custode, no? - lasciò il suo posto ed ebbe due figli, poi li diede in adozione e tornò al suo lavoro. Ma io ho servito bene il mio Dominio; ho varie sorelle, Linnell si sposerà presto, e anche Merryl, credo, un giorno troverà una donna disposta ad accettarlo. Non c'è bisogno... — Ma sospirò, quasi disperata. — Potrei sposarmi se ci fosse un'altra che potesse prendere il mio posto... ma non sposerei mai Beltran. Avarra misericordiosa, non Beltran! — Non è un mostro, Callina — dissi io. — Per la verità, è molto simile a me. Callina si girò, incollerita, e la voce le si spezzò in gola. — Quindi anche tu vuoi che lo sposi? Un uomo capace di portare un esercito contro Thendara e di ricattare i miei parenti perché gli diano la donna più potente del Consiglio per i suoi scopi? Maledetto! Credi che io sia una cosa, un
cavallo da vendere al mercato, uno sciallo da barattare? — S'interruppe, si morse le labbra per non singhiozzare, e io la fissai. Era sembrata così fredda, remota, spassionata, più simile a una bambola meccanica che a una donna; e adesso era accesa di passione, come un'arpa vibrante. Per la prima volta me ne accorsi: Callina era una donna, ed era bella. Non mi era mai parsa reale, prima di quel momento; era stata soltanto una Custode, distante e intoccabile. Ora vedevo la donna, prigioniera e frenetica dietro la barricata, che si tendeva... si tendeva verso di me. Si nascose il viso tra le mani e pianse. Disse, tra le lacrime: — Mi hanno messa in una situazione tale che, se non sposerò Beltran, getterò i Domimi in una guerra! Non seppi trattenermi. La presi tra le braccia. — Non sposerai Beltran — dissi, furioso. — Lo ucciderò, piuttosto, parente! — E poi, mentre la stringevo, compresi che cosa era accaduto a entrambi. Non era come parente, che avevo promesso di difenderla e proteggerla. Era una cosa più profonda; risaliva al tempo in cui era stata l'unica donna tra i Comyn che aveva compreso la mia ribellione contro mio padre, al tempo in cui aveva lottato per salvare la vita di Marjorie e aveva condiviso il mio tormento e la mia disperazione. Era stata addestrata in una Torre, era un ricordo dell'unico periodo felice della mia vita, era la patria e Arilinn e l'unico tempo in cui ero stato felice e reale e avevo sentito che la vita era degna d'essere vissuta, un tempo nel quale non ero stato un dannato. La tenni stretta a me mentre tremava di paura; impacciato, le sfiorai gli occhi bagnati di pianto. C'era qualcosa d'altro, una paura più profonda e più terribile. Mormorai: — Ashara non può proteggerti? Lei è la Custode dei Comyn. Sicuramente non vorrà che tu le venga tolta così. Adesso eravamo in profondo rapporto mentale; sentivo la sua collera, la sua paura, il suo orgoglio oltraggiato. Mormorò, con un filo di voce, come se temesse d'essere ascoltata: — Oh, Lew, tu non sai... ho paura di Ashara, tanta paura... preferirei sposare Beltran, pur di liberarmi di lei... — E la sua voce si spezzò, soffocata. Si aggrappò a me, atterrita e disperata, e io la tenni stretta. — Non aver paura — mormorai, e provai la tenerezza tremante che avevo pensato che non avrei conosciuto mai più. Bruciato e devastato com'ero, sfregiato, mutilato, troppo ossessionato dalla disperazione per alzare l'unica mano rimastami per salvarmi... eppure, sentivo che mi sarei battuto
fino alla morte, come un animale in trappola, per salvare Callina da quel fato. ... c'era ancora qualcosa tra noi. Non osavo baciarla: forse perché era una Custode e il vecchio tabù mi tratteneva? Ma le tenni la testa sul mio petto, accarezzandole i capelli scuri, e compresi che non ero più sradicato, solo, senza parenti o amici. Adesso c'era una ragione, dietro la mia disperata resistenza. Adesso c'era Callina: e promisi a me stesso, con tutta la forza di volontà che mi rimaneva, promisi che per amor suo mi sarei battuto fino alla fine. VII — C'è solo una cosa piacevole nella stagione del Consiglio — disse Regis con voce assonnata. — Ogni tanto riesco a vederti. Danilo, che era alla finestra, scalzo e seminudo, si voltò a sorridere. — Oh, andiamo, è questo lo spirito con cui affrontare la giornata conclusiva del Consiglio? Regis si sollevò a sedere con un gemito. — Non era necessario che me lo ricordassi. Devo ordinare la colazione? Danilo scrollò la testa, massaggiandosi pensosamente il mento. — Non posso restare; il Nobile Dyan mi aveva invitato a cena ieri sera, aveva detto persino che potevo portare te, se volevo, ma gli ho risposto che avevo un impegno. — Sorrise all'amico. — Allora ha ribattuto che sarebbe andato bene per la colazione. E immagino che dovrò mettere gli abiti del Consiglio. — Fece una smorfia. — Senza mancare di rispetto ai nostri degni antenati, hai mai visto indumenti orribili come le vesti cerimoniali del Consiglio? Sono sicuro che il taglio e la linea non sono cambiati dal tempo di Stephen IV! Regis ridacchiò e buttò i piedi giù dal letto. — Anche di più, sicuramente... sono sicuro che furono disegnati dalla bisnonna di Zandru. — E lei lo costringeva a portarli per punizione quando era più perverso del solito — rise Danilo. — Oppure pensi che siano stati ideati dai cristoforos, in modo che quando sediamo in Consiglio facciamo adeguata penitenza per i nostri peccati? — Sedere in Consiglio è già una penitenza sufficiente — disse Regis, tetro. — E i colori degli Ardais, grigio e nero... sono così lugubri! Credi sia per questo che Dyan è tanto tetro... per aver portato il nero e l'argento in
Consiglio per tanti anni? Se non fossi altro che il tuo scudiero, potrei almeno portare l'azzurro e l'argento! — Ti faremo disegnare un abbigliamento speciale che simboleggi le tue lealtà divise — disse Regis, con serietà scherzosa. — Un mosaico di nero e blu. Abbastanza adatto, suppongo, per chi finisce sotto l'influenza di Dyan... come le mie costole quando era il mio maestro d'armi! — Dopo tanti anni, Regis riusciva a scherzare al ricordo. Ma Danilo aggrottò la fronte. — Ha parlato nuovamente del mio matrimonio, un paio di giorni fa. Il suo figlio nedestro ha tre anni e sembra in buona salute, e probabilmente vivrà e diventerà grande; vuole che adotti il bambino, ha detto. Lui non ha il tempo né la voglia per allevarlo personalmente... e per farlo devo avere una casa e una moglie. Ha detto che capiva perché sono riluttante... — Lui dovrebbe capirlo meglio di chiunque altro — commentò Regis in tono asciutto. — Tuttavia ha detto che è il mio dovere, e che avrà cura di scegliermi una moglie che non mi dia troppo disturbo. — Anche mio nonno parla allo stesso modo... — Credo — disse Danilo, — che sposerò qualcuna che si trovi una devota compagna; e dopo che le avrò dato un figlio o due da allevare, non piangerà se mi assenterò dal suo letto e dal suo focolare. Così saremo contenti entrambi. Regis indossò tunica e brache e infilò gli stivali. — Devo fare colazione con mio nonno. Più tardi avrò tempo di mettere gli abiti da cerimonia. Non ha senso partecipare al Consiglio... quasi tutti i discorsi che sentirò oggi potrei recitarli a memoria! Danilo sospirò. — A volte penso che il Nobile Dyan, e alcuni altri che potrei nominare, preferirebbero veder tornare le Ere del Caos, piuttosto che accettare la realtà! Regis! Tuo nonno crede davvero che i terrestri spariranno se faremo finta di non vederli? — Non so che cosa pensi mio nonno, ma so che cosa dirà se non farò colazione con lui — disse Regis, allacciando i nastri della tunica. — E ora che ci penso, forse il Consiglio non avrà un andamento tanto prevedibile... sembra che debbano esserci di nuovo sette Dominii, dopotutto. Sapevi che Beltran ha portato un esercito ed è acquartierato fuori Thendara? — Ho sentito che lo chiamava guardia d'onore — disse Danilo. — Non avrei pensato, quando eravamo suoi ospiti — e diede alla parola un'inflessione ironica, — ad Aldaran, che avesse tanto onore da aver bisogno d'una
guardia per proteggerlo. — Direi, piuttosto, che ha bisogno di un esercito per impedire la fuga di quel po' d'onore che ha — disse Regis, ricordan do il tempo in cui lui e Danilo erano stati imprigionati a Castel Aldaran. — Mi domando se lo accetteranno davvero in Consiglio. — Non credo che abbiano molta scelta — disse Danilo. — Quali che siano le sue ragioni, non mi piace. — Allora, se avrai la possibilità di parlare in Consiglio, faresti bene a dirlo — osservò Regis. — Dyan ti sta aspettando e mio nonno, senza dubbio, sta aspettando me. Sarà meglio che tu vada. — È questa l'ospitalità degli Hastur? — chiese ironicamente Danilo. Ma abbracciò Regis e uscì. Regis si fermò dalla porta della sua stanza, lo vide attraversare il corridoio esterno dell'appartamento e incontrarsi con Danvan Hastur. Danilo s'inchinò e disse allegramente: — Buongiorno a te, mio signore. Danvan Hastur fece una smorfia irritata e borbottò sgarbatamente una risposta, e passò oltre senza alzare la testa. Danilo batté le palpebre, sorpreso, ma uscì senza dir nulla. Regis, stringendo le labbra per l'esasperazione, andò a pettinarsi e chiese al valletto di portargli l'abito cerimoniale per il Consiglio. Fuori la nebbia si stava disperdendo, e al di là della valle poteva vedere il Quartier Generale terrestre, un grattacielo bianco arrossato dalla luce del sole. Il valletto stava preparando le vesti, e Regis le guardò disgustato. Sono stanco di fare le cose solo perché gli Hastur le hanno sempre fatte in quel modo, si disse e il valletto trasalì nervosamente, come se i pensieri irrequieti di Regis potessero raggiungerlo. E forse era così. Guardò irritato il grattacielo e rifletté. Se suo nonno fosse stato saggio, lui avrebbe ricevuto la stessa educazione terrestre del povero Marius. Se davvero suo nonno vedeva i terrestri come nemici, allora era una ragione di più... un saggio deve prendere le misure dei nemici e conoscere i loro poteri. Regis si fermò, con il pettine tra i capelli. All'improvviso comprese perché Danvan Hastur non l'aveva fatto. Il nonno è sicuro che chi ha un'educazione terrestre, necessariamente, opta per il modo di vivere della Terra. Non si fida di me, né della forza di ciò che mi è stato insegnato. I terrestri e il loro modo di vivere sono cosi attraenti, dunque? Nella saletta della colazione, suo nonno era ancora accigliato quando
Regis entrò. Regis gli augurò educatamente il buongiorno e attese che il servitore fosse uscito. — Nonno, se non puoi essere cortese con il mio amico, troverò alloggio altrove. — Ti aspetti che io approvi? — chiese il vecchio in tono di gelida irritazione. — Mi aspetto che tu riconosca che io sono un uomo, con il diritto di scegliere i miei compagni — rispose Regis, accalorandosi. — Se avessi portato una donna, qui, a passare la notte, e se fosse stata una donna rispettabile, ti saresti comportato con lei in modo civile. Danilo è bennato quanto me... o te, mio signore! Se parlassi così a uno dei tuoi amici, ti indigneresti! Il vecchio Hastur strinse le labbra. Persino un non telepate avrebbe potuto captare i suoi pensieri: questo era diverso. Regis disse rabbiosamente: — Nonno, non è che io faccia baldoria nelle comuni taverne, e disonori il nome degli Hastur facendomi vedere in bordelli o locali come la Gabbia d'Oro, o tenendo un amichetto profumato come quelli delle Città Aride... — Silenzio! Come osi parlarmi di queste cose? — Danvan Hastur strinse rabbiosamente le labbra. Indicò il tavolo. — Siediti e mangia; arriverai tardi al Consiglio. — Quando Regis esitò, ordinò seccamente: — Fai ciò che ti dico, ragazzo. Non è il momento dei capricci! Regis strinse i pugni. La rapida ondata di collera gli diede quasi le vertigini. Disse in tono gelido: — Mio signore, mi hai parlato per l'ultima volta come se fossi un bambino! — Si voltò e uscì dalla stanza, ignorando l'esclamazione scandalizzata del nonno. Mentre percorreva il labirinto dei corridoi di Castel Comyn teneva ancora i pugni serrati, e aveva la sensazione che un peso gli opprimesse il petto. Era stata solo questione di tempo; quel litigio si preparava da anni, ed era meglio che fosse scoppiato apertamente. In tutto, tranne che in questo, sono stato un nipote obbediente, ho fatto tutto ciò che mi ha chiesto; sono tenuto a obbedirgli come Capo del Dominio. Ma non tollero che mi parli come se avessi dieci anni... mai più. Quando entrò nell'appartamento degli Ardais, stava ancora lottando per reprimere la furia. Il servitore che lo fece entrare disse automaticamente: — Su serva, dom... — e s'interruppe per chiedere: — Ti senti male, mio signore? Regis scrollò la testa. — No... ma chiedi al Nobile Danilo se può rice-
vermi subito. Il messaggio venne portato, ma a rispondere fu lo stesso Danilo, che si presentò nell'anticamera. — Regis! Che cosa fai qui? — Sono venuto a chiedere se posso fare colazione con te — disse Regis, più calmo. E Dyan, comparso sulla soglia e già vestito negli abiti cerimoniali nero-argento del Consiglio, disse in fretta: — Sì, vieni a farci compagnia, mio caro! Desideravo comunque parlare con te. Dyan rientrò nella sala, e Danilo mormorò sottovoce: — Cos'è successo? — Te lo dirò più tardi, se potrò. Io e mio nonno abbiamo litigato — bisbigliò Regis. — Per ora lasciamo stare. — Apparecchiate anche per Dom Regis — ordinò Dyan. Regis sedette. Danilo gli lanciò una rapida occhiata interrogativa mentre spiegava il tovagliolo; ma non fece domande ad alta voce, e Regis gliene fu grato. Deve sapere che ho litigato con il nonno, e perché. Ma non disse altro, se non per complimentarsi con la cucina. Dyan mangiò poco, solo un po' di pane e frutta; ma aveva ordinato un assortimento di pani caldi, carne alla griglia e focacce; quando Danilo fece un commento in proposito, Dyan disse, con comica enfasi: — Sono molto esperto nel giudicare... l'appetito dei giovani! — Cercò per un momento lo sguardo di Regis, e Regis abbassò gli occhi sul piatto. Quando ebbero finito, Dyan disse: — Bene, Dani, sono contento che Regis sia venuto a tenerci compagnia. Volevo parlare con entrambi. Quasi tutta l'attività del Consiglio si è conclusa; questa sarà l'ultima seduta, e a causa del lutto per Kennard, è stato rimandato tutto ad oggi. E c'è molto da fare. È necessario risolvere la questione dell'eredità degli Alton... — Credevo fosse stata risolta con il ritorno di Lew — disse Regis, e provò una stretta al cuore. Capiva dove voleva arrivare Dyan. Dyan sospirò. — So che è tuo amico, Regis, ma guarda la realtà senza sentimentalismi. È un peccato che Kennard sia morto senza diseredarlo ufficialmente... — Perché avrebbe dovuto farlo? — chiese Regis, risentito. — Non essere sciocco, ragazzo! Se non fosse stato mortalmente ferito e malato, sai benissimo che sarebbe stato processato davanti ai Comyn per tradimento, per quella faccenda di Sharra, ed esiliato ufficialmetne. Non ho nessun malanimo verso di lui... — Ma Dyan distolse gli occhi quando Regis lo guardò. — E non ho nessun desiderio di vedere il figlio di Kenanrd scacciato o privato della ricchezza e del potere. Lew non ha un figlio maschio, e non è probabile che ne abbia uno, secondo quello che ho sentito
dire... no, non chiedermi dove l'ho saputo. Si potrebbe concludere un compromesso grazie al quale potrebbe tenere Armida, o le sue rendite, o l'una e le altre, per tutta la vita, ma... — Immagino che tu voglia mettere Gabriel al suo posto — disse Regis. — Ho già sentito questa canzone da mio nonno; non pensavo di sentirla anche da te! — Ora che Marius è morto sembra ragionevole, no? Non voglio vedere l'eredità degli Alton in mano agli Hastur. Ma c'è un erede Alton. Allevato in un Dominio fedele, o addirittura affidato alle cure del Principe Derik e di Linnell... quell'erede renderebbe l'onore al Dominio degli Alton. — Un figlio di Marius? O di Kennard? — Preferirei non dire nulla fino a quando non sarà stato tutto deciso — rispose evasivamente Dyan. — Ma ti dò la mia parola d'onore, è un Alton, e ha il laran potenziale. Regis, tu sei amico di Lew, non puoi convincerlo a rinunciare e a cedere il Dominio in cambio dell'assicurazione che per tutta la vita potrà tenere Armida, senza discussioni? Cosa pensi di questo piano? È maledettamente sospetto, pensò Regis, ma cercò un modo più diplomatico per dirlo. — Perché non ne parli con Lew? Non è mai stato ambizioso, e se questo bambino è un Alton, potrebbe essere d'accordo per adottarlo e nominarlo suo Erede. — Lew è troppo terrestre — disse Dyan. — Ha vissuto nell'Impero per anni. Non gli affiderei, ora, il compito di allevare un Erede dei Comyn. — Parente — disse Danilo, nel tono più formale; poi tacque e andò alla finestra, irrequieto. Regis e Danilo erano leggermente in rapporto mentale, e Regis poteva vedere, attraverso gli occhi dell'amico, il panorama dell'alto passo montano sopra Thendara e i fuochi dell'esercito di Beltran. Bruscamente, Danilo si voltò e disse a Dyan: — Tu fingi di aver paura di Lew a causa della sua educazione terrestre e di Sharra! Hai dimenticato che Beltran, là fuori, partecipò anche lui alla ribellione di Sharra? E quello è l'uomo che stai cercando di far ammettere nei Comyn con pieno diritto! — Beltran si è votato a rimediare a ciò che fece suo padre. Kermiac era un lacché dei terrestri; ma quando Beltran è diventato il Nobile Aldaran, ha rinunciato a tutto questo.... — E all'onore, alla decenza e alle leggi dell'ospitalità — disse irosamente Danilo. Tu non eri là, mio signore, quando decise di agire! Ma io ho visto bruciare Caer Donn! Dyan scrollò le spalle. — Una città terrestre. È un peccato che non ne abbia bruciata qualche altra, dacché c'era! Non capisci? Beltran può usare
Sharra contro i terrestri, per darci la vittoria se continueranno a imporsi... alla nostra benevolenza e al nostro mondo. Regis e Danilo lo fissarono inorriditi. Finalmente Regis disse: — Parente, credo che tu parli così perché non sai molto di Sharra. Non è possibile domarla in questo modo, e usata come arma... — Non avremmo bisogno di usarla — disse Dyan. — I terrestri ricordano anche loro Caer Donn e l'incendio dello spazioporto. La minaccia sarebbe sufficiente. Perché dovremmo aver bisogno d'una minaccia contro i terrestri? Viviamo sullo stesso mondo! Non possiamo annientarli senza annientare noi stessi! Dyan chiese rabbiosamente: — Anche tu, Regis, sei stato sedotto dall'Impero? Non pensavo che avrei visto il giorno in cui un Hastur avrebbe parlato di tradimento! — Io credo che quello che tu dici sia peggio del tradimento, Dyan — ribatté Regis, lottando per dominarsi. — Non posso credere che tu faresti ciò che, fatto da Lew, suscita il tuo biasimo... concludere un compromesso con Beltran per riportare tutti i vecchi terrori delle Ere del Caos! Io conosco Beltran, e tu no. — Non lo conosco? — chiese Dyan, con una strana luce negli occhi. — Se lo conosci, e favorisci ancora questa alleanza... — Stai a sentire — l'interruppe aspramente Dyan. — Ciò che ci troviamo di fronte è la sopravvivenza stessa dei Comyn... lo sai. Abbiamo bisogno che i Comyn siano forti, saldamente alleati contro coloro che vorrebbero consegnarci ai terrestri. I Ridenow sono già passati al nemico... oppure non hai sentito il discorso preferito di Lerrys? Escludi i Ridenow. Escludi Lew... un invalido, per metà terrestre, senza niente da perdere! Escludi gli Elhalyn... — E quando Danilo fece per protestare, Dyan lo azzittì con un gesto imperioso. — Se non sai che Derik è mezzo scemo, sei l'unico in Consiglio a non saperlo. Dimentica gli Aillard... Domna Callina è una Custode, una reclusa delle Torri; non può far molto, ma io ho qualche influenza su Dom Merryl, sia lodato Aldones. — Sorrise come un lupo. — Che cosa rimane? Noi tre in questa stanza, Merryl e tuo nonno... che è ultracentenario, e anche se è notevolmente lucido, non potrà vivere in eterno! In nome di tutti i gelidi inferni di Zandru, Regis, è necessario che io dica altro? E questo è il peso dell'essere un Hastur, pensò stancamente Regis. Questo è soltanto l'inizio. Si rivolgeranno sempre più spesso a me per queste
decisioni. — Tu pensi che dobbiamo stringere un'alleanza con Aldaran, anche a costo di tradire i capi legittimi di due Dominii? — chiese. — Due Dominii? Lew sarebbe stato esiliato sei anni fa, e mi sembra che siamo molto generosi con lui — disse Dyan. — E Domna Callina? Una Custode non è altro che una donna da far sposare per un'alleanza politica? — Se avesse desiderato continuare ad essere una Custode — disse rabbiosamente Dyan, — sarebbe rimasta nella sua Torre e si sarebbe astenuta dal tentare di immischiarsi negli affari del Consiglio! Dimmi, Regis, ti schiererai con me in Consiglio, oppure con i Ridenow, e ci consegnerai ai terrestri senza lottare per Darkover? Regis chinò la testa. Detto così, sembrava non lasciargli scelta. Dyan lo aveva abilmente intrappolato, facendo sembrare che consentisse; e in un modo o nell'altro, così tradiva qualcuno. Lew era l'amico giurato dell'infanzia. Dolorosamente ricordò gli anni che aveva trascorso ad Armida, correndo come un cagnolino alle calcagna di Lew, portando gli abiti smessi da lui, andando a caccia e a cavallo con lui, lottando al suo fianco nelle linee antincendio quando le colline di Kilghard erano state devastate dalle fiamme; ricordava un legame ancora più forte, ancora più vecchio di quello con Danilo; la prima ardente lealtà della sua vita. Lew, suo amico giurato e suo fratello adottivo. Forse era meglio così, dopotutto. Lew aveva detto e ripetuto che non voleva il potere tra i Comyn. Certamente, Regis non poteva permettere che Dyan credesse che si sarebbe schierato contro gli Hastur, per i terrestri. Deglutì con uno sforzo, cercando di soppesare i suoi doveri. Nonostante l'asprezza di Dyan, sapeva che era un giudice acuto in fatto di realtà politiche. Il pensiero di Darkover e dei Dominii nelle mani dei terrestri, un'altra colonia di un Impero esteso fra le stelle, era inaccettabile. Ma sembrava che non esistessero vie di mezzo. — Non accetterò mai compromessi con Sharra — disse stancamente. — Questo lo rifiuto. — Se ti schieri con fermezza al mio fianco — disse Dyan, — non avremo mai bisogno di usarla. Se adottiamo la linea dell'intransigenza, la minaccia basterà... — Non lo credo — disse Danilo. — Sharra... — S'interruppe, e Regis comprese che stava vedendo ciò che vedeva lui, la mostruosa forma di fuoco che annullava ogni matrice nelle vicinanze, attingeva potenza anche
da coloro che l'odiavano... morte, distruzione, devastazione! Dyan scrollò la testa. — Allora eravate entrambi bambini, e vi spaventaste. La matrice Sharra non è altro che un'arma... un'arma potente. Ma niente di peggio. Sicuramente... — continuò, sogghignando, — non crederete che sia una divinità venuta da qualche altra dimensione, non credete alle vecchie leggende secondo le quali Hastur incatenò Sharra, e Sharra verrà liberata soltanto alla fine del mondo... o forse ci credete. — Dyan sogghignò di nuovo. — E forse, Regis, questa volta dovrai essere tu l'Hastur che l'incatenerà! Mi sta prendendo in giro, pensò Regis. Eppure un gelo terrificante stava incominciando a fargli rizzare i capelli. Il dio Hastur, padre e progenitore di tutti gli Hastur, incatenò Sharra... e io sono un Hastur. È questo il mio compito? Scuotendo la testa per schiarirsela, si versò un'altra tazza di jaco e la sorseggiò lentamente, senza quasi sentire la fragranza della cioccolata amara. Si impose, rabbiosamente, di non essere superstizioso. La matrice Sharra era una matrice, un mezzo meccanico per amplificare i poteri psichici; era stata fatta da menti e mani umane, e altre menti e altre mani umane potevano frenarla e renderla innocua. Nelle mani di Beltran e di Kadarin sarebbe stata un'arma temibile, ma non c'era ragione perché a Beltran venisse permesso di usarla. Kadarin era umano; e i Comyn e i terrestri avevano messo una taglia sulla sua testa. Sicuramente, la situazione non era terribile come temeva. Disse con fermezza a Dyan: — Parola di Hastur, parente: non starò mai inerte a guardare mentre il nostro mondo viene consegnato ai terrestri. Forse non saremo d'accordo sui metodi adottati per evitarlo, ma per il resto sì. E quando lo disse, si rese conto che stava cercando di placare Dyan, come se lui fosse ancora un ragazzo e Dyan il maestro dei cadetti. Dyan e suo nonno erano dalla stessa parte, e miravano allo stesso scopo. Eppure aveva litigato con suo nonno e si stava sforzando d'essere d'accordo con Dyan. Perché? si chiese. Solo perché Dyan capiva e lo accettava per quello che era? Disse bruscamente: — Ti ringrazio per l'ottima colazione, cugino. Ora devo andare a indossare quegli orribili abiti da cerimonia e cercare di convincere mio nonno che Mikhail è ancora troppo giovane per sopportare un'intera seduta del Consiglio. Anche se è l'Erede di Hastur, dopotutto ha solo undici anni. Dani, ci vediamo nella Sala di Cristallo. E uscì. Ma fu Lerrys che lo raggiunse sulla soglia della Sala di Cristallo. Porta-
va i colori del suo Dominio, ma non la tenuta cerimoniale completa. Guardò Regis con aria ironica. — Ti sei vestito in pompa magna, vedo. Spero che Lew Alton abbia il buon senso di presentarsi questa mattina indossando abiti terrestri. — Non credo che sarebbe molto ragionevole — disse Regis. — Non sarebbero adatti al clima, e offenderebbero i Comyn senza ragione. Che importanza ha ciò che portiamo in Consiglio? — Non ha importanza, questo è il punto. Ecco perché mi esaspera tanto vedere una dozzina di uomini e donne che si comportano come se facesse qualche differenza il fatto che indossino un tipo di abito piuttosto che un altro. Anche Regis aveva pensato più o meno la stessa cosa, mentre infilava quelle vesti arcaiche e ingombranti, ma per qualche ragione lo esasperava sentirlo dire da Lerrys. Disse: — In questo caso, tu perché porti i colori del tuo clan? — Io sono un figlio minore, se lo ricordi — disse Lerrys. — Non sono il Capo né l'Erede di Serrais. Se lo facessi mi manderebbero via perché non sono abbigliato in modo appropriato, come un bambino vestito in pompa magna per il gusto di farlo. Ma se tu, Erede di Hastur, o Lew, capo di Armida perché adesso non c'è nessun altro, rifiutaste di seguire quella consuetudine, potreste riuscire a cambiare le cose... cose che non verranno mai cambiate a meno che voi, o qualcuno come voi, abbia il coraggio e l'intelligenza di cambiarle! Ho sentito dire che il Nobile Damon... come lo chiamano?, Jeff, è tornato ad Arilinn. Vorrei che fosse rimasto. Anche lui è stato allevato sulla Terra, eppure è abbastanza telepate per essere diventato tecnico ad Arilinn... questo dovrebbe aver portato un soffio d'aria nuova alla Torre, e credo che sia tempo di rompere qualche finestra anche nella Sala di Cristallo! Regis disse sobriamente, ignorando il resto del lungo discorso di Lerrys: — Vorrei essere altrettanto sicuro che accetteranno Lew. Hai sentito dire che hanno trovato il figlio d'uno degli Alton e che vogliono metterlo al posto di Lew? — So che dovrebbe esserci un figlio così — disse Lerrys. — Non conosco tutti i dettagli. Marius lo sapeva, ma non credo che abbia avuto la possibilità di dirlo a Lew. Lo avete fatto fuori prima, no? Regis lo fissò, sbigottito e incollerito. — Per gli inferni di Zandru! Oseresti dire che io ho avuto qualcosa a che fare con la morte di Marius? — Tu personalmente no — disse Lerrys, — ma non credo che dobbiamo
guardare troppo lontano per trovare l'assassino, vero? È capitato troppo a proposito per quel gruppo di vecchi pazzi assetati di potere che siedono in Consiglio. Regis rabbrividì ma cercò di nascondere a Lerrys la sua costernazione. — Devi essere matto — disse finalmente. — Se mio nonno - e suppongo che tu stia accusando il Nobile Hastur - avesse avuto l'intenzione di far assassinare Marius, perché avrebbe atteso tanto tempo? Si era accordato con i terrestri perché Marius avesse la migliore educazione possibile; sapeva sempre dov'era Marius... perché avrebbe dovuto mandare qualcuno a ucciderlo ora? — Non vorrai dirmi che un ragazzo dell'età di Marius aveva qualche nemico personale, vero? — chiese Lerrys. Non ne aveva tra i Comyn... come non aveva amici, pensò Regis e disse, impettito: — Questo lede l'onore degli Hastur, Lerrys. Ti avverto di non ripetere ancora questa calunnia mostruosa, oppure io... — Che cosa farai? Sguainerai quella spadina e mi farai a pezzi? Regis, ti comporti come un ragazzino di dodici anni! Credi sinceramente a tutte queste fesserie sull'onore degli Hastur? — Nonostante la sua rabbia qualcosa nella voce di Lerrys, colpì Regis. Aveva portato la mano al pugnale, senza rendersene conto; ora lasciò l'impugnatura, e disse: — Non deridere l'onore, Lerrys, solo perché non sai che cosa sia. — Regis — disse Lerrys, in tono del tutto serio — credimi, non sto insinuando che tu sia qualcosa di diverso da un modello d'integrità. Ma non sarebbe la prima volta che un Hastur è stato a guardare mentre assassinavano qualcun altro, o peggio ancora, perché quella persona non si inquadrava bene nei piani dei Comyn. Chiedi a Jeff, qualche volta, chi ha assassinato sua madre, perché aveva osato dire che una Custode non era una vergine sacrosanta da tenere rinchiusa ad Arilinn. Anche lui si è salvato a stento un paio di volte da un tentativo di assassinarlo perché il Consiglio non lo trovava troppo conveniente per i suoi progetti a lunga scadenza. Non possiamo neppure dare la colpa ai terrestri... l'assassinio è sempre stato un sistema prediletto su Darkover fin dalle Ere del Caos. Sai che cosa pensano i terrestri di noi? — Ha importanza, ciò che i terrestri pensano di noi? — rispose evasivamente Regis. — Ha importanza, eccome! Ti piaccia o no! — Lerrys s'interruppe. — Ah, perché devo sprecare il fiato con te? Non sei meglio di tuo nonno, e perché dovrei tenerti l'intero discorso che cercherò di pronunciare in Con-
siglio, se non mi costringeranno a tacere? — Fece per passare oltre, ma Regis lo prese per il braccio e lo trattenne. — Mio nonno non si è molto addolorato per la morte di Marius — disse. — Ma metterei la mano sul fuoco di Hali che non ha avuto nulla a che fare con il suo assassinio! Ero là, quando è bruciata la casa di città degli Alton. Marius è stato ucciso dagli uomini che volevano prendere la matrice Sharra... e l'hanno presa, lo sai. Non penserai che mio nonno abbia avuto qualcosa a che fare con questo, certamente? Lerrys lo fissò per un momento, poi disse, in tono sprezzante: — Sei peggio di Lew... oppure hai parlato con lui. Lui vede Sharra come il babau sotto ogni letto! È maledettamente comodo, no? — Passò oltre ed entrò nella sala del Consiglio. Pensosamente, Regis lo seguì. Quasi tutti i membri del Consiglio erano nei rispettivi recinti, e suo nonno si era già alzato per fare l'appello dei Domini. Rivolse una smorfia a Regis vedendolo entrare subito dopo Lerrys Ridenow; ma si separarono ed entrarono nei due diversi settori. La morte di Marius non era accidentale come aveva pensato? Non era stato ucciso mentre difendeva la casa di suo padre dagli invasori che cercavano qualcosa di cui non sapeva nulla? Certamente Marius non sapeva nulla della matrice Sharra, se non che era pericolosa... Ricordò la notte in cui Marius era venuto a chiedere il suo aiuto per Rafe Scott. Scott dov'è? Forse Lew lo saprà. Se io fossi il giovane Scott, mi nasconderei nella Zona Terrestre e non metterei più fuori il naso finché Kadarin è in libertà con la matrice Sharra. E credo che se Lew avesse un po' di buon senso farebbe altrettanto. Ma Lew non è così. I terrestri sono vigliacchi, pensò Regis, mentre la sua mente scivolava su ciò che aveva dato per scontato tutta la vita: suo padre era stato ucciso in una guerra perché qualche vigliacco si era fidato delle armi terrestri che uccidevano a distanza. E poi incominciò a riflettere. Non possono essere tutti vigliacchi, come non tutti i nobili Comyn sono fieri e onorati... pensò. E mentre Derik incominciava a fare l'appello dei Domimi, si disse: Dovrò andare nella Zona Terrestre e scoprire che cosa sa Rafe Scott della matrice Sharra. A meno che si sia alleato con Kadarin... e questa non è l'idea che mi ero fatta di Rafe Scott! Uno ad uno, dai loro recinti, i Comyn dei Sette Dominii risposero per le loro Casate. Quando fu chiamato Alton, Regis vide Lew, vestito degli abiti cerimoniali del suo clan, farsi avanti e rispondere: — Sono qui per gli Alton di Armida. — Regis si attendeva una sfida, ma non ci fu; non disse
nulla neppure Dyan, che sedeva accanto a Danilo sotto la bandiera degli Ardais. La sfida sarebbe stata più insidiosa? Una pressione perché Lew restasse tranquillo ad Armida e adottasse il figlio Alton che avevano scovato chissà dove? Gli avrebbero permesso di restare capo nominale degli Alton in cambio di qualche altra concessione! Regis scoprì che non riusciva neppure a immaginarlo. E perché Dyan era così sicuro che Lew non avrebbe avuto figli? Persino Dyan, che preferisce gli uomini, ha un figlio; e un altro lo perse nell'infanzia. Io ho avuto parecchi figli. Perché Lew non dovrebbe sposarsi e avere tutti i figli che vuole? Si voltò a guardare Lew e vide, mentre Callina Aillard si alzava a rispondere per il suo Dominio, che Lew la stava osservando intento, così intento che gli sembrò, nonostante le perturbazioni degli smorzatori telepatici della Sala di Cristallo, di poter leggere i suoi pensieri. Ma Callina è una Custode. Comunque, non sarebbe la prima Custode che abbandona la sua alta carica per sposarsi... non sarebbe la prima né l'ultima. Dovrebbe prima istruire la Custode destinata a succederle, ma Lew non è un ragazzo impulsivo; potrebbe aspettare abbastanza a lungo. Credo che potrebbero persino essere felici. Sarebbe bello vedere Lew di nuovo felice. Avevano terminato l'appello dei Domimi, senza riferimenti ad Aldaran. Regis aveva l'impressione che ci fosse qualcuno in quel recinto, dietro le tende, e si meravigliò. Ma Derik, terminato il suo compito, si era ritirato, e Hastur stava prendendo il suo posto per presiedere la seduta. In teoria, quella seduta conclusiva del Consiglio doveva completare le questioni lasciate in sospeso. In pratica, Regis lo sapeva, sarebbe stata sollevata ogni banalità che potesse far perdere tempo fino a quando la noia o la fame portasse alla conclusione del Consiglio. Poi tutto sarebbe finito sino all'anno prossimo. Supponeva che fosse per quello che Hastur non aveva contestato Lew quando aveva parlato per Armida; il vero problema dell'eredità degli Alton sarebbe stato risolto discretamente con pressioni personali, dietro le quinte, e non discusso in Consiglio. Aveva visto usare altre volte quelle tattiche. E ora, ignorando il segnale di Dyan, Hastur rivolse un cenno a Lerrys Ridenow, che si era alzato per chiedere la parola. Lerrys scese nello spazio centrale dove gli arcobaleni dei prismi del tetto gettavano luci colorate sul pavimento chiaro e sulle pareti. S'inchinò e Regis pensò, spassionatamente, che il giovane era bello come un gatto; fulvo,
snello, agile, con i lineamenti cesellati dei Ridenow: era più bello, pensò, di tutte le donne nella Sala di Cristallo. E si chiese perché notava tutto ciò in quell'ambiente solenne. — Miei signori — disse Lerrys, — ho sentito dire molte cose in questa sala, da quando è incominciato il Consiglio. Tutti voi... — Con uno dei suoi rapidi movimenti felini, girò la testa per guardarsi intorno. — Tutti voi avete parlato di cose importanti come i matrimoni e le eredità e le riparazioni del tetto del Castello... oh, non letteralmente, ma è di questo che si tratta, discutendo seriamente cose che potrebbero venire risolte in tre minuti con un po' di buon senso. Voglio sapere quando parleremo di cose serie. Per esempio... — E questa volta la sua occhiata fu dura e insolente. — Quando manderemo il nostro rappresentante al Senato terrestre? Quando nomineremo un senatore con le debite credenziali? Voglio sapere quando, e se, daremo l'avvio a una vera indagine sull'assassinio di Marius Alton e l'incendio della casa degli Alton. E voglio sapere quando prenderemo il posto che ci spetta nel Senato dell'Impero, anziché restare sotto il protettorato terrestre come un mondo primitivo e barbaro con una cultura feudale che non deve essere toccata, come se fossimo selvaggi appena evoluti al punto di strofinare due bastoncini e di adorare il dio del fuoco che produce la scintilla! Il suo tono di disprezzo era bruciante. — Loro ci lasciano isolati, quando dovrebbero onorarci come la prima e la più prestigiosa delle colonie! — Possiamo fare a meno di un simile onore! — esclamò Dyan in tono sferzante. Lerrys si girò verso di lui. — Cosa diavolo sai tu dei terrestri? Sei mai andato a fare una passeggiata nella Zona Terrestre e a visitare uno dei loro edifici? Hai mai fatto qualcosa nella Zona Terrestre, se non frequentare uno dei loro bordelli esotici? Con tutto il rispetto dovuto - e non è molto, Nobile Dyan - dovresti tenere la bocca chiusa fino a quando non sai di cosa stai parlando! — Io so che stai cercando di farci diventare tutti terrestri... — disse Dyan. E Lerrys: — Diventare terrestri? Diavolo! Siamo terrestri... oppure questo fatto fondamentale è stato tenuto nascosto a quel pazzo di tuo padre e a tutti i nostri antenati? Se qui c'è qualcuno che non sa che un tempo eravamo una colonia terrestre, è ora che quell'idiota scopra la verità! Danvan di Hastur disse severamente: — Questo problema è già stato discusso, Dom Lerrys. Siamo tutti d'accordo: non vogliamo avere niente a
che fare con la Terra... — Voi siete tutti d'accordo! — ribatté ironicamente Lerrys. — Quanti di voi sono d'accordo... tutti quindici o sedici? Qual è la popolazione di Thendara, secondo l'ultimo censimento? Oppure siamo troppo arretrati per contare la popolazione? Cosa credi che direbbero loro, se chiedessimo se vogliono continuare a venerare voi aristocratici come stirpe di Hastur, figli degli Dei, e simili fesserie, o se preferiscono essere liberi cittadini dell'Impero, con voce in capitolo nel loro governo, senza bisogno d'inchinarsi agli alteri Comyn? Prova a chiederglielo, qualche volta! Edric Ridenow, Nobile Serrais, si alzò pesantemente dal seggio e disse: — Noi governiamo queste terre da tempo immemorabile e sappiamo cosa vuole il nostro popolo. Ritorna al tuo posto, Lerrys; non ti ho dato licenza di parlare! — No, non me l'hai data — ribatté Lerrys, accalorandosi. — E io parlo comunque. È doveroso dirlo! Sono cittadino dell'Impero! Voglio poter dire la mia su quello che sta succedendo! — Credi davvero che te lo lascerebbero fare? — chiese il Nobile Hastur. Regis pensò che aveva un tono di genuina curiosità. — Hai accusato il Nobile Dyan di parlare senza conoscere veramente i terrestri. Puoi accusare anche me? Io ho trattato con i terrestri durante gran parte della mia lunga vita, Lerrys, e posso assicurarti che non hanno niente che valga la pena di desiderare. Ma non posso permettere che tu parli a sproposito in Consiglio. Ti prego di sederti fino a quando il tuo signore e fratello ti darà licenza di parlare. — Per tutti gli inferni di Zandru, chi gli ha dato il potere sulla mia voce! — chiese furiosamente Lerrys. — Sono un Comyn, anche se forse non vorresti ammetterlo, e ho il diritto di farmi ascoltare... — Gabriel — disse Hastur senza alzare la voce, — il tuo dovere. Regis disse: — Lascialo parlare, nonno. Voglio sentire cos'ha da dire. — Ma altri gridarono e Gabriel, con la spada in pugno, si avvicinò a Lerrys e disse: — Siediti, dom Lerrys. Silenzio. — Al diavolo... — disse Lerrys. — Non mi lasci scelta, signore. Perdonami. — Gabriel fece un cenno alle guardie, che abbrancarono bruscamente Lerrys. Lerrys spinse e diede gomitate; ma era leggero, e le guardie erano due omaccioni enormi, e non faticarono a trascinarlo verso il suo posto. Bruscamente, con un paio di calci ben piazzati, Lerrys si liberò e si piazzò in atteggiamento di sfida. — Non importa. Non turberò più il vostro stupido Consiglio — disse. —
Non lo meritate. Adesso fatemi assassinare come avete fatto con Marius Alton, perché sono dall'altra parte della barricata! Maledetti stupidi, tutti quanti, e assassini, perché avete paura di ascoltare la verità! Siete un maledetto anacronismo, tutti voi, e ve ne state lì seduti a giocare ai signori e alle signore, con un Impero stellare ai vostri piedi! Bene, maledizione, andate all'inferno a modo vostro, e io starò a guardare! — Rise rumorosamente, beffardamente, si girò facendo volteggiare il mantello e i lunghi capelli chiari, e uscì dalla sala del Consiglio. Regis restò seduto, sgomento. Lerrys aveva espresso i pensieri che lui non aveva mai osato rivelare... ed era rimasto li come un sasso, senza avere il coraggio di parlare a voce alta e di sfidare Gabriel. Maledizione, avrei dovuto scendere a fianco di Lerrys ed esigere qualche risposta! Sono l'Erede di Hastur, non avrebbero potuto ridurmi al silenzio tanto facilmente! Si disse che non aveva avuto scelta, che Lerrys era stato escluso per la mancanza di rispetto verso le tradizioni del Consiglio, non per ciò che aveva detto. Li aveva praticamente accusati tutti d'omicidio, e nessuno aveva aperto bocca per smentire, pensò Regis con un improvviso brivido. Era solo perché giudicavano l'accusa troppo ridicola per rispondere? Non gli piaceva pensare all'alternativa. Uno dei nobili minori, un Di Asturien della riva del lago Mirien - Regis lo conosceva di vista, e aveva avuto una relazione con una delle sue figlie si alzò e si rivolse al Nobile Hastur per chiedere la parola. Danvan Hastur annuì, e l'uomo scese al centro della sala. — Miei signori — disse, — non contesto la vostra saggezza, ma ritengo che richieda una spiegazione. In questi giorni, in cui noi in Consiglio siamo così pochi, perché il Principe Derik deve sposare una donna dei Comyn? I loro figli saranno divisi tra i due Dominii. Non sarebbe meglio se il Principe Derik si sposasse fuori dal Consiglio, creando una forte alleanza? Anche Linnell Lindir-Aillard dovrebbe sposare un uomo che porti sangue nuovo in Consiglio. Inoltre, vorrei fare osservare che sono strettamente imparentati. Con tutto il rispetto, signore, faccio notare che la cerchia interna dei Comyn è già stata falcidiata anche troppo dai matrimoni tra consanguinei. Non chiedo di ritornare ai tempi in cui si tenevano i registri dei laran, miei signori, ma ogni allevatore di cavalli sa che gli eccessivi incroci tra consanguinei introducono effetti spiacevoli. Sì, è vero, pensò Regis, guardando Callina, così fragile che un soffio d'aria avrebbe potuto portarla via, e Derik, con quella faccia da stupido. Ja-
vanne era stata fortunata a sposarsi al di fuori delle linee dirette dei Comyn. I suoi figli erano tutti sani e forti. Derik... guardando il giovane principe, Regis si chiese se Derik avrebbe generato qualcosa di meglio di una fila di mezzi scemi come lui. E all'improvviso sentì agghiacciare il sangue: guardò Derik e non vide nulla, null'altro che un teschio ghignante... un teschio che rideva... Si passò le mani sugli occhi; e Derik era là seduto, semplicemente, con il suo stupido sorriso bonario. Hastur disse, senza alzare la voce: — Non hai torto, signore. Ma il Principe Derik e la comynara Linnell sono innamorati fin dall'infanzia, e sarebbe una crudeltà separarli adesso. Ci sono altri che possono portare sangue nuovo in Consiglio. Regis pensò, cinicamente: forse è un modo elegante per alludere a quello che sto facendo io, mettere al mondo figli nedestro quando voglio... le donne non obiettano, e neppure i loro padri, dato che sono Hastur di Hastur... e i suoi pensieri slittarono via, quando vide Dama Callina alzarsi, alta e maestosa nelle vesti cremisi da cerimonia. — Non è una questione in cui possa immischiarsi il Consiglio — disse, pallida come la morte. — Linnell è la mia pupilla! Io ho dato il consenso a questo matrimonio, e ciò è sufficiente! — Immischiarsi, mia signora? — chiese Di Asturien. — È uno strano modo di esprimersi. I matrimoni tra i Comyn devono essere approvati dal Consiglio, no? — Io sono il Capo della casa degli Aillard. Non spetta al Consiglio approvare o disapprovare il matrimonio di Linnell. — Ma quello del Principe, sì — insistette il vecchio. — Protesto, e sono sicuro che altri protesteranno! Derik disse amabilmente: — Non vuoi lasciare che io mi scelga la consorte, signore? Oppure devo imitare gli abitanti delle Città Aride e avere una mezza dozzina di mogli e di barraganas? Anche un principe deve avere qualche possibilità di scelta personale. — Cosa ne dice la dama? — chiese il vecchio Di Asturien. E Linnell, seduta all'ombra di Callina, arrossì e si ritrasse. — Questo matrimonio fu approvato al Consiglio molto tempo fa — disse in un bisbiglio. — Se qualcuno voleva protestare, doveva farlo anni addietro. Io e Derik ci fidanzammo quando io avevo quattordici anni e lui dodici. C'è stato tutto il tempo per protestare, e prima che noi... prima che non ci scambiassimo i nostri cuori. — È passato molto tempo, e allora il Consiglio era più forte — borbottò
il vecchio. — Ci sono molte donne di sangue illustre, nei Dominii. Non era necessario che il principe scegliesse la sorella del Capo di un altro Dominio. — Con tutto il rispetto, signore — disse il Nobile Hastur, — abbiamo ascoltato ciò che avevi da dire. C'è qualcuno dei Comyn che intenda parlare in proposito? — Non voglio ascoltare — disse Callina, pallida per l'indignazione. — Io ho dato il consenso a questo matrimonio, e secondo la legge nessuno ha il potere di cambiare questo fatto. — E se qualcuno ci prova — disse Derik, — io sono pronto a sfidarlo. — Posò la mano sull'impugnatura della spada. E per un momento, Regis ebbe l'impressione che il Consiglio fosse come l'aveva visto Lerrys: bambini che bisticciavano per i giocattoli... Sguainerai quella spadina e mi farai a pezzi... Derik aveva parlato come imponevano l'onore e la legge dei Comyn, eppure aveva fatto la figura dello sciocco. Derik era uno sciocco, naturalmente. Ma aveva mai avuto la possibilità d'essere qualcosa d'altro? Erano tutti altrettanto sciocchi, i Comyn? Ma Hastur, con calma, si atteneva alla consuetudine. Disse a Di Asturien: — Signore, sei pronto ad accettare la sfida del Principe Derik? Il vecchio arretrò. — Che gli Dei non vogliano, signore! Io, sfidare Hastur di Elhalyn, il mio legittimo principe? Volevo solo porre la questione, Nobile Hastur, niente altro. — S'inchinò a Derik. — Su serva, Dom. — E Regis, guardando il vecchio dignitoso che si ritirava, quasi servile, risentì la domanda di Lerrys... giocando ai signori e alle signore... Perché, grazie alla sua discendenza, uno sciocco come Derik doveva far tremare così un vecchio onorato, d'ottima famiglia, che aveva servito a lungo il suo paese? È così anche per me. Da quando avevo dieci anni, con le guardie che mi seguono come tante governanti per paura che mi spezzi un'unghia... perché, in nome del cielo? Di nuovo assorto, si lasciò sfuggire le parole successive di Danvan Hastur, e si scosse all'improvviso quando suo nonno chiamò: — Il Settimo Dominio! Aldaran! Allora Regis udì una voce che non aveva creduto di udire mai più e che giungeva attraverso la tenda. Poi gli anelli della tenda tintinnarono e un uomo alto si fece avanti e si fermò accanto alla balaustrata. Somigliava a Lew; più vecchio e senza sfregi, ma la rassomiglianza c'era. Avrebbe potuto essere il fratello maggiore di Lew. Disse: — Sono qui
per Aldaran. Beltran-Kermiac, Signore di Aldaran e di Scathfell. E il silenzio allibito della Sala di Cristallo fu spezzato dal grido di Lew. — Protesto! IL RACCONTO DI LEW ALTON VIII Non sapevo che avrei protestato fino a quando sentii la mia voce. Li sentii chiamare il nome di Aldaran, e mi resi conto di quello che stava succedendo: non era un incubo. Avevo sentito la voce negli incubi, anche troppo spesso. Lui mi somigliava ancora tanto che ho visto molti gemelli assai meno simili; anche se adesso nessuno ci avrebbe confusi... l'amarezza mi sopraffece. Era lui che aveva operato per evocare Sharra; e adesso stava là, indenne, mentre io, che avevo sofferto per placare la tempesta di fuoco scatenata da lui e per domare di nuovo Sharra perché non devastasse il nostro mondo dalla Baia degli Uragani al Muro Intorno al Mondo... ero li, sfregiato e mutilato, più reietto di lui. — Protesto! — gridai di nuovo, e scesi in fretta al centro dello spazio aperto, fronteggiandolo. Hastur disse, in tono blando: — Non abbiamo ancora chiesto una sfida formale. Devi esporre le ragioni della tua protesta. Mi sforzai di dominare la voce. Per quanto grande fosse il mio odio - e sentivo che stava per travolgermi - ora dovevo parlare con calma. L'isteria sarebbe servita solo a danneggiare la mia causa: sebbene le proteste e le accuse incoerenti tumultuassero nella mia mente, dovevo perorare la mia causa con tranquilla razionalità. Mi afferrai alla presenza nella mia mente, alle memorie aliene di cui ero portatore; come avrebbe parlato mio padre? Di solito era riuscito a imporre ai Comyn la sua volontà. — Dichiaro... — cominciai, cercando di rendere ferma la mia voce. — Dichiaro... l'esistenza di una faida di sangue non risolta. — La faida di sangue era considerata, dovunque nei Dominii, un obbligo che trascendeva ogni altra considerazione. — La sua vita è... è mia: l'ho rivendicata. Fino a quel momento i nostri occhi non si erano incontrati. Ora Beltran alzò la testa e mi guardò, scettico e preoccupato. Io distolsi lo sguardo. Non volevo ricordare che un tempo avevo chiamato cugino e amico quell'uomo. Dei del cielo, com'era possibile che stesse lì a guardarmi negli occhi con calma e a dire, come stava dicendo adesso: — Non sapevo che la
pensassi così, Lew. Allora mi ritieni responsabile di tutto! Come posso fare ammenda? Certamente non sapevo di questo dissidio. Ammenda! Strinsi il moncherino con la mano illesa. Avrei voluto urlare: «Puoi fare ammenda per questo? Puoi rendermi sei anni della mia vita, puoi rendermi... Marjorie?» Per una volta in vita mia ero grato per la presenza degli smorzatori telepatici senza i quali tutto questo sarebbe eruttato con tutta la forza dell'ipersviluppato rapporto degli Alton... Ma dissi, ostinatamente: — La tua vita è mia: quando, dove e come posso. Beltran allargò leggermente braccia, come per chiedere: — Che significa tutto questo? — Davanti l'espressione sorpresa dei suoi occhi, giuro che per un momento dubitai della mia ragione. Avevo sognato tutto? Affondai le unghie nel polso, e ricordai: no, non era un incubo. Hastur disse severamente: — Le tue parole non contano, Signore di Armida. — Ricordai, dopo un secondo di sgomento. Quello era il mio titolo, non di mio padre. Adesso ero il Signore di Armida. — Hai dimenticato — continuò Hastur, — che la faida di sangue è proibita nei Comyn come tra eguali. — Era come un gioco di parole: comyn significava semplicemente «eguali in rango e posizione». — E io affermo — disse con calma Beltran, — che non ho motivo di rancore contro mio cugino di Alton. Se ritiene che ci sia una faida di sangue tra noi, deve risalire a un periodo della sua vita in cui era... — E potei vedere tutti, in Consiglio, dire ciò che lui sembrava generosamente rinunciare a dire: in cui era pazzo... L'esistenza stessa dei Comyn, i Sette Domimi della Discendenza di Hastur, era basata su un'alleanza che proibiva le faide di sangue, sull'immunità dei Comyn. E Beltran, adesso, ne aveva diritto. Che Zandru gli inviasse fruste di scorpioni! Non c'era modo d'interrompere quella farsa? Dal punto dove stavo non potevo vederla. Ma Callina si alzò e venne avanti, con i veli cremisi che svolazzavano come in una brezza invisibile. Mi voltai quando parlò; era distante, remota, ben diversa dalla donna che avevo stretto fra le braccia impegnandomi a sostenerla. La sua voce sembrava lontana e nitida, come se giungesse non da lei, ma attraverso lei. — Nobile Aldaran, come Custode dei Comyn ho il diritto di chiederti questo: Hai giurato fedeltà al Patto? — Quando sarò accettato tra i Comyn — disse Beltran, — sarò pronto a giurare. Callina fece un gesto. — Il tuo esercito è accampato là fuori, armato d'armi terrestri in sfida al Patto. Dobbiamo accoglierti tra i Comyn quando
non hai ancora giurato di osservare la loro prima legge, in cambio dell'accettazione tra noi? — Quando giurerò ai Comyn — disse Beltran con vellutata soavità, — la mia Guardia d'Onore consegnerà le armi nelle mani della mia promessa sposa. Vidi Callina rabbrividire a quelle parole. C'erano smorzatori telepatici in tutta la sala, ma mi sembrava comunque di poter leggere i suoi pensieri. Se non acconsento a queste nozze, sarà la guerra. L'ultima guerra nei Dominii decimò i Comyn. Beltran potrebbe annientarci completamente. Alzò gli occhi e lo guardò. Disse, nel silenzio di morte: — Allora, Nobile Aldaran, se ti accontenti di una moglie non consenziente... — Esitò; sapevo che non si sarebbe voltata a guardarmi, ma sentivo la disperazione nelle sue parole. — ... allora sono d'accordo. Che il fidanzamento avvenga la sera della Festa. — Così sia — disse Beltran, con quel sorriso che era come una maschera sui suoi veri sentimenti, e s'inchinò. Io restai immobile, come se fossi radicato al pavimento della Sala di Cristallo. L'avrebbero fatto davvero? Avrebbero venduto Callina a Beltran per impedire la guerra? Nessuno avrebbe alzato la mano contro quella mostruosa ingiustizia? Gridai: — Lo accetterete in Consiglio, allora? È vincolato a Sharra? Beltran si voltò verso di me e disse: — Lo sei anche tu, cugino. Non potevo dire nulla. In quel momento provai l'impulso di fare ciò che aveva fatto Lerrys, di uscire dalla sala del Consiglio maledicendoli tutti. Non ho mai saputo con certezza che cosa accadde poi. So che feci per tornare al mio posto, e che avevo fatto qualche passo verso il recinto degli Alton, quando sentii un grido, una voce di donna. Per un momento mi parve così simile a quella di Dia che restai impietrito; poi anche Derik gridò, e mi voltai, vidi Beltran che arretrava di un passo e tendeva le mani come per difendersi. Poi ci furono grida dovunque, grida di paura e di terrore; indietreggiando un po' nel recinto, la vidi, sospesa nell'aria sopra di noi, gigantesca, minacciosa... La forma d'una donna incatenata, con i capelli di fiamma, che si agitava, ingigantita, con il crepitio di un incendio nella foresta... Sharra! La forma di fuoco, Sharra... Ora sapevo che era un incubo dell'inferno. Arretrai anch'io dalle fiamme che ci lambivano, dall'odore di bruciato, il fiume di terrore, di odio, l'angolo d'inferno che si era spalancato per me sei anni prima...
Mi afferrai all'autocontrollo che si dileguava, prima che potessi gridare ancora, svergognarmi urlando come una donna. La Forma di Fuoco era là, sì; torreggiava e palpitava e tremava sopra di noi, una donna con la testa rovesciata all'indietro, alta tre volte più di un uomo, le fiamme che le lambivano i capelli. Marjorie! Marjorie che bruciava, adombrata da Sharra... Poi cercai di aggrapparmi alla razionalità che svaniva. No, questa non era Sharra come l'avevo conosciuta. Il mio cuore batteva in fretta per lo spavento, ma non c'era un vero odore di bruciato nella sala, le tende dei recinti non fumavano e non ardevano dove il fuoco le toccava... questa era un'illusione, niente altro, e io stringevo a pugno la mano illesa, sentivo le unghie affondare nella carne, sentivo il vecchio dolore bruciante nella mano che non c'era più... il dolore fantasma, come questo non era altro che un fantasma, un'immagine di Sharra... Avrei riconosciuto la vera Sharra, avrei sentito il mio corpo e la mia anima legati a quell'apparizione mostruosa... La Forma di Fuoco tese un braccio... un braccio di donna lambito dalle fiamme... e Beltran arretrò... fuggì dalla Sala di Cristallo. Ora che sapevo che cos'era, restai immoto, guardandolo fuggire, chiedendomi perché l'aveva fatto. Kadarin, dovunque fosse, che sguainava la Spada, evocando la Forma di Fuoco? No. Io ero vincolato a Sharra, corpo e anima; se Kadarin, che a sua volta era vincolato a quella cosa empia, l'avesse evocata, anch'io sarei stato consumato dalla fiamma... Strinsi convulsamente la mano sulla ringhiera, meravigliato. I Comyn si agitavano e gridavano confusamente. Altri due o tre fuggirono dalle porte private in fondo ai recinti. Callina? Nessuna Custode avrebbe profanato la sua carica in quel modo, usandola per terrorizzare. Io avrei potuto farlo - anche ora potevo sentire il calore della fiamma nella mia matrice inutile - ma sapevo di non averlo fatto. Beltran, che era vincolato anche lui a Sharra? Si era spaventato più di tutti gli altri, perché aveva visto bruciare Caer Donn. La Forma di Fuoco fiammeggiò e si spense e scomparve, come una candela smorzata dal vento. Danvan di Hastur, Reggente dei Comyn, era rimasto al suo posto, ma era bianco come un morto, e stringeva la ringhiera mentre parlava, pronunciando le parole rituali quasi prive di significato: — Dichiaro... la seduta del Consiglio... chiusa per quest'anno, con tutti gli argomenti in discussione, aggiornandola fino a quando un altro anno ci riporterà insieme... Uno ad uno, coloro che non erano già fuggiti uscirono in silenzio dalla
Sala, sconvolti, vergognandosi del loro terrore. Io, che avevo affrontato la realtà di Sharra, mi sorpresi a chiedere come potevano reagire a quella realtà. Eppure il cuore mi batteva ancora forte; una paura penetrata fino alle ossa, una porta oscuramente socchiusa tra i mondi per lasciar entrare quell'ombra mostruosa... io avevo visto quella porta aperta per metà, e sapevo che si apriva sul fuoco e l'inferno, come il cuore vivente di un vulcano. Poi, dietro Danvan Hastur, vidi Regis, immobile, con la mano posata sulla matrice. Non mi guardava, non guardava niente. Ma compresi, chiaramente come se avesse parlato: Regis! Regis aveva evocato quell'immagine! Ma perché? Perché e come? Abbassò la mano. Vedevo le gocce di sudore che gli imperlavano l'attaccatura dei capelli. Ma la sua voce suonava normale. — Vuoi appoggiarti al mio braccio, nonno? Il vecchio sbuffò: — Quando avrò bisogno d'aiuto, sarò avvolto nel sudario! — E a testa eretta, uscì a passo deciso dalla Sala. Eravamo rimasti soltanto io e Regis. Ritrovai la voce, amaramente. — Sei stato tu. Non so come o perché, ma sei stato tu! Cugino... puoi fare queste cose come se fossero uno scherzo? Lasciò ricadere la mano dalla matrice, l'abbandonò inerte lungo il fianco come se gli facesse male. Forse era così; ero troppo agitato per curarmene. Finalmente disse con voce sforzata che era appena un sussurro: — Ci ha dato... tempo. Un altro anno. Non possono... non possono contestare il tuo diritto sul Dominio degli Alton, o accettare Beltran in Consiglio per un anno ancora. Il Consiglio è stato... chiuso. — Poi barcollò e si aggrappò alla ringhiera. Lo spinsi su un seggio. — Metti la testa fra le ginocchia — dissi bruscamente, e lo guardai mentre stava lì seduto, a testa china, e un po' di colore gli riaffluiva alle guance. Finalmente si raddrizzò di nuovo. — Mi dispiace se... se l'immagine... ti ha spaventato — disse. — Era l'unica cosa che ho potuto pensare per interrompere il Consiglio. Questa farsa. Volevo che vedessero che cosa debbono temere. Tanti di loro non lo sanno. Ricordai Lerrys che diceva: — Tu vedi Sharra come un babau sotto ogni letto... — No. Non l'aveva detto a me, ma a Regis. Lo guardai, stordito. Dissi: — Dovrebbero esserci gli smorzatori telepatici, qui dentro. Non dovrei essere in grado di leggere nella tua mente, né tu nella mia. Per gli in-
ferni di Zandru, Regis, che cosa sta succedendo? — Forse gli smorzatori non funzionano — disse lui, con voce più forte. Adesso sembrava completamente razionale, e soltanto impaurito; come aveva tutti i diritti di esserlo. Anch'io avevo paura. — L'immagine non mi ha spaventato — dissi, — tranne per un momento, all'inizio. Ho visto la realtà di Sharra. Ciò che ora mi fa paura è il fatto che tu abbia potuto far questo, con gli smorzatori in funzione in tutta la sala. Non sapevo che avessi tanto laran, benché sapessi, naturalmente, che un po' l'avevi. Che specie di laran può fare una cosa simile? — Mi avvicinai al più vicino smorzatore telepatico e regolai i quadranti fino a quando si spense e le onde aritmiche svanirono. Ora potevo sentire l'agitazione e la paura di Regis, a piena potenza, e me ne rammaricavo. Lui disse, con voce forzata: — Non so come l'ho fatto. Davvero. Stavo lì, dietro mio nonno, e ascoltavo Beltran che parlava con tanta calma, e mi auguravo che ci fosse un modo per mostrare loro cos'era accaduto... e poi... — Si umettò le labbra con la lingua e disse, con voce tremante: — E poi è apparsa. La... la Forma di Fuoco. — E ha spaventato Beltran e l'ha messo in fuga — dissi. — Credi sappia che Kadarin ha la matrice Sharra? — Non potevo leggergli nella mente. Non cercavo di farlo, naturalmente. Io... — La voce di Regis si spezzò di nuovo. — Non stavo cercando di far niente. È... è accaduto così! — Qualcosa nel tuo laran che tu non conosci? Sappiamo così poco del Dono degli Hastur, qualunque fosse — dissi, sforzandomi di calmarlo. — Considera il lato positivo; ha spaventato Beltran e l'ha messo in fuga. Vorrei che l'avesse spaventato tanto da farlo ritornare negli Heller! Ma temo che non abbiamo questa fortuna! Ero disposto a lasciar perdere, a questo punto. Ma quando mi voltai per uscire, Regis mi prese per la spalla. — Come ho potuto farlo? Non capisco! Tu... tu mi hai accusato di aver fatto uno scherzo! Ma non l'ho fatto, Lew, no! Non sapevo cosa rispondergli. Mi aggirai senza meta per la sala, spegnendo gli altri smorzatori. Sentivo la sua paura che saliva fino a diventare panico, via via che gli smorzatori non c'erano più a interferire nel contatto telepatico. Mi chiesi persino, irosamente, perché lui doveva avere tanta paura. Ero io ad essere vincolato a Sharra, io che dovevo vivere notte e giorno con il terrore che prima o poi Kadarin sguainasse la Spada di Sharra e con quel gesto mi richiamasse oltre quell'orribile porta tra i mondi, in
quell'angolo d'inferno che un tempo avevo aperto e che mi aveva portato via la mano, l'amore... la vita... Repressi con fermezza il panico crescente. Se non l'avessi fermato subito, la mia paura e quella di Regis avrebbero potuto rafforzarsi a vicenda e saremmo scoppiati a urlare istericamente. Mi afferrai a ciò che ricordavo dell'addestramento di Arilinn, riuscii a regolarizzare la mia respirazione e sentii il panico placarsi. Non così Regis; era ancora seduto sul seggio dove l'avevo spinto, bianco per lo spavento. Mi voltai e fui sorpreso nel sentire la mia voce, la ferma voce distaccata di un meccanico delle matrici, spassionata, professionalmente rasserenante, come non l'avevo udita da più anni di quanto mi piacesse pensare. — Non sono un Custode, Regis, e la mia matrice al momento è inservibile, come sai. Potrei cercare di sondarti profondamente e di scoprire... Regis trasalì. Non gli davo torto. Non è il caso di scherzare con il Dono degli Alton, e ho conosciuto tecnici esperti, addestrati per molti anni in una Torre, che si rifiutavano di affrontare il dono del rapporto pienamente concentrato. Io posso farlo, se devo; ma non ne ero ansioso. Non è, suppongo, molto diversa dallo stupro, la sopraffazione volontaria di una mente, la sottomissione forzata di un'altra personalità, l'invasione suprema. Solo gli Dei di Darkover, probabilmente inesistenti, sanno perché un simile Dono era stato dato alla famiglia degli Alton, per imporre il rapporto mentale a un altro non consenziente e paralizzare la resistenza. Sapevo che anche Regis lo temeva, e non lo biasimavo. Mio padre aveva destato il mio Dono in quel modo, quando ero bambino... era stato l'unico modo per costringere il Consiglio ad accettarmi, mostrare ai Comyn che io, alieno e mezzo terrestre, avevo il Dono degli Alton... E dopo ero stato male per settimane intere. Non mi piaceva il pensiero di fare la stessa cosa a Regis. Dissi: — Forse potrebbero dirtelo in una Torre. Qualche Custode... — E poi ricordai che lì, a Castel Comyn, c'era una Custode. Tendevo a dimenticarlo: Ashara della Torre dei Comyn doveva essere ormai incredibilmente vecchia, non l'avevo mai vista, e non l'aveva vista mai neppure mio padre... ma adesso Callina era lì come sua sostituta, e Callina era mia parente, e parente di Regis. — Callina potrebbe dirtelo — continuai. — Se volesse. Regis annuì, e sentii il suo panico placarsi. Parlarne con calma distaccata, come se fosse un semplice problema della meccanica del laran, aveva smorzato un po' la paura.
Eppure anch'io ero irrequieto. Quando lasciai la Sala di Cristallo, anche i corridoi erano deserti; il Consiglio dei Comyn s'era disperso, e ognuno se ne era andato per i fatti suoi. Non restava altro che il ballo della sera della Festa, l'indomani. Sulla soglia della Sala incontrammo il giovane Syrtis; quasi mi ignorò e corse da Regis. — Sono tornato per vedere che cosa ti è successo! — disse, e quando Regis gli sorrise, mi allontanai con discrezione, sentendo che avrei fatto da terzo incomodo. Quando uscii, solo, identificai una delle mie emozioni: ero geloso di ciò che Regis divideva con Danilo? No, certamente no. Ma io sono solo, senza fratelli, senza amici, solo contro i Comyn che mi odiano, e non c'è nessuno che stia al mio fianco... Per tutta la mia vita ero stato nell'ombra di mio padre; adesso non potevo sopportare la solitudine, quando quell'ombra s'era ritirata. E Marius, che sarebbe stato al mio fianco... anche Marius era morto, ucciso dal proiettile di un sicario, e nessuno tra i Comyn, tranne Lerrys, aveva discusso quell'assassinio. E... mi tesi, identificando un altro elemento della mia profonda angoscia per Marius. Era sollievo; sollievo perché non avrei dovuto metterlo alla prova come aveva fatto mio padre con me, perché non avrei dovuto invaderlo spietatamente e sentirlo morire sotto quell'assalto spietato contro l'identità. Era morto, ma non per mia mano, non per il mio laran. Avevo saputo che il mio laran poteva uccidere, ma non avevo mai ucciso con esso. Ritornai nell'appartamento degli Alton, pensieroso. Era la mia casa, era stata la mia casa per gran parte della mia vita, eppure mi pareva vuota, echeggiante, desolata. Mi sembrava di vedere mio padre in ogni angolo vuoto, come se la sua voce mi riverberasse ancora nella mente. Andres, che si aggirava dirigendo gli altri servitori che sistemavano la roba portata dalla casa di città, interruppe il suo lavoro quando entrai, e corse da me, chiedendomi che cosa mi era accaduto. Non sapevo che mi si leggesse in faccia: ma lasciai che mi portasse da bere e sedetti, sorseggiando, chiedendomi ancora che cosa aveva fatto Regis nella Sala di Cristallo. Aveva spaventato Beltran. Ma non abbastanza, probabilmente. Non credevo che Beltran fosse ansioso di gettare in guerra i Domimi. Eppure conoscevo la sua avventatezza, e non pensavo che potessimo contare su questo, quando era in gioco il suo orgoglio oltraggiato, l'orgoglio degli Aldaran. Dissi ad Andres: — Tu senti i pettegolezzi dei servitori. Dimmi, Beltran si è insediato negli appartamenti degli Aldaran, qui in Castel Comyn.
Andres annuì, tetro, e io mi augurai che Beltran li trovasse pieni di pidocchi e di vermi: erano rimasti vuoti fin dalle Ere del Caos. Indicava molte cose sul conto dei Comyn il fatto che non fossero mai stati convertiti ad altri usi. Andres mi stava davanti, borbottando: — Spero che non avrai intenzione di andare a fargli visita! Non ne avevo l'intenzione. C'era un solo modo al mondo in cui avrei potuto venire di nuovo vicino a mio cugino... se lui mi avesse fatto legare e imbavagliare. Mi aveva già tradito una volta; non ne avrebbe avuto una seconda occasione. Sprofondato nell'infelicità di quel momento confesso, a mia vergogna, che per un attimo pensai alla via d'uscita che mi aveva offerto Dan Lawton, nella Zona Terrestre: nascondermi là, fuori dalla portata di Sharra... ma quella non era una soluzione, e avrebbe lasciato Regis e Callina alla mercé della cosa sconosciuta che era all'opera tra i Comyn. Non ero completamente solo. Il pensiero di Callina mi riscaldava; mi ero impegnato a starle a fianco. E non avevo ancora parlato da solo con la mia parente Linnell, se non davanti alla tomba di mio fratello. Era la vigilia della sera della Festa, quando per tradizione si mandano in dono fiori e frutta alle donne di ogni famiglia, in tutti i Dominii. Neppure la casa più umile di Thendara avrebbe lasciato passare l'indomani mattina senza offrire alle sue donne qualche fiore di giardino o una manciata di frutta secca; e io non avevo provveduto a un dono per Linnell. Era vero: per troppo tempo ero rimasto lontano da Darkover. Dovevano esserci fiorai e fruttivendoli nei mercati della Città Vecchia. Ma quando mi avviai verso la porta esitai, di nuovo riluttante a mostrarmi. Maledizione, durante tutto il tempo che avevo vissuto con Dia avevo quasi dimenticato la mia faccia sfregiata, la mano mancante, e adesso mi comportavo come se fossi mutilato da poco... Dia! Dov'era Dia, avevo veramente sentito la sua voce nella Sala di Cristallo? Mi dissi severamente non aveva importanza; sia che Dia fosse lì o altrove, se non voleva venire da me, l'avevo perduta. Tuttavia non riuscivo a decidermi a scendere al piano terreno dell'enorme Castello, a uscire nella Città Vecchia, passando in mezzo alla cosiddetta Guardia d'Onore di Beltran. Alcuni di loro mi conoscevano, mi ricordavano... Finalmente, per quanto scosso, dissi ad Andres di fare inviare a Linnell un mazzo di fiori, l'indomani. Avrei dovuto inviarli anche a Dia? Non sapevo cosa imponesse la cortesia, in quella situazione. Nell'Impero, lo sapevo, un marito e una moglie separati possono frequentarsi amichevolmen-
te; lì su Darkover era impensabile. Bene, adesso ero su Darkover, e se Dia non voleva nulla da me, probabilmente non avrebbe voluto neppure un dono per la Festa. Con crescente amarezza, pensai: Lei ha Lerrys che le manda fiori e frutta. Se avessi avuto Lerrys davanti in quel momento, credo che l'avrei aggredito. Ma che cosa avrei risolto? Nulla. Dopo un momento presi un mantello e me lo buttai sulle spalle; ma quando Andres mi chiese dove andavo, non gli risposi. Le gambe mi portarono giù per cortili e giardini chiusi, attraverso parti sconosciute del castello. A un certo punto mi trovai in una corte sotto gli appartamenti deserti di Aldaran... deserti per tutta la mia vita, fino ad ora. Avrei voluto entrare e affrontare Beltran, esigere... esigere che cosa? Non lo sapevo. E nello stesso tempo avrei voluto, vilmente, attraversare la città, rifugiarmi nella Zona Terrestre e poi... e poi che cosa? Non potevo lasciare Darkover mentre c'era la matrice Sharra; avevo tentato. E ritentato. Sarebbe stata la morte, una morte né rapida né facile. Forse sarebbe stato meglio morire, anche di quella morte, pur di liberarmi di Sharra... e ancora una volta mi parve che la Forma di Fuoco infuriasse davanti ai miei occhi, un brivido nel mio sangue, freddo terrore e fiamma rabbiosa, come icore nelle mie vene... No; questo era reale. Mi tesi, guardando le colline dietro la città. Là, chissà dove, bruciavano strani fuochi, un'incredibile matrice del nono livello distorceva lo spazio attorno a sé, una porta si apriva e il fuoco mi scorreva nelle vene... C'era fuoco davanti ai miei occhi, fuoco nel mio cervello... No! Non sono sicuro che non urlai a voce alta quella negazione furiosa; se urlai nessuno mi sentì, ma udii gli echi nel cortile intorno a me e lentamente, lentamente ritornai alla realtà. Lassù, chissà dove, Kadarin era libero, e con lui c'era la matrice Sharra, e Thyra, che avevo odiata e amata, desiderata e temuta... ma sarei morto prima che mi trascinassero di nuovo in quello. Deliberatamente, lottando contro il richiamo nella mia mente, alzai il moncherino e lo battei con violenza sulla pietra. Il dolore fu incredibile; mi strappò un gemito e le lacrime mi salirono agli occhi, ma quel dolore era reale; nervi e muscoli e ossa oltraggiati, non un fuoco fantasma che infuriava nella mia mente. Strinsi i denti e voltai le spalle alle colline, a quel richiamo, a quel canto di sirena che pulsava seducente nei miei pensieri, ed entrai nel Castello. Callina. Callina poteva scacciare quei demoni dalla mia mente.
Da molti anni non ero entrato nell'ala di Castel Comyn assegnata agli Aillard, fin da quando ero bambino. Un servitore silenzioso mi ricevette, riuscì a non sbattere le palpebre più di una volta nel vedere la mia faccia in rovina. Mi accompagnò in una sala dove, mi disse, avrei trovato Domna Callina e Linnell. La sala era spaziosa e luminosa, piena di sole e di drappeggi di seta, con piante verdi e fiori che crescevano in ogni nicchia, come un giardino al chiuso. Le note dolci di un'arpa echeggiavano tra le pareti: Linnell stava suonando il rryl. Ma quando entrai lo posò e mi corse incontro, mi abbracciò e mi baciò com'era privilegio d'una sorella adottiva; poi si ritrasse, esitando, quando toccò il moncherino. — Non importa — dissi. — Non mi fai male. Non preoccuparti, sorellina. — La guardai, sorridendo. Su quel mondo era l'unica persona che mi aveva accolto con vera gioia, pensai; l'unica che non aveva pensato a ciò che poteva significare il mio ritorno. Persino Marius doveva essersi chiesto cosa significava dal punto di vista dei diritti sul Dominio. Persino Jeff, che poteva essere costretto a lasciare Arilinn per prendere posto in Consiglio. — La tua povera mano — disse Linnell. — I terrestri non hanno potuto far nulla? Non volevo parlarne, neppure a Linnell. — Non molto — dissi. — Ma ho una mano meccanica, che porto quando non voglio dar troppo nell'occhio. La metterò per ballare con te la sera della Festa, va bene? — Solo se vorrai — rispose lei, seria. — Non m'importa il tuo aspetto, Lew. Per me sei sempre lo stesso. L'abbracciai, riscaldato dal suo sorriso e dalle sue parole. Credo che Linnell fosse una bella donna; non ero mai riuscito a vederla se non come la sorellina con la quale avevo corso all'impazzata sulle colline; l'avevo sculacciata quando rompeva i miei giocattoli o li prendeva senza chiedermi il permesso, l'avevo confortata quando piangeva per il mal di denti. Dissi: — Stavi suonando il rryl... ti dispiacerebbe suonare per me? Lei riprese lo strumento e incominciò a suonare la ballata di Hastur e Cassilda: Le stelle si specchiavan sulla spiaggia, Buia era la brughiera solitaria... Tacevan tutti gli alberi e le pietre... La figlia di Robardin era sola, Con una rete d'oro tra le mani,
Sul fuso che brillava ardentemente... Avevo sentito Dia cantarla, sebbene Dia non avesse una gran voce... Mi chiesi dov'era Callina. Dovevo parlare con lei... Linnell fece un gesto e io vidi, in una nicchia al di là del focolare, Callina e Regis Hastur seduti su un soffice divano e così assorbiti nella conversazione che nessuno dei due mi aveva sentito entrare. Provai un guizzo momentaneo di gelosia... sembravano così sereni... E poi Callina alzò gli occhi e mi sorrise, e compresi che non avevo nulla da temere. Mi venne incontro; avrei voluto prenderla tra le braccia, in quell'abbraccio che era molto di più di quello che avrei dedicato a una parente; invece, lei tese la mano e mi toccò il polso, il tocco lieve con cui mi avrebbe accolto una Custode, e con quel gesto automatico, la frustrazione si insinuò tra noi come una spada sguainata. Una Custode non doveva essere toccata né desiderata, né sfiorata da un pensiero impuro... Una frustrazione irosa e, nel contempo, sicurezza. Così mi avrebbe accolto se fossimo stati ad Arilinn, dov'ero stato felice... anche se fossimo stati amanti riconosciuti per anni, non mi avrebbe toccato diversamente da così. Ma i nostri occhi s'incontrarono e Callina disse, in tono grave: — Ashara ti riceverà, Lew. È la prima volta, credo, in più d'una generazione, che acconsente a parlare con qualcuno appartenente al mondo esterno. Quando le ho parlato della matrice Sharra, ha detto che potevo condurti da lei. Regis disse: — Anch'io vorrei parlarle. Forse sa qualcosa del Dono degli Hastur... — Ma s'interruppe di fronte all'espressione fredda di Callina. — Non ha chiesto di te. Non posso portare qualcuno alla sua presenza se non lo desidera. Regis ammutolì come se l'avesse schiaffeggiato. Battei le palpebre, fissando sbalordito quella nuova Callina, la maschera impassibile del suo viso, gli occhi e la voce di un'estranea gelida. Solo per un momento, e poi ridivenne la Callina che conoscevo; ma avevo visto, ed ero sconcertato e sgomento. Avrei voluto dire qualcosa d'altro, per assicurare a Regis che avremmo chiesto alla vecchia leronis di accordargli udienza, ma Linnell mi chiamò. — Hai intenzione di portarmelo subito via? Non ci vedevamo da tanti anni! Lew devi parlarmi della Terra, dei mondi dell'Impero! — Ci sarà tempo per questo, certamente — dissi sorridendo e guardando la luce che svaniva. — Non è ancora notte... ma non c'è nulla di bello da
dire della Terra, chiya... non ho nessun bel ricordo. Sono stato quasi sempre in ospedale... — E mentre pronunciavo questa parola ricordai un altro ospedale dove non ero stato io il paziente, ma Dia, e una giovane infermiera dai capelli scuri e dal viso dolce. — Sapevi, Linnie... no, naturalmente, non potevi saperlo. Ma hai un doppio perfetto su Vainwal; così simile a te che in un primo momento l'ho chiamata con il tuo nome, pensando che fossi tu! — Davvero? Com'era? — Oh, efficiente, capace... anche la sua voce era come la tua — Dissi. Poi m'interruppi, ricordando l'orrore di quella notte, la forma mostruosa che avrebbe dovuto essere mio figlio... Ero protetto da una forte barriera, ma Linnell vide la contrazione del mio viso e alzò la mano per accarezzarmi la guancia sfregiata. — Fratello adottivo — disse, conferendo alla parola l'inflessione intima, affettuosa, — non parlare di ospedali, di malattie e di sofferenze. Ora è tutto passato, e sei qui a casa con noi. Non devi più pensarci. — E ci sono abbastanza guai qui su Darkover per farti dimenticare tutti quelli che puoi avere avuto nell'Impero — disse Regis con un sorriso turbato, raggiungendoci alla finestra dove il sole era svanito, nascosto dalle nuvole della sera. — Il Consiglio non è stato aggiornato in modo regolare; dubito che sia veramente concluso. E certamente rivedremo Beltran... — E Callina, nel sentire il nome, rabbrividì. Disse, guardando con impazienza le nubi: — Vieni, non dobbiamo fare attendere Ashara. Un servitore le portò un mantello che sembrava un'ombra grigia. Uscimmo e scendemmo la scala, ma alla prima svolta qualcosa m'indusse a girarmi: Linnell era lì, incorniciata nella luce della porta, con i riflessi di rame che le brillavano nei capelli bruni, il viso serio e sorridente; e per un momento, quel senso del tempo sfasato che caratterizza il Dono degli Alton, forse un tocco della precognizione che avevo ereditato dai miei antenati Aldaran, mi indusse a fissarla, con uno sguardo sfuocato, mentre il passato, il presente e il futuro si fondevano, e vidi un'ombra cadere su Linnell, e una spaventosa certezza... Linnell era condannata... la stessa ombra che aveva oscurato la mia vita sarebbe discesa anche su Linnell, e l'avrebbe avviluppata e inghiottita... — Lew, cosa c'è? Battei le palpebre, mi volsi verso Callina al mio fianco. Già la certezza, quel momento terribile in cui la mia mente era sfuggita al percorso del tempo, stava svanendo come un sogno nella luce del giorno. La confusione
e il senso di tragedia rimasero; avrei voluto salire correndo le scale, stringere Linnell tra le braccia come se avessi potuto proteggerla dal male... ma quando guardai di nuovo in alto la porta era chiusa e Linnell era scomparsa. Uscimmo, passando sotto il voltone, e attraversammo un cortile. Stava cadendo la pioggia leggera della prima estate e sebbene in quella stagione non potesse diventare neve, c'era qualche spruzzata di nevischio. Le luci si stavano già smorzando nella Città Vecchia, o forse non riuscivano a filtrare attraverso la nebbia; ma più oltre, al di là della valle, il fulgore di neon della Città Commerciale gettava sgargianti ombre rosse e arancio sulle nubi basse. Andai al balcone affacciato sulla valle e mi fermai, dimenticando la pioggia che mi cadeva in faccia. Due mondi stavano davanti a me; eppure non appartenevo a nessuno dei due. C'era un mondo, nell'Impero, dove avrei potuto sentirmi a mio agio? — Vorrei essere laggiù, questa sera — dissi stancamente. — O dovunque, lontano da questo castello infernale... — Anche nella Zona Terrestre? — Anche nella Zona Terrestre. — E allora perché non ci sei? Non c'è niente che ti trattenga qui — disse Callina, e a quelle parole mi voltai verso di lei. Il mantello simile a una ragnatela ondeggiò nel vento come una nebbia finissima, quando la presi tra le braccia. Per un momento, spaventata, rimase tesa e riluttante; poi si addolcì e si strinse a me. Ma le sue labbra erano chiuse come quelle d'una bambina sotto il mio bacio avido, e questo mi richiamò alla lucidità, con lo shock del déjà-vu... chissà dove, chissà quando, in un sogno o nella realtà, questo era già accaduto, persino gli spruzzi di pioggia sui nostri volti... Anche Callina lo sentì, e mi respinse gentilmente, ritraendosi. Ma poi mi appoggiò la testa sulla spalla. — E adesso, Lew? Avarra misericordiosa, e adesso? Non sapevo. Finalmente indicai la sgargiante chiazza cremisi di neon che era la Città Commerciale. — Dimentica Beltran. Sposa me... ora, questa notte, nella Zona Terrestre. Metti il Consiglio di fronte al fatto compiuto, e lascia che si rodano... lascia che risolvano da soli i loro problemi, senza nascondersi dietro le sottane di una donna, senza credere di poterli risolvere con un matrimonio! — Se osassi... — mormorò Callina, e attraverso la voce impassibile di Custode addestrata sentii le lacrime che aveva imparato a non spargere. Ma sospirò e mi respinse di nuovo, con riluttanza. Disse: — Tu puoi di-
menticare Beltran, ma non scomparirà solo perché non saremo più qui. Ha un esercito alle porte di Thendara, armato d'armi terrestri. E a parte questo... — Esitò e disse: — Possiamo dimenticare... Sharra? Quella parola mi strappò alle fantasticherie di pace. Per la prima volta dopo molti anni, Sharra non era stata neppure un sussurro malvagio nella mia mente; tra le sue braccia avevo veramente dimenticato. Callina poteva essere legata alla Torre dai suoi voti di Custode, ma neppure io ero libero. In silenzio, mi scostai dal balcone panoramico, dalla visione delle città gemelle, e lasciai che lei mi conducesse giù per un'altra scalinata, attraverso un'altra serie di cortili isolati, fino a quando fui quasi completamente smarrito nel labirinto di Castel Comyn. Noi due, perduti nel labirinto che i progenitori avevano intessuto per noi... Ma Callina si muoveva infallibilmente in quei meandri sconcertanti; e finalmente mi condusse a una porta, dove c'erano scale che salivano e scendevano, e oltre una porta segreta dove restammo vicini mentre, lentamente, il pozzo incominciava a salire. La Torre - così si racconta - era stata costruita per le prime Custodi dei Comyn quando Thendara non era altro che un villaggio di casupole di giunchi accovacciata al riparo della prima Torre. Risaliva al nostro lontano passato, ai tempi in cui i padri dei Comyn si univano ai chieri e introducevano strani poteri non umani nella nostra stirpe, e gli Dei si aggiravano sulla faccia del pianeta, tra l'umanità, Hastur che era il figlio di Aldones, Figlio della Luce... Mi dissi che non dovevo essere superstizioso. Quella Torre era veramente antica, e alcuni macchinari delle Ere del Caos sopravvivevano ancora, niente altro. Gli ascensori che si muovevano da soli, senza un'energia che potessi identificare, erano abbastanza comuni nella Zona Terrestre: perché lì avrebbero dovuto atterrirmi? L'odore dei secoli aleggiava tra le pareti, nelle ombre che passavano, come se salendo ci addentrassimo sempre di più nelle Ere del Caos e in tempi ancora più remoti... Finalmente l'ascensore si fermò, e ci trovammo davanti a un piccolo pannello di vetro che era una porta, e dietro il pannello c'erano luci azzurre. Non vedevo nessuna maniglia. Ma Callina tese la mano e aprì. Ed entrammo... nell'azzurro. Azzurro, come il cuore vivente d'una gemma, come le profondità di un lago traslucido, come le profondità più lontane del cielo della Terra a mezzogiorno. Azzurro, intorno a noi, dietro di noi, sotto di noi. Strane luci così specchianti e prismatiche che la stanza sembrava non avere dimensioni. Mi
ritrassi, sentendo spazi immensi sopra e sotto di me, nella primitiva paura di cadere; ma Callina si mosse senza esitare, nell'azzurro. — Siete voi, figlia mia, figlio mio? — disse una voce bassa e chiara, come acqua infernale che scorre sotto il ghiaccio. — Venite qui. Vi sto aspettando. Allora e soltanto allora, nella luce gelida, riuscii a mettere a fuoco lo sguardo quanto bastava per distinguere il grande trono di vetro scolpito, e la figura pallida di donna che vi sedeva. Avevo pensato che per quell'udienza Ashara indossasse le vesti cremisi cerimoniali di una Custode. Invece, portava indumenti che assorbivano e rispecchiavano la luce al punto di renderla quasi invisibile: una figura minuscola ed eretta, non più grande di una ragazzina di dodici anni. I lineamenti erano puri, senza rughe, come il viso di Callina, come se la stessa mano del tempo avesse cancellato le proprie tracce. Gli occhi, grandi e allungati, erano incolori, anche se in una luce più normale sarebbero stati azzurri. C'era una lieve, indefinibile rassomiglianza tra la giovane e la vecchia Custode, come se Ashara fosse una Callina incredibilmente più antica, o Callina un'Ashara in embrione, non ancora antica ma portatrice dei semi della propria invisibilità trasparente. Incominciavo a credere che le leggende fossero vere, che fosse pressoché immortale, che fosse rimasta a dimorare li, immutata, mentre i mondi e i secoli passavano oltre... Ashara disse: — Dunque sei stato al di là delle stelle, Lew Alton? Sarebbe stato ingiusto dire che la sua voce era ostile. Non era abbastanza umana per esserlo. Distaccata, incredibilmente remota; questo sì. Suonava come se lo sforzo di conversare con persone reali e vive fosse troppo grande, come se la nostra venuta avesse disturbato la pace cristallina in cui dimorava. Callina era abituata a questo, o almeno così credo. Mormorò: — Tu vedi tutte le cose, Madre Ashara. Tu sai che cosa dobbiamo affrontare. Un palpito d'emozione passò sul viso sereno, e lei sembrò solidificarsi, diventare meno traslucida, più reale. — Neppure io posso vedere tutte le cose. Non ho nessun potere, ormai, al di fuori di questo luogo. Callina mormorò: — Eppure, aiutaci con la tua saggezza, Madre. — Farò ciò che devo — disse Ashara, remotamente. Fece un gesto. C'era una panchina trasparente ai suoi piedi... vetro o cristallo. Prima non l'avevo vista, e mi chiesi perché. Forse non c'era, o forse l'aveva fatta apparire lei; niente mi avrebbe sorpreso, a questo punto. — Sedetevi e parlate. Ashara indicò la mia matrice. — Dammela, e lasciami vedere...
Ora, nel ricordarlo, mi domando se tutto questo accadde veramente o se fu un sogno bizzarro che nascondeva la realtà. Un telepate, anche addestrato ad Arilinn, non fa quello che feci allora; senza neppure pensare a protestare, sfilai il cinghiolo di cuoio al quale era appesa la matrice, slacciai l'involucro di seta, e la porsi ad Ashara, senza pensare minimamente a resistere. Le misi la matrice nella mano, semplicemente. E questa è la prima legge di un telepate: nessuno tocca una matrice sintonizzata, eccettuata la tua Custode, e solo dopo un lungo periodo di armonizzazione, di abbinamento delle risonanze. Ma io sedetti ai piedi della vecchia maga e le misi nella mano la matrice, senza riflettere, e sebbene qualcosa, in me, si tendesse contro una sofferenza incredibile... ricordavo quando Kadarin mi aveva tolto la matrice, come ero andato in convulsioni... Ma non accadde nulla: era come se la matrice fosse ancora appesa al mio collo. E io stavo lì seduto, pacificamente, e la guardavo. Nelle profondità dell'azzurro quasi invisibile della matrice c'erano fuochi, luci strane... vidi il bagliore del fuoco, e il grande splendore furioso... Sharra! Non la Forma di Fuoco che ci aveva atterriti in Consiglio, ma la Dea stessa, in fiamme... Ashara agitò la mano, e l'immagine scomparve. — Sì — disse. — Conosco da molto tempo questa matrice... e la tua è stata in contatto con essa, ho ragione? Chinai la testa e dissi: — Hai visto. — Che cosa possiamo fare? C'è un modo per difendersi da... Ashara accennò a Callina di tacere. — Neppure io posso alterare le leggi dell'energia e della meccanica — disse. Mi guardai intorno, e non ne fui molto sicuro. Come se avesse udito i miei pensieri, disse: — Vorrei che tu conoscessi meno la scienza dei terrestri, Lew. — Perché? — Perché ora stai cercando cause e spiegazioni, nell'errata convinzione che ogni evento debba avere una causa pregressa... la meccanica delle matrici è la prima delle scienze non causali — disse Ashara, come se traesse quella frase tecnica terrestre dall'aria o dalla mia mente. — La ricerca della struttura, della causa e della realtà produce la causa che cerchi, ma non è la causa reale... tutto questo ha un senso, per te? — Non molto — confessai. Ero stato abituato a considerare la matrice come una macchina, una macchina semplice ma efficace per amplificare gli impulsi psi e l'energia elettrica del cervello e della mente. — Ma questo non lascia posto per cose come Sharra — disse Ashara. —
Sharra è una vera Dea... No, non scuotere la testa. Forse potresti dire che Sharra è un demone, sebbene non lo sia più di quanto Aldones sia un dio... Sono entità, e non di questo comune mondo tridimensionale che tu abiti. Per la tua mente sarebbe più facile considerarli dei e demoni, e ritenere la tua matrice, e la matrice di Sharra, talismani per evocare questi demoni o per bandirli... Sono entità di un altro mondo e la matrice è la soglia che li porta qui — disse. — Tu lo sai, e lo sapevi un tempo, quando riuscisti a chiudere la porta. E per questa evocazione Sharra esigerà sempre il suo sacrificio: perciò ha preso la tua mano, e Marjorie ha perduto la vita... — No! — esclamai con un brivido. — Ma c'è un'arma migliore per il bando — disse Ashara. — Che cosa dice la leggenda? Callina mormorò: — Sharra fu incatenata dal figlio di Hastur, che era Figlio di Aldones, il Figlio della Luce... — Sciocchezze — dissi con fermezza. — Superstizioni! — La pensi così? — Ashara parve accorgersi che aveva ancora la mia matrice. Me la rese con noncuranza, e io la rimisi faticosamente nell'involucro di seta e nel sacchetto di cuoio, me la riappesi al collo. — E la spada d'ombra? Anche quella era leggenda; Linnell l'aveva cantata quella sera. Hastur aveva passeggiato sulle rive del lago e aveva amato la Beata Cassilda. La leggenda parlava della gelosia di Alar, che nella sua fucina magica aveva forgiato una spada d'ombra, destinata a bandire, non a uccidere. Trafitto da quella spada, Hastur sarebbe dovuto ritornare al suo regno di luce... ma la leggenda narrava che Camilla, la dannata, aveva preso il posto di Cassilda tra le braccia di Hastur, e perciò aveva ricevuto la spada d'ombra nel cuore, ed era passata per sempre in quei reami... Dissi, esitando: — La matrice Sharra è racchiusa nell'impugnatura di una spada... per tradizione, perché è un'arma, niente di più... Ashara chiese: — Che cosa pensi che accadrebbe a chi venisse ucciso da una simile spada? Non lo sapevo. Non avevo mai pensato che la Spada di Sharra potesse venire usata come una vera spada, sebbene mi fossi trascinato dietro quella cosa maledetta per mezza Galassia. Era semplicemente la custodia che il popolo delle forge aveva fabbricato per nascondere la matrice Sharra. Ma mi accorsi che non mi piaceva pensare a ciò che sarebbe accaduto a chi venisse trapassato da una spada posseduta e dominata dalla matrice Sharra. — Dunque — disse Ashara, — ora incominci a comprendere. I tuoi pro-
genitori sapevano molte cose di queste spade. Hai sentito parlare della Spada di Aldones? Una vecchia leggenda... sì. — È nascosta tra i sacri oggetti ad Hali — dissi. — Protetta da un incantesimo in modo che nessuno di sangue Comyn possa avvicinarsi. Potrà essere sguainata solo quando la fine dei Comyn sarà vicina; e sguainando la spada si segnerà la fine del nostro mondo... — La leggenda è cambiata, sì — disse Ashara, con qualcosa che in un volto più solido, più umano, sarebbe stato un sorriso. — Immagino che tu conosca più le scienze che le leggende... Dimmi, cose la legge di Cherilly? Era la prima legge della meccanica delle matrici; affermava che nulla era unico nello spazio e nel tempo, eccettuata una matrice; che ogni oggetto nell'universo esisteva con un solo duplicato esatto, tranne una matrice; una matrice era la sola cosa interamente unica, e perciò il tentativo di duplicare una matrice l'avrebbe distrutta e avrebbe distrutto il tentato doppione. — La Spada di Aldones è l'arma contro Sharra — disse Ashara. Ma io sapevo abbastanza degli oggetti sacri di Hali per capire che se la Spada di Aldones era nascosta là, era come se fosse in un'altra Galassia; e lo dissi. Vi sono cose simili, su Darkover; non possono essere distrutte, ma sono così pericolose che non si possono affidare ai Comyn, e neppure a una Custode; e tutta l'ingegnosità delle grandi menti delle Ere del Caos era stata impiegata per nasconderle in modo che non potessero danneggiare nessuno. La rhu fead, la sacra Cappella ad Hali... tutto ciò che restava della Torre di Hali, bruciata durante le Ere del Caos... quella era il nascondiglio. La Cappella era protetta come il Velo ad Arilinn; nessuno che non avesse sangue dei Comyn poteva penetrare il Velo. Era così incantata e protetta da matrici e da altre trappole che se un estraneo, privo del vero sangue dei Comyn, fosse entrato, la sua mente sarebbe stata spogliata completamente: entrando sarebbe diventato un idiota incapace di sapere e di ricordare perché lo aveva fatto. Ma nella Cappella i Comyn di mille anni prima avevano posto quegli oggetti per sempre al di fuori della nostra portata. Erano difesi nel modo opposto. Un estraneo avrebbe potuto prenderli liberamente; ma l'estraneo non poteva entrare nella Cappella. Nessuno del sangue Comyn poteva toccarli senza morire immediatamente. Io dissi: — Ogni tiranno privo di scrupoli, in mille anni della storia dei Comyn, ha cercato di risolvere questo problema.
— Ma nessuno di loro aveva una Custode dalla sua parte — disse Ashara. Callina chiese: — Un terrestre? — Non qualcuno allevato su Darkover — disse Ashara. — Un alieno, forse, che non sapesse nulla delle forze presenti in quel luogo. La sua mente sarebbe serrata e sigillata contro qualunque forza, e ne ignorerebbe addirittura l'esistenza. Potrebbe superarle, difeso dall'ignoranza. — Meraviglioso — dissi con enfasi sarcastica. — Tutto quello che devo fare è andare lontano trenta o quaranta anni-luce, su un pianeta là fuori, e costringere o convincere qualcuno a venire con me su questo mondo, senza dirgli nulla perché non sappia di cosa deve aver paura, e poi trovare un modo per farlo entrare nella Cappella senza che diventi idiota, e sperare che mi consegni la Spada di Aldones, quando l'avrà in mano! Negli occhi incolori di Ashara passò un lampo di disprezzo, e all'improvviso mi vergognai del mio sarcasmo. — Sei stato nel laboratorio delle matrici, qui? Hai visto lo schermo? Lo ricordavo. E di colpo compresi che cos'era: uno dei trasmettitori psicocinetici, quasi leggendari... istantaneamente, attraverso lo spazio, forse attraverso il tempo... — Non è stato fatto da centinaia di anni! — Io so ciò che può fare Callina — disse Ashara con quel suo strano sorriso. — E sarò con voi... Si alzò e tese le mani verso di noi. Toccò la mia mano; era fredda come un cadavere, come la superficie di una gemma... La sua voce era bassa e per un momento sembrò quasi minacciosa. — Callina... Callina si ritrasse e, sebbene il suo viso fosse modellato nell'impassibilità delle Custodi, mi parve che stesse piangendo. — No! — Callina... — La voce bassa era dolce, inesorabile. Lentamente, Callina tese le mani, si lasciò toccare, unì le mani alle nostre... La camera svanì. Aleggiavamo nell'azzurro, nello spazio smisurato: un vuoto come lo spazio senza stelle, grandi abissi nudi del nulla. Ad Arilinn mi era stato insegnato ad abbandonare il mio corpo, ad andare nel supramondo della realtà dove il corpo non esiste, dove esistiamo soltanto come pensieri che prendono forma nel nulla dell'universo, ma questa non era una regione del supramondo che io avessi mai conosciuto. Aleggiavo incorporeo, nella nebbia. Poi il vuoto interstellare si caricò d'una scintilla, un lampo di forza, un fiume di vita che caricava anche me; potevo sentirmi come una rete di nervi vivi, una trina di forza vivente. Strinsi di nuovo la mano
che mi era stata asportata, sentii ogni nervo e ogni tendine. Poi, all'improvviso, nel vuoto, una faccia si disegnò nella mia mente. Non posso descrivere quella faccia sebbene sappia, ora, che cos'era. La vidi tre volte in tutto. Non esistono parole umane per descriverla; era bella oltre ogni immaginazione, ma era inconcepibilmente terribile. Non era neppure malefica, non come gli uomini in questa vita conoscono il male; non era abbastanza umana per questo. Era... dannabile... Bruciò dietro i miei occhi solo per una frazione di secondo, ma seppi di aver guardato oltre le porte dell'inferno. Lottai, ritornando alla realtà. Ero di nuovo nella stanza azzurro-ghiaccio di Ashara: come l'avevo lasciata? Le mani di Callina erano ancora strette alla mia, ma Ashara era sparita. Il trono di vetro era vuoto, e mentre lo guardavo anche il trono spari, scomparve nel baluginio specchiante della stanza. C'era mai stata? Mi sentivo stordito e disorientato, ma Callina vacillò e si appoggiò a me e io la sostenni, e quel contatto mi riportò severamente alla realtà. Il tocco delle sue vesti morbide, dei suoi capelli sulla mia mano pareva far vibrare un nervo vivente dentro di me. La strinsi, nascondendo il viso contro la sua spalla. Aveva un odore caldo e dolce, con una sottile fragranza che non era un profumo o un cosmetico, ma solo l'aroma lieve della sua pelle, e mi dava le vertigini; volevo continuare a stringerla, ma lei aprì gli occhi e riprese rapidamente i sensi. Si raddrizzò e si scostò. Chinai la testa. Non osavo toccarla, e non l'avrei fatto contro la sua volontà, ma per quel momento di vertigine l'avevo desiderata più di quanto avessi mai desiderato una donna vivente. Solo perché era una Custode e quindi proibita? Ero agghiacciato e dolorante, e il mio viso era gelido, dove s'era posato contro il suo cuore; ma avevo di nuovo il controllo di me stesso. Lei sembrava inconsapevole, immune al torrente di sentimento che infuriava in me. Naturalmente era una Custode, era stata addestrata a trascendere tutto questo, immune alle passioni... — Callina — dissi, — cugina, perdonami... Sul suo viso passò l'ombra lievissima d'un sorriso. — Non importa, Lew. Vorrei... — Non disse altro, ma mi resi conto che non era isolata dal mio tormento come avevo creduto. — Non sono più che umana — disse, e di nuovo quel tocco leggero sul mio polso, il tocco di una Custode, che mi rassicurava. Era come una promessa; ma ci distaccammo, sapendo che doveva restare una barriera tra noi. — Dov'è Ashara? — chiesi.
Ancora una volta il guizzo d'un sorriso turbato passò sul volto. — Faresti meglio a non chiedermelo — mormorò. — Non crederesti mai alla risposta. Aggrottai la fronte, e ancora una volta la strana rassomiglianza mi sconvolse, l'immobilità di Ashara nel viso di Callina... potevo solo immaginare il legame tra le Custodi. Bruscamente, Callina si avviò verso una porta invisibile, e uscimmo sul ballatoio di pietra solida, e mi chiesi se la stanza azzurro-ghiaccio era mai esistita, e se era stato un sogno bizzarro. Un sogno, perché ero intero e avevo due mani... Era accaduto qualcosa. Ma non sapevo che cosa. Ritornammo alla Torre per un'altra via, e Callina mi condusse attraverso la sala dei collegamenti, nella camera piena di strani e misteriosi manufatti delle Ere del Caos. Era caldo, e io mi tolsi il mantello e lasciai che il tepore venisse assorbito dal mio corpo agghiacciato e dal braccio dolorante, mentre Callina si aggirava in silenzio nel laboratorio, regolando gli smorzatori appositamente modulati, e finalmente indicava il grande, lucente pannello di vetro le cui profondità mi facevano pensare alla stanza azzurro-ghiaccio di Ashara. Io guardai, aggrottando la fronte, in quelle profondità nebulose. Magìa? Leggi sconosciute, scienze non causali? Si mescolavano e divenivano una cosa sola. Il Dono che portavo nel sangue, la stranezza nella mia ereditarietà che faceva di me un Comyn, telepate, laranzu, tecnico delle matrici... ero stato allevato e addestrato per queste cose; perché dovevo temerle? Eppure avevo paura, e Callina lo sapeva. Ero stato addestrato ad Arilinn, la più vecchia e potente delle Torri, e avevo sentito dire qualcosa - non molto - degli schermi come quello. Era un duplicatore... trasmetteva uno schema desiderato, catturava le immagini e le realtà delle immagini... no, è impossibile spiegarlo, non ne sapevo e non ne so abbastanza a proposito degli schermi. Incluso il modo in cui venivano fatti funzionare. Ma supponevo che Callina lo sapesse, e io ero li solo per rafforzarla con le potenze del Dono degli Alton, per prestarle energia come - quel pensiero mi fece scorrere il ghiaccio nelle vene - avevo prestato energia per l'evocazione di Sharra. Bene, questo era giusto; potere per potere, riparazione per tradimento. Tuttavia ero irrequieto; avevo permesso a Kadarin di servirsi di me per l'evocazione di Sharra senza conoscere abbastanza i pericoli, e adesso ripetevo lo stesso errore. La differenza era che mi fidavo di Callina. Ma anche questo mi spaventava; c'era stato un tempo in cui mi ero fidato anche di Kadarin, l'avevo chiamato amico,
fratello giurato, bredu. M'interruppi di nuovo. Dovevo fidarmi di Callina; non c'era altro modo. Andai a mettermi davanti allo schermo. Potenziato dallo schermo, potevo cercare, con le forze telepatiche moltiplicate cento, mille volte, quello che ci serviva. Tra i milioni e i miliardi di mondi nello spazio e nel tempo, chissà dove c'era una mente come quella che ci serviva, con una certa consapevolezza... e una certa mancanza di consapevolezza. Con lo schermo, potevamo sintonizzare le vibrazioni di quella mente a questo particolare posto nel tempo e nello spazio; lì, ora, tra i due poli dello schermo. Lo spazio sarebbe stato annientato dalla matrice e avremmo potuto spostare gli... ecco, chiamiamoli energon, è un nome come un altro... spostare gli energon di quella particolare mente e il corpo relativo, e portarli lì. La mia mente giocava con parole come trasmettitore di materia e iperspazio, viaggio tra le dimensioni; ma erano soltanto parole. Lo schermo era la realtà. Mi lasciai cadere su una delle sedie davanti allo schermo, regolando una calibrazione che mi avrebbe permesso di abbinare le risonanze tra me e Callina... o più esattamente tra la sua matrice e la mia. Dissi, senza alzare gli occhi: — Dovrò escludere lo schermo del monitor, Callina. — E lei annuì. — C'è un collegamento esclusivo, attraverso Arilinn. — Callina toccò i comandi e la superficie del monitor, uno schermo vitreo, grande circa la metà di quello gigantesco che avevo davanti, palpitò febbrilmente e si oscurò, escludendo ogni matrice controllata su Darkover. Una griglia crepitò, emanò un esile segnale; Callina ascoltò attentamente quel suono inudibile per me... il messaggio non era percettibile e io ero troppo occupato a inserirmi nei collegamenti. Callina ascoltò per un momento poi parlò a voce alta, forse era per cortesia nei miei confronti, forse per concentrare meglio i propri pensieri. — Sì, lo so, Maruca, ma dobbiamo escludere i circuiti principali, qui in Thendara; dovrai controllare da lì. — Di nuovo in silenzio, mentre Callina ascoltava. Poi esclamò: — Metti una barriera del terzo livello intorno a Thendara! È un ordine dei Comyn. Obbedisci! — Si distolse dallo schermo con un sospiro. — Quella ragazza è la telepate più rumorosa del pianeta! Ora tutti coloro che hanno un filo di telepatia, su Darkover, sapranno che questa notte a Thendara sta accadendo qualcosa! Non avevamo avuto scelta, e lo dissi. Callina prese posto davanti allo
schermo, e io svuotai la mia mente, pronto a fare qualunque cosa mi chiedesse. Quale alieno sarebbe stato adatto a noi? Ma senza l'intervento della mia volontà, uno schema prese forma sullo schermo. Vidi i simboli indistinti nel momento prima che il mio nervo ottico si sovraccaricasse e si spegnesse; poi rimase cieco e sordo in quell'istante del sovraccarico che è sempre terrificante, per quanto possa divenire familiare. Gradualmente, senza i sensi esterni, trovai l'orientamento nello schermo. La mia mente, estesa attraverso distanze astronomiche, attraversò in frazioni di secondo intere galassie e persec di spaziotempo soggettivo. Vaghi tocchi di coscienza, frammenti di pensiero, emozioni che aleggiavano come ombre... i detriti dell'universo mentale. Poi, prima di sentire il contatto, vidi il bagliore incandescente nello schermo. Chissà dove un'altra mente aveva corrisposto allo schema che avevamo gettato come una rete, e quando avevamo trovato l'intelligenza corrispondente era stata catturata. Oscillavo, incorporeo, diviso in un miliardo di frammenti soggettivi, esteso su un immenso abisso di spaziotempo. Se fosse accaduto qualcosa, non sarei più ritornato nel mio corpo, e sarei andato per l'eternità alla deriva sulla curva dello spaziotempo. Con infinita cautela mi calai nella mente aliena. Vi fu una lotta breve e terribile, mentre la racchiudevo nella mia. Il mondo era un olocausto di fuoco vitreo e di colori. L'aria fremeva. Il bagliore sullo schermo era un'ombra; poi divenne solido, poi un'oscurità che si schiariva... — Ora! — Non parlai. Lanciai semplicemente il comando a Callina, e la luce mi aggredì gli occhi, venne un contraccolpo che mi investì il cervello, il pavimento parve ondeggiare e Callina, barcollante, fu scagliata tra le mie braccia, mentre gli energon bruciavano l'aria e la mia mente. Semistordito ma conscio, vidi che lo schermo era vuoto; la mente aliena si era liberata dalla mia. E sul pavimento, accasciata alla base dello schermo, giaceva una donna snella dai capelli scuri. Dopo un momento mi accorsi che stavo ancora tenendo Callina fra le braccia. La lasciai nell'attimo stesso in cui si mosse per liberarsi da me. S'inginocchiò accanto alla sconosciuta, e io la imitai. — Non è morta? — No, naturalmente. — Con gli istinti di chi è stato addestrato ad Arilinn, Callina stava già cercando il polso, sebbene il suo fosse ancora esile e irregolare. — Ma questa... transizione... per poco non ci ha uccisi, e noi
sapevamo che cosa aspettarci. Cosa pensi che debba aver provato lei? I morbidi capelli bruni le ricadevano sul volto., nascondendolo. Li scostai delicatamente e mi fermai, con la mano che le toccava ancora la guancia. Ero sbigottito. — Linnell... — mormorai. — No — disse Callina. — Linnell dorme nella sua stanza... — Ma la sua voce trepidò quando guardò la ragazza. Allora capii chi doveva essere: la giovane infermiera che avevo visto in quella notte spaventosa nell'ospedale terrestre su Vainwal. Benché sapessi cos'era accaduto, pensai che la mia mente stesse per cedere. Quella transizione aveva sfinito anche me, e dovetti prendermi un momento per calmare il mio cuore e il mio respiro. — Avarra misericordiosa — mormorò Callina. — Che cosa abbiamo fatto? Naturalmente, pensai. Naturalmente. Linnell era vicina a entrambi: sorella, sorella adottiva. Avevamo parlato con lei proprio quella sera. Lo schema era a portata di mano. Eppure mi chiedevo ancora: perché Linnell, perché non il duplicato di me stesso o di Callina? Cercai di dirlo in parole semplici, più per me stesso che per Callina. — La Legge di Cherilly. Tutto nell'universo - tu, io, quella sedia, la fontanella nello spazioporto di Port Chicago - ogni cosa esiste in un esatto duplicato, uno soltanto. Niente è unico tranne una matrice; persino gli atomi hanno minute differenze nelle orbite degli elettroni... ci sono equazioni per calcolare il numero delle possibili variazioni, ma non sono un matematico abbastanza esperto per farlo. Jeff, probabilmente, potrebbe recitarle tutte. — Dunque questa è... la gemella identica di Linnell...? — È ancora più identica; solo una volta su un milione una gemella potrebbe essere il duplicato secondo la legge di Cherilly. Questa è la sua vera gemella; stesse impronte digitali, stesse impronte retinali e onde cerebrali, stessi betagrammi e stesso gruppo sanguigno. Non sarà molto simile a Linnell come personalità, probabilmente, perché i duplicati dell'ambiente di Linnell sono duplicati in tutta la Galassia. — Indicai la piccola cicatrice sotto il mento, girai il polso inerte dove il segno dei Comyn era impresso nella pelle. — Probabilmente è una voglia — dissi, — ma è identico al Sigillo di Linnell, vedi? Carne e sangue sono identici, stesso gruppo sanguigno; e anche i cromosomi, se potessi accertare a questa profondità, sarebbero identici a quelli di Linnell. Callina continuava a guardare, ad occhi sgranati. — Può vivere in questo... in questo ambiente alieno, dunque?
— Se è identica — dissi io. — I suoi polmoni respirano la stessa percentuale d'ossigeno nell'aria, e i suoi organi interni sono abituati alla stessa gravità. — Ce la farai a portarla? — chiese Callina. — Per lei sarà uno shock terribile, se si sveglierà in questo posto. Sogghignai, amaramente. — Lo sarà comunque. — Ma riuscii a sollevarla, anche con una mano sola; era fragile e leggera, come Linnell. Callina mi precedette, scostando le tende, mi indicò di adagiarla su un divano in una stanzetta spoglia... immaginavo che i giovani che lavoravano ai collegamenti qualche volta facessero un sonnellino lì, anziché ritornare nelle loro camere. L'avvolsi in una coperta, perché faceva freddo. — Mi chiedo da dove viene — mormorò Callina. — Da un mondo che ha all'incirca la stessa gravità di Darkover, e questo restringe un po' la scelta — dissi in tono evasivo. Non ricordavo il nome dell'infermiera, un nome barbaro terrestre. Mi domandavo se mi avrebbe riconosciuto. Avrei dovuto spiegare tutto a Callina. Ma il suo viso era segnato dallo sfinimento e la faceva apparire sciupata, molto più vecchia. — Lasciamola dormire per superare lo shock... e sarà bene che riposiamo anche noi. Scendemmo ai piedi della Torre. Callina si fermò sulla soglia con me, con la mano nella mia mano. Era esausta e stravolta, ma per me era incantevole, dopo il pericolo condiviso, l'intimità creata dal lavoro delle matrici, una vicinanza più grande della famiglia, più grande di quella degli amanti... Mi piegai per baciarla, ma lei girò la testa, e il mio bacio cadde sui capelli fini e profumati. Chinai la testa e non insistetti. Aveva ragione. Sarebbe stata una pazzia; eravamo esausti entrambi. Mormorò, come se finisse una frase che io avevo incominciato: — ... e devo andare a vedere se Linnell sta veramente bene... Dunque anche lei aveva condiviso quel senso di presagio, di presentimento terribile? La scostai dolcemente e uscii dalla Torre, ma non andai nel mio appartamento a dormire. Camminai avanti e indietro nel cortile come un animale in trappola, lottando contro pensieri insopportabili, fino a quando il sole rosso si alzò e il giorno della Festa spuntò su Thendara. IX La mattina della Festa spuntò rossa e nebbiosa; Regis Hastur, irrequieto, guardò il sole che sorgeva, e chiese al suo valletto di dare disposizioni per
mandare un mazzo di fiori a sua sorella Javanne. Dovrei mandare doni anche alle madri dei miei figli... Era abbastanza semplice ordinare di mandare cesti di frutta e fiori, ma si sentiva profondamente depresso e stranamente solo. Non ho motivo di sentirmi solo. Il nonno sarebbe anche troppo felice di combinarmi un matrimonio, e potrei scegliere per moglie qualunque donna di Thendara, e avere tante concubine come un abitante delle Città Aride, e nessuno mi criticherebbe neppure se tenessi anche uno o due favoriti. Immagino, quindi, che sono solo perché preferisco essere solo, non avere responsabilità verso nessuno... — ... tranne la maledetta popolazione dei Dominii! Non posso dire che la mia vita mi appartiene... e non mi sposerò perché mi approvino! C'era una sola persona a Thendara cui voleva mandare un dono, e non poteva a causa della consuetudine. Non avrebbe degradato ciò che c'era fra lui e Danilo con la finzione che fosse il legame più convenzionale. Sedette davanti alla finestra e guardò la città, pensando alla conclusione del Consiglio, spaventato perché aveva fatto ciò che aveva fatto... manifestare la Forma di Fuoco davanti a tutti. In qualche modo, senza un addestramento superiore al minimo indispensabile per poter usare il laran senza star male, aveva acquisito un nuovo Dono che non conosceva, e non sapeva cosa farsene. Sapeva così poco del Dono degli Hastur e sospettava che suo nonno sapesse poco di più. Se fosse stato vivo Kennard, si sarebbe rivolto al gentile parente che aveva imparato a chiamare "zio" e gli avrebbe esposto le sue perplessità. Kennard aveva trascorso anni ad Arilinn e sapeva tutto ciò che si sapeva dei poteri dei Comyn. Ma Kennard era morto sotto un sole lontano, e Lew sembrava sapere ben poco più di Regis. Inoltre, Lew aveva i suoi guai. A questo punto fu chiamato a far colazione con il nonno. Per un momento pensò di mandare un messaggio per dire che non aveva fame - aveva chiarito un punto con suo nonno e non voleva cedere - ma poi ricordò che dopotutto era Festa e i parenti accantonavano i loro dissidi per quel giorno. In ogni caso avrebbe dovuto affrontare il nonno al grande ballo della sera; tanto valeva incontrarlo prima in privato. Danvan Hastur s'inchinò al nipote, poi l'abbracciò e, quando Regis prese posto alla tavola imbandita, notò che suo nonno aveva ordinato tutte le sue leccornie preferite. Supponeva che quello fosse ciò che di più prossimo a una scusa avrebbe potuto ricevere dal vecchio. C'era caffè proveniente dalla Zona Terrestre, un gran lusso, e varie focacce al miele e frutta, oltre alla
tradizionale crema di cereali e al pane di noci. Mentre si serviva, Danvan Hastur disse: — Ho ordinato di mandare un cesto di frutta e dolci a Javanne, a nome tuo. — Avresti potuto pensare che l'avrei ricordato, mio signore — disse Regis sorridendo. — Ma con quella covata di figli, i dolci non andranno a male. Ma, pensando a Javanne, rammentò ancora lo strano potere che aveva acquisito sulla matrice della sorella quando era stata invasa da Sharra... Non lo capiva e non c'era nessuno cui chiederlo. Doveva andare a chiedere ad Ashara l'udienza che Callina gli aveva negato? La matrice di Lew era adombrata da Sharra; forse avrei potere anche su quella... Ma temeva di tentare e di fallire. E poi ricordò che c'era un'altra matrice, una alla sua portata, che era stata adombrata da Sharra, sebbene a una distanza assai più grande di quella di Lew; Lew era stato nel cuore delle fiamme di Sharra... Rafe Scott era nascosto nella Zona Terrestre, e Regis non lo biasimava. Ma Rafe sapeva che Beltran era lì e li minacciava tutti? Sì, avrebbe fatto visita a Rafe, quella mattina. Rifiutò un'altra tazza di caffè... sebbene fosse grato per il gesto del nonno, per la verità non gli piaceva. Scostò la sedia proprio mentre il servitore annunciava: — Il Nobile Danilo, Tutore di Ardais. Hastur accolse Danilo con affabile cortesia, e lo invitò a sedersi a tavola; Regis sapeva che suo nonno stava sottolineando un punto riconosciuto. Ma Danilo, inchinandosi a entrambi, disse: — Sono qui con un messaggio del Nobile Ardais, mio signore. Beltran di Aldaran ha portato la sua guardia d'onore entro le mura della città e ti ha invitato ad assistere alla consegna delle armi terrestri nelle mani della sua promessa sposa, Dama Callina Aillard. — Mandagli un messaggero per dirgli che arriverò tra pochi minuti — disse Hastur, alzandosi. — Regis, vieni con me? — Ti prego di scusarmi, nonno, ho un impegno altrove — disse Regis e, sebbene suo nonno non sembrasse soddisfatto, non fece domande. — Allora vi lascio — disse, e se ne andò; Regis si accorse che gli era ritornato l'appetito si versò il caffé che prima aveva rifiutato, ne versò anche per Danilo e gli porse il piatto di focacce al miele. Danilo ne prese una e disse, sorseggiando incuriosito il caffè: — Questo è un lusso terrestre, no? Se il Nobile Dyan la spunterà, non ce ne sarà più... — Posso farne a meno — disse Regis. Prese una manciata di fruttineri
canditi e l'offrì in silenzio a Danilo; Danilo, accettandoli, gli sorrise e disse: — No, e anch'io non ho doni della Festa per te... Non sono Dyan, che manda doni ai suoi favoriti come io li manderei a mia sorella, se l'avessi. Non abbiamo bisogno di scambiarci doni... Comunque, è un segno che vorrei poter mostrare... Regis disse ad alta voce, spezzando il momento d'intimità che era più intenso di qualunque carezza: — Devo andare nella Zona Terrestre, Dani. Devo vedere se il capitano Scott sa che cosa sta succedendo... — Verrò con te, se vuoi — disse Danilo. — Ti ringrazio, ma non è il caso di irritare il tuo padre adottivo — disse Regis. — E se ci vai contro la sua volontà, la prenderà come una sfida. Resta in pace con lui, Dani; ci sono già abbastanza dissidi tra i Comyn, non abbiamo bisogno di altri. — Posò la focaccia al miele, perdendo improvvisamente l'appetito. — Il nonno si arrabbierà perché non sarò presente alla consegna delle armi terrestri da parte degli uomini di Aldaran. Ma Beltran non mi amerà mai, qualunque cosa io faccia, e preferisco non andare ad assistere a questa... — Cercò una parola, pensò a «farsa», la scartò, poi alzò le spalle. — Dyan può fidarsi di Beltran, io no — disse, e se ne andò. Poco più tardi, si annunciò alla guardia spaziale dall'uniforme di cuoio nero, al cancello della Zona Terrestre. Lo spaziale sgranò gli occhi, logicamente... uno dei potenti Hastur, senz'altra scorta che un'unica guardia? Ma usò il comunicatore, e dopo un momento disse: — Il Legato la riceverà nel suo ufficio, Nobile Hastur. Regis non era il Nobile Hastur... quello era il titolo di suo nonno. Ma non poteva pretendere che gli uomini delle Forze Spaziali conoscessero il protocollo. Nell'ufficio del Legato, Lawton si alzò per accoglierlo, lo chiamò con il titolo che gli spettava, e lo pronunciò con l'inflessione esatta, il che non era facile per un terrestre. Ma Lawton era per metà darkovano. — Mi fai onore, Nobile Regis — disse. — Ma non mi aspettavo di vederti qui. Immagino che ci incontreremo al ballo a Castel Comyn, questa sera... il Reggente mi ha mandato un invito ufficiale. — Sono venuto per vedere Rafe Scott — disse Regis. — Ma non volevo farlo alle tue spalle, per non essere accusato di spiare o di qualcosa di peggio. Lawton fece un gesto noncurante. — Vuoi vederlo qui? Oppure nel suo alloggio? — Nel suo alloggio, credo.
— Manderò qualcuno a mostrarti la strada — disse Lawton. — Ma prima una domanda. Conosci di vista l'uomo che chiamano Kadarin? — Credo che se lo vedessi lo riconoscerei — Regis rammentava l'immagine che aveva visto nella mente di Lew, il giorno che era bruciata la casa di Città degli Alton. — Che probabilità avremmo di trovarlo, se mandassimo le Forze Spaziali nella Città Vecchia? C'è qualcuno, là, che sia disposto a nasconderlo alla giustizia? — È ricercato anche dalle Guardie — disse Regis. — È certo che è responsabile di un incendio e di uno scoppio provocato da esplosivi di contrabbando... — In poche parole, riferì a Lawton ciò che aveva visto. — Le Forze Spaziali potrebbero trovarlo più in fretta delle vostre guardie — disse il Legato terrestre. Regis scrollò la testa. — Sono sicuro che potrebbero farlo — disse. — Ma credimi, non consiglierei di mandarle. — Dovrebbe esserci un trattato che ci permettesse almeno di cercare un criminale — disse cupamente Lawton. — Così, non appena mette piede nella Città Vecchia è al sicuro dai nostri uomini... e se si insinua nella Città Commerciale, è al riparo dalle vostre guardie. Mi piacerebbe sapere perché tra noi non possa esserci almeno questo tipo di collaborazione. Piacerebbe anche a me. Se comandassi io l'avremmo. Ma non comando io, e mio nonno la pensa diversamente... All'improvviso Regis si accorse che si vergognava dei punti di vista di suo nonno. Si erano impegnati a collaborare in certe cose con i terrestri, negli anni passati; soprattutto dopo l'epidemia durante la quale la divisione medica terrestre aveva mandato un esperto per assisterli. Ma adesso Kennard, che aveva avviato quel tipo di collaborazione, era morto, e sembrava che quell'alleanza informale stesse andando a pezzi; Regis avrebbe voluto che Lawton possedesse abbastanza laran perché non fosse necessario spiegare tutto ricorrendo al mezzo lento e goffo delle parole. Disse, incerto: — Non... non è il momento più opportuno per chiederlo, signor Lawton. Sarebbero necessarie trattative troppo lunghe. Ci occuperemo di Kadarin se lo troveremo, e immagino che voi farete altrettanto se lo troverete qui. Ma non è il momento per chiedere una collaborazione ufficiale tra la Guardia e le Forze Spaziali. L'importante è prendere quel Kadarin e metterlo nell'impossibilità di nuocere... e non discutere sotto quale giurisdizione debba trovarsi. Lawton batté il pugno sulla scrivania, irosamente. — E mentre noi ne
stiamo discutendo, quello ride di noi — disse. — Ascolta. Pochi giorni fa, c'è stata un'irruzione nell'Orfanotrofio della Città Commerciale. Sono entrati nella stanza d'uno dei bambini. Nessuno dei piccoli è stato ferito o rapito, ma tutti i piccoli ospiti si sono spaventati orribilmente. Hanno descritto l'uomo alle Forze Spaziali... e sembra probabile che fosse Kadarin. Non sappiamo cosa facesse là, ma è riuscito a scappare, e probabilmente si nasconde nella Città Vecchia. Ora ho sentito dire che Beltran di Aldaran ha portato un esercito a Thendara... Questa era una faccenda che riguardava i Comyn e Regis non intendeva discuterne con un terrestre, per quanto amichevole. Disse, un po' rigidamente: — In questo momento, signore, il Nobile Aldaran sta pronunciando il solenne giuramento di osservare il Patto e consegna tutte le sue armi terrestri. So che il Vecchio Kermiac di Aldaran era alleato dei terrestri, ma credo che Beltran la pensi diversamente. — Ma fu Beltran, non Kermiac, che riuscì a bruciare lo spazioporto di Caer Donn e mezza città — disse Lawton. — Come posso sapere che Beltran non abbia portato qui i suoi uomini per unirsi a Kadarin e ritentare il colpo contro lo spazioporto di Thendara? Ti assicuro che dobbiamo trovare Kadarin prima che ci sfugga di nuovo. Probabilmente non ti rendi conto che l'Impero ha autorità sovrana su tutte le sue colonie, quando uno spazioporto è minacciato; non sono affatto sotto l'autorità locale, ma sotto l'autorità interplanetaria del Senato. Voi non siete rappresentati in Senato, ma siete una colonia terrestre, e io ho l'autorità di fare intervenire le Forze Spaziali. È esattamente ciò che diceva Lerrys, pensò Regis. E disse: — Se volete avere buoni rapporti con il Consiglio dei Comyn, Lawton, non fate una cosa simile. Le Forze Spaziali acquartierate nella Città Vecchia sarebbero considerate... Un atto di guerra. Darkover, con le spade e le guardie, contro la maestà interplanetaria dell'Impero? — Perché pensi che ti stia dicendo questo? — chiese Lawton con una certa impazienza, e Regis si chiese se quell'uomo aveva letto nei suoi pensieri. — Dobbiamo trovare Kadarin! Potremmo arrestare Beltran per interrogarlo. Io ho l'autorità di riempire la vostra maledetta città di uomini del Servizio Segreto e delle Forze Spaziali, e Kadarin avrebbe le stesse possibilità di un fiammifero acceso su un ghiacciolo! Ho bisogno di una certa collaborazione, o dovrò fare esattamente questo: uno dei miei compiti è evitare che Thendara faccia la stessa fine di Caer Donn!
— L'accordo che vi impone di rispettare il governo locale... — Ma se il governo locale nasconde un pericoloso criminale, dovrò ignorare il vostro prezioso Consiglio! Non capisci? Questo è un pianeta dell'Impero! Vi abbiamo concesso molta libertà; è politica dell'Impero lasciare che i governi locali facciano a modo loro, purché non danneggino i rapporti interplanetari. Ma fra le altre cose, io sono responsabile della sicurezza dello spazioporto! Regis ribatté indignato: — Ci stai accusando di nascondere Kadarin? Anche noi abbiamo messo una taglia su di lui. — Siete stati straordinariamente inefficienti, quando si è trattato di trovarlo — disse Lawton. — Anch'io sono sotto pressione, Regis; sto cercando di tener buoni i miei superiori, i quali non capiscono perché assecondi in questo modo il vostro Consiglio con Kadarin in libertà e... — Esitò. — E Sharra. Dunque sai cosa possono fare le fiamme di Sharra... Lawton continuò, irritato: — Io faccio del mio meglio, Nobile Regis, ma sono con le spalle al muro. Sono sotto pressione come voi. Se volete che stiamo dalla nostra parte del muro, trovateci Kadarin e consegnatecelo, e staremo tranquilli. Altrimenti... non avrò scelta. Se rifiuterò di occuparmene mi trasferiranno, e qualcun altro lo farà... qualcuno che non avrà il mio stesso desiderio di mantenere la pace su questo mondo. — Trasse un lungo respiro. — Mi dispiace; non volevo insinuare che questo sia colpa tua, o che tu potresti fare qualcosa per rimediare. Ma se hai influenza su qualcuno in Consiglio, sarà meglio che glielo dica. Ora manderò qualcuno ad accompagnarti all'alloggio del capitano Scott. La voce di Rafe disse con noncuranza. — Avanti — quando Regis bussò. Appena entrò, Rafe si alzò di scatto. — Regis! — Poi s'interruppe. — Perdonami, Nobile Hastur... — Chiamami Regis, Rafe — disse Regis. Dopotutto, erano stati ragazzi insieme. — E non tenermi un discorsetto per dirmi che faccio onore alla tua casa. — Con un sorriso, Rafe gli indicò di sedersi. Regis si guardò intorno incuriosito. Durante le numerose visite alla Zona Terrestre non era mai entrato in un'abitazione privata, ma solo in luoghi pubblici. I mobili gli sembravano volgari, malfatti e mal disposti, scomodi, naturalmente, quello era l'alloggio di uno scapolo senza servitori, non una residenza stabile. — Posso offrirti qualcosa, Regis? Vino? Una bevanda di frutta?
— È troppo presto per il vino — disse Regis. Ma aveva sete, dopo aver parlato tanto a lungo con il Legato. Rafe andò a una console, toccò i tasti: apparve una tazza di plastica bianca e un getto di liquido d'oro pallido la riempì. Rafe porse la tazza a Regis, ne materializzò un'altra per sé. Poi andò a sedersi. Mentre sorseggiava il liquido fresco e asprigno, Regis disse: — Ho visto cos'è successo alla tua matrice. Io... — All'improvviso non aveva la più vaga idea di come avrebbe potuto dirlo. — Ho scoperto... quasi per caso... — continuò incerto. — ... di avere... alcuni strani poteri su... non su Sharra... ma... sulle matrici che sono state... contaminate da Sharra. Vuoi lasciare che provi con la tua? Rafe fece una smorfia. — Ero venuto qui nella speranza di dimenticare — disse. — Mi sembra strano, sentir parlare di matrici qui. — Indicò la spoglia stanza di plastica. — Forse non sei al sicuro come credi — l'avvertì Regis, sobriamente. — Kadarin è stato visto nella Zona Terrestre. — Dove? — chiese Rafe. Quando Regis glielo disse, si abbandonò sulla poltrona, pallido come un morto. — So cosa cercava. Devo vedere Lew... — S'interruppe di colpo. Cercò a tentoni la matrice appesa al collo, la estrasse e la mostrò, sul palmo della mano. Regis la guardò fissamente e vide che incominciava a fiammeggiare e risplendere della spaventosa evocazione, la Forma di Fiamma presente nelle loro menti, il lezzo e il terrore d'una città incendiata... Regis si sforzò di ricordare ciò che aveva fatto con la matrice di Javanne; dopo una breve lotta, si trovò a ridurre la Forma di Fiamma a un'ombra, un nulla... La matrice era azzurra e innocente. Rafe respirò rumorosamente, e riprese colore. — Come hai fatto? — chiese. Era un'ottima domanda, pensò Regis, con distacco. Era un peccato che lui non avesse una risposta. — Non lo so. Forse ha qualcosa a che fare con il Dono degli Hastur... qualunque sia. Ti consiglio di provare ad usarla. Rafe sembrava impaurito. — Non sono mai riuscito... neppure a tentare... da quando... — Ma prese il cristallo tra le mani. Dopo un momento il freddo globo di luce apparve sopra le mani giunte, aleggiò lentamente nella stanza e svanì. Rafe sospirò di nuovo. — Sembra... libera... Ora, forse, potrò affrontare Lew e fare lo stesso... Rafe sgranò gli occhi, guardando Regis. Mormorò: — Figlio di Hastur...
— S'inchinò fin quasi a terra, in un gesto arcaico. Regis disse, spazientito: — Lascia stare! Che cosa sai di Kadarin? — Ora non posso dirtelo. — Rafe sembrava diviso tra quell'arcaica reverenza e un'esasperazione assolutamente normale. — Ti giuro che non posso: prima devo dirlo a Lew. È... — Esitò. — Non sarebbe onorevole né giusto. Mi comandi di dirtelo, Nobile Hastur? — No, naturalmente — disse Regis con una smorfia. — Ma vorrei che mi spiegassi di che cosa stai parlando. — Non posso. Devo andare... — Rafe s'interruppe e sospirò. Poi disse: — Beltran è in città. Non voglio incontrarlo. Posso venire a Castel Comyn? Ti prometto che allora spiegherò tutto. È una... — Di nuovo l'esitazione. — Una questione di famiglia. Vuoi chiedere a Lew Alton di ricevermi nel suo appartamento al Castello? Forse... forse non vorrà vedermi. Ho fatto parte di... della ribellione di Sharra. Ma ero amico di suo fratello. Chiedigli, per la memoria di Marius, se vuol parlare con me. — Glielo chiederò — disse Regis, ma si sentiva più sconcertato che mai. Quando lasciò la Zona Terrestre, la guardia che lo scortava gli si affiancò con fare diffidente e chiese: — Posso farti una domanda, Nobile Regis? — Sì — disse Regis, nuovamente irritato da quella deferenza arcaica. Ero cadetto agli ordini di quest'uomo; lui era già un ufficiale esperto quando ero ragazzino! Perché deve chiedere il permesso di parlarmi? — Mio signore, che cosa sta succedendo in città? Hanno richiamato tutte le guardie per una specie di cerimonia... All'improvviso, Regis ricordò: la sua visita alla Zona Terrestre lo aveva tenuto lontano, eppure quello poteva essere definito uno dei giorni più importanti nella storia dei Dominii. Il Settimo Dominio di Aldaran stava per essere reintegrato fra i Comyn con una cerimonia solenne, e Beltran avrebbe giurato fedeltà al Patto... Lui avrebbe dovuto assistere. Non che credesse che Beltran avrebbe rispettato il giuramento per un momento più di quanto fosse nel suo interesse! Disse: — Andremo alle mura della città; almeno potrai vedere una parte della cerimonia. — Grazie, mio signore — disse la guardia in tono deferente. All'interno delle mura c'erano le scale, e quindi poterono salire passando davanti alle sentinelle, ognuna delle quali salutò Regis. Schierati laggiù, poté vedere gli uomini della cosiddetta Guardia d'Onore di Aldaran. Devono essere centinaia, pensò. È davvero un esercito, in grado di espugnare le
mura di Thendara... non ha lasciato spazio alla nostra buona volontà. In un piccolo gruppo alla testa delle truppe scorse Beltran, e un certo numero di figure avvolte in mantelli colorati: nobili Comyn venuti ad assistere alla cerimonia. Senza accorgersene, Regis potenziò la propria vista con il laran, e all'improvviso fu come se si trovasse a pochi passi da suo nonno, magro ed eretto nel mantello azzurro e argento degli Hastur. C'erano anche Edric di Serrais, e il Nobile Dyan di Ardais, e il Principe Derik, e Merryl; e Danilo a fianco di Dyan, anche lui vestito dei colori cerimoniali degli Ardais, e Merryl nel grigio-e-cremisi degli Aillard, a fianco di Callina che stava un po' in disparte, avvolta nel vaporoso manto grigio, con il volto parzialmente velato come si conveniva a una dama dei Comyn in mezzo a sconosciuti. Uno ad uno gli uomini di Beltran sfilavano e deponevano i disintegratori terrestri ai piedi di Callina, inginocchiandosi e pronunciando la breve formula che risaliva ai tempi del Re Carolin di Hali, quando era stato ideato il Patto: nessun uomo doveva portare un'arma che colpisse oltre la distanza del braccio di chi la usava, in modo che chiunque volesse uccidere dovesse esporsi al rischio d'essere ucciso... Callina sembrava fredda e irritata. — Non possiamo avvicinarci un poco di più, mio signore? Non riesco a vederli né a sentirli — disse la guardia. Regis rispose: — Vai pure, se vuoi. Io vedo bene da qui. — Il suo tono era distratto: i suoi pensieri erano laggiù, con Callina. Sentiva la sua indignazione: era soltanto una pedina in quel gioco e, come Regis, era in balia del Consiglio dei Comyn, senza il potere di ribellarsi con l'efficienza con cui avrebbe potuto farlo lui. Una volta, molto tempo prima, Regis aveva protestato che la strada era tracciata per un figlio dei Comyn, una strada che doveva percorrere, gli piacesse o no... e ancora più potenti erano le forze che vincolavano le figlie dei Comyn. Dovette pensarlo più intensamente di quanto si rendesse conto, perché vide Callina girare lievemente la testa e guardare perplessa nella direzione dove Regis sentiva di essere; e poi, non vedendolo, lei aggrottò lievemente la fronte. Regis seguì i suoi pensieri: «Ashara mi avrebbe protetta, ma il suo prezzo è troppo alto... non voglio essere la sua pedina... » La cerimonia sembrava interminabile; senza dubbio Beltran l'aveva organizzata così, in modo che i Comyn potessero rendersi conto della sua forza. Ai piedi di Callina c'era un grande mucchio di armi terrestri disintegratori e paralizzatori. In nome di Aldones, Beltran cosa pensa che ce ne faremo? Che le consegneremo ai terrestri? A quanto ne sappiamo, potrebbe
averne ancora altrettante, ad Aldaran! Beltran ha dato una dimostrazione di forza. Spera d'impressionarci. Ora abbiamo bisogno di una controdimostrazione, in modo che non se ne vada convinto di aver fatto ciò che noi non avevamo il potere di fargli fare... I suoi occhi incontrarono quelli di Dyan Ardais. Dyan si voltò, guardò il punto lontano sulle mura dove stava Regis. Senza riflettere, Regis fece qualcosa che non aveva mai fatto prima e che, consciamente, non sapeva fare: entrò in rapporto mentale con Dyan, e sentì la sua forza e la sua esasperazione per il modo in cui tutto questo poneva Beltran in una posizione di potere. Rafforzami, Dyan, per ciò che devo fare! Sentì i pensieri di Dyan, la sorpresa per quel contatto improvviso, un'emozione di cui Dyan non era completamente consapevole... Su serva, Dom, a veis ordenes emprézi... nell'inflesione con cui si sarebbe messo agli ordini di Regis, ora e sempre, in vita e in morte a disposizione di un Hastur... una volta, nelle linee antincendio, durante il suo primo anno come ufficiale delle Guardie, era stato inviato con Dyan a combattere un incendio che infuriava sulle colline di Venza dietro Thendara, e aveva alzato gli occhi e si era trovato a lavorare a fianco di Dyan, teso al massimo, in una comunione di sforzo. Era come essere spalla a spalla, con le spade sguainate, e ognuno proteggeva l'altro come scudiero e signore giurato... Sentì la forza di Dyan sostenere la sua, mentre si tendeva ciecamente con la sua energia telepatica... INDIETRO! Era un grido d'avvertimento, telepatico e non vocale; ma nella folla tutti lo captarono e indietreggiarono. Il grande mucchio d'armi incominciò a risplendere, si arrossò, e poi divenne incandescente... Ler armi svanirono, disintegrate; per un momento ci fu un grande lezzo nauseante, e quindi anche quello sparì. Callina, pallida come una morta, fissava il grande cratere annerito nel suolo. Regis sentì il tocco di Dyan quasi come in abbraccio tra parenti; poi si separarono... Era solo e osservava dal suo posto di guardia isolato, sulle mura, il vuoto dove prima stava il grande mucchio di armi. Sentì la voce di suo nonno che approfittava di quell'occasione come se lui stesso ne fosse responsabile: — Ora inginocchiati, Beltran di Aldaran, e giura fedeltà al Patto di fronte ai tuoi pari — disse, usando la parola Comyn. Ancora un po' stordito dalla distruzione che aveva messo in ombra il gesto teatrale della consegna delle armi, Beltran s'inginocchiò e pronunciò le parole di rito. — Ed ora — disse avvicinandosi a Callina e inchinandosi a baciarle la
mano, — reclamo la mia promessa sposa. Callina rimase rigida ma disse, con un filo di voce che si udiva appena: — Mi legherò a te questa sera. Lo giuro. — Regis non poteva vederla, era troppo lontano; ma sapeva che era agghiacciata dal furore, e non poteva darle torto. E poi captò un altro pensiero vagante che quasi non riuscì a riconoscere. Non ho bisogno di quelle armi, perché ne ho al mio comando una più potente di tutte quelle fabbricate dai terrestri... Era Dyan? Non riconosceva il contatto. E non avrebbe riconosciuto quello di Beltran; quando era stato imprigionato in Castel Aldaran era un ragazzo privo di laran, e non poteva riconoscere la «voce» mentale di Beltran. Ma un brivido gelido lo pervase, perché sapeva a quale arma si riferiva. Beltran era dunque tanto pazzo da pensare di usare... quella? E se io ho potere su Sharra, tocca a me affrontarla? Aveva un certo potere sulla Forma di Fuoco, almeno quando si manifestava in una matrice. Ma né Rafe né Javanne erano stati interamente in Sharra. Non credeva che avrebbe potuto liberare la matrice di Lew come aveva liberato le loro. Lew era stato vincolato strettamente a Sharra... e Regis rifuggiva da quel pensiero. Doveva rischiare... ma prima doveva riferire il messaggio di Rafe. Una breve, rapida ricerca gli disse che Lew non era tra la folla sottostante, e si accorse che stava accadendo al suo laran qualcosa per cui non era affatto preparato: lo stava usando senza sforzo, quasi con noncuranza. È questo, dunque, il Dono degli Hastur? Accantonò con decisione quel pensiero, quella paura, e andò in cerca di Lew Alton. Quando lo avesse trovato, Rafe sarebbe stato là, e Regis sentiva che Lew non avrebbe voluto affrontare impreparato Rafe Scott. E Regis non era impreparato a vedere Lew come lo vide quando il vecchio Andres lo fece entrare nell'appartamento degli Alton. Per un momento gli parve che non fosse Lew, che non fosse neppure una persona, ma soltanto una massa vorticosa di forze, una presenza di collera e l'eco di una voce nota... Kennard? Ma è morto... e una fuggevole consapevolezza della terrificante Forma di Fuoco. Regis batté le palpebre e riuscì a scorgere chiaramente la presenza fisica di Lew, a portare sotto controllo le nuove, terribili dimensioni del proprio laran. Che cosa gli stava accadendo? Non aveva mai usato così il laran, anzi l'aveva usato raramente... ma adesso,
concedergli la minima libertà mentale sembrava significare che potesse volare come un falco, non disposto a tornare per farsi incappucciare... Lo represse, si impose di vedere Lew anziché contattarlo. Ma il contatto venne egualmente e Regis riconobbe qualcosa che aveva sentito quando si era collegato con Dyan. Semplicemente, si sorprese a dire, ad alta voce: — Ma certo, era cugino di tuo padre, strettamente imparentato con gli Alton. Lew, non sapevi che Dyan ha il Dono degli Alton? Naturalmente, è così che poteva imporre il rapporto mentale forzato a Danilo, è così che fa conoscere la propria volontà e riesce a imporla... Ma è un abuso... l'usa così, per imporre la propria volontà. .. e questa è la colpa più grave per chi possiede il laran... Non è mai stato addestrato a usarlo... Fu allontanato dalla Torre... Il Dono degli Alton può uccidere, e loro lo lasciarono andare senza addestrarlo, non conoscendo il suo potere... Forse, come il mio, si è destato tardi e all'improvviso cresce come è cresciuto il mio, e io non sono abbastanza forte per frenare la cosa mostruosa che è il Dono degli Hastur... Con uno sforzo, Regis interruppe quel flusso e disse a voce alta e tremante: — Lew, puoi attivare uno smorzatore? Non... non sono abituato a questo. Lew annuì, andò a un pannello e dopo un momento Regis sentì la vibrazione calmante che confondeva gli schemi. Era di nuovo solo e dominava la propria mente. Esausto, si lasciò cadere su una poltrona. Non è colpa di Dyan. Il Consiglio non fece il proprio dovere nei suoi confronti, e lo lasciò fare, con il suo Dono non addestrato, non incanalato... Come il mio! Ma ancora una volta Regis arrestò il flusso dei pensieri; e si disse, sbigottito e irritato, che questo avrebbe dovuto farlo lo smorzatore. Prima che potesse parlare, la porta si aprì e Rafe entrò senza farsi annunciare. Lew si oscurò in viso, ma Rafe disse: — Cugino... — in tono così supplichevole che Lew gli rivolse un sorriso irrequieto. Disse: — Vieni, Rafe. Tutto questo non è colpa tua; anche tu sei una vittima. — Mi ci è voluto tutto questo tempo per trovare il coraggio necessario per dirti questo — disse Rafe. — Ma tu devi sapere. Questa mattina il Legato ha detto qualcosa, e ho compreso che non potevo più attendere. Voglio che tu venga con me, Lew. C'è qualcosa che tu devi vedere. — Non puoi dirmi che cos'è? — chiese Lew.
Rafe esitò. — Preferirei dirlo a te solo... — E lanciò a Regis uno sguardo irrequieto. La voce di Lew era brusca: — Qualunque cosa tu abbia da dire, non ho segreti per Regis. Regis pensò: «Non merito tanta fiducia». Ma chiuse la propria mente; non voleva altri contatti telepatici involontari che sembrava impossibile impedire. — Qui non c'erano donne che potessero assumersi il compito — disse Rafe. — Mi sono rivolto alla tua sorella adottiva. Ha accettato di prendersi cura di lei. — Di chi, in nome di Dio? — chiese Lew. E poi la sua mente balzò alla conclusione. — Questo presunto figlio di cui hanno spettegolato le Guardie? Rafe annuì e si avviò. Ma non era Linnell, tuttavia, quella che li attendeva. Era Callina. — Lo sapevo — disse a voce bassa. — Ashara me l'aveva detto... non ci sono molte bambine nei Dominii che possano essere addestrate come me e credo... credo che Ashara la voglia... — S'interruppe, soffocata. Indicò con un gesto la porta d'una stanza. — E lì... aveva paura, trovandosi in un posto sconosciuto, e l'ho fatta addormentare... Su un lettino dormiva una bambina di cinque o sei anni. I capelli erano di rame appena fuso, sparsi intorno al viso triangolare, costellato di lentiggini d'oro pallido. Mormorò qualcosa nel sonno. Regis sentì come una potente scossa elettrica che trapassava Lew. L'ho già vista... un sogno, una visione, una precognizione... è mia! Non è figlia di mio padre né di mio fratello morto, è mia... il mio sangue lo sa... Regis percepì il suo imbarazzo, il riconoscimento. Disse a bassa voce: — Sì, è così! Quando aveva guardato per la prima volta il viso del figlio nedestro c'era stato un attimo di certezza assoluta, questo è mio, nato dal mio seme... non c'era mai stato un dubbio nella mia mente: non aveva avuto bisogno di controlli per sapere che era veramente suo figlio. — Ma chi era sua madre? — chiese Lew. — Oh, c'è stata qualche donna nella mia vita, ma perché non me l'ha mai detto? — S'interruppe quando la bambina apri gli occhi. Occhi dorati, d'ambra, un colore strano, un colore che non aveva mai visto tranne una volta... Regis sentì il grido rauco che Lew non seppe trattenere. — No! — esclamò. — Non è possibile! Marjorie è morta... è morta...
morta, e nostro figlio con lei... Evanda misericordiosa, sto perdendo la ragione? Gli occhi di Rafe, così simili a quelli che Lew ricordava, lo guardarono pietosamente. — No, Lew. Non Marjorie. Questa è la figlia di Thyra. Thyra è sua madre. — Ma... ma no, non può essere — disse Lew, ansimando. — Non ho mai... non l'ho mai toccata, neppure una volta... non avrei mai toccato neppure con un dito quella gatta infernale... — Non so esattamente che cosa accadde — disse Rafe. — Ero molto giovane e Thyra... non mi disse tutto. Ma una volta, ad Aldaran, mentre eri drogato... e non sapevi quello che facevi... Lew nascose la faccia nella mano e Regis, incapace di proteggersi, sentì il pieno, terrificante flusso dei suoi pensieri. Ah, Dei, Evanda misericordiosa, pensavo che fosse tutto un sogno... ardevo, ardevo di rabbia e di desiderio... Marjorie tra le mie braccia, ma si trasformava, nel modo folle dei sogni, si trasformava in Thyra mentre la baciavo... Fu Kadarin a far questo... e ricordo che Thyra piangeva nel mìo sogno, piangeva come non aveva fatto neppure quando era morto suo padre. .. Non era neppure una sua scelta, anche Thyra era una pedina di Kadarin... — È nata qualche stagione dopo l'incendio di Caer Donn — disse Rafe. — E quando nacque, a Thyra accadde qualcosa; credo che impazzisse, per qualche tempo... non ricordo; ero molto giovane, ed ero stato molto male, a lungo, dopo... dopo l'incendio. Credevo, naturalmente, che fosse figlia di Kadarin, lui e Thyra erano stati insieme per tanto tempo... E Regis seguì anche i pensieri di Rafe: il quadro spaventoso di una donna impazzita che si scagliava contro la creatura che non avrebbe voluto partorire, concepita con un trucco vergognoso... con un uomo drogato e ignaro. Una creatura che era stato necessario trasferire, di tanto in tanto, per metterla al sicuro... Adesso la bambina era sveglia. Si sollevò a sedere e guardò tutti, incuriosita, con i grandi, incredibili occhi d'ambra. Guardò Rafe e sorrise, evidentemente lo riconobbe. Poi guardò Lew e Regis sentì, come un colpo, il suo shock alla vista delle cicatrici. Lew stava facendo una smorfia. Ecco, non gli dò torto... scoprire in questo modo che era stato drogato, usato... Regis aveva visto Thyra soltanto una volta o due, di sfuggita, ma anche allora aveva percepito la tensione della collera e del desiderio tra lei e Lew. Ed erano stati insieme, vincolati a Sharra...
La bambina era tesa come un animaletto spaventato. Regis poté sentire di nuovo lo shock di Lew per l'improvvisa, agghiacciante rassomiglianza con Marjorie. Poi Lew disse, con voce smorzata: — Non avere paura, chiya. Non sono molto bello ma, credimi, non mangio le bambine. La piccola sorrise. Il visetto appuntito, triangolare, era incantevole. Era caduto un dente, al centro del sorriso. — Dicevano che eri mio padre. — Oh, Dio, credo di sì — disse Lew. Credo di sì? Lo so, maledizione! Adesso era privo di barriere mentali, e Regis non poteva escludere i suoi pensieri. Impacciato, Lew sedette sull'orlo del letto. — Come ti chiami, Chiy'lla? — Marja — disse timidamente la bambina. — Voglio dire... Marguerida. Marguerida Kadarin. — Pronunciò il nome nel molle dialetto delle montagne. Il nome di Marjorie! — Ma preferisco Marja. — S'inginocchiò, guardandolo. — Che è successo all'altra mano? Regis conosceva abbastanza bene i figli di Javanne e i propri per sapere che i bambini erano sempre molto franchi; ma Lew era sconcertato da quella franchezza. Batté le palpebre e disse: — Era ferita e hanno dovuto tagliarla. Gli occhi d'ambra erano enormi. Regis la sentiva riflettere. — Mi dispiace... — E poi Marja disse, esitando: — Padre. — Alzò la manina e gli accarezzò la guancia sfregiata. Lew deglutì con uno sforzo e la strinse a sé, chinando la testa; ma Regis sentiva che era sconvolto, vicino alle lacrime, e non riuscì a escludere i suoi pensieri. Ho visto questa bambina, una volta, prima ancora che io e Marjorie diventassimo amanti, l'ho vista in una visione, e ho creduto volesse dire che Marjorie mi avrebbe dato quella figlia, che tutto sarebbe andato bene per noi... Era preveggenza; ma non prevedevo che Marjorie sarebbe stata morta da anni prima che io incontrassi mia figlia... — Dove sei cresciuta, Marja? — In una casa grande, con tanti altri bambini — disse la piccola. — Loro sono orfani, ma io no, io sono qualcosa di diverso. È una brutta parola, e la direttrice dice che non devo dirla mai, mai, ma te la dirò sottovoce. — No — disse Lew. La immaginava; Regis ricordava che c'erano ancora quelli che lo chiamavano bastardo, anche dopo che era stato riconosciuto Erede di Alton. Ora Lew l'aveva presa sulle ginocchia e la cingeva con un braccio.
Se avessi saputo, sarei tornato... sarei tornato prima. In qualche modo sarei riuscito a fare ammenda nei confronti di Thyra per ciò che ricordavo di avere fatto... Davanti allo sguardo interrogativo di Regis, Lew alzò la testa. Disse, ostinatamente: — Ero drogato con l'afrosone. È terribile: vivi una vita normale... ma da un minuto all'altro dimentichi ciò che sta succedendo, non ricordi altro che sogni simbolici... Ho saputo che se riferisci a uno psichiatra ciò che ricordi dei sogni sotto l'effetto della droga, può aiutarti a ricordare ciò che è successo veramente. Io non volevo sapere... — La voce gli si spezzò in gola. Deve essere accaduto dopo che fuggirono da Aldaran, pensò Regis. Marjorie e Lew fuggirono insieme, e Kadarin li ritrascinò indietro entrambi, e drogò lui, costringendolo a servire come polo dell'energia per Sharra... non mi sorprende che non volesse ricordare. — Non ha importanza — disse Lew leggendo i pensieri di Regis, e cinse la bambina con il braccio, così forte che lei piagnucolò protestando. — È mia comunque. È brutto ma è simpatico, sono contenta che sia mio padre... Tutti la guardarono sbalorditi; Marja aveva tpccato le loro menti. Regis pensò: Ma i bambini non hanno mai il Dono... — Thyra era per metà chieri, dicevano — mormorò Lew. — Ovviamente, Marja ha il Dono. Non è comune, anche se non è un caso sconosciuto. Il tuo Dono si destò molto presto, no, Rafe... a nove o dieci anni? Rafe annuì. Disse: — Ricordo il nostro... il nostro padre adottivo, il Nobile Aldaran... ci parlava di nostra madre. Era figlia d'uno del popolo della foresta. E Thyra... — Esitò. Non voleva dirlo. — Devi dirlo — insistette Lew. — Qualunque cosa sia. — Non conoscevi... Thyra. Lei era... come i chieri. Emmasca: Nessuno sapeva con certezza se era maschio o femmina. La ricordo così, quando ero molto piccolo, ma solo un po'. Poi venne Kadarin... e subito dopo lei incominciò a portare vesti femminili e a considerarsi una donna... allora incominciammo a chiamarla Thyra. Prima aveva un altro nome... tu non sapevi che aveva la stessa età di Beltran, che aveva già passato i vent'anni quando nacque Marjorie. Lew scrollò la testa, sconvolto. Regis captò il pensiero: Credevo avesse tre o quattro anni più di Marjorie, non di più... E un turbine di immagini, risentimento e desiderio, Thyra che suonava l'arpa, guardava Lew con collera appassionata, il viso di Thyra, sognante, che si dissolveva nel viso di
Marjorie... Marjorie che diceva dolcemente: — Eri un po' innamorato di Thyra, no, Lew? Lew posò la bambina. — Dovrò trovarle una governante. Nei miei appartamenti non c'è una donna che possa prendersi cura di lei. — Si chinò a baciare la piccola guancia rosea. — Resta qui con la mia parente Linnell, figlia mia. Marja gli prese la mano e chiese, con voce tremante: — Ora verrò a vivere con te? — Sì — disse Lew con fermezza, e con un gesto invitò Regis e Rafe a lasciare la stanza insieme a lui. Regis disse, in tono d'avvertimento: — Hanno intenzione di servirsi della bambina per deporti... — Sono maledettamente sicuro che tenteranno — disse Lew, cupamente. — Una marionetta docile nelle mani di Hastur... no, non mi riferisco a te, Regis, ma al vecchio, e a Dyan, e al mio caro parente Gabriel... il Consiglio non si è mai fidato troppo degli Alton maschi, vero? Perciò mi esilieranno ad Armida, o in una Torre, e alleveranno la piccola nel modo che riterranno più opportuno. — Era teso in volto; strinse così forte la mano illesa che Regis si rallegrò di non essere l'oggetto della sua collera. — Che ci provino — disse, serrando convulsamente la mano come se stringesse il collo di qualcuno. — Che ci provino, maledizione! È mia... e se credono di potermela togliere di nuovo, ci provino! Regis e Rafe si scambiarono un'occhiata di sollievo e di preoccupazione. Regis aveva sperato che qualcosa potesse strappare Lew alla sua mortale apatia, lo inducesse a provare di nuovo qualcosa per qualcuno. Ora sembrava che fosse accaduto. Bene, avevano cambiato la situazione... ma forse sarebbe avvenuto qualcosa di tremendo, prima che tutto finisse! IL RACCONTO DI LEW ALTON X La giornata stava volgendo al crepuscolo. Guardando la città, potevo vedere le vie che incominciavano a riempirsi delle folle mascherate e ridenti della Sera della Festa. Io avrei dovuto rappresentare il Dominio degli Alton al grande ballo di Castel Comyn; era inevitabile, perché ero quello che ero, e sebbene non avessero fatto una mossa scoperta per depormi come Capo del Dominio, non intendevo offrire loro l'occasione di dire che trascuravo il mio dovere. Ora, tra le altre cose, dovevo dare disposizioni per-
ché Marja avesse le cure adeguate. Andres l'avrebbe difesa con la sua vita, se avesse saputo che era mia figlia, ma una bambina di quell'età aveva bisogno di una donna che la curasse e la vestisse e la lavasse e si assicurasse che aveva giocattoli e compagnia. Regis si era offerto di affidarla a Javanne; lei aveva due figlie gemelle dell'età di Marja. Lo ringraziai, ma rifiutai: Javanne Hastur non aveva mai avuto simpatia per me e suo marito, Gabriel Lanart-Hastur, era uno dei principali pretendenti al Dominio. L'ultima cosa che desideravo era affidare la bambina alla sua custodia. Pensai malinconicamente a Dia. Ero stato troppo precipitoso nello sciogliere il matrimonio. Lei aveva voluto un figlio mio, e anche se quel figlio era morto, forse avrebbe lasciato che questa ne prendesse il posto... ma no: sarebbe stato pretendere troppo, chiederle di amare la figlia di un'altra donna come se fosse sua. Quando pensai a lei, riaffiorarono la vecchia sofferenza e il risentimento. In ogni caso, se fosse stata lì, avrei potuto consultarla sul modo appropriato per allevare una figlia... Mi chiesi che cosa ne avrebbe pensato Callina. E poi ricordai che Callina aveva giurato di sposare Beltran. Dovrà passare sul mio cadavere, giurai silenziosamente. Lasciai Marja con Andres (lui aveva detto che conosceva una brava donna, moglie d'uno degli scudieri di mio padre, che sarebbe venuta a prendersi cura di lei se l'avessi portata ad Armida) e andai in cerca di Callina. Aveva l'aria stanca e stravolta. — La ragazza è sveglia — disse. — Era isterica quando si è svegliata. Ho dovuto darle un sedativo. Si è calmata un po', ma naturalmente non parla la nostra lingua e ha paura, trovandosi in un luogo sconosciuto. Lew, che cosa dobbiamo fare? — Non lo saprò se prima non l'avrò vista. Dov'è? Erano accadute tante cose in quelle ore che avevo quasi completamente dimenticato il piano di Ashara, la donna che era stata trasportata attraverso lo schermo. Era stata trasferita in una stanza spaziosa nell'appartamento degli Aillard; quando entrammo era sdraiata sul letto, con il viso affondato nelle coperte, e sembrava stesse piangendo. Ma quando alzò il viso, non c'era traccia di lacrime. Era ancora il duplicato di Linnell; anche di più, anzi, perché adesso era vestita di abiti che probabilmente provenivano dal guardaroba della mia sorella adottiva. — Vi prego, mi dica la verità — disse con fermezza quando entrai. — Sono impazzita? — Parlava uno dei dialetti che conoscevo bene... naturalmente: avevo conversato a lungo con lei quella notte, su Vainwal, quan-
do mio figlio era nato e morto. E mentre questo pensiero mi passava per la mente vidi il ricordo riflesso sul suo viso. — Ma mi rammento di lei! — gridò. — L'uomo con una mano sola... quello che aveva il... il... l'essere orribilmente deforme... — Il mio viso dovette contrarsi, perché lei s'interruppe. — Dove sono? Perché mi ha sequestrata e portata qui? Dissi, sottovoce: — Non abbia paura. — Ricordavo d'aver detto la stessa cosa a Marja; anche lei aveva avuto paura di me. Ma non potevo rassicurarla con le stesse parole con cui avevo tranquillizzato una bambina di cinque anni. — Mi permetta di presentarmi. Lew-Kennard Montray-Lanart, Z'nar servu... — So chi è — disse lei con fermezza. — Quello che non so è come sono finita qui. Un sole rosso... — Se si calma, le spiegherò tutto — dissi io. — Scusi, non ricordo il suo nome... — Kathie Marshall — disse lei. — Terranan? — Sì, ma so che non siamo sulla Terra, né su Vainwal, — disse, e le tremò la voce. Ma non mostrava paura. Io dissi: — I terranan la chiamano Stella di Cottman. Noi la chiamiamo Darkover. L'abbiamo portata qui perché abbiamo bisogno del suo aiuto... — Deve essere pazzo — disse lei. — Come posso aiutarvi? E se anche potessi, cosa la induce a credere che lo farei, dopo che mi ha sequestrata? Era una domanda sacrosanta, pensai. Cercai di entrare in contatto con la sua mente; se non poteva comprendere la nostra lingua, questo avrebbe almeno potuto assicurarle che non intendevamo farle del male. Callina disse: — Ti abbiamo portata qui perché la tua mente è gemella della mente di mia sorella Linnell... Lei si ritrasse. — Menti gemelle? È ridicolo! Pensi che possa credere a una cosa simile? — Se non lo credi — disse sottovoce Callina, — come mai all'improvviso capisci quello che sto dicendo? — Perché parli terrestre... no! — disse Kathie, e io vidi il terrore riaffiorare nella sua mente. — Che lingua sto parlando? Era logico che, se era il doppio di Linnell, avesse un laran potenziale; almeno, adesso poteva capirci. Callina disse: — Speravamo di poterti convincere ad aiutarci; ma non useremo la coercizione e tanto meno la forza. — Dove sono, dunque?
— A Castel Comyn, a Thendara. — Ma è dall'altra parte della Galassia... — mormorò freneticamente Kathie, e si voltò a guardare oltre la finestra la luce rossa del sole declinante. Strinse la tenda con la mano bianca. — Un sole rosso... — bisbigliò. — Oh, ho incubi come questo, quando non riesco a svegliarmi... — Era così mortalmente pallida che temetti di vederla crollare. Callina la cinse con un braccio, e questa volta Kathie non si svincolò. — Sforzati di crederci, figliola — disse Callina. — Sei qui, su Darkover. Ti abbiamo portata qui noi. — E tu chi sei? — Callina Aillard, Custode del Consiglio dei Comyn. — Ho sentito parlare delle Custodi — disse Kathie. E poi, con voce tremante: — È pazzesco! Non potete prendere una cittadina terrestre e trascinarla dall'altra parte della Galassia! Mio... mio padre metterà sottosopra il pianeta per cercarmi... — Si nascose il volto tra le mani. — Voglio... voglio tornare a casa! Mi rammaricavo che avessi dato l'avvio a quella faccenda. Ricordavo l'aureola fatidica di morte che avevo visto intorno a Linnell... Evanda misericordiosa, era accaduto appena la sera prima? Mi chiesi se questo aveva messo in pericolo Linnell: cosa accadeva quando i duplicati di Cherilly s'incontravano? Non c'era neppure una leggenda che mi guidasse. C'era, sì, una vecchia leggenda delle colline di Kilghard, a proposito di un capo montanaro o di un bandito - a quei tempi doveva essere difficile fare una distinzione - che aveva scovato il suo doppio per poter comandare il suo esercito trovandosi contemporaneamente in due posti diversi; ma non rammentavo altro, e non sapevo cosa fosse accaduto al duplicato, alla fine. Forse il capo bandito aveva lasciato che venisse impiccato per i suoi delitti. E in ogni caso, ero sicuro che avesse fatto una brutta fine. La presenza di quella donna avrebbe messo in pericolo Linnell? C'era una precauzione che potevo prendere; potevo porre una barriera protettiva intorno alla sua mente, perché conservasse un'invulnerabilità, la completa inconsapevolezza delle forze darkovane. Speravo che, toccando la sua mente per darle la conoscenza della lingua, non avessi già violato quell'inconsapevolezza; almeno, potevo fare in modo che non lo facesse nessun altro. In effetti, intendevo porre una barriera intorno alla sua mente, così che ogni tentativo di stabilire un contatto telepatico con Kathie o di dominare la sua mente, venisse immediatamente dirottato verso di me, mediante una specie di circuito inserito nella barriera.
Non aveva senso cercare di spiegare quel che mi proponevo di fare. Avrei dovuto incominciare chiarendo la natura stessa dei Doni del laran e poiché quale esatto duplicato di Linnell lei aveva un laran potenziale, quando avessi terminato di spiegarlo, Kathie avrebbe potuto risultare adattata e vulnerabile alle forze darkovane. Più delicatamente che potei, stabilii il contatto. Fu un istante di sofferenza urlante in ogni nervo: poi cessò e Kathie singhiozzò convulsamente. — Che cos'hai fatto? Ti ho sentito... è stato orribile... ma no, è pazzesco... o forse io sono pazza... cos'è successo? — Perché non hai atteso che avesse capito? — chiese Callina. Ma io avevo fatto ciò che dovevo, e l'avevo fatto subito, perché volevo che Kathie fosse difesa da una barriera prima che qualcuno la vedesse e intuisse. Ma era doloroso vederla piangere: non ero mai riuscito a sopportare le lacrime di Linnell. Callina mi guardò, impotente, mentre cercava di consolarla. — Vattene. Ci penserò io. — E poi, mentre Kathie riprendeva a singhiozzare: — Lew, vattene! M'incollerii. Perché Callina non si fidava di me? M'inchinai dignitosamente e dissi: — Su serva, domna — con il tono più freddo e ironico, le voltai le spalle e uscii. E in quel momento, il momento in cui lasciavo incollerito Callina, feci scattare la trappola su tutti noi. Quando scese l'oscurità, tutte le luci di Castel Comyn si accesero. Una volta ad ogni orbita di Darkover intorno al suo sole, i Comyn, i cittadini di Thendara, i signorotti di montagna che avevano interessi nelle pianure, i consoli di altri mondi e gli ambasciatori e i terrestri venuti dalla Città Commerciale si mescolavano la Sera della Festa, con grande sfoggio di cordialità. Partecipavano tutti coloro che avevano qualche importanza sul pianeta; e la Festa si apriva con un grande ballo nel salone principale. I secoli di tradizione imponevano che fosse un ballo mascherato, perché Comyn e gente comune potessero mescolarsi su un piano di eguaglianza. Per obbedienza alla consuetudine portavo una mezza maschera, ma non avevo cercato di travestirmi, anche se avevo messo la mano meccanica per non mettere in mostra la mia mutilazione. Mio padre, pensai ironicamente, avrebbe approvato. Stavo in un angolo della sala a parlare con due terrestri del Servizio Spaziale: ma non appena potei liberarmi, li lasciai e andai a una delle finestre per guardare le quattro minuscole lune ormai vicine alla
congiunzione. Dietro di me la grande sala sfolgorava di colori e di costumi che rappresentavano ogni angolo di Darkover e gran parte della nostra storia. Derik indossava un elaborato e sgargiante costume delle Ere del Caos, ma non era mascherato: uno dei doveri di un principe è essere visibile per i sudditi. Riconobbi Rafe Scott, con la maschera e la frusta di un duellante kifirgh, e con tanto di guanti armati di artigli. Nell'angolo riservato per tradizione alle ragazze, la maschera stellata di Linnell era una parodia di travestimento. I suoi occhi brillavano di felicità, e tutti la guardavano. Quale comynara era conosciuta da tutti, su Darkover, almeno nei Dominii, ma raramente vedeva qualcuno al di fuori della cerchia ristretta dei cugini e dei pochi amici consentiti a una dama del Dominio di Aillard. Ora, mascherata, poteva parlare anche con gli sconosciuti, e persino ballare con loro, e sembrava quasi sopraffatta dall'emozione. Accanto a lei, egualmente mascherata, vidi Kathie; e mi chiesi se quella era stata un'altra delle idee di Callina. Bene, non c'era nulla di criticabile; con il circuito d'esclusione che avevo inserito nella sua mente era ben protetta; e non c'era un modo migliore per dimostrarle che non era prigioniera bensì ospite onorata. Probabilmente, l'avrebbero scambiata tutti per una nobildonna del clan degli Aillard. Linnell mi accolse ridendo, quando mi avvicinai. — Lew, sto insegnando alla tua cugina terrestre alcuni dei nostri balli. Immagina, non li conosceva! La mia cugina terrestre. Pensai che anche quella doveva essere una trovata di Callina. Del resto, spiegava perché Kathie non parlava perfettamente il darkovano. Kathie disse in tono gentile: — Non ho mai imparato a ballare, Linnell. — No? Ma che cosa hai studiato, allora? Lew, non ballano, sulla Terra? — La danza — dissi in tono asciutto, — è parte integrante di tutte le culture umane. È un'attività collettiva derivata dai movimenti di gruppo degli uccelli e degli antropoidi, e inoltre è un incanalamento sociale del comportamento nuziale di tutti i primati superiori, uomo incluso. Nelle culture quasi umane, come quelle dei chieri, diviene un modello di comportamento estatico affine all'ubriachezza. Sì, ballano sulla Terra, su Megaera, Samarra, Alpha Dieci, Vainwal, in pratica da un capo all'altro della Galassia. Per ulteriori informazioni, in città vi sono corsi di antropologia; io non sono dell'umore più adatto per tenere una conferenza sull'argomento. — Mi rivolsi a Kathie, assumendo un contegno che speravo fosse adatto a un cu-
gino. — Passiamo alla pratica, invece. Mentre ballavo con Kathie, le dissi: — Certo, non puoi sapere che qui la danza è una delle principali materie di studio dei bambini. Io e Linnell imparammo appena fummo capaci di camminare. Io ho avuto soltanto un'istruzione basilare, e poi passai all'addestramento nelle arti marziali. Ma Linnell ha continuato a studiarla. — Mi voltai a guardare affettuosamente Linnell, che stava ballando con Regis Hastur. — Su Vainwal, andai a qualche festa... Le nostre danze sono tanto diverse? Mentre parlavo, studiavo con attenzione la terrestre. Kathie aveva coraggio e intelligenza, notai. Doveva averle, per venire lì dopo lo shock subito, e per recitare la parte che le era stata tacitamente assegnata. E Kathie aveva un'altra qualità rara: sembrava ignorare che la mano che le cingeva la vita non era normale. Non è una cosa comune: persino Linnell le aveva lanciato un'occhiata furtiva. Bene, Kathie lavorava negli ospedali e probabilmente aveva visto anche di peggio. Con apparente incoerenza, Kathie disse: — E Linnell è tua cugina? Tua parente? — È la mia sorella adottiva. È cresciuta nella casa di mio padre. Non siamo parenti, se non per il fatto che tutti i Comyn hanno antenati comuni. — È molto... ecco, è come se fosse veramente la mia gemella. Mi sembra di averla sempre conosciuta. Le ho voluto bene dal primo momento che l'ho vista. Ma Callina mi fa paura. Certo, è stata gentile con me... nessuno avrebbe potuto esserlo di più... ma mi sembra così remota! In un certo senso, non sembra neppure umana. — È una Custode — dissi. — Loro imparano a non mostrare i sentimenti che provano, ecco tutto. — Ma mi domandai se si trattava soltanto di questo. — Ti prego. — Kathie mi toccò il braccio. — Non balliamo più. Su Vainwal me la cavo discretamente, ma qui mi sento impacciata come un'elefantessa. — Con ogni probabilità non hai avuto un allenamento intensivo. — Per me era la cosa più strana della Terra: la noncuranza con cui consideravano l'unico talento che distingue gli umani dai quadrupedi. Su Darkover c'è un detto: Soltanto gli uomini ridono, soltanto gli uomini danzano, soltanto gli uomini piangono. Le donne non sapevano ballare... come potevano essere veramente belle? Mi avviai per riaccompagnare Kathie nell'angolo riservato alle giovani dame; e quando mi voltai, vidi Callina entrare nella sala. E per me la musi-
ca s'interruppe. Ho visto la notte nera dello spazio interstellare, screziata di cento milioni di stelle. Callina appariva così, avvolta in una vaporosa veste che sembrava strappata a quel cielo, con i capelli scuri chiusi in una rete di costellazioni. Sentii, tutto intorno, esclamazioni scandalizzate. — Com'è bella — mormorò Kathie. — Ma che cosa rappresenta il costume? Non ne ho mai visto uno simile... — Non ne ho idea — dissi. Ma mentivo. La vicenda era narrata dalla Ballata di Hastur e Cassilda, la più antica leggenda dei Comyn. Camilla, uccisa dalla spada d'ombra al posto della sorella luminosa, e passata nei regni delle tenebre dominati da Avarra, la Signora Tenebrosa della nascita e della morte... Non capivo perché una donna alla vigilia delle nozze, anche di nozze non gradite, potesse decidere di presentarsi con quella veste. Mi chiesi cosa sarebbe accaduto quando Beltran di Aldaran avesse compreso il significato del gesto. Sarebbe stato difficile ideare un insulto più diretto, a meno che Callina si fosse presentata nelle vesti del pubblico giustiziere! Mi congedai frettolosamente da Kathie e andai incontro a Callina. Pensavo che quel matrimonio fosse una farsa disgustosa, ma lei non aveva il diritto di mettere in imbarazzo la sua famiglia! Merryl, tuttavia, la raggiunse prima di me, e potei ascoltare la parte conclusiva delle sue rimostranze. — Che manifestazione di disprezzo... metterci così in imbarazzo di fronte ai nostri ospiti, quando Beltran ha compiuto un gesto tanto generoso... — Può tenersi la sua generosità, per quanto mi riguarda — disse Callina. — Fratello, non voglio comportarmi in modo menzognero. Questo abito mi piace. È perfettamente intonato al modo in cui sono stata trattata dai Comyn per tutta la mia vita! — La risata di Callina era musicale e amara. — Beltran sopporterebbe ben altri insulti, pur di entrare nel Consiglio dei Comyn! Aspetta e vedrai! — Credi forse che io ballerò con te finché porti que... — Merryl non continuò. Era cremisi per la rabbia. Callina disse: — Fai come preferisci. Io sono disposta a comportarmi in modo civile. Se tu non lo sei, peggio per te. — Si rivolse a me e disse, in tono quasi di comando: — Il Nobile Alton ballerà con me. — Tese le braccia, e io la strinsi. Ma quell'audacia non le somigliava, e mi metteva a disagio. Callina era una Custode; sempre, in pubblico, era stata timida e pudica e discreta. Quella nuova Callina che attirava tutti gli sguardi con un costume sconvolgente, mi sbalordiva. E che cosa avrebbe pensato Linnell?
— Mi dispiace per Linnell — disse Callina. — Ma l'abito piace a me. E... mi sta bene, no? Le stava bene, ma la civetteria con cui mi guardò mi parve scandalosa; era come se una statua dipinta avesse preso vita per flirtare con me. Bene, me l'aveva chiesto... — Sei maledettamente bella — dissi con voce rauca. L'attirai in una nicchia e la baciai, selvaggiamente. — Callina, Callina, non accetterai questa farsa pazzesca, questo matrimonio, non è vero? Per un momento lei restò passiva, sorpresa, poi s'irrigidì e mi scostò, respingendomi freneticamente. — No! No! Lasciai ricadere le braccia e la guardia, mentre il furore mi avvampava lentamente il volto. — Non è così che ti sei comportata questa notte... né poco fa! Che cosa vuoi esattamente, Callina? Lei chinò la testa e disse amaramente, come da una grande distanza: — Che importanza ha quello che io voglio? Chi me l'ha mai chiesto? Sono soltanto una pedina del gioco, da muovere come loro preferiscono! Le presi la mano e lei non la ritrasse. Dissi, concitato: — Callina, non sei obbligata a farlo! Beltran è disarmato, non rappresenta più una minaccia... — Vorresti che venissi meno al giuramento? — Meglio spergiura o morta, anziché sposata con lui — dissi, con collera crescente. — Tu non sai che cos'è Beltran! Callina disse: — Ho dato la mia parola. Io... — Mi guardò, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. — Non puoi risparmiarmi almeno questo? — Hai mai pensato che ci sono cose che tu avresti potuto risparmiare a me? — chiesi. — Così sia, Callina. Auguro a Beltran d'essere felice con la sua sposa! — Le voltai le spalle, ignorando il suo grido soffocato, e mi allontanai. Non so dove pensassi di andare. Dovunque, lontano da lì. Un telepate non si trova mai a suo agio tra la folla. Mi si aprì un varco, tra le coppie che danzavano. Inaspettatamente, una voce disse: — Lew! — E io mi fermai di colpo. Dia mi stava davanti. Portava un morbido abito verde orlato di bianco, con i capelli che le ondeggiavano dolcemente intorno al volto, e non aveva fatto nulla per nascondere le lentiggini dorate che le coprivano le guance. Era rosea e in buona salute... non era la donna pallida, sciupata e isterica che avevo visto per l'ultima volta in ospedale, su Vainwal. Attese un momento poi disse, come aveva detto la prima volta che ci eravamo trovati faccia a faccia: — Non m'inviti a ballare, Dom Lewis?
La fissai battendo le palpebre. Dovevo aver l'aria dello stupido, così a bocca aperta. — Non sapevo che fossi a Thendara! — Perché non dovrei esserci? — ribatté lei. — Mi credi un'invalida? Dove dovrei essere, nella stagione del Consiglio? Eppure non mi hai fatto neppure una visita di cortesia, e non mi hai mandato i fiori, la mattina della Festa! Sei tanto arrabbiato perché ti ho abbandonato? Una coppia volteggiò a mezzo passo da noi, e una sconosciuta esclamò irritata: — Perché occupate la pista da ballo? Se non danzate, almeno non date fastidio a quelli che lo fanno! Presi Dia per il gomito, non troppo gentilmente, e la condussi in un angolo. — Scusami... non sapevo che volessi fiori da me. Non sapevo che fossi a Thendara. — All'improvviso tutta la mia amarezza traboccò. — Non so neppure cosa imponga la cortesia nei confronti d'una moglie che mi ha abbandonato! — Io ti ho abbandonato... — Dia s'interruppe e mi fissò. Mi disse, evidentemente sforzandosi di dominarmi. — Io ho abbandonato... te? Credevo che avessi divorziato perché non potevo darti un figlio sano... — Chi te l'ha detto? — chiesi, stringendole le spalle fino a farla trasalire. La lasciai ma continuai, incalzante: — Ero tornato all'ospedale! E mi dissero che te ne eri andata con i tuoi fratelli... Gradualmente il colore abbandonò il suo viso, e le lentiggini spiccarono scure sulla pelle bianca. Disse: — Lerrys mi caricò sulla nave prima che fossi in grado di camminare... Dovette portarmi in braccio. Mi disse che, come Capo di un Dominio, non potevi sposare una donna che non era capace di darti un Erede... — Che Zandru gli mandi fruste di scorpioni! — imprecai. — È venuto da me, non appena sono arrivato qui... ha minacciato di uccidermi... ha detto che ne avevi passate abbastanza... Dia, giuro che pensavo che fosse questo che volevi... I suoi occhi incominciavano a riempirsi di lacrime. Si morse le labbra; Dia non sopportava di piangere quando qualcuno poteva vederla. Mi tese una mano, poi la ritrasse e disse: — Sono venuta alla Festa... sperando di vederti... e ti ho trovato fra le braccia di Callina! — Mi voltò la schiena e fece per allontanarsi. La trattenni, posandole la mano sulla spalla. — Lerrys ci ha già fatto anche troppo male — dissi. — Dovremo chiarirlo con lui, e subito! È qui, quel maledetto intrigante? — Come osi parlare così di mio fratello? — ribatté Dia, in-
congruamente. — Ha fatto ciò che riteneva meglio per me! Io ero isterica, non volevo rivederti più... — E io mi sono piegato alla tua volontà — dissi, traendo un profondo respiro. — Dia, a che serve tutto questo? Ormai è fatta. Mi sono comportato come credevo volessi tu... — E sono venuta qui per cercarti e scoprire se era questo che tu volevi! — ribatté Dia. — E ti trovo a consolarti con quel ghiacciolo d'una Custode! Spero che ti folgori quando la toccherai... te lo meriteresti! — Non parlare così di Callina... — dissi bruscamente. — È una Custode. Che cosa vuole da mio marito? — Hai fatto capire molto chiaramente che non ero tuo marito... — Allora perché sono stata io, quella che ha ricevuto la notifica di divorzio? Farò la figura della stupida... — Ancora una volta sembrò che fosse sul punto di scoppiare in pianto. La cinsi con un braccio, cercando di confortarla, ma lei si ritrasse irosamente. — Se è questo che vuoi, accomodati! Tu e Callina... Io dissi: — Non essere assurda, Dia! Callina si legherà a Beltran tra pochi minuti! Non sono riuscito a fermarla... — Senza dubbio avrai tentato — ribatté Dia. — Ti ho visto! Sospirai. Dia era decisa a fare una scenata. Pensavo ancora di poter risolvere la faccenda in privato, ma stavo in guardia. Era lei che mi aveva fatto sentire come uno stupido, e non viceversa; e aveva avuto tutto il diritto di lasciarmi dopo le sofferenze che le avevo causato; ma non volevo sentirmi ricordare quella tragedia, mi bruciava ancora troppo. — Dia, non è il momento e neppure il luogo... — Puoi immaginarne uno migliore? — Era furiosa. Non le davo torto. Se Lerrys fosse stato lì, credo che l'avrei ucciso. Dunque lei non mi aveva lasciato di sua volontà, dopotutto. Eppure, mentre guardavo il suo viso incollerito, mi resi conto che non c'era modo di ritornare indietro. Molti ci stavano guardando incuriositi. Non ero sorpreso. Io, almeno io, dovevo irradiare le mie emozioni - che erano di confusione, soprattutto - in tutta la sala da ballo. Dissi: — È meglio che balliamo — e le toccai il braccio. Non era una danza a coppie, per fortuna. Non volevo una simile intimità, ora, lì, dopo tutto ciò che c'era stato tra noi. Mi portai nel cerchio esterno dei cavalieri, e Dia lasciò che Linnell le andasse a fianco e l'attirasse nel cerchio delle dame. Strano, pensai, che Linnell, la mia parente più stretta, non sapesse nulla del nostro breve matrimonio, né del modo disastroso in cui era finito. Dopotutto, non era una storia da confidare a una
giovane donna alla vigilia delle nozze. Vedevo come guardava Derik, mentre gli tendeva la mano. Poi incominciò la musica, e io mi abbandonai, mentre la figura della danza spingeva Dia verso di me, con un inchino cerimonioso, e poi l'allontanava di nuovo. Finalmente, quando il ballo terminò, ci trovammo di nuovo faccia a faccia e c'inchinammo. Vidi Derik prendere il braccio di Linnell, e io rimasi di nuovo solo con Dia. Dissi, in tono cerimonioso: — Posso portarti qualche rinfresco? I suoi occhi brillavano di lacrime. — Devi essere così formale? Per te non è altro che un gioco? Scrollai la testa, le passai la mano sotto il braccio e la guidai verso il buffet. La sua testa mi arrivava appena alla spalla. Avevo dimenticato quant'era piccola e minuta; me la ricordavo più alta. Forse era il suo portamento, fiero e indipendente, o forse era solo perché su Vainwal, come tante donne, aveva portato i tacchi alti, e lì era tornata ai sandali bassi usati dalle dame dei Dominii. Il verdepallido del suo abito faceva brillare i suoi capelli come una massa d'oro rosso. La nostra separazione non deve essere inevitabilmente definitiva. Dia come Dama Alton... e avremmo potuto vivere ad Armida... Per un momento fui sopraffatto da un'ondata di nostalgia per le colline della mia terra, le lunghe ombre al crepuscolo, il sole che calava oltre il filare degli alberi dietro la Grande Casa... Avrei ancora potuto avere tutto questo, avrei potuto averlo insieme a Dia... I lunghi tavoli dei rinfreschi erano carichi di ogni tipo di leccornia che si potesse immaginare. Porsi a Dia una coppa di rosso, dolce succo di frutta; quando l'assaggiai, mi accorsi che era corretto con un liquore forte e incolore perché bastò un bicchiere per darmi le vertigini. Dia mi guardò bere, posò la coppa senza bere e disse: — Non voglio ubriacarmi qui, stanotte. C'è qualcosa... non so che cosa. Ho paura. Presi molto sul serio le sue parole. Gli istinti di Dia erano solidi; e lei apparteneva alla famiglia degli ipersensibili Ridenow. Tuttavia dissi: — Cosa c'è? Solo perché ci sono terrestri e umani di altri mondi qui, questa sera? — C'era Lawton, con molti funzionari del Quartier Generale terrestre, e all'improvviso mi chiesi se Kathie, vedendo le loro uniformi, sarebbe corsa a chiedere protezione, mi avrebbe accusato di averla sequestrata o peggio. Molti terrestri non sapevano nulla della tecnologia delle matrici, e alcuni di loro erano disposti a credere qualunque cosa. Ed ero sicuro che ciò che avevamo fatto io e Callina doveva essere contrario a qualche legge. Dia era leggermente in rapporto mentale con me, e si voltò a dirmi con
una certa asprezza: — Non puoi toglierti Callina dalla mente per un minuto, almeno quando parli con me? Non riuscivo a crederlo: Dia era gelosa? — T'importa, preciosa? — Non dovrebbe importarmi, ma m'importa — disse, alzando il viso verso me, e diventando seria di colpo. — Credo che non m'interesserebbe... se lei ti volesse... ma non mi va di vederti soffrire. Non credo che tu sappia tutto di Callina. — E tu, naturalmente, sai tutto? Dia disse: — Ero io, quella che doveva andare alla Torre dei Comyn, per essere addestrata come... come sostituta di Ashara. Non volevo diventare... una pedina di Ashara. Avevo conosciuto una delle... una delle altre viceCustodi. E perciò feci in modo di... — Esitò, arrossendo un po'. — Feci in modo di squalificarmi. Capivo. Niente imponeva che una Custode fosse vergine, isolata, consacrata e quasi venerata. Per ottime ragioni, le Custodi rimangono caste finché svolgono le loro funzioni in un cerchio: ma non nel vecchio modo superstizioso e ritualistico. C'era stato un tempo in cui una donna come Custode si votava a una vita di alienazione e di castità e d'isolamento. Ma adesso no. Eppure, per qualche ragione, Ashara sceglieva le sue viceCustodi tra le vergini. E il sistema adottato da Dia era utile per sottrarsi a quella condanna. Compresi, all'improvviso, perché Callina mi aveva respinto. Il matrimonio con Beltran sarebbe stato puramente cerimoniale, politico; lei non aveva nessuna ragione di rinunciare al suo ruolo di Custode al posto di Ashara. Avrei dovuto sentirmi lusingato... lei sapeva bene che non avrei accettato quel tipo di separazione. Callina non era indifferente a me; e me lo aveva fatto capire. E per questa ragione non aveva osato lasciare che l'avvicinassi troppo. Era una follia, una follia immensa, amare ciò che era proibito. Eppure il pensiero che lei potesse cadere in potere di Beltran mi spaventava. Lui si sarebbe accontentato davvero di un accordo formale, nel quale avesse il nome di consorte, e nessun altro privilegio? Callina era una bella donna, e Beltran non era insensibile... — Lew, sei lontano da me come se fossi di nuovo su Vainwal — disse irritata Dia, e prese il bicchiere di succo di frutta che le avevo porto. La guardai, chiedendomi che cosa potevo aspettarmi. Ero uno sciocco a pensare, sia pure per un momento, a Callina che mi era proibita, che si era posta al di fuori della mia portata... Custode o no, la moglie di Beltran sareb-
be stata inaccessibile; io ero un Comyn, e avevano conferito anche a lui l'immunità dei Comyn. Questo era un fatto, e non potevo scavalcarlo né aggirarlo. E la situazione con Dia si poneva tra me e qualunque tipo di vita che potevo aspirare a realizzare per me stesso. Riconobbi, con un sussulto d'umiliazione, che non aspettava a me decidere se volevo questa donna o quella: stava a loro, invece, stabilire se mi volevano. Sembrava che non avessi possibilità di scelta; e comunque non ero attraente per nessuna donna. Mutilato, dannato, ossessionato... repressi l'impulso d'autocommiserazione, e alzai gli occhi verso Dia. — Devo andare a ossequiare la mia sorella adottiva; vuoi venire con me? Lei scrollò le spalle, disse: — Perché no? — E mi seguì. Ero assalito da un sordo disagio quasi telepatico. Vidi Callina danzare con Beltran, e distolsi ostinatamente lo sguardo. Se era questo che lei aveva scelto, ebbene, così fosse. Rabbiosamente, mi auguravo che lui cercasse di baciarla. Lerrys, Dyan? Se erano lì, erano in costume, irriconoscibili. Doveva essere presente metà della colonia terrestre, quella sera, e io non l'avrei saputo. Ma Linnell stava ballando con qualcuno che non riconoscevo, e mi voltai verso Merryl Aillard e Derik che conversavano in un angolo. Derik sembrava rosso in viso, e la sua voce era impastata e malferma. — 'Sera, Lew. — Derik, hai visto Regis Hastur? Che costume ha scelto? — Non so — farfugliò Derik. — Io sono Derik e non so altro. Faccio già fatica a ricordarmelo. Prova qualche altra volta. — Bello spettacolo — borbottai. — Derik, vorrei che ricordassi chi sei! Merryl, non puoi portarlo via e farlo ritornare sobrio? Derik, ti rendi conto dello spettacolo che stai offrendo ai terrestri e a tutti i nostri parenti? — Credo... che tu sia insolente — mormorò Derik. — Non è affar tuo quello che faccio... e del resto non sono ubriaco... — Linnell sarà molto fiera di te! — scattai. — Merryl, trascinalo sotto una doccia fredda, per favore. — Linnell è arrabbiata con me. — Derik parlò in tono di profonda autocommiserazione. — Non vuole neppure ballare... — E chi vorrebbe ballare con te? — brontolai, trattenendomi a stento dal prenderlo a calci. Era già abbastanza triste aver bisogno di una Reggenza in tempi come quelli. Ma quando l'erede presuntivo della corona faceva simili figure di fronte a mezza Thendara, era anche peggio. Decisi di andare in cerca di Hastur che aveva molta più autorità di me, e influenza su De-
rik... o almeno me lo auguravo. Merryl aveva influenza, ma non era d'aiuto. Scrutai la folla in costume, cercando Danvan Hastur, o almeno Regis. Forse sarei riuscito a trovare Linnell, che l'avrebbe convinto a lasciare la sala e a farsi passare la sbronza. All'improvviso, un costume attirò il mio sguardo. Avevo visto quegli arlecchini nei vecchi libri, sulla Terra: un costume multicolore, la nera, lugubre maschera a becco, orribile. Non in se stesso, perché il costume era soltanto grottesco... ma creava una sorta di atmosfera... mi dissi che non dovevo abbandonarmi all'immaginazione. — No, non piace neppure a me — disse sottovoce Regis, al mio fianco. — E non mi piace l'atmosfera di questa sala... e di questa notte. Mormorai: — Ho l'impressione di averlo già visto. — Non sapevo che cosa stavo per dire, fino a quando sentii la mia voce: — Sento... sento che sta per scatenarsi l'inferno! Regis annuì, serio. — Hai in parte il Dono degli Aldaran, no? La precognizione... — Vide che Dia era ancora al mio fianco e s'inchinò. — Salve, vai domna. Sei la sorella di Lerrys, non è vero? Io guardai di nuovo l'uomo in costume d'arlecchino. Sentivo che dovevo conoscerlo, che in un certo senso avevo il suo nome sulla punta della lingua. Nel contempo provavo una strana paura tortuosa. Perché non riuscivo a ricordare, a riconoscerlo? Ma prima che potessi sforzarmi, le luci della cupola si spensero. La sala fu inondata dal chiarore delle lune. Vi fu un mormorio sommesso degli ospiti mentre, attraverso la trasparenza della cupola, le quattro lune apparivano, in piena congiunzione, una sopra l'altra: il pallido disco violetto di Liriel, Idriel verde come il mare, lo splendore color pavone di Kyrrdis, e la perla chiara di Mormallor. Sentii un tocco leggero sul braccio; abbassai lo sguardo e vidi Dia. Non è così che avevo immaginato che saremmo tornati a casa insieme... Per un momento non capii se era il suo pensiero o il mio. Moltissime coppie si stavano portando sulla pista per il ballo al chiaro di luna, riservato per tradizione ai fidanzati e agli sposi. Vidi Linnell avvicinarsi a Derik... fosse ubriaco o no, si sentiva obbligata a danzare con lui. All'improvviso non seppi resistere al vecchio legame, alla vecchia attrazione; presi Dia fra le braccia e avanzammo sulla pista. Al di sopra della sua spalla vidi che Regis era solo, in un angolo, freddo e distaccato, nonostante tutte le donne che gli stavano vicine nella speranza che si degnasse di scegliere una di loro. Sentivo Dia, calda fra le mie braccia. Ero questo che avevo sempre de-
siderato? Mi accorsi di risentirmi per quel sorriso che dava per certe troppe cose. Eppure il ritmo della musica mi martellava nel sangue. Avevo dimenticato... il senso d'essere insieme, sintonizzati, vibranti nella stessa musica, come un unico corpo che si muoveva sull'onda di quel suono: e come Dia aveva fatto già un'altra volta, si protese quasi involontariamente, e tra noi si stabilì il contatto mentale, più intimo di ogni vicinanza fisica... una vicinanza che era un esaudimento. Mentre l'ultimo accordo della musica echeggiava nella notte, la strinsi a me e la baciai di slancio. Il silenzio venne come un disincanto. Dia mi scivolò dalle braccia, e mi sentii di nuovo solo, agghiacciato. Le luci, riaccendendosi sotto la cupola, me la mostrarono mentre mi guardava con uno strano sorriso. — Dunque ho avuto questo, da te — disse, sottovoce. — Non è mai stato niente di più, Lew... Solo il fatto che ero una donna, e tu eri solo e... avevi bisogno d'una donna? Non è mai stato niente altro? — Non lo so, Dia. Giuro che non lo so — dissi stancamente. — Non possiamo lasciar stare, per il momento, e discuterne quando... quando non ci sarà metà Thendara a osservarci? Lei disse, inaspettatamente, con aria molto grave: — Non credo che ne avremo il tempo. Ho paura, Lew. C'è qualcosa che non va assolutamente. In superficie è tutto come sempre, ma c'è qualcosa... qualcosa che non dovrebbe esserci, e non so che sia... Dia aveva la sensibilità dei Ridenow; mi fidavo dei suoi istinti. Ma cosa potevo fare? Certamente, lì non poteva accadere nulla; nessuno avrebbe osato colpire qualcuno di noi davanti alla Città e agli ospiti riuniti. Eppure, Regis aveva detto più o meno la stessa cosa, e anch'io mi sentivo inquieto. Mentre mi avviavo tra la folla in cerca di Linnell o di Callina, vidi di nuovo lo sconosciuto in costume d'arlecchino. Chi conoscevo, che fosse così alto e robusto? E perché mi sembrava così strano e familiare? Era troppo alto per essere Lerrys, eppure mi pareva che l'ostilità da lui irradiata verso di me fosse simile a quella che avevo sentito in Lerrys quando mi aveva avvertito di stare alla larga da Dia. (E Dia era al mio fianco. Lerrys avrebbe messo in atto le sue minacce, proprio lì, ora?) Continuai ad avanzare tra la gente. Avevo parlato a Regis, ma avevo dimenticato di dirgli di Derik... avevo avuto troppe cose per la mente; mi pareva di essermi mosso per tutta la serata tra quella folla vociante, e le mie barriere incominciavano a cedere. Non sarei riuscito a sopportare ancora a lungo quella confusione mentale. Alcuni cadetti s'erano raggruppati accan-
to alle lunghe tavole del buffet, e attaccavano con impegno i manicaretti, felici di quel cambiamento rispetto al vitto della caserma. Fra loro riconobbi i due figli di Javanne, Rafael e Gabriel. Immaginai che uno di loro doveva considerarsi ancora mio Erede... Non ho un figlio, non avrò mai un figlio: ma ho una figlia e lotterò per il suo diritto di conservare Armida dopo che io sarò morto... E fui sopraffatto da un senso nauseante di futilità. Ci sarebbe stato ancora qualcosa da conservare, dopo che Beltran avesse preso il suo posto nel Consiglio dei Comyn e ci avesse annientati tutti? Non sarebbe stato meglio portare con me Marja - e Dia, se avesse voluto venire - e ritornare sulla Terra o su Vainwal, o su uno dei mondi ai margini dell'Impero, dove avremmo potuto costruirci una nuova vita? Non sono un lottatore, per temperamento. Posso lottare, se devo, e mio padre aveva fatto del suo meglio, da quando ero stato abbastanza grande per stringere l'impugnatura d'una spada, per assicurarmi che sapessi maneggiarla bene, e io avevo imparato perché non avevo avuto scelta. Ma non mi era mai piaciuto, nonostante i suoi sforzi per farmi eccellere nell'uso delle armi e nel combattimento senz'armi. Maledizione, anche le sue ultime parole erano state di battaglia... le sentivo ancora dentro di me come se venissero pronunciate in quel momento e non nella mia memoria: Ritorna a Darkover, lotta per i diritti di tuo fratello e i tuoi... ... e mi aveva spinto in quell'inferno... — Perché fai quelle smorfie, Lew? — disse Linnell graziosamente, in tono di rimprovero. — Questa dovrebbe essere una festa! Cercai di atteggiare il mio viso a un sorriso socievole. A volte preferirei essere nel nono inferno di Zandru, il più gelido, anziché in una folla dove sono costretto a mostrarmi garbato; era una di quelle occasioni, ma non intendevo guastare la gioia di Linnell. Dissi: — Scusami, la mia brutta faccia è già abbastanza orrenda, credo, senza bisogno di renderla ancora più spiacevole. — Per me non sei affatto brutto, fratello adottivo — disse lei, con l'inflessione che faceva di quell'espressione un termine affettuoso. — Vorrei che il tuo viso non fosse sfregiato solo perché sarei felice se non avessi sofferto tanto. I fiori che mi hai mandato sono bellissimi — soggiunse. — Vedi, ne ho appuntati alcuni al mio abito. Sorrisi, malinconicamente, e dissi: — Devi ringraziare Andres. Li ha scelti lui. Ma ti stanno molto bene. — Pensai che anche Linnell sembrava
un fiore, rosea e luminosa e sorridente. — Ti ho vista danzare con Derik. Spero che tu abbia detto a quello sciagurato di Merryl di portarlo via per farlo ritornare sobrio! — Oh, ma non è ubriaco, Lew — disse Linnell, in tono serio, posandomi la mano sul polso. — È una sfortuna che abbia avuto una delle sue crisi la sera della Festa... A volte diventa così, e quando era più giovane lo mettevano a letto e lo tenevano nascosto... non beve affatto, perché starebbe molto peggio. Non tocca neppure il vino a cena. Mi sono arrabbiata con lui perché ha bevuto un bicchiere di succo di frutta corretto con firi fortissimo, e non ha voluto offendere Merryl rifiutandolo... — È stato un brutto tiro: anch'io ne ho assaggiato un po' — dissi. — Mi chiedo chi è stato ad aggiungere il firi, perché Derik lo bevesse. — Avevo qualche sospetto. Lerrys, per esempio, sarebbe stato ben lieto di vedere il nostro re presuntivo fare una figura anche peggiore del solito. — Oh, senza dubbio è stato un incidente, Lew — disse Linnell, scandalizzata. — Nessuno farebbe di proposito una cosa simile, ti pare? Il sapore è ottimo, e non mi sono quasi accorta che fosse stato aggiunto qualcosa. Io avrei potuto berne facilmente più di un bicchiere, e naturalmente il povero Derik non è abbastanza esperto in fatto di bevande per capire se qualcosa che sapeva di frutta poteva farlo stare tanto peggio... Dunque qualcuno che aveva interesse a dimostrare che Derik era del tutto incompetente e incapace gli aveva fatto trangugiare una bevanda dal sapore innocuo che mettesse in risalto le sue lacune e lo rendesse più confuso e stordito che mai. Merryl? Merryl doveva essere suo amico. Lerrys? Sarebbe stato capace di fare qualunque cosa per buttarci tra le braccia dell'Impero terrestre, e aveva una mentalità così tortuosa che avrebbe apprezzato uno sporco scherzo del genere. Mi chiedevo come mai, nella famiglia dei Ridenow, potesse esserci una persona onesta e franca come Dia. Dissi: — Bene, sembrava certamente ubriaco, e temo che la maggior parte della gente lo abbia creduto! — Quando saremo sposati — disse Linnell, con un sorriso gentile, — farò in modo che nessuno lo induca a fare certe cose. Derik non è poi tanto sciocco, Lew. No, non è un genio, certo, avrà sempre bisogno di qualcuno come Regis o come te, Lew, che lo guidi nelle questioni politiche. Ma si rende conto di non essere troppo brillante, e si lascerà guidare. E io mi assicurerò che a guidarlo non sia Merryl. Linnell aveva l'aspetto di una fragile ragazza in fiore, ma aveva molto senso pratico. Dissi: — È un peccato che non sia tu il Capo del Dominio,
sorella. Non sarebbero mai riusciti a darti in moglie a Beltran. — Mi voltai e vidi Kathie che stava ballando con Rafe Scott, e mi augurai che avesse abbastanza buon senso per non dirgli nulla. E più lontano c'era l'arlecchino che mi aveva ispirato tanta inquietudine... maledizione, chi era? — Lew, chi è Kathie, in realtà? Quando le sono vicina mi sento terribilmente strana. Non è il fatto che mi somiglia... mi sembra che sia una parte di me; so quello che sta per fare, sempre... adesso, per esempio so che sta per voltarsi... ecco, vedi? E sta venendo da questa parte... e poi sento, ed è quasi una sofferenza, l'impulso di toccarla e abbracciarla. Non riesco a starle lontana. Ma quando la tocco devo ritrarmi, non lo sopporto... — Linnell si torceva nervosamente le mani, sul punto di scoppiare in lacrime isteriche d'ilarità, e Linnell non era il tipo che si agitava per una sciocchezza. Se questo influiva tanto su di lei, era una faccenda seria. Che cosa succedeva, mi chiesi, quando i duplicati di Cherilly si trovavano faccia a faccia? Bene, stavo per vederlo. Quando Kathie finì il ballo, si avviò verso Linnell, e quasi senza l'intervento della volontà Linnell incominciò a muoversi nella sua direzione. Kathie stava giocando qualche malizioso scherzo mentale alla mia cuginetta? Ma no, Kathie non sapeva nulla dei poteri darkovani, e anche se aveva il potenziale del laran niente poteva superare il blocco che avevo posto intorno alla sua mente. Linnell toccò la mano di Kathie, quasi timidamente; e Kathie le passò un braccio intorno alla vita. Per qualche istante camminarono allacciate e poi, con un improvviso movimento nervoso, Linnell si liberò e mi raggiunse. — Ecco Callina — disse. La Custode, altera nelle vesti stellate, si stava facendo largo tra i ballerini in cerca di nuovi compagni, e si avviava verso i tavoli dei rinfreschi. — Dove sei stata, Callina? — chiese Linnell. Guardò l'abito con perplessità addolorata, ma Callina non tentò di spiegare, di giustificarsi. Cercai di contattare la sua mente, ma sentii soltanto la strana, fredda presenza che avevo sentito un paio di volte accanto a lei, una porta chiusa e sbarrata, gelida e sorvegliata. — Oh, Derik mi ha presa in disparte per raccontarmi una lunga storia. È ubriaco... mi sembra mi avessi detto che non beve mai, Linnie. Non è riuscito ad arrivare in fondo al racconto; il vino ha avuto la meglio. Mi auguro che non cada mai in mano a un nemico peggiore. Ho ordinato a Merryl di cercare il suo valletto e di farlo portare nelle sue stanze, quindi dovrai trovare qualcun altro per il ballo di mezzanotte, cara. — Callina si guardò
intorno, indifferente. — Immagino che io ballerò con Beltran. Hastur mi sta facendo cenno. Probabilmente intende incominciare ora la cerimonia. — Allora devo venire con te? Con la stessa gelida indifferenza Callina disse: — Non voglio conferire a questa farsa la dignità di un matrimonio, Linnie. E non vi trascinerò nessuno dei miei parenti... perché credi abbia fatto in modo che Merryl non sia qui? — Oh, Callina... — disse Linnell, tendendole le braccia, ma la Custode si scostò, lasciandola frastornata e ferita. — Non commiserarmi, Linnie — disse con voce tesa. — Non... non voglio. — Ero sicuro che avesse inteso dire «Non lo sopporto». Non so che cosa avrei detto o fatto in quel momento se si fosse rivolta a me; ma si allontanò, con gli occhi cupi di ghiaccio azzurro, come quelli di Ashara. Amareggiato e impotente, la guardai passare tra la folla, in quell'abito che era un presagio di morte, di sciagura, di ombra. Avrei dovuto intuire tutto, allora, quando ci lasciò senza una parola o un gesto, silenziosa e remota come Ashara, isola silenziosa della propria tragedia che ci escludeva tutti. Guardai Beltran, a fianco di Hastur, farsi avanti per accoglierla, e vidi che lei gli concedeva solo un inchino cerimonioso e non un abbraccio. Restai in ascolto mentre i bracciali venivano messi ai loro polsi. — Separati nella carne, non siatelo mai nello spirito; siate una cosa sola, per sempre — disse Hastur. E in tutta la sala, le mogli si volsero verso i mariti, le innamorate verso gli innamorati, per scambiarsi il bacio di rito. Callina era la consorte di Beltran, il matrimonio era una cosa ufficiale dal momento in cui Hastur aveva lasciato la sua mano. Non mi voltai per vedere se Dia era accanto a me. La verità è che, in quel momento, avevo dimenticato la sua esistenza, tutto preso dall'angoscia di Callina. Il primo ballo dopo una cerimonia nuziale era sempre, per tradizione, un ballo per coppie di sposi o fidanzati. Callina, con il privilegio della sposa, condusse Beltran sulla pista: ma si mossero toccandosi appena con le punte delle dita. Vidi Javanne e Gabriel danzare sorridendo; il Reggente s'inchinò a un'anziana vedova, una delle lontane parenti di Callina, e incominciò i movimenti misurati della danza. — Regis — disse gaiamente Linnell, — hai intenzione di deludere di nuovo, questa sera, tutte le donne nubili dei Domimi? — Meglio deluderle ora che più tardi, parente — disse Regis ricambiando il sorriso. — E vedo che neppure tu balli... dov'è il nostro regale cugi-
no? — Sta poco bene... qualcuno gli ha fatto bere una bevanda troppo alcolica — disse Linnell. — E Merryl l'ha portato via, quindi non ho un parente né un innamorato che balli con me questa sera... a meno che voglia farlo tu, Lew. Sei mio fratello molto più di quanto lo sia mai stato Merryl — soggiunse, con un tono d'irritazione. — Perdonami, Linnell, ma preferirei di no — risposi. Mi chiesi se ero ancora un po' ubriaco; mi sentivo a disagio, quasi nauseato. Era soltanto l'irrequietezza generale di un telepate circondato da una folla numerosa? — Guarda, persino Dyan sta ballando con la vedova del vecchio maestro d'armi — disse Linnell. — E Dia con Lerrys... Guarda, non è un ballerino straordinario? — Seguii il suo sguardo e vidi fratello e sorella che danzavano, stretti quasi come due innamorati, e per un momento provai l'impulso di precipitarmi tempestosamente a ricordare a Lerrys che Dia era mia... eppure ero incapace di muovermi. Se avessi cercato di ballare sarei sicuramente caduto, ma avevo bevuto solo pochi sorsi di quel succo di frutta fortemente addizionato all'alcol. Regis s'inchinò a Linnell. — Ballerò con te al posto di Derik, cugina, se accetti. A quanto sembra, sono l'erede di Derik... che il suo regno sia lungo — soggiunse, con un sorriso ironico. — No, preferisco di no — disse Linnell, posandogli la mano sul braccio. — Ma resta a parlare con me per questo ballo... Lew, conosci l'uomo in costume d'arlecchino? Chi è la donna con lui? Per un momento non vidi l'arlecchino che avevo notato prima; poi lo scorsi. Stava ballando con una donna alta, dai capelli di rame scuro, meravigliosi riccioli folti che le scendevano sulla schiena. Il movimento volteggiante della danza li fece girare all'improvviso verso di me e - sebbene la donna fosse mascherata - di colpo la riconobbi, li riconobbi entrambi. Thyra! Nessuna maschera avrebbe potuto nascondermela... per un momento mi parve che la matrice appesa alla mia gola bruciasse del fuoco di Sharra. Rimasi sconvolto, incapace di muovermi, guardando il mio nemico giurato e chiedendomi con disperata inquietudine che cosa li aveva condotti lì, nel cuore di Thendara, quando sulla testa di Kadarin c'erano una taglia e la condanna a morte pronunciata tanto dai terrestri quanto dai Comyn! Strinsi il pugnale alla cintura, con la mano indenne, augurandomi di non essermi appesantito con quella artificiale. Kadarin e Thyra che danzavano audacemente, al ballo mascherato dei Comyn... Ma adesso, alla conclusione di quel ballo, tutti si sarebbero tolti la ma-
schera. Mi strappai la mia con la mano meccanica, e con l'altra strinsi saldamente il pugnale. Kadarin pensava che non lo avrei assalito perché eravamo al ballo? Vidi che anche Regis l'aveva riconosciuto. Mossi un passo e Regis mi afferrò il braccio. — Fermo, Lew — mormorò. — È quello che vuole lui: che ti avventi senza riflettere... All'improvviso, la matrice alla gola si animò di fiamma, e una voce mormorò, chiamò nella mia mente. ... Sono qui! Sono qui... tutta la rabbia, tutta la furia della bramosia frustrata, scatenate contro di loro per servire me e bruciare, bruciare... Sharra! La voce di Sharra che bisbigliava nella mia mente come uno spettro frenetico, la furia di tutta la mia frustrazione che erompeva per tradirmi... gli occhi di Thyra che bruciavano fissando i miei, la fiamma rossa dei suoi capelli che sembrava alonarla ardendo! E all'improvviso divampò, e Thyra parve diventare più alta, torreggiare sopra di noi nel salone, e vidi la mano di Kadarin, la mano lunga e affusolata da chieri, scattare e sguainare la spada, quella spada... Mi chiamava. L'avevo trascinata controvoglia attraverso mezza Galassia perché non potevo abbandonarla, e adesso mi chiamava, mi chiamava... quasi inconsapevole, riposi il pugnale nel fodero. Il mio posto era a fianco di Kadarin, per prestare la mia forza alla Dea, riversare tutta la mia rabbia e la frustrazione e il terrore attraverso quell'arma... Mi portai la mano sulla gola, sulla matrice. Vidi una donna di cui non ricordavo il nome che mi fissava spalancando gli occhi azzurri... la sentii bisbigliare un nome che associavo più con me stesso, ma lei non era niente per me. E un giovane con la faccia d'un nemico mortale... Hastur, era Hastur... il mortale nemico, il primo da colpire! Sentii la sua mano stringermi il braccio e lo respinsi con una strana forza, e lui piegò le ginocchia e si accasciò sul pavimento; e intanto quel miscuglio di odio e di paura, d'amore e di ribrezzo, martellava nella mia mente... Mossi un passo e poi un altro, verso la Dea che fiammeggiava altissima. Devo ritornare... ritornare a Sharra, ritornare all'immortale che si levò in fiamma sopra di me, per sempre, bruciarmi nel fuoco purificatore... lei era là, Marjorie, e mi chiamava dalle fiamme di Sharra, con quegli occhi d'ambra, la cascata di capelli rossi che sprizzavano scintille e fiamme e l'odore di bruciato, come io bruciavo di desiderio e di terrore per lei... Colui che conoscevo come mio nemico mortale adesso mi stringeva con
entrambe le mani mentre lottavo per avanzare, passo passo, fra le grida della folla, verso Sharra che ardeva... — No, maledizione, Lew! — ansimò lui. — Non andrai, dovessi ucciderti per impedirlo... — E mi colpì con il pugnale, tracciando una linea di sangue sul mio braccio illeso. Il dolore mi fece vacillare e ritornare un po' in me, e compresi cosa stava accadendo. — Regis... aiutami — mormorò la mia voce. — La tua matrice! Lasciami... — Prima che potessi trattenerlo, sguainò il pugnale, tagliò il cordone che reggeva la mia matrice; mi tesi, attendendomi una sofferenza insopportabile... una volta Kadarin me l'aveva strappata ed ero caduto in convulsioni... ma anche attraverso il sacchetto di cuoio e le sete, sentii il contatto... La forma di Sharra tremolò, rimpicciolì... non sapevo cosa stesse facendo Regis, ma filo a filo sembrava che il richiamo dominatore di Sharra si distaccasse dalla mia mente. Sentivo ancora la voce sommessa e insidiosa che bisbigliava nei miei pensieri... Ritorna a me, vendicati di tutti coloro che ti hanno disprezzato. .. ritorna, ritorna... ...a Darkover e lotta per i diritti di tuo fratello e i tuoi... ma adesso era la voce di mio padre; non avevo mai pensato che sarei stato lieto di udire quella voce ossessiva nella mia mente, ma ora mi richiamava interamente a me stesso, come un tuffo in un ruscello gelido. Poi anche la voce si acquietò, e rimasi a guardare Kadarin e Thyra, che stavano vicini. La spada di Sharra era stretta nella mano di Kadarin, e i capelli di Thyra erano ancora agitati dalle ultime scintille della fiamma morente. Gabriel si staccò da Javanne; fece un passo verso Kadarin, con la spada in mano. Forse vedeva soltanto la presenza di un ricercato; non seppi mai se la Forma di Fuoco era stata reale, se qualcun altro l'avesse vista oltre a me. Kadarin si voltò di scatto, spingendo Thyra davanti a sé, mentre Gabriel chiamava a gran voce la guardia e i giovani cadetti incominciavano ad accorrere da ogni parte del salone. Sguainai di nuovo il pugnale e mi lanciai a mia volta verso Kadarin... e poi mi fermai, paralizzato. L'aria sembrava piena di una fredda luce scintillante. Kadarin e Thyra erano immobili, e vidi Kathie presa in mezzo a loro. Non la toccavano fisicamente: ma qualcosa la squassò come la stretta di un mostro unghiuto, la gettò in disparte e afferrò Linnell. Linnell era in loro potere come fosse legata mani e piedi. Urlò. Credo, ma l'idea stessa del suono era morta nell'oscurità che si addensava intorno a Kadarin e Thyra. Linnell vacillò, sollevata orrendamente nell'aria, poi cadde e piombò di
schianto sul pavimento, come se qualcosa l'avesse scrollata e buttata giù. Mi lanciai verso di lei, lottando, urlando imprecazioni, ma non riuscivo a muovermi, non riuscivo neppure a vedere. Kathie si gettò accanto a Linnell. Credo fosse l'unica persona nella sala in grado di muoversi liberamente. Quando sollevò Linnell tra le braccia vidi che il volto torturato era disteso, libero dall'orrore; per un momento Linnell restò immobile, serena, poi si dibatté in uno spasimo convulso e ricadde, fragile e inerte, con la testa abbandonata sul petto della gemella. E sopra di lei la mostruosa Forma di Fuoco crebbe di nuovo per un momento, e dal centro sfolgorarono le facce di Kadarin e di Tyra... poi tutto turbinò e per un momento la fredda maschera dannabile che avevo visto nella Torre di Ashara sfolgorò e aleggiò davanti ai miei occhi... ... e poi scomparve. Solo un lieve fremito nell'aria, e anche Kadarin e Thyra sparirono; le luci si riaccesero e sentii Kathie urlare, udii le grida della folla e mi feci furiosamente largo a gomitate. Linnell era morta. Lo compresi prima ancora di mettere la mano sulla mano di Kathie nel vano tentativo di sentire una pulsazione di vita. Giaceva pateticamente abbandonata sulle ginocchia di Kathie. Dietro di lei, i pannelli anneriti e carbonizzati mostravano dove era svanita la distorsione, dov'erano scomparsi Kadarin e Thyra. Callina si fece largo tra la folla e si chinò su Linnell. Intorno a me sentii le voci della gente smorzarsi. Gabriel mandò fuori le guardie, in un tentativo che sapevo inutile... Kadarin non era uscito dal Castello in un modo normale, e non sarebbe servito a nulla cercarlo, anche se il Legato terrestre avesse messo a disposizione le sue forze per dare la caccia all'uomo ricercato da entrambi. Gli altri si stringevano intorno a noi, sentivo quel tremendo brusio d'orrore e di curiosità che scorre tra la folla quando colpisce una sciagura. Hastur disse qualcosa, e gli invitati incominciarono a lasciare la sala in silenzio. È la prima volta in centinaia d'anni, pensai, che questa Festa viene interrotta. Regis era ancora immobile come una delle colonne del Castello, pallido in viso, e stringeva ancora la matrice. Il Dono degli Hastur. Non sapevamo cosa fosse, ma ora avevamo visto per la seconda volta il suo potere. Callina non aveva versato una lacrima. Era appoggiata al mio braccio, così stordita dallo shock che non c'era neppure angoscia nei suoi occhi: sembrava intontita. La mia preoccupazione principale, adesso, era portarla lontana dalla curiosità della folla che ancora restava. Era strano che non pensassi neppure per un istante a Beltran, sebbene lei portasse al polso il braccialetto nuziale.
Callina mosse le labbra. — Dunque era questo che intendeva Ashara... — mormorò. Si accasciò svenuta tra le mie braccia. LIBRO TERZO IL DONO DEGLI HASTUR I Dopo che Lew ebbe portato Callina fuori dalla sala da ballo, il primo pensiero di Regis Hstur fu per suo nonno. Si affrettò verso l'angolo dove aveva visto per l'ultima volta il Nobile Hastur che osservava i ballerini: lo trovò pallido e sconvolto, ma illeso. — Linnell è morta... — disse Regis, e Danvan Hastur si portò la mano sul cuore. Disse, ansimando: — E il principe? — Cercò di alzarsi ma ricadde, e Regis disse: — Resta qui, mio signore... Ci penso io... — Fece un cenno a Danilo che arrivò correndo. — Resta qui — disse. — Proteggi il Nobile Hastur... Danilo aprì la bocca per protestare ma non lo fece. Disse: — A veis ordenes... — E Regis si fece largo tra la folla, notando Gabriel che si avvicinava a Beltran, il quale era rimasto immobile, a bocca aperta. — Nobile Aldaran — disse Gabriel Lanart-Hastur, — consegnami la spada, ti prego. — Io? Non ho fatto niente... — Comunque — disse Gabriel, con calma, — un tempo eri tra coloro che hanno cercato di portare Sharra tra noi. La tua spada, mio signore. — Cinque o sei guardie, con le armi sguainate, si avvicinarono, e Beltran trasse un lungo respiro, le fissò una dopo l'altra, calcolando evidentemente le possibilità, poi alzò le spalle e consegnò la spada a Gabriel. — Conducetelo negli appartamenti degli Aldaran — disse Gabriel, — e assicuratevi che non li lasci per nessuna ragione e per nessun pretesto prima che il Reggente abbia parlato con lui e abbia accertato la sua innocenza. E assicuratevi che non riceva... — Gabriel esitò. — ... visitatori non autorizzati. Il Principe. Devo vedere cos'è accaduto a Derik. Anche se non era nella sala da ballo, se i suoi schermi erano abbassati... in nome di tutti gli Dei, dove l'ha portato Merryl? Regis salì in fretta le scale, corse per le lunghe gallerie. Nell'apparta-
mento degli Elhalyn le luci erano accese, e sentì un lamento acuto. Comprese, in quel momento, di essere arrivato troppo tardi. Nella sala principale, Derik giaceva di traverso su un divano. Merryl gli stava buttato sopra come se, all'ultimo momento, avesse cercato di fargli scudo con il suo corpo contro una minaccia invisibile. Singhiozzava, ma Derik era immobile. Il gemito era quello di una vecchia che era stata la bambinaia di Derik e che si era sempre presa cura di lui. Addolorato, Regis guardò il corpo inerte del giovane. Merryl si alzò, cercando di trattenere le lacrime, e disse: — Non so... all'improvviso ha urlato come se cercasse di scacciare qualcosa, ed è caduto... — Sei stato tu, Merryl, che hai pensato fosse divertente far ubriacare il principe, questa sera? — Ubriacarlo? — Merryl alzò la testa, sbalordito. — Non era ubriaco... non ha bevuto altro che un succo misto di frutta, così dolce che non sono riuscito ad assaggiarlo! Non era... — poi la comprensione gli balenò sul volto. Sgranò gli occhi, incominciando a rendersi conto della verità. — Ecco perch... Dom Regis, qualcuno ha aggiunto alcol alla bevanda, per dispetto? — È stato un dispetto più grave di quanto immaginassero — disse cupamente Regis, chiedendosi ancora una volta chi poteva aver giocato quello scherzo crudele. Lerrys, forse, nella speranza che Derik si rendesse ridicolo davanti al Comyn e agli invitati terrestri... per sottolineare che il Dominio degli Elhalyn era nelle mani di un incapace? Se era così, aveva esagerato e commesso un omicidio. Non che Lerrys si sarebbe sporcato le mani personalmente, ma sarebbe stato facile corrompere qualcuno delle dozzine e dozzine di servitori. — Se gli schermi di Derik fossero stati quasi normali, avrebbe lottato, e forse avrebbe vinto, come abbiamo fatto io e Lew... Merryl stava piangendo senza ritegno. Regis aveva sempre creduto che fosse stato intorno al principe per interesse; ma ora si rendeva conto che aveva provato per lui un affetto sincero. E Regis doveva dargli un'altra tristissima notizia. — Purtroppo devo dirtelo... anche Linnell è morta. — La piccola Linnie? — Merryl si asciugò gli occhi, stordito e angosciato. — Non mi sembra possibile. Erano tutti e due così felici, questa sera... cos'è successo, Regis? Regis si accorse che quasi non riusciva a pronunciare il nome. — Il Ca-
stello è stato invaso. Qualcuno ha tentato di evocare... — Con uno sforzo disse il nome, in un mormorio d'orrore; la Forma di Fuoco era troppo vivida nella sua mente. — Sharra. Merryl disse, con voce dura e velenosa: — Questa è opera del bastardo Alton! Lo ucciderò, giuro! — No — disse Regis. — Gli... invasori... Kadarin e i suoi... hanno cercato di riattirare Lew, e lui ha lottato ed è stato... ferito. — Ricordava il sangue che scorreva dal braccio di Lew dalla ferita che lui gli aveva inferto; ma non aveva rimorsi. Era stato necessario perché Lew ritornasse in sé, ritrovasse le forze per resistere a Sharra. Sembra che io abbia un certo potere sulla Forma di Fuoco. Ma senza Lew non potrei fare nulla. — Merryl, devo andare ad annunciare a mio nonno la morte del Principe Derik. Ormai non puoi più fare nulla per lui, ragazzo — soggiunse pietosamente, e non gli sembrò strano chiamare «ragazzo» Merryl, sebbene avesse solo un anno o due meno di lui. — Dovresti andare dalle tue sorelle... — Non sono il Capo del Dominio — disse Merryl. — Non sapranno che farsene di me... — Uno sgomento reverente gli passò sul viso. S'inginocchiò. — Il Principe Derik è morto. Che il tuo regno sia lungo, Principe Regis di Hastur e di Elhalyn! — Per gli inferni di Zandru! — mormorò Regis. Era accaduto tutto così in fretta che neppure se ne era reso conto: ciò che aveva sempre temuto gli era piombato addosso. Derik era morto giovane e senza figli, e lui, Regis, era il più vicino al trono. Tutte le implicazioni gli tolsero la parola; adesso era superiore di rango persino a suo nonno, perché ormai non c'era motivo per una Reggenza. Io sono il Signore dei Comyn. Io, Regis Hastur. Si coprì la faccia con le mani. Era troppo, troppo per accettarlo, e all'improvviso si accorgeva che la battaglia contro Sharra l'aveva lasciato svuotato ed esausto, assai più di quanto avesse immaginato. Temette di crollare; le ginocchia non lo reggevano. E non sono ancora abituato al laran che ho usato questa notte. L'ho usato per liberare Lew da Sharra, senza sapere come o perché. Signore della Luce! Come finirà tutto questo? Disse, incerto, cercando le parole: — Vai... vai in cerca del Nobile Hastur, Merryl. Devo informarlo della morte di Derik... — E una parte del suo essere gli suggeriva di nascondersi, di fuggire come un bambino, perché appena suo nonno l'avesse saputo il processo sarebbe stato inesorabile,
l'avrebbe travolto e stritolato come una delle grandi macchine per il movimento terra che aveva visto nello spazioporto terrestre. Io dovrò regnare sui Comyn? — Lascia che lo copra, prima — disse Merryl. Guardò di nuovo il corpo del principe, lo baciò sulla fronte, poi si tolse il mantello e lo stese delicatamente su Derik, coprendogli la faccia, e glielo rimboccò intorno come fosse un bambino addormentato. Disse con voce malferma: — Derik era molto migliore di quanto tanti immaginassero — e Regis pensò che poteva essere un epitaffio apprezzabile. Quanti morti! Signore della Luce, quando finirà? Marius Alton. Linnell. Derik. Sharra ci colpirà ancora, distruggerà ciò che resta dei Comyn? Merryl disse: — Ai tuoi ordini, mio principe — e uscì. Quando il sole rosso sorse su Castel Comyn, il mattino dopo la Festa, Derik e Linnell giacevano fianco a fianco nella Cappella, uniti nella morte come nella vita. Danvan Hastur aveva fissato ai loro polsi i braccialetti nuziali di rame, le catenas che avrebbero portato tra pochi giorni, se fossero vissuti. Regis provava un senso di pena profonda: erano entrambi così giovani, e sarebbero stati Re e Regina dei Comyn. Sarebbe stato più giusto dare a Derik la corona che gli era stata negata tanto a lungo. Non lo voglio. Ma nessuno mi ha mai chiesto che cosa voglio. La morte di Derik e l'ascesa di Regis al trono erano state annunciate in Thendara, ma l'incoronazione non sarebbe avvenuta ancora per qualche tempo, e Regis se ne rallegrava. Aveva bisogno di una pausa per assimilare ciò che era accaduto. Io sono il Signore dei Comyn... qualunque cosa possa significare in questi giorni di distruzione! — Devi nominare i Consiglieri — gli aveva detto suo nonno; era stata quasi la prima cosa che aveva detto, e il primo pensiero di Regis era stato: Vorrei che fosse vivo Kennard. Danvan Hastur non era un telepate potente, ma questo l'aveva captato. Disse gentilmente: — Anch'io, figliolo, ma dobbiamo fare a meno di lui. L'uomo più forte dei Comyn è il Nobile Ardais, ed è sempre stato tuo amico; era tuo maestro dei cadetti nelle Guardie. Se sei saggio, farai in modo che venga nominato fra i tuoi primi consiglieri. Sì, pensò Regis, credo che Dyan sia mio amico. Almeno, preferirei averlo come amico che come nemico. Lo disse a Danilo quando rimasero soli, e soggiunse: — Spero che non ti dispiacerà... essere scudiero d'un principe, Dani.
Dieci giorni prima Danilo avrebbe reagito con una battuta impertinente. Questa volta guardò Regis con aria seria e disse: — Sai che farò tutto quello che posso per te. Vorrei soltanto che non fosse accaduto. So che tu non lo volevi. — Ho chiesto a mio nonno di occuparsi dei funerali di stato per Derik e... e Linnell — disse tristemente Regis. — Il mio compito è pensare ai vivi. Non credo che Gabriel e i suoi uomini siano riusciti a trovare Kadarin... e neppure le Forze Spaziali, immagino. — No. Ma ci sono disordini in città, Regis, perché le Forze Spaziali sono entrate nel settore darkovano per cercarlo — disse Danilo. — Se non ordinerai loro di andarsene, ci sarà una guerra civile. — La cosa più importante è trovare Kadarin — ribatté Regis, ma Danilo scrollò la testa. — La cosa più importante, Regis, ora è la pace in Thendara, e lo sai anche tu. Di' a Lawton di richiamare i suoi segugi, altrimenti Gabriel non riuscirà a tenere a freno le Guardie. Se hanno reso Thendara troppo scottante per trattenere Kadarin per qualche decade, tanto meglio... se non riuscirà a mettere il naso sulla piazza del mercato senza che una guardia o un uomo delle Forze Spaziali lo catturi, allora non dobbiamo preoccuparci di lui. Ma dobbiamo fare uscire i terrestri dalla Città Vecchia, altrimenti, ti dico, sarà la guerra! Regis disse con un sospiro: — Mi sembra che dovremmo essere in grado di collaborare, fra terrestri e darkovani, contro un comune nemico, come facemmo con la febbre dei battitori l'ultima volta che ci fu un'epidemia. Pochi uomini delle Forze Spaziali che cercano un criminale in Thendara non fanno male a nessuno... — Ma sono lì — ribatté Danilo. — E il popolo di Thendara non li vuole! Regis pensava ancora che in quel momento la cosa più importante fosse catturare Kadarin ed eliminare il pericolo che cercasse di scatenare di nuovo Sharra. Tuttavia sapeva che Danilo stava dicendo la verità. — Immagino che dovrei rivolgere una richiesta personale al Legato — disse stancamente. — Ma devo restare qui a rimettere le cose a posto fra i Comyn. Mio nonno... — Ma sapeva che Danilo comprendeva le parole che lui non sapeva decidersi a pronunciare. Mio nonno è invecchiato di colpo. Ho sempre saputo che era vecchissimo, ma fino alla Sera della Festa non aveva mai dimostrato la sua età. — Forse — disse sottovoce Danilo, — ha portato questo fardello per tanti anni perché sapeva che Derik non avrebbe saputo regnare al suo posto se avesse abbandonato la Reggenza... ma ora è certo che tu potrai difende-
re i Comyn. Regis chinò la testa, come se quel nuovo peso gravasse fisicamente su di lui. Ho sempre saputo che sarebbe venuto questo giorno; ho desiderato che mio nonno non mi trattasse come un bambino; e ora che non le fa più, ho paura di essere un uomo adulto, responsabile per me stesso e per gli altri. La decisione spettava a lui, ora. Disse: — Invia un messaggio al Legato, chiedendogli come favore personale per me - sottolinealo, Dani, un favore personale per me - di ritirare gli uomini delle Forze Spaziali dalla Città Vecchia, e di trattenerli nella Città Commerciale. O meglio, scrivi il messaggio e io lo firmerò, e lo farò inviare con la scorta più prestigiosa che riuscirai a trovare. Con un sorriso incerto, Danilo disse: — Non avevamo mai pensato che si sarebbe arrivati a questo, quando eravamo insieme a Nevarsin e io imparavo a scrivere una lettera meglio di te. Ora potrai tenermi vicino come tuo segretario privato. Regis sapeva ciò che Danilo stava cercando di dire senza tradurlo in parole. Come Erede di Hastur era sempre stato sotto gli occhi del pubblico. Ma aveva fatto il suo dovere per assicurare eredi al Dominio degli Hastur, e per il resto aveva detto a se stesso, rabbiosamente: «Non sono l'unico che ami gli uomini, nei Domimi!» Ma adesso, come Principe dei Comyn, sarebbe stato ancora più in vista. Secoli prima, la sua famiglia aveva diviso i Dominii degli Hastur in Hastur ed Elhalyn, assegnando agli Elhalyn tutti i doveri cerimoniali e pubblici, insieme alla corona. — Una corona su un bastone, ecco quello che vogliono — disse rabbiosamente. — Qualcosa da mettere sulla piazza del mercato e onorare con gli inchini! — Pensò, ma non lo disse, che i Dominii erano rimasti praticamente senza un Re per tutti i ventidue anni della Reggenza, da quando il piccolo Principe Derik aveva perduto il padre, e non avevano sofferto per quella mancanza. — Faremmo meglio ad assicurarci che vi siano Dominii su cui regnare — disse, dopo che il messaggio fu scritto. — Forse ci saranno altri morti, oltre a Derik. E chi manderemo a portare il messaggio? — Lerrys? — suggerì Danilo. — Lui conosce personalmente il Legato... Regis scrollò la testa. — Lerrys simpatizza troppo per i terrestri... non sono sicuro che consegnerebbe il messaggio — disse. — Lui pensa che i terrestri abbiano tutti i diritti di stare qui perché siamo una loro colonia. Merryl? — Non credo che riuscirebbe a tenersi a freno — rispose prontamente
Danilo. Regis disse, esitando: — Manderei Lew Alton. Ma è stato ferito la sera della Festa... Ed è coinvolto personalmente in questa faccenda di Sharra... — Mi domando, Danilo, se non sia il caso di mandare il Nobile Ardais... — Io credo che sarebbe stato lieto di portare un messaggio del genere al Legato — disse Danilo. — Perché sa cosa succederà in città se ci saranno uomini in uniforme delle Forze Spaziali, ed è sempre desideroso di mantenere tranquillo il popolo. — Non gli ordinerò di farlo — disse Regis. — So che non ama andare fra i terrestri. Ma forse sarà disposto a farlo se glielo chiederò personalmente quale Nobile Elhalyn... E ancora una volta la tragedia lo colpì; Derik era più vecchio di lui, eppure era morto senza neppure un figlio nedestro che potesse portare il suo nome. Aveva amato Linnell e aveva atteso le nozze perché lei gli desse l'Erede. E adesso erano morti entrambi. E io non mi sono mai interessato a una donna. Perciò ho due figli e una figlia, dato che non ho esitato a servirmi d'una donna per questo scopo. Per gli Dei! Che ironia! Eppure non dividerò il mio trono con una donna, almeno per qualche tempo, fino a quando non ne troverò una con la quale sarò disposto a dividere anche la mia vita. — Andrò a chiederlo a Dyan — disse, guardando il sole che saliva. All'improvviso ricordò che non aveva dormito e che era stanco. — Dovrebbe essere ancora addormentato, ma non gli dispiacerà essere svegliato per questo. Ma nell'alloggio degli Ardais c'erano soltanto i servitori, e uno disse a Danilo che il Nobile Ardais era uscito molto presto. — Sai dov'è? — Per gli inferni di Zandru, no, signore! Credi che il Nobile Ardais renda conto a me dei suoi movimenti? — Maledizione! Ora dovrò cercarlo per tutto il Castello — disse Regis, chiedendosi se Dyan era andato nella sala delle Guardie per vedere se, come ufficiale esperto, poteva essere d'aiuto a Gabriel, o se aveva lasciato presto la sala da ballo per qualche ragione personale ed era ancora a letto chissà dove con un nuovo favorito. Se era così, forse non sapeva nulla delle sciagure che avevano colpito tutti i Comyn! Era stato soltanto il giorno prima che aveva discusso quella possibilità...
mandare le Forze Spaziali nella Città Vecchia di Thendara in cerca di Kadarin? Allora l'aveva sconsigliato; ma Lawton aveva quell'autorità, e ora Kadarin era apparso addirittura a Castel Comyn, per cercare di attirare di nuovo Lew Alton... aveva diritto di impedire a Lawton di trovare quell'uomo, ricercato per omicidio e per altri delitti dai terrestri e dai darkovani? — Gabriel può saperlo — disse. — E ci sono guardie alle porte dell'appartamento degli Aldaran. Forse sapranno dirci dov'è Gabriel... nella Sala delle Guardie, o fuori a caccia del ricercato! L'appartamento di Castel Comyn assegnato agli Aldaran era rimasto sempre vuoto; era in un'ala che Regis non conosceva. Due guardie nerborute stavano davanti alla porta, sbarrata dall'esterno. Salutarono Regis che ricambiò cortesemente. — Darren, Ruyven... devo parlare con mio cognato. Sapete se Dom Gabriel è nella Sala delle Guardie o se è andato in città? Devo trovare il Nobile Ardais... — Oh, io posso dirti dov'è il Nobile Ardais, mio signore — rispose Ruyven. — È qui dentro e sta parlando con il Nobile Aldaran. Regis aggrottò la fronte. — Avevo sentito il capitano Lanart-Hastur dare l'ordine che nessuno doveva essere autorizzato a parlare con Aldaran... — Questo non lo sapevo, mio signore; sono venuto all'alba — disse Ruyven. — E comunque... — Si guardò gli stivali, ma Regis comprese perfettamente ciò che stava pensando: doveva dare ordine a un Nobile Comyn, e soprattutto a uno che per molti anni era stato il suo ufficiale superiore? Regis disse: — Comunque non importa, Ruyven. Ma devi lasciare entrare anche noi. Quando Regis era piccino, gli appartamenti vuoti e chiusi degli Aldaran l'avevano molto incuriosito. Quando la guardia lo fece entrare, notò che l'odore di umidità e di vuoto aleggiava ancora tra le pareti e gli arazzi ornati dall'aquila bicipite degli Aldaran. Trovarono Beltran nella sala dei ricevimenti: qualcuno gli aveva portato la colazione, e stava mangiando crema di cereali e pane di noci, tenendo il vassoio sulle ginocchia. Dyan era tranquillamente seduto in poltrona accanto a lui, e sorseggiava una bevanda calda. Dyan alzò la testa e guardò incuriosito i due giovani, ma Beltran sogghignò. Regis aveva dimenticato che somigliasse tanto a Lew, a parte le cicatrici. — Bene, Regis — disse, — finalmente siamo pari. Tu venisti nel mio castello come parente e io ti imprigionai... ora sono venuto come parente
nel tuo, e tu m'imprigioni. Immagino sia giusto che abbia la tua rivincita. Era tipico di Beltran, pensò Regis, metterlo subito sulla difensiva. Disse, impettito: — Vorrei dirti una parola, Nobile Ardais, se non ti dispiace. — Non intendeva discutere i problemi dei Comyn in presenza di Beltran. — Il Nobile Aldaran fa parte dei Comyn — gli rammentò Dyan. — In questo caso no — disse freddamente Regis. — Ti rendi conto, Nobile Dyan, che questa notte è morto il Principe Derik? — Non è una gran perdita — disse Dyan. — Parente! — protestò Danilo, e Dyan si girò con veemenza verso di lui. — Per gli inferni di Zandru, devi essere così ipocrita? Sappiamo tutti che Derik era un debole, adatto a regnare quanto mio figlio che ha tre anni! Ora, forse, ci sarà un po' di forza nei Comyn e potremo parlare ai terrestri come meritano! Regis disse, severamente: — Ora sarà compito mio parlare ai terrestri, Nobile Dyan. È per questo che sono venuto qui... desidero che vada da loro portando un messaggio... Dyan l'interruppe: — C'è un solo messaggio che porterò ai terrestri, nobile Regis, e come Hastur, tu sai quale sarà: Andatevene! Andatevene dal nostro mondo, dal nostro pianeta, e portatevi via il vostro Impero! Signore della Luce! È peggio di quanto pensassi! Dyan continuò rabbiosamente: — Abbiamo incominciato bene, Regis, quando io e te abbiamo distrutto le armi terrestri! Ora dobbiamo avere il coraggio di esprimerci con maggiore forza, rivolgendoci direttamente a Thendara! Crede veramente che io abbia distrutto le armi di Beltran per dare un avvertimento ai terrestri? Regis disse: — Nobile Dyan, questo non è il posto per discutere la politica dei Comyn. Al momento, il Legato ha inviato in città le Forze Spaziali; ho scritto una richiesta ufficiale che vengano ritirate, in modo che le Guardie possano fare il loro lavoro e cercare il criminale... l'assassino, o forse non sai che l'attacco di Kadarin, questa notte, ci è costato il Principe Derik e Linnell, e per poco non ha annientato il Nobile Alton? — Quella sarebbe stata una perdita anche meno importante — disse freddamente Dyan. — Ora che Derik non c'è più, abbiamo la possibilità di una dimostrazione di forza. Tuo nonno ha giocato troppo a lungo su due fronti, Regis, e gli Alton hanno cercato di appoggiarlo. È tempo di spiegare chiaramente ai terrestri la nostra posizione, ora che abbiamo Beltran al nostro fianco, con un messaggio più forte di qualunque altro...
Regis si rese conto che avrebbe dovuto capirlo fin dall'inizio. Disse, a fatica: — Parente, stai proponendo seriamente di usare Sharra contro i terrestri? — Non lo propongo: lo affermo — disse Dyan. — Quelli che non si uniranno a noi... — Guardò Regis con durezza. — Sono traditori dei Comyn, e per il bene del nostro mondo, per la sopravvivenza di Darkover, devono essere ridotti al silenzio! Per gli inferni di Zandru, Regis, non capisci che questa è per Darkover l'unica possibilità di sopravvivere senza diventare un'altra colonia terrestre? — L'esistenza dei Comyn — disse con calma Regis, cercando di non tradire l'orrore che provava, — è basata sul Patto. Sharra, usata come arma, è una sfida al Patto... — E mentre noi continuiamo a osservare il maledetto Patto — disse rabbiosamente Dyan, — loro ci circondano e cercano di seppellirci! Siamo come conigli di fronte a un branco di lupi... e voi ve ne state a belare mentre i lupi aprono le fauci! Credi davvero che possiamo combattere l'Impero con le spade e sei dozzine di Guardie? — Perché presumi che dobbiamo combattere i terrestri? — Regis, non posso credere che tu, un Hastur, stia dicendo questo! Hai intenzione di consegnarci ai terrestri con tanta docilità? — No, naturalmente — disse Regis. — Ma da generazioni non c'è stata una vera guerra su Darkover. Mio padre morì in una guerra illegale combattuta con armi terrestri... — Non è una ragione sufficiente per cacciarli dal nostro mondo? Regis trasse un profondo respiro, stringendo i pugni per calmarsi e non gridare la sua sfida. Si chiese se Dyan era impazzito o credeva veramente a ciò che diceva. Dyan lo guardò e la sua faccia si addolcì un poco. Disse: — Tu non hai dormito, e questa notte sono successe molte cose. Non è il momento né il luogo per discutere ciò che dobbiamo fare ai terrestri. Hai mangiato qualcosa, dopo stanotte? — Regis scrollò la testa e Beltran disse: — Siediti e fai colazione con noi. Potremo discutere di politica più tardi. Rogan... — continuò, con un cenno al servitore. — I piatti per il Nobile Hastur e il Nobile Danilo. — E prima che si rendessero conto di quello che era successo, si trovarono seduti al tavolo, davanti alla crema di cereali e al coniglio allo spiedo. Regis non aveva fame, ma conosceva abbastanza la meccanica delle matrici per capire che la battaglia con Sharra lo aveva lasciato svuotato ed esausto. Mangiò mentre Beltran, accantonando l'ostilità, si comportava da ospite cortese.
Quando i terrestri se ne saranno andati, potremo imporre di nuovo il Patto senza il loro esempio pernicioso... Ma se usiamo veramente Sharra contro di loro, allora dovremo combattere non contro i terrestri che sono qui, ma contro l'intero Impero terrestre e tutti i suoi mondi... E Sharra non verrà domata così, si scatenerà contro coloro che la usano, e distruggerà tutto... Beltran disse: — Non voglio male a mio cugino Alton. Vorrei far pace con lui. Il Suo Dono è necessario per usare Sharra, e lui è stato addestrato in una Torre: è il fattore di sicurezza per l'uso di Sharra, con il suo controllo e la sua forza. Puoi fare in modo che io glielo spieghi, Regis? — Credo che sarebbe inutile — disse Regis, senza alzare la voce. — Preferirebbe morire. — Questa — disse Dyan aspramente, — sarebbe una scelta sua, non nostra! Ma se decide di schierarsi con i terrestri, dovrà subirne le conseguenze... — No — disse Beltran, — io credo sia l'unico uomo vivente che abbia il Dono degli Alton. — E invece no — ribatté Dyan. — C'è la figlia di Lew. — Beltran fece un gesto di noncuranza. — Una bambina. Abbiamo bisogno di un uomo con la forza degli Alton. Quindi devo conservare il segreto. Dyan, non addestrato, non conosce la natura del suo Dono. Sa di non avere il Dono degli Ardais... ha adottato Danilo perché ha scoperto che il Dono degli Ardais era passato a Dani tramite una delle figlie nedestro del padre di Dyan. Ma non sa, e non dovrà mai sapere, di avere il Dono degli Alton... Regis guardò angosciato Dyan, e solo in quel momento comprese ciò che aveva significato per lui. Conosceva la crudeltà di Dyan, eppure non era mai stato capace di biasimarlo completamente, sapendo quali forze potenti lo spronavano, sapendo che Dyan era un uomo ossessionato e disperatamente infelice. Dyan è come me, come potrei essere stato anche troppo facilmente. Come posso condannarlo? Ma non posso lasciare che distrugga i Dominii scatenando questa folle Guerra Santa contro i terrestri, a costo di ucciderlo... Questa notte, spinto dalla necessità, ho colpito Lew, che per me è più di un amico, più di un fratello. Ora sembra che debba condannare Dyan, il quale non è altro che ciò che avrei potuto essere io, alla morte di un pazzo. Che diritto ho di fare tutto questo?
Posò la forchetta, pensando che l'ospitalità di Beltran lo avrebbe soffocato. Mantenne le barriere perché gli altri non captassero i suoi pensieri. — Perdonatemi, vai dom'yn. Ho da fare altrove. Danilo, seguimi — disse alzandosi. — Ne riparleremo a tempo debito, Nobile Dyan. Devo vedere i Comyn che sono rimasti dopo questa notte. Forse non mi è rimasto nulla su cui regnare! IL RACCONTO DI LEW ALTON II Il cupo sole rosso di un altro giorno stava morendo quando io mi svegliai; la testa mi doleva per la ferita parzialmente rimarginata che mi aveva inferto Kadarin, e il braccio mi bruciava per il lungo taglio causato dal pugnale di Regis. Per un momento mi chiesi se era stato tutto un incubo, un delirio. Poi entrò Andres, e le rughe profonde incise sul suo volto mi dissero che era tutto vero. Anche lui aveva voluto molto bene a Linnell. Venne, mi guardò con una smorfia, mi tolse la benda dalla testa ed esaminò i punti, poi studiò la ferita al braccio. — Immagino che tu sia l'unico uomo, su Darkover, che sia capace di andare a un ballo la sera della Festa e ritornare a casa ridotto così — borbottò. — Che zuffa c'è stata? Dunque aveva saputo solo che Linnell era morta... non aveva saputo della mostruosa visita di Sharra. Il taglio mi faceva male, ma era superficiale. Avrei faticato a usare il braccio per un po', ma non nutrivo risentimenti; Regis aveva fatto l'unica cosa che poteva per liberarmi dal potente richiamo di Sharra. Dissi: — È stato un incidente, non intendeva ferirmi. — E lasciai che Andres pensasse ciò che voleva. — Portami qualcosa da mangiare e i miei abiti. Devo scoprire che cosa sta succedendo... — Hai bisogno di restare a letto una decade — ribatté Andres. Poi la sua preoccupazione proruppe in un'esclamazione aspra: — Ragazzo mio, ho già perso due di voi! Non seguire Marius e Linnell! Cosa sta succedendo di tanto importante, perché tu non possa aspettare fino a domani? Cedetti e me ne stetti tranquillo. Là fuori, chissà dove, Sharra infuriava... ma l'avrei saputo se fossero entrati in Castel Comyn (ero completamente libero? Non osavo guardare la matrice per accertarmi) e non avrei guadagnato nulla se fossi uscito in cerca di guai. Andres si aggirò borbottando per la stanza; era un suono rassicurante che ricordavo dall'infanzia. Quan-
do io e Marius avevamo fatto correre troppo i nostri cavalli ed eravamo caduti, fratturandoci un dito o una clavicola, l'avevo sentito brontolare esattamente in quel modo. Io e Marius non avevamo mai litigato, non ci eravamo mai azzuffati come quasi tutti i fratelli che conoscevo: c'erano troppi anni tra noi. Quando lui aveva smesso di portare i grembiulini ed era diventato abbastanza grande per farsi valere, io ero già nei cadetti. Avevo appena incominciato a capire che uomo era mio fratello, e subito l'avevo perduto, nel modo più definitivo che esistesse. E l'avevo trascinato nel fato inesorabile che mi perseguitava. Ma almeno aveva avuto una morte pulita, un proiettile nel cervello, non la morte nel fuoco che mi attendeva. Perché ora Kadarin era in libertà, con la spada di Sharra, e sapevo che sarei morto. Ormai ero rassegnato. Il piano di Ashara e l'aiuto del nuovo, sorprendente Dono di Regis Hastur, che sembrava avere un certo potere su Sharra, avrebbero potuto distruggere la matrice; ma sapevo bene che sarei stato annientato anch'io. Comunque, era il fato che mi aveva atteso per tutti quegli anni, che mi aveva riportato a Darkover al momento stabilito, alla morte predestinata che avrei dovuto dividere con Marjorie. Avevamo pianificato la nostra morte... ricordai quel mattino a Castel Aldaran quando, ostaggi della distruzione che Sharra stava seminando nel territorio circostante e nello spazioporto terrestre di Caer Donn, mi era stato permesso di destarmi dall'effetto delle droghe che mi avevano tenuto come un prigioniero passivo, incatenato alla devastazione, ad alimentare le energie di Sharra. Non avevo mai saputo perché mi fosse stato permesso di liberarmi dalle droghe; certamente non era stato un gesto d'affetto di Kadarin nei confronti di noi due. Ma io e Marjorie ci eravamo preparati a morire... sapevamo di dover morire chiudendo la porta del mondo che era Sharra. E perciò io e lei, insieme, avevamo frantumato la soglia... Ma poi io, usando tutto il potere di quella matrice, avevo portato lei e la Spada attraverso lo spazio - i terrestri lo chiamavano teletrasporto, e io non l'avevo mai fatto né prima né dopo - ad Arilinn, dove Marjorie era morta per le ustioni terribili e io... ...io ero sopravvissuto, o era sopravvissuta una parte di me, e per tutti quegli anni mi ero disprezzato perché non l'avevo seguita nella morte. Ora sapevo perché ero stato risparmiato: Kadarin e Thyra erano ancora vivi, e in qualche modo avrebbero recuperato la matrice e avrebbero nuovamente devastato Darkover con il suo fuoco. Questa volta non vi sarebbe stata tre-
gua; e quando Sharra fosse stata distrutta, nessuno di noi sarebbe rimasto in vita. Perciò dovevo mettere in ordine i miei affari. Richiamai Andres e dissi: — Dov'è la piccola? — Rella, l'aiutante del cuoco, bada a lei, e l'ha messa a letto nella stanza dove dormiva Marius da bambino — disse Andres. — Se vivrò, forse potrò condurla ad Armida — dissi. — Ma se dovesse capitarmi qualcosa... no, padre adottivo, ascolta: non c'è nulla di certo in questa vita. Ora che mio padre e mio fratello non ci sono più... Tu ci hai serviti tutti fedelmente per un quarto di secolo. Se dovesse capitarmi qualcosa, lasceresti Darkover? — Non so. Non ci ho mai pensato — disse il vecchio. — Venni qui con Dom Kennard quando eravamo giovani, e ho vissuto bene. Ma credo che alla fine potrei tornare sulla Terra. — Soggiunse, con un sorriso mesto: — Mi sono chiesto come sarebbe, essere di nuovo sotto il mio cielo azzurro, con una luna vera, e non queste così piccole. — Indicò, oltre la finestra, la faccia pallida di Idriel, verdognola come una gemma vista attraverso l'acqua. — Portami il necessario per scrivere. — Quando me lo portò, scarabocchiai con la mano sana, ripiegai il foglio e lo sigillai. — Non posso lasciarti Armida — dissi. — Immagino che alla mia morte l'avrà Gabriel: è nel Dominio degli Alton. Se potessi lo farei, credimi. Ma se porterai questo documento al Legato terrestre, nella Città Commerciale, ti servirà per tornare alla Terra. E vorrei che facessi da padre adottivo a Marja, anziché consegnarla alla moglie di Gabriel. — Domna Javanne Hastur non aveva mai avuto simpatia per me; senza dubbio avrebbe fatto del suo meglio per un parente di Gabriel, ma con molta freddezza; e Andres, almeno, avrebbe curato mia figlia per amore di mio padre e di Linnell, se non per me. — Mia madre aveva certe proprietà, sulla Terra: è bene che passino a te. Andres batté le palpebre e io vidi le lacrime nei suoi occhi, ma disse soltanto: — Dio non voglia che debba mai usare quel documento, vai dom. Ma farò del mio meglio per la piccola, se accadesse qualcosa. Sai che sono pronto a proteggerla con la mia vita. Dissi, sobriamente: — Forse dovrai farlo. — Non sapevo perché, ma all'improvviso fui assalito da brividi gelidi; il sangue mi scorreva freddo nelle vene e per un momento, nella luce morente che tingeva di cremisi la stanza, mi sembrò che sulle pietre, tutto intorno, vi fossero macchie di sangue. È questo il luogo della mia morte? mi chiesi. Ma passò dopo un
momento. Andres andò alla finestra e chiuse rumorosamente le tende. — Quel maledetto sole! — esclamò, irosamente. Poi mise in tasca il foglio che gli avevo dato, senza guardarlo, e uscì. Questo era sistemato. Ora dovevo affrontare soltanto Sharra. Bene, sarebbe avvenuto quando sarebbe avvenuto. L'indomani io e Kathie saremmo andati ad Hali, e il piano che avevo fatto per trovare la Spada di Aldones e usare quell'ultima arma contro Sharra sarebbe riuscito o sarebbe fallito. In ogni caso, probabilmente, non avrei visto un altro tramonto. I punti alla fronte bruciavano. Altre cicatrici che si aggiungevano a quelle che Kadarin aveva causato alla mia faccia... bene, c'è un vecchio detto secondo il quale il morto in paradiso è troppo felice per curarsi di ciò che avviene al suo cadavere e il morto nell'inferno ha troppe cose di cui preoccuparsi! In quanto a me, non avevo mai creduto al paradiso o all'inferno; la morte non era altro che il nulla e la tenebra senza fine. Eppure mi pareva ancora di udire l'ultimo grido di mio padre, nella mia mente... Ritorna a Darkover e lotta per i tuoi diritti e per quelli di tuo fratello! È il mio ultimo comando... E poi, mentre la vita l'abbandonava, quell'ultimo grido di gioia e di tenerezza: Yllana! Carissima...! In quell'ultimo istante aveva visto qualcosa al di là della vita, mia madre che lo stava attendendo su quell'estrema soglia? I cristoforos credono in qualcosa del genere, lo so; Marjorie l'aveva creduto. Marjorie mi stava aspettando al di là dei fuochi di Sharra? Non potevo, non osavo pensarlo. E se era così - sorrisi, un piccolo sorriso acre - che cosa avremmo fatto quando fosse apparsa Dia? Ma lei aveva già rinunciato a me... se la vera misura era l'amore, avrebbe dovuto cercare Lerrys, oltre le soglie della morte. E i mariti o le mogli costretti al matrimonio che odiavano i coniugi, sposati per dovere o per legami di famiglia o per ragioni politiche, in modo che la vita coniugale era una specie d'inferno e la morte era una specie di liberazione... un Dio giusto e razionale avrebbe preteso che fossero legati insieme per l'eternità? Respinsi tutti questi pensieri assurdi e, nonostante il dolore che mi martellava la testa e il braccio, cercai di addormentarmi. L'ultima luce rossa si affievolì, scomparve. Un'apertura fra le tende mi mostrava il chiaro di luna verdepallido che cadeva come ghiaccio sul mio letto; sembrava fresco. Avrebbe placato la mia febbre...? Sentii un passo e un fruscio e un mormorio sommesso. — Lew, dormi? — Chi è?
La luce fioca baluginò sui capelli biondi e Dia, pallida come la luna, mi guardò. Aprì le tende che Andres aveva chiuso, lasciando che il chiarore inondasse la stanza e che le lune calanti si affacciassero sopra la sua spalla. La frescura del chiaro di luna parve accarezzare il mio volto febbricitante. Mi chiesi se mi ero addormentato e stavo sognando che lei era lì: era così silenziosa. Aveva gli occhi gonfi e arrossati dal pianto. — Lew, hai la faccia così accaldata... — mormorò e, dopo un minuto mi posò sulla fronte qualcosa di fresco. — Vuoi dire che ti hanno lasciato solo, così? — Sto bene — dissi. — Dia, cos'è successo? — Lerrys se ne è andato — bisbigliò lei. — È andato dai terrestri. Ha preso una nave e ha giurato che non tornerà più... Ha cercato di convincermi ad andare con lui, ha cercato di... di costringermi, ma questa volta non ho voluto andare... Ha detto che c'è pericolo di morte sicura, se si resta qui, con tutto quello che sta succedendo tra i Comyn... — Avresti dovuto partire con lui — dissi con voce spenta. Non potevo proteggere Dia, adesso, non potevo prendermi cura di lei, mentre Sharra infuriava e Kadarin si aggirava come una bestia feroce, con Thyra al fianco, pronto a trascinarmi di nuovo nello stesso angolo d'inferno... — Non me ne andrò, quando altri devono rimanere e lottare — disse Dia. — Non sono vile fino a questo punto... — Ma stava piangendo. — Se lui pensa davvero che siamo parte dell'Impero, avrebbe dovuto restare a battersi per questo... — Lerrys non è mai stato un combattente — dissi. Ecco, neppure io lo ero, ma non avevo avuto scelta. La mia vita era già perduta. Ma ora non potevo confortare Dia. Dissi sottovoce: — Non è la tua causa, Dia. Tu non sei stata trascinata in questo conflitto. Potresti rifarti una vita altrove. Non è troppo tardi. Lerrys era uno degli ipersensibili Ridenow; il Dono dei Ridenow era stato introdotto fra i Comyn per percepire gli orrori eterodimensionali nelle Ere del Caos; un Dono ormai superato, quando i Comyn non si muovevano più nello spazio e nel tempo come, secondo la leggenda, avevano fatto nell'epoca della massima fioritura delle Torri. Come quelli che lottavano contro gli incendi della foresta tengono uccelli in gabbia perché avvertano quando i gas e i fumi velenosi stanno diventando troppo pericolosi per gli esseri viventi - perché l'uccello in gabbia muore prima che gli uomini li percepiscano - i Ridenow servivano per avvertire i Comyn meno sensibili della presenza di forze che nessun uomo poteva tollerare. Non ero affatto
sorpreso che Lerrys fosse fuggito da Darkover proprio ora... Avrei tanto desiderato poter fare altrettanto! — Dia, non dovresti essere qui, a quest'ora... — Credi che m'importi? — disse lei, con voce carica di lacrime. — Non mandarmi via, Lew. Non... non... non ti chiederò niente, ma lasciami restare qui con te, questa notte... Si adagiò accanto a me, con la testa ricciuta sulla mia spalla, e sentii il sapore del sale quando la baciai. E all'improvviso mi accorsi che, se ero cambiato, Dia era cambiata non meno di me. La tragedia di quella cosa che avrebbe dovuto essere nostro figlio era stata una tragedia anche per lei; più per lei che per me, perché l'aveva portato in grembo per mesi; eppure mi ero lasciato dominare dalla sofferenza egoistica, e non avevo lasciato posto per lei. Era entrata nella mia vita quando pensavo che fosse finita per sempre, e mi aveva dato un anno di felicità, e io avevo il dovere di ricordare quella felicità, non l'orrore e la tragedia della fine. Mormorai, stringendola: — Vorrei che fosse andato tutto diversamente, vorrei aver avuto qualcosa di più da darti. Mi baciò la guancia sfregiata, con una tenerezza che si avvicinava più della passione. — Non importa, Lew — disse sottovoce nell'oscurità. — Lo so. Dormi, amor mio, sei stanco e ferito. E dopo un momento mi accorsi che s'era addormentata tra le mie braccia; ma rimasi sveglio, con gli occhi bruciati dal rimpianto. Avevo amato Marjorie con il primo fuoco d'un ragazzo inesperto, tutto fiamma e desiderio; non avevamo mai saputo che cosa sarebbe potuto diventare il nostro rapporto, perché Marjorie non ne aveva avuto il tempo. Ma avevo incontrato Dia quando ero un uomo, cresciuto nella sofferenza fino alla capacità del vero amore, e non avevo mai capito, avevo lasciato che se ne andasse alla prima crisi. La tragedia condivisa avrebbe dovuto avvicinarci, e io avevo lasciato che invece ci separasse. Se avessi potuto vivere, sarei riuscito a rimediare con Dia, se avessi avuto il tempo di farle sapere quanto l'amavo... Ma era troppo tardi; dovevo lasciarla andare, perché non soffrisse troppo per causa mia... Ma per quella notte avrei finto che vi fosse qualcosa oltre il mattino, che io e lei e Marja potessimo trovare un mondo, chissà dove, e che i fuochi di Sharra si esaurissero inoffensivi di fronte alla Spada di Aldones e al Dono degli Hastur... Sapevo, vagamente, che stavo già sognando, ma continuai a tenere Dia
addormentata tra le braccia fino a quando, verso l'alba, anch'io mi addormentai. Mi svegliò la luce rossa del sole, e il suono di una porta che si chiudeva, chissà dove, nell'appartamento degli Alton. Dia... era stata lì veramente? Non ne ero sicuro. Ma le tende che aveva aperte al chiarore delle lune erano ancora aperte al sole, e c'era un sottile capello d'oro rosso sul mio cuscino. Il dolore alla testa e al braccio ferito s'era attenuato; mi sollevai a sedere, sapendo che era tempo di agire. Mentre mi vestivo per il viaggio, riflettei. Sicuramente, quel giorno o il successivo, i Comyn superstiti sarebbero andati ad Hali per il funerale di Linnell... e di Derik. Forse sarebbe stato meglio andare con loro per non attirare l'attenzione, e poi avviarmi furtivamente verso la rhu fead... No. Non c'era tempo. Avevo amato Linnell, e lei era stata la mia sorella adottiva, ma non potevo attendere di pronunciare parole di tenerezza e di rimpianto sulla sua tomba. Ormai non potevo aiutarla e, comunque, lei era andata troppo lontana per curarsi del fatto che io fossi o non fossi presente per parlare al suo funerale. Per Linnell, potevo solo cercare di fare in modo che la terra da lei amata non venisse devastata dai fuochi di Sharra. Forse avremmo potuto fare qualcosa anche per Callina; sicuramente Beltran, dopo aver fatto parte del cerchio che aveva tentato di scatenare Sharra, sarebbe morto con noi quando avessimo chiuso per l'ultima volta quella porta. E allora anche Callina sarebbe stata libera. Andai in cerca di Callina e la trovai nella stanza dove avevo visto Linnell suonare il rryl, la sera prima che andassimo alla Torre di Ashara. Callina era seduta davanti all'arpa, con le mani abbandonate in grembo, così pallida e immota che dovetti parlarle due volte prima che mi udisse; e allora girò verso di me un volto così freddo e distante, così simile a quello di Ashara che mi sentii scosso e inorridito. La scrollai con forza e finalmente la schiaffeggiai; allora si riprese, e la vita e la collera le arrossarono le guance pallide. — Come osi! — Callina, perdonami... eri così lontana. Non mi ascoltavi... eri in trance... — Oh, no! — esclamò lei, portandosi le mani alla bocca, costernata. — Oh, no, non è possibile... — Deglutì, deglutì di nuovo, lottando contro le lacrime. Disse: — Sentivo di non poter sopportare l'angoscia, e mi è parso che Ashara potesse darmi la pace e cancellare il dolore... il dolore e il ri-
morso, perché se non avessi... se non avessi usato lo schermo con te, se non avessi trovato quella... quella Kathie, Linnell sarebbe ancora viva... — Questo non puoi saperlo — dissi, aspramente. — È impossibile dire cosa sarebbe accaduto quando Kadarin avesse sguainato quella... quella spada. Avrebbe potuto morire Kathie anziché Linnell, o forse potevano morire entrambe. In ogni caso, non accusare te stessa. Dov'è Kathie? — Non voglio vederla — disse Callina con voce tremante. — È come... è come vedere lo spettro di Linnell, e non lo sopporto... — Per un momento credetti che stesse per sprofondare di nuovo nella trance. — Non c'è tempo, Callina! Non sappiamo che cosa intendano fare Beltran e Kadarin — disse. — Non abbiamo molto tempo. Tutto può ricominciare da un momento all'altro. — Come avevo potuto dormire, quella notte, mentre tutto questo ci minacciava? Ma almeno adesso ero abbastanza forte per ciò che dovevo fare. — Dov'è Kathie? Finalmente Callina sospirò e mi portò da Kathie. Era sdraiata su un divano, sveglia e seminuda, e fissava una fila di piastrelle, ma quando entrai trasalì, e si avvolse in una coperta. — Esci! Oh... sei ancora tu! Che cosa vuoi? — Non quello che stai pensando — dissi in tono asciutto. — Voglio che ti vesta e venga con noi. Sai cavalcare? — Sì, certamente. Ma perché...? Frugai dietro un pannello, trovai alcuni indumenti che erano appartenuti a Linnell. Mi infuriava il pensiero che quelle stoffe, quei ricami fossero ancora intatti e portassero ancora il profumo di Linnell, mentre la mia sorella adottiva giaceva fredda nella cappella a fianco dell'innamorato morto. Li gettai quasi irosamente sul divano. — Questi andranno bene per cavalcare. Indossali. — Sedetti ad aspettare, e l'occhiata incollerita di Kathie mi ricordò i tabù terrestri. Mi alzai, arrossendo: come era possibile che le terrestri fossero così audaci in pubblico e così pudiche in privato? — Avevo dimenticato. Chiamami quando sarai pronta. Uno strano suono soffocato m'indusse a voltarmi. Kathie stava guardando sbalordita quel mucchio d'indumenti, e li rigirava di qua e di là. — Non ho la vaga idea di come si faccia a metterli. — Dopo quello che stavi certamente pensando di me — dissi, stizzito, — non mi offrirò di aiutarti. Anche lei arrossi. — E poi, come potrei cavalcare con una gonna lunga? — Per gli inferni di Zandru, ragazza, che altro vorresti portare? Sono gli
abiti da equitazione di Linnell; se li indossava lei, puoi metterli anche tu. — Linnell li aveva messi per andare al funerale di Marius... — Non ho mai indossato cose simili per cavalcare, e non intendo incominciare ora — ribatté Kathie. — Se vuoi che venga a cavallo in qualche posto, dovrai procurarmi abiti decenti! — Questi appartenevano alla mia sorella adottiva e sono del tutto decenti. — Maledizione, procuramene di indecenti, allora! Risi. Non potei fare a meno. — Vedrò che cosa potrò fare, Kathie. Gli appartamenti dei Ridenow erano quasi deserti, a quell'ora. C'era soltanto un servitore che lavava il pavimento di pietra, e ne fui lieto. Non avevo nessuna voglia d'imbattermi nel Nobile Edric. Ricordavo che io e Dia ci eravamo sposati senza il consenso del Signore del suo Dominio. Un matrimonio tra liberi compagni non può essere sciolto, dopo che la donna ha partorito un figlio, se non per mutuo consenso. Ma quella era la legge darkovana. Io e Dia ci eravamo sposati secondo la legge dell'Impero... perché stavo pensando così, come se vi fosse ancora tempo per tornare indietro e rimediare e ciò che era accaduto tra noi? Almeno l'avrei rivista ancora una volta. Chiesi al servitore se Domna Diatima era disposta a ricevermi; e dopo un momento Dia, in una lunga vestaglia di lana, entrò con aria assonnata. S'illuminò in viso nel vedermi: ma non c'era tempo per parlare di noi. Le spiegai la mia situazione; e lei dovette leggere il resto nella mia espressione e nel mio atteggiamento. — Kathie? Sì, la ricordo a... all'ospedale — disse. — Ho ancora gli abiti da equitazione terrestri, quelli che portavo su Vainwal: dovrebbero andarle bene. — Ridacchiò per un momento, poi ridivenne seria. — Lo so, non è affatto divertente. Ma non posso farne a meno, pensando che... lascia stare. Andrò ad aiutarla. — E io scenderò a cercare i cavalli — dissi. Scesi in fretta una vecchia scala poco nota, e raggiunsi la sala delle Guardie. Per fortuna c'era un uomo che mi aveva conosciuto quando ero cadetto. — Hjalmar, puoi trovarmi qualche cavallo? Devo andare ad Hali. — Certamente, mio signore. Quanti? — Tre — dissi dopo un momento. — Uno con una sella da dama. — Kathie poteva cavalcare come Dia, con i calzoni, all'usanza delle Libere Amazzoni; ma Callina non l'avrebbe fatto certamente. Gli spiegai dove doveva portarli. Tornai indietro e trovai Kathie già abbigliata con la tunica e i calzoni che avevo visto altre volte indosso a Dia.
Allora ero felice. Ma non lo sapevo, e adesso è troppo tardi. .. per sempre. Qualche poeta terrestre ha scritto che... che le parole più tristi, in ogni lingua, sono sempre «troppo tardi». La porta si spalancò ed entrò Regis. Disse: — Dove stai andando? Sarebbe meglio che venissi con voi. Scrollai la testa. — No. Se accadesse qualcosa... se non ce la facessimo... tu sei l'unico che abbia la forza per opporsi a Sharra. — È esattamente per questo che devo venire con te — ribatté Regis. — No, lascia qui le donne... — Deve venire almeno Kathie — dissi. — Andiamo ad Hali, alla rhu fead — e aggiunsi, vedendolo ancora confuso: — Probabilmente Kathie è la sola persona a questo mondo che possa raggiungere la Spada di Aldones. Regis spalancò gli occhi. — C'è qualcosa che dovrei sapere... una volta mio nonno mi disse... no, non riesco a ricordare! — Aggrottò la fronte, concentrandosi. — Potrebbe essere importante, Lew! Sì, poteva essere importante. La Spada di Aldones era l'arma suprema contro Sharra. E sembrava che Regis, in questi ultimi tempi, avesse su Sharra uno strano potere. Ma qualunque cosa fosse, non avevamo tempo da perdere mentre lui cercava di ricordare. Regis mi avvertì: — Se Dyan ti vedrà, ti fermerà. E Beltran ha il diritto legale, se non altro, di fermare Callina. Come farete a uscire dal Castello? Li condussi nell'appartamento degli Alton. Molte generazioni prima erano stati gli Alton a progettare quella parte del castello, e si erano preoccupati di provvedersi d'un paio di uscite segrete. Mi domandai perché avevano sentito il bisogno di proteggersi dagli altri Comyn, di quei tempi: poi sorrisi ironicamente. Senza dubbio non era la prima volta, nella lunga storia dei Comyn, che i potenti clan erano in conflitto tra loro. Ma potrebbe essere l'ultima volta... Distolsi la mente da quel pensiero, studiando gli eleganti fregi del pavimento intarsiato. Una volta mio padre mi aveva mostrato quel passaggio segreto, ma non si era dato la pena di indicarmi il meccanismo. Aggrottai la fronte e cercai di sondare, delicatamente, la serratura a matrice che portava alla scala nascosta. Quarto livello, come minimo! Incominciai a chiedermi se avrei dovuto cercare il mio vecchio corredo di meccanico delle matrici per «scassinare» la serratura. Spostai leggermente la concentrazione...
... Ritorna a Darkover... lotta per i diritti di tuo fratello e per i tuoi... La voce di mio padre; eppure, per la prima volta, non me ne risentii. In quell'ultimo rapporto mentale inconsapevole che mi aveva imposto, ero sicuro che c'erano stati alcuni dei suoi ricordi... come potevo spiegare, altrimenti, il modo emotivo, improvviso nel quale avevo reagito a Dyan? Ora stavo con i piedi sul fregio esatto: e senza neppure pensare come dovevo fare, premetti contro qualcosa d'invisibile. ... alla seconda stella, a lato e attraverso il labirinto... La mia mente cercò il fregio: a un certo punto il ricordo vago che non era mio svanì nell'assurdo, evaporò con l'aroma acre del limone nell'aria, ma ormai ero inserito profondamente nello schema, e riuscii a districare l'ultimo giro della serratura. Il pavimento s'inclinò sotto di me; spiccai un balzo per mettermi in salvo mentre una sezione del parquet si abbassava, mosso da macchinari invisibili, rivelando una scala nascosta, buia e polverosa. — Restatemi vicini — avvertii. — Non sono mai stato quaggiù, anche se una volta ho visto aprire il passaggio. — Indicai con un gesto la scala polverosa; Kathie arricciò il naso all'odore di muffa, e Callina sollevò schizzinosamente le gonne. Regis e Dia ci seguirono. Dietro di noi, il quadrato di luce si richiuse e scomparve. — Vorrei che il mio proavo avesse messo qualche lampada — dissi, agitato. — Qui è buio come nelle... tasche di Zandru. — All'ultimo momento avevo sostituito l'oscenità soldatesca con quella frase più accettabile. Sentii Dia ridere leggermente e compresi che era in rapporto mentale con me. Callina disse sottovoce: — Posso creare io la luce, se è necessario. Kathie gridò di paura quando una sfera di pallido fuoco verde spuntò nel palmo di Callina e si diffuse come una fosforescenza sulle agili mani a sei dita. Conoscevo la supraluce; ma fu uno spettacolo strano, quando la Custode allargò le mani e quel pallido lucore prese a guidarci. Le dita protese spezzavano le ragnatele, e a un certo punto mi parve che minuscoli occhi scintillanti ci seguissero nell'oscurità, ma chiusi le palpebre e la mente, concentrandomi sui gradini sotto i piedi. C'intruppammo tutti alle spalle di Callina e lei dovette avvertirci, con voce sommessa e preoccupata: — State attenti a non toccarmi. — Una volta, Kathie scivolò sulla superficie stranamente viscosa e cadde di un paio di scalini prima che potessi afferrarla e sorreggerla. Tastai la parete con la mano illesa, cercando di non pensare a ciò che poteva esserci, e poco dopo la scala svoltò bruscamente verso destra; senza la fioca luce di Callina saremmo precipitati nel vuoto e caduti...
da quale altezza? Uno di noi smosse un sasso, e lo sentimmo urtare sotto di noi, molto lontano, dopo molto tempo. Proseguimmo; sentivo il sangue martellarmi nelle tempie. Maledizione, speravo di non dover più scendere laggiù. Avrei preferito affrontare Sharra e metà dei demoni di Zandru! Scendemmo e scendemmo interminabilmente, ed ebbi la sensazione che stesse trascorrendo metà della giornata mentre proseguivamo, per la scala e nel labirinto al quale conduceva; ma Callina ci precedeva, con passi eleganti e delicati, come se camminasse sul pavimento d'una sala da ballo. Finalmente il passaggio terminò davanti a una porta massiccia. La luce svanì dalle mani di Callina, quando la toccò, e io dovetti lottare con la sbarra di legno che la chiudeva. Non potevo spostarla con una mano sola, e Dia premette con tutto il suo peso: la porta si aprì scricchiolando, e la luce assalì i nostri occhi dilatati dall'oscurità della galleria dimenticata. Sbirciai all'esterno e vidi che eravamo nella Via dei Ramai, esattamente dove avevo detto a Hjalmar di portare i cavalli. All'angolo della via, dove regnava il suono dei minuscoli martelli che battevano sul martello, c'era una fucina dove venivano ferrati i cavalli e riparati gli utensili di ferro; e vidi Hjalmar che ci attendeva con le cavalcature. Riconobbe Callina, sebbene fosse avviluppata in un pesante mantello scuro... mi chiesi se l'aveva preso a prestito da una delle ancelle, o se era andata semplicemente nell'alloggio della servitù e aveva preso il primo che aveva trovato. — Vai domna, permettimi di aiutarti a montare... Callina non gli badò, si rivolse a me. Goffamente, con una mano sola, l'aiutai a salire in sella. Kathie montò senza bisogno d'aiuto, e io mi girai verso Dia. — Sai dove ti trovi? Come tornerai indietro? — Non certo per quel percorso — disse lei, con fervore. — Non importa, ce la farò a trovare la strada. — Indicò il castello che sembrava molto in alto, sopra di noi, sui pendii della città: il percorso era stato veramente molto lungo. — Comunque, penso che dovrei venire con voi... Scrollai la testa. Non volevo coinvolgere Dia in quell'avventura. Lei mi tese le braccia, ma finsi di non vedere. Non sopportavo gli addii. Dissi a Regis: — Assicurati che Dia ritorni sana e salva! E voltai le spalle a entrambi. Mi issai goffamente in sella e mi allontanai senza voltarmi, preoccupandomi di guidare i passi del mio cavallo sui ciottoli della strada. Uscimmo dalla Via dei Ramai, e poi dalle porle della città, senza che nessuno ci riconoscesse; e salimmo per la strada che conduceva al passo.
Una volta guardai giù e vidi sotto di me il Quartier Generale terrestre e Castel Comyn, uno di fronte all'altro, con la Città Vecchia e la Città commerciale in mezzo, come truppe schierate fra due giganti in lotta. Voltai risolutamente le spalle a entrambi, ma non riuscii a dimenticarli. Rappresentavano la mia eredità; tutti e due, non uno soltanto, e per quanto mi sforzassi non riuscivo a vedere l'imminente battaglia come uno scontro fra terrestri e Comyn, ma fra Darkover e Darkover, un conflitto tra coloro che volevano scatenare un male antico nel nostro mondo al servizio dei Comyn, e coloro che intendevano proteggerlo da quel male. Io mi ero alleato all'antico male di Sharra. Non contava il fatto che avessi tentato di chiudere la porta; ero stato io a evocare Sharra, abusando del laran ereditario, tradendo Arilinn che mi aveva addestrato ad usarlo. Ora avrei distrutto quel male, a costo di annientare anche me stesso... Eppure per il momento, respiravo il vento gelido del passo, il vento carico di neve che soffiava dall'eterno ghiacciaio lassù, potevo dimenticare che forse quella sarebbe stata la mia ultima cavalcata. Kathie rabbrividiva, e mi tolsi il mantello e glielo misi sulle spalle mentre procedevamo fianco a fianco. Lei protestò: — Gelerai! — Ma io risi e scossi il capo. — No, no... tu non sei abituata a questo clima. Per me è mite! — insistetti, avviluppandola. Kathie si strinse nelle pieghe del manto, tremando. Dissi: — Tra poco supereremo il passo; ed è più caldo, sulle rive di Hali. Il sole rosso era alto, vicino allo zenith; il cielo era chiaro e sereno, di un bellissimo colore malva pallido, una giornata perfetta per cavalcare. Mi augurai che ci fosse un falco sulla mia sella, e che stessi uscendo da Arilinn, a caccia di uccelli per la cena. Guardai Callina e lei sorrise, condividendo quel pensiero, perché accennò il gesto di lanciare nell'aria un falco verrin. E Kathie, con i lucenti riccioli bruni, mi ricordava quando avevo cavalcato con Linnell tra le colline di Kilghard, da bambino. Una volta eravamo arrivati fino a Edelweiss, e mio padre ci aveva picchiati quando eravano ritornati a casa a notte; solo adesso mi rendevo conto che quella che era parsa una spaventosa battitura a due ragazzini di dodici e di nove anni era stata in realtà poche pacche quasi scherzose, e che mio padre aveva riso di noi, sollevato perché non eravamo incappati nei banditi o negli uccelli banshee. Ricordavo, adesso, che non ci aveva mai picchiati davvero. Anche se una volta, quando avevo dimenticato di massaggiare e curare un cavallo che avevo cavalcato, lasciandolo a uno stalliere inesperto, aveva minacciato che, se avessi trascurato di provvedere alle mie cavalcature, la prossima volta anch'io sarei rimasto senza cena e avrei dovuto dormire sul
pavimento con gli abiti bagnati, anziché trovare un bagno caldo e un buon letto ad attendermi. Per quanto fosse stato duro - e c'erano stati momenti in cui l'avevo odiato - mi sembrava che soltanto ora, di fronte alla mia morte, mi rendessi conto di quanto ci aveva amato... e di come tutti i suoi piani che aveva fatto per noi fossero finiti in rovina. Stavo per dire: — Linnell, ti ricordi... — E rammentai che Linnell era morta e che la ragazza che cavalcava davanti a me, stringendosi nel mantello con lo stesso gesto di Linnell, era un'estranea, un'estranea terrestre. Guardai Callina, e i nostri occhi s'incontrarono. Callina era reale. Callina era i vecchi tempi ad Arilinn, Callina era i giorni in cui ero felice e facevo un lavoro che amavo, nelle Torri. Il bracciale di rame al suo polso sinistro, simbolo del suo legame con Beltran, era uno scherzo osceno, assolutamente incongruo. Sognai il giorno in cui glielo avrei strappato dal polso e l'avrei gettato in faccia a Beltran... Callina era una Custode che non doveva essere mai toccata, neppure con un pensiero indiscreto... ma ora cavalcava al mio fianco. Levò verso di me il viso, pallido e sorridente. E pensai: Non è più una Custode. I Comyn l'hanno data in sposa a Beltran, come si sarebbero sbarazzati di una giumenta, ma se hanno potuto darla a Beltran, non potranno protestare se dopo che fosse diventata vedova perché, me vivo, Beltran non l'avrebbe avuta come moglie - se dopo si darà a me. E poi... Armida, e le colline di Kilghard, e il nostro mondo. Callina mi sorrise e per un momento il cuore mi diede un tuffo; e poi m'imposi di ricordare. La via d'uscita passava attraverso Sharra, ed era molto dubbio che vivessi tanto a lungo da veder tramontare il sole. Ma almeno Beltran che, come me, era vincolato a Sharra, sarebbe finito con me nella Tenebra. Eppure gli occhi di Callina cercavano i miei e, contro ogni razionalità, io ero felice. Sotto di noi, ormai, si estendevano le rive pallide di Hali, con il lungo filare d'alberi che si perdeva nella nebbia. Lì, diceva la leggenda, il Figlio di Aldones era caduto sulla terra, e giacendo sulle rive del Lago, e quindi le sabbie erano specchianti e luminose per l'eternità... Guardai il pallido baluginio delle sabbie: sapevo che erano di pietra lucente, di mica o granato ridotti in polvere dalle onde di un grande mare interno che era stato là molto tempo prima che il pianeta generasse la vita. Eppure la meraviglia rimaneva; lungo quelle rive splendenti era giaciuto Hastur, e lì erano venute Camilla la Dannata, e la Beata Cassilda, progenitrice dei Comyn, e s'erano
prese cura di lui... Le ombre si stavano allontanando; il giorno era inoltrato e una delle lune, la grande, violetta Liriel, stava sorgendo allora sopra il lago, e incominciava appena a calare. Mancavano circa due ore al tramonto, e scoprii che preferivo non pensare a ritornare a Thendara nell'oscurità. Bene, ci avremmo pensato al momento; il nostro compito, adesso, ci attendeva nella rhu fead, la vecchia Cappella che era il luogo sacro dei Comyn. Si levava davanti a noi: un edificio di pietra bianca e lucente. Un tempo, lì, c'era stata una Torre: era crollata nelle Ere del Caos, bruciata da un'arma laran al cui confronto la matrice Sharra era un giocattolo per bambini. Fermammo i cavalli sull'orlo del lago, dove le nebbie si arricciolavano bianche lungo la sponda. La rada erba rosata diventava ancora più sparsa, tra le sabbie. Smossi un ciottolo con un piede; e affondò, roteando lentamente, attraverso la superficie nebulosa. — Non è acqua, vero? — chiese Kathie, scossa. — Che cos'è? Non lo sapevo. Hali era il più vicino d'una mezza dozzina di laghi di nubi le cui profondità non contenevano acqua, ma un gas inerte... eppure ospitava la vita. Una volta mi ero addentrato per un breve tratto nel lago, guardando gli strani esseri che non erano né pesci né uccelli, e nuotavano o volavano in quell'acqua-nuvola. La leggenda narrava che un tempo i laghi erano stati d'acqua come tutti gli altri, e che nelle Ere del Caos un incantatore, operando con il laran di quei tempi, li aveva creati con quella bizzarra struttura gassosa, e con i curiosi pesci-uccelli che vi volavano o nuotavano... pensai che questo era verosimile quanto la ballata secondo la quale le lacrime di Camilla erano cadute nell'acqua e l'avevano mutata in nube quando Hastur aveva scelto Cassilda come consorte. Non era il momento per le fiabe e le ballate! Kathie disse, confusa: — Ma... ma sicuramente sono già stata qui... Scrollai la testa. — No. Hai alcuni dei miei ricordi, ecco tutto. — Ecco tutto! — La sua voce aveva una nota isterica. Dissi: — Non preoccuparti. — Le battei la mano sul polso, goffamente. — Ecco, vieni da questa parte. Le colonne gemelle si ergevano davanti a noi, e in mezzo scintillava un arcobaleno di ghiaccio: il Velo, come il Velo di Arilinn, per tenere lontano chiunque non appartenesse ai Comyn. Se i geni di Linnell erano identici a quelli di Linnell, lei avrebbe dovuto riuscire a superare il Velo... ma non era soltanto una prova fisica, bensì una prova mentale; nessuno che non avesse il laran dei Comyn... e Kathie era stata portata lì a causa della sua
immunità a quel particolare tipo di potere mentale. — Anche bloccata — dissi a Kathie, — spoglierebbe la tua mente. Dovrò tenerla completamente sotto la mia. — Mi sembrava di parlare con una strana sicurezza interiore, sapendo precisamente cosa dovevo fare, e in un piccolo angolo della mia mente me ne meravigliai. Kathie si ritrasse al primo tocco della mia mente, e io l'ammonii con voce atona: — Devo farlo. Il Velo è una specie di campo di forza, sintonizzato al cervello dei Comyn. Tu non sopravviveresti per due secondi. Mi chinai e la sollevai di peso. — A me non farà male: ma non resistere. Stabilii il contatto con la mente; la sommersi, repressi la resistenza... chissà dove, nel profondo della mia mente, ricordavo che avevo temuto di fare questo a Marius. Era una forma di violenza, e ne rifuggivo; ma mi dissi che altrimenti Kathie non avrebbe potuto sopravvivere... La prima legge dei telepati dice: non entrare in una mente che non lo voglia... Ma Kathie aveva consentito, mi dissi, e senza attendere oltre, vinsi l'ultima resistenza, e la sua mente scomparve, completamente dominata e nascosta dalla mia. Poi passai attraverso quell'arcobaleno tremolante... Un milione di minuscoli aghi mi trafisse, una forza senza nome mi trapassò, come una pioggia stranamente penetrante... Ero entrato, ero oltre il Velo. Posai Kathie e la lasciai, più delicatamente che potei, ma si accasciò snervata sul pavimento. Callina s'inginocchiò a massaggiarle le mani, e dopo un momento lei aprì gli occhi. Davanti a noi c'erano molte porte e lunghi corridoi, nebulosi come se la rhu fead fosse pervasa dalla stessa nube gassosa del Lago. Quasi mi aspettavo di vedere gli strani pesci-uccelli che nuotavano. Qua e là c'erano nicchie piene di cose tanto strane che non potevo immaginarle: dietro un arcobaleno di colori vidi un catafalco dove giaceva un corpo di donna, o forse un'effigie di cera, da lunghi capelli rossicci; e mi parve che il corpo fosse troppo realistico per essere irreale, che il seno si sollevasse e si abbassasse lievemente nel riposo; eppure il baluginio iridescente era imperturbato, e lei giaceva così, immutabile, incorruttibile da millenni. Dietro un altro arcobaleno c'era una spada, appoggiata su un grande scudo antico. Ma l'impugnatura e lo scudo scintillavano di colori, e io compresi che non era un'arma semplice, ma non era neppure quella che cercavamo. Regis avrebbe dovuto venire con noi, pensai. Come avrei potuto riconoscere la Spada di Aldones, quando l'avessi trovata? — Io la riconoscerò — disse Callina, sottovoce. — È qui.
All'improvviso il corridoio svoltò e si aprì in una bianca cappella a volta, con una specie di altare in fondo; e sopra l'altare, nello stile dei mosaici più antichi, era raffigurata la Beata Cassilda, con il fiorstellato in mano. In una nicchia, a una delle pareti, c'era un altro arcobaleno tremulo, ma quando mi avvicinai sentii una fitta dolorosa, e capii che era interamente protetta contro i Comyn... Era venuto il momento di scoprire se Kathie poteva veramente raggiungere questi oggetti. Callina tese le mani, incuriosita, e le mani si ritrassero di scatto. Come se avesse udito i miei pensieri - e forse li aveva uditi - Kathie chiese: — Stai ancora toccando la mia mente? — Un poco. — Lasciala. Completamente... Era logico. Se il campo di forza era regolato in modo da respingere i Comyn, allora il minimo tocco della mia mente l'avrebbe messa in pericolo. Mi ritrassi completamente, e Kathie si avviò a passo svelto verso l'arcobaleno. E l'attraversò. Sparì in un turbine di nebbia. Poi un lampo di fuoco salì verso la volta... avrei voluto gridarle di non aver paura; era soltanto un trucco... un'illusione. Ma neppure la mia voce poteva superare il campo di forza levato contro i Comyn. Come una sagoma indistinta, Kathie passò oltre, attraverso quel fuoco: forse non sapeva neppure che esistesse. Poi vi fu uno scroscio di tuono che echeggiò nella cappella e squassò il pavimento come un terremoto. Kathie ritornò in fretta attraverso l'arcobaleno. Teneva in mano una spada. Dunque la Spada di Aldones era una vera spada, dopotutto, lunga e scintillante ed esiziale, e d'una tempra così fine che la mia, al confronto, sembrava il giocattolo di piombo d'un bambino. Nell'impugnatura, attraverso un sottile strato di seta isolante, c'erano gemme azzurre che scintillavano. Era così simile alla spada di Sharra che non seppi reprimere un brivido nel guardarla. Ma ora la spada di Sharra sembrava un falso volgare, una modesta copia della cosa splendida che vedevo. Era chiusa in un fodero di magnifico cuoio tinto, sulla quale serpeggiava una scritta ricamata minuziosamente con fili di rame. — Che cosa dice? — chiese Kathie, e io mi chinai a leggere le parole, ma erano in un dialetto casta tanto antico che non riuscii a comprenderle. Callina le guardò e dopo un momento tradusse: Questa spada verrà sguainata soltanto quando tutto il resto sarà finito per i figli di Hastur; e allora la scatenata sarà incatenata.
Bene, in un modo o nell'altro, il mondo che conoscevamo era alla fine, e Sharra era scatenata. Ma non mi sarei azzardato a estrarre la spada dal fodero. Ricordavo ciò che era accaduto a Linnell quando s'era trovata di fronte al suo duplicato e io... io ero vincolato alla matrice Sharra; anche adesso non credevo d'essere interamente libero. Quindi avevamo la Spada di Aldones, ma non sapevo ancora come sarebbe stato possibile servircene. La scatenata verrà incatenata. Ma come? Un fremito d'energia scorse, non spiacevolmente, lungo il mio braccio, come se la spada chiedesse d'essere sguainata, di balzare dal fodero. — No — ammonì Callina, e io mi rilassai, esalando un respiro e respingendo la spada nella custodia: l'avevo estratta soltanto di pochissimo. — La prenderò io — disse lei, e sospirai di sollievo. Callina era una Custode, sapeva come comportarsi con le matrici anomale. E mentre la spada di Sharra era il nascondiglio d'una Matrice grande e potente, la Spada di Aldones era... lo sentivo senza rendermene conto... era essa stessa una matrice, e pericolosa da maneggiare. Se Callina si sentiva in grado di assumersi quel rischio, non avrei certo obiettato. — Ecco fatto — dissi. — Andiamocene. L'ultima luce del sole si stava spegnendo quando uscimmo dalla rhu fead. Le due donne mi precedettero; ormai non era più necessario che proteggessi Kathie. Il Velo serviva a impedire che quelli che non erano di sangue Comyn entrassero nella cappella; ai miei proavi delle Ere del Caos non era mai venuto in mente di guardare la Cappella da quelli che ne sarebbero usciti. Indugiai; avrei voluto esplorare le strane cose che c'erano lì. Poi Kathie gridò: la luce morente del sole scintillava sull'acciaio. Due sagome, scure contro la luce, erano confuse davanti ai miei occhi; poi riconobbi Kadarin con la spada in mano e al suo fianco una donna, snella e vitale come una fiamma scura. Adesso non somigliava molto a Marjorie; ma anche così, riconobbi Thyra. Kathie indietreggiò verso di me e io la scostai gentilmente per fronteggiare il mio nemico giurato. — Che cosa vuoi? Stavo cercando di guadagnare tempo. C'era una sola cosa che Kadarin poteva volere da me, e il mio sangue si agghiacciava all'orrore del ricordo; sulla mia gola, la matrice incominciò a bruciare e a pulsare... Vieni a me, ritorna nel fuoco... e io cancellerò tutto il tuo odio e il tuo desiderio, le paure e le angosce, nella mia fiamma scatenata che arderà e arderà e arderà per sempre...
— Ti nascondi ancora dietro le donne? — chiese Kadarin in tono di provocazione. — Bene, consegnami ciò che porta la Custode, e forse ti lascerò andare... se potrai! — Ributtò la testa all'indietro e rise, quella strana risata che aveva l'eco del grido di un falco. Non sembrava un uomo, adesso, e neppure umano. Gli occhi erano freddi e incolori, quasi metallici, e i capelli incolori erano lunghi e gli volavano intorno alla testa; le mani sulla sua spada erano lunghe e sottili, più simili alle zampe di un rapace che a mani umane. Eppure aveva una strana bellezza mentre stava così, con la testa all'indietro, ridendo, di quella risata folle. — Perché non ti faciliti le cose, Lew? Sai bene che alla fine farai ciò che noi vorremo. Dammela... — Indicò la Spada di Aldones. — Dammela e lasceremo andare le donne, e non dovrai tormentarti per questo... — Ti vedrò gelare nel più freddo degli inferni Zandru, piuttosto... — gridai, e sguainai il pugnale, fronteggiandolo. Un tempo, probabilmente, avrei potuto batterlo; ma ora, con una mano sola e una ferita alla testa e un taglio al braccio sano, non credevo di avere una sola possibilità. Ma potevo, almeno, costringerlo a uccidermi in un modo pulito. — No, Lew, aspetta — disse sottovoce Callina. — Questo è... Kadarin? — Nella sua voce non c'era altro che disgusto, senza traccia di paura. Vidi un'ombra di sbigottimento sulla faccia di Kadarin, ma non era abbastanza umano, ormai, per reagire alle parole. Disse, con un'orrenda parodia della cortesia d'un tempo: — Robert Raymon Kadarin, para servirti, vai domna. Lei alzò leggermente la spada di Aldones. — Vieni a prenderla... se puoi — disse, e la tese verso di lui, con un gesto d'invito. Gridai: — Callina, no... — E anche Thyra gridò qualcosa, senza parole, ma Kadarin ringhiò: — È inutile bluffare. — Si avventò verso Callina, le strappò la spada dalla mano... Dalla mano di Callina esplose un fuoco azzurro, e Kadarin arretrò barcollando in quel chiarore celeste; la Spada di Aldones sfolgorò, con il bagliore delle limature di rame incendiate, e continuò a brillare a terra tra noi, mentre Kadarin, stordito e semisvenuto, si rimetteva lentamente in piedi ringhiando un'oscenità di cui compresi soltanto l'indecenza. Callina disse, senza alzare la voce: — Non posso prenderla, ora che ha toccato Sharra. Kathie...? Lentamente, esitante e riluttante, Kathie s'inginocchiò e tese la mano; lentamente, come se temesse che lo stesso bagliore d'energia azzurra le facesse perdere i sensi. Ma la sua mano si strinse sull'impugnatura senza che accadesse nulla. Forse, per lei, era soltanto una spada. Trasse un lungo re-
spiro. Thyra gridò: — Lasciami... — No. — Per un istante vidi, attraverso la cosa mostruosa che era diventato Kadarin, un riflesso dell'uomo che un tempo avevo amato come un fratello, la vecchia tenerezza con la quale trasse indietro Thyra. — Neppure tu puoi toccarla: ma non può farlo neppure il cucciolo degli Alton, quindi siamo pari. Lasciali andare: verrà un tempo... — Mi guardò di nuovo minacciosamente. Il momento di gentilezza e di umanità era passato. — E allora niente ti proteggerà: lei reclamerà chi è stato toccato dalla chioma di fiamma. E allora gli stessi inferni bruceranno nel fuoco di Sharra... Per gli dei! Un tempo quello era stato un uomo, un mio amico... Non potevo neppure odiarlo, adesso: non era abbastanza umano per odiarlo. Era Sharra, nel corpo di un uomo che un tempo era stato umano... ed era lui a volerlo, si era abbandonato di sua volontà alla cosa mostruosa che era diventato! Quasi non riuscivo a vedere Thyra al suo fianco, attraverso l'illusione delle fiamme che infuriavano tra noi... — No! gridò Thyra. — Adesso no! Adesso no! — E le fiamme recedettero. Ora potevo vederla chiaramente: Il fuoco non c'era mai stato. Venne verso di me, con le mani tese: era solo una donna, piccola e fragile, con l'ossatura minuta da uccellino. Era vestita da uomo, e i suoi capelli avevano lo stesso colore di rame dei capelli di Marjorie, e i suoi occhi di chiara ambra dorata come quelli di Marjorie mi guardavano con la dolcezza quasi ironica di un tempo, e io ricordavo che l'avevo amata, l'avevo desiderata... Lei disse, cercando di ristabilire tra noi un rapporto mentale quasi dimenticato: — Che cos'hai fatto di mia figlia? di nostra figlia? Marja! Per un momento mi sembrò di sentire il tocco di un dolce ricordo, Marjorie che si trasformava in Thyra fra le mie braccia, una fiamma viva, il tocco della mente infantile... Thyra era in rapporto mentale. La sua faccia cambiò. — Allora l'hai tu? Dissi, quietamente: — Tu non la volevi, Thyra. È stato uno scherzo crudele, giocato a un uomo drogato, e meriti tutta l'infelicità che hai avuto... Ma per un momento avevo dimenticato di sorvegliarla, avevo dimenticato che ormai non era altro che una pedina di Kadarin... e in quel momento una fitta di dolore mi trapassò la spalla, e il mio cuore conobbe la sofferenza della morte, e compresi che era stato il pugnale di Thyra a ferirmi... Barcollai. Callina mi sostenne; anche nel dolore e nella disperazione improvvisa - era la fine e Sharra infuriava ancora, ero morto troppo presto,
ero morto - mi stupii della forza con cui mi sorreggeva. Kadarin si avventò, trasse indietro Thyra, con violenza. — No! Non così... abbiamo ancora bisogno di lui... ah, che cos'hai fatto, Thyra... l'hai ucciso? Mi sentii svenire. L'oscurità scendeva a coprire i miei occhi, un rumore orrido mi assaliva i timpani... la morte era così, sofferenza e frastuono e luce accecante? No, era un elicottero terrestre che scendeva, e grida, e una voce improvvisamente chiara. — Robert Raymon Kadarin, l'arresto in nome dell'Impero, per... Signora mia, butti via il coltello: questo è un paralizzatore e posso stenderla. E anche lei... posi quella spada. Attraverso la tenebra che mi ondeggiava davanti agli occhi scorsi le uniformi scure delle Forze Spaziali. Avrei dovuto immaginare che avrebbero trovato Kadarin, in un modo o nell'altro, e con le armi terrestri proibite nei Domimi. Avrei potuto denunciarli, pensai vagamente, non avevano il diritto di essere lì. Non così, con i disintegratori, fuori dalla Città Commerciale. Avrei dovuto essere io ad arrestarli anziché essere loro ad arrestare noi. Poi sprofondai in una tenebra che era come la morte, e provai soltanto un immenso rammarico per tutto ciò che avevo lasciato incompiuto. Poi anche quello svanì. III Dia seguì con gli occhi i cavalli fino a che scomparvero e, quando lasciarono la Via dei Ramai, Regis ebbe l'impressione che la donna stesse piangendo; ma lei scrollò la testa, facendo volare qualche lacrima trasparente. Lo guardò, quasi con aria di sfida, e chiese: — Ebbene, Nobile Hastur? — Ho promesso che ti avrei riaccompagnata sana e salva al Castello, Domna — disse lui offrendole il braccio. Lei rise e fu come se un arcobaleno spuntasse dalle nubi. — Ti ringrazio, mio signore. Non è necessario. Mi sono aggirata senza scorta in luoghi peggiori di questo! — È vero, sei stata su altri mondi — disse Regis, provando di nuovo l'antica invidia: nonostante tutte le sue sofferenze, Lew era più libero di lui, con tutti i mondi d'un impero interstellare a sua disposizione. Oh, andare al di là dei cieli limitati del suo mondo, visitare le stelle... ora sapeva che non l'avrebbe mai fatto. Per il meglio o per il peggio, il suo destino era
li, qualunque fosse: una corona indesiderata, il nuovo laran che l'opprimeva al punto di dargli l'impressione che l'avrebbe lacerato, come una farfalla che esce dal bozzolo. Era Hastur; doveva accantonare tutto il resto, tutti i suoi vecchi sogni, come le trottole e i palloni colorati della sua infanzia. Procedette al fianco di Dia lungo la via dei Ramai, svoltando all'angolo per prendere la strada di Castel Comyn, e sentì i bisbigli, vide la folla scostarsi davanti a lui, meravigliata e sbalordita. — Un Comyn... — È il Nobile Hastur... il principe. — No, sicuramente no... che farebbe uno come lui per la strada, senza scorta... — È il principe Hastur, sì, l'ho visto la sera della Festa... Non poteva percorrere una strada abbastanza stretta e tranquilla senza che una folla gli si raccogliesse intorno. Lew, sfigurato, con una mano sacrificata ai fuochi di Sharra, era ancora più libero di lui... Se qualcuno fissava Lew, lo faceva solo con pietà o curiosità, non con quella fiducia totale, la convinzione che, qualunque cosa accadesse su Darkover, gli Hastur li avrebbero protetti e difesi. Come il mio laran, è troppo, per me... troppo per qualunque uomo immortale inferiore a un dio! Assestò un lembo del mantello sui capelli rossi, per nasconderli, ma non poteva ripararsi dalle emanazioni mentali della folla, meraviglia, sbalordimento, curiosità... Non posso ballare con una donna o passeggiare con una donna per la strada senza che il mio nome venga legato al suo... — Mi dispiace, Dia — disse, cercando di scherzare, — ma temo che già ti credano la mia Regina; è un peccato che dobbiamo deluderli. Ora, immagino, dovrò spiegare a mio nonno che non intendo sposare neppure te! Lei gli rivolse un sorrisetto ironico. — Non ho nessun desiderio di diventare Regina — disse. — E temo che, anche se tu volessi sposarmi, il Nobile Danvan si scandalizzerebbe... Mi sono sminuita con altri uomini su Vainwal; e ora sono la sorella del traditore che ha abbandonato Darkover per l'Impero... Regis disse gentilmente: — Non sapevo che Lerrys se ne fosse andato. Ma non lo biasimo se lo ha fatto, Dia. Vorrei poterlo fare anch'io. — Dopo un momento soggiunse: — E se sei la sorella di un traditore, ciò non significa che sei una traditrice; anzi, ti fa onore che tu sia rimasta quando altri sono fuggiti. Erano arrivati alla porta di Castel Comyn; Regis vide una delle guardie
che lo fissava, perché era lì senza scorta e in compagnia di Dama Diatima Ridenow, e sebbene cercasse di non leggere nella mente dell'uomo, sentiva lo shock e lo stupore: «Il Nobile Regis, qui senza neppure una guardia del corpo, e con una donna...» E un piacere segreto al pensiero di quel pettegolezzo che avrebbe potuto riferire ai compagni. Bene, qualunque cosa facesse Regis creava pettegolezzi, ma ne era nauseato. Attraversò il cortile; avrebbe voluto accommiatarsi educatamente da Dia. Aveva troppi guai per dividerli con una donna, anche se vi fosse stata al mondo una donna con la quale era disposto a dividere qualcosa di più d'un breve momento di passione o di piacere. All'improvviso, guardando Dia, fu colpito dalla sua disperazione. — Che c'è, Dia? — chiese gentilmente. Era così sicuro che sarebbe morto. Lui vede solo la propria morte... Anch'io sarei andata a morire al suo fianco, ma lui vede solo Callina... Regis si sentì sconvolto da quella sofferenza. Nessuna donna l'aveva mai amato così, nessuna donna gli aveva mai dimostrato quella lealtà, quella fedeltà... È andato a morire, a gettarsi incontro alla morte per trovare l'arma contro Sharra... Regis pensò che avrebbe dovuto andare anche lui con Lew; oppure avrebbe dovuto prendere la sua matrice, purificarla come aveva fatto con quella di Rafe. Che cosa gli dava quello strano potere, non su Sharra, ma sulla Forma di Fuoco? Kadarin era da qualche parte, con la matrice Sharra, e Lew avrebbe potuto cadere nelle sue mani... Avrebbe dovuto andare con Lew, o purificargli la matrice. O almeno avrebbe dovuto chiedere a Callina di condurlo da Ashara, perché l'antica Custode dei Comyn potesse spiegargli quel nuovo, mostruoso Dono degli Hastur. Lew, almeno, era stato addestrato nelle Torri, conosceva la propria forza... e le proprie debolezze; affrontava la morte con piena conoscenza, e non accecato dall'ignoranza, come Regis! A che serviva essere Hastur, e Signore dei Comyn, se non poteva neppure sapere a che cosa lo avrebbe portato quel nuovo laran? Dia si sforzava di nascondere le lacrime. Una parte del suo essere voleva rassicurarla, ma non sapeva come confortarla, e comunque Dia non chiedeva facili menzogne; era una dei sensibilissimi Ridenow, e avrebbe subito capito. Regis disse, senza alzare la voce: — Forse moriremo tutti, Dia. Ma se avrò una possibilità, preferirei morire per impedire che Sharra distrugga Darkover... terrestri e Comyn. E anche Lew, credo; e ha il diritto di sce-
gliere la propria morte... e il modo di rimediare... — Sì, lo credo. — Dia si rivolse a lui, senza più cercare di nascondere le lacrime, e Regis comprese che quella era una specie di accettazione. — È strano; ho visto la sua... la sua debolezza, il suo aspetto più gentile, e ho dimenticato quanto è forte. Non si sarebbe mai rifugiato fra i terrestri per paura; neppure se gli avessero bruciato l'altra mano... — No — disse Regis, e all'improvviso si sentì più vicino a Dia che alla propria Javanne. — No, non lo farebbe mai. — Non faresti neppure tu, vero? — chiese Dia, sorridendogli tra le lacrime. È un Hastur... e starà dalla parte dei Comyn... E poi l'interrogativo curioso e inevitabile: Chissà perché non si è mai sposato? Senza dubbio potrebbe avere qualunque donna volesse... sicuramente non è vero che, come Lerrys, come Dyan, ama soltanto gli uomini, ha avuto qualche donna, ha figli nedestro... E poi Regis sentì, in un ritorno di disperazione e di sofferenza: ...nostro figlio, il figlio mio e di Lew, quella cosa spaventosa, e io l'ho respinto... solo perché stavo così male, non lo odiavo, non davo la colpa a lui, e poi Lerrys mi ha portata via prima che potessi dirglielo... Avarra misericordiosa, ha sofferto tanto e io l'ho fatto soffrire di nuovo, tutto quell'orrore, quando gli avevo promesso che non avrebbe mai dovuto nascondersi da me... ...e morirà convinto che l'avevo respinto a causa di quell'orrore... E all'improvviso Regis si sorprese a invidiare Lew. Com'è stato amato! Io non ho mai saputo cosa sia amare così una donna o esserne amato... e morirò senza sapere se sono capace di questa specie d'amore... Oh, sì, c'erano state varie donne. Era capace di un'improvvisa vampata di passione, di prenderle con piacere reciproco; ma quando la fiamma della comune passione s'era esaurita, qualche volta ancora prima che la donna scoprisse d'essere incinta, s'era accorto di quello che provavano per lui: piacere per la sua bellezza fisica, orgoglio per aver attratto l'attenzione di un Hastur, avidità per la posizione e i privilegi che avrebbero avuto se gli avessero dato un figlio. Ognuna, di quelle cinque o sei, sarebbe stata ben felice di sposarlo; ma Regis non aveva mai provato per loro più di quella breve passione e poi un vago disgusto e un senso di ripugnanza, sapendo che i loro sentimenti per lui erano basati sull'avidità e l'orgoglio. Mai questo amore disinteressato... morirò senza sapere se sono capace
di ottenere questa specie d'amore da una donna? Nessuno mi ha mai amato disinteressatamente tranne Danilo, e questo è diverso, è amore di camerati... e anche questo, tutti gli uomini sembrano disprezzarlo... qualcosa da dimenticare dopo l'infanzia... non c'è altro? Perché Lew può attirare questa specie d'amore e io no? Ma con ciò che incombeva sopra di loro, non c'era tempo neppure per questo. Si voltò per parlare a Dia, quando all'improvviso un urlo d'immenso terrore eruppe nelle loro menti, un grido senza parole di disperazione e di paura e di panico, sofferenza e orrore. Un bambino, un bambino che gridava atterrito. Regis non sapeva se quel pensiero era suo o di Dia, ma comprese subito chi urlava con tanta paura; spinse da parte Dia e corse, corse come un ossesso verso gli appartamenti degli Alton. Marja! Ma chi può atterrire tanto una bambina? I grandi battenti dell'appartamento degli Alton erano spalancati. Il vecchio Andres giaceva in una pozza di sangue, sulla soglia. L'ha protetta con la sua vita, come aveva giurato... Regis si sentiva addolorato: il vecchio coridom era stato come un padre e un amico anche per lui. Poi si accorse che Andres si muoveva ancora, debolmente, sebbene non fosse in grado di parlare. S'inginocchiò, con gli occhi pieni di lacrime per il vecchio fedele, e Andres, con le sue ultime forze, mormorò: — Dom Regis... figliolo... Regis sapeva che Andres non lo vedeva: gli occhi del morente erano già vitrei e ciechi. Vedeva solo il ragazzino di dieci anni, figlio adottivo di Kennard, amico giurato di Lew. E con le sue ultime forze, Andres formò un'immagine nella mente di Regis... Poi l'immagine svanì, e nella stanza non rimase nulla di vivo, tranne lui. Regis si alzò, addolorato. — Beltran! Per gli inferni di Zandru, come ha potuto venire qui, quando l'avevo lasciato prigioniero... Non era necessario chiederlo. Aveva lasciato Beltran con il Nobile Dyan; e Dyan era d'accordo con Beltran nel ritenere che Sharra era l'arma suprema contro i terrestri... Lew era irraggiungibile. Ma restava sua figlia... Restava una figlia di Alton, già dotata, a cinque anni, del laran della sua casata e del sangue chieri. Regis si sentiva nauseato: un essere umano si sarebbe abbassato a servirsi di una bambina in Sharra? Aveva avuto motivo di pensare che Dyan era crudele e privo di scrupolo... ma questo? Si rese conto che, attraverso tutti quegli eventi, aveva continuato a udire nella propria mente, sempre più alti e disperati, gli urli atterriti della bambina, la fiamma improvvisa il terrore della Forma di Fuoco... e poi spari,
così improvvisamente che per un momento Regis rimase sconvolto, pensando che Marja doveva essere morta di terrore, oppure ridotta al silenzio da un colpo di una crudeltà terrificante... Che follia era questa? Intorno a lui c'era silenzio di morte nell'appartamento degli Alton, l'esclamazione inorridita di Dia che era sopraggiunta, ma altrove sentiva una voce che conosceva, o forse era un contatto telepatico, anziché una voce? Sciocco, non è una cosa per una bambina! Io ho la forza e non sono schizzinoso... non sono uno dei tuoi eunuchi addestrati nelle Torri! Lascia che prenda io quel posto, anziché qualcuno di cui non potete fidarvi... E poi quasi una risata, una silenziosa risata beffarda. No, non è morta, per te è irraggiungibile, ecco tutto... Prenditela con qualcuno più alla tua altezza, Beltran! — Signore della Luce! — esclamò inorridito Regis, comprendendo ciò che era accaduto. Dyan aveva scelto Sharra, nonostante tutti gli avvertimenti, s'era lanciato di sua volontà nell'orrore che era costato a Lew la mano e la ragione, e che anche adesso sopraffaceva Regis con la paura e l'orrore... Questo significa che Lew è libero? No, mai, mai, è ancora vincolato a Sharra... — Nobile Hastur! Nobile Regis... — Un servitore ansimante venne a cercarlo, si fermò inorridito fissando il cadavere del vecchio coridom sul pavimento. — In nome di tutti gli Dei, mio signore, che cosa è successo? Regis cercò di riaggrapparsi alla realtà normale. — Quest'uomo è morto difendendo la figlia e le proprietà del suo padrone... del suo figliolo adottivo. Deve avere un funerale degno di un eroe. Cerca qualcuno che provveda a farlo. — Si alzò lentamente, fissando il morto e i servitori che si affollavano sulla soglia dell'appartamento degli Alton. E poi vide l'uomo che era venuto a chiamarlo. — Mio signore, il Nobile Hastur... tuo nonno... ha ordinato... — Confuso, l'uomo si agitò. — Chiede se puoi andare da lui... Regis sospirò. Se lo aspettava: quali richieste contrastanti gli avrebbe rivolto ora suo nonno? Guardò Dia e comprese che lei non avrebbe tollerato di venire esclusa dagli avvenimenti, ormai. Bene, aveva il diritto di sapere. — Vieni con me — disse. — Io e Lew eravamo bredin, e anche tu puoi appellarti a me. Trovò suo nonno nella piccola sala dei ricevimenti dell'alloggio degli Hastur. E Danvan Hastur disse: — Aldones sia ringraziato, ti ho trovato! Il
Legato terrestre ti ha mandato un messaggio personale, Regis, a proposito di un certo capitano Scott e dell'autorizzazione a usare armi terrestri... — Guardò il nipote e cercò di parlare con l'autorità di un tempo, ma riuscì a mostrare solo una sconvolgente parodia della sua vecchia forza. — Non so come abbia potuto metterti in una posizione tale da permettere ai terrestri di darti ordini, ma immagino che dovrai risolvere questa faccenda... È vecchio. Io sono il vero potere degli Hastur, ormai, e lo sappiamo entrambi; anche se lui non lo dirà mai, pensò Regis. E parlò alla parte inespressa del pensiero di suo nonno, quali che fossero state le parole. — Non allarmarti, mio signore; andrò a occuparmene. — All'improvviso provò una profonda compassione per il vecchio che per tanti anni aveva detenuto il potere dei Comyn senza avere neppure il laran che lo sostenesse. Ha avuto tutti gli affanni di un Hastur e nessuna ricompensa, pensò, e poi trasalì, sbalordito. Ricompensa? Quel laran mostruoso che minacciava di schiantarlo, così che lui era accompagnato dalla terribile conoscenza di un potere del quale non riusciva neppure a immaginare la forza? Il dono? La maledizione degli Hastur, piuttosto! Gli sembrava che le sue braccia e le sue gambe fossero troppo grandi per lui, gli sembrava di procedere a metà tra la terra e il cielo, con i piedi che toccavano appena il suolo... e senza sapere perché. Disperatamente, si augurò di aver accanto Danilo. Ma non c'era neppure il tempo di mandargli un messaggio e comunque, se Dyan si era gettato avventatamente nel pericolo e nel terrore di Sharra, Danilo era il Nobile Ardais, perché Dyan era praticamente morto, come tutti: era meglio che Danilo restasse libero, se poteva. Disse bruscamente all'uomo delle Forze Spaziali che aveva portato il messaggio: — Vengo subito. — Dia si voltò a seguirlo, ma le disse: — No, resta qui. — Non poteva condurre con sé una donna, ora, quando a Danilo era negato il privilegio di stargli vicino. — Voglio venire! — esclamò Dia, irosamente. — Sono cittadina terrestre. Non puoi impedirmelo! Era inutile discutere. Regis fece un cenno all'agente delle Forze Spaziali, e tutti e tre salirono sul veicolo di superficie. Regis non aveva mai viaggiato su un mezzo terrestre; restò aggrappato, trattenendo il respiro mentre sfrecciava per le vie e uomini e donne e cavalli si disperdevano al suo passaggio; e pensò, incongruamente: «Dobbiamo proibirlo, è troppo pericoloso in queste vie vecchie e affollate». Quando giunsero nella Città Commerciale, le strade migliorarono, ma Regis rimase disperatamente ag-
grappato: non voleva mostrare la sua paura davanti a Dia, che evidentemente era abituata a quel tipo di mezzo di trasporto. Quando varcò i cancelli del Quartier Generale, l'autista indugiò appena per mostrare un lasciapassare alla sentinella, e poi sfrecciò sul terreno anormalmente levigato fino alle porte del grattacielo. Poi salirono con l'ascensore, e Dia continuò ostinatamente a seguire Regis fin nell'ufficio di Lawton. C'era Rafe Scott, pallido come un morto. Lawton non sprecò tempo in convenevoli. Fece un gesto, e Rafe incominciò a parlare. — Kadarin è andato ad Hali! Ho scoperto all'improvviso che leggevo i pensieri di Thyra... non so perché... Ma Regis lo sapeva. Poteva sentire Sharra, attraverso Rafe, una fiamma mostruosa e oscena, incorporea... e Rafe faceva parte di quell'antico legame. Kadarin, con la Spada. Thyra. Beltran... Dyan, che si era temerariamente gettato nel vulcano. E Lew, chissà dove, chissà dove... vincolato, asservito, condannato... — Dunque? — chiese bruscamente Lawton. — Mi autorizzi a mandare un elicottero e uomini armati di disintegratori, per arrestare Kadarin? Oppure intendi attenerti alla lettera del Patto, mentre quelli operano con qualcosa che esorbita dal Patto più di una bomba capace di annientare un pianeta? Devo autorizzare... chi crede che io sia? Poi, con l'improvvisa umiltà del potere riconosciuto e temuto, Regis comprese che non poteva più evitare la responsabilità. Disse: — Sì, do l'autorizzazione. — Riuscì a firmare, sebbene la mano gli tremasse, il modulo che Lawton gli porgeva. Lawton parlò attraverso un comunicatore, — Bene. Hastur ha dato l'autorizzazione. Fate partire l'elicottero. — Voglio... Dovrei andare con l'elicottero. Forse posso fare ancora qualcosa per Lew... o per la sua matrice, se è vincolata a Sharra... Lawton scrollò la testa. — Troppo tardi. Sono già partiti. Ora non puoi far altro che attendere. Attesero mentre il sole scendeva lentamente dietro il passo montano. Attesero mentre il tempo si consumava. E finalmente Regis vide l'elicottero, un minuscolo punto scuro sopra il valico, che si avvicinava, si avvicinava. Dia si alzò e gridò: — È ferito! Devo... devo andare da lui... — Si precipitò verso l'ascensore. Nello stesso istante, Lawton rispose a una luce am-
miccante, ascoltò, e cambiò espressione. — Bene — disse cupamente a Regis. — Ho atteso troppo, o forse hai atteso troppo tu. Hanno preso Kadarin, ma sembra che sia riuscito a commettere un altro omicidio mentre tutti stavano a guardare. Lo portano al Reparto Medicina. È meglio che venga anche tu. Regis seguì Lawton lungo i corridoi bianchi e sterili della Divisione Medica. L'ascensore si arrestò con un gemito sommesso e gli uomini delle Forze Spaziali portarono fuori i prigionieri. Dia aveva occhi soltanto per Lew, sostenuto da due uomini in uniforme. Regis non sapeva se era vivo o morto: il viso era spaventoso, la testa ciondolava inerte, e il petto della camicia era coperto di sangue. Bredu! Regis sentì l'angoscia e lo shock. Dia stringeva la mano abbandonata di Lew e adesso piangeva senza sforzarsi di nasconderlo. Kadarin, ammanettato, era fra due guardie. Regis lo riconobbe appena: era molto più vecchio e scavato, come se qualcosa lo consumasse. Anche Thyra era ammanettata. Kathie era pallida e spaventata, e una delle guardie reggeva tra le braccia Callina che sembrava svenuta; la deposero su una poltrona e mandarono a prendere i sali. Dopo un minuto Callina aprì gli occhi, ma vacillò aggrappandosi alla poltrona. Kathie le andò accanto e la sostenne. Un medico le disse qualcosa e Kathie aggrottò la fronte e ribatté: — Sono infermiera; mi occuperò di lei. Dovete pensare al signor Montray-Alton. La donna l'ha pugnalato e forse è una ferita mortale... era ancora vivo quando l'elicottero è atterrato, ma questo non vuol dir molto. Ma Regis guardava la spada che Kathie aveva lasciato scivolare sul pavimento; e qualcosa dentro di lui, qualcosa nel suo sangue, si destò all'improvviso e gridò nelle sue vene. QUESTA È MIA! Andò a raccoglierla. Era calda e giusta tra le sue mani. Callina aprì le palpebre e sgranò gli occhi azzurri, freddamente. Nel momento in cui Regis ebbe nelle mani la spada, guardando le scritte sul fodero, ebbe la sensazione improvvisa d'essere dovunque, non soltanto dov'era il suo corpo, ma come se i confini del suo corpo si fossero dilatati per includere tutto, nella stanza. Toccò Callina e la vide con una strana doppia vista, la donna che conosceva, la Custode taciturna e virtuosa e gentile, e nello stesso tempo qualcosa d'altro, freddo e azzurro e vigile come il ghiaccio, strano e freddo come la pietra. Toccò Dia e sentì il suo amore e la paura e la preoccupazione; toccò Kadarin e si ritrasse. QUESTO È IL NEMICO, QUESTA È LA BATTAGLIA... NON ANCORA, NON
ANCORA! Toccò Lew. Dolore. Freddo. Silenzio. Paura, e la fiamma divorante... Dolore. Dolore al cuore, un dolore tremendo... Regis s'immerse nel dolore, era l'unico modo di capirlo, sentì le cellule dilaniate, il defluire della vita... NO! NON LO PERMETTO! Il silenzio che era Lew fu inondato all'improvviso da una sofferenza terribile, e poi dal calore e dalla vita. E Lew aprì gli occhi e si sollevò a sedere, fissando Regis. Mosse appena le labbra e mormorò: — Che cosa... che cosa sei? E Regis sentì la propria voce dire, da una grande distanza: — Hastur. E la parola non significava niente per lui. Ma la ferita si era rimarginata, e tutto intorno a lui i medici terrestri sgranavano gli occhi; e nella sua mano c'era la spada che sembrava, adesso, più della metà di lui stesso. All'improvviso Regis ebbe paura e ripose la spada nel fodero, e il mondo si ricompose, e lui ritornò nel proprio corpo. Tremava così forte che stentava a reggersi. — Lew! Bredu... sei vivo! IL RACCONTO DI LEW ALTON IV Non ricordo nulla del viaggio in elicottero al Quartier Generale terrestre, e non ricordo come arrivai nell'ufficio del Legato. La mia prima sensazione fu una sofferenza infernale e poi, il suo cessare improvviso. — Lew! Lew, mi senti? Come potevo non sentire? Lei mi stava gridando nell'orecchio! Aprii gli occhi e vidi Dia, con il viso bagnato di lacrime. — Non piangere, amore — dissi. — Sto benissimo. Quella gatta infernale di Thyra deve avermi pugnalato, ma sembra che non sia affatto una cosa grave. Ma Kathie indicò a Dia di scostarsi, e disse con bruschezza professionale: — Un momento. Il polso non si sentiva quasi più. — Prese una specie di strumento e mi tagliò la camicia. Poi sentii la sua esclamazione soffocata. Dove era penetrata la lama di Thyra, pericolosamente vicino al cuore, c'era soltanto una piccola cicatrice rimarginata, più pallida e perfettamente risanata degli sfregi sul mio viso. — Non posso crederlo — esclamò. — L'ho visto, e ancora non riesco a
crederlo. — Prese qualcosa di freddo e bagnato, e tolse le croste di sangue semi-raggrumato che aderivano ancora alla pelle. Guardai malinconicamente la camicia rovinata. — Portategli una camicia d'uniforme, o qualcosa del genere — disse Lawton. Me ne portarono una che sembrava fatta di carta o di fibra simile. Era fredda e viscida e dava una sensazione spiacevole, ma non potevo essere schizzinoso; e poi, gli odori dei medicinali mi davano alla testa. Dissi: — Dobbiamo proprio restare qui? Non sono ferito... — E solo allora vidi Regis, con la Spada di Aldones alla cintura e un'espressione d'incredulità sul viso. Più tardi seppi che cosa aveva fatto; ma in quel momento - era tutto cosi pazzesco - mi limitai ad accettare la realtà e fui lieto che la Spada fosse finita nelle mani dell'unica persona al mondo che poteva maneggiarla. All'inizio, credo, avevo pensato che Callina, o forse Ashara, dovesse prendere la Spada, come Custode. Ora vedevo che l'aveva Regis, e pensavo semplicemente: Oh, sì, è giusto, lui è Hastur. — Dov'è Thyra? È fuggita? — Non è probabile — disse Lawton, cupamente. — È in una cella, giù, e ci resterà. — Perché? — chiese Kadarin, in tono calmo. Lo fissai, incapace di credere ai miei occhi: sulle rive del lago di Hali mi era parso ben lontano dall'umanità; adesso, stranamente, sembrava l'uomo che avevo conosciuto un tempo, civile e garbato, persino simpatico. — Per quali accuse? — Tentato omicidio di Lew Alton! — Sarebbe difficile convalidare una simile accusa — disse Kadarin. — Dov'è la presunta ferita? Lawton guardò irritato la camicia intrisa di sangue che mi avevano tolto e disse: — Troveremo i testimoni oculari per il tentativo. Nel frattempo la tratterremo... oh, diavolo... per violazione di domicilio, scasso, porto abusivo d'armi, linguaggio indecente in luogo pubblico... atti osceni, se sarà necessario! L'importante è che la teniamo, e anche te. Dobbiamo farti qualche domanda a proposito di un omicidio e dell'incendio doloso d'una casa di Thendara... Kadarin mi guardò in faccia. Disse: — Credi quello che vuoi, Lew: non ho assassinato tuo fratello. Non lo conoscevo: solo dopo ho saputo chi era, quando ho saputo, per la strada, chi era morto. Per me era semplicemente un giovane terrestre che non conoscevo; e per quel che può valere, non sono stato io a ucciderlo, ma uno dei miei uomini. E mi dispiace; avevo dato ordine di non uccidere nessuno. Tu sai per che cosa ero venuto, e perché
dovevo venire. Lo guardai e compresi che non potevo odiarlo. Anch'io ero stato costretto a fare cose che non avrei mai sognato di fare se fossi stato razionale; e sapevo che cosa aveva costretto lui ad agire così. Adesso la portava alla cintura; ma nonostante tutto potevo vedere l'uomo che era stato mio amico. Distolsi lo sguardo. C'erano troppe cose tra noi. Non avevo il diritto di condannarlo, adesso, quando tramite la mia matrice potevo sentire l'attrazione irresistibile di quella cosa empia. Ritorna a me e vivi per sempre nel fuoco risorto e imperituro... e dietro le mie palpebre la Forma di Fuoco stava tra me e ciò che potevo vedere fisicamente con gli occhi. Sharra, e io ne ero ancora parte, ero ancora dannato. Mossi un passo verso Kadarin; ancora oggi non so se intendevo percuoterlo oppure posare le mani sulle sue mani, sull'impugnatura della spada che nascondeva la matrice Sharra. Odio e amore si mescolarono, come si erano mescolati per mio padre, la cui voce pulsava ancora adesso nella mia mente. Ritorna... ritorna... Poi Kadarin scrollò le spalle e l'incantesimo si spezzò. Disse: — Se volete buttarmi in una cella, per me sta bene. Ma è doveroso avvertirvi che non ci resterò a lungo. Ho... — Toccò l'impugnatura della spada di Sharra e soggiunse, disinvolto: — Ho un appuntamento urgente altrove. — Portatelo via — disse Lawton. — Mettetelo nel reparto di massima sicurezza, e vedremo se ce la farà a uscirne. Kadarin risparmiò alle guardie il disturbo di portarlo via: si alzò e si avviò. Una guardia disse: — Prima la spada. La prendo io. Kadarin disse, ancora con quel sorriso impeccabile: — Prendila, se la vuoi. Avrei voluto gridare un avvertimento agli uomini delle Forze Spaziali: io sapevo che non era una spada. Uno di loro tese la mano... e volò attraverso la stanza. Batté la testa contro la parete e si accasciò stordito. L'altro fissò Lawton e poi si girò verso Kadarin: aveva paura e non potevo dargli torto. — Non è una spada, Lawton — dissi. — È un'arma a matrice. — È quella...? — Lawton sgranò gli occhi, e io annuii. A meno di uccidere Kadarin, non avrebbero potuto portargliela via; e non ero neppure sicuro che fosse possibile ucciderlo finché la portava, almeno con un'arma normale. Li avvertii: — Non mettete lui e Thyra nella stessa cella. Ma la distanza non avrebbe comportato nessuna differenza, quando la spada fosse stata sguainata. E io, io sarei andato con loro? Comunque,
ero contento di non dover più vedere Kadarin e la matrice Sharra. Feci per alzarmi, ma il giovane medico mi trattenne e mi costrinse a restare seduto. — No, assolutamente! — Allora sono prigioniero? Il dottore guardò Lawton che disse, con una smorfia: — No, che diavolo! Ma se cercherai di uscire di qui, cadrai come uno straccio! Stai tranquillo e lascia che il dottor Allison si occupi di te, per favore. Che fretta c'è? Cercai di alzarmi ma, per qualche ragione inspiegabile, mi sentivo debole come un coniglietto neonato. Non riuscivo a reggermi sulle gambe. Lasciai che il giovane medico mi esaminasse con i suoi strumenti. Odiavo gli ospedali, e l'odore mi dava sui nervi, mi riportava ricordi che avrei preferito non affrontare in quel momento: ma sembrava che non ci fossero alternative. Notai che Kathie stava parlando con uno dei dottori e, come la sera della Festa, mi chiesi se ci avrebbe accusati d'averla sequestrata. Bene, se l'avesse fatto, era una storia così inverosimile che probabilmente nessuno le avrebbe creduto. Vainwal era lontana mezza Galassia! C'erano momenti in cui non lo credevo neppure io... Prima che il dottore avesse finito di auscultarmi il cuore e di controllare ogni funzione vitale - mi fece persino togliere la mano meccanica, l'esaminò e mi chiese se funzionava bene - Regis rientrò nella stanza. Sembrava grave, remoto. Al suo fianco c'era Rafe Scott. — Ho visto Thyra — disse bruscamente. Anch'io l'ho vista, pensai, e vorrei non averla vista affatto. Sebbene il suo tentativo di uccidermi fosse stato vanificato, non sopportavo di pensare a lei. Non era tutta colpa sua: era una vittima di Kadarin, come me; una vittima più consenziente, forse, ansiosa di acquisire il potere di Sharra. Ma pensare a lei mi faceva ricordare la bambina. Vidi la faccia di Regis cambiare espressione. Non ero abituato a questo; Regis non era mai stato un telepate tanto sensibile... ma incominciavo a capire che quel nuovo Regis, con lo schiudersi improvviso del Dono degli Hastur, era molto diverso dal ragazzo che avevo conosciuto. Regis disse: — Ho una brutta notizia per te, Lew. La peggiore. Andres... — S'interruppe, semisoffocato, e capii. Durante quegli anni spensierati ad Armida, Andres era stato come un padre anche per lui. Mio padre, Marius, Linnell... e ora Andres. Ero solo più che mai. Avevo paura di chiederlo, ma lo chiesi. — Marja?
— L'ha... l'ha difesa con la sua vita — disse Regis. — Beltran... avrebbe voluto portarla in Sharra. Lei ha il Dono degli Alton. Ma Dyan... Ero preparato a sentirmi dire che Dyan era stato complice di tutto: ma non ero preparato a ciò che mi disse Regis. — Chissà come... l'ha spinta via... altrove. Non sono riuscito a trovare traccia di lei, neppure telepaticamente. Non so dove l'abbia nascosta; ma è al sicuro da Sharra. E Dyan... sapevi che ha il Dono degli Alton, Lew? Nella confusione l'avevo dimenticato. Ma avrei dovuto saperlo, naturalmente. Il potere di imporre la sua volontà a un'altra mente... E Dyan aveva il sangue degli Alton; lui e mio padre erano primi cugini. La madre di mio padre era sorella del padre di Dyan, e c'erano altri legami di parentela che risalivano a molte generazioni prima. Una volta, sotto una pressione terribile, avevo usato un potere poco noto degli Alton: mi ero teletrasportato da Aldaran alla Torre di Arilinn. Per qualche ragione, Dyan poteva aver fatto lo stesso con Marja... ma avrebbe potuto mandarla dovunque, su Darkover, da Armida a Castel Ardais negli Heller... o nell'orfanotrofio degli spaziali a Thendara, dov'era stata allevata. Quando ne avessi avuto il tempo, avrei incominciato a cercarla, fisicamente e telepaticamente; non pensavo che Dyan potesse nascondermela definitivamente, non pensavo neppure che ne avesse l'intenzione. Ma Kadarin aveva la matrice Sharra, e se avesse deciso di sguainarla, sapevo che non avrei più potuto fidarmi di me stesso. Tentai di avvertire Regis. Lui toccò la Spada di Aldones e mi guardò, cupo. — Questa è l'arma contro Sharra. Da quando l'ho allacciata alla cintura... ci sono molte cose che so — disse stranamente. — Cose che non avevo imparato. Da diversi giorni so di avere uno strano potere su Sharra e ora, con questa... — Era come se qualcosa parlasse tramite il Regis che conoscevo; sembrava esausto e scavato, molto più vecchio. Ma ogni tanto, quando lo guardavo negli occhi, si riaffacciava l'altro Regis, il ragazzo che conoscevo, e sembrava impaurito. Non potevo dargli torto. — Mostrami la tua matrice — disse. Esitai. Non potevo farlo, se non in presenza di una Custode. Dissi: — Se c'è Callina. — E Regis si rivolse a uno dei dottori e chiese di lei. — Era molto debole — disse Kathie. — L'ho portata in una stanza a sdraiarsi. Dev'essere stata la vista del sangue. Questo mi avvertì del pericolo. Le donne darkovane non svengono per una sciocchezza o alla vista del sangue. Dovetti gridare e fare una scena, comunque, prima che mi portassero da lei. La trovai in una delle stanzette,
seduta immobile come una statua, con gli occhi freddi e pallidi come se fosse Ashara, lo sguardo fisso su qualcosa che non potevamo vedere... Regis la chiamò gridando, e lo feci anch'io, ma lei era immobile e continuava a fissare nelle distanze insondabili del nulla. Finalmente tentai di contattare la sua mente... la sentii, molto lontana, come un'alterità gelida... poi Callina trasalì, mi fissò, e ritornò in sé. — Eri in trance, Callina — le dissi, e lei ci guardò costernata. Credo che, anche allora, se si fosse confidata con noi, forse le cose sarebbero andate diversamente... ma non volle dare importanza a quella strana trance e disse, in tono leggero: — Riposavo, niente altro... ero semi-addormentata. Che cosa c'è? Che cosa volete? Regis disse: — Voglio sapere se possiamo purificare la matrice di Lew e liberarlo da... da quella di Sharra. Io l'ho fatto per Rafe. Credo che avrei potuto farlo anche per Beltran, se me l'avesse chiesto. — Captai la parte inespressa del suo pensiero: Beltran desiderava ancora usare Sharra, l'aveva considerata come l'arma suprema contro l'assoggettamento ai terrestri... un ricatto per allontanarli per sempre dal nostro mondo. E Dyan, ostinato, disperatamente ansioso di conseguire il potere che il Consiglio dei Comyn, sempre più debole, non voleva cedergli, lo aveva seguito, piegandosi e assoggettandosi a Sharra... Sentivo l'angoscia e il dolore di Regis per questo; e all'improvviso, per un momento, vidi Dyan attraverso gli occhi dello stesso Regis: il parente più anziano, bello, disinvolto, che Regis da ragazzo aveva ammirato... e poi temuto, ancora dominato da quel fascino che era simile all'amore... l'unico parente che l'aveva davvero accettato. Io avevo visto Dyan soltanto come un uomo crudele, minaccioso, aspro, avido di potere, pronto a usarlo brutalmente, senza sottigliezze, un uomo che abusava sadicamente il suo potere sui cadetti e sui parenti più giovani. Quell'altro aspetto di Dyan io non l'avevo mai visto, e mi sconvolgeva. Forse, dopotutto, avevo sbagliato nel giudicarlo? No. Altrimenti neppure il suo amore per il potere lo avrebbe spinto a tentare la suprema perversione delle facoltà dei Comyn, il fuoco di Sharra... Io ero stato bruciato da quel fuoco, e Dyan aveva visto le cicatrici. Ma nella sua arroganza suprema, pensava di poter riuscire dove io avevo fallito, costringere Sharra a servirlo: essere padrone anziché schiavo del fuoco di Sharra... e Dyan non era stato neppure addestrato in una Torre! — Una ragione di più per liberarti, Lew — sostenne Regis. Dopo un momento, sfilai il cinghiolo di cuoio e faticosamente, con l'unica mano, tolsi le sete. Finalmente lasciai rotolare la matrice sul palmo e vidi il fulgo-
re cremisi che sopraffaceva lo splendore azzurro... Callina concentrò l'attenzione su di me, abbinando le risonanze, fino a quando poté prenderla; il tocco esperto d'una Custode, non troppo doloroso. Poi sentii una sorta di tiro alla fune nella mia mente, il richiamo nuovamente stimolato di Sharra: Ritorna, ritorna e vivi nella vita dei miei fuochi... E sentii Marjorie... o era Thyra? Tra le mie braccia arderai sempre di una passione non sminuita... Sentivo Regis, anche, come se in qualche modo penetrasse nel mio cervello, sebbene sapessi che stava toccando soltanto la mia matrice e la disaggrovigliava filo per filo... ma più si adoperava e più forte diventava il richiamo, e la pulsazione di Sharra assaliva la mia mente, fino a quando la sofferenza bruciante mi sopraffece... La porta si spalancò e Dia apparve nella stanza. Corse da me, scostando Callina. — Cosa credi di fargli? — gridò, irosamente. Le fiamme diminuirono e si spensero; Regis si afferrò a un mobile, vacillando, quasi incapace di sostenersi. — Cosa credete che possa sopportare, ancora? Non ha sofferto già abbastanza? Mi lasciai cadere su una poltrona e dissi: — Stavano solo cercando... — Stavano destando qualcosa che è meglio lasciar stare — ribatté Dia. — L'ho sentito fino all'ottantesimo piano, lassù... Sentivo che ti ferivano... — Passò le mani su di me come se si aspettasse di vedermi coperto di sangue. — Va tutto bene, Dia — dissi, sapendo che la mia voce non era altro che un mormorio esausto. — Sono stato allenato a... a sopportarlo... — Cosa ti fa pensare di poterlo sopportare ora? — chiese lei, irosamente. E Regis disse, disperato: — Se Kadarin sguainasse la spada di Sharra... — Se lo farà — disse Dia — dovrà battersi. Ma non potete lasciare che ritrovi le forze sufficienti per farlo? Non sapevo. Rafe non era mai stato più lontano dello strato esterno del cerchio che avevamo formato intorno a Sharra; io ero stato al centro, a controllare la forza e il flusso del potere di Sharra. Ero spacciato, e lo sapevo. Sapevo ciò che Callina e Regis avevano tentato di fare, ed ero grato, ma per me era troppo tardi. I miei occhi si posarono su Callina, e vidi tutto intorno a me con una chiarezza nuova. Lei era tutto il passato, per me: Arilinn e il mio passato; Marjorie era morta tra le sue braccia, e avevo trovato in lei il primo oblio che avessi conosciuto. Parente, Custode, tutto il passato... e rimpiangevo di
non poter vivere per condurla con me ad Armida, per recuperare il mio passato e il mio mondo. Ma non sarebbe stato così. Un amore più tenebroso mi avrebbe reclamato, il fuoco divampante di Sharra che ardeva nelle mie vene, il legame oscuro con Thyra che era divenuta Custode del mostruoso cerchio di Sharra, fuoco e desiderio e tortura ardente e interminabile... Callina poteva chiamarmi a sé, ma era troppo tardi, ora e per sempre. Dio mi parlava, ma io ero ritornato a un tempo anteriore al momento in cui era entrata nella mia vita, e quasi non ricordavo il suo nome. Che cosa stavamo facendo, lì, tra quelle pareti bianche? Qualcuno entrò nella stanza. Non lo riconobbi, sebbene dal modo in cui mi parlò mi rendessi conto che avrei dovuto sapere chi era. Uno dei maledetti terrestri, quelli che sarebbero morti tra le fiamme di Sharra quando fosse giunto il momento. Le sue parole erano suoni senza senso, e non le capivo. — Quella donna, Thyra! L'avevamo messa in una delle nostre celle più solide, ed è scomparsa... si, è scomparsa dal reparto di massima sicurezza! Come l'hai tirata fuori, con una stregoneria? Sciocco... credeva che una cella potesse imprigionare la sacerdotessa e Custode di Sharra, la Nata dal Fuoco...? Lo spazio turbinò intorno a me. Vi fu un tuono scrosciante e io mi trovai sul selciato del cortile di Castel Comyn, con i piedi sui simboli intrecciati... e compresi che Kadarin aveva sguainato la Spada. Kadarin era là, e i suoi capelli pallidi si muovevano in un vento invisibile, le sue mani erano posate sulle spalle di Thyra, i suoi freddi occhi metallici erano colmi di minaccia, e Thyra... Thyra! Le fiamme s'innalzavano dalle sue chiome di rame, le scintille tremolavano all'estremità delle sue dita. Teneva tra le mani la Spada di Sharra, sguainala, e fiamme fredde guizzavano dall'impugnatura alla punta. Thyra! La mia amante, il mio amore... che cosa facevo, lì, lontano da lei? Alzò una mano e mi chiamò con un cenno, e incominciai a muovermi, snervato, senza essere consapevole del movimento. Sorrideva, mentre mi inginocchiavo ai suoi piedi, sulle pietre, e sentivo tutta la mia forza trasfondersi in lei, in quel fuoco che fluiva e fiammeggiava nelle sue mani... Poi una fiamma divampò azzurra e selvaggia, ai vertici del castello e compresi che Regis aveva sguainato la Spada di Aldones. Erano là, fisicamente, di fronte a me, Regis e Callina; e lei si protese verso di me, avviluppandomi nel freddo azzurro del gelido limbo di Ashara, e non fummo più nel cortile del Castello, ma negli spazi grigi del supramondo... laggiù
potevo vedere i nostri corpi, come giocattoli minuscoli, da una grande altezza, ma l'unica realtà nel mondo era rappresentata da quelle due spade, una di fiamma cremisi e l'altra di ghiaccio azzurro, incrociate e opposte l'una all'altra, e io... Io ero una marionetta, un granellino di potere nel mondo astrale, qualcosa teso in mezzo ad esse, quasi al punto di spezzarsi... La voce di Callina che mi ricordava Arilinn e tutto il mio passato, e il richiamo di Thyra, eccitante, seducente, con i ricordi del desiderio e della passione e del fuoco e del potere... Ero dilaniato, diviso, e mi sentivo nel contempo come un anello di congiunzione fra i due cerchi, Regis e Callina con la Spada di Aldones, e Thyra e Kadarin, e gli uni e gli altri cercavano di attirarmi come terzo, perché prestassi loro la mia energia... E poi vi fu un'altra forza nei cerchi allacciati... qualcosa di freddo, arrogante e brutale, un contatto aspro come quello di mio padre, il Dono degli Alton che aveva schiuso il mio, ma che non era il tocco di mio padre... Dyan! E mi aveva sempre detestato... e io ero alla sua mercé... Non mi avrebbe addolorato morire, ma non così... Ancora una volta, nella mia mente risuonò il grido finale della voce di mio padre, e fummo allacciati così strettamente che potei vedere Dyan guardare Regis con infinito calore e rimpianto al pensiero che, alla fine, si trovassero in due schieramenti opposti. Volevo stare al tuo fianco quando fossi stato Re di tutto Darkover, mio valoroso cugino Hastur... e poi, attraverso me, potei sentire il tocco di Dyan sul ricordo dell'appello devastante di mio padre, l'ultimo pensiero, prima della morte... E Dyan, in un momento di angoscia e di struggimento: Kennard! Mio primo, mio solo amico... mio cugino, mio parente, bredu... e non c'è nessun altro, ora, che viva e abbia il tuo sangue, e se colpirò ora ti avrò ucciso oltre la morte e l'immortalità... E poi un ultimo pensiero noncurante, quasi come una risata: Questo tuo figlio non è mai stato degno di un simile potere... E bruscamente fui libero, libero da Sharra, respinto in modo totale, e in quel momento di libertà fui bloccato nel rapporto mentale di Regis e Callina, il cerchio suggellato del potere... La forma di fuoco si levò alta, più alta, come il castello, come una montagna, come una tenebra rovente nel cuore... ma da Regis, che adesso appariva gigantesco, scaturì una folgore che centrò il cuore di Sharra, mentre levava la Spada di Aldones, pronto a colpire... Sharra fu incatenata dal Figlio di Hastur, che era il Figlio della Luce...
E avvolto nel suo manto di luce vivente, venne Aldones! Ora non c'era nulla da vedere, nessuna forma umana, soltanto il fuoco che lambiva sempre più alto, e la scintilla della matrice Sharra sfolgorava al centro di quella tenebra, e il nucleo dello splendore tra i veli che avvolgevano la figura del Dio, simile a Regis nella forma, ma più alto e torreggiante, non uno degli Hastur, ma il Dio in Persona... Due matrici identiche non possono esistere nello stesso tempo e nello stesso spazio; e già una volta, così diceva la leggenda, Sharra era stata incatenata dal Figlio di Aldones, che era il Figlio della Luce... Non so spiegare la leggenda, neppure ora, sebbene la vedessi. Avevo sentito il tocco demoniaco di Sharra. Il bene infinito è terrificante, a suo modo, quanto il male infinito. Non erano Regis e Kadarin che lottavano con spade forgiate in modo identico, una copia dell'altra. Non era neppure una matrice che si batteva contro una matrice capace di distorcere lo spazio, sebbene questo fosse più vicino alla verità. Qualcosa di tangibile e di reale lottava dietro ogni spada, qualcosa che non era su questo piano della realtà, e poteva manifestarsi e mantenere una presa in questa dimensione soltanto tramite le spade. Le folgori lampeggiavano nel mezzo, avvolte nell'aura d'arcobaleno che era Regis Hastur, attorcendosi nelle fiamme lambenti nel cui cuore Thyra risplendeva come una brace ardente. E per un istante sentii quell'ultima arroganza luminosa protendersi, Dyan che rifulgeva attraverso lo spazio, con il volto grifagno attento e curioso. Per un istante, poi, credo che il collegamento si spezzasse, e le spade furono soltanto spade, e per una frazione di secondo fummo di nuovo nel cortile del Castello, e sentii sotto i piedi i ciottoli. E in quel momento, so che avrebbe potuto agire e uccidere chiunque di noi... E per un momento Thyra stette davanti a me, di nuovo soltanto donna, sebbene la Forma di Fuoco la lambisse ancora, e l'odore di bruciato aleggiò nell'aria; e la sua gola era esposta al mio pugnale... Avevo giurato di ucciderli per vendicarli della perdita della mano. Ma in quel momento potevo ricordare solo che c'era stato un tempo in cui lei era apparsa davanti a me, una ragazza spaventata, atterrita dai propri poteri crescenti. Se gli stessi Dei mi avessero messo un pugnale nella mano in quel momento non avrei potuto colpirla, e per un attimo parve che un grande interrogativo vibrasse nel supramondo, e in questo mondo e in tutti gli universi della mia mente: Vuoi l'Amore del Potere o il Potere dell'Amore? E tutto, in me, si slanciò verso Kadarin, che un tempo avevo amato come
un fratello, verso la giovane e bellissima Thyra che io, come Kadarin, avevo distrutto. Non sono mai riuscito a spiegarlo: ma in quel momento bruciante della prova compresi che sarei morto nel fuoco di Sharra piuttosto di far loro più male di quanto ne avessero già sofferto. Tutto, in me, gridò un enorme, definitivo No! E poi combattemmo di nuovo nel limbo grigio del supramondo, e le due spade s'incrociarono e sfolgorarono come fulmini intrecciati. Poi le fiamme si abbassarono e morirono, e una grande tenebra divampò nel cuore della matrice Sharra. Vidi uno sfolgorio di fuoco infinito, e la fiamma ardente volgersi verso se stessa, e poi un grande vortice parve aprirsi, in un grande nulla turbinante. In quel nulla furono trascinati Kadarin e Thyra, due figure minuscole che scomparivano, travolte, separate... e un grande grido di dolore e di disperazione e all'ultimo istante, così fievole che non seppi mai se l'avevo udito o no, un grido momentaneo di gioia e di riscoperta che mi fece riudire nella mente l'ultimo grido di mio padre... — Carissimo...! Silenzio, e nulla, e tenebra... e la grande, dannabile Faccia che avevo visto nel supramondo di ghiaccio azzurro, il supramondo di Ashara... E poi mi trovai nella luce grigia dell'alba, sui ciottoli di Castel Comyn, di fronte a Regis che era di nuovo un giovane esitante, con la Spada di Aldones semi-sollevata nella mano, e accanto a lui Callina, pallida come una morta. Non c'era traccia di Kadarin e di Thyra, ma sul selciato davanti a noi, straziato e morente, giaceva Dyan Ardais, con il corpo annerito dal fuoco. La Spada di Sharra era spezzata nella sua mano. Ora non c'erano più gemme nell'impugnatura della spada: erano carbonizzate... sassi bruciati che, quando i primi raggi del sole li toccarono, evaporarono in pallide spire di fumo e scomparvero per sempre... come il potere di Sharra era scomparso per sempre da quel mondo. Regis rinfoderò la Spada di Aldones e s'inginocchiò accanto a Dyan, piangendo senza ritegno. Dyan aprì gli occhi colmi di sofferenza e per un momento vi scorsi la lucidità e un dolore così grande da perdere quasi ogni significato. Ma se Regis aveva sperato in una parola, rimase deluso. Gli occhi di Dyan scintillarono per un momento, guardandolo, poi fissarono qualcosa che non apparteneva a questo mondo. Ma per la prima volta da quando lo conoscevo sembrava sereno, in pace. Se avesse voluto ucciderci tutti, allora Sharra avrebbe trionfato... M'inginocchiai anch'io accanto al suo corpo riconoscendo quella morte eroica, mentre Regis copriva il cadavere con il suo mantello. Stringeva ancora la
Spada di Aldones, ma anch'essa aveva perduto tutto lo splendore e il potere: la lama era annerita in tutta la lunghezza, dallo strano fuoco in cui si era immersa. Dopo un momento Regis posò la Spada di Aldones sul petto di Dyan, come la spada di un eroe caduto viene deposta per essere sepolta con lui. Nessuno di noi protestò. Poi Regis si alzò, e i raggi del sole che sorgeva gli sfiorarono i capelli... divenuti bianchi come la neve. Era finita; e al di là di ogni speranza io ero libero e vivo... al di là di un caos incommensurabile, ero libero. Mi voltai verso Callina e finalmente, sapendo che eravamo liberi, la presi per la prima volta tra le braccia e premetti avidamente le labbra sulle sue. E tutto il desiderio morì nel mio cuore e nella mia mente quando guardai negli occhi gelidi di Ashara. Avrei dovuto saperlo fin dall'inizio. Solo un momento, e fu di nuovo Callina, che si aggrappava a me piangendo. Ma io avevo veduto. La lasciai, inorridito... e quando le mie braccia l'abbandonarono, Callina si accasciò lentamente sul selciato e giacque immobile accanto a Dyan. M'inginocchiai di nuovo, la girai, la raccolsi tra le braccia, ma lei era immota e già fredda. E adesso sapevo... Molte generazioni prima una potente Custode della stirpe degli Hastur aveva detenuto tutto il potere dei Comyn... e invecchiando non aveva voluto abbandonare il suo potere, e perciò l'aveva concentrato nella casata degli Aillard, e molte di quelle donne erano state le sue vice-Custodi, e avevano dato il loro potere ad Ashara; e Ashara, che adesso viveva soltanto nella matrice, si muoveva nel corpo e nella personalità della sua nuova Custode... e tra queste, la mia giovane parente era stata l'ultima. Mi ero chiesto perché non potevo mai toccare la sua mente, né avvicinarla, se non ogni tanto, per un solo momento... E ancora una volta il terrificante interrogativo del supramondo parve martellare nel mio cuore: l'Amore del Potere o il Potere dell'Amore? Giurerò fino al giorno della mia morte che Callina mi aveva amato. Altrimenti, l'antica maga degli Hastur avrebbe rischiato la fine della sua mente immortale e di tutto il suo potere, avrebbe rischiato tutto per liberarmi dall'asservimento a Sharra? Io e Regis, da soli, non avremmo potuto affrontare l'ultimo bagliore immortale del fuoco di Sharra. Ma con Callina che gettava temerariamente tutti i poteri di Ashara nella mischia, tramite il corpo del giovane Hastur che era suo parente, affinché la forza del primo Hastur, chiunque fosse stato, si manifestasse tramite la Spada di Aldones...
affinché Regis assumesse il potere e la maestà del Figlio della Luce, come chi teneva Sharra aveva assunto la Forma di Fuoco... Anche Dyan, alla fine non aveva potuto colpire con Sharra per annientare i suoi parenti. Per tutta la vita aveva lottato per l'onore dei Comyn, sia pure in modi strani, e alla fine aveva agito prima per proteggere mia figlia e poi per proteggere me, e non aveva potuto abbattere Regis... L'Amore del Potere o il Potere dell'Amore? Mi chiesi se quell'interrogativo non aveva martellato anche la sua mente durante i momenti finali della battaglia. Sopra di me, nel castello, udii un suono, non fisicamente, ma nel profondo della mente; libero dalla presenza bruciante di Sharra, adesso lo sentivo dentro di me; il suono di una bambina piangente, una bambina telepatica, sola, affamata, impaurita, che chiamava la madre morta e il padre per il quale provava un po' affetto e un po' timore. E io sapevo dov'era. Vidi Regis, con le spalle curve sotto il nuovo, terribile peso, i capelli incredibilmente incanutiti in quella battaglia, e lo vidi avviarsi stancamente verso il Castello. Suo nonno era sopravvissuto alla battaglia che doveva aver infuriato nelle menti di tutti i Comyn? Sì; Danilo era andato da lui e gli aveva prestato la sua forza... Anche Regis sentì il pianto, e si girò verso di me con un debole sorriso. — Vai da tua figlia, Lew. Ha bisogno di te. E... — Incredibilmente sorrise ancora. — È abbastanza grande per avere il Dono, ma non abbastanza per controllarlo. Se non vai a consolarla, farà impazzire tutti nel Castello e nella Città, con il suo pianto! Entrai e salii le scale verso l'unico luogo dove Dyan aveva saputo che non avrei cercato Marja, dove sarebbe stata nascosta: l'appartamento dei Ridenow, dove avevano alloggiato Dia e Lerrys. E quando irruppi oltre la porta, precipitandomi verso la stanza vuota, vidi Dia che teneva Marja sulle ginocchia, ma non riusciva a calmare i suoi gemiti, fino a quando mi chinai su di loro e le strinsi entrambe fra le braccia. Marja smise di piangere e si voltò verso di me; le grida telepatiche si acquietarono all'improvviso, lasciando soltanto qualche singhiozzo sommesso quando si aggrappò a me: — Padre! Padre! Avevo tanta paura, e tu non venivi, non venivi e io ero sola, così sola, e c'era il fuoco, e piangevo e piangevo e nessuno mi ha sentita tranne questa signora che non conosco, e che ha cercato di portarmi via... Calmai quell'esplosione isterica, stringendola a me. — È tutto a posto, chiya — mormorai, tenendo lei con un braccio e Dia
con l'altro. — È tutto a posto. Tuo padre è qui... — Non potevo dare a Dia un figlio suo. Ma quella creatura del mio sangue era sopravvissuta all'olocausto che aveva decimato i Comyn... e non mi sarei più fatto beffe del potere dell'amore che ci aveva salvati entrambi. Avevo voluto morire; ma ero vivo e, miracolosamente, ero lieto di essere vivo, e per me la vita era bella. Posai Marja, ridendo, e presi Dia tra le braccia. Non mi chiese nulla di Callina. Forse sapeva, forse aveva partecipato alla grande battaglia che, incominciavo a dubitare... era mai avvenuta, se non nella mia mente? Non l'avrei mai saputo. — Abbiamo appena il tempo — dissi, — di fermare il divorzio terrestre. Credo che non siano ancora passati dieci giorni... oppure ho perso il senso del tempo? Lei rise, un sorriso tremulo. — Dieci giorni? No, non proprio. Marja ci interruppe lanciando le sue proteste telepatiche: Ho fame! E ho paura! Smettila di baciarla e abbracciami! Dia l'attirò fra noi. — Ti forniremo subito una colazione enorme, chiya — disse gentilmente, — e poi qualcuno dovrà cercare di insegnarti l'educazione elementare in una famiglia di telepati. Se farai così ogni volta che bacerò tuo padre, o qualcosa del genere, figliolina, credo che comincerò a strillare come la cattiva matrigna delle favole! Quindi, per prima cosa, dovrai imparare le buone maniere! Incredibilmente, queste parole ci fecero ridere tutti e tre. E poi andammo nella Zona Terrestre per annullare l'inutile decreto di divorzio. Lungo la strada - non ricordo dove - ci fermammo a mangiare panini appena sfornati e crema di cereali a un chioschetto, e tutti quelli che ci guardavano pensarono che fossi uscito di buon'ora a far colazione con mia moglie e mia figlia. E mi accorsi che quella sensazione era piacevole. Non sentivo più che si limitavano a guardare le mie cicatrici. Se Dia non avesse accettato Marja... ma lei non era così. Aveva voluto un figlio mio, e ora avevo affidato mia figlia alle sue cure. La sofferenza non l'avrebbe mai abbandonata, per la patetica mostruosità che avrebbe dovuto essere nostro figlio; ma Dia non era mai vissuta nei passato. E adesso avevamo tutto il futuro davanti a noi. Marja teneva per mano me e Dia quando entrammo nella Zona Terrestre. Mi voltai indietro, una volta sola, a guardare Castel Comyn che s'innalzava dietro di noi. Sapevo che non saremmo mai ritornati. Ma io rifornai, una volta ancora. Avvenne pochi giorni dopo, ma Marja
aveva già incominciato a chiamare «madre» Dia. EPILOGO — Incoronato Re? Re di che cosa? — chiese Regis, scuotendo gentilmente la testa verso il nonno. — Con tutto il rispetto, mio signore, i Comyn non esistono più. Lew Alton è vivo, ma non vuole restare ad Armida... e non so perché dovrebbe farlo. I Ridenow si sono già piegati all'inevitabile e hanno chiesto la cittadinanza terrestre. Dyan è morto... e suo figlio ha soltanto tre anni. La Dama di Aillard è morta, e anche sua sorella; degli Aillard rimangono soltanto Merryl e la sua gemella, che è la madre del figlio di Dyan. Gli Elhalyn non ci sono più... pensi ancora che dobbiamo trattare i terrestri come nemici, mio signore? Io penso sia tempo di accettare che siamo ciò che dicono... una delle loro colonie perdute... e di chiedere il protettorato, per mantenere il nostro mondo come deve essere... immune alla tecnologia dell'Impero, ma parte dell'Impero terrestre. Danvan Hastur chinò la testa e disse: — Sapevo che sarebbe finita così. Che cosa intendi fare, Regis? Con la nuova e terribile sensibilità, Regis capiva ciò che provava il nonno; perciò assunse un tono molto gentile, quando rispose al vecchio. — Ho chiesto a Lawton di venire a farti visita, mio signore. Ricorda che è parente degli Ardais e dei Syrtis: avrebbe potuto prendere posto fra i Comyn. Dan Lawton entrò nella sala e, con grande sorpresa di Regis, s'inchinò profondamente e s'inginocchiò davanti a Danvan Hastur. — Z'par servu, vai dom — disse a voce bassa. — Che beffa è questa? — chiese Hastur. — Non è una beffa, mio signore — disse Lawton, senza alzarsi. — Sono qui per servirti come posso, Nobile Hastur, per assicurare che le vostre antiche usanze non abbiano a soffrire. — Credevo che ormai non fossimo altro che una colonia terrestre... — Non penso che tu abbia compreso che cosa significa essere un mondo dell'Impero, vai dom — rispose Lawton. — Significa che avete il diritto di decidere che cosa diventerà Darkover, voi che lo abitate. Potrete dividere o meno i nostri campi di apprendimento... anche se mi auguro che ci venga permesso d'imparare a conoscere un po' la tecnologia delle matrici, in modo che un episodio come quello di Sharra non abbia mai a ripetersi a nostra insaputa. Solo voi abitanti di Darkover - non tu personalmente, signore,
con tutto il rispetto - potete decidere quanti terrestri e in quali condizioni potranno essere impiegati qui o potranno stabilirsi qui. E perché i vostri interessi devono essere protetti nella Federazione di mondi che è l'Impero, avete il diritto di nominare o di eleggere un rappresentante al Senato imperiale. — Un ottimo pensiero — disse stancamente Danvan Hastur. — Ma chi è rimasto, di cui possiamo fidarci, dopo tutti i morti tra i Comyn? Credi che nominerò quel briccone di Lerrys Ridenow, solo perché conosce le usanze dell'Impero? — Sarei lieto di servirvi io stesso — disse Lawton, — perché amo la mia patria, e Darkover è la mia patria, come è la tua, Nobile Hastur, anche se ho scelto di vivere da terrestre; anch'io sono nato sotto il Sole Rosso, e ho sangue dei Comyn nelle vene. Ma credo che il mio compito sia qui, perché vi sia una voce darkovana nella Città Commerciale terrestre. Tuttavia, Regis ha trovato un candidato. Indicò la porta con un gesto, ed entrò Lew Alton. Il volto sfregiato, adesso, appariva sereno, senza la tensione e il tormento che l'avevano dominato così a lungo. Guardandolo, Regis pensò: Ecco un uomo che ha esorcizzato i suoi spettri. Potessi fare altrettanto! Un tempo, quando era stato sovrumano, si era proteso dal centro del mondo fino al cielo, armato di un potere mostruoso... E adesso non era altro che un essere umano e si sentiva piccino e privo di potere, rinchiuso in un'unica mente... — Un uomo che conosce Darkover e la Terra — disse Regis, senza alzare la voce. — Lewis-Kennard Montray-Alton di Armida, primo rappresentante presso il Senato Imperiale di Cottman Quattro, conosciuto come Darkover. — E Lew venne a inchinarsi davanti al Nobile Hastur. — Con il tuo permesso, mio signore, salirò sulla nave che partirà per le stelle al tramonto, con mia moglie e mia figlia. Sarò lieto di servire per un mandato, dopo di che potrei educare il popolo di Darkover a scegliere i suoi rappresentanti... Danvan Hastur tese la mano e disse: — Sarei stato lieto di vedere tuo padre al tuo posto, Dom Lewis. Il popolo di Darkover e io abbiamo motivo d'essere grati agli Alton. Lew s'inchinò e disse: — Spero di potervi servire degnamente. — E Hastur disse: — Che tutti gli Dei ti benedicano e ti accompagnino nel tuo viaggio. Regis lasciò il nonno intento a parlare con Lawton - era sicuro che un
giorno avrebbero finito per provare rispetto e simpatia l'uno per l'altro - e uscì nell'anticamera con Lew. Lo strinse nell'abbraccio di rito tra i parenti. — Ritornerai alla scadenza del tuo mandato, Lew? Abbiamo bisogno di te su Darkover... Un'espressione di sofferenza passò sul'viso di Lew; ma disse: — Non credo. Là... ai margini dell'Impero... vi sono mondi nuovi. Non... non posso guardare indietro. Qui ci sono state troppe morti... Regis avrebbe voluto gridare: — Perché devi andare di nuovo in esilio? — Ma deglutì con uno sforzo, chinò la testa e, dopo un momento, la risollevò e disse: — Così sia, bredu. E dovunque tu vada, gli Dei ti accompagnino. Adelandeyo. Sapeva che non avrebbe più rivisto Lew, e il suo cuore lo seguì quando uscì dalla sala. L'Impero è suo, e mille milioni di mondi... Ma il dovere è qui. Io sono... Hastur. E questo era abbastanza. O quasi. Mentre il sole rosso tramontava dietro l'alto passo montano, Regis stava con Danilo su un balcone affacciato sopra la Zona Terrestre, a guardare la grande astronave che s'innalzava, diretta verso le stelle. Dove io non potrò mai andare. E Lew porta con sé i miei ultimi sogni di libertà e di potere. Voglio l'Amore del Potere o il Potere dell'Amore? E all'improvviso comprese che in verità non invidiava Lew. Nessuna donna l'aveva mai amato com'era stato amato Lew, no. Ma Dyan aveva lasciato, morendo, l'eredità splendente di un'altra specie d'amore; qualcosa che aveva sentito, e ricordato solo vagamente, negli anni trascorsi a San Valentino delle Nevi, gli ritornò alla mente all'improvviso. — Dani, come dicono i cristoforos...? Non c'è amore più grande... Danilo rispose nel più antico dialetto del casta, quello che avevano parlato nel monastero: — Nessun uomo conosce un amore più grande di colui che dà la vita per il suo prossimo. Dyan aveva dato la vita per tutti loro e, con la sua morte, Regis era pervenuto a una comprensione nuova: l'amore era amore, comunque venisse, qualunque forma avesse. Un giorno avrebbe potuto amare così una donna; ma se quel giorno non fosse mai venuto, avrebbe accettato l'amore che era suo, senza vergogna o rimorso. — Non voglio essere Re — disse. — Sono Hastur: questo basta. — Un'eco gli affiorò nella mente, un ricordo che non sarebbe mai emerso com-
pletamente. Chi sei? Hastur... Era passato, come un'increspatura smorzatasi nel Lago. Disse: — Avrò bisogno di molto... di molto aiuto, Dani. E Danilo disse, ancora nell'antichissimo dialetto di Nevarsin: — Regis Hastur, io sono il tuo scudiero, in vita e in morte. Regis si asciugò il viso... la nebbia della sera si condensava nelle prime gocce di pioggia, ma gli bruciavano gli occhi. — Vieni — disse. — Non dobbiamo lasciare troppo solo mio nonno, e dobbiamo decidere come educare i nostri figli... Mikhail e il figlioletto di Dyan. Non possiamo stare qui tutta la notte. Rientrarono fianco a fianco nel Castello. L'ultima luce svanì dal cielo e la grande nave, lanciata verso l'Impero, era soltanto una stella fra centomila altre stelle. FINE