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Limit Limit Limit Presentazione Orley Space Station (OSS), 2 agosto 2024. Vic Thorn ha pochi secondi di vita. Stava riparando lo Shuttle che doveva portarlo sulla Luna, quando un braccio meccanico lo ha colpito, scagliandolo nel vuoto. Mentre fluttua verso il buio della morte, Vic comprende che il suo segreto si perderà con lui nello spazio infinito. È stato un incidente, un tragico incidente. Ma cambierà tutto… Isla de las Estrellas, oceano Pacifico, 19 maggio 2025. Il miliardario Julian Orley è un uomo che realizza sogni. È sua l’OSS, una grandiosa stazione spaziale. È suo l’ascensore che la collega alla Terra. Ed è suo il Gaia Hotel, il primo, lussuosissimo albergo costruito sulla Luna, in cui ospiterà alcune persone tra le più ricche e influenti del mondo, per offrire loro un’esperienza unica. Un viaggio che però non è soltanto una mossa propagandistica. Orley è infatti alla ricerca di finanziamenti per il suo progetto più ambizioso: estrarre e trasportare sulla Terra l’elio-3, una fonte di energia pulita e pressoché illimitata che si ricava dalla polvere lunare. Un’impresa rivoluzionaria, che muterebbe gli scenari economici e geopolitici mondiali. Un’impresa che, per qualcuno, deve fallire… Shanghai, Cina, 25 maggio 2025. Ormai da due giorni Chén Hóngbng non ha notizie di sua figlia Yoyo, una ragazza che non ha mai fatto mistero della sua attività di dissidente. Così si rivolge al detective Owen Jericho, chiedendogli d’indagare con la massima discrezione. Tuttavia quella che sembra una «semplice» scomparsa si rivela ben presto la prima tessera di un mosaico che si estende dall’Estremo Oriente agli Stati Uniti, dall’Europa fino al cuore segreto dell’Africa. Un mosaico che, se completato, rivelerebbe un piano che minaccia non solo il futuro della Terra, ma pure quello della Luna… Dopo averci portato nelle profondità degli abissi marini con Il quinto giorno, Frank Schätzing ci conduce là dove le nostre aspettative più audaci incontrano le nostre peggiori paure, in un’avventura senza limiti. Frank Schätzing è nato nel 1957 a Colonia, dove vive tuttora. Dopo aver studiato scienza delle comunicazioni, ha fondato la prestigiosa agenzia pubblicitaria Intevi e, in seguito, l’etichetta discografica Sounds Fiction. Si è imposto all’attenzione del pubblico con Il quinto giorno (Nord, 2005), un romanzo che ha ridefinito i confini del genere avventuroso ed è stato salutato da un enorme successo in tutto il mondo. Ma la sua personalità eclettica, unita a un’abilità narrativa fuori dal comune, gli ha permesso di ottenere eccezionali consensi anche con Il diavolo nella cattedrale (Nord, 2006; vincitore del Premio Bancarella 2007), un appas-
sionante giallo storico, con Il mondo d’acqua (Nord, 2007), in cui ha tracciato, con passione, ironia e competenza scientifica, la storia dell’evoluzione della vita sulla Terra, e con Silenzio assoluto (Nord, 2008), un thriller politico dai risvolti sorprendenti. È uno degli autori più letti in Europa. Limit NARRATIVA 421 Limit Limit Titolo originale Limit ISBN 978-88-429-1808-0 Traduzione di Romina Tappa e Rosa C. Stoppani Consulenza scientifica: Francesco di Tolle Si ringrazia Giorgia Sallusti per il suo contributo nella traslitterazione dei nomi cinesi Visita www.InfiniteStorie.it il grande portale del romanzo Originally published in the German language as Limit by Frank Schatzing © 2009 by Verlag Kiepenheuer & Witsch GmbH & Co. KG, Koln / Germany © 2010 Casa Editrice Nord s.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione digitale 2010 Realizzato da Jouve Quest´opera è protetta dalla Legge sul diritto d´autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Limit LIMIT A Brigitte e Rolf, che mi hanno dato la vita sulla Terra A Christine e Clive, che mi hanno regalato un frammento di Luna Limit Planet Earth is blue And there’s nothing I can do DAVID BOWIE
Limit 2 AGOSTO 2024 PROLOGO EVA I want to wake up in that city that doesn’t sleep... Il caro, vecchio Frankieboy. Del tutto indifferente ai cambiamenti del mondo urbano, posto che, al risveglio, fosse possibile farsi un bicchierino. Vic Thorn si stropiccio gli occhi. Di l a mezz’ora, la sveglia avrebbe buttato giu dal letto quelli del primo turno. In teoria, lui poteva fregarsene. Da semplice visitatore, era libero di decidere come trascorrere la propria giornata. Tuttavia ci si aspettava che pure gli ospiti si adeguassero, almeno formalmente, alla situazione; il che non significava alzarsi presto, ma essere svegliati. If I can make it there, I’ll make it anywhere... Thorn inizio a slacciarsi la cintura di sicurezza. Considerava un prolungato riposo notturno alla stregua di una perdita di tempo e voleva quindi dormire il meno possibile; cos, per il risveglio, si affidava esclusivamente al proprio orologio biologico. Ma soprattutto voleva sempre scegliere chi o che cosa avrebbe riattivato la sua consapevolezza. E gli piaceva «riavviare il sistema» con la musica. Un compito che di preferenza affidava al Rat Pack, cioe a Frank Sinatra, Dean Martin, Joey Bishop, Peter Lawford e Sammy Davis jr., ruvidi eroi di un’epoca lontana per i quali provava uno slancio quasi romantico. Peraltro non c’era proprio nulla, in quel luogo, che avrebbe permesso ai cinque del Rat Pack di vivere com’erano abituati. Persino il famoso motto di Dean Martin: «Se riesci a startene sdraiato senza doverti aggrappare da qualche parte, allora non sei ubriaco», in assenza di gravita si scontrava coi limiti delle leggi fisiche; per non parlare del fatto che, in un posto come quello, non si poteva cadere dallo sgabello di un bar e ogni ebbrezza alcolica sarebbe repentinamente svanita nel momento in cui, arrancando, ci si fosse diretti all’uscita. A 35.786 chilometri dal suolo terrestre non c’erano battone ad aspettarti fuori dalla porta, solo il vuoto mortale dello spazio profondo. Top of the list, king of the hill... Thorn farfuglio uno stonato: «New York, New York...» Poi si diede lo slancio con un’impercettibile contrazione dei muscoli, si stacco dalla cuccetta, si lascio trasportare verso il piccolo oblo rotondo della cabina e guardo fuori. Nella citta che non dormiva mai, Huros-ED-4 era diretto verso il suo successivo intervento.
Il freddo dello spazio non lo impensieriva, ne lo preoccupava l’assenza di atmosfera. Il giorno e la notte - il cui alternarsi, a quella distanza dalla Terra, si fondava piu su una convenzione che su reali percezioni sensoriali - per lui non avevano nessun valore. La sua sveglia era un comando codificato nel linguaggio di programmazione. «Huros-ED» era l’acronimo di Humanoid Robotic System for Extravehicular Demands e il numero 4 lo identificava all’interno del gruppo di altri diciannove robot dello stesso tipo. Ciascuno era alto due metri, con la parte superiore del corpo e la testa dall’aspetto antropomorfo, e dotato di lunghe braccia che, a riposo, ricordavano le zampe anteriori di una mantide religiosa. In caso di bisogno, le braccia rivelavano una mobilita sorprendente, con mani in grado di compiere operazioni assai complesse. Dal tronco, che era un condensato di elettronica, fuoriusciva un secondo paio di braccia piu piccole. Gli arti inferiori, invece, erano assenti: dal bacino dell’Huros-ED, nel punto in cui nel corpo umano iniziavano le cosce, spuntavano organi prensili flessibili provvisti di ventose, che gli permettevano di ancorarsi in qualsiasi punto in cui fosse richiesto il suo intervento. Durante le pause, Huros-ED-4 cercava una nicchia riparata, collegava le batterie all’alimentazione centrale, riempiva i serbatoi dei suoi propulsori di navigazione e contemplava la macchina. Al momento, la sua ultima pausa risaliva a otto ore prima. Da allora, il robot Huros-ED aveva diligentemente lavorato nei punti piu disparati della gigantesca stazione spaziale. Nei settori esterni del «tetto», come veniva chiamata la parte rivolta verso lo zenit, aveva partecipato alla sostituzione di pannelli fotovoltaici, poi aveva regolato le luci di allineamento per il punto d’attracco 2 all’interno dell’hangar, dov’era in corso l’assemblaggio di una delle navicelle spaziali per la programmata missione su Marte. Successivamente era stato richiamato cento metri piu in basso, nel punto in cui, lungo le travi, erano allineate le strumentazioni scientifiche, col compito di rimuovere il circuito stampato guasto di un’apparecchiatura per la scansione della superficie dell’oceano Pacifico davanti alle coste dell’Ecuador. Dopo il ricondizionamento, gli era stato ordinato di raggiungere la piattaforma di attracco per esaminare il braccio di un manipolatore che, per qualche motivo, aveva smesso di funzionare durante un’operazione di carico. Raggiungere la piattaforma di attracco significava scendere lungo la stazione fino a un anello di centottanta metri di diametro provvisto di otto punti d’attracco per gli shuttle lunari e altri otto per le navette di evacuazione. Dimenticando per un attimo che le navicelle l ormeggiate solcavano il vuoto anziche l’acqua, l’attivita sulla piattaforma non appariva molto diversa da quella dei grandi porti marittimi terrestri di Amburgo o di Rotterdam, comprese le gru, che l erano enormi bracci robotizzati su rotaia chiamati «manipolatori». Uno di quelli aveva improvvisamente interrotto le operazioni di carico di uno shuttle commerciale con equipaggio che sarebbe dovuto partire per la Luna poche ore dopo. Vari indizi facevano pensare che non si
trattasse di un guasto. Il braccio avrebbe dovuto funzionare ma, con la testardaggine tipica delle macchine, si rifiutava di eseguire qualsiasi movimento e se ne stava sospeso nel vuoto con gli attuatori aperti per meta nel vano di carico dello shuttle e per meta all’esterno, impedendo di fatto la possibilita di richiudere il portellone della navicella. Seguendo le traiettorie di volo, Huros-ED-4 passo accanto agli shuttle ormeggiati, alle camere di decompressione e ai tunnel di collegamento, ai serbatoi sferici, ai container e ai piloni fino a raggiungere il braccio difettoso, che brillava di una luce fredda sotto i raggi non schermati del sole. A mano a mano che si avvicinava alla struttura e ne sottoponeva ogni singolo centimetro quadrato a un’analisi approfondita, le telecamere installate dietro la mascherina sulla testa e alle estremita delle braccia inviavano immagini alla centrale. Il robot confronto via via cio che vedeva con le immagini registrate nella sua memoria finche non individuo la causa del guasto. Si fermo. Qualcuno nella centrale di comando sbotto in un «Oh, merda!» che indusse Huros-ED-4 a inviare un’immediata richiesta di conferma. Pur essendo programmato per la scansione della voce umana, non riusciva a riconoscere in quel commento nessun comando che per lui avesse un senso. La centrale prefer non ripetere, quindi inizialmente Huros-ED-4 non fece nulla, limitandosi a esaminare il danno. In una delle articolazioni del manipolatore erano incastrate alcune schegge. Una crepa lunga e profonda percorreva trasversalmente l’intera articolazione, come una ferita aperta. A prima vista, l’elettronica non sembrava danneggiata, dunque si trattava di un semplice guasto meccanico, comunque abbastanza grave da bloccare il manipolatore. La centrale gli ordino di pulire l’articolazione. Huros-ED-4 non si mosse. Se fosse stato un essere umano, si sarebbe detto che esitava. Poi chiese maggiori informazioni, rivelando cos, nel suo tipico modo un po’ vago, che il compito era al di sopra delle sue possibilita. Benche quella serie di robot fosse all’avanguardia - controllo tramite sensori, capacita di reazione alle impressioni sensoriali, azione flessibile e autonoma -, si trattava comunque di macchine capaci di ragionare soltanto in base alla loro programmazione. Huros-ED-4 vedeva le schegge e nel contempo non le vedeva. Sapeva che c’erano, pero non sapeva cosa fossero. Allo stesso modo, aveva registrato la presenza della crepa, pero non era in grado di associarla a nessuna delle informazioni memorizzate. I punti danneggiati per lui non esistevano, pertanto non riusciva a capire cosa dovesse pulire... e aveva quindi deciso di non pulire nulla. Se avessero avuto una minima scintilla di consapevolezza, quei robot avrebbero compreso quanto fosse spensierata la loro esistenza.
Quell’incidente era destinato a far preoccupare qualcun altro ancora di piu. Vic Thorn aveva fatto una lunga doccia, ascoltato My Way, indossato T-shirt, scarpe da ginnastica e shorts e aveva appena deciso d’iniziare la giornata in palestra, quando aveva ricevuto la chiamata dalla centrale. «Forse lei ci puo dare una mano a risolvere un problema», disse Ed Haskin, il responsabile della piattaforma di attracco e dei sistemi collegati. «Subito?» borbotto Thorn. «Volevo fare un giro sul tapis roulant.» «Meglio subito.» «Che succede?» «Sembra che ci siano problemi con la sua navicella.» Thorn si mordicchio il labbro. La prospettiva di dover ritardare la partenza fece risuonare mille campanelli d’allarme nella sua testa. Male, malissimo! La navicella, con a bordo sette astronauti oltre a lui, avrebbe dovuto lasciare la stazione intorno a mezzogiorno per dare il cambio all’equipaggio della base lunare americana, i cui componenti, dopo sei mesi di esilio, erano perseguitati da sogni febbrili di strade asfaltate, di appartamenti con la tappezzeria sulle pareti, di salsicce, di prati e di un cielo pieno di colori, di nuvole e di pioggia. Per di piu, Thorn era uno dei due piloti nei due giorni e mezzo di viaggio, per giunta col grado di comandante, il che spiegava perche lo avessero coinvolto. E c’era anche un altro motivo per cui lui considerava un possibile ritardo quantomeno inopportuno... «Che problema ha la carretta? » chiese in tono indifferente. «Non vuole volare?» «Oh, vorrebbe farlo, ma non puo. Si e verificato un guasto durante le operazioni di carico. Il manipolatore e fuori uso e blocca l’apertura. Non riusciamo a chiudere il vano di carico.» «Capisco.» Thorn fu travolto da un’ondata di sollievo. Un manipolatore difettoso era un problema risolvibile. «E si conosce la causa del guasto?» «Debris. Bombardamento intenso.» Thorn sospiro. Space debris, cioe detriti spaziali, la cui fastidiosa onnipresenza era dovuta alla frenetica corsa alla conquista dello spazio inaugurata negli anni ’50 dai russi col lancio degli Sputnik. Da allora, i rimasugli di migliaia di missioni fluttuavano a ogni altezza: stadi esauriti di missili, satelliti dimenticati, rottami d’innumerevoli esplosioni e collisioni, reattori completi e scorie minuscole, goccioline di liquido refrigerante congelato, viti e fili metallici, frammenti di plastica e di metallo, brandelli di fogli dorati, pezzetti di vernice scrostata... La continua frantumazione dei detriti, dovuta a sempre nuove collisioni, non faceva che moltiplicarli all’infinito. Secondo le stime, gli oggetti piu grandi di un centimetro erano ormai oltre novecentomila. Poco meno del tre per cento di quei frammenti era costantemente monitorato; tutti gli altri, e miliardi di particelle e micrometeoriti piu piccoli, si sottraevano a ogni previsione di percorso. Nel dubbio, si poteva considerare inevitabile un impatto analogo a quello di un in-
setto sul parabrezza di un’auto. Ma, se una vespa avesse colpito una limousine con lo stesso impulso di uno Space debris, avrebbe sviluppato l’energia cinetica di una granata, causando una distruzione totale. Le velocita degli oggetti in rotta di collisione nello spazio si sommavano in modo devastante. Persino particelle non piu grandi di un micron alla lunga acquistavano un potere distruttivo enorme, mettendo fuori uso pannelli solari, distruggendo la superficie dei satelliti e scalfendo i rivestimenti esterni delle navicelle spaziali. I detriti piu vicini all’orbita terrestre si disintegravano a contatto con gli strati superiori dell’atmosfera, ma altri ne prendevano il posto. Ad altezze maggiori, non c’erano condizioni in cui potessero essere distrutti e, nell’orbita della stazione spaziale, potevano durare in eterno. L’unico aspetto moderatamente rassicurante del problema era il fatto che molti degli oggetti piu pericolosi erano noti e le loro traiettorie venivano calcolate con settimane o mesi di anticipo, consentendo cos agli astronauti di spostare l’intera stazione per evitare l’impatto. L’oggetto che si era disintegrato sul manipolatore evidentemente non rientrava in quest’ultima categoria. «E io che ci posso fare?» chiese Thorn. «Be’, lavoro di squadra.» Haskin fece una risatina nervosa. «Sa com’e, scarsita di risorse. Il robot non riesce a risolvere il problema da solo. Occorre uscire in due, ma al momento ho a disposizione solo una persona. Sarebbe disposto ad aiutarci?» Thorn non ci penso neppure. Per lui era di vitale importanza riuscire a partire all’orario stabilito. Inoltre le passeggiate nello spazio gli piacevano. «Nessun problema.» «Uscira con Karina Spektor.» Ancora meglio. Aveva conosciuto Karina, un’esperta di robotica di origine russa con gli zigomi alti e gli occhi da gatta, la sera prima nel ristorante riservato agli astronauti e lei aveva rivelato una piacevole apertura alla comprensione tra i popoli. «Sto arrivando», concluse. ... in a city that never sleeps... Le citta adorano produrre rumore. Strade in cui l’aria e satura di stimoli acustici. Persone che si fanno notare suonando il clacson, gridando il nome di qualcuno, fischiando, chiacchierando, ridendo, lamentandosi, urlando. Il rumore come collante sociale, codificato nella cacofonia. Chitarristi, cantanti, sassofonisti negli atri degli edifici e sulle banchine della metropolitana. Cornacchie che manifestano il loro malumore, cani che abbaiano. Il rimbombo delle macchine industriali, chiassosi martelli pneumatici, metallo su metallo. Rumori inaspettati, familiari, carezzevoli, striduli, acuti, cupi, misteriosi, che s’intensificano e poi si attenuano, che si avvicinano e poi si allontanano, rumori che salgono come gas, altri che colpiscono lo stomaco e le orecchie. Il borioso rumore baritonale delle limousine che si disputano l’egemonia della strada con schizzinosi motorini, col ronzio delle automobili elettriche, con l’aggressivita delle
macchine sportive, con le moto tirate a lucido, col secco «fatti-da-parte» degli autobus. Musica nelle boutique. Concerti improvvisati nelle zone pedonali, gente che gironzola, strascica i piedi, cammina impettita, va di fretta. Nel cielo, il rombo delle turbine di aerei lontani. Una citta e come una gigantesca campana. All’esterno di una stazione spaziale, non c’e nulla di tutto cio. Per quanto fossero familiari i rumori all’interno dei moduli abitativi, dei laboratori, delle sale di controllo, dei tunnel di collegamento, dei settori per il tempo libero e dei ristoranti, distribuiti su un’altezza complessiva di duecentottanta metri, quando si lasciava per la prima volta la stazione per l’EVA, l’Extravehicular Activity, l’attivita esterna, ci s’immergeva in un ambiente spettrale. Senza preavviso, ci si trovava fuori, ma davvero fuori, fuori come in nessun altro luogo. Al di la delle camere di decompressione, cessava ogni impulso acustico. Non era come diventare improvvisamente sordi, ovvio. Si potevano udire i rumori prodotti dal proprio corpo, il ronzio del sistema di pressurizzazione integrato nella tuta e la radio, ma tutto cio avveniva all’interno della piccola navicella portatile che s’indossava. Tutt’intorno, nel vuoto, regnava un silenzio assoluto. Era possibile scrutare l’impressionante sagoma della stazione; sbirciare all’interno degli oblo illuminati; scorgere il gelido luccichio degli accumulatori delle luci di allineamento, che non sarebbero mai atterrate su un pianeta e che avevano senso unicamente in assenza di gravita; osservare l’attivita di quella grande e laboriosa citta, i movimenti delle gru lungo l’anello esterno e il viavai delle navette nel settore interno; i robot che fluttuavano nel vuoto, abbastanza simili a esseri viventi da far venire voglia di chieder loro la strada... Intimamente sopraffatti dalla bellezza di quella grande costruzione, della Terra lontana e della fredda luce delle stelle, non diffusa da nessuna atmosfera, quasi ci si aspettava di udire una musica misteriosa o romantica. Ma l’universo restava muto: la grandiosita trovava la sua orchestrazione unicamente nel proprio respiro. In compagnia di Karina Spektor, Thorn fluttuava nel vuoto e nel silenzio verso il manipolatore guasto. I propulsori direzionali delle tute consentivano una navigazione molto precisa. I due superarono i vari punti d’attracco dell’enorme porto ad anello, largo come un’autostrada, che si snodava intorno alla costruzione a forma di torre della stazione. Al momento, vi erano ormeggiati tre shuttle lunari: due alle camere di decompressione e la navicella di Thorn in posizione di parcheggio; inoltre c’erano le otto navette di evacuazione, simili a piccoli aeroplani. In fondo, l’intero anello non era altro che un’enorme stazione di smistamento, grazie alla quale i veicoli spaziali potevano cambiare la propria posizione cos da mantenere la struttura simmetrica della stazione in perfetto equilibrio. Dal Torus-2, il modulo di distribuzione al centro dell’anello, Thorn e Karina avevano raggiunto uno dei tunnel esterni a poca distanza dallo shuttle. La sagoma della navicella si
stagliava nel sole, bianca e massiccia, col portellone di carico aperto. Il braccio irrigidito del manipolatore sporgeva sopra di esso, piegato all’altezza del gomito per poi scomparire all’interno del vano di carico. Davanti alla piattaforma di ancoraggio stava sospeso l’HurosED-4. Era immobile, con gli occhi rivolti verso l’articolazione bloccata, in un atteggiamento che sembrava di disapprovazione. Solo all’ultimo momento si sposto di lato per consentire agli esseri umani di esaminare il danno. Ovviamente non si comportava cos per una specie di «testardaggine informatica », dal momento che un Huros non aveva la minima consapevolezza di se stesso: il fatto era che le sue immagini ormai non erano piu richieste. Da quel momento in poi, contavano solo le impressioni inviate alla centrale dalle telecamere incorporate nei caschi. «Allora?» chiese Haskin. «Che ne pensate?» «Brutta storia.» Karina afferro le aste del manipolatore e si avvicino leggermente. Thorn la segu. «Strano... È come se qualcosa avesse urtato il braccio, provocando questo solco. Ma l’elettronica non sembra danneggiata.» «Allora dovrebbe riuscire a muoversi», ribatte Haskin. «Non necessariamente», disse Karina. Parlava inglese con un forte accento slavo e Thorn trovava la cosa molto sexy. In fondo, era un peccato che non potesse fermarsi un altro giorno. «Durante l’impatto dovrebbe essersi formata una grande quantita di microdetriti. Forse il nostro amico soffre di stitichezza. L’Huros ha eseguito un’analisi ambientale?» «C’e una leggera contaminazione», spiego Haskin. «E le schegge? Potrebbero essere responsabili del blocco?» «Cos sembra... Ed e possibile che vengano dal braccio stesso. Forse qualcosa si e spostato e il braccio e in tensione.» Karina esamino l’articolazione. «D’altro canto, questo e un manipolatore, non una forchetta da dessert. L’oggetto che l’ha colpito probabilmente non misurava piu di sette-otto millimetri. Secondo me, non si e trattato nemmeno di un vero e proprio impatto. Una cosa del genere dovrebbe essere sopportabile.» «Te ne intendi parecchio», disse Thorn con ammirazione. «È la mia specialita», rise lei. «In pratica, non mi occupo d’altro. Gli Space debris sono il nostro problema principale, quassu. » «E quello cos’e?» Thorn si sporse in avanti e indico un punto da cui sporgeva un minuscolo frammento chiaro. «Potrebbe essere un pezzo del meteorite?» «Qualunque cosa sia, proviene sicuramente dalla cosa che ha colpito il braccio», annu Karina. «Le analisi ci potranno dire qualcosa di piu.» «Appunto», intervenne Haskin. «Quindi muovetevi. Propongo di tirare fuori quel coso col compressore a etanolo.»
«Abbiamo una cosa del genere?» chiese Thorn. «L’Huros ce l’ha», rispose Karina. «Possiamo usare il suo braccio. All’interno ci sono dei serbatoi e sugli attuatori ci sono degli ugelli. Pero dobbiamo farlo in due, Vic. Hai mai lavorato con un Huros?» «Non direttamente.» «Ti faccio vedere. Per poterlo utilizzare come strumento, bisogna disattivarlo parzialmente. Cio significa che uno di noi deve stabilizzarlo, mentre l’altro...» D’un tratto, il manipolatore si rianimo. Il gigantesco braccio usc dal vano di carico, indietreggio, esegu un giro completo, afferro l’Huros-ED e gli assesto un colpo, come se, accortosi della sua presenza, ne fosse infastidito. D’istinto, Thorn spinse Karina verso il basso, fuori dalla zona di collisione, ma non pote evitare che il robot le colpisse la spalla. La donna giro vorticosamente su se stessa, pero riusc ad aggrapparsi alle aste. Poi il manipolatore cozzo contro Thorn, lo scaglio lontano da lei e dall’anello e lo catapulto nello spazio. Indietro! Doveva tornare indietro! Con le urla di Haskin e di Karina nelle orecchie, cerco freneticamente di raggiungere i comandi dei propulsori direzionali, seguito dalla sagoma dell’Huros-ED che piroettava nel vuoto e si avvicinava sempre di piu. La parte inferiore del robot lo colp sul casco. Thorn si rovescio, prese a girare come una trottola e venne scagliato oltre il bordo dell’anello, allontanandosi a velocita spaventosa dalla stazione spaziale. Con orrore, si rese conto che, nel tentativo di proteggere Karina, aveva sprecato la sua unica possibilita di salvezza. Sebbene fosse in preda al panico, trovo i comandi dei propulsori direzionali e li accese per stabilizzare la traiettoria con brevi colpi. Poi si rese conto che non riusciva piu a respirare, che la sua tuta era stata danneggiata, che era finita... Si dimeno, cerco di urlare. L’urlo gli si spense in gola. Vic Thorn si perse nella silenziosa notte senza fine e, negli istanti della sua agonia, tutto cambio. Tutto. Limit 19 MAGGIO 2025 L’ISOLA ISLA DE LAS ESTRELLAS, OCEANO PACIFICO L’isola era poco piu di uno sperone roccioso che la linea dell’equatore attraversava come una perla fatta passare in un filo. Le sue attrattive non potevano competere con quelle delle
isole vicine. A ovest, si stagliava sul mare una massiccia scogliera, incoronata dalla foresta tropicale, scura e inaccessibile, abbarbicata sui fianchi rocciosi di un vulcano e abitata quasi esclusivamente da insetti, ragni e una specie di pipistrelli particolarmente brutti. Nelle fenditure e nelle gole s’infiltravano rigagnoli che confluivano in torrenti, i quali riversavano le loro acque nell’oceano. Sul lato orientale, il paesaggio si presentava a terrazze, punteggiate da alture rocciose, perlopiu spoglie. Sarebbe stato perfettamente inutile cercare spiagge dorate e palme: le spiagge delle poche insenature dalle quali era possibile raggiungere l’interno erano di sabbia basaltica nera. Sulle rocce lungo la riva, prendevano il sole lucertole variopinte che trascorrevano la giornata saltando fino a un metro di altezza per acchiappare gli insetti: l’avvenimento piu eccitante offerto dalla natura in quel luogo. Nel complesso, insomma, l’isola non possedeva nulla che non si potesse trovare altrove. E che fosse piu bello, piu grande o piu alto. Eppure quell’isola aveva qualcosa di unico: la posizione geografica. Si trovava esattamente sull’equatore, sulla linea in cui l’emisfero settentrionale e meridionale s’incontrano, cinquecentocinquanta chilometri a ovest delle coste dell’Ecuador e quindi fuori dalle rotte aeree. In quella parte del mondo, le tempeste erano pressoche sconosciute e non c’erano mai fulmini. Nella prima meta dell’anno pioveva spesso, intensamente e per ore, ma senza che il vento rinfrescasse l’aria. Le temperature non scendevano quasi mai al di sotto dei 22 °C; di solito, pero, erano sensibilmente piu alte. In piu, l’isola era disabitata e di nessun interesse dal punto di vista economico. Ecco perche il parlamento ecuadoriano non aveva avuto problemi a cederla in affitto per quarant’anni, in cambio di una sostanziosa somma di denaro che era andata a rimpinguare le casse dello Stato. Il primo atto dei nuovi locatari era stato ribattezzare l’isola, chiamata Isla Leona, in Isla de las Estrellas: Stellar Island, l’isola delle stelle. In seguito, parte del versante orientale sarebbe scomparsa sotto un ammasso di vetro e acciaio, scatenando le ire degli ambientalisti. Di fatto, pero, l’impatto della costruzione sull’ecosistema fu pressoche nullo. Gli stormi di uccelli marini che nidificavano sull’isola non sembrarono minimamente turbati dalla presenza umana e continuarono a imbiancare le strutture architettoniche e le rocce coi loro escrementi, come avevano sempre fatto. Gli animali erano completamente indifferenti al concetto di bellezza, e gli uomini coltivavano aspirazioni che nulla avevano a che fare coi gabbiani codadirondine e coi fratini. In ogni caso, fino a quel momento, ben poche persone avevano messo piede sull’isola, e tutto lasciava supporre che quella sarebbe rimasta una localita esclusiva anche in futuro. Nel contempo, pero, quell’isolotto aveva acceso la fantasia dell’umanita intera. Benche fosse poco piu di un insieme di rocce frastagliate ricoperte di guano, agli occhi del mondo quello era il posto piu straordinario e forse piu promettente della Terra. Il suo fascino
risiedeva in una struttura situata a circa due miglia marine dall’isola, una gigantesca piattaforma che poggiava su cinque piloni alti come palazzi. Nelle giornate di foschia, da lontano, non si riusciva a coglierne la particolarita. Si vedevano costruzioni basse, centrali elettriche e serbatoi, un eliporto, un terminal con una torre di controllo, antenne e radiotelescopi. Nell’insieme, il complesso ricordava un aeroporto, con l’unica differenza che mancavano le piste di atterraggio. Al centro troneggiava una struttura cilindrica di dimensioni imponenti, un colosso luccicante dai cui fianchi uscivano fasci di tubi, simili a meandri di un fiume. Solo socchiudendo le palpebre s’individuava una sottile linea nera che, dal cilindro, si protendeva verso il cielo, perfettamente in verticale. Nelle giornate nuvolose, quella linea scompariva, inghiottita dalla massa bianca dopo poche centinaia di metri; d’istinto, veniva da chiedersi cosa si sarebbe visto se il cielo fosse stato sereno. Persino chi ne sapeva qualcosa di piu - ed era il caso di chiunque fosse autorizzato a entrare nel settore di massima sicurezza - si aspettava di vedere il punto di arrivo di quella linea sottile, di trovare nel cielo un riferimento al quale l’immaginazione potesse appigliarsi. Invece non c’era nulla. Anche se splendeva il sole e il cielo era terso, era impossibile vederne la fine. La linea diventava sempre piu sottile, fino a smaterializzarsi nell’atmosfera. Osservandola attraverso un binocolo, si riusciva soltanto a vederla sfumare un po’ piu in alto. Chi restava a fissarla sino a farsi venire il torcicollo, alla fine arrivava quasi a comprendere il significato profondo delle ormai leggendarie parole di Julian Orley: «L’Isla de las Estrellas e il pianterreno dell’eternita». Quel giorno, fu Carl Hanna a mettere a dura prova la sua cervicale, contorcendosi sul sedile dell’elicottero con lo sguardo fisso al cielo e la bocca aperta come un ebete, mentre sotto di lui due balenottere fendevano l’azzurro del Pacifico. Hanna non le degno della minima attenzione. Quando il pilota segnalo per l’ennesima volta la presenza di quei rari mammiferi, lui borbotto che non c’era nulla di piu noioso del mare. L’elicottero viro e si diresse rombando verso la piattaforma. Per un attimo, la linea sbiad fino a dissolversi, tornando poi ben visibile, diritta come se fosse stata tracciata nel cielo con un righello. Un momento dopo, si sdoppio. «Sono due», noto Mukesh Nair, scostandosi i folti capelli neri dalla fronte. Il suo viso scuro era trasfigurato dall’eccitazione e le grandi narici del naso bitorzoluto si gonfiavano come se lui volesse assorbire quello che stava vedendo attraverso il respiro. «Certo che sono due.» Sua moglie Sushma alzo l’indice e il medio come se dovesse spiegare una cosa ovvia a un bambino: «Due cabine, due funi». «Ma s, lo so, lo so!» replico Nair, spazientito. Poi sorrise e guardo Hanna. «Un vero prodigio! Lo sa quanto sono larghe quelle funi?»
Hanna ricambio il sorriso. «Poco piu di un metro, mi pare.» «Per un attimo sono sparite. Semplicemente sparite», mormoro Nair, guardando fuori e scuotendo la testa. «Confermo.» «L’ha visto anche lei? E tu? Tremolava come un miraggio nel deserto. Hai visto anche...» «S, Mukesh. Ho visto anch’io.» «Credevo di aver avuto un’allucinazione.» «No, hai visto bene», disse gentilmente Sushma, appoggiandogli sul ginocchio la mano piccola e liscia. A Hanna i due sembravano usciti da un quadro di Fernando Botero. Le stesse figure tondeggianti con gli arti corti e gonfi. Guardo di nuovo fuori dal finestrino. Mentre passava accanto alla piattaforma, l’elicottero si tenne a distanza di sicurezza dalle funi. Solo i piloti autorizzati della NASA e dell’Orley Enterprises potevano seguire quella rotta per portare gli ospiti sull’Isla de las Estrellas. Hanna tento d’indovinare cosa si nascondesse all’interno del cilindro nel punto in cui scomparivano le funi, ma era troppo lontano. Un attimo dopo, la piattaforma era alle loro spalle e stavano gia puntando verso l’isola. Sotto di loro, l’ombra dell’elicottero scivolava rapidamente sull’acqua azzurra. «Queste funi devono essere davvero sottili se di lato non si vedono», disse Nair. «Piatte, voglio dire. Ma sono davvero funi? » Rise, torcendosi le mani. «Sembrano piu simili a nastri, non vi sembra? Ma probabilmente non ho capito niente. Santo cielo, cosa volete che vi dica? Sono cresciuto in mezzo ai campi, io. In mezzo ai campi!» Hanna fece un cenno di assenso. Durante il volo da Quito avevano fatto due chiacchiere ma, al di la di quello, lui era gia a conoscenza dell’intimo legame di Mukesh Nair con la campagna. Figlio di umili contadini, originario di Hoshiarpur, nel Punjab, amava la buona tavola, ma preferiva i chioschi di strada ai ristoranti a tre stelle; dava piu importanza alle richieste e alle opinioni delle persone semplici che allo small talk dei ricevimenti o dei vernissage, preferiva volare in classe economica e aspirava a possedere vestiti costosi come un cavallo puo aspirare ad avere dei mocassini. Tuttavia, con un patrimonio personale stimato in quarantasei miliardi di dollari, Mukesh Nair era uno dei dieci uomini piu ricchi del mondo e non ragionava affatto da contadino. Aveva studiato Agraria a Ludhiana ed Economia politica all’University of Mumbai, era stato insignito del premio Padma Vibhushan, la seconda piu alta onorificenza civile indiana, e attualmente era il leader incontrastato dell’esportazione di frutta e verdura indiane nel resto del mondo. Hanna conosceva a fondo la biografia di «Mr Tomato», come lo chiamavano tutti: aveva studiato con attenzione il curriculum vitae di tutti gli ospiti che avrebbero partecipato al viaggio.
«Adesso guardi la, guardi!» grido Nair. «Anche quello non e male, vero?» Hanna allungo il collo. L’elicottero si stava avvicinando al versante orientale dell’isola, il che permetteva ai passeggeri di godere di una vista panoramica dello Stellar Island Hotel. Adagiato sulle pendici della montagna, come un transatlantico arenato, era costituito da sette piani terrazzati, ognuno affacciato sull’enorme piscina situata nel punto che rappresentava la prua. Ogni camera disponeva di un terrazzino privato. Il punto piu alto della struttura era occupato da una terrazza circolare, sovrastata per meta da un’imponente cupola di vetro. Hanna riusc a distinguere tavoli, sedie, sdraio e un bar. Al centro di quella strana nave, s’intravedeva una costruzione piatta, con ogni probabilita la hall, che a nord, in corrispondenza di quella che avrebbe dovuto essere la poppa, confinava con un eliporto. Gli elementi architettonici si fondevano con le rocce aguzze, come se qualcuno avesse tentato di proiettare l’immagine olografica di una nave da crociera davanti all’isola, ma avesse sbagliato i calcoli di qualche centinaio di metri verso l’interno. Hanna si chiese se alcune parti della struttura alberghiera non fossero state strappate alla montagna con la dinamite. Un sentiero a scalini scendeva sinuoso lungo il pendio, attraversava una zona verde e pianeggiante troppo armoniosa per essere di origine naturale e, piu in basso, si ricollegava a una stradina costiera che circondava tutta l’isola. «Un campo da golf», mormoro estasiato Nair. «Credevo che lei prediligesse la sobrieta», commento Hanna. L’indiano lo fisso, stupito, e allora lui aggiunse: «Lo ha dichiarato lei. Ristoranti sobri. Gente semplice. Terza classe». «Credo che mi abbia frainteso.» «Se dobbiamo credere ai media, lei e un uomo sorprendentemente modesto per essere un personaggio pubblico.» Nair aggrotto la fronte. «Macche! Cerco semplicemente di stare alla larga dalla cosiddetta vita pubblica. Le interviste che ho rilasciato negli ultimi anni si possono contare sulle dita di una mano. Se la stampa esprime giudizi positivi sulla Tomato, sono piu che soddisfatto. Basta che nessuno mi trascini davanti a una telecamera o a un microfono. Comunque ha ragione. Il lusso non m’interessa. Vengo da un piccolo villaggio, dove la ricchezza non conta nulla, e una parte di me vive ancora in quel villaggio. Anche se si e un po’ ingrandito.» «Di un paio di continenti da un lato all’altro dell’oceano Indiano. Capisco», lo stuzzico Hanna. «E allora?» sogghigno Nair. «Come ho gia detto, secondo me lei mi ha frainteso.» «In che cosa?» «Guardi, e molto semplice. La piattaforma che abbiamo appena sorvolato e una cosa che mi emoziona profondamente. Da quelle funi potrebbe dipendere il destino dell’umanita intera. L’albergo invece esercita su di me lo stesso fascino che puo esercitare il teatro. È divertente,
quindi ogni tanto ci si va. Il problema e che la maggior parte della gente, non appena si ritrova con un po’ di soldi, comincia a confondere il teatro con la vita vera. Se potesse, vivrebbe sul palcoscenico, si travestirebbe ogni giorno in modo diverso, reciterebbe una parte. Mi viene in mente la barzelletta dello psicologo che vuole catturare un leone. La conosce? » «Mai sentita.» «Come fa uno psicologo a catturare un leone?» «Non ne ho idea.» «Semplice. Va nella savana, monta una gabbia, si siede all’interno e decide che dentro e fuori.» Hanna ridacchio. Nair rise di gusto. «Capisce? Questa non e roba per me, non lo e mai stata. Non intendo star seduto in una gabbia ne tantomeno vivere su un palcoscenico. Ciononostante ho intenzione di godermi appieno le prossime due settimane. Ci puo scommettere. Domani, prima che inizi lo spettacolo, voglio fare una partita a golf e divertirmi! Ma, finita questa vacanza, tornero a casa mia, dove si ride di una barzelletta perche e divertente e non perche chi la racconta e un riccone. Mangero i cibi che mi piacciono, non quelli che costano di piu. Cerchero la compagnia delle persone perche le apprezzo, e non perche sono importanti. Molte di queste persone non possono permettersi di frequentare i miei ristoranti, quindi sono io che frequento i loro.» «Chiaro», disse Hanna. Nair si gratto il naso. «Mi deve scusare, non volevo rattristarla... io di lei non so praticamente nulla.» «Certo, perche hai parlato solo di te stesso per tutto il volo», lo biasimo Sushma. «Davvero? La prego di perdonare la mia smania di... comunicare. » Hanna fece un cenno. «Non si preoccupi. Su di me in realta non c’e molto da dire. Lavoro perlopiu dietro le quinte.» «Investimenti?» «Esatto.» Nair arriccio le labbra. «Interessante. In che settore?» «Principalmente in quello energetico. Pero mi occupo un po’ di tutto», rispose Hanna, tenendosi sul vago. «Le interessera sapere che sono nato a Nuova Delhi.» L’elicottero punto verso l’eliporto. La superficie di atterraggio era abbastanza grande per ospitare tre elicotteri di grandi dimensioni ed era decorata con un simbolo fluorescente, una O argentata incastonata in una Luna arancione stilizzata: il logo dell’Orley Enterprises. Ai lati dell’eliporto, Hanna intravide alcune persone in uniforme che accoglievano i viaggiatori e prendevano in consegna i bagagli. Dal gruppo, si stacco una donna alta e snella che indossava un tailleur pantalone chiaro. Il vento prodotto dalle pale del rotore faceva svolazzare
i suoi abiti e il sole strappava lampi dorati ai suoi capelli. «Davvero viene da Nuova Delhi?» Sushma Nair si avvicino, colpita dalla rivelazione di Hanna. «Quanto tempo ha vissuto la?» L’elicottero atterro delicatamente. Il portellone scivolo di lato e si apr una scaletta. «Ne riparleremo in piscina», le disse Hanna, cedendole il passo per scendere. Poi si accodo alla coppia. Non appena ebbe posato piede a terra, Nair s’illumino. Rivolse un sorriso raggiante alle persone in attesa, palesemente entusiasta dell’ambiente intorno a lui. Allargo le narici per inalare a pieni polmoni l’aria di mare, esclamando di continuo: «Ah!» oppure: «Incredibile!» e quasi travolgendo di lodi la donna in tailleur, che non pote far altro che ringraziarlo. Continuo a parlare ininterrottamente - «Meraviglioso!» «Perfetto! » - mentre Sushma si limito a qualche cenno di assenso. Hanna si godeva la scena, aspettando pazientemente il proprio turno e osservando la donna in tailleur. Poco meno che quarantenne, portava i capelli biondo cenere raccolti sulla nuca e aveva un aspetto molto curato, ma nel contempo sembrava quasi inconsapevole di possedere una tale grazia naturale che le avrebbe permesso d’interpretare Venere nella pubblicita di un istituto di credito o di una casa di cosmetici. In realta, era a capo dell’Orley Travel, il ramo turistico del gruppo Orley, quindi era al secondo posto all’interno del piu grande impero economico del mondo. «Carl.» La donna sorrise e gli porse la mano. Hanna fisso l’intensita surreale delle sue iridi azzurre contornate di scuro. Gli stessi occhi del padre. «È un piacere averla come nostro ospite!» «Sono io che vi ringrazio per l’invito.» Ricambio la stretta di mano e abbasso la voce: «Sa, mi ero preparato un paio di commenti carini sull’hotel, ma temo che chi mi ha preceduto abbia gia sparato tutte le mie cartucce col suo fucile». «Ah-ah-ah!» Nair gli diede una pacca sulla spalla. «Mi dispiace, amico mio, ma Bollywood e roba nostra! Anche sfoggiando tutto il suo fascino canadese al profumo di legno di cedro non potra mai competere con la nostra poesia e il nostro pathos! » «Non lo stia a sentire», disse Lynn, la donna in tailleur, senza distogliere lo sguardo. «Sono molto sensibile al fascino canadese. Pure nella variante senza parole.» «Allora non mi lascero scoraggiare.» «Bene, altrimenti potrei prenderla a male.» Intorno a loro, persone servizievoli stavano scaricando montagne di valigie logore. Hanna intu che si trattava del bagaglio dei Nair. Robaccia con cuciture robuste in uso da epoche immemorabili. Lui aveva con se solo una piccola valigia e una borsa da viaggio.
«Da questa parte. Vi mostro le vostre stanze», fece Lynn in tono cordiale. Dal terrazzino, Tim osservo la sorella incamminarsi verso l’edificio che ospitava la reception in compagnia di una coppia presumibilmente indiana e un uomo dall’aria atletica. Lui e Amber alloggiavano al quinto piano, in una camera d’angolo da cui si godeva di una splendida vista panoramica. Il sole risplendeva sulla piattaforma sulla quale sarebbero stati portati il mattino seguente. Un nuovo rombo assordante annuncio l’arrivo sull’isola di un altro elicottero. Tim alzo lo sguardo. Era una giornata di rara limpidezza. Il cielo si stendeva sopra il mare come una cupola di colore azzurro intenso. Un’unica nuvola, piccola e sfilacciata, se ne stava sospesa in quel nulla, apparentemente immobile, come se fosse un elemento decorativo o un punto per l’orientamento. A Tim venne in mente un vecchio film, una tragicommedia che parlava di un uomo cresciuto in una cittadina di provincia da cui non si era mai allontanato. In quella cittadina era andato a scuola, si era sposato, lavorava, s’incontrava con gli amici che conosceva fin da bambino... Verso i trentacinque anni, pero, l’uomo scopriva di essere il protagonista di un reality show: la sua citta era finta, con telecamere in ogni angolo, pareti artificiali e riflettori. Eccetto lui, tutti gli abitanti erano attori con contratti a vita, la sua vita ovviamente, e il cielo non era nient’altro che una gigantesca cupola dipinta di blu. Tim Orley chiuse un occhio e sollevo l’indice destro fin quasi a toccare il bordo inferiore della nuvola che se ne stava l, sospesa, simile a un batuffolo di cotone. «Vuoi qualcosa da bere?» gli chiese Amber dall’interno. Invece di rispondere, lui afferro il polso alzato con la mano sinistra, cercando di tenere il dito immobile. All’inizio non accadde niente. Poi, lentissimamente, la minuscola nuvola si sposto verso est. «C’e un mare di gente giu al bar. Io prendo una limonata. Tu cosa vuoi?» Si stava muovendo. E avrebbe continuato a farlo. Per motivi inspiegabili, il fatto che quella nuvola non fosse stata fissata con un chiodo o dipinta sulla volta del cielo faceva sentire Tim piu tranquillo. «Cosa?» chiese lui. «Ti ho chiesto cosa vuoi bere.» «Ah.» «Allora?» «Non saprei.» «Santo cielo. Vedro se ce l’hanno.» Torno a osservare Lynn. Amber lo raggiunse sul terrazzino, facendo dondolare tra pollice e indice una bottiglietta aperta di Coca-Cola. Tim l’afferro meccanicamente, la porto alla
bocca e se la scolo senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse bevendo. La moglie lo osservo e poi guardo verso il basso, proprio nel momento in cui la sorella di Tim spariva nella reception col suo piccolo seguito. «Ah, adesso capisco.» Lui rimase in silenzio. «Sei ancora preoccupato?» «Lo sai come sono fatto.» Amber si appoggio alla ringhiera e sorseggio la sua limonata. «Ma per cosa? A me sembra che Lynn stia bene. Anzi benissimo, se proprio vuoi saperlo.» «È proprio questo che mi preoccupa.» «Che stia bene?» «Sai cosa intendo. Sta nuovamente cercando di essere piu che perfetta.» «Oh, Tim...» «L’hai vista prima, no?» «Soprattutto ho visto che sembrava avere tutto sotto controllo. » «È questo posto ad avere il controllo su Lynn!» «Fantastico, e secondo te cosa dovrebbe fare? Julian ha invitato una sfilza di eccentrici ricconi e lei se ne deve occupare. Ha promesso loro due settimane nell’hotel piu esclusivo in assoluto, e Lynn ne e la responsabile. Dovrebbe iniziare a combinare pasticci o andarsene in giro trasandata e spettinata e trascurare gli ospiti solo per dare prova della sua umanita?» «Naturalmente no.» «Questo e un circo, Tim, e lei ne e la direttrice. Lei deve essere perfetta, altrimenti i leoni la sbranano.» «Lo so», replico lui, infastidito. «Non e questo il punto. Tuttavia mi e sembrato di notare che e di nuovo sotto pressione.» «A me non e sembrata particolarmente sotto pressione.» «Perche lo dissimula. È una maestra in questo. Sai quanto e brava a gestire le persone.» «Scusa, ma non la stai facendo un po’ drammatica?» «Niente affatto. Non so se sia stata una buona idea partecipare a questa messinscena, ma comunque ormai siamo qui e non si torna indietro. Tu e Julian avete...» «Cosa?» Amber gli lancio uno sguardo di fuoco. «Non iniziare di nuovo a dire che siamo stati noi a tirarti dentro.» «Perche, non e andata cos?» «Nessuno ti ha costretto.» «Ma per favore... Avete insistito fino allo sfinimento.» «Ah, davvero? E tu quanti anni hai? Cinque? Se davvero non avessi voluto...»
«Infatti non volevo. Sono qui per Lynn.» Tim sospiro e si passo una mano sugli occhi. «Okay, okay! vero, apparentemente ha un aspetto fantastico! Sembra star bene. Eppure...» «Tim. È lei che ha costruito questo hotel!» Tim annu. «Certo. Questo si sa. Ed e fantastico! Dico davvero. » «Ti credo. Ma non voglio che tiri in mezzo Lynn solo perche non riesci a risolvere i problemi con tuo padre.» Quell’osservazione colp Tim come uno schiaffo. La guardo e scosse la testa. «Questio e un colpo basso», mormoro. Amber fece roteare la bottiglietta di limonata tra le dita. Per un attimo regno il silenzio. Poi lei gli mise le braccia intorno al collo e gli diede un bacio. «Scusami.» «Ma certo.» «Non ne hai piu parlato con Julian?» «S, l’ho fatto, e lui si ostina a dire che Lynn sta divinamente. Tu sostieni che ha un aspetto meraviglioso. Quindi l’idiota sono io.» «Ma sei l’idiota piu delizioso che io abbia mai incontrato.» Tim accenno un mezzo sorriso. Abbraccio Amber, ma il suo sguardo era rivolto oltre il parapetto. L’elicottero che aveva trasportato il tipo atletico e la coppia indiana aveva ripreso il volo, mentre un altro stava sorvolando l’eliporto, preparandosi per l’atterraggio. Qualche piano piu in basso, Lynn stava uscendo dalla reception per accogliere i nuovi ospiti. Lo sguardo di Tim vago lungo il pendio che separava l’albergo dalla scogliera, indugio sul campo da golf deserto e segu il sentiero fino alla strada costiera. Faglie e gole avevano reso necessaria la costruzione di ponticelli, col risultato che era possibile percorrere comodamente a piedi tutto il versante orientale dell’isola. Vide qualcuno camminare lentamente lungo il sentiero. Dalla direzione opposta, stava sopraggiungendo una figura magra e scattante che sembrava brillare nel sole. Un corpo bianco come l’avorio. Finn O’Keefe la vide e si fermo. La donna correva a ritmo spedito. Era un’apparizione singolare: le braccia e le gambe erano esili come giunchi, quasi al limite dell’anoressia, eppure nell’insieme era ben proporzionata. La pelle era candida, ma anche i lunghi capelli scompigliati dal vento erano bianchi come il latte. La donna indossava un costume da bagno color madreperla particolarmente sgambato, scarpe da ginnastica dello stesso colore e si muoveva con la flessuosita di una gazzella. Una donna da copertina. «Buongiorno», disse lui. La donna si avvicino con passo disinvolto. «Ciao! E tu chi sei?» «Finn.»
«Ah, e vero. Finn O’Keefe. Sembri diverso da come appari sullo schermo.» «In qualche modo sembro sempre diverso.» Le tese la mano. Non si aspettava una stretta cos forte da quelle dita lunghe e sottili. Solo ora, cos da vicino, noto che pure le sopracciglia e le ciglia erano dello stesso bianco scintillante dei capelli, mentre l’iride tendeva al violetto. Sotto il naso sottile e dritto, le labbra erano incolori. A Finn O’Keefe sembrava di avere davanti un’attraente aliena la cui pelle tonica cominciava a raggrinzirsi. Doveva avere poco piu di quarant’anni. «E lei chi e? Tu, voglio dire. » «Sono Heidrun. Sei anche tu dei nostri?» Parlava un inglese piuttosto duro. Finn cerco d’intuirne la provenienza dall’accento. I tedeschi parlavano un inglese «a zigzag», mentre l’accento scandinavo era piu dolce e melodioso. Decise che Heidrun non poteva essere ne tedesca, ne danese, ne tantomeno svedese. «S, ci sono anch’io», rispose. «Un po’ di strizza?» Lui rise. Heidrun non sembrava affatto impressionata di averlo incontrato in quel luogo. Esposto alla logorante ammirazione d’innumerevoli donne - e anche a quella di molti uomini che avrebbero volentieri mandato i rispettivi partner a occuparsi del giardino o in viaggio di lavoro per trastullarsi con lui sotto le lenzuola la sua vita era una continua fuga. «Se devo essere sincero, s, un po’ s.» «Ma s. Anch’io.» Heidrun scosto i capelli madidi di sudore dalla fronte, si volto, allargo pollice e indice di entrambe le mani ad angolo retto, un le punte e osservo la piattaforma nel mare attraverso la cornice che aveva appena creato. Solo prestando la massima attenzione si riusciva a distinguere la lunga linea nera che tagliava il cielo. «E cosa vuole da te?» chiese all’improvviso. «Chi, scusa?» «Julian Orley.» Heidrun abbasso le mani e gli punto addosso i suoi occhi viola. «Vuole qualcosa da ognuno di noi.» «Ah, s?» «Dai, altrimenti non saremmo qui, no?» «Hmm.» «Sei ricco?» «Piu o meno.» «Che domanda stupida, devi essere ricco! Sei il re del box office, no? Se non hai sperperato tutto, probabilmente hai alcune centinaia di milioni di dollari. Allora, lo sei o no?» Inclino la testa, curiosa. «E tu?»
«Io?» Heidrun rise. «Figurati. Sono una fotografa. Il mio patrimonio basterebbe a malapena per far riverniciare la piattaforma. Diciamo che deve accettare la mia presenza. A lui interessa Walo.» «E chi sarebbe?» Heidrun indico l’hotel. «E mio marito. Walo gi.» «Non lo conosco.» Lei sorrise. «Non mi sorprende. Gli artisti non sono capaci di riflettere sul denaro, lui invece non sa fare altro. Comunque ha un sacco di buone idee su come spenderlo. Ti piacera. Sai chi altro c’e?» «Chi?» «Evelyn Chambers.» Il sorriso di Heidrun si fece malizioso. «Immagina come ti mettera sotto torchio. Qui puoi ancora sfuggirle, ma la sopra...» «Non ho nessun problema a parlare con lei.» «Vuoi scommettere?» Heidrun gli volto le spalle e inizio a risalire il sentiero che portava all’hotel. Finn la segu. In realta, l’idea di parlare con Evelyn Chambers, la regina incontrastata dei talk show americani, lo metteva in grandissima difficolta. Detestava i talk show come poche altre cose al mondo. Per almeno dieci volte l’avevano invitato a Chambers, quella specie di strip-tease dell’anima che il venerd sera incollava al teleschermo milioni di depravati, ma lui aveva sempre declinato. Adesso, in quel posto, Evelyn Chambers si sarebbe gettata su di lui come un leone sulla preda. Una prospettiva inquietante. Passarono accanto al campo da golf. «Sei albina», osservo lui. «Uh, sei davvero perspicace, Finn.» «Non hai paura di ustionarti? Per via del... come si chiama... » «Del mio evidente disturbo legato alla produzione di melanina e ai miei occhi sensibilissimi alla luce», completo lei meccanicamente. «No, non e un problema. Porto lenti a contatto ad alto potere filtrante.» «E la tua pelle?» «Sono lusingata. Finn O’Keefe si preoccupa per la mia pelle », lo canzono lei. «Guarda che m’interessa davvero.» «Ovviamente e ipopigmentata. Senza protezione solare prenderei fuoco. Quindi uso Moving Mirrors.» «E sarebbe?»
«È un gel contenente nanospecchi che si attivano in base all’intensita della luce. Mi permette di stare all’aria aperta un paio d’ore, anche se ovviamente non deve diventare un’abitudine... Allora, mi fai compagnia per una nuotata?» Dopo aver trascorso quasi tutta la giornata ad accogliere gli ospiti all’eliporto, accompagnarli all’albergo e tornare indietro per attendere l’arrivo dell’elicottero seguente, avanti e indietro, avanti e indietro, Lynn Orley si stup di non avere ancora scavato un solco nel terreno. Naturalmente, in quel lasso di tempo, aveva sistemato anche altre cose. Andrew Norrington, vicecapo della sicurezza dell’Orley Enterprises, aveva trasformato l’Isla de las Estrellas in una zona di massima sicurezza, al punto che ci si sentiva come all’Hotel California dell’omonima canzone: You can check out any time you like, but you can never leave... Per Lynn, il concetto di sicurezza coincideva con quello di protezione, ma non voleva che le misure adottate dessero troppo nell’occhio. Norrington invece sosteneva che i membri della sicurezza non dovevano nascondersi come gnomi nei cespugli. Lei gli aveva fatto notare quanto fosse difficile giustificare l’onnipresenza della sua scorta personale agli ospiti, aggiungendo che, per esempio, Oleg Rogacev aveva dovuto lasciare a casa, controvoglia, la mezza dozzina di scagnozzi che lo seguivano ovunque, e che meta del personale di servizio era formata da tiratori scelti. Nessuno aveva voglia d’imbattersi a ogni passo - magari mentre faceva jogging o giocava a golf - in individui sinistri che sembravano aver scritto in fronte SIETE IN PERICOLO. E aveva aggiunto che provava una particolare simpatia per gli gnomi armati che proteggevano le persone senza stare continuamente tra i piedi. Dopo una lunga discussione, alla fine Norrington era riuscito a trovare il modo di schierare i suoi uomini mimetizzandoli con l’ambiente. Lynn sapeva di averlo messo in difficolta, ma non c’era altra soluzione. Norrington svolgeva il suo lavoro in modo eccellente, era organizzato e affidabile, ma purtroppo era anche vittima di quella paranoia che prima o poi colpiva tutte le guardie del corpo. «Interessante», disse Lynn. Accanto a lei, Locatelli sbuffava come un cavallo. «S, ma volevano trattare sul prezzo, si rende conto! Dio mio, l ho perso la calma. Ho detto: ’Un attimo! Un attimoooo! Ma lo sapete con chi avete a che fare? Dannate checche! Cervelli di gallina! Non sono il primo scemo che passa, intesi? Non mi faccio fregare, io. O si gioca con le mie regole, oppure...’» Eccetera, eccetera. Lynn annuiva con aria comprensiva mentre accompagnava i nuovi arrivati alla reception. Warren Locatelli era un tale coglione! E Momoka Omura, quella stupida sciacquetta al suo fianco, non era certo meglio. Tuttavia, se qualcuno era importante per Julian, fosse anche uno scarabeo stercorario parlante, lei avrebbe dovuto riservargli la dovuta attenzione. Non
che fosse indispensabile capire cosa stava dicendo quell’individuo per conversare con lui. Era sufficiente reagire con prontezza ai suoi cambi d’intonazione, al ritmo delle sue parole e ai grugniti, ai ringhi e alle risate che punteggiavano i suoi discorsi. Se il fiume di parole prendeva una piega allegra, si scoppiava in una risata. Se il tono era indignato, si andava sul sicuro con un «Assurdo!» oppure «No, davvero?» Se invece il discorso richiedeva la comprensione del contesto, bisognava per forza ascoltare. Prendere per il culo era legittimo; l’importante era non farsi beccare. Nel caso di Locatelli, il pilota automatico si rivelo piu che sufficiente. Tolti gli argomenti tecnici, il tema era sempre lo stesso: quanto lui fosse in gamba e tutti gli altri fossero delle mezze seghe. Oppure dannate checche e cervelli di gallina. A seconda. Chi erano i prossimi? Chuck e Aileen Donoghue. Chucky, il magnate del settore alberghiero. Un tipo per bene, anche se non risparmiava a nessuno le sue penose barzellette. Sua moglie Aileen invece, con ogni probabilita, si sarebbe subito precipitata in cucina per verificare che la carne per Chucky venisse tagliata bene. Aileen: «A Chucky piacciono le bistecche alte! Mi raccomando! » Chucky: «S, alte! Quelle che gli europei chiamano bistecche non sono vere bistecche. Ehi, lo sa come chiamo la bistecca europea? Lo vuole sapere, vero? Carpaccio!» Nonostante quello, Chuck era passabile. Con grande rammarico di Lynn, Locatelli era la pedina principale sulla scacchiera di Julian, o almeno una delle piu importanti. Era riuscito a compiere un’impresa che aveva fatto impazzire generazioni di fisici: creare cellule fotovoltaiche in grado di convertire oltre il sessanta per cento della luce solare in elettricita. Per quel motivo, e dato che era un brillante uomo d’affari, la sua azienda, la Lightyears, aveva conquistato la leadership nel mercato dell’energia solare e aveva reso lui smodatamente ricco, tanto che Forbes lo aveva inserito al quinto posto nella classifica degli uomini piu ricchi del mondo. Col petto in fuori e a testa alta, Momoka Omura camminava accanto a loro, un po’ annoiata. Fece vagare lo sguardo sulla struttura che aveva di fronte, e poi decreto un benevolo: «Carino». Immaginando di tirarle un pugno in faccia, Lynn la prese sottobraccio e le fece un complimento sui suoi capelli. «Sapevo che ti sarebbero piaciuti», rispose Momoka, con un sorriso appena accennato. No, stai da cane, penso Lynn. Fai davvero schifo. «È bello avervi qui», disse. In quello stesso momento, Evelyn Chambers stava prendendo il sole sul terrazzino della sua stanza al sesto piano e, tendendo l’orecchio, metteva alla prova le sue conoscenze di russo. Lei era il sismografo dell’alta societa. Ogni minimo tremito avvertito sulla sua personale scala Richter diventava una notizia. E in quel momento la terra stava sussultando con viol-
enza. Nella camera a fianco, alloggiavano i Rogacev. I terrazzi erano separati da paraventi fonoassorbenti, ma cio non le impediva di udire i singhiozzi trafelati di Olympiada Rogaceva, a volte piu vicini, a volte piu lontani. Con ogni probabilita stava camminando avanti e indietro, con un drink in mano, come d’abitudine. «Perche?» grido a un tratto, piangendo. «Perche un’altra volta?» Dall’interno, cupa e incomprensibile, risuono la voce di Oleg Rogacev. Qualunque cosa avesse detto, aveva scatenato nella moglie un’eruzione piroclastica. «Brutto stronzo!» strillo lei. «Davanti ai miei occhi!» Suoni soffocati, respiro corto. «Non ti sei nemmeno preoccupato di farlo di nascosto!» Rogacev la raggiunse sul terrazzo. «Vuoi che faccia tutto in gran segreto? Va bene.» Il suo tono era tranquillo e distaccato, quasi glaciale. Evelyn Chambers riusciva a figurarsi quell’uomo di statura media, dall’aspetto piuttosto anonimo, con radi capelli biondi che incorniciavano una faccia da volpe, nella quale spiccavano due occhi azzurri come due laghi ghiacciati. Aveva intervistato Oleg Alekseevic Rogacev l’anno prima, quando lui aveva acquistato il pacchetto azionario del Gruppo Daimler, e aveva conosciuto un imprenditore cortese, controllato, che rispondeva prontamente a tutte le domande con l’impenetrabilita di una piastra metallica. Provo a ricapitolare quello che sapeva di Rogacev. Suo padre era stato a capo di un gruppo industriale sovietico attivo nel settore dell’acciaio, privatizzato dopo la Perestrojka. Il sistema allora piu diffuso prevedeva l’emissione di azioni sotto forma di voucher per i lavoratori. In via provvisoria, l’organismo pluricellulare del proletariato aveva assunto il comando, ma i titoli dell’acciaieria non avevano consentito a nessuna famiglia di superare l’inverno. La maggior parte dei lavoratori si era quindi decisa a convertire in denaro i propri titoli, cedendoli alle societa finanziarie o ai propri superiori e ottenendo in cambio, com’era prevedibile, solo una piccolissima frazione del loro valore reale. A poco a poco, le ex imprese statali dell’Unione Sovietica erano cadute nelle mani delle societa d’investimento e degli speculatori. Anche il vecchio Rogacev si era dato da fare, accaparrandosi un numero sufficiente di azioni per prendere il controllo del gruppo industriale. In seguito, un clan mafioso concorrente lo aveva messo sotto tiro... in senso letterale: due pallottole al petto e una terza nel cranio. La quarta era destinata al figlio, ma con lui avevano mancato il bersaglio. Fino a quel momento Oleg aveva avuto come unico interesse le feste studentesche ma, alla morte del padre, aveva lasciato gli studi e, per vendicarsi, si era alleato con un clan vicino al governo, un’esperienza che era culminata in una sparatoria avvenuta in circostanze rimaste oscure. Le indagini avevano accertato che, in quel periodo, Oleg si trovava all’estero; di fatto, pero, al suo rientro, lui era improvvisamente diventato presidente del consiglio d’amministrazione e ospite gradito
del Cremlino. Aveva semplicemente puntato sulle persone giuste. Negli anni successivi, Rogacev si era dedicato alla modernizzazione dell’azienda. Aveva guadagnato parecchio e aveva assorbito prima un gigante dell’acciaio tedesco e poi uno inglese. Aveva investito nell’alluminio, firmato contratti col governo per l’ampliamento delle ferrovie e acquisito partecipazioni in gruppi industriali automobilistici europei e asiatici. Inoltre aveva fatto una montagna di soldi nella Cina affamata di materie prime. Nel frattempo continuava a preoccuparsi in modo imbarazzante degli interessi dei potenti di Mosca. Ma aveva la fortuna dalla sua. Era entrato nelle grazie di Vladimir Putin, e il suo successore Dmitrij Medvedev lo aveva addirittura scelto come consigliere. Nel 2018, quando il colosso mondiale dell’acciaio ArcelorMittal era andato in crisi, Rogacev lo aveva rilevato, conquistando poi la leadership del settore con la sua RogaMittal. All’incirca nello stesso periodo, Maxim Ginsburg, il successore di Medvedev, aveva definitivamente cancellato i gia vacillanti confini tra pubblico e privato, tanto che la stampa lo aveva soprannominato «Amministratore delegato della Russia Spa». Rogacev aveva sostenuto Ginsburg a modo suo. Durante una serata in cui aveva alzato un po’ il gomito, era venuto a sapere che Ginsburg avrebbe desiderato che sua figlia, Olympiada, una ragazza introversa e dal fascino modesto, si sposasse al piu presto, meglio se con qualcuno dotato di un ragguardevole patrimonio. Olympiada era riuscita a laurearsi in Scienze politiche ed economiche, sedeva come deputato in parlamento, dove esprimeva l’amore per il padre a suon di voti, e stava sfiorendo senza nemmeno essere sbocciata. Cos Rogacev aveva realizzato il desiderio di Ginsburg. L’unione tra i due ingenti patrimoni era stata festeggiata in pompa magna... pero, la prima notte di nozze, Rogacev aveva disertato il letto coniugale, perche si trovava altrove. Da quel momento, di fatto, lui era sempre stato altrove, anche quando Olympiada aveva dato alla luce il loro unico erede, che era stato poi messo in collegio e quindi vedeva i genitori assai di rado. Con l’andar del tempo, Olympiada si era ritrovata sempre piu sola. Non condivideva la passione del marito per gli sport da combattimento, le armi e il calcio, e mal sopportava i suoi continui tradimenti. Una volta si era persino lamentata col padre di quella situazione, ma Ginsburg aveva pensato ai cinquantasei miliardi di dollari portati in dote dal genero e aveva consigliato alla figlia di cercarsi un amante. E lei lo aveva trovato. Si chiamava Jack Daniel’s, e aveva il vantaggio di essere sempre a disposizione quando c’era bisogno di lui. Come sarebbe sopravvissuta quella povera donna alle due settimane seguenti? Evelyn Chambers si stiracchio. Non sono niente male per una quarantacinquenne, penso. Aveva ancora un fisico sodo, anche se qualche rotolino di grasso iniziava a fare capolino e glutei e cosce cominciavano a incresparsi di cellulite. Socchiuse le palpebre, guardando il
sole. Le grida degli uccelli marini riempivano l’aria. Solo in quel momento noto che nel cielo campeggiava un’unica nuvola: dava l’impressione di essersi persa, di essere una nuvoletta smarrita. Sembrava molto in alto, ma cos’era in fondo l’altitudine? Ben presto lei sarebbe andata molto piu in alto delle nuvole. Alto, basso. Era solo questione di prospettiva. Riconsidero mentalmente l’appeal mediatico degli ospiti che avrebbero partecipato al viaggio. Otto coppie e cinque single, lei esclusa. Alcuni di loro non vedevano di buon occhio la sua presenza. Finn O’Keefe, per esempio, era allergico ai talk show. E i Donoghue, ultraconservatori com’erano, di certo non erano lieti di sapere che la potente regina dei talk show americani sosteneva apertamente lo schieramento democratico. La sua unica breve esperienza in politica risaliva al 2018, quando si era candidata a governatore per la citta di New York, una campagna elettorale partita in modo trionfale e conclusasi in una catastrofe. Eppure la sua influenza sull’opinione pubblica era rimasta immutata. Mukesh Nair? Un altro che aborriva i talk show. Warren Locatelli e la moglie giapponese invece conoscevano benissimo il valore dell’intrattenimento. Locatelli era vanitoso e sfacciato, ma anche geniale. La sua biografia era intitolata: E se scoprissimo che Locatelli ha creato il mondo? sintetizzando alla perfezione l’alta opinione che quell’uomo aveva di se. Era un appassionato di vela e, l’anno precedente, aveva vinto la Coppa America; tuttavia la sua passione principale erano le corse automobilistiche. Momoka Omura, invece, aveva per molto tempo recitato in ostici film d’avanguardia, poi si era guadagnata la stima dei critici con un elegante film drammatico, Il loto nero. Aveva la puzza sotto il naso e, secondo Evelyn, non sapeva dove stesse di casa l’empatia. Chi altro? Walo gi, investitore svizzero, collezionista. Possedeva quote azionarie in qualsiasi settore: immobili, assicurazioni, compagnie aeree e automobilistiche, fino al legno tropicale e ai cibi precotti, passando per la Pepsi Cola. Correva voce che stesse progettando una seconda Monaco per conto dei principi monegaschi. Eppure, per Evelyn Chambers, era ancora piu interessante Heidrun gi, la sua terza moglie, della quale si diceva che si fosse finanziata gli studi di fotografia lavorando come spogliarellista e attrice di film porno. Del gruppo facevano parte anche Marc Edwards, il quale doveva la propria popolarita all’invenzione dei chip quantistici, talmente minuscoli da funzionare con un singolo atomo, e Mimi Parker, creatrice di capi di abbigliamento intelligenti, nei quali erano integrati i chip di Edwards. Persone simpatiche, sportive e impegnate nel sociale, abbastanza interessanti. Forse i Tautou avevano qualcosa in piu. Bernard Tautou nutriva ambizioni politiche e guadagnava miliardi con la commercializzazione dell’acqua, un argomento molto caro alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani.
L’ottava coppia veniva dalla Germania. Eva Borelius, regina mancata della ricerca sulle cellule staminali, e la sua compagna, Karla Kramp, una chirurga. Lesbiche dichiarate. E poi c’erano Miranda Winter, ex modella e appariscente vedova di un industriale, e Rebecca Hsu, la Coco Chanel dell’isola di Taiwan. Tutte e quattro si erano gia ampiamente confidate con Evelyn Chambers. Di Carl Hanna, invece, lei non sapeva assolutamente nulla. Pensierosa, si spalmo l’olio solare sulla pancia. Hanna era un tipo strano. Investitore privato canadese, nato a Nuova Delhi nel 1981 da un facoltoso diplomatico inglese, all’eta di dieci anni si era trasferito con la famiglia nel British Columbia, dove in seguito aveva frequentato la facolta di Economia. Anni di studio in India, morte dei genitori in un incidente, ritorno a Vancouver. A quanto pareva, aveva investito l’eredita in modo intelligente con l’obiettivo di non dover piu lavorare neanche per sbaglio e, secondo alcune voci, aveva in programma d’investire nell’astronautica indiana. Tutto qui. La vita di uno speculatore. Ovviamente non erano tutti spacconi come Locatelli. Donoghue, per esempio, praticava il pugilato. Rogacev se la cavava in qualsiasi sport da combattimento e pochi anni prima si era comprato il Bayern Monaco. Edwards e Mimi facevano immersioni, Eva Borelius faceva equitazione, Karla Kramp giocava a scacchi, O’Keefe aveva alle spalle una lunga esperienza di droga costellata di scandali e aveva vissuto con un gruppo di zingari irlandesi. Ognuno di loro aveva qualcosa che li rendeva «umani». Hanna possedeva yacht. Al suo posto avrebbe dovuto esserci Gerald Palstein, amministratore delegato dell’EMCO, il terzo gruppo petrolifero del mondo. Un libero pensatore, che gia anni addietro aveva profetizzato il tramonto dell’era dei combustibili fossili. Evelyn Chambers lo avrebbe incontrato volentieri, ma un mese prima Palstein era stato ferito in un attentato, il che lo aveva costretto a disdire la sua partecipazione. Cos era subentrato Hanna. Ma chi era quel tipo? Evelyn decise che lo avrebbe scoperto, scese dal lettino e si avvicino al parapetto del terrazzo. Diversi piani sotto di lei l’enorme piscina dello Stellar Island Hotel brillava sotto il sole. Qualcuno stava gia sguazzando nelle acque turchesi e proprio in quel momento stavano entrando in piscina anche Heidrun gi e Finn O’Keefe. Evelyn decise di scendere, ma all’improvviso il semplice pensiero di dover fare conversazione le fece venire la nausea. Quindi resto dov’era. Le succedeva sempre piu spesso. La regina dei talk show stava diventando allergica alle chiacchiere. Ando a prendersi un drink e aspetto che il disagio passasse. O’Keefe segu Heidrun al bar della piscina dove un uomo distinto, sulla sessantina, stava spiegando qualcosa, gesticolando. Il suo pubblico era formato da una coppia dall’aspetto sportivo che ascoltava rapita, rideva all’unisono ed esclamava simultaneamente: «Ma no!»
dando l’impressione di essere i clienti ideali per l’acquisto di un tandem. «Davvero drammatico», stava dicendo l’uomo, ridendo. «Esagerato. Ma grande proprio per questo!» Le rughe conferivano solennita ai tratti del suo viso, il naso era lungo e imponente, il mento era scolpito. I capelli scuri leggermente brizzolati e ispidi erano pettinati all’indietro col gel e i folti baffi si accordavano alla perfezione con le sopracciglia spesse un dito. «Cos’e ’esagerato’?» chiese Heidrun, dandogli un bacio. «Un musical», rispose l’uomo, osservando O’Keefe. «E questo chi e, mein Schatz?» A differenza di Heidrun, parlava un inglese quasi perfetto. L’unica particolarita era che aveva detto mein Schatz, cioe «tesoro », in tedesco. Heidrun gli appoggio la testa sulla spalla. «Non vai mai al cinema? È Finn O’Keefe», spiego. «Finn... O’Keefe...» Sulla fronte dell’uomo spuntarono parecchie rughe. «Mi dispiace, ma...» «Ha interpretato Kurt Cobain.» «Oh! Ah! Grandioso! È fantastico poterla conoscere. Io sono Walo. Heidrun ha visto tutti i suoi film. Io no, ma di Hyperactive mi ricordo bene. Una performance eccezionale!» «Mi fa piacere.» O’Keefe sorrise. Non aveva problemi a incontrare persone nuove, pero trovava i convenevoli tremendamente stancanti. Stringere mani, dire a persone mai viste prima quanto sia fantastico incontrarle... gi presento la biondina accanto a lui come Mimi Parker. Una All American Girl scottata dal sole, sopracciglia scure e denti perfetti. Californiana, penso O’Keefe. La California sembrava possedere un brevetto esclusivo per quel tipo di ragazze che profumavano di sole. «Mimi e una creatrice di moda del tutto fuori dall’ordinario», spiego Ögi, pieno di entusiasmo. «Se indossera uno dei suoi pullover potra dire addio ai medici.» «Oh. In che senso?» «Semplice.» Mimi stava per dire qualcosa, ma Ögi la anticipo. «Monitorano le funzioni fisiologiche! Supponiamo che le venga un infarto... Ecco: il pullover invia la sua documentazione clinica all’ospedale piu vicino e fa accorrere un’ambulanza.» «È anche in grado di operare?» «Ci sono intessuti alcuni transistor», spiego Mimi. «Il capo d’abbigliamento in pratica e un computer con milioni di sensori che creano interfacce col corpo di chi lo indossa, ma possono anche essere collegati in rete con sistemi esterni.» «Sembrerebbe un tantino ruvido.» «Nella stoffa vengono integrati i chip quantistici di Marc. Non c’e proprio niente di ruvido.» «A proposito», intervenne il biondo accanto a lei, allungando la mano. «Piacere, Marc Edwards.»
«Piacere mio.» «Guardi.» Mimi indico il suo costume da bagno. «Solo qui dentro ci sono due milioni di sensori. Tra le altre cose, assorbono il calore dal mio corpo e lo trasformano in elettricita. Ovviamente la quantita di energia sfruttabile a partire da una ’centrale elettrica umana’ e minima, pero sufficiente per riscaldare il costume in caso di necessita. I sensori reagiscono alla temperatura dell’aria e dell’acqua.» «Interessante.» «Tra l’altro, ho visto Hyperactive», intervenne Edwards. «È vero che ha dovuto imparare a suonare la chitarra?» «Uh, un classico caso di disinformazione», commento Heidrun in tono annoiato. «Finn e cresciuto con chitarra e pianoforte. Ha anche una band.» O’Keefe alzo le mani. «Avevo una band. Adesso ci ritroviamo solo di rado.» «Il film comunque l’ho trovato fantastico», riprese Edwards. «Lei e uno dei miei attori preferiti.» «Grazie.» «Ha cantato in modo grandioso. Aspetti, come si chiamava la band?» «The Black Sheep.» Edwards parve riflettere, come se ricordasse i Black Sheep ma in quel momento gli sfuggissero i loro successi. O’Keefe sorrise. «Si fidi. Non ha mai sentito parlare di noi.» «Infatti.» Ögi gli mise un braccio intorno alle spalle e abbasso la voce. «Detto fra noi, ragazzo mio, questi sono tutti sbarbatelli. Scommetto che quei due non sanno nemmeno chi era Kurt Cobain.» Mimi guardo incerta prima l’uno e poi l’altro. «Ah, ma allora e realmente esistito?» Ögi estrasse un sigaro, lo taglio e lo accese. «È stato l’eroe tragico di una generazione innamorata del suicidio. Romantici travestiti da nichilisti, affetti da mal de vivre, intrigati da un inespresso amore per la morte... nulla che non fosse gia presente in Schubert e Schumann. E ha fatto un’uscita di scena fulminante. Come si e preparato per la parte, Finn?» «Be’, io...» «Ha cercato di essere lui?» «Per questo avrebbe dovuto imbottirsi di droga. Cobain era perennemente fatto», lo interruppe Edwards. «Magari e andata davvero cos, eh?» disse Ögi. O’Keefe rise e scosse la testa. Era impossibile spiegare in due parole come si recitava la parte di Kurt Cobain o di chiunque altro a un’allegra combriccola di vacanzieri al bordo di una piscina!
«Non si chiama ’Metodo’?» chiese Mimi. «L’attore rinuncia alla sua identita e s’identifica completamente col personaggio, settimane e mesi prima di girare il film. In pratica si sottopone a una sorta di lavaggio del cervello.» «No, non e proprio cos. Io lavoro diversamente.» «E in che modo?» «In modo piu normale. Dovete capire che, di fatto, si tratta soltanto di un lavoro.» Mimi sembro delusa. O’Keefe si sent addosso gli occhi violetti di Heidrun e provo un certo disagio. Lo stavano fissando tutti. «Stavate parlando di un musical, prima », disse a Ögi per cambiare discorso. «Quale?» «Nine Eleven», rispose Ögi. «L’abbiamo visto la settimana scorsa a New York. Lei l’ha visto?» «Non ancora.» «Pensiamo anche noi di andare a vederlo», intervenne Edwards. Ögi emise una nuvola di fumo. «Andateci! Come dicevo, e molto drammatico! Gli autori avrebbero potuto annegare il soggetto in fiumi di pathos, invece hanno optato per un allestimento di grande effetto.» «Dicono che la scenografia sia incredibile», intervenne Mimi, entusiasta. «Un’olografia. Sembra di essere in mezzo all’azione.» «A me piace la canzone del poliziotto e della ragazza. La passano continuamente alla radio. Fino alla morte, baby...» E inizio a canticchiare una melodia. O’Keefe spero di non doversi esprimere sull’argomento. Non aveva la minima intenzione di vedere Nine Eleven. «Le scene mielose non sono il motivo per cui vale la pena andare », sbuffo Ogi. «Certo, le interpretazioni di Jimeno e McLoughlin sono molto buone e lo sono pure quelle delle loro mogli, ma cio che lo rende fantastico sono gli effetti speciali. Quando arrivano gli aerei... ah, da non crederci. E anche il tipo che recita la parte di Osama bin Laden...» «Un basso?» chiese Edwards. «Un baritono.» «Vado a fare una nuotata», intervenne Heidrun. «Chi viene con me? Finn?» Grazie, penso lui. Ando in camera a cambiarsi. Dieci minuti dopo, erano entrambi in piscina a sfidarsi a stile libero. Heidrun stacco il suo avversario per ben due volte e solo alla terza vasca raggiunsero il bordo contemporaneamente. Poi lei si sedette con le gambe nell’acqua. Sempre reggendo il suo sigaro, Walo le mando un bacio e poi si concentro nuovamente nel suo racconto. In quell’istante, entrarono nel bar un uomo dall’aspetto atletico e una donna tutta curve, con una criniera di capelli rosso fuoco.
«Conosci quel tipo?» chiese O’Keefe. «No.» Heidrun incrocio le braccia sul petto. «Deve essere appena arrivato. Forse e quell’investitore canadese. Un nome con la H, Henna o Hanson. La rossa invece l’ho gia vista, pero non ricordo dove.» «Lei?» O’Keefe si scosto i capelli bagnati dalla fronte. «Si chiama Miranda Winter.» «Ah! È vero! Non era stata accusata di omicidio?» L’altro scrollò le spalle. «S, un po’ di tempo fa. È una persona gradevole, se si dimentica il fatto che chiama per nome i suoi seni e ha dilapidato un’eredita di tredici miliardi di dollari. Non so se le accuse di omicidio fossero fondate. Hanno scritto un mare di roba su quella faccenda. Alla fine e stata assolta.» «Dove s’incontra certa gente? Ai party?» «Non frequento i party.» Heidrun si lascio scivolare nell’acqua e si mise sul dorso. I capelli si schiusero come i petali di un fiore bianco. A O’Keefe vennero in mente i racconti sulle sirene, quegli esseri seducenti che uscivano dai flutti per attirare sott’acqua i marinai e rubargli il respiro coi loro baci. «È vero. Tu detesti stare al centro dell’attenzione, vero?» Lui riflette poi disse: «In realta, no». «Appunto. T’innervosisci solo se viene a mancare lo schermo, la barriera che ti separa dagli spettatori. Ti piace suscitare ammirazione, ma ti piace ancora di piu far credere che tutto cio ti sia indifferente.» Lui la fisso, allibito. «È questa l’idea che ti sei fatta di me?» «Quando People ti ha eletto l”uomo piu sexy del pianeta’, tu hai sostenuto di non avere la minima idea del perche le donne si strappino i capelli quando ti vedono.» «Non capisco, davvero», disse O’Keefe. Heidrun rise. «Nemmeno io.» S’immerse nell’acqua. Allontanandosi, la sua silhouette parve dissolversi in un quadro cubista. O’Keefe si chiese se avesse gradito la sua risposta, ma le sue riflessioni furono interrotte dal rombo di un elicottero che si avvicinava. Guardo il cielo e vide un’unica nuvola bianca. Una piccola nuvola solitaria. Piccola e solitaria come lui. Noi due ci capiamo, penso, divertito. Un elicottero entro nel suo campo visivo, oltrepasso la piscina e si preparo per l’atterraggio. «C’e gente in acqua», constato Karla Kramp. Lo disse con freddezza analitica, come se stesse commentando la comparsa di microbi in una capsula di Petri. Non sembrava contenta di dover fare quel viaggio.
Attraverso il finestrino dell’elicottero, Eva Borelius vide una donna dalla pelle chiara scivolare su un fondo turchese. «Mi sa che e ora che impari a nuotare.» «Per te ho gia imparato ad andare a cavallo», rispose Karla Kramp, impassibile. «Lo so.» Eva Borelius si appoggio allo schienale e allungo le membra ossute. «Non si finisce mai d’imparare, tesoro.» Di fronte a loro, Bernard Tautou stava sonnecchiando con la testa reclinata all’indietro e la bocca mezza aperta. Dopo avere trascorso la prima mezz’ora di volo a parlare delle sue stressanti attivita quotidiane, che apparentemente includevano la visita di remote oasi nel deserto e cene informali all’Eliseo, si era assopito, regalando alle compagne di viaggio la possibilita di scrutare l’interno delle sue narici. Tautou era un uomo magro e minuto. I capelli ondulati, visibilmente tinti, iniziavano a diradarsi sulle tempie. Sotto le palpebre pesanti, il suo sguardo aveva qualcosa di apatico che conferiva un’aria malinconica al viso ovale. Un’impressione che scompariva quando lui rideva, sollevando le folte sopracciglia da clown. E Tautou rideva parecchio. Faceva molti complimenti, ma solo per sfruttare le risposte dell’interlocutore come rampa di lancio per parlare di se stesso. Quando si rivolgeva alla moglie, una frase su due terminava con n’est-ce pas? e in effetti la funzione di Paulette sembrava esaurirsi nella conferma di cio che il marito aveva detto. Tuttavia, quando Tautou si era appisolato, la donna era diventata piu loquace: aveva parlato un po’ di tutto, dall’amicizia che legava lei e il marito alla presidentessa francese a quanto fosse cruciale per l’umanita creare un modo per accedere alle risorse piu preziose, ormai in esaurimento. Aveva aggiunto che Bernard, in qualita di amministratore delegato del colosso dell’acqua Suez Environnement, aveva condotto personalmente le trattative per la fusione con la Thames Water, e che la nuova societa nata da quell’unione si era fatta carico della gestione del rifornimento idrico globale, di fatto salvando il mondo; seppur in maniera indiretta, quindi, era stato suo marito a salvare il mondo. Stando al suo racconto, il prode Bernard era instancabilmente impegnato nella realizzazione di sistemi idrici nei quartieri piu poveri e miserabili, una specie di santo protettore nella lotta contro la sete. «Ma, scusi, l’acqua non e una risorsa che dovrebbe essere a disposizione di tutta l’umanita?» aveva chiesto Karla. «Certo.» «Eppure e lecito privatizzarla?» Paulette le aveva rivolto uno sguardo impenetrabile. Le palpebre cadenti e la sua acconciatura la facevano somigliare vagamente a Charlotte Rampling, anche se non poteva certo vantare la stessa classe. Inoltre quella era la domanda piu ricorrente nel settore ormai da decenni, percio Paulette aveva assunto un’aria annoiata che non le donava affatto. «Guardi, grazie a Dio la discussione ormai non e piu di moda. Senza privatizzazione non sarebbero
nate le reti di approvvigionamento ne gli impianti di depurazione. A cosa serve avere libero accesso a una risorsa che va oltre le proprie possibilita?» Karla aveva annuito, pensierosa. «Quindi si potrebbe privatizzare anche l’aria che respiriamo?» «Come, scusi? No, ovvio.» «Voglio solo capire. La Suez costruisce impianti di approvvigionamento, per esempio in...» «Namibia.» «Namibia, gia. E questo tipo di progetti viene finanziato con gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo?» «S, certo.» «E l’impianto opera a scopo di lucro?» «Per forza, dev’essere cos.» «In altre parole, la Suez realizza profitti privati grazie ai finanziamenti destinati ai Paesi in via di sviluppo?» Ormai Paulette Tautou era chiaramente a disagio ed Eva Borelius aveva sussurrato a Karla: «Ti prego, basta». Il loro viaggio era soltanto all’inizio e lei non aveva nessuna voglia di finire in situazioni imbarazzanti, come capitava sempre quando Karla Kramp affilava il bisturi della sua curiosita. La conversazione si era allora spostata su argomenti piu leggeri e infine le tre donne si erano messe a osservare dal finestrino la piattaforma galleggiante. Per essere piu precisi, Eva e Karla fissavano incantate la linea nera che si protendeva verso il cielo, mentre Paulette la squadrava con diffidenza, senza manifestare la minima intenzione di destare il marito. «Non lo sveglia?» aveva chiesto Eva. «Di sicuro non vorra perdersi lo spettacolo.» «No, no, sono felice quando riesce a dormire. Non ha idea di quanto lavori.» «Ma siamo quasi arrivati, quindi comunque dovra svegliarlo o.» «Ogni secondo e prezioso per lui. Lo sveglierei solo per qualcosa di davvero importante.» Qualcosa di davvero importante, aveva pensato Eva. Okay. Solo quando l’elicottero inizio a scendere verso l’eliporto, Paulette inizio a sussurrare: «Bernard, Bernard...» finche l’uomo non apr gli occhi, confuso, sbattendo le palpebre. «Siamo gia arrivati?» «Stiamo atterrando.» «Cosa?» L’uomo ando su tutte le furie. «Dov’e la piattaforma? Pensavo che avremmo visto la piattaforma.» «Stavi dormendo.»
«Oh! Merde! Perche non mi hai svegliato, cherie? Volevo vedere la piattaforma!» Eva si astenne da ogni commento. Un attimo prima dell’atterraggio noto in lontananza un imponente yacht, bianco come la neve. Poi l’elicottero tocco terra e il portellone laterale si sollevo. Sullo yacht, Rebecca Hsu usc dallo studio, attraverso l’ampio salone rivestito di marmo e usc sul ponte parlando al telefono col suo ufficio di Taipei. «È assolutamente irrilevante che cosa pensa il direttore commerciale francese», disse bruscamente. «Stiamo parlando di un profumo per dodicenni. È a loro che deve piacere, non a lui. Se comincia a piacere a lui, abbiamo commesso un errore.» Dall’altra parte della linea giunse una voce concitata. Con passi rapidi, Rebecca si diresse a poppa dove l’attendevano il primo ufficiale, il comandante e un motoscafo. «Ho capito, non sono mica stupida: e ovvio che intendano gestire loro la campagna promozionale. Vogliono sempre fare da se. Questi francesi sono terribilmente complicati. Abbiamo lanciato il profumo sul mercato tedesco, italiano e spagnolo senza trattamenti speciali per nessuno ed e sempre andata bene. Non capisco perche ora proprio la Francia... Come, scusa? Cos’ha detto?» L’informazione fu ripetuta. «Cazzate, io amo la Francia», urlo Rebecca, indignata. «E anche i francesi! È solo che sono stufa di questa continua ribellione. Ho acquistato il loro amato marchio, prima o poi dovranno farsene una ragione. Finche si tratta di Dior e compagnia, possono fare quello che vogliono ma, per le nostre creazioni, mi aspetto un’assoluta collaborazione.» Getto uno sguardo all’Isla de las Estrellas, che sorgeva dal Pacifico come un mostro marino. L’aria era immobile, nemmeno un filo di brezza. Il mare si stendeva come una pellicola scura da orizzonte a orizzonte. Chiuse la comunicazione e si rivolse ai due uomini in livrea. «Allora? Avete ripetuto la richiesta?» Il comandante scosse il capo. «Sono molto dispiaciuto, Madame. Non abbiamo ottenuto l’autorizzazione.» «Non riesco proprio a capire quale sia il problema.» «Le imbarcazioni private non possono avvicinarsi all’Isla del las Estrellas e alla piattaforma. Lo stesso vale per lo spazio aereo. L’intera zona e off-limits. Se non si fosse trattato di lei, avremmo dovuto aspettare il loro elicottero. In via del tutto eccezionale, ci hanno autorizzato a portarla a terra col nostro motoscafo. » Rebecca sospiro. Non era abituata a sottostare alle regole degli altri. D’altra parte, la prospettiva di un viaggio in motoscafo era sufficiente per farle tornare il buonumore, quindi non vide la necessita d’insistere. «I bagagli sono a bordo?» «Certo, Madame. Le auguro una buona vacanza.»
«Grazie. Che aspetto ho?» «Perfetto, come sempre.» Sì, magari, penso lei. Da quando aveva raggiunto i cinquanta, combatteva una lotta disperata contro i segni del tempo. Il campo di battaglia consisteva in diversi attrezzi ginnici, in piscine con impianti per il nuoto controcorrente, in percorsi privati per il jogging e nel suo yacht di centoquaranta metri, che lei aveva fatto costruire in modo tale da poter correre sul ponte senza ostacoli di nessun tipo. Dal momento in cui aveva lasciato Taiwan, aveva corso tutti i giorni. Con una disciplina ferrea aveva anche risolto il problema della sua fame nervosa, eppure il suo corpo continuava a lievitare. Se non altro, l’abito che indossava metteva in risalto quello che era rimasto del giro vita, oltre a essere adeguatamente stravagante. Il «nido d’uccello», come veniva chiamata la sua pettinatura negli ambienti della moda, mostrava il caratteristico disordine e il trucco era impeccabile, come sempre. Quando il motoscafo si stacco dallo yacht, lei era di nuovo al telefono. «Arriva Rebecca Hsu», disse Norrington nella ricetrasmittente. Lynn lascio la cucina dello Stellar Island Hotel, controllo brevemente la hall, diede alcune istruzioni ai suoi assistenti e usc nella luce del sole. «Ha portato guardie del corpo?» volle sapere. «No. In compenso ha chiesto piu volte se fossimo davvero decisi a non concederle l’autorizzazione ad attraccare.» «Scusa? Rebecca vuole parcheggiare il suo dannato yacht qui da noi?» «Si calmi. Abbiamo tenuto duro. Sta arrivando col motoscafo. » «Ah, bene. Tra quanto sara qui?» «Tra circa dieci minuti. Sempre che non finisca in mare strada facendo.» L’idea sembrava divertire Norrington. «In zona ci sono sicuramente un paio di squali affamati, no? L’ultima volta che ho visto la nostra amica, sembrava perfetta per sfamare un intero branco.» «Se Rebecca venisse sbranata, lei sarebbe il dessert.» «Spiritosa e rilassata come sempre», disse Norrington sospirando, e chiuse la conversazione. Con passo veloce, Lynn s’incammino lungo il sentiero, mentre il suo spirito si frammentava in una decina di Lynn preoccupate che ispezionavano le diverse aree dell’hotel. Le era sfuggito qualcosa? Tutte le suite degli ospiti erano pulite e pronte ad accoglierli. Preparando le camere, aveva cercato di soddisfare le predilezioni di ciascuno di essi. Gigli, montagne di litchi e di frutti della passione per Rebecca Hsu; lo champagne preferito di Momoka Omura; un volume di lusso sulla storia delle corse automobilistiche sul guanciale di Warren Locatelli; riproduzioni di arte asiatica e russa sulle pareti degli Ögi; vecchi giocattoli di latta per Marc Edwards; la biografia di Mohammed Ali con alcune foto inedite per il buon vec-
chio Chucky; essenze da bagno al cioccolato per Miranda Winter. I gusti degli ospiti venivano accontentati anche nel menu del ristorante. I fantasmi delle preoccupazioni di Lynn sospirarono nelle saune e nelle Jacuzzi del centro benessere, strisciarono gelidi attraverso il campo da golf, si sparsero, freddi e umidi, nello Stellar Island Dome, il centro multimediale sotterraneo. E non trovarono niente fuori posto. Cio che doveva funzionare stava funzionando. Inoltre nessuno si sarebbe accorto che non erano riusciti a ultimare i preparativi. A meno che agli ospiti non venisse in mente di curiosare in giro per l’hotel. Nella maggior parte delle camere erano ancora ammucchiati attrezzi da lavoro e sacchi di cemento, e l’imbiancatura era stata eseguita solo a meta. Sapendo che non sarebbero stati pronti per l’inaugurazione, Lynn si era concentrata sui lavori nelle suite assegnate agli ospiti. La cucina, per esempio, funzionava solo in parte: sarebbe stata piu che sufficiente per viziare gli ospiti, ma non per sfamare i trecento visitatori per cui l’hotel era stato concepito. Lynn si fermo a osservare il transatlantico luccicante che sembrava fondersi col basalto. Come se la sua immobilita fosse un segnale, da uno scoglio vicino si alzo uno stormo di uccelli che, lanciando acuti richiami, formarono una nuvola svolazzante, diretta verso l’interno. La donna rabbrivid. Immagino gli uccelli scagliarsi contro la struttura, ricoprirla coi loro escrementi, smantellarla, graffiarla e cacciare verso il mare le persone che si trovavano all’interno. Vide i cadaveri galleggiare nella piscina, il sangue tingere l’acqua e i sopravvissuti correre verso di lei, accusandola di non aver impedito quell’assalto. Piu di tutti, sentiva gridare Julian... Non si rese conto che pure il personale dell’albergo si era fermato e scrutava ansiosamente prima lei e poi l’hotel, avanti e indietro. Tutti apparivano smarriti ed esitanti: pareva che Lynn stesse assistendo al Giudizio Universale. Dopo un minuto di totale irrigidimento, la donna torno in se e riprese a percorrere il sentiero verso il porto. Dall’altura sopra la piscina dove si era sistemato, Andrew Norrington la osservo mentre s’incamminava, e poi giro lo sguardo all’intorno. Da l, poteva scorgere gran parte della riva orientale. Nel porto - un’insenatura naturale ampliata con gli esplosivi -, erano ancorate numerose piccole imbarcazioni, soprattutto motovedette e alcuni Zodiac riconoscibili dalla caratteristica O dell’Orley Enterprises. Ci sarebbe stato spazio a sufficienza per lo yacht di Rebecca Hsu, ma Norrington non aveva intenzione di concederle un trattamento speciale. Tutti gli altri avevano raggiunto l’isola con gli elicotteri della societa di Orley, come stabilito. Perche non doveva farlo anche lei? Poteva ritenersi gia fortunata ad avere ottenuto il permesso di raggiungere l’isola via mare. Mentre si dirigeva verso la piscina, Norrington penso alla figlia di Julian. Anche se non gli piaceva particolarmente, rispettava la sua autorita e la sua competenza. Fin da giovanissima,
aveva dovuto accollarsi un enorme carico di responsabilita e, a dispetto degli invidiosi e degli scettici, era riuscita a portare l’Orley Travel ai primi posti del settore turistico. Lo Stellar Island Hotel era senza dubbio uno dei suoi capolavori, anche se restava molto lavoro da fare. Tuttavia il suo splendore impallidiva di fronte all’Orley Space Station Grand e al Gaia Hotel. Nessuno era mai riuscito a realizzare niente di simile. A meno di quarant’anni, Lynn era gia una leggenda all’interno del gruppo, e quei due hotel erano finiti. Norrington alzo il capo e socchiuse le palpebre, guardando il sole. Poi, con aria distratta, si diede un colpetto su una spalla, facendo cadere un ragno grande come il palmo di una mano, entro nella zona della piscina da una stradina laterale, bordata da felci e conifere, e inizio la perlustrazione. Nel frattempo, quasi tutta la comitiva si era radunata l. Tra drink e stuzzichini, gli ospiti iniziavano a conoscersi. Julian aveva selezionato i partecipanti in modo molto intelligente. Nel complesso, quel gruppetto eterogeneo valeva qualche centinaio di miliardi di dollari: c’erano filantropi come Mukesh Nair, imprenditori dello stampo dei Rogacev e addirittura personaggi come Miranda Winter, che finalmente avrebbe avuto la possibilita di spremere le sue piccole meningi per capire come spendere in modo piu assennato il proprio denaro. Orley aveva intenzione di alleggerire notevolmente il portafoglio di tutti i presenti. Proprio in quel momento, Evelyn Chambers si un al gruppo, guardandosi intorno con un sorriso raggiante. Col passare degli anni era un po’ ingrassata, ma non era nulla in confronto allo spropositato aumento di volume di Rebecca Hsu. Norrington prosegu, pronto a tutto. «Mimi, Marc! Che piacere vedervi.» Evelyn era riuscita a superare la nausea ed era nuovamente in grado di comunicare. Con Mimi Parker nacque subito una certa intesa e anche Marc alla fine si rivelo una persona piacevole. Fece un cenno a Momoka Omura e bacio sulle guance Miranda Winter, che accoglieva tutti con un «Uauuuuuuuuu!» che sarebbe stato perfetto per un impianto di allarme e concludeva ogni discorso con un «Oh, yeah!» pieno di entusiasmo. L’ultima volta che aveva visto Miranda, quest’ultima aveva i capelli blu acciaio e ora la ritrovava con una tinta rosso fuoco che la faceva somigliare a un estintore. Un’applicazione in filigrana abbelliva la fronte dell’ex modella. I seni erano strizzati in un abito che copriva a malapena la curva del fondoschiena, cos stretto in vita da suggerire l’impressione che potesse spezzarsi in due da un momento all’altro. Coi suoi ventotto anni, Miranda era la piu giovane degli ospiti, ma si era sottoposta a una tale quantita d’interventi di chirurgia plastica che il semplice elenco delle sue operazioni dava da vivere a centinaia di riviste di gossip; per non parlare poi delle sue sregolatezze, dei suoi eccessi e degli strascichi del processo. Evelyn indico l’applicazione sulla fronte. «Bella», disse, cercando di non fissare i due prorompenti pianeti che spuntavano dalla scollatura della donna e che attiravano il suo sguardo
verso il basso come una calamita. Tutti sapevano che Evelyn era bisessuale. La divulgazione del suo menage à trois col marito e con l’amante lesbica le era costata la candidatura a New York. «È indiana», spiegò Miranda, compiaciuta. «È il momento astrale dell’India, lo sapevi?» «Ah, s?» «Gia, pensa! Le stelle dicono che stiamo andando verso un’era indiana. È meraviglioso. La trasformazione comincera in India. L’umanità cambiera. Prima l’India e poi il mondo intero. Non ci saranno piu guerre.» «Chi te l’ha detto, tesoro?» «Olinda.» Olinda Brannigan era un’attrice che viveva a Beverly Hills, secca come uno stoccafisso. Miranda la consultava per farsi leggere le carte e predire il futuro. «E cos’altro dice Olinda?» «Che bisogna boicottare i prodotti cinesi. La Cina colera a picco.» «Per colpa del deficit commerciale?» «Per colpa di Giove.» «E quest’abito che indossi?» «Bello, vero? Dolce & Gabbana.» «Dovresti togliertelo.» «Ma cosa stai dicendo? Qui?» Miranda lancio uno sguardo furtivo all’intorno. «Adesso?» «Ècinese.» «Ma smettila! È italiano!» «È cinese, cara», ribadì Evelyn, senza nascondere una punta di soddisfazione. «Rebecca Hsu ha comprato Dolce & Gabbana l’anno scorso.» «Ma deve proprio comprare tutto, quella donna?» Per un attimo, Miranda sembro davvero turbata dalla notizia. Poi la sua indole solare ebbe il sopravvento. «Mah, fa lo stesso. Magari Olinda si e sbagliata.» Scrollo le spalle. «In ogni caso non sto piiiiiiu nella pelle per questo viaggio. Strillero tutto il tempo!» Evelyn non dubito nemmeno per un istante della serieta di quella minaccia. Lascio vagare lo sguardo e vide i Nair, i Tautou e i Locatelli parlare tra loro. Poi Olympiada si un al gruppo. D’un tratto, si rese conto che Oleg Rogacev la stava fissando. Lui le fece un cenno col capo, si diresse verso il bar e subito dopo la raggiunse con un bicchiere di champagne. Glielo porse col suo solito sorriso enigmatico. «A quanto pare saremo sottoposti al suo giudizio anche nello spazio», disse in un inglese con forte cadenza slava. «Dovremo stare molto attenti a quello che diciamo. »
«Sono qui in veste privata. Ma, ovviamente, se qualcuno sentisse la necessita di confidarmi qualcosa...» ammicco lei. Rogacev ridacchio senza perdere l’espressione glaciale. «Lo faro di certo, anche solo per il piacere della sua compagnia.» Guardo verso la piattaforma. Il sole ormai era basso dietro il vulcano e illuminava l’isola artificiale di colori caldi. «Ha frequentato anche lei un corso di preparazione? L’assenza di gravita non e cosa da tutti.» Evelyn sorseggio lo champagne. «Presso l’Orley Space Center. Voli parabolici, simulazione in piscine da immersione, tutto il programma insomma. E lei?» «Un paio di voli suborbitali.» «È emozionato?» «Sono teso.» «Di certo sa a cosa mira Julian, con questo evento.» L’osservazione fluttuo nell’aria, in attesa di essere afferrata. «E lei vorrebbe sapere qual e la mia opinione in proposito», disse infine Rogacev. «Be’, non sarebbe qui se non avesse gia riflettuto sulla questione. » «E lei?» Evelyn rise. «Lasci stare. In questo gruppo, io sono una specie di mascotte. Non credo che Julian stia mirando ai miei risparmi. » «Se tutte le mascotte potessero vantare la sua situazione patrimoniale, cara Evelyn, potrebbero governare il mondo.» «La ricchezza e relativa, Oleg, come lei sa bene. Julian e io siamo vecchi amici. Mi piacerebbe pensare che sia questo che l’ha spinto a invitarmi, ma so benissimo che l’ha fatto perche io gestisco un capitale piu importante del denaro.» Rogacev annu. «L’opinione pubblica. Anch’io l’avrei invitata, al posto suo.» «Lei invece e ricco! Quasi tutti i presenti sono ricchi, molto ricchi. Se ognuno di voi mettesse sul tavolo solo un decimo del proprio patrimonio, Julian potrebbe costruire senza problemi un secondo ascensore spaziale e una seconda Orley Space Station.» «Orley non permettera a nessuno dei suoi azionisti d’influenzare in modo determinante le sorti dell’azienda. Io sono russo. Noi abbiamo i nostri programmi. Perche dovrei sovvenzionare l’astronautica americana?» «Me lo sta chiedendo sul serio?» «Gia.» «Perche lei e un uomo d’affari. Gli Stati possono pure avere vari interessi, ma che se ne fanno se mancano i fondi e il know-how? Julian Orley ha salvato dal baratro l’astronautica americana, pero, cos facendo, ne ha segnato la fine. Adesso il capo e lui. I programmi spaziali, almeno quelli degni di nota, sono quasi tutti in mano di privati, e il vantaggio di Julian in
questo settore e incolmabile. Ormai pure a Mosca dovrebbero sapere che lui se ne infischia degli interessi nazionali. È semplicemente alla ricerca di gente che la pensi come lui.» «Si potrebbe pure dire che se ne infischia della lealta.» «Julian e leale verso i propri ideali, che lei ci creda o no. Di fatto, lui puo cavarsela senza la NASA; senza di lui, la NASA non va da nessuna parte. L’anno scorso ha presentato alla Casa Bianca una richiesta di finanziamento per un secondo ascensore, mettendosi in una posizione di forte dipendenza dallo Stato in quanto fornitore del know-how. Ma, invece di sfruttare l’occasione per legare Julian a se, il Congresso ha accolto il progetto con perplessita. L’America non ha ancora capito che Julian considera gli USA un investitore come chiunque altro.» «E, dato che attualmente la potenza di quest’ultimo investitore sembra ridotta, Julian sta cercando di allargare la cerchia dei partner.» «Esatto. Non gliene importa un accidente se lei e russo o marziano.» «D’accordo. Ma perche io non dovrei investire nel programma spaziale del mio Paese?» «Dovrebbe chiedersi se vuole davvero affidare il suo denaro a una nazione che sara anche la sua patria ma che, a livello tecnologico, e terribilmente arretrata.» «L’astronautica russa e tanto privatizzata ed efficiente quanto quella americana.» «Ma voi non avete un Julian Orley. E, al momento, non vedo figure del genere all’orizzonte. Ne in Russia, ne in India, ne tantomeno in Cina. Neanche i francesi o i tedeschi ne hanno uno. Il Giappone sta girando in tondo. L’idea d’investire denaro nel tentativo d’inventare qualcosa che altri hanno gia inventato da tempo solo per patriottismo piu che leale mi sembra sentimentale. » Lo guardo negli occhi. «Lei non mi sembra un tipo incline al sentimentalismo. In Russia si attiene alle regole del gioco, tutto qui. Ed e poco legato alla sua patria, proprio come lo e Julian nei confronti di ognuno di noi.» «A quanto pare e convinta di sapere molte cose sul mio conto.» Evelyn scrollo le spalle. «So solo che Julian non pagherebbe a nessuno il viaggio piu dispendioso del mondo solo per amore verso il prossimo.» «E lei?» chiese Rogacev a un uomo dalla corporatura atletica che si era unito a loro mentre parlavano. «Lei perche si trova qui?» «Per via di una disgrazia.» L’uomo si avvicino e porse la mano destra a Evelyn. «Carl Hanna.» «Evelyn Chambers. Si riferisce all’attentato a Palstein?» «Infatti. Avrebbe dovuto esserci lui al mio posto. So che non dovrei esserne felice, considerate le circostanze...» «Ma si è liberato un posto per lei e ne è felice. È comprensibile. »
«In ogni caso, e un piacere conoscerla. Guardo Chambers ogni volta che posso.» Getto uno sguardo verso l’alto. «Ha intenzione di fare una trasmissione lassu?» «Non si preoccupi, il mio e un viaggio privato. Julian ha in mente di farmi girare uno spot pubblicitario in cui celebro le bellezze dell’universo. Per promuovere il turismo spaziale. Conosce Oleg Alekseevic Rogacev?» «RogaMittal», sorrise Hanna. «Ma certo. Abbiamo persino una passione in comune.» «Che sarebbe?» «Il calcio.» «È appassionato di calcio?» La faccia da volpe dell’impenetrabile russo sembro ravvivarsi. Ah-ah, penso Evelyn. Ecco un primo indizio su Hanna. Guardo con interesse il fisico muscoloso del canadese, privo della goffaggine tipica dei body-builder. Capelli e barba rasati, sopracciglia folte e fossetta sul mento: sarebbe stato perfetto in qualsiasi film di guerra. Parlando di calcio, Rogacev, in genere molto diffidente verso gli sconosciuti, inizio a gesticolare in modo euforico. Tuttavia stavano parlando di un argomento di cui Evelyn non capiva niente, quindi lei decise che era meglio andarsene e si congedo. Al bar, s’imbatte in Lynn Orley che le presento i Nair, i Tautou e Walo Ögi. Il gioviale svizzero le piacque subito. Narcisista e con una bizzarra propensione al pathos, si rivelo esperto del mondo, ma con modi all’antica. In generale non si parlava d’altro che dell’imminente viaggio. Evelyn constato con piacere che non c’era bisogno di sforzarsi per attirare l’attenzione di Heidrun Ögi. La donna la saluto subito con entusiasmo e non perse l’occasione di presentarle Finn O’Keefe, che le regalo uno sguardo tormentato. Evelyn riusc a non porgli nemmeno una domanda per cinque minuti e arrivo addirittura a promettergli di non farlo neanche in seguito. «Per sempre?» chiese O’Keefe, scettico. «Per tutte le prossime due settimane», gli assicuro lei. «Poi ci riprovero.» Non fissare Heidrun si rivelo ancora piu difficile che sfuggire al campo gravitazionale dei seni di Miranda Winter, ondeggianti colline di piacere che promettevano delizie, ma non facevano perdere troppo la testa. Nell’insieme, Miranda non era niente di speciale. Fare sesso con lei, penso Evelyn, sarebbe stato come leccare un vasetto di miele: dolce e allettante all’inizio, quindi un po’ insapore, alla lunga noioso e per di piu col rischio, alla fine, di sentirsi male. Invece il fisico anoressico e senza pigmenti di Heidrun, i suoi capelli bianchi e la sua pelle candida come la neve promettevano un’esperienza erotica sconvolgente. Evelyn sospiro. In quell’ambiente non poteva permettersi scappatelle; oltretutto era palese che Heidrun non aveva il minimo interesse per le donne. Almeno in quel senso.
Poco piu in la intravide la sagoma di Chuck Donoghue. Il mento si protendeva, imperioso, e i capelli rossicci, che cominciavano a diradarsi, erano freschi di messa in piega. Stava discutendo animatamente con due donne. Una era alta e ossuta, coi capelli rossicci; l’altra, mora e dall’aspetto delicato, sembrava uscita da un quadro di Modigliani. Eva Borelius e Karla Kramp. A intervalli, il comizio di Chuck veniva interrotto dai materni commenti in falsetto di Aileen Donoghue. Ci si sarebbe aspettati di vedere quella donna dalle gote rosate e dai ciuffi cotonati color argento correre a servire agli ospiti una torta di mele fatta con le sue mani. Secondo alcune voci, se non era impegnata ad aiutare il marito nell’amministrazione del loro impero alberghiero, si dilettava davvero a sfornare torte. In ogni caso, per riuscire a parlare con Eva Borelius, Evelyn Chambers avrebbe dovuto sorbirsi anche le spiritosaggini di Chuck, quindi si mise alla ricerca di Lynn. La vide parlare con un uomo che le somigliava incredibilmente. Gli stessi capelli biondo cenere, gli stessi occhi blu... il DNA degli Orley. Avvicinandosi, ud Lynn dire all’uomo: «Non preoccuparti, Tim, non mi sono mai sentita meglio ». Ma l’uomo la scrutava con aria di rimprovero. «Scusate, temo di disturbare», disse Evelyn, e fece per andarsene. «Nient’affatto.» Lynn la trattenne per il braccio. «Anzi... conosci mio fratello?» «Non ho avuto il piacere.» «Non faccio parte dell’azienda», disse Tim freddamente. A Evelyn sembrava di ricordare che il figlio di Julian avesse voltato le spalle all’azienda di famiglia alcuni anni addietro. Si vociferava che avesse un rapporto molto stretto con la sorella, ma che la relazione col padre si fosse deteriorata dopo la morte della madre, scomparsa dopo una grave malattia mentale. Lynn non le aveva mai rivelato altro, se non che Amber, la moglie di Tim, non condivideva il risentimento del marito nei confronti di Julian. «Sai per caso dov’e Rebecca?» chiese Evelyn. «Rebecca?» Lynn aggrotto le sopracciglia. «Dovrebbe arrivare da un momento all’altro. L’ho appena accompagnata nella sua suite.» In realta, a Evelyn non importava sapere dove fosse Rebecca Hsu e con chi stesse sbraitando al telefono. Aveva semplicemente avuto la sensazione che la sua presenza in quel momento fosse del tutto inopportuna e voleva trovare una scusa per svignarsela con eleganza. «Allora? Ti piace?» le domando Lynn. «È fantastico... Ho sentito che Julian non arrivera prima di dopodomani.» «S, e bloccato a Houston. I nostri partner americani lo stanno stressando.» «Ne ho sentito parlare.» «Ma allo show sara presente.» Lynn ridacchio. «Sai com’e fatto. Adora i coups de theâtre.»
«Be’, in questo caso, e anzitutto il tuo show», replico Evelyn. «Hai fatto un lavoro magnifico, Lynn. Congratulazioni! Tim, deve essere fiero di sua sorella.» «Grazie, Evy! Grazie davvero», esclamo Lynn. Tim Orley annu. Evelyn si sent decisamente di troppo. Strano, in realtà non sembra affatto un giovanotto antipatico, penso. Che problema ha? Ce l’ha con me? Sono arrivata nel momento sbagliato? «Verra lassu anche lei?» gli chiese. «Io, eh... s, certo, e il grande momento di Lynn.» Si sforzo di sorridere e attiro a se la sorella, mettendole un braccio intorno alle spalle. «Mi creda, sono terribilmente fiero di mia sorella.» Quelle parole esprimevano un tale calore che Evelyn fu sul punto di commuoversi. Ma il tono di Tim diceva anche: «Vattene, Evelyn». Torno al party un po’ perplessa. Il crepuscolo fu breve ma incantevole. Il sole si era dissolto in mille raggi rossi e rosa prima di scomparire nel Pacifico. Nel giro di pochi minuti, calo l’oscurita. Data la posizione dello Stellar Island Hotel, sul versante orientale dell’isola, per la maggior parte degli ospiti il sole non era tramontato nel mare, ma scivolato lentamente dietro la dorsale vulcanica. Solo O’Keefe e gli Ögi erano riusciti a godersi quello spettacolo. Avevano lasciato il party e avevano raggiunto la cupola di cristallo che consentiva di dominare con lo sguardo tutta l’isola e il suo versante occidentale, inaccessibile e ricoperto da una fitta vegetazione tropicale. «Dio mio. Nient’altro che acqua, ovunque si guardi», mormoro Heidrun, fissando l’orizzonte. «Bella scoperta, tesoro.» La voce di Ögi usc dalla nuvola di fumo del suo sigaro. Aveva sfruttato l’occasione per cambiarsi d’abito e ora indossava una camicia blu e un foulard un po’ demode. Heidrun si giro verso di lui. «Quanto sei sciocco. Ci troviamo su una dannata roccia in mezzo al Pacifico. Capisci cosa significa? » Dalla bocca di Ögi usc una galassia a spirale. «Finche non finiscono gli Havana, a me va benissimo stare qui.» Mentre i due parlavano, O’Keefe inizio a gironzolare. Meta della terrazza era coperta dall’imponente cupola di vetro dalla quale prendeva il nome. Erano stati apparecchiati solo pochi tavoli per la cena, ma lui aveva saputo da Lynn che il ristorante poteva ospitare fino a trecento persone. Guardo verso est. La piattaforma galleggiava luminosa in mezzo al mare. La vista era meravigliosa; solo la fune dell’ascensore era avvolta dall’oscurita. «Forse presto avrai nostalgia di questa dannata roccia», disse. Heidrun sorrise. «Ah, s? Magari ti terro anche la mano... ’Perry’.» A O’Keefe sfugg una risatina nervosa. Per anni, con l’ostinazione di un mulo, si era dedicato al cinema non commerciale, scegliendo esclusivamente ruoli da disadattato; di con-
seguenza era rimasto sorpreso piu di chiunque altro quando aveva vinto l’Oscar per l’interpretazione di Kurt Cobain in Hyperactive. Quel film era diventato la prova provata delle sue capacita. Nessuno poteva negare che il timoroso irlandese dallo sguardo ambrato, dai tratti regolari e dalle labbra sensuali avesse dato il meglio di se in produzioni low o no-budget, in oscuri film d’autore e in drammi d’avanguardia. Saggiamente, in seguito, aveva evitato i film di cassetta, continuando ad accettare solo i ruoli che lo convincevano. Ma d’un tratto cio sembrava andare a genio a tutti. Se gli piaceva un soggetto, poteva lavorare con registi dell’Azerbaigian per cifre ridicole, come se nulla fosse cambiato. Rendeva onore alle proprie origini interpretando James Joyce. S’impegnava per i senzatetto e per le vittime della droga. Le sue attivita meritorie dietro le quinte e davanti alle telecamere erano cos numerose che il suo passato era sprofondato in una specie di nebbia: nato a Galway, nella provincia irlandese del Connacht, madre giornalista e padre tenore, impara presto a suonare il pianoforte e la chitarra, recita in teatro per vincere la timidezza, fa la comparsa in film per la TV e gira spot pubblicitari. All’Abbey Theatre di Dublino, il grande salto: passa dai ruoli secondari a quelli principali. Si esibisce al Black Sheep Bar di Croydon, a Londra, e nell’O’Donoghues Pub a Dublino, scrive poesie e racconti brevi. Vive anche per quasi due anni presso i Pavee, gli zingari d’Irlanda, per un puro e romantico senso di comunione con la gloriosa Éire. E infine interpreta in modo cos convincente il ruolo di figlio ribelle di un contadino nella serie televisiva Mo ghra thu che Hollywood lo chiama. Quella era la sua storia. Non era neppure male. E, in un certo senso, era la verita. Raramente si parlava del fatto che, gia da bambino, il timido Finn fosse propenso a dare in escandescenze e a spaccare i denti ai compagni di scuola, che non avesse voglia di studiare e che, quando si era trattato di prendere una decisione sul proprio futuro, inizialmente fosse sprofondato nell’apatia. Non venivano citati la rottura coi genitori ne il consumo smodato di alcol e di droga. Del primo anno trascorso coi Pavee, lui non ricordava praticamente nulla, dato che per la maggior parte del tempo era stato ubriaco o fatto, o entrambe le cose. Dopo la statalizzazione dell’Abbey Theatre, un produttore tedesco gli aveva offerto la possibilita di essere protagonista nell’adattamento cinematografico del romanzo di Patrick Suskind Il profumo, ma lui non si era presentato al provino - stava dormendo, completamente sbronzo, addosso a una prostituta dublinese - e Ben Whishaw aveva ottenuto la parte. Per non parlare dei molti ingaggi persi per motivi simili e di quand’era stato sbattuto fuori dalla serie televisiva; il tutto seguito da altri due anni di vita depravata in compagnia dei nomadi fino al riavvicinamento coi genitori e alla disintossicazione. Il mito era nato piu tardi. Partiva da Hyperactive e arrivava a quel memorabile giorno del gennaio 2017 in cui uno sceneggiatore disoccupato di origini tedesche si era ritrovato fra le mani un piccolo quaderno vecchio di cinquant’anni, e la cosa aveva segnato l’inizio di un
fenomeno letterario senza precedenti. Una soap opera galattica mai data alle stampe in America, ma che aveva le potenzialita per trasformarsi nella serie di fantascienza di maggior successo di tutti i tempi. Il protagonista era un astronauta di nome Perry Rhodan, interpretato da O’Keefe con la sua abituale leggerezza, come se non gliene importasse molto del successo. O’Keefe aveva trasformato l’inappuntabile Perry in un tontolone temerario che, quasi per sbaglio, aveva edificato Terrania, la capitale dell’umanita, nel deserto del Gobi, e poi si era perso nell’immensita della Via Lattea. Era bastata la prima del film per inghiottire il suo passato. Da allora, O’Keefe aveva interpretato Perry in altri due film. Aveva completato un training presso l’Orley Space Center e lottato contro la nausea a bordo di un Boeing 727 modificato per il volo parabolico. In quell’occasione, aveva conosciuto e imparato ad apprezzare Julian Orley, col quale aveva stretto amicizia, fondata sul comune amore per il cinema. Magari ti terro anche la mano... Perche no? penso O’Keefe, ma si trattenne dall’esprimere qualsiasi commento per non urtare Walo, anche perche aveva il forte sospetto che Heidrun lo amasse davvero. Non c’era bisogno di essere un genio per capirlo: bastava ascoltare quello che si dicevano e osservare il modo in cui si guardavano e si toccavano. Meglio non impegolarsi in un flirt. Almeno per il momento. Nello spazio, comunque, tutto poteva anche cambiare. Limit 20 MAGGIO 2025 IL PARADISO SHENZHÈN SHÌ , PROVINCIA DI GUNGDNG, CINA MERIDIONALE Owen Jericho aveva buone possibilita di entrare in Paradiso entro sera, e l’idea non gli piaceva affatto. C’era gente che avrebbe dato qualunque cosa per entrarci. Per raggiungere il Paradiso, bisognava essere spinti da una libidine smodata, dalla dolcezza corrotta che nasceva da un perverso amore per i bambini, da inclinazioni sadiche e da un ego tanto perverso da giustificare, in chiave sentimentale, ogni atto ripugnante. Molti di quelli che desideravano ardentemente accedervi si consideravano alfieri della liberazione sessuale di coloro che cadevano nelle loro grinfie. Per quegli individui, la cosa piu importante era il controllo. La maggior parte di loro si considerava del tutto normale ed era convinta che i veri pervertiti fossero coloro che li ostacolavano. Alcuni addirittura rivendicavano il legittimo diritto alla perversione; altri si ritenevano semplici uomini d’affari. Nessuno di loro avrebbe mai tollerato l’umiliazione di essere considerato malato o debole; in tribunale, pero, tutti si sforzavano di convincere i periti della loro infermita mentale, della loro incapacita di resistere al richiamo della natura. Si
descrivevano come individui bisognosi di comprensione e cure. Poi, una volta fuori, in incognito e in pieno possesso delle proprie facolta mentali, ritornavano di slancio nel parco giochi della loro morbosa fantasia, nel Paradiso dei Piccoli Imperatori. Per loro, era un luogo paradisiaco, senza dubbio. Per i Piccoli Imperatori, non lo era affatto. Per i bambini era un inferno. Owen Jericho indugio. Sapeva che non avrebbe potuto seguire Animal Ma oltre quel punto. Lo osservo, notando per l’ennesima volta le sue lenti spesse un dito, che ingrandivano gli occhi in modo spropositato e gli conferivano un’espressione di costante stupore. Animal Ma stava attraversando il piazzale, facendo ondeggiare il sedere. La sua andatura era determinata da una coxalgia e induceva a credere che sarebbe stato facile avere ragione di lui. Tuttavia il soprannome di Ma Lpng - quello era il suo vero nome - non era casuale. Benche lui desse a intendere che il soprannome «Animal» gli fosse stato imposto e che la cosa lo mettesse a disagio, era davvero un individuo aggressivo e pericoloso. Ma anche molto astuto. Altrimenti non sarebbe riuscito a ingannare le autorita, raccontando per anni la balla che aveva chiuso con la pedofilia. Sosteneva di essere la prova vivente della riuscita degli esperimenti di reintegrazione, collaborava con la polizia nella lotta alla pedopornografia un’epidemia dilagante in Cina - e forniva indizi per la cattura dei pesci piccoli. Insomma faceva il possibile per sottrarsi alla giustizia. Cinque anni di reclusione per pedofilia - ripeteva spesso - erano come cinquecento anni in una camera di tortura. Il sobborgo si trovava ai margini di quell’esteso e marcio tessuto urbano che era la citta di Shenzhen Sh, nella Cina meridionale, e aveva permesso a Ma, originario di Pechino, di ricominciare da zero. L, nessuno, nemmeno le autorita locali, era a conoscenza dei suoi trascorsi. Ovviamente la polizia del capoluogo conosceva il suo indirizzo di residenza, ma i controlli si erano allentati: era opinione diffusa che la scena pedofila fosse in costante evoluzione e Ma era riuscito a dimostrare di aver tagliato ogni legame con quell’ambiente. Nessuno gli prestava piu attenzione; c’era altro da fare. Si erano aperti nuovi baratri, svelando universi di perversione cos raccapriccianti da far vomitare. Universi come quello del Paradiso dei Piccoli Imperatori. Una volta ammessa l’impossibilita di proteggere, controllare e vessare nel contempo quasi un miliardo e mezzo di persone, con gli enormi problemi di conflittualita sociale che ne derivavano, le autorita cinesi avevano fatto ricorso a soggetti privati. Il progresso tecnologico e informatico aveva permesso loro d’ingaggiare detective informatici specializzati in ogni tipo di crimine e pratiche illegali in rete, e Owen Jericho era considerato uno dei migliori. Il suo curriculum era ineccepibile: spionaggio sul web, attivita di phishing, terrorismo informatico e cos via. Era riuscito a entrare in comunita illegali, si era infiltrato in blog, chat e mondi virtuali, aveva rintracciato persone scomparse servendosi della loro impronta digitale informatica e
spiegava alle aziende come difendersi da attacchi, trojan e rootkit. In Inghilterra, Jericho si era occupato piu volte di casi legati alla pedopornografia; di conseguenza, quando a un gruppo di poliziotti cinesi si erano aperte le porte dell’inferno dei Piccoli Imperatori, Patrice Ho, un funzionario di alto rango della polizia di Shanghai, legato a Jericho da un rapporto di amicizia, aveva chiesto il suo aiuto. Era a causa di quella richiesta che ora Jericho si trovava l a guardare Animal Ma attraversare il piazzale, diretto a una fabbrica di biciclette ormai in disuso. Nonostante il caldo, Jericho rabbrivid. «Piccoli Imperatori»: i cinesi chiamavano cos i loro bambini, con uno slancio che si sarebbe detto piu italiano che orientale. Aver accettato l’incarico lo obbligava a fare una visita al Paradiso dei Piccoli Imperatori, un’esperienza che si sarebbe impressa in modo indelebile nella sua mente, anche se sapeva gia benissimo a cosa sarebbe andato incontro. Entrare nel Paradiso era fondamentale per capire esattamente chi stesse cercando. Quindi si era registrato nel sito e aveva indossato gli occhiali olografici, pronto a tutto. Animal Ma varco la soglia della fabbrica. Di solito, l’amministrazione cittadina appoggiava con convinzione ed entusiasmo il rinnovamento urbanistico. Ma quello non era stato il caso della fabbrica di biciclette. Cos il complesso di edifici era stato colonizzato da artigiani e da artisti piu o meno improvvisati, tra cui una coppia gay che riparava vecchi elettrodomestici e una band etno-metal che faceva a gara con un gruppo mando-prog a chi riusciva a fare piu chiasso. Tutte le sere, i due gruppi scuotevano fin dalle fondamenta quella che era stata la palestra del complesso. In quell’edificio, Ma Lpng aveva un negozio di compravendita in cui si poteva trovare ogni tipo di merce: da economiche imitazioni di vasi Ming a canarini spennacchiati rinchiusi in maneggevoli gabbiette di bambu. Sembrava pero che i suoi clienti - sempre ammesso che ce ne fossero - avessero tutti deciso di partire contemporaneamente. L’investigatore di Shenzhen Sh che collaborava con Jericho aveva iniziato a pedinare Ma il 20 maggio e, per due giorni, non lo aveva mai perso di vista, seguendolo quando usciva dalla sua abitazione per andare al lavoro nella vecchia fabbrica e quando tornava a casa la sera, scattando fotografie e sorvegliando ogni passo claudicante. Alla fine, aveva tirato le somme sul suo giro di clienti: in due giorni solo quattro persone erano entrate nel negozio e una di esse era la moglie di Ma, una cinese del Sud dall’aspetto anonimo e dall’eta indefinibile. La scarsa frequentazione del negozio era parecchio sospetta, considerando che la coppia viveva in un’elegante palazzina di sei appartamenti piuttosto ampi per gli standard locali, una casa che Ma difficilmente avrebbe potuto permettersi coi semplici guadagni della sua attivita di commerciante. La moglie, poi, non aveva neanche un lavoro regolare; di tanto in tanto andava in negozio e vi restava a lungo, presumibilmente per sbrigare la contabilita o per servire clienti inesistenti.
A parte quei due uomini. Per tutta una serie di motivi, Jericho si era convinto che Ma fosse uno dei motori che alimentavano l’attivita del Paradiso dei Piccoli Imperatori, se non addirittura l’unico. Dopo aver circoscritto la rosa degli indiziati a una manciata di pedofili che imperversavano in rete al momento o che si erano fatti notare in passato, la sua attenzione si era concentrata su Animal Ma. Tuttavia, su quel punto, le sue convinzioni e quelle delle autorita divergevano. Mentre Jericho vedeva una nera nuvola d’indizi addensarsi sopra Shenzhen Sh, la polizia era dell’opinione che tutti gli indizi portassero a un uomo proveniente da quell’inferno di smog che era la citta di Lanzhou; di conseguenza, in quelle stesse ore, a Lanzhou era stata lanciata un’operazione che prevedeva perquisizioni a tappeto. Jericho non aveva dubbi: i poliziotti avrebbero trovato qualcosa d’interessante, ma non quello che cercavano. Nel Paradiso regnava la Belva, il Serpente, Animal Ma, ne era certo, ma per il momento gli avevano intimato di non prendere iniziative. Una direttiva che aveva tutta l’intenzione d’ignorare. Indipendentemente dal fatto che la cosa portasse o no la firma di Ma, c’erano troppi misteri, su di lui e su quel posto. Animal Ma poteva anche avere cambiato vita e avere una moglie, pero era un omosessuale e un pedofilo dichiarato. Poi c’era il negozio: non aveva orari regolari e gli uomini che lo frequentavano ne uscivano solo dopo alcune ore. Per non parlare del fatto che quella fabbrica abbandonata era un luogo ideale per occuparsi di affari loschi. Tutti quelli che frequentavano il complesso utilizzavano gli edifici laterali, quelli con accesso diretto dalla strada. Animal Ma e i suoi pochi clienti erano gli unici a entrare nel cortile interno. Prima di partire da Shanghai, Jericho aveva incaricato un poliziotto di presentarsi al negozio, dare un’occhiata in giro e comprare qualcosa, possibilmente un oggetto di cui Ma avesse in magazzino diversi pezzi. Dunque quella mattina, quando aveva deciso di seguire Ma fino al piazzale, Jericho aveva gia un’idea di come muoversi. Attese alcuni minuti nascosto dietro il muro della vecchia fabbrica, poi supero il portone, attraverso il cortile polveroso, s’inerpico per una breve rampa ed entro nello sgangherato negozio ingombro di scaffali e tavoli. Dietro il bancone, il proprietario stava trafficando con alcuni gioielli. Una tenda di perline divideva il negozio da una stanza adiacente, su cui vigilava l’occhio di una telecamera. «Buongiorno.» Animal Ma alzo lo sguardo. Dietro la montatura in corno d’osso, gli occhi ingranditi squadrarono il nuovo cliente con un misto di sospetto e d’interesse. «Ho sentito dire che avete qualcosa per ogni occasione», spiego Jericho.
L’altro esito. Poso il gioiello - una cianfrusaglia opaca e di nessun valore - e sorrise freddamente. «Chi lo dice, se posso chiederlo?» «Un mio conoscente. È stato qui ieri, credo. Cercava un regalo di compleanno.» «Ieri...» ripete Animal Ma. «Ha comprato una trousse per il trucco. In stile Art Deco. Verde, oro e nero. Uno specchio, un portacipria.» «Ah, s!» La diffidenza svan e lascio il posto a un sorriso untuoso. «Un bellissimo oggetto, ora ricordo. Alla signora e piaciuto? » «Il regalo era per mia moglie», rispose Jericho. «E, s, le e piaciuto molto.» «Benissimo. Cosa posso fare per lei?» «Si ricorda il modello?» «Certamente.» «Mia moglie vorrebbe avere anche altri pezzi della stessa serie. Ammesso che ce ne siano.» Il sorriso di Animal Ma si allargo. Dal poliziotto, Jericho aveva saputo che erano in vendita anche una spazzola e un pettine coordinati con la trousse. Con la sua caratteristica andatura zoppicante, Animal Ma usc dal bancone, spinse una piccola scala davanti a uno scaffale e sal. Pettine e spazzola si trovavano su un ripiano piuttosto alto, quindi lui impiego qualche istante per prenderli, dando modo a Jericho di guardarsi intorno. Il negozio era esattamente quello che sembrava. Dietro il bancone - un’imitazione kitsch dello Jugendstil -, c’era una tenda di perline che lasciava intravedere una terza stanza. Sopra di esso, in mezzo al ciarpame, troneggiava un computer apparentemente molto costoso. Animal Ma si tese verso gli oggetti esposti e li tolse goffamente dal ripiano. Jericho evito di avvicinarsi al bancone. Il rischio che l’uomo si girasse proprio in quel momento era troppo grande. Decise invece di spostarsi lateralmente fino a scorgere il riflesso del monitor in una vetrinetta. La superficie luminosa era divisa in tre parti: la prima era fitta di scritte, mentre le altre due mostravano le immagini dalle telecamere di sorveglianza. Benche non potesse distinguere i particolari, Jericho sapeva che una delle videocamere era posta a controllo del negozio, perche in uno dei riquadri vide se stesso. L’altra stanza invece sembrava avvolta dalla penombra e appariva molto piu spoglia. Era forse il retro? «Due pezzi davvero molto belli», disse Animal Ma scendendo dalla scala e porgendo a Jericho pettine e spazzola. Jericho li prese entrambi per esaminarli, accarezzando le setole della spazzola e ispezionando accuratamente i denti del pettine. Perche Animal Ma aveva bisogno di una telecamera per sorvegliare il retro del negozio? Controllare il cortile sarebbe stato logico, ma che senso aveva guardare se stesso mentre lavorava? No, era improbabile. C’era un altro accesso a
quella stanza? «Uno dei denti e rotto», constato. «Sono pezzi antichi», ment Animal Ma. «È il fascino dell’imperfezione. » «Quanto vuole per entrambi?» Animal Ma sparo una cifra esorbitante. Jericho fece una controfferta non meno sfacciata, come si faceva di solito. Alla fine si accordarono su una somma che permetteva a entrambi di salvare la faccia. «A proposito... Mi e venuta in mente un’altra cosa», aggiunse Jericho. Animal Ma drizzo le antenne. «Mia moglie ha una collana...» continuo Jericho. «Ah, se solo fossi un po’ piu pratico di gioielli! Mi piacerebbe regalarle un paio di orecchini coordinati e, be’, stavo pensando...» Fece un cenno imbarazzato verso la vetrina. Animal Ma si rilasso. «Posso mostrarle qualcosa», disse. «Purtroppo temo che senza la collana sia inutile.» Jericho finse di riflettere. «Il fatto e che ora ho diversi appuntamenti, ma stasera sarebbe il momento ideale per farle una sorpresa.» «Se mi portasse la collana...» «Impossibile, non c’e tempo. Pero... aspetti un momento. Lei ha un indirizzo e-mail?» «Certo.» Jericho si finse sollevato. «Allora e tutto risolto! Le mando una fotografia, cos lei sceglie con calma degli orecchini adatti, e io passo a ritirarli. Mi farebbe un enorme favore.» «Hmm.» Animal Ma si morse il labbro. «Verso che ora pensava di ripassare?» «Se lo sapessi! Tardo pomeriggio? Verso sera?» «Be’, anch’io nel pomeriggio dovro assentarmi. Facciamo dopo le sei? Potrei rimanere ad aspettarla per un’ora abbondante. » Proclamando la sua gratitudine, Jericho usc dal negozio, riprese l’automobile a noleggio parcheggiata due strade piu in la e si diresse verso un quartiere meno malfamato alla ricerca di una gioielleria. La trovo quasi subito, chiese di vedere le collane piu economiche e di poterne fotografare una col cellulare, sostenendo di volerla mostrare alla moglie. Tornato in macchina, scrisse ad Animal Ma una breve e-mail e allego l’immagine, non prima di aver inserito nel file un trojan. Non appena l’altro avesse aperto l’allegato, il programma si sarebbe autoinstallato, trasmettendo il contenuto del computer di Animal Ma a quello di Jericho. Ovviamente non si aspettava che Animal Ma fosse tanto stupido da salvare file pericolosi su un computer cos esposto, ma cio non aveva molta importanza. Si porto nuovamente nelle vicinanze della fabbrica e aspetto. Animal Ma apr l’allegato poco dopo l’una e il trojan inizio diligentemente a inviare dati. Jericho collego il cellulare con un monitor ultrasottile e comincio a ricevere immagini nitide di entrambe le telecamere di sorveglianza che riprendevano l’ambiente in modalita grandan-
golare, purtroppo senza audio. Jericho constato che la telecamera numero due effettivamente sorvegliava la stanza sul retro, un locale pieno di cavi, e ne ebbe la definitiva conferma quando Animal Ma scomparve da un riquadro e riapparve subito nell’altro, ciabatto verso un mobiletto e prese a trafficare con una teiera. Jericho esamino l’arredamento. Una massiccia scrivania con una poltroncina girevole e sedie dall’aspetto logoro, che costringevano chiunque vi sedesse ad assumere una posizione alquanto scomoda, quasi implorante; alcuni scaffali storti; pile di vecchi fogli appoggiate su cartoni sovraccarichi; raccoglitori; piccole sculture e mostruosita di ogni tipo, come fiori di seta e statuette di Buddha prodotte in serie. Niente faceva pensare che Animal Ma volesse dare all’ambiente un tocco personale. Nessun quadro a interrompere la monotonia dell’intonaco alle pareti, nessun indizio di quell’intesa matrimoniale che spinge le persone a tenere la cornice con la fotografia del coniuge sulla scrivania per guardarla di tanto in tanto durante il lavoro. Quell’individuo felicemente sposato? Ridicolo. Lo sguardo di Jericho cadde su una porticina chiusa di fronte alla scrivania. Interessante. Tuttavia quando Animal Ma ebbe finito di preparare il te e la apr, Jericho riusc a vedere solo alcune piastrelle, un lavabo e un pezzo di specchio. In meno di trenta secondi, l’uomo usc di nuovo, le mani sulla cerniera dei pantaloni. Non era un’entrata secondaria, ma una toilette. Perche allora Animal Ma sorvegliava quella maledetta stanza? Chi sperava o temeva di vedere? Jericho sospiro. Attese pazientemente un’altra ora, vide Animal Ma, con la fotografia della collana in mano, raggruppare una serie di orecchini e poi rifilare a un’inattesa cliente un set di stoviglie di particolare bruttezza. Lo osservo lucidare una caraffa di vetro e mangiare chili essiccato sino a fondersi la lingua. Verso le tre, arrivo al negozio la cosiddetta «moglie». Dato che credevano di essere soli, ci si poteva aspettare un bacio o un qualsiasi gesto di affetto; invece si comportarono come due estranei. Parlarono per qualche minuto, poi Animal Ma chiuse a chiave la porta d’ingresso, espose il cartello CHIUSO e, insieme con la donna, ando nella stanza sul retro. Quello che segu non aveva bisogno di audio. Animal Ma apr la porta della toilette, fece entrare la donna, si guardo intorno con aria circospetta e richiuse la porta dietro di se. Jericho aspetto con ansia, ma la coppia non usc ne dopo due minuti, ne dopo cinque e nemmeno dopo dieci. Solo una buona mezz’ora piu tardi, Animal Ma si precipito improvvisamente fuori. Al di la della porta d’ingresso a vetri s’intravedeva la figura di un uomo. Jericho fissava la porta della toilette lasciata mezza aperta come ipnotizzato, cercando di scorgere qualche riflesso nello specchio, ma la stanza del mistero non rivelo il suo segreto. Nel frattempo, Animal Ma aveva fatto entrare il nuovo arrivato,
un tipo rapato a zero e dal collo taurino, aveva richiuso di nuovo la porta col catenaccio e aveva accompagnato l’uomo fino alla stanza sul retro, dove i due si erano salutati prima di entrare entrambi nella toilette. Sorprendente. O a quel trio infernale piaceva intrattenersi in uno spazio molto ristretto, oppure la toilette era piu grande di quanto lui avesse immaginato. Cosa stavano combinando quei tre? Trascorse piu di un’ora e mezzo. Alle cinque meno dieci, l’uomo con la giacca di pelle e la donna si materializzarono nuovamente nell’ufficio e raggiunsero l’ingresso. Stavolta fu lei a togliere il catenaccio e ad accompagnare fuori il tizio pelato; lo segu, ma non prima di aver nuovamente chiuso bene a chiave la porta. Animal Ma era sparito. Jericho ipotizzo che dalle sei in poi si sarebbe concentrato su clienti e guadagni, in modo particolare sugli orecchini che gli aveva ordinato ma, fino a quell’ora, avrebbe dedicato il suo tempo a chissa quali mostruosita. Pensava anche di aver capito quale fosse lo scopo della seconda telecamera che sorvegliava l’ufficio: Animal Ma l’aveva installata per fare in modo che nessuno lo vedesse quando s’immergeva nello «strano mondo» della latrina e, nel contempo, per evitare di trovare qualcuno ad aspettarlo al suo ritorno. Probabilmente la telecamera trasmetteva le immagini anche all’interno della toilette. Jericho aveva visto abbastanza. Voleva cogliere quel pezzo di merda di sorpresa, ma ci sarebbe riuscito? Era davvero possibile cogliere Animal Ma di sorpresa? Mentre escogitava un piano, fece scivolare il cellulare nella tasca della giacca, scese dall’auto e percorse il breve tratto che lo separava dalla fabbrica. Forse avrebbe fatto meglio a chiedere rinforzi alle autorita locali, ma avrebbero di sicuro fatto storie. Certo, se avessero interrotto le sue ricerche, lui sarebbe potuto tranquillamente tornare a Shanghai... ma era fermamente deciso ad andare sino in fondo, a scoprire il mistero di quella stanza sul retro. La sua arma, una Glock ultraleggera, era appoggiata sul petto, all’altezza del cuore. Sperava di non doverla usare. Aveva alle spalle troppi anni grondanti sudore e sangue, troppo tempo passato in prima linea, troppe volte in cui aveva visto la propria vita e quella del suo nemico appese a un filo. Lo zigomo rotto sul selciato, il sapore di fango e sangue in bocca... ormai quelle cose appartenevano al passato. Jericho non voleva piu lottare. Non gli importava piu nulla di quel se stesso ossuto che aveva partecipato a ogni sparatoria, aveva assaltato ogni casa, si era spinto nella fossa dei leoni senza mai stare dalla parte di nessuno, ma raccogliendo soltanto i frutti del successo. Nel Paradiso dei Piccoli Imperatori avrebbe avuto per l’ultima volta a che fare con scheletri viventi nella speranza di poterne fare degli alleati, a dispetto della sua inaffidabilita. Entro nel cortile della fabbrica, lo attraverso con passo deciso e sal la rampa. Come si aspettava, il cartello appeso alla porta segnalava che il negozio era chiuso. Jericho suono il
campanello a lungo e con insistenza, chiedendosi se Animal Ma sarebbe uscito dalla toilette oppure avrebbe fatto finta di niente. Alla terza volta, nella tenda di perline si apr un varco. Animal Ma giro goffamente intorno all’orrendo bancone, apr la porta e, con gli occhi deformati dalle lenti spesse, fisso l’uomo che lo aveva interrotto. «È stato sicuramente un mio errore», esord, con una smorfia. «Credevo di averle detto per le sei, ma evidentemente...» «No, ha ragione», confermo Jericho. «Mi dispiace, pero ho bisogno degli orecchini prima del previsto. Perdoni la mia insistenza. Le donne!» Apr le braccia in un gesto d’impotenza. «Sa cosa intendo.» Animal Ma sorrise con poca convinzione, si fece da parte e lo lascio entrare. «Le mostro quello che sono riuscito a trovare. Mi scuso di averla fatta aspettare tanto, pero...» «Sono io che devo scusarmi.» «Assolutamente no, e stata colpa mia. Ero alla toilette. Dunque, vediamo.» Toilette? Jericho si rese conto con stupore che Animal Ma gli aveva appena fornito un pretesto perfetto. «Mi sento un po’ a disagio a chiederglielo», balbetto. «Pero...» Animal Ma lo fisso. «Potrei usarla?» «Usare cosa?» «La toilette.» Con mani nervose, che improvvisamente sembravano animate di vita propria, Animal Ma appoggio gli orecchini sul logoro velluto del bancone. Dalla gola gli usc un colpetto di tosse strozzato, poi un altro, come piccoli animaletti spaventati. D’un tratto, nella mente di Jericho, prese forma un’immagine da film horror: forse quell’individuo non era altro che un sacco di forma umanoide pieno di vermi brulicanti e di altri animaletti che muovevano l’involucro di Ma Lpng simulando gestualita umane. Animal Ma. «Certo, mi segua.» Scosto la tenda di perline e Jericho entro nella stanza sul retro, seguito dall’occhio vigile della seconda telecamera. «Veramente dovrei...» disse Animal Ma, fermandosi. «Sa, non sono abituato a ricevere ospiti. Se potesse aspettare un istante, vedo di procurarle una salvietta pulita.» Accompagno Jericho alla scrivania e apr la porta del bagno quanto bastava per infilarsi all’interno. «Un momento solo, per favore.» Richiuse la porta dietro di se. Jericho afferro la maniglia e spalanco la porta. In un attimo, lo scenario gli fu perfettamente chiaro. Una toilette alta e stretta. Mucchi d’insetti morti intrappolati nel vetro opalino della plafoniera sul soffitto. Qualche piastrella era saltata via, le fughe erano ammuffite, lo specchio era macchiato e appannato, la vasca da
bagno era coperta di macchie color ruggine, il WC era poco piu di un buco nel pavimento. Sulla parete posteriore era appeso un armadietto, anche se in realta era difficile definirla una parete, dal momento che era aperta per meta e nascondeva un’altra porta che Animal Ma, nella fretta di andare da Jericho, aveva dimenticato di chiudere. E, in mezzo alla scena, c’era Animal Ma Lpng; Jericho riusc a vedere soltanto i suoi occhi enormi, e poi la suola della sua scarpa che si avvicinava e lo colpiva dolorosamente sullo sterno. Qualcosa si spezzo. L’aria gli venne spinta fuori dai polmoni. Il calcio lo fece cadere a terra. Vide il cinese riapparire sul montante della porta, digrignando i denti, estrasse la Glock dalla fondina e prese la mira. L’altro sussulto e fece dietrofront. Jericho balzo in piedi, ma non abbastanza velocemente da evitare che il suo avversario riuscisse a svignarsela nel passaggio oltre la parete posticcia, che stava oscillando. Si precipito a sua volta attraverso il varco e si ritrovo su un pianerottolo che terminava in una scala. Esito. Fu investito da uno strano odore, dolciastro e marcio allo stesso tempo. Ud l’eco dei passi di Animal Ma, piu in basso, poi tutto tacque. Jericho sapeva che non sarebbe dovuto scendere. Qualunque cosa ci fosse la sotto, il segreto della toilette era stato svelato. Animal Ma era in trappola. Di sicuro era meglio chiamare la polizia, lasciare a loro il lavoro sporco e farsi un drink. E se Animal Ma non fosse stato in trappola? Quanti altri ingressi aveva la cantina? Jericho penso al Paradiso. Le pagine dedicate alla pedofilia sparse per il web erano ferite purulente che la societa sopportava da troppo tempo senza riuscire a guarirle. La perfidia con cui «la merce» veniva messa in vendita non aveva confronti. Improvvisamente, dal basso, gli giunse l’eco di un gemito, che s’interruppe di colpo. Poi piu nulla. Jericho prese una decisione. Con l’arma in pugno, inizio a scendere le scale, con circospezione. Stranamente il silenzio sembrava diventare piu denso a ogni passo, trasformandosi in una sostanza putrida e marcia, un etere che assorbiva ogni suono. L’odore si faceva sempre piu pungente. A un certo punto, le scale curvavano, sfociando in un locale buio, col soffitto a volta puntellato da numerose colonne. Cercando di fare meno rumore possibile, Jericho fece un passo sul pavimento scuro, poi si fermo e socchiuse le palpebre. Una rete metallica si stendeva tra alcune colonne, mentre altre erano collegate da asticelle di legno fissate con chiodi, come piccole capanne improvvisate. Dalle scale non si riusciva a capire cosa contenessero. Pero, in fondo al locale, Jericho scorse qualcosa che attiro la sua attenzione.
Il set di un film. S, era proprio cos. Piu i suoi occhi si abituavano alla penombra e piu lui si convinceva che la dentro si girassero dei film. Davanti a lui, nell’oscurita, si stagliavano file di riflettori, spenti, appoggiati su sostegni o appesi al soffitto, sedie pieghevoli e una telecamera sistemata su un cavalletto. Il set sembrava suddiviso in diversi settori, alcuni equipaggiati con attrezzi di vario tipo, altri spogli, dove con ogni probabilita venivano allestiti gli ambienti virtuali. Jericho prosegu, guardandosi intorno con circospezione, superando lettini, mobili, giocattoli, un paesaggio artificiale con un asilo, prati e alberi, un tavolo da dissezione simile a quelli usati per le autopsie. Un oggetto sul pavimento somigliava in modo inquietante a una motosega. C’erano gabbie appese al soffitto circondate da diversi arnesi, qualcosa che poteva essere una piccola sedia elettrica e, agganciati alla parete, si scorgevano diversi attrezzi da lavoro, piu esattamente coltelli, tenaglie e ganci: una camera di tortura. Da qualche parte in quella follia si nascondeva Animal Ma Lpng. Jericho prosegu, il cuore in gola, come se stesse camminando su una sottile lastra di ghiaccio che poteva rompersi da un momento all’altro. Giunse all’altezza delle segrete. Volto la testa. Un bambino lo stava osservando. Era nudo e sporco, e doveva avere al massimo cinque anni. Le dita erano aggrappate alla rete metallica, ma i suoi occhi sembravano vuoti, quasi senza vita, come quelli di coloro che si sono rifugiati nel loro io piu profondo. Jericho sposto lo sguardo dalla parte opposta e scorse due bambine chiuse in gabbie poste l’una di fronte all’altra. Erano coperte pochissimo. La prima, molto piccola, giaceva sul pavimento, quasi certamente addormentata; l’altra, piu grande, era appoggiata alla parete e stringeva forte un peluche. Rivolse i suoi occhi neri e tristi verso di lui. Poi sembro rendersi conto che l’uomo davanti a se non era una delle persone che solitamente frequentavano quel posto. Apr la bocca. Jericho scosse la testa e si porto l’indice alle labbra. La bambina annu. Con l’arma puntata davanti a se, guardo in ogni direzione, si assicuro che la via fosse libera e oso addentrarsi nell’inferno dei Piccoli Imperatori. Altri bambini. In pochi si accorsero di lui. A quelli che incrociavano il suo sguardo, Jericho faceva segno di non parlare. Di gabbia in gabbia, era sempre peggio. Sporcizia, abbandono, apatia, paura. Su una coperta sudicia giaceva un neonato. Qualcosa di scuro cozzo contro la grata e gli abbaio rabbiosamente contro; lui indietreggio d’istinto, si giro e trattenne il fiato. La fonte di quell’odore dolciastro era proprio davanti a lui. Percep il ronzio delle mosche, vide qualcosa sfrecciare sul pavimento... Spalanco gli occhi e fu travolto da un conato di vomito.
Si distrasse per un istante. Sent risuonare alcuni passi strascicati, una corrente d’aria gli sfioro la nuca, poi qualcuno gli salto addosso, lo scaravento indietro e lo colp forte, urlando parole incomprensibili... Una donna! Jericho tese i muscoli, tirando gomitate all’indietro. La donna caccio un urlo. Pur nella confusione, lui la riconobbe: era la moglie di Animal Ma... o qualunque altro ruolo avesse in quell’incubo. La afferro, la spinse contro una delle colonne e le punto la canna della Glock alla tempia. Come era arrivata l? L’aveva vista andarsene, ma non tornare. C’era un altro accesso alla cantina? Animal Ma era riuscito a svignarsela? No, era tutta colpa sua. Era stato poco attento durante il tragitto dall’auto alla fabbrica, non aveva piu tenuto sott’occhio il computer e, in quel lasso di tempo, la moglie di Animal Ma probabilmente era tornata per... Dolore! La donna gli aveva conficcato il tacco nel piede. Jericho alzo il braccio e le diede uno schiaffo col dorso della mano. Ma lei continuava a dimenarsi come una pazza per liberarsi dalla sua presa, allora lui la afferro per il collo e la spinse contro la colonna, immobilizzandola. La donna comincio a tirare calci, poi smise inaspettatamente di fare resistenza e lo fisso, piena di odio. Dal suo sguardo, Jericho cap che stava succedendo qualcosa. Allarmato, la lascio andare, si giro di scatto e vide Animal Ma gettarsi su di lui, fendendo l’aria e brandendo un enorme coltello. Non c’era tempo per sparargli e scappare. A dire la verita, non c’era piu tempo per nulla. A meno che... Jericho si abbasso. Animal Ma sferro il colpo, il coltello sibilo nell’aria e si conficco nella gola della moglie. Il sangue comincio a sgorgare a fiotti. Il cinese barcollo, fisso la moglie agonizzante attraverso gli occhiali ricoperti di sangue e agito le braccia, cercando di recuperare l’equilibrio. Allora Jericho colp il polso di Animal Ma con la Glock, il coltello cadde a terra e lui lo spinse via con un calcio; poi sferro all’uomo un pugno nello stomaco e, quando lui si chino in avanti, lo colp nuovamente alla spalla. Con un gemito, l’altro cadde a terra, bocconi, mentre gli occhiali gli scivolavano via. Tasto intorno a se, quindi si rimise in piedi con entrambe le mani alzate. «Sono disarmato», borbotto. «Indifeso.» «Vedo diverse persone indifese qui», osservo Jericho ansimando, la Glock puntata contro il cinese. «E questo fatto e servito a qualcuno?» «Ho dei diritti.»
«Anche i bambini ne hanno.» «È un’altra cosa. Lei non puo capire.» «Non voglio capire!» Animal Ma scosse la testa. «Non puo farmi niente. Sono malato. Non puo sparare a un uomo malato.» Per un momento, Jericho fu troppo confuso per rispondere. Poi vide un sorriso sul volto dell’uomo. «Non mi sparera», ribad Animal Ma, con piu convinzione. Jericho non replico. «E sa perche?» Le labbra s’incurvarono in un ghigno. «Perche lo sente. Lo sente anche lei il fascino. Sente la bellezza. Se lei potesse provare quello che provo io, non mi minaccerebbe con un’arma.» «Voi uccidete i bambini», esclamo Jericho con voce roca. «La societa che lei rappresenta e cos ipocrita! Lei stesso lo e. Pietoso. Un povero, piccolo poliziotto nel suo misero, piccolo mondo. Si rende conto che in fondo lei invidia le persone come me? Abbiamo raggiunto un livello di liberta che voi potete solo sognare.» «Tu sei soltanto un porco.» «Noi siamo molto di piu!» Jericho alzo l’arma e la reazione di Animal Ma fu istantanea: sollevo ancora di piu le mani, spaventato, e scosse di nuovo la testa. «No, non puo farlo. Sono malato. Molto malato.» «Puo darsi, ma non saresti dovuto scappare.» «Quando?» «Poco fa.» Animal Ma sbatte le palpebre. «Ma io non scappo.» «S, invece. Stai cercando di svignartela proprio adesso. Percio mi vedo costretto a...» «No. No! Non puo farlo...» Jericho miro al ginocchio sinistro e fece fuoco. Animal Ma grido di dolore, si piego su se stesso e inizio a rotolarsi sul pavimento, urlando come un ossesso. Jericho fece cadere a terra la Glock e si accovaccio accanto a lui. Si sentiva malissimo e gli veniva da vomitare. Era sfinito, ma nel contempo aveva l’impressione che non sarebbe mai piu riuscito a dormire. «Lei non aveva il diritto di farlo!» ululo Animal Ma. «E tu non dovevi scappare», borbotto Jericho. «Stronzo.» La polizia ci mise ben venti minuti per raggiungere la fabbrica, per poi trattare Jericho come se fosse in combutta col pedofilo. Troppo stremato per protestare, Jericho si limito a suggerire agli agenti di chiamare un certo numero, nell’interesse della loro carriera. Il commissario di turno fece una smorfia e obbed. Al ritorno, sembrava un’altra persona; porse a
Jericho il telefono con una soggezione quasi infantile. «Vuole parlare con lei», disse soltanto. Era Patrice Ho, il suo amico nella polizia di Shanghai. Patrice gli comunico che, durante la retata a Lanzhou, la polizia aveva sgominato una banda di pedofili, ma nessuno dei criminali arrestati sembrava avere legami col Paradiso dei Piccoli Imperatori. Jericho allora gli spiego che era riuscito a trovare il Paradiso e aveva dato una bella lezione al serpente. «Quale serpente?» chiese l’amico, sbalordito. «Lascia perdere», rispose Jericho. «Roba da cristiani. Puoi fare in modo che io non sia costretto a mettere radici qui?» «Ti devo un favore.» «’Fanculo il favore. Fammi uscire di qui e basta.» Non desiderava altro che andarsene al piu presto da quella fabbrica e da Shenzhen Sh. Da quel momento, gli agenti gli tributarono il rispetto di solito riservato agli eroi nazionali o ai criminali molto popolari, eppure lo lasciarono andare solo verso le otto. Riconsegno l’auto a noleggio all’aeroporto, prese il primo volo per Shanghai, un aereo Mach-1 e, una volta in volo, controllo i messaggi. Tu Tian aveva tentato di contattarlo. Lo richiamo. «Niente di particolare», disse Tu Tian. «Volevo solo dirti che la tua indagine ha avuto successo. La concorrenza ha ammesso il furto dei dati. Abbiamo fatto un incontro.» «Magnifico», replico Jericho, senza particolare entusiasmo. «E cosa avete deciso?» «Hanno promesso di lasciar perdere tutto.» «Tutto qui?» «È gia molto. Anch’io ho dovuto promettere di lasciar cadere la cosa.» «Come?» Jericho credette di aver capito male. Quando Tu Tian aveva scoperto che la sua societa era vittima di attacchi informatici, la sua collera era stata incontenibile. Aveva detto che avrebbe sostenuto qualunque spesa pur di mettere le mani su quello che lui definiva un «ammasso di scarafaggi», che avevano osato penetrare nei segreti della sua societa. «Tu hai promesso... » «Dai, non sapevo chi fossero.» «E che differenza fa, scusa?» «Hai ragione, non fa differenza.» Tu Tian rise. Era di buonumore. «Dopodomani vieni a giocare a golf? Sei mio ospite.» Jericho si sfrego gli occhi. «Sei molto gentile, Tian, ma... Posso decidere piu tardi?» «Che ti succede? Sei di cattivo umore?» I cinesi di Shanghai erano diversi. Piu diretti, piu aperti, simili agli italiani, e Tu Tian era forse il cinese piu italiano in assoluto. Avrebbe potuto benissimo cantare Nessun dorma. «In
tutta franchezza, sono a pezzi», sospiro Jericho. «Si capisce dalla voce», constato Tu Tian. «Sembra che ti sia passato sopra un carro armato. Cos’e successo?» Dal momento che il grassoccio Tu Tian, pur con tutto il suo egocentrismo, era una delle poche persone di cui si fidava davvero, gli racconto tutto. «Per la miseria», disse Tu Tian, stupefatto, dopo qualche secondo di rispettoso silenzio. «Come ci sei riuscito?» «Te l’ho appena detto.» «No, voglio dire: come sei riuscito a smascherarlo? Come facevi a sapere che c’era lui dietro il Paradiso?» «Non lo sapevo. Semplicemente tutto portava in quella direzione. Vedi, Animal Ma e il classico tipo che adora mettersi in mostra. Il sito non era un semplice catalogo preconfezionato di schifezze, con uomini che saltano addosso a bambini ancora in fasce e donne che si fanno coccolare da ragazzini prima di scagliarsi su di loro brandendo un’accetta. Certo, c’erano i soliti film e le solite fotografie, ma si potevano anche inforcare gli occhiali olografici e vivere tutto in 3D. Alcuni video venivano addirittura trasmessi in diretta, e questo sembrava dare un brivido particolare a questi tizi.» «Disgustoso.» «Ma la cosa che mi ha aiutato di piu e stata una chatroom, un forum per appassionati dov’e normale fingere di essere qualcun altro, attribuirsi un’identita virtuale. Animal Ma si presentava come uno ’spirito delle acque’, e la maggior parte dei pedofili non ha dimestichezza con questo genere di cose. Sono piuttosto prevedibili e non amano parlare in un microfono, anche se hanno la possibilita di camuffare la voce. Preferiscono digitare le loro stronzate su una tastiera. E Animal Ma ha postato moltissimi contributi, mettendosi in mostra come si deve. Quindi mi e venuta l’idea di partecipare e postare contributi simili.» «Ti si sara rivoltato lo stomaco!» «Ho un interruttore in testa e uno nello stomaco. La maggior parte delle volte riesco a spegnerne almeno uno.» «E poco fa, nella cantina?» «Tian.» Jericho sospiro. «Se ci fossi riuscito, non ti starei raccontando tutte queste porcherie.» «D’accordo, continua.» «A un certo punto, tutti i possibili visitatori della pagina erano online e fra loro naturalmente c’era anche Animal Ma, quel porco vanitoso. Si camuffava da visitatore, ma si capiva subito che sapeva troppe cose e che aveva un enorme bisogno di comunicare. Cio mi ha fatto venire il sospetto che fosse uno degli ideatori del Paradiso. Nel giro di poco tempo, sono
arrivato alla conclusione che era addirittura l’unico ideatore. Dapprima ho sottoposto i suoi contributi a un’analisi semantica che mettesse in luce le particolarita della sintassi, le espressioni preferite e la grammatica, cos il computer ha ridotto la cerchia degli indiziati. Anche cos, pero, rimaneva comunque un centinaio di pedofili potenzialmente coinvolti. Quindi ho fatto analizzare il soggetto mentre era online e scriveva; la velocita con cui batteva sulla tastiera lo avrebbe tradito. E cos sono arrivato a individuare quattro indiziati.» «Uno dei quali era Animal Ma.» «Esatto.» «E ti sei convinto che fosse lui a muovere i fili.» «S, al contrario della polizia. Loro pensavano che, fra i quattro indiziati, Animal Ma fosse l’unico che non c’entrava niente.» «Questo spiega perche hai voluto agire da solo. Hmm.» Tu Tian fece una pausa, poi riprese. «Ammiro la tua dedizione, ma di recente mi hai detto che il vantaggio dell’Internet profiling e che non ci si deve sporcare le mani.» «Infatti non ne posso piu della violenza», disse Jericho con voce stanca. «Non voglio piu vedere persone uccise, mutilate e violentate, non voglio piu dover sparare a nessuno e non voglio nemmeno che qualcuno spari a me. La misura e colma, Tian.» «Sei sicuro?» «Sicurissimo. È stata l’ultima volta.» Al momento, la casa di Jericho si riduceva a una serie di scatoloni da trasloco appoggiati al muro, imballati nel corso delle settimane precedenti. Le scatole rendevano terribilmente banali gli oggetti che costituivano la sua vita, quasi si trattasse di materiale scenico da usare e poi restituire nell’imballo originale. Quando Jericho varco la soglia, improvvisamente s’insinuo in lui il timore di aver tirato troppo la corda. Il taxi lo aveva lasciato davanti al grattacielo da cui se ne sarebbe andato di l a poco per trasferirsi nell’appartamento dei suoi sogni. Ogni volta che chiudeva gli occhi, Jericho rivedeva quel povero corpicino in decomposizione sul pavimento della baracca, divorato da un esercito di vermi che bramavano la sua carne, oppure il coltello di Animal Ma scagliato contro di lui o anche l’istante in cui si era trovato faccia a faccia con la morte, come in un film che si ripete all’infinito, tanto che la sua nuova casa rischiava di diventare il suo peggiore incubo. L’esperienza pero gli diceva che pensieri di quel tipo erano come nuvole portate dal vento e le immagini prima o poi si sarebbero dissolte, anche se il processo poteva essere lungo e doloroso. Se solo non avesse accettato quel dannato incarico! No, si disse. Era la disperazione del momento che lo spingeva a creare un intricato groviglio di trame e scenari alternativi, ma in realta non si trattava di alternative vere, giacche
ognuno aveva una sola strada da percorrere. Non era nemmeno possibile determinare se era la persona a scegliere il suo cammino o se veniva scelta, se aveva la facolta di decidere o se subiva semplicemente una volonta superiore. E qui scaturiva la domanda: chi o che cosa muoveva le fila dietro le quinte? Santo cielo! Gli esseri umani erano davvero solo gli strumenti di un destino gia scritto? Quando gli avevano proposto l’incarico, aveva avuto scelta? Certo, avrebbe potuto rifiutare, pero non lo aveva fatto. E quello non rendeva qualunque obiezione totalmente superflua? Aveva avuto scelta quando si era trattato di seguire Joanna a Shanghai? Una volta imboccata una strada, restava un unico cammino da percorrere, quindi non esisteva possibilita di scelta. Considerazioni banali per un’amara verita. Forse avrebbe dovuto scrivere un manuale. Le librerie degli aeroporti ne erano piene; aveva visto perfino manuali che mettevano in guardia dai manuali. Come si poteva essere cos svegli e cos stanchi nel contempo? Non c’era piu niente da imballare? Accese il televisore a parete e lo sintonizzo su un documentario della BBC - a differenza della maggior parte della popolazione locale, riusciva a ricevere le principali emittenti straniere senza problemi, sia quelle legali sia quelle illegali - e si mise alla ricerca di una cassa in cui riporre gli oggetti rimasti. Inizialmente non riusc a capire di cosa stesse parlando il documentario, poi il tema comincio a interessarlo. Proprio al momento giusto. Piacevolmente lontano da tutto quello che aveva dovuto affrontare negli ultimi giorni. «Esattamente un anno fa», stava dicendo la giornalista, «il 22 maggio 2024, le Nazioni Unite si sono riunite in seduta plenaria per discutere del drammatico inasprimento dei rapporti tra Cina e America, che sarebbe diventato noto come...» LA CRISI LUNARE Jericho prese una birra dal frigorifero e si sedette sulla cassa. Il documentario parlava del conflitto che aveva tenuto il mondo col fiato sospeso l’estate precedente, ma che affondava le sue radici in cio che era avvenuto tre anni prima, nel 2022, pochi mesi dopo l’entrata in funzione della base americana al Polo Nord lunare. In quel periodo, gli Stati Uniti avevano cominciato a separare l’isotopo elio-3, mettendo in moto un processo che, fino ad allora, aveva suscitato unicamente l’interesse degli autori di fantascienza e degli economisti piu audaci. Indubbiamente la Luna aveva un ruolo centrale nella conquista del Sistema Solare: trampolino di lancio per Marte, luogo di ricerca, occhio telescopico capace di sbirciare anche negli angoli piu remoti dell’universo... Da un punto di vista puramente economico, era piu conveniente andare sulla Luna che su Marte. Per raggiungerla ci voleva meno carburante, ci si arrivava in fretta e altrettanto in fretta si poteva tornare indietro. I filosofi avevano sempre sottolineato le implicazioni spirituali dell’impresa, vista come un modo per ottenere prove
dell’esistenza - o dell’assenza - di Dio e per raggiungere una visione globale del ruolo dell’Homo sapiens all’interno del creato, come se per farlo ci fosse bisogno di una sfera rocciosa a circa trecentottantamila chilometri di distanza dalla Terra. La Luna rappresentava il punto di osservazione ideale per scrutare senza interferenze il nostro fragile pianeta, culla dell’evoluzione. Ma la possibilita che regalasse pure qualche vantaggio economico era alquanto dubbia. Lassu non c’erano miniere d’oro o di diamanti o giacimenti di petrolio. E, se anche ci fossero stati, i costi dello sfruttamento commerciale sarebbero stati insostenibili. «Scopriremo risorse sulla Luna o su Marte che superano la nostra capacita d’immaginazione e che vanno addirittura al di la dei nostri sogni», aveva solennemente annunciato George W. Bush nel 2004 con un tono da Padre Fondatore. Una prospettiva entusiasmante, avventurosa e un po’ ingenua, certo, ma ormai nessuno prendeva piu sul serio Bush. All’epoca, l’America era impegnata in varie guerre ed era sulla buona strada per distruggere la propria economia nonche per compromettere irrimediabilmente il proprio prestigio internazionale. Rianimare il miraggio di un nuovo Eldorado sembrava totalmente fuori luogo, per non parlare del fatto che la NASA era al verde. Eppure... A seguito dell’annuncio degli Stati Uniti di voler inviare sulla Luna nuove missioni con equipaggio entro il 2020, nel mondo si era improvvisamente scatenata un’attivita febbrile. Ammesso che ci fosse ancora qualcosa da scoprire lassu, nessuno voleva lasciare campo libero all’America per l’ennesima volta, tanto piu che gli americani non erano piu interessati a piantare bandiere o a lasciare orme sul suolo lunare, ma perseguivano una chiara politica di supremazia economica. L’ESA - cioe l’European Space Agency, l’Agenzia spaziale europea offr il proprio sostegno tecnologico. Il DRL - il Deutsches Zentrum fur Luftund Raumfahr, cioe il Centro aerospaziale tedesco - s’innamoro dell’idea di una propria base lunare. L’EADS cioe l’European Aeronautic Defence and Space Company, formata da due societa francesi e da una spagnola e motore trainante dell’ESA - avrebbe preferito una soluzione francese. La Cina aveva lasciato intendere che l’industria mineraria lunare, e in particolare l’estrazione dell’elio-3, nel giro di pochi decenni sarebbe diventata d’importanza decisiva per l’economia nazionale. Lo sfruttamento del gas faceva gola anche all’Agenzia spaziale russa Roscosmos e alla societa russa Energia Rocket and Space Corporation, che aveva annunciato la costruzione di una base lunare entro il 2015. La reazione dell’India non si era fatta attendere: il governo aveva lanciato nell’orbita polare lunare una sonda dal nome accattivante di Chandrayaan-1, allo scopo di verificare quali fossero le effettive risorse sfruttabili del satellite. L’annuncio di Bush alludeva chiaramente al fatto che gli americani avrebbero tentato il tutto per tutto da soli, e cio aveva indotto i rappresentanti degli enti per la ricerca spaziale russa e cinese a incontrarsi per discutere eventuali alleanze. La JAXA - cioe la Japan Aerospace Ex-
ploration Agency, l’Agenzia spaziale giapponese - era in piena attivita, e in generale tutti avevano improvvisamente avuto una gran fretta di mettersi al servizio di Madame Luna per assicurarsi i suoi tesori leggendari, come se per farlo bastasse arrivare l, dissotterrare qualcosa e scaricarlo sulla Terra. Le previsioni erano diventate sempre piu audaci, finche Julian Orley non era intervenuto a fare chiarezza. L’uomo piu ricco del mondo si era schierato con gli americani. L’effetto era stato a dir poco dirompente. La corsa dei vari Paesi alle materie prime extraterrestri era finita ancora prima di cominciare, dal momento che, in virtu della decisione di Orley, il vincitore era gia stato dichiarato. Non tanto per motivi di simpatia quanto per il fatto che la NASA, notoriamente a corto di fondi, ora aveva a disposizione piu denaro e infrastrutture migliori di tutti gli Stati del mondo messi insieme, eccetto forse la Cina, che aveva manifestato ambizioni espansionistiche nello spazio gia negli anni ’90. Benche disponesse di mezzi modesti e di un budget complessivo pari a un decimo di quello americano, infatti, era spinta da un profondo patriottismo e dall’incrollabile determinazione a volersi affermare come potenza mondiale. Nel frattempo, dopo che nel 2014 un certo Zheng Pang Wang aveva iniziato a finanziare l’astronautica cinese, budget e obiettivi dei due Paesi avevano raggiunto quasi lo stesso livello. L’unica pecca era il know-how... ma Pechino sperava di porvi rimedio. La piu grande ambizione di Zheng, sommo sacerdote di una multinazionale tecnologica, era portare la Cina sulla Luna e avviare l’estrazione dell’elio-3 prima che lo facessero gli Stati Uniti, tanto che i media lo definivano l’«Orley d’Oriente». In effetti, Zheng aveva in comune col magnate britannico la possibilita di disporre di un’immensa ricchezza, oltre al fatto di poter contare su un esercito di scienziati di prim’ordine. Il team di Zheng aveva lavorato freneticamente per realizzare un ascensore spaziale, ben sapendo che Orley stava facendo lo stesso. Pero, alla fine, soltanto Orley aveva raggiunto l’obiettivo. La squadra di Zheng era poi riuscita a costruire un reattore a fusione, ma anche stavolta aveva avuto la peggio, dal momento che il modello di Orley si era dimostrato piu sicuro ed efficiente. Il Partito allora aveva dato segnali di nervosismo e si era messo a far pressioni su Zheng perche raggiungesse qualche risultato, se necessario anche facendo a quel doppiogiochista di Orley un’offerta impossibile da rifiutare. Cos il vecchio Zheng era andato a cena con Orley e gli aveva fatto sapere che Pechino auspicava di poter avviare una collaborazione. Orley aveva risposto che Pechino poteva anche andare a quel paese ma, se voleva, Zheng poteva fermarsi a condividere con lui una bottiglia di ottimo Tignanello. Perche allora non condividere tutto? aveva chiesto Zheng. Tutto cosa? Be’, denaro, molto denaro. Potere, prestigio e influenza.
Di denaro lui ne aveva gia a sufficienza. S, ma la Cina era famelica ed estremamente motivata, molto piu della flaccida e pingue America, che soffriva ancora degli strascichi della crisi finanziaria del 2009, e infatti si muoveva con titubanza. Se avesse chiesto a qualunque americano cosa pensasse del futuro, il settanta per cento avrebbe dipinto uno scenario tutt’altro che roseo, mentre in Cina si guardava al domani con serenita. Buon per voi, aveva commentato Orley. Poi aveva chiesto al suo ospite se ora non volesse assaggiare un Ornellaia. Non c’era stato nulla da fare. Con ogni probabilita, la tecnologia missilistica convenzionale avrebbe reso economicamente infruttuoso ogni progetto di estrazione, condannando cos l’astronautica cinese al fallimento. Tuttavia, con l’ostinazione di un bambino capriccioso, il Partito aveva deciso di proseguire, nella speranza che Zheng e i cervelloni della China National Space Administration sarebbero venuti a capo del problema in un tempo ragionevole. E, dato che l’America non si era fatta scrupolo di spedire le proprie trivelle proprio nella regione lunare che, secondo i geologi, custodiva giacimenti di elio-3 superiori alla media, la Cina aveva fatto ogni sforzo per mandare nella stessa zona, ai margini del Mare Imbrium, i componenti per una base mobile e per pannelli solari mobili. I due avversari si erano ritrovati a lavorare fianco a fianco. Il 2 marzo 2023 aveva avuto inizio l’attivita di estrazione. L’America si era finta prima stupita, poi lieta, dando il benvenuto alla Cina sul suolo lunare. Dopo si erano fatti tanti bei discorsi di unione tra i popoli, ignorando l’ardente desiderio dei nuovi arrivati di estrarre dalla polvere lunare la piccola parte di elio-3 che ritenevano spettasse loro. Fino al 9 maggio 2024. Nel corso dei mesi precedenti, entrambi i Paesi avevano a poco a poco esteso la loro attivita estrattiva. Quel giorno, tra la base lunare americana e Houston c’era stata una conversazione piuttosto accesa. Subito dopo, l’allarmante notizia era stata comunicata alla Casa Bianca: gli astronauti cinesi avevano consapevolmente, intenzionalmente attraversato con le loro macchine il confine di estrazione, annettendo parte del territorio americano. L’America si era sentita provocata e minacciata. Era stato convocato l’ambasciatore cinese, Pechino era stata accusata di violazione dei confini ed esortata a ripristinare subito lo status quo. Il Partito comunista si era riservato di verificare le circostanze dell’accaduto e l’11 maggio aveva dichiarato di non ravvisare nessuna violazione: dato che i confini non erano stati ufficialmente concordati, nessun confine era stato violato. E aveva aggiunto: Washington sapeva cosa pensava l’opinione pubblica mondiale del fatto che avevano messo tutti davanti al fatto compiuto, in totale spregio delle clausole del Trattato spaziale in generale e del Trattato lunare in particolare? E come si era arrivati all’assurda idea di voler tracciare dei confini su un corpo celeste che, stando a quei trattati, non apparteneva a nessuno? L’America voleva dav-
vero intavolare per l’ennesima volta quella discussione incresciosa? Non poteva semplicemente accontentarsi del fatto di aver conquistato una supremazia mondiale? Gli Stati Uniti si erano offesi. La Luna era lontana, nessuno sulla Terra poteva dire con certezza chi stesse passeggiando sul territorio di chi, eppure il 13 maggio la base lunare aveva annunciato la cattura dell’astronauta cinese Hua Lwei. L’intruso era stato localizzato mentre curiosava nell’area della stazione estrattiva americana, un’istallazione automatizzata, per poi far intendere di essere arrivato l solo per scambiare quattro chiacchiere coi suoi colleghi americani. A Hua, allora comandante della base cinese e ufficiale pluridecorato, non era stato permesso di raccontare la sua versione dei fatti e cio non aveva certo contribuito a creare un clima disteso. Pechino era andata su tutte le furie e aveva protestato con veemenza per l’accaduto. All’interno del ministero per la Sicurezza Nazionale cinese si faceva a gara a chi usava i toni piu coloriti per descrivere il martirio che Hua avrebbe dovuto subire nell’isolata base lunare. Era stata pretesa la sua immediata scarcerazione, ma Washington aveva ignorato la richiesta; per tutta risposta, le unita cinesi si erano spinte, stavolta ufficialmente, in territorio americano, con veicoli con equipaggio e robot cingolati. Perlomeno cos era stata riferita la cosa. Di fatto, il colpevole dello sconfinamento era stato un unico, piccolo e sfortunato robot che aveva inavvertitamente tamponato un macchinario americano, riducendosi a un ammasso di rottami. Considerato che l’unico mezzo trovato a gironzolare nei dintorni era un solitario Rover cinese, non si poteva certo parlare di un’invasione in grande stile; a un’analisi piu attenta, poi, era venuto fuori che pure le temute unita militari erano composte solo dal resto dell’equipaggio, disorientato e privo di un piano preciso: due donne che, per un braccio di ferro politico, avevano simulato un’invasione, mentre gli astronauti statunitensi non capivano perche dovessero tenere prigioniero il povero Hua e si davano da fare per assicurargli almeno una reclusione piacevole. Ma tutto cio, sulla Terra, non interessava a nessuno. L i fantasmi del passato che tutti credevano ormai esorcizzati avevano ricominciato a spaventarsi a vicenda. Era il ritorno del conflitto tra l’imperialismo occidentale e l’«alba rossa». In un certo senso, tuttavia, l’agitazione poteva definirsi fondata, perche di fatto il problema non erano un paio di astronauti o qualche chilometro quadrato di terreno; si trattava piuttosto di stabilire chi dovesse comandare lassu e chi avrebbe detenuto la leadership nel caso in cui altri Paesi avessero voluto stabilirsi sul satellite. Washington aveva reagito tempestivamente: aveva congelato i conti cinesi, impedito alle navi orientali di lasciare i porti americani e cacciato l’ambasciatore cinese; a sua volta, se i conti, le navi e Hua non fossero stati immediatamente liberati, Pechino aveva minacciato massicci provvedimenti contro l’attivita estrattiva americana. Ma l’America si ostinava a pretendere delle scuse: in caso contrario, non avrebbe liberato proprio nessuno. Pechino allora aveva annunciato la sua inten-
zione di attaccare la stazione americana e, sorprendentemente, nessuno si era chiesto come due astronaute oberate di lavoro potessero conquistare una base enorme, parzialmente sotterranea, in un territorio impervio e montuoso. A ogni buon conto, dopo che Washington aveva minacciato di attaccare militarmente la stazione estrattiva lunare e gli impianti cinesi sulla Terra in caso d’invasione, a tutti era passata la voglia di provarci. Eppure il mondo aveva cominciato ad avere paura. Le due superpotenze erano profondamente offese e avevano continuato la loro guerra diplomatica, accusandosi a vicenda di essere responsabili del riarmo dello spazio e di aver portato armi sulla Luna. I notiziari erano pieni di simulazioni di conflitti atomici sul satellite, col pericolo che si estendessero anche alla Terra. Mentre la BBC mostrava immagini di fragorose esplosioni di stazioni spaziali, ignorando bellamente le leggi della fisica, agli equipaggi delle basi lunari era stato vietato di comunicare tra loro. Alla fine, nessuno sapeva piu cosa stesse facendo l’altro e cosa succedesse in generale. Cos ci si limitava a salvarsi la faccia, almeno finche l’ONU non aveva deciso che la situazione era diventata insostenibile e che era ora di smetterla. Il 22 maggio 2024 le Nazioni Unite si erano riunite in seduta plenaria. La Cina aveva dichiarato che, non disponendo di un proprio ascensore spaziale, non avrebbe potuto trasportare armi sulla Luna, cosa invece fattibile per gli americani. Quindi gli USA dovevano essere considerati aggressori; era chiaro che avevano portato armi sulla Luna, infrangendo ancora una volta il Trattato spaziale. Date le continue provocazioni, insomma, la Cina si vedeva costretta a prendere in considerazione l’ipotesi dell’autodifesa per il proprio modesto contingente. Gli americani vedevano le cose allo stesso modo, ma il punto di vista era ovviamente ribaltato. L’aggressione era partita dalla Cina e, come conseguenza di una violazione dei confini, si era reso necessario l’armamento americano sulla Luna. Ma non c’era stata nessuna violazione dei confini. Okay, perfetto. Allora non c’erano nemmeno armi sulla Luna. S, invece. No. S. Il segretario generale dell’ONU aveva reagito all’intervento cinese con stanca indignazione, lo stesso atteggiamento che aveva tenuto di fronte alla cattura dell’astronauta cinese da parte degli USA. Il mondo voleva la pace. Era normale. E fondamentalmente anche Pechino e Washington non desideravano altro, ma dovevano salvare la faccia. Come? Finalmente, il 4 giugno 2024, la Cina, digrignando i denti, aveva fatto marcia indietro, senza pero tirare in ballo le risoluzioni dell’ONU, la cui influenza ormai era puramente simbolica. La verita
era che nessuno dei due Paesi poteva permettersi una guerra aperta, ne voleva farlo. La Cina si era ritirata dal territorio americano e le astronaute cinesi, di conseguenza, erano state costrette a trascinarsi dietro i rottami della loro macchina estrattiva. Hua era stato liberato, i conti cinesi erano stati sbloccati, le navi erano state lasciate libere di partire e gli ambasciatori avevano ripreso possesso dei loro uffici. All’inizio, regnava un clima minaccioso, di diffidenza. E quel gelo a livello politico ovviamente aveva influenzato anche l’economia. Julian Orley avrebbe voluto aprire il suo hotel sulla Luna gia nel 2024, ma era stato obbligato a rimandarne la costruzione a data da destinarsi; su entrambi i fronti ci si concentrava solo sull’estrazione dell’elio-3. «Il 10 novembre 2024», disse la giornalista con espressione seria, «in occasione del vertice sull’economia mondiale tenutosi a Bangkok, per la prima volta gli Stati Uniti e la Cina hanno ripreso il dialogo e da quel momento i toni tra le due potenze si sono fatti piu concilianti.» La voce della donna assunse un tono piu drammatico. «Il mondo ha sfiorato un dramma: nessuno puo dire quanto siamo andati vicini a una nuova guerra mondiale. » Poi, tornando piu tranquilla: «Gli Stati Uniti hanno assicurato alla Cina migliori collegamenti con le infrastrutture della base lunare; verranno siglati nuovi accordi per l’aiuto reciproco nello spazio e quelli gia esistenti saranno perfezionati. Americani e cinesi hanno trovato un’intesa su accordi commerciali fino a oggi controversi». Infine aggiunse con un sorriso ottimista e tranquillizzante: «La tempesta si e calmata. Se prima dominava l’ambizione, ora ci si scambiano gesti di buona volonta. Il motivo e molto semplice: le economie mondiali non possono fare a meno le une delle altre. Le strette relazioni che intercorrono tra i due colossi commerciali USA e Cina non possono tollerare la guerra: attaccando un territorio nemico si danneggiano anche i propri interessi. S’inizia timidamente a parlare di collaborazioni ancora piu strette in futuro, mentre ora piu che mai le due superpotenze mondiali potrebbero aspirare alla conquista della Luna. Nel frattempo, il mondo intero cerca di accaparrarsi i brevetti di Julian Orley. Proprio in questi giorni, il magnate portera nello spazio una delegazione di ospiti illustri provenienti da diverse parti del mondo; forse e un segnale che Orley sta riconsiderando il proprio atteggiamento esclusivo nei confronti degli Stati Uniti, o forse vuole solo mostrare ai suoi ospiti il nostro piccolo e fragile pianeta dall’alto per ricordare loro che guerre e conflitti non servono a nessuno. E con questo vi auguriamo buonanotte». Jericho bevve la schiuma rimasta. Strana razza, quella umana. Capace di volare sulla Luna e violentare i bambini nel contempo. Spense il televisore, diede un calcio alla cassa e ando a letto nella speranza di riuscire a dormire.
Limit 21 MAGGIO 2025 L’ASCENSORE LA GROTTA, ISLA DE LAS ESTRELLAS, OCEANO PACIFICO «Originariamente, lo Stellar Dome avrebbe dovuto essere costruito nel punto piu alto, la dove ora si trova la cupola di cristallo col ristorante», spiego Lynn Orley mentre precedeva il gruppo attraverso la hall. «Ma, durante l’esplorazione dell’isola, ci siamo imbattuti in qualcosa che ha sovvertito tutti i nostri piani. La montagna ci ha offerto un’alternativa che non avremmo mai osato immaginare.» La sera del loro terzo e ultimo giorno di permanenza sull’Isla de las Estrellas, i membri della comitiva aspettavano il preludio alla grande avventura. Lynn li guido in un largo passaggio nascosto nella parete alle spalle della reception. «Suppongo non sia sfuggito a nessuno che lo Stellar Island Hotel ha l’aspetto di un transatlantico spiaggiato su un vulcano. E ufficialmente questo e un vulcano. Spento, ovviamente.» Percep un certo disagio. Era probabile che Momoka Omura stesse immaginando fiumi di lava che attraversavano la hall, rovinandole in modo irrimediabile la serata. «All’interno della cima e lungo il fianco, la temperatura e moderata. Un ambiente piacevolmente fresco, ideale per immagazzinare alimenti e bevande nonche per le pompe, i generatori e gli impianti di depurazione. Ci sono lavanderie, locali di servizio, eccetera. Proprio qui alle mie spalle erano previsti alcuni uffici», disse, voltandosi verso le porte scorrevoli. «Abbiamo iniziato a perforare la roccia ma, dopo pochi metri, ci siamo imbattuti in una faglia che si allargava in una grotta. E in fondo a questa grotta...» Lynn appoggio il palmo della mano su uno scanner e le porte scorrevoli scivolarono silenziosamente sulle loro guide. «... c’era lo Stellar Dome.» Al di la del passaggio si estendeva un corridoio le cui pareti erano irte di spuntoni; dopo un breve tratto, il passaggio curvava bruscamente, impedendo di vedere quello che si trovava al di la. La curiosita degli ospiti era quasi palpabile. Solo Momoka Omura sembrava aver perso ogni interesse dopo essere stata rassicurata sul fatto che non sarebbero bruciati nella roccia fusa e fissava con insistenza il soffitto. «Ci sono domande?» La bocca di Lynn s’increspo in un sorriso misterioso. «No? Allora andiamo.» Furono avvolti da un mix di suoni, apparentemente tutti di origine naturale: schiocchi, echi, sussurri e gocciolii. Quel concerto creava un’atmosfera senza tempo. L’idea di Lynn di toccare le corde piu sensibili degli ospiti senza scivolare nella stucchevolezza stile Disney si stava rivelando efficace: quei suoni al limite del percepibile creavano emozioni sottili ma intense. Era stata necessaria una complicata installazione tecnica, pero il risultato superava ogni aspettativa. Le paratie si richiusero dietro di loro, isolandoli dall’ariosita e dai comfort
della hall. «Questo tratto e artificiale. Subito dopo la curva inizia la parte naturale», spiego Lynn. «Il sistema di caverne attraversa l’intero fianco orientale del vulcano. Sarebbe possibile camminare per ore in questi cunicoli, ma abbiamo preferito chiudere i passaggi. Per scongiurare il pericolo di perdere qualcuno degli ospiti nel cuore dell’isola.» Oltre la curva, il corridoio si allargava sensibilmente. La luce diminu. Sul basalto frastagliato le ombre guizzavano come animali selvatici spaventati in fuga dall’orda di turisti. L’eco dei loro passi sembrava precederli e inseguirli nel contempo. Bernard Tautou alzo la testa. «Come si formano queste grotte? Ne ho gia viste diverse, ma ogni volta mi sono dimenticato di chiedere.» «Le cause possono essere diverse. Tensioni nella roccia, infiltrazioni d’acqua, smottamenti. I vulcani hanno una struttura porosa e spesso, quando si raffreddano, il salto termico da origine alle caverne. In questo caso si tratta con ogni probabilita dei canali di deflusso della lava.» «Grandioso», sbotto Donoghue. «Siamo finiti in un canale di scolo.» Il corridoio piegava di lato, si restringeva e poi si allargava in una sala quasi circolare. Sulle pareti erano visibili motivi che sembravano provenire dall’alba della civilta, in parte dipinti, in parte incisi nella pietra. Un pubblico bizzarro fissava i visitatori nella penombra, con enigmatici occhi scuri, corna, code e copricapi simili a caschi dai quali uscivano escrescenze a forma di antenna. Un enorme rilievo rettangolare mostrava una creatura antropomorfa in posizione fetale che azionava leve e pulsanti. I suoni si fecero piu sinistri. «Che paura», sospiro Miranda Winter, incantata. Lynn sorrise. «Lo spero bene. Abbiamo raccolto qui le testimonianze piu enigmatiche delle antiche civilta. Riproduzioni, s’intende. Le figure con quella specie di tuta a righe sono state scoperte in Australia e, secondo la tradizione, incarnano i fratelli Yagjagbula e Yabiringi. Alcuni ricercatori ritengono che si tratti di astronauti. Accanto, potete vedere il cosiddetto ’dio marziano’, originariamente un disegno alto sei metri rinvenuto su una roccia nel Sahara. Quelle creature a sinistra che sembrano alzare le mani in segno di saluto sono state trovate in Italia.» «E questo?» Eva Borelius si era fermata davanti a un rilievo e lo osservava con interesse. «Il nostro pezzo forte! Un manufatto maya. La lastra che copriva la tomba del re Pacal a Palenque, un’antichissima citta ricca di piramidi nel Chiapas messicano. Dovrebbe rappresentare la discesa del sovrano agli inferi, simbolizzati dalle fauci spalancate di un serpente gigantesco.» Lynn le si avvicino. «Lei cosa ci vede?» «Difficile dirlo. Sembra piuttosto un uomo seduto in un missile. »
«Proprio cos!» esclamo Ögi, andando verso di loro. «E sa una cosa? Questa interpretazione la dobbiamo a uno svizzero!» «Ah.» «Non conosce Erich von Daniken?» «Non era una specie di visionario? Uno che vedeva extraterrestri ovunque?» chiese Eva Borelius con un sorriso di sufficienza. «Era un visionario!» la corresse Ögi. «Uno dei piu grandi!» «Chiedo scusa.» Karla Kramp tossicchio. «Ma, per quanto ne so, tutte le ipotesi del suo ’visionario’ sono state confutate.» «E allora?» «Sto solo cercando di capire perche, secondo lei, e uno dei piu grandi.» «Sa quante volte e stata confutata la Bibbia?» si scaldo Ögi. «Senza sognatori, questo mondo sarebbe noioso, mediocre e anonimo. A chi importa se aveva ragione? Perche uno deve sempre avere ragione per essere considerato un grande?» «Mi dispiace, ma io sono un medico. Se ho torto, in genere i miei pazienti non mi considerano ’un grande’.» «Lynn, puoi venire qui un attimo?» disse Evelyn Chambers. «Da dove viene questa pittura? Le figure sembrano volare.» La conversazione si animo. I motivi venivano ammirati e discussi. Lynn forniva spiegazioni e ipotesi. Era la prima volta che un gruppo di visitatori ammirava la grotta e il suo piano di preparare le persone al mistero di quello che avrebbero visto in seguito con disegni e sculture antichi stava dando i suoi frutti. Infine chiamo a raccolta il gruppo e lo condusse dalla galleria in un altro corridoio, ancora piu ripido e, se possibile, ancora piu buio... E piu caldo. «Cos’e questo frastuono? È normale?» si meraviglio Miranda Winter. In effetti, un rombo cupo che sembrava salire dalle profondita della montagna era andato ad arricchire la colonna sonora udita fino a quel momento, creando un’atmosfera minacciosa. Nuvole rossastre sfioravano la roccia. «L c’e qualcosa», sussurro Aileen Donoghue. «Una specie di luce.» «Accidenti, Lynn! Dove ci sta portando?» rise Marc Edwards. «Ormai dovremmo essere un bel pezzo sottoterra, vero?» disse Rebecca Hsu, intervenendo per la prima volta nella conversazione. Dal suo arrivo, era stata costantemente attaccata al telefono e nessuno era riuscito a parlare con lei. «Un’ottantina di metri», rispose Lynn. Procedeva a passo spedito verso un’altra curva, immersa nel bagliore tremolante del fuoco.
«Emozionante», osservo O’Keefe. «Ma no, e tutta una messinscena», ribatte Warren Locatelli in tono saccente. «Volta a suggerire che stiamo entrando in un mondo alieno. L’interno della Terra, l’interno di un pianeta sconosciuto, cavolate del genere.» «Un po’ di pazienza», disse Lynn. «Cosa potra mai esserci laggiu? Una grotta, solo un’altra grotta. Fantastico», commento Momoka, ostentando indifferenza. Ma dal tono si capiva che nella sua testa avevano ripreso a scorrere fiumi di lava. Il frastuono aumento. «Insomma, io penso che...» inizio Evelyn Chambers, ma non riusc a finire la frase e aggiunse solo: «Oh, mio Dio!» Avevano superato la curva. Una vampata li invest. Il corridoio si allargava, rivestito di braci pulsanti. Alcuni degli ospiti si bloccarono, altri avanzarono con esitazione. Sulla destra, la roccia si apriva lasciando intravedere un gigantesco soffitto a volta, dal quale proveniva un frastuono che sovrastava ogni tentativo di conversazione. Un lago abbagliante riempiva la camera per meta, ribollendo, gorgogliando e facendo zampillare fontane rosse e gialle. Enormi colonne di basalto emergevano dal liquido denso, protendendosi verso la volta, che il riverbero faceva fiammeggiare in modo spettrale. Lynn osservo con malcelata soddisfazione i volti in sequenza spaventati, affascinati e meravigliati; poi vide Heidrun Ögi coprirsi con le mani per ripararsi dal calore. I suoi capelli bianchi e la sua pelle candida sembravano ardere. La donna si avvicino a Lynn con passo incerto, come un’anima che avesse appena messo piede all’inferno. «Per l’amor del cielo, cos’e questo posto?» chiese, incredula. «Una camera magmatica», spiego Lynn, impassibile. «Un deposito che serve per rifornire il vulcano di roccia fusa e gas. Queste camere si formano quando la roccia fusa sale da grandi profondita e penetra in zone piu deboli della crosta terrestre. Se la pressione nella camera diventa insostenibile, la roccia fusa cerca una via e cos avviene l’eruzione.» «Ma non aveva detto che il vulcano e spento?» si meraviglio Mukesh Nair. «In realta e spento, s.» All’improvviso, iniziarono a parlare tutti insieme. Fu O’Keefe il primo a nutrire qualche sospetto. Aveva percorso i corridoi con aria assorta, mantenendo prudentemente le distanze, ma adesso ando senza esitazioni verso il calderone. «Ehi, mon ami! Cerchi di non strinarsi i capelli!» esclamo Tautou. «Pas de probleme», replico O’Keefe, voltandosi con un ampio sorriso. «Non credo proprio di dover temere una cosa del genere. Non e cos, Lynn?» Allungo la mano destra e le sue dita toccarono una delle superfici. Calda, ma non bollente. Perfettamente liscia. Premette il palmo
sulla roccia e annu, soddisfatto. «Quand’e stata l’ultima volta che questa montagna ha avuto davvero un simile aspetto?» Lynn sorrise. «Secondo i geologi, qualcosa come centomila anni fa. Anche se non cos vicino alla superficie. Le camere magmatiche generalmente si trovano a una profondita di venticinque-trenta chilometri. Inoltre sono molto piu grandi di questa.» «In ogni caso, e di sicuro il miglior ologramma che abbia mai visto.» «Abbiamo fatto del nostro meglio.» «Un ologramma?» gli fece eco Sushma. «Per essere precisi, una combinazione di proiezioni olografiche, suoni, luci colorate e pannelli termici.» Sushma ando accanto a O’Keefe e tocco la superficie dello schermo, come se ci fosse ancora una possibilita che l’uomo si stesse sbagliando. «Sembra davvero reale!» esclamo. «Naturalmente. Non vogliamo certo annoiarvi», sorrise Lynn. Tutti si misero a toccare lo schermo, poi arretrarono per lasciarsi nuovamente rapire dall’illusione. Chuck Donoghue non fece nemmeno un commento sarcastico e Warren Locatelli non disse neanche una parola. Persino Momoka Omura fissava il lago di lava digitale e sembrava addirittura impressionata. «Siamo quasi arrivati alla meta. Tra pochi secondi, potrete accedere alla camera, solo che allora avra un aspetto completamente diverso. Viaggerete dal remoto passato nel futuro del nostro pianeta, nel futuro dell’umanita», spiego Lynn. Aziono un pulsante nascosto in una cavita della roccia. In fondo alla galleria si apr un’alta fenditura verticale da cui usciva una luce soffusa. La musica aumento d’intensita e l’apertura si allargo, lasciando intravedere il soffitto a volta. Il suo aspetto e le sue dimensioni corrispondevano in modo abbastanza preciso a quelli della rappresentazione olografica, pero la lava era sparita. Al suo posto c’era una sorta di galleria teatrale sospesa sopra l’abisso senza fine. Alcune passerelle metalliche conducevano a diverse file di poltrone dall’aspetto confortevole. Al centro, una superficie convessa di almeno mille metri quadrati. L’estremita inferiore si perdeva nell’oscurita dell’abisso, quella superiore arrivava quasi fino al soffitto a volta, i lati giungevano ben oltre le file di sedili. In cima alla scala c’era un uomo. Di media altezza, leggermente tarchiato e dall’aspetto giovane, anche se la barba e i lunghi capelli erano brizzolati e lasciavano solo immaginare il colore biondo cenere degli anni passati. Indossava una T-shirt e una giacca elegante, jeans e stivali da cowboy. Le dita erano coperte di anelli. Gli occhi scintillavano di arroganza, il suo sorriso era come la luce di un faro. «Siete arrivati finalmente! E adesso, rock’n’roll!» esclamo Julian Orley. Tim resto in disparte mentre osservava il padre dare il benvenuto agli ospiti con una stretta di mano o un abbraccio, a seconda del grado di confidenza. Julian Orley, il grande
comunicatore, era come una volpe in vena di gentilezze. Era sempre cos entusiasta di conoscere persone nuove da non nutrire mai il dubbio che l’interesse non fosse reciproco... ma era proprio quello ad affascinare la gente. La fisica degli incontri si basa su attrazione e repulsione; tuttavia sfuggire al campo di attrazione di Julian era praticamente impossibile. Non appena si presentava, si percepiva intorno a lui una calorosa confidenza. Bastavano due, tre incontri e gia ci si perdeva in ricordi di esperienze vissute insieme che magari non avevano neanche avuto luogo. Julian non faceva nulla affinche cio accadesse: non faceva battute di spirito ne preparava grandi discorsi, provandoli davanti allo specchio; semplicemente dava per scontato che, in un sistema newtoniano a due corpi, lui fosse il pianeta e non il satellite. «Carl, vecchio mio! È fantastico averti tra noi!» «Evelyn, sei in forma smagliante. Chi e l’idiota che ha detto che la forma perfetta e il cerchio?» «Momoka, Warren. Benvenuti. A proposito, grazie per l’ultima volta, e da un pezzo che voglio chiamarvi. Detto fra noi, ancora non so come ho fatto a tornare a casa quella sera.» «Olympiada Rogaceva! Oleg Rogacev! Non e meraviglioso? Adesso ci incontriamo per la prima volta e domani viaggeremo insieme verso la Luna.» «Chucky, amico mio, ho una barzelletta stupenda per te, ma per raccontartela dobbiamo appartarci un attimo.» «Ecco la mia regina degli elfi! Heidrun! Finalmente conosco tuo marito. Ha poi comprato quello Chagall? Certo che ne sono al corrente, conosco tutte le sue passioni. Sua moglie non fa altro che tessere le sue lodi.» «Finn, ragazzo mio, ora le cose si fanno serie. Adesso devi andare lassu. E questo, te lo assicuro, non e un film!» «Eva Borelius, Karla Kramp. Sono veramente onorato di conoscervi... » E cos via. Julian spese parole gentili per ognuno, poi si diresse verso Tim e Amber con un sorriso furtivo. «Allora? Come vi sembra? » «Fantastico. La camera magmatica e da urlo», disse Amber, posandogli un braccio intorno alle spalle. «Un’idea di Lynn.» Julian era raggiante. Non era quasi in grado di pronunciare il nome della figlia senza adottare un tono stucchevole. «E questo non e ancora niente! Aspettate di vedere lo show.» «Sara perfetto, come sempre», borbotto Tim con malcelato sarcasmo. «Lo abbiamo concepito insieme, Lynn e io.» Come al solito, Julian finse di non aver notato il tono ironico di Tim. «La grotta e un dono del cielo, ve lo dico io. Queste poltrone forse non sembrano granche, ma siamo gia in grado di offrire lo spettacolo a cinquecento ospiti paganti
e se gli spettatori aumentano...» «Credevo che l’albergo disponesse solo di trecento posti», commento Tim. «È vero, ma in pratica possiamo raddoppiare la capacita. È possibile aggiungere quattro, cinque piani al nostro transatlantico, oppure Lynn potrebbe costruire un altro hotel. Non e un problema. L’importante e raccogliere i quattrini per un ascensore aggiuntivo.» «L’importante e che tu non abbia problemi», mormoro Tim. Julian fisso Tim coi suoi occhi azzurri. «Infatti non ne ho. Mi scusate? Divertitevi, ci vediamo dopo... Oh, Madame Tautou!» Julian schizzava come una trottola da un ospite all’altro, regalando un sorriso qui, un complimento la. Di tanto in tanto, stringeva Lynn a se e la baciava sulla fronte. Lynn sorrideva. Sembrava orgogliosa e felice. Amber sorseggiava lo champagne. «Potresti essere un po’ piu gentile con lui», disse sottovoce. «Con Julian?» sbuffo Tim. «Con chi senno?» «Fa differenza se sono gentile con lui? Tanto lui vede solo se stesso.» «Forse fa differenza per me.» Tim la fisso, senza capire. Amber alzo le sopracciglia. «Cosa c’e? Sei diventato duro di comprendonio?» «No, pero...» «Evidentemente s. Allora mi spiego meglio. Non ho voglia di vedere il tuo muso lungo per le prossime due settimane, okay? Voglio godermi questo viaggio, e tu dovresti fare lo stesso.» «Amber...» «Lascia i tuoi pregiudizi qui sotto.» «Non si tratta di pregiudizi! Il fatto e che...» «C’e sempre qualcosa.» «Ma...» «Niente ’ma’. Fai il bravo. Voglio sentire solo un ’s’. Un semplice ’s’. Pensi di farcela?» Tim si mordicchio il labbro, poi scrollo le spalle. Lynn passo accanto a loro, seguita dai Tautou e dai Donoghue. Ammicco, abbasso la voce e, tenendo una mano davanti alla bocca, disse: «Attenzione, informazione riservata. Questa e un’informazione confidenziale solo per i membri della famiglia. Fila 8, posti 32 e 33. La vista migliore». «Ricevuto. Passo e chiudo.» Amber si accodo al gruppo e spar in direzione dell’auditorium. Tim la segu trotterellando.
D’un tratto, qualcuno lo affianco. «Lei e il figlio di Julian, vero? » «S.» «Piacere, sono Heidrun Ögi. La sua famiglia e proprio fuori di testa. Non mi fraintenda, niente di male, va benissimo», si affretto ad aggiungere, quando Tim non replico. «Mi piace la gente un po’ matta. È molto piu interessante.» Tim la fisso. Da quella donna eterea con gli occhi viola e i capelli color argento si sarebbe aspettato qualunque cosa - formule magiche celtiche, dialetti extraterrestri - ma non un’osservazione cos terribilmente fuori luogo. «Ah-ah», riusc a dire. «Lei che tipo di matto e? Dal momento che e figlio di Julian... » «Pensa che mio padre sia matto?» «Certo, e un genio. Percio deve essere un po’ matto.» Tim tacque. «Lei che tipo di matto e?» Bella domanda. Anzi, no, a pensarci bene e proprio una domanda idiota! Io sono davvero l’unico della famiglia che non e matto. «Be’, io...» «Ci vediamo.» Heidrun sorrise, si allontano da lui con un cenno della mano e segu lo svizzero gioviale che, con ogni evidenza, era suo marito. Ancora costernato, Tim si fece largo fino a meta dell’ottava fila e si lascio cadere nella poltrona accanto ad Amber. «Chi sono questi Ögi?» chiese. Lei getto uno sguardo oltre la sua spalla. «L’uomo con la moglie albina?» «Gia.» «Hmm... Una coppietta sfuggente. Lui dirige un’azienda che si chiama Swiss Performance. Detengono quote di partecipazione in innumerevoli settori, ma principalmente si occupano di edilizia. Credo che abbia progettato i primi insediamenti-ponte per le aree sommerse dell’Olanda. Attualmente sta trattando con Alberto per Monaco Due.» «Monaco Due?» «S, immagina! Una gigantesca isola in grado di navigare. L’ho sentito di recente in un reportage. Incrocera esclusivamente nei mari dei Paesi caldi.» «Questo Ogi deve essere tanto matto quanto Julian.» «Puo darsi. Si dice che sia un filantropo. Aiuta artisti e gente del circo in difficolta, ha fondato scuole per gli adolescenti piu sfortunati, sponsorizza musei, fa donazioni a destra e a manca. L’anno scorso ha devoluto una sostanziosa parte del suo patrimonio alla Bill & Melinda Gates Foundation.» «Come accidenti fai a sapere tutte queste cose?» «Dovresti leggere un po’ di riviste di gossip.» «Non e necessario finche ci sei tu... E Heidrun?» «Gia.» Amber sorrise con aria misteriosa. «Qui la cosa si fa piccante! La famiglia di Ögi non e esattamente entusiasta di questo legame.»
«Spiegati.» «Lei e una fotografa. Ha talento. Fotografa personaggi famosi e gente comune, ha pubblicato alcuni volumi sugli ambienti... a luci rosse. Nei suoi anni selvaggi ha tirato talmente la corda che la famiglia l’ha buttata fuori di casa, diseredandola. Percio ha iniziato a pagarsi gli studi prima con lo strip-tease, e poi come attrice in film porno d’alta classe. All’inizio del millennio si e fatta un nome come personaggio di culto dell’elite svizzera. Voglio dire, non si puo certo affermare che passi inosservata.» «No di certo.» «Fai il bravo e guarda in avanti, Timmy. Ha smesso coi film porno non appena terminati gli studi, ma ha continuato con lo strip-tease. Alle feste e ai vernissage, per puro divertimento. In una di queste occasioni si e imbattuta in Walo, che ha dato una svolta alla sua carriera di fotografa.» «Motivo per cui lo ha sposato.» «A quanto pare, non e un’opportunista.» «Commovente», disse Tim, e stava per aggiungere qualcos’altro, ma non lo fece perche le luci si spensero. All’improvviso si ritrovarono immersi in un buio nero come la pece. Nell’oscurita risuono un unico violino. Una musica delicata tesseva fili nell’oscurita, linee luccicanti che si univano a formare strutture artistiche. Nel contempo, lo spazio prese a tingersi di azzurro, un misterioso oceano crepuscolare. Da un punto in apparenza lontanissimo - l’impressionante risultato delle proiezioni olografiche sulla gigantesca parete concava di vetro - si avvicino una cosa pulsante e traslucida, simile a un’astronave organica con un nucleo diffuso e pieno di passeggeri alieni e oscuri. «La vita ha avuto inizio nell’oceano», disse una voce. Tim giro la testa. Il profilo del viso di Amber risplendeva come un fantasma nella luce azzurrognola. Lei osservava incantata come la cellula s’ingrandiva e iniziava a roteare. La voce racconto del brodo primordiale e di reazioni chimiche avvenute miliardi di anni prima. La solitaria cellula persa in quel blu senza fine inizio a dividersi in modo sempre piu rapido e improvvisamente apparve qualcosa di lungo, simile a un serpente. «Seicento milioni di anni fa inizio l’era degli organismi pluricellulari complessi!» annuncio la voce. Nei minuti successivi, il filmato ripercorse a ritmo accelerato tutta l’evoluzione. L’effetto di realta era cos coinvolgente che Tim si ritrasse di scatto quando un mostro lungo un metro, con fauci spaventose e artigli coperti di spine, si avvento su di lui, con un poderoso colpo dell’imponente coda cambio improvvisamente direzione e divoro un trilobita. Il Cambriano sorse e tramonto davanti ai suoi occhi, seguito dall’Ordoviciano, dal Siluriano e dal Devoni-
ano. Come se qualcuno avesse premuto il tasto di ricerca su un telecomando geologico, la vita pullulava nell’azzurro e attraversava, in un vortice, ogni possibile evoluzione. Sullo schermo si susseguirono meduse, vermi, granchi, scorpioni giganti, polipi, squali e rettili; un anfibio si trasformo in un sauro; le creature colonizzarono la terraferma e la profondita del mare lascio il posto a un cielo splendente, striato di nuvole. Il sole del Mesozoico splendette su adrosauri, brachiosauri e tirannosauri, finche all’orizzonte non comparve un gigantesco meteorite che si schianto sulla Terra, sollevando un’onda che spazzo via ogni forma di vita. L’inferno si riverso sulla platea in tutta la sua perfezione digitale, facendo trattenere il fiato agli spettatori; tuttavia, quando la polvere si fu depositata, lascio il posto alla marcia trionfale dei mammiferi... e tutti erano ancora seduti ai loro posti, incolumi. Una creatura simile a una scimmia prese a dondolare tra il verde degli alberi, si alzo sulle zampe posteriori, si trasformo in un ominide schiamazzante, inizio a vestirsi e a maneggiare armi, modifico altezza, postura e fisionomia, cavalco un cavallo, guido una macchina, piloto un aereo, fluttuo all’interno di una stazione spaziale e attraverso un’apertura... ma, anziche ritrovarsi nello spazio, spicco un salto e s’immerse nuovamente nei flutti dell’oceano. Di nuovo, si diffuse una luce blu. L’uomo che vi fluttuava sorrise in modo cos seducente che veniva voglia di sorridergli di rimando. «Si dice che siamo attirati dall’acqua perche proveniamo dall’acqua e siamo composti d’acqua al settanta per cento. E davvero torniamo sempre alle nostre origini. Ma le nostre origini si trovano unicamente nel mare?» Il blu si addenso in una sfera che rimpicciol fino a ridursi a una minuscola goccia d’acqua nell’oscurita. «Se andiamo alla ricerca delle nostre origini, dobbiamo volgere lo sguardo a un passato molto lontano. Perche l’acqua che copre due terzi del nostro pianeta e della quale siamo fatti...» - la voce fece una pausa piena di suspense - «... viene dallo spazio! » Silenzio. Accompagnata dall’assordante attacco dell’orchestra, la goccia esplose in milioni di frammenti, e improvvisamente lo schermo si riemp di galassie, sospese nel cielo come gocce di rugiada appese ai fili di una ragnatela. Come se fossero seduti su un’astronave, si avvicinarono a una galassia, entrarono al suo interno, passarono accanto a un Sole e si diressero verso il terzo pianeta del Sistema, una palla di fuoco ricoperta di un oceano di lava bollente. Con un enorme boato, gli asteroidi si schiantarono al suolo, mentre la voce raccontava che l’acqua era giunta sulla Terra dalle profondita dello spazio insieme coi meteoriti. Gli spettatori furono testimoni della formazione di un secondo oceano di vapore acqueo, che si deposito sopra il mare di lava. Poi sopraggiunse a grande velocita un enorme planetoide, poco piu piccolo della neonata Terra, chiamato Theia. La camera magmatica sussulto durante la collisione, i detriti furono scagliati in ogni direzione, ma la Terra sopravvisse anche a quello, ar-
ricchita di massa e di acqua e ora in possesso anche di una Luna, formatasi dai detriti, che inizio a roteare intorno al pianeta a ritmo sostenuto. La pioggia di proiettili cesso, si formarono oceani e continenti. Accanto a Tim, Julian mormoro: «Ovviamente e una scemenza che nello spazio senza atmosfera possano sentirsi certi boati. Lynn avrebbe preferito attenersi ai fatti, ma io ho pensato che dovevamo pensare ai bambini». «Quali bambini?» mormoro Tim di rimando. Si era accorto solo in quel momento che il padre era seduto accanto a lui. «Be’, questo viaggio lo faranno soprattutto le famiglie e noi dobbiamo mostrar loro le meraviglie dell’universo. Tutto lo show e stato concepito per i bambini e gli adolescenti. Immagina l’entusiasmo.» «Percio la ricerca delle origini non ci riporta solo al mare», disse la voce. «Un’eredita ancora piu antica ci spinge a volgere lo sguardo alle stelle. Ammiriamo il cielo notturno e percepiamo un’intima vicinanza, una specie di nostalgia di casa che non sappiamo spiegare.» L’astronave immaginaria aveva attraversato la nuova atmosfera del pianeta e adesso si avvicinava a New York. L’impressionante skyline di Manhattan, con la Freedom Tower illuminata, si stagliava, luccicante, sotto un fiabesco cielo notturno. «La risposta e evidente. Siamo come abitanti di un’isola. La nostra vera casa e l’universo. Gli esseri umani di tutte le epoche hanno sfidato l’ignoto per ampliare il proprio spazio vitale, quindi nei nostri geni e scritta la pulsione alla scoperta. Guardiamo le stelle e ci chiediamo perche la nostra civilta tecnologica non dovrebbe riuscire a fare quello che e riuscito ai nomadi preistorici con mezzi di fortuna, con imbarcazioni fatte di pelli di animali, in peregrinazioni di mesi, a dispetto del vento e delle condizioni meteorologiche. A quei nomadi spinti unicamente dalla curiosita, dall’inestinguibile sete di scoprire, dalla volonta di sapere, da un profondo bisogno di conoscenza.» «E a questo punto entro in gioco io!» gracchio un piccolo razzo che si fiondo in mezzo all’immagine. La bellissima vista panoramica della New York notturna e il cielo stellato sparirono. Alcuni degli spettatori risero. Il razzo aveva effettivamente un aspetto molto buffo. Era color argento, tozzo e con la testa a punta, una navicella spaziale simile a quelle dei libri illustrati per bambini, con quattro «pinne», che utilizzava per camminare, due braccia nervose e una faccia decisamente comica. «I bambini lo adoreranno», sussurro Julian, estasiato. «Rocky Rocket! Stiamo progettando fumetti, cartoni animati, peluche... tutto il programma insomma.» Tim avrebbe voluto ribattere, ma poi vide suo padre entrare nello schermo accanto al razzo. Anche il Julian Orley virtuale indossava jeans, una camicia bianca aperta e scarpe da
ginnastica argento. Agito le dita - ornate dagli immancabili anelli - nel tentativo di allontanare il piccolo razzo. «Per il momento non hai proprio niente da fare qui», disse, allargando le braccia. «Salve, signore e signori. Io sono Julian Orley. Benvenuti nello Stellar Dome. Stiamo per portarvi in un meraviglioso viaggio per...» «S, con me!» s’intromise il razzo, presentandosi come un vero showman con le braccia aperte e scivolando sulle ginocchia... o almeno su quelle che potevano essere le ginocchia per un razzo. «È con me che e iniziato tutto. Seguitemi verso...» Julian spinse nuovamente il razzo di lato e lui reag facendogli lo sgambetto. Segu una breve lotta per decidere chi dovesse accompagnare gli spettatori nel percorso attraverso la storia dei viaggi spaziali, finche i due non trovarono un accordo e decisero che lo avrebbero fatto insieme. La platea mostrava di apprezzare la squillante risata di Chucky, che risuonava nella sala a ogni capriola di Rocky Rocket. In seguito, furono mostrate nuove immagini, come una stazione spaziale, fatta di mattoni, situata nell’orbita terrestre e Julian spiego che cos era stata descritta nel XIX secolo dall’americano Edward Everett Hale, nel suo racconto di fantascienza La Luna di mattoni. Poi Rocky Rocket fece apparire un cagnolino dallo sguardo disorientato e spiego che si trattava del primo satellite. Lo scenario cambio di nuovo. Un gigantesco cannone, con la canna infilata in una montagna, sparava nello spazio alcune persone in sella a una specie di proiettile. «Siamo nel 1865, otto anni dopo la pubblicazione della Luna di mattoni. Nei suoi romanzi Dalla Terra alla Luna e Intorno alla Luna, Jules Verne ha descritto con sorprendente lungimiranza l’inizio dell’astronautica, anche se il cannone sarebbe stato impossibile da realizzare a causa della lunghezza richiesta. Tuttavia il proiettile nel suo racconto viene sparato da Tampa Town, in Florida... e voi sapete dove si trova oggi la sede della NASA. Purtroppo, nel racconto, a un certo punto viene issato fuori bordo questo povero cagnolino, che orbita con la nave spaziale per breve tempo: il primissimo satellite.» Rocky Rocket getto un osso all’animale costernato, che cerco di acchiapparlo: ma il solo risultato fu che l’osso prese a orbitare insieme col cane. «In letteratura, gli esseri umani hanno iniziato molto presto a chiedersi in quale modo si potesse viaggiare fino alle stelle. Ma furono i russi i primi a sparare in un’orbita vicina alla Terra un satellite artificiale. Il 4 ottobre 1957, alle ore 19, 28 minuti e 34 secondi, mandarono in orbita una sfera di alluminio pesante 84 chili, provvista di quattro antenne che inviavano al globo terrestre una serie di suoni, diventati leggendari sotto forma di segnali radio con una lunghezza d’onda di 15 metri e 7,5 metri: lo Sputnik 1 ha tenuto il mondo col fiato sospeso!» Nei minuti successivi, l’astronave immaginaria si trasformo nuovamente in una macchina del tempo, perche dalla Terra venivano continuamente sparati nel cosmo dei nuovi oggetti.
Ecco le cagnoline Strelka e Belka, che abbaiano vivaci a bordo dello Sputnik 5 e Alexej Leonov che osa uscire dalla sua capsula e fluttuare nello spazio come un neonato delle stelle, attaccato al suo cordone ombelicale. Poi la platea riconobbe Valentina Vladimirovna Tereskova, la prima donna nello spazio, mentre scrutava Neil Armstrong lasciare le sue impronte sul suolo lunare il 20 luglio 1969 e innumerevoli stazioni spaziali orbitare intorno al globo terrestre. Vide gli Space Shuttle e le capsule Sojuz portare materiali ed equipaggi all’ISS - l’International Space Station - e la Cina mandare in orbita la sua prima sonda lunare. Assistette all’inizio di una nuova corsa allo spazio: gli Space Shuttle che venivano mandati in pensione; la Russia che inaugurava una nuova generazione del suo programma Sojuz; quell’infinito cantiere che era l’ISS raggiunto da razzi Ares, la navicella spaziale Orion che portava di nuovo gli esseri umani sulla Luna; l’ESA che si precipitava a progettare un viaggio su Marte; la Cina che iniziava la costruzione di una nuova stazione spaziale... Praticamente chiunque aveva fantasticato sulla colonizzazione del cosmo, sugli allunaggi, sui viaggi su Marte e sull’esplorazione di nuove galassie, la «dove nessun uomo era mai arrivato prima», come diceva una famosa serie di fantascienza di alcuni anni addietro. «Ma tutti questi progetti si scontravano col problema che le navicelle e le stazioni spaziali non potevano essere costruite come avrebbero dovuto», spiego Julian. «Non a causa dell’incapacita dei costruttori, ma per via di due limiti fisici insormontabili: la resistenza dell’aria... e la gravita.» Era il momento del grande rientro in scena di Rocky Rocket, che cercava di rimanere in equilibrio su un globo terrestre stilizzato, sopra il quale stava sospesa una Luna dai tratti chiaramente femminili, con crateri che formavano piccoli brufoli sul suo viso, ma nel complesso molto carina. Il satellite faceva l’occhiolino a Rocky e flirtava con lui in modo cos sfacciato che il razzo inizio a sprizzare cuoricini dalla punta eretta. Tim scivolo piu in basso nella poltrona e si chino verso Julian. «Davvero adatto ai bambini», borbotto in tono ironico. «Qual e il problema?» «Un po’ troppo fallica tutta questa scenetta. Voglio dire, la Luna e femminile, e dunque Miss Luna vuole essere scopata. Non e cos?» «I razzi hanno un aspetto fallico, che ti piaccia o no», brontolo Julian. «Cosa avremmo dovuto fare secondo te? Disegnare una Luna con la faccia da maschio? Avresti preferito una Luna gay? Io no.» «Non dico questo.» «Io non voglio una Luna gay. Nessuno vuole una Luna gay. O una navicella spaziale gay col culo in fiamme. Lascia perdere. »
«Non ho detto che non mi piace. Volevo solo dire che...» «Sei e sarai sempre un guastafeste.» Come sempre, litigavano per il gusto di farlo. Tim si chiese come avrebbero potuto convivere con Julian per le successive due settimane. Nel frattempo, Rocky Rocket stava facendo i bagagli, mettendo in valigia tutto cio che serviva a un razzo in viaggio, senza dimenticare un paio di astronauti, accuratamente piegati. Poi stipo la valigia nella sua pancia, saluto, emise una minuscola fiammata mentre gettava baci in ogni direzione e salto verso l’alto. Ma dal suolo terrestre spunto all’istante una dozzina di braccia che lo riporto indietro. Allibito, Rocky tento di nuovo di ripartire, ma gli era impossibile sfuggire alla morsa del pianeta. La Luna vogliosa sembro intristirsi. «Se spiccate un salto verso l’alto, avete il cento per cento di probabilita di ricadere al suolo. La materia esercita una forza chiamata ’gravita’. Piu massa ha un corpo, piu e forte il suo campo gravitazionale che gli consente di trattenere gli oggetti piu piccoli», chiar Julian. Apparve Sir Isaac Newton che sonnecchiava sotto un albero, finche non gli cadeva in testa una mela che lo faceva saltare in piedi con l’aria di chi ha avuto un’illuminazione. «Funziona allo stesso modo anche la meccanica dei corpi celesti», disse Newton. «Poiche sono piu grande della mela, potrebbe sembrare che questo frutto sia stato attratto dalla mia persona. E in effetti anch’io esercito una certa forza gravitazionale. Ma, a confronto con la massa del pianeta, il mio ruolo nel determinare il comportamento dinamico di una mela matura e davvero irrilevante. In realta, e la gravitazione della Terra contro la quale questa piccola mela non ha speranze. Piu forza esercito per tentare di scagliarla in alto, piu riusciro a mandarla lontano, ma alla fine essa cadra inevitabilmente a terra.» A dimostrazione delle sue spiegazioni, Newton inizio a lanciare la mela verso l’alto, asciugandosi il sudore dalla fronte. «Come vedete, la Terra tiene la mela legata a se. Quanta energia servirebbe dunque per spararla nello spazio?» «Grazie, Sir Isaac», intervenne Julian in tono affabile. «Il problema e proprio questo. Considerando la Terra nel suo insieme, un razzo non e un oggetto molto piu imponente di una mela, anche se ovviamente i razzi sono assai piu grandi delle mele. In altre parole, ci vuole una mostruosa quantita di energia per eguagliare la seconda forza che frena la salita, ovvero quella esercitata dalla nostra atmosfera.» Stremato dagli sforzi profusi per raggiungere la sua amante celeste, Rocky si avvicino a un enorme cilindro con la scritta PROPELLENTE e lo vuoto in un solo sorso, sinche non fu gonfio come un pallone e gli occhi quasi gli uscirono dalle orbite. Tuttavia adesso era finalmente in grado di produrre una fiammata abbastanza potente per sollevarsi e spiccare il volo verso lo spazio. La sua sagoma rimpicciol fino a diventare un puntino e infine spar.
«Tralasciando il fatto che, a un certo punto, le dimensioni dei serbatoi per il propellente delle navicelle spaziali diventano un problema di per se, nel XX secolo ogni nuovo lancio aveva costi esorbitanti», riprese Julian. «L’energia e cara. Di fatto, il costo necessario per accelerare un solo chilogrammo alla velocita di fuga e strapparlo alla forza di gravita si aggirava mediamente intorno ai cinquantamila dollari. Per un solo chilogrammo! L’Apollo 11, completamente equipaggiato, coi serbatoi pieni e con Armstrong, Aldrin e Collins a bordo, pesava quasi tremila tonnellate! E tutto quello che veniva installato all’interno o portato a bordo contribuiva a far lievitare i costi in modo... astronomico. In piu, proteggere adeguatamente le navicelle contro meteoriti, Space debris e radiazioni cosmiche doveva sembrare pura utopia. Come sarebbe stato possibile portare lassu un pesante rivestimento, quando ogni singolo sorso di acqua potabile, ogni centimetro di spazio vitale erano gia troppo costosi? Condividere per un paio di giorni una scatola di latta e sopportabile, ma come si poteva pensare di volare fino a Marte? Inoltre sempre piu persone mettevano in dubbio l’utilita di una tale impresa, dato che la maggior parte della popolazione mondiale viveva con meno di un dollaro al giorno. Alla luce di queste considerazioni, i progetti come la colonizzazione e lo sfruttamento economico della Luna nonche i viaggi verso altri pianeti si scontravano con la dura realta e andavano in frantumi.» Julian fece una pausa, quindi riprese: «E pensare che la soluzione e sempre stata l, sotto i nostri occhi! E lo e stata nella forma di un saggio scritto da un fisico russo di nome Konstantin Ciolkovskij nel 1895, sessantadue anni prima del lancio dello Spuntnik 1». Un uomo anziano, coi capelli color ragnatela, con una barba lanosa e un paio di occhiali con la montatura in metallo, sal sul palco virtuale con la grazia di un cosacco in fin di vita. Mentre parlava, sulla superficie terrestre inizio a crescere una bizzarra struttura a griglia. «Avevo pensato a una torre», illustro Ciolkovskij agli spettatori, gesticolando nervosamente. «Simile alla Tour Eiffel, pero molto piu alta. Un colossale pozzo per un ascensore, alla cui estremita inferiore era agganciato un cavo che giungeva fino a terra. Con un dispositivo del genere, pensavo, sarebbe stato possibile portare gli oggetti in un’orbita stabile intorno alla Terra, evitando di ricorrere ai razzi, rumorosi, puzzolenti, poco accoglienti e costosi. Durante la salita, questi oggetti avrebbero subito un’accelerazione tangenziale a mano a mano che diminuiva la forza gravitazionale terrestre, finche la loro energia e la loro velocita non sarebbero state sufficienti per raggiungere la meta, a 35.786 chilometri di altezza.» «Ottima idea!» esclamo Rocky Rocket, rientrato dal suo viaggio di piacere lunare, volando intorno alla torre in costruzione, la quale tuttavia improvvisamente collasso su se stessa. Ciolkovskij fu percorso da un brivido, impallid e torno a fare compagnia ai suoi avi. «Gia.» Julian scrollo le spalle con aria dispiaciuta. «Questo era il punto debole del progetto di Ciolkovskij. Nessun materiale al mondo sembrava abbastanza robusto per una
costruzione del genere. La torre era destinata a crollare sotto il proprio peso e a disgregarsi a causa delle forze che agivano su di lei. Solo negli anni ’50 l’idea ridivenne popolare, ma ci si limito a considerare l’ipotesi di spedire un satellite nell’orbita geostazionaria e di calare da l una fune fino a terra...» «Ehm... scusa», tossicchio Rocky Rocket. «S? Cosa c’e?» «Mi vergogno, capo, ma... Cosa significa ’geostazionario’ esattamente?» Il piccolo razzo arross e inizio a scalpicciare con le pinne, in evidente imbarazzo. Julian rise. «Nessun problema, Rocky. Sir Isaac, una mela, per favore.» «Ho gia capito», rispose Newton, e lancio un’altra mela verso l’alto. Stavolta il frutto sal dritto nel cielo, senza ricadere a terra. «Se con l’immaginazione togliamo la Terra e altri corpi simili, sulla mela non agisce piu nessuna forza gravitazionale», disse Julian. «A seconda dell’impulso che accelera la sua massa in forza della muscolatura di Sir Isaac Newton, la mela volera e continuera a volare senza mai fermarsi. Questo effetto viene chiamato ’forza centrifuga’. Se ora rimettiamo la Terra al suo posto, ritorna in gioco la gia menzionata gravitazione o forza gravitazionale, la quale, in una certa misura, si oppone alla forza centrifuga. Se la mela si e allontanata abbastanza dalla Terra, il campo gravitazionale del pianeta e diventato troppo debole per riattirarla a se, e il frutto sparira nello spazio. Ora, l’orbita geostazionaria, in breve GEO, si trova nel punto esatto in cui la forza di attrazione della Terra e la forza centrifuga si annullano a vicenda, ovvero a 35.786 chilometri di altezza. L la mela non puo ne ricadere al suolo ne fuggire nello spazio. Essa rimarra imprigionata nella GEO finche continuera a ruotare intorno alla Terra in modo sincrono con la sua velocita di rotazione, motivo per cui un oggetto geostazionario sembra trovarsi sempre nello stesso punto.» La Terra girava davanti ai loro occhi. La mela di Newton sembrava immobile sopra l’equatore, fissa sopra un’isola del Pacifico. Ovviamente non stava davvero ferma, ma orbitava intorno al pianeta con una velocita di 11.070 chilometri orari, mentre sotto di lei la Terra ruotava a 1674 chilometri orari, misurati all’equatore. L’effetto era sorprendente. Come la valvola della camera d’aria della ruota di una bicicletta si trova sempre nello stesso punto sul cerchione, il satellite sembrava inchiodato sopra l’isola. «Pertanto, l’orbita geostazionaria e ideale per un ascensore spaziale», esclamo Julian. «In primo luogo per costruire una stazione orbitante in una posizione fissa; in secondo luogo, grazie alla posizione fissa di questa stazione. Dopo aver appurato che era necessario calare da l una fune lunga 35.786 chilometri e ancorarla al suolo, la domanda che si poneva era: quali sollecitazioni doveva sopportare una fune del genere? La tensione maggiore si sarebbe prodotta nel baricentro, quindi nella GEO stessa, il che richiedeva una fune piu larga o piu
resistente nel punto piu alto.» Immediatamente apparve una fune che collegava l’isola e il satellite nel quale la mela nel frattempo si era trasformata. Piccole cabine salivano e scendevano lungo la fune stessa. «In questo contesto e sorta un’ulteriore questione», prosegu Julian. «Perche non prolungare la fune oltre il baricentro superiore? Come ricorderete, nell’orbita geostazionaria la forza gravitazionale e la forza centrifuga si annullano. Oltre questo punto, il rapporto si modifica a favore della forza centrifuga. Una cabina che sale dalla Terra lungo una fune in questo modo dovrebbe utilizzare solo una minuscola frazione dell’energia necessaria per catapultarla verso l’alto con un razzo propulsore. A mano a mano che l’altezza aumenta, l’influsso della forza gravitazionale diminuisce a favore della forza centrifuga, motivo per cui e necessaria una quantita di energia sempre minore... finche, all’altezza dell’orbita geostazionaria, in pratica non richiede piu nessuna energia. Se ora immaginiamo un prolungamento della fune fino a un’altezza di 143.800 chilometri, la navicella supererebbe l’orbita geostazionaria a grande velocita, subirebbe un’accelerazione costante e addirittura guadagnerebbe energia. Una perfetta rampa di lancio per i viaggi interstellari, verso Marte o qualsiasi altro punto del cosmo!» Le cabine adesso trasportavano componenti nell’orbita, che si assemblavano a formare una stazione spaziale. Rocky Rocket caricava le cabine, sudando vistosamente. «Da qualunque punto di vista si considerasse la questione, i vantaggi di un ascensore spaziale erano evidenti», sorrise Julian. «Per portare un carico di un chilogrammo a un’altezza di quasi trentaseimila chilometri ora non bisognava piu spendere cinquantamila dollari: ne bastavano duecento. Inoltre l’ascensore avrebbe potuto funzionare giorno e notte per 365 giorni l’anno. All’improvviso non era piu un problema realizzare stazioni spaziali gigantesche e costruire navicelle spaziali con un rivestimento di protezione adeguato. La colonizzazione dello spazio apparve d’un tratto a portata di mano e ispiro allo scrittore inglese Arthur C. Clarke il suo romanzo Le fontane del paradiso, nel quale lui descrive appunto la costruzione di questi ascensori spaziali.» «Ma perche bisogna costruire questo impianto proprio sull’equatore? » ansimo Rocky Rocket, asciugandosi il sudore dalla punta. «Perche non al Polo Nord o al Polo Sud, dov’e piu fresco? E perche in mezzo al mare e non per esempio a... Las Vegas? » chiese con occhi scintillanti, mentre eseguiva un paio di passi di danza e schioccava le dita. «Non sono sicuro che tu voglia davvero partire per un viaggio stellare in mezzo ai pinguini», ribatte Julian, scettico. «In ogni caso, non sarebbe fattibile. Solo lungo l’equatore e possibile sfruttare la rotazione terrestre in modo da ottenere la forza centrifuga massima. Solo lungo l’equatore sono possibili le orbite geostazionarie.» Riflette per un attimo, poi aggiunse: «Attento, ti spiego come funziona. Immagina di essere un lanciatore di martello».
L’idea sembro divertire il piccolo razzo, che spinse il petto in fuori e mostro i muscoli. «Dov’e il martello? Dammelo!» gracchio. «Oh, i martelli non si usano piu da tempo, sciocchino. È rimasto solo il nome. Il martello oggi e una sfera di metallo attaccata a una fune di acciaio.» Julian fece apparire dal nulla la sfera e mise l’impugnatura in mano a Rocky. «Ora devi girare intorno al tuo asse tendendo le braccia.» «Perche?» «Per accelerare il martello. Devi tracciare dei cerchi.» «È pesante», si lamento Rocky, tirando la fune di acciaio. Inizio a girare su se stesso, sempre piu veloce. La fune si tese, la sfera si stacco dal suolo e si porto su una traiettoria orizzontale. «Adesso posso lanciare?» ansimo Rocky. «Tra un attimo. Ora devi immaginare di non essere Rocky, ma il pianeta Terra. La tua testa e il Polo Nord, i tuoi piedi sono il Polo Sud. Nel mezzo, si trova l’asse sul quale stai girando. Di conseguenza, qual e il centro del tuo corpo?» «Uh! Come, cosa? L’equatore, naturalmente.» «Bravo.» «Ora posso lanciare?» «Aspetta. Dal centro del tuo corpo, ovvero dall’equatore, il martello oscilla verso l’esterno e la forza centrifuga lo tende... proprio come la fune dell’ascensore spaziale, che deve essere ben tesa.» «Ho capito. Posso?» «Ancora un istante! In un certo senso, le tue mani sono la nostra isola nel Pacifico e la sfera di metallo e il satellite, ovvero la stazione spaziale, nell’orbita geostazionaria. Ti e chiaro?» «Chiaro.» «Bene. Allora adesso solleva le braccia.» «Eh?» «Avanti. Solleva le braccia. Continua a girare, pero, mentre lo fai, solleva le braccia sopra la testa.» Rocky obbed. La fune di acciaio si affloscio all’istante e la sfera cadde pesantemente sulla testa del piccolo razzo, che strabuzzo gli occhi, barcollo e cadde a terra. «Credi di aver afferrato il principio?» chiese Julian con aria comprensiva. Rocky agito una bandierina bianca. «Bene. Praticamente qualsiasi punto lungo la linea dell’equatore e adatto per la realizzazione di un ascensore spaziale, tuttavia bisogna tenere in considerazione alcuni fattori. La
stazione di ancoraggio, diciamo il pianterreno, dovrebbe trovarsi in una zona in cui il cielo e quasi sempre terso, protetta da tempeste, forti venti e scariche elettriche nonche lontana dalle rotte aeree. Posti del genere si trovano soprattutto nel Pacifico. Uno e collocato a cinquecentocinquanta chilometri a ovest della costa dell’Ecuador ed e il posto in cui ci troviamo ora... l’Isla de las Estrellas!» Improvvisamente Julian si ritrovo sulla terrazza panoramica dello Stellar Island Hotel. Al largo s’intravedeva la piattaforma galleggiante e le due funi che uscivano dall’interno della stazione di Terra e si estendevano verso l’azzurro infinito. «Come potete vedere, abbiamo costruito non uno, ma ben due ascensori», disse Julian con un ampio gesto delle braccia. «Due funi si tendono parallele verso l’orbita. Ma, ancora pochi anni fa, si nutrivano non pochi dubbi sul fatto che un giorno sarebbe stato davvero possibile ammirare tutto questo. Senza il lavoro di ricerca dell’Orley Enterprises probabilmente la soluzione si sarebbe fatta attendere altri decenni, e tutto quello che vedete qui non esisterebbe. » L’illusione scomparve. Julian adesso fluttuava in uno spazio nero. «Il problema era trovare un materiale che consentisse di realizzare una fune lunga 35.786 chilometri. Doveva essere ultraleggero e superresistente. L’acciaio non andava bene. Anche la fune di acciaio piu resistente si strapperebbe dopo trentaquaranta chilometri, unicamente a causa del proprio peso. Sono state prese in considerazione tutte le possibili fibre sintetiche e tutte si sono rivelate inadatte. Si fantasticava di fibre di ragnatela - in fondo si tratta di un materiale quattro volte piu resistente dell’acciaio -, ma anche questo non avrebbe conferito alla fune la resistenza alla trazione richiesta, per non parlare del fatto che per una fune di 35.786 chilometri ci sarebbe voluta una quantita inimmaginabile di ragni. Che situazione frustrante! La stazione di ancoraggio, la stazione spaziale, le cabine, tutto sembrava realizzabile. Solo la fune rischiava di far fallire l’intero progetto... finche, all’inizio del nuovo millennio, non e stata fatta una scoperta straordinaria: i nanotubi di carbonio. » Una luminosa struttura a griglia tridimensionale inizio a roteare nell’oscurita. La sua forma tubolare ricordava vagamente quella di una nassa per la pesca. «Questa struttura in realta e diecimila volte piu sottile di un capello umano. Un minuscolo tubo, costituito da atomi di carbonio assemblati con una disposizione a ragnatela. I piu piccoli di questi tubi misurano mediamente meno di un nanometro. Lo spessore e sei volte piu sottile dell’acciaio, il che li rende molto leggeri, ma nel contempo possono vantare una resistenza alla trazione pari a circa 45 gigapascal, al cui confronto i 2 gigapascal sopportati dall’acciaio fanno apparire quest’ultimo come un biscotto sbriciolato. Con gli anni, i ricercatori sono riusciti a legare tra loro questi tubicini e a creare dei filamenti. Nel 2004, i ricercatori di Cambridge hanno realizzato un filo lungo cento metri. Eppure riuscire a tessere strutture piu grandi con questi filamenti appariva una possibilita piuttosto remota, tanto piu che gli esperimenti
avevano dimostrato che la resistenza dei fili si riduceva drasticamente rispetto a quella dei singoli tubi. Si era verificato una specie di ’errore di tessitura’ causato dalla mancanza di alcuni atomi di carbonio, e inoltre il carbonio e soggetto all’ossidazione. Viene corroso, dunque i filamenti avrebbero avuto bisogno di un rivestimento.» Julian fece una pausa, quindi riprese: «L’Orley Enterprises ha investito molti anni nella ricerca di una soluzione a questo problema. Nel 2012 finalmente l’abbiamo trovata. Siamo stati in grado non solo di sostituire gli atomi mancanti, ma anche, grazie ad alcuni collegamenti trasversali, di aumentare la resistenza dei fili a 65 gigapascal! Abbiamo scoperto vari modi per rivestirli e proteggerli cos dai meteoriti, dagli Space debris, dall’oscillazione naturale e dall’effetto corrosivo dell’ossigeno atomico. Con una larghezza di circa un metro, sono piu sottili di un capello, e questo e il motivo per cui sembrano scomparire quando li si guarda di lato. A 143.000 chilometri di altezza, dove finiscono, li abbiamo ancorati a un piccolo asteroide che funge da contrappeso. In futuro, utilizzeremo questa parte delle funi per accelerare le navicelle spaziali in modo che possano raggiungere Marte, o anche un punto piu lontano, utilizzando una quantita infinitesimale di energia...» Sorrise. «Ma nell’orbita geostazionaria abbiamo costruito una stazione spaziale mai vista prima: l’OSS, l’Orley Space Station, raggiungibile in tre ore con l’ascensore. Stazione di ricerca, porto spaziale e hangar! Da l partono le varie navicelle, con o senza equipaggio, dirette alla Luna. Allo stesso modo, l’elio-3 compresso viene trasportato dai punti di approvvigionamento lunari all’OSS, dove viene caricato sull’ascensore e mandato sulla Terra. Il sogno di fornire a dieci miliardi di persone una fonte di energia pulita e illimitata e a un passo dal diventare realta. Possiamo dire che l’elio-3 ha decretato la fine dell’era dei combustibili fossili, poiche anche i necessari reattori a fusione sono stati sviluppati e lanciati sul mercato dall’Orley Enterprises. L’importanza di olio e gas sta diminuendo drasticamente. Il depauperamento del nostro pianeta sta per finire. Le guerre per il controllo del petrolio e del gas saranno un ricordo del passato. Nulla di questo sarebbe stato possibile senza lo sviluppo dell’ascensore spaziale, ma noi abbiamo sognato il sogno di Konstantin Ciolkovskij... e lo abbiamo trasformato in realta!» Un attimo dopo, tutto ricomparve: la terrazza panoramica, i pendii dell’Isla de las Estrellas, la piattaforma galleggiante. Julian Orley, coi capelli al vento e con gli occhi scintillanti, sollevo le braccia al cielo come se stesse per ricevere l’undicesimo comandamento. «Vent’anni fa, quando l’Orley Enterprises ha iniziato a investire nella costruzione di ascensori spaziali, ho promesso al mondo di costruire un ascensore per il futuro. Un futuro che i nostri genitori e i nostri nonni non avrebbero mai potuto nemmeno sognare. Il migliore futuro che abbiamo mai avuto. E noi lo abbiamo realizzato! Tra pochi giorni, raggiungerete l’OSS. Ammirerete la bellezza della Terra, la nostra meravigliosa casa... e volgerete stupiti lo sguardo alle stelle, la nostra casa di domani.»
Su un sottofondo di musica drammatica, tra colonne di luce rossa, due scintillanti cabine uscirono dall’edificio rotondo sulla piattaforma galleggiante e schizzarono verso il cielo. Julian sollevo la testa e le segu con lo sguardo. «Benvenuti nel futuro», esclamo. ANCHORAGE, ALASKA, STATI UNITI Non di nuovo, penso Gerald Palstein. Non per la quarta volta la stessa accusa, la stessa domanda. «Mr Palstein, forse sarebbe stato piu saggio impiegare in modo differente fin dall’inizio le persone che ora perderanno il posto di lavoro, invece di trivellare gli ultimi ecosistemi intatti del pianeta nella spasmodica ricerca di petrolio. Non e stato un grave errore da parte della sua divisione mettere in funzione questo impianto, come se forme alternative di energia quali l’elio-3 e l’energia solare non avessero importanza?» Diffidenza, incomprensione, furbizia. La conferenza stampa indetta dall’EMCO per annunciare la chiusura del Progetto Alaska era diventata un processo, e lui era il capro espiatorio. Palstein tento di dissimulare la propria stanchezza. «Per come stavano le cose allora, abbiamo agito in modo responsabile. Nel 2015, l’elio-3 era un’opzione lontana come le stelle, in senso letterale. Gli Stati Uniti d’America non potevano basare la propria politica energetica unicamente sulla possibilita di una trovata tecnologica geniale...» «Alla quale adesso pero volete partecipare», lo interruppe la giornalista. «Un po’ tardi, non crede?» «Sicuramente, ma forse posso rammentarle un paio di cose che credevo fossero chiare a entrambi. Anzitutto nel 2015 io non ero a capo del settore strategico dell’EMCO...» «Ma ne era il vicedirettore.» «La decisione finale su dove investire spettava al mio predecessore. Tuttavia lei ha ragione. Ho appoggiato il Progetto Alaska perche non era possibile prevedere se l’ascensore spaziale e la tecnologia di fusione avrebbero funzionato. Dunque quel progetto era nell’interesse dell’America.» «Piu che altro era nell’interesse di alcuni sfruttatori.» «Riconsideri tutta la situazione. All’inizio del millennio, la nostra politica energetica mirava a liberarci dalla dipendenza dal Medio Oriente, soprattutto perche avevamo scoperto che chi sceglie la guerra non conquista automaticamente la pace. Andare in Iraq e stato una follia. Il mercato americano non ne ha mai tratto i vantaggi sperati. Avevamo pianificato di mandare laggiu i nostri e di rilevare la produzione di petrolio, invece, settimana dopo settimana, abbiamo assistito soltanto al rientro delle salme dei soldati. Quindi abbiamo tentennato e alla fine altri si sono spartiti la torta. Alla fine, persino i repubblicani piu conservatori hanno capito che, con George W. Bush, ci eravamo messi nelle mani di un idiota irrecuperabile e pericoloso. Ma ormai la nostra economia e il nostro prestigio agli occhi del mondo erano rovinati. A
quel punto, nessuno voleva piu entrare in Iraq imbracciando le armi.» «Le dispiace che l’opzione di un’ulteriore guerra sia stata accantonata? » «Certo che no.» Incredibile! Quella donna semplicemente non ascoltava. «Sono sempre stato contrario alla guerra e lo sono ancora. Ma lei deve rendersi conto che gli Stati Uniti si trovavano in una posizione imbarazzante. La fame di materie prime dell’Asia, il ricatto della Russia per la cessione delle risorse, l’esito fallimentare del nostro intervento in Medio Oriente... Un unico, enorme disastro. Nel 2015, poi, e stato rovesciato il governo dell’Arabia Saudita ed e stato messo in scena l’intero repertorio della presa di potere dei fondamentalisti islamici, comprese le bandiere americane bruciate nelle strade di Riyad. Ma noi non potevamo semplicemente sbarazzarci di quei tizi, perche la Cina aveva fornito loro denaro e armi. Un intervento militare in Arabia Saudita sarebbe equivalso a una dichiarazione di guerra a Pechino. Lei sa bene qual e la situazione laggiu da allora. Oggi forse non interessa piu a nessuno, ma all’epoca sarebbe stato da incoscienti affidarci unicamente al petrolio saudita. Dovevamo considerare le alternative. Una di queste era il mare, l’altra lo sfruttamento di sabbie e scisti bituminosi, la terza le risorse dell’Alaska. » Un’altra giornalista chiese la parola. Loreena Keowa, attivista ambientale di origini native americane e caporedattrice di Greenwatch. I suoi reportage avevano una grande eco in rete. Era molto critica, ma Palstein sapeva che, in determinate condizioni, poteva trovare in lei un’alleata. «Io penso che nessuno possa biasimare un’impresa che vuole dichiarare morto un cadavere. Anche se cio implica la perdita di posti di lavoro. Mi chiedo solo cosa puo offrire l’EMCO alle persone che si ritroveranno in mezzo a una strada. Forse e inutile piangere sul latte versato, ma non e stato il rifiuto della ExxonMobil d’investire nelle energie alternative la causa che ha portato al disastro di oggi?» «È cos.» «Ricordo che la Shell gia vent’anni or sono ha sottolineato il fatto di essere un gruppo che si occupa di energia e non un produttore di petrolio, mentre la ExxonMobil dichiarava di non avere bisogno di una ’stampella’ nel settore delle energie alternative. La fine dell’epoca del petrolio che molti vedevano ormai prossima sarebbe, cito letteralmente, ’un diffuso malinteso’.» «Una valutazione senza dubbio errata.» «Le conseguenze sono percio ancora piu dolorose. Forse e vero che nessuno poteva prevedere una rivoluzione nel mercato dell’energia come quella cui stiamo assistendo. Di fatto, pero, l’EMCO non e in grado di ricollocare i propri dipendenti in settori alternativi, perche questi settori alternativi non esistono.» «È proprio questo stato di cose che vogliamo cambiare», replico Palstein in tono paziente.
«So che lei vorrebbe cambiarlo, Gerald. Ma i suoi critici considerano il piano di partecipazione all’Orley Enterprises solo fumo negli occhi», obietto Loreena con un mezzo sorriso. Palstein ricambio il sorriso. «Questo non e esatto. Vede, non sto cercando giustificazioni, ma nel 2005 ero responsabile dei progetti di trivellazione in Ecuador per la ConocoPhillips e solo nel 2009 sono passato al settore della gestione strategica. A quel tempo, il mercato del petrolio e del gas americano era dominato dalla ExxonMobil. Le energie alternative godevano di una reputazione assai diversa sulle due sponde dell’Atlantico. La ExxonMobil investiva nel golfo Persico, tentava di acquisire le aziende russe del settore, puntava su un aumento dei guadagni come risultato della lievitazione dei prezzi del petrolio e se ne infischiava dell’etica e della durata delle riserve. In Europa tirava un’aria diversa. La Royal Dutch Shell aveva creato una divisione commerciale per le energie rinnovabili gia alla fine degli anni ’90. La BP ha agito in modo ancora piu lungimirante, puntando l’attenzione sulla profondita del mare, assicurandosi quote delle risorse russe, lanciando slogan come ’Beyond Petroleum’ e diversificando le proprie attivita ovunque cio fosse possibile.» Palstein sapeva che specialmente i giornalisti piu giovani erano disinformati in modo preoccupante. Illustro a grandi linee come il processo di consolidamento aveva raggiunto l’apice appena prima della presa di potere dei fondamentalisti in Arabia Saudita, quando la Royal Dutch Shell era stata assorbita dalla BP, e dalla fusione era nata l’UK Energies, mentre in America la ExxonMobil si era fusa con la Chevron e la ConocoPhillips nell’EMCO. «Nel 2017 ho assunto il ruolo di vicedirettore della gestione strategica all’EMCO. Il primo giorno, sulla mia scrivania, e arrivato il comunicato stampa che annunciava il successo dell’Orley Enterprises nello sviluppo di un ascensore spaziale. Ho subito proposto di trattare l’acquisto di quote dell’Orley Energy con Julian Orley. Inoltre ho raccomandato di acquistare azioni della Lightyears di Warren Locatelli, o ancor meglio, di acquisire l’intera azienda. La leadership del mercato di Locatelli non e caduta dal cielo; nel 2015, lui sarebbe ancora stato aperto a qualsiasi trattativa.» Vide alcuni sguardi di approvazione. Loreena annu. «Lo so, Gerald. Lei ha tentato di guidare la macchina EMCO in direzione delle energie rinnovabili. Che lei abbia un atteggiamento critico verso il suo settore e cosa risaputa. Come lo e il fatto che nessuna delle sue proposte e stata accettata.» «Purtroppo no. La vecchia dirigenza EMCO, che teneva ancora saldamente le redini del gruppo, era interessata unicamente alla nostra attivita principale. Sono stato libero di agire solo quando il mercato del petrolio ha incominciato a collassare, quando anche gli ossi piu duri hanno dovuto cedere il passo e il nuovo consiglio d’amministrazione mi ha affidato la direzione strategica. Da allora, l’EMCO e cambiata. Dal 2020 abbiamo profuso ogni sforzo per recuperare il tempo perduto. Siamo entrati nel settore del fotovoltaico, in quello dell’energia eolica e idraulica. Forse non e una cosa molto nota, tuttavia ci sentiamo per-
fettamente in grado di ricollocare il nostro personale in altri rami dell’azienda che avranno un futuro. Ma non e possibile sistemare in una notte cio che e stato ignorato per decenni.» Tacque, ben sapendo quale sarebbe stata la domanda successiva. «Ma e davvero possibile sistemare le cose, a questo punto?» Palstein si appoggio allo schienale della sedia. In fondo, poteva anche non rispondere. L’elio-3 si stava trasformando nel carburante del futuro. I reattori a fusione di Orley lavoravano ventiquattr’ore al giorno e i bilanci erano positivi. In piu, il trasporto dell’elio-3 dalla Luna alla Terra non rappresentava piu un problema. Il settore di Palstein invece era come traumatizzato. I grandi gruppi petroliferi si sarebbero aspettati di tutto... tranne la fine dell’epoca del petrolio prima che quello iniziasse a scarseggiare! Nemmeno i visionari piu arditi della Royal Dutch Shell e della BP avrebbero immaginato un carburante alternativo in grado di far fallire il loro settore tanto rapidamente. Solo dieci anni prima, l’UK Energies aveva stimato per le tecnologie alternative - compresa l’energia atomica - una fetta di mercato del trenta per cento per il 2050. Inoltre era chiaro a tutti che la maggior parte di quelle tecnologie poteva essere offerta a prezzi concorrenziali solo dalle multinazionali. Il settore fotovoltaico aveva buone possibilita di conquistarsi ampie fette di mercato nei Paesi ricchi di sole, tuttavia richiedeva la realizzazione di una complessa serie d’infrastrutture logistiche. Chi poteva assumersi tale ruolo se non le grandi multinazionali del petrolio, che in fondo dovevano solo crearsi una via d’uscita per essere pronte a cambiare attivita una volta che fosse giunto il momento fatale? Il fatto che i grandi gruppi petroliferi non fossero disposti a comportarsi cos dipendeva dalle previsioni sull’effettivo esaurimento del petrolio e del gas. Proprio come i testimoni di Geova, che spostano continuamente la data della fine del mondo, i profeti di sventura avevano spesso cambiato la data di chiusura dell’epoca del petrolio: negli anni ’80 era il 2010; negli anni ’90 era il 2030; all’inizio del nuovo millennio era il 2050 e tutto cio nonostante l’aumento dei consumi. Nel frattempo, era diventato chiaro che le riserve sarebbero bastate fino al 2080, anche se il livello di sfruttamento massimo era considerato superato, mentre le risorse disponibili promettevano una durata ancora piu lunga. Solo su un punto erano tutti d’accordo: il petrolio a buon mercato non sarebbe piu esistito. Mai piu. Invece era diventato molto a buon mercato. I prezzi erano crollati in modo cos drammatico che il settore aveva iniziato a sentirsi come il protagonista di quel classico del cinema di fantascienza che era Radiazioni BX: distruzione uomo: un uomo che diventava sempre piu piccolo e per il quale un banale ragno domestico improvvisamente si trasformava in una minaccia mortale. Se la cavava meglio chi aveva investito per tempo nelle energie rinnovabili. L’UK Energies era riuscita a invertire la rotta e il gruppo francese Total aveva diversificato le proprie attivita in modo da poter sopravvivere,
anche se ovunque imperversava il mortale virus dei tagli del personale. Perlomeno l’energia solare ad alta efficienza - com’era stata sviluppata dalla Lightyears di Locatelli - era considerata l’energia piu affidabile accanto all’elio-3, e anche l’energia eolica permetteva di realizzare qualche guadagno. Il gruppo norvegese Statoil Norsk Hydro invece agonizzava, la cinese CNPC e la russa Lukoil fissavano disperate un futuro senza petrolio. Non avevano compreso la portata della dichiarazione, diventata emblematica, di Ahmed al Yamani, l’ex ministro arabo delle Risorse Petrolifere: «L’eta della Pietra non e finita per mancanza di pietre». Il problema non era tanto che il petrolio non servisse piu; ce n’era bisogno nella produzione di plastica, concimi e cosmetici, nell’industria tessile, in quella alimentare e nella ricerca farmaceutica. Gli innovativi reattori a fusione di Orley erano ancora pochi; la maggior parte delle automobili funzionava con motori a combustione; gli aerei volavano ancora grazie al cherosene. Della nuova risorsa approfittavano soprattutto gli Stati Uniti. A livello mondiale, il passaggio a un’economia energetica basata sull’elio-3 avrebbe richiesto ancora qualche anno, quello era chiaro. Ma era per l’appunto questione di anni, non piu di decenni. Il semplice fatto che la cosiddetta «fusione aneutronica» dell’elio-3 col deuterio nei reattori funzionasse aveva fatto precipitare il gia sofferente prezzo del greggio in un abisso senza fine. Alla fine del primo decennio, era apparso evidente che le persone non erano disposte a spendere qualsiasi cifra per il petrolio; se diventava troppo caro, si risvegliava la loro coscienza ecologica, risparmiavano sulla corrente e chiedevano a gran voce lo sviluppo delle energie alternative. L’idea degli speculatori di far lievitare il prezzo al barile mediante acquisti di massa non aveva funzionato. Inoltre la maggior parte dei Paesi aveva costituito delle riserve e non era costretta ad acquistare altro greggio; inoltre le automobili di nuova generazione disponevano di batterie con enormi capacita di accumulo e venivano alimentate con l’ecologica corrente elettrica direttamente dalla presa... e ben presto, grazie all’elio-3, la corrente elettrica sarebbe stata disponibile in grande quantita in tutto il mondo. Proprio gli Stati Uniti d’America, che dopo l’elezione di Barack Obama avevano riscoperto un’anima verde, premevano per stipulare accordi internazionali per la riduzione delle emissioni e avevano scoperto il diavolo nella CO2. Pochi anni dopo l’inaugurazione del primo reattore di fusione per l’elio-3, era diventato ovvio che «pensare all’ambiente» avrebbe permesso di ottenere guadagni astronomici. Nel corso di quei mutamenti, nel ranking dei colossi mondiali del petrolio, l’EMCO era scivolata dalla prima alla terza posizione, mentre l’intero settore minacciava di contrarsi fino a essere ridotto a un microverso. Atrofizzata dall’ignoranza, l’EMCO aveva iniziato a incespicare, come King Kong prima della caduta e, oscuramente consapevole del proprio fallimento, si era messa a cercare qualche appiglio, senza tuttavia riuscire ad afferrare
altro che l’aria. E ora avevano perso anche l’Alaska. I progetti di trivellazione, imposti a costo di annose battaglie con le lobby ambientaliste, dovevano essere abbandonati, perche gli enormi depositi di gas naturale non interessavano piu a nessuno. La conferenza stampa che Palstein stava tenendo non era in fondo molto diversa da quella che aveva avuto luogo poche settimane prima nella provincia canadese dell’Alberta, dove lo sfruttamento delle sabbie bituminose era ormai un’attivita prossima alla fine. Quel procedimento complesso e inquinante aveva procurato piu di un incubo agli ambientalisti, ma era stato realizzabile finche il mondo aveva avuto fame di petrolio, neanche fosse un neonato che cercava il latte. E non era una consolazione il fatto che parecchi esponenti del governo canadese condividessero le preoccupazioni dell’EMCO, dal momento che due terzi delle risorse petrolifere del globo erano nascosti in quelle sabbie: centottanta milioni di barili solo sul suolo canadese. La stragrande maggioranza dei canadesi, pero, era felice che ben presto sarebbe finito tutto. Nell’Alberta, lo sfruttamento aveva distrutto per sempre fiumi e paludi, la foresta boreale, l’intero ecosistema. E, alla luce di quei fatti, il Canada non era stato in grado di rispettare i suoi obblighi internazionali. Dato che l’emissione di gas serra era aumentata, i protocolli firmati erano carta straccia. «Noi vogliamo aggiustare le cose», disse Gerald Palstein con voce ferma. «Alle trattative con l’Orley Enterprises manca solo la firma. Vi posso assicurare che parteciperemo come primo gruppo petrolifero all’affare elio-3. Inoltre stiamo discutendo possibili alleanze con gli strateghi di altri gruppi industriali.» «In concreto, cosa puo offrire la sua azienda all’Orley Enterprises? » volle sapere un giornalista. «Diverse cose.» L’uomo non mollo la presa. «Se non sbaglio, il problema delle multinazionali e non avere la benche minima conoscenza nel settore della fusione nucleare. Voglio dire, alcuni gruppi si sono buttati sul fotovoltaico, sull’energia eolica e idrica, sul bioetanolo, eccetera, ma la tecnologia di fusione e i viaggi spaziali... Mi perdonera se dico che questo va ben al di la della vostra sfera di competenze.» Palstein sorrise. «Posso comunicarle che attualmente Julian Orley sta cercando investitori per un secondo ascensore spaziale, tra l’altro per ampliare le infrastrutture destinate al trasporto dell’elio-3. Stiamo parlando di enormi quantita di denaro. E noi ce l’abbiamo. Bisogna vedere come decideremo d’impiegarlo. Il mio settore in questo momento e sotto shock. Qualcuno potrebbe obiettare che era prevedibile, ma cosa dovremmo fare, secondo lei? Andare a picco, crogiolandoci nelle nostre sofferenze? Per quanti sforzi possiamo fare, l’EMCO non conquistera mai una posizione leader nel mercato dell’energia solare, dato che altri hanno
agito con maggiore tempestivita. La scelta e tra rimanere a guardare mentre ci viene sottratto un mercato dopo l’altro, finche le nostre risorse non verranno dissipate dai programmi sociali, oppure investire i soldi in un secondo ascensore e occuparci della logistica qui, sulla Terra. Come ho gia detto, le trattative sono quasi concluse, la firma degli accordi e imminente.» «Quando avverra?» «Al momento, Orley si trova con un gruppo di potenziali investitori sull’Isla de las Estrellas. Da l il viaggio proseguira per l’OSS e per l’inaugurazione del Gaia Hotel. Gia.» Palstein scrollo le spalle, con un’aria a meta fra il triste e il rassegnato. «Avrei dovuto esserci anch’io. Julian Orley e non solo un futuro partner commerciale, ma anche un caro amico. Sono profondamente dispiaciuto di non poter fare questo viaggio con lui, ma sapete bene cos’e successo in Canada.» L’ultima frase ebbe l’effetto del gong che preannuncia il secondo round. Iniziarono a parlare tutti insieme. «Hanno scoperto chi le ha sparato?» «Viste le sue condizioni di salute, come fara a superare le prossime settimane? La ferita...» «Cosa pensa delle ipotesi secondo le quali l’attentato potrebbe essere collegato con la sua decisione di legare l’EMCO all’Orley Enterprises...» «È vero che e stato un impiegato, furioso per la perdita del lavoro...» «Con le sue critiche sulle disfunzioni del suo settore, lei si e fatto molti nemici. Chi di loro potrebbe...» «Ma lei come si sente, Gerald?» chiese Loreena Keowa. «Grazie, Loreena, sto bene, date le circostanze.» Palstein alzo la mano sinistra per far tornare il silenzio. Da circa un mese, il braccio destro era avvolto in una fascia. «Una cosa alla volta. Rispondero a tutte le domande, ma non intendo fare supposizioni. Al momento, non posso dire nulla, tranne che pure io vorrei capire chi e stato. L’unica cosa che so e che ho avuto una fortuna sfacciata. Se non fossi inciampato sugli scalini mentre raggiungevo il palco, il proiettile mi avrebbe colpito in testa. Non e stato un avvertimento, come ha detto qualcuno, ma un’esecuzione andata male. L’obiettivo dell’attentato era senza dubbio quello di uccidermi...» «Adesso come si protegge?» Palstein sorrise. «Con l’ottimismo. E con un giubbotto antiproiettile, per dirla tutta. Ma anche questo e inutile contro gli spari alla testa. Dovrei forse nascondermi? No! ajkovskij ha detto: ’Non si puo attraversare la vita in punta di piedi per paura della morte’.» «A chi gioverebbe se lei scomparisse dalla scena?» intervenne Loreena.
«Non lo so. Se qualcuno volesse impedire la nostra alleanza con l’Orley Enterprises, in questo modo vanificherebbe la piu grande e forse unica occasione dell’EMCO di guarire in fretta.» «Forse e proprio cos. Forse qualcuno vuole distruggere l’EMCO», disse una voce. «Il mercato e diventato troppo piccolo per i gruppi petroliferi », intervenne un altro. «In fondo, la caduta di questi gruppi sarebbe un’evoluzione economica naturale. Qualcuno vuole togliere di torno i concorrenti, per...» «O forse qualcuno vuole colpire Orley attraverso di lei. Se l’EMCO...» «Qual e l’atmosfera all’interno dell’azienda? A chi ha pestato i piedi, Gerald?» «A nessuno!» Palstein scosse deciso la testa. «Il consiglio d’amministrazione ha approvato il mio progetto di risanamento in ogni singolo punto, e la chiave di tale progetto e l’alleanza con Orley. Queste ipotesi non vi porteranno da nessuna parte. Parlate con le autorita. Stanno indagando in ogni direzione.» «Quali sono le sue sensazioni?» «Per quanto riguarda l’autore del reato?» «S. Non ha nessun sospetto?» Palstein tacque per alcuni istanti, poi disse: «Personalmente, riesco a immaginare solo una vendetta. Qualcuno che e disperato per aver perso il proprio lavoro, che forse ha perso tutto, e ora proietta il suo odio su di me. Una cosa del genere riuscirei a capirla. Sono consapevole della posizione in cui ci troviamo. Molte persone ora lottano per sopravvivere, dopo aver affidato a noi la loro vita in anni migliori». Fece una pausa. «Ma siamo onesti: i tempi migliori devono ancora arrivare. Forse non sono la persona giusta per dire cos, ma un mondo in grado di coprire il proprio fabbisogno energetico con risorse pulite e rinnovabili fa apparire l’economia petrolifera come un sistema arcaico. Posso solo ribadire che faremo qualunque cosa per garantire un futuro all’EMCO. E anche ai nostri collaboratori!» Un’ora piu tardi, Gerald Palstein riposava nella sua suite, il braccio destro ripiegato sotto la nuca, le gambe stese come se gli costasse troppa fatica persino accavallarle. Stanco morto, stava sdraiato sul copriletto e fissava le travi del baldacchino. La sua delegazione alloggiava allo Sheraton Anchorage, uno degli alberghi piu chic di una citta non proprio bellissima. I pochi edifici storici erano stati distrutti dal sisma del 1964 - il cosiddetto «terremoto del Venerd Santo» -, il sussulto piu forte mai registrato sul suolo americano. Ora rimaneva in piedi un unico palazzo veramente bello, ma si trattava dell’ospedale. Dopo un po’, Palstein si alzo e ando in bagno, con la mano libera si passo dell’acqua sulla faccia e osservo il proprio viso nello specchio. Una goccia era rimasta sospesa sulla punta del naso e lui la asciugo. Sua moglie Paris raccontava spesso di essersi innamorata dei suoi occhi marroni, scuri, grandi come quelli di un cerbiatto e incorniciati da ciglia folte e lunghe
come quelle di una donna. Nel suo sguardo aleggiava una perenne malinconia. Uno sguardo troppo bello e intenso per un viso gentile ma anonimo. La fronte era alta e ampia, la nuca era coperta dai capelli tagliati corti. Da un po’ di tempo, poi, il suo fisico aveva acquisito un che di ascetico. Una conseguenza della mancanza di sonno, dell’alimentazione irregolare e del soggiorno in clinica dove, un mese prima, gli avevano estratto la pallottola dalla spalla. Palstein sapeva che avrebbe dovuto mangiare di piu, ma non aveva appetito. Lasciava nel piatto quasi tutto quello che gli servivano. Una preoccupante forma di esaurimento lo paralizzava, come se fosse posseduto da un virus che non era piu possibile tenere a bada con qualche occasionale pisolino in aereo. Si asciugo la faccia, usc dal bagno e ando alla finestra. Un pallido, freddo sole estivo illuminava il mare coi suoi raggi abbaglianti. A nord si stagliavano le cime innevate dell’Alaska Range. Non lontano dall’albergo s’intravedeva la vecchia sede della ConocoPhillips. Ora sul tetto brillava il logo dell’EMCO, una sorta di cocciuta autoaffermazione nonostante il mutamento ormai in atto. Nell’edificio della Peak Oilfield Service Company si affittavano uffici. L’UK Energies aveva installato nell’ex sede principale della BP una filiale della sua divisione solare e aveva affittato il resto a un’impresa turistica; tuttavia anche l c’erano molti spazi vuoti. Tutto si stava sciogliendo come neve al sole. Alcuni cartelloni erano definitivamente scomparsi, come quelli dell’Anadarko Oil, della Doyon Drilling e della Marathon Oil Company. La regione rischiava di perdere il suo primato di Stato piu produttivo degli USA. A partire dagli anni ’70, piu dell’ottanta per cento di tutte le entrate statali provenienti dal commercio dei combustibili fossili era confluito nell’Alaska Permanent Fund, che sosteneva economicamente molti degli abitanti. Un sostegno cui ben presto avrebbero dovuto rinunciare. A breve, alla regione sarebbero rimasti solo i metalli, la pesca, il legno e, in minima parte, l’allevamento degli animali da pelliccia. Naturalmente anche l’estrazione di petrolio e gas, ma in misura molto limitata e a prezzi talmente bassi che sarebbe stato meglio lasciare quella roba sottoterra. I giornalisti e gli attivisti che festeggiavano la fine dell’economia petrolifera - e che a lui rinfacciavano di essersi impegnato a favore delle operazioni di estrazione - non rappresentavano affatto l’opinione pubblica. L’elio-3 aveva un’eco molto limitata in Alaska, e anche nel golfo Persico l’entusiasmo era piuttosto tiepido. Ora che gli unici a nutrire interesse per il loro territorio erano gli scorpioni e i serpenti, gli sceicchi gia s’immaginavano condannati a tornare nel deserto. Lo spettro dell’impoverimento toglieva il sonno ai potenti del Kuwait, del Bahrain e del Qatar. Quasi nessuno prendeva piu in considerazione l’idea di andare a Dubai. Pechino aveva chiuso i rubinetti ai fondamentalisti arabi; gli Stati Uniti sembravano ignorare il Nordafrica; in Iraq, sciiti e sunniti si massacravano come al solito e, sempre come al solito, l’Iran metteva in agitazione gli altri Stati col suo programma nucleare, digrignava i denti e cercava di avvicinarsi alla Cina, l’unica nazione, a parte gli Stati Uniti, che estraeva l’elio-3 lun-
are, sebbene in quantita infinitesimali. I cinesi non avevano un ascensore spaziale e non sapevano come costruirne uno. Nessuno, a eccezione dell’America, disponeva di un veicolo simile; Julian Orley stava seduto sui brevetti come una gallina che covava le sua uova. Pertanto la Cina era costretta a impiegare la tecnologia convenzionale, con costi pesantissimi. Palstein guardo l’ora. Doveva andare nella sede dell’EMCO per una riunione. Come sempre, avrebbero fatto tardi. Chiamo il business center e diede istruzioni di metterlo in collegamento con lo Stellar Island Hotel sull’Isla de las Estrellas. La c’erano tre ore di differenza e 20 °C in piu. Un posto migliore di Anchorage. Palstein avrebbe preferito essere ovunque piuttosto che ad Anchorage. Voleva almeno augurare buon viaggio a Julian. ISLA DE LAS ESTRELLAS, OCEANO PACIFICO Se entrare nel vulcano era stato spettacolare, uscirne non fu per nulla eccitante. Quando si accesero le luci, gli spettatori sbucarono dalla grotta percorrendo un corridoio dritto e ben illuminato, che faceva sorgere il sospetto che l’intera montagna non fosse che un insieme di cartongesso e strutture di sostegno. Il corridoio era abbastanza largo per far defluire, in caso di emergenza, un centinaio di persone che corrono e sgomitano in preda al panico. Dopo circa centocinquanta metri, poi, il corridoio si ricollegava con un settore laterale dello Stellar Island Hotel. Chucky Donoghue si fece largo per raggiungere Julian. «Massimo rispetto! Niente male», esclamo. «Grazie.» «E avete trovato la grotta cos? Andiamo! Nemmeno un aiutino? Un po’ di dinamite?» «Solo per le vie di fuga.» «Un incredibile colpo di fortuna. Amico mio, ti e chiaro che ti dovro copiare, vero? No, niente paura, ho ancora qualche buona idea per le mani. Mio Dio, quanti alberghi ho costruito nella mia vita! Quanti alberghi!» «Trentadue.» «Ah, davvero?» borbotto Donoghue, sbalordito. «S, e forse un giorno ti verra voglia di costruire qualcosa sulla Luna. È per questo che sei qui, vecchio mio», ridacchio Julian. Donoghue rise ancora piu forte. «Ah, e cos! E io che pensavo che mi avessi invitato perche ti sono simpatico!» Coi suoi sessantacinque anni, era il piu anziano della comitiva e piu vecchio di Julian di cinque anni, ma quest’ultimo ne dimostrava dieci di meno. L’insignificante differenza di eta tra i due non impediva a Donoghue di chiamare l’uomo piu ricco del mondo «ragazzo mio», con la giovialita di un allevatore di bestiame.
«Certo che mi sei simpatico», replico Julian allegramente, mentre seguivano Lynn verso gli ascensori. «Ma voglio mostrarti soprattutto i miei alberghi per far s che tu ci metta i tuoi soldi... A proposito, la sai quella dell’uomo che viene intervistato per un sondaggio?» «No! Racconta!» «In un sondaggio chiedono a un tizio: ’Adesso le diamo due opzioni e lei ci dira quale sceglierebbe. A: Fare sesso tutta la notte con sua moglie. B:...’ ’B!’ esclama il tizio. ’B!’» Una barzelletta abbastanza scontata, quindi perfetta per Chucky, che si piego in due dal ridere e si fermo per raccontarla ad Aileen. Julian non aveva bisogno di voltarsi per vedere la faccia della donna, contratta in una smorfia di biasimo come se avesse inghiottito un limone. I Donoghue possedevano la Xanadu: quasi tre dozzine degli alberghi piu imponenti, costosi e kitsch di tutti i tempi e relativi casino; inoltre dirigevano un’agenzia artistica di levatura internazionale alla quale facevano capo star del varieta, cantanti, ballerini e domatori e che naturalmente organizzava anche spettacoli in cui cadeva ogni velo. Tuttavia Aileen ostentava l’atteggiamento un po’ bigotto tipico delle donne del Sud, come se ogni sera sui palcoscenici di Las Vegas non si dimenassero decine di showgirl sui cui contratti c’era la sua firma. Si considerava una persona timorata di Dio, credeva che fosse giusto possedere un numero adeguato di armi e che talvolta la pena di morte fosse l’unica scelta possibile; apprezzava il buon cibo, le buone azioni e, soprattutto, le buone maniere. Eppure a cena sarebbe apparsa fasciata in un abito cos attillato da risultare imbarazzante, nella speranza che gli uomini piu giovani ammirassero il suo decollete, rassodato col laser. Poi, dopo aver raccontato quella stupida barzelletta, sarebbe andata a prendere da bere per tutti, mostrando cos l’altro lato di se, quello che si preoccupava sinceramente del benessere di ogni creatura. Ed era proprio quello l’aspetto del suo carattere che faceva s che la gente non solo sopportasse Aileen Donoghue, ma in qualche modo la apprezzasse. Le cabine di vetro degli ascensori si riempirono di gente e di chiacchiere. Dopo una breve salita, il gruppo usc sulla terrazza panoramica, sopra la quale nel frattempo si era steso un cielo stellato degno di un film hollywoodiano. Una donna in abito da sera - non giovane ma ancora bella - coordinava con grazia regale una dozzina di camerieri per accogliere gli ospiti. Furono serviti champagne e cocktail e vennero distribuiti dei binocoli. Un quartetto jazz attacco Fly Me to the Moon. «Da questa parte! Qui da me! Guardate verso ovest», chiamo Lynn allegramente. Gli ospiti la seguirono, divertiti. Al largo, sulla piattaforma galleggiante, si erano accese miriadi di luci che sembravano toccare il cielo notturno come dita luminose. Sagome umane, piccole come formiche, correvano fra le strutture. Una grande nave - dall’aspetto una nave da carico - beccheggiava dolcemente sull’acqua calma.
Julian fece un passo in avanti e sollevo un bicchiere. «Cari amici! Poco fa non vi ho mostrato tutto lo spettacolo. In un’altra versione, avreste visto l’OSS e il Gaia Hotel, ma questa e la versione destinata a coloro che non avranno il privilegio di fare l’esperienza che vi aspetta, perche si fermeranno qui per un paio di giorni e poi torneranno a casa. A voi invece voglio mostrare l’ascensore dal vivo. Per tutto il resto non avete bisogno di film, perche lo potrete vedere coi vostri occhi! Le prossime due settimane non le dimenticherete mai, ve lo posso assicurare!» Julian sorrise, mettendo in mostra i suoi denti perfetti. Ci fu un applauso, all’inizio un po’ timido e poi sempre piu convinto, finche tutti non batterono le mani con entusiasmo. Miranda Winter esclamo: «Oh, yeah!» Lynn si mise al fianco del padre, traboccante di orgoglio. «Prima di andare a cena, vorremmo darvi un assaggio del viaggio di domani», disse la donna, guardando l’orologio. «Tra pochi minuti entrambe le cabine rientreranno dall’orbita con a bordo l’elio-3 compresso caricato sull’OSS. Credo che, a partire da questo momento, dovreste alzare la testa per guardare il cielo e non solo per brindare...» «Anche se io ovviamente lo consiglio vivamente...» aggiunse Julian, alzando il bicchiere. Lynn rise. «Ma certo. Quello che non vi ho ancora detto e che sull’OSS dovremo limitare drasticamente il consumo di alcolici. » «Che brutta notizia», disse Bernard Tautou, facendo una smorfia e scolando il suo bicchiere in un sorso. «Allora dobbiamo assolutamente approfittarne ora.» «Credevo che la sua passione fosse l’acqua!» lo canzono Mukesh Nair. «Mais oui! Specialmente se e addizionata con un po’ d’alcol!» «’Se il bicchiere si svuotera, nessuna gioia piu portera’», declamo Eva Borelius, sfoggiando il suo sorriso teutonico. «Pardon?» «Lo ha detto Wilhelm Busch, un umorista tedesco. Non credo che lei lo conosca.» «Ma, in assenza di gravita, si puo avere la testa pesante?» chiese Olympiada Rogaceva con aria timida, il che indusse il marito a voltarsi dall’altra parte e fissare con insistenza il cielo stellato. Miranda Winter schiocco le dita come una scolaretta: «E cosa succede se si vomita in assenza di gravita?» «Il tuo vomito ti trova e ritorna da te, ovunque tu sia», ribatte Evelyn Chambers. «Una palla. Il vomito forma una palla», intervenne Walo Ögi. «Io credo piuttosto che si distribuisca nell’ambiente», borbotto Karla Kamp. Eva Borelius annu. «S, in modo che tutti ne possano avere un po’. Bell’argomento di discussione, eh? Forse dovremmo...»
«Guardate la! Lassu!» esclamo Rebecca Hsu. Tutti gli sguardi seguirono il suo dito puntato. Nel cielo erano comparsi due puntini luminosi in movimento. Per un po’ sembrarono spostarsi verso sud-est, seguendo una traiettoria orbitale... pero, contrariamente a quanto ci si poteva logicamente aspettare, diventavano sempre piu grandi. No, qualcosa non quadrava dal punto di vista dimensionale... Poi, d’un tratto, tutti compresero: gli oggetti stavano scendendo dal cielo ad angolo retto, perfettamente in verticale. Era come se due stelle stessero scendendo verso di loro. «Arrivano», sussurro Sushma Nair con una punta di soggezione. Tutti sollevarono i binocoli. Pochi minuti dopo, era possibile distinguere anche senza strumenti due oggetti rettangolari che ricordavano gli shuttle, ma entrambi erano rovesciati e i lati inferiori terminavano in pannelli circolari sporgenti. Le punte coniche erano illuminate, le luci di posizione pulsavano sui fianchi dei corpi cilindrici col ritmo di un battito cardiaco. Le cabine si avvicinavano alla piattaforma ad alta velocita e, piu si avvicinavano, piu l’aria vibrava come sotto l’effetto di una gigantesca dinamo. Julian noto soddisfatto che nemmeno suo figlio si sottraeva al fascino di quello spettacolo. Pure Amber aveva gli occhi spalancati come una bambina in attesa dei regali di Natale. «Meraviglioso », sussurro. Julian annu. «S. È soltanto tecnica eppure, nonostante questo, e un miracolo. ’Ogni tecnologia sufficientemente avanzata e indistinguibile dalla magia.’ L’ha detto Arthur C. Clarke. Un grande uomo!» Tim rimase in silenzio. Julian sent in gola il sapore aspro della rabbia repressa. Non riusciva a capire cosa passasse per la testa di quel ragazzo. Se Tim non aveva voglia di occupare il posto che gli spettava all’Orley Enterprises, be’, erano fatti suoi. Ognuno doveva trovare la propria strada, anche se Julian proprio non riusciva a concepire un futuro al di fuori dell’azienda... Ma la domanda era: cosa diavolo aveva fatto lui a Tim? Poi tutto accelero. I sospiri dei presenti furono la colonna sonora della fase finale. Per un po’, si ebbe l’impressione che le cabine stessero precipitando nel terminale circolare, trascinando sott’acqua l’intera piattaforma; poi improvvisamente rallentarono, prima l’una e poi l’altra, e s’immersero dolcemente nel cono di luce dei fari della piattaforma per scomparire infine nel cerchio della stazione di Terra. Altri applausi, intervallati da esclamazioni. Heidrun si porto accanto a Finn O’Keefe e fischio. «Sei sempre sicura di volerci salire?» chiese lui. «E tu?» ribatte lei, sarcastica.
«Certo.» «Che spaccone!» «Qualcuno dovra pure star vicino a tuo marito quando inizierai a staccare il rivestimento delle pareti con le unghie.» «Staremo a vedere chi se la fara sotto.» «Se saro io, ricorda la tua promessa», sghignazzo O’Keefe. «E quando mai ti avrei promesso qualcosa?» «Prima. Volevi tenermi la mano.» «Ah, gia.» Heidrun sorrise, divertita e sembro riflettere sull’eventualita. «Mi dispiace, Finn. Sai, sono noiosa e all’antica. Nel mio film, e la donna che cade da cavallo e si fa salvare dagli indiani. E naturalmente strilla per tutto il tempo.» «Peccato. Non ho mai recitato in quel tipo di film.» «Parlane col tuo agente.» Sollevo la mano con un gesto grazioso, gli sfioro la guancia con l’indice e se ne ando. O’Keefe la segu con lo sguardo mentre lei raggiungeva Walo. Dietro di lui, una voce disse: «Sei patetico, Finn. Abbordaggio fallito». Si erano conosciuti a uno di quei party ai quali si deve partecipare, quelli che O’Keefe normalmente amava come una lunga permanenza nella sala d’attesa del dentista. Tuttavia, quando ci andava, s’imbatteva con snervante regolarita in Momoka Omura. Era accaduto anche di recente, in occasione dell’ottantottesimo compleanno di Jack Nicholson. «Non dovresti essere impegnata su qualche set?» chiese. «Non sono ancora stata risucchiata dal cinema commerciale come te, se e questo che intendi.» Si guardo le unghie. Un sorriso malizioso si dipinse sul suo volto. «Ma potrei darti qualche ripetizione in materia di corteggiamento.» Lui rispose al sorriso. «Grazie. Ma non si dovrebbe entrare troppo in confidenza con le insegnanti.» «Lezioni teoriche, idiota. Credi sul serio che ti lascerei avvicinare? » «No? Questo mi tranquillizza», ribatte lui, voltandosi dall’altra parte. Momoka sollevo la testa e sbuffo. O’Keefe si giro a guardare la seconda donna che lo aveva piantato in asso nel giro di pochi minuti: la vide dirigersi con aria fiera verso Locatelli, il quale stava discutendo dei reattori a fusione con Marc Edwards e Mimi Parker, e prenderlo sottobraccio. Allora scrollo le spalle e raggiunse Julian, che stava conversando con Hanna, Rebecca Hsu, sua figlia e i Rogacev. «Come fate a portare le cabine lassu? Non fluttueranno mica verso l’alto, lungo la fune, no?» stava chiedendo Rebecca. Sembrava su di giri, poco concentrata. «Non ha visto la presentazione?» domando Rogacev, in tono ironico.
«Stiamo lanciando sul mercato una nuova fragranza», esclamo Rebecca, come se quello spiegasse ogni cosa. In effetti, per meta dello spettacolo, aveva fissato il monitor del suo netbook, sistemando piani marketing, quindi non aveva sentito la spiegazione del principio di funzionamento degli ascensori. All’accensione, sembrava che i pannelli circolari sulla parte posteriore delle cabine emettessero luminosi raggi rossi, ma in realta avveniva esattamente il contrario. Il lato inferiore dei pannelli era rivestito di cellule fotovoltaiche e i raggi provenivano da enormi laser installati all’interno della stazione. L’energia prodotta durante l’accensione metteva in funzione il sistema di azionamento : sei paia di ruote dentate per ogni cabina, tra le quali si tendeva la fune. Quando una ruota veniva messa in movimento, la ruota sul lato opposto iniziava a girare nella direzione contraria e l’ascensore risaliva la fune. «La velocita continua ad aumentare», spiego Julian. «Gia dopo alcune centinaia di metri si raggiungono...» Qualcosa all’interno della sua giacca inizio a suonare. Corrugo la fronte ed estrasse il cellulare. «Cosa c’e?» «Scusi se la disturbo», disse qualcuno del centralino. «C’e una chiamata per lei». «Non puo aspettare?» «È Gerald Palstein.» «Oh, ma certo!» Julian sorrise agli astanti. «Posso lasciarvi per qualche minuto? Rebecca, non scappi. Le spieghero il principio di funzionamento in ogni particolare, anche piu volte, se questo puo farla felice.» Con passi veloci si diresse verso una piccola stanza dietro il bar, mise il cellulare in un alloggiamento e proietto l’immagine su uno schermo piu grande. «Ciao, Julian», disse Palstein. «Gerald! Dove diavolo sei?» «Ad Anchorage. Abbiamo chiuso il Progetto Alaska. Non te ne avevo parlato?» Julian penso che, rispetto all’ultima volta in cui si erano visti - poche settimane prima dell’attentato -, il manager dell’EMCO aveva un’aria davvero abbattuta. Lo stava chiamando da una camera d’albergo. Dalla finestra dietro di lui s’intravedevano montagne innevate sotto un cielo pallido e freddo. «Certo. Ma prima che ti sparassero. Devi proprio darti da fare cos intensamente? » «Non e la fine del mondo», ribatte Palstein. «Ho un buco nel braccio, non nella testa. Una ferita del genere ti permette di viaggiare, anche se non fino alla Luna. Purtroppo.» «E com’e andata?» «Diciamo che l’Alaska si sta preparando con una certa dignita al rinascimento dei cacciatori di pelli. Alcuni dei sindacalisti presenti alla conferenza stampa avrebbero volentieri portato a termine quello che non e riuscito al cecchino qualche settimana fa.» «Non hai nulla da rimproverarti. Nessuno e stato piu critico di te nei confronti del settore, e d’ora in poi dovranno ascoltarti. Hai parlato anche della nostra probabile alleanza?»
«Il comunicato stampa e gia stato diffuso. Percio sara uno degli argomenti del giorno.» «E come l’hanno presa?» «Come uno sforzo per rimetterci in carreggiata. In ogni caso, quasi tutti sono favorevoli.» «Bene! Non appena torno firmiamo i contratti.» Palstein esito. «Altri pensano che sia solo fumo negli occhi. Non prendiamoci in giro, Julian. Per noi, questa alleanza rappresenta un’ancora di salvezza...» «Ma e molto vantaggiosa anche per noi!» «Tuttavia non fara miracoli. Abbiamo passato davvero troppo tempo concentrati solo su quel maledetto petrolio. Comunque l’importante e evitare il fallimento. Le conseguenze sarebbero spaventose. Non posso fare nulla per evitare la caduta, pero forse posso prevenire l’impatto. O almeno attutirlo.» «Se qualcuno puo riuscirci, quello sei tu... Per la miseria, Gerald ! È davvero un peccato che tu non sia qui.» «Sara per la prossima volta. A proposito, chi ha preso il mio posto?» «Un investitore canadese di nome Carl Hanna. Ne hai mai sentito parlare?» Palstein aggrotto le sopracciglia. «Carl Hanna? Sinceramente no.» «Non fa niente. Nemmeno io lo conoscevo, fino a pochi mesi fa. È uno di quelli che sono diventati ricchi senza clamore.» «È interessato ai viaggi spaziali?» «Eccome! Non c’e bisogno d’indorargli la pillola. In ogni caso, lui ci investira. Sfortunatamente ha passato la sua giovinezza a Nuova Delhi e sente l’obbligo morale di sponsorizzare il programma spaziale indiano. Percio dovro darmi un po’ da fare per convincerlo.» Julian ridacchio. «E il resto del gruppo?» «Oh, sono abbastanza sicuro che Locatelli sborsera una somma a otto cifre. Anche a prescindere dalla sua megalomania, che lo induce a fantasticare di costruirsi un monumento nello spazio, le nostre infrastrutture sono equipaggiate coi suoi sistemi. È logico che partecipi, quindi. I Donoghue e Marc Edwards mi hanno promesso, in via ufficiosa, grosse cifre; si tratta solo di stabilire quanti zeri ci saranno. Poi c’e uno svizzero interessante, che si chiama Walo Ögi. Lynn e io abbiamo conosciuto sua moglie due anni fa, a Zermatt. Lei mi ha scattato diverse fotografie. E abbiamo a bordo anche Eva Borelius, che forse conosci. Sai, la ricercatrice tedesca di cellule staminali...» «Ho come la sensazione che tu abbia semplicemente copiato l’elenco di Forbes.» «Non proprio. La Borelius Pharma mi e stata raccomandata dal nostro management strategico, proprio come Bernard Tautou, lo zar dell’acqua di Suez. Un altro di quelli che riesci a conquistare facilmente se solletichi il suo ego. Oppure Mukesh Nair...»
«Ah, Mr Tomato.» Palstein annu. «S, un tipo simpatico. Ma non ha nessun interesse per l’astronautica. Abbiamo dovuto far leva su altri fattori, come il suo desiderio di voler preparare un futuro migliore per l’umanita. Un argomento cui tutti sono interessati, comunque: Nair nel settore dell’alimentazione, Tautou nel settore dell’acqua, la Borelius in quello farmaceutico e io in quello energetico. Una cosa che ci unisce, e spinge loro a partecipare. Infine ci sono alcuni facoltosi privati come Finn O’Keefe, Evelyn Chambers e Miranda Winter...» «Miranda Winter? Santo cielo!» «Perche no? Nella sua semplicita, non sa cosa farsene di tutto il suo denaro, e io le voglio dare qualche suggerimento. Credimi, e un mix perfetto. Persone come Finn O’Keefe, Evelyn Chambers e Miranda Winter alleggeriscono l’atmosfera, la rendono sexy... e alla fine riusciro ad averli tutti dalla mia parte! Rebecca Hsu coi suoi marchi di lusso ha poco a che fare con l’energia, ma e cos entusiasta dell’idea del turismo spaziale che sembra sia stata un’idea sua. È conquistata dalla prospettiva di bere Moet & Chandon anche sulla Luna. Hai presente il suo portafoglio? Kenzo, Dior, Louis Vuitton, L’Oreal, Dolce & Gabbana, Lacroix, Hennessy... per non parlare dei marchi creati da lei, come Boom Bang. E da noi trova un marchio unico e inimitabile. Solo i contratti pubblicitari che stipulero con lei ripagheranno le spese di meta dell’OSS Grand.» «Non hai invitato anche quel russo, Rogacev?» Julian ridacchio. «Per me rappresenta una piccola sfida personale. Se riesco a convincerlo a mettere i suoi miliardi nei miei progetti, faccio la ruota in assenza di gravita.» «Mosca non glielo permettera mai.» «E qui ti sbagli. Lo spingeranno a investire, perche, in questo modo, sono convinti di poter entrare in affari con me.» «Il che accadrebbe soltanto se tu costruissi un ascensore spaziale anche per loro. Ma, fino ad allora, a Rogacev sembrera di finanziare direttamente gli Stati Uniti attraverso i tuoi progetti.» «Sciocchezze. Gli sembrera di partecipare a un ottimo affare. Ed e proprio quello che accadra. Io non sono l’America, Gerald. » «Io questo lo so. Ma Rogacev...» «Lo sa anche lui. Non e uno stupido. Nessun Paese oggi e in grado di mettere in piedi un vero progetto spaziale soltanto coi propri mezzi. Credi sul serio che l’allegra combriccola di Stati che ha lavorato in armonia alla realizzazione dell’ISS fosse animata da uno spirito di fratellanza? Stronzate! Nessuno aveva i soldi per farlo da solo. Era l’unico modo per mandare nello spazio qualcosa che non fosse cos ridicolo da far sbellicare E.T. Percio sono stati costretti a collaborare e a scambiarsi i documenti, col risultato che non sono riusciti a combin-
are granche. Il progetto faceva acqua da tutte le parti e ogni sciocchezza veniva finanziata, tranne i viaggi spaziali. Solo l’intervento dei privati ha cambiato questa situazione. Nel 2004, quando Burt Rutan e riuscito a lanciare il primo volo suborbitale commerciale col suo SpaceShipOne, chi l’ha finanziato? Gli Stati Uniti d’America? La NASA?» Palstein sospiro. «Lo so. È stato Paul Allen.» «Appunto! Paul Allen, il cofondatore della Microsoft. I privati hanno dimostrato alla politica che e possibile fare le cose in modo piu rapido ed efficiente. Proprio come voi, quando il vostro settore contava ancora qualcosa. Avete creato presidenti e rovesciato governi. Adesso e la gente come noi a suonarle a bancarottieri di Stato, ai cattivi profeti e ai nazionalisti. Abbiamo piu denaro, piu know-how, la gente migliore, un clima piu creativo. Senza l’Orley Enterprises non ci sarebbe nessun ascensore spaziale e nessun turismo lunare, inoltre la ricerca scientifica sui reattori non sarebbe arrivata dov’e ora. La NASA, coi suoi quattro spiccioli, dovrebbe ancora far vagliare ogni sua scoreggia a qualche incompetente organismo di controllo. Noi invece non ci lasciamo controllare da nessuno, da nessun governo del mondo! E perche? Perche non abbiamo obblighi nei confronti di nessun governo. Credimi, questo lo capisce anche Rogacev.» «Ciononostante non dovresti mettergli subito in mano il manuale d’istruzioni dell’OSS. Potrebbe venirgli in mente di copiarti l’idea.» Julian rise divertito. Poi si fece serio. «Ci sono novita sull’attentato? » «Non proprio. Hanno individuato il punto da cui e partito il colpo, ma non e che questo sia di grande aiuto. Era una manifestazione pubblica. C’era un sacco di gente.» «Continuo a non capire chi potrebbe volere la tua morte. Il tuo settore e agonizzante. Nessuno puo cambiare questo fatto uccidendo un manager.» Palstein sorrise. «Gli esseri umani non pensano in modo razionale. Altrimenti avrebbero sparato a te. Tu hai reso possibile il trasporto dell’elio-3 in grande stile. Il tuo ascensore ha gettato il mio settore nel baratro.» «Potrebbero uccidermi anche mille volte; il mondo passerebbe comunque all’elio-3.» «Appunto. Azioni del genere non vengono compiute per calcolo, ma per disperazione. Per puro odio.» «Lo trovo incomprensibile. L’odio non ha mai contribuito a rendere le cose migliori.» «Ma ha mietuto piu vittime di qualsiasi altra cosa.» «Hmm... e vero.» Julian tacque e si gratto il mento. «Io non sono una persona animata dall’odio. È un sentimento che non mi appartiene. Posso essere furente, mandare qualcuno al diavolo, ma solo se la cosa ha senso. L’odio e una cosa del tutto insensata.» «Quindi, finche continueremo a cercare un senso a questo gesto, non troveremo il colpevole.» Palstein si sistemo la fascia che gli avvolgeva il braccio. «Che importa? In fondo ho
chiamato solo per augurarvi buon viaggio.» «La prossima volta verrai anche tu! Non appena starai meglio. » «Mi piacerebbe molto vedere quello che hai creato.» «Lo vedrai, amico mio! Andrai a passeggio sulla Luna!» esclamo Julian, ridendo. «Allora buona fortuna. Spillagli un po’ di quattrini, mi raccomando. » «Stammi bene, Gerald. Mi faro sentire. Da lassu.» Palstein sorrise. «Tu sei gia lassu.» Julian fisso pensieroso lo schermo nero. Piu di dieci anni prima, quando il settore petrolifero era ancora nel mirino delle autorita antitrust per via dei guadagni spropositati, Palstein si era presentato nel suo ufficio di Londra, curioso di sapere a cosa stessero lavorando. Il progetto dell’ascensore spaziale aveva appena subito un duro colpo: il nuovo materiale per la fune, un materiale in cui avevano riposto molte speranze, si era rivelato inadatto per via di alcuni irreparabili errori di assemblaggio dei cristalli. Gia si sapeva che la polvere lunare custodiva enormi quantita di un elemento che avrebbe potuto risolvere tutti i problemi energetici. Tuttavia, senza un modo per estrarre il materiale e portarlo sulla Terra, e in assenza di reattori adatti, l’elio-3 non era di nessuna utilita. Ciononostante Julian aveva continuato la ricerca in tutte le direzioni, nell’indifferenza dei grandi gruppi petroliferi, totalmente concentrati sulla lotta alle fonti alternative come l’energia eolica e fotovoltaica. Quasi nessuno prendeva sul serio gli sforzi di Julian. Sembrava assai improbabile che la sua ricerca avesse successo. Palstein invece aveva ascoltato le sue spiegazioni e aveva proposto al consiglio d’amministrazione della sua azienda, appena confluita nell’EMCO con la ExxonMobil, di acquistare alcune quote dell’Orley Energy e dell’Orley Space. Il consiglio d’amministrazione aveva rifiutato, ma Palstein aveva mantenuto i contatti con l’Orley Enterprises e aveva imparato a stimare quell’uomo melanconico con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Anche se in tutti quegli anni avevano trascorso insieme s e no tre settimane, di solito incontrandosi per il pranzo, a volte durante una manifestazione pubblica e di rado in privato, li legava una specie di amicizia, che non era mai stata intaccata neppure dal fatto che la testardaggine dell’uno aveva in fondo condannato il settore dell’altro all’oblio. Negli ultimi tempi, poi, Palstein era spesso costretto a svolgere l’ingrato compito di annunciare la chiusura degli impianti, come aveva appena fatto in Alaska o un mese prima nell’Alberta, quand’era stato ferito. Julian sapeva che l’altro non aveva torto. Una partecipazione all’Orley Enterprises non avrebbe salvato l’EMCO, ma forse sarebbe tornata utile allo stesso Palstein. Usc dalla stanza e ritorno dai suoi ospiti. «... e fra tre quarti d’ora ci rivediamo qui per la cena», stava dicendo Lynn. «Potete restare e gustarvi i drink e il panorama oppure andare a rinfrescarvi e a cambiarvi. Se lo desiderate, potete pure lavorare: siamo attrezzati anche per quello.»
«E per questo dovete ringraziare la mia fantastica figlia», disse Julian, cingendole le spalle col braccio. «È semplicemente incredibile. È lei che ha creato tutto cio. Per me e la migliore.» Gli ospiti applaudirono. Lynn chino la testa, sorridendo. «Niente falsa modestia. Sono molto orgoglioso di te. Sei la migliore. Sei perfetta», le sussurro Julian all’orecchio. Poco dopo, Tim stava percorrendo il corridoio del quarto piano. Ovunque regnava una cura maniacale, che rendeva l’insieme un po’ asettico. Incontro due agenti della sicurezza e un robot addetto alle pulizie, che cercava con insistenza residui inesistenti di un mondo solo parzialmente abitato. La macchina perseguiva ronzando lo scopo della propria esistenza, ma al momento si trovava in una condizione assai demoralizzante: era come se Sisifo, dopo essere riuscito a portare il masso in cima alla montagna, avesse scoperto di non aver piu nulla da fare. Tim si fermo davanti alla stanza di Lynn e suono il campanello. Una telecamera invio la sua immagine all’interno, poi risuono la voce della donna: «Tim! Entra pure». La porta scivolo di lato e lui entro nella suite. Lynn andava avanti e indietro davanti alla finestra panoramica, fasciata in un lungo abito da sera. I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle in morbide onde. Quando si giro e gli sorrise, i suoi occhi azzurri brillarono come acquamarine. Tim la ignoro e lei rimase a fissare il vuoto con un sorriso rigido che sconfinava nell’istupidimento. Il giovane allora si avvicino a una poltrona circolare, si chino e diede un bacio sulla guancia alla donna raggomitolata su di essa, vestita solo con un kimono di seta. «Sono impressionato. Davvero», disse. «Grazie.» La figura in abito da sera continuo a camminare per la stanza, facendo giravolte e crogiolandosi nel proprio ego trasfigurato, mentre la bocca della vera Lynn si apr in un sorriso. Tim si accomodo su uno sgabello e indico l’alter ego olografico. «Pensi d’indossarlo stasera?» Lynn corrugo la fronte. «Sono incerta. Non trovi che sia troppo elegante? Per un’isola del Pacifico, intendo.» «Che strana considerazione. Avete gia scardinato tutte le regole del romanticismo ai Tropici. Il vestito e splendido, mettilo. O ci sono alternative?» Lynn fece scivolare il pollice sul telecomando e l’aspetto dell’avatar si modifico: adesso indossava una catsuit senza maniche color albicocca e la sfoggiava con la stessa grazia vacua con cui prima aveva sfilato in abito lungo. Il suo sguardo era rivolto ad ammiratori immaginari. «Puoi programmarla in modo che ti guardi?»
«Per carita! Credi che voglia fissare me stessa tutto il tempo? » Tim rise. Il suo avatar era un personaggio di un film di animazione a due dimensioni, WallE, un robot piuttosto scalcinato, il cui aspetto dolce e fragile non aveva nulla in comune con quello reale di Tim. Tim aveva visto il film da bambino e si era subito innamorato di quella figura. Forse perche nel mondo di Julian, costantemente impegnato a spostare montagne e tirare giu le stelle dal firmamento, si era sentito anche lui come un rottame. «Guarda. Cos?» disse Lynn. I capelli dell’avatar si raccolsero sulla nuca. «Meglio», borbotto Tim. Lynn parve sconfortata. «Davvero? Accidenti, li ho portati raccolti per tutto il giorno. Pero hai ragione. A meno che...» L’avatar sfoggio una camicetta turchese attillata abbinata a un pantalone color champagne. «E cos?» «Dove hai preso questi vestiti?» chiese Tim. «Da Mimi Parker. È la sua nuova collezione. Li ha portati dopo avermi fatto promettere che ne avrei indossato qualcuno. Il suo catalogo e compatibile con la maggior parte dei programmi avatar.» «Allora anche il mio avatar potrebbe indossare questi abiti?» «Se fosse possibile adattarli a cingoli e pinze, s. Dai, Tim, funziona solo con avatar umani. Il programma e spietato comunque. Se sei troppo grasso o troppo basso per le creazioni di Mimi, si rifiuta di effettuare la conversione. Il problema e che la maggior parte delle persone abbellisce il proprio avatar; cos nel computer funziona tutto alla grande, ma poi, nel mondo reale, ha un aspetto orribile.» Tim socchiuse le palpebre. «Be’, e colpa loro. Ehi, il tuo avatar ha il sedere troppo piccolo! È la meta del tuo! Anzi no: un terzo. Dov’e la pancetta? E la cellulite?» «Idiota», rise Lynn. «A proposito, perche sei qui?» «Oh, niente.» «Niente? Gran bel motivo per venirmi a trovare.» Tim esito. «Be’... Amber sostiene che mi preoccupo per te in modo esagerato.» «Ma no.» «Non volevo irritarti, prima.» «Sei molto carino a preoccuparti per me. Davvero.» Tim si contorceva le mani. «Tuttavia... Lo sai, rimprovero sempre a Julian di essere totalmente cieco nei confronti di tutto quello che sta al di fuori del suo piccolo mondo. Sara anche capace di scovare atomi minuscoli nella dimensione dello spaziotempo ma, se crollassi morto
davanti a lui, al massimo mi rimprovererebbe di non starlo ad ascoltare.» «Stai esagerando.» «Sara, ma del tuo esaurimento non si e quasi accorto.» «È stato cinque anni fa, e lui non aveva esperienza con quel genere di cose», mormoro Lynn. «No, si e semplicemente rifiutato di vederlo. Che tipo di esperienza ci vuole per riconoscere un esaurimento accompagnato da depressione e da attacchi d’ansia? Nel suo mondo l’esaurimento non esiste, questa e la verita. C’e spazio solo per i supereroi.» «Forse gli manca qualcuno che lo guidi. Da quand’e morta la mamma...» «La mamma e morta dieci anni fa, Lynn! E, da quando si e accorto che a un certo punto lei ha smesso di respirare, parlare, mangiare e pensare, si e scopato chiunque gli sia capitato a tiro e...» «Questi sono affari suoi. Sul serio, Tim.» «D’accordo, chiudo il becco.» Fisso il soffitto come se l potesse trovare un indizio sul vero motivo della sua visita. «In realta, sono venuto qui solo per dirti che il tuo albergo e fantastico. E che sono felice di partecipare a questo viaggio.» «Grazie, che gentile.» «Dico sul serio. Hai tutto sotto controllo. Ogni cosa e organizzata alla perfezione. Persino gli ospiti sono quasi sopportabili », esclamo Tim, ridendo. «Se qualcuno non ti piace, lo spediamo nel vuoto.» Lynn strabuzzo gli occhi e disse con voce cavernosa: «Nello spazio nessuno puo sentirti urlare!» «Uh! Che paura!» rise Tim. «Sono felice che ci sia anche tu», aggiunse lei sottovoce. «Lynn, ho promesso di prendermi cura di te, ed e quello che intendo fare.» Si alzo, si chino su di lei e la bacio sulla guancia. «A piu tardi. Ah, metti i pantaloni con la camicetta. Metteranno in risalto i capelli sciolti...» «Ecco quello che volevo sentirti dire, fratellino.» Tim se ne ando. Lynn continuo a far sfilare il proprio avatar per scegliere i gioielli. Di solito, gli avatar erano assistenti virtuali, programmi con forma umana, che aiutavano le persone collegate in rete a organizzare la propria vita quotidiana e regalavano l’illusione di avere un compagno, un cameriere personale o un compagno di giochi. Gestivano dati, ricordavano appuntamenti, reperivano informazioni, navigavano nel web e facevano proposte adatte al profilo caratteriale dell’utente. Non c’erano limiti alla loro configurazione, il che consentiva anche di creare un proprio clone virtuale, per puro narcisismo o semplicemente per risparmiarsi la fatica di sprecare tempo nelle boutique. Dopo cinque minuti, Lynn chiamo Mimi Parker. L’avatar rimpicciol e si cristallizzo; al suo posto, sullo schermo olografico, apparve l’immagine
della stilista californiana. Era completamente bagnata, con un asciugamano intorno ai fianchi. «Sono appena uscita dalla doccia», si scuso. «Hai trovato qualcosa che ti piace?» «Ecco qui», rispose Lynn, e le invio un JPEG dell’avatar che apparve subito sul display di Mimi. «Oh, ottima scelta. Ti sta una favola.» «Bene. Avviso il servizio in camera. Tra poco verra qualcuno a prendere i vestiti.» «D’accordo. Allora a dopo.» «S, a dopo. E grazie!» disse Lynn con un sorriso. La proiezione scomparve e, nello stesso istante, scomparve anche il sorriso di Lynn. Il suo sguardo si spense. Con gli occhi vacui fisso il vuoto davanti a se, ricordando l’ultimo commento di Julian prima di lasciare la terrazza panoramica: «Sono molto orgoglioso di te. Sei la migliore. Sei perfetta». Perfetta. Perche allora non si sentiva tale? L’ammirazione del padre gravava sulle sue spalle come l’ipoteca su una casa con una facciata splendente e le tubature arrugginite. Da quand’era tornata nella suite, si sentiva come se camminasse su una lastra di vetro e il pavimento potesse rompersi da un momento all’altro. Si alzo, corse in bagno e prese due piccole pillole verdi che deglut freneticamente. Poi ci ripenso e ne prese una terza. Respira, ascolta il tuo corpo. Respira con la pancia. Dopo aver fissato per un po’ la propria immagine nello specchio, il suo sguardo si poso sulle dita, aggrappate al bordo del lavandino: sul dorso delle mani si vedevano i tendini. Per un istante prese in considerazione l’idea di sradicare il lavandino dal muro, cosa che ovviamente non sarebbe mai riuscita a fare, ma che le avrebbe impedito di mettersi a urlare. «Sei la migliore. Sei perfetta.» ’Fanculo, Julian, penso. Venne percorsa da un brivido di vergogna. Col cuore in tumulto, si lascio cadere sul pavimento ed esegu trenta flessioni. Quindi prese dal frigobar una bottiglia di champagne e ne scolo un bicchiere, sebbene di solito toccasse appena l’alcol. Il buco nero che si era aperto proprio sotto di lei inizio a richiudersi. Chiamo il servizio in camera, diede disposizioni per andare a prendere i vestiti nella suite di Mimi Parker e poi s’infilo sotto la doccia. Un quarto d’ora piu tardi, quando entro nell’ascensore, indossando la camicetta e i pantaloni e coi capelli sciolti, vi trovo Aileen Donoghue. L’americana era tutta in ghingheri: gli orecchini parevano due palle di Natale e il pesante collier sembrava precipitare nell’ampia vallata della sua scollatura. «Oh, Lynn, sei semplicemente...» Aileen annaspo alla ricerca delle parole giuste. «Santo cielo, cosa posso dire? Sei bellissima! Sei una ragazza cos bella! Fatti abbracciare. Julian fa bene a essere orgoglioso di te.»
«Grazie, Aileen», disse Lynn, stritolata nell’abbraccio. «E questi capelli! Sciolti ti stanno benissimo. Non voglio dire che dovresti portarli sempre cos, ma in questo modo sottolineano la tua femminilita. Se solo tu non fossi...» «Cosa?» «Niente.» «Su, dimmi.» «Be’, voi ragazze siete tutte cos magre!» «Aileen, io peso cinquantotto chili.» «Ah, davvero?» Evidentemente non era la risposta che Aileen si aspettava di sentire. «Comunque, non appena arriviamo di sopra ti preparo un bel piatto. Devi mangiare, bambina! Gli essere umani non possono vivere senza cibo.» Lynn la fisso e immagino di strapparle le palle di Natale dalle orecchie. Zip-zap, cos rapidamente da lacerare i lobi e ricoprire il vetro a specchio dell’ascensore di schizzi di sangue. Poi prese un bel respiro e si rilasso. Le pillole verdi iniziavano a fare effetto. «Sono cos eccitata per domani! Quando partiremo, sara fantastico! » esclamo Aileen, tutta allegra. Limit 23 MAGGIO 2025 LA STAZIONE ORLEY SPACE STATION (OSS), ORBITA GEOSTAZIONARIA Evelyn Chambers stava sognando. Si trovava in una strana stanza alta circa quattro metri, profonda quasi cinque e larga sei. L’unica superficie diritta era quella della parete posteriore; il soffitto e il pavimento erano curvi e confluivano l’uno nell’altro, conferendo all’ambiente l’aspetto di un tubo ellittico. Alle due estremita, i costruttori avevano inserito portelli circolari stagni di circa due metri di diametro. Entrambi i portelli erano chiusi, ma cio non la faceva sentire in trappola; al contrario, le dava la sensazione di essere al sicuro. Osservando l’arredamento della stanza, si sarebbe detto che, ogni tanto, gli architetti avessero lavorato coi progetti capovolti. Un ampio letto era sospeso sopra il pavimento con la naturalezza di un tappeto volante; inoltre c’erano una scrivania, una sedia, una postazione per computer, un gigantesco display. Luci discrete illuminavano l’ambiente, una porta di vetro opaca nascondeva la doccia, il lavabo e il WC. L’insieme faceva pensare alla cabina di una nave arredata in modo futuristico, solo che le confortevoli chaise-longue rosse erano appese al soffitto... a testa in giu. La cosa piu sorprendente era che Evelyn registrava tutte quelle impressioni sensoriali senza che una sola cellula del suo corpo fosse a contatto con la stanza o coi mobili che la
arredavano. Il corpo nudo - una selezione di geni spagnoli, indiani e nordamericani - era accarezzato unicamente dall’aria fresca, regolata alla piacevole temperatura di 21 , e fluttuava sopra la finestra panoramica bombata lunga tre metri incastonata nella parete anteriore. Attraverso di essa, Evelyn poteva ammirare un cielo stellato cos bello e limpido da togliere il fiato. Non poteva che essere un sogno. Poco meno di trentaseimila chilometri sotto di lei, la Terra scintillava come un quadro impressionista. Doveva essere un sogno. Ma Evelyn non stava sognando affatto. Da quando aveva messo piede nella stazione spaziale, il giorno precedente, non riusciva a saziarsi della visione della sua patria lontana. Nulla ostacolava la vista, nessun pilone, nessuna antenna, nessun modulo, nemmeno le funi dell’ascensore spaziale. Mormoro: «Spegnere le luci», e l’illuminazione si spense. Aveva a disposizione un telecomando manuale per il controllo dei sistemi di servizio, ma per nulla al mondo voleva correre il rischio di modificare la posizione cos faticosamente conquistata armeggiando con quell’arnese. Dopo quindici ore a bordo dell’OSS, si stava abituando all’assenza di gravita, anche se la confusione tra sopra e sotto continuava a irritarla. A maggior ragione si sorprendeva di non essere caduta vittima del famigerato «mal di spazio», un malessere simile al mal di mare, come la povera Olympiada Rogaceva, che se ne stava allacciata al proprio letto, lamentandosi e desiderando non essere mai nata. Evelyn invece provava una sensazione d’incredibile beatitudine, un’emozione travolgente paragonabile soltanto a quella provata da bambina quando aspettava l’arrivo del Natale: pura gioia distillata in una droga potente. Non osava quasi respirare. Constato che stare fermi in un punto non era affatto semplice. In assenza di gravita si tendeva ad assumere una posizione fetale. Ma Evelyn aveva steso le gambe e teneva le braccia incrociate sul petto come un sommozzatore in procinto di buttarsi in acqua. Qualunque movimento brusco l’avrebbe fatta girare come una trottola o portata lontano dalla finestra. Ora che le luci erano spente e l’intero ambiente, mobilio compreso, era come scomparso, voleva assaporare con ogni cellula del suo essere l’illusione di non avere nessun vetro di protezione davanti a se e di fluttuare sola e nuda sopra quel meraviglioso pianeta, come il feto di Kubrick. D’un tratto, scorse minuscole sfere luccicanti fluttuare nell’aria davanti al viso e comprese che le erano salite le lacrime agli occhi. Non avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere solo ventiquattr’ore prima, quando l’elicottero era atterrato sulla piattaforma in mezzo al mare e i viaggiatori erano scesi... ... coi cappotti che svolazzavano nella notte, indifferenti all’alba imminente. Da lontano, la piattaforma aveva un aspetto imponente e misterioso e metteva anche un po’ soggezione;
adesso invece esercitava un fascino diverso, molto piu profondo. Per la prima volta, gli ospiti avevano avuto la netta consapevolezza di non trovarsi a Disneyland e che ben presto avrebbero lasciato quel mondo per un altro, estraneo e lontano. Evelyn aveva notato che alcuni membri del gruppo continuavano a voltarsi verso l’Isla de las Estrellas: Olympiada Rogaceva, Paulette Tautou... persino Momoka gettava sguardi furtivi alle rocce frastagliate, la dove le luci dello Stellar Island Hotel emanavano un inaspettato senso di familiarita, come se ammonissero il gruppo a lasciar perdere quella follia e a tornare a casa, a gustare spremute fresche, a spalmarsi di crema abbronzante e ad ascoltare le strida dei gabbiani. Perche proprio noi? si era chiesta Evelyn con una punta d’irritazione. Perche siamo sempre noi donne quelle che cadono preda dell’inquietudine all’idea di salire su questo ascensore? Siamo davvero coscodarde? Costrette dall’evoluzione a ricoprire il ruolo di chi si preoccupa, perche nulla deve minacciare la sopravvivenza della prole, mentre i maschi - sacrificabili, una volta che hanno donato il loro sperma - possono affrontare l’ignoto senza rimorsi e persino morirci? Subito dopo, pero, aveva visto che Chuck Donoghue stava sudando copiosamente , che Walo Ögi dava chiari segni di nervosismo, che sul volto di Heidrun Ögi si rifletteva un’aspettativa piena di tensione, che Miranda Winter era impaziente come una bambina, che negli occhi di Eva Borelius si leggeva un interesse puramente razionale... e si era messa l’anima in pace. Tutti si erano avviati verso l’enorme cilindro a piu piani della stazione e all’improvviso a Evelyn era stato chiaro perche prima si era agitata tanto. Era imbarazzante... pero anche lei se la stava facendo sotto. «In tutta franchezza, devo confessare che non mi sento del tutto a mio agio a fare questa cosa», aveva detto Marc Edwards, accanto a lei. Evelyn aveva sorriso. «Ah, no? Credevo che lei fosse un avventuriero. » «Cos dicono.» «Nel mio show, lei ha parlato d’immersioni alla ricerca di relitti, di grotte...» «Credo che questa sia una cosa ben diversa dalle immersioni. Completamente diversa», aveva borbottato Edwards, osservando il proprio indice destro, privo della prima falange. «Tra l’altro non mi ha mai detto com’e successo.» «Davvero? Tutta colpa di un pesce palla in un banco di coralli, nello Yucatan. L’ho fatto arrabbiare. Se li si tocca sulla punta del naso s’infuriano, fanno uno scatto indietro e si gonfiano. Io ho continuato a stuzzicarlo... solo che c’erano coralli ovunque e il pesce non poteva arretrare oltre percio, quando ha capito di essere in trappola, ha semplicemente aperto la bocca. In un attimo, il mio dito era scomparso. Gia. Non bisognerebbe mai estrarre le dita dalla bocca chiusa di un pesce, tantomeno con violenza. Quando sono riuscito a tirarlo fuori, era rimasto solo l’osso.»
«Be’, lassu non dovra temere niente del genere.» Edwards aveva riso. «No, e vero. Probabilmente sara la vacanza piu sicura della nostra vita.» Erano entrati nella stazione circolare. All’interno, sembrava ancora piu grande. Grossi proiettori illuminavano due strutture poste l’una di fronte all’altra, identiche in ogni dettaglio, speculari. Al centro, spiccava la fune che si protendeva verso l’alto e intorno a essa c’erano tre oggetti, una via di mezzo tra cannoni e fari, con le aperture rivolte verso il cielo. Ciascuna delle strutture era circondata da una rete di protezione alta come due uomini. Le maglie erano abbastanza larghe da consentire il passaggio di una persona, ma la presenza stessa di quei dissuasori indicava chiaramente che era meglio lasciar perdere e non avvicinarsi troppo. «E sapete perche?» aveva esclamato Julian, di ottimo umore. «Perche il contatto diretto con la fune puo costarvi una parte del corpo. Dovete tenere presente che, pur essendo larga piu di un metro, e piu sottile della lama di un rasoio, ma incredibilmente resistente. Se accostassi un cacciavite al bordo esterno, potrei ridurlo in briciole. Qualcuno intende provarci col proprio dito? O vorrebbe approfittare dell’occasione per liberarsi del coniuge? » A Evelyn era venuto in mente che un giornalista aveva detto: «Julian Orley non ha bisogno di salire su un palcoscenico. Il palcoscenico lo segue ovunque lui si trovi». Una definizione calzante, anche se un po’ riduttiva. In effetti quell’uomo ispirava fiducia; si era portati a credere a ogni singola parola che pronunciava, perche la sua autostima era sufficiente per dissolvere dubbi, ripensamenti, i «se», i «ma», e i «forse», come acido solforico. I due ascensori stavano immobili a venti metri dal suolo, attaccati alle funi, come insetti. Visti da vicino non somigliavano affatto agli shuttle, essendo privi di ali e impennaggio. Presentavano invece, sul lato inferiore, delle sporgenze equipaggiate con celle fotovoltaiche. Rispetto al giorno prima, quand’erano rientrati dall’orbita, il loro aspetto si era leggermente modificato. I serbatoi con l’elio-3 liquido erano stati sostituiti con moduli bombati e privi di oblo per il trasporto passeggeri. Una scala di metallo portava a una balaustra rialzata e, da l, alle aperture che conducevano nel ventre delle cabine. «È la sua tecnologia?» aveva chiesto Ögi a Locatelli, con lo sguardo rivolto ai pannelli solari degli ascensori. Locatelli si era gonfiato come un pavone. Osservandolo, Evelyn Chambers non aveva potuto fare a meno di pensare al defunto Mu’ammar Gheddafi. La somiglianza era incredibile, anche nella postura da dittatore. «E di chi altro? Con la tecnologia convenzionale queste scatole non si solleverebbero nemmeno di dieci metri», aveva risposto con sufficienza. «Ah, no?»
«No. Senza la Lightyears qui non si muoverebbe niente.» «Sta dicendo che l’ascensore non funzionerebbe senza i suoi sistemi?» aveva domandato Heidrun, sorridendo. Locatelli l’aveva squadrata come se avesse davanti un insetto raro. «Perche, cosa ne capisce lei di queste cose?» «Niente. È solo che, guardandola, mi sembra di vedere un musicista che, con una chitarra elettrica intorno al collo, e tutto impegnato a sostenere che con una chitarra acustica si puo suonare solo merda. E poi, lei chi e, scusi?» «Ma, mein Schatz, Warren Locatelli e il Captain America delle energie alternative», era intervenuto Ögi, sorridendo sotto i baffi. «Ha aumentato di tre volte il giro d’affari delle cellule fotovoltaiche. » «Lasci stare. Non si aspetti troppo da lei», aveva borbottato Momoka Omura, che li seguiva a breve distanza. Ögi aveva inarcato le sopracciglia. «Potra non crederci, mio piccolo fiore di loto, ma Heidrun supera sempre le mie aspettative. » «In che modo?» aveva ribattuto Momoka, le labbra contratte in un sorriso di scherno. «La sua immaginazione e troppo limitata per arrivarci. Pero grazie per avermelo chiesto.» «In ogni caso, con l’energia convenzionale, i gingilli attaccati a questa fune potrebbero al massimo strisciare verso l’alto», si era intromesso Locatelli, come se non avesse notato il tono di quel dialogo. «Ci vorrebbero giorni per giungere a destinazione. Se volete, posso spiegarvelo.» «Ma noi lo capiremmo?» aveva chiesto Heidrun al marito, con aria preoccupata. «Non ne sono sicuro, tesoro. Sai, noi svizzeri siamo un po’ lenti. È per questo che abbiamo costruito un acceleratore di particelle, diversi anni fa.» «Per produrre svizzeri piu veloci?» «Esattamente.» «Ma non si rompe di continuo?» «Sì, appunto.» Evelyn camminava dietro di loro e ascoltava quelle schermaglie con la stessa avidita di un’ape che succhia il nettare. Quelle cose le piacevano da morire. Era sempre cos: piu galli c’erano nel pollaio e piu penne volavano. Era poi arrivato il momento d’indossare le tute color arancio e argento. Quindi il gruppo aveva raggiunto la galleria da cui si accedeva agli ascensori. E l aveva fatto la conoscenza di un uomo di colore dalla corporatura massiccia, presentato da Julian come Peter Black. «Facile da ricordare, no? Ma voi chiamatemi semplicemente Peter», aveva detto Black tutto allegro, porgendo la mano.
«Peter e uno dei nostri due piloti e il capo della spedizione», aveva spiegato Julian. «Lui e Nina... Ah, eccola che arriva!» Una donna dai corti capelli biondi e con un naso all’insu ricoperto di lentiggini era uscita dal portello dell’ascensore e si era unita a loro. Julian le aveva cinto con un braccio le spalle muscolose. Scrutandola, Evelyn penso: Quella donna frequenta la camera da letto di Julian, ci scommetto. «Vi presento Nina Hedegaard. Viene dalla Danimarca.» «Ehi!» aveva esclamato Nina, agitando una mano. «Ha le stesse mansioni di Peter: pilota e capospedizione. Saranno al vostro fianco per le prossime due settimane ogni volta che ne avrete bisogno. Vi mostreranno i punti piu spettacolari del nostro satellite e vi proteggeranno dai mostri alieni che potreste incontrare nello spazio... i cinesi, per esempio. Mi scusi, Rebecca: ovviamente intendo i cinesi comunisti!» Sussultando, Rebecca Hsu aveva alzato lo sguardo dal display del suo cellulare. «Non c’e campo», aveva sospirato, angosciata. La cabina era piuttosto stretta. Bisognava arrampicarsi. Sei file da cinque posti erano disposte l’una sopra l’altra e collegate con una scaletta. I bagagli erano stati caricati nell’altro ascensore. Evelyn Chambers era seduta nella stessa fila di Miranda Winter, Finn O’Keefe e i Rogacev. Come comfort, i sedili non avevano nulla da invidiare alla business class delle piu prestigiose compagnie aeree. «Oh, che bello! Una danese», aveva detto Miranda con entusiasmo. «Le piace la Danimarca?» aveva chiesto Rogacev con tiepida cortesia, mentre Olympiada fissava il vuoto davanti a se. «Ovvio! Sono danese», aveva ribattuto Miranda, spalancando gli occhi. «Mi scusi, ma io mi occupo di acciaio. Lei e un’attrice?» La donna aveva riso sguaiatamente. «Be’, diciamo che a questo proposito ci sono pareri discordanti. Cosa sono, Evelyn?» «Un’intrattenitrice?» «Be’, in realta sono una modella. Anzi ho fatto un po’ di tutto, non solo la modella. Ho fatto la commessa in un negozio di formaggi e ho fritto patatine da McDonald’s, ma poi sono stata scoperta in un talent show, e Levi mi ha subito ingaggiato. Ci sono stati incidenti stradali a causa mia! Voglio dire, un metro e ottantatre, giovane, bella e due tette cos, tette vere, capisce, autentiche. Era inevitabile che Hollywood mi chiamasse.» Sprofondato nel sedile, O’Keefe aveva sollevato un sopracciglio.
Olympiada Rogaceva sembrava essere arrivata alla conclusione che non si poteva negare la realta semplicemente fingendo di non vederla. «Che film ha fatto?» aveva chiesto con voce atona. «Ho sfondato con Criminal Passion, un thriller erotico», aveva risposto Miranda con un sorriso. «Ho persino vinto un premio per quel ruolo, ma non voglio annoiarvi.» «Perché no? È una cosa... È grandioso.» «No che non lo e: mi hanno dato un Razzie Award per la peggiore interpretazione.» Miranda aveva riso, agitando le mani. «Ma che importa? Poi ho fatto alcune commedie, ma non ho mai avuto molta fortuna. E cos mi sono attaccata alla bottiglia. Che cosa terribile! Avevo l’aspetto di un bombolone con due uvette sultanine al posto degli occhi... finche, una notte, mentre guidavo completamente ubriaca su Mulholland Drive, non ho investito un senzatetto. Pover’uomo!» «Orribile.» «S, o forse no, perche, detto fra noi, lui se l’e cavata e ha fatto un sacco di soldi grazie a quella storia. Ma lo giuro, e andata cos, e io ho fatto riprendere il mio periodo in carcere dal primo all’ultimo secondo, persino sotto la doccia. Uno share incredibile, in prima serata! E cos sono tornata sulla cresta dell’onda. Quindi ho conosciuto Louis, Louis Burger. Ha presente?» Aveva tirato un sospiro. «No, io veramente... Mi dispiace, ma...» «Ah, gia, dimenticavo, lei e suo marito vi occupate di acciaio. Louis Burger e comunque un grande industriale, un investitore... » «Davvero non...» «Io credo di s, invece», era intervenuto Rogacev, pensieroso. «Mi sembra di ricordare un incidente in piscina...» «Esatto. La nostra felicita e durata solo due anni.» Miranda aveva fissato il vuoto davanti a se, sospirando di nuovo e sfregandosi gli occhi. «È accaduto alle porte di Miami. Un infarto durante una nuotata in piscina, e indovinate un po’ cosa hanno fatto i suoi figli, quei maledetti! Non i nostri, voglio dire, noi non abbiamo avuto figli insieme, quelli del primo matrimonio di Louis. Mi hanno fatto causa! Io avrei provocato la sua morte, da non crederci!» «E l’avevi fatto?» aveva chiesto O’Keefe, con aria innocente. Per un istante, Miranda era rimasta interdetta. «Che idiota! Lo sanno tutti che sono stata assolta. È forse colpa mia se mi ha lasciato tredici miliardi in eredita? Non potrei mai fare del male, neanche a una mosca! Sa una cosa?» Aveva fissato Olympiada dritto negli occhi. «Non so fare proprio niente, in effetti. Ma quello lo faccio davvero bene! Ah-ah-ah! E lei?» «Io?» Olympiada sembrava presa in contropiede.
«S. Lei cosa fa?» La donna si era voltata verso Oleg, in cerca di aiuto. «Io... Noi siamo...» «Mia moglie e deputata nel parlamento russo», aveva risposto Rogacev, senza guardarla. «È nipote di Maxim Ginsburg.» «Uau! Oh, uau! Uaaaau! Ginsburg, eh?» Miranda si era messa a battere le mani; poi aveva strizzato l’occhiolino a Olympiada con aria complice e, dopo averci brevemente riflettuto, aveva esclamato: «E chi sarebbe?» «Il presidente russo. Almeno lo e stato fino all’anno scorso. Quello nuovo si chiama Mikhail Manin», spiego Rogacev. «Ah, gia. Non aveva gia ricoperto quella carica, in passato?» Rogacev aveva sorriso. «Non credo. Forse si riferisce a Putin. » «No, no, e stato qualche tempo fa, aveva sempre un nome con la ’a’ e con una ’in’ alla fine. Accidenti, non mi viene in mente. » Tutti avevano avuto la sensazione che Miranda stesse passando al vaglio le nozioni apprese negli anni di scuola. «Forse intendi Stalin», era intervenuto O’Keefe, in tono sarcastico. L’altoparlante aveva messo fine alle speculazioni. Una profonda e calda voce femminile aveva illustrato le norme di sicurezza, non molto diverse da quelle che venivano date sugli aerei. Avevano allacciato le cinture, simili a finimenti per cavalli. Poi, davanti a ogni fila di sedili, si erano accesi dei monitor che trasmettevano ologrammi del mondo esterno e davano l’illusione di avere un finestrino davanti a se. Si vedeva l’interno del cilindro, rischiarato dalla luce del sole nascente. Il portello si era chiuso, i sistemi di sopravvivenza si erano accesi con un ronzio e i sedili si erano ribaltati all’indietro, facendoli sembrare tanti pazienti sulla poltrona del dentista. «Di’ un po’, Miranda, le chiami ancora per nome?» aveva sussurrato O’Keefe. «Chi?» «Le tue tette.» «Ah, gia. Ma certo.» Le sue mani si erano appoggiate sui seni. «Questa e Tick. E questa e Trick.» «E Track dov’e?» Lei gli aveva lanciato un’occhiataccia. «Non siamo abbastanza in confidenza per presentarti Track.» In quell’istante, avevano avvertito uno strattone e la cabina si era messa a tremare. O’Keefe era sprofondato ancora di piu nel sedile. Evelyn aveva trattenuto il fiato. Il volto di Rogacev era inespressivo. Olympiada aveva chiuso gli occhi. Da qualche parte, si era alzata una risatina nervosa.
Quello che era seguito non aveva nulla, ma proprio nulla a che vedere col decollo di un aereo. L’ascensore aveva accelerato con tale violenza che, per qualche minuto, a Evelyn Chambers era parso di essere diventata un tutt’uno col sedile. Una forza sconosciuta la schiacciava contro l’imbottitura, le braccia sembravano fuse coi braccioli. La cabina era uscita dal cilindro, proiettata verso l’alto. Sotto di loro, una seconda telecamera inviava le immagini dell’Isla de las Estrellas che rimpiccioliva sempre piu, fino a diventare una roccia scura e oblunga, col puntino turchese della piscina nel mezzo. Era stata davvero la solo il giorno prima, a osservare in modo critico la propria pancia, lamentandosi per qualche chilo di troppo che l’aveva costretta a passare dal bikini al costume intero, mentre i suoi conoscenti non si stancavano di ripeterle che le curve esaltavano la sua femminilita? Chi se ne frega di qualche chilo, aveva pensato. In quel momento, avrebbe giurato di pesare qualche tonnellata. Si sentiva cos pesante che temeva di sfondare il pavimento dell’ascensore e di precipitare in mare, provocando uno tsunami di media grandezza. Il Pacifico si era trasformato in una superficie uniforme e leggermente increspata e la luce del mattino aveva riversato su di essa i suoi raggi gioiosi. L’ascensore si arrampicava lungo la fune a una velocita inimmaginabile. Era sfrecciato attraverso gli strati piu alti delle nuvole, poi il cielo si era fatto sempre piu blu, sempre piu scuro. Un’indicazione sul monitor segnalava che stavano viaggiando a una velocita tre volte... anzi no, quattro, otto volte superiore a quella del suono! La Terra era diventata rotonda. Le nuvole si erano compattate in un’unica massa adagiata sull’acqua, simile a una meringa. La cabina aveva accelerato ancora fino a raggiungere i dodicimila chilometri orari. Poi, molto lentamente, la pressione era diminuita. Finalmente il sedile aveva liberato Evelyn, e lei era tornata a essere una donna per cui «qualche chilo» era un concetto di una certa rilevanza. «Ladies and gentlemen, benvenuti a bordo dell’OSS Spacelift One. Abbiamo raggiunto la velocita di crociera e attraversato l’orbita terrestre inferiore, nella quale si trova l’ISS, la quale ha ufficialmente cessato ogni attivita nel 2023 e, da allora, funge da museo degli albori dell’era spaziale. Il nostro viaggio richiedera poco meno di tre ore, le previsioni per lo Space debris sono ideali, quindi tutto depone a favore del fatto che raggiungeremo l’OSS, l’Orley Space Station, in perfetto orario. In questi minuti, stiamo entrando nella fascia di van Allen, una cintura di particelle cariche che circonda la Terra e che ha la propria origine nelle eruzioni solari e nella radiazione cosmica. Sul suolo terrestre siamo protetti da queste particelle ma, oltre i 1000 chilometri di quota, esse non vengono piu respinte dal campo magnetico terrestre e penetrano nell’atmosfera. Piu o meno qui, ovvero a 700 chilometri di altitudine, inizia la fascia interna, composta essenzialmente da protoni altamente carichi, la cui concentrazione massima si rileva tra i 3000 e i 6000 chilometri di altitudine. La fascia esterna si estende dai
15.000 ai 25.000 chilometri di quota ed e composta principalmente da elettroni.» Esterrefatta, Evelyn aveva notato che la pressione era scomparsa. No, molto di piu! Per un attimo, aveva avuto la sensazione di cadere, poi si era ricordata che aveva gia sperimentato quel senso di mancanza di legami durante i voli parabolici, tempo addietro. Stava fluttuando in assenza di gravita. Nel monitor principale si vedeva il cielo stellato, polvere di diamanti su un tessuto di seta nera. La voce dall’altoparlante aveva assunto un tono cospiratorio. «Come forse alcuni di voi sanno, chi contesta i viaggi spaziali con equipaggio umano vede nella fascia di van Allen un ostacolo insormontabile, a causa dell’elevata concentrazione di raggi nocivi. Alcuni la usano persino come prova del fatto che l’uomo non e mai stato sulla Luna. Secondo loro, sarebbe possibile attraversarla indenni solo protetti da pareti di acciaio spesse due metri. Ma state tranquilli: nulla di tutto cio e vero. L’intensita dei raggi varia notevolmente in base all’attivita solare, tuttavia persino in condizioni estreme, finche si e protetti da pareti di alluminio di tre millimetri di spessore, la concentrazione di radiazioni nocive e la meta della dose ammessa per un lavoratore che ha a che fare con materiale radioattivo. Spesso non supera neppure l’uno per cento! Per garantire la vostra salute, le cabine per i passeggeri sono adeguatamente rivestite, e questo e anche il motivo per cui non ci sono oblo o finestrini. Pertanto, finche non decidete di scendere, vi garantiamo che attraverserete la fascia di van Allen assolutamente incolumi... E ora godetevi il viaggio. Nei braccioli dei vostri sedili sono installate cuffie e monitor. Potete scegliere tra ottocento canali televisivi, film, libri, giochi...» Dopo un po’, Nina Hedegaard e Peter Black si erano avvicinati, fluttuando, per distribuire bibite in bottigliette di plastica, del tipo che bisognava succhiare per far uscire il liquido, snack e salviettine rinfrescanti. «Nulla che possa colare o sbriciolarsi», aveva esclamato Nina, con un forte accento. Miranda Winter le aveva detto qualcosa in danese, lei aveva risposto, ed entrambe si erano messe a ridere. Evelyn si era appoggiata allo schienale e aveva riso pure lei, benche non avesse capito neanche una parola. Ma aveva voglia di ridere. Stava volando nello spazio, verso la lontana citta di Julian, nella quale... ... ora si sentiva come se fosse sola al mondo. La Terra era cos lontana, cos piccola, tanto piccola da dare l’impressione che bastasse allungare un braccio per far scivolare il pianeta nel palmo della mano. L’oscurita si stava lentamente ritirando a ovest e il Pacifico risplendeva sotto i raggi del sole. La Cina gia dormiva, mentre la gente in America si stava precipitando in pausa pranzo, col telefono incollato all’orecchio, e in Europa era quasi ora di cena. Con una certa meraviglia, si rese conto che lo spazio che la separava da quel globo bianco e blu sarebbe stato sufficiente per ospitare altri tre pianeti, anche se un po’ compressi.
L’OSS orbitava nel cosmo quasi trentaseimila chilometri sopra quella che era la sua casa. Quel fatto bastava a stravolgere la sua capacita d’immaginazione... eppure bisognava percorrere una distanza dieci volte superiore per raggiungere la Luna. Dopo un po’, si scosto dalla finestra e nuoto nell’aria verso una chaise-longue montata al contrario. Riusc ad accomodarsi, anche se in maniera un po’ goffa. In effetti, in un posto come quello, i mobili non avevano senso. Sott’acqua, la forza ascensionale compensa la gravita, quindi si sperimenta una situazione simile all’assenza di gravita ma si e comunque sottoposti all’influsso della densita dell’acqua e alle correnti; in assenza di gravita, invece, non c’e nessuna forza che agisce sul corpo. Non si pesa nulla, non si tende in nessuna direzione, non servono sedie per evitare di cadere, il comfort di cuscini morbidi e di un letto in cui stiracchiarsi e superfluo. In fondo, basterebbe lasciarsi cullare dal nulla, con le gambe e le braccia ripiegate contro il corpo, se non che pure il minimo impulso, come il guizzo di un muscolo, e sufficiente per far andare il corpo alla deriva, per cui si corre sempre il rischio di sbattere la testa durante il sonno. Seicentocinquanta milioni di anni di adattamento genetico richiedono inoltre di sdraiarsi sopra qualcosa per dormire, anche se si e in posizione perpendicolare o appesi al soffitto. Nell’universo, concetti come verticale e orizzontale non hanno significato, ma gli esseri umani sono abituati ad avere riferimenti. Le ricerche avevano dimostrato che agli astronauti appariva piu naturale avere la Terra «sotto i piedi», piuttosto che vederla fluttuare sopra le loro teste, motivo per cui gli psicologi consigliavano di costruire le infrastrutture orbitali tenendo conto dei riferimenti della forza di gravita, cos da dare l’illusione di un pavimento. A letto bisognava legarsi con le cinghie, sulle sedie si faceva finta di stare seduti, ma alla fine ci si sentiva quasi a casa. Si stiracchio, fece una capriola e decise di andare - o, meglio, di fluttuare - a fare colazione. La parete concava dietro la quale dovevano essere nascosti i sistemi di sopravvivenza conteneva un armadio, dal quale Evelyn estrasse un paio di pantaloni a pinocchietto e una T-shirt coordinata, oltre a un paio di mocassini. Li indosso, si diresse verso la porta e disse: «Evelyn Chambers. Aprire». Il computer controllo pressione, atmosfera e tenuta stagna, poi il modulo si apr su un tubo del diametro di diversi metri. La stazione era percorsa da chilometri e chilometri di tubi simili, che univano i moduli e fungevano da vie di collegamento e vie di fuga. Tutto era costruito secondo il principio della ridondanza. I singoli moduli avevano sempre almeno due uscite e ogni sistema computerizzato aveva un corrispondente in sistemi speculari; i sistemi di sopravvivenza erano presenti in diverse implementazioni uguali. Mesi prima del viaggio, Evelyn aveva cercato di figurarsi quella gigantesca costruzione, studiando i modellini e la documentazione, ma la realta superava di gran lunga la fantasia. Nell’isolamento della cellula in cui soggiornava non riusciva quasi a immaginarsi quel colosso, le sue dimensioni, le sue
complesse ramificazioni. L’unica cosa certa era che, a confronto, la vecchia ISS sembrava un giocattolo. Si trovava a bordo della piu grande struttura mai costruita dall’uomo nello spazio. Riprendendo il principio costruttivo dell’ascensore spaziale, i progettisti avevano edificato l’OSS in verticale. Tre imponenti piloni di acciaio formavano un triangolo isoscele e costituivano la spina dorsale della struttura. Erano collegati tra loro alla base e all’estremita da una specie di tunnel, attraversato dalle funi dell’ascensore. I piloni erano circondati da elementi circolari sovrapposti chiamati «tori», per analogia con la figura geometrica a forma di ciambella. I tori formavano i cinque livelli della costruzione : quello piu basso ospitava l’OSS Grand, l’albergo orbitale. Nel Toro-1 si trovavano confortevoli locali comuni, uno snack bar e un caffe, una stanza con un camino olografico, una biblioteca e una pretenziosa stanza giochi per bambini, che Julian tuttavia progettava testardamente di ampliare: «Perche verranno molti bambini, e loro lo adoreranno!» In effetti, sin da quand’era stato inaugurato, due anni prima, l’OSS Grand aveva ricevuto molte prenotazioni, pero di famiglie non se n’erano ancora viste. Quasi nessuno avrebbe avuto il coraggio di trascinare la propria prole in assenza di gravita, una scelta che Julian liquidava con un atteggiamento stizzito: «Tutti pregiudizi! La gente e cos stupida. Quassu non e piu pericoloso che alle Bahamas, al contrario. Qui non ci sono insetti che possono pungerti, non puoi affogare o prenderti la malaria, il personale e gentile... Quindi perche starci tanto a pensare? Lo spazio e un vero e proprio paradiso per i bambini!» Forse il problema consisteva nel fatto che gli esseri umani avevano da sempre un rapporto piuttosto conflittuale col paradiso. Come un pesce predatore, Evelyn s’inoltro nel tunnel. In assenza di gravita, ci si spostava con un’incredibile velocita. Passo accanto a diversi tunnel laterali numerati, in fondo ai quali si trovavano altre suite come la sua. Cinque moduli formavano un’unita, suddivisa in due unita abitative disposte in modo che gli occupanti potessero godere di una splendida vista sulla Terra. Sulla destra, una diramazione del tunnel di collegamento portava verso il livello inferiore. Evelyn pero voleva fare colazione e continuo per la sua strada. Il tunnel sboccava nel Kirk, uno dei due moduli piu spettacolari dell’OSS. Costruiti a forma di disco, sporgevano leggermente dal settore degli alloggi, cosicche era possibile ammirare la Terra dal pavimento in vetro. Il Kirk fungeva da ristorante; la sua appendice sul lato nord, battezzata con l’evocativo nome di Picard, ospitava la hall, un nightclub e il centro multimediale. «Realizzare questo pavimento in vetro e stato una vera sfida », non si stancava di ripetere Julian. «Una guerra! Ho ancora nelle orecchie le obiezioni dei costruttori. Be’, sapete cos’ho detto io? ’Gli astronauti hanno sempre sognato di avere delle finestre, belle finestre panoramiche, solo che le scatole di sardine del passato non potevano montare vetri di uno spessore adeguato. Con l’ascensore, questo problema e stato risolto. Abbiamo bisogno di piu
massa? Tiriamola su! Vogliamo delle finestre? Installiamole!’» Poi, come tutte le volte, abbassava la voce e sussurrava in tono quasi reverenziale: «Farlo cos e stata un’idea di Lynn. Che ragazza fantastica. Quella donna e puro rock’n’roll, ve lo dico io!» Il portello di collegamento che permetteva di accedere al Kirk era aperto. Evelyn si rese conto troppo tardi dei tranelli della nuova liberta appena conquistata; cerco di afferrare il bordo del tunnel per frenare la sua corsa, lo manco e attraverso il portello come un proiettile. Nella sua folle corsa, sfioro un cameriere che pero non apparve particolarmente spaventato. Poi qualcuno la afferro per la caviglia. «Hai intenzione di volare sulla Luna per i fatti tuoi?» esclamo una voce conosciuta. Evelyn rimase interdetta. L’uomo la tiro verso il basso fino all’altezza degli occhi. I suoi occhi... Certo che lo conosceva. Tutti lo conoscevano. Lo aveva incontrato almeno una dozzina di volte nel suo show, eppure non era mai riuscita ad abituarsi a quegli occhi. «E tu cosa ci fai qui?» chiese, esterrefatta. Sorrise. «Io sono il programma serale. E tu?» «Quella che ravviva l’atmosfera di una manciata di musoni nello spazio. Julian e i media, sai com’e.» Scosse la testa e rise. «Incredibile. Ti ha gia visto qualcuno?» «Non ancora. Ho sentito che c’e anche Finn.» «S, ed era piuttosto seccato d’incontrarmi qui. Ma nel frattempo si e ammorbidito parecchio.» «Sta solo facendo il prezioso. A Finn piace interpretare il ruolo dell’outsider. Meno gli fai domande, piu risposte riceverai da lui. Vuoi fare colazione?» «Volentieri.» «Bene, anch’io. E dopo?» «Vado al centro multimediale. Lynn c’illustrera la stazione. Ci hanno diviso in gruppi. Alcuni visitano il settore scientifico, gli altri vanno fuori a giocare.» «Tu no?» «S, ma piu tardi. Possono portare fuori solo sei persone alla volta. Hai voglia di venire con noi?» «Mi piacerebbe, ma non ho tempo. Stiamo girando un video nel Toro-4.» «Oh, stai lavorando a qualcosa di nuovo? Sul serio?» «Non dirlo a nessuno», rispose lui, sorridendo e posando un dito sulle labbra. I suoi occhi la rapirono e la portarono in un’altra galassia. L’uomo caduto dal cielo. «Qualcuno deve pur tenere alto l’onore delle vecchie leve.» Lynn sorrideva, rispondeva alle domande, sorrideva.
Era fiera del centro multimediale, proprio come provava un orgoglio febbrile per tutto l’OSS Grand, lo Stellar Island Hotel e il lontano Gaia Hotel. Nel contempo, tutti e tre la terrorizzavano, come se avesse edificato una piccola Venezia su fondamenta di fiammiferi. Ogni sua minima azione era influenzata da quella consapevolezza. Si torturava, immaginando scenari apocalittici, senza speranza di una catarsi finche le sue peggiori paure non si fossero avverate. Si sentiva intrappolata in una tremenda lotta interiore, in cui inseguiva una se stessa in fuga, senza sosta. Piu argomentazioni contrapponeva ai suoi timori, piu questi ultimi s’ingrandivano, come se lei si stesse avvicinando a un buco nero. Prima o poi perdero la ragione, penso. Proprio come la mamma. Di sicuro diventero matta. Devo sorridere. Sorridere. «A parere di molti, l’OSS ha la forma di un fungo», disse. «O di un ombrello, di un albero piatto, di un tavolino. Altri pensano che ricordi una medusa.» «Cos’è una medusa, caro?» chiese Aileen come se parlasse di qualche gadget che faceva impazzire i giovani. «Un invertebrato. Una specie di ombrello di gelatina dal quale escono dei tentacoli», rispose Ed Haskin. Lynn si morse il labbro. Haskin, ex capo del porto spaziale e da pochi mesi responsabile dell’intero settore tecnico, era una persona gentile e competente, ma purtroppo dotata della sensibilita di un uomo di Neandertal. «Sono creature molto belle comunque», preciso Lynn. I due fluttuavano come satelliti intorno a un modello olografico dell’OSS, alto quattro metri e proiettato al centro del Picard. Nello spazio virtuale intorno a loro, nuotavano Walo Ögi, Aileen e Chuck Donoghue, Evelyn Chambers, Tim e alcuni scienziati francesi appena arrivati. Il Picard era allestito in modo molto diverso dal Kirk, vincolato all’estetica classica dei ristoranti. Isole relax fluttuavano a diverse altezze, immerse in una luce soffusa e sovrastate da un ampio bar che sembrava fatto apposta per ospitare donne formose e disponibili. La dislocazione dei mobili poteva essere modificata premendo semplicemente un pulsante: tavoli e sedie s’impilavano all’istante per lasciare libero l’atrio. «Che si tratti di una medusa, di un tavolino o di un ombrello, queste associazioni mentali sono dovute alla struttura verticale e alla simmetria della stazione», spiego Haskin. «Non dovete dimenticare che le stazioni spaziali non sono edifici dotati di fondamenta, ma sono sottoposte alla continua ridistribuzione della massa e a ogni possibile sollecitazione, dalle persone sui tapis roulant agli shuttle lunari che attraccano lungo l’anello esterno. Tutto questo espone la struttura a oscillazioni naturali, e una costruzione simmetrica e l’ideale per ridistribuire le energie. La disposizione verticale contribuisce invece a stabilizzare la struttura e riprende il principio costruttivo dell’ascensore spaziale. Come potete vedere, il momento d’inerzia piu piccolo e rivolto verso il globo terrestre.»
In basso era visibile il toro in cui c’era l’hotel, coi moduli che ospitavano le suite; poco piu in alto, sporgevano il Kirk e il Picard. Lungo i piloni, erano attaccati moduli con centri fitness, alloggi del personale di servizio, magazzini e uffici che arrivavano fino al Toro-2, al centro del quale si fermava l’ascensore spaziale. Alcune passerelle mobili collegavano il modulo a forma di baccello con le cabine. «Qui e dove siamo arrivati ieri», spiego Lynn. «Il Toro-2 funge da reception dell’OSS Grand, oltre che da terminal per i passeggeri e le merci. Come vedete, dal centro escono raggi che si ricollegano a un anello esterno piu grande. Sono dei corridoi. » La sua mano accarezzo una struttura a griglia che circondava il toro. «Il nostro porto spaziale. Questi oggetti, simili ad aeroplani, sono navette di evacuazione; queste scatolette, invece, sono shuttle lunari. Uno di essi, il Charon, ci portera sulla Luna domani.» «Avrei dovuto mettermi a dieta», esclamo Aileen, allarmata, rivolta a Chuck. «Come faccio a entrare l dentro? Ho un sedere grosso come la cometa di Halley.» Lynn rise. «Oh, no, queste navicelle sono molto spaziose. Ed estremamente confortevoli. Il Charon misura piu di trenta metri di lunghezza.» «E quelli cosa sono?» Ögi aveva notato alcune grosse strutture simili a gru sul lato superiore dell’anello e lungo i piloni. Si avvicino, fluttuando, entrando per un istante nel fascio di proiezione, che aveva l’aspetto di un mostro gigante in procinto di aggredire l’OSS. «Sono manipolatori», spiego Haskin. «Bracci robotizzati su binari. Scaricano i materiali dagli shuttle cargo in arrivo, rimuovono i serbatoi con l’elio-3 compresso, li portano all’interno del toro e li attaccano agli ascensori.» «Cosa succede quando uno di questi shuttle si aggancia alla stazione?» «Le da uno strattone», rispose Haskin. «E la stazione non si sbilancia da una parte? L’anello di attracco non sara sempre pieno di navicelle.» «Questo non e un problema. I vari punti di attracco possono essere spostati liberamente lungo l’anello, consentendoci di creare sempre un equilibrio. Ottima osservazione, comunque. Lei e architetto?» Haskin sembrava davvero colpito dal commento. «No, sono un imprenditore. Ma ho costruito diverse cose. I moduli abitativi per le grandi citta vengono semplicemente agganciati alle strutture esistenti o sistemati sui tetti dei palazzi; cos, in caso di trasloco, ci si porta dietro tutta la baracca. I cinesi li adorano. Poi ci sono i complessi residenziali a prova di acqua alta sul mare del Nord. Sa com’e, l’Olanda sta andando sott’acqua... e cosa dovrebbe fare tutta quella gente? Trasferirsi in massa in Belgio? Le case poggiano su passerelle e galleggiano se il livello dell’acqua sale.» «Sta anche costruendo una seconda Monaco», aggiunse Evelyn.
«Perche una seconda Monaco?» chiese Tim. «Perche la prima e piena fino a scoppiare», sospirò Ögi. «I monegaschi si stanno ammassando sulla montagna, percio io e Alberto abbiamo rispolverato Jules Verne. Mai sentito parlare della citta galleggiante?» «Non e la storia di quel capitano pazzo in quel bizzarro sottomarino ?» chiese Donoghue. «Ma no! Quello e il Nautilus del capitano Nemo», intervenne uno dei francesi. «Sciocchezze! Quello l’ho visto. È di Walt Disney.» «No, no! Non e di Walt Disney! Mon Dieu!» «La citta galleggiante e una citta-Stato mobile», spiego Ögi. «Un’isola viaggiante. Monaco non puo essere ampliata all’infinito, nemmeno con isole artificiali, percio abbiamo avuto l’idea di costruirne un’altra che potrebbe navigare nei mari del Sud.» Haskin si gratto la testa. «Una seconda Monaco? Una specie di nave?» «Non una nave, un’isola. Con montagne e spiagge, una minuscola capitale e una cantina di vini per il vecchio Ernst August. Solo che sara artificiale.» «Ed e una cosa fattibile?» «Proprio lei mi chiede una cosa del genere?» Ögi rise e allargo le braccia come se volesse abbracciare l’OSS. «Dov’e il problema? » «Non ce ne sono. Forse diamo l’impressione di avere problemi ?» rise Lynn. Poi il suo sguardo si poso su Tim. Si era accorto di quello che le stava succedendo? La sua apprensione la innervosiva, la commuoveva e la faceva vergognare nel contempo. Aveva ogni ragione a essere preoccupato da quel giorno, da quel terribile momento di cinque anni prima che aveva cambiato il corso della sua vita. Era stato poco prima delle sei di sera, mentre Lynn... ... era imbottigliata nel traffico, un serpente di dieci corsie di lamiere surriscaldate che sbuffavano e rombavano muovendosi con la lentezza di un ghiacciaio lungo la M25 verso Heathrow, sotto un freddo e desolante sole di febbraio che faceva capolino in un cielo giallognolo stile Chernobyl. Era accaduto all’improvviso. Doveva andare a un incontro a Parigi doveva sempre andare a qualche incontro -, ma senza preavviso qualcuno aveva spento la luce nella sua testa, e tutto era sprofondato in una palude di disperazione. Era stata investita da un’ondata di tristezza abissale, seguita da diecimila volt di puro panico. Piu tardi non sarebbe stata in grado di dire come aveva fatto a raggiungere l’aeroporto, ma non era salita sull’aereo ed era rimasta seduta nel terminal, inconsapevole di ogni cosa tranne che del fatto che non sarebbe riuscita a sopportare la sua vita per un secondo di piu, perche non voleva piu convivere con tutta quella tristezza e quella paura. Da quel momento non ricordava piu nulla. Il mattino seguente, si era svegliata sul pavimento del suo attico di Notting Hill, com-
pletamente vestita. Le e-mail e i messaggi sulla segreteria telefonica ribollivano della preoccupazione di chi l’aveva cercata. Era uscita sul terrazzo, sotto la pioggia gelida, e si era chiesta se dodici piani sarebbero stati sufficienti. Poi aveva cambiato idea e chiamato Tim, evitando cos ai passanti di essere testimoni di una tragedia. In seguito, ogni volta che si toccava l’argomento della sua malattia, Julian tirava in ballo qualche virus o un raffreddore trascurato, cos da rendere plausibile a se stesso e agli altri la malattia che stava devastando la figlia; Tim, invece, continuava a parlare di terapie e psichiatri. La condizione della sorella rimaneva un mistero, per lui; anche ammesso che dentro di se intuisse qualcosa, si affrettava a rimuoverlo, proprio come aveva rimosso la morte di Crystal. Erano passati dieci anni da quando la madre di Lynn e Tim - affetta da gravi turbamenti psichici - era morta, ma Julian aveva sviluppato una notevole capacita di negare l’evidenza. Non perche fosse traumatizzato, ma perche non era davvero in grado di mettere in relazione le due cose. Erano stati Tim e Amber a salvarla. Quando Lynn non provava altro che sgomento per la perdita di ogni percezione, Tim si metteva a correre con lei intorno all’isolato, sotto il sole e sotto la pioggia battente, per ore, costringendo il suo spirito a tornare alla realta, finche lei non ricominciava almeno a percepire il freddo e l’umidita e il sapore metallico della paura sulla lingua. Quando Lynn era ormai convinta che non sarebbe mai piu riuscita a dormire o ingoiare un boccone, quando i secondi si dilatavano fino a diventare eterni e tutto quello che la circondava - luci, colori, profumi, musica - si fondeva in un’onda irrefrenabile e terrorizzante, quando ogni tetto e ogni ponte diventavano un invito a sfracellarsi al suolo, quando lei temeva d’impazzire come Crystal, di cadere preda della follia omicida, lui le faceva capire che non era posseduta da nessun demone, che non c’erano mostri pronti a divorarla, che non avrebbe fatto del male a nessuno, nemmeno a se stessa. E lentamente Lynn aveva cominciato a credergli. Quando si era sentita un po’ meglio, Tim aveva cominciato a darle sui nervi. L’aveva spinta a cercare un aiuto qualificato, a stendersi su un lettino. Lynn si era rifiutata, affermando che l’incubo si stava dissolvendo. Ricercare le cause? A che scopo? Non intendeva dedicare piu attenzione del necessario a quella brutta fase della sua vita altrimenti perfetta. I suoi nervi erano andati in cortocircuito a causa del sovraccarico di lavoro, di alcune sinapsi impazzite, di un guazzabuglio biochimico, o di chissa che altro. Motivo in piu per vergognarsi e non scavare ulteriormente nella fossa dalla quale era uscita grazie all’aiuto del fratello. Perche avrebbe dovuto farlo? Per trovare cosa? Ora che aveva ripreso a sorridere e stringere mani, doveva solo essere grata all’azienda per aver coperto il suo crollo con una spiegazione ufficiale: un’influenza, una bruttissima influenza, una polmonite... La crisi era superata, la bambola rotta era stata riparata. Riusciva di nuovo a vedersi come la vedeva Julian, una prospettiva
che aveva perso per un breve periodo. Che importanza poteva avere se lei non si piaceva? Julian la amava! Vedersi con gli occhi del padre risolveva tutti i problemi. Il disprezzo per se stessa era una percezione familiare, una cosa con cui poteva convivere. «... qui si trovano le mense e le sale comuni del settore scientifico », spiego. Continuo a salire lungo l’ologramma, dal Toro-3 agli impianti sportivi nel Toro-4, alle dozzine di moduli abitativi e laboratori che Julian aveva affittato a organismi di ricerca privati e statali di tutto il mondo - la NASA, l’ESA e la Roscosmos - oltre che alle proprie aziende, l’Orley Space, l’Orley Travel e l’Orley Energy. Con le guance in fiamme, indico le serre dove venivano coltivati gli ortaggi e gli allevamenti alloggiati nelle biosfere a forma di globo sopra il Toro-4, illustro gli osservatori, le officine, le sale di controllo e le sale riunioni del Toro-5 l’ultimo -, dal centro del quale uscivano le funi dell’ascensore spaziale puntando verso l’infinito, o verso quello che gli attuali occupanti umani consideravano tale. Descrisse la copertura di vetro, del diametro di diverse centinaia di metri, del tetto coi suoi hangar in cui veniva eseguita la manutenzione degli shuttle lunari e dove aveva luogo la costruzione delle navi spaziali interplanetarie, dove i robot attraversavano il vuoto con solerte operosita e i pannelli fotovoltaici assorbivano la luce solare in modo che la stazione potesse autoalimentarsi anche durante le ore in cui era esposta all’ombra della Terra. Ridendo come se si trovasse sull’orlo di un abisso, termino la presentazione dell’OSS, l’Orley Space Station, che la NASA avrebbe tanto voluto costruire e possedere. Ma un tale proposito avrebbe richiesto una responsabilita politica, e i politici erano per loro natura esseri volubili e sfuggenti e si limitavano piu che altro a criticare le decisioni dei loro predecessori. Ecco perche, alla fine, era stato un investitore privato a realizzare il sogno della colonizzazione del cosmo, creando come effetto collaterale i presupposti per un cambiamento radicale nel settore dell’energia e sollevando cos la domanda... «... quali interessi sovvenzioniamo, aderendo al progetto dell’Orley Enterprises?» chiese Rogacev. «Be’, principalmente i nostri. O no?» disse Locatelli. «Certo. Vorrei solo sapere a chi altri faccio un favore in questo modo», ribatte Rogacev. «Finché questo garantisce alla Lightyears la leadership del mercato, degli interessi degli altri che ci guadagnano non me ne frega un fico secco, se mi concede il termine.» «Ryba išet samoe glubokoe mesto, ljudi iscut lucsee mesto.» Rogacev sorrise. «’Il pesce cerca il posto piu profondo, l’uomo cerca il posto migliore.’ Per quanto mi riguarda, preferirei avere una visione d’insieme un po’ piu ampia.» Locatelli sbuffo. «Non la otterra guardando le cose solo dall’esterno. La prospettiva dipende dalla posizione.»
«Che sarebbe?» «Per me, e quella della mia azienda. So che lei, dando dei soldi a Julian, teme di foraggiare indirettamente Washington e la NASA. E allora? L’importante e che a fine anno il bilancio sia in attivo.» «Non sono sicuro che le cose si possano vedere anche in questo modo», intervenne Marc Edwards, poi si rese conto dell’inconsistenza della sua asserzione e si dedico a osservare gli stivali che Nina Hedegaard stava distribuendo. «Io posso farlo, lui no.» Locatelli indico il russo col pollice alzato e rise. «Lui e sposato con la politica.» Finn O’Keefe incontro lo sguardo di Heidrun Ögi. Rogaev e Locatelli gli davano sui nervi. Facevano discorsi che a suo parere potevano avere un senso solo alla fine del viaggio. Forse non aveva gli strumenti per comprenderli a fondo, non sapendo nulla delle dinamiche che regolavano il loro settore... In ogni caso, lui aveva intenzione anzitutto di divertirsi e poi di girare lo spot che aveva promesso a Julian: Perry Rhodan sulla Luna, quella vera, che decanta le meraviglie di un’esperienza reale. Tutte quelle chiacchiere da uomini d’affari erano totalmente fuori luogo in quello che chiamavano «il guardaroba di EVA», nello spogliatoio in cui ci si preparava per uscire nello spazio. Locatelli lo fisso. «E lei? Hollywood cosa pensa di tutta questa faccenda?» O’Keefe scrollo le spalle. «Sono rilassati.» «Ma Julian vuole anche i suoi soldi.» «No, lui vuole la mia faccia, vuole che io convinca i ricchi come voi che devono assolutamente andare sulla Luna. Ma, in un certo senso, ha ragione», aggiunse, sfregando il pollice e l’indice. «Gli procuro denaro. Ma non il mio.» «Molto furbo», commentò Locatelli, rivolto a Rogaev. «È probabile che venga anche pagato per questo.» «Non prendo un centesimo.» «E lei cosa pensa veramente di questa faccenda? Turismo spaziale, viaggi privati sulla Luna...» O’Keefe si guardo intorno. Si era aspettato di vedere tute spaziali complete appese alle pareti, come astronauti immobili, invece quell’ambiente sterile aveva piu l’aria di una boutique. Tute intere accuratamente piegate di tutte le misure, caschi allineati l’uno accanto all’altro, guanti e stivali sulla spalliera, protezioni rigide. «Non ne ho idea. Mi rifaccia la domanda tra un paio di settimane», borbotto. Il gruppo - Oleg Rogacev, Warren Locatelli, Marc Edwards, Mimi Parker, Heidrun Ögi e Finn O’Keefe - si era disposto intorno a Nina Hedegaard, sforzandosi di non muoversi per evitare di mettersi a girare come trottole. In realta, O’Keefe si sentiva sempre piu a suo agio
in assenza di gravita e lo stesso valeva per Rogacev, il quale, la sera prima, si era lasciato coinvolgere in una conversazione sugli interessi personali: oltre alla sua passione per il calcio, ormai era quindi di dominio pubblico anche il suo interesse per gli sport di combattimento. In realta, il russo sembrava esercitare un controllo sul proprio corpo simile a quello di un rettile: le sue sensazioni, posto che ne avesse, restavano sepolte sotto il ghiaccio dei suoi occhi azzurri. Marc Edwards e Mimi Parker, entrambi sommozzatori entusiasti, si tenevano affettuosamente per mano; Heidrun sembrava un po’ in difficolta, mentre i movimenti goffi di Locatelli erano un potenziale pericolo per tutti. «Avvicinatevi, per favore», disse Nina. «Allora, detto fra noi...» Mimi Parker abbasso la voce. «Girano delle voci. Non so cosa ci sia di vero, ma alcuni sostengono che Julian sia un po’ in affanno.» «In che senso?» «Che sarebbe al verde.» «Cavolate», sussurro Heidrun. «Volete sapere chi si trovera davvero in affanno?» Mimi si sporse verso di lei. «Certo. Sputi il rospo.» «Voi, vecchie comari, la fuori, se non la piantate una volta per tutte di dire stupidaggini.» Rogacev la squadro col divertimento di un gatto attaccato da un topolino. «Lei e come una boccata d’aria fresca, Mrs Ögi.» La donna gli rivolse un sorriso radioso, neanche l’avesse appena incoronata Miss Mosca. Divertito, il russo sollevo le sopracciglia e si avvicino a Nina. Heidrun lo segu. In assenza di gravita, i suoi arti apparivano ancora piu lunghi e ingombranti. La danese attese finche i presenti non si fossero disposti in semicerchio intorno a lei, batte le mani e regalo al suo pubblico un sorriso a trentadue denti. «Bene!» esclamo col suo forte accento. «State per fare la vostra prima passeggiata nello spazio. Siete nervosi?» «Certo!» esclamarono Edwards e Mimi all’unisono. «Solo un po’. Dal momento che adesso siamo affidati alle sue cure...» disse Rogacev con un sorriso. Locatelli sbuffo di nuovo. L’agitazione era chiaramente una cosa non adeguata al suo rango. Sollevo la sua macchina fotografica resistente al vuoto, che aveva portato apposta, e scatto una fotografia. Nina registro le risposte e le reazioni con aria divertita. «Un pochino dovreste esserlo. Le attivita extraveicolari sono tra le operazioni piu complesse dell’astronautica. In fondo state per uscire nel vuoto, inoltre sarete esposti a variazioni di temperatura estreme.» «Davvero? Ho sempre creduto che nello spazio facesse soltanto molto freddo», si meraviglio Mimi.
«Da un punto di vista fisico, s. In realta nello spazio non c’e nessuna temperatura. Quello che definiamo ’temperatura’ e la velocita con la quale si muovono le molecole di un solido, di un liquido o di un gas. Un piccolo esempio: nell’acqua che bolle schizzano di qua e di la, nel ghiaccio sono praticamente immobili, e noi percepiamo questo fenomeno come calore o assenza di calore. Nel vuoto invece...» «S, s», borbotto Locatelli, impaziente. «... praticamente non esistono molecole. Quindi non c’e nulla da misurare. In teoria quindi ci troviamo a 0° della scala Kelvin, che corrispondono a -273° Celsius, lo zero assoluto. Tuttavia si registra la cosiddetta ’radiazione cosmica di fondo’, una specie di residuo dei tempi del Big Bang, quando l’universo era ancora incredibilmente denso e caldo. Questa radiazione e pari a circa 3° Kelvin. Non abbastanza per riscaldare l’ambiente, certo. Ciononostante, la fuori, potete bruciare o morire assiderati, a seconda delle condizioni.» «Sappiamo gia tutte queste cose», insistette Locatelli. «A me interessa di piu capire da dove...» Heidrun si volto verso di lui. «Be’, io non le so. Pero mi piacerebbe davvero saperle. Come avra notato, ho una certa predisposizione alle ustioni.» «Ma le cose che sta dicendo sono nozioni di cultura generale! » Heidrun lo fisso. Il suo sguardo diceva: «Vai a quel paese, maledetto spaccone!» Nina sorrise, cercando di calmare le acque. «Allora: nel vuoto, ogni corpo, nave spaziale, pianeta o astronauta che sia, assume la temperatura dell’ambiente che lo circonda. Essa deriva da fattori quali l’irraggiamento solare e la capacita dell’oggetto di riflettere i raggi che lo colpiscono. Per questo le tute spaziali sono bianche: per riflettere piu luce possibile, in modo da non surriscaldarsi. Eppure, sul lato esposto al sole delle tute, si misurano piu di 120 °C, sul lato in ombra invece -101 °C,» «Brrr», disse Mimi. «Non temete, non ve ne accorgerete nemmeno. Le tute spaziali sono climatizzate. All’interno si percepisce una confortevole temperatura di 22 °C, ma ovviamente solo se la tuta viene indossata in modo corretto. Ogni disattenzione puo portare alla morte. Sulla Luna ritroverete condizioni simili: nelle regioni polari ci sono dei crateri che con -230 °C sono tra i posti piu freddi dell’intero Sistema Solare! L la luce non arriva mai. In media, sulla superficie della Luna, la temperatura diurna si attesta sui 130 °C, ma di notte scende a -160 °C, motivo per cui gli allunaggi delle spedizioni Apollo avevano luogo durante la mattina lunare, quando il sole e basso e non fa ancora cos caldo. Pero, quando Armstrong e entrato nel cono d’ombra del modulo di allunaggio, la temperatura della sua tuta e scesa di colpo da 65 °C a -100 °C, con un solo passo! Altre domande su questo?»
«Una domanda sul vuoto», disse Rogacev. «Si dice che il corpo umano esplode se viene esposto al vuoto senza protezioni. » «Non e proprio cos drammatico. In ogni caso si muore, percio non fatevi venire la malsana idea di togliervi il casco. La maggior parte di voi ricordera le vecchie tute spaziali, nelle quali si aveva l’aspetto di uno spumone. Impacchettati in quegli scafandri, gli astronauti dovevano letteralmente saltellare, perche era impossibile piegare le gambe. Potevano andar bene per le missioni brevi e per qualche occasionale passeggiata nello spazio ma, nelle citta spaziali abitate in modo continuativo, sulla Luna o su Marte, mostri del genere sarebbero improponibili. » Indico la tuta aderente che stava indossando. Era fatta di un materiale simile al neoprene e rivestita con una ragnatela di linee scure. Gusci rigidi proteggevano i gomiti e le ginocchia. Anche se dava l’idea di aver indossato tre tute da sub l’una sopra l’altra, nell’insieme aveva un aspetto quasi sexy. «Da qualche tempo stiamo utilizzando questo tipo di tute: biosuit, ’biotute’, sviluppate da una bella donna, la professoressa Dava Newman del MIT. Carine, no?» Inizio a girare lentamente su se stessa. «Vi domanderete come si fa a creare la pressione necessaria. È molto semplice. Invece del gas, ci sono innumerevoli rinforzi metallici che non si dilatano, creando una contropressione meccanica. Solo nei punti in cui la pelle si muove molto il materiale e piu flessibile; in tutte le altre zone e cos rigido da formare un secondo scheletro.» Tolse dallo scaffale dietro le sue spalle un guscio a forma di torace. «Sulla tuta base e possibile applicare ogni tipo d’inserto e protezione... come questa protezione per il torace in fibra di carbonio. Uno zaino coi sistemi di sopravvivenza viene collegato alle prese sulla schiena. L’aria viene pompata nel casco e convogliata negli stivali e nei guanti attraverso dei tubi, gli unici settori in cui utilizziamo la pressione del gas come supporto. Il rumoroso raffreddamento convenzionale ha ceduto il posto a un nanostrato climatizzato. Esistono gusci aggiuntivi per le articolazioni, simili a quelli delle armature medievali, pero molto piu leggeri e resistenti. Nello spazio si e esposti alla radiazione cosmica, ovunque sfrecciano micrometeoriti; e, sulla Luna, farete la conoscenza della regolite, la polvere lunare. Mentre la mobilita dei vostri piedi non ha nessuna importanza nel vuoto, sulle superfici dei pianeti e decisiva. Per tutti questi motivi le nuove biosuit sono concepite come strutture modulari. Dozzine di elementi possono essere combinate a piacere, velocemente e con poche operazioni. Si respira l’abituale miscela di azoto e ossigeno che forma l’atmosfera terrestre ed e presente anche qui a bordo, percio le lunghe attese nelle camere di decompressione non sono piu necessarie.» Sotto gli occhi attenti del gruppo, Nina inizio a indossare stivali e guanti, aggancio lo zaino coi sistemi di sopravvivenza alla piastra posteriore della tuta e collego i connettori. «’Un gioco da ragazzi’, direbbe Dava Newman, ma attenzione, non provateci da soli. Non mettetemi nelle condizioni di dover raccogliere qualcuno di voi la fuori completamente deformato e
disidratato. Tutto chiaro? Bene! Le biosuit sono facili da usare, in questo contesto devo aggiungere ancora una cosa: se, durante la passeggiata, qualcuno dovesse sentire un certo bisogno... lasciatelo andare. La vostra preziosa pip viene raccolta in uno spesso sacchetto di poliacrilato, quindi nessuno deve temere che gli goccioli giu per le gambe. Questi...» - Nina indico due console sotto i polsi - «sono i comandi per i sedici propulsori nella zona delle spalle e delle anche. Gli astronauti non sono piu attaccati come feti a cordoni ombelicali, ma navigano utilizzando propulsori a reazione. Le accensioni sono brevi e possono essere azionate manualmente o tramite computer. Un’ultima cosa, una novita. Se l’elettronica arriva alla conclusione che avete perso il controllo, verrete stabilizzati automaticamente. I vostri computer di bordo sono collegati in rete col mio e comandati a distanza, quindi non potete perdervi nello spazio.» Tocco un’altra console sulla parte inferiore del braccio. «Qui potete vedere trenta piccoli pulsanti, ognuno con la dicitura PARLARE e RICEVERE. Quindi potete decidere con chi volete comunicare. Avete anche due pulsanti ’generali’: PARLA A TUTTI e ASCOLTA TUTTI. Per fare dichiarazioni d’amore, selezionate il collegamento privato, escludendo tutti gli altri.» Rise. «Qualcuno ha problemi a farsi vedere in biancheria intima? No? Allora via tutta quella roba! Prepariamoci per uscire.» «E le galline?» chiese Mukesh Nair. «Una pessima idea», rispose Julian. «Ne sono rimaste solo quattro. Due continuano persino a fare le uova: cosine rotonde col valore nutritivo di una pallina da golf. Nelle altre, la muscolatura addominale si e atrofizzata troppo per riuscire a espellere ancora qualcosa all’esterno.» «Nascite nello spazio. Spingere! Spingere! Ma con cosa, poi?» commento Eva Borelius. «E la cacca delle galline?» Karla Kramp sembrava affascinata dall’argomento. «Oh, cacano molto piu di quello che vorremmo», sospiro Julian. «Abbiamo cercato di aspirare quella roba, ma bisogna stare attenti a non aspirargli le penne dal culo. Una faccenda delicata. Detto sinceramente, non so proprio allevare galline in assenza di gravita. Non lo gradiscono. Continuano a scontrarsi e devono essere tenute al guinzaglio. Sembrano confuse. Per i pesci, invece... A loro non importa nulla, vivono gia in una sorta di elemento fluttuante. Se volete, possiamo andare a visitare l’allevamento ittico.» «Ma abbiamo ancora qualche freccia al nostro arco», assicuro Kay Woodthorpe, collaboratrice del gruppo di ricerca per i sistemi biorigenerativi, un donnone con la fisionomia di un chihuahua. «Se tutti i tentativi falliscono, proveremo con la gravita artificiale.» «E come pensate di fare? Mettendo l’OSS in rotazione?» chiese Carl Hanna. Julian scosse la testa. «No. Solo il modulo dell’allevamento, staccato e spostato dalla stazione di alcuni chilometri. L’OSS ha una struttura inadatta per una cosa del genere. Per questo servirebbe una ruota.»
«Ma quella ce l’avete gia. Non una ruota vera e propria, ma elementi asimmetrici che...» obietto Tautou. «Lei sta parlando di una sfera di Bernal, amico mio. Quella e un’altra cosa. Io penso a una ruota che giri con la stessa velocita di rotazione della Terra.» Julian corrugo la fronte. «Immagini uno pneumatico o un oggetto cilindrico. Quando ruota, sulla parete interna, quindi di fronte all’asse, si formano forze centrifughe. Si crea una cosa simile alla forza di gravita. Come in una ruota da criceto, potrebbe percorrere una superficie chiusa, perfetta per fare jogging, mentre la gravita diminuisce verso l’asse. Fattibile, in linea di principio. Il problema sono le dimensioni necessarie e la stabilita di una struttura del genere. Una ruota di - diciamo cento metri dovrebbe ruotare intorno al proprio asse una volta ogni quattordici secondi, e probabilmente la gravita sarebbe maggiore al livello dei piedi che al livello della testa, perche il corpo viene accelerato in modo differente. Inoltre, se si fa ruotare una cosa del genere... pensi alle automobili, quando uno pneumatico e fuori convergenza: la macchina sbanda come se fosse indemoniata. E adesso immagini che una cosa come questa capiti a una stazione rotante in cui ci sono persone che vanno avanti e indietro. Sarebbe impossibile che siano sempre distribuite in modo uniforme e le oscillazioni che si verrebbero a creare non sono nemmeno calcolabili: tutti si sentirebbero male, e a un certo momento la struttura potrebbe addirittura spezzarsi...» «Ma voi avete inaugurato l’era dei materiali leggeri. Con l’ascensore potete portare in orbita qualsiasi tipo di massa. Perche non costruirne semplicemente una piu grande e piu stabile?» volle sapere Hanna. «Sarebbe possibile? Come in 2001 - Odissea nello spazio?» si meraviglio Tautou. Julian annu. «Sicuramente. Ho conosciuto Kubrick. Aveva avuto una trovata geniale o, meglio, era stato consigliato bene. Ho sempre sognato di ricostruire la sua stazione nella realta. Quella gigantesca ruota che gira a ritmo di walzer e nella quale si puo camminare. Ma dovrebbe essere davvero enorme. Molti chilometri di diametro, orbita piu alta, schermo rinforzato. In modo che ci sia spazio per un’intera citta con quartieri residenziali, parchi e magari anche un fiume...» «Io trovo gia incredibile questa stazione», disse Sushma Nair al marito, stringendogli il braccio per trasmettergli il proprio entusiasmo. «Guarda che roba, Mukesh. Spinaci. Zucchine!» Stavano fluttuando lungo una parete di vetro alta diversi metri, dietro la quale era visibile una fitta vegetazione: crescevano germogli, penzolavano frutti. «Davvero un’impresa pionieristica, Julian», annu Mukesh. «È riuscito a impressionare profondamente un semplice contadino come me.»
«Proprio come lei ha impressionato il mondo intero», sorrise Julian. Quanta falsa modestia, Nair, penso Hanna. Mentre un piccolo gruppo di coraggiosi esplorava il vuoto, lui, Eva Borelius, Karla Kramp, Bernard Tautou e i Nair stavano visitando, sotto la guida di Julian e di Kay Woodthorpe, le due biosfere, i giganteschi moduli a forma di globo gestiti da coloro che si occupavano di sistemi vitali biorigenerativi e in cui erano in corso esperimenti di agraria e allevamento. Nei sei piani della biosfera A si coltivavano zucchine, cavoli cinesi, spinaci, pomodori, peperoni e broccoli, una piccola Italia di erbe aromatiche, oltre a kiwi e fragole, il tutto popolato da una fauna di zelanti robot che piantavano, concimavano, sfoltivano, tagliavano cime e raccoglievano frutti senza sosta. Hanna non si sarebbe stupito di vedere conigli rinforzati in fibra di carbonio e con le orecchie telescopiche radiocomandate brucare l’insalata e volare via all’avvicinarsi dei visitatori. Alzo la testa. Un livello sopra di lui, sporgevano i rami nodosi di piccoli meli ricoperti di frutti che sembravano duri come sassi. All’inizio, racconto Kay Woodthorpe, avevano avuto problemi enormi. I predecessori delle serre, chiamati «macchine dell’insalata », erano stati poco piu che moduli standard in cui crescevano pomodori e lattuga. Come in pratica ogni creatura vivente, pero, le piante si orientano con la forza di gravita e di conseguenza «sanno» in che direzione protendere le radici e i germogli. La perdita di punti di riferimento aveva quindi portato alla crescita di un groviglio informe e inquietante, a discapito dei frutti, che conducevano una penosa esistenza in mezzo a quelle mostruose radici. Completamente confusi, nel tentativo di aggrapparsi da qualche parte, anche gli spinaci producevano solo escrescenze legnose, finche a qualcuno non era venuta l’idea di sottoporre le coltivazioni a terremoti artificiali, a brevi scosse che inducevano i vegetali e gli ortaggi a cercare un appiglio la dove il terreno tremava, ovvero in basso. «Da allora abbiamo la crescita sotto controllo, e la qualita la potete vedere coi vostri occhi», continuo Kay. «Certo, si tratta di prodotti di serra. Le fragole sono un po’ acquose e i peperoni non sono propriamente da concorso, ma...» «Ma le zucchine sono squisite», intervenne Julian. «S, e anche i broccoli. Persino i pomodori, con nostra grande sorpresa. Non sappiamo ancora esattamente perche alcune specie si sono adattate meglio di altre. In ogni caso, queste serre fanno sperare che in futuro sara possibile chiudere i sistemi di sopravvivenza ancora aperti. Sulla Luna ci siamo quasi.» «Cosa intende con ’chiudere’?» chiese Karla Kramp. «Come sulla Terra. Nulla va perso. La Terra e un sistema chiuso, tutto viene riutilizzato. Immaginatevi la stazione spaziale come una copia in miniatura del nostro pianeta, con risorse limitate di acqua, aria respirabile e carburante. In passato non eravamo in grado di riutilizzare tutte queste risorse e dovevamo sempre fare rifornimento. L’anidride carbonica, per esempio,
si disperdeva all’esterno. Oggi possiamo accumularla nei reattori, riutilizzare l’ossigeno liberato per respirare o miscelarlo con l’idrogeno per produrre acqua, e il resto dell’anidride carbonica puo essere sintetizzato col metano per ottenere carburante. Allo stesso modo, siamo in grado di scomporre l’acqua nei suoi componenti chimici e ripulirla di ogni impurita. Si produce solo una quantita infinitesimale di acque reflue. Il problema piu che altro e realizzare reattori di dimensioni ragionevoli e con un rapporto convincente tra consumi ed efficienza. Ecco perche stiamo tentando i processi di rigenerazione naturali. Le piante servono anche a questo. La nostra piccola foresta tropicale, se volete. Sulla Luna, abbiamo serre piu grandi e siamo a un passo dal creare dei sistemi chiusi.» «Quindi non ci sarebbe mercato per un fornitore d’acqua», rise Tautou. «No, l’OSS e quasi completamente autonoma.» «Hmm, autonoma», ripete Karla. «Potrebbe quasi dichiarare la propria indipendenza. E anche la Luna. A proposito, a chi appartiene la Luna?» «A nessuno. Lo ha stabilito il Trattato lunare», rispose Julian. Le sopracciglia in stile Modigliani di Karla Kramp si sollevarono per la sorpresa. Il suo viso era un ovale pieno di altri ovali. «Per non essere di nessuno, ospita parecchia gente.» «È vero. Bisogna modificare subito il trattato.» «In modo da definirne la proprieta?» «Esatto.» «Quindi darla a quelli che sono arrivati per primi. A quelli che sono gia l. All’America e alla Cina.» «Assolutamente no. Tutti possono partecipare.» «Ma possono davvero partecipare tutti?» Julian sorrise. «Questo, cara Karla, e il nocciolo della questione. » Finn O’Keefe cercava rifugio nelle leggi della fisica. La procedura di vestizione era andata per le lunghe, ma ora finalmente si trovavano, impacchettati e coi caschi in testa, nell’ambiente ermetico della camera di decompressione, uno spazio vuoto illuminato e asettico dai bordi arrotondati. Lungo le pareti correvano delle maniglie e un display forniva informazioni su pressione, temperatura e composizione dell’atmosfera. Nina Hedegaard spiego che quell’accesso era leggermente piu grande degli altri distribuiti in tutta l’OSS. Dopo l’arrivo di Peter Black, il gruppo era adesso composto da otto persone. Un sibilo che si faceva sempre piu impercettibile fece capire che, dalla camera, veniva aspirata l’aria, poi le paratie esterne si aprirono senza far rumore. O’Keefe deglut.
Fisso il vuoto con l’istintiva e primordiale paura di precipitare nell’abisso. Davanti ai suoi occhi si estendeva una parte del tetto. Non sapeva cosa si fosse aspettato di vedere - forse una scaletta, un balcone, una passerella -, ma ovviamente lassu nulla di tutto cio avrebbe avuto senso. Il livello circolare non aveva pavimento: era una struttura aperta di quattrocento metri di diametro, circondata da un anello di acciaio abbastanza massiccio da ospitare dei binari, ed equipaggiato con strumenti e manipolatori. Una griglia a raggiera di strutture portanti congiungeva quel livello coi settori esterni. Al di la brillavano pannelli solari, circolavano radiatori e serbatoi sferici penzolavano dai bracci a forma di gru. Gli accumulatori delle luci di allineamento illuminavano enormi hangar, le incubatrici delle future navi spaziali. Alcuni minuscoli astronauti fluttuavano sotto il gigante d’acciaio e sorvegliavano l’installazione di sedili da parte di bracci robotizzati. Macchine bizzarre, meta uomo e meta insetto, attraversavano lo spazio trasportando componenti con le loro zampe da cavalletta, si aggrappavano alla griglia coi loro organi prensili, effettuavano lavori di saldatura e fissavano i componenti preassemblati. Indubbiamente i loro volti da androide erano ispirati a quello di Boba Fett, il cacciatore di taglie di Guerre stellari, il che induceva a pensare che Julian Orley avesse partecipato alla loro progettazione. Con la sua passione per i film di fantascienza, Julian riusciva sempre a trasformare le citazioni in innovazioni. Oltre la camera di decompressione, il baratro. La struttura verticale dell’OSS si trovava quasi trecento metri sotto O’Keefe e, ulteriormente sotto di essa, a una distanza impossibile da immaginare, c’era la Terra. L’uomo esito, ascoltando i battiti furiosi del suo cuore. Benche fosse consapevole dell’irrilevanza del proprio peso, lanciarsi oltre il bordo gli sembrava una follia, come se dovesse buttarsi da un grattacielo. Fisica, penso. Confida nelle leggi di Dio. Ma lui non credeva in Dio. Accanto a lui, Nina Hedegaard e Peter Black fluttuarono rilassati verso l’esterno e poi si voltarono verso di loro, mostrando le superfici a specchio delle loro visiere. «La prima volta e sempre molto difficile. Ma non potete cadere. Cercate di non pensarci», disse Nina. Colto sul fatto, penso O’Keefe. Un attimo dopo, una poderosa spinta lo fece schizzare oltre il bordo, verso le due guide. Preso alla sprovvista, annaspo in cerca di aria e cerco di opporsi al movimento, ma nulla poteva frenarlo. Sfrecciava nel vuoto, lanciato in un viaggio senza ritorno. Nella sua mente, si formo l’immagine di se stesso che andava alla deriva nel cosmo, scagliato verso il nulla. Inizio a dimenarsi, ma cio contribu solo a renderlo ancora piu ridicolo.
«Guarda un po’, il programma per le signore», disse Laura Lurkin con un sorriso. Il tono sarcastico del commento urto Amber Orley. Aveva saputo da Lynn che la personal trainer responsabile dell’area fitness, un minaccioso donnone con un aspetto da lottatore, le braccia da troll e la voce monotona, non amava particolarmente i turisti spaziali. Il suo atteggiamento si basava sulla convinzione che, al di sopra delle rotte di volo commerciali, i civili fossero solo d’impiccio. Laura Lurkin era un’ex Navy Seal, temprata dal fuoco dei conflitti geopolitici. Quando Olympiada Rogaceva, Miranda Winter, Rebecca Hsu, Omura Momoka e Amber Orley si erano presentate nell’area fitness come una delegazione di mogli di presidenti avide di divertimento, la prima reazione di Laura era stata quella di deriderle, anche se in un tono che poteva essere facilmente considerato affabile. In fondo, il suo compito era quello di tenere in forma i viaggiatori orbitali, non quello di deprimerli. «Devi andarci, Amber! Ti prego! Abbiamo la EVA, la visita del settore scientifico, la presentazione multimediale, e sarei stata piu che felice di distribuire quelle stupide donne in uno dei tre gruppi, ma loro volevano il programma di bellezza. È gia un sollievo esserci liberate di Paulette, ma...» «In realta, avrei preferito partecipare alla tua presentazione, Lynn.» «Lo so. Mi dispiace, credimi. Ma qualcuno deve dare a quelle quattro donne la sensazione di essere benvenute, qui. Proprio come sono benvenuti tutti quelli che, da un viaggio in orbita, si aspettano qualcosa di piu che una bella sudata, un peeling e una pulizia del viso. L’avrei fatto io, ma non posso.» «Accidenti, Lynn. Devo proprio? Io e Tim...» «Ti considerano un membro della famiglia. Uno dei padroni di casa.» «Non lo sono affatto.» «Ai loro occhi, s. Sei una Orley. Ti prego, Amber!» Quel tono implorante... «E va bene, d’accordo. Ma nel pomeriggio mi fai partecipare alla seconda passeggiata spaziale.» «Oh, Amber, fatti dare un bacio! Puoi passeggiare fino a Giove, ti preparo i panini con le mie mani. Grazie!» Quindi eccola l, nel programma per le signore. L’area fitness comprendeva due moduli di forma ellittica, simili ai moduli abitativi. La parte superiore ospitava una sauna, anche se priva di panche di legno, sostituite da maniglie e occhielli per le mani e i piedi e ampie finestre, nonche una sauna di vapore, dalle pareti della quale si potevano osservare le stelle che brillavano come centinaia di lampadine. Nella caverna di cristallo si poteva fluttuare in una pioggia di goccioline ghiacciate che venivano spruzzate nell’ambiente e poi aspirate; nell’area relax si poteva ascoltare musica celestiale,
leggere o sonnecchiare. Un piano piu in basso facevano bella mostra di se gli attrezzi per il fitness, i locali per i massaggi e mani vigorose pronte a intervenire sulle schiene stressate di quegli astronauti part time. «... inaccettabile nello spazio!» stava dicendo Laura Lurkin. «L’assenza di gravita e una bella cosa, ma nasconde tutta una serie di rischi non trascurabili, se ci si resta troppo a lungo in questa condizione. Avrete gia notato alcuni piccoli cambiamenti nel vostro fisico. Il riscaldamento della testa e del torace, per esempio. Subito dopo la scomparsa della gravita, piu di mezzo litro di sangue sale dalle regioni periferiche del corpo al torace e alla testa. Le guance si tingono di rosa e il viso si gonfia leggermente, un fenomeno che gli astronauti chiamano puffy face e che e piuttosto gradevole, dato che fa sparire le rughe e vi fa apparire piu giovani. Purtroppo e di breve durata. Al vostro ritorno sulla Terra, la gravita tirera i tessuti verso il basso, come sempre. Quindi godetevelo, finche potete.» «Ho le gambe gelate. È normale?» chiese Rebecca Hsu con aria diffidente, avvolta nel suo accappatoio come una palla di spugna. «Ma certo. In seguito alla ridistribuzione dei liquidi corporei le gambe sono un po’ fredde. Ci si abitua, proprio come agli accessi di sudore e alla temporanea perdita dell’orientamento. Ho sentito che una di voi la sta vivendo un po’ male...» Miranda annu. «Madame Tautou. Mamma mia! Quella poveretta deve continuamente...» Abbasso la voce. «Insomma, le esce da sopra e da sotto...» Laura annu. «Mal di spazio. Non c’e nulla di cui vergognarsi, anche gli astronauti piu esperti ne soffrono. Qualcun altro avverte dei sintomi?» Olympiada Rogaceva alzo timidamente una mano. Dopo qualche secondo, anche Momoka Omura alzo il dito indice per riabbassarlo subito dopo, dicendo: «Ma niente di che». «Allora, nel mio caso, e il senso dell’equilibrio a essere un pochino sottosopra», borbotto Rebecca. «Anche se in realta sono abituata al mare.» «Io sono contenta se resta tutto dentro», sospiro Olympiada. Laura sorrise. Ovviamente era stata messa al corrente del fatto che la russa aveva un grave problema con l’alcol. A dire il vero, Olympiada Rogaceva non avrebbe nemmeno dovuto essere l ma, durante i quattordici giorni del programma di addestramento, aveva bevuto solo te, mettendo a tacere tutti gli scettici. Evidentemente riusciva a sopravvivere anche senza vodka e champagne. «Al massimo entro dopodomani sarete immunizzate. Ma quello cui nessuno puo sottrarsi sono le modifiche fisiologiche a lungo termine. In assenza di gravita, la massa muscolare si riduce. Le vostre cosce si riducono, il cuore e la circolazione sanguigna sono sottoposti a sollecitazioni estreme. Per questo praticare sport tutti i giorni e un obbligo per gli astronauti: ergometro, ginnastica, sollevamento pesi... il tutto ben legati con le cinghie ovviamente. Nelle
missioni piu lunghe e stata inoltre riscontrata una sensibile riduzione della consistenza ossea, specialmente nell’area della colonna vertebrale e delle gambe. Il corpo perde fino al dieci per cento di calcio in sei mesi di permanenza nello spazio, si verificano disturbi del sistema immunitario, le ferite cicatrizzano piu lentamente... tutti effetti collaterali vergognosamente occultati da Perry Rhodan. Voi trascorrerete solo pochi giorni in assenza di gravita, eppure vi consiglio vivamente di non trascurare l’attivita fisica. Con cosa vogliamo cominciare? Canottaggio, cyclette, jogging?» Momoka fisso Laura come se avesse perso la ragione. «Niente di tutto questo. Voglio fare la sauna!» «Avra la sua sauna», replico Laura, come se stesse parlando con una bambina capricciosa. «Ma prima un po’ di fitness, okay? A bordo delle stazioni spaziali funziona cos. È l’istruttore ad avere l’ultima parola.» Amber si stiracchio. «Bene. Io scelgo l’ergometro.» «E io la cyclette!» esclamo Miranda, divertita. Momoka fece una smorfia, come se le fosse stato fatto un torto. «Un ergometro e una cyclette. Si puo almeno nuotare, in questo posto?» Laura allargo le braccia muscolose. «Certo, come no? Se trova un modo per trattenere l’acqua nella vasca con una gravita pari a zero, possiamo parlarne.» «E quello?» Rebecca indico una macchina appesa al soffitto sopra di lei. «Sembra uno stepper.» «Bingo! Allena glutei e cosce.» «Perfetto.» Momoka sfilo l’accappatoio. «Non bisogna lasciarsi sfuggire nessuna occasione per opporsi alla decadenza. La situazione e gia abbastanza drammatica. Ormai ho l’impressione che solo le calze contenitive impediscano un’espansione incontrollata del mio fisico.» Avendo visto Rebecca in TV e sui giornali, Amber sollevo un sopracciglio. Senza dubbio, negli anni passati, quella donna aveva messo su parecchi chili, ma la sua pelle era liscia e tesa come un palloncino. Cosa aveva detto Laura a proposito delle puffy faces? Perche l’effetto doveva limitarsi solo al viso? Ovviamente, in assenza di gravita, gli avambracci flosci non tremolavano, i seni si sollevavano e tutto si faceva piu rotondo e piu sodo. «Non si preoccupi. Ha un aspetto fantastico», disse. «Per la sua eta», aggiunse Momoka con sufficienza. Con l’aiuto di Laura Lurkin, Rebecca Hsu si aggancio allo stepper e sorrise ad Amber dall’alto. «Grazie ma, quando arrivi al punto che i paparazzi devono avvicinarsi in elicottero per riuscire a scattarti una fotografia a figura intera, devi guardare in faccia alla realta. Pubblicizzo preparati anticellulite miracolosi dei marchi cosmetici piu rinomati del mondo pero, se
uno mi da una sberla sul sedere, deve aspettare un quarto d’ora prima che smetta di ondeggiare.» Inizio a pestare sui pedali come un viticultore nella tinozza, mentre Miranda e Amber ridevano come pazze. La mimica facciale di Momoka attraverso un’ampia gamma di variazioni, pero, alla fine, anche lei si mise a ridere. Qualcosa - forse un’occulta, inconfessata paura - si sciolse e tutte iniziarono a roteare per la stanza, in preda a un attacco di ridarella. Laura Lurkin attese, indulgente, con le braccia incrociate sul petto, quindi disse: «Sono felice che siamo d’accordo». «Fuori di qui.» Le parole di Heidrun, seguite da una vivace risata. Quella era stata l’ultima cosa che O’Keefe aveva sentito prima di essere scagliato fuori dalla camera di decompressione. Heidrun, quella stronza! Frank Poole, lo sfortunato astronauta di 2001 - Odissea nello spazio, era stato vittima di un computer paranoico; lui invece di una pericolosa donna svizzera. Le sue dita afferrarono i comandi dei propulsori. Il primo impulso arresto il volo; il secondo, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto riportarlo verso il portello, inizio a farlo roteare su se stesso. «Molto bene.» La voce di Nina risuono come se lei fosse seduta in un angolo all’interno del suo casco. «Riflessi notevoli per un principiante.» «Non mi prenda in giro», ringhio lui. «No, sul serio. Pensa di riuscire anche ad arrestare il movimento rotatorio?» «E perche mai? È cos divertente!» rise Heidrun. «Ehi, Finn, dovresti cercarti un satellite che ti giri intorno.» Stava girando in senso orario. Quindi doveva azionare il propulsore di destra. Funziono. All’improvviso, si ritrovo sospeso nel vuoto, immobile, e vide gli altri uscire dalla camera di decompressione uno alla volta, come relitti alla deriva. La nuova generazione di tute spaziali aveva il vantaggio di non uniformare l’aspetto di coloro che le indossavano. Lasciavano intuire chi si nascondeva all’interno, anche se i volti erano irriconoscibili a causa delle visiere a specchio. Con la sua armatura da guerriero stellare, Heidrun era riconoscibile per l’aspetto da elfo anoressico. Se avesse potuto, le avrebbe dato un calcio. «Te la faccio pagare », mormoro. Poi gli venne da ridere. «Ma Perry! Mio eroe!» Continuo a ridacchiare e fin per inclinarsi troppo su un lato, ritrovandosi a testa in giu. Qualcun altro - forse Locatelli, Edwards o Mimi - cercava di riguadagnare l’entrata della camera di decompressione. Una terza persona roteava le braccia nel vuoto. Nulla di tutto cio sembrava il frutto di una volonta precisa. A parte Nina e Black, solo un membro del gruppo pareva controllare i propri movimenti; infatti descrisse un semicerchio e si fermo accanto alle guide. O’Keefe non dubito nemmeno un secondo che si trattasse di Rogacev.
Poi tutti vennero riportati nello stesso punto, come se fossero stati guidati da una mano fantasma. Black rise. «Inquietante, vero? Navigare nel vuoto e un’esperienza che non ha paragoni. Non c’e attrito, non ci sono correnti, non c’e contropressione. Una volta in movimento, segui la tua traiettoria finche non interviene un impulso contrario abbastanza forte da fermare la corsa o finche non entri nell’area d’influenza di un corpo celeste che ti trasforma in una stella cadente o in un proiettile destinato a produrre un bel cratere. Maneggiare i propulsori richiede un’esperienza che voi non avete. Ecco perche, a partire da questo istante, non dovete piu preoccuparvi di niente. Passiamo al controllo remoto. Per i prossimi venti minuti, sarete come su un raggio traente, il che significa che potete rilassarvi e godervi il panorama.» Si diressero in modo spedito verso la piattaforma artificiale e la nave spaziale in costruzione, che fluttuava tra i piloni delle luci di allineamento. «Naturalmente cerchiamo di ridurre l’EVA al minimo indispensabile », spiego Nina. «Ormai le previsioni per le tempeste solari sono abbastanza affidabili, quindi ne teniamo conto durante la pianificazione delle uscite. Peraltro nessun astronauta esce senza dosimetro. Se dovessero verificarsi eruzioni inaspettate, ci sarebbe tempo sufficiente per rifugiarsi all’interno della stazione. Inoltre, lungo le pareti esterne dell’OSS, si trovano dozzine di storm shelters, di nicchie rifugio schermate. Tuttavia nemmeno la tuta spaziale piu sofisticata alla lunga protegge dai danni delle radiazioni, dunque, per l’attivita esterna, si utilizzano prevalentemente robot.» «Quelle cose volanti?» disse Locatelli con voce tremante, indicando due macchine prive di gambe che incrociavano la loro traiettoria a breve distanza. «Sembrano maledetti alieni.» «S, e davvero sorprendente. Dopo essersi emancipata dalla fantascienza, la realta ora torna a riconsiderarne le idee. Abbiamo per esempio capito che, in alcuni casi, le macchine antropomorfe sono piu adatte dei loro creatori.» «Creare a propria immagine. Come ci ha insegnato il Grande Capo seimila anni fa», disse Mimi Parker. Era stata una frase pronunciata con disinvoltura, ma O’Keefe ne rimase parecchio colpito e decise che ci avrebbe riflettuto in seguito. Il gruppo descrisse un’ampia curva e si diresse verso la nave spaziale. Aggrappato come una zecca al rivestimento esterno, c’era un automa. Le due estremita principali scomparivano dentro un portello aperto, dove evidentemente stavano installando qualcosa; due braccia piu piccole all’altezza del busto tenevano a portata di mano altri componenti. Due fessure di vetro nero che fungevano da organi visivi decoravano il lato anteriore della testa a forma di casco. «Quei cosi sono capaci di pensare?» chiese Heidrun.
«Sono capaci di fare calcoli», rispose Nina. «Sono robot della serie Huros-ED, acronimo di Humanoid Robotic System for Extravehicular Demands. Precisissimi, totalmente affidabili. Finora c’e stato un solo incidente che ha coinvolto un Huros-ED, ma non e stato lui a provocarlo. In seguito, nei loro circuiti elettronici, e stato inserito un programma per il salvataggio. Li utilizziamo per i compiti piu disparati, dalla manutenzione alla riparazione e alla costruzione. Se doveste essere scagliati nello spazio, avreste buone possibilita di essere raggiunti da un Huros e riportati alla stazione sani e salvi.» Salirono in verticale lungo uno dei piloni illuminati e proseguirono oltre, lasciandosi la nave spaziale alle spalle. «Gli shuttle impiegano dai due ai tre giorni per raggiungere la Luna», continuo Nina. «Come vedrete, sono veicoli confortevoli, ma vi sfido a immaginare come sarebbe raggiungere Marte su un affare del genere. Sei mesi chiusi in una scatola sarebbero un vero incubo. Gli esseri umani non sono macchine: hanno bisogno di contatti sociali, di privacy, di spazio, di musica, di cibo gustoso, di un design piacevole, di nutrimento per i sensi. Per questo, la nave spaziale che qui stiamo costruendo non e paragonabile a nessun altro tipo di veicolo. Una volta finita, avra dimensioni eccezionali... Ecco, quello e l’elemento che costituisce lo scafo, lungo quasi duecento metri. Per la precisione, si tratta di singoli moduli collegati tra loro, in parte nuovi, in parte ricavati dai serbatoi esausti dei vecchi Space Shuttle. Una volta assemblati, vanno a formare il settore di lavoro e di comando. Ci saranno laboratori e sale riunioni, serre e impianti di depurazione. I moduli dormitorio e i moduli per l’addestramento ruoteranno su bracci centrifughi intorno allo scafo per creare una debole gravita artificiale, simile a quella presente su Marte. Nella fase successiva, sulla sezione anteriore e posteriore della struttura principale verranno aggiunti piloni lunghi diverse centinaia di metri.» «Diverse centinaia di metri?» le fece eco Heidrun. «Accidenti! Quanto diventera lungo questo affare?» «Si parla di un chilometro, senza contare i pannelli solari estensibili e i generatori. Circa due terzi della lunghezza saranno occupati dal pilone sulla parte anteriore, nella punta del quale verra alloggiato un reattore nucleare per la propulsione. Ecco perche ha questa forma eccentrica. I moduli abitativi devono trovarsi ad almeno settecento metri dalla fonte delle radiazioni.» «E quando dovrebbe avvenire questo viaggio?» volle sapere Edwards. «Le stime piu realistiche parlano del 2030. A Washington piacerebbe un po’ prima. Non c’e solo una corsa alla Luna. Gli Stati Uniti faranno di tutto per...» «... prendere possesso anche del pianeta rosso», concluse Rogacev. «È ovvio. Orley ha affittato l’intero hangar agli americani? »
«Solo una parte. Altri settori della stazione sono affittati ad americani, a tedeschi, francesi, indiani e giapponesi. Anche a russi. Tutti hanno stazioni di ricerca quassu.» «I cinesi no?» «No. Loro no.» Rogacev non fece commenti. Il loro volo prosegu oltre l’hangar verso l’anello esterno con le sue officine e i manipolatori. Nina richiamo la loro attenzione sulle estremita di alcuni piloni, dalle quali fuoriuscivano sagome sferiche. «È il sistema di regolazione della posizione e della traiettoria. I serbatoi sferici alimentano i propulsori direzionali, che consentono di abbassare, alzare o spostare la stazione in caso di necessita.» «A che scopo? Pensavo che dovesse restare sempre esattamente a quest’altezza», disse O’Keefe. «In effetti e cos. D’altra parte, se un meteorite o un rottame particolarmente voluminoso entra in rotta di collisione con la stazione, dobbiamo essere in grado di correggere la traiettoria. In genere, lo sappiamo con settimane di anticipo. Di solito, basta un prolungamento in verticale; altre volte invece ha piu senso scostarsi di lato.» «Allora e per questo che la stazione di ancoraggio sulla Terra e un’isola galleggiante! Per potersi spostare in modo sincronizzato con l’OSS!» esclamo Mimi Parker. «Proprio cos», annu Nina. «Pazzesco! E succede spesso un bombardamento simile?» «Sono eventi piuttosto rari.» «E le traiettorie di tutti questi oggetti sono note?» s’intromise O’Keefe. Black esito. «A dire il vero, no. Solo quelle degli oggetti piu grandi. Di oggetti piccoli di cui non siamo a conoscenza ce ne sono milioni: nanoparticelle, micrometeoriti...» «E cosa succede se una cosa del genere centra la mia tuta?» Improvvisamente la voce di Edwards rivelo che lui avrebbe preferito tornare subito all’interno della stazione. «In quel caso, ci si ritrova con un buco in piu, in una posizione non imbarazzante», disse Heidrun. «No, la tuta spaziale e in grado di resistere all’urto», rispose Black. «Le protezioni fermano le nanoparticelle e, se proprio si formasse un buco grande come la capocchia di uno spillo nella tuta, non succederebbe niente. Il tessuto contiene uno strato di fibra sintetica, le cui catene di molecole si chiudono non appena il materiale raggiunge il punto di fusione, il che accade sempre in caso d’impatto di un micrometeorite, a causa del calore prodotto dall’attrito. Potreste riportare una piccola ferita, ma non piu grave di quella che vi procurereste pestando un riccio di mare o facendovi graffiare da un gatto. La possibilita d’imbattersi in un micrometeorite e molto piu bassa di quella di essere sbranati da uno squalo.»
«Molto tranquillizzante», commento Locatelli con voce roca. Il gruppo aveva oltrepassato il bordo esterno dell’anello e ora costeggiava il profilo di un’altra struttura a griglia. A O’Keefe sarebbe piaciuto voltarsi: da l la vista sul tetto doveva essere fantastica... Ma la sua tuta spaziale era come un cavallo che conosceva la strada e procedeva per conto suo. Davanti a lui si stagliava una schiera di oscuri uccelli luccicanti, con un’apertura alare di dimensioni mitiche, che facevano la guardia a quella macchia di civilizzazione nello spazio. Al di la dei pannelli solari che fornivano l’energia alla stazione, c’era solo lo spazio profondo. «Questa parte dovrebbe interessarla in modo particolare. È roba sua, Mr Locatelli!» disse Black. «Con la tecnologia solare convenzionale, avremmo dovuto installare un numero di pannelli dalle quattro alle cinque volte superiore.» Locatelli ammise che era proprio cos, poi aggiunse altro ma, per qualche motivo, la sua voce giungeva a O’Keefe come un groviglio di suoni gutturali. Gli parve di sentirlo pronunciare le parole «rivoluzione», «umanita» e «piera miare», che probabilmente era «pietra miliare». «Puo esserne davvero fiero», esclamo Black. «Mr Locatelli?» L’uomo sollevo entrambe le braccia, come se volesse dirigere un’orchestra. Dalla gola gli uscivano sillabe incomprensibili. «È tutto a posto?» Locatelli emise un gemito. Poi si ud il suono strozzato dei conati di vomito. «B-4, interruzione», disse Nina con tranquillita. «Warren Locatelli. Lo accompagno al portellone. Voi proseguite come previsto.» Mukesh Nair stava raccontando che, quand’era ancora studente, avevano trovato suo zio impiccato a una trave del tetto della sua capanna, nel villaggio di Loni Kalbhor. All’epoca, i suicidi dei contadini erano all’ordine del giorno: una delle drammatiche conseguenze della crisi agraria. Mukesh aveva vagato a lungo per i campi di canna da zucchero, chiedendosi come contrastare il flusso delle importazioni a basso costo dalle cosiddette nazioni sviluppate - dove l’agricoltura godeva di generose sovvenzioni -, che inondavano il mondo intero di frutta e verdura a prezzi stracciati, mentre gli agricoltori indiani spesso non trovavano vie d’uscita dalla spirale dei debiti se non togliersi la vita. Poi aveva riflettuto sulla globalizzazione, pensando che non dovesse essere intesa come un processo messo in moto e controllato arbitrariamente dai politici e dalle aziende, come un interruttore che si poteva accendere e spegnere a piacere. La globalizzazione non era la causa, ma la forma contemporanea di un’idea vecchia come il mondo, cioe quella dello scambio di conoscenze e di merci. Rifiutarla sarebbe stato tanto ingenuo quanto incolpare il maltempo per un raccolto perduto. Dal giorno in cui gli uomini si erano spinti nei territori di altri uomini per commerciare o fare la guerra, l’obiettivo era sempre stato quello di partecipare
all’«evento» per trarne il massimo vantaggio possibile. La miseria dei piccoli agricoltori non era quindi imputabile a un sinistro patto tra gli Stati del Primo Mondo, ma all’incapacita dei governanti di Nuova Delhi di valorizzare il proprio Paese. E uno dei punti di forza dell’India era proprio la sua possibilita di fornire cibo al mondo, benche storicamente fosse sempre stata considerata una nazione oppressa dalla fame. Insieme con un gruppo di persone, Nair aveva dunque lanciato la «Rivoluzione Verde». Era andato di villaggio in villaggio, aveva dato speranza ai contadini, sollecitandoli ad abbandonare la coltivazione della canna da zucchero per passare ai pomodori, alle melanzane e alle zucchine; li aveva riforniti di sementi e concimi; li aveva istruiti sulle nuove tecnologie; aveva procurato crediti vantaggiosi per liberarsi dai debiti; aveva assicurato quote di acquisto minime e aveva consentito di partecipare ai guadagni della catena di supermercati che aveva appena fondato e che aveva chiamato «Tomato», come il suo ortaggio preferito. Grazie alla moderna tecnica di refrigerazione e a una logistica impeccabile, i beni deperibili passavano dai campi ai supermercati Tomato con una tale velocita da far apparire ogni prodotto importato vecchio e ammuffito. Prima, i contadini potevano solo scegliere se lavorare come braccianti o appendersi al soffitto; adesso, si erano trasformati in imprenditori. La Tomato aveva avuto un autentico boom, le filiali erano spuntate come funghi e il numero dei contadini era cresciuto di giorno in giorno. E cos, pian piano, anche l’India aveva iniziato a risollevarsi. «Gli abitanti delle nostre metropoli oppresse dal caldo e infestate dai microbi hanno amato subito i nostri negozi, climatizzati e puliti», spiego Nair. «Ovviamente la concorrenza perseguiva obiettivi simili, in parte anche grazie agli aiuti di multinazionali straniere, pero io l’ho sempre considerata non alla stregua di un nemico ma di un alleato. Nei momenti decisivi eravamo sempre in netto vantaggio.» La Tomato si era diffusa ovunque, anche perche Nair aveva assorbito la maggior parte dei concorrenti. Poi, mentre i prodotti agricoli indiani venivano esportati negli angoli piu remoti del pianeta, Nair aveva scoperto un nuovo campo di attivita, ed era entrato nel settore della genetica, procurando alle regioni costiere del suo Paese - costantemente minacciate dalle inondazioni - una varieta di riso resistente all’acqua salata. «Ed e proprio questo che ci rende cos simili», disse Julian. Stavano osservando un piccolo robot addetto alla raccolta: coi suoi organi da presa, sottili come filigrana, staccava pomodori ciliegini dai rami e li aspirava al suo interno prima che rotolassero via. «Prenderemo possesso del cosmo, colonizzeremo la Luna e Marte. Forse non velocemente come avevamo sognato, tuttavia accadra, anche perche esistono moltissimi validi motivi per cui e bene che questo avvenga. Stiamo assistendo all’alba di una nuova era, nella quale la Terra sara solo uno dei molti luoghi in cui vivere e installare industrie.» Julian fece
una pausa, quindi riprese: «Tuttavia, caro Mukesh, ci vorra parecchio tempo prima che lei si possa arricchire con gli ortaggi coltivati al di fuori del globo terrestre. La strada per la filiale della Tomato su Marte e ancora lunga. Quanto a lei, Bernard, potra rifornirci di acqua sulla Luna - un elemento indispensabile per ogni progetto -, ma non guadagnera molto. E veniamo al suo lavoro, Eva: i lunghi soggiorni nello spazio, sulla Luna e sulla superficie di altri pianeti presentera alla medicina sfide completamente nuove, senza dubbio. Tuttavia inizialmente la ricerca restera un campo secondario, che avra bisogno di finanziamenti. Io ho finanziato il programma spaziale americano per implementare l’estrazione della piu importante risorsa per un approvvigionamento energetico pulito e duraturo e ho sovvenzionato lo sviluppo dei reattori necessari. Tutto cio che rivoluziona il mondo all’inizio richiede finanziamenti. Tu, Carl, hai guadagnato una fortuna con investimenti oculati nel settore dei combustibili fossili, per poi passare alla tecnica fotovoltaica, ma nello spazio con queste nuove tecnologie al momento non e ancora possibile raggiungere fatturati interessanti. Perche allora dovreste investire nell’Orley Enterprises?» Tutti lo fissarono, in attesa. «Ve lo spiego io. Perche ci unisce qualcosa che va oltre quello che produciamo, finanziamo e sviluppiamo: la preoccupazione per il benessere della collettivita. Eva e riuscita a coltivare in vitro pelle, nervi e muscoli cardiaci di origine artificiale. Da un punto di vista commerciale, e sicuramente un buon affare, ma questo e solo un aspetto della questione. In primo luogo, infatti, il suo lavoro ridona speranza alle persone a rischio d’infarto, ai malati di cancro e agli ustionati. Bernard ha regalato ai poveri di tutto il mondo l’accesso all’acqua potabile. Mukesh ha offerto una nuova prospettiva di vita ai contadini indiani e ha nutrito il mondo. Gli investimenti di Carl nelle energie rinnovabili hanno contribuito a rendere possibile il loro uso intensivo... E sapete qual e il mio sogno? S che lo sapete. Da quando gli esperti hanno iniziato a pensare a tecnologie di fusione pulite e prive di rischi, a come portare il combustibile del futuro, l’elio-3, dalla Luna alla Terra, coltivo il sogno di rifornire il nostro pianeta con questa nuova energia inesauribile. Ho dedicato molti anni a tale impresa, a sviluppare reattori adatti e costruire il primo ascensore spaziale funzionante, per dare all’umanita una rampa di lancio verso lo spazio. L’ho fatto investendo, apparentemente in perdita, molto denaro. E adesso...» Sorrise compiaciuto e tacque per alcuni secondi. «L’idealismo ha pagato. Adesso voglio guadagnarci, e lo faro. Tutti voi potete guadagnarci con me. Investendo nell’Orley Enterprises, la piu importante azienda tecnologica del mondo. Sono le persone come noi che fanno progredire o regredire quel meraviglioso pianeta che si trova trentaseimila chilometri sotto i nostri piedi. Sta a noi. Se uniamo le forze, forse non venderete piu ortaggi, acqua o medicine, ma parteciperete al gruppo industriale misto piu grande del pianeta. Gia domani l’Orley Energy conquistera la leadership del settore energetico, coi suoi reattori a fusione e con la sua
corrente ecologica. L’Orley Space accelerera la conquista del Sistema Solare a vantaggio dell’intera umanita con altri ascensori spaziali e stazioni orbitali; poi, insieme con l’Orley Travel, sviluppera il turismo spaziale. Credetemi: ne varra la pena! Tutti vogliono andare in orbita, tutti vogliono andare sulla Luna, su Marte e anche oltre, gli individui come le nazioni. All’inizio del millennio, pensavamo che il sogno fosse finito. Invece eravamo solo all’inizio, cari amici. Tuttavia solo pochissimi Paesi dispongono della tecnologia necessaria e, in questo campo, l’Orley e inarrivabile. Sono le nostre tecnologie di cui il mondo intero ha bisogno. E tutti, senza eccezioni, pagheranno il prezzo richiesto.» «S, s!» esclamo Nair conquistato. Hanna annu e sorrise. Tutti pagheranno il prezzo richiesto... Tutto cio che Julian aveva appena detto, con la sua abituale eloquenza e forza di persuasione, nelle sue orecchie si era ridotto a quell’ultima frase. Esprimeva alla perfezione le conseguenze della ritirata dei governi dal processo di globalizzazione, della conquista dell’autonomia da parte del settore economico, della privatizzazione della politica: si era creato un vuoto, che si era riempito di uomini d’affari. Julian aveva definito il futuro come una merce. I giorni successivi non avrebbero cambiato nulla da quel punto di vista, anzi. Il mondo stava per essere venduto un’altra volta. Ma in modo completamente diverso da come immaginava Julian Orley. «Eccomi di ritorno», cinguetto Heidrun. «Oh, mein Schatz, tesoro mio!» I baffi di Ögi si drizzarono per l’entusiasmo. «Sana e salva e tutta intera. Com’e stato?» «Fantastico! Quando ha visto i suoi pannelli solari, Locatelli ha vomitato.» Si avvicino per dargli un bacio. L’azione provoco subito la reazione, facendola allontanare lentamente. Afferro uno schienale e si protese di nuovo in avanti. «Vuoi dire che Warren soffre di mal di spazio?» chiese Lynn. «S, e stato magnifico! Nina lo ha riportato indietro e, dopo, il nostro giro e stato davvero piacevole.» Heidrun era raggiante. «Mah, non so.» Donoghue fece una smorfia. Troneggiava nel vuoto con sublimita falstaffiana, il viso gonfio e le guance arrossate, i capelli arruffati come se nel suo cuoio capelluto vivesse un animale domestico. «Se uno vomita nel casco, a me sembra una cosa pericolosa.» «Non devi uscire per forza, se non vuoi», lo punzecchio Aileen. «Sciocchezze. Non intendevo che...» «Hai sessantacinque anni, Chucky. Non devi partecipare proprio a tutto.» «Ho solo detto che sembra pericoloso!» brontolo lui. «Non che ho paura di farlo. Andrei la fuori anche a cent’anni! A proposito di eta, la sapete quella della coppia di vecchietti che van-
no in tribunale per divorziare?» «Divorziare! Avanti, racconti», esclamo Haskin, gia pregustando la battuta finale. «Allora, i due vanno dal giudice, che guarda in faccia la donna e dice: ’Santo cielo, ma lei quanti anni ha?’ ’Oh, novantacinque’, risponde lei. Poi il giudice si rivolge al marito: ’E lei?’ Quello risponde: ’Novantotto’. Allora il giudice esclama: ’Non ci posso credere. Perche mai volete divorziare a quest’eta?’ ’Sa, vostro onore...’» Tim digrigno i denti. Non ce la faceva piu. Erano piu di due ore che Chucky non faceva altro che raccontare barzellette. «’... volevamo aspettare che i nostri figli fossero morti.’» Haskin fece una capriola. Ovviamente tutti risero. In fondo, la barzelletta non era cos terribile, non abbastanza da fornire un pretesto a Tim per incolpare Chuck Donoghue per il suo umore apocalittico. In quel momento, si accorse che Lynn stava seduta in un angolo, come impietrita, come se non fosse veramente l. Il suo sguardo si spegneva a pochi centimetri dalla sua faccia. Era palese che non recepiva nulla di quello che accadeva intorno a lei. Poi, di colpo, la donna si mise a ridere. Posso sbagliarmi, penso Tim. Non significa per forza che sta ricominciando tutto da capo. Heidrun si guardo intorno con curiosita. «E voi cosa avete fatto, nel frattempo? Avete studiato il modello della stazione?» «S, e sarei in grado di ricostruirla seduta stante», si vanto Ögi. «Una costruzione imponente. Sono davvero impressionato dagli standard di sicurezza.» «Perche?» chiese Lynn. «Dopo la privatizzazione del programma spaziale, molti temevano che i lavori venissero fatti con una certa superficialita.» «Se questo fatto la preoccupasse davvero, lei non sarebbe qui.» Ögi rise. «Anche questo e vero. Comunque siete stati veloci. Incredibilmente veloci. Aileen e Chuck potrebbero cantarle una canzone con tutte le normative edilizie, le perizie e i documenti da produrre...» «Una canzone? Un’intera opera!» brontolo Chucky. Aileen gli diede man forte. «Quando abbiamo progettato il Red Planet, ci hanno detto che il progetto era irrealizzabile. Un esercito di vigliacchi. Ci sono voluti dieci anni dagli schizzi all’inizio dei lavori... e anche dopo non ci hanno lasciato in pace. » Il Red Planet era il fiore all’occhiello dei Donoghue, un resort di lusso a Hanoi in cui era stato riprodotto l’ambiente marziano. «Oggi e considerato un’opera d’arte», esclamo Aileen, trionfante. «Nei nostri alberghi non c’e mai stato il minimo incidente! Ma e cos che vanno le cose. Se progetti qualcosa di nuovo e d’innovativo, ti si avventano addosso come zombie e cercano di divorare te, il tuo entusiasmo, le tue idee e l’inventiva che ti ha concesso il Creatore. Sei convinto di esserti
conquistato una certa reputazione, ma non e cos. È come se tutta la tua vita non contasse nulla. I loro occhi sono morti, i loro crani sono pieni solo di leggi.» Accidenti, penso Tim. Ögi si massaggio il mento. «S, s. Capisco benissimo. Ma proprio per questo sono un tantino scettico. Avete costruito la stazione in tempo record. Una simile velocita e... sospetta, specialmente se pensiamo alla piu piccola ISS, per la quale ci e voluto molto piu tempo.» «Mi sta chiedendo una spiegazione?» «Forse la sto irritando...» «Lei non mi irrita affatto, caro Walo. La pressione della concorrenza e la madre di ogni sciatteria. Solo che l’Orley Space non ha concorrenti. Non abbiamo avuto bisogno di essere piu veloci di qualcun altro.» «Hmm...» «Siamo stati veloci grazie a una pianificazione perfetta. Alla fine, l’OSS si e costruita quasi da sola. Non avevamo l’obbligo di mettere d’accordo una dozzina di autorita spaziali, notoriamente di manica stretta, ne di attraversare le paludi della burocrazia. Avevamo un unico partner, gli Stati Uniti d’America, che avrebbero venduto anche il Lincoln Memorial pur di liberarsi dalla trappola dell’approvvigionamento energetico. Il nostro accordo era molto semplice: l’America avrebbe costruito la sua base lunare e fornito la tecnologia per l’estrazione dell’elio3; noi avremmo fornito reattori concorrenziali, un sistema di trasporto economico ed efficiente per raggiungere il satellite e, elemento non trascurabile, un sacco di soldi. Ottenere l’autorizzazione dal Congresso e stato una passeggiata. Prospettive grandiose per tutti! A noi il monopolio nel settore dei reattori, a loro la riconquista della leadership dei voli spaziali e la soluzione di tutti i problemi energetici. Mi creda, caro Walo, con prospettive del genere non si puo che essere veloci.» «Quando ha ragione, ha ragione», sbotto Donoghue con voce tonante. «Quando mai la questione e se si puo costruire qualcosa? Alla fine, e sempre e solo una questione di soldi.» Aileen annu, convinta. «E di zombie. Ci sono zombie ovunque. » Evelyn Chambers alzo una mano. «Scusa, Lynn. Probabilmente hai ragione, tuttavia non siamo qui per incensarci a vicenda. Si tratta d’investimenti. Il mio investimento e la mia credibilita, percio a mio avviso dovremmo giocare a carte scoperte, non pensi?» Tim osservo la sorella. Era evidente che non sapeva dove Evelyn volesse andare a parare, eppure manteneva un atteggiamento aperto e interessato. «Naturalmente. A cosa ti riferisci?» «Agli imprevisti.» «Quali imprevisti?»
«Vic Thorn.» Il viso di Lynn rimase impassibile. «Certo. Ce l’avevo in agenda. Ve ne avrei parlato piu tardi, ma possiamo farlo anche ora.» Donoghue aggrotto le sopracciglia. «Thorn? E chi sarebbe?» Ögi scrollo le spalle. «Non ne ho idea. Ma mi piacerebbe sentire qualcosa sugli imprevisti. Mi consola il fatto che ne abbiano anche loro.» «Non abbiamo segreti. L’anno scorso ne hanno parlato tutti i media. Thorn era un membro del primo equipaggio a lungo termine della base lunare americana», spiego Haskin. «Aveva svolto un lavoro eccellente, quindi gli era stato proposto di assumere la direzione della base per altri sei mesi. Lui aveva accettato e aveva raggiunto l’OSS per imbarcarsi su uno shuttle diretto alla Luna.» «È vero, mi sembra di ricordare qualcosa», disse Heidrun. Walo annu. «S, lo rammento anch’io. Se non sbaglio, ci sono stati problemi durante un intervento esterno.» «Con uno dei manipolatori, per essere precisi. Bloccava il portello di carico dello shuttle che doveva portare l’equipaggio di Thorn sulla Luna. Si era bloccato nel bel mezzo di un movimento dopo essere stato colpito da un detrito spaziale. Abbiamo mandato sul posto un Huros...» «Un cosa?» chiese Aileen. «Un robot dall’aspetto antropomorfo, che ha scoperto alcune schegge in una delle articolazioni, schegge che avevano indotto il manipolatore a disattivarsi.» «Sembrerebbe una saggia decisione.» «Alle macchine non interessano concetti come la saggezza», sbotto Haskin, neanche lei gli avesse detto di non mandare fuori i robot senza calzini. «Abbiamo ordinato all’Huros di pulire l’articolazione, ma il robot non era in grado di farlo. Cos abbiamo mandato fuori Thorn e un’altra astronauta. Ma in realta il manipolatore non si era affatto spento. Era caduto in una specie di coma elettronico. D’un tratto si e rianimato e ha scagliato Thorn nello spazio. Con ogni probabilita, il colpo ha danneggiato i suoi sistemi di sopravvivenza. Abbiamo perso il contatto con lui.» «Mio Dio, e terribile», sussurro Aileen, pallida come un cencio. «Gia.» Haskin tacque per qualche secondo. «Non credo abbia sofferto molto. Probabilmente la sua visiera era danneggiata.» «Non lo avete... recuperato?» chiese Aileen. «Purtroppo no.» «Ho sempre pensato che fosse possibile sfrecciare nello spazio a piacimento.» Aileen stese pollice e indice della mano destra a mimare le ali di un aereo che fendevano l’aria. «Un
po’ come al cinema.» «Appunto, al cinema», replico Haskin in tono sprezzante. «Probabilmente la nuova generazione di Huros sarebbe stata in grado di salvarlo, ci tengo a dirvelo», disse Lynn. «Inoltre abbiamo perfezionato i comandi remoti delle tute spaziali. Almeno saremmo riusciti a riportarlo indietro.» «Se non sbaglio c’e stata un’inchiesta», intervenne Evelyn. Lynn annu. «Infatti. Un’inchiesta che ha portato all’incriminazione della ditta giapponese costruttrice del manipolatore. Un classico caso di colpevolezza indiretta. La morte di Thorn e stata una tragedia, ma noi, in veste di gestori dell’OSS, siamo stati assolti da ogni accusa.» «Grazie, Lynn.» Evelyn si rivolse agli altri ospiti. «A me questa spiegazione basta. A voi no?» «Le opere pionieristiche richiedono sempre sacrifici. C’e comunque qualcuno che ci rimette le penne», borbotto Donoghue. «Io direi di dare ancora un’occhiata in giro», propose Ögi. «Non e convinto?» s’informo Lynn. Lui indugio, poi disse: «S, credo di s». Eccolo la! Un’impercettibile contrazione del sorriso, una punta di panico nello sguardo, e lei... ... sent qualcosa che la risucchiava verso l’abisso, come anni prima, quand’era precipitata nell’inferno, e si domando con orrore in cosa si era andata a cacciare. Era iniziato tutto alcune settimane prima, allorche aveva notato alcuni punti deboli nel suo lavoro, anche se in realta non ce n’era nessuno. Era pronta a giurare solennemente che la stazione spaziale di Julian sarebbe vissuta persino piu a lungo della razza umana, eppure nella sua mente continuava a immaginare che il settore inferiore della stazione esplodesse in mille pezzi. Perche? Perche quel settore era l’unico che aveva concepito personalmente e ricadeva sotto la sua responsabilita. Anche se ci avevano lavorato gli stessi progettisti, architetti, ingegneri, costruttori. La sua stazione non si differenziava in nulla dal resto: stessi sistemi di sopravvivenza, stesso principio costruttivo. Eppure Lynn era tormentata dal dubbio che avesse qualche difetto. Piu Julian lodava il suo lavoro, piu il tarlo del dubbio scavava in profondita nella sua mente. Era ossessionata dai peggiori scenari. La sua leggendaria cautela si trasformava in vera e propria paranoia; continuava a cercare indizi del suo fallimento e non trovarne la rendeva ancora piu nervosa. Nella sua immaginazione, l’OSS Grand si gonfiava, come una propaggine della sua superbia, e poi esplodeva come una bolla di sapone, rendendo lei, Lynn, responsabile della morte di decine di persone. Rivetti, montanti, isolamenti, ventilatori, strumenti per l’elettrolisi, pompe di ricircolo, camere di decompressione, corridoi... in ogni dettaglio non vedeva che
una rappresentazione raffazzonata di se stessa. Il suo ipotalamo sovraeccitato veniva investito da un’ondata di adrenalina e cortisolo non appena lei osava anche soltanto pensare all’albergo nello spazio o a quello sulla Luna. Se, da un punto di vista teologico, la paura era l’opposto della fede, la separazione dal divino, allora Lynn si era trasformata in un’atea. La paura della distruzione. La paura di essere distrutti. La stessa cosa, in fondo. A un certo punto, nell’abisso della sua disperazione, il diavolo si era travestito da pensiero e le aveva sussurrato all’orecchio che la paura dell’inferno poteva essere superata solo affrontandola di petto. Come liberarsi dal circolo vizioso del timore che possa accadere qualcosa di terribile? Esisteva una via d’uscita per non perdere completamente la ragione? Come spezzare la catena? Facendolo accadere. L’ovvia domanda era: cosa ne sarebbe stato di lei se la sua opera si fosse rivelata transitoria? Non era lei stessa soltanto un’invenzione di Julian, il personaggio di un film? Cosa sarebbe accaduto se Julian avesse smesso di pensarla perche lei si era dimostrata indegna di essere pensata? Avrebbe conosciuto un dolore senza fine? La dannazione eterna? Un banale oblio? Oppure doveva andare a fondo per rinascere dalle sue ceneri, piu splendente che mai? Se tutto quello che definiva il suo ruolo fosse scomparso, sarebbe venuta alla luce la sua vera natura? Sarebbe emersa la vera Lynn? Ma esisteva una vera Lynn? «Miss Orley? Non si sente bene?» «Bambina mia, che ti succede? Sei pallida come una morta.» Il falsetto materno di Aileen. «Lynn?» Tim al suo fianco. La dolce pressione delle sue dita sull’avambraccio. Si volto lentamente verso il fratello. Lynn... Oh, Lynn. In cosa ti sei cacciata? «Ehi, Lynn. Tutto okay? Cosa ti sei fumata?» Dita bianche e nodose le accarezzavano la fronte, occhi viola la fissavano. Sbatte le palpebre. «Mi dispiace. Mi avete colto sul fatto.» «In che senso, tesoro?» chiese Aileen. Un sorriso fece capolino sulle sue labbra. Tim continuava a fissarla. Di certo voleva dirle che aveva capito, pero non doveva dirle nulla, non doveva chiedere nulla. Lynn si stiracchio e si libero dal risucchio. Per il momento aveva vinto. «Un attacco di mal di spazio», si giustifico. «Ridicolo, vero? Credevo che non sarebbe mai successo, invece mi sbagliavo. Per un attimo non mi sono sentita bene.» «Allora posso ammetterlo. Anch’io mi sento un po’ fiacco», sorrise Ögi. Heidrun lo fisso. «Tu? Tu soffri di mal di spazio?» «Be’, s.» «Perche non mi hai detto niente?»
«Dovresti ringraziarmi. Un giorno, i miei acciacchi parleranno per me. Ora va meglio, Lynn?» «S, grazie.» Lynn scosto la mano di Tim. «Pensiamo a pianificare la giornata.» Il fratello non staccava gli occhi da lei. «Come no?» diceva il suo sguardo. «Se tu hai il mal di spazio, io sono il presidente degli Stati Uniti.» Tim si avvicino al padre mentre quest’ultimo usciva dalla suite, un’ora prima di cena. Julian indossava una camicia alla moda e una cravatta, gli immancabili jeans e mocassini eleganti col logo MIMI KRI. «Puoi chiederle dei vestiti, se vuoi», esclamo Julian, tutto allegro. «Mimi ha creato una collezione per i soggiorni in assenza di gravita. Forte, no?» Fece una piroetta. «Fibre rinforzate, non si muove niente. Neanche le mutande.» «Julian, ascolta...» «A proposito, prima che mi dimentichi. Ha portato qualcosa anche per Amber. Un abito da sera. Peccato, volevo farle una sorpresa, ma lo vedi anche tu quanto abbiamo da fare. Con tutta questa gente, non ho un attimo di pace. Per il resto tutto bene, figliolo?» «No. Devo parlarti di...» «Abiti da sera in assenza di gravita, riesci a crederci?» Julian rise. «Una cosa assurda. Totalmente folle. Senza i rinforzi, potresti sbirciare sotto tutte le gonne. A confronto, Marilyn Monroe, con la gonna al vento sopra la griglia di aerazione, sembra un’orfanella... Be’, mi hai capito.» «No.» Julian aggrotto la fronte. Finalmente sembro rendersi conto di Tim, della sua tuta sgualcita, della sua faccia arrossata e della sua espressione che non prometteva nulla di buono. «Mi sa che non lo conosci nemmeno, quel film, eh?» «Papa, non me ne frega niente se le gonne si sollevano oppure no. Per una volta, preoccupati di tua figlia, accidenti a te.» «È quello che faccio. Da quand’e nata, per la precisione.» «Lynn non sta bene.» Julian guardo l’orologio. «Ah, si tratta di questo. S, me l’ha raccontato. Viene al Kirk?» «Cosa ti ha raccontato?» chiese Tim, esterrefatto. L’altro rise. «Che ha il mal di spazio. Finora non era mai successo. Una cosa del genere farebbe girare le scatole anche a me!» Tim scosse la testa, impaziente. «No, aspetta un attimo. Non hai capito. Lynn non ha il mal di spazio.» «Ah, no? E allora cos’ha?»
«È al limite. È sull’orlo di un esaurimento nervoso.» «Posso capire che sei preoccupato, ma...» «Papa, non dovrebbe neanche essere qui. È fragile. Santo cielo, quante volte te lo devo dire? Lynn e sfinita. Non ce la fara a sopportare tutto questo. Non ha mai veramente elaborato quello che le e successo cinque anni fa e...» «Ehi!» lo interruppe Julian, fissandolo negli occhi. «Stai dando i numeri? Questo e il suo hotel.» «E allora?» «È la sua creatura. Lynn e l’amministratore delegato dell’Orley Travel. Deve essere presente.» «’Deve.’ Ma certo.» «Non attaccare con la tua solita tiritera. Ti ho mai obbligato a fare qualcosa, io? Ti ho forse impedito di diventare un insegnante e di buttarti nella tua fottuta politica comunale, anche se all’Orley avevi tutte le porte aperte?» «Non e questo il punto.» «Non e mai questo il punto, eh? E non lo e nemmeno il fatto che tua sorella ha piu successo di te e che tu, in fondo, sei invidioso. » «Ah, s?» «Altroche. Lynn non ha proprio nessun problema. Sei tu ad averne. Cerchi di farla apparire debole perche non riesci a combinare niente di buono.» «Questa e la piu grossa stupidaggine che abbia mai...» Tim si sforzo di ritrovare la calma e abbasso la voce. «Pensa quello che vuoi. Non m’interessa. Ma prenditi cura di lei. Hai gia dimenticato quello che e successo cinque anni fa?» «Certo che no. Allora era esausta. Se tu dovessi portare sulle spalle le responsabilita che lei...» «No, Julian. Non era esausta. Era completamente distrutta. Era malata. Lo vuoi capire, s o no? Era gravemente depressa. Incline al suicidio!» Julian si guardo intorno come se temesse che le pareti avessero le orecchie. «scoltami bene», sussurro. «Lynn ha lavorato molto per realizzare tutto cio. È ammirata e stimata da tutti. Questo e il suo momento. Non ti permettero di rovinarglielo solo perche vedi fantasmi ovunque.» «Dio mio, sei cos superbo. Cos ottuso!» «No, tu sei ottuso. Si puo sapere perche hai partecipato a questo viaggio se non te ne importa niente?» «Per verificare che Lynn stia bene.»
«Oh!» Julian si lascio sfuggire una risata beffarda. «E io che mi ero illuso che il motivo della tua presenza riguardasse me, almeno in minima parte. Perdona il mio sentimentalismo. Parlero con lei, d’accordo? La rassicurero sul fatto che ha svolto un lavoro straordinario, le diro che e tutto perfetto, che ha il mondo ai suoi piedi. Va bene cos?» Tim non rispose e Julian si allontano, fluttuando, visibilmente irritato. Dall’altra parte del tunnel stava sopraggiungendo Finn O’Keefe. «Ehi, Tim.» «Salve, Finn. Tutto bene?» «Benissimo, grazie. Viene con me al Picard a bere qualcosa?» Tim ci penso su. «No, ci vediamo a cena piu tardi. Devo cercare qualcosa con le fibre rinforzate, una cravatta o qualcosa del genere. Senza rinforzi qui non si resiste.» LA SERATA L’uomo con gli occhi di colore diverso era molto interessato all’arte di cucinare bistecche a trentaseimila chilometri dalla Terra in modo che apparissero ben cotte all’esterno e rosate all’interno, senza perdere nemmeno una goccia di sugo. Inoltre voleva sapere quale fosse l’attrattiva che Marte esercitava sugli esseri umani. «La possibilita della vita», spiego Julian. «Se trovassimo tracce di vita su Marte, la nostra visione del mondo cambierebbe in modo radicale. Avrei detto che tu saresti stato il primo a essere affascinato da questa prospettiva.» «Infatti e cos. E cosa dicono gli esperti? C’e vita su Marte?» «Certo. Ci sono i ragni», sorrise Julian. L’altro rispose al sorriso. «Ragni marziani. Interessante.» Dal canto loro, gli ospiti erano molto interessati all’uomo con gli occhi dal colore diverso. Purtroppo Walo Ögi, il suo piu grande ammiratore, era stato coinvolto da Bernard Tautou e Oleg Rogacev in un’estenuante conversazione sull’economia, mentre Miranda Winter e Rebecca Hsu venivano interrogate da Momoka Omura sull’effetto terapeutico del lusso sulla depressione autunnale. Warren Locatelli era assente, proprio come Paulette Tautou, vittima dell’azione combinata del nervo vago e di diversi neurotrasmettitori che, in una precisa regione del tronco cerebrale nota come «centro del vomito», perseguivano lo svuotamento regolare del suo stomaco. A parte quello, era una splendida cena. Le luci si erano abbassate e la Terra illuminava l’ambiente attraverso il pavimento di vetro, come un enorme lampione. Per la prima e ultima volta fu servito dell’alcol: champagne in piccole flûte con una chiusura a forma di succhiotto. Come la sera precedente, tutti rimasero stupiti dall’altissima qualita del cibo. Per l’occasione, Julian aveva ingaggiato un cuoco tedesco pluripremiato, uno svevo di nome Johannes King, che aveva rivoluzionato la cucina
aumentandone l’efficienza al trecento per cento. Come per magia, King aveva fatto apparire verdure tartufate alla panna, ovviamente preparate con autentico tartufo nero del Perigord, adattato - dopo numerosi tentativi - all’assenza di gravita. «Perche le salse, liquide o cremose che siano, in assenza di gravita si animano di vita propria», spiego King, mentre controllava che tutto fosse a posto. Aveva un carattere estremamente vivace e si muoveva di continuo: sembrava trovarsi a proprio agio in assenza di gravita come un pesce nell’acqua. «A meno che non si riesca a ottenere una consistenza che si attacca alla carne o alle verdure. Se e troppo densa, la salsa non e buona.» Tautou sugger che la Guida Michelin fosse ampliata col capitolo «Periferia terrestre», anche perche, in fondo, avrebbe avuto molto piu senso distribuire stelle lassu che sulla Terra. E, mentre ripeteva quella stupida analogia con entusiasmo indefesso nell’orecchio di ogni convitato, venivano serviti pâte di selvaggina ai mirtilli rossi, filetto, gratin di patate e un morbido tiramisu. «Ma niente cipolle e niente fagioli... nulla che provochi gonfiore intestinale, insomma», commento King. «In queste condizioni e in spazi cos ristretti i gas intestinali rappresentano un grosso problema. Gli esseri umani sono capaci di azzuffarsi per molto meno. Inoltre quello che mangiate qui, sulla Terra avrebbe un sapore troppo speziato: nello spazio, le papille gustative lavorano a rilento. Ah, gia, e continuate a mangiare lentamente. Raccogliete ogni boccone con cautela, fate attenzione quando lo portate alla bocca, infilatelo velocemente e con decisione, masticate con cura.» «In ogni caso, le bistecche erano semplicemente divine», si complimento Donoghue. «Grazie.» King s’inchino in modo un po’ troppo brusco, si ribalto in avanti e fece una capriola. «In realta, si tratta di prodotti sintetici della cucina molecolare. Ne siamo davvero molto orgogliosi, se posso dirlo.» Per i successivi dieci minuti, Donoghue non profer parola, assorto in una profonda riflessione. O’Keefe sorseggiava lo champagne. Si stava sforzando di mantenere un atteggiamento distaccato. Aveva ovviamente notato che Heidrun era seduta accanto a lui o, meglio, che si era aggrappata agli appositi sostegni con le gambe. Per quanto la cosa gli facesse piacere, cercava d’ignorarla e chiacchierava con l’ospite a sorpresa. Dal canto suo, Heidrun non fece nulla per intavolare una conversazione con O’Keefe. Solo quando tutti ebbero terminato di scambiarsi opinioni sulle esperienze della giornata e la conversazione inizio a languire, lui la degno di un’unica osservazione acida: «Cosa diavolo ti e passato per la testa, stamattina?» Lei lo fisso, interdetta. «Di cosa stai parlando?» «Mi hai spinto fuori dalla camera di decompressione.»
«Oh.» Heidrun tacque per qualche secondo. «Ho capito. Te la sei presa.» «No, ma ho dubitato della tua sanita mentale. Hai fatto una cosa molto pericolosa.» «Non dire stupidaggini. Saro infantile, ma non sono pazza. Nina mi aveva spiegato gia ieri che le tute spaziali sono telecomandate. Credevi sul serio che avrebbero abbandonato a se stessi dei semplici turisti la cui prestazione sportiva piu esaltante e qualche bracciata in piscina?» «Quindi non hai tentato di uccidermi? Questo mi tranquillizza. » Sul volto di Heidrun si dipinse un sorriso misterioso. «Probabilmente volevo vedere dove finisce Perry Rhodan e dove inizia Finn O’Keefe.» «E allora?» «Coerentemente con la tua persona, lo fai apparire come un idiota.» «Ehi, un momento. Un idiota eroico», protesto O’Keefe. «S, certo. E hai scoperto abbastanza in fretta che, se nei paraggi ci sono femmine disposte ad accoppiarsi, tu non resterai a bocca asciutta. Soddisfatto?» Lui sorrise. Ud Eva Borelius dire: «Non e una questione teologica, Mimi, ma il problema delle origini della nostra civilta. Perche gli esseri umani vogliono andare oltre i propri limiti? Cosa cercano nello spazio? Talvolta anch’io vorrei unirmi al coro dei disfattisti, dal momento che svariati milioni di persone muoiono di fame, non hanno accesso all’acqua...» «Adesso s», la interruppe Tautou, ma solo per essere subito rimesso al suo posto dalla reazione acida di Karla Kramp: «Non e affatto vero!» «... mentre tutto questo circo inghiotte somme indicibili. Pero noi dobbiamo portare avanti la ricerca. Tutta la nostra cultura si fonda sullo scambio e sull’espansione. Nell’ignoto cerchiamo noi stessi, il senso della nostra vita, il nostro futuro, proprio come Alexander von Humboldt, come Stephen Hawking...» «Non sarei qui se fossi contraria all’espansione del genere umano», obietto Mimi Parker. «A me era sembrato di s.» «Nient’affatto. Mi oppongo solo a questa visione limitata di voler esplorare qualcosa che e gia palese. Per quanto mi riguarda, sono qui per ammirare la meraviglia della Creazione.» «Che secondo lei e vecchia di seimila anni.» «Potrebbero essere anche diecimila. Fino a diecimila anni e accettabile, per noi. Non siamo mica fanatici integralisti.» «Non di piu? Non qualche milioncino?» «No. Cio che mi aspetto di trovare qui fuori...» Ah, ecco, penso O’Keefe. Lo sapevo. «Creare a propria immagine. Come ci ha insegnato il Grande Capo seimila anni fa». Tra gli ospiti, Mimi rappresentava i creazionisti. «E tu cosa ti aspetti di trovare quassu?» chiese a Heidrun, che stava ridendo per qualcosa che aveva
detto Carl Hanna. Lei si giro verso di lui e la treccia bianca ondeggio dolcemente. «Io? Io non sono venuta qui con delle aspettative.» «Perche sei qui, allora?» «Perche mio marito e stato invitato. In questi casi, io faccio parte del pacchetto, che lo si voglia o no.» «D’accordo, ma adesso sei qui.» «Hmm. Questo non cambia granche. Non ho mai molte aspettative. Le aspettative sono come i paraocchi. Preferisco lasciarmi sorprendere. Finora comunque e stato un viaggio fantastico. » Indugio e poi si fece piu vicina. «E tu?» «Niente. Io faccio il mio lavoro.» «Non capisco.» «Cosa c’e da capire? Sono qui per fare il mio lavoro.» «Il tuo... lavoro?» «S.» «Fare da testimonial all’impresa di Julian?» «Sono qui per questo.» «Per l’amor del cielo, Finn.» Heidrun scosse la testa, incredula, dandogli l’impressione di aver premuto il pulsante sbagliato. «Sei un tale stronzo. Ogni volta che inizi quasi a piacermi, tu...» «Come? Cos’ho fatto, stavolta?» «Quel tuo atteggiamento distaccato... Sei sempre insensibile a tutto quello che ti circonda, vero? Nascondi la faccia sotto un cappellino, rimani in disparte... È proprio questo che intendevo prima: chi e Finn O’Keefe?» «È seduto qui, davanti a te.» «Cazzate. Tu sei solo una persona che ha una vaga idea di come O’Keefe dovrebbe essere per essere apprezzato da tutti. Un ribelle il cui piu grande problema e che, in fondo, non c’e nulla contro cui ribellarsi, tranne forse la noia.» Si chino verso di lei. «Cosa diavolo ti fa pensare che io sia cos? » «Il tuo stupido atteggiamento.» «Hai detto tu stessa che...» «Ho detto che non ho aspettative, il che equivale a dire che sono aperta a tutto. È gia molto. Tu invece sostieni che per te questo non e altro che un lavoro. Secondo il principio: ’Julian e simpatico, la Luna e rotonda, teniamoci tutti per mano finche la telecamera non si spegne e posso finalmente andare a farmi un drink’. È una cosa meschina, Finn. Vuoi davvero farmi credere che non puoi fare a meno dei quattro soldi che Julian ti dara per questa
messinscena?» «Sciocchezze. Non lo faccio per soldi.» «Allora forza, ultima chance: cosa ti ha portato quassu? Cosa provi quando... diciamo, per esempio, quando guardi la Terra? » O’Keefe riflette. Fisso con intensita il pavimento di vetro sotto di lui. Il problema era che non gli veniva in mente nessuna risposta convincente. La Terra era la Terra. «Distanza», disse infine. «Distanza.» Lei sembro assaporare la parola. «E allora? È gradevole o sgradevole?» «Accidenti, Heidrun. Avro anche un atteggiamento stupido, ma voglio solo essere lasciato in pace, davvero. Tu pensi che io sia un tipo annoiato e spocchioso che ha perso il coraggio di mettersi in discussione. Forse hai ragione. Oggi sono affabile e disponibile, il Finn piacevole. Cosa ti aspetti?» «Non lo so. Tu cosa ti aspetti?» «Perche t’interessa tanto? Ci conosciamo appena.» «Perche m’interessi tu.» «Non lo so nemmeno io. So soltanto che certi registi realizzano film meravigliosi con budget miseri, superando ogni ostacolo. Altri fanno musica che nessuno vuole ascoltare, a parte forse un paio di pazzoidi, tuttavia nessuno riuscirebbe a distoglierli da quello che fanno, perche bruciano di passione. Altri ancora non possono quasi permettersi la grappa che li aiuta a scrivere, ma, se per caso trovi qualche loro opera in rete e la scarichi, ti commuovi per come l’umanita si fonde con l’invendibilita, e capisci che i sentimenti piu grandi germogliano sempre nel piccolo, nell’intimo, nel disperato. Non appena aggiungi un’orchestra, crei il pathos. Da questo punto di vista, la donna piu bella del mondo non puo competere con la piu miserevole puttana. Non esiste lusso che possa darti la sensazione di essere vivo come una sbornia presa coi tipi giusti, o come tastare un naso rotto se l’hai presa con quelli sbagliati. Soggiorno negli alberghi piu belli del mondo, eppure una stanza che puzza di muffa in un quartiere in cui nessuno metterebbe volontariamente piede, ma abitata da qualcuno che ha un grande sogno, mi commuove piu di un viaggio sulla Luna.» Heidrun riflette per qualche istante, poi commento: «Certo, e bello potersi permettere di stendere una patina romantica sulla miseria». «Capisco cosa intendi, ma non e cos. Non vengo da una famiglia povera. Non sono portatore di nessun messaggio, non covo nessun risentimento sociale, non seguo nessuna corrente politica. Posso apparire come una persona poco impegnata, pero non credo di esserlo. Quando giriamo Perry Rhodan, ci divertiamo, questo e chiaro. Quand’e giorno di paga, non mi tiro certo indietro. Col tempo, ho cominciato persino ad apprezzare il fatto di essere un tipo piacente e ricco, che ha la possibilita di volare sulla Luna gratis. Rifletto su tutto cio e mi dico:
’Ma guarda un po’ dov’e riuscito ad arrivare il piccolo Finn...’ Poi incontro donne che vogliono stare con me perche ritengono che io faccia parte della loro vita. Il che e vero, in un certo senso. Le accompagno nelle loro esistenze, che siano mediocri o fantastiche; sono sempre al loro fianco, al cinema, sulle riviste, in Internet, nelle fotografie. Di notte, sdraiate nei loro letti, mi confidano i loro segreti. Nei momenti di crisi, i miei film sono davvero importanti per loro. Leggono le mie interviste e a ogni frase pensano: Quest’uomo mi capisce. Sa esattamente come mi sento. Cos, quando m’incontrano, sono convinte di avere di fronte un amico, un conoscente, un’anima affine. Credono di conoscermi, ma non e cos. Io per loro significo moltissimo; loro per me non sono nulla. Non ero presente quando hanno avuto il primo orgasmo, anche se il mio poster era appeso alla parete sopra di loro e forse pensavano a me. Non fanno parte della mia vita. Non c’e nessun legame tra noi.» Sospiro. «Dimmi: come hai conosciuto Walo? Cosa ti e passato per la testa? Hai pensato: Accidenti, interessante, una persona nuova. Chi sarà questo tipo, voglio proprio scoprirlo?» «S, una cosa del genere.» «E lui ha pensato la stessa cosa. Capisci? Questa e la magia della prima impressione. Io invece incontro sconosciute che vivono nell’illusione di essere mie conoscenti. Per liberarmi da questo circolo vizioso dovrei smettere di fare quello che faccio, ma il mio lavoro mi diverte troppo. Percio sto al gioco e mantengo le distanze.» «Il prezzo della fama», commento Heidrun, ma non in tono sarcastico. Piuttosto rivelava la sorpresa nata da quell’elenco di banalita. Eppure le cose erano proprio cos. Banali. Nel complesso, non esisteva nulla di piu banale della fama. «Gia», borbotto. «In sostanza, non ci viene in mente niente di piu originale di quello che ha appena detto la dottoressa. Nell’ignoto, ognuno cerca se stesso.» Indugio. Poi sfoggio il suo famoso sorriso. «E forse anche qualche persona spiritualmente affine.» Gli occhi viola di Heidrun si fissarono nei suoi, ma lei non disse nulla. Intorno a loro si era creata una strana atmosfera ovattata, che eccitava e nel contempo inquietava O’Keefe. Percep una punta d’imbarazzo. A quanto pareva, si stava prendendo una cotta colossale per quella donna priva di melanina. Poi Julian batte le mani e O’Keefe sussulto, quasi sollevato. «Cari amici, non avevo osato sperarci!» Calo il silenzio. «E giuro di non averglielo chiesto. Ho solo dato disposizioni di tenere a portata di mano una chitarra, in caso... E lui ha addirittura portato la sua chitarra!» Julian sorrise. Il suo sguardo si poso sull’uomo con gli occhi di colore diverso. «Nel 1969, quando io avevo tre anni, lui ha visto al cinema 2001 - Odissea nello spazio, quello che in seguito sarebbe diventato il mio film preferito, e ha subito omaggiato il suo autore con una canzone. Quasi un
quarto di secolo dopo, ho avuto a mia volta la possibilita di rendere onore a Kubrick, progettando il mio primo ristorante a imitazione della sua stazione spaziale. Ho chiamato il locale Oddity, prendendo in prestito il titolo di un pezzo dell’artista qui presente. All’epoca, Kubrick viveva a Childwickbury Manor, non molto lontano da Londra, e praticamente non lo lasciava mai. Inoltre odiava gli aerei. Credo che, dopo il suo trasferimento da New York alla Gran Bretagna, non abbia mai abbandonato il suolo inglese. Ed era considerato una persona estremamente schiva, quindi non mi sarei mai aspettato di vederlo in carne e ossa all’Oddity. Invece, con mia grande sorpresa, una sera si e presentato... e per combinazione c’era anche David, seduto al bancone del bar. Abbiamo chiacchierato e, a un certo punto, ho detto loro che li avrei portati entrambi sulla Luna, se lo avessero voluto, anche seduta stante. Kubrick ha riso, affermando che, per quanto lo riguardava, la mancanza di comfort era un motivo sufficiente per rinunciare. Ovviamente aveva preso la mia proposta per uno scherzo. Io mi sono spinto oltre e ho promesso loro che, entro la fine del millennio, avrei costruito un’astronave dotata di tutti i comfort, anche se naturalmente non avevo la piu pallida idea di come realizzare una tale impresa. Avevo appena compiuto ventisei anni, producevo film, facevo il regista, anche se con scarso successo, e avevo intrapreso la carriera di attore. Avevo appena portato nelle sale il remake di Una donna nella Luna, il film di Fritz Lang del 1929, con David nel ruolo principale, e avevo raccolto un buon successo di pubblico e di critica. Mi ero appena buttato nella gastronomia. L’Orley Enterprises era ancora lontana, persa in un nebuloso futuro. Pero ero un appassionato di volo e sognavo quei viaggi spaziali che affascinavano anche Kubrick. Cos, alla fine, sono riuscito a coinvolgere lui e David in una scommessa: se fossi riuscito a costruire l’astronave promessa entro il 2000, avrebbero dovuto salire a bordo entrambi. In caso contrario, avrei prodotto il successivo film di Kubrick e il successivo album di David totalmente a mie spese.» Si accarezzo la barba, perso nei ricordi. «Purtroppo Stanley e morto troppo presto, e la mia vita e cambiata radicalmente dalla sera del nostro incontro. I film sono ormai un’attivita secondaria. La piccola agenzia di viaggi che aveva sede a Soho e che io ho rilevato all’inizio degli anni ’90 si e trasformata nell’Orley Travel. All’epoca, possedevo gia due linee aeree e avevo comprato alcuni capannoni cinematografici dismessi per dedicarmi allo sviluppo di veicoli spaziali e stazioni orbitanti. Con la fondazione dell’Orley Space, siamo entrati nel mercato della tecnologia. Alcune delle migliori menti della NASA e dell’ESA sono venute a lavorare per noi, e lo stesso si puo dire di vari esperti russi, asiatici e indiani, nonche di numerosi ingegneri tedeschi. Questo perche pagavamo stipendi piu alti, creavamo condizioni di ricerca migliori, e avevamo un atteggiamento piu entusiasta, scattante ed efficiente dei loro vecchi datori di lavoro. Ormai era chiaro a tutti che i programmi spaziali statali avevano bisogno di un sostanzioso apporto privato, ma io mi ero messo in testa di sostituirli. Volevo mettere in moto il vero inizio dell’era spaziale, senza sottostare alla lentezza
dei burocrati, alla cronica mancanza di soldi e ai rivolgimenti politici. Abbiamo creato borse di studio per giovani ingegneri, abbiamo chiesto loro di sviluppare aerei con propulsione a razzo, abbiamo ampliato la nostra offerta turistica coi voli suborbitali. Io stesso ho volato piu volte su quegli aerei. Non erano ancora veri e propri viaggi spaziali, tuttavia rappresentavano un inizio, e hanno avuto un successo fulminante. Tutti volevano partecipare. Il turismo spaziale prometteva guadagni esorbitanti, a patto che fossimo riusciti a ridurre i costi iniziali.» Ridacchio. «Comunque, a parte questo, avevo perso la mia scommessa, perche nel 2000 non ero pronto. Quindi ho proposto a David di pagare il mio debito. Lui si e rifiutato, dicendo: ’Tieniti i soldi e regalami un biglietto quando sei pronto...’ Tutto quello che posso dire, oggi, e che la sua presenza e un grande onore per l’OSS e mi rende molto felice. E qualunque cosa possa dire sulla sua grandezza, sulla sua importanza nella nostra cultura, sulla sua influenza su intere generazioni... be’, le mie parole non potranno mai eguagliare la forza della sua musica. Percio adesso chiudo il becco e lascio la parola a... Major Tom.» Il silenzio aveva assunto una dimensione sacrale. Fu portata una chitarra. Le luci erano state abbassate durante il discorso di Julian. La superficie levigata del Pacifico brillava sotto di loro. Dai finestrini ovali s’intravedevano miriadi di stelle, sparse come zucchero a velo sullo sfondo nero. Piu tardi, O’Keefe penso che, nei secondi in cui David Bowie aveva suonato gli accordi iniziali di Space Oddity, dapprima sommessi, poi sempre piu potenti, come se ci si stesse avvicinando alla frenetica attivita sulla rampa di lancio provenendo dal silenzio immobile dello spazio profondo, fino al momento in cui la sala di controllo a Terra e Major Tom iniziavano a dialogare, aveva vissuto gli unici momenti davvero felici del loro viaggio. Nell’ingenuo incanto del momento, dimentico completamente il vero scopo dell’iniziativa di Orley: catapultare esseri umani in un ambiente ostile, su un satellite che avrebbe certamente reso i visitatori piu spirituali, ma senza invogliarli a tornarvi una seconda volta. Percepiva che la ricerca del motivo che lo aveva spinto a lasciare la Terra avrebbe avuto come unico risultato quello d’indurlo a cercarla con lo sguardo, e improvvisamente immagino di allontanarsi al punto da non vederla piu, una prospettiva sconsolante e paurosa. And the stars look very different today... Quando la canzone fin e lo sventurato Major Tom si perse nel nulla delle sue aspettative estreme, O’Keefe, invece di essere stregato dalla musica, si sent in preda a una strana disillusione. Era una specie di nostalgia di casa, anche se in fondo la sua «casa » era lontana solo trentaseimila chilometri. Il bordo destro del globo terracqueo aveva iniziato a piombare nell’oscurita: sulla Cina stava calando la sera. O’Keefe osservo Heidrun: stava assaporando la musica con le labbra socchiuse, guardando alternativamente Bowie e il mare di stelle, mentre i suoi occhi, come per magia, venivano attirati verso il pianeta sotto di loro. Comprese
che quella donna avrebbe viaggiato con entusiasmo sino ai confini dell’universo, perche la sua casa era il suo cuore, e aveva raggiunto un grado di liberta che lui poteva soltanto sognare. E, in quel momento, O’Keefe desidero essere al piano superiore di un pub di Dublino, steso su un materasso logoro, con qualcuno che lo stringeva tra le braccia. Quella notte, molti ospiti ebbero la medesima idea. Forse era stato il modo in cui Amber aveva cercato di consolarlo dopo lo sfogo su Julian: le sue parole di conforto, i suoi baci, la forza del suo abbraccio, il suo fisico sodo ed elastico avevano risvegliato anche il corpo di Tim... O forse perche, dopo tanti anni di matrimonio, le sue fantasie sessuali ruotavano ancora intorno alla moglie, cosicche non avrebbe voluto accarezzare nessun’altra natica ne esplorare nessun altro Monte di Venere, e perche nei momenti di solitudine in cui cedeva all’autoerotismo non immaginava nessun’altra donna che non fosse Amber... O forse perche il corpo della moglie sembrava indifferente al trascorrere del tempo e, in assenza di gravita, i suoi seni avevano ritrovato quella consistenza che, all’inizio della loro relazione, gli aveva dato la sensazione di stringere due meloni maturi... O forse perche, dopo un frenetico tentativo di toglierle l’accappatoio - un tentativo che aveva scagliato Tim nell’angolo opposto del modulo -, la visione della moglie che fluttuava nell’accappatoio aperto come un angelo pronto a cedere al peccato lo aveva eccitato ancora di piu... Insomma, quale che fosse il motivo, il sesso di Tim si era sollevato, quasi fosse un razzo pronto a essere sparato nello spazio, e a dispetto di tutti i limiti imposti dall’assenza di gravita, della carenza di sangue nella zona lombare, del disorientamento e di una leggera nausea. Nuoto verso di lei e la afferro per gli avambracci. Liberarla dell’accappatoio era gia un’impresa, ma tutti i tentativi di Amber di togliergli i pantaloni e la T-shirt fallirono miseramente per l’ormai ben noto effetto di repulsione. Continuarono ad avvicinarsi e allontanarsi, finche Tim, nudo, non si ritrovo a fluttuare sopra il letto, tentando disperatamente di afferrare la coperta. Lei osservo la sua erezione con palese interesse, divertita e un po’ sconcertata. «E adesso cosa facciamo?» chiese ridendo. «Deve pur esserci un modo. Qualcuno deve averci pensato», rispose lui. «Speriamo. Sarebbe un vero peccato non approfittarne.» Tim si mise a testa in giu e scese verso di lei. Stavolta riusc ad afferrare i fianchi e affondo la faccia tra le sue gambe, che lei apr leggermente e richiuse subito nel tentativo di trattenere la testa dell’uomo. Tim sentiva il sangue ribollire nelle orecchie. Ruotando la lingua, raggiunse la collinetta sotto la peluria, premendo con forza il naso contro di essa nel timore di finire di nuovo dall’altra parte della stanza, e si lascio inebriare dal profumo del suo piacere. Le sue orecchie schiacciate tra i muscoli delle cosce registrarono suoni che gli sembravano gemiti di
piacere, cui rispose con rochi sospiri di assenso. La cabina sembrava invasa da una dose supplementare di ossigeno... o forse era la carenza di ossigeno che lo faceva sentire improvvisamente su di giri come un adolescente? Che importava? Felicemente stordito, scese piu in basso, ansimando ed emettendo grugniti, totalmente rapito dall’ebbrezza del momento. Nell’attimo esatto in cui davanti a lui si schiuse l’umidita tropicale di territori proibiti, gli sembro di udire una dichiarazione d’amore, e sped verso l’alto un «Anch’io», senza fermarsi, ottenendo una risposta incomprensibile. «Ahi! Ahi!» Qualcosa era andato storto. Tim guardo verso l’alto. Nel farlo, commise l’errore di allentare la presa. Amber scalcio come un naufrago sul punto di annegare e lo spinse via. Mentre veniva portato lontano, vide la moglie massaggiarsi il cranio, che evidentemente era andato a cozzare contro lo spigolo della scrivania. Avrebbe dovuto sapere che, nella concitazione dell’acrobazia amorosa, potevano andare alla deriva. Lezione numero uno: non era sufficiente aggrapparsi l’uno all’altra, bisognava anche ancorarsi da qualche parte nella stanza. Non riusc a trattenere una risata. Amber fece una smorfia e aggrotto le sopracciglia. D’un tratto, Tim noto un oggetto. «Guarda la!» strillo. «Cosa?» La donna afferro i capelli del marito e tento di mordergli il naso, ritrovandosi a testa in giu. Tim nuoto come una rana verso il letto, portandosi dietro Amber, ancora capovolta. «Vuoi legarti con le cinghie?» sbuffo lei, diffidente. «Decisamente poco erotico. Come stare in macchina. Non riusciremo quasi a muove...» «No, sciocchina, non con le cinghie del letto. Non capisci?» Il volto di Amber s’illumino. Sopra il letto erano montate alcune maniglie. «Aspetta un attimo. Credo di aver visto qualcosa... » Si diresse all’armadio e inizio a rovistare, poi tiro fuori diversi nastri di un materiale gommoso con un motivo rosso, giallo e verde e una scritta. «LOVE BELT», lesse Amber. Tim sorrise. «Lo vedi? Qualcuno ci ha pensato. Lo sapevo.» Per la prima volta da quando avevano iniziato il viaggio, si sentiva sereno e rilassato, una condizione che, meno di un’ora prima, credeva non sarebbe mai piu riuscito a raggiungere. Non che si fosse completamente dimenticato di Lynn, ma l’aveva confinata in una regione remota del suo cervello, una regione che non partecipava al suo desiderio pulsante di fare l’amore con Amber. «A quanto sembra, dovro legarti i polsi, tesoro. Anzi no, mani e piedi. Come nelle camere di tortura della Santa Inquisizione. » Inizio a infilare i nastri nelle maniglie. «Credo che tu abbia frainteso. Sei tu quello che deve essere legato», gli fece notare lei. «Un momento... Penso che dovremmo discuterne.»
«Credi davvero che lui abbia voglia di discutere?» chiese Amber indicando con un cenno il membro eretto. «Secondo me, ha voglia di qualcosa di ben diverso, e in fretta.» Cinse i polsi di Tim coi nastri di gomma e, ridacchiando, si diede da fare anche coi piedi. Alla fine, lui si ritrovo sospeso in mezzo alla stanza, con le membra distese. Incuriosito, cerco di muovere ginocchia e gomiti e si rese conto che i nastri erano molto elastici. Poteva muoversi senza andare alla deriva. «Pensi che sia stata un’idea di Julian?» chiese Tim. «Scommetto di s.» Amber fluttuo verso il marito e si mise a cavalcioni sulle sue anche. Per un breve momento il sesso della donna resto in equilibrio sopra di lui come sul naso di una foca. «Sono sicura che gli amplessi sono tra le manovre piu complesse nello spazio», sussurro, poi si abbasso su di lui e lo fece entrare dentro di se. Diverse persone avevano avuto la stessa idea, ma solo pochi ebbero la fortuna di metterla in pratica. Anche Eva Borelius e Karla Kramp avevano trovato le cinghie e un modo per usarle, proprio come Mimi Parker e Marc Edwards. Tuttavia, a quest’ultimo, la ridistribuzione di piu di mezzo litro di sangue dalle regioni inferiori a quelle superiori del corpo aveva creato qualche problema in piu che a Tim. Se Bernard Tautou avesse osato avvicinarsi con intenzioni maliziose a Paulette, con ogni probabilita la donna avrebbe infilato la testa del marito nella ormai familiare tazza del WC. Saggiamente Tautou non aveva fatto nulla del genere. Quella notte aveva invece preso la decisione d’interrompere il viaggio, date le pessime condizioni di Paulette. Nella suite 12 si vivevano sofferenze simili, solo che Warren Locatelli non avrebbe mai capitolato davanti a una cosa cos profana come il mal di spazio. Nella suite 38 regnava un pacifico silenzio: gli Ögi stavano sdraiati sul letto, avvinghiati come topi di campagna d’inverno. Un piano piu in alto, Sushma e Mukesh Nair si godevano serenamente il sopraggiungere della notte sull’Isla de las Estrellas. Aileen Donoghue, nella suite 17, aveva messo i tappi per le orecchie, il che dava a Chuck la possibilita di strapazzare le sue vie respiratorie, russando ad altissimo volume. Sul lato opposto del livello, Oleg Rogacev guardava fuori dalla finestra e Olympiada fissava il vuoto davanti a se. «Sai cosa mi piacerebbe sapere?» mormoro lei dopo un po’. Lui scosse la testa. «Come si fa a diventare come Miranda Winter.» «Non si puo diventare come lei. Bisogna esserci nati, cos», replico il marito senza voltarsi. Olympiada sbuffo. «Non sto parlando del suo aspetto. Non sono mica stupida. Vorrei sapere come si fa a diventare cos inattaccabile. Cos insensibile. Mi sembra un sistema im-
munitario ambulante, non c’e nulla che la tocchi, e la spensieratezza in persona... voglio dire, chiama per nome le sue tette, capisci?» Rogacev giro lentamente la testa. «Nessuno t’impedisce d’imitarla. » «Forse ci vuole una buona dose di stupidita per farlo», borbotto Olympiada, come se non lo avesse sentito. «Sai, penso davvero che Miranda sia un po’ stupida. Anzi che sia molto stupida. Di sicuro le manca una qualsiasi forma di istruzione, ma forse questo per lei e un vantaggio. Forse e un bene essere stupidi, e una condizione invidiabile. Stupidi, ingenui e un po’ calcolatori. Si soffre di meno. Miranda ama solo se stessa, mentre io ho ogni giorno la sensazione di versare tutti i miei sentimenti e tutta la mia forza in un vaso bucato. Con una persona come Miranda, le tue cattiverie sarebbero sprecate, Oleg. Come pungere una balena con un ago.» «Io non sono cattivo con te.» «Ah, no?» «No. Sono indifferente. Non offendi qualcuno di cui non t’importa nulla.» «E questa non e una cattiveria, secondo te?» «È la verita.» Rogacev le lancio uno sguardo fugace. Olympiada si era raggomitolata nel suo sacco, legata con le cinghie. Per un breve momento, si chiese come sarebbe stato se il mattino seguente il sacco fosse scoppiato, liberando una farfalla... un’immaginazione audace per la sua fantasia atrofizzata. Ma Olympiada non era un bruco, e lui non aveva la minima intenzione di penetrare nel suo bozzolo. «Sposarti e stato una mossa strategica. Io lo sapevo, tuo padre lo sapeva e anche tu lo sapevi. Percio smettila di compatirti, una buona volta.» «Un giorno cadrai, Oleg. Finirai come un ratto. Come un maledetto ratto», sibilo lei in risposta. Rogacev torno a guardare fuori, totalmente insensibile allo spettacolo del pianeta che si oscurava sotto di loro, e disse in tono piatto: «Trovati un amante». Con grande gioia di Rebecca Hsu, Miranda Winter non aveva pianificato di andare a letto presto. Rebecca, infatti, aborriva la solitudine, benche, a tutti gli effetti, fosse una persona sola. Amava definirsi «una povera donna ricca»: era divorziata due volte, e aveva tre figlie che vedeva pochissimo. Rimaneva alle feste fin quando anche all’ultimo ospite non si chiudevano le palpebre e poi, sfruttando la rete mondiale della sua azienda, attaccava a telefonare in tutti gli angoli del pianeta finche lei stessa non perdeva la guerra contro il sonno. Per tutto il giorno, non appena c’era stata qualche pausa nella fitta agenda d’impegni, aveva discusso al telefono piani marketing, campagne promozionali, acquisti, vendite e partecipazioni e scandagliato il suo impero, ossessionata dal controllo, spaventata dall’idea che fosse stata proprio la sua ossessione per il lavoro ad aver fatto fuggire due mariti e le figlie.
Con Miranda, Rebecca poteva almeno chiacchierare della mancanza di un marito senza cadere in depressione. Inoltre nella cabina di Miranda erano comparsi come per magia alcuni calici di Moet & Chandon, con grande gioia di Rebecca, dal momento che si trattava di un suo marchio. Finn O’Keefe non sapeva cosa pensare o provare. Quindi ascolto un po’ di musica e poi si addormento. Evelyn Chambers era a letto, sveglia. Non aveva la minima voglia di legarsi con le cinghie come se fosse una pazza in manicomio. Per caso aveva trovato i nastri di gomma e si era ancorata alle maniglie vicino alla finestra cos da assaporare la sensazione della caduta libera anche durante il sonno. Ma, quando chiuse gli occhi, il suo corpo parve mettersi a girare vorticosamente e a lei venne la nausea. Non senza fatica, si chino per liberare i piedi dalle cinghie elastiche e solo in quel momento noto la scritta LOVE BELT. Di colpo cap a cosa servivano e si sent invadere da una potente ondata di tristezza, giacche non avrebbe potuto coronare l’entusiasmante esperienza dell’assenza di gravita in modo adeguato. Si domando se qualcuno lo avesse fatto, poi si chiese se lei stessa avrebbe potuto farlo. Il suo pensiero vago da Miranda Winter a Heidrun Ögi... ma Heidrun non era disponibile e Miranda non le piaceva abbastanza. Rebecca Hsu? Per l’amor del cielo! Il suo ardore si spense con la stessa velocita con cui era nato. Tuttavia, da quando la sua bisessualita le era costata la carica di governatore, era piu che mai decisa a divertirsi. Era ancora il personaggio televisivo piu amato e influente d’America. Dopo la sua Waterloo politica, non si sentiva piu vincolata a nessun codice etico. Il suo matrimonio - o, meglio, quello che ne era rimasto - non giustificava una conversione alla monogamia; d’altro canto, il marito sperperava i suoi soldi per intrattenere amichette sempre nuove. Non che cio la disturbasse, comunque, dato che l’amore era finito da tempo. Pero lei non aveva voglia di andare a letto con chiunque. In circostanze particolari, tuttavia... Finn O’Keefe? Forse valeva la pena fare un tentativo. Certo, sarebbe stato divertente sedurre proprio lui... ma il pensiero si perse in fondo alla sua mente. Julian? Di sicuro gli piaceva flirtare con lei. Ma Julian flirtava con chiunque per motivi professionali. A ogni buon conto, lui non aveva legami, a parte la relazione con Nina Hedegaard, ammesso che tale relazione esistesse. Se doveva credere alle parole di Julian, non c’era rischio di ferire qualcuno e di sicuro loro due si sarebbero divertiti. Magari la cosa avrebbe avuto addirittura un seguito. E, se non fosse accaduto, pazienza.
Compose il numero della suite di Julian Orley. Nessuno rispose e il monitor resto nero. Evelyn si sent un’idiota, come se stesse elemosinando un tozzo di pane dal tavolo di qualcun altro, e s’infilo velocemente nel suo sacco. «Sei proprio sicuro?» «S.» «Tautou mi ha appena detto che Madame vorrebbe tornare a casa. Percio abbiamo dei posti liberi.» Julian succhio il drink. «Ah, sciocchezze, dimentica i Tautou. Avremmo un posto anche se decidessero di venire con noi. Per te c’e sempre un posto. » Erano soli nel Picard, illuminato con luci soffuse, e bevevano cocktail analcolici. Pensieroso, Bowie rigiro la bottiglia tra le dita. «Grazie, Julian. Ma preferisco di no, davvero.» «Perche no, accidenti? È la tua occasione per andare sulla Luna. Tu sei l’uomo delle stelle, sei l’uomo caduto dal cielo, Ziggy Stardust. Chi, se non tu? Devi andare sulla Luna!» «Ho settantotto anni.» «E allora? Chi se ne accorge? Una volta, hai detto che vorresti vivere trecento anni. Da questo punto di vista sei ancora un bambino.» Bowie rise. Poi cambio argomento. «Pensi di riuscire a trovare i soldi per un secondo ascensore?» «Ma certo. Vuoi scommettere?» brontolo Julian. «Basta scommesse. Cos’e questa storia dei cinesi? Si dice che ti stiano inondando di offerte.» «Ufficialmente non fanno niente del genere, ma sottobanco mi tartassano senza sosta. Il nome Zheng Pang Wang ti dice qualcosa?» «Forse...» «Mai sentito parlare dello Zheng Group?» Bowie aggrotto le sopracciglia. «S, credo di s. Non e una multinazionale che si occupa di tecnologia?» «Zheng e la forza trainante dei programmi spaziali di Pechino. Un imprenditore privato, leale verso il Partito, anche se questo non conta. Non perde occasione d’infiltrarsi nella mia rete, pero i sistemi di sicurezza reggono, quindi ci sta provando in altri modi. Ovviamente per i cinesi l’ideale sarebbe avere l’esclusiva dei miei sistemi. I soldi li hanno, ne hanno piu degli americani; pero non hanno ne i brevetti per l’ascensore spaziale ne il know-how per costruire i reattori a fusione. Poche settimane fa, a Parigi, ho incontrato il vecchio Pang Wang. È un tipo simpatico. Ha di nuovo cercato di allettarmi coi soldi cinesi e si e appellato alla mia natura cosmopolita, perche in fondo un approvvigionamento energetico ecologico e nell’interesse di tutto il pianeta. Mi ha chiesto se non trovavo indecente veder passare l’elio-3 solo nelle mani
degli americani. Io gli ho domandato cosa avrebbero detto i cinesi se, in seguito, avessi venduto i brevetti anche ai russi, agli indiani, ai tedeschi, ai francesi, ai giapponesi e agli arabi.» «Mi chiedo piuttosto cosa ne penserebbero gli americani», obietto Bowie. «La domanda che mi faccio e un po’ diversa: chi ha il coltello dalla parte del manico? Secondo me, ce l’ho io, ma questa cosa rischia di modificare in modo drastico gli equilibri geopolitici», replico Julian. «È davvero cio che voglio? Per la maggior parte del tempo, ho vissuto praticamente in simbiosi con l’America, a vantaggio di entrambi. Di recente, dopo la crisi lunare, a Washington sono ricomparsi i fantasmi della piccola depressione del 2008-2010. Il timore dei politici e ovvio: concedendo un simile potere a un singolo gruppo imprenditoriale, hanno paura di perdere il controllo della situazione. Ma e un’idiozia, dal momento che sono stato io a dare potere a loro. Li ho messi in condizione di lanciare i loro slogan dalla Luna, impiegando le mie risorse, il mio know-how. Pero loro hanno la fissa di controllare i privati.» Sbuffo. «I governi dovrebbero occuparsi delle infrastrutture, dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione. In altre parole, dovrebbero costruire strade, asili, alloggi, ospizi... ma persino in questi casi devono intervenire i privati. Cosa si aspettano, allora? Senza parlare del fatto che si sono dimostrati incapaci di gestire processi globali, impegolandosi in litigi, ritardi e compromessi poco puliti. Nei loro ridicoli trattati, non sono riusciti a regolamentare la tutela dell’ambiente; chiedono a gran voce sanzioni contro gli Stati corrotti e guerrafondai, ma nessuno li ascolta; potenziano gli armamenti e bloccano i rispettivi mercati. I russi non hanno piu soldi per i progetti spaziali da quando la Gazprom e alle corde, pero ne avrebbero ancora abbastanza per acquisire da me e dagli americani i diritti d’uso del prossimo ascensore spaziale. Avremmo un altro concorrente sulla Luna. Non sarebbe neanche cos male, secondo me.» «Tuttavia gli americani non sono d’accordo con te.» «No, infatti. Pero loro hanno me. È vero, insieme non abbiamo bisogno di nessun altro e, in una situazione del genere, Washington cerca di mettermi sotto e chiede piu trasparenza.» «Come intendi muoverti? Cercherai di portare i russi dalla tua parte senza la benedizione degli Stati Uniti?» «Se gli americani non vogliono partecipare al gioco e continueranno a bloccare le mie idee... Be’, hai visto, ho invitato ospiti illustri. Zheng ha ragione, ma non nel senso che crede lui. In effetti mi disturba il fatto che il progetto non avanzi. La concorrenza ravviva il mercato. Certo, troverei sgradevole passare dagli americani ai cinesi perche non cambierebbe nulla: gli stessi idioti da entrambe le parti. Ma offrire l’ascensore a tutte le nazioni... confesso che l’idea mi tenta.» «E l’hai detto a Zheng?»
«S, e lui mi ha guardato prima come se avesse capito male e poi come se fosse stato lui a scatenare la mia fantasia in quella direzione. Si sopravvaluta. È un’idea che covo da tempo.» «Lo sai che stai giocando col fuoco, vero?» disse Bowie, dopo averci riflettuto un po’. «Col fuoco del sole. Col fuoco dei reattori. Sono abituato al fuoco», rispose Julian, imperturbabile. «I tuoi amici americani lo sanno?» «Forse immaginano qualcosa. I nomi di chi ho invitato sulla Luna non sono un segreto.» «Di certo sai come farti dei nemici.» «Io viaggio con chi mi pare: parliamo del mio ascensore, della mia stazione spaziale, del mio hotel sulla Luna. Ovviamente non ne sono affatto felici, ma chi se ne importa? Che mi facciano offerte migliori e la smettano coi loro giochetti.» Julian aspiro la bibita dalla sua bottiglia e si passo la lingua sulle labbra. «Buono, non trovi? Sulla Luna avremo vino leggermente alcolico. Una cosa assurda, 1,8 gradi, pero buono come un vino ad alta gradazione. Sei proprio sicuro di volertelo perdere?» «Non ti arrendi mai, eh?» Bowie rise di nuovo. «Mai», rise Julian di rimando. «Arrivi tardi. Non mi fraintendere, amo la vita, e indubbiamente troppo breve, su questo hai ragione. Arrivare a trecento anni sarebbe fantastico, soprattutto di questi tempi. Pero... insomma... » «... alla fine l’alieno si e trasformato in un terrestre», concluse Julian con un sorriso. «Non sono mai stato nient’altro che questo.» «Tu eri l’uomo caduto dal cielo.» Bowie passo una mano tra i capelli. «No. Ero solo un ragazzo che mascherava i suoi problemi con un travestimento, come a dire: ’Scusate se non sono bravo a comunicare, ma io vengo da Marte...’ Sai, per tutta la vita ho assorbito con entusiasmo tutto quello che infiammava ed elettrizzava il mondo, ho collezionato mode e tendenze come altri collezionano opere d’arte o francobolli. Puoi chiamarlo ’atteggiamento eclettico’, se vuoi, e forse e stato il mio talento piu grande. Non sono mai stato un vero innovatore; piuttosto un amministratore del presente, un costruttore in grado di abbinare sentimenti e tendenze in modo che formassero qualcosa di nuovo. Guardandomi indietro, direi che probabilmente era questo il mio modo di comunicare: ’Ehi, gente, so cosa state provando, sentite qua, ci ho scritto una canzone!’ Ma, per molto tempo, non sono stato in grado di parlare con qualcuno. Non sapevo come fare, non sapevo nemmeno come gestire una semplice conversazione. Avevo paura delle relazioni, ero incapace di ascoltare. Per una persona cos, il palcoscenico o, meglio, il mondo dell’arte e la piattaforma perfetta, perche e ideale per i monologhi. Tu raggiungi chiunque, ma nessuno puo arrivare a te. Sei un messia, un idolo. E anche per questo non puoi
far avvicinare nessuno, altrimenti si scoprirebbe che sei soltanto timido e insicuro. Cos, col tempo, ti trasformi davvero in un alieno. Non devi nemmeno indossare un costume, anche se aiuta. Quando ti senti a disagio con gli altri, come mi accadeva all’epoca, fai dello spazio la tua patria d’elezione, cerchi risposte in esseri superiori e fingi di essere tu stesso una creatura soprannaturale.» Julian diede un colpetto alla bottiglia, la fece volare in alto e poi la riprese. «Suona terribilmente adulto», commento. «Sono terribilmente adulto», rise Bowie. «Ed e grandioso. Credimi, questa infinita caccia al tesoro per scoprire cosa lega gli esseri umani e l’universo, perche veniamo al mondo e dove andiamo quando moriamo, cosa da senso alla nostra vita, se esiste un senso... Voglio dire, adoro i film di fantascienza, Julian, e adoro quello che hai creato qui. Pero tutta la storia dello spazio e sempre stata solo una metafora, per me. Mi e sempre importato di piu della ricerca spirituale. Le religioni erano troppo rozze per i miei gusti, piene di limiti e divieti. Non volevo farmi dire da qualcun altro cosa dovessi cercare e come farlo. Puoi chiudere Dio in un rituale oppure interpretarlo. Quest’ultima via non e tracciata, devi cercarla da solo. Io l’ho fatto, e mi sono procurato sempre nuove tute spaziali per esplorare questo cosmo vuoto e infinito, nel quale speravo d’incontrare me stesso, come uomo delle stelle, Ziggy Stardust, Aladdin Sane, Major Tom... E poi, un bel giorno, sposi una donna stupenda, ti trasferisci a New York e improvvisamente capisci: la fuori non c’e proprio nulla, e tutto qui, sulla Terra. Incontri gente, chiacchieri, comunichi, e quello che ti costava tanta fatica diventa improvvisamente facile. Le tue paure si sgonfiano fino a diventare banali preoccupazioni. Il flirt con la morte, il pathos di canzoni come Rock’n’Roll Suicide si rivelano per quello che sono: il capriccio di un adolescente senza esperienza e senza prospettive. Non ti svegli piu col terrore di diventare matto, non rimugini piu sulla miseria dell’esistenza umana, ma ti ritrovi a pensare al futuro dei tuoi figli. E inizi a chiederti cosa diavolo andavi cercando nello spazio. Capisci? Sono atterrato. Non mi ero mai divertito tanto a vivere sulla Terra, tra gli esseri umani. Se la salute mi assiste, potro godermi tutto questo ancora per qualche anno. D’accordo, saranno ancora dieci o dodici e non trecento, ragione di piu per assaporare ogni singolo istante. Dammi una sola buona ragione per cui, adesso che finalmente sono arrivato a casa, dovrei lasciarla per andare sulla Luna.» Julian riflette. Gli venivano in mente mille ragioni per cui lui voleva andare sulla Luna, ma nemmeno una che avrebbe potuto convincere l’uomo anziano seduto di fronte a lui. Peraltro Bowie non aveva affatto l’aspetto di un vecchio. Al contrario, sembrava rinato. I suoi occhi erano pieni di curiosita, come sempre; ma il suo non era lo sguardo di un osservatore extraterrestre. Era quello di un abitante della Terra. È questa la differenza tra noi, penso Julian. Io sono sempre stato un individuo concreto e in prima linea. Sono sempre stato un grande
comunicatore, immune a paure e dubbi. Poi si chiese cosa sarebbe successo se un giorno avesse capito che l’impresa spaziale di cui lui era protagonista era servita unicamente ad avvicinarlo di piu alla Terra, e se ne sarebbe stato felice. O forse era solo un alieno egocentrico, incapace addirittura di comprendere cosa succedeva ai propri figli. Come l’aveva definito Tim? Ah, gia: «superbo». Julian fece una smorfia. Poi rise anche lui, in modo un po’ forzato, alzo la bottiglia e brindo a Bowie. «Salute, amico mio», disse. Poco tempo dopo, Amber apr gli occhi e vide che la Terra era scomparsa. Fu pervasa dall’angoscia. La notte precedente non si era mai svegliata e, la mattina, il pianeta era la dove doveva essere... o almeno una meta di esso lo era. Adesso invece non se ne intravedeva nemmeno uno spicchio. Certo che no. Sull’emisfero del Pacifico era notte, e le luci della civilizzazione non erano visibili da quell’altezza. Non c’era motivo di allarmarsi. Giro la testa. Accanto a lei, Tim fissava l’oscurita. «Che succede, mio eroe? Non riesci a dormire?» sussurro. «Ti ho svegliato?» «No, mi sono svegliata da sola.» Si accoccolo contro di lui e appoggio la testa sulla sua spalla. «È stato bello», sussurro lui. «Oh, e stato bello con te. Qualcosa ti preoccupa?» «Non lo so. Forse Julian ha ragione. Forse vedo fantasmi ovunque.» Lei tacque per qualche istante, poi disse: «No, non credo. È un bene che tu tenga gli occhi aperti. Solo che, se continuerai a trattarlo come un nemico, lui si comportera come tale». «Non lo tratto come un nemico.» «Pero non sei neanche il campione mondiale di diplomazia. » Lui rise. «È vero. Non lo so, Amber. Ho un brutto presentimento. » «È l’assenza di gravita», mormoro lei, quasi addormentata. «Cosa potra mai accadere?» Tim non rispose. Amber sbatte le palpebre, alzo la testa e si rese conto di essersi sbagliata. Sul bordo destro del globo era visibile una sottile falce azzurrognola. Andava tutto bene. La Terra era ancora al suo posto. «Dormi, amore mio», avrebbe voluto dire, ma la stanchezza la travolse, impedendole quasi di pensare. Prima di cadere in un sonno profondo, nella sua mente si formo l’immagine di un telo nero che ricopriva entrambi. Poi piu nulla. Carl Hanna non riusciva a dormire, ma non ne aveva bisogno. Accarezzo gli oggetti a uno a uno, li osservo con sguardo critico da ogni angolazione, poi li prese e li ripose con cura
al loro posto: il piccolo flacone di dopobarba, il bagnoschiuma, lo shampoo, i tubetti delle creme per il viso, la schiuma da barba, le confezioni di medicinali contro il mal di testa, la nausea e i problemi intestinali, i bastoncini di cotone, i tappi modellabili per le orecchie, lo spazzolino da denti e il dentifricio. Aveva messo in valigia persino il filo interdentale, la forbicina per le unghie, una lima, uno specchietto, il suo tagliacapelli elettrico e tre palline da golf. Le Orley Towers disponevano di un campo da golf, gli aveva detto Lynn, lo Shepard’s Green, e lui giocava bene a golf. Inoltre ci teneva a fare buona impressione. Tuttavia, a parte quello, niente di cio che aveva tra le mani era davvero quello che sembrava. Nemmeno la chitarra era davvero una chitarra. E Carl Hanna non era affatto chi sosteneva di essere. Quello non era nemmeno il suo nome. E il suo curriculum era pura finzione. Penso a Vic Thorn. Si sarebbero aspettati di tutto, ma non che Thorn avesse un incidente. La sua missione era stata pianificata nei minimi dettagli da moltissimo tempo. Non doveva neppure esserci la possibilita che qualcosa andasse storto. Poi un minuscolo frammento di Space debris aveva cambiato tutto nel giro di pochi secondi. Hanna guardo dalla finestra. Thorn era la fuori, da qualche parte. Era entrato a far parte del cosmo, si era trasformato in un asteroide dalla traiettoria sconosciuta. Molti ipotizzavano che fosse rimasto intrappolato nel campo gravitazionale terrestre ma, in tal caso, la salma avrebbe ciclicamente incrociato l’orbita della stazione. Invece Thorn era scomparso. Forse un giorno lontano sarebbe precipitato nel Sole. O, piu probabilmente, sarebbe stato catturato dall’orbita di un altro pianeta abitato da intelligenze aliene, di l a qualche milione di anni, suscitando un’enorme sorpresa. Hanna prese un deodorante roll-on, tolse il cappuccio, lo rimise e poi ripose l’oggetto al suo posto. Stavolta avrebbe funzionato. Limit 25 MAGGIO 2025 L’INCARICO XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA Chén Hongbng attraverso l’ingresso piegando la schiena, com’e tipico delle persone la cui statura sembra in costante conflitto con gli stipiti delle porte e i lampadari che penzolano dal soffitto. Era un uomo straordinariamente alto per essere un cinese. D’altro canto, non si poteva certo rimproverare all’architetto di quella shkumen di non essersi preoccupato delle misure. L’architrave della porta misurava ben tre metri, pertanto non era necessario curvare le spalle, né abbassare la testa avvicinando il mento allo sterno. Nel complesso, Chén aveva un aspetto smunto e ossequioso. Gli occhi sembravano costantemente all’erta, come se lui si as-
pettasse di prendersi una randellata da un momento all’altro. Jericho aveva l’impressione che quell’uomo avesse passato la vita a parlare da seduto con persone in piedi. Sempre che quello fosse Chén Hongbng. Il visitatore sfioro lo stipite della porta con la punta delle dita - quasi volesse assicurarsi una solida presa nell’eventualita di un crollo improvviso -, guardo confuso il mucchio di scatoloni che ingombravano la stanza e varco la soglia con la cautela di un funambulo. L’ambiente era rischiarato da un luminosissimo sole di mezzogiorno, una scultura di luce in cui vorticavano miliardi di granelli di polvere. Chén socchiuse le palpebre. In quel cono di luce, sembrava un fantasma. Appariva piu giovane di come glielo aveva descritto Tu Tian. La pelle sugli zigomi, sulla fronte e sul mento era tesa, come se quel volto fosse inattaccabile ai segni del tempo. Solo intorno agli occhi si diramava un raffinato macrame di piccole rughe. Jericho le immagino testimoni di una vita faticosa. «Ta wei wo ch-le hen duo ku», aveva detto Tu Tian. «Hong-bng ha ingoiato amarezza per un sacco di anni, Owen. Ogni mattina gli risale l’esofago e lui la ricaccia giu. Un giorno lo soffochera. Aiutalo, xiongdì.» Aveva «ingoiato amarezza». In Cina, persino la disperazione poteva essere mangiata. Jericho guardo indeciso il cartone che aveva tra le mani e si chiese se fosse meglio appoggiarlo sulla scrivania come stava per fare o se riporlo di nuovo sul mucchio. Chén non era arrivato in un buon momento. Non lo aspettava cos presto. Tu Tian aveva parlato di una visita pomeridiana, e non era neanche mezzogiorno. Lo stomaco di Jericho brontolava, la fronte e il labbro superiore brillavano di sudore. Ogni volta che si passava la mano sul viso e sui capelli, la polvere si mischiava al sudore, conferendogli un aspetto tutt’altro che dignitoso per una persona che stava per trasferirsi nel lussuoso ed esclusivo quartiere di Xntiand. La barba di tre giorni non migliorava certo la situazione. Con addosso una T-shirt di cui ormai si poteva solo intuire il colore originario, uno straccio reso appiccicoso dalla temperatura che sfiorava i 37 °C e un’umidita percepita pari al 99,9 per cento, praticamente a digiuno da ventiquattr’ore, Jericho non desiderava altro che terminare il trasloco al piu presto. Ancora una scatola, uno spuntino al Taikang Lu, poi le casse rimanenti, una doccia, la barba... Quello era stato il suo programma. Ma, quando vide Chén entrare nella luce polverosa della sua casa, cap di non poter chiedere al visitatore di tornare piu tardi. Chén era una di quelle persone che, se le mandi via, ti perseguitano nei sogni. Inoltre una simile eventualita era fuori discussione anche per una sorta di riguardo verso Tu Tian. Jericho ripose lo scatolone sul mucchio e sfoggio un sorriso della categoria B: cordiale ma distaccato. «Chén Hongbng, suppongo.» Il suo interlocutore lancio un’occhiata sgomenta agli scatoloni e ai mobili stipati in un angolo. Tossicchio. Poi indietreggio di un passo. «Sono arrivato in un momento inopportuno.»
«Assolutamente no.» «Mi trovavo in zona... Ma se disturbo posso tornare...» «Lei non disturba affatto.» Jericho si guardo intorno, prese una sedia e la sistemo davanti alla scrivania. «Si accomodi, onorevole Chén, faccia come se fosse a casa sua. Ho appena traslocato, ecco perché questo caos. Posso offrirle qualcosa?» No, non puoi, penso subito dopo. Per farlo, avresti dovuto fare la spesa. Ma tu sei un uomo. Quando traslocano le donne, si preoccupano di riempire il frigorifero prima ancora che l’ultimo scatolone venga scaricato; se non c’e un frigorifero, ne comprano uno e lo mettono in funzione. Poi gli venne in mente la bottiglia di succo d’arancia mezza piena. Pero si trovava sul davanzale della finestra del soggiorno dal mattino precedente, il che significava che era stata esposta al sole per due giorni interni e che al suo interno, con ogni probabilita, si erano gia sviluppate forme di vita intelligenti. «Caffe? Te?» «Grazie, molte grazie.» Chén si accomodo sul bordo della sedia e si dedico all’osservazione delle proprie ginocchia. L’effettivo contatto tra il suo corpo e la sedia sarebbe stato a malapena misurabile. «Qualche minuto del suo tempo e piu di quanto io possa aspettarmi, date le circostanze.» Un orgoglio impacciato accompagnava le sue parole. Jericho ando a prendere una seconda sedia, la piazzo accanto a quella di Chén e indugio. In realta, lo spazio davanti alla scrivania spettava a due comode poltrone, entrambe a portata di mano, ma ancora imballate nella plastica chiusa col nastro adesivo. «È un piacere per me poterla aiutare», disse, accentuando il sorriso. «Ci prenderemo tutto il tempo necessario.» Chén scivolo lentamente all’indietro sulla sedia e si appoggio con cautela allo schienale. «È molto gentile da parte sua.» «E lei non e comodo. Mi scusi infinitamente. Mi permetta di farla accomodare su qualcosa di piu confortevole. È tutto ancora imballato, ma...» Chén sollevo il capo e lo guardo con gli occhi socchiusi. C’era qualcosa in lui che irritava Jericho. All’improvviso comprese: tutto sommato, Chén era un bell’uomo. In passato, doveva essere stato uno di quegli uomini che le donne consideravano affascinanti. Fino al giorno in cui qualcosa non aveva affilato i suoi tratti proporzionati, trasformando il suo viso in una maschera grottesca del tutto priva di mimica facciale. Si capiva dal modo nervoso con cui di tanto in tanto socchiudeva le palpebre. «Non permettero assolutamente che a causa mia lei debba...» «Sarebbe un grande onore per me.» «Assolutamente no.» «Devo comunque toglierle dall’imballaggio.»
«Certo che deve farlo, ma nel momento che scegliera lei.» Chén scosse il capo e si alzo. Le sue articolazioni scricchiolarono. «La prego. Sono arrivato molto in anticipo, l’ho interrotta nel bel mezzo dei lavori e di certo lei non e affatto entusiasta di vedermi.» «Ma certo che s. Sono contento della sua visita.» «No, farei meglio a tornare piu tardi.» «Non potrebbe esserci momento piu opportuno. La prego, resti.» «Non posso pretendere che lei mi riceva. Se solo avessi saputo... » Eccetera, eccetera. In teoria, il gioco poteva continuare all’infinito. Non che uno dei due nutrisse dubbi sulla reale posizione dell’altro. Chén sapeva benissimo che aveva sorpreso Jericho in un momento inopportuno, e le dimostrazioni del contrario non servivano certo a cambiare la situazione. Jericho, da parte sua, era altrettanto consapevole che Chén sarebbe stato piu comodo su un letto di chiodi che su una qualsiasi delle sue sedie da cucina. La colpa era delle circostanze. La presenza di Chén era la conseguenza di un complesso sistema di favori che si rincorrevano all’infinito, e lui provava una profonda vergogna perché sapeva di aver commesso un errore. Si trovava in quel posto per via di uno di quei favori, era stupidamente arrivato troppo presto e nel bel mezzo di un trasloco, creando imbarazzo alla persona che lo aveva mandato e mettendo l’uomo che doveva riceverlo nella sgradevole situazione di dover interrompere il suo lavoro. Sapeva che Jericho non avrebbe mai rimandato il loro colloquio, ora che era l. Il rituale delle gentilezze prevedeva una sequenza illimitata di: «No», «Ma s», «Assolutamente no», «Certo che s, sarebbe un onore», «Non se ne parla», «Ma s», «No», «Invece s!» Padroneggiare quel gioco richiedeva anni e anni di allenamento. Se eri un pengyou, un «conoscente» utile da un punto di vista sociale, giocavi in un modo. Se eri uno xiongdì, un «amico del cuore», le regole del gioco cambiavano. Status sociale, eta e sesso, oggetto della conversazione, ogni dettaglio sottostava alle rigide regole del codice delle buone maniere. Tu Tian, per esempio, aveva chiesto quel favore a Jericho senza troppi fronzoli e aveva tagliato corto chiamandolo xiongdì. Con uno spirito affine ci si poteva tranquillamente risparmiare il balletto diplomatico. Forse lo aveva fatto perché a Chén ci teneva davvero, o forse solo perché non voleva interrompere troppo a lungo la partita a golf, il cui esito peraltro era piu che scontato. Quando aveva accennato alla cosa, i cumulonembi nel cielo lasciavano filtrare un caldo sole pomeridiano, che tingeva l’ambiente con colori degni della pittura paesaggistica del Rinascimento italiano. Dopo due giorni di pioggia incessante, finalmente era uscito il sole. «Owen, so che ne hai fin sopra i capelli del trasloco e in condizioni normali non oserei importunarti...» aveva detto Tu Tian. Poi aveva guardato il cielo, estratto il Big Bertha e concluso: «... ma forse potresti farmi un favore, xiongd».
Tu Tian, campo da golf Tomson Shanghai Pudong, due giorni prima, massima concentrazione. Di qualunque cosa si trattasse, Jericho sapeva di dover aspettare. In quel momento, Tu Tian era su un altro pianeta e si stava preparando per un potente drive. Uno slancio ritmico era partito dalla schiena; muscoli e articolazioni vibravano in armonia. Jericho era bravo e, da due anni, aveva l’onore di giocare sui campi migliori di Shanghai, quando persone come Tu Tian lo invitavano. Altrimenti giocava al Lu Chao Harbour City Club, un green rinomato, ma dai costi abbordabili. Tuttavia Jericho sapeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungere nemmeno lontanamente il livello di Tu Tian, il quale sembrava possedere una predisposizione naturale per quello sport. Entrambi avevano iniziato piuttosto tardi a lanciare palline bianche alla velocita di duecento chilometri orari mirando a piccole buche nel terreno. Tuttavia, la prima volta che aveva messo piede su un campo da golf, Tu Tian aveva vissuto una specie di ritorno alle origini. Il suo modo di giocare era impeccabile, abile ed elegante. Per Tu Tian, giocare a golf era stato sin dall’inizio naturale come lo e il nuoto per i neonati. Lui era il gioco del golf. Jericho aveva osservato l’amico mentre colpiva la palla, facendole disegnare una parabola perfetta. Tu Tian era poi rimasto immobile per qualche secondo nella posizione di tiro e infine aveva abbassato lentamente il Big Bertha con espressione soddisfatta. «Parlavi di un favore», aveva detto allora Jericho. «Come?» Tu Tian aveva corrugato la fronte. «Ah, s, niente di particolare, sai com’e.» Si era messo in marcia, seguendo con lo sguardo la traiettoria della pallina. Jericho gli si era affiancato. Ancora non sapeva di cosa si trattasse, ma aveva il presentimento che non sarebbe stata una passeggiata. «Che problema ha quest’uomo?» aveva chiesto, fissando il cielo blu. «O si tratta di una donna?» «È un uomo, un amico. Si chiama Chén Hongbng.» Tu Tian aveva sorriso. «Ma non e questo il problema che devi risolvere per lui.» Jericho aveva colto l’amaro doppio senso dell’osservazione. Quel nome era come una barzelletta di cattivo gusto. Era molto probabile che Chén fosse nato negli anni ’60 del secolo precedente, quando le Guardie Rosse seminavano il terrore nel Paese e i neonati venivano chiamati coi nomi piu astrusi in onore della Rivoluzione e del Grande Presidente Mao. All’epoca, non era raro imbattersi in bambini che portavano nomi altisonanti come «Abbasso l’America», «Onore al Presidente» o «Lunga Marcia ». In realta, era stata la paura a dettare quelle scelte. Prima del 1969, quando l’Esercito Popolare di Liberazione aveva messo fine alle prepotenze delle Guardie Rosse, nessuno poteva sapere chi avrebbe dominato la scena politica. Tre anni prima, Mao Zédong era sceso in piazza Tian’anmén insieme coi comuni
mortali e si era fatto mettere una fascia rossa intorno al braccio, ponendosi cos a capo delle Guardie Rosse, un mucchio selvaggio composto da un milione di fanatici, perlopiu adolescenti, fuggiti dalle scuole e dalle universita, che rapavano a zero i loro insegnanti, li picchiavano e li trascinavano in giro come asini, perché chiunque mostrasse di possedere un minimo di cultura e non fosse un contadino o un operaio veniva giudicato un intellettuale e quindi un sovversivo. L’incubo era finito solo nella primavera del 1969... o, meglio, era finito quell’incubo, visto che la cosiddetta Banda dei Quattro stava gia tramando nell’ombra. Come le loro vittime, le Guardie Rosse erano state rinchiuse nei campi di rieducazione e, a detta di molti cinesi, cio non aveva fatto che peggiorare la situazione. Jiang Qng, la moglie di Mao, in pieno delirio culturale, si stava preparando a compiere alcune tra le peggiori atrocita della storia della Cina. Ma almeno la gente aveva ripreso a dare nomi normali ai figli. Secondo Jericho, Chén doveva essere venuto al mondo tra il 1966 e il 1969: anni in cui il suo nome era tanto frequente quanto i vermi nell’insalata. Hongbng significava «Soldato Rosso». Tu Tian aveva rivolto lo sguardo al sole. «Hongbng ha una figlia.» Lo aveva detto come se quel semplice fatto fosse sufficiente a giustificare il racconto della storia. Gli si erano illuminati gli occhi, poi si era ricomposto. «È molto bella, ma purtroppo anche molto sconsiderata. Due giorni fa, e sparita senza lasciare traccia. In genere, lei si fida di me... Mi verrebbe da dire che si fida piu di me che di suo padre. Non e la prima volta che scompare, pero le altre volte almeno avvertiva. Lui, me o uno dei suoi amici.» «Cosa che stavolta ha tralasciato di fare.» «O non ne ha avuto l’occasione. Hongbng e assai preoccupato, e non ha torto. Yoyo ha la tendenza a dar fastidio alle persone sbagliate. O, se vuoi, a quelle giuste.» Con quelle parole, Tu Tian aveva sinteticamente delineato la situazione. Jericho aveva arricciato le labbra. Sapeva benissimo cosa doveva fare. Oltretutto il nome di Yoyo aveva smosso qualcosa dentro di lui. «E io dovrei cercare la ragazza?» «Mi faresti un grosso piacere se accettassi di ricevere Chén Hongbng.» Tu Tian aveva avvistato la sua pallina e accelerato il passo. «Ovviamente solo se ne hai la possibilita.» «Che cos’ha combinato, di preciso?» aveva chiesto Jericho. «Yoyo, intendo.» L’altro si era portato accanto al piccolo oggetto bianco intravisto fra l’erba, aveva guardato Jericho negli occhi e poi aveva sorriso. Il suo sguardo diceva: «Adesso la metto in buca». Jericho aveva ricambiato il sorriso. «Sara un onore per me. Dillo pure al tuo amico.» Tu Tian aveva annuito, come se non si fosse aspettato una risposta diversa. Poi, dopo aver chiamato Jericho xiongd una seconda volta, si era completamente dedicato al putter e alla pallina.
I cinesi della nuova generazione avevano in gran parte abbandonato il codice delle buone maniere. I loro modi si erano globalizzati. In caso di bisogno, in genere, si poteva arrivare al sodo senza troppi giri di parole. Con Chén Hongbng chiaramente non sarebbe stato cos. Il suo aspetto testimoniava l’appartenenza alla vecchia Cina, quel Paese in cui esistevano mille modi per perdere la faccia. Jericho indugio, poi gli venne un’idea su come risolvere l’intoppo e tirar fuori Chén dall’imbarazzo. Si chino, prese un taglierino dalla cassetta degli attrezzi accanto alla scrivania e inizio ad affondarlo con gesti rapidi nella plastica da imballaggio per liberare una delle poltrone. Chén sollevo le mani con orrore. «La prego. È alquanto imbarazzante per me...» «Non deve sentirsi in imbarazzo», esclamo Jericho in tono allegro. «A dirla tutta, vorrei approfittare del suo aiuto. Nella cassetta degli attrezzi c’e un altro taglierino. Cosa ne dice di unire le forze per rendere un po’ piu vivibile questa baracca?» Era una mossa a sorpresa. Stava offrendo a Chén una via d’uscita dal pasticcio in cui si era cacciato da solo. «Tu aiuti me, io aiuto te.» «Tu dai un contributo al mio trasloco che permettera a entrambi di stare seduti piu comodi e io aiuto te a salvare la faccia.» Un classico do ut des. Chén sembro titubante. Si gratto la testa, poi si alzo dalla sedia, pesco il taglierino dalla cassetta e inizio a disimballare l’altra poltrona. A mano a mano che tagliava, si rilasso. «Apprezzo davvero molto la sua disponibilita. Purtroppo Tian non ha avuto l’opportunita d’informarmi del suo trasloco.» Che, in parole povere, significava: «Quell’idiota non mi ha detto niente». Jericho scrollo le spalle e tolse il foglio protettivo dalla sua poltrona. «Non ne sapeva niente.» Anche quella era una bugia, ma cos entrambi avevano dimostrato il loro rispetto per Tu Tian e potevano finalmente dedicarsi a questioni piu importanti. Trascinarono le poltrone davanti alla scrivania. «Niente male.» Jericho ridacchio. «Adesso avremmo solo bisogno di recuperare un po’ di energie. Potrei andare a prendere del caffe. Qui sotto c’e una pasticceria dove fanno...» «Non si disturbi», lo interruppe Chén. «Vado io.» Eh, gia, il gioco. «Non se ne parla.» «Invece s.» «Ma no, e un piacere per me, lei e mio ospite.» «E lei mi ha ricevuto in anticipo. Come le ho gia detto...» «È proprio il minimo che posso fare per lei. Come gradisce il suo caffe?» «E lei come gradisce il suo?»
«Davvero gentile, ma...» «Le faccio mettere della noce moscata?» Era la nuova moda. L’inverno precedente, con l’idea della noce moscata nel caffe, Starbucks aveva evitato il fallimento. Adesso tutti bevevano caffe alla noce moscata giurando che avesse un sapore delizioso. A Jericho torno in mente la moda dell’«Espresso-Schuan», che aveva invaso l’intero Paese pochi anni prima e aveva trasformato il gusto del caffe italiano nella variante asiatica dell’inferno dantesco. Una volta, aveva osato assaggiarlo, appoggiando appena le labbra al bordo della tazza, e per due giorni aveva avuto la sensazione che gli si staccasse la pelle dalla bocca. Si rassegno. «Un normalissimo cappuccino sarebbe perfetto. La pasticceria e proprio qui in fondo a sinistra. » Chén annu. Poi, all’improvviso, sorrise. La pelle del viso si tese al punto da far temere a Jericho che potesse lacerarsi. Ma era un sorriso sincero, aperto e luminoso. «Yoyo non e il suo vero nome», spiego Chén mentre sorseggiavano il caffe. Nel frattempo, il condizionatore aveva iniziato a lavorare a pieno ritmo per portare l’ambiente a una temperatura quantomeno sopportabile. Chén stava seduto sul bordo della morbida poltrona in pelle come se si aspettasse che quella lo scagliasse lontano da un momento all’altro. Tuttavia, paragonato all’uomo che aveva varcato la soglia mezz’ora prima, adesso appariva quasi rilassato. «Quale sarebbe?» «Yuyun.» «’Nuvola di giada.’» Jericho sollevo le sopracciglia in segno di approvazione. «Bellissimo nome.» «Se sapesse quanto ci ho riflettuto! Doveva essere un nome semplice, fresco, pieno di poesia, pieno di...» Lo sguardo di Chén si velo e si perse nel vuoto. «Armonia», concluse Jericho. «S.» «E perché si fa chiamare Yoyo?» «Non lo so.» Chén sospiro. «So davvero troppo poco di lei, ecco qual e il problema. Non si puo affermare di conoscere una persona solo perché la si etichetta in qualche modo. La scritta non dice nulla del contenuto. Cosa sono i nomi, in fondo? Esortazioni alla resistenza per i dispersi, nel migliore dei casi. Eppure si spera sempre nelle eccezioni, chissa, magari il proprio figlio... Si e come frastornati. Come se i nomi avessero mai fatto la differenza. Come se un nome avesse mai rispecchiato la personalita di chi lo porta!» Sorseggio rumorosamente il caffe.
«E Yoyo-Yuyun e scomparsa.» «Continuiamo pure a chiamarla Yoyo. Solo io la chiamo Yuyun, e nessun altro. S, sono due giorni che non la vedo né la sento. Tu Tian non le ha raccontato niente?» «Mi ha solo accennato qualcosa.» Per motivi inspiegabili, quel fatto sembro rallegrare Chén. Poi Jericho comprese. Tu Tian gli aveva detto: «Mi verrebbe da dire che si fida piu di me che di suo padre». Quale che fosse il filo che legava Tu Tian e Chén, per quanto stretto fosse il legame tra i due, l’affetto di Yoyo per Tu Tian era un ostacolo tra loro. Chén aveva appena ottenuto la rasserenante certezza che nemmeno Tu Tian sapeva tutto, stavolta. «L’altro ieri avevamo un appuntamento a pranzo nella Liao-nng Lu. Ho aspettato piu di un’ora, ma lei non si e presentata. All’inizio ho pensato che fosse per via della nostra discussione, insomma che fosse ancora arrabbiata, ma poi...» «Avevate litigato?» «Una decina di giorni fa, mi ha messo davanti al fatto compiuto che se ne andava di casa. Non aveva ritenuto necessario chiedere il mio consiglio, né voleva aiuti da parte mia. Quindi ci siamo evitati, per un po’.» «Lei non era d’accordo?» «Il passo mi sembrava un po’ precipitoso e gliel’ho detto in modo molto chiaro. Non c’era nessun motivo perché se ne andasse. E ho aggiunto che a casa sarebbe stata sicuramente meglio che in quel covo di delinquenti che frequenta da anni. Che di certo non stava facendo un favore a se stessa, con quella gente... insomma che non mi sembrava una mossa saggia...» Chén fisso il bicchiere che aveva in mano. Per un attimo calo il silenzio. Galassie di polvere prendevano forma per poi disperdersi nella luce solare. A Jericho prudeva il naso, ma lui decise di trattenere lo starnuto. Continuava a chiedersi dove avesse gia sentito il nome di Yoyo Chén. «Yoyo e una ragazza piena di talento», continuo Chén a voce bassa. «Forse le ho davvero posto troppe limitazioni. Ma non avevo scelta. Provocava gente importante e la cosa stava diventando sempre piu pericolosa. Gia cinque anni fa l’hanno... perché aveva ignorato i miei consigli...» «Cosa aveva combinato?» «Aveva ignorato tutte le mie raccomandazioni.» «S, capisco. Ma non e un reato. O e per questo che l’hanno arrestata?» Chén socchiuse le palpebre, diffidente. «Io non mi sono espresso in modo cos esplicito.» Jericho corrugo la fronte. Si chino in avanti, un le mani e guardo Chén dritto negli occhi. «Ascolti, io non voglio metterla in imbarazzo. Ma cos non andiamo avanti. Lei non e certo venuto qui per raccontarmi che sua figlia ha ricevuto un’onorificenza dal Partito. Parliamoci
chiaro, allora. Cos’ha fatto?» «Lei ha...» Chén sembrava alla ricerca di una frase in cui non comparissero parole come «critica» e «regime». «Posso avanzare un’ipotesi?» Chén tentenno, poi annu. «Yoyo e una dissidente.» Jericho sapeva che le cose stavano cos. Dove cavolo aveva sentito il suo nome? «Critica il sistema, forse su Internet. E lo fa da anni. Ha gia attirato piu volte l’attenzione delle autorita, ma fino all’altro ieri se l’e cavata senza grossi problemi. Ora potrebbe essere successo qualcosa. E lei e preoccupato che Yoyo si trovi in stato d’arresto.» «Mi ha detto che io sono l’ultima persona che puo rimproverarla per questo», bisbiglio Chén. «Io cercavo solo di proteggerla. Ecco perché abbiamo litigato. Ne abbiamo discusso piu volte, ma lei si metteva sempre a urlare. Diceva che era tutto inutile, che non lascio avvicinare nessuno, nemmeno mia figlia, e che non ho nessun diritto di criticarla...» Jericho attese. I tratti del viso di Chén s’indurirono. «Ma non voglio seccarla con queste storie. Il fatto e che non ho sue notizie da due giorni. » «Forse e meno grave di quanto lei pensi. Non sarebbe la prima volta che una ragazza sparisce dopo una lite. Si rifugia da amici, si finge morta... e tutto cio solo per dare una lezione ai genitori. » Chén scosse il capo. «Non Yoyo. Non farebbe mai una cosa del genere.» «Lei stesso ha detto di conoscere poco sua figlia...» «Sotto questo aspetto la conosco benissimo. Ci somigliamo in molte cose. Yoyo non sopporta gli atteggiamenti infantili.» «Si e rivolto alle autorita per avere informazioni?» Chén strinse i pugni, ma il suo volto rimase inespressivo. Jericho sapeva che si stavano avvicinando al punto cruciale della questione, il vero motivo per cui Tu Tian aveva mandato quell’uomo a casa sua. «Lei ha chiesto informazioni... oppure no?» «No, non l’ho fatto!» Chén sembro masticare le parole prima di sputarle fuori. «Non posso farlo. Non posso chiedere alle autorita, rischierei di aizzarli contro Yoyo, di metterli sulle sue tracce.» «Quindi non e sicuro che Yoyo sia stata arrestata...» «L’ultima volta, sono passate settimane prima di riuscire a sapere in quale distretto la stavano trattenendo. Ma, che l’avessero arrestata, l’ho saputo poche ore dopo. Con gli anni, ho potuto costruire una rete di conoscenze importanti. Ci sono persone pronte a esercitare la loro influenza per me e per Yoyo.»
«Come Tu Tian.» «Lui e altri. Grazie a loro, ero venuto a sapere dell’arresto di Yoyo. Mi sono informato presso questi... amici, ma stavolta mi hanno detto di non sapere nulla. Non hanno idea di dove si trovi Yoyo. Non mi stupirebbe scoprire che ha di nuovo fornito un motivo alle autorita per darle la caccia, ma e anche possibile che le stesse autorita siano all’oscuro di tutto.» «Dunque Yoyo potrebbe semplicemente aver avuto paura, decidendo cos di cambiare aria?» Chén si torse le mani. A Jericho sembrava di avere davanti un arco teso. «Se andassi dalla polizia, potrei seminare diffidenza in un campo in cui gia prospera l’ignoranza», replico Chén. «Yoyo finirebbe di nuovo nel loro mirino, indipendentemente dal fatto che abbia combinato qualcosa. Ogni scusa sarebbe buona, per loro. Per un certo periodo, Yoyo ha evitato di provocarli, e io credevo che avesse imparato la lezione, che fosse venuta a patti col proprio passato, ma...» Guardo Jericho dai suoi occhi esausti e scuri. Stavolta non ammicco. «Capisce il mio dilemma?» L’altro lo osservo in silenzio, poi si appoggio allo schienale e rifletté. Se Chén continuava a girare intorno all’argomento come un lupo intorno al fuoco, di certo non avrebbero fatto passi avanti. Aveva cercato di farglielo capire, seppure in modo indiretto, ma forse Chén non se n’era accorto. Quell’andatura zigzagante era cos familiare, per lui... Probabilmente era convinto di procedere comunque dritto. «Non vorrei essere troppo invadente, ma devo chiederle una cosa. Puo essere che lei non sia la persona giusta per andare dalle autorita a parlare di attivita antigovernative?» «Cosa intende?» «Sono nel giusto a pensare che la polizia non stia dando la caccia a Yoyo soltanto per quello che fa?» «Capisco.» Chén lo fisso. «Lei ha ragione, non tutto il mio passato torna a vantaggio di Yoyo. In ogni caso, non le farei un favore, andando dalla polizia. Possiamo chiudere qui la faccenda? » Jericho annu. «Lei sa che mestiere faccio? Tian glielo ha spiegato?» «S.» «La mia riserva di caccia e la rete. Suppongo che le abbia consigliato di rivolgersi a me perché Yoyo e attiva proprio in questo campo.» «Tu Tian ha grande stima di lei. Dice che lei e il migliore.» «Questo mi onora. Ha una foto di Yoyo?» «Ho molto di piu. Ho dei filmati.» Infilo la mano nella giacca per estrarre un cellulare. Era un modello piuttosto vecchio, di quelli ancora privi della funzione di proiezione tridimensionale. Chén si mise ad armeggiare con l’apparecchio, provo a premere un po’ di tasti, ma
non accadde nulla. «Posso esserle d’aiuto?» si offr Jericho. «Me l’ha regalato Yoyo, ma non lo uso spesso.» Un velo d’imbarazzo calo sul suo viso. Passo il telefono a Jericho. «Lo so, e ridicolo. Se si parla di macchine d’epoca, conosco tutti i modelli. Ma questi affari...» Questi affari sono modelli d’epoca, se proprio vuoi saperlo, penso Jericho. «È appassionato di automobili?» chiese poi. «Sono un esperto. È mai stato da Historical Beauty, sulla Beijng Donglu? Sono il direttore dell’assistenza tecnica. Deve farmi il piacere di venire a trovarmi una volta. Il mese scorso avevamo in casa una Rolls-Royce Corniche color argento, con finiture in radica e sedili in pelle rossa, un autentico gioiello. Ce l’ha venduta un anziano tedesco. A lei piacciono le automobili?» «Sono utili.» «Posso chiederle che macchina guida?» «Una Toyota.» «Ibrida?» «Cella a combustione.» Jericho rigiro il cellulare tra le dita e diede un’occhiata agli attacchi. Con un adattatore, avrebbe potuto proiettare il contenuto sulla sua nuova parete olografica, ma non gliel’avrebbero consegnata prima di sera. Inizio a sfogliare i dati memorizzati. «Posso?» «Prego. Ci sono solo tre filmati, tutti di Yoyo.» Jericho rivolse l’apparecchio verso la parete di fronte e attivo il proiettore integrato. Mise a fuoco l’immagine alle dimensioni di un comune schermo piatto, in modo che la luce solare non disturbasse l’immagine, e fece partire il primo filmato. Tu Tian aveva ragione. Anzi aveva minimizzato la realta. Yoyo non era soltanto bella; era semplicemente incantevole. Nel periodo in cui aveva vissuto a Londra, Jericho aveva studiato le piu svariate teorie estetiche sull’essenza della bellezza: simmetria dei lineamenti del viso, evidenza di alcuni particolari tratti come occhi o labbra, proporzioni del cranio, percentuale di elementi infantili. La psicologia criminale attingeva a piene mani a quegli studi, anche per rintracciare gli individui nascosti dietro personalita virtuali. Secondo le ricerche piu recenti, la perfezione estetica femminile corrispondeva a un viso con occhi grandi e tondeggianti, fronte leggermente convessa, naso sottile e mento piccolo, ma entrambi ben pronunciati. Rielaborando visi femminili con un programma di morphing e inserendo una determinata percentuale di elementi infantili, saliva automaticamente l’indice di gradimento maschile. Le labbra carnose battevano le bocche sottili, gli occhi ravvicinati perdevano contro gli occhi distanziati. La Venere perfetta aveva
zigomi alti, sopracciglia sottili e scure, ciglia lunghe, capelli folti e luminosi e attaccatura regolare. Yoyo aveva tutte quelle caratteristiche e, nel contempo, non ne aveva nessuna. Chén l’aveva filmata durante un’esibizione in un locale poco illuminato, affiancata da alcuni musicisti, all’apparenza uomini. In quel periodo, i giovani maschi tendevano a adottare uno stile androgino e portavano i capelli lunghi fino alla vita. In alternativa, chi desiderava contare qualcosa nell’ambiente mando-prog poteva decidere di raparsi i capelli a zero e decorare la calotta cranica con applicazioni. I tagli corti erano considerati inaccettabili. Peraltro le figure che strimpellavano chitarra e basso avrebbero potuto benissimo essere avatar - simulazioni olografiche -, anche se il costo di una messinscena del genere sarebbe stato proibitivo. Solo i musicisti piu famosi potevano permettersi avatar; di recente, il rapper americano Eminem, a piu di cinquant’anni suonati, aveva deciso di sperimentarne l’effetto, facendo proiettare sul palco numerose versioni di sé che suonavano e ballavano... e purtroppo mostravano abilita motorie decisamente superiori rispetto al loro alter ego in carne e ossa. Ma tutte quelle cose - natura sessuale, carne e ossa, bit e byte - passavano in secondo piano osservando la cantante. Yoyo aveva pettinato i capelli all’indietro, raccogliendoli sulla nuca in quattro trecce che ondeggiavano. Cantava un vecchissimo brano di Shenggy, sottolineando la sua interpretazione con movimenti sinuosi ed efficaci. Per quel poco che la mediocre qualita di registrazione del cellulare lasciava intuire, si capiva che doveva anche avere una bella voce, sebbene non particolarmente degna di nota. E, anche se la pessima luce non la illuminava a dovere, a Jericho basto per rendersi conto di avere di fronte la piu bella donna che gli fosse mai capitato di vedere in trentotto anni di vita. Solo che il tipo di bellezza di Yoyo stravolgeva completamente qualsiasi teoria estetica. Per un attimo, le immagini divennero sfocate - Chén stava zoomando nel tentativo di fare un primo piano alla figlia - poi gli occhi di Yoyo riempirono lo schermo: uno sguardo di velluto, palpebre sottili, lunghe ciglia che si abbassavano e si alzavano. L’immagine si fece tremolante, Yoyo usc dall’inquadratura e il filmato fin. «Yoyo canta», disse Chén, come se fosse necessario ribadirlo. Jericho fece partire il secondo filmato. Mostrava Yoyo in un ristorante, seduta di fronte a Chén. Aveva i capelli sciolti e stava sfogliando un menu. D’un tratto, accorgendosi di essere ripresa, sorrideva. «Ma cosa stai facendo?» «Ti vedo cos poco...» rispondeva la voce di Chén. «Almeno cos ho un ricordo che posso conservare.» «Ah! Yoyo in barattolo.» La ragazza si era messa a ridere. Appena sotto gli occhi si erano formate due piccole rughe trasversali, un particolare mai contemplato tra i criteri di bellezza
dagli psicologi, ma che Jericho trovo assai eccitante. «E poi cos mi posso vantare un po’.» Per tutta risposta, Yoyo aveva fatto una smorfia e strabuzzato gli occhi. «Non cos, dai», protestava Chén. La ripresa termino. Il terzo filmato mostrava ancora lo stesso ristorante, evidentemente in un momento successivo. Musica mista a rumori. Sullo sfondo i camerieri avanzavano tra i tavoli affollati. Yoyo fumava una sigaretta e giocherellava con un drink. Poi socchiudeva le labbra, facendo uscire una sottile nuvola di fumo. Per tutta la durata della ripresa non diceva una parola. I suoi occhi erano fissi sul padre. Vi si leggevano amore e una sorta di strana tristezza. Jericho non si sarebbe meravigliato di vederla sciogliersi in lacrime. Ma non accadde nulla di simile. Di tanto in tanto, Yoyo abbassava le palpebre, come se volesse cancellare con le sue ciglia pesanti quello che vedeva, sorseggiava la sua bibita, portava la sigaretta alla bocca e poi buttava fuori il fumo. «Queste riprese mi serviranno», disse Jericho. Chén si alzo stancamente dalla poltrona, lo sguardo ancora rivolto alla parete ormai vuota, come se su di essa continuassero a scorrere le immagini della figlia. I suoi lineamenti erano piu tesi che mai. Benché non conoscesse i dettagli della vita di quell’uomo, Jericho sapeva leggere i segni del dolore sul viso di una persona. A Londra aveva visto volti simili. Vittime. Familiari di vittime. Colpevoli che erano diventati vittime di loro stessi. Qualunque cosa avesse pietrificato Chén, Jericho sperava con tutte le sue forze di essere molto lontano dal giorno in cui quella rigidita si fosse sciolta. Per nulla al mondo avrebbe voluto vedere cio che sarebbe apparso sul viso dell’uomo. «Ho altro materiale», disse Chén in tono piatto. «A Yoyo piace farsi fotografare. Ma i filmati sono molto meglio. Non questi, ovviamente. Yoyo ha girato alcuni video come guida turistica virtuale per Tian. In alta risoluzione, mi ha detto. In effetti, se visita il Museo della pianificazione urbanistica o ’l’occhio’ del World Financial Center, si ha davvero l’impressione di averla accanto in carne e ossa. Ho un paio di questi filmati a casa, ma Tian puo fornirle materiale migliore.» S’interruppe. «Sempre che lei accetti di cercare Yoyo per me.» Jericho prese il bicchiere, contemplando la fredda pozza di caffe sul fondo, poi lo riappoggio sulla scrivania. La luce del sole inondava la stanza. Guardo Chén e cap che non avrebbe chiesto il suo aiuto una seconda volta. «Mi servira molto piu di qualche filmato», disse allora. JN MÀO DÀSHÀ, SHANGHAI, CINA In quello stesso istante, una cameriera giapponese si stava avvicinando al tavolo di Kenny Xn con un vassoio di sushi e sashimi. Xn la vide arrivare con la coda dell’occhio, ma evito di girarsi verso di lei. Il suo sguardo indugiava sul nastro grigioazzurro del fiume Huangpu, tre-
cento metri piu in basso. Il traffico sull’acqua era piuttosto intenso. Chiatte simili a giunchi, unite a formare convogli, seguivano il corso del fiume come pigri serpenti acquatici, mentre imponenti navi mercantili si dirigevano verso gli attracchi oltre l’ansa a est. In mezzo, sgomitavano traghetti, taxi d’acqua e barconi turistici, diretti verso il ponte Yangpu e le gru delle stazioni di carico e scarico, costeggiando l’idilliaco parco Gongqng, sino alla foce, dove le acque oleose dello Huangpu, in un torbido gioco cromatico, si mischiavano a quelle melmose dello Changjiang - il Fiume Azzurro - per poi perdersi nel mar Cinese orientale. Il fiume descriveva una brusca curva verso destra, formando quella sorta di penisola che ospitava Pudong, il distretto finanziario ed economico di Shanghai. Da l si poteva quindi godere di una vista panoramica unica sulla strada che costeggiava la riva, la Zhongshan Lu, con le sue banche coloniali, i locali e gli hotel: relitti dell’epoca delle guerre dell’oppio, quando i giganti commerciali europei si erano spartiti il Paese e avevano iniziato a erigere monumenti autocelebrativi sulla riva occidentale del fiume. Piu di un secolo prima, tali costruzioni sicuramente sovrastavano tutti gli altri edifici con la loro magnificenza e le loro dimensioni; adesso invece sembravano giocattoli paragonati alle stalagmiti di vetro, acciaio e cemento che si ergevano alle loro spalle, tra le quali passavano autostrade, binari magnetici e linee dello skytrain e intorno alle quali ronzavano aeromobili e minielicotteri insettoidi. Sebbene il cielo quel giorno fosse eccezionalmente limpido, era impossibile scorgere l’orizzonte. Shanghai si dissolveva nella foschia, fondendosi col cielo. Nulla lasciava supporre che al di la di quelle costruzioni potesse esserci qualcosa di diverso da altre, infinite, costruzioni. Xn osservava quel panorama senza degnare di uno sguardo la cameriera che aveva appoggiato il sushi davanti a lui. Riusciva a concentrarsi su una cosa sola per volta e, in quel momento, l’oggetto della sua attenzione era una domanda: in quale punto di quella caotica megalopoli da venti milioni di abitanti si trovava la ragazza che lui stava cercando? A casa sua non c’era, aveva gia verificato. Se lo studente con quel nome idiota, Grand Cherokee Wang, non aveva mentito, forse sarebbe almeno riuscito a restringere il campo delle ricerche. Era costretto ad aggrapparsi a un’esile speranza, benché quel giovane non gli fosse sembrato molto affidabile: era uno dei due coinquilini di Yoyo, chiaramente affascinato dalla ragazza, ma ancora di piu dal denaro, il che lo aveva indotto a comportarsi come se potesse offrire chissa quali informazioni. Ma era chiaro che non sapeva niente di niente. «Non e da molto che Yoyo abita qui», aveva detto. «È una gallinella, le piace fare festa.» «E noi siamo i galli del pollaio», aveva aggiunto l’altro, ridendo sguaiatamente. Subito dopo, pero, si era scusato, ammettendo che era una battuta di pessimo gusto. «Gallinella» era la denominazione cinese per prostituta e i «galli del pollaio» erano i loro protettori. Evidentemente il tipo si era immaginato come avrebbe reagito Yoyo se Xn l’avesse messa al corrente della battuta infelice.
Dovevano riferire qualcosa a Yoyo? Xn aveva chiesto quando l’avevano vista l’ultima volta. La sera del 23 maggio. Avevano cucinato insieme, si erano scolati qualche birra, quindi Yoyo era andata nella sua stanza. Aveva lasciato l’appartamento la notte stessa. Quando? Sul tardi, pensava di ricordare Grand Cherokee. Verso le due, le tre del mattino. L’altro, di nome Zhang L, aveva scrollato le spalle. In ogni caso, da quel momento nessuno l’aveva piu vista. «È probabile che la vostra coinquilina sia nei guai», aveva detto allora Xn. «Per il momento vi dico solo questo, ma sappiate che la sua famiglia e molto preoccupata.» «Lei e un poliziotto?» aveva voluto sapere Zhang. «No. Sono stato mandato per aiutare Yoyo.» Aveva lanciato un’occhiata prima all’uno poi all’altro. «E sono anche autorizzato a dimostrarmi riconoscente per qualsiasi forma di collaborazione. Per favore, dite a Yoyo che mi puo trovare a questo numero, a qualsiasi ora.» Xn aveva porto un biglietto con un numero di cellulare a Grand Cherokee. «E nel caso vi venisse in mente qualche elemento in piu...» «Io non so nulla», aveva tagliato corto Zhang, del tutto indifferente, prima di sparire nella sua stanza. A disagio, Grand Cherokee lo aveva seguito con lo sguardo. Xn non si era mosso dalla soglia, per dare al ragazzo l’opportunita di passare all’offensiva. Cosa che inevitabilmente si era verificata non appena il coinquilino era scomparso dal suo campo visivo. «Potrei scoprire qualcosa per lei», aveva detto. «Ma non gratis, ovvio.» «Ovvio», gli aveva fatto eco Xn, con un tiepido sorriso. «Solo per coprire le spese, sa com’e. Be’, insomma, potrebbe esserci qualche indizio su dove si trova e, volendo, potrei...» Xn aveva fatto scivolare la mano destra nel taschino della giacca e ne aveva estratto un paio di banconote. «Posso dare un’occhiata alla sua stanza?» «Questo no», aveva balbettato Grand Cherokee, terrorizzato. «Yoyo non vorrebbe...» «Sarebbe per la sua sicurezza», aveva mormorato Xn. «Detto fra noi, potrebbe venire la polizia. E se trovasse qualcosa che mette Yoyo in difficolta...» «S, certo. Solo che...» «Capisco.» Xn aveva finto di rimettere le banconote nel taschino. «No, aspetti, forse...» «S?» Grand Cherokee aveva fissato il denaro, tentando di comunicare qualcosa a Xn con lo sguardo. La sua richiesta era chiarissima. Il linguaggio dell’avidita non necessita di parole. Xn
aveva infilato di nuovo la mano nel taschino e ne aveva estratto un numero maggiore di banconote. Il giovane si era mordicchiato il labbro, poi aveva afferrato il denaro e gli aveva fatto cenno di entrare. «Ultima porta a destra. Devo...» «Grazie. Me la cavo da solo. E, come ho detto, se dovesse venir fuori qualche indicazione su dove possa essere...» Gli occhi di Grand Cherokee si erano illuminati. «Devo solo fare qualche telefonata. Parlare con un paio di tizi. Ehi, la portero da Yoyo, non ne dubiti. Tuttavia...» «S?» «Forse dovro ungere qualcuno.» «Stiamo parlando di un anticipo?» «S, piu o meno.» Xn aveva letto la menzogna negli occhi di Grand Cherokee. Tu non sai niente di niente, aveva pensato. Pero magari la tua avidita ci portera da qualche parte. Comunque vada, ti farai vivo. Hai troppa voglia di guadagnarci qualcosa. Xn aveva messo in mano al suo interlocutore altre due banconote e poi si era avviato. Tutto cio era successo il giorno prima. Il ragazzo non si era ancora fatto sentire, ma Xn non era preoccupato. Contava di ricevere la sua chiamata nel pomeriggio. Guardo il suo sushi di tonno, salmone e sgombri, tutti ingredienti di ottima qualita. La cucina del ristorante giapponese al cinquantaseiesimo piano della Jn Mao Dasha era impeccabile, se non si teneva conto di qualche imprecisione nell’accostamento dei cibi. Il ristorante faceva parte del Jn Mao Grand Hyatt che occupava i cinquantatré piani superiori dell’ex edificio piu alto della Cina, dato che ormai la Jn Mao Dasha era stata superata in altezza gia una dozzina di volte solo a Shanghai, la prima nel 2008 dal vicino World Financial Center, che tra l’altro ospitava anch’esso uno Hyatt. Ma l’albergo della Jn Mao Dasha esercitava ancora il fascino dei tempi andati. Riportava alla memoria l’epoca in cui il Paese, stretto fra comunismo, confucianesimo e capitalismo, aveva iniziato a cercare una nuova identita, e l’aveva trovata sia nelle reminiscenze del passato imperiale sia nell’estetica coloniale o Art Déco. A Xn piaceva quell’atmosfera, anche se bisognava ammettere che nell’edificio di fronte si alloggiava con piu stile. Cio che lo aveva indotto a scegliere quell’albergo era l’idea di poter assoggettare la propria esistenza a qualcosa di completamente diverso dalle emozioni: una fredda aderenza ai principi dell’ordine, sino a raggiungere la formula segreta della perfezione. Kenny Xn era nato nel 1988 e, per la Jn Mao Dasha, il numero 8 si era rivelato tanto importante quanto il genoma per l’essere umano. Deng Xiaopng aveva approvato il progetto dell’edificio all’eta di 88 anni e il palazzo era stato inaugurato il 28-8-1998. Era formato da 88 piani, disposti in modo da formare una struttura in cui ogni segmento era di un ottavo piu stretto rispetto alla base coi suoi 16 piani. Le travi
d’acciaio su cui poggiava il grattacielo misuravano 80 metri. Fino al 2015, l’edificio disponeva di 79 ascensori: un neo al quale si era posto rimedio installando un ascensore di servizio... Tutto insomma era riconducibile al numero 8. Naturalmente quella creazione altrimenti esemplare presentava anche alcune imperfezioni. Per esempio, in caso di tempeste o terremoti, il grattacielo era in grado di oscillare al massimo di 75 centimetri. Xn si chiedeva come i progettisti avessero potuto lasciarsi sfuggire un simile errore. Lui non era un architetto e forse - aveva pensato - non si poteva fare altrimenti. Ma cos’erano 5 centimetri di fronte alla possibilita di raggiungere la perfezione? Dal punto di vista dell’ordine cosmico, la Jn Mao Dasha si presentava come una cameretta in disordine. Con un dito della mano curatissima, Xn allontano il vassoio del sushi verso sinistra e posiziono la bottiglia di birra Qngdao e il bicchiere alla stessa distanza dietro di esso. Cos va meglio. Tuttavia lui non era una di quelle persone ossessionate dall’ordine, che dovevano posizionare tutto ad angolo retto. Ogni tanto riusciva anche a vedere l’ordine piu puro in certe manifestazioni del caos. Ma cosa poteva esserci di piu perfetto della totale omogeneita senza traccia di grumi, come una mente del tutto vuota, l’ideale cosmico, in cui ogni singolo pensiero non era altro che un elemento inquinante, a meno che non lo si potesse richiamare consapevolmente e cancellare a piacere? Controllare lo spirito significava controllare il mondo. Xn sorrise mentre apportava altre correzioni. Sposto la ciotolina di salsa di soia, ruoto di pochi gradi il vaso contenente un’orchidea, divise le bacchette, spezzandole, e poi le appoggio parallele davanti a sé. La stessa citta di Shanghai non era forse una meravigliosa manifestazione del caos? Oppure la confusione occultava un disegno segreto che si sarebbe svelato solo all’osservatore piu attento? Xn allontano alcune palline di riso sul vassoio di legno sinché non fu soddisfatto della loro disposizione. Poi inizio a mangiare. XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA Ripensando al suo passato, Jericho vedeva la sua vita in Cina come una confusa successione di azioni temerarie e fughe, accerchiata da muri a isolamento acustico e cantieri all’ombra dei quali lui, con l’operosita di una talpa, si era impegnato per migliorare la propria situazione finanziaria. E, alla fine, c’era riuscito. La banca ora lo trattava come un amico di famiglia: gli presentava dossier per l’acquisto di quote di navi da crociera, d’impianti di depurazione, di centri commerciali e di grattacieli. Il mondo, insomma, sembrava darsi un gran daffare per spiegargli come spendere il suo denaro. Adulato dall’alta societa, rispettato e oberato di lavoro, adesso Jericho sentiva tutto il peso di quello che aveva raggiunto, ed era troppo esausto per scrivere l’ultimo capitolo della storia della sua esistenza nomade e trasferirsi in
un quartiere in cui valesse la pena invecchiare. Un passo che avrebbe dovuto fare gia da tempo, ma il pensiero di mettersi un’altra volta a fare le valigie aveva su di lui un effetto narcotizzante, e la sera preferiva buttarsi spossato sul divano mentre le luci artificiali e i rumori dei cantieri filtravano attraverso le tende, guardare un film e addormentarsi mormorando il mantra «Devo-andarmene-da-qui». Era stato in quel periodo che Jericho aveva iniziato a dubitare seriamente del senso della propria esistenza. Non aveva avuto dubbi, invece, quando Joanna lo aveva attirato a Shanghai solo per piantarlo in asso tre mesi dopo. Non aveva esitato nemmeno quando si era reso conto di non avere i soldi per tornare a casa e rimettere in piedi la sua vita a Londra. Non era stato incerto nel suo primo alloggio a Shanghai, dove viveva miseramente su una moquette umida, tutte le mattine tentava di strappare alla doccia un paio di litri di acqua marrone, e le finestre tremavano a causa del traffico incessante della superstrada a due piani che passava proprio accanto al palazzo. Allora si era semplicemente detto che le cose potevano solo migliorare. Ed era andata proprio cos. All’inizio, Jericho aveva offerto i propri servigi alle aziende straniere che volevano fare affari a Shanghai, molte delle quali non trovavano appigli nella fragile cornice della legislazione cinese in materia di protezione dei diritti d’autore e si sentivano spiate e defraudate del loro know-how. Col tempo, tuttavia, anche il Paese del Drago aveva iniziato ad abbandonare la sua proverbiale mentalita da self-service. Se la Cina d’inizio secolo aveva plagiato allegramente qualsiasi cosa gli hacker riuscissero a pescare nella rete globale delle idee, in seguito anche le aziende cinesi avevano iniziato a protestare con forza per l’inettitudine del loro governo, incapace di proteggere le opere dell’ingegno. Anche le imprese locali avevano dovuto imparare a confrontarsi con dichiarazioni del tipo: «Il prodotto ci e sembrato degno di essere replicato», un modo edulcorato per dire: «È vero, ve lo abbiamo fregato, ma avete tutta la nostra stima per averlo inventato». Per anni, gli occidentali avevano accusato le aziende e le istituzioni cinesi di rubare le loro proprieta intellettuali, accuse sempre respinte con sdegno o semplicemente ignorate. Eppure Jericho aveva constatato che erano soprattutto le aziende cinesi ad aver bisogno di detective informatici. Gli imprenditori d’Oriente avevano reagito con sorprendente entusiasmo quando avevano scoperto che, durante il suo servizio presso Scotland Yard, Jericho aveva contribuito a creare la divisione per i crimini informatici ed era sceso in guerra proprio contro di loro. Avevano capito che sarebbe stato un vantaggio affidare la protezione dei loro brevetti a un uomo che era riuscito a respingere i loro attacchi con tanta efficacia.
Perché il problema - una specie di mostro gelatinoso, infinitamente vorace e assolutamente incontrollabile - consisteva nel fatto che il vuoto legislativo induceva l’élite creativa cinese a cannibalizzare se stessa, e sarebbe stato sempre cos finché non si fosse arrivati a una regolamentazione coerente per la protezione dei diritti d’autore, accettata e applicata a livello tanto nazionale quanto internazionale. Il capitalismo, che la Cina aveva in pratica reinventato, si fondava sul diritto di proprieta; inoltre un’economia il cui capitale piu grande era il know-how non poteva esistere senza la protezione di marchi, brevetti e diritti d’autore. Pero nessuno aveva dato grande importanza alla cosa, almeno fino al giorno in cui il sistema non era caduto vittima delle circostanze. Il Paese che aveva subito i danni economici maggiori a causa delle spie cinesi era stata la Cina stessa. Tutti scavavano nel giardino del vicino, preferibilmente con vanghe elettroniche. Il territorio di caccia era la rete, e Owen Jericho era uno dei cacciatori che assumevano incarichi da altri cacciatori, non appena quelli avevano la sensazione di essere braccati a loro volta. Dopo essere entrato nella ragnatela di favori e scambi senza la quale in Cina non si muoveva nulla, l’ascesa di Jericho era stata rapida come il lancio di un missile. In cinque anni, aveva affrontato cinque traslochi, due per scelta e gli altri tre perché la casa in cui abitava, per motivi che non riusciva a ricordare, doveva essere demolita. Ogni volta si trasferiva in quartieri migliori, con strade piu larghe e case piu belle, avvicinandosi sempre di piu alla realizzazione del suo sogno: traslocare in una shkumen, le bellissime case ricostruite coi portoni di pietra e con quieti cortili interni nel cuore pulsante di Shanghai. E, se per raggiungere l’obiettivo fosse stato necessario scendere a compromessi, lo avrebbe fatto, su quello non aveva dubbi. Un giorno, il direttore della sua banca gli aveva chiesto perché non si decidesse a fare quel passo una volta per tutte. Jericho aveva risposto che non era ancora il momento giusto... un giorno o l’altro, forse. Il banchiere allora gli aveva mostrato il saldo del suo conto e gli aveva detto che il giorno forse era arrivato. Assorbito com’era dal lavoro, Jericho non si era nemmeno accorto delle possibilita che si erano venute a creare nel frattempo. Era uscito dalla banca e si era diretto verso casa, stordito. Non si era reso conto che il momento giusto era gia arrivato. Ma la consapevolezza aveva risvegliato i dubbi, che gli bisbigliavano la verita: erano sempre stati l, solo che lui si era rifiutato di affrontarli. Che cavolo ci fai qui? Come hai fatto a finire in questo posto? Perché hai lasciato che accadesse? E non si fermavano: si erano spinti addirittura a insinuare che fosse stato tutto inutile e che la posizione peggiore in cui potesse trovarsi un uomo era proprio quella in cui lui aveva raggiunto i propri obiettivi. La speranza che ti dava la forza per andare avanti, talvolta per una vita intera, si trovava solo nella precarieta. E ora all’improvviso la scelta diventava vincolante.
Sarebbe diventato un cittadino di Shanghai a tutti gli effetti, ma era davvero cio che voleva? Vivere in una citta nella quale non si sarebbe mai trasferito se non fosse stato per Joanna? Strada facendo - gli dicevano i dubbi - non dovevi preoccuparti della tua meta. Adesso invece avrai dei vincoli. Benvenuto nella realta. Jericho viveva in un grattacielo dignitoso nell’hinterland del distretto finanziario di Pudong, il cui unico neo era la continua costruzione di altri grattacieli tutt’intorno, che aveva come risultato un’ininterrotta valanga di rumore e di pulviscolo marrone che s’infiltrava nelle fessure delle finestre e nei polmoni. Alla fine, era stato necessario un nuovo sfratto dell’amministrazione comunale per risvegliarlo dal suo letargo. Gli avevano fatto visita due uomini sorridenti. Si erano fatti servire il te e gli avevano spiegato che la casa in cui abitava doveva cedere il posto a una nuova, grandiosa struttura. Se l’avesse desiderato, gli avrebbero riservato un alloggio nel nuovo palazzo ma, in ogni caso, traslocare almeno per un anno sarebbe stato inevitabile. Percio l’amministrazione comunale sarebbe stata felicissima di mettergli a disposizione un appartamento nei pressi di Lu Chao Harbour City, a soli sessanta chilometri da Shanghai: per una metropoli che ormai era arrivata ad abbracciare amorevolmente altre citta, non poteva definirsi un luogo del tutto periferico. Ah, gia, i lavori di demolizione sarebbero iniziati di l a quattro settimane, pertanto, se per quella data avesse potuto... Insomma aveva capito. Sapevano che per lui non era la prima volta, ed erano davvero dispiaciuti, ma in fondo non lo erano neanche tanto. Jericho aveva fissato negli occhi i due uomini, pervaso dalla meravigliosa certezza di essersi appena risvegliato dal coma. Il mondo ricominciava ad avere un odore, un sapore, una consistenza. Con infinita gratitudine, aveva stretto la mano dei funzionari sbigottiti, assicurando loro che gli avevano fatto un enorme favore, e che potevano tenersi l’alloggio di Lu Chao Harbour City. Poi aveva chiamato Tu Tian e, con tutte le cortesie del caso, gli aveva chiesto se sapesse di una shkumen libera a breve in un angolino vivace di Shanghai. Tu Tian, che si vantava di essere il cliente piu soddisfatto di Jericho, oltre che un buon amico, era la prima persona cui rivolgersi per quel tipo di richieste. Dirigeva un’azienda tecnologica di medie dimensioni ed era in buoni rapporti coi potenti della citta. Tu Tian si era reso subito disponibile: «Provo a sentire in giro». Esattamente due settimane dopo, Jericho aveva firmato il contratto d’affitto per un intero piano di una delle shkumen piu belle nel quartiere di Xntiand, uno dei piu rinomati di Shanghai, con la possibilita di occuparla subito. Si trattava di un edificio di nuova costruzione, ovvio. Le shkumen autentiche erano scomparse gia da tempo: le ultime erano state abbattute poco prima dell’esposizione mondiale del 2010. Ciononostante Xntiand era la roccaforte dell’architettura shkumen e, come il centro storico di Shanghai, era tutto tranne che storico.
Jericho non aveva domandato chi avesse dovuto lasciare l’appartamento. Aveva firmato il documento, sperando che l’alloggio fosse stato vuoto da tempo, e non si era fatto troppe domande sul favore che Tu Tian gli avrebbe chiesto in cambio. Sapeva di essere in debito con Tu Tian. Quindi aveva iniziato il trasloco, restando in attesa di quello che sarebbe accaduto. E qualcosa era accaduto, prima del previsto. Aveva l’aspetto di Chén Hongbng e il sapore di un incarico sgradevole che Jericho non poteva rifiutare senza offendere Tu Tian. Poco dopo il congedo di Chén, Jericho installo il suo terminale. Si lavo la faccia, cerco di sistemarsi i capelli e s’infilo una T-shirt pulita. Poi si accomodo davanti al monitor e fece selezionare un numero al sistema. Sul video apparvero due T, l’una fusa dentro l’altra: il logo della Tu Technologies. Un attimo dopo, una donna attraente sui quarantacinque anni gli sorrise. Era seduta in una stanza arredata con gusto - un’elegante reception circondata da pareti vetrate dalle quali si poteva ammirare uno scorcio dello skyline di Pudong - e beveva qualcosa da una minuscola tazza di porcellana. Jericho sapeva che il liquido nella tazza era te alla fragola. Naomi Liu impazziva per il te alla fragola. «Buongiorno, Naomi.» «Buongiorno, Owen. Come sta andando il trasloco?» «A gonfie vele, grazie.» «Mi fa piacere. Tu Tian mi ha raccontato che ricevera uno dei nostri grandi terminali di ultima generazione.» «Stasera, spero.» «Che emozione.» Poso la tazza su una superficie tanto trasparente da sembrare invisibile e lo guardo, inclinando la testa. «Cos almeno potro vederla da testa a piedi.» «Non c’e paragone con l’emozione di vedere lei.» Jericho si chino in avanti e abbasso la voce. «Chiunque giurera di vederla seduta in carne e ossa in casa mia.» «E questo le basterebbe?» «Ovviamente no.» «Temo di s, invece. Le bastera, e non si preoccupera nemmeno di trovare una scusa per invitarmi di persona. Penso che cerchero di convincere il mio capo a non farle recapitare quell’aggeggio. » «Nessun programma olografico puo reggere il confronto con lei, Naomi.» «Lo racconti a lui.» Fece un cenno del capo verso la porta dell’ufficio di Tu Tian. «Prima che gli venga la malsana idea di sostituirmi con uno di quelli.» «Interromperei subito qualsiasi rapporto di lavoro con lui. A proposito...» «S, eccolo. Stia bene. Glielo passo.»
A Jericho piaceva il piccolo rito del flirt con Naomi Liu. Lei era la cruna dell’ago attraverso la quale passavano tutte le relazioni con Tu Tian. La sua benevolenza poteva essere di grande utilita. Oltretutto Jericho non avrebbe esitato nemmeno un secondo a invitarla a casa sua, ma lei non avrebbe accettato. Naomi era felicemente sposata e madre di due bambini. Per un attimo, la doppia T luccicante ruoto su se stessa e poi sullo schermo apparve il grosso cranio di Tu Tian. I pochi capelli rimasti - grigi, ispidi e radi - si concentravano nella zona sopra le orecchie. La montatura sottile degli occhiali stava in equilibrio sul naso. La stanghetta di sinistra sembrava tenuta insieme col nastro adesivo trasparente. Si era arrotolato le maniche e si stava strafogando con una pasta dall’aspetto colloso che pescava con bacchette ticchettanti da un contenitore di cartone. Il grande tavolo da lavoro era ingombro di monitor e proiettori olografici, pile di hard disk, telecomandi, brochure, bicchieri di carta e rimasugli di chissa quale pasto precedente. «No, non mi disturbi», farfuglio Tu Tian con la bocca piena, come se Jericho se ne fosse preoccupato. «Vedo. Sei mai stato nella tua mensa aziendale? La puoi trovare cibo fresco.» «E allora?» «Cibo vero.» «Questo e cibo vero. Gli ho versato sopra dell’acqua bollente ed e diventato cibo.» «Sai almeno cos’e? C’e scritto qualcosa sulla confezione?» «S, qualcosa c’e scritto.» Tu Tian continuo a masticare senza sosta. Le sue labbra gonfie sfregavano l’una contro l’altra come tubi di gomma. «Le persone con la tua pianificazione anarchica della giornata forse non lo capiscono, ma ci possono essere dei validi motivi per pranzare in ufficio.» Jericho rinuncio. Da quando conosceva Tu Tian, non l’aveva mai visto consumare un pasto decente. Sembrava che il manager si fosse prefissato l’obiettivo di rovinare il buon nome della cucina cinese, che godeva della fama di essere la migliore, la piu varia e la piu fresca del mondo. Poteva anche essere un inventore geniale e un giocatore di golf molto dotato ma, dal punto di vista culinario, al suo confronto Kublai Khan sarebbe stato un gourmet. «Che cosa avete festeggiato da quelle parti?» chiese, guardando il caos nell’ufficio di Tu Tian. «Abbiamo sperimentato una cosa.» Tu Tian afferro una bottiglia di acqua, risciacquo per bene i rimasugli di pasta in bocca ed emise un sonoro rutto. «Un ’Olo-Cop’, al servizio delle autorita per l’educazione stradale. Al buio funzionano alla perfezione, ma la luce del sole crea ancora qualche problema. Li dissolve. » Rise a singhiozzo. «Come i vampiri.» «E che se ne farebbe la citta di poliziotti olografici?»
Tu Tian lo guardo esterrefatto. «Per regolare il traffico, no? Non hai letto che, la settimana scorsa, hanno investito un altro poliziotto? Si trovava all’incrocio tra la Spng Lu e la Dalian Xlu, quando un furgone che trasportava mobili lo ha travolto e lo ha spiaccicato sul selciato. Brandelli di carne ovunque, bambini che urlavano, lettere di reclamo all’amministrazione. Nessuno se la sente piu di regolare il traffico volontariamente.» «Da quando la polizia si preoccupa di cosa si voglia fare volontariamente? » «Ma no, Owen, e una questione economica. Stanno perdendo troppi uomini. L’agente di polizia municipale ormai occupa i primi posti nella classifica delle professioni piu pericolose, e la maggior parte degli agenti preferirebbe occuparsi della cattura di serial killer psicotici. E poi, alla fine, siamo esseri umani e non vogliamo piu vedere poliziotti morti. E gli Olo-Cop non hanno nessun problema a farsi stirare da un’automobile, anzi se accade fanno partire una segnalazione. La proiezione invia un segnale al computer centrale, con tanto di marca dell’automobile e targa.» «Interessante», disse Jericho. «E cosa mi dici delle guide turistiche olografiche?» «Ah!» Tu Tian si pul gli angoli della bocca con un tovagliolo che aveva chiaramente prestato servizio in molti altri pasti. «Hai avuto visite.» «S, ho avuto visite.» «Allora?» «Il tuo amico e triste da far paura. Cosa gli e successo?» «Te l’avevo detto, no? Ha ingoiato amarezza.» «E tutto il resto non mi riguarda, okay. Allora parliamo di sua figlia.» «Yoyo!» Tu Tian si accarezzo la pancia. «Di’ la verita, non e spettacolare?» «Senza dubbio.» Jericho era curioso di scoprire se Tu Tian avrebbe parlato apertamente della ragazza al telefono. Le conversazioni telefoniche venivano registrate dalle autorita, ma l’apparato di sorveglianza faticava a tenere il passo con l’analisi delle registrazioni, benché queste ultime venissero preselezionate da programmi sofisticati. Gia alla fine del secolo precedente, i servizi segreti americani avevano impiegato, per il loro sistema Echelon, un software in grado di riconoscere le parole chiave, col risultato che si rischiava l’arresto anche organizzando la festa di compleanno della nonna se soltanto si diceva per tre volte consecutive la parola «bomb-oloni». I programmi moderni, invece, erano in grado, entro certi limiti, di capire il senso di una conversazione e di redigere una lista di priorita. Tuttavia non sapevano ancora cogliere l’ironia o i doppi sensi. E cio costringeva le spie ad ascoltare con le loro orecchie, come ai vecchi tempi, non appena venivano pronunciate parole come «dissidente» o «massacro di Tian’anmén». Com’era prevedibile, Tu Tian disse: «Quindi ora vuoi uscire con la bambolina, vero?»
Jericho sogghigno con amarezza. Se lo sentiva. Non sarebbe stato semplice. «Se si riesce a combinare.» «Be’, la ragazza ha anche certe pretese», replico Tu Tian con aria astuta. «Forse ti dovrei dare un paio di consigli, piccolo Owen. Sarai in zona, nelle prossime ore?» «Ho un sacco da fare, ma dovrei riuscire a liberarmi per mezzogiorno. » «Grandioso. Prendi il traghetto. Il tempo e bello, ci incontriamo al Lujiazu Green.» PDNG, SHANGHAI, CINA Il Lujiazu Green era un bel parco circondato da grattacieli, non lontano dalla Jn Mao Dasha e dal WFC. Tu Tian era seduto su una panchina sulla riva del piccolo lago e prendeva il sole. Come di consueto, portava gli occhiali scuri sopra gli occhiali da vista. La camicia stropicciata fuoriusciva dalla cintura dei pantaloni e si tendeva tra i bottoni, lasciando intravedere la pelle bianchiccia della pancia. Jericho si sedette accanto a lui e allungo le gambe. «Yoyo e una dissidente», disse. Tu Tian giro pigramente la testa nella sua direzione. La bizzarra impalcatura formata dal doppio occhiale impediva a Jericho di vedere i suoi occhi. «Pensavo l’avessi gia capito al campo da golf.» «Non e questo il punto. Intendo dire che e un caso un po’ diverso dal solito. Devo trovare una dissidente per proteggerla.» «Una ex dissidente.» «Suo padre la vede in modo un po’ diverso. Perché Yoyo avrebbe dovuto sparire, se non per paura? A meno che non sia stata arrestata. Tu stesso hai detto che la ragazza ha la tendenza a infastidire le persone sbagliate. Magari stavolta nella sua rete e finito un pesce un po’ troppo grosso.» «E cosa hai intenzione di fare?» «Lo sai benissimo. La cerchero, naturalmente», sbuffo Jericho. Tu Tian annu. «È molto generoso da parte tua.» «No, e scontato. Il problema e che stavolta dovro lavorare evitando qualsiasi contatto con le autorita. Percio ho bisogno di tutte le informazioni possibili su Yoyo e sull’ambiente in cui si muove, e per questo mi serve il tuo aiuto. Chén Hongbng mi e sembrato un uomo tanto rispettabile quanto riservato. Forse anche un po’ cieco da un occhio... In ogni caso, ho dovuto cavargli le parole di bocca a una a una.» «Cosa ti ha raccontato?» «Mi ha dato il nuovo indirizzo di Yoyo, qualche filmato e delle foto. E ha fatto un mare di allusioni.» Tu Tian armeggio con gli occhiali da sole nel tentativo di riportare quelli da vista in una posizione piu o meno orizzontale. Jericho constato che non si era sbagliato: la stanghetta sin-
istra era davvero avvolta con nastro adesivo. Ancora una volta si chiese perché mai Tu Tian non si facesse operare agli occhi o non passasse alle lenti a contatto fotocromatiche. Ormai quasi nessuno portava gli occhiali per correggere la vista. Sopravvivevano come accessori alla moda, ma Tu Tian era tanto distante dalla moda quanto un uomo di Neandertal lo era dal XXI secolo. Per un po’, i due rimasero in silenzio. Jericho fissava il cielo, socchiudendo le palpebre, e seguiva con lo sguardo la traiettoria di un aereo. «Va bene», disse improvvisamente Tu Tian. «Cosa vuoi sapere? » «Raccontami qualcosa di Yoyo che non so.» «Il suo vero nome e Yuyun...» «Questo me l’ha gia detto Chén.» «... e fa parte di un gruppo che si fa chiamare i Guardiani. Questo non te l’ha rivelato, vero?» «I Guardiani...» Jericho fischio. «Ne hai sentito parlare?» «Altroché. Guerriglieri del web. Difendono i diritti umani, rivangano vecchie storie come Tian’anmén, attaccano le reti del governo e dell’industria. Danno parecchi grattacapi al Partito. » «Il quale di conseguenza e piuttosto nervoso. I Guardiani sono fatti di una pasta completamente diversa dalla famigerata ’Topina di Titanio’.» Liu D, la donna che si faceva chiamare «Topina di Titanio», era stata una pioniera della resistenza sul web. All’inizio del millennio, aveva cominciato a pubblicare in rete articoli al vetriolo sull’élite politica con lo pseudonimo di «Topina d’Acciaio ». E il governo di Pechino si era reso conto con sgomento che arrestare persone virtuali era molto piu difficile che mettere le mani su individui in carne e ossa. Il capo della polizia di Pechino aveva dichiarato che la nuova minaccia era assai preoccupante, perché non c’era nemico peggiore di quello senza volto. Nel dire cio, tuttavia, aveva alquanto sopravvalutato la prima generazione di dissidenti informatici: la maggior parte di loro non cercava nemmeno di occultare la propria identita e quelli che lo facevano, prima o poi, commettevano errori. «Topina d’Acciaio» era finita in trappola quando aveva assicurato il suo sostegno al fondatore di un nuovo Partito democratico, senza sapere che si trattava di un infiltrato incaricato di scovarla. Era stata arrestata e sbattuta in carcere per un anno senza processo. Ma il Partito doveva imparare un’altra lezione: e possibile far sparire le persone nel mondo fisico, rinchiudendole tra quattro mura, ma non in rete. In Internet, il caso di Liu D aveva avuto un’ampia eco, finendo per attirare l’attenzione della stampa estera. Era stato cos che il mondo aveva conosciuto la storia di una timida ventunenne che aveva agito senza essere veramente cons-
apevole delle conseguenze. Era dunque quello il potente nemico senza volto che aveva messo sotto scacco la polizia? Dopo la scarcerazione, Liu D aveva abbandonato l’acciaio per un metallo piu resistente ed era diventata «Topina di Titanio ». Aveva dichiarato guerra a un sistema che Mao non avrebbe potuto immaginare nemmeno nei suoi sogni piu audaci: la Cypol, la polizia informatica cinese. Interveniva su forum ospitati su server che si trovavano all’estero e scriveva i suoi blog con l’aiuto di programmi in grado di filtrare le parole piu pericolose gia durante la digitazione. Altri avevano seguito il suo esempio, adottando tecniche sempre piu sofisticate. Col tempo, il Partito aveva iniziato ad avere davvero un motivo per preoccuparsi : mentre veterani come «Topina di Titanio» non facevano mistero della propria identita, i Guardiani si muovevavo in rete come fantasmi. Per seguirne le tracce servivano trappole ben congegnate, che Pechino continuava a tendere, ma con scarsissimi risultati. «A tutt’oggi, il Partito non ha idea di quante persone siano coinvolte. In certi casi, ha la sensazione di avere a che fare con diverse decine di persone; in altri, con un singolo individuo. In ogni caso, si tratta di un cancro che divora la nostra splendida e fiorente repubblica dall’interno.» Tu Tian sputo un abbondante grumo di catarro. «È risaputo che Pechino non ha in mano nulla di concreto, che rincorre solo le voci. Percio viene da chiedersi quanto sia davvero estesa questa organizzazione.» Jericho rifletté. Non ricordava di avere mai sentito dell’arresto di un Guardiano. «Oh, ogni tanto arrestano qualcuno sostenendo che fa parte del gruppo», esclamo Tu Tian come se gli avesse letto nel pensiero. «Ora, so con certezza che fino a questo momento non sono riusciti a catturare nessuno. Incredibile, no? Voglio dire, stanno dando la caccia a un esercito. Ci dovrebbe essere qualche prigioniero di guerra, non credi?» «Stanno dando la caccia a qualcosa che sembra un esercito», rispose Jericho. «Ci sei quasi.» «L’esercito non esiste. Si tratta di poche persone, abilissime a passare tra le maglie della rete tesa dagli inquirenti. Percio il gruppo e stato un po’ mitizzato. Lo si dipinge piu pericoloso e piu astuto di quanto non sia, in modo da distogliere l’attenzione dal fatto che il governo non e ancora riuscito a togliere dalla circolazione una manciata di hacker.» «E qual e la tua conclusione?» «Che tu, per essere un onorato e rispettabile servitore di Pechino, sai un po’ troppe cose sui dissidenti informatici.» Jericho guardo Tu Tian aggrottando le sopracciglia. «È solo una mia impressione o anche tu c’entri qualcosa in questa faccenda?» «Perché non mi chiedi esplicitamente se faccio parte dell’organizzazione? » «L’ho appena fatto.»
«La risposta e no. Ma posso dirti che la squadra e formata da sei persone. Non sono mai stati di piu.» «E Yoyo e una di loro?» Tu Tian si massaggio la nuca. «Be’, non proprio.» «Cosa intendi?» «Lei e la mente. Yoyo ha dato vita ai Guardiani.» Jericho sogghigno. Nello specchio deformante di Internet tutto era possibile. La presenza diffusa dei Guardiani, le loro azioni studiate nei minimi dettagli inducevano a pensare che costituissero un’organizzazione estesa, ampiamente ramificata, forse persino in grado di scoprire segreti di Stato. In realta, quell’impressione era dovuta al sostegno dei numerosi simpatizzanti che pero non avevano connessioni dirette col gruppo né erano a conoscenza della sua struttura. A un’osservazione piu attenta, balzava agli occhi che l’intera opera dei Guardiani si riduceva a una piccola comunita di hacker. Tuttavia... «... devono essere sempre aggiornati», mormoro Jericho. Tu Tian gli diede una gomitata. «Stai parlando con me?» «Cosa? Ma no. S, invece. Quanti anni ha Yoyo?» «Venticinque.» «Nessuna ragazza di venticinque anni puo essere cos scaltra da sfuggire alla polizia informatica.» «Yoyo e dotata di un’intelligenza straordinaria.» «Non intendo dire questo. Lo Stato forse non riesce a tenere il passo con gli hacker, ma gli agenti non sono stupidi. I metodi convenzionali non permettono di eludere Diamond Shield e, prima o poi, ci si ritrova la polizia informatica alle calcagna. Yoyo deve avere accesso a programmi che le consentono di essere sempre un passo avanti rispetto a loro.» Tu Tian scrollo le spalle. «Questo mi fa pensare che se ne intenda parecchio», borbotto Jericho. «Chi sono gli altri membri?» «Studenti come Yoyo.» «E tu come fai ad avere tutte queste informazioni?» «Yoyo mi ha raccontato tutto.» «Yoyo ti ha raccontato tutto...» ripeté Jericho. «Ma a Chén non ha detto una parola.» «S, ha provato a parlare con lui. Pero Hongbng non ne vuole sapere. Non la ascolta. Ecco perché lei viene da me.» «Perché proprio da te?» «Owen, non e necessario che tu sappia ogni...»
«Devo capire.» Tu Tian sospiro e si passo la mano sul cranio glabro. «Diciamo che aiuto Yoyo a capire suo padre. Se non altro, questo e cio che lei spera di ottenere.» Alzo un dito. «E adesso non mi chiedere cosa ci sia da capire. Questi davvero non sono affari tuoi.» «Parli per enigmi proprio come Chén», sbotto Jericho, seccato. «Al contrario. Mi fido moltissimo di te.» «Allora continua a farlo. Per trovare Yoyo, devo conoscere anche i nomi degli altri Guardiani. Devo cercarli. Devo interrogare qualcuno.» «Parti semplicemente dal presupposto che siano spariti anche loro.» «Oppure che siano stati arrestati.» «Non credo. Anni fa, ho avuto occasione di vedere dall’interno come funzionano gli ingranaggi dell’assistenza statale, dove ti guardano dentro la testa e ti trovano affetto da ogni possibile forma di pazzia. Conosco quella gente. Se avessero davvero arrestato i Guardiani, avrebbero gia strillato la notizia ai quattro venti. Un conto e far sparire alcune persone ma, se qualcuno cerca di metterti sotto e ti fa passare per scemo, non appena ce l’hai tra le mani infili la sua testa in una picca e la esponi sulla pubblica piazza. Yoyo ha dato troppe noie al Partito. Non sarebbero tolleranti nei suoi confronti.» «Ma come ha fatto a finire nel giro?» volle sapere Jericho. «Come tutti i giovani che finiscono in questo tipo di cose. Si e lasciata corrompere dall’ideale della zyou, della ’liberta’.» Tu Tian armeggio coi bottoni della camicia per riuscire a grattarsi la pancia. «Ormai sono parecchi anni che vivi qui, Owen. Credo che tu sia in grado di comprendere abbastanza bene il mio popolo. Diciamo che capisci quello che vedi. Ma alcune cose ti sono ancora oscure. Tutto quello che accade oggi nella Terra di Mezzo e la logica conseguenza degli sviluppi e delle crisi nella nostra storia... Lo so che sembrano frasi fatte, da guida turistica. Gli europei sono convinti che la storia dello yn e dello yang, del nostro attaccamento alle tradizioni non sia altro che roba folcloristica, volta a occultare il fatto che siamo una banda di falsari assetati di denaro che vuole dominare il mondo, che viola i diritti umani e che, dai tempi di Mao, non sa piu cosa siano gli ideali... Ma, se ci pensi bene, per duemila anni l’Europa e stata un enorme calderone in cui venivano continuamente rovesciati elementi di novita. Un tessuto raffazzonato che anelava a diventare un tappeto. Vi siete aggrediti a vicenda, avete fatto vostri usi e costumi dei vostri vicini ancor prima di smettere di combatterli. Enormi imperi sono nati e si sono dissolti in un battito di ciglia. Prima dominavano i romani, poi sono venuti i francesi, i tedeschi e gli inglesi. Parlate di Europa unita, eppure parlate piu lingue diverse di quante siate in grado di capirne e, come se cio non bastasse, importate pure cose dall’Asia, dall’America e persino dai Balcani. Vi affannate a vendere al mondo il Vive la France, il God Save the Queen e il Deutschland, einig Vaterland come
genuino patriottismo e, nel contempo, svendete le vostre peculiarita, considerandone solo lo sfruttamento commerciale e non il contesto storico che le ha viste nascere. Non riuscite a comprendere come un popolo che per la maggior parte della sua storia e bastato a se stesso, nella convinzione che il centro non deve necessariamente essere consapevole dei suoi confini, fatichi ad accettare le novita, soprattutto se vengono dall’esterno.» «Se e cos, siete veri maestri nel dissimularlo», sbuffo Jericho. «Guidate automobili tedesche, francesi e coreane, indossate scarpe italiane, guardate film americani. Non mi viene in mente nessun popolo piu proiettato verso l’esterno di quello cinese, almeno negli ultimi anni.» «Proiettato verso l’esterno?» ripeté Tu Tian con una risata amara. «Una definizione azzeccata, Owen. E cosa appare se rovesci qualcosa verso l’esterno? Quello che c’e sotto. Dimmi, tu cosa vedi? In concreto: cosa vi abbiamo mostrato? Solo quello che voi siete in grado di riconoscere. Volevate che ci aprissimo al mondo e l’abbiamo fatto, negli anni ’80, sotto Deng Xiaopng. Volevate fare affari con noi? Adesso potete. Tutte le cose occidentali che gli imperatori cinesi non hanno voluto per millenni le abbiamo acquistate nel giro di pochi anni, e voi ce le avete vendute senza problemi. Adesso noi ve le rivendiamo di nuovo e voi le comprate. E oltre a tutto cio vorreste anche una porzione abbondante di Cina autentica. Che vi viene data, ma non vi piace. V’infervorate perché calpestiamo i diritti umani, ma in definitiva non capite come si possa venire arrestati per la propria opinione in un Paese in cui si beve Coca-Cola. Questo proprio non vi entra in testa. I vostri etnologi lamentano la scomparsa degli ultimi cannibali e si battono per la conservazione dei loro spazi vitali, ma guai se i cannibali iniziano a fare affari e indossare cravatte. Allora pretendete che passino a una dieta di pollo e verdure in un batter d’occhio.» «Tian, con tutta la buona volonta, non so...» «Ti rendi conto che il termine zyou e arrivato in Cina solo a meta del XIX secolo?» continuo Tu Tian, imperterrito. «Quindicimila anni di storia cinese non sono bastati per concepirlo, proprio come e successo con mnzhu, ’democrazia’ e con renquan, ’diritti umani’. Ma cosa significa zyou? ’Segui te stesso.’ Invece dei dogmi e del ’comune sentire’, usa il tuo punto di vista come punto di partenza per qualsiasi riflessione. Potresti ribattere che la demonizzazione dell’individuo sia stata un’invenzione di Mao, ma sbaglieresti. Mao Zédong non e stato che una spaventosa variante del nostro atavico timore di essere noi stessi. Forse e stato la giusta punizione per esserci crogiolati per millenni nella convinzione che, oltre ai cinesi, esistessero soltanto barbari. Quando la Cina, spinta dalla necessita, si e aperta alle potenze occidentali, lo ha fatto ignorando cio che qualsiasi altro popolo con un po’ di esperienza coloniale conosce d’intuito. Ci siamo convinti di essere i padroni di casa, quando gli ospiti in realta si erano gia da tempo trasformati in proprietari. Mao voleva cambiare le cose, ma non ha semplicemente cercato di girare in senso contrario la ruota della storia, come piu tardi
avrebbero fatto gli Ayatollah in Iran. Il suo obiettivo era annullare la storia e isolare la Cina al culmine della sua ignoranza. Una cosa impossibile se si ha a che fare con individui pensanti, dotati di emozioni e senso critico. Avrebbe funzionato solo con un popolo di automi. Il nostro ultimo imperatore non e stato Pu y, bens Mao, se capisci cosa intendo. È stato il piu terribile di tutti. Ci ha rubato la lingua, la cultura, l’identita. Ha tradito ogni ideale e ci ha lasciato in eredita un cumulo di macerie.» Tu Tian prese fiato. Le sue labbra carnose si contrassero. Il sudore brillava sulla sua testa calva. «Mi chiedi perché Yoyo e diventata una dissidente? Te lo diro, Owen. Perché non vuole convivere con un trauma che la mia generazione e quella dei miei genitori non hanno mai metabolizzato. Tuttavia, per aiutare il suo popolo a trovare la propria identita, non poteva evocare lo spirito della Rivoluzione francese, l’istituzione della democrazia spagnola, la fine di Mussolini e Hitler, la caduta di Napoleone o il crollo dell’impero romano. Mentre la storia ha dotato l’Europa di un’eloquenza inimmaginabile per formulare le sue rivendicazioni, a noi per molto tempo sono mancate persino le parole per esprimere i concetti piu semplici. Oh, s. La Cina fa scintille. La Cina e ricca e bella e Shanghai e il centro del mondo, dove tutto e permesso e niente e impossibile. Abbiamo raggiunto gli Stati Uniti e ormai stiamo per vincere la competizione economica. Eppure, nonostante tutto questo splendore, siamo poveri interiormente, e ne siamo consapevoli. Non siamo affatto proiettati verso l’esterno, e solo apparenza. Se lo facessimo, si vedrebbe il vuoto che abbiamo dentro, si capirebbe che siamo vuoti come seppie. Seguiamo modelli stranieri, perché l’ultimo modello cinese che abbiamo avuto ci ha traditi. Yoyo soffre per il fatto di essere figlia di quest’epoca priva di significato, piu di quanto possano immaginare i critici della globalizzazione e i sostenitori dei diritti umani in Europa o in America. Voi vedete solo le nostre mancanze e non i passi che intraprendiamo. Non quello che abbiamo gia realizzato. Non gli inimmaginabili sforzi che bisogna fare per combattere per gli ideali, o addirittura per concepirli, quando non si ha alle spalle un’eredita morale.» Jericho socchiuse le palpebre, abbagliato dal sole. Avrebbe voluto chiedere a Tu Tian di raccontargli quando avevano strappato il cuore a Chén Hongbng, ma si trattenne. Tu Tian sbuffo e si asciugo il sudore dalla fronte. «Ecco cosa esaspera le persone come Yoyo. In Inghilterra, se un uomo scende in strada a reclamare liberta, tutt’al piu gli viene chiesto per che cosa. In Cina, ci siamo illusi che la nostra folle corsa al progresso avrebbe automaticamente portato con sé la liberta... ma non avevamo nemmeno un’idea precisa di cosa fosse davvero la liberta. Da oltre vent’anni, nel nostro Paese, tutto ruota intorno a questo concetto, tutti magnificano le gioie dell’individualismo, ma in definitiva abbiamo solo la liberta di partecipare. Dell’altra liberta non si parla volentieri perché implica una domanda : ’Con quale diritto un Partito comunista, che comunista non e piu, si arroga il diritto del governo assoluto?’ Siamo passati da una tirannia di sinistra a una di destra, e anche stavolta e del tutto priva di
contenuti. Viviamo assoggettati al diktat del benessere, ma guai se arrivasse qualcuno a protestare per i contadini e i braccianti e le esecuzioni e le sovvenzioni economiche agli Stati canaglia e tutto il resto.» Jericho si sfrego il mento. «Sono onorato che tu mi abbia messo a parte di queste riflessioni. Ma lo sarei ancora di piu se tornassi a parlare di Yoyo.» Tu Tian lo fisso, corrucciato. «Perdona questo vecchio, Owen. Ma non ho fatto altro che parlare di Yoyo per tutto il tempo.» «Senza dirmi nulla del suo background personale.» «Come ti ho gia detto...» «Lo so», sospiro Jericho. Indugio con lo sguardo sulla facciata di vetro e acciaio della Jn Mao Dasha. «Non sono affari miei.» JN MÀO DÀSHÀ, SHANGHAI, CINA Xn era dietro quella facciata, con gli occhi fissi sul bagno di vapore in cui era immersa la Shanghai pomeridiana. Si era ritirato nella sua spaziosa suite in stile Art Déco al settantaduesimo piano. Attraverso i due lati completamente trasparenti della stanza non si scorgevano altro che costruzioni. Piu si saliva, piu era chiaro che gli edifici civili e commerciali si uniformavano, come se migliaia e migliaia di colonie di termiti avessero deciso di stanziarsi l’una accanto all’altra. Seleziono sul cellulare un numero a prova d’intercettazione. Qualcuno rispose, ma il display rimase nero. «Cosa ha scoperto sulla ragazza?» chiese Xn senza perdere tempo in convenevoli. «Poco.» La voce gli giungeva all’orecchio con un ritardo appena percettibile. «Abbiamo avuto la conferma di quello che gia temevamo. È un’attivista.» «Conosciuta?» «S e no. Certi dati nei suoi file farebbero pensare che appartenga a un gruppo di dissidenti informatici noti come i Guardiani. Un’organizzazione che infastidisce il Partito soprattutto con rivendicazioni di democrazia.» «Significa che Yoyo non stava cercando noi?» «Credo che lo si possa escludere. Semplice coincidenza. Abbiamo fatto lo scan del suo hard disk prima che lei potesse disconnettersi, e da cio si deduce che l’attacco l’ha colta di sorpresa. Tuttavia non siamo stati in grado di cancellare i file, quindi ha un sistema di protezione davvero efficiente, e questo non promette nulla di buono. In ogni caso, per il momento abbiamo la certezza che almeno alcune parti dei nostri dati di trasmissione si trovino ancora nel computer di Yuyun... cioe di Yoyo.» «Non se ne fara un granché di quei dati», disse Xn in tono sprezzante. «La codifica e stata sottoposta ai test piu severi.»
«In altre circostanze le darei ragione. Ma, considerando il sistema di protezione di Yoyo, potrebbe tranquillamente disporre anche di programmi di decodifica molto sofisticati. Non l’avremmo pregata di venire a Shanghai se non fossimo davvero preoccupati.» «Sono preoccupato anch’io. Soprattutto per la scarsita delle informazioni che mi ha fornito, se devo essere sincero.» «E lei? Ha scoperto qualcosa?» chiese la voce, ignorando l’osservazione di Xn. «Sono stato nell’appartamento che divide con due ragazzi. Il primo non sa niente; il secondo sostiene di potermi portare da lei. Ovviamente vuole dei soldi.» «Si fida di lui?» «Sta scherzando? Ma sono costretto a sfruttare qualsiasi occasione. Mi chiamera, pero non ho idea se saltera fuori qualcosa.» «Con nessuno dei due ha parlato di parenti?» «A quanto pare, Yoyo non e molto espansiva. Si sono scolati un paio di bottiglie insieme, poi lei e sparita, nella notte fra il 23 e il 24 di maggio, fra le due e le tre.» Segu una breve pausa, quindi la voce riprese in tono pensieroso : «Potrebbe corrispondere. Il contatto risale a poco prima delle due, ora locale». «E subito dopo lei ha tagliato la corda.» Xn accenno un sorriso. «Che ragazza intelligente.» «È stato altrove?» «Nella sua stanza non c’era niente. Ha pulito tutto per bene prima di sparire. Anche all’universita non c’e traccia di lei e non ho possibilita di visionare i documenti che la riguardano. Mi potrei arrangiare, ma preferirei che se ne occupasse lei. È in grado di penetrare nella banca dati di un’universita, immagino.» «Di quale universita si tratta?» «Della Shanghai University, sulla Shangda Lu, nel distretto di Baoshan.» «Kenny, non c’e bisogno che le ricordi quanto sia delicata questa faccenda. Quindi cerchi di accelerare un po’ i tempi. Ci serve il computer della ragazza. A qualunque costo.» «Avrete il computer e la ragazza», rispose Xn prima di chiudere la comunicazione. Rivolse nuovamente lo sguardo al deserto urbano fuori dalla finestra. Il computer. Senza dubbio Yoyo l’aveva portato con sé. Xn si chiese cosa potesse averla spinta a scappare in modo tanto precipitoso. Di certo si era accorta non solo che la sua irruzione era stata scoperta, ma pure che era stato lanciato un contrattacco, che i suoi dati erano stati scaricati e, di conseguenza, che la sua identita era stata svelata. Un buon motivo per preoccuparsi, certo, ma non per darsi alla fuga. I sistemi di protezione di alcune reti erano in grado di disattivare in un lampo i computer degli hacker che vi penetravano, appropriandosi anche di tutti i loro dati. Ma quello non era un motivo sufficiente. Qualcos’altro aveva fatto ca-
pire a Yoyo che, da quel preciso istante, lei non era piu al sicuro. C’era una sola spiegazione possibile. Yoyo aveva letto qualcosa che non avrebbe dovuto leggere. Cio voleva dire che la codifica era stata temporaneamente disattivata. Un errore nel sistema. Una crepa che si era aperta in modo inatteso, permettendole di dare un’occhiata. Se le cose stavano cos, le conseguenze sarebbero state davvero terribili. La domanda era: quanto velocemente si era richiusa quella crepa? Non abbastanza, quello era certo. Una breve occhiata era stata sufficiente a spingere la ragazza alla fuga. Ma quanto sapeva davvero? Recuperare il computer non era sufficiente. Doveva trovare Yoyo prima che lei avesse modo di comunicare ad altri quello che sapeva. L’unica speranza, al momento, era Grand Cherokee Wang. Una speranza piuttosto flebile. Ma in fondo la speranza era da sempre la sorella povera della certezza. Di sicuro quel tipo gli avrebbe venduto Yoyo e il computer senza battere ciglio non appena la ragazza avesse rimesso piede nell’appartamento. Xn corrugo la fronte. C’era qualcosa nella sua posizione che lo faceva sentire a disagio. Fece un passo a sinistra, portandosi al centro fra due montanti della finestra, le punte delle scarpe alla stessa distanza dalla base. Cos andava meglio. PDNG, SHANGHAI, CINA «Conosco Yoyo da quand’e nata», spiego Tu Tian. «Crescendo, e diventata un’adolescente normale, infarcita di fantasticherie romantiche. Poi ha vissuto un’esperienza decisiva. Niente di straordinario, ma io penso che sia stato uno di quegli eventi che ti segnano per sempre. Conosci Mian Mian?» «La scrittrice?» «S, proprio lei.» «È passata un’eternita da quando ho letto uno dei suoi libri», replico Jericho. «Era un personaggio importante della scena culturale, vero? Ed era anche piuttosto famosa in Europa. Ricordo che all’epoca mi chiedevo come avesse fatto ad aggirare la censura.» «I suoi libri sono stati proibiti a lungo, ma ormai puo fare quello che vuole. Quando Shanghai si e trasformata in una specie di ’capitale dei party’, lei e stata l’anello di congiunzione tra i bassifondi e l’alta societa, perché li conosce entrambi e ne parla in modo convincente. Oggi e una specie di santa protettrice degli artisti locali. Sui cinquantacinque anni, affermata, amata... persino il Partito ne tesse le lodi. Un giorno d’estate del 2016, si trovava nel parco Fuxng, al club Guand, che di l a poco sarebbe stato demolito, per leggere alcune pagine del suo nuovo romanzo. Yoyo era tra il pubblico. Successivamente aveva avuto modo di parlare con Mian Mian, e di trascorrere con lei diverse ore girovagando per locali e gallerie d’arte.
Yoyo ne era come inebriata. Devi capire il simbolismo di quella coincidenza: Mian Mian aveva cominciato a scrivere a sedici anni, dopo il suicidio della sua migliore amica, e Yoyo aveva appena compiuto sedici anni.» «E aveva deciso di diventare scrittrice.» «Aveva deciso di cambiare il mondo. Per motivazioni romantiche, certo, ma anche con una stupefacente lucidita. Piu o meno in quello stesso periodo, era iniziata la mia scalata al successo. Conoscevo Chén Hongbng dagli anni ’90, gli volevo molto bene, e lui mi aveva affidato sua figlia, convinto che potesse imparare qualcosa da me. Yoyo aveva sempre avuto un debole per la realta virtuale: praticamente viveva in Internet. Le interessava in particolare il confine tra il mondo reale e quello artificiale. Nel 2018, mentre io assumevo la direzione della Dao IT, Yoyo incominciava l’universita. Hongbng la aiutava come poteva, ma lei ci teneva a mantenersi da sola. Quand’era venuta a sapere che avevo rilevato la divisione Ambienti Virtuali, aveva cominciato ad assillarmi perché le trovassi un posto la.» «Cosa studiava, esattamente?» «Giornalismo, politica e psicologia. Il primo per imparare a scrivere, la seconda per avere argomenti su cui scrivere. E psicologia... » «Per capire il padre.» «Lei ti darebbe una spiegazione diversa. Dal suo punto di vista, la Cina e un paziente sempre sull’orlo della follia. Percio lei cercava la diagnosi per le malattie della nostra societa. E qui ovviamente entra in gioco Chén Hongbng.» «L’attrezzatura l’ha avuta da te», concluse Jericho. «L’attrezzatura?» «Certo. Quando hai fondato la Tu Technologies?» «Nel 2020.» «E Yoyo ne ha fatto parte fin dall’inizio?» «Naturalmente.» Il viso di Tu Tian s’illumino. «Ah, capisco. » «Vi ha osservato per anni mentre sviluppavate programmi per qualsiasi cosa.» «So bene che abbiamo avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione dei Guardiani, involontariamente s’intende. Inoltre ti posso assicurare che nessuno dei miei collaboratori si sognerebbe mai di fornire armi tecnologiche a una dissidente!» «Chén ha alluso al fatto che Yoyo e stata arrestata piu volte.» «Solo durante gli anni universitari aveva capito quanto fosse pesante la censura di Internet da parte delle autorita. Per chi considera la rete il suo spazio vitale naturale, deve essere molto frustrante trovare porte sbarrate.» «E cos aveva fatto la conoscenza di Diamond Shield.»
Chiunque si fosse azzardato a pigiare l’acceleratore sulle autostrade informatiche cinesi si sarebbe ritrovato davanti a barriere virtuali. All’inizio del millennio, temendo che il nuovo mezzo di comunicazione facesse emergere temi scottanti, il Partito aveva sviluppato Golden Shield, un programma altamente sofisticato per la censura in rete, sostituito nel 2020 dal piu evoluto Diamond Shield. Grazie a quel programma, oltre centocin-quantamila poliziotti informatici avevano modo di rovistare in chatroom, blog e forum. Se Golden Shield era paragonabile a un segugio che riusciva a fiutare anche negli angoli piu reconditi della rete parole o frasi come «massacro di Tian’anmén», «Tibet », «rivolta studentesca», «liberta» e «diritti umani», Diamond Shield era in grado, fino a un certo livello, di riconoscere i nessi logici tra le singole parole all’interno dei testi. Era la risposta del Partito ai cosiddetti «programmi bodyguard». Dopo essere uscita di prigione, «Topina di Titanio» aveva capito che i testi da pubblicare in rete non dovevano contenere nessuna delle parole che facevano scattare Golden Shield e, a tal fine, si serviva di un programma che in pratica la bacchettava sulle dita mentre scriveva. Se digitava parole pericolose, il programma le cancellava, proteggendola da se stessa. Ecco perché Diamond Shield era meno focalizzato sulle parole chiave e si dedicava soprattutto a eseguire analisi testuali, collegare locuzioni e osservazioni, esaminare i possibili doppi sensi e i messaggi in codice, dando l’allarme in caso di sospetta sovversione. Ironicamente era stato proprio quel cerbero a consentire agli hacker un progresso epocale per ridurre al minimo i rischi delle loro azioni e aumentare al massimo l’efficacia. Tuttavia Diamond Shield bloccava anche i motori di ricerca e le agenzie di stampa estere. Il mondo intero aveva assistito all’attentato di Kim Jong-un e al crollo del regime nordcoreano; solo nella rete cinese non era successo nulla. Le sanguinose rivolte contro la giunta militare in Birmania avevano avuto luogo sul pianeta Terra, ma non sul pianeta Cina. Chi cercava di accedere ai siti della Reuters o della CNN doveva aspettarsi rappresaglie. Il muro che Diamond Shield stava edificando intorno al Paese cresceva con la stessa rapidita con cui la Grande Muraglia si sgretolava. E diventava ogni giorno piu solido. Eppure l’ansia del governo cresceva di pari passo con quel muro. Tutti gli hacker del Paese sembravano essersi coalizzati per frantumare lo scudo di diamante, ma anche gli attivisti sparsi nel resto del globo ci stavano lavorando, persino quelli negli uffici dei gruppi industriali europei, indiani e americani, nei servizi segreti e negli ambienti governativi. Il mondo stava conducendo una guerra informatica, e la Cina rappresentava il nemico numero uno. «Considerando questa circostanza, i primi passi di Yoyo in rete facevano quasi tenerezza», spiego Tu Tian. «Sgranando i suoi occhioni indignati, scriveva articoli contro la censura e vi apponeva la propria firma. Reclamava la liberta di opinione ed esigeva l’accesso al patrimonio d’informazioni di Google, Al-taVista, eccetera. Poi era entrata in contatto con persone che coltivavano le stesse idee e credevano che fosse possibile proteggere le chat-
room dagli attacchi esterni semplicemente sprangando la porta, come se fossero degli sgabuzzini.» «Era davvero cos ingenua?» «All’inizio, s. Era chiaro che voleva impressionare Hong-bng. Pensava davvero che lui avrebbe approvato. Che sarebbe stato orgoglioso del suo piccolo atto di ribellione. Invece Hong-bng aveva reagito con sgomento.» «Cercando d’impedirle quelle attivita.» «Yoyo era perplessa. Non riusciva a capire. Hongbng s’intestardiva... e ti assicuro che puo essere testardo come un mulo. Piu Yoyo esigeva spiegazioni per il suo atteggiamento, piu lui s’induriva. Lei voleva discutere. Lui urlava. Lei frignava e lui non le parlava. Ovviamente Yoyo capiva che il padre aveva paura per lei, ma era convinta di non stare complottando per far cadere il governo. Aveva solo brontolato un po’.» «Allora si era confidata con te.» «Mi aveva detto che, secondo lei, probabilmente suo padre era solo un vigliacco. Le avevo subito tolto una simile idea dalla testa, spiegandole che ero in grado di capire meglio di lei le motivazioni di Hongbng. E la cosa l’aveva particolarmente amareggiata. Voleva sapere perché Hongbng non avesse fiducia nella propria figlia. Le avevo risposto che il suo silenzio non aveva nulla a che fare con la mancanza di fiducia, ma che era una questione di privacy. Hai figli, Owen?» «No.» «Eh, i Piccoli Imperatori...» A quell’espressione, Jericho s’irrigid. Maledizione! Era riuscito a scacciare i ricordi del sotterraneo di Shenzhén per un paio d’ore e adesso Tu Tian li aveva fatti riemergere. «Splendidi ed esigenti nel contempo», continuo Tu Tian. «Anche Yoyo. Le avevo spiegato che un padre aveva diritto ad avere una vita privata e che il fatto di essere stata generata da lui non la autorizzava a penetrare negli angoli segreti del suo animo. Ma i figli non capiscono. Sono convinti che i genitori siano una sorta di fornitori di servizi, che esistano solo per guardare loro le spalle; all’inizio utili, poi stupidi, alla fine imbarazzanti. Lei aveva ribattuto che le discussioni partivano sempre da Hongbng e che lui cercava di controllare la sua vita. Purtroppo aveva ragione. Hongbng avrebbe dovuto spiegarle cosa lo turbava tanto.» «Ma lui non l’ha fatto. E allora? L’hai fatto tu?» «Lui non mi avrebbe mai permesso di affrontare l’argomento con Yoyo. Con nessuno. Quindi avevo cercato di costruire qualche ponte, spiegandole che, in passato, suo padre aveva subito un’enorme ingiustizia e che nessuno al mondo soffriva del suo silenzio piu di lui. L’avevo pregata di avere pazienza. A poco a poco, Yoyo aveva imparato a rispettare il mio atteggiamento ed era diventata piu riflessiva. Da allora, aveva iniziato a confidarsi con me, e
questo mi onorava, dato che non avevo mai fatto nulla per conquistarmi la sua fiducia.» «E Chén si era ingelosito.» Tu Tian rise sommessamente, una strana risata triste. «Non lo ammetterebbe mai. Tra me e lui c’e un legame molto profondo. Di certo, pero, non gli faceva piacere. Era inevitabile che la situazione si esacerbasse. In rete, Yoyo si era messa a scrivere di argomenti banali: moda, musica, film e viaggi. Pubblicava poesie e racconti. Credo che non avesse ben chiaro cosa volesse diventare: se una giornalista, una dissidente o semplicemente un’altra ’Shanghai Baby’.» «Non e il titolo di un libro di...» «Mian Mian.» Tu Tian annu. «All’inizio del secolo, le giovani scrittrici di Shanghai venivano chiamate cos. Adesso questo termine e passato di moda. L’hai vista, no? Si e fatta un nome tra gli artisti, ha attirato l’attenzione degli intellettuali, ma e una scrittrice?» Scosse la testa. «Non sarebbe mai in grado di scrivere un buon romanzo. Pero la ritengo capace di risolvere da sola il mistero dell’assassinio di Kennedy. È un’investigatrice brillante, incline alla polemica. I censori lo hanno capito subito. Anche Hongbng lo sa. Per questo ha cos paura. Inoltre Yoyo e una persona affascinante. Ha carisma, trasmette fiducia. Caratteristiche pericolose dal punto di vista del Partito.» «Quando hanno iniziato a indagare su di lei?» «All’inizio non e successo nulla. Le autorita sono rimaste in attesa. Yoyo era in pratica una dipendente della mia azienda, mostrava uno spiccato interesse per le olografie e ci dava una mano con la realizzazione di programmi divertenti, e il divertimento e una cosa con cui il Partito non ha molta confidenza. Non sa come prenderlo. È stato destabilizzante scoprire che i cinesi iniziavano a considerare il divertimento un valore culturale. » «Aristotele aveva dedicato al riso il secondo libro della Poetica, che tuttavia e andato perduto», disse Jericho. «Lo sapevi?» «Conosco meglio Confucio.» «Nella Retorica, comunque, accosta il riso all’ingiuria.» «D’altra parte, chi si diverte si arrabbia meno e quindi s’interessa meno alla politica. In questo senso, il Partito apprezza il divertimento, e Yoyo senza dubbio sa come divertirsi. A un certo punto, si era data al canto e aveva fondato uno di quei gruppi mando-prog che stanno ancora spuntando come funghi. Non c’era festa in cui non ci fosse Yoyo. Se eri nel giro, era praticamente impossibile non imbatterti in lei. Forse pensavano che, lasciandola divertire, la minaccia si sarebbe disinnescata. E, se l’avessero lasciata in pace, probabilmente sarebbe andata proprio cos.» Tu Tian estrasse dagli abissi dei pantaloni un fazzoletto che doveva essere stato bianco e si asciugo il sudore dalla fronte. «Invece, una mattina di cinque anni fa, tutti i suoi blog sono stati chiusi e gli articoli a suo nome cancellati dalla rete. Quello stesso
giorno, Yoyo e stata arrestata e condotta in un distretto di polizia, con l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza del Paese e di aver istigato alla sovversione. L’hanno trattenuta per un mese e, all’inizio, Hongbng non sapeva nemmeno dove fosse. Stava quasi impazzendo. Tutta la faccenda ricordava spaventosamente il caso di ’Topina di Titanio’. Nessuna accusa formale, nessuna udienza, nessuna condanna, niente di niente. Nemmeno Yoyo sapeva con esattezza quale crimine avesse commesso. Se ne stava rannicchiata nella sua cella, insieme con due tossici e con una donna che aveva accoltellato il marito. Gli agenti di custodia la trattavano con gentilezza e, alla fine, le hanno spiegato il motivo per cui si trovava l. Aveva preso le difese di un amico, un musicista rock, che era in carcere per chissa quale sfrontatezza. Era ridicolo. Secondo la legge, il pubblico ministero deve pronunciarsi entro sei settimane per l’istanza a procedere o l’assoluzione. Il caso e stato poi archiviato per insufficienza di prove, Yoyo se l’e cavata con un’ammonizione e ha potuto tornare a casa.» «Forse e superfluo dirlo, ma immagino che Chén le abbia proibito ogni ulteriore attivita in rete», ipotizzo Jericho. «Gia. Ottenendo l’effetto opposto. All’inizio, lei e stata docile come un agnellino, ha scritto qualche articolo per certe riviste online, persino per gli organi di Partito. Ma, poche settimane dopo, si e imbattuta in un caso di scarico illegale di rifiuti tossici nello X Hu, il Lago Occidentale. Un’azienda chimica nelle vicinanze di Hangzhou, all’epoca ancora di proprieta statale, gettava nel lago gli scarti di lavorazione e agli abitanti della zona erano iniziati a cadere i capelli o anche peggio. Il direttore dell’azienda... » «... era un cugino del ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale», lo interruppe Jericho. «Certo. Yoyo lo sapeva, ma ha comunque deciso di diffondere la notizia.» Tu Tian lo fisso, sbalordito. «Come fai a saperlo?» «Mi e venuto in mente dove avevo gia sentito il nome di Yoyo!» Si gusto l’attimo in cui il suo cervello forzava il blocco della memoria, liberando il ricordo. «Non ho mai visto una sua fotografia, pero ricordo bene lo scandalo dei rifiuti tossici. La storia dello smaltimento illegale ha fatto il giro della rete. Le hanno fatto capire che si era sbagliata. Allora Yoyo li ha mandati a quel paese, ed e stata subito arrestata.» «È stata solo questione di ore prima che tutti i suoi articoli in rete venissero cancellati per una seconda volta. La sera stessa, la polizia ha bussato alla sua porta e lei si e ritrovata di nuovo in cella. Anche stavolta, pero, non hanno potuto accusarla di nulla. Aveva commesso l’errore d’infilare le mani nella rete della corruzione. Il pubblico ministero si e infuriato, chiedendo che senso avesse quella pagliacciata, dato che gia l’anno prima avevano indagato su di lei senza trovare nulla, ma alla fine e stato messo sotto pressione e costretto a concedere l’istanza a procedere.»
«S, ricordo. Yoyo e finita in carcere...» «Ma poteva andare anche peggio. Hongbng conosce un po’ di gente. Io ne conosco di piu. Cos ho procurato a Yoyo un avvocato che e riuscito a ridurre la pena detentiva a sei mesi.» «E per cos’e stata condannata?» «Per diffusione non autorizzata di segreti di Stato, come sempre.» Tu Tian scrollo le spalle e sorrise amaramente. «L’industria chimica aveva stretto un’alleanza con un’azienda inglese e Yoyo si era recata sul posto per intervistare un rappresentante di quest’ultima e raccogliere informazioni sulle operazioni clandestine notturne. Era stato sufficiente. Ma i media hanno dato molto risalto al caso. Oggigiorno, i giornalisti cinesi non si fanno piu intimidire come avveniva nel 2005 o nel 2010. Se uno di loro viene messo alla berlina, partono le sirene e, nei casi di corruzione, anche il Partito si spacca. La faccenda si e diffusa all’estero, Reporter Senza Frontiere ha preso le difese di Yoyo e il premier inglese, in visita a Pechino, ha fatto un paio di osservazioni sull’argomento a margine di alcuni colloqui bilaterali. Tre mesi dopo, Yoyo era di nuovo fuori.» «Se non sbaglio, poi, il direttore dello stabilimento e stato trovato che galleggiava nelle acque del lago. Hanno parlato di suicidio.» «Diciamo che si e trattato di eutanasia», sogghigno Tu Tian. «Le autorita non avevano previsto una tale pressione da parte dell’opinione pubblica ed erano state costrette ad aprire un’inchiesta. Sarebbero potuti saltare fuori parecchi nomi ma, indovina un po’, il mascalzone galleggiava nelle acque che lui stesso aveva inquinato e pertanto non si poteva piu interrogare. Quindi, per andare sul sicuro, il vicedirettore e il responsabile di produzione sono stati rilasciati e l’inchiesta e stata archiviata. Nel 2022, Yoyo ha ripreso gli studi. Hai sentito il suo nome dopo questa faccenda?» Jericho rifletté. «Non mi pare.» «Appunto. Il suo comportamento e stato ineccepibile... quando sotto gli articoli compariva il suo vero nome. Ha scritto di viaggi, per esempio, diffondendo la nuova cultura d’intrattenimento cinese. Per testi... diversi, invece, ha usato una serie di pseudonimi, appoggiandosi a server esteri. Non appena ha potuto, ha preso il sistema a calci nel sedere. È diventata una specie di...» Tu Tian rise, allargo le braccia e imito il battito d’ali degli uccelli «... Batgirl. Alla luce del sole, una ragazza alla moda e dedita al divertimento, ma in segreto impegnata in crociate contro la tortura, la corruzione, la pena di morte, i crimini legalizzati, i disastri ambientali... Ha lottato per la democrazia, una democrazia cinese s’intende. Yoyo non vuole ripercorrere le orme dell’Occidente, desidera solo che il Paese si liberi di quel dente cariato e marcio che e il Partito, in modo da poter dare spazio ai valori autentici. Cosicché il resto del mondo non ci veda solo come giganti dell’economia, ma anche come rappresentanti
di una nuova umanita.» «Che Dio ci protegga dai missionari», mormoro Jericho. «Lei non e una missionaria», ribatté Tu Tian. «È una persona alla ricerca di un’identita.» «Che suo padre non e in grado di darle.» «Hongbng potrebbe anche essere la sua principale forza motrice. Forse abbiamo semplicemente a che fare con una bambina che cerca con tutte le sue forze di attirare l’attenzione del padre. Comunque non e un’ingenua. Non lo e piu, almeno. Quando ha fondato i Guardiani, sapeva perfettamente cosa stava creando. Un ’commando fantasma’. Voleva essere una potenza della rete in grado di terrorizzare il Partito e, a tal fine, doveva portare alla luce tutte le sue macchinazioni. Danneggiarne la reputazione, per salvare la reputazione della Cina. Ci ha messo un po’ piu di un anno per equipaggiare i Guardiani con la tecnologia necessaria.» Jericho si mordicchio l’interno della guancia. Sapeva che quella conversazione era giunta alla fine. Tu Tian non gli avrebbe rivelato altro. «Mi servono tutte le registrazioni di Yoyo che mi puoi mettere a disposizione», disse. «Qui ne ho qualcuna.» Tu Tian apr una valigetta di pelle consunta ed estrasse un paio di occhiali olografici e una chiavetta olografica. Gi occhiali avevano un design elegante e la chiavetta era piu piccola dei modelli comuni. «Sono prototipi. Qui sono memorizzati tutti i programmi in cui abbiamo utilizzato Yoyo come guida turistica virtuale. Se vuoi, puoi andartene in giro con lei per locali, visitare la Jn Mao Dasha o il World Financial Center, andare a zonzo tra le piante dello Yuyuan o farti un giro al MOCA Shanghai.» Ridacchio. «Ti divertirai. I testi li ha scritti lei stessa. Nella chiavetta troverai anche il suo fascicolo personale, le registrazioni di alcune conversazioni, fotografie e filmati. Non ho altro da darti.» «Bella», commento Jericho, rigirando la chiavetta tra le dita. Poi osservo gli occhiali. «Ma questi li ho anch’io.» «Ti sbagli. Eravamo certi che i ’soliti noti’ avrebbero tentato di spiare lo sviluppo per copiarci l’idea. Pero, a quanto pare, la tua ultima operazione li ha messi in fuga. La Dao IT si sta ancora leccando le ferite.» Jericho sorrise. La Dao IT, l’ex datore di lavoro di Tu Tian, non era stata entusiasta di vedere il suo responsabile della ricerca e dello sviluppo per gli ambienti virtuali trasformarsi in un diretto concorrente. Da quel momento, il gruppo aveva tentato piu volte di penetrare nel sistema informatico della Tu Technologies per impossessarsi dei suoi segreti aziendali. Ogni volta, gli hacker erano stati molto abili a cancellare le loro tracce, e Jericho aveva dovuto metterci tutto il suo impegno per risalire ai colpevoli. In seguito, Tu Tian si era presentato in tribunale con le prove del crimine e la Dao IT era stata condannata a un risarcimento milionario.
«Tra l’altro, mi hanno fatto un’offerta», disse Jericho, come se stesse parlando di una cosa secondaria. «Chi? La Dao IT?» Tu Tian si rizzo a sedere, neanche fosse stato percorso da una scarica elettrica. «Ma s, lo sai come vanno queste cose. Erano impressionati. Se ero stato in grado di arrivare a loro, non sarebbe stato cos male avermi dalla loro parte.» L’altro sollevo l’impalcatura di occhiali. Fece schioccare rumorosamente le labbra un paio di volte e poi si schiar la voce. «Non hanno proprio vergogna.» «Ovviamente ho rifiutato», replico Jericho con voce atona. La lealta era un bene prezioso. «Pensavo solo che la notizia ti potesse interessare.» «Certo che m’interessa.» Tu Tian sogghigno, poi rise e diede a Jericho una pacca sulla spalla. «Allora forza, al lavoro... xiong-dì. » WORLD FINANCIAL CENTER, SHANGHAI, CINA Grand Cherokee Wang si muoveva al ritmo di una musica impercettibile. A ogni passo, annuiva, come se volesse confermare di essere davvero in gamba. Percorse il corridoio di vetro molleggiando le ginocchia, suonando strumenti immaginari e schioccando la lingua; ogni tanto, poi, ondeggiava con le anche e digrignava i denti. Oh, quanto si piaceva. Grand Cherokee Wang, il signore del mondo. Amava quel luogo soprattutto di notte, quando poteva specchiarsi nelle vetrate da cui si vedeva il mare di luci di Shanghai. Aveva la sensazione di essere in cima al mondo, come un gigante. Non c’era vetrina della Nanjng Donglu nella quale non avesse ammirato il proprio volto dai lineamenti perfetti, le applicazioni dorate sulla fronte e sugli zigomi, i capelli neri e lunghi fino alle spalle, l’impermeabile bianco... che, a dire il vero, era un po’ troppo caldo per la stagione. Pazienza. Wang e le superfici riflettenti sembravano fatti l’uno per le altre. Era davvero in cima al mondo. O, almeno, lavorava in cima al mondo, al novantasettesimo piano del World Financial Center, dal momento che i suoi genitori avevano accettato di finanziare i suoi studi a condizione che contribuisse alle spese. E lui lo faceva. Con una tale dedizione da far sospettare al padre che al suo rampollo - altrimenti poco promettente - piacesse davvero lavorare. In realta, bisognava ringraziare le condizioni particolari in cui svolgeva il suo lavoro se, in quel periodo, Grand Cherokee Wang trascorreva piu tempo nel World Financial Center che nelle aule universitarie, dove peraltro la sua presenza sarebbe stata piu necessaria. D’altra parte, per un aspirante ingegnere elettrotecnico e meccanico, era difficile trovare un’aula migliore del novantasettesimo piano del World Financial Center. Wang aveva tentato di descrivere il grattacielo alla nonna, diventata cieca all’inizio del millennio, prima che l’edificio fosse ultimato. «Della Jn Mao Dasha ti ricordi, no?»
«Certo, non sono mica scema. Saro anche cieca, ma ricordo tutto perfettamente!» «Allora cerca d’immaginare un apribottiglie proprio alle sue spalle. Lo sai, no, che lo chiamano ’l’apribottiglie’ perché...» «So soltanto che lo chiamano cos.» «Sai anche perché?» «No. Ma ho come l’impressione che non riusciro a impedirti di spiegarmelo.» La nonna di Wang sosteneva che la perdita della vista le aveva portato una serie di vantaggi, il piu piacevole dei quali era il fatto di non dovere piu sopportare la vista dei suoi familiari. «Allora, stai attenta: e un edificio slanciato, con facciate completamente lisce, senza sporgenze, solo vetro. Giganteschi specchi in cui si riflettono il cielo, gli edifici intorno, anche la Jn Mao Dasha. Spettacolare. Quasi cinquecento metri di altezza, centoun piani. Come faccio a descriverti la forma? La pianta e quadrata, come quella di una normale torre pero, a mano a mano che si sale, la larghezza diminuisce gradualmente, fino a ridursi a un bordo sottile in cima.» «Non so se voglio ascoltare tutti questi dettagli.» «Nonna! Devi riuscire a immaginarlo per capire cos’hanno costruito la sopra. All’inizio, sotto il bordo, era prevista un’apertura circolare di cinquanta metri di diametro, ma poi il Partito ha deciso che non andava bene per via del simbolismo. Il cerchio avrebbe ricordato il Sol Levante del Giappone...» «I diavoli giapponesi!» «Appunto. Allora hanno realizzato un’apertura quadrata, cinquanta metri per cinquanta. Un buco nel cielo. Con quel foro rettangolare, il grattacielo ha davvero l’aspetto di un gigantesco apribottiglie. Quando hanno ultimato i lavori, nel 2008, tutti hanno iniziato a chiamarlo cos e non c’e stato niente da fare. La base dell’apertura e una piattaforma panoramica con un corridoio tutto di vetro. Anche il bordo superiore e di vetro e persino il pavimento e trasparente.» «Non ci salirei mai e poi mai!» «Aspetta, adesso arriva il bello: nel 2020 a qualcuno e venuta la folle idea di costruire nell’apertura l’ottovolante piu alto del mondo, il Silver Dragon. L’hai mai sentito nominare?» «No. O forse s? Non so.» «Ma il buco era troppo piccolo per un ottovolante. Voglio dire, e gigantesco, ma i progettisti avevano in mente qualcosa di piu spettacolare. Allora sai cos’hanno fatto? Hanno costruito la stazione dell’ottovolante all’interno dell’apertura e installato i binari tutt’intorno all’edificio. Si accede ai vagoni dal corridoio di vetro e via, si parte, dieci metri oltre il bordo, poi il percorso descrive un’ampia curva intorno al pilone laterale sinistro verso la parte posteriore del grattacielo. Sei sospeso sopra Pudong, a mezzo chilometro di altezza!»
«Che cosa assurda!» «È una cosa sensazionale! Sulla parte posteriore, i binari s’inerpicano verso il tetto, girano intorno al pilone laterale destro e poi sboccano in una linea orizzontale proprio sopra il bordo. Non e pazzesco? Vai a passeggio sul tetto del World Financial Center!» «Morirei di paura.» «È vero, la maggior parte della gente se la fa addosso gia dopo i primi metri, ma questo non e ancora niente. Alla fine del bordo superiore inizia una discesa spaventosa... una curva parabolica. I vagoni sfrecciano a una velocita vertiginosa. E sai una cosa? S’infilano dritti nel buco, in questo buco gigantesco, passano sotto il tetto e poi tornano su, su, su, in un dannato giro della morte, di nuovo verso l’alto, oltre il tetto, poi un’altra discesa mozzafiato, dentro il buco, intorno al pilone destro e quindi di nuovo in orizzontale per entrare in stazione, e tutto questo per tre giri. Oh, mamma!» Ogni volta che Grand Cherokee descriveva l’ottovolante, si entusiasmava al punto da sudare freddo. «Non dovresti studiare?» Doveva farlo davvero? Nel corridoio di vetro, osservando la coda di persone che si accalcavano contro la transenna e lo guardavano, alcuni combattuti fra la paura e il desiderio di provare una nuova esperienza, altri pietrificati dallo shock, altri ancora trasfigurati dall’eccitazione, Grand Cherokee si sentiva lontanissimo dalle bassezze dello studio. L’universita si trovava mezzo chilometro piu in basso. Sprecare la propria esistenza dentro quelle aule non faceva per lui. Meritava di meglio. Solo il pensiero che sgobbare sui libri alla fine gli avrebbe permesso di realizzare qualcosa di ancora piu grandioso del Silver Dragon lo riconciliava con la realta, ma solo in parte. Si fece largo tra le persone in attesa fino alla porta trasparente che separava il corridoio dalla banchina, la apr e rivolse alla fila un sorriso di scherno. «Dovevo fare pip.» Alcuni si spinsero in avanti. Altri indietreggiarono di un passo, come se Wang li stesse invitando sul patibolo. Richiuse la porta dietro di sé, entro nella sala di controllo e sveglio il drago. I monitor si accesero e miriadi di spie iniziarono a lampeggiare: il sistema si stava avviando. Sui vari monitor si vedevano i singoli tratti del percorso del treno. Il Silver Dragon era facile da manovrare, addirittura a prova d’idiota, ma le persone la fuori non potevano saperlo. Per loro, lui era un mago in una cabina di cristallo. Lui era il Silver Dragon. Niente Grand Cherokee, niente corsa. Fece indietreggiare il convoglio verso l’unico punto del percorso protetto da una grata. I vagoni brillavano, seducenti, sotto i raggi del sole, come tavole da surf color argento appoggiate sui binari. Il treno era stato progettato per essere il piu aperto possibile, pur tenendo saldamente ancorati i passeggeri ai sedili con barre di protezione. Non c’erano ringhiere che dessero l’illusione di potersi aggrappare a qualcosa durante il giro della morte. Nulla che
potesse distrarre lo sguardo dall’abisso. Il drago non aveva pieta. Apr la porta di vetro. Alcuni passarono sullo scanner il cellulare o il biglietto elettronico; altri avevano acquistato il biglietto nell’atrio. Grand Cherokee fece passare un gruppo di ventiquattro adrenalina-dipendenti e poi richiuse la porta. Una sbarra cromata si alzo per consentire l’accesso al drago. Aiuto i passeggeri a sedersi, controllo le barre di protezione e gli attacchi e lancio a ciascuno dei passeggeri occhiate tranquillizzanti. Una turista, forse scandinava, gli sorrise timidamente. «Paura?» chiese lui, in inglese. «Un po’ di agitazione», sussurro lei. Oh, hai paura. Fantastico. Grand Cherokee si chino verso di lei. «Alla fine del giro, ti mostro la cabina di controllo. Ti piacerebbe vederla?» «Oh, sarebbe... grandioso.» «Ma solo se sarai coraggiosa.» Le rivolse un sorriso da conquistatore. La ragazza bionda sospiro, poi sorrise di rimando. «Lo saro. Promesso.» Grand Cherokee Wang. Il signore del drago. Con passi rapidi raggiunse la cabina. Le sue dita si mossero abilmente sul pannello di controllo. Sblocco della protezione dei binari, partenza del treno. Bastava un gesto cos semplice per spedire un gruppo di esseri umani in un tour indimenticabile tra il paradiso e l’inferno. Il drago usc dalla gabbia e inizio a muoversi lungo la piattaforma, accelero, quindi spar dal campo visivo. Grand Cherokee si volto. Dal corridoio di vetro poteva vedere in lontananza gli imponenti piloni laterali, suddivisi in segmenti delle dimensioni di un attico. Sopra di lui, a un’altezza vertiginosa, c’era l’osservatorio col pavimento di vetro. All’interno, i visitatori si muovevano come se stessero camminando su una lastra di ghiaccio e guardavano in basso, cinquanta metri sotto di loro, verso il corridoio con la stazione dell’ottovolante dove si stavano gia radunando nuovi temerari. Tutti fissavano la torre di sinistra, dietro la quale il treno stava risalendo verso il tetto. Poi usc di nuovo dal campo visivo. Grand Cherokee getto un’occhiata ai monitor. Il convoglio si stava avvicinando alla fine del tetto. Oltre quel punto, il binario curvava bruscamente verso il basso. Attese. Quando aveva occasione di fare lui stesso un giro sull’ottovolante, quello era il momento che amava di piu. I posti davanti erano i migliori. Si aveva la sensazione che le rotaie finissero nel nulla, di precipitare nel vuoto oltre il bordo, di pensare l’impensabile... appena prima che il vagone s’inclinasse, lasciando intravedere la curva parabolica piu in basso, appena prima che l’adrenalina sciacquasse via ogni pensiero razionale dalle circonvoluzioni cerebrali e che i polmoni si dilatassero in un urlo. Si sfrecciava verso la stazione a testa in giu, quindi si veniva nuovamente catapultati verso l’alto, ci si ritrovava a fluttuare nel vuoto oltre il tetto, per poi affrontare subito un’altra discesa mozzafiato.
I vagoni rientrarono nel campo visivo. Affascinato, Grand Cherokee guardo in alto. Il tempo sembrava essersi fermato. Poi il drago si lancio nell’anello del giro della morte. Poteva udire le urla attraverso la vetrata. Che momento! Che dimostrazione di potere sul corpo e sullo spirito! E che trionfo poter cavalcare e controllare il drago! Fu investito da una sensazione di totale invulnerabilita. Almeno una volta al giorno tentava di accaparrarsi un posto nel convoglio, perché lui non aveva paura di nulla, non soffriva di vertigini, non aveva dubbi sulla propria grandezza, era privo di vergogna, privo di scrupoli e privo di coscienza. Privo di prudenza. Mentre, sopra di lui, ventiquattro coraggiosi vivevano il loro inferno neurochimico a cavallo del drago, Wang tiro fuori il cellulare e seleziono un numero. «Ho delle informazioni per lei», esord, sforzandosi di assumere un tono annoiato. «Sa dove si trova la ragazza?» «Credo di s.» «Grandioso!» L’uomo sembrava davvero riconoscente. Grand Cherokee contrasse le labbra. Quel tizio poteva recitare quanto voleva, pero di certo non stava cercando Yoyo per avvolgerla nella bambagia. Probabilmente era dei servizi segreti o della polizia. Ma non importava. Di fatto, aveva dei soldi ed era pronto a pagare. In cambio, avrebbe ottenuto informazioni che Grand Cherokee in realta non possedeva, visto che non aveva la piu pallida idea di dove si trovasse Yoyo. Non sapeva chi o che cosa avesse indotto la ragazza a fuggire, e nemmeno se fosse davvero fuggita o semplicemente partita per una vacanza senza avvisare nessuno. Il suo bagaglio d’informazioni era come il suo conto in banca: in entrambi non vi era niente da prelevare. D’altra parte, come sarebbe stato se avesse detto soltanto la verita? «Yoyo lavora nel World Financial Center, alla Tu Technologies, qualche piano piu in basso. Io sono il custode della stazione dell’ottovolante in cima all’edificio, per tutti quelli che vogliono farsela addosso in caduta libera. L’ho conosciuta cos. È venuta qui perché voleva cavalcare il drago. Allora gliel’ho fatto cavalcare e, dopo, le ho fatto vedere come si manovra. Lei lo ha trovato... come posso dire...» La verita, Grand Cherokee, la verita. «... molto piu eccitante di me, anche se di solito il trucco funziona, voglio dire, ti faccio fare un giro gratis, poi tu fai un giro con me, andiamo a bere qualcosa, capito? A lei piaceva il drago, e stava cercando un alloggio perché non andava d’accordo col suo vecchio. L e io avevamo una stanza libera. In realta, L non era entusiasta all’idea. Ritiene che le ragazze disturbino l’equilibrio chimico, soprattutto se sono belle come Yoyo, perché tutti i pensieri conflu-
iscono nell’uccello e alla fine si rovinano le amicizie. Ma io ho insistito e Yoyo si e trasferita da noi. Tutto questo e successo non piu di due settimane fa.» Fine della storia. Forse avrebbe potuto aggiungere: Pensavo che, una volta a casa nostra, sarei riuscito a portarmela a letto, ma mi sbagliavo. Le piace fare casino, le piace cantare, in definitiva le piace tutto quello che piace anche a me. Una cosa incomprensibile, in realta. E ancora: Mi e capitato di vederla girare con tizi dei quartieri bassi. Motociclisti. Una banda, forse. Sui giubbotti, hanno adesivi che dicono «City Demons», almeno mi pare. Sì, «City Demons». E quella era l’unica informazione degna di tal nome. Ma, con ogni probabilita, non gli avrebbe fruttato nulla. Era ora d’inventarsi qualcosa. «E adesso dove si trova?» volle sapere l’uomo. Cherokee esito. «Non dovremmo parlarne al telefono, capisce... » «Lei dov’e? Posso raggiungerla in un attimo.» «No, no, non ce la faccio. Non oggi. Facciamo domattina presto. Alle undici.» «Alle undici non e presto.» L’altro fece una pausa. «Se ho capito bene, lei vuole guadagnare un po’ di soldi. O sbaglio?» «Ha capito benissimo. E lei vuole qualcosa da me, giusto? Allora, chi stabilisce le regole del gioco?» «Lei, amico mio.» Era solo un’impressione o il suo interlocutore stava ridendo sommessamente? «Cosa ne dice di vederci alle dieci?» Grand Cherokee rifletté. Alle dieci doveva eseguire i lavori di manutenzione dell’ottovolante, alle dieci e mezzo apriva. D’altro canto, forse incontrare Mr «Big Money» da solo non era un’idea cos stupida. Dal momento che alcune banconote avrebbero cambiato proprietario, sarebbe stato meglio limitare il numero degli spettatori, e alle dieci sarebbero stati soli, lui, l’uomo e il drago. «Va bene.» Era certo che gli sarebbe venuto in mente qualcosa. «Le dico dove puo trovarmi.» «Bene.» «E si metta in tasca un portafoglio bello pieno.» «Non si preoccupi. Non avra modo di lamentarsi.» Suonava bene. Suonava bene... davvero? I vagoni entrarono in stazione e frenarono. Il viaggio era terminato. Grand Cherokee osservo ventiquattro paia di ginocchia tremolanti e si preparo a sorreggere i passeggeri piu malconci. Ma certo, suonava molto bene. JERICHO L’appartamento che Yoyo condivideva coi due ragazzi si trovava nella Tibet Lu, al centro di un quartiere di blocchi di cemento tutti perfettamente identici. Solo pochi anni prima, quel
luogo ospitava un mercato notturno. Le case dai tetti spioventi erano ammassate all’ombra dei grattacieli formando un’isola di miseria e decadenza distribuita su quasi quattro chilometri quadrati, in cui l’approvvigionamento idrico era cronicamente insufficiente e la corrente elettrica funzionava a intermittenza. I commercianti esponevano i loro prodotti sul marciapiede, con le finestre e le porte aperte, cosicché lo spazio abitativo assolveva la funzione di negozio e nel contempo di magazzino. Si trovava di tutto: articoli casalinghi, erbe curative, radici per stimolare la libido, estratti contro gli spiriti maligni, souvenir per i turisti che, essendosi persi, finivano per caso nel quartiere e non sapevano distinguere un Buddha di plastica da uno antico. A ogni angolo si vedevano paioli fumanti, e i vicoli erano invasi dall’odore di grasso e di brodo. Non era malaccio, ricordava Jericho, che aveva fatto un giro da quelle parti poco dopo il suo arrivo. Anzi, per pochi soldi, si poteva comprare cibo davvero squisito. D’altra parte, vivere l costringeva la gente a condividere con altre dieci persone un’unica toilette perennemente intasata, sempre che l’edificio potesse vantare il lusso di averne una. Di conseguenza, il giorno in cui erano apparsi i rappresentanti delle autorita preposte all’edilizia e delle agenzie immobiliari, ci si sarebbe aspettati una reazione entusiastica da parte della collettivita. Erano stati evocati appartamenti luminosi, fornelli elettrici e docce... eppure nessuno sguardo si era acceso di entusiasmo. Gli abitanti del quartiere non avevano mostrato né contentezza né resistenza. Avevano firmato i contratti, si erano guardati e avevano capito che era arrivato il momento. La vita che avevano condotto fino ad allora era giunta al termine. Ed era stata pur sempre una vita: quelle case semplici avevano visto tempi migliori, prima dell’impennata dell’economia cinese all’inizio degli anni ’90. Qualche mese piu tardi, Jericho era tornato laggiu. Inizialmente aveva pensato che la zona fosse stata bombardata. Un esercito di operai era impegnato a radere al suolo l’intero quartiere. La sorpresa iniziale si era trasformata in stupore incredulo quando si era reso conto che una buona meta degli abitanti viveva ancora l e si dedicava alle consuete occupazioni quotidiane mentre tutt’intorno ballonzolavano palle d’acciaio, crollavano muri e i camion rimuovevano tonnellate di macerie. Aveva chiesto cosa ne sarebbe stato della gente, una volta che il quartiere fosse scomparso. «Si trasferisce», aveva spiegato uno degli operai. «Dove?» L’uomo non aveva risposto e Jericho, sbigottito, aveva gironzolato per il quartiere, mentre calava il buio e veniva allestita la scenografia di un mercato notturno, i cui protagonisti sembravano impegnati a negare che fosse in atto un’opera di distruzione. Aveva interpellato alcune persone e tutte, indifferenti e cordiali, gli avevano detto che le cose stavano cos e basta. Dopo un po’, Jericho era arrivato alla conclusione che non poteva dipendere solo dallo stras-
cicato dialetto di Shanghai se lui capiva sempre un’unica parola. No, quella era la reazione standard a qualsiasi tipo di catastrofe e ingiustizia. Meiyoubanfa, cioe: «Non ci si puo far niente». Col sopraggiungere della notte, qualcuno era diventato piu loquace. Una donna rotondetta, in la con gli anni, che preparava squisite polpette in brodo, aveva spiegato a Jericho che l’indennizzo concesso dalle autorita non era neanche lontanamente sufficiente per acquistare un nuovo appartamento o per prenderne uno in affitto per un certo periodo. Una seconda donna gli aveva riferito che, sulle prime, avevano offerto a ognuno degli abitanti del quartiere una somma di gran lunga superiore, ma che nessuno aveva ricevuto l’importo promesso. Un giovane allora si era messo a protestare, minacciando di sporgere denuncia, ma la donna rotondetta aveva liquidato quella dichiarazione con un cenno. Suo figlio li aveva gia denunciati quattro volte e tre denunce erano state respinte. La quarta volta, poi, lo avevano sbattuto in cella per una settimana. Piu perplesso di quand’era arrivato, Jericho aveva lasciato il quartiere. Adesso ci tornava per la terza volta, e nulla di cio che vedeva lasciava intuire che l fosse mai esistito qualcosa di diverso da quelle torri con gli impianti dell’aria condizionata davanti alle finestre. Gli edifici erano numerati ma, nella luce del crepuscolo, i numeri risultavano illeggibili perché qualche idiota aveva avuto la brillante idea di dipingerli in colori pastello, tono su tono; enormi, certo, ma impossibili da individuare. Cos, nella luce dei lampioni, si mimetizzavano con lo sfondo come una lepre bianca nella neve. Jericho non aveva voglia di perlustrare le strade a una a una. Prese il cellulare, digito il numero civico e attese che il GPS rilevasse la sua posizione. Sul display apparve un’immagine satellitare di quella parte della citta e lui la proietto sulla parete della casa piu vicina. Il proiettore era abbastanza potente da generare un’immagine nitida di due metri per due: erano perfettamente visibili la strada che stava percorrendo e che sembrava tagliare in due la facciata dell’edificio, tutte le parallele e le traverse. Jericho allora zoomo sul tratto di strada compreso tra il segnale lampeggiante che indicava il punto in cui si trovava lui e un altro, che invece indicava l’indirizzo di Yoyo. «Procedere per trentadue metri, poi svoltare a destra», esclamo una voce dal cellulare. Disattivo la voce e s’incammino. Aveva visto che l’isolato in cui abitava Yoyo si trovava proprio dietro l’angolo. Due minuti dopo, suono il campanello. C’era la possibilita concreta di non trovare nessuno, ma il rischio era compensato dal vantaggio che gli avrebbe concesso l’effetto sorpresa. Chiunque gli avesse aperto la porta non avrebbe avuto il tempo di prepararsi, di far sparire qualcosa o di escogitare menzogne. Secondo gli accertamenti di Jericho, i coinquilini di Yoyo non avevano precedenti penali e non avevano mai dato nell’occhio. Il primo, Zhang L, studiava Economia aziendale e Inglese. Il
secondo era iscritto a Ingegneria meccanica ed elettrotecnica. Le autorita lo conoscevano come Wang Jntao, ma lui si faceva chiamare Grand Cherokee. Non era una cosa insolita: negli anni ’90, i giovani cinesi avevano iniziato a far precedere al loro cognome un nome occidentale, una pratica non sempre all’insegna del buongusto. Era accaduto che, ignorando il reale significato di molte parole, alcuni uomini avevano iniziato a farsi chiamare come una marca di assorbenti femminili o di cibo per cani, mentre non era raro incontrare donne che portavano nomi altisonanti e ridicoli come Pershing Song o White House Liang. Wang aveva scelto per sé il nome di un fuoristrada americano. Stando a quello che aveva detto Tu Tian, né lui né L erano esattamente dei pantofolai, quindi il rischio che Jericho avesse fatto tutta quella strada per niente era abbastanza elevato. Tuttavia, quando suono il campanello per la seconda volta, accadde una cosa che lo sorprese: qualcuno gli apr senza nemmeno rispondere al citofono. Entro in un corridoio spoglio, impregnato di odore di cavolo. Prese l’ascensore fino al settimo piano e si ritrovo in un corridoio imbiancato e rischiarato da una tremolante luce al neon. Poco piu avanti, si apr una porta e apparve un ragazzo, che squadro Jericho con indifferenza. Non c’erano dubbi. Applicazioni metalliche gli ornavano la fronte e gli zigomi, come dettava la moda. L’uso di quelle decorazioni aveva fatto tramontare l’era dei piercing e dei tatuaggi al punto che chiunque si concedesse ancora il vezzo di un anellino sul sopracciglio o sulla lingua era considerato un vecchio. Anche l’acconciatura - i capelli lisci e lunghi - era di tendenza. Uno stile indiano, ormai seguito dalla maggior parte dei giovani di tutto il globo, tranne che dagli indiani stessi, che ne disconoscevano la paternita. Una T-shirt usa e getta faceva risaltare i pettorali, i pantaloni neri lucidi e stropicciati davano l’idea di essere in servizio giorno e notte. Nel complesso, non era male, anche se non poteva definirsi bello; gli mancava una diecina di centimetri di statura e i tratti spigolosi del viso, che potevano pure risultare affascinanti, erano privi di eleganza. «Chi e lei?» chiese il ragazzo, trattenendo uno sbadiglio. Jericho gli mise il cellulare sotto il naso e proietto sul display un’immagine tridimensionale della sua testa corredata di numero identificativo della polizia. «Owen Jericho, detective informatico. » Wang socchiuse le palpebre. «Ma davvero?» replico in tono ironico. «Avrebbe un attimo di tempo?» «Per cosa?» «Questo e l’appartamento di Chén Yuyun, detta Yoyo. Giusto? » «Sbagliato.» L’uomo sembro masticare a lungo la parola prima di sputarla fuori. «Questo e l’appartamento di L e del sottoscritto, dove la piccola ha depositato libri e vestiti.»
«Pensavo abitasse qui.» «Mettiamo in chiaro una cosa, okay? Non e il suo appartamento. Io le ho procurato la stanza.» «Allora lei deve essere Grand Cherokee.» «Yeah!» L’uso del nome proprio cambio bruscamente l’atteggiamento del ragazzo, che divenne subito cordiale. «Ha sentito parlare di me?» «Solo cose positive», ment Jericho. «Sa dove posso trovare Yoyo?» «Dove puo...» Grand Cherokee s’interruppe. Per qualche strano motivo, la domanda sembrava averlo lasciato di sasso. «Ma tu guarda!» mormoro. «Ho bisogno di parlare con lei.» «Non e possibile.» «So che Yoyo e sparita... È per questo che sono qui. Suo padre la sta cercando ed e molto preoccupato. Percio, se sa qualcosa che mi permetta di trovarla...» Grand Cherokee lo fisso. C’era qualcosa in lui o, meglio, nel suo atteggiamento che irritava Jericho. «S, insomma, se sa qualcosa...» ripeté. «Un attimo.» Grand Cherokee alzo una mano. Per qualche secondo rimase immobile in quella posizione, poi i suoi tratti si distesero. «Yoyo. Ma certo. Non vuole entrare?» chiese, sorridendo in modo affabile. Ancora irritato, Jericho entro in uno stretto corridoio, sul quale si affacciavano diverse stanze. Grand Cherokee lo precedette, apr l’ultima porta e gli fece cenno di entrare. «Posso mostrarle la sua stanza.» Jericho comprese. Tanta cooperazione doveva essere calcolata. Entro nella stanza e si guardo intorno. Nulla di significativo. Niente che potesse far capire chi era la persona che ci viveva, se si escludevano alcuni poster di star della scena mando-prog. Una delle immagini ritraeva Yoyo sul palcoscenico. Su un pannello sopra una scrivania da quattro soldi vide un appunto. Si avvicino e ne studio le poche parole: «Olio di sesamo scuro... 300 g di petto di pollo...» Grand Cherokee tossicchio. «S?» Jericho si giro verso di lui. «Potrei darle delle indicazioni su dove si trova Yoyo.» «Benissimo.» Grand Cherokee fece un gesto eloquente. «Be’, mi ha raccontato un bel po’ di cose, sa? Voglio dire, io le piaccio. Negli ultimi giorni si e confidata parecchio.» «Anche lei si e confidato?»
«Diciamo che ne ho avuto la possibilita.» «E allora?» «Insomma, capisce, sono cose personali!» esclamo Grand Cherokee con aria indignata. «Possiamo parlare di tutto, ma...» «Non fa niente, non si preoccupi. Se sono cose personali...» Jericho si giro dall’altra parte. Era solo un idiota che si dava delle arie, come aveva temuto. Apr i cassetti della scrivania. Poi si diresse verso l’armadio a muro accanto alla porta e lo apr. Jeans, un maglione, un paio di scarpe da ginnastica che avevano visto giorni migliori. Due bombolette spray per abiti usa e getta. Jericho le agito. Mezze piene. Evidentemente Yoyo, nella fretta, aveva raccolto solo meta delle sue cose. «Quando ha visto la sua coinquilina l’ultima volta?» «L’ultima volta?» gli fece eco Grand Cherokee. «L’ultima volta», ripeté Jericho, fissandolo. «Intendo il momento a partire dal quale non ha piu visto Yoyo. Allora, quand’e stato?» «Dunque, vediamo...» Il ragazzo sembro riemergere da un mare in burrasca. «La sera del 23 maggio. Abbiamo fatto una festicciola, poi L e andato a letto e Yoyo e rimasta a farmi compagnia. Abbiamo chiacchierato e bevuto qualcosa, poi lei e tornata nella sua stanza. Dopo un po’, l’ho sentita correre di qua e di la e spalancare l’armadio. Poco dopo, ho sentito la porta di casa che si chiudeva.» «Quando, esattamente?» «Fra le due e le tre, mi pare.» «Le pare?» «Di certo prima delle tre.» Jericho continuo a ispezionare la stanza di Yoyo. Con la coda dell’occhio, vide che Grand Cherokee se ne stava fermo senza sapere cosa fare. Il disinteresse che Jericho aveva dimostrato nei suoi confronti pareva sconcertarlo. «Potrei raccontarle anche di piu, se le interessa...» disse dopo un po’. «Allora parli.» «Magari domani.» «Perché non ora?» «Perché dovrei fare un paio di telefonate per... Voglio dire, so dove si trova Yoyo, ma prima...» Distese le braccia e giro verso l’alto i palmi delle mani. «Diciamo che ogni cosa ha il suo prezzo.» Ma certo. Jericho termino l’ispezione e torno verso l’ingresso. «Ovvio, se ne vale la pena. A proposito, dov’e il suo coinquilino? » «L? Non ne ho idea. Lui comunque non sa niente.»
«È solo una mia impressione o nemmeno lei sa niente?», «S, invece. Io s.» «Ma...» «Nessun ’ma’. Pensavo solo che forse le sarebbe venuto in mente qualcosa per sciogliermi la lingua.» Grand Cherokee sorrise. Jericho ricambio il sorriso. «Capisco. Vuole trattare un anticipo. » «Chiamiamolo un contributo spese.» «E per cosa, Grand Cherokee, o come diavolo si chiama? Per farmi prendere per il culo con la sua fantasia sfrenata? Lei non sa proprio un bel niente.» Jericho si giro per andarsene. Il ragazzo aveva l’aria sconvolta. Evidentemente aveva pensato che la conversazione avrebbe preso una piega diversa. Trattenne Jericho per una spalla e scosse la testa. «Non sto cercando di spillarle dei soldi, amico!» «Allora non lo faccia.» «Cerchi di capirmi. I miei studi non sono gratuiti. Riusciro a scoprire quello che le interessa.» «Negativo. Lei non ha informazioni interessanti da vendermi. » «Io...» Annaspava alla ricerca delle parole. «Va bene, facciamo cos. Se io le rivelo qualcosa che le consentira di procedere nella sua indagine, lei si fidera di me? Sarebbe il mio anticipo, capito?» «La ascolto.» «Allora, c’e questa banda di motociclisti con cui Yoyo gira spesso. Anche lei guida una di quelle moto. Sono i City Demons. Cos c’e scritto sui loro giubbotti.» «E dove li trovo?» «Quello era il mio anticipo.» «Adesso mi ascolti lei», disse Jericho, appoggiando con forza l’indice sul petto del suo interlocutore. «Io non tiro fuori neanche un soldo, perché lei non ha niente da darmi. Niente di niente. Tuttavia, se lei, mosso dal suo buon cuore, dovesse riuscire a procurarmi informazioni utili - informazioni autentiche -, allora forse potremmo parlarne. Mi sono spiegato?» «Sissignore.» «Allora, quando mi chiamera?» «Domani pomeriggio.» Grand Cherokee si pizzico il mento. «Anzi no, prima. Forse.» Rivolse a Jericho uno sguardo penetrante. «Pero poi sara giorno di paga, amico!» «Sara giorno di paga.» Jericho gli diede una pacca sulla spalla. «Avra una ricompensa adeguata. Voleva dirmi qualcos’altro? » Grand Cherokee scosse la testa e resto in silenzio.
«Allora a domani.» Allora a domani. Per un po’, Grand Cherokee rimase immobile sulla porta, ascoltando l’ascensore che sferragliava. Una cosa da non credere. Ando in cucina, tiro fuori una birra dal frigorifero e la stappo. Cosa diavolo stava succedendo? Cosa aveva combinato Yoyo per spingere il mondo intero a interessarsi alla sua scomparsa? Prima quel tipo elegante e adesso il detective. Ma la domanda piu importante era: come trarre vantaggio dall’intera faccenda? Non sarebbe stato facile. Grand Cherokee sapeva bene che il valore delle informazioni di cui era in possesso era pari a zero e che le ore seguenti non lo avrebbero alzato di molto. D’altra parte, era sicuro che sarebbe riuscito a farsi venire in mente qualche frottola credibile entro la mattina seguente. Bugie difficili da smascherare: «Le mie informazioni sono di prima mano», oppure: «Non so, forse Yoyo ha mangiato la foglia» o anche: «Ci hanno raggirato», e cos via. Doveva far lievitare il prezzo. Doveva mettere quei due l’uno contro l’altro. Aveva fatto bene a non raccontare al detective della visita di Xn. Tutto si poteva dire di lui, ma non che fosse un cretino. Sono troppo furbo per voi, penso. Cominciate a contare i soldi. Limit 26 MAGGIO 2025 IL SATELLITE L’ARRIVO Anche se dal 2018 il suolo lunare era stato calpestato da diverse dozzine di stivali che avevano lasciato nuove impronte dell’eroismo umano, Eugene Cernan, comandante dell’Apollo 17, veniva comunque considerato l’ultimo uomo ad aver messo piede sul satellite. Gli anni dal ’69 al ’72 erano un monumento nel paesaggio della storia americana, segnati com’erano dal breve ma magico susseguirsi delle missioni con equipaggio. Poi i consiglieri di Nixon avevano mandato all’aria ogni cosa in modo piuttosto surreale, lasciando che fosse il presidente a spegnere la luce lassu. Cernan era quindi rimasto l’ultimo uomo del Primo millennio a lasciare il suolo lunare. In qualita di undicesimo astronauta del programma Apollo, Cernan aveva passeggiato nel Mare Serenitatis e compiuto centinaia di quei piccoli passi che Neil Armstrong aveva reputato tanto arditi per l’umanita. La sua squadra aveva raccolto piu rocce lunari e aveva eseguito attivita extraveicolari piu lunghe di tutte le missioni precedenti. Il comandante era persino riuscito a provocare il primo «tamponamento » su un corpo celeste, sfasciando il parafango posteriore sinistro del suo automezzo; tuttavia l’aveva poi riparato, di-
mostrando una capacita d’improvvisazione degna di Robinson Crusoe. Ma nulla di tutto cio era riuscito a risvegliare l’interesse dell’opinione pubblica. Era la fine di un’epoca. Di fronte alla storica occasione di rilasciare una dichiarazione immortale che avrebbe trovato posto nelle enciclopedie e nei libri di scuola, Cernan era riuscito soltanto a manifestare una sorprendente perplessita. «Abbiamo trascorso la maggior parte del viaggio di ritorno a discutere su quale fosse il vero colore della Luna», aveva dichiarato. Da non credere. Era dunque quello cio che restava di sei dispendiosissimi allunaggi su quel corpo roccioso situato a una distanza di 384.400 chilometri dalla Terra? Non sapere quale fosse esattamente il suo colore? «A me sembra giallastra», disse Rebecca Hsu, dopo avere fissato il satellite dal suo oblo. Ormai i finestrini sul lato opposto non attiravano piu l’attenzione dei passeggeri. Nei due giorni successivi alla partenza, avevano osservato attraverso quei finestrini il loro pianeta d’origine diventare sempre piu piccolo, un tetro e progressivo allontanamento da tutto cio che era familiare; poi, a meta strada, avevano diviso la loro benevolenza tra la Terra e la Luna. Ormai, pero, avevano definitivamente ceduto al fascino del satellite. A diecimila chilometri, era gia ben visibile, coi contorni nitidi stagliati sullo sfondo nero dello spazio circostante. Pero, a mano a mano che i passeggeri si avvicinavano, quell’oggetto di romantiche contemplazioni si trasformava in una sfera dall’aspetto minaccioso, in un campo di battaglia segnato da miliardi di anni di assidui bombardamenti. Stavano sfrecciando verso quel mondo sconosciuto col loro shuttle nel silenzio totale: solo il ronzio dei sistemi di sopravvivenza segnalava che a bordo era in corso una qualche attivita tecnica. Inoltre il silenzio faceva rimbombare i battiti del cuore come colpi di tamburo e gorgogliare il sangue nelle vene. In piu, il corpo faceva sentire nitidamente i suoi processi chimici, portando i pensieri al limite dell’immaginabile. Olympiada Rogaceva si avvicino fluttuando, una timida nuotatrice in assenza di gravita. Ormai erano a soli mille chilometri dal satellite, che adesso era visibile solo per tre quarti. «Io non ci vedo niente di giallo», mormoro. «Per me e grigio topo.» «Grigio metallizzato», la corresse freddamente Rogacev. «Mah, non saprei.» Evelyn Chambers lancio un’occhiata dal finestrino attiguo. «Metallizzato?» «S, certo. Guardi. Quel grande cerchio, in alto a destra. Scuro come il ferro.» «Lei e nel settore dell’acciaio da troppo tempo, Oleg. Riuscirebbe a trovare qualcosa di metallizzato anche in un budino al cioccolato.» «Ma certo, il cucchiaino. Uuiiiiii!» Miranda Winter fece una capriola accompagnata da esclamazioni di gioia. Col passare delle ore, quelle acrobazie avevano annoiato la maggior parte di loro, ma non Miranda, il cui atteggiamento suscitava negli altri un evidente nervosismo. Era impossibile scambiare qualche parola con lei senza che si mettesse a roteare
nell’aria, squittendo e schiamazzando, distribuendo colpi alle costole e pugni sotto il mento. Vittima di una tallonata nella schiena, Evelyn sbotto: «Non sei una giostra, Miranda. Smettila, una buona volta». «A me sembra di esserlo!» «Allora fatti revisionare o ritirare dal mercato. È troppo stretto, qui dentro.» «Ehi, Miranda!» O’Keefe la sbirciava da dietro un libro. «Perché non fai finta di essere una balenottera azzurra?» «Come? E perché, scusa?» «Le balenottere azzurre non fanno queste cose. Stanno nell’acqua piu o meno immobili, si nutrono di plancton e vivono felici e contente.» «E soffiano acqua», intervenne Heidrun. «Vuoi vedere Miranda che soffia come una balena?» «Perché no?» «Quanto siete stupidi», brontolo Miranda. «Peraltro a me sembra che tenda all’azzurro. La Luna, intendo. Ha un colore quasi spettrale.» «Che pauuura!» rabbrivid O’Keefe. «Che colore ha, allora? *» volle sapere Olympiada. «Tutti e nessuno», disse Julian Orley, entrando dal boccaporto che collegava il modulo abitativo del Charon col modulo di allunaggio. «Nessuno lo sa.» «Per quale motivo?» Rogacev corrugo la fronte. «Non c’e stato abbastanza tempo per scoprirlo?» «Certo. Il problema e che finora e stato possibile osservare la Luna solo attraverso vetri oscurati o finestrini rivestiti con filtri e visiere. Tra l’altro, non presenta nemmeno un’albedo particolarmente alta...» «Una cosa?» chiese Miranda, girando come un lattonzolo che sta cuocendo allo spiedo. «Si definisce cos il potere riflettente. La percentuale di luce che le superfici sono in grado di riflettere. L’albedo delle rocce lunari non e particolarmente elevata, soprattutto quella dei maria... » «Non capisco una parola.» «Dei mari», chiar pazientemente Julian. «L’insieme dei mari lunari puo essere chiamato anche maria. È il plurale latino di mare. Sono piu scuri delle catene montuose ai margini dei crateri. » «Perché allora, vista dalla Terra, la Luna sembra bianca?» «Perché e priva di atmosfera. La luce solare colpisce la sua superficie senza essere filtrata. E, se non fosse filtrata, colpirebbe anche la retina non protetta di un astronauta. Le radiazioni UV sono di gran lunga piu dannose per i nostri occhi di quanto non lo siano sulla
Terra. Ecco perché anche i finestrini della nostra navicella sono oscurati.» «Eppure abbiamo portato grandi quantita di rocce lunari sulla Terra», disse Rogacev. «Di che colore sono quei campioni? » «Grigio scuro. Ma cio non significa che tutta la Luna sia di quel colore. Forse ci sono anche sfumature marroni. O gialle.» «Esatto», disse O’Keefe dietro il suo libro. «Ognuno vede colori leggermente diversi. A ognuno la sua Luna.» Julian raggiunse Evelyn Chambers. Parecchi chilometri sotto di loro stava sfilando un cratere enorme. Una luce liquida sembrava fluire dalle pendici nella pianura circostante. «Visto che ci stiamo passando sopra... quello e Copernicus. A detta di tutti, e il piu spettacolare dei crateri lunari, formatosi oltre ottocento milioni di anni fa. Misura piu di novanta chilometri di diametro e i bordi sono cos alti che darebbero del filo da torcere a qualsiasi alpinista, anche se l’aspetto piu impressionante e la sua profondita. Vedete quell’imponente zona d’ombra all’interno? Quasi quattro chilometri separano il bordo dal fondo della depressione. » «Al centro ci sono delle montagne», noto Evelyn. «Com’e possibile?» si meraviglio Olympiada. «Voglio dire, nel bel mezzo di un punto d’impatto? Non dovrebbe essere tutto piatto?» Julian rimase per qualche istante in silenzio, poi spiego: «Provate a immaginare la superficie lunare come la vedete, ma senza Copernicus. Okay? Solo pace e quiete. Ma per poco. Perché, dalle profondita dello spazio, sta arrivando una roccia larga undici chilometri, che viaggia a una velocita di settanta chilometri al secondo, oltre duecento volte la velocita del suono, e non c’e nessuna atmosfera che puo rallentare la sua corsa, niente di niente. E ora immaginate questo oggetto che si schianta sulla pianura sotto di noi. L’impatto in sé dura pochi millesimi di secondo, il meteorite penetra nel suolo per un centinaio di metri... non molto, si direbbe, e in fondo un buco di undici chilometri si puo anche sopportare. Il fatto e che la cosa funziona in modo un po’ diverso. Il problema coi meteoriti e che, nel momento dell’impatto, trasformano in calore tutta la loro energia cinetica. In poche parole: quella roccia esplode. Non e tanto l’impatto stesso, quanto l’esplosione che forma depressioni piu grandi dell’oggetto che le ha generate. E intendo anche dieci, venti volte piu grandi. Milioni di tonnellate di roccia vengono scagliati in ogni direzione e, in un attimo, intorno al cratere, si forma un avvallamento. Ma tutto si e svolto in un tempo brevissimo, e l’enorme quantita di basalto lunare spostata dall’esplosione non puo depositarsi altrove in un batter d’occhio; quindi nel terreno si forma una specie di ammaccatura e il materiale viene compresso a una profondita di diversi chilometri. In piu, mentre gigantesche nubi di polvere si stanno ancora sollevando nel punto d’impatto, il materiale viene nuovamente scagliato verso l’esterno. L’energia cinetica del meteorite si e ormai quasi del tutto trasformata in calore e il meteorite fuso si protende
verso l’alto e si accumula al centro della depressione, sino a formare un massiccio montuoso. Nel contempo, le nubi di detriti rocciosi si propagano rapidamente all’intorno. Ancora una volta si fa sentire l’assenza di un’atmosfera che frenerebbe la loro corsa, limitandone il raggio di espansione. Invece i detriti vengono scaraventati verso l’esterno e a una grande altezza prima di ricadere al suolo, a una distanza di centinaia di chilometri, come miliardi e miliardi di proiettili. Questo materiale espulso e osservabile ancora oggi, per la sua forma a raggiera, soprattutto nelle notti di plenilunio, e presenta un’albedo differente rispetto al basalto circostante, di colore piu scuro. Sembra dotato di una luminosita propria. In realta, riflette soltanto una quantita maggiore di luce solare. Ecco: la formazione di Copernicus dovete immaginarvela piu o meno cos. A proposito, Victor Hugo ci vedeva un occhio che fissa l’osservatore». «Ah-ah», disse Olympiada, scoraggiata. Julian rise tra sé, gustando compiaciuto la quiete che segu le sue parole. Intorno a lui, le circonvoluzioni cerebrali dei passeggeri erano colpite da bombe cosmiche che trasformavano l’energia cinetica in interrogativi sulla soluzione migliore in caso di un impatto simile sulla Terra: se rifugiarsi in cantina o correre a bersi un ultimo bicchiere. «Mi viene da pensare che, in un caso del genere, la nostra atmosfera non servirebbe granché...» mormoro Rebecca Hsu. «Gia.» Julian arriccio le labbra. «La Terra viene continuamente colpita dai meteoriti: circa quaranta tonnellate al giorno. Di solito sono grandi come granelli di sabbia o sassolini che si disintegrano a contatto con l’atmosfera. Ogni tanto ci colpiscono frammenti delle dimensioni di un pugno, a volte anche qualcosa di piu grosso, che in genere finisce nella tundra o nel mare. Per esempio, nel 1908, sopra la Siberia, e esploso il frammento di una cometa di circa sessanta metri che ha devastato un’area grande come New York.» «Ricordo di averne sentito parlare», disse Rogacev in tono asciutto. «Abbiamo perso una foresta, un paio di pecore e un pastore.» «Avreste avuto perdite ben piu ingenti se fosse stata colpita Mosca. Comunque, tutto sommato, l’universo ha superato la fase peggiore della sua storia. Meteoriti come quelli che hanno dato vita a Copernicus sono ormai molto rari.» «Quanto rari?» chiese Heidrun con voce tesa. Julian finse di riflettere. «L’ultimo meteorite davvero degno di nota si e schiantato nella zona dell’odierno Yucatan sessantacinque milioni di anni fa. L’onda d’urto si e propagata per tutto il globo e, alla catastrofe, e seguito un inverno durato diversi anni, durante il quale si e estinto un numero considerevole di specie vegetali e animali, tra cui purtroppo anche quasi tutti i sauri. » «Questo pero non risponde alla mia domanda.»
«Vuoi davvero sapere quando cadra il prossimo?» «Sai... giusto per potermi organizzare.» «Allora, stando alle statistiche, ogni ventisei milioni di anni ha luogo una catastrofe globale. L’entita della catastrofe dipende dalle dimensioni dell’oggetto che colpisce la Terra. Un asteroide di settantacinque metri di diametro ha una forza esplosiva pari a mille bombe atomiche della stessa potenza di quelle cadute su Hiroshima. Tutto cio che supera i due chilometri e in grado di scatenare un ’inverno da impatto’ globale e impedire la sopravvivenza della specie umana.» «Quindi siamo in ritardo di quaranta milioni di anni rispetto alle previsioni», constato O’Keefe. «Quanto era grande il killer dei dinosauri?» «Dieci chilometri.» «Grazie, Julian. Meno male che ci hai portato via da laggiu.» «E cosa possiamo fare per impedirlo?» chiese Rebecca. «Ben poco. I Paesi impegnati in un programma spaziale hanno evitato per troppi anni di affrontare la questione; preferiscono farsi paura a vicenda con una dispendiosa falange di missili a media gittata, quando invece avremmo bisogno di un efficace sistema di difesa antimeteoriti. Allorché un meteorite entra in rotta di collisione col nostro pianeta, non conta se sei musulmano, ebreo, induista o cristiano, ateo o fondamentalista, e a chi stai facendo la guerra... nulla di tutto questo ha importanza. Bum! E non resta piu niente. Non abbiamo bisogno di armi per combatterci l’un l’altro, ma di un’arma che ci permetta di salvare l’umanita.» «Piu che giusto», commento Rogacev, rivolgendogli uno sguardo inespressivo. Poi si avvicino a Julian, lo prese per un braccio e lo trasse in disparte. «Ma lei non possiede gia da tempo un’arma del genere?» mormoro. «Non sta lavorando anche allo sviluppo di armi di difesa contro i meteoriti?» «Abbiamo creato un gruppo di lavoro», ammise Julian. «Sta sviluppando armi sull’OSS?» «Sistemi di difesa.» Rogacev sorrise. «Davvero tranquillizzante per tutti noi... E ovviamente sta lavorando al progetto da solo, come ha fatto per tutto il resto.» «Si tratta di un gruppo di ricerca, Oleg.» «Si dice che il Pentagono sia piuttosto interessato a questo gruppo di ricerca.» Julian ricambio il sorriso. «Si rilassi. Sono al corrente delle voci che girano. La Russia e la Cina ci accusano con una certa regolarita di costruire armi spaziali per gli americani. Sciocchezze. Le nostre ricerche sono volte unicamente a trovare soluzioni per la malaugurata eventualita che le statistiche si rivelino esatte. Se un oggetto del genere entra in rotta di colli-
sione con la Terra, voglio avere la possibilita di difendermi.» «Le armi possono essere utilizzate in molti modi, Julian. Lei ha assicurato all’America una posizione di supremazia nello spazio. Lei stesso aspira a ottenere il monopolio dell’approvvigionamento energetico mediante il controllo delle relative tecnologie. Ha un potere enorme, e vuole farmi credere che non sta perseguendo interessi personali?» «Dia un’occhiata fuori dal finestrino. Guardi quel gioiello azzurro », replico Julian con tranquillita. «Lo vedo.» «Cosa prova? Nostalgia?» Rogacev esito. «Concetti simili non mi sono familiari.» «Che ci creda o no, Oleg, alla fine di questo viaggio lei sara un altro uomo. Avra preso coscienza del fatto che il nostro pianeta e come una piccola, fragile pallina dell’albero di Natale, protetta solo da un sottilissimo strato di aria respirabile, ancora respirabile. Dimentichera i confini e le nazioni: vedra solo terra, acqua e qualche miliardo di persone che devono spartirsele, perché non ne hanno altre. Qualsiasi decisione che non sia orientata al benessere del pianeta, qualsiasi aggressione per accaparrarsene le risorse o per questioni religiose le dara la nausea. Forse si ritrovera in cima a un cratere a piangere, o forse si porra soltanto un paio di quesiti esistenziali... In un modo o nell’altro, lei cambiera. Vedere una volta la Terra dallo spazio, dalla Luna, e una strada senza ritorno. Non si puo fare a meno d’innamorarsene... Lei crede davvero che permetterei a chicchessia di fare un cattivo uso delle mie tecnologie?» «Io non credo che lei lo voglia permettere», rispose Rogacev, dopo averci riflettuto. «Mi chiedo piuttosto se avra la possibilita di scegliere.» «La avro, se riesco a farmi molti amici.» «Ma lei e un maestro nel farsi dei nemici. So che ha in mente una squadra formata da gentiluomini straordinari, una potenza mondiale formata da investitori indipendenti, ma in tal modo interferisce con gli interessi nazionali. Come pensa di conciliare le due cose? Lei vuole il mio denaro, quindi denaro russo, pero non vuole avere nulla a che fare con Mosca.» «Si tratta di denaro russo solo per il fatto che lei e russo?» «Di sicuro il mio governo preferirebbe che io investissi il mio capitale nel programma spaziale nazionale.» «Quand’e cos, le auguro buon divertimento. Mi faccia sapere quando riuscirete a costruire il vostro ascensore spaziale.» «Lei non crede che potremmo farcela, vero?» «Ma non ci crede nemmeno lei, suvvia. I brevetti sono nelle mie mani. Ciononostante devo riconoscere che, senza l’America, non sarei andato molto lontano. Da entrambe le parti
sono state investite somme astronomiche nel programma spaziale. Ma la Russia e al verde. Putin ha fondato il suo Stato mafioso sul petrolio e sul gas, due risorse che oggi non interessano piu a nessuno. Avete giocato d’azzardo e avete perso. Non dimentichi, Oleg, che l’Orley Enterprises e dieci volte piu grande della Rogamittal. Siamo la piu grande azienda tecnologica del mondo, eppure i miei investitori e io abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Inoltre temo che Mosca non le dara proprio nessun aiuto. Sponsorizzare l’agonizzante industria astronautica russa sarebbe un gesto molto patriottico, ma lei vedrebbe evaporare il denaro sotto i suoi occhi. Non resisterebbe nemmeno abbastanza a lungo da tenere il mio passo; il suo governo la spremerebbe fino all’ultimo centesimo senza raggiungere nessun risultato utile.» Rogacev non replico subito. Poi sorrise. «Mosca le lascerebbe parecchia liberta, molto piu di Washington. Ha mai pensato di cambiare fronte?» «Suppongo che lei dovesse farmi questa domanda.» «Mi hanno pregato di sondare la sua disponibilita.» «Primo: la Guerra Fredda e finita da un pezzo. Secondo: la Russia non puo permettersi la mia cooperazione esclusiva. Terzo: io non sto dalla parte di nessuno. Le ho risposto?» «Allora formuliamo la questione in modo diverso. In determinate circostanze, lei sarebbe disposto a vendere le sue tecnologie anche alla Russia?» «E lei sarebbe disposto a finanziare il mio progetto? Di certo non si trova qui perché ha paura di Mosca.» Rogacev si massaggio il mento. «Sa cosa le dico? Per il momento, cerchiamo di andare d’accordo e godiamoci la vacanza. » Sostanzialmente il Charon era una struttura tubolare suddivisa in tre segmenti, di sette metri di diametro e ventotto metri di lunghezza, al quale era agganciato il modulo di allunaggio. Un autobus volante che ospitava una cabina di comando, alcuni alloggi, un bistrot e un salone, e al quale i progettisti avevano negato la grazia dell’estetica aerodinamica, perché comunque non si sarebbe mai trovato nell’imbarazzante situazione di dover attraversare un’atmosfera. Nemmeno il design dei moduli Apollo e quello dell’Orion - il previsto successore dello space shuttle - avevano fatto la felicita dei cinefili piu esigenti, ma almeno potevano vantare un elegante nasino arrotondato che, durante l’entrata nella termosfera, diventava incandescente. Il Charon invece aveva lo stesso charme di un elettrodomestico. Una tonnellata di metallo bianco e grigio, a tratti liscio, a tratti scanalato, in parte riempito di carburante, in parte di astronauti, e decorato con la O dell’Orley Enterprises. «Prepararsi per la manovra di frenata», invito la voce di Black attraverso gli altoparlanti. Due giorni e mezzo in uno shuttle spaziale, per quanto spazioso e arredato con colori studiati da psicologi, evocavano inevitabilmente l’idea di una prigione. Quell’esperienza straordinaria perdeva il suo incanto a causa degli spazi angusti e della monotonia, che sfo-
ciava in lunghi dibattiti sullo stato del pianeta, in inattesi slanci di cameratismo o in antipatie dichiarate. Sushma e Mukesh Nair, col loro carisma e con la loro umilta, avevano raccolto intorno a sé gli spiriti civili, tra cui Eva Borelius, Karla Kramp, Marc Edwards e Mimi Parker. Il gruppo aveva chiacchierato in modo tranquillo, almeno fino al momento in cui Mimi Parker non aveva avviato una discussione sul darwinismo, sostenendo che l’intero sistema di Darwin forse non era altro che un vicolo cieco in cui le scienze naturali si erano cacciate per arroganza ateista, un vicolo dal quale era possibile uscire solo adottando una visione creazionista del mondo. La vita - aveva concluso - era troppo complessa per essere nata casualmente in qualche brodo primordiale; di certo, poi, non era nata quattro miliardi di anni prima. Quando Karla Kramp aveva replicato che, in tal caso, sarebbe stato necessario mettere in discussione la complessita di alcuni degli individui presenti, Mimi si era alterata, guadagnandosi pero l’appoggio di Aileen Donoghue, la quale, pur non volendo discutere sulla differenza di un paio di migliaia di anni in piu o in meno, respingeva con fermezza l’idea di una qualsiasi parentela tra le specie. Anzi - aveva aggiunto - era sicura che tutti gli esseri viventi fossero stati creati da Dio nello stesso istante. Al che, Karla aveva ribattuto che la discendenza di Mimi Parker dalle scimmie era piu che evidente. E aveva citato il secondo e il terzo capitolo della Genesi, in cui la creazione dell’uomo veniva descritta in modo contraddittorio, precisando poi che nell’Antico Testamento non c’era accordo su come si fosse svolta la creazione, sempre ammesso che una seria conoscenza naturalistica potesse basarsi su un libro storicamente inattendibile. Nel frattempo, si era creata una certa intesa tra Rebecca Hsu, Momoka Omura, Olympiada Rogaceva e Miranda Winter. Evelyn Chambers andava d’accordo con tutti, a parte forse Chuck Donoghue, il quale aveva confidato a Mimi di ritenere Evelyn una persona empia, cosa che la donna era corsa a riferire a Olympiada e ad Amber Orley, le quali a loro volta l’avevano riferito alla stessa Evelyn. Locatelli, guarito dal mal di spazio, aveva ripreso a fare la ruota come un pavone e ciarlava di barche a vela e yacht, di come aveva vinto la Coppa America, della sua passione per le corse automobilistiche, di bolidi a energia solare e della possibilita di estrarre anche da una zecca una quantita di energia sufficiente per contribuire al fabbisogno mondiale. «Ogni corpo, anche quello umano, e una centrale elettrica», aveva spiegato. «E le centrali elettriche producono calore. Voi tutti non siete altro che centrali elettriche, semplici boiler. Ve lo dico in tutta franchezza, gente. Se si potessero collegare tutti gli esseri umani della Terra per formare un’unica, gigantesca centrale elettrica, potremmo rinunciare a questa cavolata dell’elio-3. » «E l’anima dove la mettiamo?» si era indignata Mimi.
«Bah, l’anima!» Locatelli aveva spalancato le braccia, fluttuando lontano e picchiando la testa. «L’anima non e altro che un software, mia cara. Carne che pensa. Ma, se esistesse, giuro che sarei il primo a costruire una centrale per estrarre energia dalle anime. Ah-ah-ah!» «Locatelli ha raccontato cose avvincenti», aveva detto Heidrun a Walo, piu tardi. «Sai cosa sei?» «Cosa sono, mein Schatz?» «Una stufa. Percio vieni qui e scaldami.» Dopo un po’, Mimi Parker e Karla Kramp avevano fatto pace. Hanna si era messo a suonare la chitarra, unendo i presenti sotto il profilo musicale, e si era conquistato l’ammirazione di Locatelli, che scattava fotografie a raffica, mentre O’Keefe leggeva sceneggiature. Tutti si comportavano come se non fossero minimamente disturbati da quel mix di sudore, odori intimi, peti e unto di capelli che penetrava nelle narici con un’intensita che aumentava di ora in ora e contro il quale il pur sofisticato sintetizzatore di odori di bordo era impotente. I viaggi spaziali erano affascinanti, ma non era possibile aprire le finestre per arieggiare. Evelyn si era chiesta come funzionassero le missioni a lungo termine, con tutti quegli odori e l’irritabilita crescente. Molto tempo prima, un cosmonauta aveva detto che, per creare i presupposti per un omicidio, bastava rinchiudere due uomini in una cabina e lasciarli soli per un paio di mesi. Tuttavia, per missioni come quelle, probabilmente avrebbero scelto un altro tipo di persone. Di certo non degli individualisti, né tantomeno un’accozzaglia di ricchi e famosi un po’ fuori di testa. Per esempio Peter Black, il loro pilota, sembrava un uomo molto equilibrato, quasi privo di fantasia. Una persona abituata a lavorare in squadra, calmissima e nient’affatto incline alle stravaganze. «Avviare la manovra di frenata.» Da duecentoventi chilometri di distanza, la Luna era ancora visibile per meta e rivelava dettagli spettacolari. A causa delle sue ridotte dimensioni, aveva un aspetto cos tondeggiante da dare l’impressione che non avrebbe offerto nessun appiglio durante l’allunaggio, facendo scivolare la navicella spaziale lungo il bordo. Nina Hedegaard li raggiunse fluttuando e li aiuto a indossare le tute pressurizzate, complete di sacchetti per l’urina. «Questi vi serviranno piu tardi, quando toccheremo il suolo lunare», spiego con un sorriso enigmatico. «E chi dice che dovremo per forza far pip?» protesto Momoka Omura con arroganza. «La fisica.» Le fossette di Nina diventarono piu profonde. «La vostra vescica potrebbe sfruttare l’occasione della presenza di una forza di gravita per svuotarsi senza preavviso. Volete forse bagnare le vostre tute pressurizzate?»
Momoka guardo verso il basso come se quel momento fosse gia arrivato. «In qualche modo, tutta questa impresa manca di eleganza», brontolo, e indosso tutto quello che c’era da indossare. Nina condusse i passeggeri attraverso un tunnel di collegamento per raggiungere il modulo di allunaggio, anch’esso progettato come una botte conica con quattro robusti piedi telescopici. Rispetto al modulo abitativo, offriva una liberta di movimento paragonabile a quella di una scatola di sardine. Con un’espressione che ricordava quella di una volpe imbalsamata, la maggior parte di loro si sottopose pazientemente alla procedura di allacciamento delle cinture di sicurezza. In fondo, solo due giorni e mezzo prima erano stati seduti l’uno accanto all’altro, allacciati in modo simile, in attesa che lo shuttle si catapultasse nello spazio dal porto di attracco dell’OSS con una potente emissione di gas infuocati. Contro ogni aspettativa, la navicella si era sganciata dolcemente, come se volesse svignarsela senza dare troppo nell’occhio. Solo a una certa distanza dalla stazione spaziale, Black aveva acceso gli ugelli, accelerato fino alla velocita massima, spento i propulsori... e si erano ritrovati a sfrecciare nello spazio nel silenzio piu assoluto, diretti verso la loro meta butterata. Ora la quiete era finita ed era un sollievo per tutti. Erano felici di essere arrivati. Di nuovo una forza invisibile li schiaccio contro i sedili, finché Black, a settanta chilometri dal suolo lunare, non freno la navicella a cinquemilaseicento chilometri orari, viro di centottanta gradi e la stabilizzo nell’orbita. Sotto di loro sfilavano crateri, formazioni montuose e grigie pianure polverose. Come durante il viaggio con l’ascensore spaziale, le telecamere trasmettevano tutte le immagini di quel paesaggio su monitor olografici. Percorsero un giro d’onore di due ore intorno al satellite, mentre Nina Hedegaard illustrava le particolarita e le attrattive di quel mondo alieno. «Come vi hanno gia spiegato durante il corso di addestramento, un giorno lunare ha una durata leggermente maggiore di quella del giorno terrestre», disse. «Quattordici giorni terrestri, diciotto ore, ventidue minuti e due secondi, per essere precisi, esattamente la stessa durata della notte lunare. Il confine che separa la zona in ombra da quella illuminata si chiama ’terminatore’. Tale linea si sposta con estrema lentezza, il che significa che non dovete temere di essere sorpresi dall’oscurita durante una passeggiata. Ma, quando viene buio, e buio pesto. Il confine e netto, luce od oscurita, non esiste la penombra. Nell’abbagliante luce di mezzogiorno, anche i siti piu interessanti perdono il loro fascino, pertanto li visiteremo durante il mattino lunare o la sera lunare, quando le ombre sono lunghe.» Sotto di loro, scorsero un altro imponente cratere, seguito da un bizzarro paesaggio costellato di crepacci. «Gli Appennini lunari», chiar Nina. «Tutta la zona e solcata dalle rimae, strutture simili a fenditure. I primi astronomi le hanno interpretate come reti di comunicazione degli abitanti
della Luna, i seleniti. Un paesaggio fantastico. Quell’ampia valle tortuosa e la Rima Hadley che attraversa la Palus Putredinis, la ’Palude della Putrefazione’, un nome curioso, dal momento che non c’e nessuna palude né nulla che possa putrefarsi. Ma e cos ovunque, sulla Luna: mari che non sono mari e cos via. Vedete quelle due montagne ai lati della rima? Sono il Mons Hadley e, poco piu in basso, il Mons Hadley Delta. Entrambi sono spesso visibili nelle fotografie e di frequente sono immortalati col rover lunare in primo piano. Il sito di allunaggio dell’Apollo 15 non e molto lontano. La carcassa del modulo di allunaggio si trova ancora l, insieme con tutto quello che gli astronauti hanno abbandonato. » «Che cosa hanno abbandonato?» chiese Nair, curioso. «Merda», borbotto Locatelli. «Perché e cos disfattista?» «Non lo sono affatto. Hanno lasciato l la loro merda. Lo sanno tutti. Lasciare qualsiasi altra cosa sarebbe stato stupido, no? Mi creda, ovunque ci sia un modulo lunare abbandonato c’e anche merda di astronauti nelle vicinanze.» Nair annu. Persino quel dettaglio sembrava affascinarlo. La navicella sorvolo altri crepacci, montagne e crateri e infine la riva del Mare della Tranquillita. Nina indico un piccolo cratere che aveva preso il nome dal generale prussiano Helmuth von Moltke. Il cratere Moltke era noto per l’esteso sistema di caverne, create dallo scorrere della lava in epoche primordiali. «Sono state scoperte formazioni simili in corrispondenza delle pareti e dei rilievi del cratere Peary al Polo Nord, dov’e stata costruita la stazione lunare americana. Il cratere Moltke lo visiteremo durante il crepuscolo lunare, quando il terminatore si trovera proprio al centro del cratere. Uno spettacolo unico. E poi, ovviamente, c’e anche il museo, un po’ desolato dal punto di vista paesaggistico, ma imperdibile, perché...» «Mi faccia indovinare: l’Apollo 11», esclamo Ögi. «Esatto», esclamo raggiante Nina. «Va sottolineato che le missioni del programma Apollo dovevano per forza svolgersi nelle zone in corrispondenza della sottile cintura equatoriale. Non c’era possibilita di scegliere punti di allunaggio spettacolari: era gia un successo riuscire a mettere piede sulla Luna. Naturalmente oggi il museo ha soprattutto un valore simbolico. Ormai le testimonianze delle visite precedenti si trovano un po’ ovunque, in zone di gran lunga piu interessanti, ma le impronte lasciate da Armstrong... quelle esistono solo la.» Il volo prosegu sotto il Mare Crisium, il piu scuro dei mari lunari, dove, come spiego Nina, si avvertiva la maggiore forza di gravita mai misurata sulla Luna. Per un certo tempo, non videro che paesaggi selvaggiamente frastagliati e ombre che diventavano sempre piu lunghe, si gettavano in spaventose valli e pianure, formavano estese pozze e riempivano le parti interne dei crateri finché la luce solare non illumino solo i bordi piu alti. Evelyn rabbrivid al pensiero di dover vagare in quelle tenebre prive di contorni. Poi anche le ultime isole di luce
scomparvero e un’enigmatica oscurita occupo i monitor, riemp le arterie, s’impossesso delle circonvoluzioni cerebrali e dissolse la loro pace interiore. «The Dark Side of the Moon», sospiro Walo Ögi. «Qualcuno se lo ricorda? Pink Floyd... Un album fantastico.» Lynn durante tutto il viaggio si era sentita piuttosto bene, ma adesso era affacciata sull’abisso che si era aperto dentro di lei. Ancora una volta, le parve che qualcosa stesse risucchiando tutta la sua gioia di vivere. Dalla faccia nascosta della Luna non si vedeva la Terra, e purtroppo nemmeno il Sole. Se esiste un inferno, non sara bollente e infuocato, bens freddo e nero come il nulla, penso. Non c’era bisogno di diavoli e di demoni, di tavoli da tortura, di roghi e di pentoloni roventi. L’assenza di fiducia, sia nel mondo interiore sia in quello esteriore, la fine di ogni percezione: ecco cos’era l’inferno. Uno stato simile alla cecita. La morte di ogni speranza, il trionfo della paura. Respira profondamente, percepisci il tuo corpo. Aveva bisogno di muoversi, doveva uscire da l e correre, perché in tal modo avrebbe potuto riaccendere il fuoco della stella spenta che aveva dentro di sé. Invece era inchiodata al suo sedile, legata con le cinture di sicurezza, mentre il Charon sfrecciava nel buio assoluto. Di cosa stava parlando Ögi? Di The Dark Side of the Moon. Chi era Pink Floyd? Perché Nina Hedegaard non smetteva di raccontare quelle stupide storielle? Non c’era nessuno che poteva tappare la bocca a quell’oca, torcerle il collo e strapparle la lingua? «La faccia nascosta della Luna non e necessariamente nera», sussurro. «È solo che la Luna rivolge alla Terra sempre la stessa faccia.» Tim, che le era seduto accanto, si giro verso di lei. «Hai detto qualcosa?» «Rivolge alla Terra sempre la stessa faccia. La faccia nascosta non si vede, ma viene tanto illuminata quanto la faccia visibile.» Butto fuori le parole, in affanno. «La faccia nascosta non e nera. Non necessariamente. È solo che la Luna rivolge alla Terra sempre la...» «Hai paura, Lynn?» La preoccupazione di Tim. Un salvagente lanciato in suo aiuto. «Ma figurati.» Inspiro. «Ho gia fatto tre volte questo viaggio. Non bisogna avere paura. Tra poco torniamo nella luce.» «... assicurarvi che non vi state perdendo nulla di sensazionale », stava dicendo Nina. «La faccia visibile e di gran lunga piu interessante. Curiosamente, sulla faccia nascosta, ci sono pochissimi maria. Ci sono crateri ovunque, pero: e un paesaggio piuttosto monotono, anche se e il posto ideale per costruire un telescopio spaziale.» «Perché proprio l?» chiese Hanna. «Perché la Terra rappresenta per la Luna quello che la Luna rappresenta per la Terra: un lampione che illumina periodicamente la sua superficie. Persino alla mezzanotte lunare il
suolo del satellite e rischiarato dalla pallida luce riflessa dalla Terra. La faccia nascosta, invece, come potete vedere, di notte e nera come lo spazio circostante. Non c’e nessuna fonte di luce solare o terrestre che impedisca di ammirare le stelle. Gli astronomi sarebbero entusiasti d’installare qui una postazione, ma per il momento devono ancora accontentarsi del telescopio al Polo Nord. Che e pur sempre un compromesso: il sole e basso ed e impossibile osservare il firmamento dall’altro lato.» Lynn prese la mano di Tim e la strinse. Pensieri di omicidio e distruzione le offuscavano la mente. «Non so come ti senti tu», mormoro lui. «Ma su di me tutta questa oscurita ha un effetto piuttosto snervante.» Oh, saggio Tim. È bello avere un alleato. «È cos anche per me», replico Lynn con gratitudine. «Suppongo che sia normale, giusto?» «Manca poco.» «E quando torniamo nella parte illuminata?» chiese Miranda nello stesso istante. «Tra poco meno di un’ora ci saremo», sibilo Nina Hedegaard. Ci ssssaremo, aveva detto, con la sua pronuncia affettata. Com’e ridicola! È solo lo stupido passatempo di Julian! Aggrappandosi alla mano di Tim, Lynn inizio a rilassarsi, e d’un tratto le venne in mente che, in realta, Nina le piaceva. Perché allora aveva reagito in modo cos aggressivo alle sue parole? Cosa mi sta succedendo? Cosa diavolo mi sta succedendo? Dato che, per il momento, la superficie lunare non aveva nulla da offrire, le telecamere esterne trasmettevano all’interno del Charon immagini del cielo stellato, e O’Keefe avvert un’inaspettata sensazione di familiarita. Quando si trovava sull’OSS, avrebbe voluto tornare subito sulla Terra. Ora invece provava una vaga nostalgia. Forse perché ammirare quella miriade di luci non era poi molto diverso dall’osservare da lontano case e strade illuminate, o perché quell’animale acquatico che era l’essere umano in realta era un figlio del cosmo, costituito dai suoi stessi elementi. La contraddittorieta delle sue emozioni lo irritava, come un bambino che vuole sempre andare in braccio a chi in quel momento non lo sta coccolando. Tento d’interrompere il flusso dei pensieri, ma alla fine non fece che pensare e pensare ininterrottamente per un’ora, chiedendosi cosa volesse davvero e quale fosse il suo posto nel mondo. Cerco Heidrun con lo sguardo. Seduta due file davanti a lui, stava ascoltando con attenzione il marito che le raccontava qualcosa sottovoce. O’Keefe arriccio il naso e fisso il monitor. L’immagine cambio. Inizialmente non cap cosa fossero quelle macchie chiare, poi com-
prese che si trattava di vette illuminate dal sole che emergevano dall’ombra. Un sospiro di sollievo attraverso il Charon. Stavano rientrando nella luce, diretti verso il Polo Nord. «Ora sganceremo il modulo di allunaggio», disse Black. «La nave madre restera in orbita fino al nostro ritorno, tra una settimana. Nina vi aiutera a indossare il casco. Forse non ve ne siete resi conto, ma stiamo ancora volando a una velocita cinque volte superiore a quella del suono, quindi preparatevi alla prossima brusca frenata.» «Ehi, Momoka...» sussurro O’Keefe. La donna giro pigramente la testa verso di lui. «Cosa c’e?» «Tutto a posto?» «Certo.» O’Keefe sogghigno. «Allora cerca di non fartela addosso.» Locatelli scoppio a ridere. Prima che Momoka avesse il tempo di reagire, apparve Nina Hedegaard, che le ficco il casco in testa. Pochi minuti dopo, sedevano tutti in fila, con un’identica testa sferica. Un sibilo annuncio la chiusura del boccaporto che collegava la nave madre all’unita di allunaggio, poi si ud un rumore cupo. Il modulo di allunaggio si stacco e si allontano lentamente. Dell’annunciata brusca frenata non si avvertiva ancora nulla. Il paesaggio cambio di nuovo. Le ombre si allungarono, segno che si stavano avvicinando alla regione polare. Pianure di lava si alternavano a crateri e a dorsali montuose. A O’Keefe sembro di scorgere in lontananza una nube di polvere che si stendeva sul paesaggio... poi ritorno l’ormai familiare pressione che maltrattava torace e polmoni, con l’unica differenza che stavolta il rombo dei propulsori era sensibilmente piu rumoroso rispetto a due ore prima. O’Keefe si preoccupo, temendo che ci fosse qualche problema, poi comprese che fino a quel momento si erano sempre accesi i propulsori del modulo abitativo, situati in fondo alla navicella spaziale. Per la prima volta, il modulo di allunaggio eseguiva una manovra servendosi dei propri propulsori, installati proprio sotto di loro. Black ci sta accendendo il fuoco sotto il culo, penso. Con una controspinta infernale, il modulo di allunaggio ridusse ancora la velocita mentre si avvicinava velocemente - troppo velocemente - al suolo lunare. Sul monitor scorreva il conto alla rovescia dei chilometri mancanti. Cosa stava succedendo? Se non avessero rallentato in fretta, avrebbero rischiato di generare un nuovo cratere. Penso alla spiegazione di Julian sulla conversione dell’energia cinetica in calore, sent restringersi la cassa toracica, provo a concentrarsi sul monitor. Era possibile che gli stessero tremando i bulbi oculari? Cosa avevano raccontato durante i corsi di addestramento? Una persona che non era in grado di controllare gli occhi non era adatta a fare l’astronauta, poiché il tremore delle pupille produceva visioni sfocate e immagini doppie. Gli occhi dovevano restare fissi sugli strumenti di bordo. Su quelli giusti, ovviamente. Era di vitale importanza. Come si poteva premere il puls-
ante giusto se lo si vedeva doppio? Stavano tremando anche i bulbi oculari di Black? Un attimo dopo, O’Keefe si arrabbio con se stesso. Che idiota sono. Nella centrifuga del campo da addestramento, alla partenza dell’ascensore spaziale, durante la manovra di frenata nell’orbita lunare, il suo corpo era stato sottoposto a sollecitazioni ben peggiori. Al confronto, l’allunaggio era una passeggiata. Avrebbe dovuto essere la tranquillita in persona, ma il nervosismo lo incatenava con maglie elettriche. Fu costretto ad ammettere che l’affanno non era dovuto alla pressione, ma soltanto alla paura di sfracellarsi sulla Luna. Ancora cinque chilometri... quattro... Il secondo monitor lo informo che stavano gradualmente rallentando e lui tiro il fiato. Tutta quell’ansia per niente. Mancavano tre chilometri all’arrivo. Nell’immagine sul monitor, adesso erano apparsi una dorsale montuosa, un altopiano e luci che dividevano in settori un’area di atterraggio circondata da barriere di protezione. Poi si videro tubi e cupole ammassati contro la roccia, come crostacei appostati per tendere un agguato alle loro prede ignare; pannelli solari, tralicci e antenne che luccicavano alla luce di un sole basso e una costruzione a forma di botte che si ergeva su una collinetta vicina. Ancora piu lontano erano riconoscibili strutture aperte simili a hangar e macchine gigantesche che si facevano strada in una sorta di cava a cielo aperto. Un sistema di rotaie collegava le infrastrutture con lo spazioporto e arrivava in una piattaforma dalla quale poi si diramava, per perdersi in lontananza in un’ampia curva. O’Keefe vide scale, piattaforme di sollevamento e manipolatori che facevano pensare a una stazione di carico, e qualcosa di bianco che si muoveva lungo una strada, diretto verso un ponte: un veicolo con ruote alte e grandi, pilotato forse da un robot. Il Charon tremo e si avvicino al suolo. Per un attimo, fu visibile uno skyline di torri imponenti: fra di esse, c’erano alcuni massicci aeromobili, serbatoi, container e qualcosa di misterioso. Una cosa simile a una mantide religiosa su ruote trotterellava per il porto spaziale, che aveva le dimensioni di almeno tre campi da calcio. Poi l’ambiente circostante e le costruzioni sparirono dietro le recinzioni. La navicella si poso con dolcezza, molleggio con eleganza, oscillo un poco e si fermo. O’Keefe si sent attrarre delicatamente da qualcosa. All’inizio, non riusc a spiegarselo, poi, sbalordito, si rese conto che la spiegazione era semplicissima. La forza di gravita. Per la prima volta dopo aver lasciato l’Isla de las Estrellas, ed escludendo le manovre di accelerazione e di frenata, non era piu privo di gravita. Aveva riacquistato un peso corporeo e, benché fosse soltanto un sesto del suo peso terrestre, era comunque meraviglioso pesare qualcosa, una liberazione dopo tutti quei giorni trascorsi a fluttuare in ogni direzione. Hasta la vista, penso Miranda. Fine delle acrobazie. Basta capriole, basta gomitate. Un rumore quasi impercettibile si stava lentamente dissolvendo all’interno dei suoi condotti uditivi, una sorta di eco sinaptica, visto che i propulsori erano gia spenti da tempo. Ma l’orecchio
non riusciva ancora a crederci. «Ladies and gentlemen», disse Black con un certo pathos. «Congratulazioni. Ce l’avete fatta. Ora Nina e io vi aiuteremo a indossare i vostri sistemi di sopravvivenza, a regolare l’ossigeno, la pressione, la climatizzazione e ad attivare le ricetrasmittenti. In seguito, effettueremo una serie di test per verificare la tenuta delle tute, gli stessi che avete avuto modo di eseguire durante l’attivita extraveicolare sull’OSS. Se non avete partecipato, comunque, niente panico. Veglieremo su ogni vostro passo. A controlli ultimati, aspirero l’aria dalla cabina e stabiliremo l’ordine di uscita. Non prendetela come una mancanza di educazione se esco per primo: lo faccio per immortalare il vostro eroismo. Vi filmero mentre uscite dal Charon. Inoltre conserveremo le vostre comunicazioni radio per i posteri. Tutto chiaro? Benvenuti sulla Luna!» Sulla Luna. Erano sulla Luna. Erano davvero atterrati su quella dannata grossa palla. Quel sesto di gravita presente sul satellite attiro O’Keefe a sé con la delicatezza di un’amante: gli arti, la testa, gli organi interni, gli umori corporei - ah, gia, gli umori - e tirava, tirava, tirava fuori qualcosa da lui e quel qualcosa fu fuori prima che lui riuscisse a stringere le natiche. Calda e gaia, scivolo nell’apposito sacchetto una fontana di gioia, un brindisi alla forza di gravita, un omaggio degli ospiti a quella dama grigia e butterata che avrebbero avuto l’onore di conoscere per un’intera settimana. O’Keefe getto un’occhiata furtiva a Momoka Omura, come se esistesse la possibilita che lei si girasse, lo guardasse negli occhi e capisse. Che sapesse. Poi scrollo le spalle. Quanti se l’erano gia fatta addosso fuori dalla Terra? C’era di peggio. BASE PEARY, POLO NORD, LUNA Lasciare le proprie impronte e un privilegio dei pionieri, ma le sue conseguenze tornano comode anche ai meno temerari tra gli esseri umani, giacché mettono questi ultimi in grado di comprendere i fenomeni naturali, gli appetiti e i meccanismi di difesa della flora e della fauna locali e la scarsa socievolezza degli indigeni. Tali conoscenze si devono alla febbrile - e potenzialmente suicida - curiosita degli esploratori, che non sanno e non vogliono far altro che trascorrere la propria vita a cavallo di quel labile confine tra l’eroismo e la morte. Gli antropologi ne sono certi: fin dal tempo lontanissimo in cui la Terra era dominata dall’Homo erectus, l’umanita ha mostrato la tendenza a suddividersi in due gruppi: da un lato il plotone dei conservatori, che tendono a gestire le cose; dall’altro la pattuglia degli esploratori, che sono incapaci di starsene tranquilli. Gli esploratori possiedono un gene particolare, noto come novelty seeking gene oppure «gene D4DR», responsabile della particolare predisposizione di questi soggetti a oltrepassare i limiti e a correre rischi. Questi temerari, per natura, sono poco adatti a coltivare i territori conquistati. Preferiscono andare alla scoperta di lande inesplorate, farsi
mordere da animali mai visti e, cos facendo, creano i presupposti affinché la parte conservatrice della popolazione possa progredire. Sono eterni scout, per i quali l’impronta del piede su una terra incognita significa tutto. Viceversa, e tipico della natura dei conservatori assoggettare al diktat dello spianamento terreni argillosi e paludosi, sabbia, ghiaia, limo e tutto cio che si puo trovare in un luogo incontaminato. Ecco perché, quando Evelyn Chambers, pervasa da un timore reverenziale, avanzo lungo la passerella del Charon e mise piede per la prima volta sul suolo lunare, non poté lasciare nessuna impronta, ritrovandosi a calpestare solido cemento. E per un attimo rimase delusa. Anche gli altri si guardarono i piedi, come se poggiarli sul suolo lunare significasse automaticamente lasciare un timbro sulla regolite. «Avrete modo di lasciare le vostre impronte nei prossimi giorni», disse la voce di Julian nei caschi di tutti. Alcuni risero. Quell’istante di delusione lascio subito il posto all’incredulita. Evelyn mosse un passo esitante, poi un altro, saltello... e la semplice forza della muscolatura dei suoi polpacci la sollevo a un metro di altezza. Straordinario. Assolutamente straordinario, penso. Dopo oltre cinque giorni in assenza di gravita, percepiva il familiare fardello del suo corpo... e nel contempo non lo percepiva. Si sentiva come un’eroina dei fumetti dotata di superpoteri. Intorno a lei, tutti si misero a saltellare, mentre Black si muoveva con la telecamera per immortalare quel momento. «Dov’e la bandiera a stelle e strisce? La voglio piantare nel terreno», rimbombo la voce di Donoghue. «È in ritardo di cinquantasei anni», rise Ögi. «La bandiera svizzera invece...» «Imperialisti», sospiro Heidrun. «Impossibile», disse Julian. «A meno che non usiate la dinamite. » «Ehi, guardate qui», esclamo Rebecca Hsu. La sua figura tondeggiante schizzo oltre le teste degli altri, vogando con le braccia come se fossero pale di un mulino a vento. Sempre ammesso che quella fosse Rebecca. Le visiere a specchio non consentivano di distinguere i volti: solo la targhetta sul petto svelava l’identita della persona nascosta all’interno della tuta. «Dai, provate!» ridacchio Julian. Evelyn prese la rincorsa, esegu una serie di salti sgraziati, schizzo di nuovo verso l’alto e, in un eccesso di esuberanza, prese a volteggiare finché non perse l’equilibrio e ricadde dolcemente al suolo. Quando atterro sul fondoschiena, non poté trattenere una risatina. Poi rimase seduta per godersi lo spettacolo surreale che aveva davanti a sé. D’un tratto, pero, si ritrovo in piedi.
«Bene, molto bene», si complimento Julian. «I ballerini del Bol’soj sono principianti, al confronto. Tuttavia per ora dobbiamo interrompere le esercitazioni. Proseguiamo verso l’hotel. Vi prego di prestare attenzione a quanto hanno da dirvi Nina e Peter. » Era come se avesse trasmesso il suo messaggio su una frequenza sbagliata. Come ragazzini ostinati e disobbedienti, i viaggiatori si fecero pregare, poi si radunarono alla spicciolata intorno alle loro guide. Alla fine, pero, il gruppo di bambini chiassosi si trasformo in una specie di confraternita segreta, alla ricerca del Graal davanti a un panorama di castelli sospesi in aria. Evelyn si guardo intorno. Della base non c’era traccia. Solo la piattaforma della stazione si ergeva, imponente, all’interno dell’area di atterraggio: era costruita su pilastri di quindici metri di altezza, stava spiegando Nina Hedegaard. Scale metalliche e un ascensore aperto conducevano ai binari; serbatoi sferici erano addensati tutt’intorno. Due manipolatori - simili ad animali alati preistorici - erano ripiegati sul bordo della piattaforma, rivolti verso macchine che sembravano enormi aragoste con bracci snodabili e ampie superfici di carico. Evelyn ipotizzo che il loro compito consistesse nel prelevare o consegnare il carico ai manipolatori, a seconda della destinazione delle merci. Tento di calmare la respirazione. La mancanza di spazio nel modulo di allunaggio alla fine era diventata insopportabile e, in piu, la notte precedente aveva avuto degli incubi. Forze oscure squarciavano il Charon con un gigantesco apriscatole, esponendo i suoi occupanti al vuoto. Alla fine, pero, il vuoto si era rivelato popolato da una moltitudine di creature antropomorfe che sbirciavano all’interno dello shuttle, e lei era nuda come un verme. Il tallone di Miranda Winter si stampo sul suo fianco, facendole vedere le stelle. Ne aveva davvero abbastanza. Poi si rese conto con stupore delle reali dimensioni della navicella spaziale su cui aveva viaggiato e che ora si stagliava sulla pista di atterraggio. Era un’imponente torre su robusti piedi telescopici, quasi un piccolo grattacielo. La pista ospitava anche altre navicelle spaziali, alcune coi portelli aperti e vuote all’interno, evidentemente destinate al trasporto merci. Alcune macchine piu piccole si muovevano su zampe da ragno e fissavano lo spazio con occhi vitrei. Evelyn non poté fare a meno di pensare a uno spray insetticida. «Non prendetela male se gli abitanti della base non vengono a stringervi la mano», disse Black. «Qui si esce solo se e necessario. Diversamente da voi, loro trascorrono sei mesi sulla Luna. Una settimana di radiazioni cosmiche non puo farvi nessun male, a meno che non finiate in una tempesta solare senza protezione. Le permanenze a lungo termine invece sono un’altra cosa. Dato che visiteremo la base solo il giorno della nostra partenza, per oggi non sono previsti comitati di accoglienza.» Come se fosse stato azionato da una mano fantasma, un robot-aragosta si mise in moto, si avvicino al Charon e inizio a scaricare grandi container bianchi dal vano di carico.
«I vostri bagagli sono esposti al vuoto per la prima volta», spiego Nina. «Ma non preoccupatevi: i container sono pressurizzati. In caso contrario, la vostra crema da notte si trasformerebbe in un mostro pronto ad aggredire i vostri abiti. Bene, seguitemi. » Era come camminare sott’acqua, solo che mancava la pressione tipica del mondo subacqueo. Evelyn comprese con eccitazione che non pesava piu sessantasei chili, ma solo undici, e che cio aumentava di sei volte la sua forza muscolare. Leggera come una bambina di tre anni, forte come un supereroe, trasportata da un’ondata di gioia infantile, segu Black verso l’ascensore e salto nella gabbia spaziosa. Poi, mentre oltrepassavano la barriera di protezione per raggiungere la piattaforma, vide riemergere le infrastrutture della base. Sulla piattaforma si snodavano diversi binari e, su uno di essi, era in attesa un treno vuoto e illuminato, non molto diverso da un treno a propulsione magnetica terrestre, solo di forma un po’ meno aerodinamica, il che lo faceva apparire curiosamente fuori moda. In fondo, che motivo c’era di renderlo piu aerodinamico? Sulla Luna non esisteva il vento. Mancava anche l’atmosfera. Evelyn guardo in lontananza. Fu investita da una raffica d’impressioni. Dall’alto si potevano cogliere ampi tratti dell’ambiente circostante. Un altopiano. Colline e creste, ombre lunghe e affilate. Crateri e bacini colmi d’inchiostro nero. Un sole basso, di un candore abbagliante, dissolveva i contorni dell’orizzonte. Il paesaggio si stagliava sullo sfondo del cielo stellato come una scenografia teatrale. Non c’era foschia, non c’era atmosfera a disperdere la luce: tutto sembrava a portata di mano anche se in realta era distante. Al di la della pista di atterraggio, i binari della ferrovia magnetica s’inoltravano in una valle nera. Grazie all’altezza dei piloni, per un breve tratto emergevano dall’oscurita, ma poco piu in la il buio li inghiottiva del tutto. «Ci troviamo a meno di quindici chilometri dal Polo Nord geografico della Luna», spiego Black. «E precisamente su un altopiano lungo il bordo nordoccidentale del cratere Peary, esattamente nel punto in cui questo confina col cratere Hermite. Quest’area e soprannominata ’I monti della luce eterna’. Qualcuno sa perché?» «Spiegalo tu, Peter», disse Julian con gentilezza. «All’inizio degli anni ’90, si e scoperto che, nelle regioni polari, alcuni bordi dei crateri e alcune vette sono perennemente illuminati dal sole. Forse sapete che il maggiore impedimento alla creazione di una base lunare abitata e sempre stato l’approvvigionamento di energia. C’erano i reattori nucleari, ovvio, ma questa soluzione aveva sempre suscitato infuocate proteste; si temeva infatti che una navicella spaziale con un simile reattore a bordo potesse precipitare sulla Terra, con conseguenze terribili. Cos, dato che, durante la fase di progettazione della stazione, l’elio-3 rappresentava ancora solo un’opzione vaga, ci si e concentrati sull’energia solare. I pannelli solari rappresentano una soluzione splendida, ma purtroppo sono completamente inutili di notte. Certo, per alcune ore e possibile sopperire con le batter-
ie, ma la notte lunare dura quattordici giorni. Ed ecco che entrano in gioco i poli. L la luminosita e inferiore rispetto all’equatore, per via dell’inclinazione estrema con cui i raggi solari colpiscono la superficie; in compenso, pero, la luce solare e sempre disponibile. Se osservate con attenzione quei rilievi, noterete interi campi di pannelli che regolano costantemente la propria posizione in funzione dell’altezza del sole.» Fece una pausa per dar loro il tempo di perlustrare le colline alla ricerca dei pannelli. «Ciononostante i poli non rappresentano un sito ideale per la costruzione di una base», riprese. «Anzitutto a causa dell’estrema inclinazione dei raggi solari, che ho gia menzionato. Inoltre molti avrebbero preferito installare il telescopio lunare sulla faccia nascosta del satellite. E poi c’e l’elio-3: la possibilita di sfruttarlo si era concretizzata poco prima che iniziassero i lavori, quindi per alcuni sarebbe stato meglio buttare all’aria i progetti e costruire la base la dove sarebbe stato piu sensato costruirla, alimentata ventiquattr’ore su ventiquattro da un reattore a fusione. In effetti, e paradossale che l’elio-3 non possa trovare impiego sulla Luna... In ogni caso, i lavori sono proseguiti secondo i progetti originari. Infatti i poli presentano anche un altro vantaggio, cioe la temperatura. Considerando le variazioni tipiche della temperatura lunare, bisogna dire che, ai poli, essa e decisamente moderata, dai 40 °C ai 60 °C al sole, mentre all’equatore, a mezzogiorno, supera di gran lunga i 100 °C. Di notte, invece, il termometro scende a -180 °C. Nessun materiale da costruzione potrebbe sopportare a lungo simili escursioni termiche: si espanderebbe e si restringerebbe oltre ogni limite fino a diventare fragile e friabile. Ah, e poi c’e un’altra considerazione a favore dei poli. La dove il sole resta basso sopra l’orizzonte, devono esserci zone che non vengono mai illuminate dai suoi raggi. Zone in cui forse c’e la possibilita di trovare qualcosa che, in teoria, qui non potrebbe esistere: l’acqua.» «Perché qui non puo esistere? Neanche un piccolo fiume o un laghetto?» chiese Miranda. «Perché al sole evaporerebbe subito, disperdendosi nello spazio. La forza gravitazionale della Luna non e sufficiente per trattenere i gas volatili, e questo e uno dei motivi per cui il satellite e privo di atmosfera. Solo dove regna l’oscurita perpetua si puo ipotizzare la presenza di acqua ghiacciata, legata a livello molecolare alla polvere lunare di origine meteoritica. La presenza di tali voragini perennemente in ombra e stata subito verificata: per esempio i buchi nei punti d’impatto sul fondo del vicino cratere Peary. E di fatto le misurazioni sembravano confermare la presenza di acqua, cosa che avrebbe enormemente facilitato la costruzione di un’infrastruttura complessa. L’alternativa era farla arrivare dalla Terra, ma si trattava di una vera follia, soprattutto economica, ma non solo.» «E avete trovato l’acqua?» chiese Rogacev. «Finora no. Una notevole quantita d’idrogeno s, ma niente acqua. Comunque la base e stata costruita qui perché il trasporto dalla Terra si e rivelato piu semplice ed economico del previsto, grazie all’ascensore spaziale. Ora l’acqua viene portata sul-l’OSS all’interno di ser-
batoi e, a partire da quel punto, la massa non ha piu molta importanza. Ovviamente si continuano a cercare tracce di H2O. Inoltre...» - Black indico una lontana struttura a forma di botte - «... sono iniziati i lavori di costruzione di un piccolo reattore per l’elio-3, come scorta per il fabbisogno energetico della base in continua crescita.» «Be’, in tutta franchezza immaginavo la base lunare un po’ piu imponente», brontolo Momoka Omura. «Io la trovo molto imponente», disse Hanna. «Anch’io», esclamo Miranda. «D’accordissimo», confermo Nair che, ridendo, aggiunse: «Io ancora non riesco a credere di essere sulla Luna... e che quassu possano vivere esseri umani. È davvero incredibile». «Aspettate di vedere il Gaia Hotel», intervenne Lynn con aria misteriosa. «Non escludo che non vogliate piu tornare sulla Terra.» «Se ha lo stesso aspetto di quel mucchio di ciarpame laggiu, me ne vorro andare immediatamente», sbuffo Momoka. «Tesoro, stai offendendo i padroni di casa», disse Locatelli in tono piu duro del solito. «Perché? Ho solo...» «A volte faresti meglio a chiudere il becco.» «Come? Ma chiudilo tu!» «L’hotel ti piacera, Momoka, e parecchio», s’intromise Lynn per mettere fine al battibecco. «E posso anticiparti che non ha lo stesso aspetto della base lunare.» Evelyn sogghigno. Dal punto di vista professionale, quelle piccole schermaglie erano il suo pane, tanto piu che di solito Locatelli e la sua musa giapponese andavano d’amore e d’accordo quando si trattava di offendere qualcuno. Tra l’altro aveva gia in mente d’invitare Locatelli a una delle future trasmissioni sul tema: «Guerra ai salvatori del mondo». L’avrebbe intitolata «Il declino del settore petrolifero e le lotte per il potere tra i fornitori di energie alternative». Magari sarebbe riuscita a infilare nella conversazione anche qualche domanda... privata. Di ottimo umore, segu Black. LUNAR EXPRESS Salirono a bordo del treno attraverso un portello pressurizzato e tolsero caschi e protezioni. L’aria era piacevolmente temperata e i sedili erano delle dimensioni giuste per accogliere anche le persone in sovrappeso, come aveva scoperto Rebecca Hsu che, sospirando, aveva riferito la cosa ad Amber Orley. Fino a quel momento, Evelyn Chambers non aveva quasi scambiato parola con Amber, pur notando che era stata gentile con tutti. Anche il figlio di Julian, dopo l’iniziale riserbo, si era rivelato piuttosto socievole, se si sorvolava sulla sua evidente preoccupazione per la
sorella, una preoccupazione che rovinava l’umore a lui e alla moglie, oltre a rendere conflittuale il rapporto col padre. Nulla di tutto cio era sfuggito a Evelyn, convinta che Lynn avesse simulato l’attacco di mal di spazio all’interno del Picard e che quindi avesse qualcosa da nascondere. Cos, dato che Mukesh Nair aveva praticamente sequestrato Tim per spiegargli quanto amasse la vita, Evelyn aveva approfittato dell’occasione per sedersi accanto ad Amber. «A meno che lei non preferisca sedersi vicino a suo marito... » «Ma no, si figuri!» Amber si avvicino. «Siamo sulla Luna... Non e incredibile?» «È sensazionale!» confermo Evelyn. «E non ha ancora visto l’hotel...» esclamo l’altra. «Lei lo ha visto? Finora e stato per tutti un enorme mistero. Nessuna fotografia, nessun filmato...» «In alcuni rari momenti la parentela ha anche qualche vantaggio. Lynn ci ha mostrato i progetti.» «Non sto piu nella pelle. Ehi, si parte.» Senza fare il minimo rumore, il treno aveva iniziato a muoversi. Venne diffusa una musica eterea e strascicata, come se l’orchestra stesse suonando sotto l’effetto di stupefacenti. «Meravigliosa. Che cos’e?» chiese Eva Borelius dietro Evelyn. «Gayane di Aram Chacaturjan. L’adagio della suite», rispose Rogacev. Julian si volto. «Bravo, Oleg. Saprebbe anche dire chi lo esegue? » «Se non sbaglio, dovrebbe essere la Filarmonica di Leningrado, diretta da Gennadij Rozdestvenskij.» «Dio mio, che cultura. Lei e un vero intenditore», esclamo Eva Borelius, assai colpita. «Soprattutto conosco la predilezione del nostro ospite per un certo film. Diciamo che mi sono preparato», replico Rogacev con insolita vivacita. «Non avevo idea che avesse una passione per la musica classica... » «No, non si direbbe davvero», commento acida Olympiada. Ehila, penso Evelyn. Sempre piu interessante. Lynn si porto al centro del corridoio. «Forse vi sarete accorti che tocca sempre a me illustrarvi le comodita della vostra sistemazione », disse in un piccolo microfono. «Anzitutto l’esperienza che state vivendo ha il carattere di un’anteprima. Siete stati i primi a soggiornare nello Stellar Island Hotel e sarete i primi a entrare nel Gaia Hotel. Quindi siete anche i primi a godervi un viaggio sul Lunar Express, che percorrera i circa milletrecento chilometri che ci separano dall’hotel in meno di due ore. La reale funzione della stazione che abbiamo appena lasciato e quella di un punto di carico e scarico. Nella parte nordoccidentale del Mare Imbrium si estrae l’elio-3. I serbatoi vengono portati qui sui binari, caricati all’interno di navicelle e invi-
ati all’OSS. Per un tratto, le rotaie su cui viaggiano i vagoni per il trasporto merci sono parallele al nostro binario, ma curvano verso ovest poco prima della nostra meta. Forse durante il viaggio incroceremo uno di questi treni.» Al di la dei finestrini, la pista di atterraggio, con le sue barriere di protezione, diventava sempre piu piccola. Il treno accelero e, dopo aver percorso un’ampia curva in discesa, si diresse verso il regno delle ombre. «L’arrivo all’hotel e previsto per le 19.15. Non dovete preoccuparvi dei bagagli. I robot provvederanno a portarli nelle vostre stanze, mentre noi ci incontreremo nella hall, faremo la conoscenza del personale e visiteremo la struttura. Dopo avrete la possibilita di rinfrescarvi. Stasera, in via del tutto eccezionale, la cena sara servita alle 20.30. Poi e consigliabile andare a dormire. Il viaggio e stato lungo e faticoso... Ci sono domande?» Donoghue alzo la mano. «Solo una: si puo avere un drink?» «Birra, vino, whisky. Tutto analcolico», rispose Lynn, raggiante. «Lo sapevo.» «Ti fara bene», disse Aileen, soddisfatta, dandogli un colpetto sulla coscia. Donoghue impreco. Come per punizione, furono inghiottiti dall’oscurita. Per un attimo, rimasero visibili i bordi piu alti del cratere, illuminati dal sole accecante, poi anch’essi scomparvero. Nina Hedegaard distribu alcuni snack. In perfetta sintonia con quelle tenebre infernali, in sottofondo risuonava il Requiem di Gyorgy Ligeti. D’un tratto, il Lunar Express si getto lungo una discesa e Black spiego che stavano attraversando un tratto compreso tra i crateri Peary e Hermite. Quando torno la luce solare, costeggiarono frastagliate formazioni rocciose e si diressero verso una depressione piena di crepacci; poi, di nuovo immersi nel buio, attraversarono l’interno di un cratere piu piccolo. Fino a poco prima, Evelyn aveva sperato di carpire qualche informazione su Amber, ma adesso non desiderava che ammirare quel paesaggio incontaminato, le sue pareti scoscese e le sue dorsali, la vellutata riservatezza delle valli e delle pianure impolverate, la totale assenza di colori. Il sole risplendeva freddo sui bordi dei crateri e, nel bagliore, il tempo si dilatava. Nessuno aveva piu voglia di parlare. Persino Chucky tronco una delle sue barzellette poco prima del penoso finale per ammirare incantato uno scintillante gioiello bianco e azzurro che stava sorgendo all’orizzonte e diventava piu alto chilometro dopo chilometro: la loro casa, infinitamente lontana e di una bellezza straziante. Nina Hedegaard e Black si diedero da fare per colmare le lacune culturali dei viaggiatori. Elencarono altri crateri, Byrd, Gioja e Main. Le cime si ridussero a colline, le gole cedettero il posto a pianure desolate. Dopo un’ora di viaggio, raggiunsero un esteso terrapieno, il cratere Goldschmidt, sul cui bordo occidentale si spalancava la bocca del cratere Anassagora, secondo Nina la testimonianza di un impatto «particolarmente recente», affermazione che in-
dusse molti a rivolgere gli occhi al cielo, tossicchiare e ridere nervosamente, perché «recente» suonava per loro come «poco fa», e di certo non come «cento milioni di anni fa». Dopo aver attraversato il cratere Goldschmidt, sfrecciarono sopra un paesaggio desertico dalle tinte scure e Julian si alzo e si congratulo con loro per l’attraversamento del primo mare lunare, il Mare Frigoris. «E perché chiamano ’mare’ un deserto cos brutto?» volle sapere Miranda, togliendo i compagni di viaggio ben piu colti di lei dall’imbarazzo di dover porre la stessa domanda. «Perché in passato si credeva che le scure pianure basaltiche fossero oceani. Si dava per scontato che la Luna avesse una conformazione simile a quella della Terra. Di conseguenza, si pensava di poter individuare mari, laghi, insenature e paludi. È interessante, a questo proposito, la nomenclatura scelta, per esempio perché a questo bacino sia stato dato il nome di ’Mare del Freddo’. C’e anche un ’Mare della Tranquillita’, il Mare Tranquillitatis, entrato nella storia grazie all’Apollo 11, motivo per cui, tra l’altro, tre minuscoli crateri vicini al punto di allunaggio sono stati doverosamente chiamati Armstrong, Aldrin e Collins. Inoltre abbiamo un Mare Serenitatis, il ’Mare della Serenita’, un Mare Nubium, il ’Mare delle Nubi’, un Oceanus Procellarum, l’Oceano delle Tempeste’, un Mare Spumans, il ’Mare Spumeggiante’, un Mare Undarum, il ’Mare delle Onde’ e cos via», disse Julian. «Sembra di sentire le previsioni del tempo», commento Hanna. «Esattamente!» Julian ridacchio. «La colpa e di un certo Giovanni Battista Riccioli, un astronomo del XVII secolo, contemporaneo di Galileo Galilei. Il suo intento era dare il nome di un grande astronomo o matematico a ogni cratere e a ogni catena montuosa, ma a un certo punto l’elenco degli scienziati si era esaurito. In seguito, i russi e gli americani hanno ripreso il suo sistema. Oggi sulla Luna sono immortalati anche scrittori, psicologi, esploratori polari. Esistono inoltre Alpi lunari, Pirenei e Ande. A ogni modo, Riccioli era assolutamente convinto che le macchie piu scure fossero mari. Gia Plutarco aveva creduto la stessa cosa e Galileo pensava che la Luna fosse una seconda Terra, che le zone piu chiare fossero continenti e quelle scure formazioni lacustri e corsi d’acqua. Naturalmente Riccioli voleva dare nomi eleganti anche ai suoi maria... e invece tutto il suo sistema era basato su un clamoroso errore. Riteneva infatti di aver scoperto che il tempo atmosferico sulla Terra dipende dalle fasi lunari. Ovvero, bel tempo con la luna crescente...» «Tempo di merda con la luna calante», borbotto Locatelli. «Proprio cos. Da allora, i mari della parte orientale della Luna portano nomi come ’tranquillita’ e ’armonia’, mentre a ovest imperversano piogge e tempeste; inoltre, un mare nelle vicinanze del Polo Nord deve per forza essere freddo, ecco perché ’Mare del Freddo’... Oh, guardate. Credo che ci stia venendo incontro qualcosa.»
Evelyn allungo il collo. Sulle prime non vide altro che una distesa senza fine e il tortuoso tracciato dei binari in lontananza, poi scorse un puntino che si avvicinava rapidamente, come se stesse volando, e si trasformava in qualcosa di allungato e provvisto di fari. Mentre stava ancora cercando di distinguere i dettagli, il treno merci era gia passato oltre. Si erano incrociati a quasi millecinquecento chilometri orari, senza che si fosse sentito il minimo rumore né avvertita la minima vibrazione. «Elio-3. Il futuro», disse Julian in tono solenne. E si sedette come se non ci fosse nient’altro da aggiungere. Il Lunar Express continuo la sua corsa. Poco dopo, all’orizzonte, comparve una massiccia dorsale montuosa, la cui altezza aumentava a una velocita vertiginosa, come se il Mare Frigoris fosse davvero un mare e quei monti emergessero dalle profondita delle sue acque. Evelyn ricordo di aver sentito dire che quel fenomeno era dovuto alla forte curvatura del satellite. Black li informo che si trattava del cratere Platone, una formazione spettacolare con un diametro di oltre cento chilometri e pareti alte duemilacinquecento metri, un’altra informazione che s’infilo nella corteccia cerebrale gia iperstimolata di Evelyn Chambers come uno shrapnel. Il Lunar Express s’inoltro sinuoso nel Mare Imbrium, la desolata pianura adiacente. Come preannunciato, quando costeggiarono Platone, i binari destinati ai vagoni dell’elio-3 curvarono verso ovest e sparirono in lontananza. All’orizzonte spuntarono nuovi monti, le Alpi lunari, superfici di un chiarore accecante con venature di ombra. I binari della ferrovia magnetica s’inerpicavano audaci in quel paesaggio montuoso, i piloni aggrappati alle rocce. Piu salivano verso l’alto piu il panorama diventava spettacolare: montagne di duemila metri, strapiombi cubistici, creste aguzze e frastagliate. Un’ultima occhiata al tappeto polveroso del Mare Imbrium, poi il convoglio curvo verso l’entroterra, facendosi strada fra vette e altopiani, diretto verso il bordo di un canyon lunare, dove... Evelyn non riusciva a credere ai propri occhi. Un sospiro colmo di meraviglia attraverso il treno. Il ronzio quasi impercettibile del motore si mescolo ai bassi carichi di mistero del tema di Also sprach Zarathustra. Mentre il Lunar Express rallentava, risuonarono le prime fanfare. Strauss doveva avere in mente il «sole della conoscenza» di Nietzsche; Kubrick forse pensava alla trasformazione del genio umano in qualcosa di nuovo, di piu elevato, ma Evelyn, in quell’istante, penso a Edgar Allan Poe, nei cui abissi narrativi aveva vagato da giovane. Le era rimasta in mente una sola frase della raccapricciante conclusione del suo Arthur Gordon Pym: Ma ecco levarsi sul nostro cammino una figura velata, di proporzioni ben piu vaste di qualsiasi essere umano. E il colore della pelle della figura era del bianco assoluto della neve...
Trattenne il fiato. A dieci, forse dodici chilometri di distanza, in cima a un altopiano, su una sporgenza al di la della quale si apriva il baratro del canyon, sedeva qualcosa, con lo sguardo rivolto verso l’alto, verso la Terra. Una persona. No, era la sagoma di una figura umana. Non di un uomo, ma di una donna dalle proporzioni perfette. Testa, membra e corpo risplendevano sullo sfondo di un mare di stelle. Priva di qualsiasi mimica, senza bocca, senza naso e senza occhi, la figura aveva comunque un aspetto trasognato, quasi nostalgico, per il modo in cui stava appoggiata sui gomiti, con le gambe a penzoloni oltre il precipizio, totalmente assorbita dalla visione del placido pianeta, sopra la sua testa, un pianeta su cui non avrebbe mai messo piede. Doveva essere alta almeno duecento metri. DALLAS, TEXAS, STATI UNITI Se Loreena Keowa non fosse gia stata un’esponente di spicco di Greenwatch, avrebbero dovuto inventarla. Le sue origini erano inequivocabili. Era una tlingit al cento per cento, membro di un popolo il cui spazio vitale dalla notte dei tempi si estendeva lungo la costa sudoccidentale dell’Alaska e includeva anche parti dello Yukon e del British Columbia. Al momento si contavano ancora ottomila tlingit, ma il loro numero era in costante diminuzione. La melodiosa lingua Na-Dene veniva ancora parlata dagli anziani, ma sempre piu spesso anche dai giovani come Loreena Keowa che, nell’America convertita all’ambientalismo, si consideravano portabandiera dell’autoaffermazione etnica. Loreena Keowa faceva parte di un clan che risiedeva a Hoona, il «villaggio sulla scogliera», un insediamento tlingit sulla Chichagof Island. Quando non si trovava a Vancouver, sede centrale di Greenwatch, risiedeva quaranta miglia a ovest di Hoona, a Juneau. I tratti del suo viso, tipici della sua gente, presentavano anche caratteri caucasici, anche se, per quanto ne sapesse lei, nessun bianco aveva mai sposato una donna del clan. Senza essere bella nel senso classico del termine, emanava un’aria selvaggia, eccitante e romantica. I capelli lunghi e neri erano lontani dall’idea che potevano avere delle capigliature indiane i broker newyorkesi e il suo modo di vestire si opponeva a tutti i cliché del selvaggio civilizzato. Era convinta che si potesse lottare per l’ambiente anche indossando Gucci e Armani. Molto preparata, era poco incline alla polemica. I suoi reportage erano documentati e spietati, ma nel contempo lei riusciva sempre a non condannare nessuno senza appello. I suoi oppositori la vedevano come un compromesso ambulante per gli attivisti ambientali di Wall Street; i suoi sostenitori apprezzavano il suo potenziale d’integrazione. Che cio corrispondesse alla realta o no, era fuori discussione che il successo di Greenwatch era in gran parte merito di Loreena
Keowa. Negli ultimi due anni, il canale Internet aveva conquistato la leadership tra le emittenti ambientaliste americane e aveva dovuto rettificare le informazioni trasmesse solo pochissime volte, cosa tutt’altro che scontata, dal momento che la gara per arrivare primi spesso faceva dimenticare l’accuratezza. Com’era tipico di Greenwatch, i suoi membri provavano una vaga simpatia per lo stratega dell’EMCO, Gerald Palstein. In realta, Palstein rappresentava il nemico, ma si era espresso a favore della difesa dell’ambiente, e a Calgary era diventato lui stesso una vittima, mettendo fine a qualcosa che irritava da sempre gli ambientalisti. All’inizio del millennio, i grandi gruppi petroliferi, come la ExxonMobil, incoraggiati dall’amministrazione Bush, poco incline all’ecologia, avevano rivitalizzato un’attivita ormai abbandonata: lo sfruttamento delle sabbie bituminose, un miscuglio di sabbia, acqua e idrocarburi, i cui giacimenti piu importanti si trovavano in Canada. Le riserve delle zone di Athabasca, Peace River e Cold Lake erano state stimate in ventiquattro miliardi di tonnellate, il che aveva catapultato il Paese al secondo posto, dopo l’Arabia Saudita, tra le nazioni piu ricche di petrolio. Tuttavia estrarre l’oro nero dalla sabbia aveva un costo tre volte superiore rispetto ai metodi tradizionali ed era stato quindi un’operazione economicamente svantaggiosa, almeno finché i prezzi al barile si erano mantenuti fra i venti e i trenta dollari. La repentina lievitazione dei prezzi aveva infine giustificato l’adozione di quel dispendioso procedimento, una circostanza favorita anche dalla vicinanza del Canada al principale consumatore di greggio - gli Stati Uniti -, sempre assetato di petrolio e grato per ogni fonte di approvvigionamento non araba. Inebriati dalle prospettive di guadagno, i gruppi petroliferi si erano gettati sulle riserve fino ad allora trascurate e cio, in breve tempo, aveva provocato la totale distruzione della foresta boreale, degli ambienti palustri e dei corsi d’acqua dell’Alberta. Inoltre, per ogni barile di greggio ottenuto in tal modo, venivano introdotti ottanta chilogrammi di gas serra nell’atmosfera terrestre e quattro barili di acqua inquinata nei laghi e nei fiumi. Poi il prezzo al barile era crollato. Per sempre. Nel volgere di una notte, l’attivita estrattiva si era fermata, e senza che le aziende sapessero come ripristinare l’ecosistema. Si erano lasciate alle spalle zone devastate, un aumento dell’incidenza di tumori tra la popolazione e altre aziende al collasso, come l’Imperial Oil, un’impresa con sede a Calgary e che, da centocinquant’anni, si era occupata prima dell’estrazione di greggio e gas naturale, poi di raffinazione delle materie prime e infine dello sfruttamento delle sabbie bituminose. In un attimo, l’azienda leader del settore era piombata nell’abisso e Palstein, nella sua funzione di direttore strategico dell’EMCO, che possedeva due terzi delle azioni dell’Imperial Oil, era stato costretto ad andare nell’Alberta per annunciare al consiglio direttivo e agli operai sconvolti che l’azienda non si sarebbe risollevata.
Forse perché era piu facile sfogare la rabbia su un singolo individuo che sulla Luna, le cui materie prime erano le reali artefici del disastro, qualcuno a Calgary aveva sparato a Palstein. L’atto di un disperato... o almeno cos lo avevano interpretato quasi tutti. Ma Loreena Keowa era scettica. Non che avesse un’altra versione. Pero si chiedeva quanto a lungo un semplice disoccupato potesse sottrarsi alla cattura. L’attentato risaliva a un mese prima. Diverse cose nella teoria dell’attentatore folle e solitario non avevano senso e, dal momento che lei stava lavorando a un reportage intitolato L’eredita del mostro, sulle devastazioni ambientali causate dai grandi gruppi petroliferi, le era sembrata una buona idea indagare sulla questione a modo suo. Gia prima della scoperta dell’elio-3 Palstein aveva fatto pressioni sul suo settore per cercare strade alternative. In un certo senso, non era mai stato favorevole allo sfruttamento delle sabbie bituminose e, secondo lei, nella conferenza stampa di Anchorage era stato attaccato ingiustamente. Percio gli aveva offerto la possibilita di un’intervista televisiva che lo mostrasse sotto una luce migliore. Come contropartita, sperava di ottenere informazioni di prima mano sulla caduta dell’EMCO. Ma soprattutto sognava di contribuire alla soluzione del mistero dell’attentato, nel solco della migliore tradizione del giornalismo investigativo americano. Forse sarebbe riuscita addirittura a risolvere il caso. Palstein aveva tentennato e infine l’aveva invitata a casa sua, sulle rive del Lavon Lake, nel Texas, dov’era in convalescenza, a condizione che lei si presentasse al primo appuntamento senza telecamere. «Ma ci serviranno delle immagini. Siamo un’emittente televisiva », aveva obiettato Loreena. «Se riuscira a convincermi che le sue intenzioni sono buone, le avra. Sono in grado di sopportare i pestaggi mediatici solo fino a un certo punto, Loreena. Ci studieremo per un’oretta, e poi potra chiamare la sua squadra. Oppure no.» Ora, seduta nel taxi che la stava portando dall’aeroporto al centro di Dallas, Loreena rilesse la documentazione che aveva raccolto. Il cameraman e il fonico sonnecchiavano sul sedile posteriore, stravolti dal caldo che quell’anno aveva investito il Texas con largo anticipo. La sede dell’EMCO era a Irving, vicino a Dallas, ma Palstein abitava dall’altra parte della citta. Avevano pranzato allo Sheraton Dallas, poi, come preannunciato, era arrivato l’autista di Palstein per prelevare Loreena. Entrarono nell’auto elettrica - ovviamente climatizzata, cosa che aveva rinfrancato non poco la donna -, e uscirono dalla citta, attraversando una periferia immersa nel verde, finché sul lato sinistro, fra gli alberi, non apparve la superficie luccicante del lago. A un certo punto, l’autista svolto in una strada secondaria e subito dopo in una strada privata che conduceva direttamente sulla riva e alla casa di Palstein. Loreena penso che, in
un certo qual modo, era proprio come se l’era immaginata. Non sarebbe stata in grado di figurarsi Palstein in un ranch con bufali e un patio a colonne. Quella costruzione ariosa, formata da elementi cubici con le superfici di vetro, intervallati da spazi verdi, con la struttura simile alla filigrana e le pareti quasi prive di peso, si adattava molto meglio all’idea che si era fatta di lui. L’autista la fece scendere. Un uomo massiccio che indossava pantaloni e T-shirt le venne incontro e le chiese con gentilezza un documento d’identita. La riva del lago era sorvegliata da altri due uomini. A quanto pareva, Palstein si era circondato di guardie del corpo. La donna porse all’uomo massiccio la carta d’identita e lui la passo sullo scanner del cellulare. Poi, evidentemente tranquillizzato da quello che aveva visto, le restitu il documento con un sorriso e le chiese di seguirlo. Attraversarono a passo rapido un giardino giapponese e, passando accanto a una grande piscina, raggiunsero un pontile. «Ha voglia di fare un giro?» Palstein, appoggiato a un paracarro, attendeva la giornalista davanti a un piccolo yacht bianco come la neve, con un grande albero e le vele raccolte. Indossava i jeans e una polo e sembrava stare meglio rispetto al loro ultimo incontro ad Anchorage. La fascia intorno al braccio era sparita. Loreena indico la sua spalla. «Va meglio?» Lui le strinse la mano. «Grazie. Fa ancora un po’ male. Ha fatto buon viaggio, Shax’saani Keek’?» Loreena ridacchio, irritata. «Conosce il mio nome tlingit? Quasi nessuno lo sa!» «Informarsi sui propri ospiti e una questione di educazione. Shax’saani Keek in lingua tlingit significa ’la sorella piu giovane delle ragazze’, giusto?» «Sono colpita.» «E io probabilmente sono solo un vecchio spaccone.» Palstein sorrise. «Allora, che ne dice? Non posso proporle di navigare a vela, la spalla ancora non me lo permette, ma il fuoribordo funziona, e a bordo ci sono bibite fresche.» In altre circostanze, Loreena si sarebbe insospettita. Ma quello che, con chiunque altro, avrebbe avuto il sapore di una manipolazione, nel caso di Palstein restava semplicemente cio che era: l’invito di un uomo cui piaceva andare in barca. «Bella casa», disse Loreena dopo che si furono allontanati dalla riva. Una cappa di calore incombeva sull’acqua e nemmeno un alito di vento increspava la superficie del lago, ma l’aria era comunque piu gradevole che a terra. Palstein si guardo indietro e rimase in silenzio per un po’, come se, per la prima volta in vita sua, stesse valutando la bellezza della sua residenza. «Il progetto e di Mies van der Rohe. Lo conosce? »
Lei scosse la testa. «A mio parere, e il piu grande architetto moderno. Il suo obiettivo era riunire gli impulsi caotici della civilizzazione tecnologica in strutture ordinate, ma il suo concetto di ordine non prevedeva di rinchiudere gli elementi in spazi delimitati. Voleva piuttosto creare il maggior numero possibile di spazi liberi, in un flusso apparentemente ininterrotto tra mondo interiore ed esteriore.» «Anche tra passato e futuro?» «Certo. Il suo lavoro e senza tempo, perché si adatta a ogni tempo. Van der Rohe non smettera mai d’influenzare gli architetti. » «Le piacciono le strutture essenziali.» «Mi piacciono le persone capaci di guardare oltre. Sono sicuro che conosce il suo motto piu famoso: Less is more, ’Il meno e piu’.» Loreena annu. «Oh, gia.» «Sa cosa penso? Se la nostra comprensione del mondo fosse lineare come l’opera di van der Rohe, riusciremmo a vedere connessioni superiori e arriveremmo a conclusioni differenti. Chiarezza mediante la riduzione. Conoscenza mediante l’eliminazione. Una matematica del pensiero.» Tacque per un istante, quindi riprese: «Ma lei non e qui per discutere con me della bellezza dei numeri. Cosa vuole sapere?» «Chi le ha sparato?» Palstein annu con aria delusa, come se si fosse aspettato qualcosa di piu originale. «La polizia cerca un uomo solo, frustrato e rabbioso.» «E lei condivide ancora questa supposizione?» «Ho solo detto che la condivido.» «Allora sarebbe disposto a rivelarmi cosa pensa davvero?» Palstein appoggio il mento sulle mani. «Mettiamola cos: per risolvere un’equazione bisogna conoscere le variabili. Ma il tentativo e condannato al fallimento se ci si fissa su una delle variabili, ascrivendole un significato che magari non ha. Ed e proprio questo che, a mio avviso, sta facendo la polizia. Peccato che io non abbia risposte da offrire. Lei che ne pensa?» «Be’, c’e un’industria sull’orlo del collasso, lei va a destra e a manca a fare il becchino, dice alla gente che perdera il lavoro, chiude aziende, abbandona imprese al fallimento... anche se in realta ovviamente non e un becchino, ma un medico del pronto intervento.» «È tutta una questione di percezione.» «Esatto. Quindi potrebbe benissimo trattarsi di un padre di famiglia disperato. Mi meraviglia solo che una persona del genere riesca a sfuggire alla cattura per quattro settimane. L’attentato e stato ripreso da diverse emittenti televisive e dovrebbe essere possibile vedere
qualcosa. Qualcuno che si comporta in modo sospetto, estrae un’arma, scappa...» «Sapeva che, di fronte alla tribuna, sull’altro lato della piazza, c’e un complesso di edifici...» «... e la polizia ritiene che da l siano partiti gli spari. Ma so pure che nessuno ricorda di aver visto qualcuno entrare nel complesso o uscirne dopo l’attentato. C’erano poliziotti nelle vicinanze, anzi c’erano poliziotti ovunque. Non lo trova strano? Sembra piuttosto un’azione pianificata, l’opera di un professionista. » «Anche Lee Harvey Oswald ha sparato da un edificio.» «Dal suo posto di lavoro, per essere precisi.» «Ma non spinto dall’emozione del momento. Deve aver preparato la sua azione; tuttavia pochi elementi fanno pensare che fosse un killer professionista, anche se migliaia di teorici del complotto sostengono il contrario.» «D’accordo. Nonostante questo, io continuo a chiedermi: chi era l’obiettivo dell’attentato?» «Intende dire se volevano colpirmi in quanto persona, in quanto rappresentante dell’EMCO o in quanto simbolo del sistema? » «Lei non e un simbolo del sistema, Gerald. Gli ambientalisti militanti non colpirebbero certo l’unico del quale si possono in qualche modo fidare. Ma forse il problema e esattamente l’opposto: lei e una spina nel fianco per alcuni rappresentanti del sistema. » Palstein scosse la testa. «Avrebbero avuto la possibilita di togliermi di mezzo quando all’EMCO si poteva ancora decidere qualcosa. Come ha detto lei, ho abbandonato l’Imperial Oil al fallimento e ho messo fine all’attivita estrattiva delle sabbie bituminose. Se lo avessi fatto prima dell’elio-3, forse avrebbe avuto un senso rendermi inoffensivo per poter continuare a scavare nel fango. Ma oggi? Ogni mia decisione impopolare e stata presa perché le circostanze non consentivano di fare altro.» «Bene, allora prendiamo in considerazione il Palstein privato. Una vendetta?» «Nei miei confronti?» «Ha pestato i piedi a qualcuno?» «Non che io sappia.» «Niente? Ha rubato la donna a qualcuno? Ha soffiato il posto a qualcuno?» «Il mio lavoro oggi non lo vuole piu nessuno, e non mi resta il tempo per rubare le donne agli altri. Ma, ammettendo che si tratti di motivi personali, perché una persona dovrebbe scegliere un luogo pubblico? L’attentatore avrebbe potuto uccidermi qui, sul lago. Indisturbato.» «Lei si circonda di guardie del corpo.» «Solo dall’attentato di Calgary.» «E se fosse qualcuno dei suoi? Forse lei sostiene qualcosa che i rappresentanti piu influenti dell’EMCO vogliono evitare a ogni costo, nonostante la situazione attuale.»
Palstein incrocio le dita. Aveva spento il fuoribordo e il piccolo yacht sonnecchiava sullo specchio d’acqua come se vi fosse incollato. In lontananza, si udiva il ronzio di un bombo. «Ovviamente, all’EMCO, ci sono persone convinte che dovremmo tenerci fuori dalla faccenda dell’elio-3. Credono che sia un’idiozia mettersi in affari con Julian Orley. Ma non e un atteggiamento realistico. Siamo sull’orlo della bancarotta. Non possiamo restarne fuori.» «La sua morte avrebbe cambiato qualcosa, in particolare per l’Imperial Oil?» «Non avrebbe cambiato niente per nessuno. Avrei mancato un paio di appuntamenti.» Palstein scrollo le spalle. «In effetti, anche cos ne ho mancato qualcuno.» «Sarebbe dovuto andare sulla Luna con Julian Orley. Era stato invitato.» «Per essere onesti, ero stato io a chiedergli di partecipare. Mi sarebbe piaciuto molto andare lassu.» Lo sguardo di Palstein si fece sognante. «Inoltre al viaggio partecipano alcune persone interessanti e forse sarei riuscito a stringere qualche alleanza. Oleg Rogacev, per esempio: un uomo con un patrimonio di cinquantasei miliardi di dollari, il piu grande fornitore di acciaio del mondo. Molti cercano di fare affari con lui. O Warren Locatelli, un personaggio non meno importante.» Loreena sorrise. «L’EMCO e il leader mondiale dei pannelli solari. Non le fa rabbia pensare che il suo settore, un tempo cos potente, ora deve elemosinare la benevolenza di questa gente?» «Mi fa rabbia che l’EMCO non mi abbia dato retta anni fa. Ho sempre voluto collaborare con Locatelli. Avremmo dovuto comprare la Lightyears quando ne avevamo la possibilita.» «Quando avevate ancora qualcosa da offrirgli, cioe?» «S.» «Non e paradossale il fatto che proprio i magnati del petrolio, che hanno determinato il destino del mondo per un secolo, non siano stati in grado di guidarne lo sviluppo nella direzione migliore per loro?» «La decadenza segna la fine di ogni regno. In ogni caso, mi dispiace di non esserle stato utile, svelandole i retroscena dell’attentato. Temo che dovra proseguire le sue ricerche altrove.» Loreena non replico. Forse era stata ingenua a sperare che, nella pace del Lavon Lake, Palstein le avrebbe confidato chissa quali mostruosita sull’attentato. Poi le venne un’idea. «L’EMCO ha ancora dei soldi, giusto?» «Altroché.» Lei sorrise, trionfante. «Vede? Quindi ha preso una decisione per cui esiste un’alternativa.» «A cosa si riferisce?»
«Quando parla d’investire nell’Orley Enterprises, lei pensa a somme ingenti, immagino.» «Certo. Ma anche in questo caso non esiste una vera alternativa. » «Direi che cio dipende dagli interessi in gioco. L’EMCO non deve essere salvata per forza.» «Cioe?» «Qualcuno potrebbe preferire chiudere bottega e utilizzare il denaro in modo diverso. Voglio dire, esiste qualcuno che potrebbe avere interesse ad accelerare la fine dell’EMCO? Qualcuno per cui i suoi piani di risanamento rappresenterebbero un ostacolo?» Palstein la fisso coi suoi occhi malinconici. «Domanda interessante. » «Ci rifletta. Per migliaia di disoccupati, sarebbe molto piu sensato se l’EMCO utilizzasse i soldi per garantire loro una copertura, almeno finché non avranno trovato un nuovo lavoro. Dopodiché la nave potrebbe tranquillamente affondare. Poi ci sono i creditori che non vogliono vedere i loro soldi sparati sulla Luna. Infine c’e un governo che vi ha lasciato cadere nel baratro senza battere ciglio. Perché poi? L’EMCO possiede il know-how. » «Non possediamo nessun know-how. Non sulla Luna.» «Non e l’estrazione di materie prime quello di cui si occupano lassu?» Palstein scosse la testa. «Anzitutto parliamo di astronautica. Inoltre le tecnologie terrestri non possono essere applicate sulla Luna. La forza di gravita ridotta, l’assenza di atmosfera, e un sacco di altri fattori richiedono metodologie particolari. S, un paio di persone del settore del carbone hanno contribuito al progetto, ma per la maggior parte sono stati sviluppati procedimenti del tutto nuovi. Secondo me, il motivo per cui siamo stati lasciati a noi stessi e un altro. Lo Stato ambisce a controllare completamente lo sfruttamento dell’elio-3. Quindi Washington ha colto al volo l’occasione per liberarsi non solo dalla morsa del Medio Oriente, ma anche dalla dipendenza dai gruppi petroliferi. » «A morte i creatori di sovrani», commento Loreena, sarcastica. «È proprio cos», disse Palstein in tono quasi allegro. «Il petrolio ha creato presidenti, ma nessun presidente si e mai prestato volentieri al ruolo di burattino dell’economia gestita dai privati. A meno che non ne fosse il maggiore esponente. nella natura delle cose che il sovrano si liberi di coloro che lo hanno incoronato non appena puo. Pensi alla situazione in Russia negli anni ’90, a Vladimir Putin... Ah, no, forse lei e troppo giovane.» «Ho studiato la situazione russa», disse Loreena con un sorriso. «Putin avrebbe dovuto essere il burattino dell’oligarchia, ma era stato sottovalutato. Tipi come quello col nome impronunciabile... » «Chodorkovskij.» «Proprio lui. Uno dei predoni dell’era Eltsin. Poco dopo la presa del potere da parte di Putin, Chodorkovskij si e ritrovato in un campo di lavoro siberiano. Molti hanno subito una
sorte simile. Nel nostro caso, il problema si risolve da solo», mormoro Palstein. «Ma, durante la grande crisi di sedici anni fa, i governi di tutto il mondo hanno speso miliardi per salvare le banche sull’orlo del fallimento», insistette Loreena. «Si parlava d’istituti bancari in sofferenza, come se a soffrire fossero gli istituti di credito e i loro dirigenti, e non le schiere di piccoli risparmiatori. Nessuno ha aiutato a coprire le perdite della gente comune con garanzie statali, mentre i governi hanno aiutato le banche. Adesso invece non fanno nulla. Lasciano le multinazionali del petrolio al loro destino. Posso capire gli sforzi per svincolarsi da una dipendenza, ma questo non puo essere nell’interesse di Washington.» Palstein le scocco un’occhiata strana, come se Loreena fosse un pesce che lui aveva appena pescato nel lago e che non riusciva a identificare. «Vuole una storia a ogni costo, eh?» «Se ce n’e una, s.» «E, per raggiungere questo obiettivo, butta un sacco di elementi in un unico calderone, confondendo parecchie cose. Prendiamo la questione delle banche, i pilastri del sistema chiamato ’capitalismo’. Crede davvero che si sia trattato di singoli istituti di credito? Di qualche manager antipatico e di qualche speculatore che intascavano una montagna di soldi per compiti che non avevano svolto? Si trattava di salvare il sistema sul quale poggia l’apparato politico, di mantenere l’equilibrio statico del tempio del capitalismo. Non prendiamoci in giro, Loreena: i gruppi petroliferi non hanno mai avuto un ruolo del genere. Sono sempre stati soltanto dei sintomi del sistema, mai le colonne portanti. Il mondo puo sopravvivere benissimo senza di noi. Quelli di noi che non sono riusciti a passare alle energie alternative quand’erano ancora in tempo ora agonizzano, in attesa della fine. Perché lo Stato dovrebbe salvarci? Non abbiamo nulla da offrirgli. Un tempo, eravamo noi a pagarlo e adesso dovrebbe sostenerci? Nessuno e interessato a una cosa del genere. Lo Stato estrae l’elio-3 perché in questo vede la possibilita di diventare imprenditore lui stesso. Per l’America, e un’occasione unica per gestire il proprio approvvigionamento energetico in modo centralizzato e impedire che nascano nuovi ’creatori di sovrani’.» «E questo spiega le lacrime da coccodrillo», disse Loreena in tono sprezzante. «Mi dica un solo sistema fondato sul capitalismo in cui chi gestisce il potere non e automaticamente il prodotto del capitale e quindi dell’economia privata. Gli Stati Uniti lasciano l’EMCO per l’Orley Enterprises, punto e basta. Orley li porta sulla Luna e costruisce reattori affinché la roba portata sulla Terra da lassu faccia quello che deve. Senza il sostegno dei privati, non sarebbe mai stata un’impresa possibile. E il nuovo creatore di sovrani sta comodamente seduto sul trono dei suoi brevetti e indica la strada ai partner. Senza di lui, non possono essere costruiti altri ascensori spaziali, altri reattori...» «Julian Orley non e un creatore di sovrani nel senso tradizionale del termine. un alieno, se vuole. Una potenza extraterrestre. Nella ExxonMobil, poi confluita nell’EMCO, c’erano americ-
ani che influivano pesantemente sulle elezioni del proprio Paese e, all’estero, fornivano armi e denaro ai nemici. Invece Orley vede se stesso come uno Stato indipendente, una potenza mondiale autonoma. Ecco una cosa che i grandi gruppi petroliferi hanno sempre sognato: dover rendere conto solo a se stessi. Julian Orley non cercherebbe mai di rovesciare un presidente americano poco amato, anche per motivi etici. Interromperebbe semplicemente le relazioni diplomatiche con Washington e richiamerebbe il suo ambasciatore.» «Si considera davvero uno... Stato?» «Questo la sorprende? Quando i vari Paesi erano ancora sotto shock e chiedevano di avere piu voce in capitolo nel settore bancario, Julian stava gia programmando la propria ascesa. Ricorda? Tutto stava finendo in mani private, una situazione che gli stessi governanti avevano contribuito a creare. Poi, all’improvviso, si erano resi conto che rischiavano di perdere il controllo dello Stato sociale. Avevano quindi iniziato a chiedere un maggior controllo statale... ma poi erano stati costretti ad ammettere che la statalizzazione del capitale paralizzava le attivita che alimentavano il capitale stesso ed erano tornati nei ranghi. Per comodita, la depressione dal 2008 al 2012 e stata descritta come un’esondazione di un sistema altrimenti privo di difetti. In realta, in quel periodo, e stata gettata alle ortiche l’occasione di reinventare il capitalismo e, con essa, si e persa l’opportunita di rafforzare lo Stato in modo duraturo.» Lo sguardo di Palstein si era perso lontano. La voce aveva assunto un tono cattedratico, analitico, privo di empatia. «È stato allora che i privati hanno definitivamente tolto lo scettro dalle mani ai governanti. Che gli esseri umani sono stati trasformati in risorse umane. Mentre i partiti dei Paesi democratici si pestavano i piedi a vicenda e i dittatori si atteggiavano come sempre a imprenditori, le multinazionali si sono infiltrate in tutti i settori della societa, costruendo il grande magazzino della civilta moderna. Si sono impadronite dell’approvvigionamento di acqua, medicinali e generi alimentari; hanno privatizzato l’istruzione; hanno costruirono universita, ospedali, residenze per anziani, cimiteri... tutti piu belli, piu grandi e piu efficienti di quelli statali. Si sono impegnate contro la guerra; hanno dato vita a programmi di aiuto per gli indigenti; hanno combattuto la battaglia contro la fame, la sete, la tortura, il riscaldamento globale, la pesca selvaggia, l’edilizia abusiva, il divario tra ricchi e poveri. E, nel contempo, erano proprio loro ad allargare tale divario, dal momento che erano loro a decidere chi potesse avere accesso ai servizi e chi no. Hanno sostenuto la ricerca scientifica per raccoglierne i frutti. Hanno raggiunto ogni angolo del pianeta, spremuto ogni risorsa. Ben presto, ogni cosa - dalle fonti di acqua potabile al genoma umano - e stata giudicata in base al valore economico. Il mondo liberamente accessibile e diventato un catalogo corredato di note sul copyright, diritti d’autore e diritti di accesso. Se mi consente una metafora, hanno messo un tornello all’entrata della creazione. Hanno diviso l’umanita in autorizzati e non autorizzati. Persino l’accesso gratuito all’acqua e all’istruzione ormai e di-
ventato un’offerta che, non appena viene accettata, sottomette le persone a un’ideologia commerciale, alla dittatura di un marchio.» «Non e sempre stato cos?» chiese Loreena. «Si viene ricompensati se si seguono le idee di pochi e, chi non lo fa, deve mettere in conto l’esclusione e la punizione.» «Lei sta parlando di dittatura: Tutankamon, Giulio Cesare, Napoleone, Hitler, Saddam Hussein...» «Esistono anche forme piu morbide di dittatura.» Palstein sorrise. «S, l’antica Roma, per esempio. I romani si consideravano gli uomini piu liberi del mondo. Io sto parlando di una cosa completamente diversa, Loreena. Parlo della presa del potere di regnanti i cui Stati non sono segnati su nessuna carta geografica. Il fatto che i gruppi petroliferi rischino di perdere la battaglia non significa che il loro influsso sulla sfera politica sia diminuito, al contrario. Sono soltanto cambiati gli equilibri. Nel grande magazzino della Terra hanno guadagnato importanza altri direttori di reparto, e in questo senso lei ha perfettamente ragione: l’Orley e non piu l’EMCO. Ma l’EMCO agiva per interessi americani, perché i nostri uomini facevano parte del governo, mentre Julian Orley non ne vuole sapere e cio lo rende imprevedibile. Ecco di cos’hanno paura i governi... E adesso, tenendo a mente la cronaca della disfatta dello Stato, si ponga una domanda: una simile forma di potere e davvero cos malvagia?» Loreena inclino la testa. «Come, scusi? Non sta dicendo sul serio, vero?» «Non sto cercando di venderle qualcosa. Voglio solo che lei consideri la situazione come un’equazione matematica, analizzando ciascuna delle sue variabili, senza pregiudizi e senza simpatie. È in grado di farlo?» Loreena rifletté. Palstein l’aveva coinvolta in una discussione davvero strana. Era arrivata fin l per intervistarlo e studiarlo, pero ora la situazione si era capovolta. «Credo di s», disse infine. «E allora?» «Non esiste uno Stato ideale. Ma ci si puo andare vicino. Molti hanno lottato duramente per crearlo. Con l’abolizione della schiavitu, l’ideale del cittadino libero si e affermato a tutti i livelli della societa. Come cittadini di uno Stato democratico, si e soggetti alla legge, ma in fondo si e liberi. Giusto?» «D’accord.» «Come membro di una comunita di multinazionali, invece, si e una proprieta. Questa e la trasformazione in atto.» «Giusto anche questo.» «Cercare di uscirne mi sembra tanto difficile quanto lo sarebbe annullare le leggi della natura. La liberta dell’individuo ormai non e altro che un’idea. Abitiamo su una sfera. Le sfere
sono sistemi chiusi, quindi non c’e possibilita di fuggire, e la sfera e suddivisa in spicchi. E, proprio mentre noi stiamo qui, su questo lago, a discutere di simili cose, qualcuno sta suddividendo in spicchi la prossima sfera, la Luna. Gli spazi non commerciali sono esauriti.» «Vero.» «Mi dispiace, Gerald, cerco di essere obiettiva... pero mi battero contro questo stato di cose, sino alla fine!» «È un suo diritto. La capisco, ma le chiedo comunque di riflettere. Si puo odiare il pensiero di essere una proprieta. O si puo venire a patti con una simile idea.» Palstein passo la mano su una gomena e sorrise. D’un tratto appariva molto rilassato, come un Buddha dormiente. «E forse quest’ultima e la scelta migliore.» GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Il Sole perdeva massa. Ogni minuto, il suo mantello perdeva sessanta milioni di tonnellate di sostanza: protoni, elettroni, atomi di elio e alcuni elementi in tracce, gli ingredienti della misteriosa ricetta della nebbia primordiale che, a detta degli scienziati, aveva dato forma ai corpi celesti del Sistema Solare. Il vento solare si propagava ininterrottamente nello spazio, deviando le code delle comete, infuocando la luce polare nel firmamento terrestre, ripulendo gli spazi interplanetari dai gas, spingendosi fino alla Nube di Oort, ben oltre l’orbita di Plutone. A tale miscuglio di elementi chimici si aggiungeva la radiazione cosmica di fondo, debole ma sempre presente, un fiume di storie su supernove, stelle di neutroni, buchi neri e sui primi attimi di vita dell’universo. La Luna era esposta senza protezione a tali influssi sin da quand’era stata generata dall’unione tra la Terra e un piccolo pianeta chiamato Theia. Il respiro del Sole accarezzava senza sosta la sua superficie. Nessun campo magnetico deviava il flusso di particelle ad alta energia e, anche se penetravano nella crosta solo per pochi micron, la polvere lunare ne era totalmente impregnata, plasmata e riplasmata da quattro miliardi e mezzo di anni di bombardamento meteoritico, il quale aveva rivoltato il suolo a piu riprese, portando in superficie gli strati di roccia piu profondi. Da quand’era nato, il satellite aveva ingoiato una tale quantita di plasma solare da indurre l’umanita sempre affamata di materie prime a invaderlo con navicelle spaziali e trivelle per strappargli la sua eredita. A volte, sul Sole, si scatenavano delle tempeste. Quando accadeva, la superficie si ricopriva di macchie, enormi bolle di plasma emergevano dagli oceani, e la stella scagliava nello spazio un’immensa quantita di radiazioni; il vento solare si trasformava in un uragano che sfrecciava per il Sistema Solare a una velocita doppia del normale. Durante quelle tempeste, per gli astronauti era consigliabile restare all’interno delle basi, dotate di schermi protettivi e, se possibile, non trovarsi in viaggio a
bordo di una nave spaziale. Ogni particella ionizzata che colpiva una cellula umana poteva danneggiare il DNA in modo irreparabile. Gli uragani solari si verificavano ogni undici anni, con frustrante regolarita, e nel 2024 avevano addirittura paralizzato temporaneamente il traffico degli shuttle e costretto gli abitanti delle basi lunari a rifugiarsi sottoterra. Nemmeno le macchine amavano le tempeste di particelle, perché danneggiavano la loro superficie esterna, cancellavano i dati memorizzati sui microchip, causavano malfunzionamenti e mettevano in moto sgradevoli reazioni a catena. Tutti erano d’accordo: le tempeste solari rappresentavano il rischio piu grande per l’astronautica. Il 26 maggio 2025, il respiro del Sole era tranquillo e regolare. Come di consueto, si propagava nell’eliosfera, raggiungeva Mercurio, si mescolava con l’anidride carbonica venusiana e marziana e con l’aria terrestre, penetrava nell’involucro di gas che circonda Giove, Saturno, Urano e Nettuno, si depositava sulle superfici dei rispettivi satelliti e ovviamente colpiva anche la Luna, ogni singola particella a quattrocento chilometri orari. Le particelle si mescolavano con la regolite, si legavano alla polvere grigia, si distribuivano sulle pianure e nelle depressioni dei crateri, e alcuni miliardi di esse entravano in collisione con una donna di dimensioni colossali ai margini della Vallis Alpina nel Nord lunare, protetta da una massiccia corazza in calcestruzzo lunare. Indifferente alla grandine cosmica, il Gaia Hotel sedeva sulla sua sporgenza rocciosa col volto inespressivo rivolto verso la Terra. La donna di Julian sulla Luna... ... l’incubo di Lynn. Il transatlantico spiaggiato sui pendii vulcanici dell’Isla de las Estrellas e l’OSS Grand in orbita erano un parto della sua fantasia. Il Gaia invece era un’idea di Julian, che aveva visto in sogno sua figlia seduta sulla Luna, una creatura di luce sullo sfondo del broccato nero e tempestato di stelle del cosmo. Come al solito, aveva idealizzato la figlia, elevandola a metafora di un’umanita evoluta e purificata. Allora le aveva telefonato prima ancora di alzarsi dal letto, raccontandole la sua visione. E naturalmente Lynn aveva accolto l’idea di un albergo di forma antropomorfa con entusiasmo, si era complimentata col padre e gli aveva promesso che si sarebbe messa subito al lavoro per buttare giu i primi schizzi. In realta, non dormiva da una settimana, aveva portato i suoi disturbi alimentari a un nuovo livello - fino al rifiuto totale del cibo - e aveva iniziato a inghiottire pastigliette verdi per dominare la paura del fallimento. In qualche modo, pero, era comunque riuscita a piazzare quel colosso sul ciglio della Vallis Alpina, una gigantessa che portava il nome della mitica Madre Terra dell’antica Grecia. Gaia.
E le era riuscita bene. La frenesia della realizzazione di quel progetto aveva fatto evaporare anche l’ultima goccia di energia di Lynn, ma il risultato era un capolavoro. Se non altro, tutti pensavano che lo fosse. Lynn non ne era cos sicura. Secondo la logica di Julian, Gaia avrebbe dovuto essere un toccasana per lei: le aveva affidato quel compito come una misura terapeutica contro la terribile malattia dalla quale la figlia era appena uscita, una malattia che, per Julian, era plausibile come l’eventualita che Lynn venisse rapita dagli alieni e portata su un altro pianeta. Come sempre, infatti, Julian si era convinto che la causa della sua sofferenza fosse una mancanza di stimoli, una routine opprimente, che ispessiva il suo sangue altrimenti fluido e vitale. Per anni, Lynn aveva guidato l’Orley Travel, l’azienda turistica del gruppo, in modo esemplare. Forse ora anelava a qualcosa di piu eccitante, a qualcosa di nuovo. Forse era sprecata in quel ruolo. Amministrava il mondo intero, ma il mondo era abbastanza, per lei? Voli suborbitali privati, gite a pagamento sull’OSS, viaggi verso gli hotel piu piccoli sparsi nell’orbita... Tutto cio, alla fine del secondo decennio del nuovo millennio, era ancora nelle mani dell’Orley Space, ma in senso stretto si trattava comunque di turismo. Percio Julian aveva deciso di non affidare la piu grande avventura dell’intera storia del settore alberghiero all’Orley Space, bens alla figlia. La realizzazione di quel progetto titanico era stata semplificata dal fatto che, sulla Luna, tutto pesava sei volte di meno che sulla Terra. La difficolta maggiore era ovviamente stata la totale mancanza di esperienza nella costruzione di edifici a piu piani sulla Luna. Ampie parti della base lunare americana si trovavano sottoterra; il resto era basso e piatto. La Cina aveva rinunciato a una base fissa, dotando i suoi astronauti di veicoli modulari, simili a serbatoi, che si spostavano, seguendo le macchine utensili nei vari punti di estrazione. Al Polo Sud lunare, lungo i bordi del bacino Aitken, una piccola stazione tedesca divideva un posticino con la sua equivalente francese, entrambe concepite per ospitare due persone; nell’Oceanus Procellarum, invece, un vivace robot, operoso e automatizzato, esplorava il suolo alla ricerca del terreno ideale per la costruzione di una base russa che non sarebbe mai stata realizzata. Il Mare della Serenita ospitava un robot indiano; il Giappone era proprietario di un’infrastruttura desolatamente vuota proprio dietro l’angolo. Oltre a cio, la Luna non aveva altro da offrire dal punto di vista edilizio. Tuttavia la ferrovia sopraelevata dimostrava che le costruzioni alte e sottili potevano vantare una certa stabilita nel campo gravitazionale lunare, mentre sulla Terra sarebbero crollate sotto il proprio peso. E il Gaia doveva essere alto. Non un bed and breakfast, bens un monumento alla gloria imperitura dell’umanita... e, ovviamente, una struttura in grado di ospitare duecento dei suoi rappresentanti piu facoltosi. Lynn aveva radunato esperti di design e di statica e aveva dato inizio alla progettazione nel piu stretto riserbo. Quasi subito era emerso il fatto che una figura in piedi sarebbe stata
troppo alta. In alternativa, Gaia era stata disegnata seduta, cosa che aveva suscitato l’approvazione di Julian, il quale si era immaginato il suo hotel proprio cos. Dato che era fuori discussione riprodurre il corpo umano nei dettagli, la squadra di progettisti aveva fuso le gambe della donna in un insieme massiccio, come se indossasse una lunga gonna aderente che terminava in una punta affusolata. Il sedere e le cosce formavano la parte orizzontale dell’edificio che, oltre le ginocchia, si piegava ad angolo retto, gettandosi nella gola senza toccare la roccia retrostante. Quel dettaglio audace era stato piu che sufficiente per spingere Lynn a cercare la compagnia della tazza del water, per vomitare quel poco che riusciva a ingurgitare prima ancora di averlo digerito. E il suo consumo di pastiglie aumentava in maniera proporzionale. Ma Julian era entusiasta e gli esperti sostenevano che era fattibile. Naturalmente «fattibile» era la parola preferita di Julian. La progettazione degli attributi femminili era proseguita col tronco, che in fondo era soltanto un grattacielo con pareti curve anziché lisce. Erano stati disegnati la vita e l’accenno di un seno, quest’ultimo oggetto di accese discussioni. I progettisti uomini lo disegnavano sempre troppo grande. Lynn aveva protestato, dichiarando di non aver intenzione d’impazzire con la statica di un paio di tette da pornostar solo per ottenere un paio di posti letto in piu e pensando - non per la prima volta - che l’idea di mettere una donna sulla Luna fosse terribilmente ottusa. Julian aveva obiettato che, senza seno, quella figura avrebbe ricordato un maschio, e che i tempi fossero ormai maturi perché una donna rappresentasse l’umanita. Un architetto aveva persino insinuato che Lynn fosse una moralista. Seccata, lei aveva dichiarato che non era né allergica al piacere né poco incline a goderne, ma cosa doveva rappresentare Gaia, secondo loro? Un monumento alle tette? La volonta di espansione del seno femminile? Allora facciamolo bombato, aveva detto Julian. Meglio se al limite del fanciullesco, era stata la replica di Lynn. Ma non androgino, aveva protestato il responsabile delle facciate. Pero non sporgente, aveva insistito Lynn. Allora facciamolo delicatamente bombato, era stata la proposta di Julian. A tutti era sembrata la soluzione migliore, ma cosa voleva dire «delicatamente »? Senza dire una parola, una stagista si era seduta davanti al computer e aveva disegnato una curva. Era piaciuta a tutti: fanciullesca senza essere androgina. Il problema era stato risolto. Poi avevano preso forma le spalle - femminili senza essere troppo magre - che confluivano in due torri leggermente arcuate, le quali poggiavano su due palmi appoggiati al suolo. Dal tronco usciva un collo sottile e, sopra di esso, era stata disegnata una testa dalle proporzioni perfette, senza capelli e senza volto: l’elegante profilo di un cranio un po’ sollevato, in modo che Gaia volgesse lo sguardo verso la Terra. A mano a mano che prendeva forma sul monitor, quel mostro provocava crampi di stomaco e faceva sudare profusamente Lynn, che tuttavia aveva accettato anche la sfida seguente: usare piu vetro possibile, pur sal-
vaguardando la protezione contro le radiazioni. Il «viso» di Gaia - aveva annunciato - doveva essere trasparente, perché nella testa bisognava sistemare i ristoranti e i bar. La nuca, invece, sarebbe stata il regno dei cuochi, realizzata con una massiccia corazza di cemento. Di vetro sarebbero state pure la laringe e la curvatura dei seni, dove avrebbero trovato posto le suite. Il pezzo forte, pero, era un’enorme finestra gotica all’altezza dell’addome: quattro piani con la reception, il casino, i campi da tennis e la sauna. Per non parlare del vetro negli stinchi e sul lato esterno delle braccia. D’un tratto, Julian aveva esclamato che quella vetrata gigantesca gli rievocava sgradevoli ricordi d’infanzia, quando lo costringevano ad andare in chiesa. Allora Lynn aveva semplicemente sostituito l’arco a sesto acuto con un arco a tutto sesto e la finestra era rimasta al suo posto. Il resto - la parte posteriore, le spalle, il collo, la parte interna delle braccia, la gabbia toracica, le cosce - sarebbe stato rivestito con corazze di calcestruzzo di regolite, rinforzato da pannelli di vetro con uno strato di acqua in mezzo, per assorbire le particelle e ridurre la dispersione di calore. Col consenso degli americani, il calcestruzzo sarebbe stato ottenuto negli impianti di produzione gia esistenti al Polo Nord lunare, mediante il semplice surriscaldamento, cioe senza aggiunta di acqua e poi colato nelle forme necessarie in un impianto di montaggio automatizzato. Il calcestruzzo lunare era ritenuto dieci volte piu robusto di quello comune, resistente all’erosione, alla radiazione cosmica e ai micrometeoriti; inoltre era poco costoso. Lo scheletro di Gaia aveva preso forma: un poderoso pilone portante centrale formava la spina dorsale e, attraverso di esso, passavano tutti i cavi e i condotti necessari nonché tre ascensori ad alta velocita; da l si dipartivano costole d’acciaio, che avrebbero sostenuto il rivestimento esterno e i pavimenti dei diversi piani, e ancoraggi che penetravano nella roccia sottostante. All’inizio, le controventature erano state considerate inutili finché qualcuno non si era accorto che la struttura sarebbe stata esposta a sollecitazioni di gran lunga maggiori di quanto originariamente ipotizzato, poiché il vuoto circostante non avrebbe opposto resistenza all’atmosfera artificiale all’interno. Diversi elementi erano quindi stati rivisti, tutti i parametri ricalcolati e, alla fine, gli esperti avevano dichiarato risolto il problema. In seguito a quell’episodio, il bagaglio di fantasie di distruzione di Lynn si amplio, includendo un hotel che esplodeva all’improvviso. Invece Gaia era l e risplendeva. Illuminata dall’interno ed esposta all’esterno alla morbida luce bianca di potenti fari che facevano risaltare il suo immacolato rivestimento bianco come la neve. Dopo anni di lavoro, Lynn ce l’aveva fatta. Aveva creato la donna dei sogni di Julian. Alcune stanze piu economiche erano ancora prive di acqua corrente e del sistema di smaltimento rifiuti; nella cappella multiconfessionale, che aveva trovato posto all’altezza delle
ginocchia di Gaia, mancavano ancora i sistemi di sopravvivenza ridondanti, cosa necessaria per soddisfare appieno gli standard di sicurezza; il porto spaziale non c’era, ma forse lo avrebbero costruito in seguito, per consentire il collegamento diretto tra Gaia e l’OSS. D’altro canto, il Lunar Express batteva qualsiasi volo diretto, quanto a divertimento. E una pista di atterraggio per il traffico interlunare esisteva gia. Andava tutto bene. Ma non nella testa di Lynn. Nei suoi incubi, Gaia era collassata su se stessa tante di quelle volte che ormai lei viveva nell’attesa della catastrofe. Tutte le perizie che ingombravano il suo interno erano concordi nel sostenere che non sarebbe mai accaduto, pero lei non riusciva a crederci. Il pensiero di essersi lasciata sfuggire qualcosa l’aveva portata quasi alla pazzia, e la pazzia era distruttiva. Nessuno di voi e al sicuro, penso mentre presentava la donna... «... che, insieme coi suoi collaboratori, si occupera della vostra sicurezza e del vostro benessere ventiquattr’ore su ventiquattro. Cari amici, ho l’onore di presentarvi la direttrice dell’albergo o, meglio, la manager responsabile del Gaia Hotel: Dana Lawrence.» Il Lunar Express aveva raggiunto la stazione in perfetto orario. Per un po’ avevano costeggiato il bordo della gola, il che aveva consentito agli ospiti di godere di una vista spettacolare sulla costruzione di fronte, poi avevano attraversato la sua propaggine piu esterna e si erano avvicinati al Gaia Hotel descrivendo un’ampia curva. A poca distanza dall’albergo c’era una salita, una circostanza che aveva indotto i progettisti a non posare i binari in superficie, ma a scavare un tunnel per raggiungere la stazione, che di conseguenza era sotterranea. I binari terminavano trecento metri prima di un padiglione spoglio. Stavolta non ci fu bisogno di attraversare il vuoto. Alcune passerelle li condussero in un ampio corridoio pressurizzato, provvisto di tappeti mobili, che conducevano nei sotterranei dell’hotel e agli ascensori, a bordo dei quali raggiunsero la hall, piena di divani e di scrivanie eleganti. Negli acquari integrati nelle pareti nuotavano piccoli pesci. Alcune piante ornamentali di un verde primaverile affiancavano un avveniristico bancone della reception, sopra il quale fluttuava un Sistema Solare olografico, con piccoli pianeti che volteggiavano intorno a un luminoso corpo celeste centrale, sulla cui superficie si formavano delle protuberanze. Alzando lo sguardo, si aveva l’impressione che l’ambiente si trasformasse in un caleidoscopio di passerelle di vetro. La reception si trovava nell’addome di vetro di Gaia, dove faceva bella mostra di sé la gigantesca finestra con l’arco a tutto sesto, e cio le conferiva un’aria da cattedrale. Dalla vetrata, si poteva osservare la soleggiata pianura al di la della gola e i piloni della sopraelevata che si perdevano in lontananza. Nel cielo, brillava la familiare sagoma della Terra. Dana Lawrence accenno un saluto. Aveva occhi grigioverdi, attenti e indagatori, e i capelli color rame lunghi fino alle spalle incorniciavano un viso ovale. Gli zigomi alti e le sopracciglia arcuate le conferivano una fred-
dezza inglese, dandole un’aria da donna irraggiungibile, che nemmeno la curva sinuosa delle labbra aveva il potere di smorzare. Se sorrideva, quell’impressione era destinata a dissolversi, ma purtroppo Dana era piuttosto parsimoniosa nel dispensare sorrisi. Sapeva benissimo qual era il suo ruolo, che doveva essere caratterizzato da competenza e serieta, valori cui le persone che volavano sulla Luna attribuivano grande importanza. Fece un passo in avanti. «Grazie, Lynn. Spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento. Come forse saprete, in futuro questo albergo accogliera duecento ospiti e cento dipendenti. Dato che questa settimana avrete l’hotel tutto per voi, ci siamo presi la liberta di ridurre un po’ il personale, ma non vi faremo mancare nulla. I nostri collaboratori hanno una grande esperienza nell’esaudire i desideri ancora prima che vengano formulati. Sophie Thiel...» Si giro verso un gruppetto di giovani sorridenti, tutti vestiti coi colori del gruppo Orley. Si fece avanti una donna giovanile piena di lentiggini. «... e il mio braccio destro: si occupa della gestione dell’albergo e del funzionamento dei sistemi di sopravvivenza. Ashwini Anand...» - una donna graziosa di origine indiana e con lo sguardo fiero annuì «... e responsabile del servizio in camera e, insieme con Sophie, si occupa di tecnologia e logistica. Gli astronauti del passato hanno dovuto sopportare molte cose, specialmente sotto il profilo culinario. La strada dal cibo liofilizzato alla cucina stellare e stata lunga, ma in compenso ora potete scegliere tra i due ottimi ristoranti del nostro chef Axel Kokoschka.» Un uomo tarchiato, completamente calvo, con una faccia da bambino e l’aria timida alzo la mano destra, spostando il peso da una gamba all’altra. «Kokoschka e coadiuvato dal nostro sous chef Michio Funaki, il quale, tra l’altro, vi mostrera come si prepara un sushi appena pescato sulla Luna.» Funaki, magro e coi capelli rasati, accenno un inchino. «Tutti e quattro hanno servito negli alberghi e nelle cucine migliori del mondo, inoltre hanno alle spalle due anni di formazione presso l’Orley Space Center; pertanto sono tutti ottimi astronauti e conoscono alla perfezione i sistemi di Gaia e i mezzi di trasporto locali. In futuro, Sophie, Ashwini, Axel e Michio lavoreranno nel livello centrale del management di Gaia, ma per i prossimi giorni saranno a vostra completa disposizione. Lo stesso vale per me. Non esitate a interpellarmi per qualsiasi cosa. Per noi e un onore avervi come ospiti. Ne siamo molto felici.» Un sorriso, a dosaggio omeopatico. «Se per il momento non ci sono domande, vi mostro l’hotel. Tra un’ora, alle 20.30, serviremo la cena nel Selene.» Sotto la hall c’erano un casino, una sala da ballo completa di palco per le esibizioni, un cocktail-bar e tavoli da gioco. Al piano inferiore iniziava il basso ventre di Gaia e lo spazio si allargava all’altezza delle anche: con grande sorpresa degli ospiti, quel livello ospitava due campi da tennis.
«Fuori ce ne sono altri due. Per gli irriducibili. Giocare a tennis con le tute spaziali non e difficile; l’unico problema sono le palline. Sulla Luna possono volare per parecchie centinaia di metri, percio abbiamo recintato i campi», spiego Dana Lawrence. «E il golf?» chiese Edwards. «Golf sulla Luna?» ridacchio Mimi. «In questo caso, le palline te le puoi proprio scordare.» «Invece e possibile. Abbiamo provato via LPCS. Funziona», intervenne Lynn. «Via LP... cosa?» «LPCS e l’acronimo di Lunar Positioning and Communication System. Intorno alla Luna, orbitano dieci satelliti per consentirci di comunicare e di non ’perderci’. Il campo da golf, Shepard’s Green, si trova dall’altra parte della gola. Noi lo chiamiamo anche ’il campo delle lunghe passeggiate’.» «A chi e intitolato?» chiese Karla. «Al caro, vecchio Alan Shepard», sorrise Julian. «Un autentico pioniere. Atterro con l’Apollo 14 sull’altopiano a sud di Copernico. Quel buontempone aveva davvero portato con sé un paio di palline da golf e una mazza da sei. Ha colpito la pallina e poi ha esclamato: ’Eccola che vola per miglia e miglia e miglia... ’» «Io di sicuro non giochero a golf qui», disse Aileen Donoghue con decisione. «Non e come sembra. Lui non e mai andato a cercare le palline, ma non possono essere andate piu lontano di due-quattrocento metri. Il golf sulla Luna e divertente. Il segreto e non colpire la pallina troppo forte.» «Ma non affondano nella polvere?» «Sono troppo leggere», intervenne Dana Lawrence. «Provateci. Inoltre abbiamo anche un campo pratica olografico qui in albergo. Volete vedere l’area fitness?» Sotto i campi da tennis si estendeva la zona dedicata alla sauna, ma l’elemento piu spettacolare era la piscina; collocata nelle natiche di Gaia, le occupava quasi per intero. Le pareti e i soffitti simulavano il cielo stellato, una Terra olografica illuminava l’ambiente con una luce soffusa, mentre il pavimento e il resto dell’ambiente imitavano l’aspetto della regolite lunare, con catene montuose frastagliate all’orizzonte. Un doppio cratere formava il bacino della piscina, grande come un lago e circondata da lettini. L’illusione di fare il bagno sul suolo lunare era pressoché perfetta. Heidrun si volto verso O’Keefe e sorrise. «Allora, grande eroe? Che ne dici di una gara di nuoto?» «Quando vuoi.» «Attento. Lo sai che sono piu forte di te.» «Stiamo a vedere cosa succede con la forza di gravita ridotta. Magari riesco anche a seminarvi», intervenne gi.
«Dobbiamo assolutamente organizzare una gara di nuoto», dichiaro Miranda. «Io adoro stare nell’acqua!» «Capisco. Tick e Trick sono uccellini acquatici», commento O’Keefe, abbassando lo sguardo. In seguito, visitarono il piano che ospitava le sale riunioni, la cappella multiconfessionale, un centro di meditazione e una tranquillizzante infermeria, lustra come uno specchio. Poi risalirono fino alla gabbia toracica di Gaia. Il gruppo era alloggiato tra il quattordicesimo e il sedicesimo piano, nella bombatura del seno. La reception si trovava quasi cinquanta metri piu in basso. Gli ascensori erano collegati alle suite da passerelle di vetro. Altre passerelle percorrevano i piani inferiori, incrociandosi, come se la disposizione fosse casuale. Nessuna di esse era provvista di ringhiera. «Qualcuno soffre di vertigini?» chiese Dana Lawrence. Sushma Nair alzo timidamente una mano. Alcuni altri apparivano disorientati. Stavolta Dana regalo loro un sorriso un po’ piu caloroso. «Dovete sapere che, se saltate da un muro alto due metri sulla Terra, raggiungete il suolo dopo 0,6 secondi. In questo lasso di tempo, il vostro corpo accelera fino a raggiungere una velocita di circa ventidue chilometri orari. Sulla Luna, lo stesso salto dura tre volte tanto, ma la velocita finale e piu che dimezzata. Questo significa che dovreste saltare da un’altezza di dodici metri per ottenere l’effetto di un salto terrestre di due metri. In altre parole, sulla Luna potete saltare senza problemi dal quarto piano di un palazzo. Percio, quando volete scendere, non prendete sempre l’ascensore; saltate invece da una passerella all’altra. Sono distanziate di quattro metri, un’inezia. Qualcuno vuole provare?» «Io», disse Carl Hanna. Lei lo squadro. Alto, muscoloso, movimenti controllati. «I piu abili saltano anche verso l’alto», aggiunse in tono eloquente. Hanna sorrise e si porto sulla passerella piu vicina. «Se ha mentito, buttatela giu, okay?» disse rivolto agli altri. Donoghue rise. Hanna si diede una spinta, si lancio nel vuoto e atterro quattro metri piu in basso. «È come saltare da un marciapiede », grido verso l’alto. Fu subito imitato da O’Keefe e da Heidrun. «Santo cielo, santo cielo!» esclamo Aileen, guardando i suoi compagni di viaggio e dispensando un «Santo cielo!» a ognuno di loro. «Avanti, gente. Fateci vedere di cosa siete capaci. Tornate su!» li stuzzico Chucky. «Fateci spazio», grido Hanna, agitando la mano. Fecero tutti un passo indietro. Lui fisso il bordo. Sollevando le braccia sopra la testa, misurava quasi due metri e cinquanta, quindi gli restava da superare ancora un metro e mezzo.
«Quanto sei alto?» chiese O’Keefe. «Uno e novanta.» L’irlandese si gratto il mento. «Hmm. Io sono uno e settantacinque. » «Potrebbe non bastare. Heidrun?» «Uno e settantotto. Ma chi se ne importa? Chi non ce la fa offre da bere.» «Te lo puoi scordare. Qui e tutto gratis», ribatté O’Keefe. «Allora sulla Terra. Ehi, a Zurigo. Va bene? Un giro di spezzatino al Kronenhalle.» «S, ma per tutti!» esclamo Julian. «Va bene, saltiamo insieme», decise Hanna. «Spostatevi un po’, cos non ci urtiamo a vicenda... Voi lassu, indietro. Pronti?» «S, capo. Pronta!» Heidrun rise. «Pronti... via!» Hanna si diede una poderosa spinta. Fu incredibilmente facile. Fluttuo verso il bordo della passerella superiore con la rilassatezza di un supereroe, la afferro, si diede un nuovo slancio e atterro in piedi. Accanto a lui svolazzava Heidrun, alla ricerca di un equilibrio. Le mani di O’Keefe minacciavano di perdere contatto col bordo della passerella, poi anche lui riusc a salire con una certa eleganza. «Mi dispiace. Niente da fare per il Kronenhalle», disse. «Siete comunque tutti invitati», esclamo gi, come se volesse abbracciare il mondo intero. «Mai prima d’ora una svizzera aveva compiuto un salto di quattro metri da ferma. Ci rivediamo a Zurigo!» «Ottimista», disse Lynn cos sottovoce che solo Dana Lawrence ud il suo commento. La direttrice dell’albergo rimase interdetta. Si comporto come se non avesse udito quell’osservazione che nascondeva una sfumatura subdola. Cosa stava succedendo alla figlia di Orley? «Tenete a mente che la massa muscolare del vostro corpo si riduce anche in condizioni di gravita ridotta», disse agli ospiti. «Gaia dispone di due ascensori per gli ospiti, E1 ed E2, e di un ascensore riservato al personale, tuttavia vi consigliamo di fare esercizio e di utilizzare la scorciatoia delle passerelle ogni volta che potete. Ma adesso parliamo di comfort. Andiamo nelle vostre stanze.» Hanna si fece spiegare i segreti della sua suite da Sophie Thiel. I sistemi di sopravvivenza della stanza non differivano in nulla da quelli della stazione spaziale. «La temperatura e impostata su 20 oC, ma e regolabile», disse Sophie con un sorriso panoramico, indicando un piccolo pulsante accanto alla porta e avvicinandosi a Hanna in modo quasi spudorato. «La sua suite dispone di un proprio sistema di gestione dell’acqua, acqua meravigliosamente sterile...»
«Non dovrebbe spiegarlo alla gente in questo modo», disse Hanna, guardandosi intorno. Non c’erano dubbi: a Mrs Thiel piacevano i muscoli. «Detta cos, sembra che voglia avvelenare qualcuno.» «Va bene, allora diciamo semplicemente che e acqua fresca.» Sophie rise e lui la fisso. Le palpebre abbassate non permettevano d’indovinare il colore degli occhi; in compenso, quella donna sembrava possedere sessantaquattro denti bianchissimi e una scorta inesauribile di buonumore. Non era affatto bella, eppure emanava uno strano fascino. Era una specie di Pippi Calzelunghe un po’ cresciuta. Una domenica pomeriggio, in un albergo tedesco, mentre aspettava da ore qualcuno che invece ormai galleggiava nel Reno, morto stecchito, Hanna era incappato in quel film e non era riuscito a cambiare canale. Un film vecchio e infantile, ma l’infanzia che vi veniva descritta era cos diversa dalla sua da sembrargli un’opera di fantascienza. Non aveva mai visto un film per bambini, almeno non uno come quello. Da allora, non ne aveva visti altri. Sophie gli mostro la regolazione delle luci, poi apr un minibar e gli spiego quali numeri selezionare se aveva bisogno di qualcosa. Il suo sguardo diceva: «In altre circostanze... Ho lavorato nei migliori alberghi del mondo... Mai con gli ospiti...» Non la si poteva certo considerare invadente. Era professionale e gentile, solo che era un libro aperto. Ma Hanna non era l per divertirsi. «Se ha bisogno di altro...» «Al momento no, grazie.» «Ah, quasi dimenticavo. Nell’armadio, in basso, trova le pantofole lunari.» Fece una smorfia. «Non ci e ancora venuto in mente un nome migliore. Le suole sono di piombo, nel caso desiderasse sentirsi piu pesante.» «Perché dovrei?» «Alcune persone preferiscono muoversi sulla Luna come se fossero sulla Terra.» «Ah, capisco. Molto lungimirante.» Lo sguardo di Sophie diceva: «A meno che non ci metti tutto il tuo impegno...» «Allora... alle otto e mezzo al Selene.» «S. Grazie ancora.» Attese che la donna uscisse. La suite aveva il medesimo stile essenziale della hall. Lui non s’intendeva molto di design, anzi non se ne intendeva per niente, ma l avevano lavorato dei veri esperti, era chiaro anche a un occhio non allenato. Senza contare che, per essere convincente nel suo ruolo, aveva dovuto imparare almeno qualcosa in fatto di stile. Inoltre gli spazi essenziali e ariosi gli piacevano. Per quanto amasse l’India, il chiassoso, confusionario stile indiano lo aveva sempre infastidito.
Il suo sguardo si poso sulla finestra, che occupava un’intera parete. Non avrebbero potuto trovare un posto migliore per l’hotel, penso. La piattaforma sotto Gaia, raggiungibile con gli ascensori, coi suoi campi da tennis deserti, si estendeva per parecchi metri sopra la gola. Sicuramente da l si godeva una vista spettacolare della struttura illuminata dell’hotel. Sulla sinistra, dove le pareti rocciose si avvicinavano e la gola finiva, un sentiero dall’aspetto naturale descriveva un’ampia curva conducendo sull’altro lato. Cosa aveva detto Julian Orley? Il campo da golf si trovava al di la dei binari del Lunar Express. Un campo da golf sulla Luna. D’un tratto, Hanna avvert tutto il disagio che derivava dal fatto di non essere la persona che tutti credevano che lui fosse. Scaccio quella sensazione prima che diventasse opprimente, apr la valigia color argento, tiro fuori il computer - un apparecchio touchscreen di tipo tradizionale grande come una tavoletta di cioccolato - e il beauty-case, da cui estrasse il tagliacapelli elettrico. Con gesti esperti, lo apr e ne estrasse una minuscola scheda elettronica, che inser nel computer. Fischiettando una melodia stonata, avvio la macchina e attese che il programma si aprisse e si collegasse all’LPCS. Pochi secondi dopo, vide che aveva ricevuto un messaggio. Apr la sua casella di posta elettronica. Il messaggio era di un suo amico, che lo sollecitava a non dimenticare il matrimonio di Dexter e Stacey. Indifferente alle nozze di una coppia inesistente, dal file allegato alla missiva estrasse un testo di poche righe, che conteneva indirizzi di parecchie dozzine di siti, clicco su un’icona - un insieme di rettili attorcigliati che sembravano attaccati a un unico corpo - e attese. Qualcosa prese forma. In un batter d’occhio, si formarono sillabe e parole. Il vero messaggio prese forma davanti ai suoi occhi. Mentre la ricostruzione era ancora in corso, lui aveva gia capito che erano sorte alcune difficolta. Il pacco ha subito dei danni. Non risponde piu ai comandi e non e in grado di raggiungere il luogo dell’intervento in modo autonomo. Pertanto il suo piano d’azione e cambiato. Dovra ripararlo, oppure portare il contenuto sul posto. Se le circostanze lo consentono, puo procedere con l’implementazione. Agisca tempestivamente. Hanna fisso il monitor. Le conseguenze presero forma all’istante, come ospiti sgraditi giunti all’improvviso. «Tempestivamente »: agire subito e senza dare nell’occhio. Cio significava uscire e rientrare piu tardi, mentre tutti dormivano. Doveva tornare alla base Peary. CONVERSAZIONI A TAVOLA
Dalla sera della loro amorosa danza orbitale, Tim non aveva piu importunato Amber con le sue speculazioni sullo stato mentale di Lynn. Si ripeteva che quel silenzio era una forma di rispetto nei confronti della moglie, determinata a godersi la vacanza; in verita, altri dilemmi avevano occupato i suoi pensieri. All’inizio, l’idea del viaggio lo aveva irritato, sia per le circostanze che lo avevano favorito sia per la profonda impronta di Julian in tutta la faccenda. Adesso, invece, si stava divertendo, anche se con un retrogusto amaro; gli pareva di essere un traditore, di essere stato corrotto da un biglietto di viaggio. Cercava di convincersi che quegli inattesi slanci di simpatia per il vecchio pifferaio magico avevano origine dall’eccezionalita dell’esperienza che stava vivendo. Eppure si era ripromesso di disprezzare Julian, il megalomane che, nella sua marcia trionfale verso il futuro, calpestava ogni cosa, trascurava i suoi cari o li trasformava in feticci, rivelandosi incapace di cogliere il loro bisogno di un minimo di normalita... Era stato cos meravigliosamente semplice odiarlo. Ma il Julian che lui aveva conosciuto negli spazi angusti della navicella spaziale non era ignorante né egocentrico, almeno non abbastanza per giustificare il pessimo giudizio che Tim aveva di lui. Anzi riportava in superficie ricordi infantili soffusi di ammirazione. Ricordi della madre, Crystal, che, prima di perdere la ragione, aveva spesso affermato che Julian era un uomo gentile e amorevole, paragonandolo a un raggio di sole, portatore di gioia effimera. Un’ora prima della morte di Crystal, l’oggetto di tali lodi era fuggito nella termosfera con un aereo suborbitale di propria costruzione. Eppure sapeva benissimo che la moglie versava in condizioni critiche. Lo sapeva e lo aveva dimenticato per quel breve, decisivo istante che gli aveva consentito di battere un record, vincere un premio e inimicarsi il figlio per sempre. Lynn aveva perdonato Julian. Tim no. Si era dedicato anima e corpo alla demonizzazione del padre e persino in quel momento, mentre la pietra angolare del suo disprezzo si sgretolava, non riusciva a perdonarlo davvero. Quell’hotel non poteva essere nato unicamente dalla logica del profitto e da una spinta distruttiva all’autoaffermazione. Doveva esserci di piu: un sogno, forse, uno slancio troppo grande per essere condiviso solo coi familiari. Che gli piacesse o no, Tim cominciava a capire Julian; il suo impulso febbrile alla scoperta, la sua natura nomade, che gli consentiva di trovare strade la dove gli altri vedevano solo muri, la sua fede nel progresso e nell’innovazione, la sua passione verso la Terra, desiderata come un’amante. Insieme con quel cambiamento di rotta, poi, Tim aveva iniziato a pensare che la sua preoccupazione per la salute di Lynn fosse addirittura un pretesto - inconsapevole, certo - per attaccare Julian; forse in realta gli importava di piu accusare il padre di far soffrire Lynn che sapere se soffriva veramente. Alla fine si era convinto che in realta lei stava bene, proprio come affermava, e che lui non doveva
vergognarsi di aver adottato un atteggiamento piu conciliante. Cos, improvvisamente, durante la cena nel «naso» di Gaia, col panorama della gola davanti agli occhi, Tim ebbe voglia soltanto di divertirsi, senza lasciarsi opprimere dai fantasmi che, come cattive compagnie, lo accompagnavano ovunque. «Sembra che ti piaccia», constato Amber. Erano seduti a un lungo tavolo all’interno dell’ambiente nero, argento e blu del Selene e mangiavano barbo rosso con risotto allo zafferano. Il pesce era gustoso come se fosse stato appena pescato. «Allevamento ittico in acqua salata», spiego Axel Kokoschka, il cuoco. «Abbiamo grandi vasche nei sotterranei.» «Non e complicato ricreare quassu le condizioni di vita oceaniche? Voglio dire, non basta semplicemente versare del sale nell’acqua, vero?» volle sapere Karla Kramp. Kokoschka rifletté. «No, non e cos semplice», rispose infine. «Anche sulla Terra la salinita e differente da biotopo a biotopo, giusto? Non ci vuole una composizione speciale per ricreare un ambiente in cui i pesci possano sopravvivere? Cloruro, solfato, sodio, tracce di calcio, potassio, iodio, eccetera?» insistette Karla. «Giusto, un pesce deve sentirsi a casa.» «Sto solo cercando di capire. Non e forse vero che molti pesci sopravvivono grazie all’esposizione a correnti sottomarine, un apporto di ossigeno costante, una certa temperatura, cose del genere?» Kokoschka annu, pensieroso, si passo la mano sulla pelata con un sorriso timido, si gratto la barba incolta e disse: «Esatto ». Poi spar. Karla lo segu con lo sguardo, allibita. «Grazie per avermelo spiegato», grido nella sua direzione. «Un uomo di poche parole, eh?» sorrise Tim. Lei infilzo un pezzo di pesce e lo fece sparire tra le labbra alla Modigliani. «Se e capace di cucinare il pesce in questo modo sulla Luna, per me puo anche farsi tagliare la lingua.» I quattro piani del cranio di Gaia, completamente rivestito di vetro sul lato anteriore, ospitavano due ristoranti e due bar. Le vetrate s’inarcavano fino alle tempie, cosicché, in qualsiasi punto ci si trovasse, era possibile godere di una vista spettacolare. Selene e Chang’é, i due ristoranti, occupavano la meta inferiore; al piano superiore si trovava il Luna Bar e in cima c’era il Mama Quilla Club, dove si poteva ballare sotto le stelle. Da l, un passaggio pressurizzato conduceva al punto piu alto dell’albergo, una terrazza panoramica, alla quale si poteva accedere solo indossando le tute spaziali, e che offriva una spettacolare vista a trecentosessanta gradi. A parte il timido Kokoschka, Ashwini Anand, Michio Funaki e Sophie Thiel furono assai premurosi coi loro ospiti e Lynn ricevette i complimenti di tutti: distribu inform-
azioni, rispose a ogni domanda con brio e precisione, si dimostro di buonumore e piuttosto lusingata per quelle lodi. Per un po’, gli argomenti di conversazione spaziarono dalla Luna al Gaia Hotel e alla qualita del cibo. Poi l’attenzione si sposto su un altro tema. «Chang’é... non e un termine dell’astronautica cinese?» chiese Mukesh Nair, tagliando un filetto di capriolo trifolato e ricoperto di sottilissime fette di pane abbrustolito spalmate di foie gras. «S e no.» Rogacev sorseggio il suo Château Palmers a bassa gradazione alcolica. «Si chiamavano cos alcune sonde cinesi lanciate all’inizio del millennio per esplorare il suolo lunare. In realta si tratta di una figura mitologica.» «Chang’é, la ’donna della Luna’», annu Lynn. Nair sorrise. «Sembra che Gaia abbia la testa piena di mitologia. Selene era la dea della Luna per i greci, mentre gli antichi romani chiamavano appunto Luna quella stessa dea...» «Questo lo so persino io», si rallegro Miranda. «Luna e Sole, quello scocciatore. Gli dei dell’eternita, sapete, si alternavano di continuo senza sosta. Uno arrivava e l’altra gli lasciava il posto, come turnisti.» «Sole e Luna, due turnisti. È evidente.» Rogacev sorrise. «M’interesso di divinita e di astrologia. Le stelle ci predicono il futuro.» Miranda si sporse in avanti, facendo ombra coi seni - coperti da un luccicante nulla - ai resti di capriolo nel suo piatto. «E sapete una cosa? Volete sentire un’altra cosa?» La sua forchetta fendeva l’aria. «Alcuni eletti, ovvero quei pochi che se ne intendevano davvero nell’antica Roma, la chiamavano Luna noctiluca e, in suo onore, di notte veniva illuminato un tempio sul Palatino, uno dei colli della citta. Ci sono stata, tutta Roma e piena di colline, cioe, non e una citta in collina, e la citta a essere collinosa, ecco.» «Dovrebbe illustrarci un po’ piu spesso le meraviglie del mondo», disse Nair con gentilezza. «Cosa significa ’noctiluca’? » «’Che illumina la notte’», rispose Miranda, festosa, ricompensando se stessa con un sorso di vino rosso. «E Mama Quilla?» «Dev’essere una qualche mamma, credo... Julian, cosa vuol dire Mama Quilla?» «Be’, a un certo punto eravamo a corto di divinita lunari. Ma Lynn e riuscita a scovarne di nuove. Ningal, la consorte del dio lunare sumero Sin; l’araba Kusra, l’Iside egiziana...» spiego Julian, divertito. «Pero Mama Quilla e quella che ci e piaciuta di piu», intervenne Lynn. «Madre Luna, la dea degli inca. I discendenti di quella cultura la adorano ancora oggi come protettrice delle donne sposate...»
Olympiada Rogaceva drizzo le orecchie. «Ah, s? Credo che questo bar diventera il mio preferito.» Suo marito rimase impassibile. «È sorprendente che abbiate scelto una divinita lunare cinese », disse Nair per dissipare l’atmosfera d’imbarazzo. «E perché mai? Ha qualche pregiudizio?» chiese Julian in tono innocente. «Be’, lei e il maggiore concorrente della Cina!» «Non io, Mukesh. Gli Stati Uniti.» «S, certo. Tuttavia, al nostro tavolo, stasera vedo americani, canadesi, inglesi e irlandesi, tedeschi, svizzeri, russi e indiani. Inoltre, fino a pochi giorni fa, abbiamo avuto un compagno di viaggio francese. Ma non vedo nemmeno un cinese.» «Non si preoccupi, ci sono», rispose Julian, imperturbabile. «Se non vado errato, scavano la regolite a non piu di mille chilometri a sud-ovest da qui.» «Ma qui non ce ne sono.» «Nessun cinese investirebbe nei nostri progetti. Loro vogliono il proprio ascensore spaziale», disse Julian. «Non e quello che vogliamo tutti?» osservo Rogacev. «S, ma come ha notato lei stesso, Pechino sta gia estraendo l’elio-3, a differenza di Mosca.» «A proposito dell’ascensore spaziale.» gi ammucchiava fois gras sui pezzi di carne rosso scuro. «È vero che sono a un passo dal successo?» «I cinesi?» «Mhm.» Julian gli rivolse un sorriso eloquente. «Continuano a ribadirlo. Ma, se cos fosse, Zheng Pang Wang non sfrutterebbe ogni possibile occasione per prendere un te in mia compagnia.» Mukesh Nair si appoggio sui gomiti. «Temo che i suoi amici americani non sarebbero felici di vederla flirtare coi cinesi, soprattutto dopo la crisi lunare dell’anno scorso. Voglio dire, forse lei non e cos libero di decidere come vorrebbe far credere.» Julian arriccio le labbra. Il suo volto si oscuro, come succedeva sempre quando lui era in procinto di dichiarare la propria indipendenza da ogni forma di governo. Poi allargo le braccia con aria rassegnata. «Qual e il motivo della vostra presenza qui? Per quanto insistano sull’efficienza dei propri programmi spaziali, in pratica tutti gli Stati sarebbero pronti ad affidarsi alla guida degli americani, se dovessero ricevere un’offerta in tal senso. Diciamo che sarebbero disposti a una collaborazione alla pari; in altre parole, rimpinguerebbero le casse della NASA in cambio del diritto di estrazione delle materie prime. Ma quell’offerta non arriva, ovvio. Tuttavia esiste un’alternativa. È possibile sostenere me, aderire a un’offerta riservata
agli investitori privati. Non rendo pubblico il know-how, invito la gente a parteciparvi. Chi sara della partita potra guadagnare somme ingenti, ma non cedere formule e progetti a terzi. Questo e il motivo per cui i miei partner a Washington non sono felici della nostra piccola riunione. Sanno che, nell’immediato futuro, nessuno dei vostri Paesi sarebbe in grado di costruire un ascensore, per non parlare delle infrastrutture per l’estrazione dell’elio-3. Mancano le basi, mancano i mezzi... insomma manca tutto. Di conseguenza, per persone del vostro livello, investire nei programmi spaziali nazionali si risolverebbe in una perdita. Ecco perché Washington e disposta a credere che qui parleremo soltanto di partecipazioni... Ma il caso della Cina e diverso. Pechino ha gia costruito un’infrastruttura. Sta gia estraendo l’elio-3. I cinesi hanno preparato il terreno, tuttavia sono limitati dalle tecnologie obsolete. Questo e il loro dilemma. Sono gia troppo avanti per potersi agganciare a qualcun altro... in fondo a loro manca solo quel dannato ascensore. Mi creda, nessun cinese, che sia un politico o un imprenditore, metterebbe anche un solo yuan nelle mie mani, a meno che...» «... non riescano a comprarti. È questo il motivo per cui Zheng Pang Wang prende il te in tua compagnia», concluse Evelyn Chambers, che seguiva piu discorsi contemporaneamente. «Se stasera ci fosse un cinese seduto al nostro tavolo, di certo non sarebbe interessato a una partecipazione. Washington penserebbe che sto vagliando un’offerta di trasferimento di know-how. » «Non lo sospetta gia a causa della sua frequentazione con Zheng?» chiese Nair. «In questo settore ci s’incontra in continuazione. A congressi, simposi... E allora? Zheng e un uomo divertente, mi piace.» «Ciononostante i suoi amici sono nervosi, vero?» «Ne hanno tutte le ragioni. Chi arriva quassu inizia a scavare, e automatico.» Ögi si pul i baffi e lascio cadere il tovagliolo accanto al piatto. «Perché non lo fa, Julian?» «Cosa? Cambiare fronte?» «No, no. Nessuno pretende che lei cambi fronte. Ma perché non vende la tecnologia dell’ascensore a tutti i Paesi che la vogliono e si lascia ricoprire d’oro? Sulla Luna si creerebbe una prosperosa concorrenza, che darebbe nuovo impulso al settore dei reattori. Lei potrebbe ottenere partecipazioni mondiali per l’estrazione, contratti di esclusiva per la fornitura di corrente elettrica... proprio come il nostro amico Tautou, oggi purtroppo assente, controlla l’acqua potabile facendosi intestare intere sorgenti come contropartita per gli impianti di depurazione e le reti di approvvigionamento.» «In tal modo non passerebbe da una dipendenza a un’altra, ma tutti dipenderebbero da lei», concluse Rogacev, alzando il bicchiere in direzione di Julian con un sorriso ironico. «Un vero amico dell’umanita.»
«E credete che una cosa del genere funzionerebbe?» s’intromise Rebecca Hsu. «Perché no?» chiese Ögi. «Concedere l’accesso alla tecnologia dell’ascensore alla Cina, al Giappone, alla Russia, all’India, alla Germania, alla Francia e a chissa chi altro ancora?» esclamo Rebecca, perplessa. «Un accesso a pagamento», la corresse Rogacev. «Non e una buona idea, Oleg. In men che non si dica, si azzufferebbero tutti, quassu come sulla Terra», obietto Rebecca. «La Luna e grande», s’intromise Evelyn. «No, la Luna e piccola», sospiro Rogacev. «Cos piccola che i miei vicini comunisti e i suoi amici americani, Julian, non hanno trovato di meglio da fare che scegliersi la stessa area per l’attivita estrattiva. Sono bastate due nazioni» - alzo l’indice e il medio - «per innescare un conflitto eufemisticamente definito ’crisi lunare’. Il mondo si e ritrovato sull’orlo di uno scontro fra superpotenze. » «Perché hanno scelto la stessa zona? Per errore?» chiese innocentemente Miranda. Julian scosse la testa. «No. Perché le misurazioni facevano supporre che tra l’Oceanus Procellarum e il Mare Imbrium fossero presenti altissime concentrazioni di elio-3, in quantita normalmente rilevabili solo sulla faccia nascosta. Altrettanto ricca sembra la vicina baia Sinus Iridum, a est dei montes Jura. È normale che tutti vogliano scavare proprio l.» Rebecca inarco le sopracciglia. «E crede che questo cambierebbe se partecipassero ancora piu Paesi?» «S. Ammesso che ci si spartisca la Luna prima che l’esercito dei cercatori d’oro si metta in moto. Pero lei ha ragione, Rebecca. Avete tutti ragione. Devo ammettere che la prospettiva di trasformare l’astronautica in una risorsa per l’umanita intera mi tenta alquanto.» Nair sorrise. «È comprensibile. Sarebbe una buona azione e lei potrebbe solo guadagnarci.» «Gia, e ci guadagneremmo pure noi», annu Ögi. «S, sarebbe bello.» Rogacev appoggio le posate sul tavolo. «C’e solo un problema, Julian.» «Quale?» «È possibile sopravvivere a un tale cambiamento di rotta?» HANNA Per dessert furono servite tortine tiepide al cioccolato, il cui ripieno liquido e denso si mescolava con la salsa di frutta che guarniva il piatto. Verso le dieci, una coltre di sonnolenza si poso sui commensali. Julian annuncio che il mattino seguente avrebbero dormito per recuperare le forze e, successivamente, gli ospiti avrebbero potuto godersi i comfort dell’hotel op-
pure esplorare i dintorni. Dana Lawrence si assicuro che i convitait fossero soddisfatti della cena e tutti furono prodighi di complimenti. «Continuo a pensare che, se non avessimo girato questo film, Kurt Cobain non avrebbe nulla da dire ai ragazzi di oggi», disse O’Keefe a Hanna in ascensore. «Guarda che fine ha fatto il grunge. Nei cestoni di CD in superofferta. Ormai nessuno s’interessa piu ai tipi come Cobain. I giovani preferiscono quella roba artificiale tipo i The Week That Was, gli Ipanema Party, gli Overload...» «Ma anche tu hai suonato in una band grunge», obietto Hanna. «S, e ho smesso. Dio mio, avevo dieci anni quando Cobain e morto. Mi chiedo che ci trovassi in lui.» «Ma cosa dici? Tu l’hai portato sullo schermo.» «Gia, ma se interpreti Napoleone, mica vuol dire che vuoi conquistare l’Europa. La gente pensa sempre che gli eroi del proprio tempo siano importanti. Mah. Nel pop ci sono sempre album importanti, che vent’anni dopo non conosce piu nessuno.» «La grande musica resta.» «Stronzate. Chi si ricorda di Prince? Chi conosce Axl Rose? E Keith Richards, che la gente ricorda solo come il mediocre chitarrista di un gruppo rock sempre uguale a se stesso? Credimi, le pop star sono sopravvalutate. Tutte le star sono sopravvalutate. Per principio. Non entriamo nella storia, ci rimpiccioliamo progressivamente fino a scomparire. A meno che non ci suicidiamo o veniamo uccisi.» «Allora perché oggi tutti s’ispirano agli anni ’70 e ’80? Se quello che dici fosse vero...» «Okay, e la moda del momento.» «Dura da un po’.» «E allora? Tra dieci anni i modelli saranno altri. I Nucleosis, per esempio, adesso vanno per la maggiore. Due donne e un computer, e il computer compone quasi tutta la musica.» «I computer ci sono sempre stati.» «Ma non componevano la musica. Dammi retta, le star del futuro saranno le macchine.» «Sciocchezze. Questo si diceva anche venticinque anni fa. E cos’e successo? Sono tornati alla ribalta i cantautori. La musica fatta in casa non scomparira.» «Puo darsi. Forse siamo semplicemente troppo vecchi... Buonanotte. » «’Notte, Finn.» Hanna percorse la passerella che conduceva alla sua suite ed entro. Nel corso della serata aveva diligentemente seguito le conversazioni a tavola senza pero mai impelagarsi in discussioni complesse. Per un po’, aveva cercato di condividere la passione di Eva Borelius per l’equitazione, e poi l’aveva guidata sul terreno musicale, solo per ritrovarsi nella palude della musica romantica tedesca, di cui non capiva nulla. O’Keefe lo aveva salvato, con le sue
osservazioni sullo stato comatoso del britpop alla fine degli anni ’90, sul mando-prog e sullo psychobilly... proprio quello che ci voleva quando si aveva la testa da un’altra parte, come nel caso di Hanna. Ben presto sarebbero andati tutti a dormire. Sulla navicella spaziale erano stati preparati al fatto che i giorni passati in assenza di gravita, gli strapazzi dell’allunaggio, i cambiamenti cui era sottoposto il fisico e la marea di nuove impressioni avrebbero chiesto il loro tributo. All’altezza del letto, la stanza era protetta da uno strato di massiccio calcestruzzo lunare, cosicché al massimo entro un’ora nessuno avrebbe dato piu un’occhiata all’esterno. Il personale, invece, alloggiava nei sotterranei. Quindi bastava aspettare. Si sdraio sul materasso ridicolmente sottile, sufficiente comunque per accogliere i suoi sedici chilogrammi di peso corporeo, incrocio le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi per un momento. Poi, rendendosi conto che, se fosse rimasto l, si sarebbe addormentato, e che aveva ancora parecchie cose da fare prima di uscire, torno nella zona giorno e, fischiettando, tolse la chitarra dalla custodia. Le sue dita accennarono un breve flamenco, poi lui appoggio lo strumento sulle ginocchia e lo giro, tasto i bordi premendo in alcuni punti, estrasse il bottone per agganciare la cinghia e sollevo il fondo. All’interno c’era un pannello che riprendeva la forma dello strumento, dello stesso colore del legno e ricoperto da un reticolo di linee sottilissime. Il servizio di sicurezza di Orley non aveva perquisito il suo bagaglio, come avrebbe fatto con un normale turista; si era limitato a porgli qualche semplice domanda. Nessuno poteva immaginare che quella chitarra non era una vera chitarra. Gli ospiti di Julian erano al di sopra di ogni sospetto... e comunque un’eventuale esposizione ai raggi X avrebbe soltanto evidenziato che lo strumento aveva un fondo piu spesso del normale. Anche quel fatto, poi, sarebbe stato colto unicamente da un esperto, il quale tuttavia non avrebbe avuto modo di capire che si trattava di due fondi sovrapposti e che quello interno era di una plastica speciale ed estremamente resistente. Hanna premette coi pollici sul pannello, staccando alcuni pezzi che caddero sul pavimento come tessere di un puzzle. Poi stacco il manico della chitarra e ne estrasse un tubo lungo quasi mezzo metro, che divise a meta, facendone uscire numerosi tubicini che caddero a terra. Hanna li ammucchio da una parte, apr la valigia e svuoto il beauty-case. Mise il bagnoschiuma, lo shampoo e i tappi per le orecchie modellabili a portata di mano, tolse il cappuccio da uno dei due tubetti di crema idratante, applico un po’ del contenuto trasparente su uno dei pezzi e ci premette sopra, ad angolo retto, un altro pezzo per farlo aderire. Tra la crema e la plastica ebbe luogo un’istantanea reazione chimica. Hanna sapeva che da l in poi non avrebbe potuto permettersi il minimo errore, dato che il montaggio non era reversibile. Lavoro con concentrazione, senza fretta. Svito una pallina da golf, estrasse alcuni minuscoli componenti elettronici, assemblo altri pezzi e li inser. Pochi minuti dopo, aveva tra le mani un
oggetto piatto da cui sporgeva un pezzo di tubo simile alla canna di una pistola... e in effetti l’oggetto aveva proprio quella funzione. L’aspetto era bizzarramente arcaico. Aveva un’impugnatura ma, al posto del grilletto, c’era un interruttore a leva. Con gli elementi restanti, Hanna costru un’altra pistola - identica alla prima -, sottopose entrambe le armi a un’accurata ispezione e poi passo alla fase due. Smonto altri oggetti del suo beauty-case e li riassemblo in un modo diverso, fino a ottenere venti proiettili, ognuno dei quali composto da camere riempibili separatamente. Con estrema cautela, distribu piccole quantita di bagnoschiuma nella camera sinistra e di shampoo nella camera destra, poi le sigillo. Inser nei tubicini prelevati dal manico della chitarra un pezzettino di tappo per le orecchie e alcune piccole capsule trasparenti prese da una confezione di medicinali contro il mal di stomaco. Quindi chiuse i tubicini coi proiettili, ne inser cinque nell’impugnatura della prima arma e cinque nella seconda. Infine rimise il fondo al suo posto nella cassa della chitarra, rimonto il manico, raccolse i resti del pannello di plastica e li sistemo in fondo alla valigia, e infilo tubetti e flaconi nel beauty-case. Ma si blocco davanti al dopobarba. Ah, gia. Osservo il flacone con aria assorta. Poi lo prese, tolse il cappuccio, lo alzo e premette piu volte sull’erogatore, spruzzandone il contenuto sul mento. Il dopobarba era un dopobarba. Quando usc dalla suite, non incontro nessuno. Indossava la tuta spaziale, l’attrezzatura e lo zaino coi sistemi di sopravvivenza, e teneva il casco sottobraccio. Una delle armi cariche premeva contro la sua coscia, nascosta in una tasca, impossibile da notare. Inoltre aveva con sé altri cinque proiettili. Era abbastanza sicuro che non ci sarebbe stato bisogno di usare la pistola, quella notte. Se tutto fosse andato come previsto, non sarebbe stato costretto a usarla mai, pero l’esperienza gli diceva che gli errori s’insinuavano anche nei piani piu perfetti con l’impertinenza d’insetti fastidiosi. Forse, in un dato momento, avrebbe avuto bisogno dei servigi dell’arma. Da quel momento in poi, lo avrebbe accompagnato ovunque. Il corpo vuoto di Gaia sembrava un monumento sopravvissuto ai suoi costruttori. In basso, la hall era deserta. Hanna attese che si aprissero le porte dell’ascensore E2, entro nella cabina e premette il pulsante del livello 01. L’ascensore sfreccio verso i sotterranei. Quando si fermo, lui scese e segu i cartelli fino a raggiungere l’ampio corridoio che gli ospiti avevano percorso solo poche ore prima. Anche quello era deserto, immerso in una fredda luce bianca e percorso da un ronzio monotono. Hanna sal su un tappeto mobile, che si avvio, passo accanto ai boccaporti che davano sull’esterno, attraverso il portone che dava accesso al garage - come veniva chiamata la pista di atterraggio sotterranea dell’hotel -, poi segu una
diramazione che conduceva a uno stretto tunnel lungo due metri, dal quale si raggiungeva un piccolo reattore per l’elio-3 che aveva il compito di rifornire Gaia di energia durante la notte lunare. Scese dal tappeto mobile e sbircio in una delle finestre che davano sul padiglione della stazione ferroviaria. Il Lunar Express sonnecchiava sui binari, collegato al corridoio mediante alcuni tunnel. Sal sul treno e passo tra i sedili fino a raggiungere il pannello di comando. Il computer di bordo era acceso, il display illuminato. Hanna inser un codice e attese l’autorizzazione. Poi si volto, prese posto nella prima fila di sedili e allungo le gambe. Nulla di tutto cio sarebbe stato possibile se lui fosse stato un semplice ospite. Ma Ebola aveva preparato la sua missione. Ebola faceva in modo che sulla Luna non ci fossero ostacoli per Carl Hanna: nessuna porta sbarrata, nessun settore inaccessibile. Il Lunar Express si avvio lentamente. Nel corso dei suoi quarantaquattro anni di vita, Hanna aveva imparato a tenere le cose ben distinte. In India, aveva partecipato a una serie di operazioni sotto copertura che, se fossero venute alla luce, difficilmente lo avrebbero fatto apparire come un amico del Paese. Nel contempo, aveva stretto amicizia con persone del luogo e convissuto con donne indiane. Danneggiava gli interessi dei suoi ospiti, affossava l’autonomia economica e militare di quella popolosa nazione tuttavia, a differenza di molti suoi colleghi, non frequentava squallidi bar, locali equivoci o costosi club provvisti di licenza per la vendita di alcolici, scolando whisky e liquori al cocco e facendo osservazioni razziste sugli indiani. Aveva invece cercato d’integrarsi: aveva affittato un piccolo ma dignitoso appartamento in un quartiere centrale di Nuova Delhi e aveva sviluppato una vera passione per il curry e i mercatini delle spezie. Pur non essendo un tipo particolarmente socievole, con gli anni si era affezionato a quella cultura e alla gente, e per un po’ aveva persino sognato di stabilirsi definitivamente sulle rive del fiume Yamuna. Quando non svolgeva il suo lavoro, che richiedeva un grande talento per l’imbroglio e una spiccata propensione per la menzogna, cercava insomma di condurre una vita normale, fedele al motto dell’India: Satyameva Jayate, cioe «Solo la verita vince». La sua esistenza schizofrenica non gli pesava, ma anzi lo aiutava a tenere distinti Hanna il cittadino e Hanna il bugiardo in modo che non si pestassero i piedi. Anche adesso, pur avendo ben presente il suo compito, si godette il viaggio, ammirando la sterminata pianura del Mare Imbrium, il gioco di luci e ombre intorno al cratere Platone, l’opprimente asprezza delle montagne polari, la ripida salita. Di nuovo fu avvolto dall’oscurita mentre il treno percorreva il passaggio tra il cratere Peary e il cratere Hermite, diretto verso la base lunare americana a settecento chilometri all’ora. Poi, improvvisamente, il convoglio prese a rallentare. E si fermo.
Il Lunar Express se ne stava a fianco di una montagna, nel bel mezzo della terra di nessuno della regione dei crateri polari, a nemmeno cinquanta chilometri dalla base. Hanna si alzo e si diresse verso la sezione centrale del treno, dove c’era una serie di armadietti chiusi con una copertura avvolgibile. Ne apr uno e localizzo il kit di montaggio all’interno. Studio le istruzioni sul lato posteriore, poi estrasse una piattaforma ovale con sostegni telescopici ripiegabili, otto piccoli serbatoi sferici, ugelli orientabili dotati di bracci, due batterie cariche e una barra massiccia provvista di maniglie, tra le quali brillava un display. L’assemblaggio fu semplice; in fondo, quel veicolo, chiamato «grasshopper », cioe «cavalletta», era stato progettato per le emergenze, quindi i viaggiatori dovevano cavarsela da soli, in caso le guide fossero fuori gioco. A montaggio completato, coi suoi arti flessibili, offriva posto per due astronauti: quello seduto davanti avrebbe manovrato i comandi. Hanna lo trascino verso il boccaporto pressurizzato, torno agli armadietti, tiro fuori una cassetta degli attrezzi e un apparecchio di misurazione e sistemo entrambi gli oggetti in un vano sul fondo del grasshopper. Poi indosso il casco e fece eseguire alla tuta i consueti test automatici prima di attivare l’aspirazione dell’aria. Pochi secondi dopo, si apr il portello esterno. La macchina inizio il rilevamento. Hanna inser le coordinate nel pannello di comando del grasshopper, sapendo che il sistema LPCS gli avrebbe permesso di localizzare il pacco. Noto con sollievo che comunicava ancora; in caso contrario, ogni speranza di ritrovarlo in quel deserto frastagliato sarebbe stata vana. Ma, se i sistemi elettronici funzionavano, allora doveva avere un problema meccanico. Aziono i propulsori, usando gli ugelli orientabili per modificare la direzione: il grasshopper si sollevo e accelero. Quel tipo di veicoli aveva per sua natura un raggio d’azione limitato; tuttavia la mancanza d’aria aveva anche i suoi lati positivi, dal momento che non c’era nessun attrito a frenare il moto, una volta innescato. Con una velocita massima di ottanta chilometri orari, i piccoli serbatoi sferici consentivano percio di coprire distanze considerevoli. Il segnale lo raggiunse da poco meno di sei chilometri di distanza. All’ombra della parete del cratere, Hanna non vedeva nulla e doveva affidarsi ai deboli coni di luce dei fari di bordo, che guizzavano davanti a lui come se volessero sfuggirgli. Solo i sistemi radar del grasshopper evitavano la collisione con spuntoni di roccia e sporgenze. Una pianura illuminata si stagliava in lontananza, in netto contrasto col contorno nero dell’ombra della montagna, e la luce del sole accarezzava il bordo del cratere. I binari del Lunar Express sembravano persi tra le pareti rocciose in direzione della valle piu vicina, verso quella pianura in leggera salita che portava direttamente alle spalle del cratere Peary, dove il pacco avrebbe dovuto recarsi in completa autonomia. Il suo segnale, invece, condusse Hanna nella direzione opposta, nell’occhio del cratere.
Regolo la spinta propulsiva. Il grasshopper perse quota, le sue dita di luce tastarono una roccia tagliente. Il suolo era coperto di sassi appuntiti, inquietanti testimoni del fatto che, non molto tempo prima, sulla valle silenziosa si era abbattuta una frana. Poi il paesaggio divenne pianeggiante e il rilevatore segnalo a Hanna che avevano quasi raggiunto la meta. Mancavano pochi metri. Hanna attivo i freni e scruto il suolo alla ricerca di un punto dove atterrare. Evidentemente non aveva ancora raggiunto il fondo del cratere; il suolo era troppo in pendenza e frastagliato. Quando infine scorse uno spiazzo adatto, si vide costretto a percorrere un chilometro e mezzo a piedi, scivolando e saltando, col costante rischio di perdere l’equilibrio e di squarciare la tuta contro una delle rocce circostanti, taglienti come coltelli. Il fascio di luce del suo casco vagava sperduto tra cumuli di detriti incolori. Barcollo piu volte, alzando nuvole di finissima polvere lunare carica di elettricita statica, che gli si attaccava alle gambe come uno sciame di zecche. Sassolini saltavano davanti a lui, improvvisamente animati... quindi il paesaggio scomparve e la luce si perse in un nero senza contorni. Si fermo, spense il faro del casco, spalanco gli occhi e attese. La vista era stupefacente. Lo scintillio di miliardi di stelle della Via Lattea sopra di lui. Nessun inquinamento luminoso, solo il grasshopper in lontananza con la luce di posizione accesa sul retro, un puntino. Hanna era solo. Sulla Luna. Niente di quello che aveva vissuto era paragonabile con quell’esperienza, cos travolgente da fargli dimenticare per un istante la sua missione. Ogni limite che separava l’uomo dall’esperibile si dissolse. Era senza corpo, una cosa sola col mondo non duale. Tutto era Hanna, tutto riposava in lui, e lui era dentro il Tutto. Gli venne in mente che un sadhu - un mistico indiano - gli aveva spiegato che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto bere l’intero oceano Indiano in un unico sorso. E adesso eccolo la, sulla Luna, ad assorbire l’intero universo. Attese. Dopo un po’ - proprio come aveva sperato -, si rese conto che l’oscurita non era cos impenetrabile. Era attraversata da fotoni, deviati dalla parete opposta del cratere illuminata dal sole. Come una fotografia che prende forma, l’ambiente circostante inizio a mostrare i suoi contorni, piu intuibili che visibili, rivelando che il pendio sotto i suoi piedi era un imbuto superabile con pochi passi. Riaccese la luce. L’incanto si dissolse. Riscuotendosi dai suoi pensieri, Hanna si rimise in marcia, tenendo il display del computer davanti agli occhi, cos concentrato che vide l’oggetto solo un attimo prima di travolgerlo. Un’asta, enorme e lunghissima. Hanna barcollo, lasciando cadere la cassetta degli attrezzi e il misuratore. Cosa significava? Il segnale aveva origine almeno trecento metri piu in la. L’oggetto per poco non gli
aveva fracassato il casco. Imprecando, inizio a girargli intorno. Dopo una breve ispezione, concluse che il trasmettitore di segnale era a posto. Il mucchio di rottami non era di nessun interesse. Una struttura con quattro piedi e serbatoi vuoti, messa di lato, parzialmente coperta di terra. Aveva avuto il compito di portare al Polo quel contenitore che l’organizzazione chiamava «il pacco », e che inviava il segnale. Ma il pacco non c’era. Doveva trovarsi ancora piu in basso. Quando infine lo vide, incastrato fra le rocce, si rese conto che era parecchio malridotto. Parti del rivestimento laterale erano distrutte; i piedi e gli ugelli erano in parte piegati e in parte spezzati; i serbatoi del propellente penzolavano dal corpo come grosse uova d’insetto. Evidentemente il pacco aveva avviato le operazioni per raggiungere il luogo d’intervento, come da programma, poi era accaduto qualcosa. E all’improvviso Hanna seppe anche cosa. Il suo sguardo si alzo verso le cime chiare della montagna. L’unita di allunaggio si era posata troppo vicino al bordo del cratere, senza dubbio, ma la cosa in sé non era un problema. Gli ingegneri avevano calcolato delle tolleranze, tra cui anche l’eventualita che la struttura e il pacco precipitassero nel cratere. La meccanica doveva restare protetta fino al momento in cui i sensori avessero segnalato un fondo stabile o un allunaggio completato. Dopo, il pacco si sarebbe staccato dalla struttura, avrebbe fatto uscire le estremita e se la sarebbe svignata. A quanto pareva, il messaggio era stato inviato ma, nel momento in cui erano fuoriusciti i bracci, alcune parti erano scivolate lungo il pendio, trascinando con sé l’intera struttura. La pioggia di sassi aveva distrutto le estremita, privando il pacco della capacita di manovra. Un terremoto? Possibile. Contrariamente all’opinione comune, la Luna non era affatto un posto tranquillo. I terremoti erano frequenti. Le tensioni provocate dall’enorme escursione termica si scaricavano in fremiti violenti e le forze del Sole e della Terra strapazzavano la roccia lunare anche a grandi profondita. Era quello il motivo per cui Gaia era progettato per resistere a scosse superiori al quinto grado della scala Richter. Per non lasciare nulla d’intentato, Hanna si diede da fare con gli assi e gli ugelli. Dopo venti minuti, passati a piegare e saldare pezzi di metallo, dovette rassegnarsi al fatto che il danno era irreparabile. La perdita delle zampe da ragno sarebbe stata sopportabile, ma il fatto che uno degli ugelli fosse parzialmente staccato e che dell’altro non ci fosse traccia rappresentava un vero disastro. Che sfortuna, penso Hanna. Prima l’incidente di Thorn, e adesso questo. Il compito di prendere in consegna il pacco era stato infatti affidato a Thorn ormai un anno prima. E invece il cadavere dell’uomo vagava ancora per l’universo.
Aspettandosi altre brutte sorprese, Hanna sblocco i portelli retrostanti, apr il contenitore e illumino l’interno. Sembrava tutto a posto. Tiro un sospiro di sollievo. Perdere il carico avrebbe mandato a monte l’intera missione; il resto erano solo fastidiosi inconvenienti. Prese il misuratore e controllo le interfacce. Intatte. Nulla era stato danneggiato. Con estrema cautela, estrasse il contenuto. Doveva portare lui stesso il pacco sul luogo d’intervento. Pazienza. Sul grasshopper c’era posto a sufficienza. Per un attimo, prese in considerazione l’idea d’informare il committente di quel cambiamento, ma non c’era abbastanza tempo. E non c’erano alternative. Doveva agire. Doveva tornare in albergo prima che gli altri si svegliassero. Doveva fare in modo che nessuno si accorgesse che era stato fuori. Limit 27 MAGGIO 2025 GIOCHI XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA Jericho si sveglio sul divano, in compagnia di due bottiglie, un bicchiere con un po’ di vino rosso e due sacchetti aperti di Mango Chips. Sul momento, non cap dove si trovava. Provo ad alzarsi, ma ci riusc solo al secondo tentativo e si accorse che il suo cervello imbevuto di alcol era alla ricerca di qualcosa, anche se non riusciva a capire cosa. Poi ricordo la fortuna che aveva avuto. Nel contempo, si fece strada in lui anche un vago senso di smarrimento: s, mancava qualcosa, qualcosa che nel corso degli anni era diventato parte integrante della sua vita, come lo erano i battiti del cuore. Il rumore. Non sarebbe mai piu stato svegliato dal rombo costante dei palazzi in costruzione. Né il traffico mattutino dell’autostrada a sei corsie gli avrebbe rintronato i timpani prima ancora che sorgesse il sole. Da quel giorno, Jericho viveva a Xntiand, dove l’unica cosa che imperversava erano le orde di turisti, una cosa tutto sommato piu che sopportabile. In generale, non li si vedeva in giro prima delle dieci del mattino e gia nel tardo pomeriggio si disperdevano per ritirarsi nei vari hotel, sudati e coi piedi doloranti, per recuperare le forze in vista della serata. La sera, invece, i bistrot, i caffe, i club, le boutique e i cinema del quartiere erano affollati soprattutto da gente del posto. La nuova abitazione di Jericho era comunque immune da entrambe le invasioni. Ecco il grande vantaggio di abitare in una shkumen: fuori potevano passare anche i carri armati, ma all’interno regnavano pace e silenzio. Jericho si stropiccio gli occhi. Non che quel luogo potesse ancora essere definito un appartamento. C’erano diversi scatoloni da aprire, sparsi per tutto il loft; pero almeno era riuscito a installare il nuovo Media-Terminal. Gli era stato consegnato la sera prima dall’assistenza clienti di Tu Tian; due cortesi fattorini lo avevano trascinato lungo le scale e integrato
nell’ambiente in modo cos abile da renderlo quasi invisibile. Subito dopo, Jericho aveva dovuto interrompere tutto e prepararsi per la visita a sorpresa ai coinquilini di Yoyo. Pero, di ritorno al loft, si era dedicato al nuovo giocattolo e, con quella scusa, aveva festeggiato la sua prima notte a Xntiand. E, considerando le due bottiglie vuote, aveva festeggiato alla grande, in compagnia di Animal Ma Lpng e dei bambini maltrattati nelle gabbie. Si chiese se Joanna si sarebbe sentita a suo agio in quel luogo, ma decise che non era il caso d’impelagarsi in simili congetture. Era bello poter bastare a se stessi. Si fece una doccia e configuro il sistema. Avrebbe preferito disfare al volo gli scatoloni rimasti ma, dal giorno prima, ai fantasmi della sua mente si erano aggiunti Tu Tian e Chén Hong-bng, che lo pressavano affinché facesse qualche passo avanti nella ricerca di Yoyo. Jericho aveva quindi deciso di dare la priorita all’indagine. Si fece la barba, scelse un paio di pantaloni leggeri e una camicia, carico nella stanghetta porta-dati dei suoi nuovi occhiali olografici uno dei programmi fornitigli da Tu Tian e usc di casa. Avrebbe trascorso l’ora successiva in compagnia di Yoyo. Una delle visite si snodava lungo le vie della zona francese, un relitto coloniale del XIX secolo che confinava con Xntiand, se non fosse stato per la tangenziale a tre piani che sfortunatamente passava in mezzo ai due quartieri. Dopo che Jericho ebbe attraversato il sottopassaggio, riemerse alla luce del sole, si avvio lungo la brulicante Fuxng Donglu e attivo il riconoscimento vocale del programma. L per l non accadde nulla. Attraverso le lenti degli occhiali il mondo continuava ad avere forme e colori familiari. Qualcuno passeggiava lentamente, altri gironzolavano, altri ancora correvano trafelati avanti e indietro; poi c’erano gli uomini d’affari, che attraversavano la strada senza staccarsi dal cellulare, riuscendo nell’ardua impresa di raggiungere l’altro lato tenendo un occhio incollato sul display e l’auricolare bluetooth nelle orecchie. Donne eleganti entravano e uscivano dalle boutique, chiacchierando o conversando al telefono, mentre altre vestite in modo meno ricercato si dirigevano verso i grandi magazzini giapponesi e americani. Gruppi di turisti fotografavano soggetti che, secondo loro, erano autentiche testimonianze dell’epoca coloniale. Decine d’identiche COD - Cars On Demand - dirette verso la tangenziale si accalcavano tra utilitarie, monovolume e limousine; miniscooter elettrici e cruiser a motore ibrido serpeggiavano attraverso piccoli spazi che si chiudevano ancora prima di essersi aperti del tutto. Biciclette sferraglianti gareggiavano con skateboard antigravitazionali; autobus urbani e furgoni si facevano largo nel trambusto, una pattuglia di skymobile della polizia avanzava lentamente lungo la Fuxng Donglu e, poco piu in la, un mezzo per il trasporto dei feriti decollo, viro in aria e si diresse verso ovest. Scintillanti aerei privati e sky-bike sfrecciavano in cielo grazie al sistema di guida automatico. Ovunque si sentivano rombi, stridore e colpi di
clacson, mentre gli onnipresenti monitor trasmettevano musica, slogan pubblicitari e notizie a tutto volume. Una giornata tranquilla in un quartiere tranquillo. La doppia T della Tu Technologies apparve davanti agli occhi di Jericho. La tecnologia di proiezione del sistema creava l’illusione che il simbolo tridimensionale fluttuasse a diversi metri di altezza. Poi scomparve e il computer posto nell’asticella degli occhiali proietto Yoyo nella Fuxng Donglu. Era strabiliante. Jericho aveva gia visto diverse proiezioni olografiche. Gli occhiali, una struttura convessa in fibra di vetro, funzionavano come un cinema in 3D da portare in giro, ben lontani dagli ingombranti dispositivi per la realta virtuale usati all’inizio del millennio. Il computer era in grado di riprodurre oggetti e persone inserendoli nell’ambiente circostante semplicemente proiettandoli sulla lente. Si potevano vedere persone che fisicamente non erano presenti: poteva trattarsi d’individui in carne e ossa oppure creati in modo artificiale, in base alla programmazione. Se inseriti in un contesto creato elettronicamente, era quasi impossibile distinguerli dalle persone vere. I problemi venivano dal mondo reale, cioe nel momento in cui il computer doveva sincronizzare i movimenti e le reazioni degli avatar con la realta circostante. Su sfondi complessi e in movimento, i soggetti diventavano semitrasparenti e l’illusione spariva del tutto se qualcosa di reale entrava nello spazio occupato dall’avatar: semplicemente ci passava attraverso. I personaggi virtuali continuavano a chiacchierare e non si accorgevano di nulla, nemmeno se venivano attraversati da un camion. Poi, se si muoveva di scatto la testa, le figure si materializzavano nella nuova posizione, tremolanti come fantasmi. Il sistema doveva costantemente ricalcolare l’ambiente circostante e sincronizzarlo col programma, in modo da far coincidere il mondo virtuale con quello reale, un tentativo che, fino a quel momento, sembrava destinato a fallire. Ma la simulazione di Yoyo comparve sul marciapiede, a qualche metro di distanza da Jericho, senza mostrare le caratteristiche spettrali tipiche di altri avatar. La giovane donna indossava una tutina aderente, color lampone, con applicazioni discrete, aveva i capelli raccolti in una doppia coda di cavallo ed era truccata con colori chiari. «Buongiorno, Mr Jericho», disse sorridendo. Alle sue spalle, i pedoni si affrettavano. Yoyo li copriva. Non c’era niente di lei che fosse trasparente: nessuna parte dell’immagine appariva sfocata. Avanzo verso di lui e lo guardo dritto negli occhi. «Vogliamo visitare il quartiere francese?» L’asticella degli occhiali trasmise il suono della sua voce direttamente nell’orecchio di Jericho, passando per l’osso temporale. «Un po’ piu forte», disse lui.
«Volentieri», risuono la voce di Yoyo, con un volume impercettibilmente piu alto. «Vogliamo visitare il quartiere francese? Il tempo e perfetto: non c’e neanche una nuvola.» Era vero? Jericho alzo lo sguardo. Era proprio cos. «Sarebbe bello.» «È un piacere per me. Il mio nome e Yoyo.» Esito, poi, sbattendo le palpebre con un misto di civetteria e imbarazzo, chiese: «Posso chiamarla Owen?» «Nessun problema.» Affascinante. Il programma si era automaticamente connesso col suo codice d’identificazione: lo aveva riconosciuto. Inoltre aveva sincronizzato il saluto in base al momento della giornata e analizzato in un attimo le condizioni atmosferiche. Bastava quello per affermare che la Tu Technologies aveva battuto ogni concorrente di cui Jericho aveva avuto modo di sperimentare i prodotti. «Venga», esclamo Yoyo. Quasi con sollievo, Jericho noto che la ragazza non gli appariva piu ultraterrena come il giorno precedente. Era l in carne e ossa, sorrideva, parlava e gesticolava; il senso di estraniamento che gli aveva trasmesso il filmato di Chén era scomparso. Tuttavia, anche privata dell’alone soprannaturale, la bellezza di Yoyo avrebbe comunque mandato in tilt qualsiasi pacemaker. Un momento. Carne e ossa? Bit e byte, piuttosto. Era davvero stupefacente. Mentre Yoyo camminava davanti a lui, Jericho noto che il computer riusciva a calcolare perfino la corretta proiezione delle ombre. Smise di chiedersi in quale modo il programma ci riuscisse e si concentro invece sulla camminata di Yoyo e sulla sua gestualita. La ragazza svolto a sinistra, poi si mise al suo fianco spostando lo sguardo alternativamente da Jericho alla strada. «Il S Nan Lu combina stili architettonici molto diversi tra loro, tra cui alcuni d’ispirazione francese, tedesca e spagnola. Nel 2018 gli edifici storici sono stati abbattuti e poi ricostruiti, tranne qualche eccezione, il tutto secondo i piani originari, questo e ovvio. Ora e tutto molto piu bello e anche molto piu originale.» Yoyo sfoggio un sorriso enigmatico. «Qui risiedevano importanti funzionari del Partito nazionalista e comunista. Nessuno poteva resistere al generoso fascino di questo quartiere: tutti volevano abitare a S Nan Lu. Anche Zhou nlai ha vissuto qui per un po’; la bellissima villa a tre piani con giardino alla nostra sinistra e stata la sua dimora. Lo stile viene generalmente definito di stampo francese, ma in realta e un insieme di elementi dell’Art Déco e influenze cinesi. A oggi, la villa e uno dei pochi edifici sfuggiti alla mania di modernizzazione del Partito.» Jericho si fermo di colpo. Come aveva fatto quella frase a superare l’esame della censura? Poi ricordo che Tu Tian aveva parlato di un prototipo, quindi il testo sarebbe stato modificato. Si chiese di chi fosse stata l’idea: era stato Tu Tian a volersi divertire un po’ oppure la
cosa era stata un’idea di Yoyo? «Si puo visitare la villa?» chiese. «S», rispose Yoyo. «Dentro non e stato cambiato quasi nulla. Zhou nlai aveva uno stile di vita piuttosto spartano; dopotutto si adoperava a favore del proletariato. Forse non gli interessava nemmeno che il Grande Presidente gli sistemasse l’arredamento. » Jericho si lascio sfuggire un sogghigno. «Preferirei passare oltre.» «Perfetto. Lasciamo riposare il passato.» Yoyo riprese a commentare la zona senza fare ulteriori allusioni. Dopo aver cambiato strada un paio di volte, si ritrovarono in una viuzza piena di caffe, gallerie, atelier e pittoreschi negozi che vendevano oggetti d’arte. Jericho andava spesso in quel posto: amava quel quartiere con le sue panchine di legno, le palme e le shkumen graziosamente restaurate, coi fiori alle finestre. «Fino a vent’anni or sono, la Taikang Lu, la via degli artisti, era conosciuta solo da pochi eletti», spiego Yoyo. «Poi, nel 1998, una fabbrica di dolciumi e stata trasformata nell’International Artists Factory; agenzie pubblicitarie e designer vi si sono trasferiti e noti artisti vi hanno aperto i loro atelier, tra cui importanti esponenti quali Huang Yongzheng, Èr Dongxiang e Chén Yfei. Tuttavia il quartiere e rimasto per molto tempo all’ombra di Mogan Shan Lu, a nord del canale Suzhou, dove si riunivano gli artisti piu affermati del mondo dell’arte, dell’underground e delle avanguardie: erano loro a dominare il mercato di Shanghai. Solo nel 2015, con la costruzione della Taikang Art Foundation, l’equilibrio e cambiato. È il complesso che vede laggiu e che e stato soprannominato ’la Medusa’.» Indico un’imponente cupola di vetro dall’aspetto leggero e slanciato nonostante le dimensioni. L’edificio era stato costruito secondo i principi della bionica e s’ispirava alla struttura corporea delle grandi meduse. «Cosa c’era l, prima?» chiese Jericho. «In origine, la strada sfociava in un bel mercato del pesce.» «E dov’e finito, adesso?» «È stato demolito. Il Partito dispone di una grossa gomma da cancellare con la quale riesce a rimuovere la Storia senza lasciare tracce. Ora l c’e la Taikang Art Foundation.» «Si possono visitare gli atelier?» «S. Ne ha voglia?» Gli fece strada. La Taikang Lu si stava lentamente riempiendo di turisti e cominciava a esserci troppa gente, ma Yoyo rimaneva compatta e naturale mentre camminava a zigzag tra le persone. A voler essere precisi, penso Jericho, sembrava addirittura molto piu vera degli altri. Si fermo di colpo, interdetto. I suoi occhi gli stavano forse giocando un brutto scherzo? Si concentro su Yoyo. Un gruppo di giapponesi si stava avvicinando, spalla contro spalla, in rotta di collisione, ignor-
ando chiunque incrociasse il suo cammino. D’un tratto si rese conto che, fino a quel momento, il computer aveva fatto in modo che Yoyo schivasse le persone ogni volta che si era presentata l’occasione, ma adesso il gruppo ostruiva la strada su entrambi i lati. Non potevano far altro che indietreggiare oppure cercare di passare. I giapponesi, come i cinesi, non ci trovavano niente di male nell’aprirsi la strada a spintoni, quindi Jericho ipotizzo che Yoyo si sarebbe fatta largo a gomitate. Anche se, in realta, gli avatar non avevano gomiti o, meglio, non avevano gomiti che potessero assestare colpi nelle costole di persone reali. Incuriosito, osservo la scena. Un secondo dopo, Yoyo aveva superato il gruppo, senza dare l’impressione di essere effettivamente passata attraverso qualcuno. Per un istante, sembro quasi che uno dei giapponesi si fosse dissolto nell’aria per farla passare. Irritato, Jericho si tolse gli occhiali. Non era cambiato niente, a parte il fatto che Yoyo era sparita. Si rimise gli occhiali, si fece strada attraverso il gruppo e vide Yoyo poco piu avanti. Lei guardo nella sua direzione e gli fece un cenno. «Dov’era finito? Venga!» Aspetto finché lui non l’ebbe raggiunta e poi si mosse di nuovo. Incredibile. Come funzionava quella diavoleria? Gli sarebbe stato difficile capirlo senza una spiegazione, quindi si concentro per mettere il programma alle strette. I programmatori avevano fatto un ottimo lavoro, poco ma sicuro. La visita si fondava su ricerche accurate ed era articolata in modo chiaro; finora tutto quello che Yoyo gli aveva raccontato era vero. «Yoyo...» disse Jericho. «S?» Il suo sguardo sembrava amichevole e interessato. «Da quanto tempo fa questo lavoro?» «Questo percorso e del tutto nuovo», fu l’enigmatica risposta. «Quindi non da molto?» «No.» «E cosa fa stasera?» Yoyo gli rivolse un sorriso dolcissimo. «È una proposta?» «Vorrei invitarla a cena.» «Mi dispiace, ma devo rifiutare. Ho uno stomaco virtuale.» «Verrebbe a ballare con me?» «Accetterei volentieri l’invito.» «Perfetto. Dove andiamo?» «Ho detto che accetterei, non che accetto.» Lo guardo in modo ammiccante. «Purtroppo non posso.» «Posso chiederle un’altra cosa?» «Forza.»
«Verrebbe a letto con me?» Yoyo rimase immobile per un attimo. Il suo sorriso celava un’espressione canzonatoria. «Temo di doverla deludere.» «Perché?» «Perché io non esisto.» «Spogliati, Yoyo.» «Posso indossare qualcos’altro.» Il sorriso scomparve. «Vuole che indossi qualcos’altro?» «Voglio passare la notte con te.» «Temo di doverla deludere.» «Voglio fare sesso con te.» «Arrangiati, Owen.» Ah, ecco. Decisamente questa non e la versione ufficiale. «Si possono visitare gli atelier?» Jericho ripeté la domanda di poco prima. «S, si puo. Ne ha voglia?» «Chi ti ha programmato, Yoyo?» «Sono stata programmata dalla Tu Technologies.» «Sei una persona?» «Sono una persona.» «Ti odio, Yoyo.» «Questo mi dispiace molto.» Fece una pausa. «Vuole proseguire con la visita?» «Sei un’odiosa, stupida gallina.» «Sto facendo del mio meglio per soddisfarla. Il suo tono non e adeguato.» «Chiedo scusa.» «Nessun problema, e stata sicuramente colpa mia.» «Oca giuliva.» «Stronzo.» WORLD FINANCIAL CENTER, SHANGHAI, CINA «A quanto pare, Yoyo e piuttosto richiesta, eh?» Grand Cherokee fece l’occhiolino a Xn, mentre le sue dita scivolavano rapide sulla superficie liscia della console. Il computer fece una scansione completa dei sistemi del Silver Dragon. La giornata - limpida e piena di sole - si annunciava perfetta per cavalcare il dragone, tanto che, attraverso l’onnipresente cortina di smog, si potevano perfino scorgere edifici lontani come il Regent e il Portman Ritz Carlton. Le facciate dei grattacieli riflettevano la luce del mattino, piccoli soli sorgevano e tramontavano sulle skymobile in volo sopra il fiume Huangpu. Mentre, nell’hinterland, Shanghai sfumava in un’idea confusa di citta, sulla riva opposta i palazzi coloniali del governo, allineati lungo l’antico corso del fiume, apparivano
ancora piu nitidi. Grand Cherokee era andato a prendere Xn nella Sky Lobby e, durante il viaggio in ascensore, gli aveva ripetuto sino allo sfinimento che poter entrare nell’Impero del Dragone a quell’ora del mattino era da considerarsi un grande privilegio. L’ottovolante, aveva spiegato, non era particolarmente originale, almeno per quanto riguardava il percorso in sé: quasi nessuna inversione, un classico loop verticale, preceduto e seguito da un giro della morte, sufficienti per raggiungere il punto di gravita zero almeno tre volte e sperimentare un’apparente assenza totale di gravita. Tutto nella norma, insomma. Il fascino era dato dalla velocita e dal fatto che si sfrecciava a cinquecento metri di altezza. Mentre le porte dell’ascensore si aprivano e i due entravano nella sala di controllo, Grand Cherokee aveva proseguito il monologo, spiegando che quel miracolo adrenalinico era unico al mondo e manovrarlo non richiedeva meno coraggio che salirvi, motivo per cui serviva una persona coi nervi saldi. «Interessante», aveva commentato Xn. «Mi mostri esattamente cosa deve fare.» Abituato ad ammirare il suo ego nello specchio deformante della realta, Grand Cherokee si era sentito improvvisamente a disagio. In effetti, non c’era niente di piu facile che manovrare l’ottovolante; qualunque idiota capace di premere tre pulsanti su un touchscreen sarebbe stato in grado di farlo. Dopo aver farfugliato che, no, stava scherzando, aveva mostrato a Xn gli elementi di comando che in realta servivano solo a disattivare il blocco di sicurezza. Per farlo, logicamente, bisognava conoscere il codice. «A dire il vero i codici sono tre», aveva chiarito. «Li inserisco l’uno dopo l’altro: uno - vede, cos - due, tre... ecco, finito, il sistema e pronto. Se attivo il campo in alto a destra sblocco le rotaie, con quello sotto invece avvio la catapulta. Al resto pensa il programma. In basso c’e il pulsante di emergenza, ma finora non lo abbiamo mai usato.» «E questo a cosa serve?» aveva chiesto Xn, indicando un menu sul bordo superiore del monitor. «È il Check Assistant. Prima di dare l’autorizzazione alla partenza, faccio esaminare al computer una serie di parametri. Sistemi meccanici, programmi...» «Davvero molto semplice.» «Semplice e geniale.» «È quasi un peccato non poterci fare un giro, ma ho davvero poco tempo. Preferirei invece...» «In realta potrei farla salire», aveva detto Grand Cherokee, avviando il controllo. «Potrei farle girare la testa al punto che non riuscirebbe piu a distinguerla dal suo didietro. Ma ovviamente questa dovrebbe essere registrata come corsa straordinaria. » «Non fa niente. Parliamo di Yoyo.»
Per tutta risposta, Grand Cherokee aveva sogghignato, insinuando che Yoyo fosse molto richiesta. Stava per aggiungere altro, ma poi aveva deciso di tacere. L’espressione del suo interlocutore cambio: adesso la sua curiosita non era piu diretta soltanto a Yoyo, ma anche a Grand Cherokee. «Chi altro e interessato a lei?» chiese Xn. «Non ne ho idea», rispose il giovane, scrollando le spalle. Era forse arrivato il momento di tirar fuori il suo asso dalla manica? Aveva pensato di mettere sotto pressione Xn con la storia del detective, ma forse era meglio tenerlo ancora un po’ sulla corda. «Lo ha detto lei.» «Cosa avrei detto?» «Che Yoyo ha bisogno di protezione perché qualcuno le sta addosso.» «Questo e vero.» Xn si mise a contemplare le unghie della mano destra e Grand Cherokee noto che erano perfette. Erano limate con cura, tutte della stessa lunghezza, con la mezzaluna color madreperla. «E lei, Wang, intendeva fornirmi qualche informazione. Fare telefonate o cose del genere. Portarmi da Yoyo. Se non ricordo male, voleva guadagnarci qualcosa... Percio, mi dica, cos’ha per me?» Che viscido bastardo, penso Grand Cherokee. In effetti, durante la notte si era preparato una storia: si basava su una frase che aveva detto Yoyo tempo addietro, ovvero che ogni tanto la vita mondana le dava sui nervi e quindi si rifugiava per un weekend a Hangzhou o sullo X Hu. Non c’era anche quello stupido detto, che sua nonna ripeteva sempre? «In cielo c’e il paradiso, sulla Terra c’e Hangzhou.» Grand Cherokee aveva deciso che Yoyo si trovava la, da qualche parte in un piccolo romantico hotel sul lago e il nome dell’albergo poteva essere... Un momento: non doveva scendere troppo nei particolari. Le rive dello X Hu pullulavano di alberghi di ogni categoria. Per sicurezza, aveva fatto una ricerca in Internet e aveva trovato diversi alberghi che avevano nomi di alberi e piante. La cosa era piaciuta, evidentemente. Il luogo di contemplazione di Yoyo sarebbe stato un hotel con un nome floreale. Qualcosa che c’entrasse coi fiori... solo che purtroppo il suo inesistente informatore non ricordava il nome esatto. Non si poteva pretendere di scoprire di piu per quattro spicci, ma era comunque qualcosa, no? Grand Cherokee era scoppiato a ridere al pensiero di Xn che percorreva centosettanta chilometri per raggiungere il lago e fare il giro di tutti gli alberghi che avessero un nome legato ai fiori. Inoltre aveva pensato di fare lo stesso col detective. Senza neanche rendersene conto, i due idioti si sarebbero incontrati di continuo. Per un po’ di denaro in piu, avrebbe fornito il nome del gruppo di motociclisti, una traccia che portava da tutt’altra parte, anche perché era difficile collegare i City Demons col lago. Pero, chissa, una gita in campagna in sella a una moto? Perché no?
Xn era assorto nella contemplazione delle sue unghie. Grand Cherokee rifletté. S, avrebbe raccontato la stessa favoletta a Jericho, anche se forse il detective sarebbe stato meno generoso. Ma c’era ancora un margine di miglioramento. «Sa, ho riflettuto molto su tutta la questione», disse con noncuranza. Completo il controllo del Silver Dragon e guardo Xn. «E credo che la rivelazione del luogo in cui si trova Yoyo meriti uno sforzo in piu da parte sua.» Xn non sembro particolarmente stupito. Sul suo viso si dipinse un’espressione a meta tra la stanchezza e l’irritazione per quel comportamento scontato. «Quanto?» «Dieci volte tanto.» Spaventato dalla sua stessa sfacciataggine, Grand Cherokee sentiva il cuore battere piu forte. Se Xn avesse bevuto quella bugia... Un momento, pero. Forse poteva andare ancora meglio. «Dieci volte tanto e un nuovo incontro», disse. Il volto di Xn sembrava di pietra. «E a che scopo?» A che scopo? penso Grand Cherokee. Molto semplice. Con quella cifra correrei da Jericho e lo costringerei a una scelta: o mette sul piatto una somma piu alta e ottiene la storia in esclusiva, oppure rifiuta e io la do a te. Prima, pero, devo parlare con Jericho. E, in caso lui fosse disposto a sborsare venti volte tanto, allora cercherei di convincerti ad alzare la posta di trenta volte. «S o no?» chiese. Gli angoli della bocca di Xn si piegarono impercettibilmente verso l’alto. «In che film ha visto questa roba, Wang?» «Non ho bisogno di vedere dei film per capire come vanno le cose. Lei sta cercando Yoyo, ma non m’interessa perché. La cosa davvero interessante e che pure i poliziotti vogliono qualcosa da lei. Ma lei non e un poliziotto e di conseguenza non puo farmi niente. Deve prendere quello che c’e e...» Si piego in avanti con un ghigno. «... quando c’e.» Xn lo fisso dall’alto in basso con un sorriso gelido. Poi sposto lo sguardo sulla console di comando. «Sa cosa non sopporto?» disse. «Me?» replico Grand Cherokee, ridendo. «Lei e solo uno scarafaggio, Wang. Odiarla la renderebbe piu importante di quanto non sia. No, sono le macchie che non sopporto. Le sue dita unte hanno lasciato tracce disgustose sul display. » «E allora?» «Le pulisca.» «Come?» «Tiri via quelle macchie di unto.» «Ma senti un po’, pezzo di merda, con chi credi di...» Poi successe qualcosa di molto strano, una cosa che Grand Cherokee non aveva mai sperimentato. In un lampo, si ritrovo steso sul pavimento davanti alla console; si tocco il naso
dolorante, con la sensazione che all’interno fosse appena esplosa una granata. Bagliori colorati gli guizzavano davanti agli occhi. «Evidentemente il suo viso non e adatto per pulire la console », disse Xn, piegandosi e sollevando Grand Cherokee da terra come fosse un pupazzo. «Oh, si e sporcato tutto. Cos’e successo al suo naso? Vogliamo parlare, adesso?» Grand Cherokee non riusciva a stare in piedi: con una mano si appoggio alla console, con l’altra si tasto il viso. L’applicazione che aveva sulla fronte gli rimase in mano: era intrisa di sangue. Sbalordito, alzo lo sguardo verso Xn. Poi sollevo il braccio, pronto a colpire. Senza scomporsi, Xn gli conficco l’indice nello sterno. Fu come se gli avessero staccato la parte inferiore del corpo; Grand Cherokee cadde sulle ginocchia, mentre un bruciore infernale gli si diffondeva nel petto. La sua bocca si apr, lasciando uscire qualche suono soffocato. Xn si accovaccio accanto a lui, sostenendolo con la destra. «Il dolore passa subito», disse. «Lo so, pare che non si sara mai piu in grado di parlare, ma e una sensazione temporanea. Vediamo comunque di dare un senso al tutto. Cosa voleva dirmi?» Grand Cherokee ansimo. Le sue labbra formarono una parola. «Yoyo?» Xn annu. «Un buon inizio. Su, Wang, s’impegni. Anzitutto si metta in piedi.» Lo prese sotto le ascelle e lo fece alzare. «Yoyo e...» disse Grand Cherokee, ansimando. «Dove?» «A Hangzhou.» «A Hangzhou!» Xn inarco le sopracciglia. «Incredibile. C’e altro che devo sapere? Dove si trova, esattamente?» «In... un albergo.» «Voglio il nome.» «Non lo so.» Grand Cherokee inspirava avidamente per riempire i polmoni d’aria. Xn aveva ragione, il dolore stava scemando, ma lui non si sentiva meglio. «Qualcosa che riguarda i fiori.» «Non sia cos complicato», disse Xn in tono bonario. «’Qualcosa che riguarda i fiori’ e vago come dire: ’Da qualche parte in Cina’.» «Potrebbe essere anche un nome legato agli alberi», mormoro Grand Cherokee. «Il mio informatore ha parlato di qualcosa di floreale.» «A Hangzhou?» «Sullo X Hu.» «Dove? Dal lato della citta?»
«S, s!» «Quindi sulla sponda occidentale?» «Esatto.» «Ah. Magari vicino alla diga di Su?» «Nelle vicinanze... credo di s.» In Grand Cherokee si accese un barlume di speranza. «S, ha detto qualcosa del genere.» «Ma la citta e sulla sponda orientale.» «Forse non ho ascoltato con troppa attenzione.» Il barlume si spense. «Ma vicino alla diga di Su o a quella di Bai?» Diga di Su? Diga di Bai? Diventava sempre piu complicato. Dov’erano le dighe? Grand Cherokee non aveva studiato la cosa nei dettagli. Chi mai si sarebbe aspettato domande simili? «Non lo so», sospiro, esausto. «Be’, ma sicuramente il suo informatore...» «Ma io non lo so!» Xn lo guardo con aria di rimprovero, poi gli affondo le dita nelle reni. L’effetto fu indescrivibile. Grand Cherokee apr e chiuse piu volte la bocca, come un pesce strappato dal suo elemento, mentre le sue pupille si dilatavano. Xn continuo a sorreggerlo per evitare che crollasse sul pavimento. Dalla prospettiva della telecamera di sorveglianza sembrava un semplice incontro fra vecchi amici. «Quindi?» «Non lo so», piagnucolo Grand Cherokee, mentre una parte di lui lo stava abbandonando. D’un tratto si rese conto, con meraviglia, che il dolore era colorato di un tono tra l’arancio e il rosso. «Davvero.» «C’e qualcosa che sa?» Grand Cherokee alzo lo sguardo, tremando. Negli occhi di Xn lesse in modo inequivocabile cosa gli sarebbe accaduto se avesse dato anche solo un’altra risposta sbagliata. «No, niente.» Xn rise con disprezzo, scosse la testa e lo lascio andare. «Vuole riavere il suo denaro?» bisbiglio Grand Cherokee, rabbrividendo al ricordo del dolore. Xn serro le labbra e guardo la citta scintillante. «C’e una cosa che non riesco a togliermi dalla testa.» Grand Cherokee lo guardo, in attesa. Una parte di lui gli rammento che, di l a un quarto d’ora, sarebbero arrivati i primi visitatori e che probabilmente il dragone si sarebbe riempito, dato che il tempo era bellissimo.
«Prima ha detto che Yoyo e piuttosto richiesta. È proprio cos che si e espresso, giusto?» Ancora quindici minuti, penso Grand Cherokee. «Ora, Wang, e arrivato il momento buono per riacquistare punti. Ma stavolta dica la verita. Chi ha chiesto di lei?» «Un detective», borbotto Grand Cherokee. «Interessante. E quand’e stato?» «Ieri sera; gli ho mostrato la stanza di Yoyo. Mi ha rivolto le sue stesse domande.» «E lei gli avra dato le stesse risposte: avrebbe potuto scoprire qualcosa, ma c’era da sborsare del denaro.» Grand Cherokee annu con aria mesta. Se Xn fosse andato a raccontare quelle cose a Owen Jericho, avrebbe potuto scordarsi i soldi del detective. Obbediente, tiro fuori il biglietto da visita di Jericho e lo diede a Xn, che lo afferro con entrambe le mani, lo osservo con attenzione e lo mise in tasca. «C’e altro?» Certo, avrebbe potuto raccontare a Xn del gruppo di motociclisti, l’unica traccia che probabilmente conduceva davvero a Yoyo. Ma non avrebbe fatto un simile piacere a quel pezzo di merda. «’Fanculo», disse invece. «Nient’altro, quindi.» Xn assunse un’aria pensierosa. Usc dalla porta della sala di controllo, nello spazio tra la sbarra e la banchina. Non degno Grand Cherokee nemmeno di uno sguardo, come se improvvisamente il giovane avesse smesso di esistere. Cosa che, in quel momento, per Grand Cherokee sarebbe stata senza dubbio la soluzione migliore: non fare il minimo gesto, rimpicciolirsi alle dimensioni di un topolino, essere invisibile come una ditata su un monitor... almeno finché quel bastardo non avesse lasciato l’edificio. Tutto cio era chiaro come il sole per Grand Cherokee Wang, ma solo per la sua parte prudente, la quale diede alla parte annebbiata dall’odio un consiglio che venne ignorato. Strascicando i piedi, il ragazzo si porto alle spalle di Xn: voleva riacquistare la dignita del guardiano del drago, una dignita che era andata miseramente in frantumi. Magari gli avrebbe detto: «Lo sa che lei e uno stronzo senza pieta?» Sul fatto che fosse senza pieta, infatti, non c’erano dubbi, e Xn doveva esserne consapevole; chiamarlo «stronzo», pero, era assai riduttivo. E c’era pure il sospetto che a quell’uomo gli insulti scivolassero semplicemente addosso. Come poteva incastrare quel pezzo di merda? Cos, se la parte prudente di Grand Cherokee cercava con gli occhi un buco nel quale nascondersi, la parte spaccona voleva parlare. E disse: «Non credere di essere al sicuro, maledetto bastardo! »
Xn, che stava per oltrepassare la sbarra, si fermo. «Anzitutto chiamo Jericho», abbaio Grand Cherokee. «E subito dopo gli sbirri. Chi dei due sara piu interessato a te, eh? Ti conviene andartene da qui, e in fretta! Meglio se lasci Shanghai, se esci dalla Cina. Fatti un giretto sulla Luna, magari l hanno qualcosa per te, perché, se rimani qui sulla Terra, ti faccio fuori, te lo assicuro!» Xn si volto lentamente verso di lui. «Stupido idiota», mormoro in un tono che sembrava venato di compassione. «Io...» scatto Grand Cherokee. Poi si rese conto di aver appena commesso l’errore piu grande della sua vita. Xn si avvicino lentamente; non sembrava intenzionato a risolvere la questione a parole. Grand Cherokee indietreggio. «Il settore e videosorvegliato », disse, cercando di assumere un tono che non rivelasse il panico. «Ha ragione», annu Xn. «Devo sbrigarmi.» Lo stomaco di Grand Cherokee si contrasse. Il giovane fece un balzo all’indietro e cerco di valutare la situazione: il suo avversario si trovava fra lui e l’accesso al corridoio di vetro. Nella direzione di Xn, non c’era via d’uscita; subito dietro di sé si estendeva il bordo della piattaforma, al di la della quale c’erano le rotaie dell’ottovolante. La zona in cui i visitatori salivano e scendevano era protetta da una parete trasparente; a destra e a sinistra le rotaie si gettavano nel vuoto. Lo sguardo di Xn non lasciava dubbi. Con un balzo, Grand Cherokee salto sul vagone centrale. Il suo sguardo si poso sulla testa del drago. I singoli vagoni erano semplici piattaforme dotate di sedili, con braccioli e spalliere che ricordavano enormi squame o gigantesche ali, una cosa che, da lontano, conferiva all’insieme le sembianze di un rettile argentato. La struttura frontale era un abbozzo di una testa allungata; l era collocata un’unita di controllo separata che, in caso di necessita, permetteva di manovrare il treno per un breve tratto. Pero era possibile farlo solo nei tratti orizzontali e non durante il giro della morte. Nella parte in cui le rotaie costeggiavano i piloni laterali dell’edificio, subito prima di lanciarsi verso l’alto, si trovavano diversi accessi per l’interno della struttura. Dentro i piloni c’erano attrezzature tecniche e magazzini. I ponti di acciaio invece sfociavano nelle facciate di vetro dei piloni e servivano, in caso di emergenza, come vie di evacuazione, nell’eventualita in cui qualcosa impedisse al treno di raggiungere la stazione successiva. Da l si arrivava alle scale e a un ascensore; la zona non era raggiungibile dal corridoio in vetro. Ecco quali erano le considerazioni che stava facendo Grand Cherokee, fermo sul treno come un animale in agguato. Stava perdendo tempo invece di agire e, quando Xn salto tra lui e la testa del dragone, cap di aver commesso il secondo errore. Solo due file di sedili li di-
videvano e Grand Cherokee si rese conto di aver sprecato l’unica opportunita di raggiungere l’unita di controllo. Medito di saltare di nuovo sulla banchina, ma in quel caso Xn gli sarebbe stato subito addosso; probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito ad arrivare alla sbarra. Xn si avvicino. Si faceva strada tra le file di sedili con tale rapidita che Grand Cherokee smise di riflettere e scappo verso il fondo del treno. Poco piu avanti, la vetrata della stazione s’interrompeva e le rotaie si allontanavano sempre di piu dalla facciata dell’edificio, protendendosi verso l’esterno; poi, dopo circa venticinque metri, descrivevano una curva passando accanto al pilone laterale. «Un’idea davvero stupida», disse Xn, continuando ad avvicinarsi. Grand Cherokee fisso prima la rotaia, poi di nuovo Xn. Ormai aveva capito di essersi spinto troppo oltre e che quel tizio aveva intenzione di ucciderlo. Maledetta Yoyo! Quella stupida carogna lo aveva messo in un bel guaio. La parte ragionevole di Grand Cherokee intervenne per sottolineare che era lui lo stupido, in quel momento. Perché non procedere semplicemente stando in equilibrio sulle rotaie? E, quando la parte sfrontata gli rispose a tono, aggiunse: «Hai un grande vantaggio, non soffri di vertigini». E se Xn ne soffre? Con la consapevolezza che le grandi altezze non erano un problema, Grand Cherokee sent la paralisi abbandonare improvvisamente il suo corpo. Pronto a tutto, mise un piede sulla rotaia. Fece un passo, poi un altro. Mezzo chilometro sotto di sé vide l’ingresso del World Financial Center, coperto di verde e attraversato da vialetti pedonali. Sulla Shj Dadao - la superstrada a due livelli che, dal fiume, conduceva all’hinterland di Pudong - le auto sembravano formiche frettolose. Il sole filtrava attraverso l’imponente apertura della torre e Grand Cherokee lo percepiva sempre piu forte, a mano a mano che si allontanava dalla vetrata protettiva della stazione, avanzando sulle rotaie, metro dopo metro. Folate di vento caldo lo facevano oscillare. A sinistra, la facciata di vetro della torre si allontanava a ogni passo... o, meglio, era lui che si allontanava dall’edificio. A destra, c’era il tetto della Jn Mao Dasha; sotto di lui e intorno a lui, si stagliavano gli edifici commerciali di Pudong e lo scintillante fiume Huangpu. Poi Shanghai si estendeva oltre i confini dell’immaginabile. Col cuore che batteva all’impazzata si fermo e giro la testa. Xn era in fondo al treno e lo osservava. Non lo stava seguendo. Quello stronzo non aveva il fegato per farlo. Grand Cherokee mosse un altro passo e scivolo fra due traverse. Il suo cuore si fermo. Come un gatto che sta per cadere, stese gambe e braccia davanti a sé, riuscendo ad afferrare le rotaie e penzolo sull’abisso per un lungo e terribile momento
prima di riuscire a tirarsi su. Respirando a fatica, cerco di rimettersi in piedi: si ritrovo a meta strada fra la stazione e la curva, nel punto in cui le rotaie cominciavano a inclinarsi. Il vento gli soffiava sotto l’impermeabile, del tutto inadatto per una passeggiata a cinquecento metri di altezza. Col respiro affannoso, si guardo di nuovo intorno. Xn era scomparso. Devo andare avanti, penso. Quanto manca al passaggio? Venticinque, trenta metri al massimo. Quindi avanti. Muoviti, raggiungi quella maledetta curva. Mettiti in salvo. Chi se ne importa di dov’e finito Xn? Con rinnovato coraggio, si tenne in equilibrio, di nuovo padrone dei propri sensi, mentre uno strano rumore gli rimbombava nelle orecchie. Quel rumore. Era a meta tra un ronzio e un crepitio, preceduto da un secco colpo metallico. Lo si sentiva svanire nella direzione opposta. Gli fece gelare il sangue nelle vene, anche se era un rumore familiare, dal momento che lo sentiva diverse volte al giorno, tutte le volte che prestava servizio lassu. Il drago. Xn aveva fatto partire il treno. Un urlo di terrore gli usc dalla gola, fu portato lontano dalle raffiche di vento caldo e ricadde su Pudong. Piagnucolando, Grand Cherokee continuo a muoversi appeso al binario, cercando di procedere il piu velocemente possibile. Il suo udito gli segnalo che il drago era sparito dietro il pilone nord, poi lo vide riapparire tra le fessure della rotaia: per ora procedeva lentamente ma, non appena avesse raggiunto il tetto, avrebbe preso velocita e allora... Il ragazzo striscio in avanti con frenesia, entrando nell’ombra del pilone sud. I binari s’inclinarono sensibilmente. Non gli rimase altra scelta che aggrapparsi con braccia e gambe e procedere in quella posizione. Troppo lento. Troppo lento. La paura mi fara scoppiare il cuore, penso Grand Cherokee. Forse dovrei provare con qualche imprecazione. La cosa funziono. Con voce stridula, urlo diversi insulti al cielo azzurro, afferro il metallo caldo delle rotaie e avanzo a scatti, come se stesse strisciando. Il tratto di rotaia comincio a tremare. Per due volte, lui rischio di perdere l’equilibrio, ma per due volte riusc a mantenerlo e a proseguire con ostinazione. Sopra di lui, un fischio acuto segnalo agli inesistenti passeggeri che il convoglio aveva raggiunto il punto piu alto e che adesso avrebbe seguito la linea del tetto.
Ma Grand Cherokee non era ancora arrivato a destinazione. Nel tentativo di gettare un’occhiata al drago, vide solo se stesso riflesso nella facciata del pilone: un vero spettacolo, in un certo senso. Il drago aveva appena superato la catapulta. Il binario comincio a vibrare con violenza. Grand Cherokee avanzo ancora un po’. «Ti prego, ti prego, ti prego...» mormoro, come fosse un mantra, al ritmo delle oscillazioni dei binari. «Ti prego...» Raddanng! «Ti prego...» Raddanng! Giro intorno al pilone. A meno di dieci metri, scorse i ponti di acciaio che collegavano le rotaie con l’edificio. Il dragone si piego, lanciandosi giu dal tetto. «Ti prego...» Con un fragore assordante, il treno si scaglio verso il basso, si avvito nell’anello del giro della morte e scatto di nuovo verso l’alto. L’intera costruzione si muoveva: davanti agli occhi di Grand Cherokee, le rotaie danzavano avanti e indietro. Si mise in piedi, riusc a saltare diverse traverse e a mantenere l’equilibrio nonostante l’inclinazione di quel tratto. Cinque metri. Quattro. Il dragone stava uscendo dall’anello... Tre metri. ... sfrecciava lungo la curva... Due. ... lo raggiunse. Nel momento in cui il treno supero il ponte di accesso, Grand Cherokee comp uno sforzo quasi sovrumano: con un urlo selvaggio, si diede lo slancio e salto nel vuoto. Sotto di lui, sibilava la prua appuntita del vagone frontale. Apr le braccia per trovare un appiglio in qualche sedile e riusc ad afferrare qualcosa, ma perse subito il contatto. Urto contro lo schienale di una fila di sedili, fu scaraventato in aria, piroetto nel vuoto e, per un attimo, sembro puntare verso l’azzurro del cielo, come se avesse deciso di decollare per lo spazio. Poi cadde. L’ultima cosa che Grand Cherokee Wang penso fu che almeno ci aveva provato. E che, in fondo, non era stato cos male. Xn alzo la testa e vide un gruppo di persone entrare nell’osservatorio di vetro. Anche il corridoio avrebbe aperto a breve. Aveva giusto il tempo di svignarsela. Conosceva il funzio-
namento delle centrali di vigilanza dei grattacieli e sapeva che, durante l’ultimo quarto d’ora, praticamente nessuno aveva dato un’occhiata ai monitor. In piu, anche se qualcuno lo avesse fatto, non avrebbe notato niente di strano. Escludendo il fatto che, per ben due volte, Wang era crollato sul pavimento della sala di controllo, per la maggior parte del tempo i due avevano dato l’impressione di essere soltanto due buoni amici impegnati in una conversazione. Ora pero aveva svegliato il drago, e prima del solito orario. Qualcuno lo avrebbe notato. Doveva andarsene. Xn si guardo intorno. Tolse rapidamente con la manica le sue impronte digitali dal display, poi si fermo e pul anche tutti i punti in cui avevano imperversato le dita unte di Grand Cherokee. Temeva che altrimenti le macchie lo avrebbero tormentato fino alla morte. Certe cose tendevano a fissarsi nella testa di Xn come sanguisughe. Alla fine, avanzo lungo il corridoio e ripercorse la strada fatta per arrivare alla sala di controllo. Nell’ascensore, si tolse parrucca e occhiali, si strappo via i baffi finti dal labbro superiore e rivolto la giacca. Era un modello realizzato apposta per lui, in modo che si potesse portare da entrambi i lati: nella giacca grigia - diventata color sabbia - ficco la parrucca, i baffi e gli occhiali. Decise di cambiare ascensore nella Sky Lobby del ventottesimo piano, raggiunse il seminterrato, attraverso il centro commerciale e usc nella luce del sole. Diverse persone stavano correndo verso il lato sud dell’edificio. Le grida si facevano sempre piu forti. Qualcuno urlava qualcosa a proposito di un suicida. Un suicidio? Tanto meglio. Poi, mentre percorreva il tratto alberato fino al parcheggio, Xn tiro fuori il biglietto da visita del detective privato. Limit 27 MAGGIO 2025 FANTASMI GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA La mente di Julian era un generatore d’idee straordinarie e lui si vantava di poterla accendere e spegnere a piacere. Quando i problemi irrisolti minacciavano di seguirlo sotto le coperte, lui decideva semplicemente di addormentarsi e scivolava in una specie di stato comatoso non appena appoggiava la testa sul cuscino. Il sonno era il pilastro portante della sua salute fisica e mentale, e sulla Luna finora aveva sempre dormito benissimo. Ma non quella notte. Continuavano a frullargli per la testa i discorsi fatti durante la cena, in particolare l’osservazione di Walo Ögi, che gli aveva chiesto perché non mettesse fine alla collaborazione esclusiva con Washington e aprisse a tutti il bazar delle sue tecnologie. In effetti,
era ben diverso accettare l’offerta migliore o accettare tutte le offerte. Faceva una notevole differenza persino sul piano etico. Favorire una sola parte, quand’era in gioco il benessere di dieci miliardi di persone - sebbene non tutte si sarebbero precipitate a costruire un ascensore spaziale nel giardino di casa -, rischiava di farlo apparire subdolo e avido... proprio lui, che aveva sempre difeso la propria indipendenza e, nei discorsi ufficiali, parlava sempre di responsabilita globale, stigmatizzando l’inutilita del braccio di ferro tra le nazioni. Cio che teneva sveglio Julian quella notte era il fatto che le sue aspirazioni segrete avevano trovato di nuovo conferma. Tanto piu che l’accesso universale ai suoi brevetti non avrebbe solo stimolato lo sfruttamento economico della Luna, ma anche migliorato gli affari... e la cosa non era affatto in contrasto con le sue considerazioni di tipo morale. Ögi aveva centrato il punto: se tre o quattro Paesi in piu avessero avuto a disposizione un ascensore spaziale e avviato l’estrazione dell’elio-3 lunare, la conversione mondiale alla fusione fredda sarebbe stata completa nel giro di pochi anni. L’Orley Enterprises - nello specifico l’Orley Space - avrebbe potuto cofinanziare la costruzione dell’ascensore delle nazioni meno ricche, dando all’Orley Energy la possibilita di accaparrarsi diritti esclusivi per l’approvvigionamento di energia elettrica. Cio avrebbe fatto prosperare il settore dei reattori e trasformato l’Orley Energy nel piu grande fornitore di energia elettrica del pianeta. Certo, Washington non avrebbe fatto i salti di gioia... Be’, pazienza, avrebbe dovuto farsene una ragione. Ma le cose non erano cos semplici. Piu volte Zheng Pang Wang aveva tentato di convincerlo a passare dalla parte di Pechino, ma Julian aveva sempre rifiutato senza esitazioni. Poi, un giorno, a Londra, mentre pranzava con lui nel lussuoso ristorante cinese Hakkasan, all’improvviso Julian aveva capito che avrebbe tradito il suo partner americano soltanto se fosse andato a letto con un unico altro partner. Mettere i suoi servigi a disposizione di tutti invece non era diverso dall’offrire a ogni essere umano di ogni Paese del mondo una Toyota o un Big Mac. Ovviamente Washington sarebbe stata di tutt’altro avviso. Avrebbe fatto appello all’accordo di reciprocita, nel quale sull’esempio del fast food - Julian metteva a disposizione la carne e lo Stato forniva i panini, dal momento che nessuno dei due avrebbe potuto andare avanti senza l’altro. In un attacco di espansivita, aveva confidato i suoi pensieri a Zheng. L’anziano cinese per poco non aveva fatto cadere le bacchette nel piatto. «No, no, mio rispettabile amico. Si possono avere una moglie e una concubina. Cosa puo farci la concubina se il suo amante e gia sposato? Niente. Si rallegrera del fatto di poter condividere la vita agiata della moglie. Ma il suo entusiasmo svanirebbe all’istante se, all’improvviso, arrivassero altre concubine a spartirsi la torta. La Cina ha investito troppo. Proviamo rammarico, ma anche grande rispetto, per il fatto che lei provi un simile attaccamento per sua ’moglie’. Pero, se improvvisamente spuntassero ascensori ovunque e chiunque potesse piantare la propria
bandiera sulla Luna, allora sorgerebbero enormi problemi. Tutto cio sarebbe fonte di grande preoccupazione per Pechino.» Di grande preoccupazione... «È possibile sopravvivere a un tale cambiamento di rotta?» L’osservazione di Rogacev lo aveva irritato, perché evidenziava una volta di piu l’arroganza dei governanti e degli organi statali. Un mucchio di gente inutile. Che razza di globalizzazione era quella in cui gli attori non erano minimamente disposti a condividere le proprie conoscenze con gli altri, e bisognava convivere con la prospettiva di finire assassinati per aver tentato di dividere la torta in modo equo? Piu ci pensava e piu gli allarmi chimici inondavano il suo ipotalamo. Alla fine, poco prima delle cinque, decise che era meglio smetterla di rigirarsi nel letto. Fece una doccia e penso di sfruttare l’occasione piu unica che rara della sua insonnia per fare una passeggiata intorno alla gola, benché si sentisse - almeno fisicamente - stanco morto. Ando in soggiorno, indosso una paio di pantaloncini e una T-shirt, sbadiglio e infilo un paio di mocassini leggeri. Quando sollevo la testa, gli sembro di scorgere un movimento all’altezza del bordo sinistro della finestra, un riflesso sfuggente. Fisso il paesaggio oltre la vetrata. Non c’era niente. Tergiverso senza sapere bene cosa fare, poi scrollo le spalle e lascio la suite. Nessuno in vista. Nulla di strano: i suoi compagni di viaggio erano tutti esausti. Raggiunse l’armadio con le tute spaziali e inizio a vestirsi. Infilo la stretta bardatura coi rinforzi in acciaio, applico la protezione pettorale e lo zaino, prese il casco sottobraccio e si diresse verso i sotterranei. Quando raggiunse il corridoio, per un attimo credette di avere le allucinazioni. Dalla stazione, gli stava venendo incontro un astronauta. Julian socchiuse le palpebre. L’altro si avvicinava rapidamente sul tapis roulant. La luce bianca rischiarava la sua silhouette. D’un tratto, ebbe la bizzarra sensazione di fissare un mondo speculare e vedere se stesso all’altra estremita del corridoio. Poi il cranio ovale, i capelli rasati, il mento pronunciato e gli occhi scuri si assemblarono sino a formare un volto familiare. «Carl!» esclamo, esterrefatto. Hanna non sembrava meno sorpreso di lui. «Cosa diavolo ci fai qui?» Scese dal tappeto mobile e si avvicino a Julian, che sollevo le sopracciglia, irritato, e si guardo intorno, come se dalle pareti potessero spuntare altri ospiti troppo mattinieri. «Potrei farti la stessa domanda.» «Be’, sinceramente...» Hanna aveva lo sguardo di chi era stato colto in fallo, e un sorriso ebete dipinto in volto. «Io...»
«Non dirmi che sei uscito!» Hanna sollevo entrambe le mani. «No. Lo giuro.» «Ma volevi farlo.» «Hmm...» «Avanti, parla.» «Be’, s, solo un salto dall’altra parte della gola, per osservare Gaia.» «Da solo?» «Certo, da solo!» L’aria da scolaretto spar dal viso di Hanna per lasciare il posto allo sguardo di un uomo adulto. «Mi conosci. Non sono il tipo che dorme otto ore e probabilmente non sono nemmeno tagliato per i viaggi di gruppo. Insomma, ero sdraiato nel letto e d’un tratto ho pensato: Chissa com’e sentirsi l’unico uomo sulla Luna. Chissa com’e passeggiare la fuori tutto solo, senza gli altri, immaginando che non ci sia nessuno oltre a me.» «Un’idea stupida.» «Un’idea che potrebbe essere tua.» Hanna alzo gli occhi al cielo. «Dai, non fare cos. Nei prossimi giorni, saremo sempre in giro con tutto il gruppo, giusto? E per me va bene, davvero. Gli altri mi piacciono, non me la svignero. Pero volevo sapere cosa si prova.» Julian si accarezzo la barba. Poi sorrise. «A quanto sembra, comunque, non ho nulla di cui preoccuparmi. Ti sei perso prima ancora di mettere un piede fuori.» Hanna rise. «Gia, che idiota, vero? Ho dimenticato dove si trovano quei maledetti boccaporti. So che ce li avete mostrati, ma...» «Qui. Proprio qui davanti.» Hanna giro la testa. «Oh, fantastico. E c’e pure scritto sopra bello grande», disse in tono contrito. «E bravo il nostro viaggiatore solitario», lo prese in giro Julian. «Peraltro io ho avuto la tua stessa idea.» «Quale? Uscire tutto solo?» «No, idiota. E tieni conto che io ho un sacco di esperienza pratica che tu non possiedi. Questa non e una delle tue piste da jogging. È pericoloso.» «Certo. Vivere e pericoloso in sé.» «Dico sul serio.» «Sciocchezze, Julian, conosco bene la tuta spaziale. Ho partecipato a un’EVA sull’OSS, a un’altra durante il viaggio per venire qui... tutte cose ben piu pericolose che calpestare un po’ di regolite.» «Vero, pero...» Pero volevo svignarmela esattamente come te, penso Julian. «Le norme prescrivono che nessuno esca senza essere accompagnato, perlomeno nessun turista.»
«Benissimo», esclamo Hanna, tutto allegro. «Adesso siamo in due. A meno che tu non preferisca restare da solo.» Julian rise. «Sciocchezze.» Si diresse verso il boccaporto e apr la paratia interna. «Dato che ti sei fatto scoprire, adesso devi farmi compagnia, che tu lo voglia o no.» Hanna lo segu. Il boccaporto poteva ospitare venti persone, cosicché i due gironzolarono all’interno, un po’ sperduti mentre le tute eseguivano i test automatici. Sbalordito, Hanna si chiese quanto fosse alta la probabilita matematica di quell’incontro. Se era vero che l’essere umano viveva in uno soltanto d’innumerevoli universi paralleli, nei quali si realizzava ogni possibile sviluppo della realta e in cui magari esistevano sauri intelligenti e Hitler aveva vinto la guerra, perché lui doveva trovarsi proprio in quello in cui Julian aveva imboccato il corridoio in quell’istante? Perché non dieci minuti piu tardi, dandogli la possibilita di raggiungere la suite senza essere visto? L’unica consolazione era che, in altre realta, le circostanze avrebbero potuto essere ancora piu sgradevoli: per esempio se Julian avesse assistito al suo arrivo col Lunar Express... Dovevano stare ancora piu attenti, essere ancora piu vigili. Lui ed Ebola. XINTIANDÌ, SHANGHAI, CINA «Interessante, il tuo programma», disse Jericho. «Ah!» esclamo Tu Tian, divertito. «Mi stavo giusto chiedendo quando mi avresti chiamato. Quale hai provato?» «Il quartiere francese. Non hai davvero intenzione di diffondere questa roba, vero?» Tu Tian sorrise. «Abbiamo tolto... il pepe, per cos dire. Come ti ho detto, si tratta di un prototipo. Per uso strettamente interno, quindi non ti azzardare a venderlo. Ho pensato che ti avrebbe fatto bene divertirti un po’. Inoltre volevi conoscere Yoyo.» «Sono state un’idea sua? Le frecciate contro il Partito, intendo. » «S, il testo e di Yoyo. Si tratta di registrazioni di prova, lei ha improvvisato. Ci hai provato?» «Certo. Ci ho provato e l’ho insultata.» Tu Tian ridacchio. «Impressionante, vero?» «Un po’ di varieta nelle risposte non guasterebbe. Ma, per il resto, un programma decisamente riuscito.» «La versione destinata al mercato funziona con l’intelligenza artificiale. Puo generare ogni tipo di reazione in tempo reale. A questo scopo, non abbiamo piu nemmeno dovuto filmare Yoyo, né registrare l’audio. Il sintetizzatore e in grado di simulare la sua voce, i movimenti delle sue labbra, la sua gestualita, tutto. La tua e una versione ancora molto semplificata. In compenso, hai avuto a disposizione l’autentica Yoyo.»
«Una cosa me la devi spiegare.» «Se non vai a vendere l’informazione alla Dao IT.» Idiota, penso Jericho, ma tenne il commento per sé. «Sai bene che non lo farei mai», disse invece. «Era solo una battuta.» Tu Tian si pul i denti, tiro fuori qualcosa di verde dalla bocca e lo getto via. Jericho cerco di non guardare, ma inevitabilmente il suo sguardo si sposto nella direzione in cui il frammento era atterrato. La cosa che lo irritava era che, sulla nuova parete multimediale, Tu Tian non veniva proiettato solo a grandezza naturale, ma anche a tre dimensioni: si aveva l’impressione che il loft di Jericho avesse temporaneamente guadagnato un locale. Non si sarebbe meravigliato di trovare il frammento di cibo sul parquet. Certo che la visione tridimensionale di Tu Tian non era neanche lontanamente piacevole come quella di Naomi Liu. Lei aveva davvero delle belle gambe... «Owen?» Jericho sbatté le palpebre. «Ho notato che la figura di Yoyo e molto stabile in mezzo alla folla. Come ci siete riusciti?» «Segreto aziendale», disse Tu Tian con voce flautata. «Spiegamelo. Altrimenti saro costretto a far visita al mio oculista. » «I tuoi occhi sono a posto.» «Evidentemente no. Le lenti degli occhiali sono trasparenti come il vetro di una finestra. Attraverso di esse vedo la realta. Il tuo programma puo proiettare qualcosa, ma non modificare la realta.» «Ah, e questo che fa?» sorrise Tu Tian. «Sai benissimo cosa fa. Fa temporaneamente scomparire le persone.» «Non hai mai pensato che pure la realta potrebbe essere solo una proiezione?» «Puoi essere un po’ meno criptico?» «Diciamo che potremmo anche fare a meno delle lenti.» «E Yoyo comparirebbe comunque?» «Bingo!» «Ma su quale supporto?» «Comparirebbe perché nulla di quello che vedi e la pura e semplice realta. Nelle stanghette e nella montatura degli occhiali sono nascoste minuscole telecamere che forniscono al computer un’immagine del mondo reale, in modo che sappia come e dove inserire Yoyo. Quello che forse non hai notato sono i proiettori sul bordo interno dell’occhiale.» «So che Yoyo viene proiettata sulla lente dell’occhiale.» «Invece no.» Tu Tian era scosso da una irrefrenabile risata. «Il vetro e superfluo. Le telecamere creano un’immagine completa, formata dall’ambiente e da Yoyo. E questa immagine
viene proiettata direttamente sulla tua retina.» Jericho fisso Tu Tian. «Vuoi dire che nulla di quello che ho visto...» «Oh, no, quello che hai visto e il mondo reale. Ma non di prima mano. Vedi quello che filmano le telecamere, e il filmato e manipolabile. In tempo reale, s’intende. Possiamo colorare il cielo di rosa, far scomparire le persone o far loro crescere le corna. Trasformiamo i tuoi occhi nello schermo di un cinema.» «Incredibile.» Tu Tian scrollo le spalle. «Sono applicazioni efficaci della realta virtuale. Sapevi che la maggior parte delle malattie che provocano la cecita e riconducibile a un offuscamento del cristallino? La retina sottostante e a posto, e noi proiettiamo il mondo visibile direttamente sulla retina. Ridiamo la vista ai ciechi. È questo il segreto.» Jericho si gratto il mento. «Capisco. E Yoyo ha collaborato al progetto.» «Gia.» «Ti fidi davvero molto di lei.» «È brava. Ha ottime intuizioni. È un’autentica fucina d’idee.» «Ma e una stagista!» «Il fatto e irrilevante.» «Non per me. Devo sapere con chi ho a che fare, Tian. Fino a che punto e scaltra, quella ragazza? È davvero solo una...» «Dissidente», avrebbe voluto dire, ma rimase in silenzio, evitando di commettere uno stupido sbaglio. Diamond Shield avrebbe subito estrapolato la parola dalla conversazione, registrandola nei suoi file. «Yoyo se ne intende», taglio corto Tu Tian. «Non ho mai sostenuto che sarebbe stato facile trovarla.» «No. Non l’hai mai fatto», mormoro Jericho, rivolto soprattutto a se stesso. «Forza e coraggio, su. In compenso, mi e venuta in mente un’altra cosa.» «Sono tutt’orecchi.» «A quanto pare, Yoyo e amica di alcuni membri di una banda di motociclisti. A me non ha mai presentato quei tizi, pero mi ricordo che sui loro giubbotti c’e scritto City Demons. Forse questo ti puo aiutare.» «Lo sapevo gia, grazie. Per caso Yoyo ti ha detto dove s’incontrano? » «Temo che questo dovrai scoprirlo da solo.» «D’accordo. Se ti venisse in mente altro...» «Te lo faccio sapere. Aspetta...» Al di la della proiezione risuono la voce di Naomi Liu. Tu Tian si alzo e spar. Jericho sent i due parlottare, poi Tu Tian torno alla scrivania. «Scusa, Jericho, ma a quanto sembra c’e stato un suicidio.» Esito. «O un incidente. »
«Cos’e successo?» «Una cosa terribile. Qualcuno e precipitato dal tetto. L’ottovolante era in funzione fuori orario. Evidentemente la vittima lavorava lassu. Ti richiamo, okay?» «Okay.» Jericho resto seduto davanti alla parete bianca, assorto nei suoi pensieri. Qualcosa che aveva detto Tu Tian lo aveva turbato. Si chiese quale ne fosse il motivo. Ovunque la gente si gettava dai grattacieli, e la Cina deteneva il record di suicidi, superando anche il Giappone. Inoltre i grattacieli offrivano la possibilita piu economica ed efficace per togliersi la vita. A turbarlo non era il suicidio in sé. Allora cos’era? Prese la chiavetta che gli aveva dato Tu Tian e la appoggio sulla superficie del piano di lavoro, poi scarico le visite guidate virtuali di Yoyo, la sua scheda personale, i protocolli delle conversazioni e gli altri documenti. La scheda personale conteneva anche il suo codice genetico, la scannerizzazione vocale e quella dell’iride, le impronte digitali e il gruppo sanguigno. Grazie alle visite guidate, poteva prendere confidenza con la sua gestualita, la mimica e il modo di parlare. Dai documenti e dalle conversazioni era possibile estrapolare espressioni e modi di dire, metafore e costruzioni sintattiche. Nel complesso, aveva un profilo personale utilizzabile. Un insieme di dati con cui poteva lavorare. Ma forse bisognava iniziare con quello che non aveva. Ando online e chiese al computer di cercare le parole «City» e «Demons». Apparvero una squadra di football del New South Wales e un’altra in Nuova Zelanda; una squadra di pallacanestro di Dodge City, nel Kansas, nonché una gothic band vietnamita. Sembrava che non ci fossero demoni a Shanghai. Dopo aver ampliato i criteri di ricerca, finalmente trovo una corrispondenza. Due membri del club motociclistico City Damons erano stati coinvolti in una rissa con una mezza dozzina di nordcoreani ubriachi che avevano osato intonare l’inno del loro defunto leader nel Club DKD sulla Huaihai Donglu. I motociclisti se l’erano comunque cavata con un’ammonizione: con un decreto retroattivo, infatti, il governo cinese aveva dichiarato Kim Jong-un «persona non grata» e cio per adeguarsi all’atmosfera instauratasi nella nuova Corea unita. Per tutta una serie di motivi, Pechino faceva ogni sforzo per soffocare sul nascere ogni espressione nostalgica nei confronti del totalitarismo nordcoreano. City Damons. Con la A. Subito dopo, scovo un blog che parlava della scena hip-hop di Shanghai e in cui veniva commentato l’episodio accaduto al Club DKD: il gesto dei due membri dei City Demons - con la E -, che avevano indicato l’uscita ai diavoli nordcoreani a calci nel sedere, era narrato in termini entusiasti. Jericho clicco sul link e arrivo in un forum di motociclisti che confermo il suo
sospetto: gli articoli erano stati messi in rete dagli stessi City Demons, e si rivelo come la piattaforma pubblicitaria di un’officina per motociclette elettroniche e ibride di nome Demon Point, il cui proprietario con ogni probabilita apparteneva lui stesso ai City Demons. Molto interessante. L’officina si trovava infatti ai margini di Quyu: un mondo parallelo, in cui quasi nessuno aveva un computer o un accesso a Internet, ma dove a ogni angolo c’era una sorta di buco nero chiamato Cyber Planet, che risucchiava gli adolescenti per non risputarli mai piu. Un mondo governato da diversi clan, dipendenti dalla Triade, che talvolta si aggregavano, ma di solito si scontravano, sempre uniti soltanto nel perpetrare ogni crimine possibile e immaginabile. Un mondo fatto di gerarchie complesse, al di fuori delle quali nessuno dei suoi abitanti valeva qualcosa. Un mondo che ogni giorno forniva ai quartieri piu dignitosi intere schiere di operai a buon mercato e forze lavoro non qualificate, per riassorbirle la sera; un mondo che aveva ben poco da offrire, ma che attirava magicamente i rappresentanti delle classi sociali piu agiate, perché aveva qualcosa che, nella rinnovata Shanghai, non era possibile trovare da nessun’altra parte: il riflesso affascinante e variopinto della putrefazione umana. Quyu, la zona, il mondo dimenticato. Il luogo perfetto, se si voleva sparire dalla circolazione. La piccola officina non si trovava a Quyu, ma era abbastanza vicina per fungere da porta di accesso. Jericho sospiro. Si vedeva costretto a compiere un passo che non avrebbe voluto fare. La sua collaborazione con la polizia di Shanghai dipendeva dal coinvolgimento degli agenti nei casi di spionaggio o di corruzione che lui aveva per le mani. Nel caso di mostri come Animal Ma Lpng, avevano combattuto a spalla a spalla ma, ancor prima di scovare quello stupratore pedofilo, Jericho si era guadagnato il rispetto delle autorita. E, pur con cautela, alcuni agenti gli avevano fatto capire di essere disposti a fornirgli informazioni in caso di necessita. Inoltre, dall’incubo di Shenzhen Sh, Patrice Ho, il suo amico delle alte sfere della polizia, gli doveva un favore. A Jericho non sarebbe dispiaciuto pretendere da Ho che saldasse il suo debito, chiedendogli di dare una sbirciatina ai database della polizia. Ma, se Yoyo aveva davvero le autorita alle calcagna, la cosa era fuori discussione. E cio significava che doveva entrare nel sistema con un’azione pirata. Ci aveva gia provato per due volte. Riuscendoci. Aveva giurato a se stesso di non provarci una terza volta. Se lo avessero scoperto, sapeva bene cosa lo aspettava. Da quando, nel 2007, Pechino era penetrata abusivamente nelle reti governative europee e americane, l’Occidente era passato al contrattacco, spalleggiato da hacker russi e arabi. Da allora, gli attacchi informatici erano un autentico spauracchio per la Cina. Di conseguenza, chi s’infiltrava nei sistemi cinesi non poteva aspettarsi nessuna pieta.
In preda a sentimenti contrastanti, si mise al lavoro. Poco tempo dopo, si trovava dentro diversi database. Quasi ogni settore del tessuto urbano era dotato di scanner, nascosti nelle facciate degli edifici, nei semafori, nei cartelli stradali, nelle maniglie dei portoni, nei campanelli, nei tabelloni pubblicitari, nelle etichette, negli specchi, nelle attrezzature e negli elettrodomestici. Leggevano la retina, rilevavano dati biometrici, analizzavano andatura e gestualita, registravano voci e rumori. Mentre il sistema di ascolto era stato perfezionato gia decenni prima, sul modello dell’NSA americana, l’analisi della retina era una tecnica relativamente recente. Gli scanner riconoscevano la struttura individuale dell’iride umana da molti metri di distanza e abbinavano i dati al suo proprietario. Microscopici microfoni direzionali filtravano le frequenze dai rumori di un incrocio trafficato, consentendo di ascoltare con estrema chiarezza le conversazioni. Ma la vera arte della sorveglianza risiedeva nell’analisi dei dati. Il sistema localizzava i ricercati grazie al loro modello comportamentale e ne riconosceva i volti, persino se portavano barbe posticce. Un unico sguardo di Yoyo in uno degli immancabili scanner sarebbe bastato per identificare la sua retina, rilevata per la prima volta alla nascita, una seconda volta all’inizio del ciclo scolastico, poi all’iscrizione all’universita e infine quand’era stata arrestata e poi rilasciata. Il computer di Jericho inizio ad analizzare ogni guizzo di Yoyo: s’immerse nella struttura dell’iride, misuro l’angolazione con la quale si sollevavano gli angoli della bocca quando lei sorrideva, creo grafici del modello comportamentale dei suoi capelli quando venivano accarezzati dal vento, determino la scala del movimento delle anche, la divaricazione delle dita quando ciondolava le braccia, la posizione del polso se indicava qualcosa, la lunghezza media dei suoi passi. Yoyo si trasformo in una creatura fatta di equazioni, un algoritmo che Jericho invio nel mondo di fantasmi dei database statali nella speranza di trovare qualche corrispondenza. Sebbene lui avesse circoscritto la ricerca all’arco di tempo immediatamente successivo alla sua scomparsa, il sistema segnalo piu di duemila corrispondenze. Carico i dati rubati sul proprio disco fisso, li memorizzo nella cartella Yoyofiles e si scollego il piu in fretta possibile. Il suo raid era passato inosservato. Era tempo di analizzare i dati. Un attimo, mancava ancora una tessera del puzzle. Per quanto sembrasse improbabile, forse quello studente dal nome avventuroso aveva davvero qualcosa da offrire. Come si chiama? Ah, sì, Grand Cherokee Wang. Grand Cherokee... La mente di Jericho fu scossa da un lampo di consapevolezza. Wang - lo aveva scoperto durante le sue ricerche - aveva un lavoro part time al World Financial Center, l’edificio in cui si trovava anche l’azienda di Tu Tian. Faceva funzionare il Silver Dragon...
E il Silver Dragon era un ottovolante. «L’ottovolante era in funzione fuori orario. Evidentemente la vittima lavorava lassu», aveva detto Tu Tian. Jericho fisso il vuoto, impietrito. Il suo istinto gli diceva che lo studente non si era buttato di sua spontanea volonta né era stato vittima di un incidente. Wang era morto perché sapeva qualcosa su Yoyo. No, non per quello. Perché aveva dato l’impressione di sapere qualcosa su Yoyo. Ora il caso gli appariva sotto una luce completamente nuova. Attraverso il loft, ando in cucina e disse: «Te. Lady Grey. Una tazza, doppio zucchero, latte normale». Mentre la macchina preparava la bevanda richiesta, ripasso le informazioni. Forse vedeva fantasmi ovunque, ma il suo dono di afferrare collegamenti la dove altri vedevano solo cose isolate non l’aveva mai ingannato. Era chiaro che, oltre a lui, qualcun altro stava cercando Yoyo. Non ne era sorpreso. Sia Chén sia Tu Tian avevano ipotizzato che Yoyo stesse fuggendo da qualcuno. Entrambi pero si erano dimostrati scettici all’idea che si trattasse della polizia, anche se forse Yoyo ne era convinta. Stavolta non erano venuti degli agenti a prelevarla, come le due volte precedenti; lei si era semplicemente volatilizzata durante la notte. Una mossa affrettata, almeno in apparenza. Qualcosa doveva aver risvegliato in Yoyo il timore di ricevere, entro pochi minuti o poche ore, la visita di persone non troppo ben disposte nei suoi confronti. Cosa aveva fatto prima di prendere il largo? Era stata avvertita? Da chi? E perché? Se Wang aveva detto la verita, nel momento cruciale la ragazza era sola, quindi forse aveva ricevuto una telefonata: «Vattene finché sei in tempo». Oppure un’email. Forse invece non era accaduto nulla di tutto questo. Forse Yoyo aveva semplicemente scoperto qualcosa in rete e si era spaventata. Dalla cucina giunse un timido fischio: il te era pronto. Jericho afferro la tazza, si scotto le dita, impreco e bevve un sorso. Decise che avrebbe chiesto al servizio clienti di riprogrammare la macchina. «Doppio zucchero» era troppo dolce; «zucchero semplice» era troppo amaro. Soprappensiero, torno alla sua postazione di lavoro. I poliziotti di Shanghai non erano schizzinosi, pero raramente buttavano giu dai tetti gli indiziati. Era molto piu probabile che Grand Cherokee Wang si fosse imbattuto in un criminale. Aveva voluto bluffare. Uno spaccone che non aveva niente da vendere, solo che aveva giocato con la persona sbagliata. A chi diavolo aveva pestato i piedi Yoyo? «Breaking News», disse. «Shanghai. World Financial Center. » Sulla parete comparvero titoli e immagini. Jericho soffio sul te e chiese al computer di leggergli l’ultima notizia.
«Stamattina verso le 10.50 un uomo e precipitato dal World Financial Center a Shanghai, nel quartiere di Pudong», disse una suadente voce femminile. «Secondo le prime ricostruzioni, si tratta di un addetto alla manutenzione e alla manovra del Silver Dragon, l’ottovolante piu alto del mondo. Al momento dell’incidente, l’ottovolante era in funzione fuori orario. La procura ha aperto un’inchiesta a carico del gestore. Finora non e stato possibile appurare se si e trattato di un incidente o di suicidio, ma tutto sembra indicare che...» «Mostrare solo le notizie video», ordino Jericho. Si apr una finestra video. Una giovane cinese si era piazzata con la telecamera davanti alla Jn Mao Dasha e alle sue spalle si vedeva la parte inferiore del World Financial Center. Sotto l’espressione abbattuta, ottenuta con un rapido trucco, si coglieva la sua gioia per il fatto che qualche idiota, con la sua dipartita, le avrebbe permesso di sbarcare il lunario. «Non e ancora chiaro perché l’ottovolante fosse in funzione, senza passeggeri e al di fuori dell’orario regolare», disse, caricando ogni parola di un’aura di mistero. «Forse il video amatoriale di alcuni testimoni oculari, che per caso stavano filmando l’ottovolante al momento della disgrazia, potra spiegare la dinamica dei fatti. Se si e trattato di una disgrazia. Sull’identita della vittima attualmente non si hanno ancora...» «Il filmato dei testimoni oculari», la interruppe Jericho. «Identita del morto.» «Il filmato purtroppo non e disponibile.» Nel tono del computer era percepibile il rincrescimento. Jericho aveva impostato il livello emozionale del sistema sul venti per cento. Percio la voce non aveva un suono meccanico, bens umano e amichevole. «Ci sono due notizie sull’identita del morto.» «Leggere, per favore.» «Lo Shanghai Satellite scrive: ’La vittima si chiamava Wang Jntao. Wang era uno studente della...’» «L’altra notizia.» «L’agenzia di stampa Xn Hua scrive: ’Il morto e stato identificato come Wang Jntao. Wang, che si faceva chiamare Grand Cherokee, studiava...’» «Notizie sulle esatte circostanze della morte.» C’erano moltissime notizie al riguardo, ma nessuna certa. Tuttavia il quadro che ne derivava era interessante. Qualcuno aveva messo in moto il Silver Dragon con dieci minuti di anticipo, ancor prima dell’arrivo dei passeggeri. Grand Cherokee si occupava della manutenzione del sistema e si prendeva cura dei visitatori, il che in concreto significava controllare i biglietti e avviare il treno. Al momento dell’incidente, lassu non avrebbe dovuto trovarsi nessuno oltre a lui, tuttavia alcuni indizi facevano supporre il contrario. Due collaboratori della Sky Lobby sostenevano di aver visto Wang accogliere un uomo e salire in ascensore con lui. Altre indicazioni venivano dal filmato amatoriale, nel quale si vedeva Wang camminare sulla
rotaia mentre il treno era gia in funzione. Cosa diavolo ci faceva Wang lassu? Forse aveva fatto inavvertitamente partire il treno, ipotizzava un breve articolo dello Shanghai Satellite. Il suicidio sembrava la spiegazione piu ovvia. Ma perché un aspirante suicida avrebbe dovuto camminare in equilibrio su una rotaia, quando avrebbe potuto saltare nel vuoto dalla stazione aperta? Per di piu - segnalava un altro articolo -, sembrava che Wang fosse stato travolto dal treno. Un incidente? In ogni caso, nessuno parlava di omicidio; si accennava solo all’ipotesi di una responsabilita di terzi. Due minuti dopo, Jericho ne sapeva di piu. L’agenzia Xn Hua comunico che erano finalmente disponibili i filmati delle telecamere di sorveglianza. A quanto pareva, Wang era in compagnia di un uomo alto, che aveva abbandonato l’edificio subito dopo la sua caduta. Evidentemente tra i due c’era stata una lite, ed era ormai appurato che Wang aveva percorso la rotaia senza la minima cautela ed era stato travolto dal treno all’altezza del pilone sud. Jericho fin il suo te e rifletté. Perché quel giovane era morto? Chi era il suo assassino? «Computer. Aprire Yoyofiles», disse. Piu di duemila corrispondenze. Da dove iniziare? Decise di partire dai risultati col novantacinque per cento di corrispondenza. L’elenco si ridusse a centodiciassette file, nei quali il sistema di sorveglianza aveva creduto di riconoscere Yoyo. Ordino al computer di selezionare i contatti visivi diretti. Ce n’era uno solo, nelle immediate vicinanze del condominio in cui abitava Yoyo, avvenuto alle 02.47. Jericho non era in grado di dire dove si trovasse lo scanner, ma sospettava che fosse nascosto in un cartello stradale. In un file separato erano registrate le coordinate esatte. La donna dall’altra parte della strada era Yoyo, su quello non c’erano dubbi. Era in sella a una moto senza targa e teneva la testa bassa, entrambe le mani appoggiate sul casco. Poco prima d’indossarlo, sollevo gli occhi e guardo direttamente nello scanner, poi abbasso la visiera a specchio e part a razzo. «Trovata», mormoro Jericho. «Computer, riavvolgere il filmato. » Yoyo si tolse di nuovo il casco. «Stop.» Lei lo guardava dritto negli occhi. «Ingrandire al duecentotrenta per cento.» La nuova parete olografica era in grado di proiettare l’immagine di Yoyo a grandezza naturale. A vederla seduta sulla motocicletta, in posa plastica e in un ambiente tridimensionale,
sembrava che nel loft di Jericho si fosse aperto un portale sulla notte. Aveva calcolato bene il fattore d’ingrandimento. Yoyo appariva al massimo tre o quattro centimetri piu alta di quello che era in realta, e l’immagine era sorprendentemente nitida. Il sistema era in grado di riconoscere la struttura di un’iride sull’altro lato della strada: non per nulla veniva chiamato «contapori ». Jericho sapeva che, per il momento, quello sguardo sarebbe stato l’ultima cosa che avrebbe potuto vedere di Yoyo, quindi cerco di analizzarlo. Hai paura, penso. Ma lo nascondi bene. E sei pronta a tutto. Fece un passo indietro. Yoyo indossava jeans chiari, stivali alti fino alle ginocchia, una Tshirt che le copriva i fianchi e una giacca corta e sporca di vernice; il colore delle macchie suggeriva che se le fosse fatte usando una delle bombolette spray che lui aveva visto nella stanza della ragazza. La maggior parte della scritta sulla T-shirt era in ombra o nascosta dalla giacca ma, dove quest’ultima si apriva, se ne scorgeva un frammento. Ci sarebbe tornato. «Cerca questa persona nella cartella Yoyofiles», disse. «Concordanza al novanta per cento.» La risposta non si fece attendere: settantasei corrispondenze. Si chiese se dovesse visionare tutti quei filmati della sorveglianza, ma poi chiese al computer di visualizzare le coordinate delle registrazioni su una piantina della citta di Shanghai. Un battito di ciglia piu tardi, la mappa comparve sulla parete, indicando il percorso seguito da Yoyo la notte della sua fuga. L’ultima registrazione era avvenuta poco distante dal Demon Point, la piccola officina per motociclette elettroniche e ibride. Di l, le sue tracce scomparivano nel nulla. Yoyo si trovava nel mondo dimenticato. Dato che i sistemi di sorveglianza a Quyu erano praticamente inesistenti, c’era la concreta possibilita che Yoyo avesse scelto proprio quel luogo per nascondersi. Ma Quyu non era un ghetto nel senso classico del termine; non era paragonabile alle baraccopoli brulicanti che circondavano Calcutta, Citta del Messico o Mumbai e si estendevano come virus nelle campagne circostanti. Essendo una metropoli come New York, Shanghai aveva bisogno di Quyu, proprio come la Grande Mela aveva bisogno del Bronx, e quello era il motivo per cui le autorita cittadine avevano sempre lasciato in pace il quartiere, senza mai invaderlo coi bulldozer né razziarlo. Nei primi anni del nuovo millennio, i vecchi centri storici e i quartieri degradati della cerchia piu interna di Shanghai erano stati sistematicamente rasi al suolo e, nel punto in cui il distretto di Baoshan confinava col nucleo della citta, era sorto il quartiere di Quyu. Le autorita lo avevano lasciato crescere, proprio come si lascia crescere l’erbaccia in giardino per non dover pagare un giardiniere. Situato a nord-ovest dello Huangpu, Quyu marcava il passaggio agli insediamenti provvisori, agli agglomerati di case fatiscenti, ai centri cittadini in rovina e ai complessi industriali abbandonati. Era un moloch che, negli anni, si era ul-
teriormente ampliato, inghiottendo anche gli ultimi tratti di una regione che un tempo era considerata agricola. Autarchica all’interno, sorvegliata come un carcere all’esterno, Quyu era uno dei piu sorprendenti esempi di urbanizzazione della poverta del XXI secolo. Vi abitavano persone che, dopo essere state costrette ad abbandonare il loro quartiere nel cuore di Shanghai, erano state trasferite l; abitanti dei vecchi comuni assorbiti da Quyu e immigrati delle province povere, allettati dalle promesse della metropoli e con un permesso di soggiorno a tempo, che nessuno controllava mai: intere schiere di lavoratori illegali, ufficialmente inesistenti. A Quyu tutti erano poveri, ma alcuni erano meno poveri di altri. I maggiori guadagni provenivano dallo spaccio di droga e dallo sfruttamento della prostituzione. La popolazione di Quyu era una societa informale sotto ogni punto di vista, senza assicurazione sanitaria, senza la prospettiva di una pensione, senza sussidi. Eppure la maggior parte di quegli uomini e di quelle donne aveva un lavoro. Gli abitanti di Quyu erano occupati ai nastri trasportatori e sui ponteggi, tenevano puliti parchi e strade, scaricavano merci e lustravano gli appartamenti dei piu fortunati. Come fantasmi, apparivano nel mondo ufficiale, svolgevano il proprio lavoro e poi, quando non servivano piu, si smaterializzavano. Erano poveri perché chiunque, a Quyu, poteva essere sostituito in ventiquattr’ore. Restavano poveri perché, come aveva detto il vecchio Bill Gates, facevano parte di una societa mondiale che si divideva in chi era connesso e chi non lo era, e a Quyu nessuno aveva accesso alla rete, nemmeno se possedeva un cellulare o un computer. Essere connessi significava partecipare al gioco globale ad alta velocita e non abbassare la soglia di attenzione nemmeno per un secondo. Voleva dire separare le informazioni rilevanti da quelle insignificanti e trarne vantaggi, vantaggi che si dissolvevano non appena si veniva tagliati fuori dalla rete. Era necessario essere piu bravi, piu veloci, piu economici, piu innovativi e piu flessibili della concorrenza, se necessario anche cambiando la propria residenza o addirittura il proprio lavoro. Voleva dire partecipare al gioco. Il futuro sara di coloro che avranno accesso alla rete, aveva affermato Gates. Di conseguenza, le societa non connesse non avevano futuro. Gli esseri umani non collegati in rete erano come ragni incapaci di produrre il filo della ragnatela. A loro non restava nulla. Erano condannati a morire di fame. Ufficialmente, a Quyu, ancora nessuno era morto di fame. Benché i governanti cinesi mal tollerassero l’esistenza di ghetti e di quartieri degradati, non lasciavano morire di fame la gente per le strade di Shanghai. Ma non per amore verso il prossimo; perché una cosa del genere sarebbe stata intollerabile per Shanghai, uno dei centri finanziari piu importanti del mondo. D’altro canto, le dichiarazioni ufficiali su Quyu non avevano il minimo fondamento.
Cosa si poteva dichiarare di un quartiere considerato incontrollabile, che si amministrava in modo autonomo, la cui popolazione era un mistero, dal quale la polizia stava lontana, e i cui confini si andavano letteralmente fortificando? Si sapeva che esistevano infrastrutture e palazzi; alcuni dignitosi, altri poco piu che ruderi. L’acqua potabile scarseggiava, la corrente elettrica funzionava a intermittenza, le condizioni igienico-sanitarie erano al limite dell’accettabile. A Quyu c’erano medici e ambulanze, ospedali, scuole e asili, snack bar, locali, cinema, chioschi e persino mercati, praticamente scomparsi nella Shanghai ufficiale. Ma nessuno sapeva come ci si vivesse. I crimini commessi non venivano quasi mai indagati, ennesimo segno della volonta di lasciare il quartiere a se stesso, separandolo dalle dinamiche della societa evoluta. Se non commettevano qualche infrazione al di fuori del loro spazio vitale, gli abitanti del quartiere non venivano né aiutati né perseguiti. Dove non esisteva un futuro non c’era nemmeno un passato, almeno nessun passato di cui si potesse andare fieri o sul quale si potesse costruire qualcosa. Senza l’accesso alla rete, si viveva al di fuori del tempo, nelle regioni piu buie di un universo i cui centri luminosi erano collegati da autostrade a piu piani e skytrain. I percorsi piu brevi dal centro di Shanghai alle lussuose periferie passavano per quartieri come Quyu, solo che non era necessario attraversarli e prendere nota della loro esistenza. Ci si passava sopra, come se si trattasse di una palude. Per un certo periodo, l’amministrazione del distretto di Shanghai aveva chiesto ai governanti di Pechino se temessero che, a Quyu, si stessero formando nuclei proletari sovversivi. Tuttavia, sebbene la presenza di terroristi e criminali fosse incontestabile, la richiesta di sottoporre la zona al rigido controllo statale era stata accolta con scetticismo: era mai possibile che una societa raffazzonata, composta da ex contadini, operai, fattorini e muratori, potesse trasformarsi in un esercito di proletari in rivolta? Il terrore sorgeva piuttosto nella fascia borghese della popolazione, che aveva accesso alle autostrade informatiche e alle tecnologie avanzate. Dai criminali che abitavano a Quyu c’era invece poco da temere. Quando mai la mafia si era trasformata in un’organizzazione di lotta di classe? Alla fine, insomma, aveva prevalso l’idea che ogni delinquente a Quyu fosse un delinquente in meno a Shanghai e l’indicazione di Pechino era stata: «Dimenticate Quyu». Il mondo in cui si era rifugiata Yoyo era quindi una delle nuove macchie bianche sulla piantina della citta. Jericho si chiese se qualche abitante di Quyu avesse mai pensato che pure non essere sorvegliati era una forma di discriminazione. Probabilmente no. Aveva passato l’intera serata a perlustrare la rete, alla ricerca di testi scritti da Yoyo dopo la sua scomparsa. Si era servito delle stesse tecnologie utilizzate da Diamond Shield nella sua febbrile ricerca di dissidenti o dai servizi segreti americani impegnati nella loro infinita lotta al terrorismo, e che lui stesso aveva usato contro Animal Ma Lpng. I ritmi di digitazione
sulle tastiere erano unici, come le impronte digitali. Si poteva identificare un indiziato non appena iniziava a scrivere e affidava il suo testo alla rete. Ancora piu interessanti erano i progressi nella Social Network Analysis: lessico, metafore preferite, segni d’interpunzione... tutto lasciava tracce, grammaticali e semantiche. Poche centinaia di parole erano sufficienti perché un computer identificasse l’autore con una sicurezza che rasentava il cento per cento. Inoltre - elemento fondamentale - il sistema non associava le parole a casaccio, ma era in grado di riconoscere i legami di senso. In un certo modo, comprendeva cosa voleva esprimere l’autore. Aveva sviluppato la capacita di esplorare le strutture criminali diffuse in tutto il pianeta, strutture in cui neonazisti, bombaroli, razzisti e delinquenti, che vivevano a migliaia di chilometri di distanza, si ritrovavano in un’armonia virtuale. Mentre, nella vita reale, si sarebbero spezzati le ossa a vicenda. Cio che serviva per impedire gli attacchi informatici, trovare pedofili e scovare i tentativi di spionaggio industriale si era trasformato in un vero incubo per i dissidenti e per i sostenitori dei diritti umani. Non c’era da stupirsi che fossero proprio i sistemi di governo piu repressivi a sviluppare uno spiccato interesse per i metodi della Social Network Analysis. Eppure Yoyo era riuscita a trarre in inganno i programmi di analisi della sicurezza statale fino al momento in cui non era stata identificata, pochi giorni prima. Sempre ammesso che le cose stessero davvero cos. Se non altro, Yoyo doveva averlo pensato, tanto che si era data precipitosamente alla fuga. Jericho sbadiglio. Era stanco morto. Per tutta la notte era stato seduto al computer alla ricerca di tracce e indizi. Sapeva benissimo che Yoyo non si sarebbe fatta trovare tanto facilmente. Per anni, la polizia informatica le aveva dato la caccia. Probabilmente lei conosceva gli algoritmi dei programmi di analisi come le sue tasche. Inoltre, alla Tu Technologies, aveva un posto in prima fila nel tempio della conoscenza. Perplesso, si chiese come sarebbe riuscito a fare una cosa in cui non era riuscito nemmeno lo Stato. Ma lui aveva un vantaggio incalcolabile. Sapeva dell’identita di Yoyo come Guardiano. Mentre il computer dava la caccia alla sua ombra virtuale, Jericho svuoto gli scatoloni rimanenti e trasformo il loft in un luogo abitabile. Quando ebbe finito di sistemare i mobili, appendere i quadri e riporre i vestiti nell’armadio, mise su le Trois Gymnopedies di Erik Satie e, per la prima volta dopo molti giorni, si sent libero dalle immagini di Shenzhen Sh. Per un attimo, si dimentico persino di Yoyo. Owen Jericho, cullato dalla musica e dalla serenita. «Concordanza», disse il computer.
Come sei fastidioso. Decise di aumentare del trenta per cento il livello di confidenzialita del programma. Almeno il computer avrebbe parlato in modo da invogliarlo a offrirgli un caffe o un bicchiere di vino. «C’e un post in un blog che sembra redatto da Yoyo», disse la calda voce femminile. «Ha pubblicato un breve testo su Brilliant Shit, un forum sulla musica mando-prog. Devo leggerlo?» «Sei sicura che si tratti di Yoyo?» «Quasi sicura. Cerca di occultare la propria identita. Credo che Yoyo lavori con dei distorsori.» Senza la regolazione del livello emozionale, il computer avrebbe seccamente dichiarato: «Corrispondenza: 84,7 per cento. Probabilita uso distorsori: 90,2 per cento». «Ritengo abbastanza probabile che lavori con distorsori», confermo Jericho. I distorsori erano programmi in grado di modificare in modo efficace lo stile personale dell’autore. Erano sempre piu richiesti. Alcuni trascrivevano i testi «ispirandosi» a grandi scrittori o poeti famosi, cosicché i testi apparivano redatti secondo lo stile di Thomas Mann, di Ernest Hemingway o di Jonathan Franzen. Altri programmi imitavano l’eloquio di alcuni politici. La situazione si faceva critica quando, nei loro attacchi, certi hacker manipolavano i profili di alcuni ignari utenti, sfruttandone lo stile. Tuttavia molti dissidenti lavoravano con distorsori che inserivano correzioni create da un generatore casuale e che utilizzavano molteplici stili di uso quotidiano. Ovviamente il fattore piu importante era salvaguardare il senso del testo. E proprio quello era il punto debole della maggior parte dei programmi. «Alcuni elementi del testo non sono omogenei. Questo conferma la tua teoria, Owen», disse il computer. Carino, l’uso del nome proprio. Gentile pure che presentasse la cosa come una sua teoria, come se non fosse stato il computer stesso a tirare in ballo i distorsori. Il cinquanta per cento di confidenzialita era piu che sufficiente. All’ottanta per cento, forse il computer avrebbe cercato d’insinuarsi tra le sue natiche. Jericho indugio. In realta non aveva piu voglia di chiamare la macchina semplicemente «computer». Come poteva chiamare quella ragazza? Forse... Programmo un nome di donna. «Diane?» «S, Owen?» Meraviglioso. Diane gli piaceva. Diane era la nuova donna al suo fianco. «Per favore, leggi il messaggio.» «Volentieri. Ciao a tutti. Da un paio di giorni sono di nuovo nella nostra galassia. Parecchio stress nei giorni scorsi... qualcuno e arrabbiato con me? Non potevo farci niente, dav-
vero. Tutto si e svolto cos rapidamente. Merda. Cosin fretta si viene dimenticati. Manca solo che mi cerchino di nuovo i vecchi demoni. Vabbe, continuo a impegnarmi per scrivere nuove canzoni. Se uno della band dovesse chiedere: torniamo a esibirci non appena ho pronto qualche nuovo testo interessante. Let’s Prog.» Per l’ennesima volta, Jericho si chiese come facesse il programma a individuare l’autore in quel caos di parole, ma l’esperienza gli aveva insegnato che bastava anche molto meno. In fondo, non doveva per forza capire. Era un utente, non un programmatore. «Fammi un’analisi», disse. «Volentieri, Owen.» Lavorare con una voce vellutata era tutt’altro che sgradevole. L’unica cosa che lo disturbava era quel «volentieri». Doveva assolutamente liberarsene. Gli ricordava il diabolico HAL 9000 di 2001 - Odissea nello spazio. Sin dall’invenzione dei sistemi di navigazione, ogni computer parlante imitava HAL. «Nelle intenzioni dell’autore, il testo deve suonare sfrontato », disse il computer. «Tuttavia si notano cambiamenti di stile nei vocaboli ’rapidamente’ e ’interessante’. ’Manca solo che mi cerchino di nuovo i vecchi demoni’ suona artificioso: non credo che il distorsore abbia avuto influenza su questo. Il resto sono piccolezze: ’Ho pronto qualche nuovo testo’, per esempio, non rispecchia lo stile delle frasi due e tre.» «Cosa mi dici del contenuto?» «Difficile. Avrei un paio di proposte per te. Primo: ’galassia’. Puo essere una metafora oppure un sinonimo di qualcosa.» «Per esempio?» «Di un luogo, probabilmente.» «Vai avanti.» «’Demoni.’ Hai gia cercato dei demoni. Ritengo che Yoyo si riferisca ai City Demons o City Damons.» «Lo credo anch’io. Penso che la forma ’Damons’ sia errata, quindi ignorala. C’e altro?» Il computer esito. «So troppo poco di Yoyo. Sulle altre formulazioni e sugli altri termini potrei fornirti circa trecentottantamila possibili significati.» «Lasciamo perdere», mormoro Jericho. «Temo di non aver capito.» «Non fa niente. Per favore, cerca il termine ’galassia’ in relazione a un luogo di Shanghai.» Stavolta il computer non indugio. «Nessun risultato.» «Va bene. Individua il luogo da cui il testo e stato spedito.»
«Volentieri.» Il computer elenco le coordinate. Jericho era allibito. Non si aspettava che l’origine del messaggio fosse rintracciabile cos facilmente. Pensava che Yoyo avrebbe confuso le proprie tracce, appoggiandosi a diversi server. «Sei assolutamente sicura che il browser che hai trovato non e solo un punto di passaggio?» «Al cento per cento, Owen. Il messaggio e stato postato l, alle 06.24 del 24 maggio, ora locale.» Jericho annu. Bene. Molto bene. La sua speranza si era trasformata in una certezza. IL MONDO DIMENTICATO Mentre percorreva la Huaihai Donglu in direzione della sopraelevata a bordo della sua COD, Jericho riepilogo le conclusioni cui era giunto la notte precedente. Ciao a tutti. Da un paio di giorni sono di nuovo nella nostra galassia. Il che poteva significare: «Da qualche giorno sono di nuovo a Quyu». Era evidente. Meno evidente era il motivo per cui Yoyo definisse Quyu una «galassia». Il termine faceva pensare piuttosto che si riferisse a un posto specifico a Quyu. Parecchio stress nei giorni scorsi... qualcuno e arrabbiato con me? Stress: chiaro. E perché qualcuno dovrebbe essere arrabbiato? Anche a quella domanda era relativamente facile rispondere. Yoyo non stava facendo una domanda, stava dando un’informazione. Stava comunicando che qualcuno l’aveva identificata, che quel qualcuno era pericoloso e che lei non sapeva chi fosse. Non potevo farci niente, davvero. Tutto si e svolto cosrapidamente. Merda. Difficile. Si era data alla fuga in modo precipitoso, certo. Ma che significava la prima parte? Per cosa non poteva farci niente? Cos in fretta si viene dimenticati. Facile. Quyu, il mondo dimenticato. Quasi banale. Yoyo doveva aver avuto molta fretta di spedire il messaggio. Manca solo che mi cerchino di nuovo i vecchi demoni. Ancora piu facile: City Demons, sapete dove sono. Vabbe, continuo a impegnarmi per scrivere nuove canzoni. Se uno della band dovesse chiedere: torniamo a esibirci non appena ho pronto qualche nuovo testo interessante. Let’s Prog. Il che voleva dire: cerco di risolvere il problema nel piu breve tempo possibile. Fino ad allora, spariamo dalla circolazione.
E a chi si riferiva quel noi? Ai Guardiani. Trasversalmente rispetto a Jericho, si estendeva l’autostrada cittadina. Una strada a otto corsie, congestionata da un traffico degno di un’arteria a sedici corsie, sovrastata da una sopraelevata a piu piani. Automobili, autobus, taxi e furgoni sgomitavano sotto il sole mattutino. Neppure i motociclisti riuscivano a farsi largo e, sebbene indossassero le mascherine, non ci si sarebbe stupiti di vederli diventare cianotici e cadere dalla sella da un momento all’altro, dato che sulla citta incombeva una cappa di smog. Eppure, al mondo, le metropoli cinesi erano quelle che avevano piu veicoli con celle a combustibile, motori all’idrogeno e motori elettrici. Sopra l’autostrada, si estendeva un altro tracciato, appoggiato su sottili gambe telescopiche. La struttura era in funzione solo da pochi anni ed era riservata alle COD. Ormai c’erano diversi tracciati per le COD - alcuni ad altezze vertiginose - che univano i punti principali di Shanghai e si spingevano fino alle citta satellite e al mare. Jericho imbocco la rampa di accesso, attese che il suo veicolo si agganciasse al binario e inser le coordinate della destinazione. Da quel momento, non aveva piu bisogno di guidare la COD e, d’altro canto, non poteva nemmeno farlo: quando le COD diventavano parti del sistema, il guidatore non aveva piu nessun controllo. La COD di Jericho s’inerpico sul piano inclinato, allineandosi a una fila di veicoli identici. In alto, sul tracciato, lui vide innumerevoli veicoli a forma di cabina sfrecciare sulla citta a trecento chilometri orari, brillando di riflessi argentei sotto il sole alto nel cielo. In basso, invece, ogni movimento sembrava generato da un miraggio. Si rilasso contro lo schienale. I veicoli che si avvicinavano alla corsia piu esterna rallentavano quel tanto che bastava per calcolare con precisione lo spazio necessario per immettersi. Jericho amava il momento in cui la COD accelerava dopo aver raggiunto il tracciato principale. Per un breve momento, l’accelerazione lo schiaccio contro lo schienale, ma poi il veicolo raggiunse la velocita di crociera. Il cellulare lo avvert che aveva un messaggio dal computer. Il display effettuo una scansione dell’iride. Un’ulteriore conferma vocale era superflua, ma a Jericho piaceva muoversi su un doppio binario. «Owen Jericho», disse. «Buongiorno, Owen.» «Ciao, Diane.» «Ho analizzato la scritta sulla T-shirt di Yoyo. Vuoi vedere il risultato?» Aveva assegnato quell’incarico al computer prima di uscire di casa.
Collego il cellulare con l’interfaccia integrata nel cruscotto del veicolo. «Cos’hai scoperto?» «Si tratta di un simbolo.» Sul monitor della COD comparve una grande A... o almeno qualcosa di simile, dato che mancava la barra centrale. In compenso l’angolo era sovrastato da un’ellissi sfilacciata. Sotto, erano leggibili quattro lettere: NDRO. «Hai cercato il simbolo in rete?» «S. Quello che vedi e il risultato dell’elaborazione dell’immagine. Un’approssimazione a elevata probabilita. Non ho trovato il simbolo in nessun archivio. Le lettere potrebbero essere un’abbreviazione o parte di una parola. Ho trovato NDRO usato come abbreviazione, ma non in Cina.» «Quale parola pensi che sia?» «Le mie preferite sono: ’androgino’, ’androide’, ’Andromeda’. » «Grazie, Diane.» Jericho rifletté, poi chiese: «Puoi controllare se ho lasciato aperta la finestra in camera da letto?» «È aperta.» «Chiudila, per favore.» «Sara fatto, Owen.» La COD gli segnalo che avrebbe lasciato la sopraelevata entro pochi secondi. Aveva impiegato solo quattro minuti per percorrere una ventina di chilometri. Rallento, usc dalla corsia e si accodo alla fila di veicoli che uscivano dalla rete nelle immediate vicinanze di Quyu. La bretella lo porto rapidamente verso il basso e sulla strada principale. Anche l, lontano dalla City, il traffico era lento, ma almeno si procedeva. Quyu era separata dal resto della citta da un’autostrada. Le sbarre situate accanto ai posti di polizia rendevano le strade laterali simili a crune di un ago. Inoltre c’erano caserme a est e a ovest. Tuttavia pochissime persone a Quyu potevano permettersi un’automobile o l’uso di una COD, dunque il quartiere era collegato con la citta mediante linee della metropolitana e autobus. L’officina dei City Demons si trovava a un paio di chilometri da l, appena fuori Zaxus, in uno degli ultimi quartieri davvero storici. Un tempo era stato un villaggio di campagna, ma presto o tardi avrebbe dovuto cedere il passo alle falangi di caseggiati moderni e anonimi. Dopo aver ridisegnato il centro, gli ingegneri stavano puntando sulla periferia. Solo Quyu sarebbe sempre rimasta intatta. Se aveva raggiunto velocemente la zona grazie al tracciato delle COD, gli ci volle un tempo lunghissimo per arrivare al quartiere. Si trattava di un tipico insediamento vecchio stampo: edifici in mattoni da uno a tre piani, con cuspidi rosse e nere, disposti lungo strade vivaci, sulle quali si affacciavano innumerevoli vicoli e cortili interni. I negozi aperti e le tavole calde spuntavano sotto insegne colorate, le corde per il bucato si estendevano da casa a
casa. L’officina Demon Point occupava il pianterreno di una casa color ruggine, al cui primo piano c’era una serie di sconnessi balconi di legno. Alle finestre, alcuni vetri mancavano, altri erano luridi e appannati. Jericho parcheggio la COD in una strada laterale e s’incammino verso l’officina. Alcune belle moto ibride ed elettriche erano esposte accanto ad altri esemplari meno vistosi. Non c’era nessuno in vista, poi da un minuscolo ufficio usc un ragazzo magro, in pantaloncini corti e con una T-shirt sporca di grasso, che prese a lucidare una moto elettrica con uno straccio. «Buongiorno», disse Jericho. Il ragazzo lo guardo per un istante e poi torno al suo lavoro. Jericho si accovaccio accanto a lui. «Bella moto.» «Mhm.» «Vedo che la stai lucidando. Tu sei uno di quelli che hanno tappato la bocca ai nordcoreani al Club DKD?» Il ragazzo sorrise e continuo a lucidare. «Quello e Daxiong.» «Ha fatto bene.» «Ha detto a quelle mezze seghe di chiudere il becco. Anche se erano molti di piu. Gli ha urlato che non voleva sentire la loro merda fascista.» «Spero che non abbia passato dei guai.» «Qualcuno s.» Solo in quel momento il ragazzo sembro rendersi conto che stava parlando con uno sconosciuto. Lascio cadere lo straccio e squadro Jericho con diffidenza. «Ma lei chi e, scusi?» «Ah, in realta sto andando a Quyu. Per puro caso ho visto la vostra officina. E dal momento che avevo letto il post sul blog... Be’, ho pensato, dal momento che sono qui...» «È interessato a una moto?» Jericho si alzo. Il suo sguardo segu la mano tesa del ragazzo. Sul retro dell’officina, un chopper elettrico - senza ruota posteriore - faceva bella mostra di sé. «Perché no?» Jericho si avvicino e ammiro il chopper da ogni angolazione. «Sono anni che vorrei comprarmene uno. Batterie al litio-alluminio?» «Certo. Fa i duecentottanta all’ora.» «Autonomia?» «Quattrocento chilometri. Come minimo. Viene dal centro?» «Mhm.» «Un inferno per le automobili, eh? Dovrebbe farci un pensierino. » «Sicuro.» Jericho estrasse di tasca il cellulare. «Purtroppo non sono molto pratico della zona. Devo incontrare qualcuno, ma sai come vanno le cose a Quyu con gli indirizzi. Forse mi puoi aiutare.»
Il ragazzo scrollo le spalle. Su un muro dell’officina, Jericho proietto la A con l’ellissi sfrangiata. Dallo sguardo del ragazzo cap che l’aveva riconosciuta. «Vuole andare la?» «È lontano?» «Non proprio. Deve solo...» «Chiudi il becco», disse qualcuno alle loro spalle. Jericho si volto e si ritrovo a fissare un torace che iniziava da qualche parte a sud-est e finiva da qualche parte a nord-ovest. In alto, sopra il torace, doveva esserci qualcosa che permetteva alla «cosa» di pensare. Alzo lo sguardo e vide una sfera rasata e due occhi cos sottili che persino un cinese avrebbe avuto qualche dubbio sul fatto di poter vedere con quelle fessure. Un’applicazione bluastra sul mento ricordava la barba di un faraone. Il giubbotto di pelle aperto lasciava intravedere la scritta CITY DEMONS. «Tutto a posto.» Il ragazzo lancio uno sguardo insicuro al gigante. «Voleva solo sapere dove...» «Cosa?» «Tutto okay», sorrise Jericho. «Volevo sapere se...» «Cosa? Cosa voleva sapere?» La montagna non dava segni di volersi chinare verso di lui, cosa che avrebbe parecchio facilitato la conversazione. Jericho fece un passo indietro e diresse nuovamente il proiettore verso la parete. «Mi dispiace disturbare. Sto cercando un indirizzo...» «Un indirizzo?» L’uomo giro il cranio massiccio e fisso la proiezione. «Voglio dire, e davvero un indirizzo?» chiese Jericho. «Ho soltanto...» «Chi gliel’ha dato?» «Qualcuno che aveva poco tempo per spiegarmi la strada. Qualcuno di Quyu. Devo aiutarlo.» «A fare cosa?» «Ha qualche problema... sociale.» «E chi non li ha, a Quyu?» «Appunto.» Jericho decise di non tollerare quel trattamento neanche un minuto di piu. «Allora? Non voglio farlo aspettare. » «E poi vuole comprare il chopper!» aggiunse il ragazzo in tono entusiastico, come se avesse gia venduto la moto a Jericho per una somma altissima. La montagna arriccio le labbra. Poi sorrise.
La diffidenza si sciolse sul suo viso come neve al sole, lasciando il posto alla piu calorosa gentilezza. Un’enorme zampa attraverso l’universo e atterro sulla spalla di Jericho. «Perché non l’ha detto subito?» Il ghiaccio era rotto. L’improvvisa cordialita tuttavia non si tradusse in informazioni, ma in una descrizione dettagliata dei numerosi vantaggi offerti dal chopper, per culminare nella richiesta di una somma esorbitante. Senza contare che la ruota posteriore mancante sarebbe stata fatturata a parte. Jericho annuiva e annuiva. Alla fine scosse la testa. «No?» si meraviglio il gigante. «Non a questo prezzo.» «D’accordo. Mi dica il suo.» «Le propongo un’altra cosa. Una A con una cintura di frange e quattro misteriose lettere sotto... Vado la e poi, quando torno, trattiamo per la moto.» Il gigante aggrotto la fronte. Stava pensando, ipotizzo Jericho. Poi gli descrisse un percorso che sembrava attraversare tutta Quyu. Come aveva risposto il ragazzo solo pochi minuti prima alla sua domanda se quel luogo fosse lontano? «Non proprio», aveva detto. «E cosa significano le lettere?» «Le lettere NDRO? Il suo conoscente aveva davvero fretta, eh?» Il gigante rise. «A-ndromeda.» «Ah!» «È un locale dove fanno concerti.» «Grazie.» «Il suo rapporto con Quyu mi sembra assai incerto, se posso permettermi.» Jericho inarco le sopracciglia. Da quando in qua una montagna sovrastata da una sfera pensante si esprimeva in modo cos raffinato? «In effetti ne so davvero molto poco.» «Allora stia attento.» «Grazie, lo faro. Ci vediamo piu tardi, per... A proposito, lei come si chiama?» Un sorriso illumino il cranio rasato. «Daxiong. Semplicemente Daxiong.» Ah. Sei coreani che le hanno prese da un cinese. Iniziava a capire perché. Jericho non era mai stato a Quyu e, quando passo sotto l’autostrada, non aveva la minima idea di cosa lo aspettasse. In realta non accadde proprio nulla. Quyu non aveva un confine ben definito, almeno non in quella zona. Cominciava e basta, con file di casette piatte assai simili a quelle che lui aveva appena lasciato dietro di sé. I negozi erano rari, sostituiti da parecchi venditori ambulanti, che lavoravano gomito a gomito, disponendo su teli e tappeti ogni cosa che avesse un valore e non potesse darsela a gambe. Su una sghemba sedia di rattan, all’ombra di un baldacchino di fortuna, una donna sonnecchiava, con una cesta di
melanzane davanti a sé. Un uomo ne prese due, le appoggio i soldi in grembo e se ne ando. C’erano capannelli di vecchi che chiacchieravano: alcuni erano in pigiama, altri a torso nudo. Sui marciapiedi malridotti si camminava a fatica. Sopra la strada sventolavano i panni stesi, gonne e camicie che parevano salutarsi ogni volta che il vento s’infilava tra le case. Mormorii, chiacchiere, grida, suoni melodiosi, sinistri, acuti e cupi erano intessuti in una cacofonia cui si aggiungevano l’onnipresente rombo di motociclette da quattro soldi, il cigolio di biciclette sferraglianti, l’eco di colpi di martello e di trapani. Alcuni venditori intravidero la chioma bionda di Jericho, saltarono in piedi e cercarono di richiamare la sua attenzione sventolando borsette, orologi e sculture e urlando: «Looka! Looka!» ma lui non li sentiva, concentrato com’era a cercare di non investire nessuno. Nei distretti centrali di Shanghai, il traffico era una specie di guerriglia. I camion cacciavano gli autobus, gli autobus attaccavano le automobili, quelle se la prendevano coi veicoli a due ruote, e tutti insieme si dedicavano allo sterminio dei pedoni. A Quyu c’era meno aggressivita, ma il risultato non era diverso. Non ci si aggrediva a vicenda: semplicemente ci s’ignorava. Le persone che un attimo prima contrattavano sul prezzo di una gallina o di un elettrodomestico saltavano in mezzo alla strada senza preavviso o sostavano sulla carreggiata in piccoli gruppi, discutendo del tempo, dei prezzi degli alimentari e dello stato di salute delle rispettive famiglie. A ogni incrocio, Jericho vedeva diradarsi i venditori che esponevano i souvenir per i turisti. Le merci esposte diventavano sempre piu povere. A mano a mano che si riduceva il numero di automobili, aumentava quello dei pedoni e dei ciclisti, e la confusione scemava. Sempre piu spesso incontrava edifici abbattuti solo per meta, con le pareti mancanti sostituite con cartone e lamiere ondulate. Molti erano abitati. In mezzo, si erano accumulati i rifiuti di anni. D’un tratto, sul bordo della strada, comparve un ammasso di costruzioni modulari grigie e blu, davanti alle quali si piegavano alberi artritici e sostavano automobili, relitti del tempo in cui Deng Xiaopng aveva cercato di fare un miracolo che pero, in quella parte della Cina, non si era mai compiuto. Di colpo, intorno a lui si fece buio. Piu Jericho s’inoltrava nel cuore di Quyu, piu il quartiere diventava caotico dal punto di vista architettonico. Palazzi lasciati a meta erano intervallati da anonime costruzioni piatte e silos la cui bruttezza veniva evidenziata dalla vernice scrostata. Jericho era assai colpito dal disperato tentativo di rendere abitabile quello che era palesemente inabitabile. In modo quasi folcloristico, le piante selvatiche prendevano possesso delle baracche, poco piu che pali conficcati nel terreno e coperti con dei teli. Se non altro, pero, l c’era vita; i silos invece davano l’impressione di ruderi postatomici. Si fermo in mezzo a un deserto di rifiuti e osservo donne e bambini che gettavano su alcuni carretti qualsiasi rifiuto che ritenevano riutilizzabile. D’un tratto, gli parve di essere in
mezzo a un quartiere polverizzato da un massiccio bombardamento. Cerco di ricordare cio che sapeva sulle zone come quella. Un numero, letto chissa dove, gli attraverso la mente. Nel 2025, nel mondo, un miliardo e mezzo di persone viveva nelle baraccopoli. Vent’anni prima, erano un miliardo. Ogni anno, la cifra cresceva di venti o trenta milioni. Chi finiva in uno di quei ghetti doveva farsi strada in gerarchie bizzarre e, al livello piu basso, era costretto a raccogliere rifiuti per costruire oggetti da rivendere o scambiare. Prosegu, ripensando al quartiere in cui aveva vissuto poco prima che fosse demolito per fare posto ai condomini in cui viveva Yoyo. Allora non era riuscito a capire perché gli abitanti fossero cos attaccati alle loro rovine. Ad alcuni era stato offerto un trasferimento al di fuori di Shanghai, in appartamenti che, al confronto, si potevano definire lussuosi, con acqua corrente, bagni, ascensori ed elettricita. «Qui almeno esistiamo. La fuori siamo fantasmi», era stata la sorridente risposta. Solo piu tardi si era reso conto che il grado della miseria umana non si misurava in base allo stato delle case in cui si abita. La mancanza di acqua potabile, le cloache traboccanti di liquami, le fognature intasate erano tutti elementi che trasformavano la vita in un inferno. Eppure, finché le persone vivevano sulla strada, avevano modo d’incontrarsi. La vendevano le loro merci. Cucinavano per i lavoratori che non avevano la possibilita di preparare da sé i propri pasti. La preparazione del cibo da sola dava lavoro e sfamava milioni di famiglie ed era un’attivita che poteva svolgersi solo per strada, proprio come la coesione sociale poteva cementarsi solo l. Le persone uscivano dalle loro case e parlavano. La vita di strada, la struttura aperta delle case... tutto trasmetteva un senso di consolazione e calore. Al decimo piano di un condominio nessuno passava per comprare qualcosa e, quando aprivi la porta, ti trovavi davanti un muro. Si riscosse dai suoi pensieri, cercando di rammentare le indicazioni di Daxiong. Se erano giuste, avrebbe impiegato almeno un’altra ora per raggiungere l’Andromeda. La strada conduceva verso una salita, dall’alto della quale si godeva di una vista a trecentosessanta gradi sul quartiere, almeno fin dove la cappa marrone dello smog lo permetteva. La COD era climatizzata, tuttavia a Jericho sembrava di sentire il sole bruciare sulla pelle. Intorno a lui, l’ormai familiare paesaggio fatto di baracche, case piu o meno diroccate, piloni della luce inclinati con linee elettriche penzolanti, detriti e rifiuti. Doveva proseguire? Indeciso, chiese al cellulare di rilevare la sua posizione e proietto il risultato in mezzo a quella terra di nessuno. Non c’erano mappe. Solo quando ingrand la sezione, l’immagine gli indico alcune strade principali che attraversavano Quyu, sempre ammettendo che i dati fossero aggiornati.
Yoyo si trovava dunque l, in mezzo a quella miseria? Inser la posizione geografica da cui era stato postato il messaggio sul forum Brilliant Shit. Il computer indico un punto non lontano dal Demon Point, vicino all’autostrada. Nella direzione opposta. Imprecando, Jericho fece inversione, evito per poco un carretto spinto da alcuni adolescenti in mezzo alla strada, conquistandosi una serie d’insulti, e torno sui suoi passi alla velocita della luce. Dopo un po’, il traffico aumento. Lascio la zona che aveva attraversato all’inizio sulla sua sinistra e s’inoltro in una selva di vicoli, in un quartiere in cui si confezionavano e si vendevano vestiti, intravide un passaggio tra alcuni banchetti e si ritrovo su una strada larga, costeggiata da muri e case sorprendentemente curati. La via brulicava di persone e mezzi di trasporto di tutti i tipi. Chioschi, catene di fast food, negozi e banchetti ovunque. Piu volte supero le filiali del Cyber Planet. L’insieme sembrava un calco della leggendaria Camden Town londinese, almeno di quella che, trent’anni prima, era considerata la culla della cultura alternativa. Davanti ai portoni delle case ciondolavano prostitute. Gruppi di uomini dall’aria circospetta stavano seduti davanti ai caffe o si aggiravano per la zona con sguardo indagatore. La COD di Jericho fu sottoposta a un’accurata ispezione visiva. Secondo il computer, la meta era molto vicina, ma era come se un sortilegio gli impedisse di raggiungerla. Jericho continuava a sbagliare strada e ogni tentativo di tornare sulla via principale lo faceva entrare ancor piu profondamente in quel mondo strampalato, di certo in mano alle Triadi e nel quale con ogni probabilita abitavano i capi del ghetto, i baroni della decadenza. Due volte fu fermato da alcuni uomini che - chissa per quale motivo - cercarono di tirarlo fuori dalla macchina. Infine trovo una scorciatoia e d’un tratto il quartiere fu alle sue spalle. In lontananza, si stagliava la massiccia silhouette di un’acciaieria. Percorrendo un’area pianeggiante, Jericho si diresse verso un gigantesco complesso color ruggine, punteggiato di camini. Un gruppo di motociclisti lo supero e spar oltre la recinzione. Lui li segu. La strada conduceva a un campo aperto, evidentemente una specie di punto di ritrovo. Ovunque erano parcheggiate moto e c’erano giovani seduti che bevevano e fumavano. La musica rimbombava sul piazzale. I padiglioni vuoti ospitavano locali e club, bordelli e sexy shop. L’immancabile Cyber Planet dominava un intero lato del cortile interno, circondato da bancarelle che vendevano applicazioni fatte a mano. Un altro negozio offriva strumenti musicali usati. Di fronte al Cyber Planet, si ergeva un complesso di mattoni a due piani. Un gruppetto di uomini ben messi stava scaricando qualcosa da un furgone parcheggiato davanti all’ingresso aperto. Jericho non riusciva a credere ai propri occhi. Sopra l’ingresso troneggiava una grande A, alta come due uomini. Sotto, c’era scritta a grosse lettere una sola parola: ANDROMEDA.
Facendo stridere i freni, Jericho inchiodo davanti al furgone, salto fuori dall’abitacolo e fece alcuni passi indietro. All’improvviso, cap cosa significava l’anello sfrangiato che sostituiva la barra trasversale della A. Diane aveva fatto del suo meglio per rendere utilizzabile il materiale che aveva a disposizione, ma solo osservando l’originale tutto acquistava un senso. L’anello era la rappresentazione di una galassia, e Andromeda o, meglio, la nebulosa di Andromeda era una galassia a spirale nella costellazione di Andromeda. Ciao a tutti. Da un paio di giorni sono di nuovo nella nostra galassia. Yoyo era l. Oppure no. Non piu. Daxiong lo aveva depistato in modo che lei avesse il tempo di sparire. Impreco e fisso il sole. Lo smog distorceva la luce in una lama abbagliante che feriva gli occhi. Di malumore, chiuse a chiave la COD ed entro nel mondo crepuscolare di Andromeda. Pazienza. Chén Hongbng aveva temuto che la figlia fosse in qualche stazione di polizia, arrestata senza incriminazione formale. Su quel punto, Jericho avrebbe potuto rassicurarlo. Inoltre Chén non gli aveva affidato nessun incarico, almeno non esplicitamente. Poteva andare a casa. Il suo lavoro era finito. O, perlomeno, tutto sembrava deporre a favore del fatto che lui avesse trovato Yoyo. Per perderne subito di nuovo le tracce. Era davvero irritante. Si guardo intorno. Un’ampia entrata in cui, piu tardi, quella sera, sarebbero stati venduti biglietti d’ingresso, bevande e sigarette. La parete di fronte alla cassa era coperta di manifesti, locandine, giornali. C’era anche una bacheca piena di biglietti. Jericho si avvicino, notando con sorpresa che la maggior parte degli annunci era scritta a mano: opportunita di lavoro, passaggi in macchina, possibilita di pernottamento, strumenti musicali, software, oggetti usati - e probabilmente rubati - di ogni tipo. Si cercavano anche partner: per una notte, per una relazione, con inclinazioni particolari. Entro nello spazio riservato ai concerti, un padiglione disadorno con alte finestre che davano sul piazzale. I vetri erano oscurati o colorati, cosicch, nonostante il sole, l’interno era scarsamente illuminato. Alcuni vetri mancanti erano stati sostituiti con cartoni. Lo spazio in fondo al padiglione era occupato da un palcoscenico che avrebbe tranquillamente potuto ospitare due orchestre sinfoniche. Su entrambi i lati erano ammassate casse acustiche. Due uomini arrampicati in cima a due scale orientavano i fari, altri trasportavano le attrezzature sotto il palco. Lungo la parete dietro il palco, una scala in acciaio conduceva a una balaustra. Jericho penso a Chén Hongbng e alla pena nei suoi occhi. Doveva a Tu Tian qualcosa di piu di una supposizione. Due uomini gli passarono accanto spingendo un’enorme valigia a rotelle. Uno apr il coperchio ed estrasse stativi per microfoni che passo a un altro uomo sul palco. L’altro ritorno in
direzione dell’ingresso, indugio, giro la testa e fisso Jericho. «Posso aiutarla?» chiese, in tono poco amichevole. «Chi suona stasera?» «I Pink Asses.» «Un amico mi ha consigliato l’Andromeda. Dice che qui si tengono i migliori concerti di Shanghai.» «Puo darsi.» «Non conosco i Pink Asses. Ne vale la pena?» L’uomo lo osservo in modo sprezzante. Era muscoloso e attraente, con tratti del viso regolari e quasi androgini e capelli lunghi fino alle spalle. La T-shirt arancione e i pantaloni stropicciati lo avvolgevano come una seconda pelle: evidentemente provenivano da una bomboletta spray. Non portava applicazioni né gioielli. «Dipende da quello che le piace.» «Tutta la bella musica.» «Mando-prog?» «Per esempio.» L’uomo rise. «Allora e nel posto sbagliato. La musica dei Pink Asses rispecchia il nome della band.» «Cioe suonano come dei culi rosa?» «Come dei culi sanguinanti, idiota. Di entrambi i sessi. Mai sentito parlare di ass-metal? Vuoi ancora venire stasera?» Jericho sorrise. «Vedremo.» L’altro alzo gli occhi al cielo e usc. Per un momento, Jericho si sent inerme. Avrebbe dovuto chiedere di Yoyo a quel tizio? In luoghi simili, era facile diventare paranoici. Ogni persona sembrava far parte di un esercito fantasma col compito di tenere i curiosi lontani da Yoyo. «Sciocchezze. È una dissidente, non la regina di Quyu», mormoro. Tu Tian aveva parlato di sei attivisti. Di sei, non di sessanta. Il messaggio di Yoyo induceva a pensare che tutti e sei facessero parte dei City Demons. Inoltre lei poteva avere qualche amico all’Andromeda. Quasi sicuramente la maggior parte della gente non sapeva chi fosse Yoyo né che si nascondeva l. Il vero problema era che gli abitanti di zone come Quyu non avevano la minima inclinazione a rispondere alle domande, quali che fossero. Mentre osservava come venivano posati i cavi e sistemati gli strumenti sul palcoscenico, valuto le possibilita. Daxiong aveva avvertito Yoyo che qualcuno aveva fatto domande sull’Andromeda e di certo adesso era convinto che lui, Jericho, in quel momento stesse vagando nel sottobosco di Quyu, e che quindi fosse inoffensivo almeno per alcune ore. Yoyo probabilmente era dello stesso avviso.
Il tempo giocava ancora a suo favore. Lascio correre lo sguardo sull’ambiente circostante. Lo spazio del palcoscenico era sovrastato da una specie di alcova con due finestre che un tempo si affacciavano sul padiglione, ma che poi erano state murate. Nessuno faceva caso a lui. Senza fretta, sal la scala di metallo e accedette alla balaustra. Terminava in una porta verniciata di grigio. Abbasso la maniglia. Si era quasi aspettato di trovarla chiusa a chiave, invece si apr su un corridoio semibuio. Jericho entro rapidamente, attraverso un passaggio sulla destra e si ritrovo in una stanza illuminata da neon, con un’unica finestra affacciata sul piazzale. Si trovava proprio sopra il palcoscenico. Anche se era quasi priva di mobili, poco accogliente e fredda, nella stanza si percepiva qualcosa d’indefinito, un odore tipico dei luoghi abbandonati da poco. Una specie di residuo energetico, un ricordo inconsapevole memorizzato nelle molecole, negli oggetti toccati, nell’aria respirata. Si avvicino a un tavolo circondato da sedie in formica e sotto il quale c’era un cestino dei rifiuti mezzo pieno. Vari materassi sul pavimento, ma uno solo utilizzato, a giudicare dalle coperte stropicciate e dal cuscino. Computer portatili sulle mensole, una stampante, pile di carta parzialmente stampata, un mucchio di fumetti, riviste e libri. Il pezzo forte era un preistorico impianto stereo, con radio e giradischi. I dischi in vinile erano allineati lungo la parete: risalivano ovviamente a un’epoca in cui i CD erano ancora poco diffusi, e anche questi ultimi ormai stavano sparendo dalla circolazione. In compenso, nell’era dei download, si potevano di nuovo acquistare dischi in vinile, dischi nuovi di nuovi gruppi musicali. Ma alcuni erano vecchi, noto Jericho, accovacciandosi. Lesse i nomi sulle copertine. Oltre a rappresentanti della musica pop e d’avanguardia cinese come i Top Floor Circus, gli Shengyn Supian, i Soundtoy e Dead J, c’erano dischi dei Genesis, dei Van der Graaf Generator, dei King Crimson, dei Magma e dei Jethro Tull. C’era quasi l’intera discografia degli anni ’60 e ’70, quand’era stato inventato il progressive rock. Uscito perdente dalla battaglia contro il punk e la new wave negli anni ’80, agonizzante negli anni ’90, praticamente morto nel primo decennio del nuovo millennio, il progressive rock doveva la sua rinascita non agli europei, bens ai DJ cinesi che, intorno al 2020, avevano iniziato a combinarlo con basi dance. Era stato il boom del mando-prog - cos veniva chiamata quella scintillante combinazione di rock, dance e opera pechinese - e ogni giorno spuntavano nuove band. Artisti popolari - Zhong Tongx, i Thirdparty, gli IN3 e i B6 - introducevano nei complessi concept-album dell’era prog esperienze sonore del tutto nuove, mentre le superstar locali come i Muma e Zuoxiao Zuzhou organizzavano progetti all star con personaggi decisamente attempati come Peter Hammill, Robert Fripp, Ian Anderson e Christian Vander. E i club e le sale da concerto si riempivano.
La musica di Yoyo. Un ronzio insistente solletico i timpani di Jericho. Alzo lo sguardo, vide un frigorifero in fondo alla stanza, lo raggiunse e lo apr. Riempito per meta di viveri, soprattutto cibi da fast food, bottiglie piene e semivuote, acqua, succhi di frutta, birre, una bottiglia di whisky cinese. Aspiro l’aria fredda che proveniva dall’interno. Il frigorifero scricchiolo. Un alito di vento sfioro la sua nuca. Jericho raggelo. Non era stato il frigorifero a scricchiolare. Il momento dopo, attraversava la stanza in volo per atterrare con un rumore sordo su uno dei materassi. L’impatto gli tolse il respiro. In un lampo, rotolo di lato e piego le ginocchia verso di sé. L’aggressore si getto su di lui. Jericho gli tiro un calcio a piedi uniti. L’uomo arretro, lo prese per le caviglie e lo scaglio lontano, facendolo atterrare sulla pancia. Cerco di rialzarsi e sent l’altro buttarsi su di lui. Allora cerco di vibrare un colpo alla cieca dietro di sé, nella speranza di far male a qualcosa. «Tranquillo», disse una voce che gli parve familiare. «O il materasso sara l’ultima cosa che vedrai nella tua vita.» Jericho si volto. Il suo viso affondo nell’imbottitura ammuffita del materasso. Non riusciva piu a prendere aria. Il panico si diffuse nella sua testa e nel suo addome. Agito le braccia in tutte le direzioni e scalcio con le gambe, ma l’uomo continuava a tenergli la testa premuta contro il materasso. «Ci siamo capiti?» «Mmmm», gemette Jericho. «È un s?» «Mmmm!» L’aggressore tolse la mano dalla nuca e il peso sulle spalle parve dissolversi. Annaspando in cerca di aria, Jericho si giro sulla schiena. Il giovane di bell’aspetto con cui aveva parlato poco prima nel padiglione era chino su di lui e gli sorrideva. «I Pink Asses non si esibiscono quassu, idiota.» «Io non glielo consiglierei, infatti.» «Cosa sta cercando?» Era gia qualcosa. L’uomo aveva ricominciato a dargli del «lei». Jericho si tiro su e indico i mobili malridotti intorno a sé. «Sa, amo il lusso. Volevo passare le mie vacanze...» «Attento, amico. Non voglio sentire nulla che mi potrebbe irritare. » «Posso mostrarle una cosa?» «Ci puo provare.»
«Sul mio computer.» Jericho fece una pausa. «Intendo dire che devo infilare la mano nella giacca ed estrarre un apparecchio elettronico. Lei potrebbe pensare che sto tirando fuori un’arma e agire in modo precipitoso.» L’uomo lo fisso. Poi sorrise. «Qualunque cosa io faccia, puo stare sicuro che mi divertiro un mondo.» Jericho carico la fotografia di Yoyo sul computer e la proietto sulla parete di fronte. «L’ha mai vista?» «Cosa vuole da lei?» «Glielo diro quando avra risposto alla mia domanda.» «Lo sa che lei e proprio impertinente?» «Il mio nome e Jericho», disse, paziente. «Owen Jericho, detective privato. Un metro e settantotto, quindi la pianti con le stronzate. E la smetta con questo teatrino; non riesco a concentrarmi se qualcuno tenta di uccidermi. Allora, conosce la ragazza, s o no?» L’uomo esito. «Cosa vuole da Yoyo?» «Grazie.» Jericho spense la proiezione. «Il padre di Yoyo, Chén Hongbng, mi ha incaricato di cercarla. È in ansia per lei. Per essere piu precisi, e divorato dall’ansia.» «E cosa le fa pensare che sua figlia sia qui?» «Tra le altre cose, il suo comportamento di poco fa. A proposito, con chi ho il piacere?» «Sono io che faccio le domande qui, amico.» Jericho alzo le mani. «Va bene. Le faccio una proposta. Io le dico la verita e, in cambio, lei la smette di annoiarmi con questi dialoghi da filmaccio poliziesco. Possiamo venirci incontro?» «Hmm.» «Lei si chiama Hmm?» «Il mio nome e Bdé. Zhao Bdé.» «Grazie. Yoyo abita qui, vero?» «’Abitare’ mi sembra eccessivo.» «D’accordo. Vede, Chén Hongbng ha paura. Yoyo non si fa sentire da giorni, ha mancato un appuntamento, e lui e fuori di sé. Io ho l’incarico di rintracciarla.» «Per fare cosa?» Jericho scrollo le spalle. «Niente. Insomma, le suggeriro di chiamare suo padre. Lei lavora qui?» «In un certo senso.» «Fa parte dei City Demons?» «Dei...» Negli occhi di Zhao guizzo un lampo d’irritazione. «No, come le viene in mente?»
«Sarebbe abbastanza ovvio, non crede?» «Le sembro uno di loro?» «Non ne ho idea.» «Appunto. Lei non ne ha idea.» «Credo che alcuni dei confidenti piu intimi di Yoyo siano membri dei City Demons.» Zhao lo squadro con diffidenza. «Controlli i miei dati», aggiunse Jericho. «In Internet trova tutto quello che c’e da sapere su di me. Non voglio far del male a Yoyo. Non sono un poliziotto, non faccio parte dei servizi segreti, non sono qualcuno di cui deve avere paura.» Zhao si gratto dietro l’orecchio. Sembrava perplesso. Poi afferro Jericho per il braccio e lo spinse verso la porta. «Andiamo a bere qualcosa, piccolo Jericho. Se dovessi scoprire che mi sta prendendo per il culo, la faccio seppellire qui a Quyu. Seppellire vivo, per essere chiari.» Si sedettero davanti a un caffe di fronte al padiglione dei concerti. Su richiesta di Zhao, una ragazza col cranio rasato ricoperto di applicazioni che la facevano sembrare un cyborg porto due bottiglie di birra gelata. Per un po’ sorseggiarono la birra senza parlare. «Trovare Yoyo non sara facile», disse infine Zhao. Bevve un lungo sorso e rutto. «Suo padre non e l’unico ad averla persa di vista. Anche noi non...» «’Noi’ chi?» Zhao lo guardo. «Noi. I suoi amici. Cosa sa della ragazza? Quanto le hanno raccontato?» «So che e in fuga.» «E sa anche perché?» Jericho inarco le sopracciglia. «Cos’e, sta iniziando a fidarsi di me?» «Non lo so.» «E io non so se posso fidarmi di lei, Zhao. Solo che cos non arriviamo da nessuna parte.» Zhao sembro riflettere sul problema. «Le sue informazioni in cambio delle mie», propose. «Inizi lei.» «D’accordo. Yoyo e una dissidente. Negli ultimi anni, ha procurato diversi grattacapi al Partito.» «Esatto.» «Fa parte di un gruppo che si fa chiamare i Guardiani. Critica del regime, sostegno dei diritti umani, terrorismo informatico. Tutta una serie di simpatiche opinioni. Fino a poco tempo fa, e riuscita a cavarsela.» «Giusto anche questo.» «Adesso tocca a lei.»
«Nella notte del 23 maggio ha lasciato precipitosamente il suo appartamento ed e fuggita a Quyu.» Jericho sorb un sorso di birra, appoggio la bottiglia sul tavolo e si pul la bocca. «Sui motivi che l’hanno spinta a questo posso solo fare delle ipotesi, ma suppongo che abbia scoperto qualcosa in rete che le ha fatto paura.» «Fin qui e tutto giusto.» «È stata identificata. O, almeno, questo e cio che crede. Dati i suoi precedenti, venire scoperta deve essere la sua maggiore preoccupazione. Forse si aspettava di ricevere una visita della polizia o dei servizi segreti quella notte stessa.» «Quyu e il suo rifugio», disse Zhao. «Nessuna sorveglianza, niente scanner, niente polizia. Una terra incognita.» «La sua prima meta e stata l’officina dei City Demons. Solo che, alla lunga, quello non e un nascondiglio abbastanza sicuro. Cos si e rifugiata all’Andromeda, come aveva gia fatto in passato. » «Da che cosa ha capito che si trovava all’Andromeda?» «Ha spedito un messaggio ai suoi amici da qui.» «Un messaggio che lei ha letto?» «Un messaggio che mi ha portato fin qui.» Zhao socchiuse gli occhi, diffidente. «E come ne e entrato in possesso? Una cosa del genere di solito riesce a farla solo la polizia. » Jericho sorrise. «Tranquillo, piccolo Zhao. La crittografia fa parte del mio lavoro. Sono un detective informatico, e mi occupo principalmente di spionaggio industriale e violazioni dei diritti d’autore.» «E il padre di Yoyo come ha fatto a trovarla?» Jericho prese un altro sorso di birra. «Questi non sono davvero affari suoi. Ha detto che Yoyo e sparita di nuovo.» «A quanto sembra. Dovrebbe essere qui.» «Ma non c’e.» «Non l’ho piu vista da stamattina. Magari sta solo facendo una passeggiata. Forse ci stiamo preoccupando inutilmente. Di solito, quando se ne va, ci avverte.» Jericho rigiro la bottiglia di birra tra l’indice e il pollice. Si chiese come procedere. Zhao Bdé confermava le sue supposizioni. Yoyo era stata l, ma cio non era sufficiente per rassicurare Chén Hongbng. Quell’uomo voleva delle certezze. «Forse ha ragione, non abbiamo motivo di preoccuparci», disse infine. «I City Demons le hanno preannunciato il mio arrivo. Stavolta la sparizione di Yoyo potrebbe dipendere da me.» «Capisco.» Zhao indico con la bottiglia la COD color argento di Jericho che brillava sotto i raggi del sole. «D’altra parte, lei viaggia con un mezzo piuttosto vistoso, date le circostanze.
Le COD entrano raramente a Quyu.» «L’ho notato.» «Ma forse Yoyo e fuggita da quell’altro.» Jericho aggrotto la fronte. «Da quale altro?» La mano di Zhao si sposto verso destra. Jericho segu il movimento e vide una seconda COD, parcheggiata alla fine del padiglione. Sbalordito, si chiese se fosse stata la prima del suo arrivo. La sorpresa di aver fortunosamente trovato l’Andromeda e la consapevolezza di essere caduto nella trappola di Daxiong lo avevano distratto. Si alzo e si fece schermo agli occhi con le mani. Per quello che riusciva a vedere, l’abitacolo della COD era vuoto. Una coincidenza? «Qualcuno l’ha seguita?» chiese Zhao. Jericho scosse la testa. «Ho vagato per mezza Quyu prima di arrivare qui. Non c’era nessuna COD dietro di me.» «Ne e sicuro?» Jericho tacque. Sapeva fin troppo bene come si faceva a seguire una persona senza essere notati. Chiunque avesse parcheggiato l quel mezzo poteva essergli stato alle calcagna fin da Xntiand. Anche Zhao si alzo. «Il mio istinto mi dice che lei e pulito, pero voglio metterla alla prova, Jericho. Dato che condividiamo la preoccupazione per Yoyo, le propongo una collaborazione a termine.» Tiro fuori una penna, scarabocchio qualcosa su un pezzo di carta e lo porse a Jericho. «Il mio numero di cellulare. Lei mi dara il suo. Cerchiamo di trovarla insieme.» Jericho annu. Memorizzo il numero sul cellulare e diede al suo interlocutore un biglietto da visita. Zhao era ancora un enigma, per lui, ma al momento la sua proposta era la cosa migliore che aveva. «Dovremmo pensare a un piano», disse. «Il piano e il nostro impegno reciproco alla franchezza. Non appena uno dei due sente o vede qualcosa, informa l’altro.» Jericho esito. «Posso farle una domanda personale?» «Se non si aspetta una risposta.» «In che rapporti e con Yoyo?» «Lei ha molti amici qui. Io sono uno di loro.» «So perfettamente che ha degli amici. Voglio sapere qual e il suo rapporto con Yoyo. Lei non fa parte dei City Demons. Sa che appartiene ai Guardiani, il che pero non significa che sia uno di loro.» Zhao vuoto la bottiglia e rutto di nuovo. «A Quyu siamo una grande famiglia», replico, imperturbabile.
Jericho scosse la testa. «Per la miseria, Zhao. Risponda alla domanda oppure taccia, ma non mi propini la storiella del romanticismo dei sobborghi.» Zhao lo fisso. «Conosce Yoyo di persona?» «No. L’ho vista in alcuni filmati.» «Chi la conosce ha due possibilita. S’innamora di lei oppure reprime i propri sentimenti. Dal momento che Yoyo non vuole innamorarsi di me, sto lavorando alla seconda possibilita. Di sicuro, comunque, non la piantero mai in asso.» Jericho annu e non fece altre domande. Il suo sguardo si soffermo di nuovo sulla seconda COD. «Voglio dare un’altra occhiata all’Andromeda», disse. «A che scopo?» «Forse trovo qualcosa che ci puo essere utile.» «Faccia come crede. Se si mette nei guai, non se la prenda con me.» Gli diede una pacca sulla spalla e attraverso il piazzale per raggiungere il furgone arrugginito. Jericho lo vide parlare con uno degli addetti. Sembrava che stessero discutendo della disposizione delle luci di scena. Poi estrassero un’altra valigia dal veicolo. Jericho attese un minuto e li segu all’interno. Quando raggiunse la platea, stavano allestendo la postazione del fonico. Sulla balaustra non c’era nessuno. Sal la scala di acciaio, s’infilo nella porta grigia, indosso un paio di guanti sterili usa e getta ed entro per la seconda volta nello squallido regno di Yoyo. Per prima cosa, piazzo una cimice sotto uno scaffale. Poi ispeziono rapidamente le pile di pagine stampate, riviste e libri. La maggior parte parlava di musica, moda, design e della scena musicale di Shanghai: politica, ambienti virtuali e robotica. Riviste specializzate che forse Yoyo leggeva per tenersi aggiornata, per il suo lavoro alla Tu Technologies. Si avvicino alla scrivania e rovisto nel cestino dei rifiuti: confezioni strappate e accartocciate con ancora attaccati rimasugli di cibo. Jericho cerco di ricomporle. Molte portavano la scritta WONGS WORLD accompagnata da un rozzo logo. Un globo terrestre galleggiava in una scodella piena di salsa e di qualcosa che doveva ricordare degli ortaggi. La Terra aveva un volto con un’espressione visibilmente depressa. Jericho scatto alcune fotografie e poi usc dalla stanza. Quando ridiscese la scala di acciaio, Zhao alzo lo sguardo nella sua direzione e poi si giro verso il mixer. Jericho gli passo accanto senza dire una parola e usc. Nelll’ingresso, il suo sguardo cadde per caso su un manifesto dei Pink Asses. Roba da non credere. Sostenevano davvero di suonare ass-metal e promettevano che il loro sound sarebbe «salito direttamente su per il culo». Era sicuro che non voleva sentire quella roba. Mentre apriva la COD, si guardo intorno. Il secondo veicolo era ancora l. Qualcuno lo stava seguendo. Sarebbe stato ingenuo pensare il contrario. E probabilmente lo stava osser-
vando. Uno studente che, dopo aver promesso di fornire informazioni sul rifugio di Yoyo, veniva investito dall’ottovolante che manovrava. Una COD apparsa come per incanto dopo il suo arrivo all’Andromeda. La nuova sparizione di Yoyo. Quante coincidenze ci volevano prima che la paura si depositasse come un velo di polvere? Yoyo non era incappata in un folle. Aveva ottime ragioni per nascondersi e ancora non era affatto chiaro chi le stesse dando la caccia. Se le circostanze lo richiedevano, il governo - sotto forma di polizia o di servizi segreti - non esitava a uccidere. Ma quali circostanze potevano spingere il Partito cos in la? Yoyo poteva anche essersi guadagnata la fama di nemica dello Stato, ma ucciderla non era nello stile del regime, che preferiva mettere i dissidenti sotto chiave, invece di metterli a morte come succedeva ai tempi di Mao. O forse Yoyo aveva risvegliato un mostro completamente diverso, che mandava all’aria qualsiasi regola? Di certo, chi le dava la caccia adesso aveva nel mirino anche Jericho. Ed era troppo tardi per rinunciare al caso. Avvio la COD e seleziono un numero. Dopo tre squilli rispose la voce di Zhao. «Me la squaglio», lo informo Jericho. «Nel frattempo, lei puo gia iniziare a rendere operativa la nostra cooperazione.» «Cosa vuole che faccia?» chiese Zhao. «Tenga d’occhio la seconda COD.» «D’accordo. Mi faro vivo.» Kenny Xn lo osservo partire. Il destino era un’amante infedele. Dall’alto del World Financial Center, lo aveva portato l, nella piaga purulenta della piu grande potenza economica mondiale. Gli accadeva in continuazione. Non appena credeva di essere sfuggito alle grinfie di quella puttana sifilitica che era l’umanita, e si convinceva di non doverle piu nulla, di essersi finalmente liberato del suo fetido alito, lei lo faceva ricadere sul suo giaciglio lercio. Gia in Africa aveva dovuto sopportare il suo aspetto ripugnante, aveva dovuto lasciarsi toccare, fino a temere di essere stato infettato in modo irrimediabile, e di essere prossimo a trasformarsi in un bubbone purulento. E adesso era finito a Quyu e si era trovato di fronte quella stessa faccia disgustosa, senza poter neanche distogliere lo sguardo. Fu colto dalle vertigini, come ogni volta che la repulsione lo sommergeva. Il mondo sembro rovesciarsi e Xn quasi si meraviglio di non vedere le case scivolare di lato e le persone rotolare giu. Premette il pollice e l’indice sulla radice del naso sinché non fu di nuovo in grado di pensare con chiarezza.
Il detective era scomparso. Riempire la sua COD di cimici sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma Xn non nutriva nessun dubbio sul fatto che, dopo essere uscito da Quyu, Jericho avrebbe riconsegnato il veicolo. Non aveva bisogno di seguirlo: non poteva sfuggirgli. Il suo sguardo vago per il piazzale, e lui si libero del disgusto che provava riversandolo su tutto cio che vedeva. Odiava la gente di Quyu proprio come aveva odiato le creature miserabili, denutrite, malate e disperate in Africa. Non perché avesse qualcosa contro di loro. Erano sconosciuti, numeri in una statistica. Li odiava perché erano poveri. Xn odiava la loro poverta al punto da non sopportare il fatto che fossero vivi. Era tempo di andarsene da l. JERICHO Mentre si stava immettendo nella strada a scorrimento veloce, Jericho ricevette una chiamata. Il display rimase nero. «Il suo inseguitore ha lasciato il piazzale», gli fece sapere Zhao. D’istinto, Jericho lancio uno sguardo nello specchietto retrovisore. Che idea stupida, si disse. Su quel tracciato viaggiavano soltanto COD, identiche nel colore e nella forma. «Finora non ho visto nessuno», replico. «Se non altro, non dovrei averlo alle calcagna.» «No, ha aspettato un po’.» «Me lo puo descrivere?» «È un cinese.» «Ma davvero?» «All’incirca della mia altezza, dall’aspetto elegante. Chiaramente non c’entra nulla con Quyu.» Zhao fece una pausa. «Lei era molto piu credibile.» A Jericho sembro di vederlo sorridere. La COD accelero. «Ho esaminato il cestino dei rifiuti di Yoyo», disse, senza prestare attenzione all’osservazione di Zhao. «Sembra che compri il cibo in un negozio che si chiama Wongs World. Mai sentito?» «Puo darsi. Una tavola calda?» «È possibile. Ma potrebbe essere anche un supermercato.» «Lo scopriro. È raggiungibile stasera?» «Sono sempre raggiungibile.» «Lo immaginavo. Non ha l’aspetto di un uomo che ha qualcuno che lo aspetta a casa la sera.» «Ehi, aspetti un attimo!» si scaldo Jericho. «Cosa ne sa lei...» «A dopo.» Idiota! penso Jericho con rabbia, ma ben presto quel sentimento lascio il posto a una sensazione d’impotenza. Zhao aveva ragione. Ormai da anni nessuno lo aspettava a casa. Non che non fosse attraente. Sportivo, biondo e con luminosi occhi azzurri, veniva sempre
scambiato per uno scandinavo, e i nordici erano tenuti in alta considerazione dalle donne cinesi. Nel contempo, pero, era consapevole del fatto che non degnava mai di uno sguardo l’uomo che lo fissava dallo specchio. Il suo abbigliamento era funzionale. Si curava quel tanto che bastava per non apparire trascurato. Ogni tre giorni si faceva la barba, ogni tre mesi faceva visita al suo parrucchiere per «potare le erbacce », come era solito dire, comprava dozzine di T-shirt senza chiedersi se gli stessero bene. In fondo, il calvo e grasso Tu Tian, che si dedicava con impegno a coltivare la propria trascuratezza, era piu interessante. Quando lascio l’autostrada, nei pressi di Xntiand, la rabbia aveva lasciato il posto a un profondo abbattimento. Ripenso alla sua nuova casa, ma cio non gli diede nessuna consolazione. Xntiand sembrava piu lontana che mai, un quartiere dei divertimenti cui lui non apparteneva, perché il divertimento sembrava fuggire non appena arrivava lui. Ecco, ci stava ricadendo. Prima di Joanna, era rimasto a lungo il Jericho diciottenne, che aveva l’aspetto di uno di quindici anni e che non aveva mai avuto una ragazza perché le compagne di scuola impazzivano per tipi completamente diversi. Anzi, a dirla tutta, era rimasto il diciottenne che le ragazze apprezzavano moltissimo, ma soltanto come amico comprensivo. Una specie di bidone della spazzatura, secondo lui. Con le guance rigate di lacrime, gli avevano rovesciato addosso i particolari delle loro relazioni e le loro pene d’amore. E, dopo una serie di sedute terapeutiche, avevano proclamato di amarlo come un fratello, perché, grazie al cielo, era l’unico ragazzo al mondo che non voleva niente da loro. Cos, soffrendo, Jericho aveva rammendato anime e cuori. Si era spinto oltre soltanto una volta, con una mora dal nasino all’insu, appena piantata in asso dal suo ragazzo, un noto dongiovanni. Per essere precisi, aveva invitato la ragazza a cena e tentato di flirtare con lei. Per due ore, la cosa aveva funzionato alla grande, ma solo perché Nasino-All’-Insu non aveva capito che Jericho stava flirtando. Persino quando lui aveva posato una mano sulla sua, lei aveva semplicemente pensato che fosse un gesto un po’ strano. Una volta comprese le intenzioni di Jericho, pero, si era alzata e aveva lasciato il ristorante. Non aveva mai piu scambiato con lui neppure una parola. Owen Jericho aveva dovuto aspettare di avere vent’anni prima che la figlia di un oste gallese s’impietosisse di lui e lo privasse della verginita. La ragazza non era bella, ma aveva attraversato un inferno simile al suo e la cosa, insieme con un paio di pinte di birra alla spina, aveva creato i giusti presupposti. In seguito era andata meglio... anzi persino decisamente bene. Cos lui si era vendicato di quel disprezzabile invertebrato che sosteneva di essere Owen Jericho. E, con l’aiuto di Joanna, era riuscito a metterlo da parte, ma non l’aveva ucciso. Mai avrebbe pensato che sarebbe stata proprio lei a tirarlo di nuovo fuori. Era il ragazzino riflesso nei suoi occhi che
faceva scappare le donne. Faceva paura alle donne. Faceva paura a se stesso. Condusse il veicolo al COD-Point piu vicino e collego il mezzo alla rete elettrica. Il computer calcolo l’importo da pagare e incasso la somma quando Jericho appoggio il cellulare sull’interfaccia; infine lui scese dalla macchina e chiamo Tu Tian. Con Naomi Liu scambio solo poche parole. Evidentemente lei aveva percepito il suo malumore, percio gli aveva regalato un sorriso radioso e aveva passato la telefonata al capo. «Ho trovato la ragazza», disse Jericho, saltando i convenevoli. Tu Tian sollevo le sopracciglia. «Hai fatto in fretta.» Il tono rivelava una profonda ammirazione. Poi si accorse dell’espressione corrucciata di Jericho. «E qual e il problema? Perché c’e un problema, vero?» «Mi e scappata di nuovo.» «Ah.» Tu Tian schiocco la lingua. «Va bene. Sono sicuro che hai fatto del tuo meglio, piccolo Owen.» «Non voglio spiegarti i dettagli al telefono. Fissiamo un incontro con Chén Hongbeng o preferisci essere messo al corrente degli sviluppi prima di parlare con lui?» «Yoyo e sua figlia», disse Tu Tian, diplomatico. «Lo so. Voglio essere franco. Preferirei parlare prima con te.» Tu Tian sembro sollevato, come se avesse sperato proprio quello. «Penso che dovremmo fare entrambe le cose», ribatté in tono magnanimo. «Ma sarebbe saggio da parte tua mettermi a parte delle tue riflessioni. Quando puoi raggiungermi?» «In un quarto d’ora, se l’accesso alla sopraelevata non e intasato. Un’altra cosa, Tian. Il giovane che e caduto dal vostro tetto stamattina...» «Gia, una cosa terribile.» «Cosa ne sai?» «Le circostanze della morte sono a dir poco strane.» Gli occhi di Tu Tian scintillavano. Sembrava piu affascinato che colpito dall’evento. «Quel tipo e andato a spasso sulla rotaia a quasi cinquecento metri di altezza. Ti sembra una cosa normale per uno studente che cerca di guadagnare qualche yuan per pagarsi gli studi? Cosa ci faceva la fuori?» «Ho sentito che esiste un filmato.» «Il video di un testimone oculare, s. L’ho sentito anch’io al notiziario.» «Lo hanno reso pubblico?» «S, ma non si vede granché. Solo che questo tizio... come si chiamava... Grand Chevrolet o qualcosa del genere si arrampica sulle rotaie come una scimmia e poi cerca di saltare oltre i vagoni.» Jericho si massaggio la fronte. «Grand Cherokee. Si chiamava Grand Cherokee Wang. Devo chiederti un favore, Tian. Il notiziario ha detto che le telecamere di sorveglianza del
World Financial Center mostrano Wang in compagnia di un uomo. E che sembra che i due abbiano litigato. Devo dare un’occhiata a quei filmati e...» Jericho si blocco per un attimo, poi concluse: «... possibilmente anche a Wang». Tu Tian lo fisso. «Come, scusa?» «Voglio dire...» «Come te la figuri una cosa del genere? Sei impazzito? Dovrei chiamare l’obitorio e dire: ’Ehi, come va la vita? Potete srotolare un attimo quel Grand Cherokee Wang perché un mio amico ha una predilezione per i corpi maciullati?’» «Voglio vedere le sue cose, Tian. Quello che aveva in tasca. Il suo cellulare, per esempio.» «Come pensi che potrei arrivare al suo cellulare?» «Conosci mezza Shanghai.» «Ma nessuno all’obitorio!» Tu Tian sbuffo e spinse verso l’alto gli occhiali mezzi rotti, che continuavano a cadergli sul naso durante la conversazione. Le sue guance paffute tremavano. «E, per quanto riguarda i filmati delle telecamere di sorveglianza, non farti troppe illusioni.» «Perché? Le registrazioni sono memorizzate sul disco fisso del sistema, no?» «Ma io non sono autorizzato a visionarle. Sono un semplice locatore, qui, non il proprietario. Inoltre, se la polizia ha aperto un’inchiesta, i filmati saranno stati requisiti come prove. Hai dei contatti in polizia anche tu.» «In questo caso, non sarebbe una mossa intelligente andare a stuzzicarli.» «Perché?» «Te lo spiego dopo.» «Non so se posso aiutarti.» «S o no?» «Incredibile!» sbotto Tu Tian. «Da quando in qua ci si rivolge in questo modo a un cinese? Noi non concepiamo il ’s o no’. I cinesi odiano i vincoli, ormai dovresti averlo capito, naso lungo.» «Lo so. Voi preferite un ’forse’ definitivo.» Tu Tian cerco di apparire seccato. Poi sorrise e scosse la testa. «Devo essere impazzito anch’io. D’accordo, faro quello che posso. Sono davvero curioso di sapere perché t’interessa tanto questo artista della caduta libera.» Durante i pochi minuti della telefonata, il traffico nella vicina Yan’an Donglu era drammaticamente aumentato. Anche la parallela Huaihai Donglu era intasata. Due volte al giorno, il centro cittadino tra Huangpu e Luwanqu era un inferno. Prendere la propria macchina era un’utopia ma, quando Jericho torno al COD-Point, gli dissero che la persona prima di lui
aveva noleggiato l’ultimo veicolo rimasto. Era quello il problema con le COD: ce n’erano troppo poche. Jericho s’incup ulteriormente. Quando abitava a Pudong, era piu facile andare da Tu Tian. Raggiunse la stazione della metropolitana di Huangp Nan Lu e scese nei sotterranei illuminati dove centinaia di persone si lasciavano sospingere dai passeggeri piu aggressivi verso la sovraffollata linea 1. Non appena le porte del vagone si chiusero, rimpianse amaramente di non aver percorso a piedi il chilometro e mezzo che lo separava dalla riva del fiume. Aveva ancora molto da imparare riguardo al suo nuovo quartiere. Non aveva mai abitato in una zona cos centrale e non riusciva nemmeno a ricordare di aver preso la metropolitana a quell’ora. Né l’avrebbe rifatto. Il treno accelero, ma i passeggeri non si mossero neppure. Quasi tutti gli uomini a bordo tenevano le braccia in alto, cos da evitare di essere accusati di molestie sessuali, all’ordine del giorno nei treni stracolmi: spesso la vittima non aveva nemmeno la possibilita di girarsi. Da qualche tempo, pero, anche gli uomini avevano iniziato a essere importunati, quindi pure alcune donne tenevano le mani alzate. Una corsa in metropolitana era una sofferenza muta, e le persone che soffrivano di piu erano i bambini, in quell’insieme di muffe tessili, sudore e odori genitali che aleggiava intorno alle loro teste. Jericho era rimasto incastrato proprio davanti alle porte. Di conseguenza, alla fermata successiva la massa lo spinse sulla banchina per primo. Per un attimo valuto la possibilita di andare alla stazione di Longyang Lu, dove passava la teleferica magnetica Maglev che collegava il Pudong Airport, vicino alla costa, con la citta di Suzhou a ovest, passando proprio accanto al World Financial Center e offrendo tutti i comfort a un prezzo esorbitante, motivo per cui era sempre mezza vuota. Sarebbe giunto a destinazione nel giro di un minuto, solo che il viaggio fino alla stazione Maglev avrebbe richiesto lo stesso tempo che ci voleva per raggiungere Pudong in metropolitana. Nello stesso istante, la massa umana lo sospinse sul tapis roulant della linea 2, e lui si rassegno, consolandosi col pensiero che il tizio che gli aveva fregato la COD sotto il naso di sicuro non era ancora riuscito a fare cento metri. Quando emerse dal sottosuolo climatizzato a Pudong fu investito da un’aria calda e umida. Il sole era una macchia in mezzo a un ammasso di nuvole caliginose. Lentamente, le nuvole si chiusero su di lui. Il suo sguardo si poso sul World Financial Center, che si stagliava dietro la Jn Mao Dasha. Lassu era andato a spasso Grand Cherokee Wang? Inconcepibile. O era impazzito, oppure le circostanze non gli avevano lasciato scelta. Ando su Internet e carico il filmato amatoriale sul cellulare. La ripresa era mossa, ma nitida e ravvicinata. Mostrava una minuscola figura sulla rotaia. «Diane», disse Jericho.
«Ciao, Owen. Cosa posso fare per te?» «Occupati del video che ho aperto. Cerca di renderlo piu nitido e brillante che puoi. Fermi immagine ogni tre secondi.» «D’accordo, Owen.» Si diresse verso «l’apribottiglie», attraverso il centro commerciale e sal verso la Sky Lobby. T TECHNOLOGIES L’azienda di Tu Tian occupava quattro piani del palazzo, dal settantaquattresimo al settantasettesimo, proprio sotto l’hotel, l’osservatorio e l’ottovolante. Una donna diede il benvenuto a Owen Jericho con un caloroso sorriso: era Gong Qng, la superstar cinese che l’anno precedente aveva vinto un Oscar e di certo aveva ben altro da fare che controllare chi entrava e usciva dalla Tu Technologies. I collaboratori di Tu Tian erano soliti ricambiare il saluto e passare oltre; ai visitatori invece la donna chiedeva nome e cognome e li pregava di appoggiare la mano sul suo palmo destro. Owen non faceva eccezione. Per un attimo, percep il gelo della superficie di proiezione trasparente della simulazione 3D dell’attrice. Il sistema rilevo le impronte digitali e le linee del palmo della mano, esegu la scansione dell’iride e della voce. Lei constato che si trattava di una persona gia registrata ed evito di chiedergli il nome. A conferma dell’avvenuto riconoscimento, sul suo volto si dipinse un sorriso. «Grazie, Owen Jericho. È un piacere rivederla. Chi desidera incontrare?» «Ho un appuntamento con Tu Tian.» «Salga al settantasettesimo piano. Naomi la aspetta.» In ascensore, Jericho penso con ammirazione a Tu Tian, che era riuscito nell’impresa di avere a disposizione ogni tre mesi una nuova celebrita per quella procedura. Mentre si chiedeva quanto fosse stata pagata l’attrice, usc dall’ascensore ed entro in un locale che occupava l’intero piano. Tutti i quattro piani che ospitavano la Tu Technologies erano allestiti nello stesso modo. Non c’erano postazioni di lavoro definite né corridoi spogli. I collaboratori erano sparpagliati come nomadi in un ambiente polifunzionale, assistiti dai lavo-bot, robot a forma di container che si spostavano senza il minimo rumore e custodivano al loro interno computer con interfacce e vani per il materiale necessario per il lavoro di ogni dipendente. Ogni collaboratore disponeva di un proprio lavo-bot, che prendeva in consegna la mattina alla reception e col quale, a seconda del compito, si spostava da postazione a postazione, all’occorrenza collegandolo alla rete. C’erano postazioni aperte e schermate, postazioni multiple per il brainstorming e uffici insonorizzati con pareti di vetro oscurabili in caso di necessita. Al centro di ogni piano, c’era un’isola per il tempo libero con divani, bar e cucina, una reminiscenza dei focolari intorno ai quali gli uomini primitivi si erano riuniti per migliaia di anni.
«Non diamo semplicemente un lavoro ai nostri collaboratori; diamo loro una casa», diceva spesso Tu Tian. Naomi Liu era seduta alla sua scrivania. Vicino, aveva un monitor alto due metri e leggermente bombato. Il monitor e il piano di lavoro erano trasparenti. I documenti, i diagrammi e i filmati fluttuavano sopra di esso come fantasmi. Lei li apriva e li chiudeva, sfiorandoli con la punta delle dita, o li spostava mediante comandi vocali. Quando vide Jericho, la sua bocca si schiuse in un sorriso, lasciando intravedere una fila di denti bianchissimi. «Allora? È soddisfatto della sua parete olografica?» «Purtroppo no, Naomi. L’olografia non e in grado di riprodurre il suo profumo.» «Lei esagera sempre, ma con stile.» «Non esagero affatto. I miei sensi sono piu acuti di quelli della maggior parte delle persone. Non dimentichi che sono un detective. » «Allora e in grado d’indovinare che profumo indosso oggi, vero?» Gli rivolse uno sguardo canzonatorio e pieno di aspettativa. Jericho non provo nemmeno a citare una marca. Per lui tutti i profumi odoravano di fiori polverizzati nell’alcol. «Il migliore », disse. «Con questa risposta si e guadagnato l’accesso all’ufficio del capo. È in montagna.» La «montagna» era una zona relax in fondo al locale, i cui elementi accatastati l’uno sull’altro si adattavano alla struttura del corpo e sembravano vivere di vita propria. Ci si poteva buttare dentro, arrampicarsi o stravaccarsi sopra. Nel contempo, l’imbottitura di nanorobot modificava continuamente la forma del corpo e quindi la postura di coloro che si sedevano. Gli esperti ritenevano che, cambiando spesso posizione, si facessero pensieri piu creativi e la pratica aveva dato loro ragione. La maggior parte delle idee piu rivoluzionarie partorite alla Tu Technologies aveva visto la luce nel dinamico ondeggiare della montagna. Tu Tian troneggiava in cima alla montagna come un bambino grasso e presuntuoso. Quando si accorse della presenza del visitatore, interruppe la conversazione con due responsabili di progetto, scivolo verso il basso e si rimise in piedi con un gemito, tentando inutilmente di lisciare i pantaloni stropicciati. Con pazienza, Jericho attese che l’asssurda operazione avesse termine. Era sicuro che quei pantaloni avevano avuto quell’aspetto gia al mattino. «Un ferro da stiro farebbe miracoli», disse. Tu Tian scrollo le spalle. «Perché? Sono a posto.» «Non sei un po’ troppo vecchio per le arrampicate?» «Tu dici?» «Sei scivolato a valle con l’eleganza di una slavina. Le tue vertebre...»
«Le mie vertebre non sono affari tuoi. Vieni con me.» Tu Tian condusse l’amico in uno degli uffici con le pareti di vetro e chiuse la porta. Poi premette un pulsante. I vetri si oscurarono e il soffitto s’illumino. Dopo pochi secondi, le pareti erano diventate impenetrabili. Si sistemarono a un tavolo ovale, e Tu Tian lo fisso con aria impaziente. «Allora, cos’hai in mano?» «Non credo che siano le autorita a dare la caccia a Yoyo. Perlomeno, non gli organi di sicurezza ufficiali.» «Mi stai dicendo che e libera?» «Credo di s. Si e rifugiata a Quyu.» Con sua grande sorpresa, Tu Tian annu, come se non si fosse aspettato nulla di diverso. Jericho gli racconto quello che era accaduto dal loro ultimo colloquio. Tu Tian rimase in silenzio per un po’, quindi chiese: «E cosa pensi dello studente morto?» «Il mio istinto mi dice che e stato ucciso.» «Massimo rispetto per il tuo istinto.» «Era il coinquilino di Yoyo. Voleva spillarmi dei soldi per informazioni che probabilmente nemmeno possedeva. Forse ha tentato la stessa carta anche con qualcun altro, che lo ha trattato con meno riguardo. Oppure sapeva davvero qualcosa ed e stato tolto di mezzo prima che potesse raccontarlo ad altri.» «A te, per esempio.» «A me, per esempio.» Jericho si mordicchio il labbro. «D’accordo, e solo una mia teoria, pero mi sembra molto plausibile. Yoyo si da alla fuga, il suo coinquilino dice di sapere dove si trova, vuole dei soldi e cade nel vuoto. È lecito domandarsi chi lo abbia spinto a farlo. La polizia? Non credo proprio. Lo avrebbero messo sotto torchio, non indotto al suicidio. A parte il fatto che un solo motivo potrebbe spingere la polizia a far visita a Yoyo, ovvero la scoperta della sua identita. Ma scommetto che tu non hai visto nemmeno un agente di polizia in questi giorni.» Tu Tian scosse la testa. «Sarebbero venuti a trovarti, puoi starne certo. Yoyo lavora con te. Sarebbero andati a bussare alla porta di Chén e avrebbero spremuto i suoi coinquilini come limoni. Invece non e accaduto nulla di tutto questo. Deve aver pestato i piedi a qualcun altro. A qualcuno che non va troppo per il sottile.» Tu Tian arriccio le labbra. «Hongbng e io potremmo pubblicare un messaggio in quel bizzarro forum in cui Yoyo ha lasciato il suo. Per comunicarle che...» «Lascia perdere. Yoyo non ha bisogno che cerchiate di mettervi in contatto con lei.» «Non capisco. Perché non ha cercato di contattare almeno Hongbng?»
«Perché ha paura di coinvolgerlo. Al momento, vuole capire quali rischi puo correre senza mettere in pericolo se stessa e gli altri. Come fa a sapere se tu o Chén siete sorvegliati? Quindi resta nascosta e cerca di raccogliere informazioni. A Quyu era al sicuro, ma poi l’hanno avvertita che io ero sulle sue tracce. Adesso sa che sono stato nel suo nascondiglio. E pure che qualcuno mi ha seguito. Quindi l’Andromeda, come nascondiglio, e saltato. Lo ha abbandonato precipitosamente proprio come aveva fatto col suo appartamento. Ed e scomparsa di nuovo.» «Quello Zhao Bdé...» disse Tu Tian, pensieroso. «Che ruolo ha, secondo te?» «Non ne ho idea. Stava dando una mano durante l’allestimento di un concerto. Suppongo che abbia a che fare con l’Andromeda. » «Un City Demon?» «Lui dice di no.» «Pero e al corrente del fatto che Yoyo e un Guardiano.» «S, ma ho avuto l’impressione che non fosse a conoscenza del messaggio postato da Yoyo su Brilliant Shit. Non riesco a inquadrarlo. Di sicuro alcuni Guardiani sono anche City Demons. Ma non tutti i City Demons sono Guardiani. Inoltre ci sono persone che aiutano Yoyo senza fare parte dell’uno o dell’altro gruppo. Zhao e una di queste.» «E credi che lei si fidi di lui?» «A quanto dice, sta facendo il possibile per conquistare la sua fiducia. Tuttavia, quand’e fuggita di nuovo, lei non gli ha detto dove andava.» «Non ha informato nemmeno me e Chén, se e per questo.» «Vero. Ma cos non arriviamo da nessuna parte. E tu questo lo sai bene.» Jericho rivolse a Tu Tian uno sguardo pieno di rimprovero. L’altro lo fisso, imperturbabile. «Dove vuoi arrivare?» «A ogni fuga, si riduce la cerchia delle persone che sono al corrente delle mosse di Yoyo. Ma ci deve pur essere qualcuno che e sempre informato.» «E allora?» «E allora mi chiedo, con tutto il dovuto rispetto, se mi stai nascondendo qualcosa.» Tu Tian inizio a studiare con interesse la punta delle sue dita. «Credi che io conosca gli altri Guardiani?» «Credo che tu stia cercando di proteggere Yoyo e te stesso. Supponiamo che in realta tu non avessi avuto affatto bisogno del mio aiuto per trovarla. Ma le mie ricerche ti servivano per evitare di doverti esporre in prima persona. Nessuno deve sospettare che Tu Tian s’interessa piu del dovuto alla scomparsa di una dissidente. Chén Hongbng invece e il padre di Yoyo e puo ingaggiare un detective senza destare sospetti.» Jericho scruto la reazione di Tu Tian, che si mise a pulire gli occhiali con un lembo della camicia. «Supponiamo pure che tu sappia
con certezza dove si nasconde Yoyo se ci sono guai in vista», prosegu. «Ed ecco che si presenta Chén, ignaro di tutto, e ti chiede aiuto. Cosa puoi fare? Raccontargli quello che combina la figlia in rete, e il fatto che tu ne sei al corrente? Di piu, che approvi la sua attivita e sai dove si nasconde? Darebbe i numeri. Quindi gli suggerisci di rivolgersi a me e, nel contempo, mi fornisci l’indizio decisivo. I City Demons. Tra l’altro, anche Grand Cherokee Wang mi aveva parlato di loro. In effetti mi hai detto dove dovevo cercare. Il tuo piano era semplice: io trovo la ragazza, tu non dai nell’occhio, non sei costretto a calare le brache davanti a Chén, il padre viene rassicurato sulla sorte della figlia, e l’amico paterno puo dormire sonni tranquilli.» Tu Tian alzo per un istante lo sguardo e poi si dedico di nuovo alla pulizia degli occhiali. «Tuttavia non sapevi e non sai chi sono i nemici di Yoyo e perché le danno la caccia. E questo t’inquieta. Ora che Yoyo ha lasciato l’Andromeda, anche tu brancoli nel buio. Le cose si sono complicate. Ormai anche tu sei tanto perplesso e preoccupato quanto Chén. Inoltre c’e scappato il morto.» Tu Tian alito su una lente e ricomincio a pulirla sulla camicia. «Cio significa che, da questo momento, io ti servo davvero...» Jericho si protese verso l’impassibile cinese e bisbiglio: «... per una vera indagine». Alitare, pulire. «Ma, per arrivare a un risultato, devo poterla fare, un’indagine! » La stanghetta avvolta col nastro adesivo si spezzo con un rumore secco. Tu Tian si lascio scappare un’imprecazione, si schiar la gola e cerco di risistemare gli occhiali sul naso. Ondeggiavano in precario equilibrio come un’automobile fuori controllo appena prima di precipitare da una scogliera. «Potrei addirittura consigliarti un ottico», aggiunse Jericho in tono asciutto. «Ma prima mi devi dire tutto quello che mi hai nascosto finora. Altrimenti non vi posso aiutare.» Altrimenti il prossimo a cadere dal tetto potrei essere io, penso. Tu Tian scaglio la stanghetta spezzata sul tavolo. «So benissimo perché ti ho ingaggiato. Ma non ti servira a nulla conoscere il nome degli altri cinque Guardiani. Probabilmente si sono nascosti anche loro.» «Primo: avrei una pista da seguire. Secondo: adesso ho un alleato. » «Zhao Bdé?» «Anche se non fa parte dei City Demons, e assai plausibile che conosca le loro facce. Mi servono nomi e fotografie.» Tu Tian si gratto l’orecchio. «Per le fotografie ci vorra tempo. I nomi li avrai. Tra l’altro, uno lo hai gia conosciuto.» «Davvero? Chi?» chiese Jericho, alzando le sopracciglia.
«Il suo soprannome e Daxiong, cioe ’grande orso’.» «La montagna con la sfera pensante?» Cerco d’immaginarsi Daxiong con una coscienza politica e con un intelletto abbastanza sviluppato da consentirgli di mettere in agitazione il Partito. «Fatico a crederci. Ero convinto che la sua motocicletta avesse un quoziente d’intelligenza maggiore del suo.» «Molti la pensano come te», ribatté Tu Tian. «Da molti, anch’io vengo considerato un vecchio fannullone sovrappeso che non va mai dall’ottico e mangia solo merda in scatola. Credi sul serio che Yoyo ti sarebbe sfuggita se il grande orso fosse cos stupido? Lui ti ha mandato dritto all’inferno, e tu ci sei andato.» Aveva ragione. «Comunque sia, ora sai perché non voglio stuzzicare i miei contatti», disse. «La polizia avrebbe di che meravigliarsi. Ormai probabilmente sa che Wang era il coinquilino di Yoyo. Faranno indagini e scopriranno che sto cercando la ragazza. Poi tireranno le ovvie conclusioni: uno studente morto, forse assassinato, un’oppositrice del regime con precedenti penali, un detective che chiede informazioni sul primo e cerca la seconda. Non voglio che scoprano il legame. Voglio passare inosservato. Altrimenti va a finire che li invoglio a occuparsi di Yoyo piu da vicino.» «Capisco.» Le dita di Tu Tian accarezzarono il piano del tavolo e la parete di fronte a loro si trasformo in uno schermo. «Guarda questo. » L’immagine mostrava il corridoio di vetro e l’accesso alla stazione dell’ottovolante dalla prospettiva di due telecamere di sorveglianza. «Come hai fatto ad avere le registrazioni cos in fretta?» si stup Jericho. L’altro ridacchio. «Ogni tuo desiderio e un ordine. La polizia ha apposto un sigillo elettronico, ma non e un problema per noi, anche perché la nostra rete di sorveglianza interna e collegata con quella dell’edificio. Inoltre ci siamo infiltrati in sistemi ben piu complessi. Ci sarebbero state difficolta solo se avessero inserito un blocco ad alta sicurezza.» Jericho rifletté. I blocchi ad alta sicurezza erano frequenti. Il fatto che le autorita incaricate dell’indagine ci rinunciassero la diceva lunga sull’importanza che attribuivano al caso. Un’altra conferma all’ipotesi che la polizia non si stava occupando di Yoyo. Nel corridoio di vetro comparvero due uomini. Il piu basso dei due, che camminava davanti, portava i capelli lunghi, vestiti alla moda e applicazioni sulla fronte e sugli zigomi: era Grand Cherokee Wang. Lo seguiva un uomo alto e magro, che indossava un completo di buona fattura. I capelli pettinati all’indietro, i baffi sottili e gli occhiali scuri gli conferivano un aspetto elegante. Dai movimenti della sua testa il detective intu che stava esaminando con attenzione l’intero corridoio. Di tanto in tanto, il suo sguardo si posava di sfuggita sulle tele-
camere. «Un tipo furbo», mormoro. I due raggiunsero il centro del corridoio e scomparvero dal campo della telecamera. L’altra li inquadro mentre entravano insieme nella sala di controllo dell’ottovolante. Tu Tian aumento la velocita di riproduzione. «Qui chiacchierano. Non succede nulla d’interessante.» Grand Cherokee si mise a gesticolare in modo accelerato. Stava chiaramente spiegando all’altro il funzionamento del pannello di comando. Poi la conversazione si animo. «Adesso stai attento», disse Tu Tian. Il filmato riprese a scorrere a velocita normale. I due uomini erano vicini come prima. Grand Cherokee fece un passo verso l’altro, che allungo un braccio. Lo studente si ripiego su se stesso, colp il bordo della console con la faccia e crollo a terra. Il suo interlocutore lo afferro sotto le ascelle e lo rimise in piedi. Grand Cherokee barcollava, ma l’estraneo lo teneva saldamente. A uno sguardo poco attento, sarebbe sembrato che sorreggesse l’amico colto da un improvviso malore. Passarono alcuni secondi, poi l’uomo cadde di nuovo sulle ginocchia. L’altro si accovaccio accanto a lui e gli sussurro qualcosa. Grand Cherokee si piego in avanti e cerco di rialzarsi. Dopo un po’, l’uomo alto usc dalla sala di controllo, ma un attimo dopo si fermo e torno sui suoi passi. Per la prima volta da quando aveva messo piede nel corridoio, rivolse di nuovo lo sguardo alla telecamera. «Stop. Puoi ingrandirlo?» chiese Jericho. «Certo.» Tu Tian ingrand la parte superiore del corpo e il viso fino a riempire lo schermo. Il detective socchiuse le palpebre. Quell’uomo sembrava Ryuichi Sakamoto travestito da occupante giapponese nell’Ultimo imperatore di Bertolucci. «Ti ricorda qualcuno?» chiese Tu Tian. L’altro esito. La somiglianza con l’attore e compositore giapponese era sorprendente. Nel contempo pero aveva la sensazione di essere completamente fuori strada. Quel film era vecchissimo e Sakamoto aveva piu di settant’anni. «Non proprio. Mandami la fotografia sul computer, per favore.» Il filmato ripart. Grand Cherokee Wang lascio la sala di controllo e arretro davanti all’estraneo. Per un po’, entrambi uscirono di campo, poi l’uomo alto riapparve. Entro nella sala di controllo e aziono qualcosa sul pannello di comando. «Mi domando se il servizio di sorveglianza non avrebbe dovuto reagire...» mormoro Tu Tian. «A cosa?» domando Jericho. L’altro lo fisso. «Come ’a cosa’? A quello che stai vedendo!»
«A te cosa sembra?» «È chiaro che tra quei due e successo qualcosa, non credi?» Jericho si appoggio allo schienale. «Davvero? A parte il fatto che Wang cade a terra due volte, non accade nulla. Forse e drogato o ubriaco, oppure non si sente bene. Il nostro sollecito amico lo aiuta a rialzarsi e basta. Inoltre il servizio di sorveglianza deve controllare cento piani, e tu sai bene come vanno queste cose. Le guardie non fissano i monitor per tutto il tempo... Ci sono telecamere esterne?» «S, ma trasmettono le immagini solo alla sala di controllo del Silver Dragon.» «Cio significa che non possiamo...» «Loro non possono. Noi s», lo corresse Tu Tian. Nel video, l’estraneo usc dalla sala di controllo, attraverso il corridoio e spar nella parte adiacente dell’edificio. Tu Tian avvio un nuovo filmato. Lo schermo si suddivise in otto settori, che mostravano il tracciato della rotaia del Silver Dragon. Una delle telecamere aveva registrato Grand Cherokee: era in fondo all’ultimo vagone e continuava a guardarsi alle spalle. Poi scese sulla rotaia. «Fermalo», esclamo Jericho. «Voglio vedere la sua faccia.» Non c’erano dubbi: i tratti di Grand Cherokee erano deformati dal panico e lui provo un misto di fascino e orrore. «Dove vuole andare?» «La sua e un’azione ponderata», mormoro Tu Tian, come se parlando ad alta voce potesse far cadere il disperato dall’ottovolante. Nel frattempo, il Silver Dragon lascio la stazione e inizio a sfilare da un’immagine all’altra. «Intorno al palazzo esiste un collegamento fra il tracciato e l’edificio. Con un po’ di fortuna, sarebbe potuto arrivare fin l.» «Ma non ce l’ha fatta.» Tu Tian scosse la testa. Sconvolti, i due assistettero alla morte di Grand Cherokee. Per un po’ nessuno dei due parlo, poi Jericho si schiar la gola e disse: «I codici orari. Confrontandoli, emerge senza ombra di dubbio che e stato l’estraneo a mettere in funzione il Silver Dragon. Ed e evidente anche un’altra cosa. Vediamo il suo volto in due occasioni e sempre in modo indistinto. Per tutto il resto del tempo, e stato ben attento a voltare le spalle alla telecamera». «E cosa ne deduci?» chiese Tu Tian con voce roca. Lo fisso. «Mi dispiace molto. Ma tu e Chén... dovrete abituarvi all’idea che Yoyo abbia alle calcagna un killer professionista. » No, sbagliato, penso. Non ce l’ha solo Yoyo. Ce l’ho anch’io. La Tu Technologies era una delle poche aziende di Shanghai che disponeva di una flotta privata di skymobile. Nel 2016, il World Financial Center era stato ampliato con un hangar per i velivoli privati, situato sopra gli uffici al settantottesimo piano. C’era spazio sufficiente per
una dozzina di mezzi, la meta dei quali apparteneva alla societa proprietaria del palazzo, prevalentemente velivoli a decollo verticale per le operazioni di evacuazione. Da quando i terroristi islamici avevano dirottato due aerei ed erano andati a schiantarsi contro le torri gemelle del World Trade Center di New York, poco meno di un quarto di secolo prima, l’interesse per le automobili volanti era progressivamente cresciuto ed era culminato nello sviluppo di diversi modelli. Quasi tutti i grattacieli cinesi di nuova costruzione erano dotati di un ponte di volo. Sette macchine erano dello Hyatt, quattro eleganti shuttle con turbine orientabili, due sky-bike e un giroplano, un velivolo simile a un elicottero. La flotta di Tu Tian comprendeva due giroplani e il Silver Surfer, un velivolo a decollo verticale ultrapiatto e luccicante. L’anno precedente, Jericho aveva avuto il piacere di godersi qualche ora di volo, come contropartita per un lavoro che aveva svolto senza chiedere compenso. Cos aveva avuto la possibilita di pilotare quella macchina costosissima. Ora, al posto di comando, c’era seduto Tu Tian. Voleva andare a trovare Chén Hongbng e successivamente recarsi ad alcuni appuntamenti di lavoro a Dongtan - una citta-satellite di Shanghai sull’isola Chongmng, nel delta del fiume Changjiang -, che era al primo posto nella classifica delle citta piu ecologiche del mondo. La Tu Technologies aveva progettato una via d’acqua virtuale per la metropoli attraversata da canali, un tunnel di vetro che dava l’illusione di viaggiare nell’epoca dei Tre Regni, un’era che si estendeva dalla dinastia Han alla dinastia Jn, molto amata perché ricca di storie affascinanti. «Siamo i piu grandi inquinatori del pianeta», spiegava Tu Tian quando parlava di Dongtan. «Nessuno corrompe la Terra in modo cos sistematico come la Cina, nemmeno gli Stati Uniti d’America. D’altro canto, pero, in nessun altro luogo le energie alternative trovano applicazione tanto estesa come qui da noi. Tutto cio che facciamo e radicale, in positivo e in negativo. Questo e cio che intendiamo per yn e yang, oggi: scandagliare gli estremi.» Il gigantesco hangar era illuminato a giorno. I velivoli a decollo verticale erano allineati come balene spiaggiate. Mentre Tu Tian conduceva il suo uccellino verso la pista di decollo, i pannelli di vetro che chiudevano l’hangar scivolarono di lato. L’uomo porto le quattro turbine del velivolo in posizione orizzontale e accelero. Il rombo riemp l’hangar, poi il Silver Surfer schizzo oltre il bordo dell’edificio e si slancio in direzione di Huangpu. A duecento metri dal suolo, Tu Tian riprese il controllo della macchina e la guido in un’ampia virata sopra il fiume. «Raccontero a Hongbng una versione edulcorata della faccenda », disse. «Gli spieghero che Yoyo non e ricercata dalla polizia, ma che probabilmente e convinta di esserlo. E che si trova ancora a Quyu.» «Se si trova ancora a Quyu.» «Comunque sia. Cosa pensi di fare?» «Rovistero in rete nella speranza che Yoyo abbia pubblicato un nuovo messaggio. E daro un’occhiata a una catena di fast food chiamata Wongs World.»
«Mai sentita.» «Probabilmente esiste solo a Quyu. Il cestino dei rifiuti di Yoyo era pieno di confezioni di Wongs World. Ah, ho bisogno d’informazioni sugli attuali progetti dei Guardiani. Senza omissioni », sottolineo, lanciando all’amico un’occhiataccia. «Niente abbellimenti, niente carte coperte.» Tu Tian sembrava un palloncino sgonfio. Per la prima volta, da quando Jericho lo conosceva, pareva davvero incerto sul da farsi. Gli occhiali mutilati penzolavano dal naso. «Ti diro tutto quello che so», gli assicuro con aria contrita. «Molto bene. Di’ un po’, ma riesci a vedere qualcosa con quelli?» gli chiese poi, indicando il suo naso. Senza una parola, il cinese apr uno sportello nel pannello centrale, tiro fuori un paio di occhiali identici a quelli che portava, li indosso e si getto il paio vecchio dietro le spalle. Jericho lo squadro, interdetto. C’era davvero una dozzina di occhiali in quel cassetto? «Perché ripari gli occhiali usa e getta col nastro adesivo?» «Perché no? Quelli erano ancora a posto.» «Non erano affatto... Be’, lasciamo perdere. Quanto a Hong-bng, credo che prima o poi dovra sapere la verita. In fondo e il padre di Yoyo. Ne ha il diritto.» «S, ma non ora.» Tu Tian fece scendere ulteriormente di quota il Silver Surfer e si diresse verso sud. «Hongbng va trattato coi guanti. Bisogna stare molto attenti a non spingersi troppo in la con lui. Un’altra cosa: la faccenda dei poveri resti di Grand Rococo o come diavolo si chiama... insomma, credo che sara impossibile arrivare ai suoi effetti personali, ma ci pensero su. Tu sei interessato soprattutto al suo cellulare, vero?» «Voglio sapere con chi ha parlato al telefono dopo la scomparsa di Yoyo.» «Va bene, faro quello che posso. Dove ti faccio scendere?» «A casa.» Tu Tian ridusse la velocita e si diresse verso lo skyport di Lu-wanqu, che distava solo pochi minuti a piedi da Xntiand. A perdita d’occhio, il traffico sulle strade di Shanghai era congestionato ovunque; solo sulle sopraelevate dedicate alle COD le cabine sfrecciavano ad alta velocita. Le dita di Tu Tian sfiorarono il campo olografico con gli strumenti di navigazione e le turbine si ribaltarono in posizione verticale. Il velivolo scese verso terra, come fosse un ascensore. Jericho guardo dal finestrino laterale. Ai margini della pista di decollo erano parcheggiati due giroplani cittadini, entrambi destinati al trasporto dei feriti. Un altro stava decollando e passo accanto a loro a distanza ravvicinata prima di virare a tutta velocita verso Huangpu. Jericho avvert una leggera vibrazione nella zona inguinale e tiro fuori il cellulare. Poi premette il pulsante di accettazione della chiamata.
«Come va, piccolo Jericho?» Lui fece schioccare la lingua. «Zhao Bdé. Il mio nuovo e fidato amico. Cosa posso fare per lei?» «Ha nostalgia di Quyu?» «Me la faccia venire.» «I baozi alla polpa di granchio di Wongs World sono eccezionali. » «Ah. Ha trovato il posto.» «Lo conoscevo, pensi. Avevo solo dimenticato come si chiama. Si trova nella parte, diciamo cos, ’civilizzata’ di Xaxus. Dovrebbe esserci passato davanti anche lei. Una specie di mercato a cielo aperto, pero con un tetto. Gigantesco.» «Bene. Andro a dare un’occhiata.» «Piano, detective. I mercati sono due. La filiale si trova a un isolato di distanza.» «Non ce n’e anche una terza?» «No, solo queste due.» Il Silver Surfer si fermo, ondeggiando leggermente. Tu Tian spense i motori. «Fino alle sette hanno bisogno di me all’Andromeda», disse Zhao. «Almeno finché i Pink Asses non riescono a raggiungere il palco, il che potrebbe non essere un’impresa facile. Dopo sono libero.» Jericho rifletté. «D’accordo. Dividiamoci i compiti. Ognuno di noi tiene d’occhio una filiale. Magari Yoyo e i suoi amici si faranno vedere.» «E io cosa ci guadagno?» «Ma come, piccolo Zhao!» finse d’indignarsi Jericho. «Sarebbero queste le parole di un innamorato in ansia?» «Sono le parole di un innamorato di Quyu, misero idealista. Allora? Vuole il mio aiuto oppure no?» «Quanto?» Zhao disse una cifra. Jericho propose la meta di quanto richiesto, come prevedeva la prassi. «Dove c’incontriamo?» chiese. «All’Andromeda. Alle sette e mezzo.» «Spero che le sia chiaro che si tratta del lavoro piu noioso del mondo. Stare seduti per ore a fissare un punto senza addormentarsi. » «Non si preoccupi.» «Non lo faro, puo starne certo. A dopo.» Tu Tian gli lancio un’occhiata. «Sei sicuro di poterti fidare di questo tizio? Magari si sta solo dando delle arie. Magari vuole solo dei soldi.»
Jericho scrollo le spalle. «E forse il papa e ateo. Con Zhao Bdé c’e ben poco che possa andare storto. Deve tenere gli occhi aperti, tutto qui.» «Se lo dici tu. Fai in modo di essere rintracciabile, in caso io riesca a recuperare il cellulare del nostro defunto Grand Sheraton. Da qualche parte tra la milza e il fegato.» QYÙ, SHANGHAI, CINA Quando Jericho si diresse nuovamente verso il mondo dimenticato, il traffico scorreva con la consistenza del miele. Piuttosto fluido quindi, per la sensibilita di un abitante di Shanghai. Prometteva un puntuale ritorno a casa, una cena calda e bambini assonnati ma ancora svegli, in modo che mamma e papa potessero metterli a letto insieme. Per un mitteleuropeo invece, abituato a viaggi piu accelerati, ogni minuto trascorso sulle strade di Shanghai entrava a buon diritto nel novero delle esperienze piu sconvolgenti. Gli studiosi di statistica sostenevano che un automobilista medio trascorreva sei mesi della sua vita urbana davanti ai semafori rossi, ma quel numero, a Shanghai, doveva essere elevato all’ennesima potenza. Dal momento che le COD si erano rivelate inadatte per una visita a Quyu - erano vistose come rane con le ali e avrebbero suscitato la diffidenza di Yoyo - a Jericho non rimase altra scelta che andare a prendere la sua macchina nel garage sotterraneo. Nel pomeriggio, aveva sguinzagliato Diane alla ricerca di Zhao Bdé in Internet, ma invano. Nessuno era registrato con quel nome. Quyu non esisteva, e lo stesso valeva per i suoi abitanti. In compenso, gli altri cinque Guardiani comparivano negli elenchi delle universita. Invece Yoyo, dopo il messaggio postato su Brilliant Shit, aveva fatto perdere le sue tracce. Una volta di piu, Jericho si chiese chi avesse messo un killer professionista alle calcagna di quella ragazza. D’accordo, era una dissidente e dava fastidio, pero non era davvero pericolosa. Escludendo la polizia, potevano essere coinvolti altri uffici governativi. I servizi segreti permeavano ogni cellula del Partito come la muffa il gorgonzola. Nessuno, probabilmente nemmeno i dirigenti di piu alto livello, conosceva la vera estensione di quella rete. Stava prendendo forma un’operazione segreta per impedire che Yoyo diffondesse chissa quale informazione. Un’informazione che non avrebbe mai dovuto acquisire. Il che implicava qualcosa di piu della «semplice» uccisione della ragazza. Infatti, ammesso che quell’informazione venisse dalla rete, c’era un’altissima probabilita che fosse memorizzata sul suo computer. Una circostanza che non contribuiva ad aumentare le speranze di sopravvivenza di Yoyo, ma rendeva piu difficile toglierla di mezzo. Finché non sapevano dove si trovasse il suo computer, non potevano semplicemente spararle in mezzo a una strada. Il killer doveva entrare in possesso del computer, e non solo, doveva anche scoprire con chi Yoyo aveva condiviso l’informazione. Il suo compito era simile a quello di un epidemiologo: circoscrivere il virus, radunare gli infetti, eliminarli, rendere innocuo il paziente
A responsabile della diffusione. Si chiese dove fosse l’epidemiologo in quel momento. Jericho si aspettava di essere seguito. Quella mattina, il killer si era messo sulle sue tracce a bordo di una COD. Nel frattempo, poteva aver cambiato mezzo di trasporto, proprio come aveva fatto lui. La descrizione di Zhao era compatibile con l’aspetto dell’uomo nelle riprese video del World Financial Center, ma Jericho dubitava che l’estraneo sarebbe uscito allo scoperto. D’altra parte, quel tipo non sapeva che lui conosceva la sua faccia, pensava di essere al sicuro e forse avrebbe commesso qualche leggerezza. Quale che fosse la verita, doveva stare attento a non condurlo dritto da Yoyo, offrendogliela su un piatto d’argento. A due chilometri da Quyu, gli arrivarono le fotografie che Tu Tian gli aveva promesso. Oltre a «Daxiong» Guangao, c’erano due ragazze - «Maggie» Xiao Meiq e Yn Zy - e i Guardiani maschi Tony Song e Jn Jia Wei. Insieme con le riprese dell’assassino di Grand Cherokee, quelle immagini rappresentavano la base della sua ricerca. Gli occhiali olografici e gli scanner che portava con sé avrebbero potuto accedere in ogni momento ai dati per segnalargli subito un’eventuale corrispondenza. Purtroppo le riprese erano di bassa qualita e Jericho dubitava che il computer riuscisse a localizzare il killer in mezzo alla folla. Ma era fortemente determinato ad andare sino in fondo. Grazie agli scanner lui e Zhao disponevano di una mezza dozzina di cani da caccia che avrebbe dato l’allarme non appena Yoyo o uno dei suoi amici avesse messo piede al Wongs World. Imbocco l’uscita per Quyu e si accosto al bordo della strada per cambiare il colore del veicolo. I campi magnetici modificarono in pochi secondi la nanostruttura delle particelle di vernice. Un optional che gli era costato qualche yuan, ma ora la sua Toyota poteva mimetizzarsi come un camaleonte. Mentre telefonava a un cliente, l’elegante colore blu argento divento piu scuro sino a trasformarsi in un marrone grigiastro opaco. Il cofano anteriore dava l’impressione di essere stato riverniciato in fretta e furia e macchie scure deturpavano la portiera del conducente, creando l’illusione di ammaccature ai cui margini la vernice si stava scrostando. Sopra il parafango posteriore sinistro comparve un profondo graffio. Quando il detective varco il confine che separava il regno delle ombre dal mondo dei vivi, la sua automobile aveva un aspetto pietoso... proprio quello che ci voleva per non dare nell’occhio nelle strade di Xaxus. Zhao gli aveva indicato la strada per raggiungere il piu grande dei mercati Wongs. Quando Jericho arrivo, il luogo pulsava di attivita. Ormai lui vedeva quella parte di Xaxus con altri occhi. L’impressione d’integrita e operosita nascondeva il fatto che l correva una frattura della societa, al di la della quale coloro che non avevano accesso alla rete erano sottomessi alla dittatura delle Triadi rivali che controllavano il territorio. All’ombra dell’acciaieria abbandonata, alla quale il quartiere doveva la propria esistenza, prosperavano lo spaccio di droga,
il riciclaggio di denaro sporco, la prostituzione, l’obnubilamento cerebrale con le miracolose droghe virtuali dei Cyber Planet. Per contro, le Triadi non dimostravano il minimo interesse per le estese steppe di miseria che Jericho aveva attraversato quella mattina. Di conseguenza, la parte piu onesta di Quyu era anche la piu povera, e chi cercava di vivere in modo onesto restava povero per sempre. Il Wongs World occupava un’area grande quanto un isolato e si presentava come un patchwork di cucine inondate di vapore, pareti ricoperte di scaffali giganteschi pieni di conserve, gabbie accatastate con animali che starnazzavano, sibilavano e guaivano, chioschi sgangherati in cui si facevano scommesse e botteghe appartate in cui ci si potevano procurare droghe chimiche, malattie veneree o debiti di gioco. Jericho non aveva dubbi sul fatto che si vendessero pure armi. C’era una ressa incredibile. Brandelli di chiacchiere e risate sfrecciavano per il mercato come uno sciame di calabroni, intervallati dal rumore distorto di musica popolare cinese diffusa da altoparlanti sfruttati oltre le loro capacita. Mentre si stava ancora guardando intorno alla ricerca di Zhao, questi emerse dalla folla e si fece largo nella sua direzione. Jericho abbasso il finestrino e ne richiamo l’attenzione con un cenno. L’uomo indossava jeans che avevano visto tempi migliori e una giacca a vento leggera, ma nel complesso non dava un’impressione di trasandatezza. Mentre sollevava la testa per sorseggiare una birra da una lattina imperlata di gocce di condensa, i capelli gli ricaddero morbidamente sulle spalle. In spalla portava uno zaino consunto. Si avvicino al veicolo senza fretta e si chino verso Jericho. «Non e proprio il suo mondo, vero?» «Ho visto inferni peggiori. Avanti, salga. Le voglio mostrare una cosa.» Zhao giro intorno all’automobile, apr la portiera dalla parte del passeggero e si lascio cadere sul sedile. Per un attimo, il suo profilo fu investito da un raggio di sole che era riuscito a penetrare la cortina di nuvole. Jericho lo osservo, chiedendosi perché un tipo come quello non fosse nell’ambiente della moda o dei film. O forse lo aveva davvero gia visto da qualche parte? In televisione? Su una rivista? All’improvviso gli sembro di s. Un ex modello, non piu richiesto e naufragato a Quyu. Le prime gocce di pioggia esplosero sul parabrezza. «Tutto okay?» chiese Zhao. «E lei?» «I ragazzi sono sul palco. A proposito, questa carretta e orribile. Vernice cangiante?» Jericho lo guardo, sorpreso. «Se ne intende.» «Un po’. Niente paura. L’illusione e perfetta.» Si chino e pul una macchia sul cruscotto col pugno chiuso. «Impossibile accorgersene, finché non si sale in questo abitacolo immacolato.» «Mi descriva l’altro mercato.»
«Grande poco meno la meta di questo. Niente galline e niente teste di gallina mozzate.» Jericho si sporse verso il lato posteriore e allungo a Zhao un paio di occhiali olografici. «Mai indossati, questi?» «Certo.» L’altro indico il Cyber Planet. «La dentro tutti hanno cose del genere. Lo sa come li chiamano, questi posti?» «I Cyber Planet? No.» «Obitori. Chi entra, ne esce praticamente morto. Respira ancora, ma la sua esistenza si riduce alle funzioni vitali elementari. A un certo punto, ti portano fuori perché sei morto davvero. Nei Cyber Planet succede spesso.» «Quante volte ci e stato, lei?» «Qualcuna.» «A me non sembra affatto morto.» Zhao socchiuse le palpebre e lo fisso. «Io sono immune a qualsiasi tipo di droga, piccolo Jericho. Mi spieghi il funzionamento di questi stupidi occhiali.» «Eseguono un confronto biometrico. Scansione panoramica a centottanta gradi. Ho caricato le fotografie di Yoyo e degli altri cinque Guardiani. Se uno di loro entra nel campo di rilevamento, gli occhiali lo colorano di rosso e inviano un segnale acustico. Abbastanza forte da svegliarla, qualora si fosse addormentato sotto il peso di tanta responsabilita. Inoltre il dispositivo di regolazione sulla stanghetta sinistra trasforma l’esterno delle lenti in una superficie a specchio, se lo si desidera.» Jericho mise uno scanner sotto il naso di Zhao. «Ho sincronizzato tre di questi aggeggi coi suoi occhiali. Puo piazzarli dove vuole, ma cerchi di metterli dove la sua vista non puo arrivare. Questo pulsante serve per regolare la messa a fuoco; con questo attiva il meccanismo di fissaggio. Trasmettono direttamente agli occhiali. Le immagini riprese dagli scanner vengono visualizzate sul bordo inferiore delle lenti.» «Notevole», disse Zhao, e la sua espressione rivelava che era davvero colpito. «E noi come comunichiamo?» «Via cellulare. Sa gia dove andra ad appostarsi?» «Anche di fronte alla mia filiale c’e un Cyber Planet. Finestre belle grandi per guardare fuori.» Lo sguardo di Jericho si poso sul Cyber Planet all’angolo. «Buona idea», mormoro. «Ci si registra e si paga per ventiquattr’ore. Molto piu comodo che stare seduti in macchina. Se si siede davanti alla finestra con gli occhiali sul naso, tutti penseranno che si sta scopando una puttana marziana con quattro tette. Ci sono snack e bevande, non tutte consigliabili. Dovrebbe davvero provare quei baozi alla polpa di granchio. Il cibo di Wongs World e buono ed economico. »
«Ha dei parenti l?» chiese Jericho in tono beffardo. «No, ma ho papille gustative che funzionano. Le dispiacerebbe darmi un passaggio fino al luogo del mio appostamento?» Jericho avvio la macchina e, seguendo le indicazioni di Zhao, si diresse verso l’altra filiale di Wongs. Durante il viaggio passarono accanto a sale da te e a una tavola calda giapponese, davanti alla quale alcuni uomini giocavano a carte e a scacchi cinesi o discutevano gesticolando. Molti erano a torso nudo e coi capelli rasati a zero. «I signori di Xaxus», disse Zhao con disprezzo. «Si dividono il territorio.» «E lei non vuole accaparrarsi una fetta di torta?» «Come le viene in mente?» «Cosa resta a quelli come lei una volta che loro se la sono spartita?» Zhao scrollo le spalle. «Chi se ne importa? Aiuto idioti drogati a salire sul palco e poi a scendere. Un lavoro come un altro.» «Non capisco.» «Cosa c’e da capire?» «Non riesco a capire cosa ci fa una persona come lei a Quyu. Potrebbe vivere da un’altra parte.» Zhao scosse la testa. «Lei dice? Nessuno qui puo vivere da un’altra parte. Nessuno vuole che viviamo da un’altra parte.» «Quyu non e una prigione.» «Quyu e un concetto. Due terzi dell’umanita oggi vivono nelle citta, le campagne sono spopolate. Arrivera il momento in cui tutte le citta confluiranno l’una nell’altra. Sono come tumori, un tessuto malato e distruttivo; solo singole cellule sono sane, immerse nei deserti della depravazione. Queste cellule sono come santuari, templi di uno sviluppo superiore. L vivono persone, persone vere. Tipi come lei. Il resto e un branco di animali, bestiame col dono della parola, che si crogiola nell’idea ridicola di un dio che li ama. Si guardi intorno. La gente qui vegeta, o vive come scimmie sugli alberi, moltiplicandosi, dissipando le risorse del pianeta, uccidendosi a vicenda o morendo di qualche malattia. Queste persone sono lo scarto della creazione. La parte malriuscita dell’esperimento.» «Di cui fa parte anche lei, giusto? O mi e sfuggito qualcosa?» Zhao sorrise con un’espressione compiaciuta. «Ah, Jericho. L’universo ha i suoi centri luminosi... e lo sa perché? Perché in mezzo regna l’oscurita. Ha mai sentito dire che bisognerebbe illuminare le parti buie dell’universo? È impossibile. Ogni tentativo di fornire benessere all’umanita intera e destinato al fallimento, e ha come unico risultato che tutti stanno peggio. Cio che e superiore non puo conformarsi a cio che e inferiore; deve darsi un limite per poter risplendere. Non esiste l’umanita, non nel senso di una specie omogenea. Esistono vincitori e
perdenti, coloro che hanno accesso alla rete e coloro che non ce l’hanno, quelli che hanno un posto al sole e la maggioranza che non ce l’ha. La frattura e insanabile. Nessuno vuole davvero integrare i Xaxus di questo mondo, abbattere i confini... Ah, la in fondo deve girare a sinistra.» Jericho obbed. La Toyota percorse una strada larga e sconnessa, costeggiata da capannoni e da case di mattoni. Nel punto in cui si fronteggiavano il Wongs World e la filiale del Cyber Planet, si apriva uno spiazzo polveroso che permetteva d’intravedere il profilo dell’acciaieria in fondo alla strada. Il gigantesco altoforno troneggiava sul paesaggio come un monumento commemorativo. «Non riesco a inquadrarla, Zhao. Chi e lei, veramente?» «Lei cosa pensa?» Lo fisso. «Non lo so. Sembra avere una cotta per Yoyo ma, quando bisogna trovarla, vuole essere pagato come un qualsiasi scagnozzo. Vive qui, ma disprezza la sua stessa gente. In qualche modo, lei non c’entra nulla con Quyu.» «Che bella consolazione», disse l’altro in tono sprezzante. «È come se volesse convincere un’emorroide che in fondo e un toccasana per il buco del culo su cui e cresciuta.» «È nato a Quyu o e finito qui per caso?» «Per caso.» «Allora, se vuole, puo anche andarsene di nuovo.» «Dove?» Jericho ci penso su. «Be’, c’e una possibilita. Vediamo un po’ come si sviluppa la nostra collaborazione.» Zhao inclino la testa e sollevo un sopracciglio. «Ho capito bene? Mi sta offrendo un lavoro?» «Non ho collaboratori fissi; metto insieme le squadre di lavoro a seconda delle indagini. Di sicuro lei e intelligente, Zhao. Ed e in forma: il suo attacco a sorpresa all’Andromeda mi ha impressionato. Non posso sostenere che mi e simpatico, ma non dobbiamo mica sposarci. Potrebbe anche darsi che, di tanto in tanto, io abbia bisogno di lei.» Gli occhi di Zhao si ridussero a due fessure. Poi lui sorrise. Nello stesso istante, Jericho ebbe un déja-vu. In quell’estraneo intravide una figura familiare. Come una goccia di colore scuro in un liquido chiaro, l’immagine si diffondeva rapidamente, ma un attimo dopo era sparita. Tutto, intorno a lui, sembrava volergli rivelare una soluzione nota da tempo, come un film di cui non riusciva a ricordare il finale. No, non un film, piuttosto un sogno, un’illusione. Un’immagine riflessa nell’acqua, distrutta nel tentativo di trattenerla.
Quyu. Il mercato. Zhao al suo fianco. «Tutto a posto?» «S.» Jericho si sfrego gli occhi. «Non dovremmo perdere tempo. Mettiamoci al lavoro.» «Perché non ha affidato questo incarico a una delle sue squadre? » «Perché l’incarico consiste nel proteggere una dissidente la cui identita e sconosciuta a tutti tranne che a una manciata di fedelissimi. Meno gente si occupa di Yoyo, meglio e.» «Sta dicendo che non ha parlato della ragazza con nessuno a parte me?» «S. Sono stato dai suoi coinquilini.» «E allora?» «Una visita praticamente inutile. Li conosce?» «Di vista. Yoyo dice che non sanno nulla della sua doppia vita. Uno non ha il minimo interesse per lei, l’altro si tormenta perché lei non ha il minimo interesse per lui. E tende a darsi delle arie.» «Sta parlando di Grand Cherokee Wang?» «S, credo che si chiami cos. Nome ridicolo. Un pallone gonfiato. Cosa le hanno raccontato, quei due?» «Niente.» Jericho fece una pausa. «Per quanto riguarda Wang, non puo piu raccontare nulla. È morto.» Zhao aggrotto la fronte. «Davvero? Quando l’ho visto l’ultima volta, sembrava piuttosto in forma. Si vantava di un certo ottovolante che, a quanto pareva, possedeva.» «Non era suo.» Jericho fisso la massa umana che affollava il mercato. «Parliamoci chiaro, Zhao. Quello che facciamo qui puo diventare pericoloso per tutte le persone coinvolte. Yoyo ha pestato i piedi a gente che non si fa scrupoli a seminare cadaveri. Wang e morto per questo. Ho pensato che dovesse saperlo.» «Hmm. Okay.» «È ancora disposto ad aiutarmi?» All’improvviso, Zhao sembro in imbarazzo. «Ascolti, per quanto riguarda i soldi...» «Non si preoccupi.» «No, non voglio che si faccia un’idea sbagliata. La aiuterei anche se non ne ricavassi nulla. È solo che... ne ho bisogno, ecco. Ha visto quei tizi lungo la strada, no?» «Quelli che si spartiscono la torta?» «Sarebbe facile entrare nel loro giro. Qualcosa salta sempre fuori. La maggior parte della gente qui sopravvive leccando gli stivali di quei tipi. Capisce?» «Credo di s.» «Nemmeno lei ha accettato questa indagine solo per la gloria, immagino.»
«Ascolti, lei non si deve giustificare...» «Non mi sto giustificando. Sto puntualizzando.» Zhao infilo gli occhiali e gli scanner nel suo zaino. «Quanto dobbiamo restare? » «Per tutto il tempo necessario. Una volta ho trascorso tre settimane davanti a un portone.» «Come? E la signora non l’ha invitata a entrare?» Apr la portiera. «Be’, in fondo, un senso c’e.» «E quale sarebbe?» L’altro scrollo le spalle. «Non gliel’ha mai detto nessuno che sembra l’uomo piu solo del mondo? No? In bocca al lupo, piccolo idiota!» Sulla punta della lingua di Jericho si affollarono migliaia di risposte, ma nemmeno una sufficientemente arguta. Osservo Zhao attraversare la strada in direzione del Wongs World, fece inversione e ritorno verso la sua filiale, dove parcheggio la Toyota in modo che lo scanner sotto lo specchietto retrovisore interno inquadrasse una parte del mercato. Poi scese, fece un giro e scelse due edifici per sistemare gli altri scanner: fisso il primo sotto un vecchio davanzale e il secondo in una crepa. Gli apparecchi - due sfere nere e lucide, grandi come piselli si ancorarono ai mattoni con sostegni telescopici e iniziarono a sondare l’ambiente circostante. Il Wongs World era circondato. Una folata di vento attraverso i canyon della citta delle Triadi, strapazzando gli abiti e i nervi. Nel frattempo, l’aria si era fatta insopportabilmente pesante e il cielo aveva l’aspetto di un lenzuolo funebre. Alcune grosse gocce continuavano a cadere, messaggere di un diluvio preannunciato anche da tuoni in lontananza. Jericho inforco i suoi occhiali ed entro nel foyer del Cyber Planet. In linea di massima, quei luoghi erano tutti uguali. Si veniva accolti da una serie di distributori automatici provvisti di fessure per i contanti e di interfacce per la fatturazione remota. Dopo il pagamento, ci si registrava e solo allora si era ammessi all’interno. Due guardie chiacchieravano dietro un bancone, senza regalare neppure uno sguardo ai monitor. Molti sembravano clienti fissi. Non si trattenevano a lungo davanti ai distributori, guardavano nello scanner oculare, aspettavano che si aprissero le porte di vetro blindato ed entravano nell’area retrostante col passo incerto di un cieco. Dentro, erano allineati console da gioco e lettini trasparenti, equipaggiati con occhiali olografici. Una galleria ospitava due dozzine di tute full-motion, anelli di tre metri di diametro collocati l’uno nell’altro, nei quali ci si poteva far appendere dopo aver indossato una tuta dotata di sensori per godere di una totale liberta di movimento. Piu in la c’erano le cabine singole, le toilette, le docce e le celle per il riposo. La parete in fondo dello stanzone era occupata da
una specie di supermercato e da un bar. Le vetrate andavano dal soffitto a terra e offrivano una visuale perfetta sulla strada e sul mercato. Oltre alle guardie, nell’ingresso non c’era altro personale. Tutto era automatizzato. In teoria, non c’era nessun bisogno di uscire dal Cyber Planet, ammesso che si fosse disposti ad alimentarsi con fast food e bibite analcoliche per il resto della vita. La catena attirava i clienti con offerte tutto compreso che duravano anche un anno, durante il quale non si doveva fare nulla se non indossare un paio di occhiali e vagare per mondi virtuali, come osservatori passivi o attivi. Si sognava, si avevano incubi, si viveva e si moriva. Jericho pago per ventiquattr’ore. Quando entro nella stanza, vide che i lettini erano quasi tutti davanti alle finestre. Per motivi insondabili, i visitatori cercavano la vicinanza con la strada, anche se gli occhiali e le cuffie li isolavano completamente dal mondo esterno. Vide un posto libero da dove avrebbe potuto tenere sotto controllo il Wongs World e l’incrocio presso cui aveva parcheggiato l’automobile, si stese sul lettino e premette sulla stanghetta degli occhiali. Il vetro delle lenti si trasformo in una superficie a specchio. Infilo l’auricolare del cellulare nell’orecchio e si preparo a una lunga notte. O a piu di una. Forse Yoyo ormai aveva preso il largo, e lui e Zhao se ne stavano sdraiati come idioti in un distributore di incubi. Sbadiglio. D’un tratto, sulla strada calo l’oscurita. Il fronte del temporale si avvento su Quyu, scaricando cascate di acqua nera. In pochi secondi, le strade furono invase da spazzatura galleggiante; la gente correva in tutte le direzioni, con la testa incassata tra le spalle come se cio potesse evitare d’inzupparsi. Il bombardamento di tuoni che si susseguivano a intervalli di pochi secondi si stava avvicinando. Jericho guardo il cielo carico di elettricita. Un assaggio della fine. Nel giro di un’ora era tutto finito, ma nel frattempo la strada si era trasformata in una versione in miniatura del Fiume Azzurro e i rifiuti accumulati riproducevano la diga delle Tre Gole. Il temporale cesso con la stessa rapidita con cui era arrivato. L’acqua deflu, lasciandosi alle spalle ratti annegati, sullo sfondo teatrale del vapore acqueo che saliva dal suolo. Un’altra ora piu tardi, un’ardente sfera rossa aveva vinto la battaglia contro le nuvole e inondava le strade senza turisti col suo calore. Al Wongs World iniziarono ad affluire figure pallide. Alcune donne si affacciarono dalle tende e dalle baracche, gridando svagate promesse per la notte; altre si sistemarono all’incrocio in abiti succinti. Verso le undici, un giovane sdraiato accanto a Jericho emise un gemito, si strappo gli occhiali, si tiro a sedere e vomito un fiotto di liquido acquoso tra le gambe. I sistemi di autopulizia del lettino si attivarono con un ronzio, aspirarono il liquido e sciacquarono la superficie col
disinfettante. Jericho si chiese se dovesse fare qualcosa. Il giovane, che dimostrava poco piu di sedici anni, farfuglio una maledizione e barcollo verso il bar. Era emaciato e aveva lo sguardo assente. Dopo un po’, torno masticando qualcosa, probabilmente senza nemmeno sapere cosa fosse. Jericho fu tentato di offrirgli una bottiglia d’acqua, ma c’era da scommettere che il ragazzo gliel’avrebbe tirata in faccia. Nei suoi occhi era rimasta soltanto l’aggressivita ardente di chi teme di perdere anche le sue ultime illusioni. Gli scanner tacevano. MONTES ALPES, LUNA A sud-est del bacino che delimitava l’inizio della Vallis Alpina si estendeva una catena di cime aguzze che si protendeva fino al promontorio di Agassiz, un capo montuoso ai margini del Mare Imbrium. Nel complesso, la formazione ricordava piu i bordi sollevati delle zone di subduzione terrestri che le catene montuose anulari tipiche della Luna. Solo da una certa altezza si afferrava l’inquietante verita, ossia che il Mare Imbrium, come tutti i maria, era un cratere di enormi dimensioni, formatosi poco dopo la nascita del satellite, piu di tre miliardi di anni prima, quando il mantello, sotto la crosta appena solidificata, era ancora liquido. Impatti devastanti avevano fratturato la crosta, permettendo alla lava di fuoriuscire e di riversarsi nei bacini, creando quelle scure pianure basaltiche che avevano indotto gli astronomi come Riccioli a ritenere che si trattasse di oceani lunari. In realta, l’intera catena delle Alpi, lunga duecentocinquanta chilometri, rappresentava appena un decimo di una catena montuosa anulare cos imponente da far sembrare crateri giganteschi come Clavius, Copernico o Tolomeo poco piu che brufoli. La piu imponente delle montagne alpine era il Monte Bianco. Coi suoi tremilacinquecento metri, non raggiungeva l’altezza del suo omonimo terrestre, ma cio non sminuiva il suo aspetto titanico. Dalla sua dorsale si poteva vedere la sconfinata vastita della parte sudoccidentale del Mare Imbrium; sulle sue pendici, invece, ci si sentiva ancora piu vicini alle stelle, come se soltanto l loro potessero accorgersi della presenza umana e fare un cenno di saluto. E in effetti, quel giorno, le stelle risposero. Quando Julian, spinto da un improvviso e inspiegabile impulso, alzo lo sguardo verso Cassiopea, nella speranza di scorgere la coda di una stella cadente, miliardi di occhi indifferenti cambiarono per qualche istante di posto per riunirsi in un rimprovero cosmico, formando un’unica parola: IDIOTA. Ovvero: in assenza di atmosfera non ci sono stelle cadenti, al massimo asteroidi brevemente illuminati dal sole nella loro corsa, quindi, per favore, cerchiamo di essere un po’ piu precisi. Julian tergiverso. Ovviamente il cielo aveva formato la parola solo per un istante, percio Mimi Parker, Marc Edwards, Eva Borelius e Karla Kramp non se ne accorsero affatto, e non
se ne accorse neppure Nina Hedegaard, che guidava la piccola spedizione nella «scalata», ammesso che cos si potesse definire una camminata per alcune centinaia di metri su un terreno in pendenza. A poca distanza, sotto la cima della montagna, riposava il Kallisto, il mezzo che li aveva portati fin l, a quaranta chilometri dall’hotel; un tozzo shuttle a propulsione con l’aspetto simile a un bombo che poteva trasportare tre dozzine di passeggeri. Julian sapeva che le future generazioni di turisti lunari sarebbero state deluse dal design di quei veicoli. Ma non c’era motivo per applicare i principi dell’aerodinamica nel vuoto, a meno che... A meno che non si decidesse comunque di costruire veicoli aerodinamici, per ragioni puramente estetiche. L’idea era ricca di fascino, ma Julian non si lascio sedurre. Le stelle cadenti bloccavano i suoi pensieri, anche se lui non provava un interesse particolare per quegli stupidi oggetti. Allora perché gli erano venute in mente? Aveva davvero pensato alle comete o piuttosto a sfuggenti apparizioni di luce in generale? A luci che vagavano per il suo cervello, nate dal costante flusso di particelle dei suoi pensieri, espressioni di un insieme piu complesso? Cerco di trattenere l’immagine, ripercorse la giornata fin dalla mattina, cerco di metterla a fuoco, di costringerla entro coordinate precise, d’iscriverla in uno spazio e in un tempo ben definiti: mattino presto, poco prima di uscire dalla suite, un’occhiata, un lampo... E di colpo ricordo. Un riflesso di luce all’altezza del bordo sinistro della finestra, accanto alla parete della stanza affacciata sulla gola. Un bagliore che si era spostato da destra verso sinistra, simile a una stella cometa... ma forse bisognava essere solo molto stanchi per non riconoscerne la vera natura. E Dio sapeva quanto lui fosse stanco. Ma lo spirito di Julian era come un archivio cinematografico in cui nemmeno un singolo fotogramma andava perduto. Guardandosi indietro, si rese conto che l’apparizione non era virtuale né era un parto della sua fantasia. Si trattava di qualcosa di reale. Lui aveva davvero visto qualcosa dall’altra parte della valle, all’altezza dei binari della ferrovia magnetica, anzi esattamente sui binari, la dove la ferrovia curvava verso nord... Aveva visto il Lunar Express. Si fermo, esterrefatto. «... molte forme decisamente piu bizzarre di quelle che siamo abituati a vedere sulla Terra», stava spiegando Nina Hedegaard, avvicinandosi a una formazione di roccia basaltica. «Perché qui non ci sono venti che possono erodere la roccia. Ed ecco che si formano...» Aveva visto il treno. Solo con la coda dell’occhio, certo, ma non poteva trattarsi di nient’altro. E il treno si stava dirigendo verso Gaia. Verso l’hotel.
«La varieta di significati che i diversi popoli hanno attribuito alla Luna e affascinante», stava dicendo Eva. «Sapevate che molte culture del Pacifico considerano ancora oggi questo grosso sasso un dispensatore di fecondita?» Nina rise. «Un dispensatore di fecondita? Qui non sopravvivrebbe neanche il piu piccolo organismo unicellulare.» «Avrei scommesso sul Sole», commento Mimi. Il suo tono rivelava un certo disprezzo per quelle culture, giacché i loro membri non erano venuti al mondo come bravi cristiani. «Il Sole come dispensatore di vita, intendo.» «Nelle regioni tropicali e difficile considerare il Sole in questo modo», spiego Eva. «E anche nel deserto. Brucia senza pieta per dodici mesi l’anno senza interruzioni, facendo seccare i raccolti, prosciugando i fiumi, uccidendo gli esseri umani e il bestiame, mentre gli scorpioni, le zanzare e gli insetti piu velenosi del mondo prosperano. La Luna invece e portatrice di sollievo e di frescura. Quel poco di umidita volatile del giorno si condensa e forma la rugiada, e possibile riposare e dormire...» «Dormire insieme», puntualizzo Karla. «Esatto. Presso i maori, per esempio, l’uomo aveva il compito di tenere aperta la vagina della donna col suo pene in modo che potessero penetrarvi i raggi di luna. Non era l’uomo a ingravidare la donna, era la Luna.» «Guarda un po’. Che vecchia baldracca.» «Mio Dio, Karla, com’e spietata. Credo che tutto cio non sia troppo lontano dall’idea dell’immacolata concezione», rise Marc. «Ma per favore!» si scaldo Mimi. «Al massimo si tratta di una sua versione primitiva.» «Perché primitiva?» chiese Karla, in tono indagatore. «Non lo trova primitivo?» «Che la Luna ingravidi le donne? S. Tanto primitivo quanto l’idea che uno spirito perverso vada in giro a fornicare, cercando poi di spacciare il risultato per un’immacolata concezione.» «Ma non si possono confrontare le due cose!» «Perché no?» «Perché... be’, perché non si puo, ecco. Da una parte una superstizione primitiva, dall’altra...» «Sto solo cercando di capire.» «Insomma, con tutta la buona volonta, vuole davvero mettere in dubbio...» Un attimo, penso Julian. Il Lunar Express? Era quello con cui erano arrivati? Ce n’era anche un secondo, parcheggiato al Polo in attesa di essere impiegato nei momenti in cui l’afflusso di turisti avrebbe superato la capacita del primo convoglio. Qualcuno aveva raggiunto l’albergo col treno di riserva, quella mattina alle cinque e un quarto? E perché non ne
sapeva niente? Forse Carl Hanna aveva visto qualcosa? «La dietro da qualche parte dovrebbe esserci Platone. La curvatura e troppo accentuata?» stava dicendo Marc, cercando di evitare un litigio. «No. Sarebbe possibile riconoscere il bordo superiore del cratere da qui, ma attualmente il fianco rivolto verso di noi e in ombra. Nero su nero. Pero, se vi girate di la, potete ammirare la Vallis Alpina in direzione nord-est», spiego Nina. «Ah, gia. Fantastico.» «Davvero lunga», disse Mimi. «Centotrentaquattro chilometri. Un piccolo Grand Canyon. Fate un paio di passi in avanti. Quassu. Guardate la.» «Dove?» «Seguite la direzione del mio dito. Quel puntino luminoso, laggiu.» «Ehi. Non sara mica...» «È vero. È il nostro albergo!» esclamo Marc. «Come? Dove?» «La.» «Se non lo sai, non lo noti...» «A dire la verita, io vedo solo luci e ombre.» «No, la c’e qualcosa!» Chiacchiere confuse, confusione nella testa. Poteva essere stato solo il secondo treno, riflett Julian. Pensandoci bene, non era nemmeno tanto strano. Lynn e Dana Lawrence si occupavano di tutto. L’hotel era il loro territorio, cosa ne poteva sapere lui? Forse nella notte avevano portato provviste, ossigeno e carburante. Era un ospite come tutti gli altri, e poteva dirsi fortunato che stesse funzionando tutto a meraviglia. Doveva esserne orgoglioso. Orgoglioso di Lynn, e a dispetto di tutte le sventure profetizzate con ostinazione da Tim. Era semplicemente ridicolo. Qualcuno sotto stress avrebbe costruito un hotel come Gaia? O Lynn era solo un altro riflesso sulla sua retina, e la sua vera natura gli sfuggiva? Incredibile. Stava iniziando a vaneggiare anche lui. «Julian?» «S?» «Ho proposto di tornare in albergo.» Ogni parola di Nina tradiva il dolce sorriso complice nascosto dietro la visiera del casco. «Prima di cena, Marc e Mimi vogliono fare una partita a tennis. In piu, avremo tutti la possibilita di darci una rinfrescata. » Una rinfrescata. Un elegante messaggio in codice. La sua mano destra si sollevo per grattare la barba, ma si ritrovo a lucidare il bordo inferiore della visiera. «S, certo. Andiamo.»
«Forse mi avete gia visto in scene ben piu spettacolari. E le avete considerate vere, anche quando la vostra mente vi diceva che non potevano esserlo. È proprio questo il mestiere degli illusionisti : ingannare la mente. E, credetemi, le tecniche moderne possono creare qualsiasi illusione.» Continuando a camminare, Finn O’Keefe allargo le braccia. «Ma le illusioni non possono creare le sensazioni che sto provando io in questo momento. Perché quello che vedete qui non e un trucco. È il posto piu eccitante che io abbia mai visitato, incomparabilmente piu spettacolare di qualunque film.» Si fermo e si rivolse alla telecamera. Sullo sfondo, c’era il Gaia Hotel, tutto illuminato. «Una volta, se volevate raggiungere la Luna, dovevate recarvi in un cinema. Oggi avete la possibilita di sperimentare quello che sto sperimentando io. Vedere la Terra incastonata in un cielo stellato cos meraviglioso che vi convincerete di raggiungere con lo sguardo i confini dell’universo. Potrei descrivervi le mie sensazioni per ore intere, ma io...» Sorrise. «Io sono solo Perry Rhodan. Percio permettetemi di affidarmi alle parole di Edgar D. Mitchell, il sesto uomo a mettere piede sulla Luna, nel febbraio 1971: ’E improvvisamente, in un momento infinitamente maestoso, come se scorresse al rallentatore, ecco apparire oltre l’orizzonte lunare uno scintillante gioiello bianco e blu, una luminosa sfera azzurra, circondata da veli bianchi che si muovono sulla sua superficie. Sorge come una piccola perla da un mare profondo, imperscrutabile e misteriosa. Ci vuole un bel po’ per comprendere che si tratta della Terra, della nostra casa. Un istante che ha cambiato la mia vita per sempre’.» «Grazie. È stato fantastico!» esclamo Lynn. O’Keefe scosse la testa. «Mah. Non lo so.» Soltanto dopo qualche istante si fece strada in lui la banale consapevolezza che scuotere la testa nelle tute spaziali non sortiva nessun effetto, perché il casco non si muoveva. Peter Black controllo il risultato sul display della telecamera. Il volto di O’Keefe era chiaramente riconoscibile attraverso la visiera chiusa. Aveva sollevato il filtro UV color oro, altrimenti si sarebbe visto solo il riflesso dell’ambiente circostante. Nonostante le lenti a contatto ad alta protezione, non avrebbe potuto gironzolare all’aperto ancora per molto. Inoltre, in quelle condizioni, era sconsigliato fissare il sole. «Era perfetto», confermo. «Credo che la citazione sia troppo lunga», disse O’Keefe. «Una vera predica... mancava poco che mi addormentassi.» «È solenne.» «No, e troppo lunga e basta.» «Ci mettiamo sopra delle immagini della Terra», spiego Lynn. «Ma, se vuoi, possiamo girare un’alternativa. C’e una bella citazione di Jim Lovell: ’Gli esseri umani che vivono sulla Terra non comprendono quanto sia prezioso quello che hanno. Forse perché ben pochi di
loro hanno l’opportunita di lasciarla e poi farvi ritorno’.» «Lovell non va bene», decise Peter. «Non e mai stato sulla Luna.» «È cos importante?» chiese Finn. «S, e lo e anche per un altro motivo. Era il comandante dell’Apollo 13. Ricordate? ’Houston, abbiamo un problema...’ Per poco, Lovell e i suoi non sono morti.» «Cernan non ha detto niente d’intelligente?» indago Lynn. «Era uno che faceva dei gran discorsi.» «Al momento non ricordo nulla.» «Armstrong?» «’Un piccolo passo per...’» «Lascia perdere. Aldrin?» Peter rifletté. «S. ’Per chi e stato sulla Luna, non esistono piu obiettivi sulla Terra.’ È abbastanza breve?» «È un po’ fatalistica», commento O’Keefe. «E le scimmie?» grido Heidrun Ögi mentre scendeva lungo il pendio dietro lo Shepard’s Green. Persino con le protezioni e col casco, la sua sagoma era inconfondibile. «Quali scimmie?» rise Lynn con voce stridula. «Una volta non hanno mandato in orbita delle scimmie?» «Temo che parlassero russo», replico Peter. O’Keefe sorrise. «Tu cosa ci fai qui? Ti e gia passata la voglia di giocare a golf?» «Non ce l’ho mai avuta. Non volevo perdermi Walo che cade nella polvere mentre tenta uno swing.» «Questa gliela dico.» «Lo sa benissimo. Ma non sei tu quello che voleva battermi a nuoto? Ecco, adesso ne avresti la possibilita.» «Come, adesso?» Per tutta risposta lei lo saluto e si allontano saltellando. «Dobbiamo girare», le urlo dietro O’Keefe, una cosa tanto inutile quanto scuotere la testa, dal momento che il contatto radio restava attivo solo finché c’era un contatto visivo. «Se vinci, t’invito a cena», bisbiglio lei, come un piccolo serpente bianco, nel suo orecchio. «Spezzatino e patate arrosto.» «Ehi, Finn?» La voce di Lynn. «Hmm?» «Penso che dovremmo chiuderla qui.» Era una sua impressione oppure Lynn era nervosa? «Secondo me, la citazione di Mitchell e la piu adatta.»
O’Keefe vide Heidrun imboccare il sentiero che portava dall’altra parte della valle. «S», replico, pensieroso. «In fondo sono d’accordo con te.» Nina Hedegaard si diede una rinfrescata e, gia che c’era, la diede anche a Julian. Stava sdraiato sulla schiena, mentre lei lo manovrava come avrebbe fatto con un joystick. Non doveva fare altro che circondare le sue natiche e di tanto in tanto contrarre le proprie per creare una contropressione... almeno, normalmente funzionava cos, ma al momento il corpo morbido e abbronzato della donna pesava solo nove chili e mezzo e rischiava di allontanarsi a ogni spinta troppo decisa. Sulla Luna, prendere possesso dei millimetri strategici richiedeva conoscenze approfondite di meccanica applicata: cosa afferrare, quanta forza ogni muscolo dovesse apportare - bicipiti, tricipiti, pettorali -, circondare le ossa delle anche come una cerniera, attirarle a sé, allontanarle con un angolo accuratamente calcolato, poi riavvicinarle... Tutto era cos complicato da risultare frustrante. Riuscirono a sbrogliare la matassa, ma Julian non si sentiva del tutto a proprio agio. Mentre lei si avvicinava lentamente a un tornado di piacere di grado F4 della scala Fujita, lui pensava a quali conseguenze potesse avere il sesso sulla Luna. Se, in Nuova Zelanda, erano bastati alcuni raggi impertinenti per generare i maori, doveva forse aspettarsi dieci gemelli? Nina sarebbe rimasta isolata come una regina delle termiti, nel Gaia Hotel, con un addome mostruosamente gonfio, per mettere poi al mondo un essere umano ogni quattro secondi, oppure sarebbe scoppiata? Sbircio il luccicante boschetto di peluria e vi vide passare minuscoli trenini scintillanti di riflessi dorati, mentre il suo Lunar Express scaldava valorosamente i motori. Nina inizio a gemere in danese. In genere, Julian lo considerava un buon segno, ma quel giorno le parole della donna suonavano criptiche, come se lui dovesse essere sacrificato sull’altare del suo desiderio di mettere al mondo un piccolo Julian o una piccola Juliane e farli diventare Mr o Miss Orley. Inizio a sentirsi a disagio. Quella donna aveva ventotto anni meno di lui. Fino ad allora non le aveva mai chiesto cosa si aspettasse dalla loro relazione, anche perché, nei pochi momenti privati che trascorrevano insieme, si liberavano subito dei vestiti e non restava tempo per le domande. Tuttavia sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto chiederglielo. E, soprattutto, avrebbe dovuto chiederlo a se stesso. Il che era molto peggio, perché conosceva la risposta, e non era quella di un sessantenne. Smise di tergiversare e raggiunse l’orgasmo. L’apice del piacere spense per qualche istante il flusso dei pensieri, libero le sue circonvoluzioni cerebrali e rafforzo la certezza che aveva ancora vent’anni di tempo per diventare vecchio. Per un momento, Julian resto immerso nel puro godimento del presente. Poi Nina si rannicchio contro di lui, e il suo sospetto torno subito a galla. Come se il sesso fosse soltanto un piacevole preambolo per tonnellate di partecipazioni di nozze, un maestoso portale per entrare nella stanza dei bambini, una perfida manovra di circonvenzione. Perplesso, osservo la
criniera bionda appoggiata contro il suo petto. Non che volesse allontanarla. In realta, non voleva che lei se ne andasse. Sarebbe stato sufficiente che si ritrasformasse nell’astronauta che aveva il compito d’intrattenere gli ospiti, senza quell’umida promessa nello sguardo che diceva che non lo avrebbe lasciato mai piu, che sarebbe stata sempre al suo fianco, per tutta la vita. Accarezzo la nuca della donna, imbarazzato. «Devo andare un attimo alla centrale», mormoro. Confusi suoni di protesta. «D’accordo, tra dieci minuti», concesse. «Facciamo la doccia? » L’onnipresente lusso regnava anche nel bagno. Una generosa doccia a corona dispensava una calda pioggia tropicale, con gocce d’acqua cos leggere che sembravano fluttuare piu che cadere. Nina insistette per insaponarlo, e invest una smodata quantita di bagnoschiuma su una superficie piuttosto piccola, anche se capace di espandersi. La sua preoccupazione di essere sfruttato lascio di nuovo il posto all’eccitazione. La cabina doccia era molto spaziosa e dotata di ogni tipo di maniglia. Nina premette il suo corpo contro di lui, lui entro in lei e... zac! in un attimo era passata un’altra mezz’ora. «Adesso pero devo proprio andare», disse Julian con la faccia affondata nell’asciugamano. «Ci vediamo piu tardi? Dopo cena?» chiese lei. Lui aveva schiuma negli occhi e schiuma nelle orecchie. Non ud la sua richiesta, o almeno non la comprese e, quando cerco di chiederle cosa avesse detto, lei stava parlando al telefono con Peter Black di questioni tecniche. Infilo rapidamente un paio di jeans e una T-shirt, le diede un bacio e se la svigno prima che lei potesse chiudere la telefonata. Pochi secondi dopo, entro nella sala di controllo e trovo Lynn che stava chiacchierando con Dana Lawrence. Ashwini Anand stava programmando le escursioni per il giorno seguente su una mappa tridimensionale. Meta della stanza era occupata da una parete olografica, le cui finestre riproducevano le aree pubbliche dell’hotel viste dalla prospettiva delle telecamere di sorveglianza. Solo le suite non erano sorvegliate. In piscina, nuotavano Heidrun, Finn e Miranda, osservati da Olympiada Rogaceva. Oleg stava facendo una gara di sollevamento pesi con Evelyn in palestra. Le telecamere esterne mostravano Marc Edwards e Mimi Parker che giocavano a tennis - o almeno Julian ipotizzo che si trattasse di loro -, mentre i golfisti sull’altro lato della gola si stavano accingendo a tornare in albergo. «Tutto a posto, qui?» chiese in tono allegro. «Certo.» Lynn sorrise. Julian noto che era pallida, come se fosse l’unica nella stanza a essere illuminata da un’altra fonte luminosa. «Com’e andata l’escursione?» «Mimi e Karla hanno dibattuto sulle abitudini di accoppiamento degli esseri superiori. Abbiamo bisogno di un telescopio sul Monte Bianco.»
«Per spiarli?» chiese Dana con aria seria. «Certo che no, per vedere meglio l’hotel. Per la miseria, ero convinto che quassu tutti si sarebbero abbracciati in preda alla commozione, invece s’insultano, discutendo dello Spirito Santo. » Il suo sguardo si sposto sulla finestra nella quale si vedeva la stazione. «Il treno e gia ripartito?» chiese in tono indifferente. «Quale treno?» «Il Lunar Express. Il treno LE-2, intendo, quello che e arrivato la notte scorsa. È gia ripartito?» Dana lo fisso come se le avesse sputato addosso un mucchio di sillabe, ordinandole poi di formare una frase di senso compiuto. «Il LE-2 non e mai arrivato.» «Ah, no?» Ashwini si volto verso di loro e sorrise. «No. Era il convoglio LE-1 quello con cui siete arrivati ieri.» «Questo lo so. E quello dov’e stato, nel frattempo?» «Nel frattempo?» «Ma di cosa stai parlando?» chiese Lynn. «Be’, del...» Julian si blocco. Nell’immagine c’era davvero un solo treno. Forse era proprio il Lunar Express che li aveva portati l. E allora... «Stamattina e arrivato un treno», insistette. Lynn e Dana si scambiarono un’occhiata. «Quale?» chiese Dana, cauta come se stesse camminando sulle uova. «Be’, quello l.» Julian indico impaziente l’immagine sullo schermo. Silenzio. «No», ribad Ashwini. «Dal suo arrivo, il LE-1 non ha mai lasciato la stazione.» «Io pero l’ho visto...» «Julian...» mormoro Lynn. «... quando ho guardato fuori dalla finestra!» «Papa, non puoi averlo visto!» Julian sarebbe stato meno inquieto se la figlia gli avesse detto di aver prestato il treno a una dozzina di alieni. Soltanto poche ore prima, era convinto che i suoi sensi gli avessero giocato un brutto scherzo. Ora non piu. «Una cosa alla volta», sospiro. «Stamattina ho incontrato Carl Hanna, okay? Alle cinque e mezzo, nel corridoio sotterraneo, e...» «Cosa diavolo ci facevi alle cinque e mezzo nel corridoio sotterraneo? » «Che importanza ha? In ogni caso, poco prima...» Hanna? Giusto, Hanna. Devo chiedere a Hanna. Forse anche lui ha visto il misterioso treno. In fondo, e entrato nel corridoio prima di me, esattamente quando... No, un momento... Hanna mi e venuto incontro dalla stazione. «No», disse, piu a se stesso che agli altri. «No, no.»
Lynn inclino la testa. «No? Cosa ’no’?» Era una follia. Una cosa totalmente assurda. Carl Hanna che se ne andava in giro col Lunar Express? Di nascosto? «Puo essere che tu lo abbia solo sognato?» lo incalzo la figlia. «O che abbia avuto un’allucinazione?» «Ero sveglio.» «D’accordo, eri sveglio. Ma adesso mi dici cosa ci facevi alle cinque e mezzo...» «Insonnia senile. Santo cielo, volevo fare una passeggiata.» Il suo sguardo indugio sul gigantesco monitor. Dov’era quel canadese? Eccolo l, nel Mama Quilla Club. Era spaparanzato su un divano, sorseggiando un cocktail, in compagnia dei Donoghue, dei Nair e di Locatelli. «Forse Julian ha ragione», mormoro Dana, pensierosa. «Forse ci e davvero sfuggito qualcosa.» Lynn scosse la testa. «Sciocchezze. È impossibile. Sappiamo entrambe che non e arrivato nessun treno. Anche Ashwini lo sa.» «Lo sappiamo davvero?» «Non e stato consegnato niente, e nessuno e andato da qualche parte.» «Ci vuole un attimo per verificarlo.» Dana si avvicino al monitor e apr un menu. «Dobbiamo soltanto controllare le registrazioni. » «Questo e ridicolo! Non spetta a noi vedere le registrazioni», ribatté Lynn. «Non riesco proprio a capire perché ti opponi», si meraviglio Julian. «Lasciaci dare un’occhiata. Avremmo dovuto farlo subito.» «Papa, abbiamo tutto sotto controllo.» «O almeno cos sembra», intervenne Dana. «In effetti e una mia responsabilita avere tutto sotto controllo, non e cos? È per questo che mi avete assunto. Io sono la principale responsabile della sicurezza del vostro albergo e del benessere dei vostri ospiti, e una ferrovia magnetica che fa di testa sua di sicuro non rientra in un simile quadro.» Lynn scrollo le spalle. Dana digito velocemente qualcosa. Si apr un’ulteriore finestra che mostrava l’interno della stazione. Il codice temporale indicava il 27 maggio 2025 alle 05.00. «Dobbiamo andare ancora piu indietro?» chiese. Julian scosse la testa. «No. È stato tra le cinque e un quarto e le cinque e mezzo.» Non accadde nulla. Il convoglio LE-1 non lascio la stazione e il convoglio LE-2 non si fece vedere. Per l’amor del cielo, penso Julian. Lynn ha ragione. Ho le allucinazioni. Cerco il suo sguardo, ma lei teneva la testa bassa, palesemente turbata dal fatto che lui non le aveva creduto. «Gia. Be’... mi dispiace», mormoro.
«Non si preoccupi. Meglio essere sicuri», replico Dana. «Invece no», ringhio Lynn. Quando infine guardo il padre, le sue pupille ardevano di rabbia. «Sei davvero sicuro di non aver sognato anche la tua stupida passeggiata? Forse non eri nemmeno nel corridoio. Forse eri semplicemente a letto.» «Mi dispiace, l’ho gia detto.» Allibito, si chiese cosa la facesse infuriare in quel modo. In fondo, era una semplice verifica. «Dimentichiamo l’accaduto, mi sono sbagliato.» Invece di rispondergli, Lynn si avvicino alla parete olografica, inser una serie di comandi e apr un’altra registrazione. Dana la osservava a braccia incrociate, mentre Ashwini si era fatta piccola piccola. Julian riconobbe il corridoio sotterraneo. Il codice temporale segnava le 05.20. «Questo davvero non e necessario», sibilo. Lynn alzo le sopracciglia. «Ah, no? E perché? Volevi andare sul sicuro, no?» Avvio la registrazione prima che lui potesse protestare. Dopo pochi secondi, comparve Carl Hanna, che sal su uno dei tappeti mobili. Si avvicino alla fine del corridoio, guardo in una delle finestre che davano sulla stazione e spar in una delle gallerie che davano accesso al treno, solo per ricomparire pochi secondi dopo e rifare il percorso al contrario. Quasi nello stesso istante, Julian usc dall’ascensore. «Congratulazioni», disse Lynn gelida. «Hai detto la verita.» «Lynn...» Lei scosto i capelli biondo cenere dalla fronte e si volto verso di lui. Dietro la rabbia nel suo sguardo, Julian credette d’intravedere qualcos’altro. Paura, penso. Santo cielo, ha paura. Poi, di colpo, la giovane donna sorrise, spazzando via la rabbia, come se quel sentimento non fosse mai stato presente. Gli si avvicino di slancio, gli stampo un bacio sulla guancia e gli diede un pugno nelle costole. «Se atterra un UFO, fammelo sapere, eh?» disse, ridendo, poi usc dalla centrale. Julian la fisso. «Va bene», mormoro, perplesso. Poi fu travolto dall’inquietante pensiero che sua figlia stesse fingendo. Eppure... Con ostinazione infantile, Julian raggiunse il Mama Quilla Club, la cui pista da ballo era misteriosamente illuminata dall’eterno gioco di luci del cielo stellato. Michio Funaki preparava cocktail dietro il bancone. Quando lo vide, Warren Locatelli si alzo e fece un brindisi nella sua direzione. «Julian! Questo e stato il piu bel giorno di vacanza che io abbia mai fatto!» «Impressionante, davvero.» Aileen Donoghue rideva, con la sua flautata voce da soprano. «Anche se bisogna ricominciare da zero col golf.»
«Il golf, cazzate!» Warren strinse Julian in un abbraccio e lo spinse verso il gruppo di ospiti. «Carl e io siamo andati in giro con quei buggy lunari, una cosa incredibile. Bisogna assolutamente costruire una pista quassu, una fottuta Le Mans de la Lune! » «E non ha nemmeno vinto. Il suo buggy e quasi un rottame», ridacchio Momoka Omura. «Ha quasi ridotto me a un rottame», disse Rebecca Hsu, infilandosi un’arachide in bocca. «La compagnia di Warren e una vera ispirazione, soprattutto se si vuole riflettere sulla possibilita di essere sepolti sulla Luna.» «Abbiamo trascorso una bellissima giornata. Perché non si siede qui con noi?» sorrise Sushma Nair. Julian sorrise. «Tra un attimo. Datemi solo un minuto. Carl, hai un momento?» «Certo.» Carl si sollevo dal divano. «Mi raccomando, non sparite», rise Warren. Di recente, lui e Carl erano sempre insieme. Un chiacchierone e un introverso, una strana combinazione, ma tra i due stava di certo nascendo un’amicizia. Andarono al bar, dove Julian ordino il cocktail piu complicato sulla lista, un Alpha Centauri. «Ascolta, sono un po’ in imbarazzo.» Attese che Funaki si allontanasse e abbasso la voce. «Ma devo chiederti una cosa. Quando stamattina ci siamo incontrati nel corridoio sotterraneo, stavi tornando dalla stazione.» Carl annu. «E allora?» chiese Julian. «E allora cosa?» «Hai dato un’occhiata all’interno?» «Nella stazione? Una volta. Dalla finestra.» Carl rifletté. «Come sai, mi sono confuso nel cercare l’uscita.» «E hai... visto qualcosa di strano all’interno della stazione?» «Dove vuoi arrivare?» «Voglio dire, il treno era l? Era partito, stava rientrando?» «Cosa, il Lunar Express? No.» «Quindi era semplicemente parcheggiato.» «S.» «Ne sei sicuro al cento per cento?» «Non ho visto nient’altro. Ma perché sei in imbarazzo?» «Perché... Ah, non fa niente.» Ma subito dopo, pressato dal bisogno di sfogarsi, racconto a Carl l’intera storia. «Forse e stato uno di quei fulmini che qui vediamo tutti di tanto in tanto», disse Carl.
Julian sapeva a cosa si riferiva. Particelle ad alta energia, protoni e nuclei atomici pesanti che ogni tanto penetravano nelle protezioni delle navicelle spaziali e delle stazioni orbitali, reagivano con gli atomi della retina e provocavano brevi lampi di luce che venivano registrati dalla retina, ma solo a occhi chiusi. Col tempo ci si abituava, finché quasi non ci si faceva piu caso. Dietro la corazza di regolite delle camere da letto erano praticamente inesistenti. Funaki gli poso davanti il cocktail. Julian fisso il bicchiere senza vederlo. «S, forse.» «Vorra dire che ti sei sbagliato», disse Carl. «Se vuoi un consiglio, dovresti dar retta a Lynn e dimenticare questa storia.» Ma Julian non poteva dimenticare. Qualcosa non quadrava. Sapeva con certezza che aveva visto qualcosa, non solo il treno. Qualcosa di piu sottile occupava la sua mente, un’inezia d’importanza fondamentale che avrebbe dimostrato che lui non stava vaneggiando. Esisteva un secondo film interno, un film che avrebbe spiegato tutto... se solo lui fosse riuscito a estrarlo dal suo inconscio e a rivederlo, guardando con molta attenzione, per scoprire cosa aveva visto, che la spiegazione gli piacesse oppure no. Doveva ricordare. Ricorda! JUNEAU, ALASKA, STATI UNITI Loreena Keowa era irritata. Il giorno stesso della gita in barca, Gerald Palstein le aveva permesso di chiamare la sua troupe, e aveva offerto una performance carismatica, senza che in lei si fosse sviluppato quel senso di familiarita che di solito s’instaurava con le persone intervistate. Aveva scoperto che Gerald amava l’estetica cristallina dei numeri, con l’aiuto dei quali classificava tutto e tutti, compreso se stesso, secondo le regole della pura razionalita. Amava l’armonia matematica di Johann Sebastian Bach, il minimalismo frattale di Steve Reich, ed era affascinato dalla destrutturazione e dagli archi narrativi della musica di Gyorgy Ligeti. Aveva un pianoforte Steinway, e suonava bene, anche se in modo un po’ meccanico, ma non musica classica come Loreena si sarebbe aspettata, bens i Beatles, Burt Bacharach, Billy Joel ed Elvis Costello. Possedeva stampe di Mondrian e un selvaggio e disperato originale di Pollock, cos intenso da dare l’impressione che il pittore avesse urlato il colore sulla tela. Curiosa di conoscere la moglie di Gerald, alla fine aveva incontrato una sorta di apparizione piena di benevolenza, che l’aveva trascinata per un quarto d’ora attraverso i giardini giapponesi dai lei stessa creati, punteggiando i suoi discorsi con una risata tanto squillante quanto immotivata. Mrs Palstein era architetto e aveva progettato gran parte della residenza. Nel tentativo di fare bella figura con le nozioni appena acquisite, Loreena le aveva chiesto di Mies van der Rohe, ricevendo in cambio un sorriso enigmatico. D’un tratto, Mrs Palstein aveva iniziato a trattarla come una congiurata. Van der Rohe, oh, certo. Voleva restare a
cena? Stava per acconsentire, quando il cellulare della donna si era messo a trillare, e lei si era persa in una conversazione sull’emicrania, dimenticandosi completamente dell’ospite e imboccando la strada di casa. Poi, dato che la moglie di Gerald non aveva rinnovato l’invito, Loreena era ripartita. Rientrata a Juneau, aveva dovuto ammettere con se stessa che Gerald Palstein le piaceva. Aveva apprezzato non soltanto la sua gentilezza e la sua cultura, ma anche il suo sguardo malinconico, che l’aveva fatta sentire stranamente vulnerabile. Di conseguenza, per certi versi, lo trovava anche inquietante. E continuava a sentirlo un estraneo. Invece di dedicarsi ai suoi reportage, si era buttata nell’indagine: dal Texas era volata a Calgary, nell’Alberta, presentandosi al comando di polizia. Grazie al suo charme era riuscita a farsi ricevere dal tenente, che le aveva promesso di riferirle qualsiasi sviluppo. Leggendo tra le righe, pero, Loreena aveva intuito che, con ogni probabilita, di sviluppi non ce ne sarebbero stati. Allora aveva ringraziato ed era salita sul primo volo per Juneau, avvisando la redazione di raccogliere tutto il materiale video disponibile sull’incidente di Calgary. All’arrivo, aveva chiamato nel suo ufficio uno stagista e gli aveva detto: «So benissimo che la polizia ha visionato e analizzato tutte le registrazioni centinaia di volte. Ma noi le guarderemo altre cento volte. Anche duecento, se serve». Dispose sulla scrivania alcuni fogli stampati che riproducevano la piazza antistante la sede centrale dell’Imperial Oil. Al momento dell’attentato, il complesso di fronte era vuoto ormai da mesi, a causa del fallimento dell’azienda. «Per tutta una serie di motivi, la polizia ritiene che l’attentatore si trovasse nell’edificio centrale del complesso. I tre edifici che lo compongono sono tutti collegati. Probabilmente l’attentatore si trovava a uno dei piani superiori. Il complesso dispone d’ingressi anteriori, laterali e posteriori, di conseguenza offre molte entrate e uscite.» «Credi sul serio di poter scoprire qualcosa che e sfuggito agli sbirri?» «Sei un vero ottimista», esclamo Loreena. «Be’, stiamo a vedere. » «Ho gia dato un’occhiata al materiale. Quasi tutte le telecamere erano puntate sulla folla e sulla tribuna. Solo dopo l’attentato qualche cameraman e stato cos furbo da girare la telecamera verso il complesso, ma non si vede uscire nessuno.» «E chi dice che dobbiamo concentrarci sul complesso? Questo lo ha gia fatto la polizia. Io voglio dare un’occhiata alla gente nella piazza.» «Pensi che il killer sia entrato nell’edificio passando da l?» «Penso che tu sia uno sciovinista. Non potrebbe essere stata una donna?» «Una killer bella e spietata?» ridacchio lo stagista. «Continua cos e ben presto ne conoscerai una. Controlla ogni singola persona nella piazza. Voglio sapere se qualcuno ha filmato l’edificio prima, durante o dopo l’attentato.»
«Oh, cavoli. Ma e un lavoro immane!» «Non piagnucolare e lavora. Io mi occupo di Youtube, My-space, Smallworld e cos via.» Mentre lo stagista iniziava il suo lavoro, lei tento di stilare un elenco di tutte le decisioni significative prese da Palstein negli ultimi sei mesi. Si segno anche tutte le volte in cui si era opposto agli interessi di altri. Visito forum e blog, esamino le discussioni in rete sulle chiusure delle fabbriche: soddisfazione da una parte, rabbia disperata dall’altra, collegata col desiderio di farla pagare a quei maledetti magnati del petrolio, possibilmente mettendoli subito al muro. Ma nessuno di quegli interventi faceva nascere il sospetto che il loro autore fosse in qualche modo collegato con l’attentato. Le persone che lavoravano nel settore erano afflitte, ma anche sollevate che la cosa si fosse conclusa e quest’ultimo sentimento era diffuso soprattutto nella comunita locale. Noto che, nei due decenni precedenti, i cinesi avevano dimostrato un vivo interesse per le sabbie bituminose canadesi e investito un sacco di soldi nell’affare, soldi che ormai erano andati persi. Dunque, nonostante la rivoluzione dell’elio-3, i cinesi dipendevano ancora dal petrolio e dal gas, anche se in misura minore rispetto al passato. D’altro canto, il petrolio era diventato cos economico che accanirsi a utilizzare il procedimento estrattivo meno conveniente in assoluto non aveva senso. Infine, alle prime ore del mattino, esauriti i comunicati stampa e i post, creo una cartella sull’Orley Enterprises o, piu precisamente, sull’intenzione di Palstein di acquistare quote dell’Orley Energy e dell’Orley Space. E improvvisamente ebbe un’intuizione. Stanca morta, si mise a cercare qualche argomentazione che confermasse la sua nuova teoria. In realta, non era nemmeno cos nuova: qualcuno cercava d’impedire l’alleanza tra Palstein e Orley. Solo che, d’un tratto, Loreena aveva avuto l’assoluta certezza che l’obiettivo dell’attentato fosse proprio quello d’impedire a Palstein di partecipare al viaggio sulla Luna. Se fosse andata proprio cos... Gia, ma per quale motivo? Di cosa avrebbero discusso Gerald Palstein e Julian Orley sulla Luna? E, soprattutto, non avrebbero potuto parlarne anche sulla Terra? Oppure si trattava di qualcun altro, di un altro invitato a quel viaggio? Aveva bisogno della lista dei partecipanti. Gli occhi le bruciavano. Impedire a Palstein di andare sulla Luna: era convinta che quello fosse lo scopo dell’attentato. Il pensiero la segu nei sogni confusi che il sonno sulle poltrone da ufficio porta sempre con sé, creando nella sua mente immagini di persone in tute spaziali che, appostate in edifici di grande valore architettonico, si sparavano addosso. E lei si trovava sulla linea del fuoco. «Ehi, Loreena.» «Sulla Luna, Mies van der Rohe e molto popolare», mormoro.
«E chi sarebbe questo Mies?» rise qualcuno. Tutta rattrappita, Loreena si sveglio e sbatté le palpebre. Lo stagista era appoggiato al bordo della scrivania e aveva l’aria soddisfatta di Gatto Silvestro che ha appena catturato Titti. «Merda, mi sono addormentata», borbotto Loreena. «S, dai l’impressione di una bestia appesa a un gancio. Manca solo il manico del coltello che spunta dal petto. Ritorna in te, Pocahontas, e fatti un caffe. Abbiamo trovato qualcosa. Abbiamo davvero trovato qualcosa.» Limit 28 MAGGIO 2025 CONTATTO COL NEMICO QUYÙ, SHANGHAI, CINA Verso l’una, Owen Jericho era gia alla quarta telefonata con Zhao, il quale, in quel preciso istante, stava assistendo a una rissa, divertendosi un sacco. Internet-dipendenti andavano e venivano. Il Cyber Planet era frequentato quasi esclusivamente da uomini e le poche donne presenti erano piuttosto in la con gli anni. Gli unici che a Jericho sembravano ancora abbastanza sani erano gli utilizzatori delle tute full-motion e dei tapis roulant, dato che almeno si servivano del loro corpo per l’esplorazione degli universi virtuali. Molti di loro trascorrevano il proprio tempo immersi in mondi paralleli quali Second Life e Future Earth oppure nell’Evolutionarium, dove potevano assumere le sembianze di qualunque forma vivente, dal batterio al dinosauro. Alcuni di quelli sdraiati sui lettini agitavano le mani coperte di sensori, disegnando motivi criptici nell’aria, segno che erano impegnati in un ruolo attivo. Ma la stragrande maggioranza non muoveva neppure un dito. Tali viaggiatori avevano raggiunto lo stadio terminale e interpretavano il ruolo degradante di meri osservatori della propria miserevole fine. L’atmosfera del luogo ebbe uno strano effetto catartico su Jericho e le offese di Zhao si dissolsero senza lasciare traccia. Sembrava che gli zombie della rete si fossero coalizzati nel dirgli che sarebbe bastato un po’ di forza di volonta per interrompere il suo isolamento e, puntando le dita avvizzite contro di lui, lo accusassero di crogiolarsi nella tristezza, di cercare rifugio nel passato e di essere l’unico responsabile della propria infelicita. Alla fine, pero, lo avevano riportato in vita... una vita tutto sommato niente male, riflette Jericho. In un attimo prese migliaia di decisioni, bolle di sapone sulla cui superficie si disegnavano le linee iridescenti del futuro. In qualche modo, il Cyber Planet gli dava conforto. Ricevette pure una chiamata di Zhao che voleva semplicemente sapere come stava. Jericho gli rispose che stava bene e si rimise in attesa. Benche fosse abbastanza allenato a fissare stoicamente lo sguardo in un’unica direzione, il viavai del mercato comincio ad an-
noiarlo. Gente che mangiava e beveva, contrattava sui prezzi, gironzolava, si accoppiava, rideva o litigava. La notte apparteneva ai gangster, che reincanalavano il bottino del giorno nel ciclo dell’avidita, anche in modo pacifico, a quanto sembrava. Inizio a invidiare Zhao, che almeno aveva assistito a una rissa, e decise di affidarsi completamente agli scanner. Collego gli occhiali olografici al cellulare ed entro in Second Life. Il mercato scomparve e lascio il posto a un boulevard con bistrot, negozi e un cinema. Mediante il touchscreen del cellulare, Jericho fece uscire in strada il suo avatar. In quel mondo, aveva la pelle scura, i capelli neri e lunghi e si chiamava Juan Narciso Ucanan, un nome che aveva letto anni prima in un thriller catastrofico. A un tavolino sotto il sole erano sedute tre giovani donne di aspetto assai gradevole, tutte con ali trasparenti e antenne di filigrana sopra gli occhi. «Ciao», disse a una delle ragazze. Lei lo guardo e gli rivolse un sorriso raggiante. L’avatar di Jericho era un capolavoro di programmazione e appariva particolarmente affascinante persino per gli elevati standard di Second Life. «Mi chiamo Juan. Sono nuovo, qui», disse lui. «Sono Inara. Inara Gold», replico lei. «Sei molto carina, Inara. Ti va di fare qualcosa d’interessante? » L’avatar Inara esito. Una reazione tipica per la donna che si nascondeva dietro quel nome. «Sono qui con le mie amiche», fu la sua risposta sfuggente. «Be’, io avrei proprio voglia di fare qualcosa», disse una di loro. «Anch’io», aggiunse l’altra ridendo. «Bene, allora propongo una cosa a quattro.» Jericho sorrise a trentadue denti. «Prima pero devo parlare un attimo con la piu bella di voi. Con Inara.» «Perche con me?» «Perche ho una sorpresa per te.» Indico una sedia libera. «Posso sedermi?» Lei acconsent. I suoi grandi occhi dorati continuavano a fissarlo. Lui si chino verso di lei e abbasso la voce. «Possiamo parlare un attimo da soli, meravigliosa Inara? Solo noi due?» «Non dipende da me, dolcezza.» «S, ce ne stiamo andando», esclamo una delle amiche, alzandosi. L’altra fece spuntare tra i denti una lingua biforcuta, catturo un insetto che volava nell’aria, lo ingoio e sibilo, offesa. Poi le due figure spiegarono le ali e scomparvero dietro una nuvola rosa. Inara si sistemo sulla sedia e gonfio il petto. La stoffa del ridottissimo top divento quasi trasparente. «Adoro le sorprese », sussurro. «Infatti, e una vera sorpresa... Emma.» Emma Deng fu colta cos alla sprovvista che, per un attimo, perse il controllo dei suoi abiti. Il top scomparve, rivelando due seni perfetti. Subito dopo, il busto si coloro di nero.
«Non scappare, Emma. Commetteresti un errore», si affretto a dire Jericho. «Chi sei?» chiese la donna che si faceva chiamare Inara con voce stridula. «Non ha importanza.» L’avatar Juan Narciso accavallo le gambe. «Ti sei indebitamente intascata due milioni di yuan e hai passato segreti aziendali alla Microsoft. Non riesco a immaginare piu problemi in una volta sola.» «Come... mi hai trovato?» «Non e stato difficile. Le tue preferenze, la tua semantica...» «La mia... cosa?» «Lascia perdere. La mia specializzazione e stanare le persone in Internet, tutto qui. Comunque sei in rete da abbastanza tempo per consentirmi di localizzarti.» Era una bugia, ma Jericho sapeva che Emma non aveva conoscenze sufficienti per saperlo. Era soltanto una giovane donna raffinata che aveva sfruttato per anni la sua relazione intima col senior partner dell’azienda in cui lavorava per truffarla. «Se voglio, tra dieci minuti la polizia bussera alla tua porta. Puoi cercare di svignartela, ma ti troveranno, proprio come ti ho trovato io. Prima o poi ti prenderanno, quindi ti consiglio di aprire bene le orecchie.» La donna s’irrigid. L’aspetto del suo avatar non aveva praticamente nulla in comune con la vera Emma Deng, proprio come Juan Narciso Ucanan non somigliava affatto a Owen Jericho. Basandosi sul suo profilo psicologico, le probabilita che Emma scegliesse un avatar come Inara Gold rasentavano il cento per cento. Jericho era soddisfatto di se stesso. «Ti ascolto», sibilo la ragazza. «L’onorevole L Shlng ha deciso di perdonarti. Questo e il messaggio.» Emma scoppio in una risata. «Mi stai prendendo per il culo? » «No.» «Accidenti, saro anche stupida, ma non fino a questo punto. Shlng vuole vedermi bruciare all’inferno.» «Non potrei dargli torto.» «Fantastico.» «D’altro canto, pero, l’onorevole L sente la mancanza della tua compagnia. Da quando sei sparita, prova una certa noia soprattutto in corrispondenza della zona lombare...» L’odio trapelava chiaramente dal bel viso di Inara. Jericho ipotizzo che Emma sedesse di fronte a un body scanner che trasferiva all’avatar la sua mimica facciale e i suoi gesti in tempo reale. «Cos’altro ha detto, quel vecchio porco?» sbuffo. «Non ti piacera.» «Invece voglio sapere in cosa mi sono cacciata.» «Un bagno rinfrescante nelle acque dello Huangpu con un paio di stivaletti di cemento? Sai, e molto arrabbiato. Oppure potrebbe consegnarti alle autorita. Ma lui preferirebbe - cito le
sue testuali parole - che tu continuassi a fargli un pompino di tanto in tanto.» «Che uomo schifoso.» «In passato non ti faceva cos schifo, pero.» «Mi ha costretto!» «A fare cosa? Ad alleggerirlo di due milioni di yuan? A vendere alla concorrenza i progetti di costruzione? A sedurlo per guadagnarti la sua fiducia?» Emma distolse lo sguardo. «E cosa vuole?» «Niente di particolare. Dovresti sposarlo.» «Merda.» «Eh, anche lo Huangpu e pieno di merda», commento Jericho, pacato. «La qualita dell’acqua e assai peggiorata negli ultimi tempi. Comunque lui aspetta che tu lo chiami al numero che sai e vuole sentire un ’s’ chiaro e distinto. Che ne dici? Credi di potercela fare? Cosa devo dirgli?» «Merda! Merda!» «Non e questo che vuole sentire.» Nel frattempo, Diane aveva localizzato la posizione di Emma tramite il server su cui si appoggiava. Era in un appartamento di Hong Kong. Lontano, ma non abbastanza. Non sarebbe stata abbastanza lontana in nessun luogo, a meno che non avesse abbandonato il Sistema Solare. «Dai, magari ti compra un appartamento a Hong Kong», aggiunse Jericho, conciliante. Emma si arrese. «Okay», grido con voce stridula. «L e disponibile a parlare con te in qualsiasi momento. Entro un’ora al massimo spero di ricevere una sua chiamata di conferma, altrimenti mi vedro costretto a darti la caccia.» Fece una pausa. «Nulla di personale, Emma. Io vivo di queste cose.» «S, siamo tutte puttane», sussurro lei. «L’hai detto.» Chiuse il collegamento e usc da Second Life. La mascherina degli occhiali si schiar. Nel mercato, gironzolavano gli ultimi clienti delle prostitute. La maggior parte dei banchetti aveva chiuso. Diede un’occhiata all’orologio. Le quattro del mattino. «Diane», disse al suo cellulare. «Ciao, Jericho. Sei ancora sveglio?» Lui sorrise. L’interessamento di un computer poteva essere addirittura piacevole, se quel computer parlava con la voce di Diane. Si guardo intorno. Quasi tutti i lettini erano vuoti. I sistemi di pulizia erano in funzione. Persino gli Internet-dipendenti sembravano distinguere il giorno dalla notte. «Svegliami alle sette, Diane.» «Certo. Ah, Jericho?»
«S?» «Ho appena ricevuto un messaggio per te.» «Puoi leggermelo?» «Zhao Bde scrive: ’Non vorrei svegliarla... in caso le si fossero chiusi gli occhi sotto il peso della responsabilita. Le auguro una buonanotte. Quando tutto sara finito, andiamo a farci un bicchierino?’» Jericho ridacchio. «Rispondigli che... anzi no, non rispondere. Voglio dormire e basta.» «C’e ancora qualcosa che posso fare per te?» «No, grazie, Diane.» «A piu tardi, Jericho. Sogni d’oro.» A piu tardi, Jericho. Piu tardi, Jericho. Jericho... È tardi, piu tardi e ancora piu tardi, ma lei non ritorna. Lui e sdraiato sul letto, in attesa. Sul letto di quella stanza sudicia che spera ardentemente di poter lasciare con lei. Ma Joanna non ritorna. Al suo posto, creature viscide, simili a insetti, cominciano a strisciare verso di lui, arrampicandosi sul copriletto... gli artigli conficcati nelle fibre di cotone... lo scricchiolio delle zampette segmentate... i campanelli d’allarme... le antenne gli sfiorano la pianta dei piedi... allarme... allarme... Sveglia, Jericho. Sveglia. «Jericho?» Si sveglio di soprassalto, col cuore che batteva all’impazzata. «Jericho?» La luce del mattino lo acceco. «Che ore sono?» mormoro. «Sono le sei e venticinque», disse Diane. «Scusami se ti sveglio prima del dovuto, ma ho una chiamata per te con priorita A.» L’immagine di Yoyo attraverso la sua mente. No, gli scanner lavoravano in modo indipendente da Diane. Lo avrebbero torturato con un segnale snervante, impossibile da ignorare. Inoltre avrebbe dovuto vedere delle sagome colorate di rosso. Invece, tra le persone che stavano lentamente ripopolando il mercato, non c’era traccia dei Guardiani. «Passamela», disse in tono piatto.
«Cosa c’e? Stai ancora dormendo?» Apparve il cranio di Tu Tian. Dietro di lui, sembrava avere preso vita il parco del Serengeti, o comunque qualcosa di simile, visto che sullo sfondo si aggiravano giraffe ed elefanti. Al di sopra di montagne dai colori pastello era appesa una palla di un arancio luminoso. Jericho si sollevo a fatica. Udiva il russare penetrante dei pochi irriducibili del Cyber Planet. Solo una ragazza sedeva sul lettino a gambe incrociate con una tazza di caffe nella mano destra. Di sicuro non era una Internet-dipendente. Lui ipotizzo che fosse l per una breve visita, magari per vedere il notiziario del mattino. «Sono a Quyu», disse, trattenendo uno sbadiglio. «Ho pensato che stessi dormendo, dato che mi ha risposto una donna. Bella voce, ma di solito rispondi di persona.» «Diane e...» «Chiami il tuo computer ’Diane’?» chiese Tu Tian con interesse. «Io non ho segretarie, Tian. Tu hai Naomi. C’era una serie televisiva in cui un agente dell’FBI parlava continuamente a una segretaria che non si vedeva mai...» «E quella si chiamava Diane?» «Mhm.» «Carino. Perche non ti prendi una segretaria in carne e ossa ?» disse Tu Tian. «E dove la metto?» «Se e bella, anche nel tuo letto. Ragazzo mio, adesso ti sei sistemato. Abiti in un loft a Xntiand. È ora di voltare pagina, non ti sembra?» «Grazie. È quello che sto cercando di fare.» «La gente che frequenti alla lunga si stufa di avere a che fare con un eremita.» «C’e altro, reverendo?» Jericho salto in piedi, ando al bar e seleziono un cappuccino. «Non t’interessa sapere a che punto siamo con le ricerche?» «Non ci sono novita.» «Come lo sai?» «Se ci fosse stato qualcosa di nuovo, l’avresti gia spiattellato.» «La tua chiamata ha priorita A. Per quale motivo?» «Perche posso vantarmi di essere il tuo miglior collaboratore », ridacchio Tu Tian. «Volevi sapere con chi ha parlato al telefono Pinco Pallino Wang prima di morire...» Il caffe scorreva gorgogliante nel bicchiere di carta. «Vuoi dire che...?» «Gia. T’inoltro il suo traffico telefonico. Tutte le conversazioni dal 26 maggio. Adesso puoi anche ringraziarmi.» «Ma come hai fatto?»
«Di certo non rovistando fra i suoi resti. Il caso vuole che io giochi a golf con gli amministratori delegati di due provider telefonici. Il ragazzo si serviva di uno di essi e il mio conoscente e stato cos gentile da passarmi i dati. E senza fare domande.» «Caspita, Tian!» Jericho soffio sul caffe. «Adesso gli devi tutti i favori del mondo, non e cos?» «Nient’affatto», disse Tu Tian annoiato. «Era lui che doveva qualcosa a me.» «Ah, bene. Molto bene.» «Adesso come procediamo?» «Diane controlla ininterrottamente la rete alla ricerca di eventuali testi sospetti. Zhao e io teniamo d’occhio i mercati. Se, nelle prossime ore, non si fa vedere nessuno, dovro prendere in considerazione l’eventualita di coinvolgere qualcun altro e mostrare in giro qualche fotografia. Ma preferirei evitarlo.» Jericho fece una pausa. «Com’e andato il colloquio con Chen Hongbng?» «Mah. È preoccupato.» «Non lo tranquillizza sapere almeno che Yoyo non e in carcere ?» «Hongbng ha elevato la preoccupazione a forma d’arte. Pero si fida di te.» Alle spalle di Tu Tian spicco il volo un grande rapace. Una giraffa si avvicino. «Di’ un po’, ma dove sei?» «Dove vuoi che sia? In ufficio, ovviamente», sogghigno Tu Tian. «E dove dai a intendere di essere, allora?» «In Sudafrica. Forte, vero? È la nostra collezione autunnale. Offriamo dodici ambientazioni. Non appena inizi una telefonata, il software inserisce la tua immagine nello scenario e la adatta all’ambiente. Hai notato che il sole si riflette sulla mia testa pelata?» «E le altre ambientazioni?» «La Luna e spettacolare!» esclamo Tu Tian, raggiante. «Sullo sfondo si vedono la base americana e le navicelle spaziali in fase di allunaggio. Il programma ti mette addosso una tuta spaziale. Si vede la tua faccia attraverso la visiera. La voce viene un po’ distorta, nello stile delle missioni del secolo scorso.» «Un grande passo per l’umanita», disse Jericho in tono ironico. «Fammi sapere se ci sono novita.» «Certo.» Sorseggio il caffe. Lungo e amaro. Aveva bisogno di aria fresca. Mentre attraversava l’atrio, Diane lo informo di avere ricevuto un pacchetto di dati da parte di Tu Tian e di averglielo inoltrato. Usc in strada con gli occhi fissi sul display. Spuntarono numeri, giorni, orari. Il traffico telefonico di Wang. Diane si mise a confrontare i dati ricevuti con quelli gia registrati nel sistema. Ovviamente Jericho non si aspettava nessuna concordanza.
Invece lei gli comunico di averne trovata una. Inarco le sopracciglia. La sera prima di morire, Grand Cherokee Wang aveva selezionato un numero presente anche nella sua rubrica. Diane lo collego al nome col quale Jericho lo aveva salvato nella rubrica, in modo tale che non ci fossero dubbi sull’identita della persona con cui Wang aveva parlato a mezzogiorno del 26 maggio. Jericho fisso il nome. E all’improvviso si rese conto di aver commesso un errore madornale. L’ACCIAIERIA Si era deciso per il confronto diretto, pertanto fu costretto ad abbandonare la sua postazione. Dopo aver fissato uno scanner accanto alla porta d’ingresso del Cyber Planet, Jericho si avvio. Se i sensori avessero rilevato una delle persone cercate, lui sarebbe tornato sul posto nel giro di pochi minuti. Le strade erano ancora mezze vuote, quindi riusc ad arrivare a destinazione senza troppe difficolta. Parcheggio la Toyota dietro un edificio annerito dalla fuliggine, sistemo gli occhiali olografici sul naso e si diresse verso il Wongs World. Nella vetrina del Cyber Planet situato di fronte al mercato si specchiava l’andirivieni del mattino. Quella filiale del Wongs era tenuta meglio dell’altra. Come aveva detto Zhao, l mancavano le baracche delle prostitute e i giocatori d’azzardo: tutto sembrava finalizzato alla preparazione del cibo e alla vendita di alimentari. Verdure, erbe aromatiche e spezie erano esposte all’interno di cesti e contenitori. Con l’aiuto di un forchettone, una donna pesco un serpente da un cesto. L’animale fu percorso da violenti spasmi quando la venditrice, con gesti sicuri, lo taglio a pezzi e lo privo della pelle. Jericho si volto dall’altra parte e inalo il profumo dei wonton e dei baozi appena preparati. Il banco era molto frequentato. Due giovani col torace imperlato di sudore, avvolti dal vapore che saliva da enormi pentoloni, agitavano mestoli e porgevano ai clienti ciotole contenenti zuppe e fagottini croccanti ripieni di polpa di granchio o carne di maiale. Jericho passo oltre, ignorando le proteste del suo stomaco. Avrebbe mangiato piu tardi. Attraverso la strada, entro nel Cyber Planet e si guardo intorno. Non c’era traccia di Zhao. Quella filiale non disponeva di cuccette per la notte, ma forse Zhao era soltanto andato in bagno. Attese dieci minuti, senza risultato. Torno fuori. E d’un tratto li vide. Erano due. Si stavano dirigendo verso il banco dei wonton e, involontariamente, guardarono proprio nella sua direzione. Sul vetro degli occhiali olografici, i loro contorni si colorarono di rosso. Il ragazzo indossava una T-shirt e un paio di jeans; la ragazza aveva una minigonna per la quale pesava circa dieci chili di troppo e un giubbotto da motociclista col simbolo dei City Demons in bella vista. Carichi di sacchetti di carta del Wongs World, si fecero riempire parecchi contenitori di plastica con generose porzioni di zuppa, se li fecero pas-
sare, ciarlando e ridendo, e poi li stiparono nei loro sacchetti. Sembravano di buonumore. S’intrattennero per un po’ con altri clienti e poi se ne andarono. Avevano comprato la colazione per un piccolo esercito. Jericho li segu mentre il computer gli forniva i dettagli ricavati dai file di Tu Tian. La ragazza si chiamava Xiaomei Q, soprannominata Maggie, studentessa d’Informatica. Il nome del ragazzo era Jn Jia Wei, facolta di Elettrotecnica. Secondo Tu Tian, appartenevano alla cerchia piu stretta degli amici di Yoyo. Includendo Daxiong, ora il detective conosceva il volto di quattro dei sei dissidenti, e di sicuro quei due non avrebbero consumato il contenuto dei loro sacchetti da soli. Si avvicino, continuando a cercare Zhao con gli occhi. Maggie e Jn si fecero riempire dei thermos con del te, poi comprarono sigarette e dolcetti ripieni di pasta di noci, miele e fagioli rossi che, lui ricordava, erano la passione di Yoyo. Quindi attraversarono la strada. Quando scorse le loro biciclette elettriche, si rese conto che continuare a seguirli a piedi non avrebbe avuto senso. Torno indietro, mise in moto la Toyota e si fece largo tra pedoni e ciclisti. La strada era troppo larga per stendere i fili del bucato tra le case e nulla ostruiva la vista, permettendogli di distinguere la silhouette di un altoforno che svettava a pochi chilometri di distanza. I due si stavano dirigendo proprio la. Pochi secondi dopo, anche Jericho si lascio alle spalle il trambusto del mercato e si trovo davanti un ampio piazzale, in fondo al quale sorgeva la vecchia acciaieria. Le biciclette sfrecciavano sul piazzale, sollevando nuvole di polvere. Evito di seguire esattamente il loro percorso e guido la Toyota all’ombra di una fila di bassi fabbricati. Yoyo si trovava da qualche parte in quella gigantesca rovina industriale. Ne era sicuro. Elettrizzato, segu con lo sguardo le biciclette dirette verso l’altoforno. Nella luce del mattino, il complesso ricordava una rampa di lancio per navicelle spaziali, nello stile che forse aveva immaginato Jules Verne. L’altoforno era un cilindro che si assottigliava verso la sommita, alto cinquanta metri e avvolto da una struttura portante di acciaio che lasciava intravedere il crogiolo di fusione. Impalcature, ponti e passerelle erano collegati da scale e sostegni, e ospitavano un groviglio di pompe, generatori, proiettori e tubi. Dal suolo, un nastro trasportatore s’inerpicava verso la campana di riempimento del forno. Un tubo di dimensioni enormi si protendeva verso il cielo, poi piegava bruscamente verso il basso e scompariva in una sorta di pentolone collegato a tre imponenti serbatoi verticali. Gli elementi sembravano avvinghiati l’uno all’altro. Quello che un tempo serviva per il trasporto di liquidi e gas, unito ai fasci di cavi, alle condutture e ai tubi, dava l’impressione di un ingarbugliato ammasso di budella, come se le interiora del colossale macchinario fossero state rivoltate verso l’esterno. Proprio davanti al forno spuntava dal terreno una torre a traliccio, alta piu o meno la meta. Sulla cima troneggiava una casetta provvista di tetto spiovente e finestre, collegata
all’altoforno da una piattaforma: in passato era stata di certo utilizzata come centrale di comando. Diversamente dagli edifici circostanti, le finestre erano integre. Jn e Maggie diressero i loro mezzi verso un basso fabbricato adiacente, per ricomparire pochi attimi piu tardi coi sacchetti del Wongs World e arrampicarsi lungo i gradini a zigzag della torre. Jericho rallento, si fermo e rimase a fissare la vecchia centrale. Yoyo si trovava lassu? Nello stesso istante, vide con la coda dell’occhio qualcosa che si avvicinava dalla direzione del mercato per fermarsi sul piazzale. Si giro e scorse un uomo in sella a una grossa moto... No, non era una moto. Era una combinazione tra una moto da corsa, un’orca e un reattore, con una grande sella, rivestimenti laterali e un parabrezza piatto. Al posto della ruota anteriore c’era un buco, all’interno del quale scintillava una raggiera argentata, probabilmente una turbina. Ai lati del manubrio e del sellino posteriore spuntavano ugelli orientabili. A prima vista, l’aggeggio sembrava muoversi scivolando sul ventre piatto e su due pinne affusolate rivolte verso la parte posteriore. Solo osservandolo con maggiore attenzione si notava che, sotto il ventre, spuntava una piccola ruota e che, nelle pinne, erano integrate delle sfere, il che sicuramente garantiva buone prestazioni sui fondi uniformi. Ma quel mezzo aveva ben altre potenzialita. Anni prima, quand’era iniziata la produzione in serie dei primi modelli, Jericho aveva preso la licenza per guidarli, ma all’ultimo momento aveva rinunciato all’acquisto. Erano aggeggi costosi. Troppo costosi per lui. E decisamente troppo costosi per un abitante di Quyu. Cosa ci faceva Zhao su quell’affare? Con lo sguardo rivolto verso l’altoforno, Zhao Bde osservava Jn e Maggie salire le scale, senza rendersi conto di essere osservato a sua volta. Contravvenendo agli accordi presi, non aveva contattato Jericho, sebbene stesse seguendo due Guardiani che, con ogni probabilita, lo avrebbero portato da Yoyo. Come dimostravano i dati forniti da Tu Tian, la sera prima di morire, Grand Cherokee Wang gli aveva telefonato, parlando con lui per un minuto. Wang aveva chiamato Zhao. Perche? In preda all’inquietudine, Jericho aveva lasciato il Cyber Planet deciso ad affrontare Zhao. In quel momento, l’uomo si chino in avanti e pul qualcosa sul pannello di comando con la manica del giubbotto, proprio come aveva pulito il display nella Toyota di Jericho. I conti tornavano. L’assassino di Cherokee Wang, un attimo prima di fuggire dal World Financial Center. Elegante abito di sartoria, occhiali con lenti colorate, baffi posticci e parrucca, che avevano trasformato i suoi tratti proporzionati in quelli di Ryuichi Sakamoto. Si era piegato in avanti e aveva pulito la console di comando del Silver Dragon. Ma Jericho non aveva fatto attenzione, perche in effetti quel tizio non gli ricordava una popstar giapponese ne un fotomodello. Gli
aveva semplicemente ricordato... Zhao Bde. Aveva portato il killer sulle tracce di Yoyo. Nel momento in cui premette a fondo il pedale dell’acceleratore, Zhao mise in moto la sua airbike. Il rombo della turbina riemp il piazzale. Il mezzo oriento gli ugelli in verticale, per un attimo resto in equilibrio sulle pinne posteriori, poi schizzo verso l’alto. E Jericho comprese che probabilmente ogni speranza di salvare Yoyo era perduta. Era stato tutto cos semplice. E nel contempo cos penoso. Nelle ore precedenti, aveva dominato a fatica la ripugnanza verso Quyu, verso quel luogo disperato in cui il destino lo aveva condotto. E aveva avuto l’ennesima prova che la superiorita della razza umana era soltanto il sogno febbrile di darwinisti influenzati dalla religione, un tragico errore che bisognava correggere. Alla fine, il ribrezzo lo aveva indotto a parlare a Jericho di quegli scarti della creazione, della parte malriuscita dell’esperimento : una vera leggerezza. Quello che Zhao era faticosamente riuscito a trasformare in sarcasmo celava in realta il profondo disgusto di Kenny Xn. Per la maggior parte, gli uomini erano un mucchio di parassiti, un’onta per qualsiasi creatore, sempre ammesso che ce ne fosse uno. Solo pochi spiriti eletti avevano tratto le debite conclusioni e agito di conseguenza, come quell’antico imperatore romano che aveva ridotto in cenere la sua citta, anche se si diceva che avesse rovinato per sempre quel momento sublime col suo canto. Xn avrebbe voluto vedere il fuoco purificatore che aveva carbonizzato il volto della miseria. No, di piu. Avrebbe voluto essere lui quel fuoco. Da un punto di vista oggettivo, una vergogna come Quyu non meritava solo di morire tra le fiamme. Nel mondo, un miliardo e mezzo di persone vivevano negli slum. Un miliardo e mezzo di persone per cui la vita era sprecata, che respiravano aria preziosa e dissipavano le gia limitate risorse senza produrre nient’altro che ulteriore miseria, ulteriore fame, ancora piu feccia. Un miliardo e mezzo di persone soffocavano il mondo. Difficile liberarsene del tutto, tuttavia Quyu avrebbe comunque rappresentato un inizio. Ma Kenny Xn aveva imparato a tenere a freno le proprie emozioni, a rendersi indipendente dai sentimenti. Con furia, aveva reinventato se stesso, si era immunizzato e purificato in modo cos profondo che non era piu costretto a sfregarsi la pelle per rimuovere il sudiciume, i residui appiccicosi delle aggressioni quotidiane, le croste della disperazione. Sapeva che, se non fosse riuscito a purificare se stesso, sarebbe morto, e che nemmeno la morte, una capitolazione che odorava di urina, gli avrebbe garantito la redenzione. Quindi aveva reagito. Certe notti riviveva il giorno della rinascita. Percepiva il calore sulle guance, si vedeva seppellire il proprio cadavere putrescente, provava stupore per il proprio meraviglioso corpo rinato e una gioia irrefrenabile per lo straordinario potere che da quel momento avrebbe avuto
a disposizione. Era libero. Libero di fare cio che voleva. Libero di assumere le sembianze di chiunque desiderasse. Anche quelle di Zhao Bde. Era stato incredibilmente facile arrivare a Jericho e usarlo per i propri scopi. Grand Cherokee Wang era un idiota, ma Kenny gli doveva senz’altro un tacito ringraziamento per avergli fornito il biglietto da visita del detective. Jericho lo aveva portato a Quyu e all’Andromeda ed era stato l che Kenny aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto. Stavolta niente parrucca, niente baffi o naso posticcio; solo un abbigliamento adeguato, preso dalla valigia che aveva con se. Forse il suo aspetto non era abbastanza trasandato e lui non portava applicazioni, ma i roadies non ci avevano fatto caso, apprezzando semplicemente il fatto che qualcuno li aiutasse a trasportare quelle strumentazioni ingombranti. Nel giro di pochi minuti, Kenny aveva strappato loro tutte le informazioni necessarie per ingannare Jericho: ass-metal, i Pink Asses... Il detective era caduto nella trappola e aveva preso Kenny per uno di loro. Il piano era stato improvvisato: attacco, armistizio, due birre, il patto... Hydra gli aveva fornito informazioni sufficienti sulla ragazza per impressionare Jericho. Ad alcune domande, pero, non aveva saputo rispondere. Per esempio, si era trovato in seria difficolta quando Jericho gli aveva chiesto se facesse parte dei City Demons. Non sapeva nulla di un’organizzazione con quel nome. In effetti, c’erano moltissime cose che non sapeva, ma l’ignaro detective gli aveva gentilmente indicato dove Yoyo e i suoi Guardiani andavano a comprare il cibo. Per localizzare i mercati Wongs c’era voluto un quarto d’ora. Zhao Bde era un collaboratore leale che faceva del suo meglio, e cio includeva anche richiamare l’attenzione del detective sulla presenza dell’inseguitore... cioe di se stesso. Kenny aveva trascorso il pomeriggio allo Hyatt e si era fatto una lunga doccia ristoratrice per liberarsi, almeno per qualche ora, del fetore di Xaxus. Un messaggio gli aveva confermato che i due professionisti da lui richiesti erano arrivati e che, per loro, erano pronte tre airbike. Aveva mandato avanti i due uomini e la sera li aveva seguiti senza fretta, tornando in quel posto lurido per incontrare Jericho. Kenny Xn e Owen Jericho: un’ottima squadra. Ora, pero, dato che gli scanner gli avevano segnalato la presenza di «Maggie» Xiaomei Q e Jn Jia Wei, era arrivato il momento di chiudere la collaborazione. Che il detective marcisse pure al Cyber Planet. L’airbike sal di quota fino a consentire a Kenny di osservare il complesso dell’acciaieria in tutto il suo stato di abbandono. All’interno si vedevano poche persone; si trattava di senzatetto e di bande giovanili che avevano trovato rifugio nei capannoni. Un piccolo gruppo di motociclisti avanzava sul terreno ricoperto di scorie. Nel frattempo, Maggie e Jn erano arrivati in cima alle scale e avevano raggiunto la piattaforma dove si trovava la vecchia centrale di comando. La ragazza scomparve all’interno, mentre Jn si volto e guardo il piazzale. Poi il suo sguardo si sposto verso il cielo.
Kenny impart degli ordini attraverso il microfono. Poi oriento gli ugelli dell’airbike in orizzontale. Di Jn Jia Wei si diceva che fosse un ragazzo pigro, testardo e disinteressato agli studi. In compenso, era un hacker di grande talento. Non condivideva i piani ambiziosi di Yoyo, ma non li metteva neppure in discussione, perche di fatto non gli interessavano. Lei voleva cambiare il mondo? D’accordo. Sarebbe stato comunque piu divertente che ammuffire nelle aule universitarie. Oltretutto Jn si era preso una cotta per lei... come tutti, del resto. In qualita d’ideologa e di capo del gruppo, Yoyo trovava sempre stupidi motivi per penetrare nei sistemi altrui, preferibilmente in quelli del Partito. Inoltre forniva anche l’attrezzatura. Per Jn, Yoyo era come un negozio ambulante di giocattoli, e lui era il fortunello che aveva il permesso di provare tutte le belle cose che lei portava con se. Yoyo aveva le idee e lui conosceva i trucchi per metterle in pratica. Come si chiamava quel tipo di relazione? Simbiosi? S, qualcosa del genere. Di positivo c’era che non l’avrebbe mai tradita, anche soltanto per salvaguardare i propri interessi. In fondo, il gruppo stava in piedi grazie a Yoyo e allo scrigno magico che la Tu Technologies colmava di ogni ricchezza. Ecco perche Jn era addirittura disposto ad accollarsi i problemi di Yoyo, tanto piu che si sentiva in parte responsabile per la situazione critica in cui si trovava. Era stato lui a consigliarle quell’operazione raffinata e supersicura, e lei se l’era cavata davvero bene... pure troppo. Adesso Yoyo era tormentata da preoccupazioni che le toglievano il sonno, percio Jn aveva passato gli ultimi due giorni a tentare di capire cosa fosse andato storto, quella notte. E aveva anche trovato qualcosa, una coincidenza di eventi che aveva dell’incredibile. Guardo il piazzale, da cui si alzava una nuvoletta che fuoriusciva dai sacchetti del Wongs, e si ripromise di parlarne con Yoyo subito dopo aver mangiato. Dalla centrale, eletta a quartier generale da quando l’Andromeda non era piu un rifugio sicuro, giunse la voce squillante di Maggie che chiamava a raccolta il resto del gruppo col cellulare. «Colazione!» La colazione, giusto. Ecco di cosa aveva bisogno. All’improvviso, pero, sent i piedi come inchiodati al suolo. Dal suo punto di osservazione rialzato, poteva vedere fino alla lontana cokeria, la cui torre di spegnimento si stagliava tristemente nel cielo mattutino. L’area occupata dallo stabilimento era enorme e circondava come una morsa il vecchio complesso residenziale degli operai. Si chiese da dove provenisse quel nuovo rumore, un suono che non aveva mai sentito prima in quella zona: era un sibilo distante, come se l’aria sopra il Wongs World stesse bruciando. Socchiuse le palpebre. A sinistra della torre, sospeso nel cielo, c’era qualcosa. Gli ci volle un istante per rendersi conto che era proprio da quella cosa che arrivava il sibilo. Un attimo dopo, Jn cap di cosa si
trattava. E, sebbene nessuno gli avesse mai detto che l’intuito era una delle sue qualita piu spiccate, sent il pericolo propagarsi da quell’aggeggio come un’onda anomala. A Quyu nessuno possedeva un’airbike. Indietreggio. Tra il Wongs World e il Cyber Planet vide spuntare altre due macchine impressionanti, che procedevano rasenti al suolo. Nello stesso momento, da dietro i fabbricati circostanti, sbuco un’automobile, lanciata verso l’altoforno. L’airbike sembro gonfiarsi, un’illusione ottica provocata dall’elevata velocita con la quale si stava avvicinando. «Yoyo!» grido Jn. Il mezzo si avvento su di lui come un enorme pesce volante, mentre i riflessi del sole guizzavano sul parabrezza piatto e sul volano della turbina. Il pilota costrinse la moto a compiere una virata. Jn inciampo e cadde all’indietro verso l’interno, stringendo a se i sacchetti, mentre il sibilo diventava sempre piu forte e la bocca della turbina sembrava spalancarsi come se volesse aspirarlo tra i suoi denti rotanti. Un attimo dopo, l’airbike scese in picchiata, spazzando via col suo frastuono le voci di Maggie e di Yoyo, e si poso sul pavimento della piattaforma E fu allora che Jn vide una specie di lampo tra le mani del pilota. Kenny sparo. Il proiettile attraverso il ragazzo e i sacchetti che lui stringeva tra le braccia. Il volto di Jn esplose e le bottiglie andarono in frantumi: brodo bollente, Coca-Cola, caffe, sangue, materia cerebrale, wonton e frammenti d’osso schizzarono in tutte le direzioni. Mentre il corpo mutilato stava ancora cadendo all’indietro, Kenny era gia saltato giu dalla sella e aveva varcato la soglia dell’edificio. In una frazione di secondo, il suo sguardo registro l’ambiente, ne sondo gli elementi, li catalogo e li suddivise in degni di nota, interessanti e trascurabili. I pannelli di comando, coi monitor spenti, accecati dalla polvere, testimoniavano che si trovava nella vecchia centrale, equipaggiata con apparecchiature di misurazione e regolazione per il monitoraggio dell’altoforno. Era altrettanto evidente a quale scopo servisse ora quello spazio. I tavoli erano stati riuniti al centro e, sopra di essi, erano stati ammassati apparecchi ultramoderni, display trasparenti, computer e tastiere. Le brande addossate contro la parete posteriore indicavano che la centrale era abitata o che almeno veniva usata di tanto in tanto per trascorrervi la notte. Kenny brand la sua arma. La ragazza grassottella alzo le mani. Si chiamava Xiaomei Q? Maggie? Non aveva importanza. La bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite la rendevano decisamente brutta. Le sparo con la stessa indifferenza con la quale gli uomini di potere stringono la mano alla gente comune. Poi, servendosi della canna della pistola, spazzo via i sacchetti che la ragazza aveva appoggiato sul tavolo. Infine punto l’arma su Yoyo.
La ragazza non aveva detto neppure una parola. Incuriosito, inclino il capo e la osservo. Cosa si era aspettato? Non avrebbe saputo dirlo. Ogni individuo aveva modi differenti di mostrare paura e orrore. La paura di Jn Jia Wei negli ultimi istanti di vita era stata quasi tangibile. La paura di Maggie, invece, gli aveva ricordato L’urlo di Edvard Munch: la giovane donna si era trasformata nella caricatura di se stessa. Certo, esistevano anche persone che, nella sofferenza, erano capaci di conservare una certa dignita. Ma erano rare e Maggie non era tra quelle. Yoyo invece lo fissava e basta. Dalla sua posizione rannicchiata, simile a quella di un gatto impaurito, si poteva dedurre che, nel momento in cui Jn aveva gridato il suo nome, aveva fatto un salto sulla sedia. Gli occhi erano spalancati, ma il viso era stranamente privo di espressione, armonioso, quasi perfetto... C’era infatti quell’ombra intorno agli angoli della bocca che lo rendeva in qualche modo ordinario. Ma senza dubbio era una delle donne piu belle che Kenny avesse mai visto. Si chiese quante attenzioni potesse sopportare una simile bellezza. Era quasi un peccato non aver tempo per scoprirlo. Poi si accorse che le mani della ragazza tremavano. Stava cedendo. Kenny prese una sedia, si sedette e abbasso l’arma. «Ho tre domande per te», disse. Yoyo continuo a rimanere in silenzio. Lui lascio passare qualche istante, in attesa del crollo. Pero, a parte il tremito, il suo atteggiamento resto immutato. Continuava a fissarlo. «Mi aspetto una risposta rapida e sincera a tutte e tre le domande », riprese Kenny. «Quindi niente trucchi.» Le sorrise con disinvoltura e affabilita, come se la volesse conquistare. Come se fossero stati seduti in un bar elegante o in un ristorante accogliente. Si accorse che si sentiva straordinariamente bene in compagnia di Yoyo. Forse potevano ritagliarsi un po’ di tempo da trascorrere insieme. «Poi si vedra», aggiunse in tono amichevole. Quando si fermo sotto la torre a traliccio, facendo stridere le gomme, Jericho non riusc a vedere altro che la polvere sollevata dalla sua stessa automobile. Estrasse la Glock dalla fondina, apr la porta con un calcio e scivolo verso la scala. Era di acciaio, come il resto della costruzione, e i suoi passi riecheggiavano. Bong-bong. Impreco tra i denti. Facendo due gradini alla volta e cercando di procedere in punta di piedi, Jericho scivolo, picchiando dolorosamente il ginocchio contro il metallo. Idiota. Il suo unico vantaggio era che Zhao non l’aveva ancora visto. Nello stesso istante, ud il rumore degli spari sopra di lui. Si precipito lungo le scale. Piu si avvicinava alla piattaforma, piu il sibilo dell’airbike sembrava voler perforare le sue orecchie. Zhao non aveva ritenuto necessario spegnere il motore. Meglio cos. Il ronzio avrebbe coperto il rumore dei suoi passi. Voltandosi, Jericho intravide del movimento nel piazzale sotto di lui.
Motociclisti. Senza badare a loro, percorse gli ultimi gradini, si fermo e lancio un’occhiata oltre il bordo della piattaforma. L’airbike era parcheggiata proprio davanti a lui. La porta della centrale era aperta. Salto sulla piattaforma, scivolo verso l’edificio e si nascose accanto allo stipite della porta, con la schiena contro il muro, tenendo la pistola alzata. Ud la voce di Zhao, cordiale e incoraggiante: «Prima domanda: che cosa sai? Seconda : a chi hai raccontato quello che sai? Ah, anche la terza domanda e facile.» Pausa. «È la domanda conclusiva, Yoyo. Ed e la seguente: dove si trova il tuo computer?» Era viva. Bene. Invece non era un bene che lui non riuscisse a vedere il killer e quindi non sapesse in quale direzione stava guardando in quel momento. Esamino la facciata. Noto una piccola finestra appena prima dell’angolo. Si accuccio, striscio verso di essa e sbircio all’interno. Yoyo era dietro un tavolo pieno di computer. Di Zhao vedeva solo le gambe, una mano e la massiccia canna della pistola. Evidentemente era seduto di fronte a lei, il che significava che dava le spalle alla porta. Attraverso la finestra socchiusa, sent Zhao che diceva: «Non puo essere cos difficile, vero?» Yoyo scosse il capo. «Allora?» Nessuna reazione. Zhao sospiro. «Hai ragione, forse ho dimenticato di spiegarti le regole del gioco. Funziona cos: io faccio le domande, tu rispondi. O, ancora meglio, mi consegni il computer.» La canna della pistola si abbasso. «Non devi fare altro. È chiaro? Se non rispondi, ti sparo al piede sinistro.» Jericho aveva visto abbastanza. In un baleno raggiunse la porta, si butto all’interno e punto l’arma contro la nuca di Zhao. «Resta seduto. Mani in alto. Non fare l’eroe.» Ora riusciva a vedere la scena per intero. Ai suoi piedi, giaceva il corpo del ragazzo, dilaniato come se gli fossero esplose due mine piazzate nella testa e nel petto. Pochi metri piu in la, era accovacciato il corpo di Maggie. Teneva la testa bassa, come se fosse assorta nella silenziosa contemplazione dell’addome da cui spuntava una quantita sorprendente d’interiora. Schizzi rossi coloravano il pavimento, le sedie e il tavolo. In preda allo sgomento, Jericho si chiese che arma avesse usato Zhao. «Fléchettes.» «Come?» «Proiettili a freccette», ripete Zhao in tutta tranquillita, come se l’altro avesse formulato la domanda ad alta voce. «Metal Storm, cinquanta minuscole freccette in carburo di tungsteno per ogni colpo. Riescono a perforare anche le piastre d’acciaio. Certo, il loro uso e discutibile. Di sicuro l’effetto supera quello di un mattatoio. D’altro canto...»
«Chiudi il becco. E ho detto mani in alto!» Zhao obbed con una lentezza straziante. Jericho aveva il fiato corto. Si sentiva impotente e ridicolo. Il labbro inferiore di Yoyo prese a tremare con violenza. Ma, nei suoi occhi, sembro pure accendersi un barlume di speranza. E Jericho intravide anche qualcos’altro, come se nella mente della ragazza stesse prendendo forma un piano... S’irrigid all’istante. «No», la ammon. «Niente casini. Prima dobbiamo rendere inoffensivo questo bastardo. » Zhao scoppio in un’amara risata. «E come pensi di fare? Come all’Andromeda?» «Chiudi il becco.» «Avrei potuto ucciderti.» «Butta a terra la pistola.» «Mi devi un po’ di rispetto, piccolo Jericho.» «Butta la pistola!» «Perche non vai semplicemente a casa e dimentichi tutta questa faccenda? Io ti...» Part un colpo. La pallottola si conficco nel tavolo, a pochi centimetri da Zhao. Il killer sospiro. Poi volto il capo lentamente, mostrando il profilo. Nell’orecchio era infilato un minuscolo trasmettitore. «Davvero, Jericho, stai esagerando.» «Per l’ultima volta: butta la pistola.» «Va bene.» Zhao scrollo le spalle. «L’appoggio a terra, d’accordo ?» «No.» «Cosa c’e adesso? Non vuoi piu che lo faccia?» «Falla cadere.» «Ma...» «Lasciala scivolare lungo le ginocchia. Tieni le mani sollevate. Poi la spingi verso di me col piede.» «Stai commettendo un errore, Jericho.» «Ho già commesso un errore. Avanti, oppure saro io a spararti al piede sinistro.» Zhao sorrise, gelido. L’arma cadde a terra, tintinnando. L’uomo le diede un calcio con la punta dello stivale, facendola scivolare in direzione di Jericho, ma l’arma si fermo a meta strada. «Sparagli», disse Yoyo con voce roca. Jericho la guardo. «Non sarebbe...» «Sparagli!» Gli occhi di Yoyo si riempirono di lacrime. I suoi tratti erano deformati dallo sgomento e dalla rabbia. «Sparagli! Spara a...» «No!» Jericho scosse la testa con decisione. «Se vogliamo scoprire per chi lavora, dobbiamo...» Continuo a parlare, ma la sua voce fu coperta dal sibilo dell’airbike. Stava diventando piu forte. Perche?
Yoyo urlo e fece un passo indietro. Un tonfo fece tremare il pavimento. Qualcosa era atterrato davanti alla centrale. Non era la moto di Zhao. Erano altre airbike. Zhao sogghigno. Per un attimo, Jericho resto paralizzato. Se si fosse voltato, il killer si sarebbe impossessato della pistola. Eppure doveva sapere cosa stava succedendo la fuori. Poi cap. Il trasmettitore. Le sue parole erano arrivate a qualcuno. Aveva chiamato rinforzi. Zhao si alzo dalla sedia e strinse lo schienale. Jericho sollevo la Glock. L’altro si blocco, accucciandosi come un felino che sta per attaccare. «Buttala a terra», disse una voce profonda alle spalle di Jericho. «Fossi in te, obbedirei», mormoro Zhao. «Prima ti ammazzo.» «Allora fallo.» Gli occhi scuri di Zhao lo fissavano come se volessero attraversarlo. Lentamente l’uomo si rimise in piedi. «Sono in due. Se sei ancora vivo, lo devi soltanto a me.» Rumore di passi. Jericho vide una mano stendersi sopra la sua spalla e afferrare la pistola. Non oppose resistenza. I suoi occhi cercarono quelli di Yoyo. Era addossata contro la vecchia console. Un pugno lo colp, spingendolo in avanti. Zhao gli ando incontro, sollevo la mano e lo colp al volto con la mano aperta. La testa si piego di lato. Un altro colpo compresse il diaframma, costringendo Jericho a sputar fuori l’aria dai polmoni. Cadde in ginocchio, ansimando. Adesso riusciva a vedere i due uomini: quello che teneva Yoyo sotto tiro era un asiatico grassoccio e con la barba; l’altro era magro, biondo e dai lineamenti slavi. Le loro pistole erano identiche a quella del loro capo. Zhao rise sommessamente. Sposto i setosi capelli neri dalla fronte e si erse in tutta la sua altezza. Poi inizio a girare intorno a Jericho. «State assistendo al trionfo dell’intelletto sulle emozioni, signori miei. Un capolavoro di pianificazione. Solo cos possiamo spiegare perche un uomo, che mi aveva praticamente in pugno, adesso e in ginocchio davanti a noi. Stiamo parlando di un detective, sia chiaro. Di un professionista.» L’ultima parola usc dalle sue labbra come se fosse uno sputo. «In ogni caso, la sua visita e assai gradita, perche ci offre la possibilita di sapere qualcosa di piu. Per esempio potremmo chiedere a Mr Jericho quello che lui voleva chiedere a me.» Afferro Jericho per i capelli con la destra e lo attiro a se, cos vicino da fargli sentire il suo alito caldo. «Quella domanda sul mandante, intendo. Un argomento interessante. Di sicuro il nostro ospite non si e messo a cercare la piccola Yoyo di sua iniziativa. E allora chi e il tuo mandante? Oppure mi sbaglio, Jericho? Ma no, qualcuno avra lanciato il bastoncino. Corri a prenderlo, Jericho. Trova Yoyo. Bau, bau. C’e forse qualcun altro di cui mi devo occupare?»
Benche la situazione fosse tutt’altro che comica, Jericho rise. «Fossi in te, non perderei tempo con cose inutili.» «Hai perfettamente ragione.» Zhao sbuffo, lo spinse da parte e si avvicino a Yoyo, che ormai non si sforzava piu di nascondere la paura. Il suo labbro inferiore tremava, il sudore le imperlava le guance. «Percio dedichiamoci alla nostra simpatica rivoluzionaria e invitiamola a collaborare. Su, rispondi alla domanda che ti ho fatto poco fa. Dove si trova il tuo computer?» Yoyo indietreggio. I suoi lineamenti subirono una nuova metamorfosi, come se lei avesse appena fatto una scoperta sorprendente. Zhao esito, palesemente irritato. Nello stesso istante, Jericho ud un clic metallico. «Tu non farai proprio nulla», disse una voce. Zhao si giro di scatto. Due uomini e una donna, vestiti da motociclisti, erano entrati nella stanza e stavano puntando armi a tiro rapido su di lui e sui suoi aiutanti. Il primo dei nuovi arrivati era un gigante, con una cassa toracica enorme e tozza, braccia da gorilla e un emisfero rasato al posto del cranio. Un’artistica applicazione blu decorava la punta del mento, come una barba posticcia da faraone. A Jericho si fermo il respiro. Daxiong lo aveva mandato a spasso nell’inferno, ma in quel momento nessun incontro gli sarebbe stato piu gradito. Sei coreani che le avevano prese da un cinese ... penso. Gli occhi a fessura di Daxiong si posarono su Yoyo. «Vieni qui», le intimo. «Voi invece rimanete dove...» La sua voce si spense. Solo in quel momento il gigante si rese conto di cio che era accaduto. Il suo sguardo passo dal cadavere dilaniato di Jn al corpo di Maggie, grottescamente accovacciato sul pavimento. Gli occhi si dilatarono un poco. «Li hanno uccisi loro», esclamo la ragazza, piangendo. Era pallida come un lenzuolo. «Merda», sibilo l’altro ragazzo. «Oh, merda!» I pensieri di Jericho si rincorrevano come cani randagi e le ipotesi si affastellavano nella sua mente. I killer, i City Demons, Zhao che stava rigido e in agguato e lo sguardo di Yoyo che si fissava, a turno, su ognuno dei presenti. Nessuno osava muoversi per paura di rompere quel fragile equilibrio, dato che l’esito non poteva che essere tragico. Tocco a Yoyo agire. Si sposto verso Daxiong, passando lentamente davanti a Zhao. Quest’ultimo non si mosse. La segu solo con gli occhi. «Ferma.» Lo disse sottovoce, e fu poco piu di un sibilo, udibile nonostante il rumore dell’airbike, il respiro affannoso degli altri, il martellamento nella testa di Jericho. Yoyo si fermo. «No, vieni da me», esclamo Daxiong. «Non fermarti...»
«Non sopravvivrete», lo interruppe Zhao. «Non potete ucciderci tutti, quindi non provateci nemmeno. Dateci quello che vogliamo, diteci quello che vogliamo sapere, e ci toglieremo dai piedi. Nessuno si fara del male.» «Come Jn?» disse la ragazza armata, piangendo. «Come Maggie? » «È stato inevitabile... No, no!» Lei aveva inclinato la pistola in modo quasi impercettibile e il pachiderma asiatico aveva istantaneamente spostato la canna della sua arma, puntandogliela alla testa. Daxiong e l’altro City Demon reagirono nello stesso modo. La mandibola del biondo sembro macinare qualcosa. Zhao sollevo una mano in un gesto implorante. «È stato versato abbastanza sangue... Yoyo, ascolta, tu hai visto qualcosa che non avresti dovuto vedere. Una coincidenza, una stupida coincidenza, ma e un problema che possiamo risolvere. Mi serve il tuo computer e devo sapere con chi hai parlato. Nessun altro morira, te lo prometto. Basta che mi dici tutto.» Stai mentendo, penso Jericho. Ogni tua parola non eche un inganno. Indecisa, Yoyo si giro verso Zhao e scorse il volto di un demone. «S, cos, Yoyo, brava!» annu lui. «Se collabori, non accadra nulla a nessuno. Avete la mia parola.» «Cazzate!» grido il giovane accanto a Daxiong. «Tutte cazzate. Ci uccideranno non appena...» «Attento a come parli!» urlo il biondo. Il tizio grasso scalpitava. «Kenny, lascia perdere. Facciamoli fuori e basta.» «Bastardo. Prima ti ammazziamo noi...» «Silenzio!» «Una parola. Ancora una parola e io...» «Basta. Smettetela tutti!» Gli occhi guizzavano da una parte all’altra, le dita si tendevano sui grilletti. Come se la stanza fosse satura di un gas in fiammabile e tutti fossero in attesa che qualcuno faccia scoccare una scintilla, penso Jericho. Ma l’autorita di Zhao teneva tutti sotto scacco. L’esplosione si faceva attendere. Per ora. «Per favore. Dammi il tuo computer.» Yoyo si passo la mano sul viso e le lacrime si mescolarono al muco. «Poi ci lascerai andare?» «Tu rispondi alle mie domande e dammi il tuo computer.» «Ho la tua parola?» «S. Poi vi lasceremo andare.» «Prometti che non succedera niente a Daxiong, ne a Yn Zy e ne a Tony. E neanche all’altro.»
Che premurosa, penso Jericho. «Non ascoltarlo», disse. «Zhao non...» «Non sono mai venuto meno alla parola data», lo interruppe Zhao, senza prestargli attenzione. Il suo tono era cordiale e sincero. «Ascolta, io sono addestrato a uccidere. Come qualsiasi poliziotto, qualsiasi soldato, qualsiasi agente. La sicurezza nazionale e un bene piu prezioso di una singola vita umana, questo lo capisci anche tu, ne sono certo. Ma io mantengo le promesse. » «Se gli dai il computer, ci ammazzera tutti», osservo Jericho nel tono piu calmo possibile. «Io sono tuo amico. Mi ha mandato tuo padre.» «Sta mentendo.» La voce di Zhao si fece piu insinuante. «Sai una cosa? Dovresti temere quell’uomo molto piu di me. Ti sta ingannando. Ognuna delle sue parole e una menzogna.» «Ti uccidera», ribad Jericho. «Deve solo provarci», sbuffo il giovane che si chiamava Tony. Sporse il mento in avanti in segno di sfida, ma la sua voce e la pistola che aveva fra le mani tremavano impercettibilmente. Yn, la ragazza, inizio a singhiozzare senza ritegno. «Dagli quel cazzo di computer!» «Non farlo», insistette Jericho. «Se non sa dove si trova, e costretto a tenerci in vita.» «Stai zitto!» ringhio Daxiong. «Falla finita e dagli quel maledetto computer!» grido Yn. Yoyo si avvicino al tavolo. Le sue dita scivolarono su un apparecchio poco piu grande di una barretta al cioccolato, collegato a una tastiera e a un monitor. «Stai commettendo un errore», mormoro Jericho avvilito. Le forze lo stavano abbandonando. «Ti uccidera.» Zhao lo guardo. «Come tu hai ucciso Grand Cherokee Wang, Jericho?» «Io... come?» Yoyo si blocco. Jericho scosse la testa. «Stronzate. Sta mentendo. È stato lui a...» «Chiudi il becco!» grido il pachiderma asiatico, puntandogli contro la pistola. Jericho riusciva a vedere con sorprendente chiarezza ogni singola goccia di sudore che formava uno scintillante reticolato di perle sulla fronte del killer. Daxiong sposto la pistola verso Zhao, che grido: «No!» La scintilla era scoccata. Jericho vide Tony sollevare l’arma, poi il ragazzo esplose due colpi in rapida successione e l’asiatico crollo a terra. La pistola del biondo fece fuoco con un botto assordante, disintegrando per meta il volto di Tony. Il suo corpo cadde in avanti, coprendo la visuale a Daxiong, mentre Yn urlava come un’ossessa e Yoyo si precipitava verso la porta. Zhao tento di afferrarla, la manco e cadde sul pavimento. Allora Jericho si tuffo a terra per recuperare l’arma e riusc ad afferrare la canna, ma Zhao fu piu veloce di lui,
mentre Yn sparava all’impazzata, costringendo il biondo a cercare riparo dietro il tavolo. Jericho si abbasso. Daxiong si precipito in avanti, scivolo sul sangue di Jn Jia Wei e cadde, picchiando la testa e travolgendo il detective. Una raffica di colpi perforo il pavimento accanto a lui. Carponi, Jericho si allontano dal gigante privo di sensi e vide che Yn scavalcava il cadavere di Tony, urlando e sparando alla cieca, come una dea della vendetta. Un attimo dopo, una fontana rossa zampillava nel punto in cui prima si trovava il suo braccio destro. Il colpo di pistola di Zhao, che stava correndo verso la porta, riecheggio nella stanza. Yn vacillo. Con lo sguardo vitreo e un’espressione di mite sorpresa dipinta sul volto, ruoto su se stessa e riverso il suo sangue sul biondo, accecandolo. L’uomo sollevo la mano per proteggersi, tento di scansare la ragazza, ma perse l’equilibrio. Jericho si alzo. Ai suoi piedi, il braccio amputato sussultava e, all’improvviso, lui ebbe la bizzarra sensazione di assistere a uno spettacolo teatrale. Con sollievo, sent che una parte di lui stava per capitolare. Poi fu come se una macchina avesse preso il comando dei suoi pensieri e dei suoi movimenti. Si chino, tolse l’arma dalle dita afflosciate della ragazza, la punto contro il killer che era inciampato e sparo. Era scarica. Con un urlo disumano, il biondo si scrollo di dosso il corpo esanime della ragazza, cerco a tastoni la pistola e prese a sparare alla cieca. Jericho si porto fuori dalla linea di tiro e lo colp sulla testa col calcio della pistola. Poi, senza degnarlo di uno sguardo, scavalco i cadaveri e si precipito fuori. Con rammarico, Kenny-Zhao penso a come tutto si fosse complicato. Aveva rintracciato il computer e la ragazza. Farle confessare i nomi delle altre persone di cui lui avrebbe dovuto occuparsi sarebbe stato questione di pochi minuti. Kenny era sicuro che Yoyo fosse assai sensibile al dolore. Gli avrebbe rivelato in fretta quello che voleva sapere. Un lavoro rapido. Invece era spuntato Owen Jericho, come un coniglio dal cilindro di un prestigiatore. Cosa aveva spinto il detective fin l? Lui, Kenny, aveva forse sbagliato qualcosa nel suo travestimento? Be’, al momento era irrilevante, comunque. L’altoforno si stagliava, scuro e imponente, davanti a lui. Tra Yoyo e la scala sottostante erano parcheggiate due airbike. Nella confusione, la ragazza aveva esitato un attimo di troppo per capire quale fosse la strada piu breve, cos Kenny aveva potuto raggiungere l’esterno, bloccandole ogni via di fuga. La torre a traliccio non offriva altre possibilita d’uscita. Percio Yoyo si era portata sull’altro lato, utilizzando il ponte che collegava la centrale e l’altoforno, e finendo in mezzo alla giungla di passerelle, apparecchiature e tubi che avvolgevano il crogiolo di fusione.
L’uomo la segu senza troppa fretta. Una scala collegava ogni livello dell’impalcatura del forno a quello superiore, ma verso il basso la strada era bloccata da un’impalcatura di sostegno che er crollata. Anche Yoyo, pero, si era resa conto dell’errore. Indietreggio lentamente, spostando di continuo lo sguardo da Kenny alla cima della torre. Lui ricomincio a sentirsi sicuro della vittoria. Si fermo. «Io non volevo tutto questo», grido. I lineamenti di Yoyo si contrassero. Per un attimo, lui credette che sarebbe di nuovo scoppiata in lacrime. «Tanto non avevo nessuna intenzione di consegnarti quell’affare», grido lei di rimando. «Yoyo, mi dispiace!» «Allora vattene!» «Sono venuto meno alla parola data?» Mise in quelle parole tutto il rammarico di cui era capace. «Dimmi, l’ho fatto?» «Vaffanculo!» «Perche non ti fidi di me?» «Chi si fida di te e spacciato!» «Sono stati i tuoi amici a cominciare. Cerca di essere ragionevole: voglio solo parlare con te.» Yoyo guardo dietro di se, in alto e poi fisso di nuovo lo sguardo su Kenny. Aveva quasi raggiunto la scala che portava al piano superiore. Lui appoggio la pistola a terra e le mostro i palmi. «Basta violenza, Yoyo. Niente piu spargimenti di sangue. Te lo giuro.» Yoyo esito. Avanti, penso lui. Non puoi scendere. Sei in trappola, piccola. Piccola stupida e indifesa. D’un tratto, pero, la piccola gli apparve tutt’altro che stupida e indifesa. Confuso, si chiese chi stesse conducendo il gioco. La ragazza sembrava sotto shock, eppure il suo atteggiamento, mentre si avvicinava alla scala, non ricordava in nulla quello della povera Yoyo che, solo pochi minuti prima, era disposta a consegnargli il computer. Nei suoi movimenti felini, Kenny riconobbe la stessa disciplina su cui lui stesso aveva lavorato per anni: un misto di tenacia, diffidenza, volonta di sopravvivere e scaltrezza. Yoyo era piu forte di quanto lui avesse pensato. Nel momento in cui lei salto sulla scala, Kenny cap che ogni altro tentativo di mediazione sarebbe stato una perdita di tempo. Se mai era esistita una possibilita di convincere la ragazza con le buone, ormai si era dissolta. Raccolse l’arma. Sent il rombo di una turbina. Si volto e vide Owen Jericho in sella a un’airbike, impegnato nel tentativo di avviarla. Kenny riflette e decise che Yoyo aveva la priorita. Ignoro il detective e si mise all’inseguimento della ragazza, i cui passi facevano sussultare la passerella sopra di
lui. Raggiunse il livello superiore e si ritrovo in un corridoio fatto di traverse e tubature. Poi intravide i capelli svolazzanti della ragazza appena prima che lei scomparisse dietro un pilastro arrugginito. Poco dopo, i suoi passi martellavano gia il piano superiore. Stava iniziando a perdere la pazienza. Era ora di farla finita. La insegu, piano dopo piano, fino al punto in cui non si poteva andare oltre. Alcuni metri sopra di lei, il forno si assottigliava e terminava in una campana, nella quale, in passato, venivano versati il coke e i minerali grezzi. In cima si ergeva una tortuosa struttura piena di angoli, che culminava nella maestosa ciminiera visibile anche da molto lontano. Alcuni sostegni verticali conducevano al punto piu alto, a circa settanta metri di altezza. Oltre c’era solo il cielo. Non c’era via di scampo, a meno che non si avesse il fegato di camminare in equilibrio per una ventina di metri su un tubo inclinato verso il basso e di spiccare quindi un salto di altri dieci metri, cos da raggiungere l’enorme serbatoio sottostante. Tese l’orecchio. Era sorprendentemente silenzioso lassu, come se il vago e lontano frastuono della grande citta e i rumori di sottofondo di Xaxus fossero un mare ondeggiante sotto di lui. Da qualche parte, nella stratosfera, risuonavano le turbine dei grandi aeroplani. Kenny alzo lo sguardo. Yoyo era scomparsa. Poi la vide arrampicarsi, con l’agilita di una scimmia, ai sostegni. Comprese allora che c’era una via di fuga. Accanto alla campana scorse un nastro trasportatore, che collegava la bocca del forno col suolo. Era ripido ma percorribile. Maledetta mocciosa! Aveva davvero bisogno di catturarla viva? Yoyo aveva teso la mano verso il suo computer, quindi non c’erano dubbi su quale fosse. L’apparecchio si trovava ancora nella centrale... Gia, pero, Kenny non sapeva con chi Yoyo avesse parlato di quella faccenda. E doveva scoprirlo. Imprecando, riprese a salire. Ud un rombo avvicinarsi. Aggrappandosi alla struttura reticolare con una mano e reggendo la pistola con l’altra, si volto. L’airbike era lanciata contro di lui. Jericho aveva tentato di avviare il motore della prima airbike, ma era un modello nuovo, diverso da quelli che lui conosceva: i comandi erano integrati in un display e gli elementi meccanici erano completamente spariti. Allora era saltato sulla seconda airbike, rimasta accesa, e si era messo a premere sul touchscreen. La fortuna gli aveva sorriso... ma fino a un certo punto. Il mezzo aveva reagito con l’impeto di un toro infuriato, tentando di disarcionarlo. Lui pero aveva stretto le manopole. Nei modelli piu vecchi erano orizzontali; quelle invece erano ripiegate verso l’alto ed era possibile ruotarle in tutte le direzioni. Il veicolo aveva cominciato a girare vorticosamente su se stesso, con le spie che lampeggiavano come in una slot-
machine. Jericho ne aveva toccate due a caso, riuscendo a fermare la giostra; in compenso, era stato scagliato verso la facciata della centrale. Subito prima della collisione, pero, era riuscito a spostare il peso e a compiere una virata di centottanta gradi. Poi aveva perlustrato lo spazio circostante. Nessuna traccia di Yoyo e di Zhao. A poco a poco, aveva preso confidenza col mezzo. Prima era salito di quota, ma si era dimenticato di orientare gli ugelli in modo sincronizzato e l’airbike era schizzata verso il cielo, come un missile. Allora aveva affannosamente cercato di correggere l’errore e infine aveva ripreso il controllo, effettuando un’ampia virata e tenendo d’occhio l’altoforno. Eccoli. Yoyo era riuscita a salire fino alla campana e si trovava nel punto in cui iniziava il nastro trasportatore. Zhao era aggrappato alla struttura, un paio di metri sotto di lei. Jericho era sceso di quota, nella speranza che la ragazza capisse le sue intenzioni. Aveva poi visto Zhao trasalire e incassare la testa tra le spalle. A mezzo metro da lui, sterzo bruscamente, descrisse un cerchio e si diresse di nuovo verso il forno. Yoyo era sul bordo del nastro trasportatore e sembrava perplessa. Jericho ne comprese il motivo quando sorvolo il nastro. Una parte della costruzione era crollata: al posto di rulli e traverse, c’era il vuoto. Per parecchi metri erano rimasti intatti solo i montanti laterali. Arrivare a terra avrebbe richiesto l’abilita di un funambolo. Yoyo era in trappola. Si maledisse ad alta voce. Perche non aveva sottratto la pistola al biondo? C’erano armi sparse ovunque nella centrale. Irritato, vide la testa e le spalle di Zhao sollevarsi oltre il bordo. Con un balzo, l’uomo raggiunse la campana. Yoyo indietreggio, si mise carponi, abbraccio i montanti del nastro trasportatore e si spinse in avanti, fino a toccare coi piedi una sbarra. Quindi cerco una posizione stabile, si aggrappo e comincio la discesa, metro dopo metro... Scivolo. Sussultando, inorridito, Jericho la vide cadere. All’ultimo momento, pero, lei riusc ad afferrare la sbarra su cui era stata in piedi poco prima. Ma adesso Yoyo penzolava nel vuoto, a settanta metri di altezza. Zhao la fissava dall’alto. Poi si sporse dall’impalcatura. «Brutto errore», ringhio Jericho. «Bruttissimo errore!» Le sue ghiandole surrenali iniziarono a rilasciare fiumi di adrenalina, il battito cardiaco e la pressione sanguigna raggiunsero livelli inimmaginabili. Travolto da un’ondata di rabbia, accelero l’airbike, puntando dritto su Zhao, che in quel momento si stava accovacciando e sembrava intenzionato a scendere verso Yoyo.
Il killer lo vide arrivare. Si blocco, esterrefatto. La motocicletta sfreccio oltre il nastro trasportatore. Chiunque altro sarebbe stato spazzato via, ma lui riusc a riguadagnare il bordo della campana con un salto. La sua arma cadde nel vuoto. Jericho sterzo e vide il biondo che usciva dalla centrale, barcollando, e saliva su un’airbike. Non c’era tempo per occuparsi anche di lui. Le dita di Jericho guizzavano in ogni direzione. Dov’era quel comando sul display... Ah, no, sbagliato, quello doveva farlo con le manopole, o forse no. Doveva soltanto spostare la manopola destra verso il basso... Troppo. Il veicolo precipito come un sasso. Imprecando, Jericho riusc a riprendere il controllo, sal di quota, accelero e subito dopo rallento di nuovo fino a ritrovarsi proprio sotto Yoyo, che agitava disperatamente le gambe. «Salta!» le grido. Col volto contratto per lo sforzo, lei lo guardo, mentre le sue dita perdevano la presa, millimetro dopo millimetro. Una raffica di vento invest la motocicletta, portandola lontano. La struttura vibro. Zhao salto giu dal bordo della campana con un movimento aggraziato e atterro in piedi sulla sbarra. Evidentemente non soffriva di vertigini. Poi abbasso la destra per afferrare il polso di Yoyo. Jericho corresse la sua posizione e l’airbike torno verso la ragazza. «Salta, dannazione. Salta!» Il piede destro di Yoyo colp Jericho alla tempia, privandolo della vista e dell’udito per un attimo. Adesso era di nuovo sotto di lei. Guardo in alto e vide le dita di Zhao tendersi e sfiorare le nocche della ragazza. Yoyo mollo la presa. Fu come se qualcuno avesse scaraventato un sacco di cemento sull’airbike. Se Jericho pensava che la ragazza sarebbe elegantemente planata sulla sella dietro di lui, fu costretto a ricredersi. Yoyo si aggrappo al suo giubbotto, scivolo e rimase appesa. Afferrandola con entrambe le mani, Jericho la tiro su, mentre la motocicletta precipitava verso terra. Lei grido qualcosa. Suonava come un «Forse...» Forse? Il rumore delle turbine aumento fino a diventare un rombo. Jericho sent le dita di Yoyo ovunque, nei vestiti, tra i capelli, sul viso. Il terreno polveroso si avvicinava a una velocita vertiginosa. Si sarebbero sfracellati al suolo. Ma non accadde nulla. Evidentemente Jericho doveva avere azionato i comandi giusti, perche nel momento in cui sent le mani di Yoyo stringersi intorno alle spalle e il suo corpo contro la schiena, la motocicletta schizzo di nuovo verso l’alto.
«Forse...» Una folata di vento porto via le sue parole. Da sinistra si stava avvicinando il biondo. Il suo volto era una maschera di sangue con due occhi chiari che li fissavano, pieni di odio. «Cosa?» grido lui. «Forse, la prossima volta, dovresti imparare prima come si guidano questi affari, cretino!» grido Yoyo. Daxiong rinvenne. Il suo primo impulso fu chiedere a Maggie un cappuccino, con tanto zucchero e tanta schiuma. Per quello erano andati l. Per fare colazione insieme, da quando Yoyo aveva eletto l’Andromeda a «residenza estiva», come diceva Daxiong, scherzando. Solo che in quei giorni avevano ritenuto piu saggio trasferirsi per un po’ nell’acciaieria. Maggie portava il caffe solo per lui. Gli altri - Tony, Yoyo, Yn e Jn e la stessa Maggie preferivano il te, come tutti i cinesi. A colazione mangiavano wonton e baozi, divoravano pancetta di maiale e pasta in brodo, trangugiavano gamberetti mezzi crudi... Insomma tutto quello che la cucina cinese aveva da offrire. Il cuore di Daxiong, invece, per motivi inspiegabili, batteva per la Francia e per il profumo burroso dei croissant appena sfornati. Negli ultimi tempi, fantasticava addirittura di avere geni francesi, cosa che chiunque lo avesse visto in faccia avrebbe potuto negare con decisione, dato che i suoi tratti erano senza dubbio mongoli. Yoyo non si stancava mai di elencargli i pregi della Cina autentica che, sosteneva, non aveva nessun bisogno della cultura importata dall’Occidente. Daxiong la lasciava parlare. Per lui, la giornata cominciava comunque con una generosa porzione di schiuma di latte. E infatti Maggie aveva urlato: «Colazione!» mentre Yn gridava e piangeva. Perche? Ah, gia, aveva sognato. Qualcosa di terribile. Perche si sognavano certe cose? Lui, Yn e Tony avevano raggiunto l’altoforno seguendo il richiamo di Maggie, quando due di quelle motociclette volanti - troppo costose perche qualcuno di loro potesse permettersele - erano atterrate sulla piattaforma della centrale, dov’era gia parcheggiata una terza moto. Incredibile. Daxiong aveva cercato di contattare Maggie, per chiederle chi fossero quei tizi, ma lei non aveva risposto. Allora avevano deciso di estrarre le armi dal vano sottosella, in caso ci fossero guai in vista. Che strano sogno. Erano a una festa. Tutti si divertivano, ma Jn non riusciva a divertirsi perche di lui non era rimasto granche, e Maggie aveva mal di pancia. A Tony mancava meta faccia. Ah, ecco, forse era quello il motivo per cui Yn aveva cominciato a urlare... ma chi erano quelle persone? Daxiong spalanco gli occhi. Kenny Xn ardeva di rabbia. Salto le impalcature, i sostegni e le scale con l’agilita di una scimmia e atterro sulla piattaforma. La sua airbike era ancora l, col motore acceso. Piu in
basso Jericho cercava di prendere il controllo del velivolo che aveva rubato, votando se stesso e Yoyo a morte sicura. Jericho, una vera spina nel fianco. Ammazzatevi pure, penso Kenny. Ho il computer, Yoyo. Con chi potrai mai averne parlato oltre a un paio dei tuoi amici... che adesso sono morti? Non ho piu bisogno di te. Poi vide Jericho riprendere il controllo del veicolo, salire di quota e allontanarsi dall’altoforno... Finche qualcosa non lo scaravento lontano. Il biondo. Kenny inizio a fargli cenni frenetici. «Ammazzali!» grido. «Falli fuori!» Non sapeva se il biondo l’avesse sentito. Si diede uno slancio oltre il parapetto della passerella, atterro con un rumore assordante sull’acciaio della piattaforma e corse verso la moto. La turbina era accesa. Jericho aveva toccato qualcosa? Le altre due airbike si stavano allontanando dal suo campo visivo a tutta velocita e lui s’infilo nel labirinto di tubi dell’acciaieria. Oriento verticalmente gli ugelli. Il velivolo sibilo e vibro. «Andiamo !» grido. L’airbike decollo. D’un tratto, Kenny percep una corrente d’aria sfiorargli la testa. Giro il mezzo e vide il gigante rasato precipitarsi fuori dalla centrale e sparare all’impazzata, un’arma in entrambe le mani. Lo attacco in picchiata. Lui si getto a terra. Poi, ansimando, Kenny riporto l’airbike in quota per seguire gli altri. Daxiong si rialzo. Il cuore gli batteva in modo incontrollabile, il sole bruciava, impietoso. Oltre le luccicanti distese di scorie, le airbike diventavano sempre piu piccole, eppure era evidente che una delle due stava incalzando l’altra, tentando di costringerla all’atterraggio. Nella centrale, c’era il cadavere di un killer. Ma allora chi guidava la motocicletta in fuga? Yoyo? Riflettendo su quello che aveva visto, si precipito lungo i gradini. A parte lui, e forse Yoyo, nessuno dei Guardiani era sopravvissuto al massacro. Gli altri City Demons non sapevano nulla della doppia vita dei sei Guardiani, anche se di sicuro sospettavano qualcosa. Erano stati lui e Yoyo a fondare i Demons, cos da avere una copertura. Una banda di motociclisti non avrebbe destato sospetti, di certo non sarebbe stata messa in relazione con un gruppetto d’intellettuali sovversivi. Potevano incontrarsi senza problemi, specialmente a Quyu. L’anno precedente tre nuovi membri si erano uniti al gruppo. Forse era arrivato il momento della loro iniziazione, penso Daxiong, mentre posava il suo quintale e mezzo sulla moto. Del resto, non aveva scelta. Chiunque fosse il loro nemico, di fatto i Guardiani erano stati spazzati via. Mise in moto e seleziono un numero. All’altro capo della linea il telefono squillo. A lungo, troppo a lungo. Poi rispose la voce di un giovane. «Dove cazzo eri finito?» sbraito Daxiong.
Liao Ye rispose sbadigliando. Poi chiese qualcosa. «Non fare domande, Liao», disse Daxiong in tono concitato. «Chiama Hu Xiaotong e Ma Mak. Subito. Andate all’altoforno e portate via dalla centrale tutto quello che trovate: computer, display...» Il ragazzo balbetto una replica e Daxiong cap che lui non sapeva dove fossero gli altri. «Allora trovali!» grido. «Ti spiego dopo... Come?... No, non portare quella roba all’Andromeda, e nemmeno in officina. Fatti venire in mente qualcosa. Un posto che non possa essere collegato a noi. Ah, Liao, un’altra cosa...» Deglut. «Troverete dei cadaveri. Cercate di controllarvi, okay?» Interruppe la chiamata prima che Liao potesse fare altre domande. Quando l’airbike del biondo la sperono, la moto di Jericho ebbe un sussulto. Aveva tentato piu volte di dirigersi verso lo spazio sovrastante il complesso residenziale degli operai, ma ogni volta il biondo lo aveva costretto a tornare indietro, fissando Jericho e Yoyo con uno sguardo selvaggio e cercando di puntare l’arma contro di loro. In basso, si estendeva il paesaggio lunare delle distese di scorie. Jericho provo nuovamente una virata a sinistra. Il biondo accelero e lo costrinse nella direzione opposta. «Mi spieghi dove stai andando?» grido Yoyo nel suo orecchio. «Voglio seminarlo!» «All’aperto non ce la farai mai. Fallo entrare nella fabbrica!» L’airbike del biondo sfreccio verso l’alto e poi scese in picchiata verso di loro. Proprio sopra di se, Jericho scorse il ventre dell’orca su cui sedeva il killer; allora scese, portandosi vicinissimo al terreno. Il mezzo oscillo con violenza. «Stai attento, accidenti!» grido Yoyo. «So quello che faccio!» Schiumava di rabbia, ma in effetti non era affatto sicuro di quello che stava facendo. Davanti a loro si stagliava una gigantesca ciminiera. «A destra!» strillo Yoyo. «Vai a destra!» La motocicletta del biondo li spinse ancora piu in basso. L’airbike sfioro il tappeto di scorie, sobbalzo e inizio a sbandare violentemente, poi oltrepasso la ciminiera, trovandosi di fronte un capannone delle dimensioni di un hangar. Non c’era modo di schivarlo ne di sorvolarlo. Jericho e Yoyo erano troppo vicini, davvero troppo vicini. E non avevano nessuna possibilita d’invertire la direzione... Invece ce l’avevano. Il portone d’ingresso del capannone era semiaperto. Un attimo prima dello schianto, Jericho sterzo e s’infilo all’interno. Liao Ye attraverso il salone dell’Andromeda, immerso nella penombra. Correva a perdifiato.
Non fare domande. Niente domande, pensava. Era abituato a quelle uscite di Daxiong e non se n’era mai lamentato. Liao era un novizio dei City Demons, l’ultimo arrivato, il piu giovane del gruppo. Rispettava Daxiong, Yoyo, Yn, Maggie, Tony e Jn Jia. E pure Ma Mak e Hu Xiaotong, sebbene fossero entrati nel club soltanto in seguito, dato che Daxiong era stato il fondatore e Yoyo aveva subito assunto il ruolo di vicepresidente. Ma Liao non era uno stupido. Era nato all’interno del complesso residenziale poco dopo la chiusura dell’acciaieria e non aveva avuto un’istruzione, una mancanza compensata da una stretta familiarita con Xaxus e i suoi abitanti. Non aveva mai creduto che i Demons fossero semplicemente un club di motociclisti. Anche Daxiong veniva da Quyu, ma si muoveva sul confine tra il mondo che aveva accesso alla rete e quello che ne era tagliato fuori. Nessuno metteva in dubbio che un bel giorno si sarebbe svegliato dall’altra parte, sarebbe salito su un’automobile elegante e avrebbe raggiunto un grattacielo climatizzato per dedicarsi a un’attivita ben retribuita. Invece Yoyo, Maggie, Yn Zy, Tony e Jn erano estranei a Quyu, proprio come un quartetto d’archi sarebbe stato fuori posto all’Andromeda. Nella vecchia centrale di comando avevano allestito una sorta di Cyber Planet per privilegiati, e Yoyo vi aveva portato quei costosissimi computer pieni di giochi spettacolari, ma non era una di loro. Lei frequentava l’universita. Tutti e cinque erano iscritti all’universita, impegnati in un corso di studi che i loro genitori giudicavano «sensato». I genitori di Liao Ye, invece, non si occupavano molto di lui. Aveva sedici anni e avrebbe potuto tranquillamente vivere sulla Luna. Il lavoro nell’officina di Daxiong e i City Demons erano tutto cio che aveva; appartenere a quel gruppo lo rendeva felice. Ecco perche non aveva fatto domande. Non aveva voluto sapere se lui, Hu e Ma servissero soltanto per nascondere le attivita di una piccola organizzazione di studenti cospiratori. Non aveva voluto sapere cosa combinavano quei sei durante le loro frequenti riunioni nella centrale, quando lui, Hu e Ma non erano presenti. E non aveva voluto saperlo fino a pochi giorni prima, quando Yoyo si era presentata in officina con l’aria stravolta. Quel giorno aveva fatto delle domande a Daxiong. La risposta era stata quella che si aspettava. «Non fare domande. » «Voglio solo sapere se posso essere d’aiuto.» «Yoyo e nei guai. Per il momento, puoi soltanto restare in officina ed evitare la centrale.» «Che tipo di guai?» «Non fare domande.» Non fare domande. Ma tre giorni dopo era spuntato quel tizio coi capelli biondi e con gli occhi azzurri e Daxiong piu tardi aveva detto che sembrava uno... scandivo? No, uno scand-
inavo, ecco. Liao aveva parlato con quell’uomo, venendo cos a sapere che voleva trovare l’Andromeda. «Forte», aveva detto successivamente a Daxiong. «Mi sa che l’hai mandato dritto al cimitero. Perche l’hai fatto?» «Non fare...» «Invece s. Voglio sapere.» Daxiong si era grattato la testa, il mento, le orecchie, aveva iniziato a giocherellare con la barba posticcia e alla fine aveva brontolato: «Puo darsi che riceveremo visite sgradite. Brutta gente». «Gente come il tipo di prima.» «Esatto.» «E cosa vogliono da noi? Intendo dire, cosa vogliono da voi? Cosa avete combinato voi... sei?» Daxiong l’aveva guardato a lungo. «Se nei prossimi giorni ti confidero alcune cose, piccolo Ye, tu terrai la bocca chiusa e non ne parlerai con nessuno?» «Okay.» «Nemmeno con Ma o con Hu?» «Okay.» «Ho la tua parola?» «Certo. Ehm... di cosa si tratta?» «Non fare domande.» Eppure persino in quel memorabile giorno la risposta standard di Daxiong non aveva avuto quel tono arrabbiato e disperato di poco prima. Cio che Liao sospettava da tempo sembrava trovare conferma. Quei sei erano cospiratori. Rabbrividendo, attraverso il locale, ancora sottosopra dopo il concerto del giorno precedente, ingombro di resti di cibo, bottiglie, mozziconi di sigarette e siringhe. Il tanfo di alcol, fumo e urina gli penetro con forza nelle narici. Riflette che Ma Mak e Hu Xiaotong erano stati al concerto come lui. Poi, dato che stavano insieme da un mesetto, ci avevano dato dentro alla grande. Solo alle prime ore del mattino Liao aveva raggiunto - completamente rintronato - la «residenza estiva» di Yoyo. Ancora adesso gli sembrava di avere la testa immersa in un acquario, con l’acqua che traboccava a destra e a sinistra a ogni movimento. Ma Daxiong si fidava di lui. «Troverete dei cadaveri...» Doveva essere successo qualcosa di terribile. Liao aveva una mezza idea su dove fossero gli altri due. Ma Mak viveva coi genitori e coi fratelli tra le rovine di una casa ai margini del complesso industriale. La sua famiglia divideva un’unica stanza, mentre Hu Xiaotong abitava da solo in una specie di caverna non lontano da l. Di sicuro li avrebbe trovati la.
Barcollo fuori, accecato dalla luce del giorno, socchiuse le palpebre e attraverso di corsa il piazzale per raggiungere la sua motocicletta. All’interno del capannone, regnava un’atmosfera crepuscolare. Il locale era di dimensioni colossali, alto venti o trenta metri, con pareti rivettate e travi d’acciaio. Alcune grandi scaffalature suggerivano che quello fosse il magazzino in cui, in passato, veniva stoccato l’acciaio dopo il processo di fusione. Dietro di loro riecheggiarono numerosi spari, le cui onde sonore rimbalzarono sulle pareti e sul soffitto. «Dannazione, stai attento a dove vai», urlo Yoyo. Lui si giro e vide che il biondo recuperava terreno. «Abbassati !» Altri proiettili attraversarono il capannone. Strappando un ululato alla turbina, Jericho si lancio verso la parete di fondo, dove c’era un altro portone, alto sino al soffitto e fortunatamente aperto. Oltre l’apertura, s’intravedeva un altro locale, ancora piu buio. Poi dall’oscurita emerse qualcosa che sembrava una gru. «Attento!» «Per la miseria, vuoi chiudere il becco?» «Piu in alto! Piu in alto!» Jericho obbed e, con una parabola quasi impossibile, schivo la gru. D’un tratto, si ritrovarono appena sotto il soffitto. Allora Jericho oriento gli ugelli nella direzione opposta. Il veicolo s’inclino, sfreccio verso il basso e inizio a girare vorticosamente su se stesso. Roteando come mulinelli, entrarono nel capannone adiacente. Jericho intravide il loro inseguitore oltrepassare il portone, poco al di sotto dell’architrave, poi il biondo punto nella loro direzione e li sperono. Tuttavia la sua manovra destabilizzante sort l’effetto opposto. Come per miracolo, l’airbike di Jericho e Yoyo riprese la sua corsa rettilinea. Jericho socchiuse le palpebre. Il capannone gli sembrava ancora piu vasto e piu alto del precedente. C’erano centinaia di rulli allineati sul pavimento, evidentemente una sorta di nastro trasportatore che conduceva a una struttura altissima, scura e imponente, che aveva l’aspetto di un torchio da stampa, ma di libri per giganti. Un lampo gli attraverso la mente. Un laminatoio. Quell’affare era una gabbia di laminazione dove i lingotti di ferro incandescenti venivano trasformati in lamine. Incredibile quante nozioni era in grado d’immagazzinare la memoria. Il biondo torno all’attacco, cercando di spingerli contro la parete. Lui lo guardo in faccia. Sul volto coperto di schizzi di sangue baluginava un ghigno. «Yoyo?» sibilo Jericho, fuori di se. «Cosa?»
«Tieniti forte!» Non appena la giovane si aggrappo a lui, Jericho sterzo bruscamente e colp con violenza l’airbike del biondo. Yoyo urlo e il parabrezza esplose, scagliando frammenti di vetro in tutte le direzioni, mentre il veicolo del killer fu scaraventato di lato e la sua arma scomparve nell’oscurita. Jericho non gli lascio il tempo di riprendere fiato e lo sperono una seconda volta, mentre sfrecciavano affiancati verso il laminatoio. «E, coi miei piu cordiali saluti, beccati questo!» grido. Al terzo tentativo, colp la coda dell’airbike, che si ribalto, avvicinandosi vorticando al laminatoio. Passandogli accanto, vide il killer agitare le braccia nel tentativo di riprendere il controllo e poi inclinarsi di lato. Jericho e Yoyo evitarono il colosso per un pelo, ma non udirono nemmeno il tremendo rumore dello schianto dell’airbike del loro avversario, perche il capannone fu invaso dal fragore di una raffica di spari. Jericho lancio un’occhiata nello specchietto retrovisore. Incredibile. In qualche modo, il biondo era riuscito a evitare la collisione e a riprendere il controllo del mezzo. L’airbike rimbalzo sui rulli del nastro trasportatore come un sasso sulla superficie di un lago, poi s’inclino di lato e disarciono il suo cavaliere. Davanti ai loro occhi, si apriva un altro portone. «Yoyo», chiamo Jericho. «Come diavolo facciamo a uscire da qui?» «Non si puo.» Il suo braccio teso gli indico qualcosa nell’oscurita di fronte. «Una volta attraversato quello, arrivi direttamente all’inferno.» Kenny Xn non si curo del motociclista solitario che tentava invano di seguirlo. Era un tipo ridicolo, enorme e goffo, una caricatura. Che sparasse pure l’intero caricatore al vento. Al momento opportuno, avrebbe rimpianto di essere nato. Cerco con lo sguardo le due airbike. Erano scomparse. Perplesso, volo in circolo sopra lo stabilimento. Sembrava che le due motociclette fossero state inghiottite dal cielo. L’ultima volta che le aveva viste, stavano volando intorno a un complesso di fabbricati dietro il quale svettava un’enorme ciminiera. Poi aveva perso le loro tracce. Il ridicolo rumore della moto del gigante si avvicinava. Per un attimo, Kenny prese in considerazione l’idea di lanciargli un paio di granate sulla testa. L’indice tocco un punto a lato del pannello di comando, facendo aprire un coperchio sopra il ginocchio destro del guidatore: un vano che custodiva un vero arsenale. Kenny ne ispeziono il contenuto: bombe a mano, una mitragliatrice... Con cautela - quasi con delicatezza -, le sue dita scivolarono sul calcio del lanciagranate M79, armato con proiettili incendiari. Tutte quelle airbike erano equipaggiate con simili armamenti. Anche quella di Jericho.
Cerco di non pensarci e guardo l’altimetro. Centottantotto metri. Ridusse la velocita e riprese la ricerca. Il cielo non poteva inghiottire nessuno cos, all’improvviso. Se non ci fosse stata un’apertura nel soffitto, sarebbe stato buio pesto. Invece raggi di luce accecante trafiggevano come lance l’interno del capannone, rivelando bizzarri dettagli dalle pareti, passerelle di metallo, scale, balconcini, terrazze, tubi, cavi, pannelli di protezione segmentati e rivettati, paratie aperte. Jericho arresto il veicolo sotto il punto in cui entrava la luce. Con un tenue sibilo, l’airbike fluttuo nell’aria impregnata dell’odore di ferro, ruggine e grasso lubrificante rancido. Jericho guardo verso l’alto. «Lascia perdere», esclamo Yoyo. L’eco della sua voce rimbalzo contro le pareti e il soffitto e si perse tra le strutture circostanti. «È pieno di griglie, lassu. Non riusciremo ad andare da nessuna parte.» Lui impreco e si guardo intorno. Non avrebbe saputo dire se quel capannone fosse ancora piu grande di quello che avevano appena attraversato, ma in ogni caso sembrava mastodontico, di dimensioni wagneriane, una Niflheim dell’era industriale. Lungo il soffitto, correvano travi di acciaio di circa un metro di diametro, dalle quali penzolavano cabine aperte simili a gondole, fissate agli ancoraggi con massicce cerniere e abbastanza grandi da offrire rifugio alla sua Toyota. Sulla volta del soffitto, spuntava dall’oscurita un tubo di almeno tre metri di diametro, che scendeva fino a meta altezza del capannone. Sul pavimento erano sparpagliate altre cabine e parecchi container erano ammucchiati lungo le pareti. Yoyo aveva ragione. L’insieme aveva qualcosa d’infernale. Un inferno freddo. Ancora stupito per le sue inaspettate reminiscenze sul laminatoio, Jericho cerco di capire a cosa era servito quel posto. L si fondeva la ghisa, in mastodontici convertitori. Sotto ognuno di essi si spalancavano tre enormi fauci rotonde e inclinate, aperture che sembravano passaggi per raggiungere il cuore del vulcano, normalmente illuminate del rosso e del giallo dei minerali incandescenti. Ora le tre fauci si stagliavano nell’oscurita, nere e misteriose. Un mondo spento. Al di la del portone, risuono il rombo dell’altra airbike. Si stava avvicinando. «Ehi, cosa ne dici di quello?» Yoyo si chino in avanti e indico la profonda apertura di uno dei convertitori. «La dentro non potra trovarci.» Jericho non rispose. I convertitori erano senz’altro abbastanza capienti da poter ospitare l’airbike e anche loro due. La bocca era sufficientemente ampia per riuscire a entrarci il serbatoio sottostante era convesso e profondo diversi metri. Tuttavia non gli piaceva l’idea di cacciarsi in quella che sembrava una trappola senza uscita. Decise di risalire verso il soffitto. «Se solo tu non fossi entrato qui dentro», lo rimprovero Yoyo.
«Se solo tu avessi portato con te il tuo computer, forse adesso non cercherebbero di ucciderci», rispose lui con lo stesso tono. Fra due travi d’acciaio appena sotto il soffitto si trovava una piattaforma transitabile. Da quel punto si poteva tenere sott’occhio quasi tutto il capannone. In basso, si spalancavano le bocche dei convertitori, separati da grandi paratie blindate. Raggi di sole illuminavano l’airbike, ne rivelavano i contorni, poi sparivano nuovamente. Con estrema attenzione, Jericho tocco i comandi e gli ugelli generarono una leggera controspinta, sufficiente per far arretrare il veicolo oltre il bordo della piattaforma. «Sta arrivando», sibilo Yoyo. Un cono di luce s’insinuo nel capannone. Il biondo aveva acceso il faro anteriore. Jericho posiziono l’airbike sulla piattaforma e ridusse la potenza del motore. Il sibilo si trasformo in un ronzio. Si sentiva quasi fiero delle sue abilita di guida. Avvolto dal rumore della propria moto, il biondo non li avrebbe sentiti. Inoltre erano immersi nella penombra. Parevano un grosso insetto in agguato. «E comunque... io ho portato con me il mio computer», sussurro Yoyo. Sbalordito, Jericho si giro verso di lei. «Credevo che...» «Quello non era il mio computer. Volevo solo farglielo credere. Il mio lo porto agganciato alla cintura.» Lui sollevo una mano per intimarle di tacere. Molto piu in basso, il loro inseguitore fluttuava sul suo mezzo, che emetteva un debole sibilo. Un potente fascio di luce fredda sondava l’ambiente. Jericho si chino in avanti. Il biondo guardo verso il soffitto senza accorgersi della loro presenza, poi scruto gli spazi tra i container. Nella mano destra stringeva un’arma. Li aveva persi? Jericho si blocco. Era improbabile che quell’uomo avesse recuperato la propria pistola dopo lo schianto. La violenza dell’impatto l’aveva scaraventata lontano, nell’oscurita del laminatoio. C’era una sola spiegazione. L’airbike del killer era equipaggiata con altre armi. E quello che valeva per un’airbike doveva valere anche per le altre. Ai lati del serbatoio, penso Jericho. C’era posto solo l, proprio davanti alle gambe. Accarezzo la carena. Senza dubbio c’era uno scomparto, una cavita, sotto quelle coperture. Ma come si apriva? Sotto di loro, il killer attraverso il capannone. L’occhio luminoso dell’airbike rischiarava gli spazi tra le strutture e i container, s’insinuava tra le passerelle e i balconi. Solo in quel momento, Jericho si rese conto che, nella parte posteriore della volta, si apriva una sorta di tunnel verso il quale si stava dirigendo il loro inseguitore. Alcuni binari sporgevano dall’apertura e terminavano all’interno del capannone. Il biondo fermo l’airbike e getto un’occhiata nel tunnel. Sembrava incerto se infilarsi dentro o terminare la perlustrazione del capannone. Poi si al-
lontano e sal di quota. Saliva verso di loro. Jericho cerco di elaborare un piano. Entro pochi secondi, il killer li avrebbe scoperti. Inizio a ispezionare freneticamente le coperture e la carena per capire come si aprissero gli scomparti delle armi. Sentiva sulla nuca il respiro caldo di Yoyo. Allungo il collo e arrischio un’occhiata. Il biondo aveva quasi raggiunto la parte piu alta del capannone. Meno di un metro e li avrebbe visti. Ma non si spinse oltre. Il suo sguardo si poso invece sulle fauci dei convertitori, in basso. Rivolte verso di lui con le loro labbra arrotondate, sembravano in procinto di risucchiarlo. Jericho intu cosa stava pensando. L’airbike del killer era immobile sopra una delle aperture. L’interno del serbatoio di fusione era nero come la pece: impossibile capire se ci fosse qualcuno all’interno. Il biondo infilo una mano in uno scomparto, estrasse un oggetto dalla forma affusolata, lo lancio nell’apertura, poi accelero per allontanarsi dalla zona di pericolo. Un secondo, due secondi, tre secondi. Poi si scateno l’inferno. La granata esplose con un boato assordante. Una colonna di fuoco, alta diversi metri, usc dal convertitore e l’onda d’urto dell’esplosione si propago attraverso l’apertura, inondando il capannone di una luce rosso fuoco. Il fumo riemp ogni angolo. L’eco della detonazione fu cos violento che Jericho ebbe paura di ritrovarsi coi timpani sfondati. Propagandosi, il boato attraverso il buco nel soffitto del capannone - i cui vetri si erano gia sbriciolati da tempo -, fece vibrare le molecole d’aria che sovrastavano lo stabilimento e riemp il cielo. Daxiong sent tremare la terra sotto di se. Kenny avvert il tuono duecento metri sopra di lui. Qualcosa era esploso in uno dei capannoni allineati sul lato occidentale dell’altoforno. Dove? Non avrebbe saputo dirlo con precisione. Daxiong invece sapeva con assoluta certezza che quello scoppio proveniva dal capannone dei convertitori. Sterzo bruscamente, facendo schizzare la ghiaia tutt’intorno. Nello stesso istante, Kenny piombo dall’alto, come un falco. «Muovetevi, maledizione!» Nella baracca di Hu, Liao era su tutte le furie. Saltellava, impaziente, mentre osservava gli amici infilarsi lentamente gli abiti, come se l’atto di vestirsi comportasse chissa quali rischi. Ma Mak era impassibile come uno zombie e non mostrava il minimo imbarazzo per il fatto che Liao avesse trovato lei e Hu nudi e in una posizione che non lasciava dubbi sull’attivita cui si erano dedicati prima di addormentarsi. Hu sbatteva le palpebre, come se cercasse di cacciare esseri minuscoli dagli angoli degli occhi.
«Allora!» Liao serro i pugni. Non riusciva a star fermo. «Ho promesso a Daxiong che ci saremmo dati una mossa.» Gli rispose un grugnito a due voci. Se non altro, pero, i due diedero a intendere che lo avrebbero seguito. Una volta fuori, si contorsero come vampiri colpiti dalla luce del mattino. «Ho bisogno di un te», mormoro Ma. «Io di una scopata», rispose con un ghigno Hu, pizzicandole il sedere. Lei lo spinse via e sal faticosamente in sella alla sua moto. «Tu sei fuori di testa», commento Ma. «Siete tutti e due fuori di testa», commento Liao, dando una pacca a Hu per farlo montare in sella. Non dovevano fare molta strada. Il Wongs World si trovava solo qualche casa piu in la e, alle sue spalle, nella foschia del mattino, si distingueva la sagoma dell’altoforno. Hu indico il mercato con un gesto fiacco. «Prima non possiamo almeno...» «No», rispose Liao, deciso. «Cercate di controllarvi. La festa e finita.» La risposta gli sembro azzeccata e molto matura. Avrebbero potuto essere parole di Daxiong, e in effetti Hu e Ma sembravano impressionati. Senza opporre resistenza, misero in moto i loro veicoli e lo seguirono. Piu si avvicinavano all’altoforno, piu Liao sentiva contrarsi le viscere. Una paura tremenda s’impossesso di lui. Daxiong aveva parlato di cadaveri. Evito di mettere Hu e Ma al corrente della cosa. Era gia stato un successo riuscire a tirarli giu dal letto. Owen Jericho trattenne il fiato. Il biondo aveva portato l’airbike sopra il secondo convertitore, che era molto piu vicino. Estrasse un’altra granata, stacco la linguetta, la scaglio nel serbatoio e si allontano. La bomba esplose e il convertitore sputo fuoco e fumo. «Andiamocene», gli sussurro Yoyo nell’orecchio. «Non riusciremo a sfuggirgli, stavolta», le rispose lui sottovoce. Non potevano fuggire per sempre. In un modo o nell’altro, dovevano liberarsi del biondo. Oltretutto Jericho sapeva che prima o poi avrebbero dovuto vedersela con Zhao. Ammesso che quel tizio si chiamasse cos. Uno dei killer l’aveva chiamato Kenny. Kenny Zhao Bde? Si guardo intorno. Proprio sotto di loro si spalancava la bocca del terzo convertitore; sembrava che quel pentolone per l’acciaio aspettasse di essere imboccato. Un cucciolo di sauro, penso. Ecco cosa gli ricordavano quei calderoni. Oppure i becchi spalancati di uccellini nel nido che, affamati, chiedevano vermi e insetti... ma cos’erano gli uccelli se non dinosauri in miniatura, coperti di penne? Quello, poi, era gigantesco. E affamato. Di esseri umani.
Un attimo dopo, l’airbike del biondo gli copr la visuale sul terzo convertitore. Il veicolo si trovava proprio sopra il calderone, cos vicino che Jericho avrebbe potuto tendere il braccio e sfiorare la testa del killer. Un’occhiata al soffitto e il biondo li avrebbe stanati, ma al momento sembrava concentrato sulla bocca del convertitore, convinto che in quelle profondita si trovassero i due fuggitivi. Si chino in avanti ed estrasse dal suo arsenale un’altra bomba a mano. «Tieniti forte», mormoro Jericho. Yoyo gli strinse il braccio. Il biondo rimosse l’anello dalla granata. Jericho mise in moto l’airbike. Con un balzo in avanti, si scagliarono contro il killer, che s’irrigid, col braccio sollevato per lanciare la granata, con la testa rivolta verso l’alto e gli occhi sgranati per lo stupore. Poi le airbike si scontrarono. Le due turbine ululavano. Jericho accelero, spingendo l’airbike del killer verso il convertitore; quindi sterzo bruscamente e schizzo di nuovo verso l’alto. Il veicolo del biondo continuo a precipitare, si ribalto, cozzo contro il bordo dell’apertura, fu scaraventato in alto e cadde nelle fauci oscure del serbatoio. Un rumore cupo e metallico raggiunse Jericho e Yoyo mentre risalivano, nel disperato tentativo di sfuggire all’inferno che si sarebbe scatenato di l a poco. Jericho accelero al massimo, rivolgendo verso il soffitto preghiere e imprecazioni... Poi arrivo la detonazione. Un demone usc dagli abissi del calderone con un urlo spaventoso e spiego le sue ali incandescenti. Il suo alito rovente travolse i due, scaraventando in aria l’airbike. Si ritrovarono sospesi nel vuoto, poi ricaddero sulla moto. Quando l’intero arsenale del killer salto in aria in rapida successione, una serie di esplosioni, simili a cannonate, copr le loro grida. Il vulcano sputo fuoco in tutte le direzioni, incendiando mezzo impianto, mentre loro precipitavano al suolo e Jericho tirava le leve dei comandi. Il veicolo effettuo un giro della morte, passo rasente a una colonna e atterro fortunosamente su una piattaforma. Jericho si sent mancare l’aria. Yoyo urlo di nuovo, stavolta per la paura di essere scaraventata a terra e si strinse a lui con tale forza che rischio di spezzargli le costole. L’airbike striscio sulla piattaforma, producendo scintille, quindi punto verso un muro. Jericho freno, invert la spinta e, con una violenta sbandata, cambio direzione, andando a sbattere contro un parapetto. Rimase immobile per un attimo, come se il suo pilota l’avesse parcheggiata contro la ringhiera, poi emise un gemito e si ribalto. Jericho cadde sulla schiena. Yoyo rotolo su un fianco e riusc a mettersi a sedere. La sua coscia sinistra non era un bello spettacolo: i pantaloni erano strappati, la pelle era lacerata e sanguinante. Lui striscio carponi verso il parapetto, si aggrappo alla ringhiera e, a fatica, si
rizzo in piedi. Tutt’intorno divampavano le fiamme. Un fumo catramoso saliva vorticosamente verso il soffitto e cominciava ad annebbiare il capannone. Dovevano uscire di l. Accovacciata accanto a lui, Yoyo gemeva dal dolore. La aiuto ad alzarsi, fissando il muro di fumo che diventava sempre piu impenetrabile. Ma... Cosa stava succedendo? Una luce diffusa rischiaro le nuvole incandescenti. Sulle prime, Jericho penso a un altro focolaio d’incendio, ma la luce era bianca, si propagava in maniera uniforme e diventava sempre piu intensa. Dal fumo usc la sagoma di un’airbike. Era Zhao. Quando poso il piede sull’ultimo gradino della scala a zigzag, Liao cerco di controllare il tremito delle ginocchia. Il suo sguardo passo dalla torre a traliccio alla piattaforma sulla quale si trovava la centrale. All’improvviso, ebbe una tale paura che le forze minacciarono di abbandonarlo. Si guardo intorno. Sotto la struttura era parcheggiata di traverso un’auto malconcia, una Toyota. Poco piu avanti, c’erano due motociclette. Strano. Di solito, quelli del gruppo parcheggiavano i loro mezzi all’interno dell’edificio adiacente prima di salire. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle motociclette. Una era quella di Tony. E l’altra? Non era sicuro, ma gli sembrava che fosse la moto di Yn. Tony... Yn. Che cosa li aspettava la sopra? Con passo pesante, Ma si trascinava lungo le scale, seguita come un’ombra da Hu. «Aspettate un attimo, devo dirvi...» «Non ti fermare adesso», brontolo la ragazza. «Ormai ci hai buttato giu dal letto...» «A un orario impossibile», si lamento Hu. «... quindi muoviti.» Liao non sapeva cosa fare. Doveva assolutamente informarli che Daxiong aveva parlato di cadaveri. Che era accaduto qualcosa di terribile. Si sentiva la lingua incollata al palato, la gola secca. Socchiuse le labbra e si schiar la gola. «Arrivo.» Daxiong non era passato per il laminatoio. Esisteva una scorciatoia e lui sperava che fosse ancora agibile. Un tempo, nell’area della fabbrica, circolavano i treni, locomotive di manovra con vagoni a forma di siluro carichi di ghisa grezza fusa proveniente dall’altoforno. I convogli trasportavano il loro carico, che aveva una temperatura di 1440 oC, nel capannone dei convertitori, dove la massa fusa veniva versata all’interno di enormi siviere e da l nei cal-
deroni. Daxiong segu i binari. Correvano all’aperto per oltre due chilometri e poi scomparivano in un tunnel o, meglio, in un passaggio coperto, che finiva nel capannone dei convertitori. All’interno, risuono un’altra esplosione. Daxiong accelero al massimo, fin con la ruota anteriore su uno dei binari e scivolo. Disarcionato, fu scaraventato a terra e striscio dietro la moto, maledicendosi per la sua stupidita. Poi salto in piedi, imprecando. Gli era andata bene, ma quell’incidente gli era costato tempo prezioso. Guardo il cielo: nessuna traccia dell’airbike. Sollevo il mezzo da terra e cerco di rimetterlo in moto. Dopo svariati tentativi e innumerevoli esclamazioni - la piu frequente delle quali era «Merde! » - finalmente riusc a farlo ripartire. S’infilo nell’oscurita del tunnel. Lo scenario che gli si presento non era molto incoraggiante. Una massiccia locomotiva di manovra riposava su uno dei due binari paralleli, mentre l’altro era occupato da una serie di vagoni. Era quasi impossibile passare di lato. L’unico spazio percorribile era quello fra i treni, ma qualcosa lo ostruiva. Avrebbe dovuto passare attraverso il laminatoio. Fu costretto a fermarsi. Scese dalla motocicletta e corse fino all’ostacolo, una contorta struttura metallica. Inizio a spingerla con tutta la forza dei suoi centocinquanta chili nel tentativo di spostarla. In fondo al tunnel, intravedeva l’apertura che dava sul capannone, a meno di venti metri. Doveva riuscire a entrare. Quindi ud una terza esplosione, molto piu forte delle precedenti. Il passaggio fu investito da un’ondata di calore, qualcosa d’infuocato volo all’interno e si schianto sul pavimento. Seguirono altre detonazioni. Come un ossesso, Daxiong scosse l’ammasso di metallo finche non inizio a staccarsi dal pavimento, cigolando. Non era pesante, ma solo incastrato. Tese i muscoli. Oltre il tunnel doveva essere scoppiato l’inferno. Le fiamme divampavano. Respirava affannosamente, tirava e spingeva... All’improvviso, la struttura cedette e si sposto, sebbene di pochissimo. Meglio di niente. Il varco era appena sufficiente per farlo passare. Mentre attraversava le nuvole di fumo, Kenny Xn si copr naso e bocca con la mano. Cosa diavolo aveva combinato il biondo? Si auguro che ne fosse almeno valsa la pena. Oltre la densa cortina nera, intravedeva il fuoco che s’intensificava. Afferro l’impugnatura della mitragliatrice, ma la lascio subito. Prima doveva trovare una via d’uscita. Il fumo si dirado un poco, permettendogli di vedere all’interno del capannone. C’erano fiamme ovunque. Sembrava che non ci fosse nessuno. Scorse un’airbike ribaltata, col parabrezza in frantumi, annerita e incastrata nel parapetto di una piattaforma. Si diresse verso il veicolo, mentre altri boati facevano tremare il capannone. Proprio dietro di lui si alzo una colonna di fuoco, l’onda d’urto invest il suo mezzo e lo fece sbandare. Ma lui riusc a ripren-
dere il controllo dei comandi. Poi scorse un movimento in fondo al capannone. Qualcosa usc dalla parete. Sembrava un proiettile. Era il motociclista. Il gigante rasato. Kenny riprese in mano l’arma. Fu avvolto da una nuvola calda e soffocante di fumo nero e grasso. Trattenne il fiato e fece salire di quota l’airbike, ma non riusc a uscire dalla nube. Certo che no. Il fumo va verso l’alto, idiota che non sono altro. Accecato e confuso, si diresse di nuovo verso il basso. Non riusciva piu a vedere le spie luminose sul display. Giro a destra alla cieca, urto qualcosa, sterzo. Doveva scendere ancora. Tutt’intorno a lui rantolavano piccoli fuochi, inondando l’airbike di una tremolante luce rossa. Ebbe l’impressione di sentire delle voci, cerco di avanzare lentamente per evitare altre collisioni e infine usc dalla nuvola. Tra lingue di fuoco e volute di fumo, scorse la moto. Sul sellino posteriore era seduta Yoyo. Quando l’airbike scomparve di nuovo nel passaggio largo e basso da cui era sbucata, Kenny si lascio sfuggire un grido di rabbia e, facendo ululare la turbina, la segu nel tunnel mentre s’infilava fra due treni. Cerco di calcolare quanto spazio aveva a disposizione: le airbike erano un po’ piu larghe delle moto comuni, tuttavia poteva farcela. Si apprestava a sparare alla schiena della ragazza, quando si accorse di un ostacolo. Sbarre di ferro. Piegate. Incastrate. Fuori di se, vide Yoyo e il pilota abbassare la testa e passare sotto la struttura. Cap all’istante che, se lui ci avesse provato, sarebbe stato infilzato come su uno spiedo. Il suo mezzo era troppo largo, troppo alto. Oriento gli ugelli nella direzione opposta e freno, ma la spinta dell’accelerazione continuo a trascinarlo verso l’ammasso di metallo. Per un attimo, si sent sopraffatto da una paralizzante sensazione d’impotenza. Poi riusc a inclinare l’airbike e a metterla di traverso, andando a urtare i vagoni; l’impatto contribu a ridurre la velocita. Con uno stridore di metallo contro metallo, l’airbike rallento ancora. Kenny trattenne il fiato... e riusc a fermarsi a pochi centimetri dalla struttura metallica. Allora, in preda alla rabbia, guardo dall’altra parte. La dove terminava il tunnel, si vedeva la luce del giorno. Il ronzio del motore elettrico della moto sembro salutarlo con strafottenza; poi l’airbike spar. Furioso, Kenny fece inversione, torno nel capannone, si getto nel fumo e attraverso il laminatoio e il magazzino. Sopra la distesa di scorie comp un’ampia virata, respirando avidamente l’aria fresca, apr lo sportello del secondo arsenale e ne estrasse un oggetto lungo e pesante. Quindi, a tutta velocita, si diresse verso l’altoforno. Jericho sputava e tossiva. Non sarebbe riuscito a sostenere un altro scontro dentro quell’inferno. E comunque, se non ne fosse uscito subito, sarebbe stato troppo tardi. Nel giro
di qualche minuto, sarebbe prima svenuto e poi morto, coi polmoni pieni di catrame, neri come la liquirizia. Sperava ardentemente che Yoyo ce l’avesse fatta. Era accaduto tutto a una velocita irreale. La fuga sulla piattaforma, l’arrivo di Zhao... e poi, all’improvviso, Daxiong. Di certo il killer lo aveva visto, ma qualcosa - il fumo? il fuoco? - gli aveva impedito di reagire tempestivamente. Quell’attimo di esitazione era stato sufficiente per dar loro la possibilita di correre verso il gigante, che aveva subito fermato il mezzo, lasciando il motore acceso. Il suo sguardo perplesso rivelava che si stava chiedendo come avrebbe fatto a portare via entrambi in sella alla sua moto. «Vai, Yoyo», le aveva detto Jericho. «Ma io non posso lasciarti...» «Vai, maledizione. Non perdere tempo, sparisci. Io me la cavero. » Lei lo aveva guardato, sporca di fuliggine, sconvolta, stravolta dallo shock. Nel suo sguardo si leggevano rabbia e determinazione. E nei suoi occhi Jericho aveva riconosciuto quello strano velo di tristezza che aveva notato nei filmati di Chen. Poi Yoyo era salita sulla motocicletta di Daxiong. In quel momento, Zhao li aveva scoperti. Jericho sperava che fossero riusciti a sfuggirgli. La cortina di fumo era sempre piu densa. Premendo la manica del giubbotto sulla bocca e sul naso, torno sulla piattaforma e ispeziono l’airbike. Era malridotta, pero i danni sembravano piu che altro di natura estetica. Si auguro che i comandi non fossero danneggiati, si chino e, con uno sforzo, la sollevo. Fu allora che noto un piccolo oggetto a terra, accanto all’airbike, un oggetto piatto, color argento. Lo prese in mano, lo osservo, lo capovolse... Il computer di Yoyo. Doveva averlo perso quand’erano caduti dall’airbike. Aveva trovato il computer di Yoyo. Fece rapidamente scivolare l’apparecchio nella tasca del suo giubbotto, salto in sella e avvio l’airbike, che obbed, emettendo un sibilo che ormai gli era familiare. Doveva andarsene da l. Era stato ancora piu terribile di quanto avesse immaginato. Prima Ma si era messa a vomitare, poi Hu aveva cominciato a urlare imprecazioni, alternandole ai nomi dei due amici e dando l’impressione che non si sarebbe mai piu ripreso. Liao piangeva. Sapeva che non si sarebbe mai piu liberato di quelle immagini. Mai piu. Per tutta la vita. Non fare domande.
«Dobbiamo raccogliere tutta questa roba», disse, tirando su col naso. «Io non ce la faccio», singhiozzo Ma. «L’abbiamo promesso a Daxiong. Lui c’entra qualcosa con tutto questo. Dobbiamo portare fuori tutto.» Comincio a staccare i cavi dai computer e a smontare i display. Hu lo fisso con gli occhi sbarrati, stordito. «Cosa diavolo e successo qui?» chiese con un filo di voce. «Non lo so.» «Dov’e Yoyo?» chiese Ma. «Non ne ho idea. Aiutami, dai.» Dopo essersi pulita il naso con la mano, Ma afferro una tastiera e la scollego dal computer. Poco dopo anche Hu inizio a collaborare. Stiparono le apparecchiature dentro alcuni scatoloni e li portarono fuori. Non toccarono i cadaveri; cercavano anzi di non guardarli neppure e di non calpestare le pozze di sangue. Ma era impossibile: c’era sangue ovunque, sulle pareti, sul tavolo, sui monitor... D’un tratto, Ma sollevo uno scatolone, poi lo rimise a terra e prese a sussultare e a scuotere la testa, incapace di accettare la realta. Liao le accarezzo la schiena, poi si abbasso e si mise a trascinare fuori lo scatolone, attraversando il lago di sangue di Tony... o era quello di Jia Wei? Oppure quello di Yn? Si fermo per riprendere fiato e guardo il cielo. Che cos’era quello? Al di la dei capannoni, scorse un oggetto volante che si avvicinava rapidamente, accompagnato da un sibilo. Era simile a una moto, ma senza ruote. C’era qualcuno in sella, e stava puntando proprio sulla centrale. Liao sbatte le palpebre e alzo la mano per schermare gli occhi dal sole. Possibile che sia... Daxiong? Gradualmente, i contorni dell’oggetto si definirono. Rimaneva impossibile vedere chi fosse alla guida del mezzo, ma Liao si accorse che il pilota teneva in mano un oggetto lungo che per un attimo brillo al sole... «Ehi! Venite a...» Qualcosa si sgancio dalla motocicletta volante e sfreccio verso di lui alla velocita di un missile. Anzi no, quello era davvero un missile. «... vedere», disse Liao con un fil di voce. Il suo ultimo pensiero fu che era solo un sogno. Che non stava accadendo davvero, perche una cosa del genere non poteva accadere. Non doveva accadere. Non fare domande. Kenny Xn invert la direzione. La casupola sull’impalcatura sembro gonfiarsi, come se stesse inspirando aria. Poi la parete anteriore esplose in una nuvola infuocata e scaravento frammenti in tutte le direzioni, contro la struttura dell’altoforno, contro le facciate degli edifici adiacenti, sullo spazio anti-
stante. Allora Kenny fece una virata e lancio altre granate verso la parete posteriore. Esplose anche il poco che era rimasto delle pareti laterali e il tetto crollo. I pilastri della torre su cui poggiava la piattaforma si piegarono come fiammiferi. Con lentezza, la struttura, dalla quale schizzavano proiettili infuocati, inizio a scivolare verso il basso, si spezzo a meta e precipito in un inferno di scintille. Una profonda soddisfazione pervase Kenny quando riconobbe la Toyota di Jericho sotto la grandinata di metallo. I detriti del complesso si sparpagliarono sul piazzale: solo alcuni monconi della struttura portante rimasero in piedi, quasi a testimonianza del potere esorcizzante degli esplosivi. Mentre lasciava l’oscurita del capannone, Jericho si sentiva il cuore freddo e pesante. Scorse alcune persone correre urlando verso il deposito di scorie, attirate dal riverbero dell’incendio. Dall’altoforno, saliva una colonna di fumo nero, punteggiata di scintille, come se tentasse di toccare il pallido sole del mattino. Yoyo si trovava all’interno dell’edificio? Lei e Daxiong erano tornati la? Zhao era riuscito a prenderli? No. Zhao, Kenny, o quale che fosse il suo vero nome, aveva sicuramente distrutto l’edificio per altri motivi. Perche Yoyo gli aveva fatto credere che il computer si trovasse l. Aveva eliminato quasi tutti i Guardiani e ora aveva distrutto anche il loro punto di ritrovo, compresi tutti i supporti tecnologici che vi si trovavano. Aveva decapitato l’organizzazione e ucciso tutti quelli coi quali Yoyo - forse - si era confidata. Spero ardentemente che il vantaggio conquistato su Zhao fosse bastato ai due ragazzi per sfuggirgli. Si avvicino. Aveva piu difficolta a manovrare l’airbike che prima dello scontro nel capannone dei convertitori. Forse uno degli ugelli si era deformato e lui non riusciva piu a orientarlo correttamente. Impegnato a bilanciare la posizione inclinata del veicolo, non si rese subito conto di quello che aveva di fronte. Rammento la sagoma della sua automobile parcheggiata sotto la torre a traliccio. Solo quando fu abbastanza vicino all’incendio da avvertirne l’insopportabile calore - al punto che fu costretto a indietreggiare - ebbe la certezza che, sotto quella colonna di fiamme, stava bruciando la sua Toyota. La paura e lo sfinimento vennero spazzati via da una potente ondata di collera. Come un forsennato, cerco di trovare il meccanismo per aprire gli sportelli laterali e abbattere Zhao con le sue stesse armi. Ma non ci riusc. In piu, Zhao era scomparso. Il piazzale si stava riempiendo di persone. Accorrevano da tutte le parti, a piedi, in bicicletta, in moto. L’intero Wongs World si stava riversando nello spiazzo antistante l’altoforno. Persino il Cyber Planet aveva aperto le porte, lasciando uscire figure pallide e sconcertate, sopraffatte dalla crudezza della realta.
Non c’era niente da fare. In quelle circostanze, c’era da scommettere che persino la polizia si sarebbe ricordata di cio che era stato dimenticato. Jericho sal ancora piu in alto. Poi noto che in molti si erano accorti della sua presenza. Allora, con un’accelerata, si allontano dal complesso industriale. Kenny-Zhao osservo l’airbike rimpicciolirsi in lontananza. Si era appostato in cima a un comignolo, come una poiana, in un punto piuttosto distante dal luogo in cui si era appena consumato il dramma. Aveva preso in considerazione l’idea di eliminare anche Jericho con un colpo ben calibrato, ma poi aveva riflettuto che quell’uomo poteva tornargli utile. Quindi lo aveva lasciato andare. Yoyo era piu importante e non poteva essere andata tanto lontano. In ogni caso, per il momento l’aveva persa, e doveva farsene una ragione. Decise di restare nei paraggi, per cercarla almeno sino all’arrivo delle forze dell’ordine. Nonostante la sconfitta, in quell’attimo ebbe una visione chiara dell’universo. Esistenze che si formavano e scoppiavano come bollicine, la marea della nascita e della morte, mentre lui, Kenny Xn, era immortale, era il centro, era il punto in cui convergevano tutte le linee. Quella visione gli infuse tranquillita. Aveva seminato caos e distruzione, ma l’aveva fatto in nome di un bene superiore. I resti della torre a traliccio si unirono alle macerie roventi sparse al suolo, mentre a ovest le fiamme si protendevano verso il cielo dal capannone dei convertitori. Esseri inferiori a lui avrebbero definito tutto cio come distruzione; Xn, invece, non ci vedeva altro che armonia. Il fuoco manifestava la sua forza purificatrice, guariva il mondo dall’infezione della miseria, drenava il pus di quell’organismo infetto che era la megalopoli. Nel contempo, fece il punto sul proprio incarico con la precisione di un contabile. Perche Kenny Xn aveva imparato a navigare con sicurezza nell’oceano dei suoi pensieri. Senza dubbio era pazzo, come aveva sempre sostenuto la sua famiglia, ma la sua era una follia consapevole. Fra tutte le cose che amava di se, lo riempiva di particolare orgoglio il fatto di essere capace di analizzare se stesso, di riuscire a constatare con distacco che, in fondo, lui era soltanto uno psicopatico. Tale consapevolezza racchiudeva un potere straordinario. Sapere chi era. Riuscire a essere tutto nello stesso momento: un artista, un sadico, un individuo compassionevole, un essere superiore o un uomo disgustosamente mediocre. In quel preciso istante, il controllo delle sue molteplici personalita era stato assunto dall’uomo in carriera, il quale gestiva con piglio sicuro gli affari e poi si rilassava in una villa al mare, circondato da persone servizievoli, sentendosi al centro dell’universo. Quello Xn pratico e calcolatore richiamo all’ordine il suo folle alter ego piromane e lo indirizzo verso l’efficienza. Era tante persone. Era tante cose. Appollaiato sul comignolo, Kenny, il pianificatore, si chiese come indurre Yoyo a consegnarsi di sua spontanea volonta.
JERICHO Per un po’, Owen Jericho volo sotto la sopraelevata dell’autostrada cittadina che separava Quyu dal mondo reale. Sotto di lui, il traffico serpeggiava chiassosamente verso ovest; sopra di lui, echeggiava il rombo delle COD che sfrecciavano lungo il tracciato della sopraelevata. Era imprigionato in un sandwich di rumori. Quando scorse due aeromobili della polizia avvicinarsi a sirene spiegate tra le arcate dei piloni, viro in direzione dell’ammasso stalagmitico di grattacieli color sabbia che caratterizzavano la steppa urbana estesa intorno ai quartieri centrali della citta di Shanghai, e segu la strada principale verso Hongkouqu, cercando di volare il piu basso possibile tra i canyon di edifici. Probabilmente stava volando al di sotto della quota minima consentita e rischiava una multa, ma in sella all’airbike danneggiata non si sentiva tranquillo. Non aveva voglia di sperimentare le conseguenze di un’avaria alla turbina volando sopra i tetti delle case. Cercando di compensare la tendenza del velivolo a sbandare verso destra, Jericho prosegu tra facciate di edifici, piloni dell’autostrada, semafori, linee elettriche e segnaletica aerea, continuando a spostare lo sguardo dalla strada allo specchietto retrovisore e al cielo. Era in attesa di Zhao. Solo dopo aver attraversato Hongkouqu e sorvolato il fiume, inizio a pensare di essere riuscito a sbarazzarsi del killer... sempre ammesso che Zhao lo avesse davvero seguito. S’infilo nelle vivaci strade dello shopping dietro la facciata coloniale del Bund, atterro a ovest del parco di Huaihai e trascino l’airbike fino al garage sotterraneo di Xntiand. La ruota posteriore sinistra era bloccata e strideva sull’asfalto. Per un attimo, si chiese dove parcheggiarla, poi rammento quello che era successo alla Toyota. Se non altro, aveva un posto per il suo nuovo veicolo. Mentre Jericho attraversava l’ingresso del garage, lo stridio della ruota danneggiata riecheggio minacciosamente all’intorno. Cerco di soffocare la rabbia per la perdita dell’automobile, dando la priorita al pensiero di Yoyo. Poi, in uno slancio di altruismo, estese la sua preoccupazione a Daxiong. Si affretto ad attraversare il sotterraneo, sperando che nessuno lo vedesse in quelle condizioni, tutto ricoperto di fuliggine. Non incontro anima viva nemmeno in ascensore. Una luce armoniosa illuminava le pareti della cabina, che ronzava dolcemente. Quando infine si chiuse alle spalle la porta del loft, era certo che non l’avesse visto nessuno. Tiro un sospiro di sollievo e si passo le mani sul viso e tra i capelli. Chiuse gli occhi. Immediatamente gli apparvero i cadaveri: il ragazzo col viso dilaniato, gli ultimi spasmi della ragazza, le fontane rosse che sgorgavano dall’arteria lacerata della spalla, il braccio amputato... Si rivide mentre toglieva l’arma dalle dita contratte. Cosa stava succedendo? Dove aveva sbagliato? Non aveva forse deciso di condurre una vita tranquilla? Invece, nel giro di pochi giorni... Bambini violentati, ragazzi mutilati, lui stesso piu morto che vivo. Era la realta? Era un sogno? Era un film?
Gia, un film. Un sacchetto di popcorn, una bibita fresca, una poltrona comoda. E, adesso, cosa sarebbe andato in onda? Quyu parte seconda: il ritorno? Le impressioni della giornata lo inseguivano come cani rabbiosi. Non doveva permettere che lo raggiungessero, benche fosse certo che non se ne sarebbe liberato mai piu: quelle immagini facevano gia parte del repertorio delle sue notti insonni. Adesso pero doveva riflettere. Riordinare i pensieri. Stabilire un piano d’azione. Si tolse le scarpe, la T-shirt e i pantaloni, abbandonandoli sul pavimento, ando in bagno, apr l’acqua, lavo via la fuliggine e il sangue, fece un bilancio. Primo: Yoyo e Daxiong erano riusciti a fuggire. Era solo un’ipotesi, purtroppo, ma per il momento la diede per scontata. Doveva ben partire da qualcosa. Secondo: Yoyo era riuscita a salvare il computer, che ora si trovava in suo possesso. Di sicuro, Zhao non era cos ingenuo da credere che tutti i dati fossero salvati solo in quell’unico, piccolo apparecchio. La distruzione della centrale non era stata un mero capriccio, ma aveva come obiettivo l’annientamento delle infrastrutture dell’organizzazione e di qualsiasi altra apparecchiatura sulla quale Yoyo avesse riversato i dati. D’altra parte, forse il trucco di Yoyo aveva funzionato: aveva dato a intendere a Zhao di aver lasciato il suo computer nella centrale, e il killer probabilmente era convinto di aver risolto almeno quel problema. Quale sarebbe stata la sua prossima mossa? Semplice. Avrebbe continuato a porsi le domande che lo ossessionavano da giorni: c’era qualcun altro che sapeva della scoperta di Yoyo? E, soprattutto, era ancora vivo? Io lo so, penso Jericho, mentre i getti d’acqua bollente gli massaggiavano le spalle. No, non e vero. Io so solo che lei ha scoperto qualcosa, ma non che cosa. Dal canto suo, Zhao e convinto che io non sappia nulla. Non sono esattamente un complice, ma solo un testimone di avvenimenti sgradevoli. Era piu che sufficiente per guadagnarsi il secondo posto nella lista nera di Zhao. D’altra parte, pero... Se c’erano grosse probabilita che quel killer avesse intenzione di eliminare pure lui, era ancor piu probabile che Zhao intendesse anzitutto «usarlo» per ritrovare Yoyo. Si blocco per un istante, i capelli pieni di schiuma. Perche Zhao non l’aveva seguito fino a casa? Semplice. Perche Yoyo era davvero riuscita a sfuggirgli. E lui pensava che si trovasse a Quyu. Aveva quindi preferito proseguire la caccia. Inoltre non aveva bisogno di seguire Jericho perche sapeva dove trovarlo. In ogni caso: tempo guadagnato. Quanto?
Sciacquo i capelli. Rigagnoli neri gli scorrevano sul petto e sulle braccia, come se i pori continuassero a trasudare nuova sporcizia. Le escoriazioni che si era procurato durante lo scontro nel capannone dei convertitori bruciavano in modo lancinante. Si domando come stesse Yoyo. Probabilmente era sotto shock, anche se non sembrava averne risentito troppo. Mentre erano sull’airbike, gli aveva rovesciato addosso un torrente d’ingiurie, segno che possedeva un buon equilibrio mentale o, se non altro, una certa resistenza. S, quella ragazza aveva la pelle coriacea di un pescecane. Chiuse il rubinetto. Prima o poi, Zhao si sarebbe presentato l. Non era nemmeno da escludere che fosse gia per strada. Afferro un asciugamano e attraverso il loft, inondato di sole. Sarebbe stato un vero peccato lasciarlo. S’infilo abiti puliti e si sistemo i capelli alla meno peggio. Poi la premiata ditta Owen Jericho - formata da Jericho stesso e da Diane - si dedico a elaborare un piano di fuga. Lui stacco il disco fisso e lo mise in uno zaino insieme con una tastiera, un touchscreen ultrasottile e un display trasparente da venti pollici. Poi infilo nello zaino anche il suo documento d’identita, del denaro, il secondo cellulare, un piccolo hard disk per i backup, il computer di Yoyo, l’auricolare e gli occhiali olografici di Tu Tian. Infine vi mise qualche slip, alcune T-shirt, un paio di pantaloni di ricambio, dei mocassini, il necessario per radersi, penne e fogli. Nel loft rimasero il pannello di comando, il grande monitor e diverse memorie interne che, separate da Diane, erano completamente inutili, come protesi senza il loro portatore. Chiunque avesse fatto irruzione la dentro, non avrebbe trovato piu ne bit ne byte, e non avrebbe potuto ricostruire il suo lavoro. L’appartamento era «pulito». Usc senza voltarsi. Giunto nel garage sotterraneo, sistemo lo zaino sul sellino posteriore dell’airbike ed esamino l’ugello danneggiato. Con entrambe le mani lo spinse all’indietro, fino al punto d’arresto. Il risultato non era molto convincente, ma almeno adesso era possibile regolarlo. Poi armeggio con le pinne posteriori, porto la motocicletta lungo la rampa e constato con soddisfazione che la ruota non strideva piu. Il ruotino sferico aveva ripreso a girare. In cambio della sua macchina aveva ottenuto un’airbike. Non l’aveva fatto di sua spontanea volonta, ma tant’era. Fuori, la luce del sole pareva latte fosforescente. Jericho socchiuse le palpebre. Nessuna traccia di Zhao. E adesso? Non c’era bisogno di andare chissa dove. In una citta come Shanghai, il posto migliore in cui nascondersi era sempre quello dietro l’angolo. Invece d’imboccare la sempre affollatissima Huaihai Donglu, percorse i vicoli meno frequentati che collegavano Xntiand con Yuyuan e si diresse verso la Liuhekou Lu, che attraversava un quartiere della vecchia Shanghai, una zona definita «autentica» e quindi amata dagli appassionati dell’epoca coloniale. Ma cosa sig-
nificava davvero «autentica»? Secondo il Partito, quell’aggettivo si applicava a cio che era reale. Un tempo, l c’era un mercato coperto, punteggiato di banchetti di fiori e riecheggiante di versi degli animali piu svariati, dalle galline che tendevano il collo ai grilli che, chiusi in vasetti di vetro, andavano avanti e indietro sotto gli occhi dei loro proprietari, la cui vita non era poi cos diversa. Tre anni prima, pero, quel mercato aveva dovuto lasciare il posto a un ridente complesso di shkumén, brulicante di bistrot, Internet point, boutique e gallerie. Di fronte, gli ultimi banchetti del mercato resistevano con la stessa caparbieta degli anziani che si fermano in mezzo alla strada e minacciano col bastone le automobili finche qualcuno non li aiuta ad attraversare. Ecco: quei banchetti erano un pezzo della Shanghai «autentica». Pero ben presto sarebbero scomparsi, per fare posto a nuova «autenticita». Jericho parcheggio l’airbike al secondo piano di un garage sotterraneo e si rifugio nell’angolo appartato di un bistrot, dove ordino un caffe. Benche non avesse fame, si fece portare una baguette al formaggio, la addento, riemp di briciole i pantaloni e la T-shirt e, con una certa soddisfazione, si rese conto di riuscire persino a ingoiare il boccone. Fin dove si sarebbe spinto Zhao? Il bilancio provvisorio era molto piu amaro del caffe che stava bevendo. Non aveva piu un’automobile. Aveva dovuto abbandonare il loft, per il momento poco sicuro. Era con le spalle al muro, nel mirino di un killer. La fuga era da escludere. Era praticamente costretto ad agire, eppure si sentiva paralizzato. Non c’era modo di tornare alla normalita, se non andando a fondo della questione. Doveva capire cosa c’era dietro quella faccenda. Scoprire chi fosse il mandante di Zhao. Jericho fisso il vuoto. Un momento. Zhao poteva averlo costretto sulla difensiva, ma lui possedeva qualcosa di cui il killer non sapeva nulla. La sua arma segreta, la chiave di tutto. Il computer di Yoyo. Doveva capire cosa aveva scoperto la ragazza. Poi l’avrebbe trovata e riconsegnata a suo padre. Cheng Hongbng. Avrebbe dovuto chiamarlo? Il contatto l’aveva stabilito Tu Tian, di fatto pero era Chen il suo committente. Quell’uomo aveva il diritto di essere informato. Ma cosa avrebbe potuto dirgli? «Tutto a posto: Yoyo sta bene... No, onorevole Chen, non e la polizia che le sta alle calcagna, ma un killer squilibrato con un debole per i proiettili esplosivi. Oh, non si preoccupi, Yoyo ha ancora le braccia, le gambe e anche la faccia, urra! Dove si trova ora? Be’, e in fuga. A proposito, anch’io devo scappare. A presto e buona giornata.» Cosa poteva dirgli senza farlo morire di crepacuore? Era il caso di rivolgersi alla polizia? Certo, avrebbe dovuto fornire informazioni, anche su Yoyo, col rischio di metterla al centro dell’attenzione. Avrebbero fatto domande sul suo ruolo
in tutta quella carneficina, avrebbero voluto esaminare i suoi file, avrebbero constatato che era gia schedata e che aveva addirittura dei precedenti. No, era da escludere. La polizia andava scartata, anche se Zhao non poteva assolutamente essere un poliziotto, nonostante quello che aveva detto a Yoyo nella centrale: «Io sono addestrato a uccidere. Come qualsiasi poliziotto, qualsiasi soldato, qualsiasi agente». Come qualsiasi agente? «La sicurezza nazionale e un bene piu prezioso di una singola vita umana.» I servizi segreti avevano fatto saltare ben altro, soprattutto se si trattava di questioni che mettevano in pericolo la sicurezza nazionale. Forse Zhao aveva bluffato, ma... se avesse agito davvero col beneplacito delle autorita? Doveva chiamare Tu? In un modo o nell’altro, non avrebbe risolto nulla. Jericho si sforzo di pensare il piu lucidamente possibile. Anzitutto doveva attivare Diane. Si guardo intorno. Il bistrot era pieno per due terzi, ma i tavoli intorno a lui erano liberi. Alcuni giovani sedevano in disparte e scrivevano sui loro laptop o parlavano al telefono. Appoggio tastiera e monitor sul tavolo e li collego alla memoria centrale nello zaino. Poi s’infilo l’auricolare e mise in linea il sistema col computer di Yoyo. Apparve un simbolo, un lupo in posizione di attacco che mostrava i denti e, sotto, la frase : T’INVITO A CENA. Va bene, penso. «Ciao, Diane», disse poi sottovoce. «Ciao, Jericho», rispose la voce vellutata di Diane. Ah, il conforto delle macchine. «Com’e andata la tua giornata?» «Di merda.» «Mi dispiace molto.» Sembrava sincera. Be’, almeno lei non avrebbe mai potuto non esserlo. «Posso fare qualcosa per te?» Potresti trasformarti in una donna in carne e ossa, penso Jericho. «Per favore, apri il file ’T’invito a cena’. I dati per l’accesso li trovi nella cartella YOYOFILES.» Silenzio. Poi Diane disse: «Il file ha una protezione quadrupla. Sono riuscita ad applicare tre tool con successo. Manca la quarta autorizzazione». «Quali tool hanno funzionato?» «Iride, voce, impronte digitali. Tutti associati a Chen Yuyun.» «Quale manca?» «Sembrerebbe una password. Vuoi che tenti di decifrarla?» «S. Hai idea di quanto tempo ti ci vorra?» «Purtroppo no. Posso solo ipotizzare che si tratti di un codice composto da piu di una parola. O da una parola unica particolarmente lunga. Posso fare qualcos’altro per te?»
«Vai online. Per ora non c’e altro. A dopo, Diane.» «A dopo, Jericho.» Entro in Brilliant Shit. Se la sua intuizione era corretta, i Guardiani utilizzavano il blog come casella di posta e lo controllavano regolarmente. Jericho a Demonio, scrisse. Ho il tuo computer. Aggiunse il suo numero di telefono e un indirizzo e-mail. Lascio il blog aperto e lo salvo come icona. Se avesse ricevuto un messaggio, Diane lo avrebbe avvertito subito. Nel frattempo, cominciava a sentirsi un po’ meglio. Diede un morso alla baguette, butto giu un sorso di caffe e decise di contattare Tu Tian. In quel momento, il cellulare squillo. Fisso il display. Nessuna immagine, nessun numero. Yoyo, sei tu? Cos in fretta? «Ciao, Jericho», disse una voce familiare. «Zhao.» Il suo stomaco si contrasse in una morsa. Lascio passare qualche secondo e si sforzo di assumere un tono calmo. «O forse dovrei dire Kenny?» «Kenny?» «Non ti ha chiamato cos quello stronzo prima di tirare le cuoia?» «Ah, giusto.» Una risatina sommessa. «Come preferisci... chiamami pure Kenny.» «Kenny chi? Kenny Zhao Bde?» «Kenny e okay.» «Allora, Kenny.» Jericho respiro profondamente. «Apri bene le orecchie. Non sei riuscito a prendere Yoyo. E non sei riuscito a prendere me. Non farai neanche un passo finche uno di noi si sentira minacciato da te.» Un sospiro di rassegnazione attraverso l’auricolare. «Io non sto minacciando nessuno.» «Invece s. Ammazzi la gente e fai saltare in aria gli edifici.» «Bisogna guardare in faccia la realta, Jericho. Tu e la ragazza avete combattuto e io vi rispetto. S, e stata una cosa ammirevole, pero non molto intelligente. Se Yoyo avesse collaborato, nessuno ci avrebbe rimesso le penne.» «Ma fammi il piacere.» «Sono stati lei e i suoi amici a iniziare la sparatoria.» «Niente affatto. Loro hanno aperto il fuoco perche tu avevi ucciso Xiaomei Q e Jn Jia Wei.» «Era inevitabile.» «Ah, davvero?» «Altrimenti Yoyo non avrebbe parlato con me. Dopo, pero, ho fatto il possibile per evitare altri spargimenti di sangue.» «Cosa vuoi, Kenny?»
«Secondo te? Voglio Yoyo, ovvio.» «Perche?» «Per chiederle che cosa sa e con chi ne ha parlato.» «Tu Tian...» «Tranquillo», lo interruppe Kenny. «Non ho nessuna voglia di uccidere altre persone. Ma sono sotto pressione, capisci? La pressione del successo. È colpa dell’epoca in cui viviamo: dobbiamo continuamente rendere conto dei risultati. Cosa faresti al mio posto? Leveresti le tende senza aver portato a termine il tuo compito?» «Mi pare che tu abbia gia ottenuto un bel risultato. Hai distrutto il computer di Yoyo e tutte le attrezzature dei Guardiani. Credi davvero che qualcuno di loro abbia ancora voglia di misurarsi con te?» «Jericho...» disse Kenny, col tono di un insegnante costretto a rispiegare una lezione allo studente ottuso. «Io non so proprio nulla. Non so se ho distrutto le attrezzature di Yoyo. Non so su quali e quanti computer sono stati salvati quei dati, se nella centrale e bruciato davvero tutto ne con quante persone lei si e confidata. Cosa sa quel gigante con la faccia da bambino che guida la moto? E tu? Yoyo ti ha rivelato qualcosa?» «Cos non concludiamo nulla. Dove sei?» Kenny attese qualche istante prima di rispondere. «Bell’appartamento. Hai fatto ordine, a quanto vedo.» Jericho aveva visto giusto. Se n’era andato appena in tempo. Provo un’amara soddisfazione. «In frigorifero ci sono delle birre fresche. Prendine una e sparisci.» «Non posso.» «Perche?» «Non hai anche tu un incarico, proprio come me? Non sei abituato a portare a termine le cose?» «Te lo ripeto...» «Immagina che inferno si scatenerebbe se le fiamme dovessero propagarsi ad altre parti dell’edificio.» Di colpo, la bocca di Jericho si secco. «Quali fiamme?» «Quelle provenienti dal tuo appartamento.» Kenny aveva ridotto la voce a un sussurro. Sembrava la voce di un serpente, di un’enorme serpe parlante con sembianze umane. «Penso a chi abita qui e ovviamente anche a te. Tutto sembra cos nuovo e costoso, qui dentro... Ci hai investito tutti i tuoi risparmi, vero? Non sarebbe terribile perdere tutto in un attimo, per una questione di principio, per solidarieta verso una ragazza cocciuta?» Jericho non replico.
«Adesso ti e piu facile metterti nei miei panni?» Jericho stava per rovesciargli addosso una valanga d’insulti. Invece mormoro soltanto: «S, immagino di s». «Mi togli un peso dal cuore. Davvero. Voglio dire, formavamo una buona squadra, Jericho. Magari i nostri interessi hanno qualche differenza marginale, pero in fondo vogliamo la stessa cosa.» «E allora?» «Dimmi soltanto dove si trova Yoyo.» «Non lo so.» Kenny sembro riflettere. «D’accordo. Ti credo. Allora dovrai semplicemente scoprire dove si trova. Dovrai farlo per me.» «Scoprire dove si trova...» Santo cielo! Sono proprio un idiota! Non sapeva di quali strumenti disponesse il killer, ma senza dubbio, in quel momento, aveva un unico scopo: tirare la conversazione per le lunghe. Kenny stava cercando di scoprire dove si trovava lui, stava cercando di localizzarlo. Chiuse di colpo il collegamento. Meno di un minuto dopo, ricevette un messaggio vocale. «Hai due ore di tempo», disse la voce sibilante di Kenny. «Non un minuto di piu. Poi voglio sentire qualcosa che soddisfi le mie aspettative. Altrimenti mi vedro costretto a effettuare una ristrutturazione radicale dell’edificio.» Due ore. Cosa avrebbe potuto fare in due ore? In tutta fretta, rimise nello zaino display e tastiera, appoggio una banconota sul tavolo e lascio il bistrot. Raggiunse l’ascensore in pochi passi, scese nel garage sotterraneo, monto sull’airbike, la porto sulla Liuhekou Lu e si diresse verso il fiume. Durante il breve volo, sotto di lui passo un grosso velivolo del pronto soccorso, sufficientemente ampio per poterci atterrare sopra e farsi trasportare. In lontananza, poi, scorse un’armata di velivoli antincendio senza equipaggio dirigersi verso le vie interne di Pudong. Incrocio aeromobili privati, vide dirigibili turistici oscillare sul fiume Huangpu. Prese in considerazione la possibilita di volare fino al WFC per cercare Tu Tian, ma sarebbe stato prematuro. Per quello che aveva in mente di fare, aveva bisogno di tranquillita. Inoltre doveva trovare un alloggio, almeno finche Kenny teneva in ostaggio il suo accogliente focolare di Xntiand. Sapeva dove andare. I sontuosi edifici del Bund erano sormontati da uno degli hotel piu eccentrici di Shanghai. Il tetto del Westin Shanghai Bund Center si apriva verso il cielo come un gigantesco fiore di loto, il simbolo cinese della crescita e del benessere. A molti ricordava un’agave, altri ci vedevano un polipo gigantesco che allungava i suoi tentacoli per catturare uccelli e aeromobili.
Jericho invece ci vedeva solo ed esclusivamente un rifugio, il cui titolare frequentava lo stesso circolo di golf in cui giocavano lui e Tu Tian. Era poco piu di un conoscente, ma piaceva a Tu Tian, che spesso gli mandava quei partner commerciali per cui un soggiorno presso il WFC o la Jn Mao Dasha sarebbe stato troppo costoso. Anche Jericho aveva diritto a condizioni speciali, ma fino ad allora non aveva ancora avuto occasione di sfruttare quel privilegio. E, dato che non aveva voglia di girovagare da un bistrot all’altro, decise di farne uso. Atterro davanti all’ingresso, entro nella hall e chiese una camera singola. Le videocamere ben integrate nello spazio circostante lo scansionarono e inoltrarono alla receptionist le informazioni corrispondenti. Lei sorrise e lo saluto, chiamandolo per nome, segno che era gia registrato. Lo prego poi di appoggiare il suo cellulare sul touchscreen. Il computer dell’hotel mise a confronto l’ID di Jericho coi dati gia presenti nel sistema, autorizzo la prenotazione e carico nella memoria del cellulare di Jericho il codice di accesso alla camera. «Vuole che portiamo il suo veicolo nel garage sotterraneo?» chiese la donna, riuscendo nel gioco di prestigio di sorridere e parlare contemporaneamente senza che le labbra si toccassero. «Sono qui con un’airbike.» «Come di certo sa, abbiamo un ponte di volo», disse il sorriso che sembrava fissato agli angoli della bocca con puntine da disegno. «Vuole che la parcheggiamo noi?» «No, faccio io. In tutta onesta, ogni momento di volo in piu e prezioso per me.» «Oh, capisco.» Il sorriso si trasformo da cortese ad affabile. «Cerchi di arrivare sano e salvo. E ricordi che la facciata dell’hotel e molto piu dura di lei.» «Grazie, lo terro presente.» Fece salire l’airbike lungo la facciata di vetro dell’edificio, accompagnato per tutto il tragitto dal riflesso della propria immagine. Per la prima volta, si rese conto che non indossava il casco come prevedeva il codice della strada. Un motivo in piu per starsene alla larga dalla polizia. Se avessero scoperto che l’airbike non era immatricolata a suo nome, qualsiasi giustificazione sarebbe stata inutile. Il ponte di volo era aperto e quasi completamente vuoto, a esclusione degli shuttle dell’hotel. Quasi tutte le previsioni stilate nel XX secolo avevano contemplato la presenza di aeromobili urbani privati, guidati da raggi traenti, dando per scontato che il traffico aereo avrebbe caratterizzato il volto delle citta. Di fatto, la quantita di tali aeromobili era esigua e perlopiu essi erano di proprieta delle istituzioni statali e cittadine, di alcune aziende che offrivano un servizio taxi esclusivo e di milionari come Tu Tian. Dal punto di vista infrastrutturale, c’erano innumerevoli motivi per alleggerire il traffico su strada, sfruttando l’alternativa degli aeromobili. Ma l’unica argomentazione contraria era pesantissima: i consumi. Per contrastare la forza di gravita, erano necessarie turbine potentissime ed enormi quantita di energia. L’alternativa piu economica, il giroplano, saliva in cielo come un elicottero grazie alla
forza del rotore, ma aveva lo svantaggio dell’eccessiva larghezza delle pale. La difficolta di far volare le automobili non era affatto compensata dai vantaggi ottenuti, e anche le airbike, benche piu economiche e piu accessibili da un punto di vista economico, rappresentavano di fatto un’eccezione. Erano ancora abbastanza costose da indurre Jericho a chiedersi chi si potesse permettere di fornire a un killer addirittura tre di quei mezzi, oltretutto provvisti di un equipaggiamento speciale. La polizia, cronicamente a corto di fondi? Ne dubitava. I servizi segreti? Piu probabile. I militari? Kenny era un militare? Era stato mandato dall’esercito? Zaino in spalla, Jericho raggiunse in ascensore la sua camera. Appoggio il cellulare all’interfaccia accanto alla porta, che si apr. Arredata in modo ordinario e un po’ squallida, a una prima impressione. Tutto in perfetto stato, ma senza un minimo di gusto. Per la verita, non gliene importava nulla. Poco dopo, aveva gia liberato Diane dallo zaino e l’aveva collegata alla rete. Quella stanza era diventata il suo ufficio. Kenny avrebbe dato fuoco al suo loft? Si massaggio le tempie. La cosa non l’avrebbe sorpreso; d’altra parte, dubitava che il killer avrebbe atteso la sua chiamata a Xntiand. Si sarebbe messo a cercare Yoyo per conto suo, consapevole che lui non avrebbe collaborato soltanto perche lo aveva minacciato agitando una scatola di fiammiferi. «Diane?» «S, Jericho?» «Come procede la ricerca della password?» Domanda stupida. Finche Diane non annunciava di avere concluso l’operazione, poteva tranquillamente risparmiarsi domande sullo stato della ricerca. Eppure parlare col computer gli trasmetteva la sensazione di essere il capo e di avere la responsabilita di una piccola squadra. «Quando avro terminato, sarai il primo a saperlo», disse Diane. Esito. Quella era ironia? Niente male. Si sdraio sul copriletto giallo canarino del gigantesco letto e fu sopraffatto da un senso di stanchezza e d’inutilita. Owen Jericho, detective informatico. Davvero ridicolo. Doveva trovare Yoyo e invece le aveva messo alle calcagna uno psicopatico. Come diavolo avrebbe fatto a spiegarlo a Tu? Per non parlare di Chen Hongbng... «Jericho?» «Diane?» «Qualcuno sta lasciando un commento su Brilliant Shit.» Jericho si sollevo di scatto. «Leggilo.» Inizialmente ne fu deluso. Erano semplici coordinate, prive d’indicazioni sul mittente o di una qualsiasi parola di commento. Un’indicazione oraria, un codice d’accesso e nient’altro.
Un indirizzo di Second Life. Proveniva da Yoyo? Con la testa e le braccia pesanti come il piombo, si alzo, si avvicino alla piccola scrivania sulla quale aveva appoggiato tastiera e monitor e si mise a esaminare il breve testo. Alla fine trovo una singola lettera che gli era sfuggita. Una D. Demon. Jericho si accerto dell’ora. Le undici appena passate. Allo scoccare della mezzanotte aveva un appuntamento virtuale con Yoyo. Sempre che il messaggio provenisse da lei e non fosse invece un altro tentativo di Kenny di localizzare la sua posizione. Aveva rivelato al killer l’indirizzo del blog? No. Kenny non poteva essere cos astuto da riuscire a infiltrarsi anche in Brilliant Shit. Ma la prudenza era d’obbligo. Decise di non correre rischi. Per qualsiasi messaggio in rete, da quel momento in poi, avrebbe coperto le sue tracce. Si sdraio di nuovo sul letto e fisso il soffitto. Non c’era nulla che potesse fare. Dopo pochi minuti, un’improvvisa bonaccia calmo le acque agitate dei suoi nervi. Si assop, sprofondando in un sonno tutt’altro che ristoratore. Immagini di torsi striscianti emersero dal suo subconscio. Non erano esseri umani, ma tentativi abortiti di esseri umani, grottescamente deformi e incompiuti, coperti di sangue e di una patina biancastra, come i neonati. Vide creature prive di gambe, coi volti lisci e lucidi solcati solo da una fessura verticale rosa che pulsava in modo disgustoso. Masse mezze carbonizzate si muovevano come ragni su innumerevoli zampe. Sulle croste di tessuti informi si aprivano bocche e occhi. Qualcosa di cieco si protese verso di lui e sputo una lingua nodosa tra le mascelle dotate di zanne. Nonostante tutto, pero, Jericho non provava paura, bens una profonda tristezza, perche sapeva che quelle creature mostruose, in un’altra vita, avevano avuto sembianze umane. Poi cadde e si ritrovo in un altro letto, diverso da quello su cui si era disteso, in una stanza spoglia, buia e umida, rischiarata da una pallida luce lunare che filtrava attraverso una finestra sporca. La luce sembrava esercitare uno strano potere su di lui. Sapeva di sognare e di trovarsi in realta in una camera confortevole, ma non riusciva a sollevarsi e ad aprire gli occhi. Era magneticamente incatenato al materasso marcio, circondato da una quiete arida e sinistra. La quiete fu spezzata dallo schiocco di zampe corazzate di chitina. Le zampe, provviste di artigli, graffiavano i bordi della coperta, s’impigliavano nella trama del tessuto e trascinavano verso di lui grassi corpi segmentati. Un’ondata di terrore lo gherm. Non era tanto spaventato al pensiero di quello che gli esseri corazzati volessero fare di lui, quanto dalla terribile consapevolezza che una forza infida l’aveva scaraventato nuovamente nel passato, in una fase della sua vita che credeva di avere superato da tempo. L’ascesa sociale a Shanghai, la tregua raggiunta con Joanna, l’arrivo a Xntiand... Tutto si rivelo un’illusione, il vero sogno dal
quale quegli insetti invisibili lo stavano svegliando coi loro fruscii. In realta, non era mai riuscito a sfuggire all’inferno. Qualcuno accanto a lui inizio a gemere con toni acuti, quasi melodiosi. Poi ogni cosa sprofondo nel buio, perche i suoi occhi chiusi cominciarono a opporsi alla visione di quella stanza spaventosa. Il suo spirito trovo la strada per tornare alla realta, ma il suo corpo non sembrava disposto a seguirlo. Non reagiva, non si muoveva. Jericho comincio a lottare contro quella rigidita agghiacciante emettendo dei gemiti, suoni cos reali che chiunque avrebbe potuto udire. Infine, raccogliendo le forze, riusc a muovere il mignolo della mano sinistra. Nel frattempo, si era svegliato del tutto. Gli vennero in mente storie di uomini che, dati per morti, venivano condotti alla tomba, mentre in realta percepivano ogni cosa con chiarezza cristallina e non riuscivano a farsi sentire. In preda al panico e alla disperazione, si mise a gemere ancora piu forte. Fu Diane a salvarlo. «Ho trovato la password, Jericho.» Un brivido scosse il suo corpo paralizzato. Jericho sobbalzo. La voce del computer aveva spezzato quel malvagio incantesimo ; le immagini dell’incubo stavano gia defluendo verso gli abissi dell’oblio. Trasse un paio di respiri profondi e poi chiese: «Qual e?» «’Divorami e io ti divorero dall’interno.’» Mio Dio, Yoyo, penso. Che teatralita. Nel contempo, le era grato per averla scelta, in un accesso d’improvviso romanticismo ribelle, invece di optare per la variante sicura di una successione casuale di lettere e numeri, piu difficile da decifrare. «Scarica i contenuti», disse. «Gia fatto.» «Memorizzali nella cartella YOYOFILES.» «Volentieri.» Jericho sospiro. C’era un modo per farle perdere l’odiosa abitudine di rispondere con quel maledetto «Volentieri»? Amava la voce di Diane, la sua intonazione, ma quella parola lo infastidiva sempre di piu. Aveva qualcosa di servile che lui detestava. Si stropiccio gli occhi e si sedette su una sedia, con lo sguardo fisso sul monitor. «Diane?» «S, Jericho?» «Puoi... intendo... sarebbe possibile per te cancellare il termine ’volentieri’ dal tuo vocabolario?» «Cosa intendi esattamente? ’Volentieri’ oppure ’il termine volentieri’?» «Volentieri.» «Se vuoi, posso evitare di utilizzare questa parola in futuro.» «S, e un’idea grandiosa.» Temette che il computer facesse seguito alla sua richiesta con un «Volentieri», invece Diane mormoro: «Fatto».
«Bene.» Era stato di una semplicita sconvolgente. Non poteva pensarci prima? «Mostrami tutti i download nella cartella YOYOFILE S in ordine cronologico a partire da maggio di quest’anno. » Sul monitor apparve un elenco che comprendeva poco piu di una ventina di voci. Jericho scorse la lista, concentrandosi sull’orario immediatamente precedente alla fuga di Yoyo. C’era qualcosa. D’un tratto la stanchezza lo abbandono. Circa mezz’ora prima di lasciare l’appartamento, c’era stato un trasferimento di dati sul computer di Yoyo. Due file di formato differente. Diede ordine a Diane di aprirne uno. Apparve un simbolo luminoso, composto da linee intrecciate. Sembrava pulsare, come se stesse respirando. Jericho guardo piu attentamente. Serpenti? In effetti, ricordava un nido di serpenti. Serpenti attorcigliati a formare una specie di occhio di rettile, posto al centro di un corpo dal quale uscivano i serpenti stessi: un unico essere dall’aspetto surreale, che lo porto a scavare tra le reminiscenze scolastiche. In quale episodio mitologico c’erano serpenti che strisciavano ovunque? Si mise a ispezionare il secondo file. friends-of-iceland.com en-medio-de-la-suiza.es Brainlab.de/Quantengravitationstheorie/Planck/uni-kassel/32241/html invece di Vanessacraig.com Hoteconomics.com Littlewonder.at Non era necessario essere molto perspicaci per capire cosa significava. Tre siti web dovevano sostituire gli altri tre. Si chiese come Yoyo fosse arrivata a quei dati. Ordino a Diane di aprire in successione le tre pagine in cima alla lista, indirizzi accessibili a chiunque e del tutto inoffensivi. Friends-of-iceland.com era un blog. Alcuni immigrati in Islanda di origine scozzese raccontavano le loro esperienze, pubblicavano fotografie e fornivano consigli utili ai nuovi arrivati o a coloro che accarezzavano l’idea di trasferirsi in quel Paese. Anche Enmedio-de-la-suiza.es era dedicato al fascino della vita all’estero. Creato in Spagna, il sito metteva a disposizione una grande quantita di materiale didattico sulla Svizzera sotto forma di filmati 3D. Ne guardo qualcuno. Erano stati girati a bordo di aerei ed elicotteri. Sorvolo a bassa quota Zurigo, alcuni tratti del Canton Uri e il corso tortuoso di un fiume punteggiato da pittoreschi raggruppamenti di case e fienili. Brainlab.de/Quantengravitationstheorie/Planck/uni-kassel/32241/html invece era un sito tedesco: dodici pagine fitte che trattavano un fenomeno che la fisica definiva «schiuma quantistica». Spiegava cosa accadeva applicando la teoria quantistica e la teoria della relativita generale
alla cosiddetta «lunghezza di Planck», ovvero una fluttuazione di bollicine spazio-temporali e la nascita di un dilemma scientifico, poiche la fluttuazione invalidava i calcoli della teoria della relativita generale. Nel testo mancavano numerosi paragrafi e, con ogni evidenza, l’articolo era indirizzato a persone che andavano in estasi alla vista di lavagne piene di formule. Scozia, Spagna, Germania. Gli amici dell’Islanda. Le bellezze della Svizzera. La fisica quantistica. Argomenti poco adatti per scatenare orrore e spavento. Sempre piu incuriosito, Jericho carico i siti indicati per la sostituzione. Vanessa Craig era una studentessa di Scienze agrarie di Dallas, nel Texas: stava trascorrendo un paio di mesi in Russia come ragazza alla pari. Nel suo diario online aveva poche cose entusiasmanti da raccontare sulla sua esperienza in una cittadina universitaria a sud di Mosca. Aveva nostalgia di casa, soffriva di mal d’amore e si lamentava delle temperature rigide, responsabili della classica malinconia dell’animo russo. Hoteconomics. com era un bollettino economico americano. Littlewonder. at, invece, era un portale austriaco che parlava di giocattoli realizzati a mano, attento in particolare alle esigenze dei bambini in eta prescolare. Cosa significava tutto cio? Cosa avevano in comune relazioni di viaggio, giocattoli, la fisica quantistica e le annotazioni di una ragazza americana tremante di freddo? Nulla. E quindi erano perfette per una dead letter box. Si passava di l e si dava un’occhiata, senza nutrire il minimo sospetto che quelle pagine potessero contenere altro rispetto al testo visibile. Yoyo doveva avere scoperto cosa avevano in comune. Cio che non si vedeva ma che c’era. Jericho apr di nuovo il sito spagnolo coi filmati sulla Svizzera, clicco sul simbolo coi serpenti e lo trascino sulla pagina. Non accadde nulla. L’icona ritorno al suo posto sul display come se fosse stata trattenuta da un elastico. «Strano», mormoro. «Avrei giurato che...» Che fosse una maschera? Una maschera per svelare i contenuti in un contesto apparentemente inoffensivo, come tra le pagine di quei siti. Un programma di decodifica. Trascino di nuovo il simbolo sul sito spagnolo, ma quello scivolo via una seconda volta. «Adesso tocca a voi, amici dell’Islanda. Vediamo cosa avete da offrirmi.» Stavolta qualcosa accadde. Non appena trascino il simbolo coi serpenti sulla pagina del blog, si apr una nuova finestra che conteneva poche parole, apparentemente senza senso. Il suo istinto non l’aveva tradito. Jan a indirizzo commerciale: Oranienburger Straße 50, continua un lui sa e se dichiarazione rovesciamento governo al momento del di Donner Èpossibile «Lo sapevo. Lo sapevo!» Jericho serro le mani a pugno, eccitato per la scoperta. Il nido di serpenti era una chiave. Chiunque avesse nascosto dei messaggi in quelle pagine ricorreva a uno speciale algoritmo i cui parametri erano memorizzati nella maschera. Apr la pagina del
trattato sulla schiuma quantistica e ripete la procedura. Al frammento si aggiunse qualche parola. Jan ad Andre titolare indirizzo commerciale: Oranienburger Straße 50, 10117 Berlino. continua un enorme lui almeno a conoscenza di e se In ogni caso dichiarazione del rovesciamento governo cinese ha al momento del e al eliminazione di Donner. È possibile «È possibile?» Cosa? Vabbe, non ha importanza, per ora. In ogni caso, quel secondo messaggio poteva mettere in allarme qualcuno che si trovava nel mirino del Partito. Quello che a prima vista poteva sembrare il risultato di un esperimento dadaista, era in realta parte integrante di un testo piu esteso, i cui frammenti erano sparsi all’interno di un numero sconosciuto di dead letter box. Jericho inizio a riflettere. Le dead letter box esistevano da quando esisteva lo spionaggio tra Stati e istituzioni e gli agenti dovevano evitare d’incontrarsi. Ai tempi della Guerra Fredda erano state la spina dorsale del sistema di trasmissione dei messaggi. Veniva utilizzato di tutto: bidoni dei rifiuti, cavita degli alberi, crepe nei muri, elenchi telefonici pubblici, riviste delle sale d’attesa, vasi e zuccheriere dei ristoranti, cassonetti degli sciacquoni dei bagni pubblici. La dead letter box era un luogo accessibile a chiunque, in cui si lasciava qualcosa che di fatto potevano vedere tutti, ma che solo gli iniziati avrebbero riconosciuto come un messaggio. Il mittente e il destinatario si accordavano su un orario. Il mittente depositava cio che era interessato a trasmettere - documenti, microfilm, richieste di riscatto, materiale giornalistico scottante -, lasciava un segnale in un posto concordato e poi spariva. Quindi sopraggiungeva il destinatario, prelevava il materiale, lasciava a sua volta un segnale che ne confermava il prelevamento e se ne andava. Il sistema era stato cruciale finche c’era stato bisogno dello scambio fisico di oggetti. Poi, con la possibilita di trasmettere messaggi cifrati via Internet, era caduto in disuso e riservato ai casi in cui, anche volendo, il materiale da trasmettere non sarebbe passato attraverso la fibra ottica. Almeno cos sembrava. Di fatto, la dead letter box stava vivendo una seconda giovinezza, soprattutto nei Paesi in cui la codifica elettronica era vietata oppure consentita ma vincolata al deposito di una seconda chiave presso la polizia informatica. Le moderne dead letter box erano file o siti web cui chiunque poteva accedere. I contenuti erano irrilevanti, bastava che si adattassero alla trasmissione del messaggio. Una frase composta da dodici parole poteva essere spezzata in dodici parti da «disseminare» all’interno di dodici siti web. La prima parola - Il, lo o la - poteva comparire nella seconda riga di un qualsiasi resoconto di viaggio; la seconda parola nella sesta riga del terzo paragrafo di un articolo scientifico, la terza parola negli sfoghi patetici di una teenager... Se poi una parola non doveva comparire affatto, allora la si divideva in lettere singole, di fatto presenti ovunque.
Tuttavia i file erano inutilizzabili se non si possedeva la chiave per estrarre le parole o le lettere per formare il messaggio. Ed ecco che entrava in gioco la maschera, analoga a quelle utilizzate in passato per ricavare i contenuti piu sorprendenti dalla Bibbia o dalle opere di Tolstoj: su una certa pagina, si posizionava un cartoncino forato in alcuni punti e le lettere visibili negli spazi vuoti formavano il messaggio. Nel mondo della rete, pero, la maschera era un programma. E parti di un programma di quel tipo erano evidentemente finite nel computer di Yoyo insieme con l’indicazione che tre di quelle dead letter box dovevano essere sostituite con altre tre. Jericho non aveva idea di quante fossero in totale le dead letter box in gioco. Potevano essere dozzine o centinaia. Era chiaro che servivano altri indirizzi per capire il senso del messaggio. Tuttavia iniziava a capire perche Yoyo si era convinta di avere sollevato un vespaio. Jan ad Andre titolare indirizzo commerciale: Oranienburger Straße 50, 10117 Berlino. Chi era questa persona? Qualcuno che si chiamava Jan o Andre, forse anche una donna: «Jana», cioe «Jana » ? Si poteva essere titolari di un indirizzo commerciale? Mah, che strana formulazione. Mancava qualcosa, pero l’indirizzo sembrava completo. continua un enorme lui almeno a conoscenza di e se In ogni caso C’era qualcosa che continuava, e qualcuno ne era a conoscenza. lui almeno a conoscenza di Lui? Allora non era una donna? «Jan ad Andre»: era un nome unico? Poi c’era la parte piu scottante: dichiarazione del rovesciamento governo cinese Di fronte a quelle parole, di certo Yoyo aveva spalancato gli occhi. Il governo cinese menzionato nel contesto di un rovesciamento. Qualcuno ne era a conoscenza, probabilmente con grande rammarico dei rivoltosi. Chi o cosa doveva essere rovesciato ? Il governo di Pechino? Esistevano sovversivi all’interno dell’Assemblea nazionale, negli ambienti militari, all’estero? Difficile immaginarlo. Era piu probabile che il rovesciamento si riferisse a un altro Stato e che il governo cinese fosse coinvolto. Coinvolto in un rovesciamento riuscito oppure fallito... o magari imminente. Si trattava forse di qualcuno che poteva rivelare il ruolo di Pechino? ha al momento del e al eliminazione di Donner Tutto incomprensibile, tranne una parola: «eliminazione». L’«eliminazione di Donner»? Cosa voleva dire «Donner»? Era francese? Poco probabile. Come ovunque nel frammento, anche l mancavano passi fondamentali. Forse bastavano poche parole per completare il testo, ma era anche possibile che si estendesse per centinaia di pagine e che Jericho, con tutte le sue supposizioni, fosse completamente fuori strada. Ma, se non era cos, si stava comunicando, annunciando o almeno raccomandando un omicidio.
Analizzo un’altra volta l’ultima riga. momento esatto Si trattava di una scadenza. Una scadenza compromessa? Proprio come lui, anche Yoyo doveva avere ricostruito il puzzle ed era giunta a conclusioni simili. Poi se l’era data a gambe, come se fosse inseguita dal diavolo... una definizione calzante per la polizia cinese. Eppure la sua fuga non era del tutto comprensibile. Non era la prima volta che lei veniva in contatto con materiale scottante. Quel frammento avrebbe potuto stuzzicare la sua curiosita, suscitare il suo entusiasmo, e invece l’aveva gettata nel panico. Era andata cos? Oppure si era precipitata a Quyu in preda all’eccitazione, per chiamare a raccolta i Guardiani e studiare i retroscena al sicuro nella centrale? No, era troppo strano. Si sarebbe fatta viva col padre. Il motivo del suo comportamento poteva essere uno solo: contattando Chen Hongbng, temeva di mettere in pericolo lui e se stessa. Perche dava per scontato di essere sorvegliata. Di piu: quella notte temeva che i suoi nemici si materializzassero davanti alla sua porta nel giro di pochi minuti, dato che era penetrata nei loro canali di comunicazione segreti e qualcuno l’aveva beccata. Avevano individuato Yoyo. Jericho ricordo il messaggio della ragazza su Brilliant Shit, ordino a Diane di caricare il testo e lo lesse un’altra volta: Ciao a tutti. Da un paio di giorni sono di nuovo nella nostra galassia. Parecchio stress nei giorni scorsi... qualcuno e arrabbiato con me? Non potevo farci niente, davvero. Tutto si e svolto cos rapidamente. Merda. Cos in fretta si viene dimenticati. Manca solo che mi cerchino di nuovo i vecchi demoni. Vabbe, continuo a impegnarmi per scrivere nuove canzoni. Se uno della band dovesse chiedere : torniamo a esibirci non appena ho pronto qualche nuovo testo interessante. Let’s Prog. Era il grido d’aiuto di una persona che stava perdendo il controllo della situazione. Nel momento in cui aveva caricato gli indirizzi web e la maschera, doveva avere capito di essere stata localizzata. Quello era il motivo della sua fuga precipitosa. Continuo a studiare il frammento. «Diane, cerca ’Oranienburger Straße 50, 10117 Berlino’.» La risposta arrivo un secondo dopo. Jericho guardo l’ora. Mancavano due minuti a mezzanotte. Collego gli occhiali olografici al computer, effettuo il login e inser le coordinate indicate da Yoyo. IL SECONDO MONDO Alla meta del decennio precedente ne era stato profetizzato il collasso. Adesso, pero, Second Life si era riorganizzata fin dalla base: non esisteva piu un nodo centrale, proprio come lo spazio non possedeva un vero centro, ma solo un numero infinito di punti di osser-
vazione che davano l’illusione di un centro, e un abitante della Terra percepiva la propria postazione come fissa e l’universo come qualcosa che gli girava intorno, ora allontanandosi, ora avvicinandosi. Era la stessa percezione che poteva avere un astronauta sulla Luna o qualsiasi altro essere vivente dell’universo, ovunque si trovasse. Nell’universo reale, tutte le parti erano interconnesse, e per quello ognuna poteva rappresentarne il centro relativo. In modo simile, Second Life si era trasformata in una rete peer-to-peer, un sistema praticamente senza limiti, decentralizzato e autosufficiente, in cui ogni server - proprio come i pianeti - rappresentava un nodo interconnesso con tutti gli altri mediante un numero indefinito d’interfacce. Ogni utente era nel contempo un ospite e un utilizzatore dei mondi degli altri. Nessuno sapeva quanti pianeti esistessero in Second Life, chi li abitasse o li controllasse. Naturalmente esistevano registri, carte geografiche informatiche, percorsi e protocolli che consentivano di orientarsi nell’universo virtuale, proprio come l’universo reale era soggetto a precise leggi fisiche. Utilizzando tali strumenti, gli avatar potevano raggiungere qualsiasi luogo del web che conoscevano o al quale ottenevano accesso. Ma nessuno li conosceva tutti. Owen Jericho si sarebbe aspettato di finire in uno di quei luoghi ignoti, invece le coordinate di Yoyo conducevano a un nodo pubblico. Ormai quasi tutte le metropoli avevano un equivalente nel mondo virtuale, percio lui viaggio da Shanghai a Shanghai e si ritrovo nella Renmn Guangchang, nella «piazza del Popolo », o perlomeno in una sua copia quasi identica. A differenza della Shanghai reale, l non c’erano automobili in coda e ai confini della citta non sorgevano quartieri come Quyu. In compenso venivano continuamente edificati nuovi complessi che duravano per qualche tempo, poi trasformandosi o addirittura scomparendo al semplice clic di un mouse. L’edificatore e proprietario della Shanghai informatica era il governo cinese, i finanziamenti provenivano sia da gruppi industriali cinesi sia da multinazionali straniere. Il Partito aveva inoltre una seconda Pechino, una seconda Hong Kong e una seconda Chongqng. Come tutte le metropoli virtuali che s’ispiravano a modelli reali, il fascino della replica era direttamente proporzionale all’autenticita e all’idealizzazione. Nessuno si meravigliava del fatto che, nella Shanghai informatica, vivessero piu americani che cinesi e che quasi tutti gli avatar di aspetto cinese fossero robot, macchine camuffate da esseri viventi. Dal canto loro, diversi cinesi possedevano una seconda residenza nelle versioni virtuali di New York, Parigi o Berlino. I francesi e gli spagnoli vivevano prevalentemente a Marrakech, Istanbul e Baghdad; i tedeschi e gli irlandesi amavano Roma, gli inglesi erano attratti da Nuova Delhi e Citta del Capo e gli indiani da Londra. Chi sognava di vivere a New York e non se lo poteva permettere, in rete trovava una Grande Mela del tutto accessibile e autentica, solo piu selvaggia, piu progredita e persino un po’ piu affascinante dell’originale. Coloro che facevano affari nella
Parigi virtuale non erano alla ricerca dell’isolamento, ma cercavano di avere accesso al piu alto numero possibile d’interfacce col mondo reale. L, BMW, Mercedes-Benz e altri costruttori di automobili non vendevano prodotti di fantasia, ma prototipi di quelli che erano intenzionati a costruire nel mondo reale. In fondo, le metropoli della rete erano colossali laboratori di ricerca, in cui nessuno si faceva problemi a raggiungere New York a bordo di una navicella spaziale anziche su una nave, a patto che la Statua della Liberta si trovasse esattamente dove ci si aspettava che fosse. I proprietari, quindi i rispettivi Paesi, avevano cos scritto una nuova pagina della globalizzazione, ma avevano soprattutto rimodellato il mondo degli esseri umani e l’avevano fatto in modo curioso. Certo, anche nella New York virtuale accadevano crimini e atti terroristici; attacchi informatici facevano saltare in aria i palazzi; gli avatar subivano molestie sessuali; si poteva essere rapinati, derubati, feriti e violentati ; si poteva finire in prigione o essere bruciati vivi. Solo una cosa non esisteva: la poverta. Quella creatasi in rete non era affatto una societa ideale. Ci si poteva ammalare anche l. Gli hacker diffondevano epidemie informatiche e virus. Si poteva avere un incidente o cadere vittime di una dipendenza. In tempi in cui bastava indossare una tuta sensoriale sottile come un foglio di carta per avere un’illusione perfetta anche a livello fisico, il sesso informatico rappresentava la prima fonte di guadagno. La dipendenza dal gioco d’azzardo dilagava e gli avatar soffrivano di paure di ogni tipo, come l’agorafobia, la claustrofobia e l’aracnofobia. Solo il sovrappopolamento era assente. I poveri erano stati identificati come la causa di tutti i mali e allontanati dalla vista degli altri uomini. Coloro che avevano accesso alla rete passavano il loro tempo a Mumbai o a Rio de Janeiro, e le citta crescevano costantemente, ma non c’era traccia della miseria presente nel mondo reale, perche bit e byte costituivano una risorsa illimitata. Persino le catastrofi naturali avevano gia colpito le metropoli virtuali : chi abitava a Tokyo, per esempio, di tanto in tanto si aspettava un autentico piccolo terremoto. Pero gli slum non esistevano. La rappresentazione del mondo era diventata il mondo stesso, con tutte le luci e le ombre dell’esistenza reale e, nel contempo, aveva dimostrato in modo inequivocabile a chi fosse da attribuire la responsabilita del male che c’era sulla Terra. Non al capitalismo, e nemmeno alle societa industriali, che apparentemente non volevano dividere i loro privilegi con nessuno. Con la spietatezza del metodo empirico, l’esperimento virtuale aveva puntato il dito contro l’esercito di poveri di Quyu, contro i miserabili delle favelas brasiliane, delle gecekondular turche, dei megaslum di Mumbai e Nairobi: i miliardi di persone che vivevano con meno di un dollaro al giorno. Erano loro i colpevoli. Nel cyberspazio non erano isolati o esclusi, non venivano strumentalizzati per la lotta di classe, non erano oggetto di vertici internazionali, di aiuti per lo sviluppo, di rimorsi e di rimozione, e nemmeno di odio.
Semplicemente non c’erano. E, d’un tratto, ogni cosa funzionava a meraviglia. Chi era dunque responsabile della mancanza di spazio, dell’edilizia selvaggia, dell’inquinamento ambientale, se l’universo virtuale funzionava alla perfezione senza la poverta? I poveri. Inutile sottolineare che era impossibile confrontare i due sistemi, basati l’uno sul carbonio e l’altro sui byte. Col cinismo ingenuo dei filosofi che riconoscono la radice di tutti i mali nella sovrappopolazione e si tappano le orecchie se si fa cenno alle conseguenze, i rappresentanti della comunita virtuale avevano fatto notare che in Second Life non esistevano i poveri. Non perche qualcuno aveva sospeso i finanziamenti, raso al suolo gli slum o ucciso milioni di persone. Semplicemente perche non erano mai arrivati. Second Life mostrava quale aspetto avrebbe avuto il mondo senza di loro, e senza dubbio era un aspetto migliore. E honi soit qui mal y pense. Ovviamente, nella Shanghai virtuale, mancavano anche molte altre cose. Lo smog, per esempio, e la cosa irritava Jericho. Proprio perche la simulazione intendeva riprodurre fedelmente l’aspetto del mondo reale, l’assenza dell’onnipresente cappa di foschia modificava in modo rilevante l’impressione complessiva. Si guardo intorno e attese. C’erano avatar e robot di tutti i tipi; molti volavano o fluttuavano. Quasi nessuno camminava. In realta, le passeggiate in Second Life erano apprezzate, ma solo per brevi tratti, se si escludevano i mondi programmati per somigliare a paesaggi di campagna, in cui ci si poteva imbattere addirittura in qualche escursionista. Dal suolo al cielo sopra gli edifici piu alti, il traffico era scorrevole. Anche in quello la Shanghai virtuale era assai diversa da quella reale. In rete, poi, era diventata realta anche la visione di un’infrastruttura sostenuta dall’aria. Un gruppo d’immigrati extraterrestri si dirigeva, gesticolando e vociando, verso l’Art Museum di Shanghai. Negli ultimi tempi ci s’imbatteva sempre piu spesso in rettiloidi della costellazione del Cane Maggiore cui appartenva la stella Sirio. Nessuno sapeva con esattezza chi li comandasse. Erano misteriosi e rozzi, tuttavia commerciavano con successo con tecnologie innovative per aumentare la percezione sensoriale. La Shanghai informatica era assoggettata ai sistemi di sicurezza statale, che tenevano faticosamente sotto controllo la megalopoli virtuale con l’aiuto d’innumerevoli robot. Forse i rettiloidi erano soltanto un manipolo di hacker la cui presenza era tollerata, o forse erano agenti della polizia informatica sotto copertura. Gli extraterrestri ormai si erano diffusi in tutte le metropoli virtuali, il che aumentava a dismisura le occasioni d’affari. Di solito dietro quelle figure si nascondevano societa produttrici di software, impegnate a fornire sempre nuovi stimoli all’universo virtuale. Gli esseri di luce astrali di Aldebaran, per esempio, coi quali ci si poteva temporaneamente fondere per sperimentare il piacere di esperienze sonore inedite, con l’andare del tempo si erano rivelati per quello che erano, cioe rappresentanti dell’IBM.
Jericho si chiese sotto quale forma si sarebbe mostrata Yoyo. Poi scorse una donna graziosa, con grandi occhi scuri e coi capelli neri a caschetto attraversare la piazza, diretta verso di lui. Indossava un completo pantalone verde smeraldo e tacchi a spillo. A lui sembrava una figura uscita da un film di Hollywood degli anni ’60, uno di quelli in cui le francesi avevano l’aspetto immaginato dai registi americani. In Second Life, Jericho possedeva diverse identita, ma in quell’occasione era entrato nel mondo virtuale come se stesso, quindi lei lo riconobbe subito. Si fermo davanti a lui, lo guardo con aria seria e gli tese la destra. «Yoyo?» chiese Jericho. Lei poso l’indice sulle labbra, lo prese per mano e lo trascino con se. Si fermo davanti a una fioriera vicino all’ingresso della metropolitana, gli lascio la mano e apr una minuscola borsetta dalla quale spunto la testa di una lucertola, verde come il suo vestito. Per un attimo, gli occhi dorati della creatura si posarono su Jericho. Poi l’animale sguscio fuori dalla borsetta, atterro ai loro piedi e si diresse verso l’aiuola, dove si fermo e si giro, come per assicurarsi che lo seguissero. Il momento dopo, sopra la donna fluttuava una sfera trasparente di quasi tre metri di diametro. La lucertola si volto di nuovo e mostro la lingua biforcuta. «Un attimo», disse Jericho. «Prima di...» La donna lo attiro a se e lo spinse all’interno della sfera. Lui sprofondo in un sedile che un attimo prima non c’era... almeno, dall’esterno la sfera gli era sembrata completamente vuota. La donna lo raggiunse con un salto, si sedette accanto a lui e accavallo le gambe. Attraverso il pavimento trasparente, Jericho scorse la lucertola che li fissava. Poi scomparve. Al suo posto, si era aperto un pozzo illuminato e, in apparenza, senza fondo. «Sei per caso debole di stomaco?» chiese la donna sorridendo, con un accento vagamente francese. Anche se qualunque francese sarebbe inorridito all’idea di parlare in quel modo. Lui scrollo le spalle. «Dipende da quello che...» «Bene.» La sfera precipito nel pozzo, rapida come un sasso scagliato all’interno. L’illusione era cos reale che Jericho sent le ghiandole surrenali pompare fiumi di adrenalina nel sangue. Il battito cardiaco accelero. Ringrazio il cielo di non aver fatto una colazione abbondante. La sfera sfrecciava verso il basso. «Se non ce la fai, chiudi gli occhi», cinguetto la sua accompagnatrice, come se lui avesse protestato ad alta voce. Jericho la fisso. Stava ancora sorridendo. Un sorriso benevolo. «Grazie, ma le giostre mi piacciono.»
L’effetto sorpresa era svanito. Adesso poteva decidere a quale percezione dare la priorita. Stare seduto in una camera d’albergo e guardare un buon film, o vivere tutto in prima persona. Con la tuta sensoriale, scegliere sarebbe stato difficile, forse impossibile, dato che i tessuti coperti di sensori cancellavano ogni distanza col mondo artificiale. Ma lui indossava solo gli occhiali e i guanti. Il resto del suo equipaggiamento era rimasto a Xntiand. «Certe persone si fanno fare una punturina», disse la francese, imperturbabile. «Mai stato in un container del Cyber Planet? » Jericho annu. Nelle filiali piu grandi del Cyber Planet, frequentate da una clientela piu ricercata, esistevano container riempiti di soluzione fisiologica in cui si fluttuava senza peso, dopo aver indossato la tuta sensoriale. Gli occhi erano protetti da occhiali 3D e l’apporto di ossigeno era garantito da minuscoli tubi. In quelle condizioni, si sperimentava l’esistenza virtuale in modo cos intenso che, al confronto, la realta sembrava una sua squallida copia, artificiale e pesante. «Una piccola puntura agli angoli degli occhi. Per paralizzare le palpebre», prosegu la donna. «Gli occhi vengono umidificati, ma tu non sei piu capace di chiuderli. Devi guardare ogni cosa. C’est pour les masochistes.» Sempre meglio che dover ascoltare tutto questo, penso Jericho. Cerco di stabilire dove avesse gia visto quella donna. Di sicuro in un vecchio film. «Dove stiamo andando, Yoyo?» chiese, anche se lo immaginava. Il pozzo era un collegamento che permetteva di uscire dal mondo sorvegliato della Shanghai informatica ed entrare in una regione molto probabilmente sconosciuta ai poliziotti della rete. All’esterno, sfrecciavano innumerevoli luci. La sfera inizio a ruotare su se stessa. Lui guardo verso il basso. Non riusciva a vedere la fine del pozzo, che anzi sembrava allargarsi. «Yoyo?» La donna scoppio in una risata squillante. «Non sono Yoyo. Le voila.» Adesso fluttuavano sotto un pulsante cielo stellato. Davanti ai loro occhi si andava definendo una formazione luccicante, che somigliava a una galassia a spirale e tuttavia poteva essere qualcosa di completamente diverso. A Jericho sembro... viva. Si chino in avanti, ma la loro permanenza in quel continuum duro solo pochi secondi, poi la sfera riprese a muoversi a velocita altissima, come un proiettile in un tunnel di luce. Quindi si fermo. Jericho era sicuro che avevano raggiunto la loro meta. «Impressionato?» chiese la donna. Nessuna risposta. Alcuni chilometri sotto di loro si estendeva un oceano infinito, azzurro e verde. Minuscole nuvole, sfumate di rosa e di arancione, si muovevano sopra di esso. La sfera si diresse verso un grosso oggetto, sospeso sopra le nuvole, un oggetto con una montagna coperta di boschi, cascate, prati e spiagge. Jericho intravide stormi di esseri alati. Animali colossali pascolavano sulle rive di un fiume luccicante che si faceva strada intorno
alla cima vulcanica e sfociava nel mare... No, non sfociava nel mare. Cadeva nel mare. Sollevando una nuvola di schiuma, l’acqua si gettava oltre il bordo dell’isola volante nell’azzurro dell’oceano. Piu si avvicinavano, piu Jericho aveva l’impressione di trovarsi al cospetto di un gigantesco UFO. Sollevo la testa e vide due soli brillare nel cielo: l’uno bianco, l’altro circondato da una strana aura turchese. La sfera accelero, poi freno e segu il corso del fiume. Jericho lancio un breve sguardo ai giganteschi animali che avanzavano sul terreno : non somigliavano a nulla che avesse mai visto. Poi sorvolarono prati ondulati, al di la dei quali il terreno digradava per stemperarsi in una spiaggia di sabbia bianchissima. «Qualcuno ti verra a prendere», disse la francese, sottolineando le parole con un gesto della mano. La sfera e la donna scomparvero, e lui si ritrovo accovacciato sulla sabbia. «Sono qui», disse Yoyo. Sollevo la testa e la vide camminare verso di lui, scalza, il corpo sinuoso avvolto in una corta tunica. Il suo avatar era una perfetta replica del suo corpo, e la cosa in qualche modo cancello l’ansia. Dopo quell’assurda copia di Irma la dolce aveva temuto che... Ecco cos’era. La francese gli ricordava il personaggio di un film, e adesso sapeva anche quale. Era la copia perfetta di Shirley McLaine nel ruolo di Irma la dolce nell’omonimo film. Una pellicola vecchissima, risalente a quasi sessantacinque anni prima. Jericho la conosceva solo grazie alla sua passione per il cinema del XX secolo. Yoyo lo osservo, poi disse: «È vera quella cosa di Grand Cherokee?» «Quale?» «Che lo hai ucciso.» Jericho scosse la testa. «Che sia morto e vero. Ma e stato Kenny a ucciderlo.» «Kenny?» «L’uomo che ha ucciso anche i tuoi amici.» «Non so se posso fidarmi di te.» Si avvicino e lo fisso coi suoi occhi scuri. «All’acciaieria mi hai salvato, ma questo, in fondo, cosa significa?» «Gia», ammise lui. «Facciamo due passi.» Jericho si guardo intorno. Non sapeva cosa pensare di quella situazione. A poca distanza da loro, atterrarono alcune creature trasparenti che non erano uccelli e nemmeno insetti. Forse erano piante volanti. Distolse lo sguardo e s’incammino con la ragazza lungo la spiaggia. «Abbiamo trovato l’oceano mentre perlustravamo la rete alla ricerca di rifugi sicuri», spiego Yoyo. «Una pura coincidenza. Forse avremmo dovuto trasferire qui la centrale, ma io non ero del tutto sicura di poter lavorare indisturbata.»
«Non siete stati voi a programmare questo mondo?» «L’isola s. Tutto il resto c’era gia. L’oceano, il cielo, le nuvole, quegli strani animali acquatici che talvolta si spingono fino alla superficie. I due soli sorgono e tramontano a breve distanza l’uno dall’altro. Ci sono anche altre terre emerse. Ma finora le abbiamo viste solo in lontananza.» «Qualcuno deve pur aver creato tutto questo.» «Tu credi?» «Esiste sicuramente un server in cui sono memorizzati questi dati.» «Finora non siamo riusciti a localizzarlo. Mi sono convinta che questa sia l’opera di un’intera rete.» «E se fosse una rete governativa?» insinuo Jericho. «Non credo.» «Come fai a esserne sicura? S, insomma, che senso ha tutto questo? Chi puo avere interesse a creare un mondo del genere? A quale scopo?» Lei scrollo le spalle. «Forse non c’e uno scopo. Oggi nessuno e in grado di conoscere Second Life nella sua interezza. Negli ultimi anni, sono stati creati innumerevoli tool, continuamente modificati. Ognuno costruisce il proprio mondo. La maggior parte fa schifo, ma alcune cose sono di una bellezza incredibile. In un posto riesci a entrare, in un altro no. In genere, sei vincolato dai protocolli, in modo che tutti possano vedere le stesse cose... ma credo che ormai non sia piu vero nemmeno questo. In alcune regioni vengono utilizzati algoritmi completamente diversi. » Jericho si era avvicinato al bordo. Dove la sabbia avrebbe dovuto essere lambita dall’acqua, la riva cadeva nel vuoto. Sotto di loro, la luce dei due soli illuminava la superficie ondulata dell’oceano. «Intendi dire che questo mondo e stato creato dai robot ?» Yoyo gli si avvicino. «Non sono un’invasata che fa delle schede di memoria una nuova religione. Pero sono convinta che l’intelligenza artificiale stia penetrando nel web in un modo che i suoi creatori non avrebbero mai immaginato. I computer creano altri computer. Second Life ha raggiunto uno stadio in cui si autogenera grazie ai propri impulsi. Adattamento e selezione, capisci? Nessuno puo dire quand’e iniziato il processo, e men che meno dove ci portera tutto questo. Cio che sta accadendo e la conseguenza naturale dell’evoluzione, solo su un altro piano. Darwinismo informatico.» «Come avete trovato questo posto?» «Te l’ho detto. Una coincidenza. Cercavamo un angolo appartato. Mi sembrava arcaico starsene seduti nell’Andromeda o nell’acciaieria, dove quei porci della Cypol potevano trovarci in qualunque momento. Certo, lo so che possono scovarti anche in rete. Se codifichi i tuoi dati sei finito, tanto varrebbe invitarli ad arrestarti. Per comunicare utilizzavamo i blog,
con distorsori e anonimizzatori. Ma non era abbastanza. Percio ho pensato di trasferirci in Second Life. Anche qui hanno sguinzagliato i loro segugi, ma non sanno cosa cercare. Tutte le loro ontologie e tassonomie qui non funzionano.» Jericho annu. Second Life era un rifugio perfetto se si voleva eludere la sorveglianza statale. I mondi virtuali erano di gran lunga piu complessi e piu difficili da controllare dei semplici blog e delle chatroom. Era assai diverso estrapolare frammenti di frasi da un contesto sospetto o interpretare la mimica, la gestualita, l’aspetto e l’ambiente delle persone virtuali per scoprire cospirazioni e ideologie proibite. In Second Life, ogni cosa e ogni persona poteva essere un codice, amico o nemico. Il numero di funzionari governativi cinesi che si occupavano di Internet era impressionante. La polizia informatica tentava di penetrare in tutte le aree del cosmo virtuale, ma conseguiva gli stessi sporadici risultati della polizia regolare che s’infiltrava tra la popolazione nel mondo reale. Era letteralmente impossibile per il personale tenere sotto controllo milioni e milioni di utenti. Di conseguenza, la polizia informatica puntava sull’insicurezza. Certo, non tutti gli avatar di Second Life erano agenti del governo, ma avrebbero potuto esserlo: la scaltra donna in carriera, il banchiere gentile, la ballerina di striptease, il partner occasionale, l’alieno, il drago volante, il robot e il deejay, persino un albero, una chitarra o un intero edificio. Come ulteriore conseguenza dell’inevitabile scarsita di personale, il governo lavorava con schiere di robot, avatar non comandati da esseri umani bens da macchine dall’aspetto umano. Erano anche stati creati raffinatissimi programmi robot. Ogni tanto, quand’era in missione in Second Life, Jericho faceva assumere a Diane un aspetto virtuale, e lei appariva sotto forma di un minuscolo elfo volante, vagamente androgino, con occhi neri da insetto e ali trasparenti da libellula. Ma avrebbe potuto presentarsi anche come una donna seducente, facendo perdere la testa a uomini reali, che non si sarebbero mai resi conto che stavano facendo avance a un computer. In quei momenti, sarebbe stato possibile «smascherare» Diane solo col test di Turing, che consisteva nel coinvolgere la macchina in una conversazione che avrebbe permesso di svelare i suoi limiti cognitivi, rivelando la sua identita di programma estremamente evoluto, ma pur sempre limitato. Ecco qual era il problema degli agenti robot. Privi di vera intelligenza e della capacita di astrazione, non erano in grado d’interpretare il comportamento e l’aspetto delle persone virtuali come codici. Non c’era da stupirsi se Yoyo e i suoi Guardiani avessero scelto Second Life: la struttura decentrata della rete peer-to-peer era ideale per allestire stanze nascoste in cui mittenti e destinatari di dati non potevano essere localizzati e il numero di mondi era pressoche infinito. Di fatto, ormai erano ricostruibili solo i percorsi dei dati tra i vari server. E i server stessi lavoravano perlopiu con dei «portinai» elettronici. Chi visitava un server e
otteneva l’accesso era soggetto al controllo del rispettivo webmaster, ma i visitatori del server non potevano controllarsi a vicenda se non disponevano della necessaria autorizzazione. Il webmaster della Shanghai informatica era Pechino. Se Jericho avesse avuto un’agenzia investigativa nella metropoli virtuale, avrebbe dovuto pagare l’affitto al governo cinese, il che significava che le autorita avevano diritto di bussare alla porta con un mandato di perquisizione e di mettere sottosopra il suo ufficio elettronico. Per ottenere un mandato era necessaria un’autorizzazione del giudice, ma in Cina era piuttosto facile ottenerne una. Quello era l’unico motivo che l’aveva spinto a non aprire un ufficio nel mondo virtuale. Lascio correre lo sguardo sulla distesa azzurra davanti a lui. Era davvero possibile che quel mondo fosse stato creato da una rete di robot? Se i computer avessero sviluppato nozioni estetiche, sarebbero state sicuramente simili a quelle degli esseri umani e nel contempo fastidiosamente estranee. «E l’isola e sicura ?» Yoyo annu. «Abbiamo bucato il cyberspazio in un sacco di punti per costruirci il nostro pianeta, in modo che non tutti possano arrivarci. Jn Jia Wei...» Si blocco, poi riprese: «Jn ha calcolato milioni di possibilita, tra cui quella di modificare il protocollo. Non di molto ma, se non si possiede la chiave di accesso, si finisce dritti in un calderone di dati. Abbiamo provato un numero infinito di varianti, le abbiamo generate in modo casuale perche credevamo che fosse un’idea nuova. Invece siamo finiti qui». «E il protocollo e...» «Una piccola lucertola verde.» Yoyo sorrise. Era lo stesso sorriso triste che lui aveva gia visto nei filmati di Chen Hongbng. «Ovviamente il server registra l’intervento, ma senza dare l’allarme. Non si accorge che, per breve tempo, si apre un buco nero elettronico che consente di fuggire in una specie di universo parallelo. Per il sistema e come se qualcuno aprisse una porta per richiuderla subito dopo.» Lui annu. «Avevo immaginato qualcosa del genere. E chi e Irma la dolce? Un robot?» Yoyo inarco le sopracciglia, sorpresa. «Ehi! Conosci Irma la dolce?» «Naturalmente.» «Accidenti. Io non avevo la piu pallida idea di chi fosse finche non me ne ha parlato Daxiong.» «Un film. Un bel film.» «Un film su una pollastrella francese.» «Forse non rappresenta la gloriosa cultura cinese, ma esistono anche altre cose, pensa un po’», disse Jericho in tono asciutto. «A proposito, complimenti: l’avatar somiglia a Shirley McLaine come una goccia d’acqua.» «Lei... ehm... sarebbe un’attrice, giusto? Una francese.»
«Un’americana.» Yoyo sembro riflettere. Poi scoppio a ridere. «Oh, questo non piacera a Daxiong. Si considera un intenditore.» «Di cinema?» «Oh, no. Daxiong ha il pallino della Francia. Come se non avessimo abbastanza cultura, qui. È capace di parlare tutto il giorno di... Mah, lasciamo perdere.» Si volto dall’altra parte e passo una mano sugli occhi. Jericho la lascio in pace. Quando lo fisso di nuovo, c’era una lacrima sulla sua guancia. «Tu hai il mio computer », riprese Yoyo. «Allora, dimmi cosa vuoi da me.» «Niente.» «Come?» «È tuo padre che mi manda. È terribilmente preoccupato per te.» «Non credere che non me ne importi», scatto lei. «Non dico questo. So che non era tua intenzione causargli un dispiacere. Pensavi che la tua corrispondenza e le tue telefonate venissero intercettate e che, se l’avessi chiamato o gli avessi scritto un’e-mail, si sarebbero precipitati da lui e lo avrebbero messo sotto torchio. Non e cos?» Yoyo fisso il vuoto con uno sguardo cupo. «Hongbng non sa da che parte cominciare con blog e mondi virtuali», continuo lui. «È gia felice di riuscire a usare un cellulare antidiluviano. Oltretutto s’illude che sua figlia abbia imparato la lezione. Non sa con precisione che cosa fai. Anzi diciamo che lo sospetta, ma non vuole saperlo. Di certo non immagina che Tu Tian ti copra.» «Tian!» esclamo Yoyo. «È lui che ti ha dato l’incarico di trovarmi, vero?» «È lui che ha mandato tuo padre da me.» «Chiaro, perche mio padre non avrebbe mai... Ma perche non mi ha...» «Perche non ti ha mandato un messaggio all’Andromeda, anche se sapeva che eri l? Be’, dell’altoforno non gli avevi raccontato nulla, percio ha iniziato a innervosirsi...» «Come hai conosciuto Tian?» «È un amico. E, se posso azzardare un’ipotesi, e pure una sorta di membro non ufficiale dei Guardiani. Perlomeno vi ha fornito le attrezzature. Voglio dire, la roba nella centrale te l’ha data lui, no? Anche Tu Tian e stato un dissidente, proprio come lo siete voi, oggi.» «Come eravamo noi.» Ah, e vero, penso Jericho. Aveva toccato un tasto dolente. Ma era inevitabile. «Tian non aveva bisogno di scrivermi. Sapeva che non sarebbe servito a nulla», disse Yoyo.
«Infatti. Pero le cose sono cambiate quando Hongbng ha deciso di trovarti. Una faccenda rischiosa. Tuo padre puo anche fingere di essere stupido, ma sapeva benissimo di non poter coinvolgere la polizia, dato che tu rovisti nei bidoni dell’immondizia del Partito. Allora si e rivolto a Tu Tian, perche ha un sacco di contatti, e anche perche sa che Tian ti e molto vicino, forse piu di...» «Non e vero», scatto Yoyo. «Stai dicendo un sacco di stupidaggini !» «Lui pero la vede cos...» «Non sono affari tuoi, chiaro? Stai fuori dalla mia vita privata. » Jericho abbasso il capo. «Come vuoi, principessa. Per quanto mi sara possibile, lo faro. Insomma: cosa avrebbe dovuto fare Tian? Dare una pacca sulla spalla a Hongbng e dirgli: ’Non preoccuparti, anche se io so una cosa che tu non sai’? Bah, d’accordo, la tua vita privata e sacra, anche se mi e costata una macchina e forse anche un appartamento che potrebbe andare a fuoco da un momento all’altro. Mi stai causando parecchio stress, Yoyo.» Lei aggrotto le sopracciglia, furiosa. Stava per dire qualcosa ma lui la fermo con un cenno. «Tienitelo per dopo.» «Ma io...» «Non possiamo perdere altro tempo a chiacchierare sulla tua isola. Dobbiamo elaborare un piano per uscire da questo pasticcio. » «Dobbiamo?» «Allora non mi hai ascoltato...» sospiro Jericho. «Ci sono dentro fino al collo anch’io, quindi sveglia, signorina. Hai perso i tuoi amici. Perche pensi che sia accaduto? Perche hai sollevato un po’ di polvere? Il Partito e abituato a calpestare la merda dei dissidenti, e al massimo ti sbatte in cella. Di certo non tira in ballo uno come Kenny.» Gli occhi di Yoyo si riempirono di lacrime. «Ma io non potevo certo...» Lui si morse il labbro. Stava per commettere un errore. Far ricadere sulla ragazza la colpa della morte dei suoi amici era sleale, oltre che stupido. «Mi dispiace», disse. Yoyo si mise a camminare avanti e indietro. «Forse avrei... avrei...» «No, non pensarci. Non potevi farci niente.» «Se solo non avessi avuto quella stupida idea!» «Cosa hai fatto?» «Non sarebbe successo nulla. È tutta colpa mia, io...» «No, non e cos.» «E invece s!» «No, Yoyo. Non potevi farci niente. Raccontami cosa hai fatto. Cos’e successo quella notte?»
«Io non volevo.» Le sue labbra tremavano. «È colpa mia se sono morti. Se sono tutti morti.» «Yoyo...» Lei si copr il volto con le mani. Lui si avvicino, le strinse delicatamente i polsi e tento di abbassarle le mani. Lei si libero con forza e si allontano. Alle spalle di Jericho, riecheggio un profondo ringhio. E adesso cos’era quello? Lui si volto lentamente e si ritrovo a fissare negli occhi un gigantesco orso. «Daxiong?» riusc a mormorare. L’orso - che aveva le dimensioni di un pony - mostro i denti, ma Jericho rimase immobile. Ovviamente all’interno della simulazione non aveva nulla da temere, pero ignorava quali impulsi potessero trasmettere i guanti. Generavano percezioni tattili, pertanto stimolavano il sistema nervoso. Avrebbero trasmesso ai suoi nervi anche il dolore, nel malaugurato caso che alla belva fosse venuta l’idea di mangiucchiargli le dita? «È tutto a posto.» Yoyo si avvicino all’animale, lo accarezzo e poi guardo Jericho. La sua voce era tornata tranquilla, quasi inespressiva. «Quella notte stavamo facendo un test. Stavamo provando un modo per inviare messaggi.» «Via e-mail?» «S. L’idea era mia, pero era stato Jn Jia Wei a mettere a punto il metodo.» Diede all’orso un buffetto sul muso. Lui chino la testa e un attimo dopo scomparve. «Siamo in contatto con una serie di attivisti in tutto il mondo», riprese Yoyo. «Senza di loro, non avremmo accesso a informazioni importanti. È ovvio che non possiamo chiedere direttamente a Washington quali porcherie sta compiendo il nostro Paese, dove oltretutto io sono schedata come dissidente. Ti e tutto chiaro, fin qui?» «S.» «Second Life e un modo per ingannare la polizia informatica. Non senza difficolta, certo. È perfetta per incontri come il nostro. Io pero volevo qualcosa di semplice e veloce, giusto per sbirciare qualche fotografia o dare un’occhiata a un paio di articoli. » Yoyo fisso il punto in cui un attimo prima si era smaterializzato l’orso. «Le e-mail circolano sempre. Sono e-mail innocue, insospettabili, dove non c’e scritto nulla che potrebbe far rabbrividire il Politburo. Cos abbiamo provato a... saltare sui treni degli altri. Jn e io abbiamo creato un protocollo in grado d’inserire messaggi criptati e poi decodificarli nuovamente. L’abbiamo implementato sul computer di Daxiong e sul mio e poi abbiamo deciso di fare un test.» A poco a poco, Jericho cominciava a capire cosa fosse accaduto quella notte. L’idea di base era semplice eppure mirava a raggirare anche la sorveglianza piu attenta. I messaggi elettronici erano anzitutto insiemi di dati che, come piccoli viaggiatori, dovevano essere trasportati da un luogo all’altro. Allora si creavano pacchetti di dati, stipati come passeg-
geri nei vagoni ferroviari; proprio come i vagoni, poi, ogni pacchetto aveva una determinata lunghezza. Quando un vagone era pieno, se ne agganciava un altro e cos via finche non si riusciva a «sistemare» e a spedire l’intero messaggio, con l’indirizzo del destinatario che fungeva da locomotiva. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, a causa della differente lunghezza dei dati, l’ultimo vagone era mezzo vuoto. L’indicazione END OF MESSAGE segnalava appunto la fine del messaggio. Ma, dato che un pacchetto poteva essere spedito solo per intero, il piu delle volte rimaneva dello spazio libero, il cosiddetto «rumore bianco». All’arrivo, il computer del destinatario selezionava i dati «ufficiali» del messaggio, tagliava il resto e lo gettava via. A nessuno veniva in mente di cercare contenuti all’interno del rumore bianco... perche sapeva che non avrebbe trovato nulla. Quella era l’idea di partenza e, a prescindere da chi l’avesse avuta, era davvero geniale. Un messaggio segreto veniva codificato in modo tale da assumere le sembianze del rumore bianco e viaggiava insieme col resto, come se fosse un passeggero clandestino. C’era solo un problema da risolvere. Bisognava avere almeno la possibilita di accedere al computer del mittente. Nulla impediva di far viaggiare i clandestini a bordo dei propri treni, tuttavia chiunque avesse attirato l’attenzione della polizia informatica anche una sola volta sapeva che la propria corrispondenza sarebbe stata soggetta a una sorveglianza costante. Gli organismi statali come la Cypol potevano anche essere oberati di lavoro, ma non erano certo stupidi. Pertanto bisognava mettere in conto che controllassero anche il rumore bianco. Comunque una soluzione c’era, ed era quella di sfruttare il traffico e-mail di terzi. Due dissidenti che intendevano scambiarsi un messaggio dovevano disporre entrambi di un router o di una «stazione» illegale per fermare i treni di dati, e ovviamente dovevano accordarsi sul treno da utilizzare. Poteva trattarsi degli auguri di compleanno dello zio Huang di Shenzhen Sh al nipote Y che viveva a Pechino, entrambi cittadini rispettabili dal punto di vista delle autorita statali. Huang spediva gli auguri ignorando completamente che, per il proprio treno, fosse prevista una fermata intermedia nella stazione del dissidente numero uno, il quale estraeva dal messaggio il vero rumore bianco, lo sostituiva col messaggio criptato e poi faceva ripartire il treno. Prima di raggiungere Y, il treno veniva fermato di nuovo, stavolta dal dissidente numero due, il quale prelevava il messaggio, lo decodificava e lo sostituiva nuovamente col rumore bianco autentico prima di recapitare il messaggio originario al nipote di Pechino. Il destinatario ufficiale riceveva quindi gli auguri dallo zio Huang senza che nessuno dei due sospettasse minimamente a cosa avesse partecipato. Un metodo non molto diverso da quello messo in pratica negli aeroporti dai corrieri della droga, che infilavano la merce nei bagagli d’ignari turisti. La differenza stava nel fatto che la droga, durante il trasporto, non assumeva le sembianze delle mutande contenute nelle valigie.
«Certo non eravamo cos ingenui da credere di aver inventato noi il trucco. Tuttavia ci sembrava assai improbabile incappare in un’e-mail in cui c’era gia ’seduto’ un clandestino», disse Yoyo. «Di chi era l’e-mail ufficiale che hai intercettato?» Yoyo scrollo le spalle. «Proveniva da qualche autorita statale. Il ministero dell’Energia o qualcosa del genere.» «Chi era il mittente?» «Aspetta, era...» Corrugo la fronte con un’espressione testarda. «Okay, non lo so.» «Come, scusa? Non sai chi...» Jericho la guardo, incredulo. «Santo cielo, era solo un test. Volevo solo vedere se riuscivo a entrare!» «E cosa hai scritto esattamente?» «Mah, una stupidaggine.» «Cosa hai scritto?» «Ho scritto...» Sembro masticare a lungo la frase prima di sputargliela in faccia. «Catch me if you can.» «Catch me if you can?» «Sei sordo?» «Perche proprio quella frase?» «Perche proprio quella frase?» lo prese in giro lei, scimmiottando il suo tono incredulo. «Che importanza ha? Mi piaceva, punto e basta.» «Ah, certo, ti piaceva. Per un test del genere...» «Oh, cavolo!» Yoyo sollevo gli occhi al cielo. «Non doveva leggerla nessuno!» Lui sospiro e scosse la testa. «Okay. E poi?» «Il protocollo si attivava in tempo reale. Blocca un’e-mail, estrai il rumore, scrivici dentro il tuo messaggio, codifica, inoltra, tutto simultaneamente. Allora mi metto a scrivere e, nello stesso istante, mi accorgo che c’e gia dentro qualcosa. Che non ho estratto del rumore bianco bens qualcosa di codificato!» «Perche qualcuno stava tentando di fare proprio quello che stavi facendo tu.» «S.» Jericho annu. Doveva ammettere che Yoyo non poteva prevedere un simile sviluppo. «Ma ormai l’e-mail era gia ripartita », aggiunse. «Per raggiungere il destinatario del messaggio segreto. Solo che questa persona non ha mai ricevuto il messaggio originale, perche tu l’avevi estratto e sostituito col tuo.» «Senza volerlo.» «Non ha importanza. Prova a rifletterci. Qualcuno sta aspettando un’informazione complessa e segreta. Invece legge: Catch me if you can.» Jericho applaud con fare ironico.
«Brava, Yoyo. Che provocazione. Piccola ma raffinata. Complimenti!» «Stronzo. Ovviamente hanno capito subito cos’era successo.» «Ed erano preparati.» «S, al contrario di me.» Lo fisso, indispettita. «Voglio dire, non so se avessero messo in conto una cosa del genere. Ma bisogna ammettere che il loro sistema di protezione ha funzionato benissimo, dando subito l’allarme: ’Lungo il percorso e spuntato un nodo aggiuntivo che non doveva esserci. Dove sono i nostri dati?’» «E cos sono risaliti a te.» «Sono risaliti a me?» Yoyo scoppio in una risata amara. «Mi hanno aggredito. Sono entrati nel mio computer... Non so come abbiano fatto, ma e stato terrificante. E, mentre ero l, sbigottita, a chiedermi se ero finita nella rete di qualcun altro, ho visto che cominciavano a scaricare i miei dati. Non sono riuscita ad andare offline con la stessa velocita con cui hanno cominciato a perquisirmi. Sono riusciti a sapere subito chi ero... e dove mi trovavo.» «Fammi capire: non stavi usando un anonimizzatore?» «Non sono mica scema», esclamo lei, con rabbia. «Ma certo che lo stavo usando. Tuttavia, quando implementi qualcosa di nuovo e stai facendo delle prove, sei costretto a tenere temporaneamente aperto il tuo sistema. Altrimenti intervengono i tool di protezione, che servono proprio a questo.» «Quindi hai disattivato una serie di cose.» «Dovevo correre il rischio.» Lo fulmino con lo sguardo. «Dovevo avere la certezza di poter procedere in quel modo.» «Be’, adesso lo sai.» Yoyo incrocio le braccia. «Bene, Mr Furbizia. Tu cosa avresti fatto al mio posto?» «Avrei fatto una cosa alla volta. Prima avrei estratto l’allegato per verificarlo. Poi avrei inserito i miei dati, lasciando aperta l’opzione di annullare tutto prima di far ripartire il messaggio... E soprattutto senza scrivere qualche frase strafottente, anche sapendo che verra codificata.» «A cosa servirebbe un trasferimento dati senza senso?» «Stiamo parlando di un test. Finche non hai la certezza assoluta che il tuo trasferimento dati e sicuro, deve sembrare al massimo un errore di trasmissione. Si sarebbero stupiti, chiedendosi dove fosse finito il loro messaggio, ma non avrebbero pensato a un’intercettazione.» Lei lo fisso come se stesse valutando l’idea di saltargli alla gola. Poi allargo le braccia. «Okay, e stato un errore!» «Un errore macroscopico.»
«Potevo forse immaginare che tra miliardi e miliardi di e-mail mi sarei imbattuta proprio in quella che conteneva gia un messaggio segreto?» Jericho la osservo. Per un attimo sent divampare la rabbia, non tanto per l’errore in se, quanto perche, a commetterlo, era stata una persona con l’esperienza di Yoyo. Agire in quel modo strafottente aveva messo a repentaglio la vita sua e quella degli altri. E infatti l’errore aveva portato alla morte di quasi tutti i Guardiani... e lui stesso non era affatto tranquillo. Poi la rabbia sboll. Vide paura e rammarico sul volto di Yoyo e scosse la testa. «No, non potevi.» «Chi ho alle calcagna?» «Chi abbiamo, Yoyo, se permetti. Ho anch’io un paio di problemi, sai.» Lei fisso il mare e poi torno a guardare Jericho. «Okay, abbiamo. » «Senza dubbio, si tratta d’individui ricchi, potenti e tecnologicamente ben attrezzati. In tutta onesta, dubito che i loro mezzi di comunicazione siano ancora in fase sperimentale. Tu stavi testando un metodo che loro invece impiegano gia da tempo. Per caso, avete utilizzato lo stesso protocollo. Ma, oltre a questo, posso soltanto formulare delle ipotesi. Per esempio credo che queste persone siano talmente influenti da non dipendere da e-mail di terzi.» «Vuoi dire che...» «Supponiamo che, per inviare le e-mail, utilizzino i propri server, server ufficiali, beninteso. Operano dall’interno d’istituzioni pubbliche, possono controllare il traffico in entrata e in uscita e infilarci a piacimento tutto quello che vogliono.» «Pensi che si tratti del Partito?» «E di chi altro? Tutte le attivita dei Guardiani sono... erano dirette contro il Partito. E, non prendiamoci in giro, i Guardiani sono... erano un altro modo per indicare te, Yoyo.» «Io ero il capo. Insieme con Daxiong.» «Lo so. Prima rompevi le scatole pubblicamente, poi ti hanno arrestato e, da allora, ti sei mossa con cautela. E cos, senza volerlo, hai fatto irruzione in un trasferimento dati segreto e i tuoi peggiori incubi sono diventati realta. Ti sei trovata davanti a parole come ’rovesciamento’ ed ’eliminazione’ in rapporto al ’governo cinese’. E, un secondo dopo, ti sei sentita in trappola.» «Cosa avresti fatto tu al mio posto?» «E me lo chiedi pure?» Jericho scoppio in una risata sarcastica. «Avrei tagliato la corda, come hai fatto tu.» «Grazie, bella consolazione.» Yoyo esito. «Quindi tu sei... entrato nel mio computer?» «S.» Jericho si aspettava una nuova esplosione di collera, ma Yoyo si limito a sospirare e a fissare l’oceano.
«Non ti preoccupare. Non ho curiosato in giro. Ho soltanto provato a fare un po’ di chiarezza in tutta questa faccenda.» «Sei riuscito a combinare qualcosa col terzo sito?» «Coi filmati della Svizzera?» «Gia.» «Finora no. Ma devono contenere qualcosa, senza dubbio. Magari serve una seconda maschera... Al momento penso che si tratti di un rovesciamento nel quale era o sara coinvolto il governo cinese. C’e qualcuno che sa troppe cose e che, per questo motivo, deve essere eliminato.» «Qualcuno che si chiama Jan o Andre.» «Direi Andre. Hai cercato l’indirizzo di Berlino?» «S.» «Interessante, no? L”eliminazione di Donner’. E l’indirizzo indicato corrisponde a quello di un ristorante di specialita africane, gestito da un certo Andre Donner.» «Il ristorante Muntu. Fin l c’ero arrivata anch’io.» «Ma questo cosa ci dice?» riprese Jericho. «Andre Donner sta rischiando di essere eliminato? Cosa puo saperne un gastronomo tedesco degli intrighi di Pechino per rovesciare chissa quale governo? E che ruolo ha il secondo uomo?» «Jan?» «S. È lui il killer?» Chissa se Jan e Kenny sono la stessa persona, si chiese Jericho, ma non disse nulla. La sua fantasia stava correndo a briglia sciolta. Quel frammento di testo era troppo criptico per saltare alle conclusioni. «È un ristorante africano», disse Yoyo pensierosa. «E non esiste da molto tempo.» Lui le rivolse uno sguardo sorpreso. «Be’, io ho avuto piu tempo per occuparmi della faccenda», spiego Yoyo. «Ci sono dei commenti in rete. Donner ha aperto il Muntu nel dicembre 2024...» «Solo sei mesi fa?» «Gia. Su di lui si trovano pochissime informazioni personali. È un olandese che ha vissuto per un certo tempo a Citta del Capo e forse e addirittura nato la. Ma il collegamento con l’Africa e interessante se...» «Se si considera che l’Africa ha una certa familiarita coi ’rovesciamenti’. » Jericho annu. «Cio significa che dobbiamo prendere in esame la cronologia piu recente di tutti i cambi di governo di quel continente, da quelli caratterizzati da retroscena oscuri a quelli segnati dalla violenza. Un approccio interessante. Il Sudafrica e da escludere. Il governo sudafricano e stabile da tempo.» Jericho sembro riflettere, quindi continuo: «Mi hai chiesto con chi abbiamo a
che fare. Per rovesciare un governo servono denaro e potere. Ma soprattutto bisogna disporre di un esecutivo disposto a usare la forza. Ora, nel giro di pochissimo tempo, queste persone sono riuscite a metterti alle calcagna un professionista, fiancheggiato da rinforzi ed equipaggiato come un esercito. Tutto cio farebbe supporre che, dietro quel messaggio, si nascondano certi ambienti governativi. Percio, da un certo punto di vista, credo di poterti tranquillizzare». Yoyo sollevo le sopracciglia. «Non hanno nessun interesse per i dissidenti», concluse lui. «Se ne fregano di quello che combini tu. Se la sarebbero presa con chiunque gli fosse capitato tra i piedi.» «Ah, tranquillizzante davvero», esclamo Yoyo, in tono ironico. «Quindi i poliziotti che, a tempo debito, mi faranno provare un sacco di sensazioni piacevoli mi diranno che vogliono uccidermi, s, ma non per via della mia attivita di dissidente. Grazie, eh? Adesso potro finalmente dormire sonni tranquilli.» Jericho sposto lo sguardo verso la spiaggia che luccicava sotto la luce dei due soli e sembrava stranamente viva. Nella sabbia prendevano forma figure che pero svanivano all’istante. Alcune delle creature simili a fiori spiegarono le ali trasparenti e venate come foglie, sollevando nuvole di polvere dorata che venivano trasportate dal vento oltre l’isola per disperdersi nel cielo. Il mondo creato da Yoyo e Daxiong era di una bellezza inquietante. «Bene», disse. «Propongo una serie di cose. Anzitutto ho bisogno del tuo permesso per caricare i tuoi dati sul mio computer. Da quello che ho visto, i tuoi sistemi di backup sono andati distrutti.» «Tutti tranne uno.» «Lo so. Posso chiederti quale computer stai usando adesso?» Lei si morse il labbro, si guardo intorno come se dovesse consultarsi con qualcuno, poi rispose controvoglia: «Quello di Daxiong ». «Dov’e? In officina?» «S, lui abita l.» «Dovete sparire immediatamente da l.» «La cantina di Daxiong e un posto sicuro. Noi...» «Kenny spara missili», la interruppe Jericho. «Non esiste un ’posto sicuro’. L’officina e registrata come Demon Point sotto il nome di City Demons. È solo questione di tempo. Ben presto Kenny verra a farvi visita o mandera qualcuno. Daxiong ha in mano una copia completa dei tuoi dati?» «No.» «Allora li scarico io.» «Okay.»
«Secondo: seguiremo la pista africana. Terzo: cercheremo di penetrare nel sito spagnolo coi filmati sulla Svizzera. Questi sono compiti miei. Diane dispone di programmi che...» «Diane?» «La mia... il mio...» Si sent improvvisamente in imbarazzo. «Non importa. Quarto: cosa hanno in comune i sei siti, i tre validi e i tre da sostituire?» «Be’, e chiaro.» Yoyo era perplessa. «Contengono, anzi contenevano... » «E quindi?» «Ehi! Potresti smetterla con questo tono pedante?» «Devono essere controllati da qualcuno, in modo tale che la maschera si adatti sempre ai testi», prosegu lui, imperterrito. «Dal punto di vista dei contenuti non sembra esserci nessun collegamento: intere pagine sono pubblicamente accessibili. Ma chi le ha implementate? Se riuscissimo a trovare un creatore comune, forse potremmo scoprire quali altri siti sono sotto il suo controllo. Piu siti troviamo che si adattano alla maschera, maggiore sara il numero di testi che riusciremo a decifrare.» «Non sono attrezzata per simili operazioni. E nemmeno Tu Tian lo e.» «Io s, pero.» Jericho si riemp d’aria i polmoni. Per un attimo immagino che fosse l’aria del pianeta Oceano ad attraversare i suoi capillari. In realta, stava inalando solo l’aria condizionata della sua stanza d’albergo. A ogni parola sentiva tornare le forze e la determinazione. La certezza di non essere del tutto inerme nei confronti di Kenny e dei suoi mandanti inondava la sua coscienza come una bevanda energetica. «Quinto: supponiamo che Andre Donner sia sulla lista nera esattamente come noi. Abbiamo quindi due motivi per metterci in contatto con lui: scoprire qualcosa in piu e metterlo in guardia.» «Sempre che ne abbia bisogno.» «Non abbiamo niente da perdere, non credi?» «Gia.» «Allora lo faremo.» Indugio, poi disse: «Yoyo, non vorrei tornare nuovamente sull’argomento, ma ho bisogno di sapere con chi hai parlato della tua scoperta. Intendo dire, chi di loro... » «Mi stai chiedendo chi e ancora vivo?» concluse Yoyo con voce spezzata. Lui attese, in silenzio. «Solo Daxiong», disse. «E tu.» Yoyo si accovaccio e fece scorrere tra le dita i granelli di sabbia color madreperla, formando disegni misteriosi che si dissolvevano all’istante. Poi sollevo il capo. «Voglio chiamare mio padre.» Jericho annu. «Te lo stavo per proporre.» Si chiese se non sarebbe stato piu sensato contattare prima Tu Tian, ma si rese conto che la decisione spettava alla ragazza accovacciata ai suoi piedi.
Yoyo si alzo e lo guardo coi suoi occhi belli e tristi. «Vuoi che ti lasci sola?» «No.» Arriccio il naso in modo poco femminile e gli volto le spalle. «Forse e meglio che ci sia anche tu.» Le dita della sua mano destra sembrarono tagliuzzare il nulla e disegnarci dentro qualcosa. Un attimo dopo, nell’aria, apparve una finestra scura. Risuono lo squillo che indicava che la linea era libera, un suono assurdamente ordinario e del tutto fuori luogo in un mondo insolito come quello. «Non ha attivato la modalita immagine», disse lei, quasi volesse giustificare l’arretratezza del padre. «Lo so, e il suo vecchio cellulare. Gliel’hai regalato tu.» «È gia un miracolo che lo usi», sbuffo Yoyo. Il telefono continuava a squillare. «In realta, a quest’ora, dovrebbe essere all’autosalone. Se non risponde...» Si sentirono un fruscio e altri rumori smorzati. Nessuno parlava. Yoyo si giro verso Jericho, esitante. «Papa?» sussurro. La risposta giunse sottovoce, strisciando come un grosso serpente pigro che si apprestava a mietere la sua prossima vittima. «Non sono tuo padre, Yoyo.» Jericho non aveva idea di cosa sarebbe accaduto. Yoyo era nel mirino di un killer, i suoi amici erano morti. Doveva elaborare esperienze che sarebbero state sopportabili solo negli incubi che si dissolvono alle prime luci del mattino. Da quell’incubo, invece, non c’era modo di svegliarsi. Come un veleno, la voce di Kenny si era infiltrata nell’idillio dell’isola. Eppure, quando Yoyo parlo, dalle sue parole non trapelo nient’altro che rabbia repressa. «Dov’e mio padre?» Kenny si prese molto, moltissimo tempo per rispondere. Yoyo non disse nulla. Rimasero entrambi in silenzio, in una prova di forza senza parole. «Gli ho dato la giornata libera», rispose infine. E corono la sua osservazione con una sommessa risata di compiacimento. «Questa non e la risposta alla mia domanda.» «Nessuno ha detto che sei autorizzata a fare domande.» «Voglio sapere se sta bene.» «Sta molto bene. Sta riposando.» Il tono faceva temere l’esatto contrario. Yoyo strinse i pugni. «Ascoltami, brutto porco fanatico. Voglio parlare subito con mio padre, hai capito? Poi avanzerai le tue pretese. Prima pero voglio la prova che mio padre e vivo, altrimenti puoi anche continuare a parlare da solo. Sono stata chiara?» Per qualche istante, dall’altra parte della linea, si ud solo un fruscio. «Yoyo, mia dolce nuvola di giada», sospiro lui. «Evidentemente la tua immagine del mondo e basata su una serie di malintesi. In casi come questi, la divisione dei ruoli e un po’ diversa. Ognuna delle tue parole che non incontrera la mia incondizionata approvazione provochera dolore a Hongbng. Quanto a ’brutto porco fanatico’, vedro di chiudere un occhio. Non escludo addirittura che tu
abbia ragione.» È vanitoso come un pavone, penso Jericho. Kenny poteva essere un esemplare di sicario piuttosto stravagante, ma corrispondeva alla perfezione al profilo del serial killer psicopatico. Un narcisista innamorato delle proprie parole, che si trastullava nella sua incompatibilita col mondo. «Un segno di vita», insistette Yoyo. D’un tratto, il rettangolo nero cambio posizione e fu quasi completamente riempito dal volto di Kenny. Fluttuava sopra la spiaggia madreperlacea come un genio uscito da una lampada. Poi il killer usc dall’inquadratura della videocamera, lasciando intravedere una stanza sul fondo della quale c’erano delle finestre. Nella penombra, presero forma alcuni mobili e una sedia su cui c’era qualcuno. Davanti a quella persona, si trovava un oggetto nero, su tre gambe, massiccio. «Papa», sussurro Yoyo. «Dica qualcosa, onorevole Chen», invito la voce di Kenny. Chen Hongbng era immobile, come se fosse incollato alla sedia. I suoi lineamenti s’intravedevano a malapena in controluce. Quando parlo, fu come se qualcuno avesse calpestato delle foglie secche. «Yoyo, stai bene?» «Papa!» grido Yoyo. «Andra tutto bene. Te lo prometto!» «Mi... mi dispiace... tanto.» «No, e a me che dispiace. A me!» I suoi occhi si riempirono di lacrime. Stava cercando di controllarsi. Kenny riapparve. «È proprio di pessima qualita, questo cellulare », disse. «Temo che tuo padre non riesca a sentirti. Forse dovresti venire a trovarlo, non credi?» «Se gli fai del male...» sibilo Yoyo. «Dipende solo da te», rispose Kenny freddamente. «Ti assicuro che sta comodo; e solo la sua liberta di movimento a essere un po’ limitata. Si trova nel mirino di un fucile automatico. Puo parlare e muovere gli occhi ma, se dovesse venirgli in mente di saltare in piedi all’improvviso o di sollevare un braccio, partirebbe un colpo. E lo stesso accadrebbe se volesse grattarsi. Ora che ci penso, forse la sua posizione non e poi cos confortevole. » «Ti prego, non fargli del male», singhiozzo Yoyo. «Non ho nessun interesse a fare del male a qualcuno, che tu ci creda o no. Quindi vieni qui e sbrigati.» Kenny fece una pausa. Quando riprese a parlare, abbandono il tono da serpente: la sua voce si fece cordiale, quasi amichevole, come quella di Zhao Bde. «Tuo padre ha la mia parola che, se accetterai di collaborare, non ti accadra nulla. Cio significa che dovrai fornirmi anche i nomi di tutte le persone che sono a conoscenza del messaggio intercettato o che, in un modo o nell’altro, ne conoscono il contenuto. Inoltre mi farai avere tutte, e
intendo davvero tutte, le memorie nelle quali hai caricato il messaggio.» «Hai distrutto il mio computer», disse Yoyo. «Ho distrutto qualcosa, s. Ma ho distrutto tutto?» «Non contraddirlo», le sussurro Jericho. Lei tacque. «Lo vedi.» Kenny sorrise, come se il silenzio di Yoyo confermasse la sua supposizione. «Non preoccuparti, io mantengo sempre la parola. E porta anche il gigante rasato... sai a chi mi riferisco. Entrerete dall’ingresso principale: lo troverete aperto. » Esito, come se gli fosse venuto in mente qualcosa, poi chiese: «Ti ha contattato Owen Jericho?» «Owen Jericho?» gli fece eco Yoyo. «Il detective.» Fin dall’inizio della telefonata, Jericho si era messo dietro il cellulare, in modo da non essere visto, ma da poter osservare un’eventuale immagine, sebbene al contrario. Scosse con forza il capo. «Non ho idea di dove sia quell’idiota», rispose lei in tono sprezzante. Kenny inarco le sopracciglia, meravigliato. «Perche sei cos dura con lui? Ti ha salvato la vita, no?» «Quello mi vuole fregare, proprio come te. E poi hai detto che e stato lui a uccidere Grand Cherokee.» Kenny trattenne a fatica una risatina compiaciuta. «Certo, s. Tra quanto sarai qui?» «Il prima possibile.» Yoyo tiro su col naso. «Dipende dal traffico. Tra un quarto d’ora? Puo andare bene?» «Perfetto. Tu e Daxiong. Disarmati. Se vedo un’arma, Chen muore. Muore anche se vedo qualcun altro alla porta. Se qualcuno cerca di mettere fuori uso il fucile automatico, non avro pieta per nessuno. Non appena avremo chiarito tutto, usciremo insieme dall’appartamento. Ah, gia, dimenticavo. Se fuori ci dovesse aspettare qualcuno, Chen morira comunque. Potra lasciare la sua sedia solo quando io avro disattivato l’arma.» Il collegamento s’interruppe. In lontananza, riecheggiavano i versi alieni di grossi animali. Una folata di vento fece ondeggiare i cespugli che separavano la spiaggia dal prato, sollevando una nube di petali rosa. «Quel porco», sbotto Yoyo. «Quel maledetto...» «Non importa, non e onnipotente.» «Ah, no?» grido lei. «Hai visto anche tu cosa sta succedendo. Credi davvero che non lo uccidera? Che non uccidera anche me?»
«Yoyo...» «Cosa devo fare?» Yoyo indietreggio. Le sue labbra tremavano. Scosse la testa, mentre le lacrime le rigavano le guance. «Cosa posso fare?» «Lo porteremo via da l, te lo prometto. Nessuno morira. Fidati di me.» «E come pensi di riuscirci?» Jericho inizio a camminare avanti e indietro. In realta non aveva un’idea precisa. A poco a poco, nella sua mente, prese forma un piano, un piano folle, che dipendeva da un’infinita di fattori. Un ruolo importante lo svolgevano la facciata dell’abitazione di Chen Hongbng e l’airbike di cui si era impossessato. Inoltre, prima, doveva assolutamente parlare con Tu Tian. «Lascia perdere», disse Yoyo senza fiato. «Andiamo.» «Aspetta.» «Ma io non posso aspettare. Devo andare da mio padre. Andiamo via di qui.» Gli tese la mano. «Un attimo, Yoyo...» «Adesso!» «Solo un minuto. Io...» Si mordicchio il labbro. «So cosa faremo. Adesso lo so!» HÓNGKUQ, SHANGHAI, CINA La casa al numero 1276 della Spng Lu a Hongkouqu, uno dei quartieri di Shanghai, era di un insignificante color pastello, uguale a quello di tante altre nell’isolato, tutte costruite a inizio secolo. Quando il cielo era cupo, la casa sembrava fondersi col cielo. Come se non bastasse, i vetri delle finestre erano un verde sgargiante, un’ostentazione stilistica tipica di quell’epoca, e cio faceva sembrare i vicini grattacieli dei giocattoli da quattro soldi. Contrariamente ai palazzi che sorgevano una strada piu in la, il numero 1276 aveva solo sei piani, disponeva di generosi e proporzionati balconi e sfoggiava un abbozzo di tetto a pagoda. Su entrambi i lati dei balconi l’intonaco era interrotto dalle unita esterne dei condizionatori, color bianco sporco. Un logoro striscione svolazzava, trasmettendo al vento la richiesta dei condomini d’interrompere la costruzione della Maglev, che sarebbe passata proprio davanti alla loro porta di casa e i cui piloni di sostegno gia troneggiavano nella strada. Tuttavia, al di la di quel patetico tentativo di opposizione, l’edificio era in tutto e per tutto identico al numero 1274 o al 1278. Al quarto piano del numero 1276 viveva Chen Hongbng. L’appartamento racchiudeva in trentotto metri quadrati una stanza abitabile con una parete di mobili componibili, la zona pranzo e un divano letto, un’altra camera da letto, un bagno minuscolo e un angolo cucina non molto piu grande. L’ingresso non esisteva, ma un paravento che copriva lateralmente la porta riusciva comunque a creare un po’ d’intimita. O almeno lo aveva fatto sino a quel momento.
Ora il paravento era stato ripiegato e appoggiato al muro, in modo che l’ingresso fosse totalmente visibile. Kenny Xn si era messo comodo sul divano letto, lontano dalla sedia sul bordo della quale era seduto Chen Hongbng, quasi assorto in contemplazione: alto, spigoloso, dritto come un fuso. La luce che entrava dalla finestra alle sue spalle si rifletteva sulle tempie, dissolvendosi in minuscole gocce di sudore. Kenny soppeso il monitor piatto e ultraleggero che teneva in mano: il telecomando per il fucile automatico. Aveva spiegato al vecchio che ogni movimento improvviso avrebbe fatto scattare l’arma, anche se in realta il comando automatico non era ancora stato attivato. Il killer non voleva correre il rischio che il nervosismo del vecchio finisse per ammazzarlo. «Forse dovrebbe prendermi in ostaggio», disse Chen, rompendo il silenzio. Kenny sbadiglio. «Non e quello che sto facendo?» «Intendevo dire che... Be’, potrei rimanere qui, sotto la sua sorveglianza, un po’ piu a lungo, finche Yoyo non sara piu una minaccia per lei.» «E dove sarebbe il vantaggio?» «Mia figlia sopravvivrebbe», rispose Chen con voce roca. Si sforzava di ridurre al minimo indispensabile perfino i movimenti delle labbra. Kenny finse di riflettere. «No, sopravvivra comunque, se riesce a convincermi.» «Le chiedo solo di risparmiare la vita di mia figlia.» Chen respirava appena. «Del resto non m’importa.» «Questo le fa onore. La fa quasi sembrare un martire.» Gli sembro di aver visto il vecchio sorridere: era stato un movimento impercettibile delle labbra, ma lui aveva occhio per dettagli di quel genere. «Cos’e che la diverte tanto?» «L’idea che lei abbia fatto male i suoi conti. Crede di uccidermi, pero di me non e rimasto granche. È arrivato tardi. Io sono gia morto.» L’altro fece per rispondere, poi pero rimase in silenzio e osservo l’uomo con rinnovato interesse. Di solito non badava alla vita privata degli altri, soprattutto di quelli che avevano i minuti contati. Ma adesso gli premeva sapere cosa avesse voluto dire Chen con quella frase. Si alzo e si avvicino al cavalletto del fucile; sembrava quasi che l’arma uscisse direttamente dal suo stomaco. «Questa me la deve spiegare.» «Non credo che l’argomento le interessi», disse Chen. Alzo lo sguardo, rivelando il dolore che colmava i suoi occhi. D’un tratto, Kenny Xn ebbe l’impressione di poter guardare dentro quel corpo scarno e di scorgervi un cielo senza luna che si specchiava in un lago scuro. Avvert in quell’anima una sofferenza lontana, unita al disgusto e all’odio verso se stessa; pote sentire le grida e le suppliche, gli schianti e le porte sbattute e infine la condanna della rassegnazione, la cui noiosa eco si propagava all’infinito. Per molti anni, Chen era stato sul punto di crollare; Xn lo sapeva pur senza saperlo davvero. Senza fatica, individuo la corda
giusta da toccare. Era sempre stato capace d’intuire cosa rendesse vulnerabili le persone, tanto che gli era bastato guardare Jericho negli occhi un’unica volta per scorgervi tutta la sua solitudine. «È stato in prigione», disse. «Non proprio.» L’altro rimase interdetto: possibile che si fosse sbagliato? «In ogni caso, e stato privato della liberta.» «Della liberta?» Chen emise un suono a meta tra un rantolo e un sospiro. «Che cos’e la liberta? In questo momento lei e forse piu libero di me solo perche io sono su questa sedia e lei mi sta davanti? Crede che il fucile che mi tiene puntato contro le dia la liberta? E che la perderebbe se venisse rinchiuso?» Kenny arriccio le labbra. «Mi spieghi lei come stanno le cose.» «Non c’e bisogno che qualcuno glielo spieghi», gracchio Chen. «Lei lo sa meglio di chiunque altro.» «Cosa dovrei sapere?» «Minacciare un’altra persona, puntarle addosso una pistola, e segno di paura.» «Quindi in questo momento io avrei paura?» ridacchio Kenny. «S», replico Chen, lapidario. «La repressione si basa sempre sulla paura: paura di chi ha idee diverse dalle nostre, paura di essere smascherati, paura di perdere il proprio potere, del rifiuto, di non essere importanti. Usando sempre piu armi, costruendo muri sempre piu alti e sviluppando torture sempre piu raffinate si dimostra soltanto la propria impotenza. Ricorda di Tian’anmen? Quello che successe nella piazza della Pace Celeste? » «Le agitazioni studentesche?» «Non so quanti anni lei abbia, e forse era ancora un bambino quand’e avvenuto quel massacro. Erano giovani che difendevano pacificamente la loro causa, sostenendone il significato piu profondo, per il quale gia altri si erano battuti: la liberta. E, dall’altra parte, c’era uno Stato quasi paralizzato, scosso sino nelle fondamenta, tanto che alla fine aveva deciso di ricorrere ai carri armati. Cos era scoppiato il caos. Chi pensa avesse piu paura in quel momento? Gli studenti o il Partito?» «Avevo cinque anni», replico Kenny, stupito di ritrovarsi a conversare con un ostaggio come se stessero prendendo il te insieme. «Perche diavolo dovrei saperlo?» «Lo sa e basta. Proprio ora mi sta puntando addosso un’arma. » «Vero. Quindi, vecchio mio, direi che e lei quello che dovrebbe avere paura, adesso.» «Gia, dovrei, vero?» Il sorriso tetro ricomparve sul viso di Chen. «Eppure l’unica cosa che mi preoccupa e la vita di mia figlia. E mi angoscia l’idea di aver affrontato tutto nel modo sbagliato. Di aver taciuto quando invece avrei dovuto parlare, tutto qui. Le sue armi non sono in grado d’intimorirmi. I demoni che ho dentro sono di gran lunga piu spaventosi del suo ridic-
olo fucile. Lei pero ha paura... paura che quello che rimarrebbe potrebbe privarla delle sue armi e degli altri simboli di potere. Ha paura di ricadere nel passato.» Xn fisso il vecchio. «Non e possibile ricadere nel passato, non l’ha ancora capito? Si puo solo andare avanti nel tempo, esiste solo un eterno presente. Il passato non torna piu.» «Su questo sono d’accordo con lei, tranne che per una cosa. Cio che distrugge le persone passa, e vero, ma le conseguenze restano.» «Ci si puo comunque purificare.» «Purificare?» La perplessita accese lo sguardo di Chen. «Da cosa?» «Da cio che e stato. Succede quando si consegna il passato alle fiamme, quando lo si arde. Il fuoco purifica l’anima, capisce? È come rinascere.» Lo sguardo stupito di Chen penetro nel suo. «Parla di vendetta? » «Di vendetta?» Kenny digrigno i denti. «La vendetta serve solo a rendere l’avversario piu forte, gli conferisce importanza. Sto parlando di estinzione totale, di superare la propria storia personale, di vincere cio che l’ha tormentata, cioe i suoi... demoni. » «Cioe, secondo lei, si possono ardere i demoni?» «Certo che si puo!» Come si poteva negare una certezza cos elementare? L’intero universo, l’essere, il divenire, tutto si basava sulla fugacita. «Ma cosa succederebbe se arrivasse alla conclusione che gli spiriti non esistono affatto?» domando Chen. «Che non esistono demoni? Che il passato si e impresso solo come immagine e i fantasmi sono in realta parte di noi? Non si cercherebbe, in questo caso, di cancellare se stessi? La purificazione non si trasformerebbe in una mutilazione di una parte di se?» Kenny chiuse gli occhi. Quella conversazione stava prendendo una piega affascinante. «Lei cosa ha bruciato?» chiese Chen. L’altro penso a come spiegarglielo, a come fargli capire la sua grandezza. D’un tratto pero ud un rumore di passi sul pianerottolo. «Un’altra volta, onorevole Chen», sussurro. Ritorno al divano e attivo il comando automatico. Adesso era pronto: al primo movimento brusco, il fucile avrebbe dilaniato Chen. I passi si stavano avvicinando. Poi la porta si apr e... Yoyo vide il padre sulla sedia, con la canna di un fucile puntata su di lui. Era immobile, a eccezione degli occhi, che si girarono lentamente verso di lei. Percep la tensione che scuoteva il possente corpo di Daxiong accanto a lei ed entro nell’appartamento, tenendo il piccolo computer stretto nella destra. In fondo alla stanza, il killer si alzo dal bordo del divano; anche lui teneva in mano qualcosa, un oggetto piatto e scintillante. «Ciao, Yoyo», sibilo Kenny. «Che bello rivederti.»
«Papa!» disse lei, senza badare al killer. «Stai bene?» Chen Hongbng abbozzo un sorriso. «Considerate le circostanze, direi di s.» «Sta bene, almeno finche tu rispetti i nostri accordi. Il comando automatico e attivato: al primo movimento, Chen muore.» Le mostro il telecomando. «Posso anche attivare l’arma direttamente, ovvio. Quindi scordatevi pure di fare... qualunque cosa avevate intenzione di fare.» «E adesso?» ringhio Daxiong. «Per prima cosa, chiudete la porta.» Daxiong diede un colpo alla porta, che si chiuse senza fare rumore. «E ora?» Kenny volto loro le spalle e lancio un’occhiata fuori dalla finestra sul retro. Sembrava non avere fretta. Yoyo fu percorsa da un brivido e alzo il computer a mezz’aria. «È questo che vuoi», disse. Il killer guardo fuori ancora per un momento, poi si giro di nuovo verso di loro. «È l’unico backup esistente?» «Diciamo di s.» «S o no?» Yoyo si stava innervosendo, ma cerco di controllarsi. Qualcosa doveva essere andato storto... perche Jericho ci metteva tanto? Dov’era finito? «Allora?» Kenny le fece un cenno col capo. «Ti ascolto.» «No, prima ci sono altre cose da chiarire.» «Abbiamo gia discusso a fondo ogni dettaglio.» Yoyo scosse la testa. «C’e ancora una cosa: come facciamo a essere sicuri che ci lascerai andare?» Kenny rise con aria delusa. «Piantala, Yoyo. Non siamo qui per trattare.» «È vero», sbuffo Daxiong. «Sai cosa penso? Che, non appena avrai ottenuto quello che vuoi, ci farai fuori.» «Proprio cos», annu Yoyo. «Quindi perche dovremmo raccontarti quello che sappiamo, se ci ucciderai comunque? Forse vale la pena portarsi un paio di segreti nella tomba.» «Ti ho dato la mia parola», disse Kenny con un filo di voce. «È piu che sufficiente.» «Stamattina la tua parola non aveva un gran valore.» «Potremmo comunque giocare secondo altre regole», continuo Kenny, ignorando l’osservazione di Yoyo. «Non e detto che qualcuno debba morire adesso. Guarda tuo padre, Yoyo. È un uomo coraggioso, che non teme la morte. Si e guadagnato tutta la mia ammirazione. Mi chiedo quanto dolore possa ancora sopportare. » Chen si lascio sfuggire un gemito. «Ne rimarrebbe stupito», mormoro.
Il killer sogghigno. «Ora accendi il tuo computer, carica i dati e passamelo. Non ti rimangono altre opzioni, Yoyo.» Jericho, accidenti a te, penso Yoyo. Cos’e successo? Non riusciremo a tenere a bada questo pezzo di merda ancora per molto. Dove sei? Jericho impreco. Fino a quel momento era andato tutto liscio, fin troppo. Mentre Yoyo e Daxiong si dirigevano a casa di Chen, aveva parlato con Tu Tian ed era riuscito a forzare l’arsenale dell’airbike. Aveva scelto un fucile a tiro rapido, con elevata potenza d’urto e puntatore laser automatico, solido e facile da maneggiare. Poi aveva avviato il motore e pilotato il veicolo senza problemi fino al punto d’incontro. Si erano dati appuntamento poco lontano dal numero 1276 per fare il punto della situazione. «È l’ottava casa della fila.» Yoyo aveva indicato la strada. «I cortili interni sono uguali: hanno tutti prati e alberi e c’e una stradina che li collega. La finestra e quella sul lato sinistro, quarto piano.» «Perfetto», aveva annuito Jericho. «Hai portato il mio computer?» «S. E Daxiong ha il suo?» «Eccolo qui.» Il gigante gli aveva messo in mano un computer dall’aspetto piuttosto obsoleto, sul quale Jericho aveva caricato il frammento di testo decodificato. «Posso riavere il mio, adesso?» aveva chiesto Yoyo. «Certamente.» Jericho si era rimesso in tasca il computer. «Ma solo quando tutto questo sara finito. Fino ad allora e piu al sicuro se lo tengo io. Kenny non deve avere la possibilita d’impadronirsene.» Yoyo non aveva replicato e lui l’aveva preso come un assenso. Jericho aveva spostato lo sguardo da lei a Daxiong e poi lo aveva fissato di nuovo su Yoyo. «Tutto chiaro? » «Fin qui, s.» «Tra cinque minuti esatti entrerete nell’appartamento.» «Okay.» «Io arrivero subito dopo e lo mettero con le spalle al muro. Avete altre domande?» Entrambi avevano scosso la testa. «Bene.» Tra cinque minuti. Cioe, adesso. E Jericho era ancora fermo all’angolo della strada, perche l’airbike si era improvvisamente intestardita, come una rockstar che non vuole salire sul palco, per quanto si cerchi di convincerla. «Coraggio, muoviti!» sibilo, spazientito.
La parte di Hongkouqu in cui si trovava era una zona quasi esclusivamente residenziale e la Spng Lu era un raccordo stradale a piu corsie. Di negozi e ristoranti ce n’erano ben pochi e i marciapiedi erano deserti: anche a quarant’anni di distanza dalla leggendaria apertura verso l’Occidente operata da Deng Xiaopng, i cinesi continuavano a non trovare il minimo interesse nell’andare a zonzo per il semplice gusto di farlo. Il traffico scorreva spedito, passando sotto ponti pedonali posti a distanze regolari. Dato che la maggior parte dei pendolari si trovava al lavoro gia dalle prime ore del mattino, il flusso del traffico era, tutto sommato, contenuto. Dalla linea di mezzeria, i massicci piloni che avrebbero dovuto sostenere la Maglev gettavano ombre lunghe e minacciose. Un piccolo parco con un prato, un laghetto e un boschetto occupava il lato opposto della strada e l c’era un gruppo di persone anziane completamente assorte nel qgong. Era come guardare due film a velocita diverse: davanti allo scenario del balletto al rallentatore sembrava che le auto sfrecciassero piu veloci di quanto non facessero in realta. Nessuno sembrava interessato a Jericho, impegnato in una vera e propria discussione con la sua airbike. I secondi scorrevano veloci. Alla fine, Jericho aveva interrotto il monologo e sferrato un calcio al veicolo, che aveva accusato il colpo in silenzio, quasi fosse un’offesa. Poi lui aveva analizzato le alternative, provando anche ad avviare meccanicamente l’airbike. Mentre si stava ancora lambiccando il cervello, i rotori della turbina erano entrati in funzione e il tipico sibilo aveva annunciato che l’airbike era pronta alla scalata. Ben presto, infatti, il mezzo aveva preso quota, cominciando a volare come se non ci fosse stato il minimo intoppo. «Okay», disse Yoyo. «Hai vinto.» Si accovaccio e fece scivolare il piccolo computer lungo il pavimento, in direzione di Kenny. Quando si rialzo, il suo sguardo incrocio quello del padre. Sembrava le stesse chiedendo perdono perche, paralizzato su quella sedia, non poteva aiutarla a risolvere i suoi problemi. «Non puoi farci niente», disse Yoyo. E, nella speranza che Jericho apparisse da un momento all’altro, aggiunse: «Qualunque cosa succeda, papa, non muovere un muscolo, hai capito? Non spostarti nemmeno di un millimetro». «Commovente.» Kenny rise. Raccolse il computer da terra e diede un’occhiata al monitor. Poi osservo Yoyo con aria sprezzante. «Un modello piuttosto datato, eh?» Yoyo alzo le spalle. «Sei sicura di avermi consegnato l’apparecchio giusto?» «Serve solo per i backup.»
«D’accordo. Parte seconda: chi sa del tuo viaggetto nel giardino proibito?» «Lo sa Daxiong», disse Yoyo, facendo un cenno verso il gigante. «Ma anche Sh Wanxn.» Daxiong la guardo sorpreso; in quel momento Kenny non era l’unico a chiedersi chi fosse Sh Wanxn. In effetti Yoyo si era inventata quel nome nella speranza che Daxiong capisse al volo il bluff e stesse al gioco. Ora che il killer si era impossessato del computer o, meglio, di quello che lui credeva fosse il computer giusto, erano praticamente morti: doveva cercare di tenerlo a bada in qualche modo. «Wanxn?» gli occhi di Kenny si restrinsero a due fessure. «Chi e?» «Lui...» rispose Yoyo. «Chiudi il becco.» Kenny indico Daxiong. «L’ho chiesto a lui.» Daxiong rimase in silenzio per qualche istante. Sembro un’eternita. Poi, lisciandosi la barba appuntita, disse: «Sh Wanxn e l’unica persona, oltre a noi due, che non hai ancora ucciso. L’ultimo Guardiano vivo. Non sapevo che Yoyo si fosse confidata con lui». Limit Kenny aggrotto le sopracciglia, diffidente. «Sembra quasi che non lo sapesse nemmeno lei.» «Riguardo a Wanxn abbiamo opinioni diverse», borbotto Daxiong. «Per motivi che non riesco a capire, Yoyo ha molta stima di lui, mentre io non lo vorrei nel gruppo. Parla troppo.» Accidenti, penso Yoyo. «Wanxn e un eccellente crittografo», dichiaro poi con aria arrogante. «Cio non significa che devi raccontargli tutto quello che ti succede», brontolo Daxiong. «Perche no? Era lui che doveva decifrare le pagine coi filmati svizzeri.» «E lo ha fatto?» «Non ne ho idea.» «Non ha fatto un bel niente, da’ retta a me!» «Ehi, Daxiong!» lo riprese Yoyo. «Ma che problema hai? Parli cos soltanto perche non lo sopporti.» «Chiacchiera come una portinaia.» «Io mi fido di lui!» «Non e una persona di cui ci si possa fidare.» «Wanxn non e un chiacchierone.» «È un lurido pettegolo!» ribatte Daxiong, stizzito. «Praticamente non sa fare altro!» Kenny inclino la testa. Sembrava incerto su come inquadrare quella discussione. «Le poche volte in cui Wanxn ha parlato con qualcuno e stato perche aveva bisogno di maggiori dettagli», sbotto Yoyo. «E lo ha fatto solo perche tu non sei stato in grado di procurarglieli! »
«Lo sapevo.» «Cosa?» «Che ora pure Sara e Zhenyng sono in possesso di questa informazione di merda.» «Come? Perche proprio loro?» «E me lo chiedi? Sei forse cieca? Non hai visto come guarda Sara? È cotto di lei.» «Lo sei anche tu!» «Ehi», li interruppe Kenny. «Sei proprio fuori di testa», la rimprovero Daxiong. «Vogliamo parlare del tuo rapporto con Zhenyng? Di come lo prendi in giro solo perche lui...» «Ehi!» urlo Kenny, dando un calcio al computer, che scivolo ai piedi di Daxiong. «Mi state prendendo per il culo? Chi e Wanxn? Chi sono gli altri? Cos’e tutta questa storia? Forza, voglio sapere tutto, altrimenti faccio a pezzi il vecchio!» Yoyo apr la bocca, ma la richiuse subito. Non riusciva a smettere di fissare il killer, che sembrava insospettito. Si era accorto che stavano bluffando per guadagnare tempo? Ma, soprattutto, si era accorto che, in realta, Yoyo stava fissando qualcosa dietro di lui, il punto da cui proveniva il sibilo che Kenny probabilmente non aveva percepito perche distratto dalla finta discussione? Kenny era la bomba da disinnescare, proprio come nei vecchi film. Pochi secondi, il countdown che si avvicina allo zero, diversi fili, tutti dello stesso colore, ma solo uno da tagliare... «Sei sotto tiro», gli disse Yoyo con calma. Kenny guardo il telecomando. Il display gli mostrava quello che vedeva lo scanner del fucile automatico: Chen Hongbng, seduto sulla sedia, una parte della facciata, un profilo scuro ai margini dello schermo. Dietro di lui era comparso qualcosa. «Se mio padre muore, sei finito anche tu», riprese Yoyo. «Ma anche se ci attacchi o se tenti di scappare. Quindi ascolta: in questo momento, davanti alla finestra, sta svolazzando una delle tue airbike. Owen Jericho ci e seduto sopra e ha un’arma puntata su di te. Io non me ne intendo, pero direi che e sufficiente per fare te a pezzi, dunque cerca di non perdere il controllo.» Il killer riordino con attenzione pensieri e sensazioni. Per arrabbiarsi avrebbe avuto tempo in seguito. Non aveva nessun dubbio che Yoyo stesse dicendo la verita. Se Chen fosse morto in quel preciso istante, sarebbe accaduto lo stesso a lui. La ragazza e il suo imponente amico erano disarmati, lui invece aveva un’arma attaccata alla cintura, anche se non rappresentava un vero e proprio vantaggio, dato che, se l’avesse estratta, sarebbe morto comunque. «Cosa volete che faccia?» chiese con tranquillita.
«Spegni il comando automatico del fucile. Voglio che mio padre si alzi e ci raggiunga», rispose Yoyo, indicando Chen. «Va bene. Per farlo, pero, bisogna usare il telecomando. Devo toccarlo, okay?» «Se si tratta di uno dei tuoi giochetti...» lo minaccio Daxiong. «Non sono un suicida. È solo un telecomando.» «Va bene», disse Yoyo. Premette il touchscreen e spense il comando automatico. Il fucile non era piu programmato per entrare in funzione a ogni movimento di Chen Hongbng. L’uomo era di nuovo libero di muoversi. «Ancora un momento.» Kenny digito in rapida sequenza l’angolo di curvatura, la velocita della rotazione e la frequenza di tiro. «Tutto a posto. Si alzi pure, onorevole Chen. Vada da sua figlia.» Chen Hongbng sembro indugiare. Poi si alzo di scatto dalla sedia. Kenny si lascio cadere a terra e premette START. Gli uomini primitivi erano in grado di cogliere il minimo movimento tra i fili d’erba, sentivano quello che il vento portava con se, elaboravano con sorprendente abilita una moltitudine di stimoli contemporaneamente e facevano scelte basate sull’istinto. Qualcosa di loro e delle loro tecniche era sopravvissuto fino al XXI secolo: certi riuscivano meglio di altri a sfruttare quell’istinto sviluppatosi nel corso di sei milioni di anni di storia dell’umanita e qualche individuo eccezionale sapeva sfruttarlo in modo addirittura eccezionale. Uno di questi ultimi era Owen Jericho. Con una piccola spinta, aveva portato la moto davanti alla finestra e aveva imbracciato il fucile a tiro rapido, in modo che il puntino rosso del laser si posasse sulla schiena di Kenny e rimanesse l, fluttuando con la leggerezza di una libellula. Jericho sapeva che il killer avrebbe gia dovuto sentire il rombo degli ugelli, ma Kenny non aveva nemmeno accennato a voltarsi. Non era preparato per un attacco da quella direzione. Lo avevano in pugno. Indicando il padre, Yoyo disse qualcosa. Il puntino rosso del laser tremo fra le scapole di Kenny. Chen balzo in piedi e il suo corpo magro si tese. Ma il killer piego le braccia. Quasi certamente teneva qualcosa con la sinistra e lo manovrava con la destra. Poi accadde. E fu allora che l’istinto primordiale prese il sopravvento. La percezione di Jericho si acu al punto che il resto del mondo parve dileguarsi, mentre tutte le frequenze scendevano al di sotto dell’udibile. A riprova di cio che stava succedendo intorno a lui, rimase soltanto un sordo rimbombo. Come fluttuando in assenza di gravita, Chen si alzo dalla sedia, allontanandosi centimetro dopo centimetro. La gamba sinistra si poso a terra, la destra si piego, il corpo s’inclino di lato: sembrava di assistere alla preparazione di un salto ma, prima
che il salto avvenisse, Kenny reag, gettandosi a terra. Jericho registro ognuno di quei movimenti - quelli della fuga di Chen e del salto di Kenny - facendo intuitive associazioni mentali, poi si concentro interamente sul fucile comandato a distanza. Ancor prima che cominciasse a girare sul cavalletto, Jericho sapeva esattamente quello che stava succedendo: Chen era scappato perche il fucile automatico non era piu puntato su di lui e il killer non si stava mettendo in salvo dall’arma puntata su di se, ma dal suo stesso fucile, che in quel preciso momento veniva manovrato a distanza, facendo fuoco in direzione della finestra. Lo stesso algoritmo evolutivo che per milioni di anni aveva permesso al cacciatore di sopravvivere, ora suggeriva a Jericho di spostarsi un po’ piu in alto prima che l’arma sputasse il primo colpo. Cos, quando il proiettile usc dalla bocca del fucile, la sua posizione era gia cambiata. Poi tutto successe ancora piu in fretta. L’arma continuo a girare sul cavalletto, mitragliando colpi in rapida successione, l’uno dopo l’altro. Le finestre esplosero. La raffica colp l’airbike di Jericho, ma lui era riuscito a portarla in alto, quindi ne usc indenne. Due proiettili colpirono le ruote in movimento della turbina con un fragore simile a quello di una campana che sta andando in mille pezzi. Il mezzo aveva subito un colpo spaventoso. Un attimo dopo, stava precipitando nell’azzurro del cielo. «A terra!» urlo Daxiong. Poi scatto. Coi suoi oltre cento chili di muscoli, spinse Yoyo a terra e raggiunse Chen Hongbng, mentre l’arma continuava a seguirlo. I proiettili si conficcavano nelle pareti e nei mobili con un fragore assordante; dai buchi schizzavano schegge di legno, vetro e intonaco. Daxiong vide Yoyo piombare a terra. Il fucile stava dilaniando la porta di casa, proprio dove un attimo prima c’era lei, al ritmo di otto proiettili al secondo, poi continuo a girare, inseguendolo nella sua spasmodica corsa. Daxiong fin addosso a Chen, scaraventandolo a terra. Sopra le loro teste, la parete esplose. Jericho stava cadendo. Una serie di elementi che, in apparenza, non avevano nessun nesso ora s’incastrava alla perfezione: i principi meccanici dei veicoli volanti, gli effetti delle armi pesanti e le ambizioni dell’ufficio cittadino per le aree verdi. Tokyo era un po’ il simbolo di un popolo che aveva sempre vissuto in spazi assai ristretti, dove ogni metro quadrato veniva destinato a zone residenziali e vedere un albero era cosa rara. Shanghai, al contrario, faceva sfoggio di parchi e viali alberati, cosa che migliorava notevolmente la qualita della vita ed era molto utile per attutire l’impatto di un’airbike precipitata da dodici metri di altezza. Grazie al clima caldo e umido, le betulle intorno alla Spng Lu erano rigogliose. L’airbike si schianto sulla chioma frondosa di un albero, disarcionando il pilota, che comincio a precipitare tra i rami, per fortuna
abbastanza robusti da frenarne la caduta. Jericho tentava di afferrarli, ma continuava a precipitare, mentre i rami sempre piu fitti lo graffiavano e lo colpivano. Infine riusc ad afferrare uno di essi. Dimenandosi, valuto l’altezza: quattro, cinque metri dal suolo. Troppo alto per saltare. Dov’era l’airbike? Frammenti e schegge indicavano chiaramente che, nella caduta, Jericho aveva superato il veicolo, che adesso lo stava osservando dall’alto. Sollevo la testa e vide qualcosa che ondeggiava sopra di lui. Allora cerco di spostarsi, ma era troppo tardi. Un ramo lo colp in fronte. Quando si riprese, vide l’airbike cadergli addosso. Kenny rotolo sul fianco. Davanti ai suoi occhi si addensavano nuvole di polvere di malta. Vicino alla porta in frantumi, vide Yoyo strisciare verso il padre. In quello stesso istante, il fucile aveva terminato il primo round e, sputando fuoco, si apprestava a cominciare il secondo. «Yoyo, scappa!» sent urlare Daxiong. «Vattene da qui!» «Papa!» Il killer attese di non essere piu nella traiettoria del fucile e balzo in piedi, facendo scorrere l’indice sul touchscreen del telecomando; arresto l’arma e sposto il dito in basso a destra. Il fucile seguiva ogni suo movimento. Abbasso la canna e fece partire una raffica proprio nella direzione in cui si trovavano Chen e il gigante: i proiettili li mancarono per un soffio. I due si chinarono e, incespicando, raggiunsero la stanza vicina. Kenny fece fuoco contro il muro, che pero aveva gia retto il primo impatto dei proiettili. Poco male. In quella stanza erano comunque in trappola. Con calma fece girare il fucile verso sinistra. L’arma scarico tutto il caricatore sul cemento, perforando e facendo crollare del tutto uno scaffale gia mezzo distrutto. I crateri si succedevano, tracciando un sentiero di distruzione che si propagava fino alla ragazza. Yoyo lo fisso. In preda al panico, cerco di rimettersi in piedi, ma era troppo lenta. Sgrano gli occhi, come se si fosse improvvisamente resa conto che sarebbe morta. «Ciao ciao, Yoyo», sibilo Kenny. L’airbike si stava aprendo la strada attraverso i rami con la bocca della turbina rivolta verso il basso, come se volesse inghiottire e uccidere Jericho. Doveva saltare. Frammenti e schegge avevano smesso di cadergli addosso. Il veicolo si era incastrato a meno di mezzo metro sopra di lui e aveva terminato la sua corsa provocando una pioggerella di frammenti di corteccia, foglie e piccoli rami. Lui guardo i rotori scoppiati della turbina, procedette appeso in direzione del tronco e scorse un sottile ramo sotto di se, sul quale poteva appoggiare i piedi.
A guardarlo meglio, era pericolosamente sottile. Troppo sottile. La pioggerella di rametti e foglie era ricominciata. Non aveva altra scelta: doveva lasciarsi cadere. Quando si fu rialzato, sent il legno cedere sotto il suo peso e si aggrappo al tronco. Kenny ud l’urlo. Ma si accorse che non era Yoyo a urlare bens il gigante che, precipitatosi fuori dalla camera adiacente, si era lanciato con l’impeto di un fiume in piena contro il cavalletto, travolgendolo. Il fucile puntava ora verso il soffitto, da cui i colpi facevano schizzar via pezzi di mattoni grossi come un pugno. Il killer premette STOP ed estrasse la sua piccola arma da fuoco. Vide Chen correre da Yoyo, che balzo in piedi per aprire il brandello superstite della porta d’ingresso. Kenny punto l’arma su Yoyo, ma Daxiong lo afferro per le gambe, facendolo cadere sulla schiena. Veloce come un lampo, il killer riusc pero a rotolare sul fianco. Vide l’avversario a terra, proprio dove poco prima era crollato lui stesso e alzo la pistola. Ma, con un incredibile slancio e una rapidita sorprendente, il gigante gliela strappo di mano. Non riusc pero a evitare un poderoso calcio piu o meno in corrispondenza della laringe. La sua barba posticcia ne fu letteralmente polverizzata. Barcollo ed emise un rantolo. Allora, con un tuffo, Kenny si getto sulla pistola, riuscendo ad afferrarne il calcio... ma subito dopo si sent in trappola, impotente come un bambino che viene sollevato in aria. Tento disperatamente di liberarsi dalla presa. Ripresosi in fretta dal calcio, Daxiong lo serrava come in una morsa, e lo stava trascinando verso la finestra. Era fin troppo chiaro cosa aveva in mente. Kenny allora piego un braccio dietro la schiena e sparo alla cieca. Il gigante si lascio sfuggire un grido di dolore, e il killer comprese che l’aveva ferito, ma non fermato. Poi Daxiong lo sollevo per scaraventarlo fuori dalla finestra, ridotta a poco piu di un ammasso di schegge di vetro e di legno. Allora, come se fosse un gatto, Kenny allargo le braccia e le gambe, riuscendo ad aggrapparsi a un punto che la grandinata di proiettili non aveva sbriciolato. Oscillo all’esterno e, per un momento, vide sotto di se il mare verde di foglie. Tese i muscoli in modo da trovare lo slancio per tornare nella stanza. Poi sent arrivare il pugno di Daxiong. E scivolo fuori. Cadde. Ma fu una caduta breve. Era riuscito ad afferrare la tozza unita esterna di un condizionatore. Vi si aggrappo con tutte le forze e la cassetta, scricchiolando, si piego di lato. Quindi Kenny guardo di sotto e vide schegge schizzare da ogni parte, come se un enorme animale si stesse furiosamente dibattendo nella chioma di qualche albero. Jericho? Il detective era precipitato proprio in quel punto...
Al momento non importava. Doveva riuscire a tornare nell’appartamento. Con uno sforzo, punto i piedi contro il muro e comincio la risalita. Jericho si aggrappo al tronco, ma i suoi piedi scivolavano. Non c’erano rientranze nella corteccia che potessero offrirgli un appiglio. A circa tre metri dal suolo decise di mollare la presa, si diede uno slancio e atterro sui due piedi, ma perse subito l’equilibrio e, cadendo sulla schiena, vide l’airbike piombargli addosso. «Moto cade da un albero e uccide un detective.» Bel titolo davvero, penso. Con le forze rimaste, si butto di lato. L’airbike si schianto poco lontano, con un impeto tale da fargli temere che l’arsenale fosse saltato in aria, poi si adagio su un fianco. Jericho guardo di nuovo verso l’alto, ma le chiome degli alberi nascondevano al suo sguardo l’appartamento di Chen. Quando, incespicando, riusc a raggiungere la casa, gli parve di scorgere un piede sparire al di la del davanzale. Socchiuse le palpebre: il piede non c’era piu. Si guardo intorno, vide una porta sul retro, giro la maniglia e la porta si apr su un serpeggiante corridoio buio. Una ventata di aria fredda gli sferzo il volto. Sgattaiolo dentro e si fermo per recuperare l’orientamento, cap che il corridoio curvava poco piu avanti e lo segu. Dopo qualche gradino, si ritrovo vicino al pozzo dell’ascensore. Davanti a lui, il corridoio si snodava nell’atrio fino alla porta d’ingresso. Nella tromba delle scale risuonava un gran chiasso. Qualcuno si precipito giu con la veemenza di un elefante. Lui balzo indietro, riparandosi dietro il pozzo dell’ascensore e aspetto di vedere chi sarebbe comparso nell’atrio. Era Daxiong che barcollava, sorreggendosi al muro. Sopra la spalla destra, la giacca era strappata e intrisa di sangue. Con pochi passi, Jericho fu al suo fianco. «Cos’e successo? Dove sono Yoyo e Chen?» Il gigante si giro di scatto e alzo il pugno, pronto a colpire. Poi riconobbe Jericho, abbasso il braccio e si avvicino alla porta d’ingresso. «Fuori», rispose, ansimando. «E Kenny?» «Fuori.» Poi le sue gambe cedettero e Jericho fu costretto a sorreggerlo. «Appoggiati, ti tengo io», gli disse. «Sono troppo pesante.» «Sciocchezze. Ho gia cullato altri bambini come te. Cosa vuol dire ’fuori’?» Daxiong poso una delle sue mani da gigante sulla spalla dell’altro, scaricando su di lui tutto il suo peso. Era davvero troppo pesante: a Jericho sembro di tirarsi appresso un dinosauro di media grandezza. Riusc comunque ad aprire la porta e i due uscirono nella luce del sole. «L’ho buttato fuori», rispose Daxiong con un rantolo. «Fuori dalla finestra. Maledetto bastardo.»
«Credo che il bastardo sia sgattaiolato dentro.» Jericho diede una rapida occhiata in giro. Automobili e motociclette sfilavano lentamente nel traffico. «Devono pur essere qui da qualche parte... Eccoli la!» Dall’altra parte della strada, tra un veicolo e l’altro, c’era Yoyo, in sella a una delle due motociclette usate da lei e da Daxiong per arrivare l. Accanto a lei, Chen Hongbng aveva un’aria turbata e ansiosa. Yoyo vide i due, fece loro un cenno, indico la seconda motocicletta e urlo qualcosa. «Arriviamo», ringhio il gigante, staccandosi da Jericho e arrancando. «Forza, tagliamo la corda.» Al centro del tetto a pagoda della casa, proprio in corrispondenza della tromba delle scale, c’era uno spiazzo. Quand’era arrivato, Kenny vi aveva fatto planare l’airbike ed era sceso fino al quarto piano; ora, ricoperto di ferite sanguinanti, stava risalendo con furia sul tetto, col fucile spianato e con la sicura disattivata. Corse fino al bordo del tetto, che pero gli nascondeva la maggior parte della strada: riusciva a vedere solo i piloni della nuova sopraelevata e il parco sul lato opposto. Vicino a un ponte pedonale, individuo Yoyo e il padre. Li inquadro nel mirino, ma si rese conto che il caricatore era vuoto. Con un grido di rabbia, getto via il fucile, corse verso l’airbike, monto in sella, accese il motore e guido il mezzo verso l’alto, in verticale, finche non riusc ad avere sotto controllo tutta la strada. Allora scorse Jericho e Daxiong, che stavano correndo: avevano gia superato la mezzeria e percorso poco piu della meta del ponte. Sotto di loro, serpeggiavano file di automobili. Dall’alto, i due sembravano topolini in un percorso di laboratorio. Il gigante. L’aveva colpito davvero. Kenny frugo nell’arsenale dell’airbike e ne estrasse una mitraglietta. Poi, facendo ruggire il motore, lancio il veicolo verso il basso. Jericho lo vide arrivare. Avviso Daxiong, che stava correndo davanti a lui, strattonandolo per la manica e facendogli un cenno verso l’alto. «Merda», ansimo lui. Con un gemito e una smorfia di dolore, alzo entrambe le braccia per segnalare agli altri l’airbike. Ma Yoyo l’aveva gia vista; era saltata giu dalla moto e aveva iniziato a correre a perdifiato verso il parco, seguita da Chen. «Daxiong!» urlo Jericho. «Dobbiamo tornare indietro.» «No!» «Non riusciremo ad arrivare sull’altro lato.» Jericho spinse il gigante fino al punto in cui il cavalcavia superava la mezzeria. Il ponte era collegato a uno degli imponenti piloni sui quali si sarebbero snodate le rotaie della Maglev. Le traverse per scendere erano poste a distanze regolari; Jericho salto oltre il para-
petto e si calo, sperando che Daxiong riuscisse a trovare le forze per seguirlo. Dall’airbike, Kenny apr il fuoco sul ponte pedonale e i due si ritrovarono sotto una pioggia di proiettili. Daxiong perse la presa e atterro bruscamente sull’erba della mezzeria, mentre Jericho correva verso di lui. Il gigante cerco di rialzarsi, quindi lancio un grido cos forte da sovrastare il rumore delle auto. Jericho temette che fosse stato colpito, ma poi si rese conto con sollievo che quello non era un grido di dolore, ma una cascata d’imprecazioni e insulti a Kenny. «Alzati!» lo incito Jericho. «Non ci riesco!» «Certo che ci riesci. E poi non ho mai soccorso una balena spiaggiata, non so come si fa.» «Giuro che lo sbudello!» urlo Daxiong. «Gli strappo lo stomaco, l’intestino crasso, il duodeno...» «S, ma dopo. Adesso in piedi!» Kenny viro e punto l’arma su Yoyo. La ragazza e il padre erano scomparsi sotto le chiome rigogliose degli alberi che circondavano il parco. Il killer plano verso il basso e sfreccio sopra il prato dove il gruppo di anziani stava ancora praticando il qgong: con la testa dritta, le spalle basse, il busto e le gambe in armonia, allargavano le braccia, voltavano i palmi e li portavano lentamente verso l’alto, come se il cielo stesse precipitando sulla Spng Lu e loro volessero proteggerla. Tra platani e salici piangenti, Kenny vide ricomparire i due fuggiaschi e si mise a sparare, aprendo larghe ferite nei tronchi e nei rami. Alcuni membri del gruppo cominciarono a perdere la concentrazione, dimenticarono d’incrociare le dita, abbandonarono il ritmo lento dell’espirazione e voltarono la testa. Poi presero a fuggire in tutte le direzioni, cercando di evitare l’airbike che sfrecciava in mezzo a loro. Il killer rallento e diresse il veicolo verso il boschetto in cui erano entrati Yoyo e il padre. Punto il muso dell’airbike verso l’alto, guadagnando rapidamente quota. Forse i due stavano solo aspettando il momento giusto per correre dall’altra parte del parco e raggiungere le loro moto. Facendo ululare gli ugelli, Kenny si mosse in quella direzione. Quei veicoli erano elettrici e non sarebbero esplosi, ma dopo un intenso bombardamento ci sarebbe rimasto comunque ben poco da guidare. Vide muoversi qualcuno sulla mezzeria. Ah. Jericho e il colosso che ha cercato di buttarmi dalla finestra. Tanto meglio. «Sta arrivando!» Daxiong annu. Aspettarono fino all’ultimo momento, poi si rifugiarono dietro il pilone, in tempo per evitare il primo proiettile, che solco l’erba e si conficco nel cemento. L’airbike sfrec-
cio davanti a loro e viro di colpo. «Dall’altra parte!» Cercarono un riparo che permettesse loro di sfuggire a Kenny almeno per un po’. Lo trovarono sempre dietro la colonna, che sembrava davvero adatta per quello scopo. Almeno cos sperava Jericho. Daxiong era appoggiato al pilone accanto a lui, madido di sudore, col respiro affannoso e bianco come un cencio. «Non riusciro a resistere ancora per molto», disse con un filo di voce. «Non ce n’e bisogno», replico Jericho, ma in lui stava crescendo il timore che l’ultima parte del suo piano non andasse come aveva sperato. Alzo lo sguardo. In ogni direzione si sentivano i motori degli aerei, che con apparente lentezza si muovevano nel cielo. Il rombo della turbina si stava allontanando. Per un momento, s’illuse che il killer avesse rinunciato, poi vide l’airbike sopra di loro e cap cos’aveva in mente Kenny. Se si fosse portato a un’altezza adeguata, il pilone non sarebbe piu servito granche. Potevano girarci intorno quanto volevano, ma alla fine li avrebbe colpiti. «... e anche l’intestino cieco, ammesso che ce l’abbia ancora», disse Daxiong tossendo. «Gli strappo anche quello. O magari comincio con l’intestino cieco e poi passo a...» Davanti a loro, erba e terreno schizzavano verso l’alto. Jericho giro intorno al pilone. Daxiong lo segu barcollando. «Ce la fai?» «Quel figlio di puttana mi ha colpito da qualche parte sulla schiena», borbotto il gigante. Toss e crollo a terra. «Credo proprio che...» «Accidenti, Daxiong. Non puoi mollare proprio adesso. Hai capito? Non svenire!» «Io... s. Ci provo... Io...» «Guarda!» Nel cielo, in lontananza, era comparso un oggetto, piccolo e argentato; stava planando, avvicinandosi velocemente. «Daxiong!» urlo Jericho. «Siamo salvi!» Il gigante sorrise. «È una bella notizia», disse prima di rotolare sul fianco. Kenny Xn aveva rivolto la sua attenzione al boschetto e, quando noto lo scintillio della Flunder, era troppo tardi. La vedeva avvicinarsi, sempre piu minacciosa, senza che il pilota accennasse minimamente a deviare la sua traiettoria. Lui rimase interdetto, poi si rese conto che il nuovo arrivato aveva intenzione di speronarlo. Allibito, alzo un braccio e sparo un paio di colpi, che costrinsero la Flunder a un’elegante deviazione, ma il veicolo si rimise subito in rotta, puntando dritto sull’airbike. Chiunque fosse ai comandi di quella macchina era un asso.
Kenny fece perdere quota al suo mezzo, che precipito come un sasso fino a fermarsi a pochi metri dalla strada trafficata. Il disco argentato lo segu. Allora Kenny si giro, volo sopra il boschetto e il laghetto artificiale, compiendo evoluzioni spericolate e brusche manovre, senza pero riuscire a seminare l’inseguitore. La Flunder gli diede la caccia per tutto il parco e poi torno sulla strada, dove improvvisamente si slancio verso l’alto. Confuso, Kenny la segu con lo sguardo, mentre riduceva la velocita dell’airbike, tenendola sospesa sopra il serpentone di automobili. Il velivolo sconosciuto si era allontanato. Imprecando, il killer si rammento della sua missione. Era umiliante. Yoyo e il vecchio Chen erano l, da qualche parte, nascosti tra i cespugli e avevano visto tutto; al solo pensiero sent una rabbia incontrollabile montargli dentro. Si sarebbe servito del lanciagranate per far saltare in aria l’intero bosco, ma prima Jericho e Daxiong dovevano morire. Con l’arma spianata si diresse verso il pilone dietro il quale i due avevano tentato di ripararsi prima che comparisse il disco argentato. Nascose l’arma. Sotto di lui, automobili vecchissime impregnavano l’aria di polveri e gas di scarico. Non ci sarebbe stata una seconda volta, non avrebbe permesso a quel tizio di dargli la caccia di nuovo; avrebbe fatto in modo che non volasse mai piu. Le sue dita si strinsero intorno all’impugnatura del lanciagranate, ma poi lui si accorse che era bloccato. Lo scosse con veemenza, abbasso lo sguardo e comprese che non c’era niente da fare. Il suono di un clacson. Sempre piu forte. Irritato, Kenny alzo la testa. Un camion per trasporti eccezionali stava sopraggiungendo. Sempre piu vicino, sempre piu grande. Nei pochi istanti in cui Kenny si era concentrato sul lanciagranate, l’airbike si era abbassata. Troppo. Inorridito, vide l’autista dietro il parabrezza urlare e gesticolare; allora fece impennare il veicolo e riusc a evitare d’un soffio lo scontro. In quel preciso istante, il disco d’argento sfreccio sopra di lui e l’onda d’urto invest l’airbike, facendola vorticare su se stessa come una foglia morta. Kenny fu sbalzato via e cadde sulla schiena. L’impatto col terreno spinse fuori tutta l’aria dai suoi polmoni. D’istinto, alzo le braccia per proteggersi, ma nessun veicolo lo invest. Era steso su qualcosa di solido e di cedevole nel contempo. Ansimando, si mise a sedere e scorse intorno a se una specie di steccato arrugginito, che conteneva il materiale su cui lui era precipitato. No, non era uno steccato. Esterrefatto, Kenny prese una manciata di quella cosa che aveva tutt’intorno e la fece scorrere tra le dita. Sabbia. Era caduto nella sabbia. Con un grido, si alzo e vide sfilare rapidamente case, pali e semafori, quindi perse subito l’equilibrio e ricadde in quella sporcizia. Era finito nel cassone del camion che stava per investirlo e che adesso lo stava portando fuori citta, lontano da Daxiong, Jericho, Yoyo, Chen e dalla Spng Lu.
Su entrambe le corsie dirette a ovest stavano cominciando a formarsi ingorghi. Quando l’airbike si era schiantata sulla mezzeria, pezzi di telaio erano stati scagliati ovunque, costringendo gli automobilisti ad audaci frenate. La presenza sui mezzi del dispositivo Pre-Safe, imposto per legge anche alle automobili piu vecchie, aveva scongiurato il tamponamento a catena. Il Pre-Safe consisteva in sistemi radar con telecamere a tecnologia CMOS, che analizzavano in continuazione la distanza tra i mezzi e frenavano il veicolo in modo automatico in caso quello davanti avesse inchiodato di colpo. Una tecnologia raffinata, ma non ancora applicabile ai veicoli volanti. Nel frattempo, il Silver Surfer era atterrato nel parco. Jericho spio tra le macchine e vide le portiere aprirsi verso l’alto. Poi scorse una figura corpulenta e familiare. Infine vide gli altri e il cuore gli balzo in gola per la gioia. Yoyo e Chen stavano uscendo di corsa dal boschetto. «Daxiong!» Si chino verso di lui e gli diede qualche pizzicotto sulle guance. «Dai, su, alzati.» Daxiong mormoro qualcosa di poco gentile. Allora Jericho gli assesto due sonori ceffoni, facendo poi un balzo all’indietro, temendo di aver sottovalutato i riflessi del gigante. Ma non ci fu nessuna reazione. Daxiong si alzo, sospiro e ricadde subito a terra. Jericho lo afferro per un braccio e, con uno sforzo titanico, riusc a trattenerlo per qualche secondo, poi il corpo massiccio gli scivolo dalle mani. «Daxiong, maledizione, alzati!» Non poteva permettere che svenisse. Non l. Era necessario dargli qualche altra sberla. Stavolta ebbe piu successo. «Sei impazzito?» lo apostrofo Daxiong. Jericho indico le traverse del pilone che conducevano fin sul ponte pedonale. «Dopo potrai farti una bella dormita, ma adesso dobbiamo salire lassu.» Facendo leva sul braccio sinistro, Daxiong riusc ad alzarsi. Jericho non pote trattenere un moto di pieta. Nei film, le vittime di ferite da arma da fuoco non solo riuscivano a resistere per ore, ma addirittura se ne andavano in giro senza batter ciglio a compiere gesta eroiche. La realta era ben diversa: Daxiong era stato colpito alla schiena solo di striscio, ma sarebbe bastato lo shock provocato dalla velocita dei proiettili a far perdere i sensi a chiunque. Senza contare che aveva perso molto sangue e che le ferite dovevano essere assai dolorose. Jericho noto che stava osservando la scaletta del Silver Surfer. «Non ce la faccio ad arrampicarmi fin lassu», sussurro. L’altro tiro un gran sospiro. Daxiong aveva ragione e, a dirla tutta, anche lui si reggeva in piedi a fatica. Valuto la larghezza della mezzeria, si disse che poteva bastare, poi estrasse il cellulare. Dopo un paio di squilli, si attivo la connessione con Tu Tian. Riusciva a vederlo al di la della strada, nel parco, mentre Yoyo e Chen si stavano arrampicando sul velivolo. «Tian?»
«Mio Dio, Jericho!» rispose Tu Tian con voce squillante. «Cos’e successo? Vi stiamo aspettando.» «Mi dispiace.» Jericho deglut. «Sei stato fantastico, prima, ma temo che ci attenda un’altra sfida.» «Ma di cosa parli?» «Di un atterraggio di precisione. In mezzo alle corsie. A dopo, amico.» Il Silver Surfer di Tu Tian era concepito come mezzo a due posti piu uno di emergenza. Gravato da cinque persone, due delle quali piuttosto ingombranti, sarebbe stato meno maneggevole. Avevano caricato Daxiong al posto del passeggero e gli altri si erano stretti dietro. Cos sovraffollato, il Silver Surfer decollo con l’eleganza di un’anatra con la gotta. Jericho si sorprese che riuscisse ancora a volare. Tu Tian piloto il veicolo sopra i monotoni tetti marrone rossiccio del complesso residenziale di Hongkouqu, supero il fiume Huangpu e si diresse verso la sponda nord del distretto finanziario. Dal ponte Yangpu si scorgeva il parco del Pudong International Medical Center, un accumulo di bozzoli in vetro apparentemente leggeri come piume, adagiati tra ameni giardini con laghetti artificiali, boschetti di bambu e padiglioni. La clinica privata era stata costruita da pochi anni e rappresentava una nuova tendenza nella progettazione urbanistica di Shanghai: tenersi il piu possibile rasoterra. Secondo quella teoria, i grattacieli erano paragonabili al collo di un brachiosauro, la cui lunghezza poteva offrire visuali da favola, ma che per il resto portava con se solo problemi. Il simbolo per eccellenza dell’architettura «fallica» era la Nakheel Tower, a Dubai, un grattacielo che, secondo il progetto, doveva essere alto millequattrocento metri, ma i cui lavori si erano interrotti appena oltre i mille metri. Quella torre incompiuta, che svettava in una Dubai affossata dalla bancarotta, era quindi diventata la prova concreta della validita del detto «la lunghezza non e tutto ». Strutture come quella del Pudong International Medical Center, costituite da cellule intrecciate l’una all’altra, rispondevano molto meglio alle esigenze di una metropoli che si presentava come un enorme organismo unicellulare urbano, il cui metabolismo funzionava grazie a connessioni neuronali e non in relazione allo sviluppo di estremita da record. «Ho delle conoscenze l dentro», disse Tu Tian. Non era sorprendente. Ogni volta che a Shanghai era sorto qualcosa di nuovo, Tu Tian si era dato da fare per stringere amicizia con le persone giuste. Nel caso del Medical Center, si trattava del primario di chirurgia. Dopo aver fatto ricoverare Daxiong, Tu Tian e il primario discussero per un po’ in privato e, alla fine, il medico assicuro che avrebbe curato Daxiong senza chiedere come si fosse procurato quella ferita. Il gigante dovette abituarsi all’idea di soffrire ancora per qualche tempo; inoltre apprese che, una volta guarito, gli sarebbe rimasta una bella cicatrice.
«Ma anche per quella possiamo fare qualcosa», annuncio il chirurgo, sfoggiando un sorriso per tranquillizzare il gruppo. «Oggi c’e un rimedio per qualunque cosa.» «Solo nelle cliniche private, ovviamente», gli si poteva leggere nello sguardo. Jericho gli avrebbe voluto chiedere quale rimedio consigliasse a Yoyo per eliminare il dolore causato dalla perdita dei suoi amici, a Chen Hongbng per il suo tormento e a lui stesso per gli incubi che lo angustiavano, ma decise di lasciar perdere e si limito a stringere la mano a Daxiong, augurandogli di rimettersi presto. Lui lo guardo senza dire nulla; poi lascio andare la mano, stese il braccio destro e lo attiro a se, stringendolo in una sorta di abbraccio che lo fece gemere di dolore. Se quell’uomo riusciva a stritolarti nonostante la grave ferita alla schiena, quali potevano essere le conseguenze delle sue dimostrazioni di affetto in condizioni di ottima salute? «Non sei poi cos cattivo», disse Daxiong. «Ma certo.» Sorrise. «Fai il bravo con le infermiere.» «E tu tieni sotto controllo Yoyo, finche non potro farlo di persona. » «D’accordo.» «Allora ci vediamo stasera.» Jericho penso di aver capito male. Daxiong giro la testa dall’altra parte, come se considerasse ogni ulteriore discussione riguardo alle sue dimissioni soltanto una perdita di tempo. «Lascia stare», disse Yoyo mentre uscivano. «Sono gia contenta che non sia voluto venire via con noi.» «E adesso?» chiese Chen Hongbng, mentre tornavano verso il Silver Surfer. Era la prima volta che parlava da quando avevano lasciato il parco. «Penso di doverti delle spiegazioni.» Yoyo chino la testa. «Magari pero non adesso.» Chen alzo le mani. «Non capisco.» Sposto lo sguardo su Jericho. «Lei l’ha...» «Io l’ho trovata», annu l’altro. «Proprio come voleva.» «S», mormoro Chen. Sembrava incerto se quello fosse davvero cio che voleva. «Mi dispiace per...» disse Jericho. «No, no, anzi le sono grato per quello che ha fatto!» lo interruppe Chen di slancio. Ecco riapparire l’uomo che tre giorni prima - era davvero stato solo tre giorni prima? - era entrato nel suo appartamento e lo aveva subito colpito per la sua eccessiva formalita. Jericho sospiro. Forse non era il caso di aspettarsi un ringraziamento per un compito iniziato come semplice ricerca di una persona e finito con conseguenze quasi apocalittiche. Non replico. A sua volta, Chen rimase in silenzio. Yoyo sembrava aver scoperto qualcosa d’interessante nel cielo. Dal canto suo, Tu Tian si stava aggirando tra felci, bambu e pini neri, impartendo una serie di ordini a raffica al cellulare. «Bene», annuncio, tornando da loro.
«Cioe?» chiese Jericho. «Qualcuno sta andando al Westin a prendere il tuo computer e i tuoi quattro stracci per portarli da me, dove rimarrai fino a nuovo ordine.» «Ah, va bene.» «Inoltre ho incaricato due uomini di tenere d’occhio il tuo loft a Xntiand. Altri due stanno per raggiungere la Spng Lu per fare ordine e tenere la zona sotto controllo.» Si schiar la gola e poso il braccio sulle spalle di Chen. «Ovviamente, caro Hongbng, dovremo anche pensare a cosa raccontare alla polizia quando vedra com’e ridotto il tuo appartamento.» «Cio significa che veniamo da te?» dedusse Yoyo. Tu Tian li osservo. «Qualcuno ha un’idea migliore?» Silenzio. «Qualcuno preferisce trascorrere la notte a casa propria? No? Bene. Allora, prego.» Un ronzio annuncio che le portiere del Silver Surfer si stavano alzando. «Coloro che sono sapienti sono esseri superiori», sussurro Jericho, e si arrampico sul sedile posteriore. Tu Tian gli rivolse un’occhiata di rimprovero. «Coloro che sono nati sapienti», gli disse. «Lascia stare Confucio. Lo conosco meglio di te, ragazzino!» Senza Daxiong, che contava per due, il veicolo prese velocemente quota. Tu Tian viveva in una villa in una Gated Area, un’area sorvegliata come una fortezza nei dintorni di Pudong, circondata da piccoli parchi e aree verdi. Atterrarono direttamente davanti alla villa, si alzarono dai comodi sedili imbottiti e salirono lungo una scala fino a un’entrata. Una porta si apr e nel vano comparve una donna attraente, coi capelli tinti di rosso. Era l’esatto opposto di Yoyo. Meno bella, ma con piu eleganza e, per qualche misteriosa ragione, piu sensuale. Una persona che non aveva mai dovuto superare un ostacolo, per la quale era sempre stato normale che fosse il mondo a girare intorno a lei. Tu Tian la saluto con un abbraccio. Jericho lo segu. La donna sorrise e gli sfioro la guancia con un bacio. «Ciao, Jericho.» Lui ricambio il sorriso. «Ciao, Joanna.» PDNG, SHANGHAI, CINA Tu Tian aveva gia istruito Joanna affinche si occupasse di Chen. Sperava che la donna riuscisse a distrarlo almeno un poco e lei s’impegno con zelo: trascino un confuso Chen nella maestosa cucina, volle sapere quale te bevesse e se preferisse fare una sauna, un bagno oppure una doccia calda, dove gli faceva male, cos’era successo, nel frigorifero c’era del pollo freddo, ah, lui proprio non sapeva come si fosse arrivati a quel punto, all’improvviso aveva visto quel tizio in mezzo alla stanza col fucile spianato, ma come diavolo aveva fatto a entrare, oh, c’erano squarci ovunque, sarebbe potuto scoppiare un incendio, non poteva
muoversi ne contraddirlo e cos via. Ovviamente la donna non aveva la piu pallida idea di cosa stesse parlando quell’uomo ma, se cio fosse stato un problema, allora Joanna non sarebbe stata Joanna. Dispenso generosamente i suoi consigli, profondendo ottimismo con ogni gesto e ogni parola, e continuo a instillare fiducia in Chen sinche lui non fu disposto a credere che tutto si sarebbe risolto per il meglio, proprio come aveva detto lei. Joanna era una maestra del bluff. Nel suo mondo, non era il cane a muovere la coda, ma viceversa. Era in grado di spingere un uomo davanti a se e, nel contempo, convincerlo che era lei a seguirlo. «Cosa vogliamo fare?» sibilo Tu Tian. «Dobbiamo informare la polizia», rispose Jericho. «Prima che lo scoprano da soli.» «Vorresti passare all’offensiva?» «Abbiamo alternative? Quel pazzo ha fatto saltare in aria mezza acciaieria. In breve tempo, a Quyu troveranno cadaveri e testimoni oculari. Per non parlare della Spng Lu, che sembra sia stata bombardata. Ho ragione, Yoyo?» «S.» «E senza dimenticare che un’airbike piena di armi pesanti sta arrugginendo nel cortile interno del palazzo e che un’altra ha paralizzato il traffico. Di sicuro avranno fatto qualche collegamento. » «S, ma di che tipo?» «Ti posso assicurare che, nel giro di un paio d’ore, vorranno sapere cosa c’entra il tuo amico Chen Hongbng col massacro di Quyu. E arriveranno a Yoyo in un batter d’occhio. Quello che e successo all’acciaieria ha tutto l’aspetto di una campagna di annientamento dei City Demons, non vi sembra? E Yoyo fa parte del gruppo.» «E tu?» chiese Yoyo. «Credi che possano risalire anche a te?» «La mia automobile e bruciata nell’incendio...» «E la tua automobile puo essere identificata.» Tu Tian fece una smorfia. «Oltre al fatto che la Spng Lu e costantemente videosorvegliata, quindi avranno le registrazioni di quando vi siete incontrati, di come Yoyo e Daxiong sono entrati nella casa, di come questo... questo...» «Kenny.» «... questo Kenny vi abbia spinto a...» «Non vi, ma ci», disse Jericho. «Ci sei dentro pure tu in questa storia, tu e la tua collera divina. E chi lavora nella tua societa per pagarsi gli studi?» «Yoyo, quella linguaccia», sbuffo la giovane donna. «È vero, bambina mia, il tuo passato splende di luce propria, per la polizia», constato Tu Tian, grattandosi la testa calva. Gli occhiali nuovi lo facevano sembrare quasi una persona civile. «Quindi cosa gli raccontiamo? Che Yoyo, con assoluta innocenza, stava spiando Kenny per vedere se avesse qualche contatto con...»
«Scordatelo», lo interruppe lei. «Dovrei raccontare alla polizia di essere in possesso d’informazioni segrete? Coi miei trascorsi? Se quello stronzo e del governo, posso pure arrestarmi da sola. Anzi sarebbe meglio che mi sparassi!» «Non penso che la polizia sia coinvolta», intervenne Jericho. «D’accordo, pero non sai quello che succederebbe se mi avessero tra le mani.» «Un momento.» Tu Tian scosse la testa con decisione. «Siamo realisti. Finora abbiamo attribuito alla polizia di Shanghai la capacita di correlazione di un computer quantico. Non riusciranno a radunare tutte le tessere del puzzle cos in fretta.» «Dobbiamo comunque informarla», obietto Jericho. «Magari non subito.» «Invece s. Se qualcuno ti distrugge la casa e tu non sporgi denuncia, qualche sospetto lo sollevi. Inoltre, poco prima che scoppiasse l’inferno, siamo comparsi io, Yoyo e Daxiong. E il mezzo che guidavo era identico a quello di Kenny.» «Vediamo se cos funziona: qualcuno tende una trappola a un gruppo di motociclisti di Quyu e fa una strage, grazie anche a dei complici, tutti arrivati su airbike. Complici che pero ignorano una cosa: Yoyo in quel momento ha visite: un amico di famiglia, cioe Jericho. E questo amico da del filo da torcere a quei tizi... mi seguite? Lui e Yoyo si procurano un’airbike, quindi possono fuggire. Subito dopo, Yoyo riceve una telefonata dal padre: qualcuno sta cercando di entrare in casa sua.» «Non regge.» Yoyo scosse la testa. «Se qualcuno sta per entrarti in casa, non chiami tua figlia.» «D’accordo. Allora mettiamola cos: Kenny ti ha minacciato, ordinandoti d’interrompere ogni contatto con la tua famiglia», propose Jericho. «Quindi tu chiami tuo padre. Ma lui non risponde, e allora noi due decidiamo di andare da lui e coinvolgiamo anche il migliore amico di Chen, ovvero Tian.» «E, in tutto questo, noi non abbiamo idea di cosa vogliano quei tipi?» chiese Yoyo, scettica. «Ci crederanno?» «È l’unica soluzione.» «Questa storia non sta in piedi!» protesto lei. «La cosa importante e tenerti fuori da questo pasticcio», disse Tu Tian. «Niente dissidenti, niente Guardiani.» Le scocco un’occhiata di rimprovero. «A questo proposito, avresti anche potuto spiegarmi che eravate nell’altoforno. Io sapevo solo dell’Andromeda. » «Mi dispiace, non volevo coinvolgerti troppo.» «Perche no? Sono stato io a fornire l’infrastruttura ai tuoi mastini. Non potrei essere piu coinvolto di cos.» Tu Tian sospiro. «Ma fa lo stesso. Punto due all’ordine del giorno. Cosa raccontiamo a Hongbng?»
Dopo un attimo di esitazione, Yoyo disse: «La stessa storia?» «Come, scusa?» ribatte Jericho stizzito. «Be’, pensavo...» «Vorresti far credere a tuo padre che tutto quello che e successo e stato opera di un pazzoide?» Improvvisamente era infuriato con lei. Vide Chen Hongbng, con tutto il suo dolore, che veniva abbindolato per l’ennesima volta. «Jericho...» Yoyo alzo le mani. «Quello che hai fatto per noi e straordinario, pero questa storia non ti riguarda.» «Tuo padre merita una spiegazione!» «Non credo che voglia sentirla.» «Tu non credi che... Santo cielo, quell’uomo lo ha preso in ostaggio, gli ha puntato un’arma addosso, ha minacciato sua figlia e distrutto il suo appartamento! Tu devi dirgli la verita. Qualunque altra cosa sarebbe una vigliaccata.» «Tu non c’entri!» «Yoyo», mormoro Tu Tian. Era come se le avesse detto: «Siediti» oppure: «Calmati». «Che c’e?» sbraito lei. «È una cosa che non lo riguarda. L’hai detto tu stesso che coinvolgere papa sarebbe stato un errore.» «Le circostanze sono cambiate. Jericho ha ragione.» «Ah, giusto», replico Yoyo con aria beffarda. «Dimenticavo che adesso fa parte della famiglia.» «No. Ha ragione, punto e basta.» «E come puo aver ragione? Cosa sa di mio padre?» «E cosa ne sai tu di lui?» replico Jericho con aria di sfida. Yoyo lo guardo con occhi di fuoco. Aveva messo il dito nella piaga. «Hongbng e amareggiato, scostante e introverso», disse Tu Tian. «Ma io lo conosco. Non so se aspettare con ansia o se temere il giorno in cui la corazza che si e costruito si sbriciolera. Ha trascorso anni in balia di una schiacciante sensazione d’impotenza. Finora non c’era motivo di metterlo al corrente del fatto che sei la dissidente piu ricercata di tutta la Cina, ma adesso la situazione e cambiata. Dopo quello che e successo oggi, sa benissimo che c’e qualcosa che devi dirgli.» Turbata, Yoyo scosse la testa. «Mi odiera.» «Probabilmente odiera di piu me per averti aiutato e per non aver fatto bene nemmeno quello. Non puoi continuare a mentirgli. Sapere che non hai piu fiducia in lui sarebbe la cosa peggiore per tuo padre. Sarebbe come se tu non...» - Tu Tian sembro cercare le parole giuste - «... lo considerassi piu tuo padre.»
«Non lo considerassi piu mio padre?» ripete Yoyo, come se temesse di non aver capito bene. «S. Ognuno di noi ha bisogno di sentirsi importante. Anche Hongbng, molto tempo fa, ha voluto fare qualcosa d’importante ed e stato punito per quello. Lo hanno privato del rispetto di se stesso.» «E ora lui punisce me.» «Punirti e l’ultima cosa che desidera.» Yoyo lo fisso. «Ma non mi ha mai parlato della sua vita, Tian. Mai. È lui che non ha mai voluto confidarsi con me. Non e forse una punizione, questa? Che importanza ho io? Certo, si e sempre dato molto da fare per proteggermi, si e preso cura di me in ogni momento, tutti i giorni... Mi avrebbe tenuto sotto chiave, se avesse potuto, ma a che scopo? Cosa pretende da me, se non mi dice nulla di se?» «Si vergogna», sussurro Tu Tian. «Di cosa? Sono stufa di questa storia. Ho uno zombie come padre!» «Non dovresti parlare cos.» «No? E cosa sarebbe successo se lui mi avesse spiegato qualcosa? » «Lui vorrebbe farlo», le assicuro Tu Tian. «Oh, grazie. E quando?» «Per il momento, tocca a te.» «Perche sempre io?» esplose Yoyo. «Perche non lui?» «Perche sei nella posizione di potergli tendere la mano.» «Non metterci tutto questo pathos», urlo lei. «I miei amici sono morti e lui ha rischiato di essere ammazzato. Al massimo sono nella posizione di chi deve sopportare il peso del mondo sulle proprie spalle.» «Succede a tutti», s’intromise Jericho, che stava perdendo la pazienza. «Quindi risolvete pure i vostri problemi, ma fatelo da un’altra parte. Tian, quando pensi che arrivi il mio computer?» «Tra pochi minuti», rispose l’altro, sollevato di poter cambiare argomento. «Bene. Guardero di nuovo i filmati svizzeri. Posso usare l’ufficio? » «Certo.» Tu Tian esito. «Poi avvisero la polizia, va bene?» «D’accordo.» «Siamo tutti disposti a sottoporci a un interrogatorio?» «Nascondersi non serve a nulla, anche perche ci troverebbero comunque.» Jericho aggrotto le sopracciglia. «In realta, probabilmente hanno gia cominciato. La prima vittima del lurido gioco di Kenny e stato Grand Cherokee Wang.» Sposto lo sguardo su Yoyo. «Il tuo coinquilino. Ti bombarderanno di domande. »
«Facciano pure», disse Yoyo, furibonda. «Devono solo provarci. » «Occhio per occhio, dente per dente.» «Ben detto», sbuffo Yoyo, voltandosi in direzione della cucina. Jericho era felice come una pasqua di avere di nuovo Diane con se. Senza troppe speranze, controllo i tre siti Internet che, stando al protocollo, avrebbero dovuto essere sostituiti, ma il risultato fu deludente. La maschera non rivelo nulla; con ogni probabilita erano gia stati tolti dalla circolazione. Rimanevano solo i filmati svizzeri e un’ipotesi. Diede a Diane una serie d’istruzioni e lei gli fece gentilmente sapere che l’elaborazione avrebbe richiesto del tempo. Potevano essere cinque minuti come cinque anni, il computer non sapeva dirlo con certezza. Sarebbe stato come chiedere ad Alexander Fleming quanto tempo avrebbe impiegato per scoprire la penicillina. Inoltre, siccome si trattava di filmati tridimensionali, Diane non doveva analizzare semplici stringhe di dati, ma volumi, e cio poteva allungare ulteriormente l’attesa. Joanna gli porto te e pasticcini. Erano quattro anni che non stavano piu insieme e lui ancora non sapeva bene come comportarsi con la donna che lo aveva attirato a Shanghai e poi l’aveva piantato in asso. Almeno quella era l’idea che se n’era fatta: era convinto che lei gli avesse dato il benservito per sposare un tizio arricchitosi in virtu del boom economico cinese; un tizio che, con ogni evidenza, non corrispondeva affatto all’ideale di uomo che una donna vorrebbe avere al proprio fianco. Eppure proprio quell’uomo era diventato il migliore amico di Jericho: Joanna aveva caldeggiato la loro amicizia, sviluppatasi da un rapporto professionale, senza che ne l’uno ne l’altro se ne rendessero pienamente conto. Era stata proprio lei a far notare quanto fosse profondo il legame che li univa, in modo che Jericho capisse che era ora di smetterla di sentirsi sempre in debito con chiunque. «Questo non e vero», aveva replicato lui, guardandola con l’aria di chi non si capacita di una simile affermazione. In realta capiva benissimo cosa avesse inteso Joanna. Ovviamente aveva esagerato - lei era fatta cos - anche perche il suo approccio era l’esatto opposto del suo: non si sentiva mai in colpa, un tratto caratteriale che talvolta la faceva sembrare presuntuosa. In realta, sentirsi in colpa non era nella sua indole: le mancava quel senso di sottomissione e obbedienza che si acquisisce da bambini. Dal momento in cui veniamo al mondo, c’e chi ci ammonisce, chi ci istruisce, chi ci coglie in fallo, chi ci fa sentire in torto, chi ci sottopone a giudizi e correzioni... con l’unico obiettivo di renderci migliori, correggendo i difetti. E, dato che il metro del miglioramento e tarato sulle aspettative altrui, tale obiettivo e spesso destinato a fallire. Guidati dalle migliori intenzioni e da rimproveri silenziosi, andiamo per la nostra strada, dimenticandoci di perdonare il bambino interiore, abituato a essere rimproverato per
aver fatto qualcosa di testa sua. Superando l’incrocio del: «Devo, dovrei, non posso», si arriva proprio nel luogo dal quale, molto tempo prima, siamo fuggiti, indipendentemente dal grado di maturazione raggiunto durante il percorso. Ci vediamo sempre con gli occhi degli altri, ci misuriamo coi parametri degli altri, ci valutiamo in base ai canoni degli altri, ci giudichiamo con l’indignazione degli altri... e comunque non basta mai. Non si basta mai a se stessi. Era quello il significato del commento di Joanna. Lei stessa, con notevole abilita, aveva tagliato i fili che la tenevano legata alla sua infanzia. Vedeva le cose in modo obiettivo, era tagliente come un rasoio e agiva di conseguenza. Si era arrogata il diritto di lasciare Jericho. Sapeva che la rottura del loro rapporto lo avrebbe fatto soffrire ma, nel mondo di Joanna, dolori simili non potevano essere ricondotti a un comportamento sbagliato; lei non lo aveva privato di nulla, non lo aveva umiliato in pubblico ne gli aveva mentito. Quello che, secondo gli altri, avrebbe dovuto fare o non fare non le importava affatto. L’unico sguardo che voleva essere in grado di sostenere era il proprio, riflesso nello specchio. «Come stai?» chiese lui. «Be’, tu che dici?» Joanna si accomodo in una delle sedie ergonomiche dell’ufficio di Tu Tian. «Sono molto agitata.» In realta non sembrava affatto agitata, ma incuriosita. Jericho sorseggio il te. «Tian ti ha raccontato quello che e successo? » «Mi ha messo al corrente cos, al volo, quindi ora io conosco la sua versione.» Joanna prese un biscotto e lo sgranocchio con aria assorta. «Conosco anche quella di Hongbng, ovviamente. È spaventoso. Mi piacerebbe sentire cos’ha da dire Yoyo, ma so che e molto occupata col suo doloroso conflitto padre-figlia.» Lui esito. «Sai di cosa si tratta?» «Non sono mica stupida.» Indico la porta. «So pure che Tian e coinvolto in questa storia.» «E questo non e un problema per te?» «Sono affari suoi. E lui sa quello che fa. Personalmente non ho ambizioni, come ben sai: non potrei mai essere una dissidente convinta. Ma posso capirlo. Conosco le sue motivazioni, e quindi ha il mio appoggio incondizionato.» Jericho non replico. Era evidente che Chen Hongbng non era l’unico ad aver conosciuto l’amarezza in passato. Tu Tian poteva aver raggiunto la sua posizione sociale in molti modi, ma certamente non frequentando un gruppo di dissidenti. Doveva essere successo qualcos’altro, molto tempo prima. «Magari una volta o l’altra te lo raccontera», aggiunse la donna, prendendo un altro biscotto. «Comunque, voi avete cacciato. E io arrivo quand’e ora di raccogliere il bottino. Dato che Yoyo non ha tempo da dedicarmi, raccogliero il bottino da te.»
Lui le racconto tutto quello che era successo dal momento della visita di Chen a Xntiand. Joanna non lo interruppe, a eccezione di qualche «Oh» e «Ah» che in Cina, come altrove, avevano soprattutto lo scopo di rassicurare l’interlocutore sul proprio livello di attenzione. Durante il resoconto mangio quasi tutti i biscotti e fin il te. A Jericho non importava; non aveva ancora appetito. Quando fin il racconto, rimasero entrambi in silenzio per un po’. «Sembra che vi siate cacciati in un guaio da cui non uscirete tanto facilmente», commento poi Joanna. «È cos.» «Vale anche per Tian?» Era come se avesse detto: «Vale anche per me?» Jericho era sul punto di ricordarle che il suo benessere personale avrebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi problemi, ma si trattenne. Forse aveva interpretato male le parole di Joanna. «Puoi arrivarci da sola», le disse invece. «Kenny dovra comunque abituarsi all’idea di aver mandato tutto a rotoli. Nel frattempo, noi potremmo aver rivelato le informazioni a qualcuno, anche se Dio solo sa chi, mentre lui si e definitivamente giocato ogni possibilita di togliere di mezzo chiunque fosse a conoscenza di qualcosa.» «Vuoi dire che non dara piu fastidio a Yoyo?» «Difficile prevederlo», rispose. «In che senso?» «Credimi, ho conosciuto psicopatici della peggior specie, che torturavano le loro vittime, le facevano a pezzi, le tenevano chiuse in gabbia, le lasciavano morire di sete... cose che non puoi neanche immaginare. Persone del genere agiscono guidate esclusivamente dalle loro ossessioni. Poi ci sono i killer professionisti. » «Che uniscono l’utile al dilettevole.» «Per loro si tratta di un lavoro. Non creano nessun legame emotivo con le loro vittime; fanno semplicemente quello per cui sono pagati. Kenny non ha portato a termine il suo compito, e questa cosa lo avra fatto imbestialire, ma non ci sarebbe nulla di strano se ci lasciasse in pace e si dedicasse a un altro incarico.» «Pero tu non credi che lo fara, vero?» «Kenny e un professionista e uno psicopatico.» Tamburello sulle tempie con l’indice. Gli stava venendo un’emicrania. «Ai tipi come lui manca sempre qualche rotella.» «Cioe?» «Uno come Kenny potrebbe anche sentirsi offeso perche non siamo crepati tutti secondo i suoi piani. Forse crede che non avremmo dovuto difenderci e probabilmente non si da pace. È possibile che incendi il mio loft o casa vostra, che rimanga in agguato finche non trova il momento giusto per farci fuori... e tutto questo solo perche e arrabbiato con noi.»
«Sprizzi ottimismo da tutti i pori, come sempre.» Jericho la guardo con aria cupa. «Questa e la tua specialita.» Era un colpo basso, ma Joanna gliel’aveva proprio tirata fuori quella piccola, squallida cattiveria, come un animale dai denti aguzzi e dal pelo logoro che si appresta a piombare sulla preda, ma poi se ne va, ridacchiando. «Idiota.» «Mi dispiace.» «Non fa niente.» Si alzo e gli accarezzo i capelli. Per qualche strano motivo, il gesto di Joanna lo tranquillizzo e lo umilio nel contempo. Un display sulla console di Tu Tian si accese, e il servizio di guardia comunico che era arrivata la polizia per interrogare Tu Tian e chiunque altro avesse assistito agli avvenimenti di Quyu e Hongkouqu. Come succede con le persone che occupano una certa posizione sociale, l’interrogatorio fu pacato e discreto. Un commissario con alcuni assistenti al seguito pose loro le domande di rito, assicurando a tutti i presenti il suo interessamento per quanto avessero da dire. Parlando degli avvenimenti, li defin in rapida sequenza «orribili» e «deprecabili»; Tu Tian era un «onorato membro della societa»; Chen e Yoyo erano stati «eroici», e Jericho era uno «stimato amico delle autorita». Fra un commento e l’altro, pero, scagliava domande come un lanciatore di coltelli. Alla fine, manifesto alcuni dubbi proprio sul punto che non corrispondeva alla realta, cioe sul movente di Kenny. Il suo sguardo era affabile come quello del macellaio che rassicura il maiale mentre lo sta per scannare. Le guance di Chen erano piu incavate del solito, il viso di Tu Tian aveva venature color porpora e Yoyo sfoggiava tutta la sua testardaggine; con ogni probabilita, l’arrivo della polizia l’aveva costretta a interrompere un’accesa discussione. Difficile non percepire quel clima teso, penso Jericho. E, durante gli interrogatori individuali, il commissario inizio a esprimere i suoi dubbi. Era una donna di mezza eta, con capelli lisci e uno sguardo intelligente nascosto dietro un paio di occhiali fuori moda, con le lenti piccole e la montatura spessa. Lui sapeva benissimo che si trattava di un MindReader, un computer portatile che filmava il proprio interlocutore, trasmetteva la mimica a un amplificatore e proiettava in tempo reale il risultato sulle lenti. Il minimo sorriso di sufficienza diventava esageratamente chiaro; un nervoso battito di ciglia si trasformava in un terremoto; microscopiche contrazioni facciali, impossibili da notare a occhio nudo, diventavano un libro aperto. Penso che la donna avesse attivato anche l’Interpreter, che serviva ad accentuare le caratteristiche del linguaggio usato. L’effetto era sbalorditivo. Azionando contemporaneamente il MindReader e l’Interpreter, la persona interrogata si trasformava in un pessimo attore, che faceva una smorfia dopo l’altra... magari essendo convinto di avere la situazione sotto controllo.
Per lavoro, Jericho aveva avuto modo di sperimentare entrambi i programmi, ma bisognava essere dei veri esperti per saperli usare. Ci volevano anni di esercizio per riconoscere le sottili discrepanze tra mimica, tono e contenuto di una frase. Non fece capire alla donna di aver riconosciuto l’apparecchio, racconto la sua versione dei fatti e rispose a una domanda dopo l’altra. «Lei e davvero soltanto un amico di famiglia?» «E non c’era nessun motivo particolare per cui lei si trovava nell’acciaieria proprio stamattina?» «Questi tizi sono arrivati nell’acciaieria nello stesso momento in cui stava arrivando lei. Mi vuole far credere che si tratti di una coincidenza?» «Aveva un incarico a Quyu?» «Non trova strano che Grand Cherokee Wang sia stato ucciso il giorno dopo che lei gli ha fatto visita?» «Sapeva che Chen Yuyun e stata in prigione per attivita sovversive e diffusione di segreti di Stato?» «Sapeva che Tu Tian non ha sempre agito a favore dello Stato cinese ne ha fatto in modo di fugare le nostre giustificate preoccupazioni relative alla stabilita interna del Paese?» «Cosa sa della vita di Chen Hongbng?» «Benche i fatti dimostrino chiaramente che si tratta di un piano, dovrei quindi credere che nessuno di voi ha la piu pallida idea di chi sia questo Kenny o di cosa voglia?» «Glielo chiedo ancora una volta: quale incarico doveva svolgere a Quyu?» Eccetera, eccetera, eccetera. Alla fine si arrese, si lascio andare contro lo schienale della sedia e si tolse gli occhiali. Sorrideva, ma il suo sguardo tagliente lo stava facendo a pezzi. «Lei vive a Shanghai da quattro anni e mezzo», constato. «Da quello che si dice di lei, gode di un’ottima fama come investigatore.» «Ne sono onorato.» «Come vanno gli affari?» «Non posso lamentarmi.» «Mi fa piacere.» Un la punta delle dita. «Posso assicurarle che, nella mia cerchia, la stimano tutti. Ha lavorato diverse volte con noi, portando a termine con successo ogni incarico e dimostrando di essere pronto a collaborare, cosa che ci rende ben disposti a prolungare il suo permesso di soggiorno ancora e ancora e ancora...» La donna fece ruotare la mano destra. «... prolungandolo all’infinito. Anche perche il nostro rapporto si basa sulla reciprocita. Capisce cosa intendo?»
«È stata molto esplicita.» «Bene, ora che questo aspetto e stato chiarito, vorrei farle una domanda del tutto informale.» «Se posso rispondere...» «Sono sicura di s.» Si chino in avanti e abbasso la voce. «Mi piacerebbe sapere cosa penserebbe lei di tutto questo se fosse al mio posto. Ha esperienza, intuito, un buon fiuto. Quale sarebbe la sua opinione?» Decise che non si sarebbe fatto imbrogliare da quella donna. «Farei un po’ piu di pressione.» «Oh.» Lei reag con stupore, come se Jericho l’avesse invitata a spegnere una sigaretta sulla mano degli interrogati. «Pressione sulla mia squadra», aggiunse lui. «In modo che i miei uomini impieghino tutte le loro energie per acciuffare l’uomo responsabile di questi attacchi e per far luce sulle circostanze, invece di prendere un grosso abbaglio, trasformando le vittime in carnefici e minacciando di espellermi. Le basta come risposta?» «La terro presente.» La donna non gli sembro affatto disorientata. Certo, dubitava della veridicita del suo racconto, ma non aveva niente di concreto contro di lui. Jericho si preoccupava per tutti gli altri che, seppure in forme diverse, avevano gia avuto problemi con la legge, una cosa che rischiava di spalancare le porte a chissa quali vessazioni. «Vorrei nuovamente esprimerle tutta la mia comprensione», disse la donna in tono affabile. «Avete sofferto molto. Faremo il possibile perche la giustizia faccia il suo corso.» Lui annu. «Fatemi sapere se posso aiutarvi.» La donna si alzo e gli tese la mano. «Stia certo che lo faro.» «Allora?» Tu Tian era entrato nella stanza. Era quasi scesa la sera; il cielo era coperto e, su Pudong, cadeva una pioggerellina leggera. I poliziotti se n’erano andati. «Niente di nuovo.» Jericho si stiraccchio. «Diane se la sta spassando coi filmati svizzeri e in piu stiamo cercando di ricondurre i sei siti Internet a un unico webmaster: finora sembra che non ce ne sia uno solo, ma non si puo mai dire.» «Non intendo questo.» Tu Tian prese una sedia e vi si lascio cadere, respirando affannosamente. Jericho noto che le maniche della sua camicia erano rimboccate ad altezze diverse. «Com’e andato l’interrogatorio?» «Secondo te? Non ha creduto a una sola parola.» «Lo stesso con me.» Per qualche strano motivo, quella circostanza sembro colmare di soddisfazione Tu Tian. «E non ha creduto nemmeno a Yoyo. Sembra che ci sia andata leggera solo con Hongbng.»
«Ovviamente», mormoro Jericho. Dal momento esatto in cui Chen era entrato nel suo loft di Xntiand, Jericho aveva notato in lui qualcosa di difficile da definire, qualcosa nei suoi occhi, in quel viso troppo tirato. Quell’uomo dava l’idea che gli avessero strappato l’anima. Ora capiva meglio cio che aveva provato: l’assoluta certezza che quell’uomo era incapace di mentire. E sapeva pure che la donna aveva avuto la stessa sensazione. Nei tratti di Chen, nulla era adatto a nascondere una bugia; non poteva sopportare le menzogne, ne le proprie, ne quelle degli altri. «Tian...» mormoro. «S?» «Temo che il nostro piano d’azione abbia un problema. Non fraintendermi, e che...» Cerco le parole giuste. «Cosa? Su, continua.» «So troppe poche cose di te.» Tu Tian non replico. «Di te e di Chen Hongbng. Certo, non sono cose che mi riguardino, e solo per... valutare quali rischi correte con le autorita, dovrei... be’, s... dovrei farmi un’idea piu chiara, ma...» Tu Tian serro le labbra. «Capisco.» «No, non credo. Tu pensi che io sia curioso, ma ti sbagli. Per me e del tutto indifferente, anzi no, non lo e. Rispetto il tuo silenzio. Quello che e successo nel tuo passato o in quello di Chen non mi riguarda, ma allora sei tu che mi devi dire come procedere. Capisci che...» «No, va bene», brontolo Tu Tian. «È una cosa tua, io la rispetto...» «No, hai ragione.» «Non vorrei mancarti di rispetto...» «Basta cos, xingdì.» Tu Tian gli diede una pacca sulla spalla. «Il rispetto e il pilastro della tua esistenza, non mi devi spiegazioni. Comunque ho spesso pensato a come la nostra amicizia si potesse rafforzare grazie a una piccola confessione.» Il suo sguardo si sposto verso la porta. In qualche parte della casa, Yoyo e il padre stavano animatamente discutendo del passato e del futuro. «L’unica cosa che temo e di essere costretto a salire sul ring.» «Per sistemare le cose?» «Per incassare il colpo. Yoyo e io abbiamo deciso di mettere tutto in chiaro. Entro oggi, Hongbng sapra la verita.» «E la sua reazione...» «Avrebbe certamente preferito essere ricoperto di merda.» Tu Tian rutto. «Ma la cosa non mi preoccupa piu di tanto. La questione e un’altra: per quanto tempo si crogiolera nella sua collera? Presto o tardi dovra riconoscere che, se si negano per tanto tempo le risposte ai figli,
allora non si puo pretendere di ottenere la loro fiducia. Dovra raccontare a sua volta la verita a Yoyo.» Tu Tian sospiro. «Quello che succedera in seguito non riesco nemmeno a immaginarlo. Non credo che Hongbng voglia davvero convincersi che un pezzo della sua vita non sia mai esistito; tuttavia non riesce a parlarne con le persone alle quali vuole bene. Perche si vergogna. È proprio un vecchio granchio. E prova a spiegare a un granchio che deve fare a meno del carapace.» «Sarebbe il primo granchio senza carapace che vedo.» «Oh, in realta, quando sono giovani, spesso se ne sbarazzano. Altrimenti non possono crescere. Una condizione pericolosa, considerato che, nelle prime ore, il nuovo carapace e molle: sono prede facili, assai vulnerabili e completamente indifese. Se non lo facessero, pero, starebbero stretti nel primo carapace.» Tu Tian si alzo. «S, Hongbng e un vecchio granchio e il suo carapace gli sta stretto. Penso che abbia bisogno di cambiarlo, in modo che non vada in mille pezzi a causa del peso del suo animo. » Per un momento tenne la mano destra posata sulla spalla di Jericho, poi usc dalla stanza. L’aria umida della sera entro dalle finestre, portando odore di muffa. Diane lavorava. Jericho stava gironzolando per la casa quando aveva deciso di far visita a Joanna nel suo atelier, un tempio in vetro, col tetto a pagoda, che sorgeva al centro della tenuta, sulla riva del lago artificiale. Non si era stupito nel vederla lavorare a un ritratto piuttosto grande: non era tipo da stare con le mani in mano. Aveva acceso luci molto forti e, in quel momento, stava dando profondita e contorno a due bellissime figure che, tenendosi a braccetto, si stiracchiavano davanti a uno specchio, come se avessero ballato ininterrottamente per tre giorni e tre notti. Tu Tian aveva rafforzato il servizio di sorveglianza intorno alla villa e, dopo aver visto Chen, rosso di collera, sparire nelle stanze degli ospiti al primo piano, stava per andare nel suo ufficio quando si era imbattuto in Yoyo. La ragazza aveva gli occhi gonfi di pianto e, non appena lo aveva visto, si era messa ad agitare le mani, come a indicargli che non era il momento di fare domande. Nel momento in cui si apprestava a salire la scalinata esterna, Yoyo vide che il padre si stava dirigendo rapidamente in bagno, cosa che basto a farle cambiare direzione e optare per il giardino, dal quale stava rientrando Jericho. Che d’un tratto si sent del tutto fuori posto. Il maggiordomo di Tu Tian lo vide e si diede subito da fare per soddisfare ogni sua richiesta. Jericho rifiuto un bagno caldo alla lavanda e un massaggio thailandese, ordino del te e provo un inaspettato desiderio di mangiare quei biscotti che Joanna gli aveva portato ore prima, per poi mangiarli sotto il suo naso. Il maggiordomo si offr di servirglieli in salone. Lui accetto, cammino un paio di volte in tondo e dovette constatare che, oltre a sentirsi a disagio,
stava pure per essere risucchiato dalle sabbie mobili dell’impotenza. Dopo aver passato la mattina in una centrifuga, gli sembrava che il mondo lo stesse masticando lentamente per poi sputarlo in un angolo. Doveva succedere qualcosa. E infatti successe. «Jericho? Sono Diane.» Fu investito da un’ondata di eccitazione, estrasse il cellulare e disse d’un fiato: «S, Diane? Cosa c’e?» «Ho trovato qualcosa nei filmati che t’interessera vedere. Una filigrana. C’e un film nel film.» Oh, Diane, penso Jericho. Potrei baciarti. Se tu fossi bella la meta della tua voce potrei perfino sposarti, ma sei un dannato computer. Non importa. Fammi felice. «Aspetta», rispose, come se temesse che il computer potesse ripensarci e andarsene. «Sto arrivando!» A Yoyo sarebbe piaciuto credere che il peggio fosse passato, ma in realta si sentiva come se tutto gravasse ancora su di lei, con un peso triplicato rispetto a prima. Avevano discusso per oltre un’ora, Hongbng aveva urlato e si era infuriato e lei aveva pianto a dirotto. Adesso aveva gli occhi gonfi e doloranti, come se per tutta la vita non avesse visto altro che miseria e sofferenza. Si sentiva in colpa per tutto, per il massacro nell’acciaieria, per la distruzione dell’appartamento, per la disperazione del padre e per il fatto che lui la amava. Quest’ultimo pensiero aveva appena preso forma che gia stava stringendo sinistre alleanze con ogni possibile forma di autocommiserazione, facendo nascere in lei un nuovo senso di colpa: forse era stata ingiusta col padre. Ma certo che lui la amava, come poteva essere altrimenti? Forse l’unica spiegazione era che lei stessa non meritava di essere amata e quindi lui aveva smesso di volerle bene. Quindi di cosa si lamentava? Era colpa sua se la maschera del padre non si era semplicemente sciolta ma era esplosa. Aveva deluso tutti. Per un po’ si aggiro nell’atelier di Joanna, osservando la bellissima moglie di Tian intenta a donare una lucentezza febbrile agli occhi esausti di due ragazze, un ultimo lampo di energia prima del sonno. Aveva riempito un’enorme tela di due metri e mezzo per quattro coi colori della spensieratezza: le figure ritratte sembravano due pesciolini che nuotavano nelle acque basse della gioventu, preoccupati solo di arrivare alla festa successiva senza morire di noia nel frattempo. Quando Yoyo si rese conto che le uniche stragi presenti nella vita delle due ragazze probabilmente erano quelle dei cuori dei coetanei, le scese qualche altra lacrima. No, forse era ingiusta anche nei confronti di quelle due giovani donne. Era forse meglio di loro? Negli anni passati non si era fatta mancare nessun eccesso. Conosceva bene la sensazione che si provava quando la propria vita diventava come il puntino rosso di uno stop-
pino acceso, che rimpicciolisce fino a consumarsi. Aveva continuato a cantare, ballare, fumare e scopare nonostante la tristezza di Hongbng, senza mai abbandonare nemmeno una volta quel piacevole sguardo vacuo, lo stesso delle principesse della notte ritratte sulla tela di Joanna. E, ogni volta, il suo ultimo pensiero era stato che tutti quegli eccessi non valevano una sera passata a casa, ad ascoltare quello che il padre avrebbe avuto da raccontarle. Ma Hongbng non raccontava mai niente. Con slancio, Joanna disegno le ciglia, le sottolineo col mascara e aggiunse un leggero trucco su palpebre e zigomi. Yoyo la guardava, malinconica. Le piaceva la civetteria di quella donna, il modo in cui viveva tutto con leggerezza. Ogni volta che i suoi amici andavano a trovarla per spettegolare, sorseggiando champagne, Joanna spiegava loro che non si poteva capire sino in fondo come ci si divertiva in Cina. Dopotutto si trattava di un Paese gigantesco e quindi era impossibile descrivere la mancanza di contenuti servendosi di un formato ridotto. Era una frase graziosamente incomprensibile, spiritosa e creata ad arte per celebrare la bellezza del futile e la futilita della bellezza. Joanna vendeva ai suoi ammiratori qualcosa che loro potessero ammirare, e occultava il fatto che le persone intorno a se non erano altro che specchi in cui lei si rifletteva. «Non dimenticate che c’e un po’ di me in ogni immagine»», diceva, sfoggiando il suo piu affascinante sorriso. «In ogni immagine. Anche nella vostra. » Yoyo la invidiava. Invidiava l’egoismo dal quale Joanna si faceva guidare e che non le procurava mai lividi. Invidiava la sua capacita di non avere interessi e di rivelarlo con noncuranza. Lei invece s’interessava a tutto. Poteva andar bene anche cos? Certo, i Guardiani erano riusciti a ottenere qualcosa. Grazie alle pressioni che avevano esercitato, alcuni giornalisti arrestati erano stati liberati, vari funzionari corrotti erano stati rimossi dai loro incarichi e certi scandali ambientali erano stati smascherati. Mentre Joanna si faceva la manicure, Yoyo si sporcava le mani, rivendicando il diritto della Cina a una propria cultura dell’intrattenimento e guadagnandosi la nomea di nazionalista. Andava bene cos. Era una nazionalista liberale che predicava la cultura dell’intrattenimento e che s’irritava di fronte all’ingiustizia. Fantastico. Cos’altro poteva essere? Avrebbe sicuramente trovato un’alternativa. Le bastava tener fede alla promessa che aveva fatto a se stessa: essere chiunque, pero mai Chen Yuyun. Joanna usava i colori ed era semplicemente Joanna. Egocentrica, spensierata e ricca. Era tutto quello che Yoyo detestava nel profondo del cuore e, nel contempo, tutto quello che desiderava ardentemente. Una persona forte, una persona che non si faceva da parte perche non era mai stata abituata a farlo. Pianse di nuovo. Dopo un po’, fin la riserva di lacrime. Joanna immerse i pennelli nella trementina. Attraverso il vetro del tetto a pagoda s’intravedeva il cielo che si preparava alla sera, sfiorando
ogni tonalita esistente di grigio. «E allora? Com’e andata? Bene?» Yoyo tiro su col naso e scosse la testa. «Puo essere andata soltanto bene», riprese Joanna. «Avete urlato e tu hai pianto. È una buona cosa.» «Dici?» Joanna si giro verso di lei e sorrise. «È sicuramente meglio che mordersi la lingua e parlare col muro.» «Non avrei dovuto mentirgli cos», disse Yoyo con un colpo di tosse. «L’ho fatto soffrire. Avresti dovuto vederlo.» «Sciocchezze, tesoro. Non lo hai fatto soffrire, gli hai detto la verita.» «L’intenzione era quella, s.» «Ti comporti come se ogni parola pronunciata avesse suscitato chissa quale scandalo. Se dici la verita, stai facendo la cosa giusta. Il modo in cui la dici e un’altra faccenda, ma per questo ci sono gli psicologi. Non puoi fare nient’altro per aiutare tuo padre a ingoiare il rospo.» «Onestamente, non so proprio cosa devo fare.» «Te lo dico io.» Joanna distese le dita sottili. «Concediti un bel bagno, sfogati tirando qualche pugno al sacco, vai a fare shopping. Spendi. Spendi molto.» Yoyo scrollo le spalle. «Io non sono te, Joanna.» «Non ti sto mica dicendo di comprare una Rolls-Royce! Voglio che tu capisca il principio di causa ed effetto. La verita e una cosa buona, soprattutto quand’e piacevole; se non lo e, rafforza le difese di chi la ascolta.» «Ha rafforzato le difese anche di Jericho?» Joanna prese un grosso pennello, lo mise controluce e apr le setole a ventaglio. «Tian mi ha detto che siete stati insieme, prima che tu sposassi lui», aggiunse rapidamente Yoyo. «S, siamo stati insieme.» «Okay. Possiamo cambiare argomento.» «No.» Poso il pennello e le rivolse un sorriso smagliante. «Siamo stati bene insieme.» «E allora perche vi siete lasciati? Jericho mi sembra molto carino. » Strano che dicesse cos. Pensava davvero che Owen Jericho fosse molto carino? Finora aveva avuto modo di conoscerlo solo in situazioni in cui c’erano armi da fuoco, morti e feriti. D’altro canto, pero, lui le aveva salvato la vita. Cio bastava a definirlo «molto carino»? «Tesoro mio, la vita di coppia e un contratto che si puo rescindere in qualunque momento», disse Joanna, prendendo un altro pennello. «Senza termini o scadenze. Non ab-
bandoni il tetto coniugale a fine trimestre. Quando non funziona piu, te ne vai e basta.» «E cosa non ha funzionato?» «Tutto. L’uomo che e venuto con me a Shanghai non aveva piu niente a che fare con quello che avevo conosciuto a Londra. » «Sei stata a Londra?» «È una specie d’intervista?» Joanna alzo le sopracciglia. «Perche, in tal caso, voglio firmare una liberatoria.» «No, m’interessa davvero. Be’, insomma, non ci conosciamo da molto, vero? Anche se e gia da un po’ che tu e Tian... Da quanti anni siete insieme?» «Quattro.» «Giusto, e in tutti questi anni non abbiamo mai avuto l’opportunita di chiacchierare un po’.» «Da donna a donna, intendi?» «No, quelle sono sciocchezze. Voglio dire che conosco Tian da una vita, ma di te...» «Di me non sai niente.» Joanna fece una piccola smorfia canzonatoria. «E ora ti preoccupi del buon Tian perche non riesci a immaginarti cosa voglia una donna bella e viziata da un vecchio coglione calvo, sciatto e in sovrappeso, che ha soldi a palate, ma ripara le stanghette degli occhiali con lo scotch e non si sa vestire. » «Non ho detto questo», replico Yoyo, stizzita. «Pero l’hai pensato. E l’ha pensato anche Jericho. Bene, ti racconto tutta la storia: e una lezione sull’economia dell’amore. Inizia a Londra, dove mi sono trasferita nel 2017 per studiare letteratura inglese, arte e pittura occidentale. Una scelta che si fa o perche si e completamente pazzi e idealisti oppure perche si e ricchi di famiglia. Mio padre era Pan Zemn...» «Il ministro dell’Ambiente?» «Il viceministro.» «Ehi!» urlo Yoyo. «Noi abbiamo sempre ammirato tuo padre! » «Gli avrebbe fatto piacere saperlo.» «Ha affrontato tutta una serie di problemi.» La voce di Yoyo si riemp di entusiasmo. «Era incredibilmente coraggioso. E il suo impegno per investire nelle ricerche sull’energia solare...» «S, un impegno assai proficuo per la collettivita», la interruppe Joanna. «Anche trascurando il dettaglio che una delle societa che hanno promosso l’apertura verso quelle nuove fonti appartenesse proprio a lui. Prima ho detto pazzo, idealista o ricco di famiglia. A quell’epoca, la comunita cinese a Londra si era sviluppata intorno a Gerrard Street. C’erano molti bei locali, a Soho, frequentati da cinesi ed europei. È in uno di quei locali che ho conosciuto Jericho. Era il 2019 e lui mi piaceva, mi piaceva molto.»
«S, e un bell’uomo.» «Be’, diciamo abbastanza bello. Ma a colpirmi, di lui, non e stato tanto il suo aspetto quanto il fatto che non avesse paura di me. Purtroppo tutti hanno paura di me, eppure io adoro i perdenti... Sono squisiti, a cena.» Rise maliziosamente e pul un altro pennello con la trementina. «Ma Jericho sembrava deciso a non lasciarsi impressionare ne dal mio notevole fascino ne dalla mia indipendenza finanziaria ed era riuscito nell’impresa di non guardarmi le tette per ben due ore di fila. C’era qualcosa in lui che m’incuriosiva. Inoltre rispettava la mia intelligenza, e lo dimostrava, contraddicendomi. Era un detective informatico di New Scotland Yard, dove certo non ti ricoprono d’oro; tuttavia a me i soldi non interessavano. Se Jericho avesse dormito sotto il London Bridge, io mi sarei sdraiata accanto a lui.» S’interruppe. «O, meglio, prima avrei comprato il ponte e poi mi sarei sdraiata accanto a lui. Eravamo molto innamorati.» «Come mai non ha funzionato?» «Gia, come mai?» Joanna emise un piccolo, melodioso sospiro. «Nel 2020, mio padre ha avuto un ictus ed e stato cos gentile da non svegliarsi piu. Come eredita, ha lasciato un discreto patrimonio, una moglie paziente, che ha sopportato la sua dipartita in silenzio, proprio come aveva sopportato lui per tutta la vita, e tre figli, di cui io sono la maggiore. Mia madre era rimasta sola e la quota di eredita che mi sono inaspettatamente trovata fra le mani mi ha fatto riflettere: non sarebbe stato giusto tornare a Londra, per scaldare i banchi dell’universita. Quindi sono tornata a Shanghai. Prima, pero, ho chiesto a Jericho cosa ne pensasse dell’idea di trasferirsi e lui, senza pensarci su troppo, mi ha risposto: ’Va bene, facciamolo’. Una cosa piuttosto strana.» «Ma come! Era quello che volevi, no?» «Certo, ma lui non ha sollevato la minima obiezione. Dopotutto stavamo insieme solo da sei mesi. Ma e proprio questo il punto. Se gli uomini fanno cio che gli dici, hanno qualcosa da nascondere; se non lo fanno, si rendono ridicoli. Credo che l’abbia fatto perche mi amava molto, il che di per se e una buona cosa. E, finche mi avesse amato cos, avrebbe tradito solo se stesso, non me. Gia allora, pero, ho cominciato a chiedermi chi di noi due amasse di piu.» «E lui ti amava troppo.» «No, e che amava se stesso troppo poco. Me ne sono resa conto una volta arrivati a Shanghai. All’inizio andava tutto a meraviglia. Ha cominciato a conoscere la citta: Shanghai gli piaceva, ci era gia stato diverse volte per effettuare degli accertamenti: New Scotland Yard lo considerava una specie di sinologo. Inoltre Jericho non fatica a imparare le lingue come tutti gli altri... semplicemente le assorbe e le ritira fuori, in frasi ben formulate. Gli ho proposto di accettare un impiego presso il dipartimento di Shanghai contro il terrorismo informatico, perche in quell’ambiente lo conoscevano gia e lo stimavano...»
«La Cypol», sbuffo Yoyo. «S, i tuoi amici. Ci hanno dato un appartamento a Pudong, dove vivere per sempre felici e contenti. E l e cominciato tutto. Piccole cose. Quando parlava con me, il suo sguardo era sfuggente. Certo, vivevamo nel mio Paese, incontravamo la mia gente, tra cui politici e intellettuali e ognuno di loro mi rivolgeva le proprie attenzioni. Nel mio ambiente, la grandezza e il risultato dell’umiliazione degli altri, e le gambe di Jericho tremavano ogni giorno di piu. La sua fenomenale autoconsapevolezza si stava sciogliendo come neve al sole. Sembrava regredire, si comportava come un adolescente e, ogni tanto, mi chiedeva con voce tremante se lo amassi. Ero sbalordita. Era come chiedere a un luminoso cielo azzurro se il sole splende.» «Forse credeva che tu non lo amassi piu come prima.» «In realta era il contrario. I dubbi vengono solo agli scettici. Jericho non aveva nessun motivo per non fidarsi di me, anche se lui evidentemente la pensava in modo diverso. Aveva smesso di fidarsi di se stesso: ecco il vero problema. Ci si puo innamorare solo se ci si guarda negli occhi. Se il tuo uomo li abbassa, allora sei costretta a guardarlo dall’alto in basso.» «Era diventato geloso?» «Ah, la gelosia, la droga dei poveri. Nulla ti rende piu mediocre e brutto.» Joanna si avvicino a una scatoletta aperta, che conteneva una dozzina di tubetti. «S, lo era. Chissa quale insicurezza del passato si era impossessata di lui. Il nostro rapporto non era piu equilibrato. Io sono una persona positiva, sono capace di essere solo cos, e Jericho, accanto a me, scompariva a vista d’occhio, come una pianta che rifiuta l’acqua. Il mio ottimismo lo faceva inaridire. Dal suo punto di vista, quanto peggio lui si sentiva, tanto piu io mi godevo la vita. Assurdo. Io mi sono sempre goduta la vita, solo che prima lo facevo insieme con lui.» Prese un tubetto di rosso cinabro e mise un po’ di colore sulla tavolozza. «Quindi l’ho lasciato, in modo che potesse finalmente ritrovare se stesso.» «Molto altruista», commento Yoyo in tono ironico. «So cosa stai pensando, ma ti sbagli. Potevo invecchiare al suo fianco, ma Jericho aveva smesso di crederci. Il mondo e un’illusione... tutto e un’illusione, anche l’amore. Quando smetti di crederci, svanisce. Quando smetti di provare sentimenti, il sole diventa un sasso spento e i fiori si trasformano in sterpaglia.» Yoyo avanzo verso uno sgabello e vi si sedette. «Sai una cosa? » disse. «Mi fa pena.» «Chi?» «Be’, Jericho!» Joanna scosse la testa. «Mi sarei aspettata da te un maggior rispetto nei suoi confronti. Jericho ha talento, e intelligente e affascinante, oltre a essere un bell’uomo. Le sue possibilita sono illimitate. Tutti sanno che le cose stanno cos. Tutti tranne lui.»
«Una volta lo sapeva anche lui. Quand’eravate a Londra.» «S, perche allora, preso dall’entusiasmo per la nostra storia, per un po’ si era dimenticato di essere quell’infelice piccolo borghese che e in realta.» Yoyo la fisso. «Sei davvero senza cuore o ti piace recitare questo ruolo?» «Sono schietta e felice di non essere sdolcinata. Cosa ti aspettavi di sentire? Se vuoi del sentimentalismo, vai al cinema.» «Okay. Poi cos’e successo?» «Ovviamente se n’e andato subito. Mi sono offerta di dargli una mano, pero non ha voluto. Dopo pochi mesi si e licenziato, e soltanto perche quel lavoro gliel’avevo procurato io.» «Perche non e tornato in Inghilterra?» «Questo devi chiederlo a lui.» «Non ne avete mai parlato?» «Certo, ci siamo sempre tenuti in contatto. Il silenzio e durato solo qualche settimana e, in quel periodo, mi sono innamorata di Tian, che avevo conosciuto a una festa. Quando Jericho ha saputo che stavamo insieme, gli e crollato il mondo addosso.» Fisso Yoyo. «Non m’importa quanti anni abbia un uomo, se sia grasso o calvo. Niente di tutto cio e importante. Tian e sincero, onesto e diretto, e lo sa il cielo quanto lo apprezzo. È un combattente, una roccia. Arguto, colto, liberale...» «... e ricco», concluse Yoyo. «Sono ricca anch’io. Ovviamente trovavo straordinario il fatto che Tian fosse sempre alla ricerca di nuove sfide e che passasse da un successo all’altro. In realta, non faceva niente che non sapesse fare anche Jericho, ma la sua esistenza era caratterizzata da una fiducia quasi incrollabile. Lui si trova interessante, e questo lo rende tale anche agli occhi degli altri. Ecco perche lo amo.» Il racconto di Joanna stava cominciando ad avere un piacevole effetto calmante su Yoyo; le sembrava di poter improvvisamente tirare un sospiro di sollievo, dato che si trattava dei problemi di qualcun altro. A dire il vero, cio che la tranquillizzava era sapere che pure gli altri avevano dei problemi. Anche se avrebbero dovuto essere un tantino piu grandi per distoglierla da cio che era accaduto quella mattina. «E com’e andata avanti con Jericho?» volle sapere. Joanna prese un pennello appuntito e lo intinse nel colore sulla tavolozza. «Chiedilo a lui», le rispose. «Io ti ho raccontato la mia storia. Non sono la persona giusta per raccontarti la sua.» Yoyo avvert una punta d’insofferenza. L’improvvisa secchezza di Joanna non le piaceva. Voleva insistere, ma in quel momento Tu Tian entro nell’atelier. «Sei qui!» disse rivolgendosi a Yoyo, come se dovesse informare la ragazza stessa di dove si trovasse.
«Qualche novita?» chiese lei. «S, Jericho e stato molto diligente. Seguimi in ufficio: sembra che abbia trovato qualcosa.» Yoyo si alzo e guardo la donna. «Vieni anche tu?» Joanna sorrise. Dalla punta del pennello colavano gocce rosse che parevano di un sangue nobile e antico. «No. Io farei solo domande stupide.» Alle sette e venti di sera, Tu Tian, Jericho e Yoyo s’immersero nella bellezza delle montagne svizzere. Sulla parete multimediale scorrevano le immagini di un film in 3D. Una navicella decollava da una pittoresca cittadina e, sorvolando gole e boschi di conifere, si dirigeva verso un meraviglioso pascolo di alta montagna. Poi comparve un edificio basso ed elegante. Il commentatore spagnolo ne decanto le lodi, sostenendo che si trattava di uno dei primi hotel di design sulle Alpi. Ne elogio le stanze per il comfort e la cucina per i suoi ottimi canederli. Quindi l’inquadratura fu occupata da un gruppo di escursionisti che attraversavano un prato. Alcune mucche si avvicinarono, curiose. Una donna attraente non apprezzo il loro interesse e si allontano, camminando sempre piu velocemente per poi mettersi a correre verso valle, dove due asini smorti e stanchi trotterellarono fuori dalla loro stalla e la spinsero di nuovo verso le mucche. Qualche escursionista rise. La scena successiva mostrava un contadino che stava prendendo una mucca a calci nel sedere. «Quassu ci s’imbatte ancora talvolta in usanze rozze e primitive», chiar il commentatore spagnolo, col tono di un etologo che ha appena scoperto che gli scimpanze non sono poi cos intelligenti. «Forte», esclamo Yoyo. Ne lei ne Tu Tian capivano lo spagnolo, ma la cosa non aveva importanza. Jericho lascio che il filmato terminasse, attendendo con ansia il suo grande momento. «Non c’e bisogno che vi spieghi come si monta un filmato del genere», esord. «E conoscete la filigrana, quindi...» «Scusate», disse qualcuno dalla porta. Si voltarono. Era Chen Hongbng. Rimase fermo per un attimo, poi mosse un passo incerto verso di loro e s’irrigid. «Non era mia intenzione disturbarvi. Volevo solo...» «Hongbng!» Tu Tian si affretto a raggiungere l’amico e gli passo un braccio intorno alle spalle. «Mi fa piacere che tu sia qui.» «Grazie.» Hongbng si schiar la gola. «Ho pensato che dovremmo fargliela pagare. Non tanto per me, quanto per...» Si avvicino a Yoyo, la osservo e poi si allontano di nuovo, si guardo intorno, poi si gratto il mento, titubante. Yoyo lo fissava, irritata. «Be’, io purtroppo non lo so», disse. «Cosa, scusi?» chiese Jericho con prudenza.
Chen indico il filmato. «Il montaggio. Come viene montato un filmato come questo. Che cos’e una... filigrana.» Tossicchio. «Ma non voglio farvi perdere tempo, non preoccupatevi. Volevo solo essere qui.» «Non ci fai perdere tempo, papa», mormoro Yoyo. Chen alzo la testa, diede una serie di colpetti di tosse e borbotto qualcosa d’incomprensibile. Prese la mano di Yoyo, la strinse velocemente, poi la lascio andare. Gli occhi della ragazza s’illuminarono. «Nessun problema, onorevole Chen», disse Jericho. «Le hanno spiegato qual e la situazione?» «Chen. Mi chiami semplicemente Chen, la prego. S, a grandi linee.» «Bene, fino a poco fa non avevamo granche. Solo l’ipotesi che il filmato potesse nascondere qualcosa.» Penso a come rendere la cosa comprensibile per Chen. L’uomo era del tutto a digiuno di tecnologia. «Vede, funziona cos: ogni flusso di dati e composto da un pacchetto di dati. Immagini uno sciame di api, milioni di api di diverso colore che si dispongono in modi sempre diversi in modo da creare, davanti ai suoi occhi, immagini in movimento. E ora pensi che alcune di queste api siano codificate, una cosa che il semplice osservatore non puo notare. Tuttavia, se un osservatore e in possesso di uno speciale algoritmo... » «Di un algoritmo?» «Una maschera, una tecnica di decodifica. In tal modo, esclude tutte le api non codificate e gli rimangono solo quelle codificate. D’un tratto, si rende conto che pure loro rappresentano qualcosa... vede un’immagine nell’immagine. Tutto cio viene chiamato ’filigrana elettronica’. Il procedimento non e nuovo. All’inizio del secolo, quando l’industria dell’intrattenimento ha dichiarato guerra alla pirateria, film e canzoni hanno cominciato a essere codificati in questo modo. Bastava cambiare una piccola cosa, un dettaglio nello spettro di frequenza di una canzone; l’orecchio umano non percepiva la differenza, ma il computer era in grado di rintracciare la provenienza del CD.» Fece una pausa. «Oggi invece le cose sono un po’ diverse: una volta, Internet utilizzava flussi di dati in due dimensioni, mentre l’Internet attuale e strutturato per contenuti tridimensionali. Si deve pensare a questi flussi di dati come a cubi che offrono moltissime nuove possibilita per l’introduzione di filigrane complesse. D’altro canto, pero, anche la loro codifica e proporzionalmente piu complessa.» «E voi avete decodificato una di queste filigrane?» chiese Chen in tono ammirato. «S, nel senso che Diane, cioe il mio computer... ha trovato un modo per renderla visibile.» Nel frattempo, il gruppo di escursionisti aveva valorosamente terminato la scalata di un altopiano e una pecora si stava avvicinando alla stessa donna di prima. L’animale la osservava, immobile, cosa che le permise di girarci intorno standone alla larga.
«Non tenerci sulle spine», disse Yoyo. «Va bene.» Jericho rivolse di nuovo lo sguardo alla parete. «Diane, riavvia il filmato, decodificato e compresso. Massima ottimizzazione.» Il paesaggio scomparve. Al suo posto, ora scorrevano immagini di un viaggio in auto, filmato dall’interno dell’abitacolo. Il mezzo stava percorrendo una strada accidentata e, su entrambi i lati, si estendeva un terreno collinare con cespugli e qualche raro albero. Si scorgevano alcuni capanni isolati, perlopiu in pessime condizioni. Il cielo era gonfio di pioggia. Dove il terreno saliva e la vegetazione s’infoltiva, striature grigie annunciavano un acquazzone imminente. Piu avanti, sempre sulla strada, un camion sollevava una nuvola di polvere; nel cassone sedevano diverse persone di colore. La maggior parte indossava soltanto dei pantaloncini. Sembravano apatiche, almeno per quanto si potesse vedere attraverso la nube di polvere e a quella distanza. Poi l’obiettivo si sposto sull’autista, un uomo dai capelli biondo cenere con occhiali da sole, baffi e un mento sporgente. Chi teneva la videocamera disse qualcosa d’incomprensibile. Il biondo guardo in macchina, sogghignando. «Certo», disse in spagnolo. «Lunga vita al presidente.» Entrambi risero. L’immagine cambio. Lo stesso uomo, stavolta senza occhiali da sole, indossava una camicia color kaki e una giacca chiara e sedeva a un lungo tavolo, in compagnia di alcuni soldati. La videocamera strinse su di lui: sopracciglia e ciglia erano della stessa tonalita chiara dei capelli; uno degli occhi azzurri era immobile, forse un occhio di vetro. Poi la videocamera allargo l’inquadratura fino a includere la tavolata. Due cinesi in giacca e cravatta stavano presentando un grafico e sembrava si stessero rivolgendo a un tizio imponente, seduto a capotavola: un individuo nero come l’ebano, calvo e dal collo taurino. Era vestito di semplice fustagno, mentre le uniformi degli altri partecipanti, neri come lui, erano piu formali, con spalline in oro rosso e ogni sorta di onorificenze. Non c’erano comunque dubbi: lui era il capo. Il biondo, invece, sembrava avere un ruolo da osservatore. Anche quella conversazione si svolse in spagnolo. Il primo cinese lo parlava in modo scorrevole, anche se con un accento spaventoso. Sembrava che parlassero della costruzione di un impianto per la liquefazione del gas, cosa che registrava cenni di assenso da parte del capo. Di tanto in tanto, il cinese si rivolgeva nella sua lingua madre al collega perche gli passasse certi documenti. L’accento era quello di Pechino. La videocamera strinse nuovamente sul biondo, che stava seguendo la presentazione e prendeva appunti. Righe e sfocature guizzarono sulla parete multimediale: qualcuno stava cercando di mettere a fuoco la ripresa. Comparve una strada cittadina, piena di automobili. Dall’altra parte
della strada, qualcuno stava uscendo da un edificio a vetri, sulla cui facciata venivano proiettati messaggi pubblicitari olografici. L’obiettivo strinse sull’uomo, l’immagine rimase sfocata per un attimo, inquadrando volto e busto. Alto, ben rasato, capelli tinti di scuro: a prima vista, era difficile riconoscere in quella figura il biondo dei filmati precedenti. L’uomo diede un’occhiata in giro e s’incammino. La videocamera tremo ancora una volta, poi rimise a fuoco l’inquadratura: l’uomo adesso era seduto al sole, sfogliava una rivista e sorseggiava qualcosa da una tazza. Improvvisamente alzo lo sguardo e il filmato s’interruppe. «Questo e tutto», disse Jericho. Per un po’ regno il silenzio. Poi Yoyo mormoro: «Si tratta d’interessi cinesi in Africa, giusto? Il tema di quell’incontro era piuttosto chiaro, direi». «Puo essere. Ti e sembrato di riconoscere qualcuno?» Yoyo esito. «Quello col collo taurino l’ho gia visto.» «E i cinesi?» «Sembrano dirigenti di una multinazionale. Aspetta, di cosa si tratta? Di liquefazione del gas, giusto? Petrolieri, direi. Magari della Sinopec oppure della PetroChina.» «Pero non li conosci, vero?» «No.» Jericho fece scorrere lo sguardo da Yoyo a Chen. Gli sembro che Tu Tian volesse dire qualcosa, ma si limito a scuotere la testa. «Bene», riprese. «Anzitutto dovete sapere che non ho avuto molto tempo per analizzare il filmato, pero c’e qualcosa su cui riflettere. Secondo me, le registrazioni riguardano solo e soltanto il biondo. Per due volte lo vediamo in un contesto africano, dove sembra ricoprire una qualche posizione... pubblica; poi lo rivediamo completamente cambiato in una citta non meglio identificata. Si e tinto i capelli di nero e si e tagliato i baffi. Conclusioni? » «Due», rispose Yoyo. «O e in missione segreta oppure e dovuto sparire dalla circolazione.» «Molto bene. Chiediamoci poi...» «Jericho.» Tu Tian abbozzo un sorriso. «Non puoi semplicemente arrivare al punto?» L’altro alzo le mani in segno di scusa. «Ho chiesto a Diane di setacciare la rete in cerca di questo tizio e lei lo ha trovato.» Fece una pausa a effetto, infischiandosene d’irritare Tu Tian. «Il nostro amico si chiama Jan Kees Vogelaar.» «C’e uno Jan nel frammento di testo», disse Yoyo. «Gia. Abbiamo quindi due uomini legati in qualche modo agli avvenimenti dei giorni scorsi. Uno e Andre Donner, del quale in realta sappiamo solo che gestisce un ristorante africano a Berlino. E poi c’e Jan Kees Vogelaar, mercenario numero uno e consigliere della sicurezza personale di un certo Juan Alfonso Nguema Maye. Il nome vi dice qualcosa?»
«Maye...» gli fece eco Tu Tian. «Aspetta un attimo. Dove l’ho...» «L’hai visto sui giornali. Juan Maye e stato presidente della Guinea Equatoriale dal 2017 al 2024. Un vero accentratore.» Jericho fece un’altra pausa. «Almeno finche non hanno piazzato una bomba nel suo ufficio.» «Giusto», mormoro Tu Tian. «E, guarda un po’, cos avremmo il nostro ’rovesciamento’.» «S, potremmo ipotizzare che il nostro testo non si riferisca a un piano per far cadere il Partito comunista, ma a un rovesciamento avvenuto gia da tempo. Lo scorso luglio, per essere precisi. E col coinvolgimento del governo cinese!» Chen alzo la mano. «Dove si trova la Guinea Equatoriale?» «Nell’Africa occidentale», gli spiego Yoyo. «È un minuscolo Stato costiero, con un sacco di petrolio. E il tizio col collo taurino... » «... e Maye», confermo Jericho. «O, meglio, era Maye. La sua sete di potere non gli ha portato nulla di buono. Lo hanno fatto saltare in aria insieme con tutti i suoi fedelissimi. Tutti morti. Nel 2024 ne hanno parlato tutti i media.» «Lo ricordo. All’epoca, volevamo fare qualche ricerca sulla Guinea Equatoriale, quando ancora c’interessavamo di politica estera.» «E perche adesso non ve ne interessate piu?» Yoyo scrollo le spalle. «Cosa faresti se la sporcizia si ammassasse davanti alla porta di casa tua? Quando cammini per la strada, vedi ovunque braccianti dormire sul posto di lavoro e sai che l scopano, nascono e crepano. Vedi clandestini senza documenti, senza permessi di lavoro ne assicurazione sanitaria. La spazzatura di Quyu. Nel contempo, Reporter Senza Frontiere sostiene che in Cina oggi c’e piu liberta di espressione. So che puo sembrare cinico, ma arriva un momento in cui non te ne importa un fico secco dei problemi degli africani sfruttati.» Toccato da quelle parole, Chen abbasso lo sguardo. «Rimaniamo concentrati su Vogelaar», decise Tu Tian. «Cos’altro ci puoi dire di lui?» Jericho proietto una scheda sulla parete. «Ho fatto qualche ricerca, per quanto mi e stato possibile. Nato nel 1962 in Sudafrica da genitori immigrati dall’Olanda, assolve il servizio militare e frequenta l’universita presso l’Accademia militare. Nel 1983, all’eta di ventun anni, si arruola come sottufficiale nel famigerato Koevoet.» «Mai sentito», intervenne Yoyo. «Il Koevoet era un corpo paramilitare della polizia sudafricana per la lotta contro la SWAPO, un gruppo di guerriglieri che si batteva per l’indipendenza dell’Africa sudoccidentale, l’attuale Namibia. All’epoca, nonostante una risoluzione ONU, l’Unione Sudafricana rifiutava di mollare la presa sulla provincia e aveva appunto fondato il Koevoet... una parola che, in olandese, significa ’piede di porco’. Si trattava di un corpo piuttosto violento, formato princip-
almente da soldati delle tribu locali e indigeni. Soltanto gli ufficiali erano bianchi. Davano la caccia ai ribelli della SWAPO servendosi di blindati: hanno ucciso diverse migliaia di persone. Di loro si diceva che fossero torturatori e stupratori. Comunque: Vogelaar fa carriera, diventando ufficiale ma, alla fine degli anni ’80, decide di uscire dal gruppo. Cos viene congedato.» «Come sai tutto questo?» chiese Tu Tian, stupito. «Ho fatto qualche controllo. Volevo sapere con chi abbiamo a che fare e ho finito col trovare informazioni molto interessanti. Il Koevoet rappresenta una delle cause del problema dei mercenari in Sudafrica; dopotutto il corpo impiegava tremila uomini, rimasti senza lavoro dopo la fine dell’apartheid. La maggior parte di loro prestava servizio presso qualche societa mercenaria, e Vogelaar non faceva eccezione. Dopo lo scioglimento del Koevoet, alla fine degli anni ’80, il nostro uomo si dedica al traffico d’armi, lavora come consulente militare in diverse zone di crisi e, nel 1995, passa alla Executive Outcomes, una societa di sicurezza privata, che funge da bacino di raccolta per l’ex elite militare. Quando Vogelaar si arruola, la compagnia e gia leader a livello mondiale nell’ambito dell’attivita mercenaria, dopo che, per un certo periodo, si e accontentata di mischiarsi con l’ANC, l’African National Congress. A meta degli anni ’90 l’Executive Outcomes crea un’estesa rete di contatti, trasformandosi in un apparato costituito da militari, societa petrolifere e minerarie che svolge incarichi militari molto redditizi e si fa pagare volentieri dall’industria del petrolio. In Somalia, per esempio, porta a termine la guerra civile, servendo gli interessi dei gruppi petroliferi americani; in Sierra Leone, invece, riprende possesso delle miniere di diamanti cadute nelle mani dei ribelli. Vogelaar sfrutta l’occasione per stringere una serie di contatti eccellenti. Quattro anni dopo, si sposta alla Sandline International, erede dell’Executive Outcomes. Ma la Sandline fa parlare di se piu che altro per i suoi fallimenti, quindi cessa ogni attivita nel 2004. Alla fine, Vogelaar fonda una propria agenzia di sicurezza, la Mamba. Opera soprattutto in Nigeria e in Kenya, ed e proprio in quest’ultimo Paese che si perdono le sue tracce. A essere precisi, si perdono durante i disordini seguiti alle elezioni del 2007.» Jericho allargo le braccia. «O, meglio, diciamo che io le ho perse. Vogelaar ricompare nel 2017, a fianco di Maye e a capo del suo apparato di sicurezza.» «Un buco di dieci anni», constato Tu Tian. «Maye non e salito al potere con un colpo di Stato?» chiese Yoyo. «Vogelaar potrebbe averlo aiutato.» «Puo essere.» Tu Tian fece una smorfia. «L’Africa e i suoi regicidi... Coltelli nascosti in ogni angolo. A un certo punto, si perde la visione d’insieme. Mi stupisce come loro stessi riescano ancora a capirci qualcosa.» Chen si schiar la gola. «Potrei, ehm... aggiungere qualcosa?»
«Ma certo. Siamo tutt’orecchi.» «Be’, ecco...» Chen guardo Jericho. «Prima ha detto che tutti i fedelissimi di questo Maye sono morti durante il rovesciamento del governo, giusto?» «S.» «Sbaglio nel sostenere che lei ha usato il termine ’fedelissimi’ nel senso piu ampio? Indicando cioe il governo?» «Non sbaglia.» «Un colpo di Stato senza morti sarebbe un’eccezione.» Chen sembrava diventato freddo e analitico. «O, per meglio dire, dove ci sono armi, sono previsti anche danni collaterali. L’uccisione dell’intero governo tuttavia non puo essere propriamente definita un danno collaterale, giusto?» «Dove vuole arrivare?» «Credo che lo scopo del rovesciamento non fosse tanto far cadere il governo di Maye, quanto ucciderne i membri. Tutti. Questo era il piano fin dall’inizio, secondo me. Non si e trattato di un semplice colpo di Stato, ma di un omicidio di massa.» «Oh, papa», sospiro Yoyo. «Saresti stato un Guardiano fantastico. » «Hongbng ha ragione», disse subito Tu Tian, prima che l’osservazione di Yoyo andasse di traverso a Chen. «Dato che stiamo brancolando nel buio, dobbiamo prendere in considerazione anche la peggiore delle ipotesi. Il dragone si e nutrito. Il nostro Paese ha compiuto questa atrocita, o vi ha comunque preso parte.» Appoggio il doppio mento sulla mano destra. «D’altro canto, pero, quale motivo potrebbe avere Pechino per cancellare completamente una cleptocrazia dell’Africa occidentale?» Yoyo spalanco gli occhi, incredula. «Non li ritieni capaci di una cosa del genere? Ehi, che ti sta succedendo?» «Calmati, figliola. Io li credo capaci di qualunque cosa. Mi piacerebbe solo sapere perche.» «Come...» Chen agito una mano. «Come si chiama quel mercenario? » «Vogelaar. Jan Kees Vogelaar.» «Be’, lui doveva saperlo.» «Giusto, lui...» Si guardarono. E Jericho cap. Ma certo. Se Chen aveva ragione, le spiegazioni possibili erano soltanto due. La prima era che si fosse scatenata l’ira del popolo; una folla inferocita che linciava i suoi aguzzini non era di certo una novita, tuttavia, di solito, quel tipo di rivolta nasceva spontaneamente e si esprimeva con esecuzioni sommarie: i membri del governo venivano fatti a pezzi col machete
o arsi vivi o picchiati a morte. Nel poco tempo che aveva avuto a disposizione, Jericho non era riuscito a scoprire granche della situazione che regnava in quello Stato africano tormentato dalla crisi, tuttavia la caduta di Maye sembrava essere piu che altro il risultato di una serie di operazioni pianificate fin nei dettagli e condotte simultaneamente. Nel giro di poche ore, l’incubo era finito: tutti i membri della cerchia piu stretta del dittatore erano morti. L’obiettivo sembrava quello di mettere a tacere l’intero apparato. Maye e sei ministri erano stati fatti saltare in aria con un razzo comandato a distanza; altri dieci fra ministri e generali erano stati uccisi con armi da fuoco. Uno solo era sfuggito al massacro: Jan Kees Vogelaar. Perche? Aveva forse fatto il doppio gioco? Un colpo di Stato di quel livello era possibile solo con agganci all’interno. Il capo della sicurezza di Maye era un traditore? Ammesso che le cose stessero cos, allora... «... Andre Donner e un testimone», mormoro Jericho. «Come, scusa?» chiese Tu Tian. Jericho fisso il vuoto. ... eliminazione di Donner... «Vorresti rendere partecipi anche noi dei tuoi pensieri?» propose Yoyo. «L’eliminazione di Donner», rispose lui. «So che e azzardato estrapolare un senso dai pochi frammenti di testo che abbiamo, ma questa frase mi sembra inequivocabile. Non ho idea di chi sia Donner, ma supponiamo che conosca i veri retroscena del colpo di Stato. Sa chi tira i fili e allora...» ... continua un enorme... Un enorme cosa? Rischio? Rappresentava un enorme rischio il fatto che Donner, una volta sparito dalla circolazione, rivelasse cio che sapeva? ... lui almeno a conoscenza di... ... dichiarazione del rovesciamento governo cinese... «Allora?» lo incalzo Yoyo. «Supponiamo che Donner sappia che il governo cinese e coinvolto nel colpo di Stato e che conosca anche il motivo. Ha la possibilita di scappare. Certamente nella Guinea Equatoriale non si chiama Donner, fa parte di qualche... Fa parte del governo? S, e plausibile. Oppure e un militare di alto rango, un generale o qualcosa di simile, non importa. Chiunque sia, ha bisogno di una nuova identita. Quindi diventa Andre Donner. Se avessimo una sua fotografia da confrontare con quelle degli esponenti del governo, lo riconosceremmo di sicuro. Si trasferisce molto lontano, a Berlino, e si fa una nuova vita. Nuovi documenti... » «Apre un ristorante», continuo Tu Tian. «E viene rintracciato. » «S. Vogelaar ha il compito di coordinare l’eliminazione simultanea di tutto il clan di Maye. Uno dei membri pero gli sfugge, qualcuno che puo rovinare tutto. Pensate alla spesa che
stanno sostenendo per far fuori Yoyo solo perche lei ha intercettato un messaggio criptato. I mandanti di Vogelaar sono preoccupati: finche Donner e vivo, c’e il rischio che decida di mandare tutto all’aria.» «Per esempio spifferando che e stato un governo straniero a provocare il rovesciamento.» «Non sarebbe una novita», ribatte Jericho. «Nel 1962, per esempio, la CIA e stata coinvolta nel tentativo di colpo di Stato a Cuba. Nei primi anni ’70, in quello in Cile. Nessuno dubita del fatto che Washington abbia avuto un ruolo nell’attentato a Kim Jong-un, avvenuto in Corea del Nord nel 2018. D’altronde, si mormora che la Cina abbia partecipato al golpe del 2015 in Arabia Saudita. Quindi perche non avrebbe potuto fare lo stesso in Africa occidentale?» «Capisco. E ora Vogelaar e arrivato a Berlino per mettere a tacere Donner, dopo averlo miracolosamente ritrovato.» Tu Tian si gratto la nuca. «In effetti, e molto strano.» «Ma possibile.» Chen diede un colpetto di tosse. «Per quanto mi riguarda, questa versione mi convince.» «Visto?» bisbiglio Yoyo. «Visto cosa?» chiese Jericho. «Cosa, secondo te?» replico, stizzita. «È come ho detto io. È il governo, e col Partito che abbiamo a che fare!» «S», disse lui, stancamente. «Sembra proprio di s.» Yoyo nascose il volto tra le mani. «Dobbiamo scoprire qualcosa di piu su questo Paese, su Vogelaar e su Donner. Quante piu notizie abbiamo, tanto meglio possiamo difenderci. Altrimenti possiamo anche fare le valigie.» Tu Tian si osservo le unghie delle mani, si giro e si rivolse a Yoyo. «Buona idea», disse. Yoyo sollevo la testa. «Quale?» «Fare le valigie. Lasciare il Paese. Buona idea. È proprio quello che faremo.» «Credo di non aver afferrato il concetto.» «È cos difficile? Andiamo a cercare questo Donner. È in pericolo di vita. Lo metteremo in guardia e lui, per ringraziarci, ci dira quello che vogliamo sapere.» «Tu vuoi...» Jericho credette di non aver compreso. «Tian, quest’uomo vive a Berlino. In Germania!» «E poi non e detto che ci lascino uscire dal Paese», borbotto Yoyo. «Una cosa alla volta.» Tu Tian alzo le mani. «Le vostre preoccupazioni vi tolgono ossigeno. Non voglio mica farvi attraversare il confine clandestinamente in groppa a un mulo. Pensateci: oggi la polizia e stata in questa casa e ci ha interrogato. Credete davvero che, se avesse voluto trattenerci, adesso saremmo seduti qui a chiacchierare? No, ufficialmente faremo un breve viaggio di piacere. Col mio jet privato, se mi concedete l’onore della vostra
compagnia.» «E quando vorresti partire?» «Dopo mezzanotte.» Jericho fisso prima lui, poi Yoyo, poi Chen. «Non dovremmo forse...» «Purtroppo prima di quell’ora non si puo fare», mormoro Tu Tian. «Tra un’ora ho una cena che, con tutta la mia buona volonta, non posso proprio rimandare.» «Non dovremmo prima telefonare a Donner? Come sai che e ancora a Berlino? Magari e in viaggio o se l’e svignata.» «Vuoi avvisarlo per telefono?» «Dico solo che...» «Pessima idea, Jericho. Se ti credera, lo avremo perso. Sara sparito prima ancora che tu prenda fiato per fargli la prima domanda. E cosa faresti, allora? Scalderesti il mio divano?» «Dobbiamo andare a Berlino?» gracchio Hongbng. «Nel bel mezzo della notte?» «A bordo ci sono dei letti.» «Ma...» «A ogni modo, tu non vieni con noi. Di questa faccenda se ne occupa la squadra d’intervento rapido: Jericho, Yoyo e io.» «Perche non posso venire?» chiese Chen, improvvisamente indignato. «Sarebbe troppo faticoso. No, non ammetto repliche. Una squadra piccola e agile e quello che ci vuole. Nell’attesa, Joanna ti fara nuotare nel te e ti massaggera i piedi.» Jericho immagino Tu Tian impegnato nel tentativo di essere agile. «E se non troviamo Donner?» volle sapere. «Lo aspettiamo.» «E se non arriva?» «Torniamo indietro.» «E chi guida il jet?» chiese ancora, colto da un brutto presentimento. Tu Tian inarco le sopracciglia. «Che domande! Lo guido io. Chi altri?» A qualche chilometro di distanza e a diversi metri di altezza, Kenny Xn ammirava la notte che scendeva sulla citta. Quando finalmente il traffico aveva costretto quel maledetto camion a viaggiare a passo d’uomo, lui era saltato giu dal cassone e aveva preso la metropolitana fino a Pudong, dato che, pur avendo cercato in lungo e in largo, non aveva trovato nessuna COD libera. Da l, aveva percorso a passo svelto le ultime centinaia di metri fino alla Jn Mao Dasha, aveva attraversato l’ingresso come un razzo e aveva subito cercato di soddisfare la voglia di dolce che lo aveva assalito. Nel foyer, c’era una boutique del cioccolato che vendeva praline a un prezzo degno di un ricercato negozio di bigiotteria. Ne compro un sacchetto che divoro per
meta durante il tragitto fino alla sua stanza. Si era convinto che la cioccolata lo aiutasse a pensare. Arrivato nella sua suite, si tolse i vestiti, corse nell’enorme stanza da bagno in marmo, apr la doccia e si strofino la pelle fino a sanguinare, cercando di lavare via la sporcizia di Xaxus e le macchie della sua sconfitta. Yoyo gli era sfuggita di nuovo e stavolta lui non aveva la minima idea di dove si fosse nascosta. Telefono a casa di Jericho, ma gli rispose la segreteria telefonica. Spinto da un’ondata di odio, Kenny prese in considerazione l’idea di far saltare in aria l’appartamento del detective, ma la abbandono subito. La situazione in cui si trovava non gli permetteva di dare sfogo alla sua sete di vendetta, non da ultimo perche, dopo il disastro a Hongkouqu, non aveva piu armi adatte a disposizione. Inoltre - doveva ammetterlo - non c’era una vera e propria ragione per punire qualcuno che aveva semplicemente fatto ricorso al diritto di difesa. Pulito, avvolto in un bozzolo di spugna e piacevolmente lontano dalla citta, cerco di riordinare i pensieri che gli ronzavano in testa. Inizio a raccogliere i vestiti che aveva lasciato in giro e li infilo nel sacco della lavanderia. Poi lancio un’occhiata al sacchetto di praline. Era abituato a consumare ogni cibo secondo uno schema ben preciso, che prevedeva di mantenere il piu a lungo possibile la simmetria della pietanza; quando vide quello che aveva combinato, rabbrivid. Di solito mangiava dall’esterno verso l’interno; in tal modo non veniva consumato niente piu del dovuto e il rapporto tra le componenti del piatto rimaneva inalterato. Ora meta del sacchetto era completamente vuota. Inconcepibile. Eppure era stato proprio lui a farlo. Si era avventato sulle praline come un animale, come una di quelle creature selvagge di Quyu. Si lascio cadere su un’ampia poltrona davanti alla parete di vetro e osservo il crepuscolo inghiottire Shanghai. La citta era punteggiata di luci cangianti che, nonostante il maltempo, offrivano uno spettacolo meraviglioso. Tuttavia Kenny vedeva soltanto il tradimento dei suoi principi estetici. Jericho, Yoyo, Yoyo, Jericho. Gli errori nel sacchetto dovevano essere corretti. Dov’era Yoyo? Dov’era il detective? Chi guidava l’aeromobile argentato? Il sacchetto, il sacchetto. Se non avesse subito sistemato le praline, sarebbe andato alla deriva, dritto verso la pazzia. Comincio a smistare i cioccolatini rimasti, ricominciando ogni volta da capo, finche non realizzo una specie di asse trasversale, un elemento stabile, che creava ordine dividendo i dolci in due meta speculari. Si sent meglio e pote tirare le somme. Continuare a inseguire Yoyo e Jericho ormai non aveva senso. Nel giro di pochi giorni, sarebbe comunque finito tutto, e allora se ne poteva parlare. Per il momento, tuttavia, quei due non erano piu importanti. L’operazione aveva priorita su tutto. C’era soltanto una cosa che poteva mettere in pericolo il piano. Kenny si chiese quali conclusioni avesse tratto Jericho dal frammento di quel messaggio che lui stesso, Kenny Xn, aveva spedito ai capi di Hydra dopo aver rintracciato il ristorante di Berlino di un certo Andre Donner e averne raccomandato
la tempestiva eliminazione. Sfortunatamente aveva allegato alla mail un programma di decodifica modificato, una versione migliore e piu veloce. Le chiavi venivano sostituite ogni due mesi circa. Che Yoyo avesse intercettato proprio quell’e-mail era stata un’enorme sfortuna. Ma era inutile piangere sul latte versato. Andre Donner. Bel nome, bel tentativo. Compose un numero sul cellulare. «Hydra», disse. «Ha risolto il problema?» Come sempre, la conversazione veniva criptata. Kenny riassunse quello che era successo. Il suo interlocutore rimase in silenzio per un po’, quindi sbotto: «Ha combinato un bel casino, Kenny. Niente di cui possa andare fiero». «Propongo d’impicciarsi degli affari suoi», replico lui, seccato. «Se avesse usato un algoritmo piu sicuro, adesso non saremmo in questa situazione.» «L’algoritmo e sicuro. E comunque non e di questo che stiamo parlando.» «Decido io cio di cui vale la pena parlare.» «Si sta prendendo un po’ troppe liberta.» «Ah, s?» Kenny rise. «Lei e il mio contatto, lo ha gia dimenticato? È poco piu di un dittafono. Se voglio sentire dei rapporti, chiamo lei.» L’altro si schiar la voce, indignato. «Quindi? Cosa propone? » «Quello che ho gia proposto. Il nostro amico di Berlino deve sparire. Qualsiasi altra mossa sarebbe irresponsabile. Dopotutto l’indirizzo del ristorante e scritto in quella dannata e-mail. Se a Owen Jericho viene l’idea di mettersi in contatto con lui, allora abbiamo davvero un problema.» «Vuole andare a Berlino?» «Il prima possibile. Di questo voglio occuparmi personalmente. » «Aspetti.» La linea cadde per un attimo. Poi la voce disse: «Le prenotiamo il volo notturno». «E cosa mi dice dei rinforzi in loco?» «Il nostro uomo e gia in viaggio. Lo specialista, come ha richiesto. Stavolta abbia piu cura del personale e delle attrezzature.» Kenny increspo le labbra con disprezzo. «Non si preoccupi.» «Io no, in fondo sono solo un dittafono», rispose la voce, gelida. «Ma lui si preoccupa, e molto. Quindi porti a termine il suo compito.» CALGARY, ALBERTA, CANADA Il 21 aprile, Sid Bruford si reco con due amici a Calgary per partecipare alla manifestazione durante la quale l’EMCO avrebbe delineato un futuro che in realta non esisteva piu. Nessuno si faceva illusioni: Gerald Palstein avrebbe annunciato che l’attivita estrattiva delle
sabbie bituminose nell’Alberta era giunta al capolinea. Adesso tutti si aspettavano un piano di risanamento oppure di consolidamento o perlomeno un progetto per la tutela sociale. I tre erano andati l confidando proprio in quello. Ma anche perche, in qualche modo, era doveroso assistere alla propria sepoltura. Il parco quadrato davanti alla sede della societa, che ospitava la manifestazione, si stava lentamente riempiendo di gente. Come a volersi prendere gioco della difficile situazione, un sole paglierino splendeva sullo sfondo di un cielo azzurro acciaio, contribuendo a creare un clima di rinascita e fiducia. Per nulla intenzionato ad abbandonarsi al clima di amarezza generale, Bruford aveva deciso di trarre il meglio dalla situazione. Aveva gia deciso i passi di quella danza macabra: trasformare il fatalismo in fiducia in se stessi, rifornirsi della quantita necessaria di birra e stare alla larga dalle risse. Nelle ultime file, dove l’aria era meno pesante, i tre amici parlarono per un po’ di baseball, poi Bruford inizio a filmare la piazza col cellulare, per immortalare l’atmosfera che li circondava. D’un tratto, due belle ragazze poco vestite comparvero nell’inquadratura, lo notarono e cominciarono a mettersi in posa ridacchiando. Dietro di loro si stagliava un complesso di edifici vuoti, la sede di una societa di tecnologia per la trivellazione andata in fallimento... almeno cos gli sembrava di ricordare. Alle ragazze lui piaceva, quello era sicuro come la chiusura dell’Imperial Oil: doveva ringraziare i suoi bei lineamenti, vagamente italiani, e il suo fisico scultoreo, che lo spingeva a indossare pantaloncini e T-shirt aderenti anche a bassissime temperature. Tenne l’obiettivo puntato su di loro e sorrise. Le due ragazze assunsero un atteggiamento civettuolo. Dopo qualche minuto, Bruford torno dagli amici ma, quando si volto di nuovo, si rese conto che adesso erano le due ragazze a filmare lui. Lusingato, comincio a fare lo stupido, rivolgendo loro qualche smorfia e gironzolando tutto impettito finche pure i suoi amici non decisero di partecipare al gioco. Nessuno di loro si comportava in modo particolarmente maturo: non sembravano davvero individui cui era appena franata la terra sotto i piedi. Fra una risata e l’altra, le ragazze si misero a recitare scene in stile hollywoodiano, e i tre uomini a cercare d’indovinare da quale film fossero tratte. Poi le donne urlavano le soluzioni, divertendosi come pazze. La giornata si stava rivelando ben piu promettente di quanto Bruford avesse sperato e, come succedeva tutte le volte che interrogava la sua immagine riflessa nello specchio, lui si ripete per l’ennesima volta che il suo posto era nell’industria cinematografica e non a Cold Lake. Pero, chissa, forse un giorno sarebbe stato riconoscente all’EMCO. L’umore di Bruford si stava lanciando nel sole di aprile, come Icaro con le sue ali di cera, tanto che lui quasi non noto il piccolo e calvo manager petrolifero salire sul palco. Qualcuno gli batte sulla spalla. Lo spettacolo stava per cominciare. Bruford giro la testa appena in tempo per vedere Palstein inciampare. L’uomo si raddrizzo per un attimo, poi barcollo di nuovo e cadde a terra. Gli uomini della sicurezza si precipitarono sul palco, formando
un muro per tenere a distanza la folla. Bruford allungo il collo. Un infarto? Un ictus? Si spinse verso il palco, tenendo il cellulare al di sopra della folla inquieta. Ma certo, era stato un attentato. Non aveva visto scene simili in chissa quanti film? Il fatto che Palstein fosse inciampato aveva rovinato i piani. Pero qualcosa lo aveva comunque sfiorato, prima che cadesse a terra. Un proiettile, ovvio. Qualcuno doveva aver sparato al manager. S, non poteva essere andata che cos. Bruford ignorava che, mentre filmava le ragazze, una ventina di minuti prima, una telecamera lo aveva inquadrato, sebbene per pochi secondi e in modo sfocato e indistinto. Durante l’analisi del materiale, i poliziotti non lo avevano notato. Ma quelli di Greenwatch s. Bruford non riusciva ancora a credere che lo avessero scovato basandosi su quel semplice dettaglio. Poi avevano applicato le tecniche di marketing piramidale, come gli aveva spiegato Loreena Keowa, una nativa americana con un viso poco armonioso eppure in qualche modo affascinante. Studiando le riprese, quelli di Greenwatch avevano subito concluso che i due uomini accanto a lui erano suoi colleghi. Uno dei due aveva anche parlato con un signore anziano nella fila davanti: ovviamente si trattava di Jack-Mezzasega-Becker. Bruford lo sapeva bene, dato che poi lui si era scusato, versando pietose lacrime di coccodrillo. Quel giorno, Becker indossava la tuta dell’Imperial Oil, percio era stato facile individuarlo. Ovviamente Loreena Keowa aveva un contatto nell’ufficio del personale dell’azienda, quindi lo aveva identificato e gli aveva mostrato la registrazione. Io-Cosa-Ci-Guadagno-Becker aveva fatto il nome del collega di Bruford che, a sua volta, aveva fatto il suo. E ora eccolo l. Che posto inquietante, il mondo. Si poteva ficcare il naso negli affari di chiunque. A ogni modo, gli sarebbe potuta andare peggio. Era seduto nel Dodge preso a nolo da Loreena, con cinquanta dollari canadesi in piu in tasca, mentre la donna scaricava il video sul computer. Loreena Keowa, coi suoi abiti firmati che poco si addicevano a una paladina dell’ecologia. Forse lui avrebbe dovuto fare qualche domanda in piu. Per esempio: cosa ne avrebbero fatto di quel video? E perche i capelli della donna erano cos brillanti? E quali trattamenti avrebbero reso i suoi altrettanto splendenti? Gli sarebbe stato d’aiuto per la sua carriera hollywoodiana. «Magari dovreste andare alla polizia.» In effetti, quella dichiarazione non era per niente male. Loreena fissava il monitor, concentrata sulla registrazione. «Lo faremo, non si preoccupi.» «S, ma quando?» «Non ha importanza», brontolo il socio di Loreena dal sedile posteriore. «Insomma...» Bruford scosse la testa e assunse un’espressione preoccupata; aveva un talento innato per la recitazione, aveva sempre saputo che quella era la sua strada. «Non
voglio essere coinvolto. Sarebbe nostro dovere andarci, no?» «E perche non lo ha fatto prima?» replico Loreena. «Non ci avevo pensato. Ma, adesso, considerato quello di cui stiamo parlando...» «S, ha ragione, dobbiamo riflettere sulle nostre mosse.» Lei si volto verso Bruford. «Siamo sicuri che il filmato valga cinquanta dollari? Forse non c’e proprio niente da vedere.» Lui indugio. «Sarebbe un problema vostro.» «Forse vale cento dollari», insinuo la donna, alzando un sopracciglio. «Che ne dice, Sid? A patto che qualcuno la smetta di fare domande e di preoccuparsi della polizia.» Bruford trattenne un sorriso. Proprio quello che voleva. «Certo... Si potrebbe fare cos.» Loreena gli porse subito un’altra banconota da cinquanta, come se pure lei avesse saputo che sarebbe andata a finire cos. Bruford la prese e la mise insieme con l’altra. «Sembra che nella sua giacca ci sia un bel gruzzoletto.» «No, erano solo due. E forse torneranno entrambe nelle mie tasche, se mi convinco di non potermi fidare di lei.» «Allora vorra dire che mi prendero qualcos’altro.» Bruford stavolta sorrise. «La sua giacca nasconde molte cose che potrebbero interessarmi, e per ognuna c’e anche il duplicato.» La donna gli lancio un’occhiata di sfida degna dei suoi antenati. «Okay», borbotto lui. «Mi scusi.» «Nessun problema. È stato un piacere.» Afferro il messaggio. Con un’alzata di spalle, apr la portiera del passeggero. «Ah, c’e ancora una cosa, Sid, nell’eventualita che il senso civico all’improvviso avesse il sopravvento e la convincesse a informare la polizia. Il denaro che ha in tasca rientra nel reato di occultamento delle prove. È arricchimento personale, quindi legalmente perseguibile. Mi ha capito?» Bruford si blocco, offeso e si giro di nuovo verso di lei. «Mi sta forse minacciando?» «Ascolti...» «No, mi ascolti lei. Il mio lavoro e svanito nel nulla, cerco di afferrare le occasioni al volo, ma un accordo e un accordo, chiaro ? Saro anche uno che parla troppo, ma di solito non prendo in giro le persone. Quindi andate a quel paese e non impicciatevi piu degli affari miei.» «Ficcanaso», commento lo stagista in tono sprezzante, mentre Bruford si allontanava lungo la strada. «Per altri cento dollari avrebbe venduto anche sua nonna.» Loreena lo guardo. «No, ha ragione. Lo abbiamo offeso. Se qualcuno qui ha avuto un atteggiamento equivoco, quelli siamo noi.» «Senti un po’, a questo proposito: non sarebbe davvero meglio consegnare il materiale ai piedipiatti?»
Lei esito. Non sopportava l’idea di fare una cosa illegale, ma dopotutto era una giornalista e i giornalisti vivevano per arrivare prima degli altri. Senza rispondere, collego il computer al sistema di bordo. Il Dodge che avevano noleggiato all’aeroporto aveva un display enorme. «Vieni a sederti davanti. Guardiamo prima quello che il buon Sid ci ha venduto.» «Abbiamo comprato a scatola chiusa.» «Be’, ogni tanto si deve rischiare.» Videro in rapida successione: una folla, alcuni chioschetti, la sede dell’Imperial Oil, un palco. Poi comparvero i compagni di Bruford che sghignazzavano davanti alla videocamera. Quindi Bruford si giro e si soffermo su due ragazze che, quando si accorsero di essere riprese, cominciarono a fare le boccacce. «Si stanno divertendo», sentenzio lo stagista, sorridendo. «Carine, soprattutto la bionda.» «È lo sfondo che devi tenere d’occhio.» «Non ti preoccupare.» «Gia, dimenticavo: gli uomini sono bravissimi a fare due cose contemporaneamente.» Bruford aveva dedicato buona parte del filmato alle due bellezze, mentre sullo sfondo passavano diverse persone. Due poliziotti entrarono nell’inquadratura per uscirne subito dopo, mentre un terzo agente monto la guardia all’ombra dell’edificio. Le ragazze si stavano contorcendo in una goffa performance: Loreena cerco inutilmente di capire cosa stessero facendo, finche l’assistente non sibilo: «Niente male. La riconosci?» «No.» «È tratta da Alien Speedmaster 7!» «Da cosa?» «Non hai mai visto Alien Speedmaster?» La guardo con infinito stupore. «Non vai al cinema?» «Evidentemente abbiamo gusti diversi.» «Non sai cosa ti perdi. Guardale... Penso che stiano rifacendo la scena di Death Chat in cui questi piccoli animaletti intelligenti si scagliano sulla donna col braccio artificiale e...» «Non so di cosa parli.» Le ragazze si stavano piegando in due dal ridere. Scoraggiante. Avevano gia visto la meta del filmato e tutto quello che aveva da offrire era un tipico sfoggio di stupidita adolescenziale. «Cosa stanno facendo adesso?» chiese lo stagista. «Potresti concentrarti sull’edificio?» «Sembra che stiano...» «Per favore.» «No, aspetta. Credo si tratti di quel pallosissimo film d’amore dell’anno scorso, che ha avuto tanto successo. Piuttosto sdolcinato, se devo dirla tutta. C’era anche quel tipo, quello
vecchio, lo conosci di sicuro. Oh, santo cielo. Come si chiama? Dai, aiutami !» «Non ne ho la piu pallida idea.» «Dai, quel vecchio che ha vinto da poco l’Oscar alla carriera! » «Richard Gere?» «Esatto! Recitava il ruolo del nonno di...» Loreena lo zitt con un cenno. «Guarda.» Da un’entrata laterale dell’edificio uscirono due uomini con abiti sportivi, che raggiunsero il poliziotto di guardia e gli dissero qualcosa. Entrambi indossavano occhiali da sole. «Non sembrano dipendenti.» «No.» Loreena si avvicino allo schermo mentre cercava di ricordare dove avesse gia visto quelle persone. Fece ripartire il filmato diverse volte, zoomando sui volti. Poco dopo, una donna snella, che indossava un tailleur pantalone, usc dallo stesso edificio e si sistemo accanto all’ingresso. Il poliziotto indico un punto e gli altri due uomini guardarono nella direzione del dito. Uno di loro gli mise sotto il naso qualcosa, forse una mappa della citta, e la conversazione continuo. Sullo sfondo, Loreena e lo stagista notarono un uomo coi capelli neri e dalla pancia prominente. Strascicando i piedi, il tizio entro dall’ingresso laterale. «Guarda un po’ qua», bisbiglio Loreena. Poco dopo, i due tipi atletici strinsero la mano al poliziotto e proseguirono per la loro strada. La donna in tailleur si appoggio a braccia conserte al tronco di un albero... e, su quell’immagine, il filmato di Bruford s’interrompeva bruscamente. Seguirono immagini dedicate soltanto alle ragazze, senza che nelle immediate vicinanze dell’edificio succedesse qualcosa, poi l’inquadratura si sposto sulla folla e sul palco. Soldati in divisa e civili si accalcavano, l’attivita era febbrile: di sicuro erano i momenti successivi all’attentato. «Il tipo che e entrato...» inizio lo stagista. «Potrebbe essere il custode, un installatore, un vagabondo.» Loreena rimase in silenzio. «A meno che...» «... non abbiamo appena visto il killer.» «S, l’uomo che ha sparato a Gerald Palstein.» L’occhiata che si scambiarono sembrava quella fra due scienziati che avevano appena scoperto un nuovo virus letale e che si sentivano gia sicuri del premio Nobel. Lei isolo un fotogramma del ciccione, lo ingrand, collego il computer alla sede di Juneau e avvio Magnifier, un programma in grado di estrarre immagini nitide anche dal materiale piu sgranato e sfocato. Nel giro di qualche secondo, i lineamenti confusi lasciarono il posto a una foto definita: ciocche di capelli unti ricadevano sulla pelle chiara dell’uomo, che aveva baffi sfrangiati e qualche ciuffo di barba sul mento.
«Sembra asiatico», commento il ragazzo. Un cinese, penso Loreena. La Cina era coinvolta nell’attivita canadese di estrazione delle sabbie bituminose. Non avevano pure acquisito delle licenze? Ma, dopotutto, come poteva la morte di un manager dell’EMCO cambiare le sorti dell’Alberta? O forse l’Imperial Oil era nelle mani dei cinesi? Allora, pero, anche l’EM-CO avrebbe dovuto essere loro. No, tutto quello non aveva senso. Ed era altrettanto insensata l’idea di uccidere Palstein. Come aveva detto lui stesso: «Ogni mia decisione impopolare e stata presa perche le circostanze non consentivano di fare altro». La sequenza col grassone era sufficiente a giustificare un articolo : perlomeno avrebbe messo alla berlina la polizia, anche se il tizio, in un secondo momento, fosse risultato del tutto estraneo alla vicenda. Poi, pero, lei non avrebbe avuto altre frecce al suo arco. Un piccolo vantaggio nell’ambito dell’inchiesta, ma le possibilita di risolvere il caso da sola sarebbero sfumate. Forse dovresti accontentarti, penso Loreena. Senza troppa convinzione, riavvolse il filmato fino al momento in cui i due uomini con gli occhiali da sole parlavano col poliziotto. Ingrand i volti e Magnifier trasformo un’immagine sfocata nel ritratto di un uomo. Tuttavia il poliziotto rimase soltanto uno sconosciuto in divisa. Poi a Loreena sembro di riconoscere uno dei due uomini. S, lo aveva gia visto. Ma chi era? Il computer mando un segnale e il viso di Sina, redattrice di cultura e societa, comparve sul display. «Volevi sapere se dall’inizio dell’anno a oggi altri dirigenti del settore petrolifero sono stati vittime d’incidenti, giusto?» «S.» «Tre casi. Il primo e Umar al-Hamid.» «Il ministro degli Esteri dell’OPEC?» «S. A gennaio e caduto da cavallo e si e rotto una gamba. Ora e tornato in buona salute. Si dice che il ronzino fosse un fondamentalista islamico. Stavo scherzando. Poi c’e stato Prokof’ev Pavlovic Kiselev...» «Chi diavolo e?» «Un project manager della Gazprom, nella Siberia occidentale. È morto a marzo, in un incidente d’auto. Colpa sua, aveva novantaquattro anni ed era mezzo cieco. Non c’e altro per quest’anno. » «Hai detto che erano tre.» «Mi sono permessa di tornare un po’ indietro, e ne e comparso un terzo. Certo, non e sorprendente: qualcuno si ammala, un suicidio ogni tanto, niente di strano. Fino ad arrivare ad Alejandro Ruiz, direttore strategico della Repsol.»
«La Repsol? Non e stata rilevata dall’ENI nel ’22?» «Se ne era parlato, ma l’affare non e mai andato in porto. Ruiz comunque era, oppure e, una figura piuttosto importante nella gestione strategica.» «Allora, era o e?» «È proprio questo il problema. Non si sa se sia ancora vivo. È sparito tre anni fa, durante un viaggio di lavoro in Peru.» «È sparito?» «Da un giorno all’altro. Non e piu ricomparso. Ultimo avvistamento a Lima.» «Cosa sai di lui?» «Non molto, per ora, ma se vuoi posso rimediare.» «S, grazie.» Alejandro Ruiz... La Repsol era un gruppo ispano-argentino, il fanalino di coda dei primi dieci del settore. Tra gli spagnoli e l’EMCO non c’erano molti punti di contatto. Stava rischiando di perdersi in un bicchier d’acqua? Significava davvero qualcosa la sparizione di un dirigente petrolifero spagnolo a Lima nel 2022? Anche Palstein si occupava di strategia. I suoi pensieri oscillarono tra le nuove informazioni e il filmato di Bruford, cercando di metterli in qualche modo in relazione. Poi, all’improvviso, cap chi era l’uomo con gli occhiali da sole. «Ma s, te lo giuro.» Erano seduti in un piccolo caffe sulla 5a Avenue Southwest, a pochi isolati dalla sede dell’Imperial Oil. Loreena Keowa era al terzo cappuccino, mentre lo stagista sorseggiava una Diet Coke, trangugiando una pantagruelica colazione composta da porridge, patate al forno, uova strapazzate, bacon, frittata e altro ancora. La donna non pote evitare di chiedersi perche mai il ragazzo stesse bevendo una Diet Coke quando il suo pasto era un’autentica bomba calorica. Lo osservo, affascinata, mentre versava dello sciroppo d’acero su un dolce ai frutti di bosco. «Il Magnifier non fa miracoli», dichiaro il ragazzo. «L’immagine non era poi cos nitida.» «Ma sono passati solo due giorni da quando ho visto quel tipo, ed era a tanto cos da me.» Si porto una mano davanti al viso e, attraverso le dita, vide il ragazzo inghiottire un wurstel intero. «Tanto cos!» «C’e quasi da temere che tu lo abbia baciato.» «Sciocchezze. Ha voluto che gli mostrassi la mia carta d’identita. » Lo stagista poso il coltello. «Non e sorprendente. Le guardie di Palstein volevano assicurarsi che fosse tutto in ordine.»
«Ah, s? E cosa ci facevano il giorno dell’attentato in quella casa?» «Te l’ho gia detto.» Il ragazzo riprese in mano il coltello. «Controllavano...» «Le tue sinapsi sono intasate di colesterolo!» esclamo lei. «Certo che i suoi uomini gli ronzavano intorno, e lo stesso vale per la polizia. Ma manderesti la tua guardia del corpo in una casa vuota di fronte al palco dal quale devi fare il tuo discorso? Palstein non e JFK. Quante probabilita c’erano che qualcuno gli sparasse da l?» La risposta dovette cedere il posto a un enorme pezzo di frittata. «Supponiamo che l’asiatico fosse un tipo innocuo», continuo Loreena. «Magari stava solo cercando un bagno. Allora gli uomini di Palstein non si sono accorti di lui, oppure lo hanno ignorato di proposito. Entrambe le ipotesi sono poco probabili.» «I due tizi stavano parlando col poliziotto; non potevano vederlo. » «E la donna?» «Sei proprio sicura che fosse dei loro?» «È uscita subito dopo i due uomini. E poi quelli della sicurezza sono tutti uguali. Supponiamo quindi che il cinese sia il nostro assassino.» «Perche proprio cinese?» «Asiatico, e lo stesso. Pensaci bene, accidenti, tre membri della sicurezza. Uno rimane vicino all’ingresso, altri due chiacchierano con un poliziotto, a pochi metri di distanza. E nessuno di loro nota quella figura massiccia entrare nell’edificio che stanno sorvegliando?» «Forse il cinese... l’asiatico era anche lui un uomo della sicurezza. Quello che mi stupisce di piu e che, se non mi sbaglio, Palstein ti ha raccontato di essersi affidato alle guardie del corpo solo dopo l’attentato di Calgary.» «No, non ha detto proprio cos.» Loreena fece oscillare la tazza, per mescolare meglio il caffe con la schiuma. «Mi ha detto solo che, dopo Calgary, hanno cominciato a tenere sotto osservazione casa sua.» «Gia. Avrebbe fatto meglio ad assumere qualcun altro.» Avrebbe fatto meglio... «Accidenti, hai ragione.» «Ovviamente», replico lo stagista, raccogliendo quello che restava del porridge. «Su cosa?» «Non si puo fidare di loro.» «Sono degli incapaci. Troppo stupidi per...» «No, non e questo il punto.» Incredibile. Perche non ci era arrivata prima? Gli uomini della sicurezza avevano lasciato passare l’assassino, ben sapendo chi fosse. Non solo, avevano distratto il poliziotto e tenuto sott’occhio i dintorni per assicurarsi che nessuno gli impedisse di entrare. «Oh, santo cielo!»
DALLAS, TEXAS, STATI UNITI «Non molto tempo fa, abbiamo vissuto un momento decisivo per la definizione di un nuovo ordine geopolitico mondiale. Il perno era la capacita di assicurarsi il fabbisogno di risorse fossili. Nell’arco di pochi anni, la Cina e diventata la prima potenza economica, seguita dagli Stati Uniti e dall’India.» La lezione di Gerald Palstein presso l’University of Texas, un’universita statale nel sobborgo di Richardson, aveva suscitato l’interesse di circa seicento studenti, per la maggior parte aspiranti manager, economisti e informatici. Se la curiosita era tanta, Palstein lo doveva alla copertura dei media e alla sua acclarata abilita nel descrivere un naufragio in cinemascope: il Titanic dell’economia delle risorse energetiche che veniva affondato da un iceberg chiamato elio-3. «In quel periodo, la Russia era una superpotenza nel settore del petrolio e del gas. Si parlava di Gazprom anche come di un’arma. Nella battaglia per definire il ruolo strategico della Russia, nessuno prima se ne era mai servito cos abilmente come poi ha fatto l’allora presidente Vladimir Putin. Qualcuno di voi conosce il suo soprannome?» «Gasputin», urlo una ragazza seduta in prima fila. Risata generale. Palstein alzo le sopracciglia in segno di ammirazione. «Molto bene. Per quanto riguarda il fabbisogno energetico, gli americani erano preoccupati perche la Cina flirtava sempre piu spesso con la Russia, potenziando anche i contatti con l’OPEC, cosa che all’organizzazione non dispiaceva affatto: era ormai da parecchio che non veniva piu corteggiata e sperava di riguadagnare lo status di un tempo. Quindi gli Stati del Golfo hanno cominciato a depositare il loro denaro presso l’Industrial and Commercial Bank of China, in Turchia e perfino in India, a discapito delle banche americane; nel frattempo, la Cina ha iniziato a pagare le forniture di petrolio provenienti dall’Iran in euro anziche in dollari. L’equilibrio delle potenze si stava spostando; da qui la premura degli Stati Uniti di svincolarsi dalla dipendenza dal petrolio mediorientale. Nel 2006, alcuni rappresentanti dell’Arabia Saudita si sono recati a Pechino per siglare diversi accordi. Anche il Kuwait ronzava intorno alla Cina, perche temeva di perdere terreno nei confronti della Russia. Non vorrei dare un’immagine sbagliata della Cina affamata di energia del primo decennio di questo secolo, ma la si potrebbe immaginare come una piovra, i cui tentacoli si allungano silenziosamente e raggiungono le storiche regioni ricche di petrolio controllate dalle multinazionali. Alla Casa Bianca venivano delineati i possibili scenari, in caso i fondamentalisti islamici fossero riusciti a rovesciare le dinastie sovrane saudite; si dava per scontato che la Cina sarebbe stata coinvolta e che alla fine avrebbe piazzato i suoi missili nucleari nel deserto saudita. Quel timore, come sappiamo oggi, non era del tutto infondato: in effetti la Cina e stata coinvolta nella caduta della famiglia Saud. Secondo questi scenari, inoltre, il conflitto tra le forze islamiche e filomonarchiche di sicuro avrebbe subito un’escalation
sino a sfociare in un conflitto aperto tra Cina e Stati Uniti, e il potenziale dell’elio-3 non sarebbe bastato per convincere Washington a cambiare completamente le sue scelte in campo energetico.» Palstein si asciugo il sudore dalla fronte. Faceva caldo, nell’auditorium. Avrebbe di gran lunga preferito essere in barca, sul suo lago o, meglio ancora, in mare aperto, dove soffiavano piacevoli venticelli. «Per essere chiari: se petrolio e gas fossero ancora una risorsa indispensabile, il mondo oggi sarebbe un po’ diverso. La Cina probabilmente avrebbe sopravanzato di netto gli Stati Uniti, invece di eguagliarli, creando un fronte comune nell’ambito della politica energetica insieme con la Russia e con gli Stati del Golfo. L’Iran avrebbe avuto piu potere di quanto non ne abbia oggi nonostante le armi nucleari, e presumibilmente avrebbe esercitato una pressione maggiore sul governo indiano, che gia dal 2006 aveva in progetto di costruire una pipeline in accordo con Teheran, per trasportare il petrolio del mar Caspio fino in India. Questa pipeline si sarebbe arrestata sul mar Rosso per tagliare fuori Israele, andando quindi contro gli interessi americani. L’India si trovava in una situazione complicata: una collaborazione con l’Iran rischiava d’irritare l’America e viceversa. Per evitare questo pasticcio, gli indiani hanno deciso di coinvolgere nell’affare una terza potenza, che avrebbe ricoperto il ruolo di collante, dato che intratteneva buoni contatti sia con la Cina sia con l’Iran. Ecco di nuovo sulla scena i russi - ovvero la Gazprom -, che a loro volta volevano sfruttare ogni possibilita per rafforzarsi, per esempio chiudendo i rubinetti del gas agli Stati vicini e usandoli come arma di ricatto. Riconoscete il blocco che si andava formando? Russia, Cina, India, OPEC: non poteva essere nell’interesse di Washington. In questa situazione, Barack Obama, il successore di George W. Bush, ha puntato sulla diplomazia. Ha cercato di migliorare i rapporti con la Russia e di mettere un freno all’Iran; almeno all’inizio, questa si e rivelata una strategia intelligente e proficua. Ovviamente anche Obama sarebbe stato costretto, in caso di necessita, a ricorrere a mezzi aggressivi per assicurarsi l’approvvigionamento energetico, in caso i progressi tecnologici ottenuti dalla collaborazione con l’Orley Enterprises non avessero offerto agli Stati Uniti vere e proprie alternative, come per esempio...» Un’ impiegata della segreteria dell’universita entro nell’auditorium, si avvicino a Palstein e gli passo un foglietto. Lui si lascio sfuggire una risatina, che riecheggio nella sala. «Scusatemi... Cosa c’e?» «C’e una persona al telefono, una certa...» «Non puo aspettare una ventina di minuti? Sono nel bel mezzo di una lezione.» «Dice che e urgente. Molto urgente.» «Come si chiama?» «Loreena Keowa. È una giornalista. Le ho detto che adesso lei era occupato, ma...»
«No, va bene. Grazie.» Palstein si scuso una seconda volta e usc dall’auditorium, quindi compose il numero di Loreena Keowa. «Shax’saani Keek’», esord, non appena il viso della giornalista apparve sul display del cellulare. «Come sta?» «So di disturbarla.» «In effetti, s. Un minuto solo, poi devo tornare al mio dovere, che e quello d’istruire l’elite di domani. Cosa posso fare per lei?» «Spero di poter essere io a fare qualcosa per lei. Ma avrei bisogno di qualche minuto in piu.» «Non e il momento piu adatto.» «È nel suo interesse.» Dalla finestra, Palstein osservo il campus inondato dal sole. «Va bene. Mi dia un quarto d’ora per finire la mia lezione. Mi faro vivo io.» «Si assicuri che nessun altro ascolti la nostra conversazione.» Venti minuti dopo, Palstein la richiamo da una panchina piuttosto appartata all’ombra di un castagno. Due dei suoi uomini facevano la guardia a breve distanza. Ovunque si vedevano studenti rincorrere un futuro ancora incerto. «Mi ha davvero incuriosito, prima.» «Abbiamo un accordo di reciprocita?» «Cosa intende?» «Le sto chiedendo se ci aiutiamo a vicenda», specifico Loreena. «A me le informazioni, a lei la protezione.» «Come, scusi? Ha trovato qualcosa?» «Abbiamo un accordo?» Adesso era davvero curioso. «S.» «Bene. Ora le mandero un paio di fotografie. Le apra mentre parliamo.» Il cellulare confermo la ricezione di un MMS. Scarico le immagini : due uomini con gli occhiali da sole e una donna. «Chi riconosce?» «Tutti», rispose lui. «Lavorano per me, sono della sicurezza. Di sicuro deve averne incontrato uno al Lavon Lake. È Lars Gudmundsson, il capo della squadra.» «S, l’ho incontrato. Il 21 aprile ha incaricato queste tre persone di sorvegliare l’edificio vuoto dal quale e presumibilmente partito il colpo indirizzato a lei?» «Non proprio.» Palstein esito. «Dovevano soltanto controllare i dintorni. A dire la verita, non ero neanche sicuro di volerli con me. Se uno richiede il servizio di sicurezza, sembra che si dia delle arie, che si voglia presentare come molto importante. Ma io e l’EMCO avevamo ricevuto delle minacce...»
«Minacce?» «Ah, sciocchezze. Niente di serio. Individui amareggiati dall’angoscia esistenziale.» «Gerald, i cinesi c’entrano in qualche modo con l’EMCO?» «I cinesi?» «S.» «Non proprio. S, ci sono sempre stati tentativi di mettere le mani su qualche nostra affiliata. L’EMCO di per se e... era un affare troppo grosso per loro. Ma naturalmente hanno sempre cacciato nel nostro territorio.» «Hanno cacciato sabbie bituminose canadesi?» «Anche.» «Bene. Le mando un’altra fotografia.» Stavolta sullo schermo apparve un volto dai tratti asiatici. Capelli lunghi e non curati, baffi sfrangiati. «No.» «Mai visto?» «Non che io ricordi. Se fosse cos gentile da spiegarmi...» «Subito. Quest’uomo e entrato nell’edificio vuoto poco prima che lei salisse sul palco. Anche i suoi uomini della sicurezza erano in quella casa. Secondo noi, e evidente che gli uomini di Gudmundsson non solo l’hanno lasciato passare, ma si sono adoperati perche entrasse indisturbato.» Palstein continuo a fissare la fotografia. «È proprio sicuro di non averlo mai visto prima?» insistette Loreena. «Non credo. Mi ricorderei di uno cos.» «Potrebbe essere uno dei suoi uomini?» «Dei miei uomini?» «Lei conosce tutti gli uomini della sicurezza di persona? Oppure Gudmundsson...» «Che assurdita! Li conosco uno per uno, cosa crede? Oltre al fatto che non sono poi nemmeno tanti. Cinque in tutto.» «E si fida di loro.» «Certamente. Vengono pagati da noi e inoltre sono dipendenti di una nota agenzia per la sicurezza personale che collabora da anni con l’EMCO.» «Allora forse lei ha un problema. Se questo fosse davvero l’uomo che le ha sparato, tutto fa pensare che pure i suoi uomini siano coinvolti. Ah, devo farle un’altra domanda. Mi scusi se cambio argomento.» «Non si preoccupi.» «Il nome Alejandro Ruiz le dice qualcosa?»
«Ruiz?» Palstein rimase in silenzio per qualche secondo. «Aspetti un attimo... Mi pare...» «Le do un indizio: Repsol. Direzione strategica.» «Repsol... S, credo... Ma s, certo, Ruiz. Abbiamo viaggiato in aereo insieme una volta. È passato un po’ di tempo.» «Cosa sa di lui?» «Praticamente nulla. Mio Dio, Loreena, qui non stiamo parlando di una famigliola: il settore petrolifero e una nebulosa, ci lavorano parecchie migliaia di persone.» «Ruiz era uno importante.» «Era?» «È scomparso. Tre anni fa, a Lima.» «In quali circostanze?» «Durante un viaggio di lavoro. Vede, a me interessa scoprire se l’attentato di Calgary ha qualche analogia con un avvenimento passato. Forse l’obiettivo non era tanto lei, quanto cio che lei rappresenta. Quindi ho raccolto un po’ di documentazione relativa a Ruiz. Felicemente sposato, due figli in salute, nessun debito. In compenso, aveva un fronte interno di oppositori: ritenevano che fosse troppo liberale, troppo ecologista, troppo moralista. Era soprannominato ’El Verde’. Si era dichiarato contrario all’estrazione delle sabbie bituminose, proponendo d’investire nelle trivellazioni oceaniche. Ora, non c’e bisogno che le racconti che le multinazionali si sono sempre tenute lontane dai costosi progetti di esplorazione e che gia tre anni fa si era nel bel mezzo del declino. Ruiz aveva fatto pressione sulla Repsol perche passasse in modo deciso alle energie alternative. Non le ricorda qualcuno?» Incredibile, penso Palstein. «Certo, puo essere una coincidenza», continuo Loreena. «La scomparsa di Ruiz. Il coinvolgimento della Cina nel settore delle sabbie bituminose. Perfino l’asiatico che i suoi uomini hanno lasciato entrare nella casa. Forse lui e innocente e io sono paranoica, ma l’istinto e la ragione mi dicono che siamo sulla strada giusta.» «E cosa dovrei fare, secondo lei?» «Non fidarsi piu di Gudmundsson e dei suoi uomini. Se mi fossi sbagliata, sarei la prima a chiedere scusa in ginocchio. Ma, fino ad allora, ci rifletta. Pensi a Ruiz. Ai rapporti trasversali con la Cina. Alle trappole che possono nascondersi nel suo stesso ufficio. Ah, pensi bene a chi aveva interesse a non farla andare sulla Luna. Mi puo telefonare o ci possiamo incontrare in ogni momento. Cerchi di capire chi e l’uomo della fotografia. Magari riesce a trovare qualcosa nel database dell’EMCO. Si occupi di Gudmundsson e della sua squadra, li licenzi. Ma non faccia intervenire la polizia: e l’unica cosa che le chiedo.» «Be’, lei la fa facile!»
«La prego.» «Queste immagini potrebbero essere delle prove!» «Gerald, non farei mai niente che mettesse a repentaglio la sua sicurezza, ne vorrei tenere fuori la polizia da questa storia. È una cosa temporanea. Ho bisogno di un po’ di vantaggio per assicurarmi l’esclusiva.» «Si rende conto di quello che mi sta dicendo? Di cosa mi sta chiedendo?» «Abbiamo fatto un patto, Gerald. Con ogni probabilita, ho trovato il suo assassino e ho ottenuto piu risultati della polizia in quattro settimane d’indagini. Mi dia ancora un po’ di tempo, per favore. Le consegnero quel bastardo su un piatto d’argento. » Palstein rimase in silenzio per un po’, poi sospiro. «D’accordo. Faccia quello che ritiene opportuno.» Limit 29 MAGGIO 2025 IL MERCENARIO VOLO NOTTURNO Un fatto era innegabile: da quando Teodoro Obiang Nguema Mbasogo aveva preso il potere, nell’agosto 1979, il rispetto dei diritti umani nella Guinea Equatoriale era sensibilmente migliorato. Non si vedevano piu crocifissioni di massa lungo l’autostrada per l’aeroporto e le teste degli oppositori non venivano esibite in pubblico infilzate su un palo. «Un autentico benefattore», ironizzo Yoyo. «Ma non il primo», replico Owen Jericho. «Hai mai sentito parlare di Fernao do Po?» Mentre volavano verso Berlino a una velocita doppia rispetto a quella del suono, viaggiavano anche a ritroso nel tempo, dall’alba imminente di Shanghai alla notte berlinese, e dall’anno 2025 agli albori di un continente dove, per tradizione consolidata, tutto cio che poteva andare storto finiva nel peggiore dei modi: l’Africa, la poco amata culla dell’umanita, contraddistinta da confini che intersecavano i suoi antichi tendini e nervi, dando forma a Stati dalla geometria bizzarra, il piu piccolo dei quali, grande come un fazzoletto, si trovava sulla costa occidentale. Ripercorrere la storia di quel Paese era come leggere la cronaca di una protratta violenza sessuale. «Fernao do Po? E chi diavolo sarebbe?» chiese Yoyo. «Anche lui era un benefattore, in un certo senso.» Siccome non c’era stato modo di dissuadere Tu Tian dal pilotare il suo jet aziendale, Jericho e Yoyo erano soli nella lussuosa cabina passeggeri da dodici posti. Con l’aiuto di Diane, guardavano su due monitor alcuni filmati per documentarsi sulla Guinea Equatoriale, nella speranza di trovare risposte agli interrogativi degli ultimi due giorni. Ma ogni nuova informazione sembrava ingarbugliare ancora di piu il gia complesso quadro generale; tuttavia
gli eventi di quello Stato potevano essere compresi solo partendo dall’inizio e studiandone l’evoluzione. E, all’inizio di tutto, c’era stato... Fernao do Po. Mare calmo. Assenza di vento. Pioggia battente che flagella la linea costiera. Sudore e acqua piovana si mischiano sulla pelle, la sensazione e di essere avvolti da vapore bollente. Le scialuppe vengono calate in acqua, fra le strida di piccoli uccelli marini. I vogatori sbuffano sui remi, un uomo e sulla prua. La spiaggia si avvicina, i contorni della vegetazione iniziano a emergere dalla bruma. L’uomo sbarca sulla riva e si guarda intorno. Ancora una volta, la trasformazione di un’ignota regione in un’area sottoposta a un’autorita statale viene avviata da un portoghese. Nel 1472, le caravelle di do Po si avventurano oltre il «gomito » occidentale del continente. L’esploratore, legittimo successore di Enrico il Navigatore, mette piede su un’isola. Colpito dalla sua bellezza, le da il nome di Formosa Flora. Qui vivono uomini di etnia bantu, il piccolo popolo dei Bubi. Ricevono i visitatori con cordialita, inconsapevoli che il loro regno ha un nuovo sovrano. Dal momento in cui do Po ha lasciato le impronte degli stivali nella sabbia, sono diventati sudditi di sua maesta Alfonso V del Portogallo, al quale, pochi anni prima, papa Niccolo ha concesso l’intera isola africana, oltre al monopolio commerciale e a diritti di navigazione esclusivi. Il papa e l’Occidente cristiano sono convinti che l’Africa sia un’isola. Do Po dimostra che e un continente, con una lunga e fertile linea costiera, abitato da esseri umani dalla pelle scura, che hanno evidentemente poco da fare e che hanno urgente bisogno di essere convertiti. Una circostanza che si adatta alla perfezione allo spirito della bolla papale, in cui si sostiene che i miscredenti debbano essere ridotti in schiavitu, raccomandazione raccolta senza esitazioni da Alfonso e dai suoi navigatori. Il giorno dello sbarco di do Po cambia tutto e non cambia nulla. Se non fosse toccato a lui, sarebbe arrivato qualcun altro. Prima o poi. Molti lo seguono; per trecento anni il mercato degli schiavi prospera, poi la corona portoghese scambia i possedimenti territoriali in Africa con alcune colonie in Brasile, e i Bantu cambiano padrone. Il nuovo proprietario e la Spagna. Gli inglesi, i francesi e i tedeschi iniziano a metterci il naso, tutti si contendono i territori dal Capo di Santa Clara al Delta del Niger... «E cercano di assoggettare le popolazioni locali, favoriti dalla mancanza di unita dei Bantu o, meglio, dalla crescente rivalita tra i Bubi e i Fang.» «Bubi Fang?» sghignazzo Yoyo. «Non e divertente. È il dramma dell’Africa», la rimprovero Jericho. «S, lo so. I colonialisti hanno pensato a tutto, ma non alle radici etniche. Pensa al Ruanda, agli Hutu e ai Tutsi...»
«Okay, ma non facciamo finta che questa sia un’invenzione africana.» «No, e voi europei ne sapete qualcosa.» «Perche proprio noi?» Yoyo alzo gli occhi al cielo. «Ma senti. Pensa ai serbi e al Kossovo: diciassette anni dopo la dichiarazione d’indipendenza ancora non sanno convivere in pace. O prendi i baschi, gli scozzesi, i gallesi. L’Irlanda del Nord.» Lui la ascoltava a braccia incrociate. «Taiwan. Tibet.» «Questa e...» «Una cosa diversa? Solo perche non volete sentirne parlare? » «Sciocchezze», esclamo Yoyo, irritata. «Taiwan fa parte del territorio cinese, per questo e un’altra cosa.» «Siete gli unici a pensarla cos. Nessuno e entusiasta del fatto che teniate Taiwan sotto una costante minaccia atomica.» «D’accordo, sapientone. Come sarebbe se, improvvisamente, diciamo... il Texas, i cowboy, decidessero di dichiararsi indipendenti? » «Questa pero e davvero un’ipotesi diversa», sospiro Jericho. «Ah, certo.» «S. E per quanto riguarda il Tibet...» «Oggi il Tibet, domani lo Xnjiang, poi la Mongolia, lo Guangx, Hong Kong... Perche voi europei non capite che la politica cinese punta alla sicurezza? Il nostro enorme Stato sprofonderebbe nel caos se lo lasciassimo cadere a pezzi. Noi dobbiamo tenere unita la Cina!» «Con la violenza.» «La violenza e la strada sbagliata. Questa e una lezione che non abbiamo ancora imparato.» «Per niente. In qualche modo non riesco mai a capirti sino in fondo. Non sei tu quella che difende i diritti umani con veemenza? Almeno cos credevo.» «È cos.» «Ma?» «Nessun ’ma’. Sono una nazionalista.» «Hmm.» «Non riesce proprio ad andarti giu, vero? Che due cose del genere possano coesistere. Diritti umani e patriottismo.» Jericho allargo le braccia in segno di resa. «Sono pronto a imparare. » «Allora fallo. Non sono fascista ne razzista, niente del genere. Ma sono convinta che la Cina sia un Paese incredibile, con una cultura magnifica...»
«Che voi stessi non esitate a calpestare.» «Ascolta bene, Owen. Voi, tu, la tua gente... smettetela. Quando le Guardie Rosse impiccavano gli insegnanti, io non ero neanche nata. Raccontami piuttosto come continua la storia di Bubi Fang, se la cosa ha qualche importanza per noi.» «I Fang», la corresse lui paziente. «I Bubi vivevano sull’isola. Avevano pochi contatti con la costa, finche la Spagna non ha riunito la terraferma e le isole nella Repubblica della Guinea Equatoriale. E sulla terraferma dominavano i Fang, un altro ramo di etnia bantu, molto piu numerosi dei Bubi e per nulla entusiasti di essere diventati loro concittadini nel breve volgere di una notte. Nel 1964, la Spagna ha concesso al Paese la completa autonomia, di conseguenza ha eretto uno steccato per separare le due parti che non si sopportavano e le ha abbandonate. Le cose non potevano che andare male.» Yoyo lo fisso coi suoi occhi scuri. E all’improvviso sorrise. Un sorriso cos inaspettato e fuori luogo che Jericho non pote fare altro che fissarla a sua volta con uno sguardo irritato. «Devo ancora ringraziarti», disse lei. «Ringraziarmi?» «Mi hai salvato la vita.» Per tutto il tempo in cui aveva coraggiosamente condiviso i guai che Yoyo si era procurata, lui aveva atteso quel ringraziamento. Ora, pero, si sentiva spiazzato. «Non c’e di che», disse in tono asciutto. «Colpa delle circostanze.» «Owen...» «Non ho avuto scelta. Se avessi saputo...» Lei scosse la testa. «No, Owen, no. Di’ qualcosa di carino.» «Qualcosa di carino? Con tutti i grattacapi che mi hai procurato... » «Ehi.» Lei allungo la mano e strinse la sua con le dita affusolate. «Dimmi qualcosa di carino. Adesso!» Poi si avvicino e qualcosa cambio. Fino a quel momento aveva visto solo la bellezza di Yoyo, oltre a qualche piccolo difetto che tuttavia impreziosiva il suo fascino. Si sentiva pervaso da ondate di un’intensita inquietante. Se Joanna dominava alla perfezione il suo potenziale erotico e lo regolava come il volume di una radio, Yoyo ardeva senza sosta: era una stella luminosa e caldissima. E improvvisamente Jericho si rese conto che avrebbe fatto qualunque cosa perche quella stella non smettesse di brillare. Odiava l’idea che Yoyo potesse distruggere se stessa. Voleva vederla ridere. Si schiar la gola. «Ecco... Quando vuoi.» «Quando vuoi cosa?» «Lo rifaccio quando vuoi. Se hai bisogno di essere salvata, fammelo sapere. Io ci saro.» Altri imbarazzati colpetti di tosse.
«Grazie, Owen.» «Adesso continuiamo con Maye. In che punto la storia diventa interessante per noi?» Lei lascio la sua mano e sprofondo di nuovo nel sedile. «Difficile dirlo. È una faccenda abbastanza confusa. Ritengo che, per riuscire a capire le condizioni del Paese, dobbiamo iniziare con l’indipendenza. Con la presa di potere di...» Papa Macas. Nell’ottobre 1968, sul golfo di Guinea grava la stessa umidita di tutti gli altri giorni dell’anno. A volte piove, poi la campagna e il mare ardono sotto il sole cocente, che fa luccicare le spiagge e paralizza ogni attivita. La capitale, situata sull’isola, e poco piu di un ammasso di costruzioni coloniali ammuffite, circondate da capanne. È qui che s’insedia il primo presidente della Repubblica Indipendente della Guinea Equatoriale, eletto dal popolo in una votazione memorabile. Francisco Macas Nguema, della tribu dei Fang, promette giustizia e socialismo, e spinge le ultime truppe spagnole a lasciare il Paese, com’era negli accordi. Solo che tutti si sarebbero aspettati una fine piu pacifica. Ma «Papa», come si fa chiamare per amore dei suoi sudditi, e abituato a colazioni corpose. I coloni che hanno appena ricevuto il benservito apprendono con sgomento che l’uomo ama mangiare il cervello e i testicoli dei suoi nemici. È un cannibale. Da una persona del genere non ci si puo aspettare un addio con le lacrime agli occhi. E invece l’addio sara proprio cos. Un mare di lacrime, un mare di sangue. La giovane repubblica viene violentata subito dopo la nascita. Nessuno e preparato a concetti esotici quali l’economia di mercato, ma se non altro esiste un commercio fiorente di cacao e di legni tropicali. Macas, invece, consumato da un’ardente ammirazione per il dispotismo fondato sui principi marxisti e leninisti, ha altri interessi. Non appena le ultime unita della Guardia Civil sgombrano il campo, diventa chiaro cosa ci si deve aspettare da questo «Papa» che mangia testicoli umani e dal suo Partido Unico Nacional. L’esercito appoggia l’ambizione di Macas d’instaurare con la forza un’autocrazia, basata su uno sfrenato culto della personalita. E tale e la violenza da indurre gli ultimi civili europei ancora presenti nel Paese a fuggire precipitosamente. Diverse cariche vengono ricoperte dai membri del clan Esangui, una sottotribu dei Fang. Il fatto che l’isola, sede del governo e centro economico dello Stato, sia la terra dei Bubi costituisce da sempre una spina nel fianco per la maggioranza Fang. Macas soffia sul fuoco. Se non altro, ha la decenza di annullare pubblicamente la costituzione prima d’infangarla. Poi i Bubi imparano a conoscere le sue cure paterne. Piu di cinquantamila persone vengono trucidate, incarcerate, torturate a morte e, tra esse, anche gli oppositori del regime. Chi puo, fugge all’estero. Dal momento che Papa non si fida
di nessuno, men che meno dei membri della propria famiglia, anche i Fang finiscono nel mirino presidenziale. Piu di un terzo della popolazione viene spinto all’esilio o scompare nei lager. In compenso centinaia di consulenti militari cubani scorrazzano per il Paese; in fondo Mosca e un amico affidabile. A meta degli anni ’70, Papa e riuscito a distruggere l’economia locale in modo cos irrimediabile da essere costretto ad assoldare lavoratori nigeriani, i quali peraltro riprendono ben presto la via di casa. Senza esitare, il padre della nazione introduce i lavori forzati per tutti, scatenando un altro esodo di massa. Diverse scuole vengono chiuse, sebbene Papa si sia autonominato «Gran maestro dell’educazione popolare, della scienza e della cultura tradizionale». In preda a un delirio di onnipotenza, fa sprangare tutte le chiese, esalta l’ateismo e si affanna per ravvivare i rituali magici. In tutto il continente fioriscono dittature. Macas viene paragonato a Jean-Bedel Bokassa - che si e appena fatto incoronare e ha la convinzione incrollabile di essere il tredicesimo apostolo di Gesu -, a Idi Amin Dada e al cambogiano Pol Pot. «È stato davvero un criminale ancora peggiore di Maye», commento Yoyo. «Ma nell’indifferenza generale, perche Papa non possedeva risorse preziose. Da bravo patriota, ha cambiato il nome a tutto quello che ancora non aveva un nome africano e, da allora, la terraferma si chiama Mbini, l’isola Bioko e la capitale Malabo. A proposito, ho fatto ricerche sull’etnia cui apparteneva Maye. È un Fang.» «E cos’e successo al famigerato Papa?» Jericho schiocco le dita. «Spazzato via.» «Qualche mandante straniero?» «All’apparenza, no. Papa ha iniziato a far giustiziare anche i parenti piu stretti. Persino sua moglie, una notte, e fuggita oltre confine. Nessuno del suo clan poteva piu sentirsi al sicuro, e alla fine uno di essi ha perso la pazienza.» Nel 1979, nella Guinea Equatoriale si canta e si balla. Un uomo vestito con una semplice uniforme e appoggiato all’ingresso di una camera a volta. Sulle pareti guizzano spiriti luminosi, prodotti dal fuoco scoppiettante al centro della sala. Di tanto in tanto, impartisce sottovoce alcune istruzioni alle guardie, il cui compito e quello di aiutare i ballerini - che saltellano da ore intorno al fuoco, con una grottesca sfrenatezza, e cantano inni di lode per Papa - a non perdersi d’animo, pungolandoli con attizzatoi arroventati. L’aria puzza di marcio e di carne bruciata. Ci sono zanzare ovunque. Negli angoli in penombra e sulle pareti, la scena si rispecchia negli occhi dei ratti. Chi crolla a terra, viene tirato in piedi, picchiato a sangue e trascinato fuori. Quasi tutti, a eccezione dell’uomo in uniforme, sono denutriti e disidratati; molti portano addosso le cicatrici dei maltrattamenti e alcuni hanno impressi sul volto esausto i segni della febbre gialla e della malaria.
Black Beach Party. Un giorno quasi normale nella Black Beach Prison, la famigerata prigione di Malabo: in confronto, la Devil’s Island americana e un centro benessere. L’uomo assiste allo spettacolo ancora per un po’, poi abbandona la danza della morte. È scuro in volto, preoccupato. Il suo nome e Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, comandante della Guardia nazionale, direttore dell’istituto di pena e nipote del presidente. Mettere in scena rappresentazioni come queste fa parte dei suoi doveri. Papa ci tiene molto. Il presidente stesso ama trascorrere il proprio compleanno assistendo alle fucilazioni dei prigionieri nello stadio di Malabo, mentre nella struttura risuona a tutto volume Those Were the Days. Ma Obiang non e preoccupato per i prigionieri, la maggior parte dei quali in ogni caso non lascera mai piu quella fortezza squallida e simile a un magazzino. Lui teme per la propria vita, e ne ha tutte le ragioni. Chiunque faccia parte del clan di Papa deve mettere in conto la possibilita di cadere vittima della paranoia del presidente e di entrare nelle foreste dell’eternita accompagnato dalla musica di Mary Hopkins. Anche Obiang ha paura. Ma il suo attaccamento alla famiglia non e poi cos diverso da quello del violento zio. La paura di Macas nei confronti della propria tribu, il risultato del nepotismo che ha messo l’intero apparato di governo nelle mani dei parenti, e profondamente radicata anche in lui. Papa se ne accorge quando Obiang organizza un colpo di Stato e sottrae al «miracolo unico» il potere. L’ex dittatore scappa nella giungla, non prima di aver bruciato le riserve di valuta nazionale: piu di cento milioni di dollari custoditi nella sua villa vanno in fumo. Si tratta letteralmente degli ultimi soldi rimasti. Quando gli uomini di Obiang scovano il fuggitivo tra felci giganti ed escrementi di scimmia, la Guinea Equatoriale e in bancarotta. L’uomo viene condotto a Malabo e, sulle note di Those Were the Days, viene spedito a far compagnia agli avi dai fucili di soldati marocchini: i suoi, infatti, si rifiutano di sparare, temendo i poteri magici del cannibale. Il Consiglio militare supremo assume la guida del governo. Com’e tipico di tutti i potenti freschi di nomina, Obiang fa grandi promesse al popolo, dichiara la democrazia parlamentare e, alla fine degli anni ’80, indice le elezioni. I vari candidati vengono proposti da lui stesso, che vince per acclamazione, anche perche i rappresentanti dell’opposizione stanno facendo festa nella Black Beach Prison. Il governo si rigenera come la coda di una lucertola: lo stesso sangue, gli stessi geni. Il clan Esangui Fang, appunto. Tutto in famiglia. Chi osa sollevare qualche critica si ritrova ben presto a cantare e danzare intorno al fuoco. Solo il testo della canzone e cambiato. Obiang non si lascia travolgere dalla furia distruttiva come Papa, ma cerca invece di riconquistare un certo prestigio all’estero, intessendo timide relazioni con una Spagna profondamente offesa e facendo sapere ai sovietici di non essere piu loro amico. La Guinea Equatoriale ricomincia ad avere l’aspetto di uno Stato e non piu quello di una Dachau
subtropicale. Il denaro inizia ad affluire nel Paese. Annabon, l’isola gemella di Bioko, e grande e bella, nonche ideale per stoccare scorie radioattive: un’opportunita per cui le nazioni industrializzate sono disposte a spendere. Su Annabon vivono delle persone, ma da questo momento in poi la loro aspettativa di vita si riduce in maniera drastica. Pesca selvaggia, contrabbando di armi, traffico di droga, lavoro minorile: Obiang non si fa mancare nulla e trasforma il fazzoletto verde nel golfo di Guinea in un piccolo e delizioso paradiso per gangster. I creditori stranieri fanno pressioni. Deve essere instaurata la democrazia. Controvoglia, Obiang accetta che si formino partiti di opposizione; in fondo, nonostante tutte le attivita criminali cui ha dato vita, ha ancora un debito di duecentocinquanta milioni di dollari. Ma poi succede una cosa incredibile che, nel giro di una notte, fa risplendere il futuro del Paese di una luce nuova. Accade davanti a Bioko, poi davanti alla costa continentale, e la bocca del presidente si fa rotonda per la meraviglia, esattamente la stessa forma che assume quando si pronunciano le ultime lettere di una certa parola... «Petrolio.» «Gia», confermo Jericho. «I primi giacimenti sono stati individuati agli inizi degli anni ’90, e hanno subito scatenato l’interesse delle multinazionali, che si sono lanciate alla conquista del golfo di Guinea. I diritti umani sono passati in secondo piano. Le licenze di sfruttamento, infatti, erano un argomento di conversazione piu interessante.» «E Obiang ha battuto cassa.» «E ha pure fatto pulizia, approfittando del momento favorevole. » Jericho indico il monitor. «Se vuoi vedere l’elenco delle persone arrestate e uccise...» «Lascia stare.» «Tranne la Spagna, bisogna dire. Madrid ha protestato ufficialmente per la violazione dei diritti umani.» «Massimo rispetto.» «In realta era solo frustrazione. Dopo essere scappati in Spagna, alcuni oppositori avevano denunciato il clan di Obiang, quindi lui era piuttosto restio a concedere licenze alle societa spagnole. Il governo iberico ha reagito in modo irritato e, come ritorsione, ha congelato gli aiuti per lo sviluppo. Commovente, in un certo senso, perche poco dopo la Mobil ha scoperto un altro giacimento davanti a Malabo, incrementando la crescita economica della Guinea Equatoriale del quaranta per cento. Poi gli eventi si sono susseguiti a una velocita impressionante: sono stati individuati giacimenti a Bioko e Mbini; Malabo ha avuto un boom edilizio; sono nate citta petrolifere come Luba e Bata. Obiang non aveva piu oppositori. Era diventato il re del petrolio. La sua rielezione a meta degli anni ’90 e stata una farsa. L’unico concorrente serio, Severo Moto, del Partito progressista, e stato condannato a cento anni di carcere per alto tradimento, ma e riuscito in qualche modo a fuggire in Spagna.»
Yoyo lo fisso, pensierosa. «Interessante. E chi deteneva la maggior parte delle licenze?» «L’America.» «E la Cina?» Jericho scosse la testa. «Non era ancora coinvolta. Le societa americane conducevano il gioco: erano state piu rapide e avevano imposto a Obiang contratti molto sfavorevoli. Pero lui aveva capito poco della questione, firmando qualunque accordo gli fosse stato sottoposto. Nel frattempo, la tensione etnica tra Fang e Bubi raggiungeva il culmine. Sulla terraferma, i Bubi erano praticamente assenti; in compenso rappresentavano la maggioranza sull’isola di Bioko, davanti alla quale all’improvviso aveva iniziato a sgorgare il petrolio. Prima erano tutti poveri, in teoria ora avrebbero dovuto essere tutti ricchi, pero Obiang aveva soltanto riempito le proprie tasche. Nel 1998, sono iniziate le proteste. I Bubi hanno fondato un movimento con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza di Bioko, un’ipotesi che Obiang doveva scongiurare in ogni modo.» «Le truppe sovietiche hanno tirato fuori i carri armati dalle rimesse per molto meno.» «Le truppe cinesi...» Yoyo alzo gli occhi al cielo. «S, anche loro. D’accordo. Come ha reagito Obiang?» «Ha rifiutato d’incontrare gli oppositori. Allora i Bubi piu radicali hanno attaccato le stazioni di polizia e le basi militari. Erano disperati, cittadini di serie B, e se ne rendevano conto ogni giorno di piu. La maggioranza Fang non se la passava molto meglio, ma loro erano di certo quelli piu svantaggiati. Il denaro che circolava nel Paese sarebbe stato sufficiente per farli vivere nel lusso. D’altro canto...» «... in ogni paradiso esiste anche un inferno», sentenziano gli abitanti di Malabo all’inizio del nuovo millennio. In altre parole: il paradiso e nell’inferno come un lingotto d’oro che galleggia in un mare di merda. Subito prima del boom, la Guinea Equatoriale e in cima alla classifica dei Paesi piu poveri del mondo. A Bioko, l’esportazione di cacao e crollata; lungo la costa, diverse piantagioni di caffe sono state inghiottite dalle erbacce. I legni pregiati promettono grandi guadagni, quindi si abbattono abachi e bongossi e poi si sta con le mani in mano a guardare i tronchi sparpagliati a terra, dato che mancano i veicoli per trasportarli. E comunque non ci sono strade. La malaria, la regina della giungla, si e alleata coi servizi sanitari praticamente inesistenti per abbassare l’aspettativa di vita della popolazione a quarantanove anni, coadiuvata da un nuovo morbo chiamato AIDS. In tutto il Paese, oltre alle felci, alle orchidee e alle bromelie, ormai fiorisce solo la corruzione. Quattro anni dopo, l’umido fazzoletto di terra africano puo vantare un tasso di crescita annuale del ventiquattro per cento. Il petrolio e i dollari scorrono a fiumi, ma le condizioni di vita non migliorano. A Obiang viene il sospetto di essere stato ingannato durante le trattative per i
contratti di licenza. Persino l’arresto e la condanna a morte dei leader piu popolari dei Bubi non contribuiscono a migliorare il suo umore. Non si puo dire che il presidente viva di stenti: mentre l’Africa nera va a fondo a causa dell’HIV, lui diventa ricco, stringe accordi commerciali con la Nigeria per lo sfruttamento congiunto dei giacimenti petroliferi e inizia l’estrazione del gas naturale. Solo che altri dittatori sono riusciti a concludere affari piu lucrosi. Nel 2002, un anno prima delle elezioni, vengono arrestate dozzine di presunti golpisti, tra cui diversi leader dell’opposizione, e cio incide in modo sorprendente sull’affluenza alle urne. Nessuno che sia sano di mente metterebbe in dubbio la rielezione di Obiang, ma il fatto che il candidato riesca a guadagnare il centotre per cento delle preferenze sbalordisce persino gli analisti piu disincantati. Fortificato dall’esperienza e dal consenso popolare, Obiang inizia ad alzare il prezzo delle licenze e alla fine i conti tornano. Teodorin, figlio maggiore del presidente e ministro delle Foreste, puo scorrazzare tra Hollywood, Manhattan e Parigi a bordo di un jet privato, comprare dozzine di Bentley, Lamborghini e ville di lusso, e organizzare party a base di champagne in cui sognare il momento in cui il genitore perdera la propria battaglia contro la prostata e gli cedera lo scettro del comando. Il genitore, nel frattempo, viene aiutato dalla Riggs Bank di Washington a spostare, nella piu assoluta riservatezza, trentacinque milioni di dollari dalle casse statali su conti privati. Quando l’operazione viene scoperta, il presidente assume un atteggiamento offeso, anche se non particolarmente impressionato. Nella «Kuwait africana», come ormai viene chiamata la Guinea Equatoriale, si puo vivere bene anche con la reputazione rovinata. Il Paese viene gestito dai piu importanti produttori di petrolio del continente africano e vanta il tasso di crescita piu alto del mondo. Il dittatore s’impegna a far credere di volere seguire le orme dello zio dal punto di vista culinario e di non disdegnare il croccante fegato fritto di un oppositore politico, posto che il vino sia quello giusto. Tutto falso, ma l’impatto e devastante. Le organizzazioni umanitarie gli dedicano articoli traboccanti di disprezzo e, a casa, nessuno osa piu dare confidenza a Obiang. La prospettiva di essere picchiati a morte a Black Beach per poi finire nel piatto del presidente non e allettante per nessuno. Altrove, non si prova lo stesso disgusto. George W. Bush, di solito poco attratto dall’Africa, piena di epidemie, individui affamati coperti di mosche e animali velenosi, corregge la propria posizione. Profondamente irritato dagli attacchi dell’11 settembre, vuole sganciarsi dal petrolio del Medio Oriente: in fondo, solo nell’Africa occidentale sono sotterrati oltre cento miliardi di barili di petrolio della migliore qualita. Bush ha intenzione di coprire il venticinque per cento del fabbisogno americano coi giacimenti africani entro il 2015. Mentre Amnesty International viene sommersa da innumerevoli storie dell’orrore, lui invita Obiang e altri autocrati africani a un’indecente colazione alla Casa Bianca. Nel frattempo, Condoleeza Rice si presenta alla stampa ed esprime parole di sincera amicizia: Obiang sarebbe un «buon amico», di cui gli
Stati Uniti apprezzano gli sforzi per ripristinare i diritti umani. Vengono scattate varie fotografie. Il buon amico sfoggia un umile sorriso e Ms Rice sorride accanto a lui. Dietro l’obiettivo sorridono i manager della Exxon, della Chevron, dell’Amerada Hess, della Total e della Marathon Oil. Nel 2004, lo sfruttamento del petrolio della Guinea Equatoriale e ormai completamente in mano americana. I gruppi petroliferi versano ogni anno settecento milioni di dollari sui conti di Obiang a Washington. Strano. Chi visita Malabo in quei giorni non nota nulla di tutto questo. Come sempre, l’unica strada asfaltata, la Carretera de Aeropuerto, un’autostrada a quattro corsie, conduce dall’aeroporto ai palazzi in stile coloniale del centro. La citta vecchia, in parte rinnovata, in parte diroccata, e piena di bordelli. Davanti al palazzo del governo, climatizzato e orribile, sono parcheggiati grossi fuoristrada. L’unico hotel emana lo stesso charme di una baracca. Non esistono scuole degne di questo nome. Non esiste un quotidiano che esca con regolarita. Nessun sorriso illumina i volti, nessuna parola e sincera. Si scorgono alcune impalcature ammassate come vecchi ubriachi - i costruttori sono gli Obiang -, ma quasi nulla viene portato a termine, a parte le residenze di famiglia. Che, peraltro, sono mostruosi monumenti alla totale assenza di buongusto. E spuntano come funghi i magazzini e i quartieri dormitorio per i lavoratori delle multinazionali petrolifere. Come se si sentisse in imbarazzo, l’ambasciata americana e seminascosta tra i caseggiati circostanti, mentre, poco piu in la, oltre il terreno recintato di proprieta della Exxon, spicca l’impressionante facciata dell’ambasciata cinese. «Dunque e stato in quegli anni che hanno iniziato a fare la corte a Obiang», commento Yoyo. «Benche fosse tutto in mano degli americani.» «Se non altro ci hanno provato», replico Jericho. «All’inizio con poco successo. La nuova cerchia di amici di Obiang non comprendeva solo la dinastia Bush. Anche la Commissione europea srotolava volentieri il tappeto rosso per lui e in particolare lo srotolavano i francesi. La soppressione della liberta di culto e le torture non contavano nulla. Che l’unica organizzazione per i diritti umani del Paese fosse controllata dal governo, esattamente come erano controllate la radio e la televisione, non interessava a nessuno. Se due terzi della popolazione vivevano con meno di due dollari al giorno, mei you banfa, come si dice qui in Cina. Non ci si poteva fare niente. La regione era cruciale dal punto di vista strategico: chi arrivava tardi raccoglieva soltanto le briciole, e i cinesi erano arrivati in ritardo.» «E come ha reagito la popolazione locale alla presenza di lavoratori stranieri nel settore petrolifero?» «Non ha fatto nulla. Gli stranieri atterravano direttamente sul terreno di proprieta del gruppo, isolato dall’esterno. All’epoca, la Marathon ha costruito una citta poco lontano da Malabo, intorno a un impianto per la liquefazione del gas e, in certi periodi, ci vivevano piu di
quattromila persone. Una ’zona verde’ con una propria rete elettrica e idrica, ristoranti, negozi e cinema... Sai come la chiamavano i lavoratori? ’Pleasantville.’» «Carino.» «Molto carino. Se un dittatore ti da il permesso di saccheggiare i suoi beni, mentre il popolo e costretto a macellare le scimmie per sopravvivere, non muori dalla voglia di entrare in contatto con questa gente. E questa gente ha ancora meno voglia di vedere te. Comunque non si e mai arrivati a una situazione del genere: le compagnie petrolifere erano autosufficienti. Per l’economia locale, il fatto che alcuni chilometri piu in la fossero alloggiate migliaia di americani non cambiava nulla. La maggior parte dei lavoratori trascorreva mesi in quei ghetti o sulle piattaforme, scopava ragazze pulite, cioe non affette dall’AIDS, provenienti dal Camerun, ingoiava tonnellate di pastiglie contro la malaria e cercava di tornare a casa il prima possibile, senza avere il minimo contatto col Paese ospitante. Nessuno voleva contatti. L’importante era che Obiang rimanesse in sella, e con lui l’industria petrolifera americana.» «Ma qualcosa deve essere andato storto. Per gli americani, intendo. Ai tempi di Maye sono praticamente scomparsi dalla scena.» Jericho annu. «È vero, qualcosa e andato storto. La caduta e iniziata nel 2004. Ma la colpa in realta e di un inglese. Mark Thatcher.» «Mai sentito.» «Il figlio di Margaret Thatcher.» «Mai sentita neanche lei.» «Non importa. Ho la sensazione che la nostra storia e tutti i guai che ci sono capitati traggano origine dal cosiddetto Wonga-Coup. » «Dal cosa?» Wonga-Coup. In lingua bantu, Wonga significa «denaro». E Coup significa «golpe». Un rozzo neologismo per definire uno dei tentativi di golpe piu ridicoli di tutti i tempi. Nel marzo 2004, uno sgangherato e preistorico Boeing atterra all’aeroporto di Harare, nello Zimbabwe, pieno di mercenari provenienti dal Sudafrica, dall’Angola e dalla Namibia. Il piano e imbarcare armi e munizioni, proseguire per Malabo e l unirsi a un manipolo di combattenti mandati in avanscoperta. Tutti insieme dovrebbero rovesciare il governo, uccidere Obiang o metterlo in una delle sue prigioni: l’importante e il cambio al vertice. Nel vicino Mali, il giorno precedente, e comparso come per magia Severo Moto, il leader del Partito progressista all’opposizione, che ha abbandonato l’esilio madrileno. Da l potrebbe raggiungere Malabo nel giro di un’ora e farsi baciare i piedi dalle persone riconoscenti per il suo ritorno. Ma le cose non vanno come sperato. I servizi segreti sudafricani - che vigilano sugli aguzzini, ora disoccupati, dell’apartheid - hanno intuito il piano e avvisato Obiang. Nello stesso momento, il governo dello Zimbabwe viene messo al corrente dell’arrivo di alcuni com-
battenti, convinti di poter fare la rivoluzione con alcuni vecchi kalasnikov. La trappola scatta, tutti vengono arrestati e condannati. Fine della storia. O, meglio, questa avrebbe dovuto essere la fine della storia. Ma, sfortunatamente - almeno per i mandanti -, gli interrogati vuotano il sacco nella speranza di una riduzione della pena. E scoppia la bomba. Uno dei capi del commando e Simon Mann, un ex ufficiale inglese, per anni direttore dell’Executive Outcomes e della Sandline International, nella cui rete sguazza anche un certo Jan Kees Vogelaar. Arrestato nello Zimbabwe, Mann racconta che dietro l’intera faccenda si nasconde un losco uomo d’affari che risponde al nome di Ely Calil, originario del Libano ma con cittadinanza inglese. Ma soprattutto si nasconde Sir Mark Thatcher, il figlio dell’ex premier inglese, che avrebbe messo a disposizione somme ingenti per realizzare il progetto. Questo e sufficiente per far rilasciare a Obiang violentissime dichiarazioni, incentrate sulla sua volonta di sodomizzare Simon Mann e Thatcher sotto gli occhi di tutta la brava gente della Guinea Equatoriale prima di scuoiarli vivi. E lascia pure intendere che, se Thatcher venisse catturato, ne consegnerebbe volentieri alcune parti anatomiche al suo cuoco personale. Mentre Sir Mark cerca rifugio dietro le sottane di mamma, Mann rischia l’estradizione. Tutto cio, unito alla prospettiva di partecipare alle danze di Black Beach, contribuisce sensibilmente a sciogliergli la lingua. Ed ecco la sorpresa: Thatcher e solo un prestanome. I veri finanziatori sono i gruppi petroliferi inglesi, la creme de la creme del settore. Non hanno digerito il fatto che la ricchezza prodotta venga spartita tra le aziende americane e che Obiang non abbia concesso licenze di trivellazione a nessun altro. Severo Moto aveva il compito di ridistribuire la torta: un presidente fantoccio, che tra l’altro aveva promesso di favorire i gruppi petroliferi spagnoli. E, alla fine, Mann fa scoppiare la vera bomba: tutti ne erano al corrente. La CIA. L’MI6. I servizi segreti spagnoli. Tutti sapevano e tutti hanno dato una mano. In pieno revival colonialistico, le navi da guerra spagnole avrebbero persino fatto rotta verso la Guinea Equatoriale. Obiang e sconvolto. Il suo amico americano lo ha pugnalato alle spalle. Non piu disposto a proteggerlo, Bush era pronto, nell’interesse di un governo fantoccio, a cedere quote agli inglesi e agli spagnoli per trattare condizioni di sfruttamento piu vantaggiose. Obiang s’infuria con tutta la banda... e decide di far avverare le loro aspettative, ridistribuendo le licenze. Pero lo fa in modo completamente diverso da quello che gli strateghi del mercato globale si aspettavano. Le aziende americane vengono buttate fuori e i sudafricani ricevono nuove quote. I rapporti con Jose Maria Aznar, complice di Severo Moto e rappresentante del Paese che ha concesso asilo a quarantamila guineiani in esilio, vengono congelati. La Francia invece sembra aver contribuito a smascherare il tentato colpo di Stato e, di conseguenza, Obiang la considera con benevolenza.
E non c’e qualcuno gia pronto ai blocchi di partenza, in attesa di un passo falso dell’America? «Qui entra in gioco la Cina», commento Yoyo. «In punta di piedi. All’inizio, Obiang sembrava disposto a perdonare e a dimenticare. Aznar aveva finito il proprio mandato, quindi con la Spagna si poteva di nuovo trattare; infatti il dittatore aveva cercato di rabbonirla. Washington si affidava a vie diplomatiche per riallacciare i rapporti. Sorrisi su sorrisi con Condoleeza Rice, nuovi accordi, nuove alleanze. Nel 2008, i gruppi petroliferi estraevano ogni anno cinquecentomila barili di greggio dal mare di fronte a Obiangs own country, il Paese vantava il reddito pro capite piu alto di tutta l’Africa. Gli analisti stimavano che le riserve di greggio della Guinea Equatoriale fossero persino superiori a quelle del Kuwait. Buona parte di esse raggiungeva gli Stati Uniti, qualcosa anche la Francia, l’Italia e la Spagna. Ma il vero vincitore...» «... era la Cina.» «Esatto. Ha eguagliato l’America. Senza fare rumore.» «Ho capito.» Yoyo lo guardo con le palpebre socchiuse. Anche Jericho si sentiva un po’ assente. La mancanza di riposo e i sobbalzi del jet iniziavano a far sentire il loro effetto narcotizzante. «E Obiang?» «Era ancora arrabbiato. Molto arrabbiato. Alcuni membri del suo governo avevano saputo delle intenzioni dei golpisti e lui ne era consapevole. Un piano del genere sarebbe riuscito solo con qualche infiltrato. Quindi sono rotolate un po’ di teste e, da quel momento in poi, lui non si e fidato piu di nessuno. Ha assoldato guardie del corpo marocchine perche aveva timore della propria gente. Nel contempo, si faceva adulare in modo bizzarro. Quando arrivavano i grandi capi della Exxon, i ministri e i generali dovevano rivolgersi a lui con l’appellativo di Excelentssimo. Gli ex schiavi incontravano gli ex mercanti di schiavi e tutti si disprezzavano a vicenda. I consigli di amministrazione dei gruppi petroliferi odiavano doversi sedere intorno a un tavolo con quei piccoli dittatori, ma lo facevano lo stesso, perche entrambe le parti guadagnavano cifre enormi.» «E il Paese era ancora in ginocchio.» «Con alcuni vantaggi per i Fang, ma nel complesso l’economia era al collasso. D’accordo, nelle baraccopoli giravano un paio di fuoristrada in piu, tutti possedevano almeno un cellulare, ma l’acqua corrente e l’elettricita erano beni di lusso. Il Paese era prigioniero della maledizione del greggio. Chi ha voglia di lavorare o studiare, se i dollari fluiscono nei conti correnti come per magia? La ricchezza aveva trasformato gli uni in animali feroci e gli altri in zombie. Bush aveva dichiarato di voler svuotare il fondale marino davanti a Malabo entro il 2030 e aveva promesso a Obiang di lasciarlo in pace coi diritti umani e coi tentativi di golpe. In piu, lo pagava profumatamente.»
«Non suona poi cos male. Voglio dire, per Obiang.» «S, avrebbe potuto accontentarsi. Ma non l’ha fatto. Perche il buon Obiang...» ... e come un elefante. Rancoroso. Diffidente. Come solo gli elefanti sanno essere. Non puo dimenticare che Bush, gli inglesi e gli spagnoli hanno cercato di fregarlo. I pistoni ben oliati della sua macchina governativa funzionano a meraviglia e la rielezione del 2009 e un successo. La ricchezza e tale che alcune briciole raggiungono pure gli strati medi e bassi della popolazione, abbastanza per anestetizzare ogni impeto rivoluzionario. Ma Obiang medita vendetta. Per ironia della sorte e proprio il nuovo presidente americano a mettere in moto il cambiamento. Paradossalmente ci si poteva fidare di Bush, il cui limitato senso morale era pari alla sua limitata eloquenza. Barack Obama, invece, il sacerdote del change we can believe in, del cambiamento in cui si puo credere, e disgustato all’idea di fare colazione con un cannibale. Nello sforzo di ricostruire il prestigio internazionale dell’America, recupera dalla cloaca dei discorsi di Bush concetti quali «democrazia» e «diritti umani», ascolta diligentemente le Nazioni Unite quando si parla di sanzioni contro gli Stati canaglia e infastidisce Obiang con richieste di tipo umanitario. In mezzo al frastuono delle fanfare retoriche, Obiang si accorge che, nel breve spazio di una notte, su Sao Tome e Prncipe, cioe proprio davanti al suo naso, sono comparse due basi militari statunitensi. Anche intorno a questa piccola isola-Stato si presume esistano giacimenti di petrolio. Nel frattempo, la Cina e gli Stati Uniti hanno iniziato a sfidarsi per il controllo delle risorse. I tesori della Terra sembrano esistere solo per essere spartiti tra i due giganti economici. Ufficialmente le postazioni hanno lo scopo di assicurare che il trasporto di petrolio e gas nel golfo di Guinea si svolga senza intoppi, ma Obiang paventa il tradimento. La sua caduta faciliterebbe la vita agli americani. E loro forzeranno di certo gli eventi perche cio avvenga, almeno finche lui non andra a letto con ogni puttana gli capiti a tiro invece di sposarne una. Obiang allora volge lo sguardo a oriente. Nel 2010, Pechino ormai e diventata il maggiore finanziatore del continente africano, superando persino la Banca Mondiale. Il presidente fa due considerazioni strategiche. La prima: se favorisse i cinesi nel poker delle materie prime, la Cina rappresenterebbe il pericolo minore per un eventuale golpe contro di lui. La seconda: se non lo facesse, Pechino diventerebbe la minaccia piu grande. Quindi concede altre licenze alla Cina. A Washington squillano vari campanelli d’allarme. Come sempre, gli USA cercano di coltivare l’amicizia con gli Stati che hanno qualcosa da offrire. I rappresentanti degli Stati Uniti si recano a fumosi incontri sotto l’afoso cielo di Malabo. Atteggiandosi a cosmopolita, Obiang ribadisce la propria stima agli amici americani, mentre alle loro spalle ridistribuisce arbitrariamente i diritti di sfruttamento,
aumenta i costi delle licenze e fomenta l’odio contro gli «sfruttatori» occidentali. Vengono sferrati attacchi alle installazioni statunitensi, effettuati arresti ed espulsioni di lavoratori americani. Washington si vede costretta a minacciare Obiang con sanzioni e con lo spettro dell’isolamento. Il clima politico si deteriora rapidamente. Poi, nel suo delirio di onnipotenza, Obiang fa il passo piu lungo della gamba. Irritato dall’ampliamento delle basi americane, lancia un attacco a sorpresa a Pleasantville, la citta del petrolio della Marathon. Sul promontorio di Punta Europa si combatte una vera e propria battaglia, con morti da entrambe le parti. Come sempre, il presidente smentisce ogni coinvolgimento, esprime profondo cordoglio e promette di crocifiggere i colpevoli lungo l’autostrada, com’era abituato a fare suo zio. Pero commette l’errore di addossare le colpe ai Bubi: una scintilla gettata in un magazzino pieno di taniche di benzina. Troppo concentrato sulle sue tattiche geostrategiche, Obiang non si e accorto che il conflitto etnico ha da tempo superato la soglia d’allarme. I Bubi si difendono dalle accuse e attaccano i Fang del clan Esangui, quindi vengono assassinati dai corpi paramilitari di Obiang. Ma stavolta la tattica intimidatoria del presidente non funziona. Quelli della Marathon hanno identificato il cadavere di uno degli aggressori caduti: un ufficiale dell’esercito della Guinea Equatoriale, un Fang, per di piu cognato di Obiang. Washington non esclude un intervento armato. Come deterrente, Obiang fa arrestare gli americani e accusa Obama di tramare contro di lui, un atto che incoraggia i politici Bubi a mandare segnali di amicizia a Washington. Severo Moto, lo sfortunato quasipresidente che, nel suo esilio spagnolo, non ha altro da fare che mordersi le mani, fornisce i dettagli: se - e solo se - si riuscisse a prendere il controllo di Malabo, la capitale, un colpo di Stato potrebbe riuscire. I cuori dei Bubi batterebbero per l’America. Si scrive una nuova equazione: America piu Bubi uguale colpo di Stato uguale Cina fuori dai giochi e rientro dell’America dalla porta principale. Ufficialmente gli Stati Uniti negano l’intenzione di rovesciare il governo della Guinea Equatoriale, ma ormai il dado e tratto. Obiang e nervoso. Cerca di riunire i Fang intorno a se, ma il peso degli errori compiuti si fa sentire. Sotto il suo regime, la maggior parte dei Fang non se l’e passata meglio dei Bubi. Sono insoddisfatti e disuniti. Specialmente il clan al governo si rivela un ginepraio d’intrighi degno di una tragedia di Shakespeare. Protetto dalla sua guardia marocchina, il presidente non si rende conto che, senza dare nell’occhio, l’America ha iniziato a corrompere i leader dei Fang e dei Bubi perche si accordino. Anche la Cina fa le sue offerte. Il parlamento guineiano e in vendita, una Sotheby’s della corruzione. I partiti dei Bubi dispersi in patria e all’estero stringono traballanti alleanze. Obiang reagisce col terrore, condizioni al limite della guerra civile scuotono il Paese e calamitano l’attenzione della stampa internazionale. Gli Stati Uniti tolgono ogni sostegno al re del petrolio. Vogliono che indica nuove elezioni o si dimetta immediatamente. Pazzo di rabbia, il dittatore minaccia i Bubi con la prospettiva di un genocidio e
lascia intendere di voler mangiare molti fegati fritti, ma la rivolta non e piu arginabile. Ad aumentare la confusione, i clan Fang del trascurato entroterra passano inaspettatamente dalla parte dei Bubi. Obiang chiede elicotteri da guerra, ma Pechino tergiversa. La politica del non-intervento, pietra angolare della politica estera cinese, non ammette nessun aiuto militare. Nel contempo, l’Assemblea dell’ONU studia risoluzioni contro la Guinea Equatoriale. La Cina pone il veto, l’Unione Europea chiede le dimissioni di Obiang. Il Camerun cerca di mediare, ma su entrambe le sponde dell’oceano la posizione e concorde: il suo tempo e scaduto. Deve andarsene. In un modo o nell’altro. Nel 2015, un anno prima della scadenza del suo mandato, indebolito dalle crisi politiche e dalla prostata, alla fine il dittatore crolla. La televisione di Stato mostra un uomo vecchio, stanco e soprattutto malato, motivo per cui si dice ormai incapace di servire adeguatamente il suo amato popolo. Di conseguenza, per il bene della Guinea Equatoriale, ha deciso di cedere la sua carica a una persona piu giovane, ovvero... Ci si aspetterebbe di vedere comparire da dietro una tenda il figlio maggiore di Obiang, Teodorin, con la divisa da presidente ma, in previsione di quanto sarebbe accaduto, Teodorin e sparito nel triangolo delle Bermuda del jet set internazionale. Peraltro la maggioranza dei suoi zii e cugini preferirebbe vedere al potere il fratello minore Gabriel, che gestisce gia il mercato del petrolio. I teodorinisti e i gabrielisti iniziano a litigare. Gli Stati Uniti - acerrimi nemici di Teodorin, che l’anno precedente ha gridato ai quattro venti di voler riformulare i contratti petroliferi a svantaggio degli americani - alimentano voci secondo cui Teodorin starebbe complottando per assassinare Gabriel. Improvvisamente nessuno sembra aver voglia di mettersi alla guida del Paese. Nauseato da tanta vigliaccheria, Obiang decide di nominare un traghettatore che gestisca gli affari di governo per l’anno successivo fino allo scadere del suo mandato e poi indica libere elezioni, ammettendo tutti i partiti e i candidati. Il prescelto e il comandante in capo dell’esercito, un cugino di Obiang, le cui onorificenze sul petto testimoniano una vita di servigi e lealta, tra cui l’aver sventato diversi attentati e colpi di Stato e l’aver arrestato e torturato molti Bubi e Fang. Si tratta... ... del generale di brigata Juan Alfonso Nguema Maye. Tozzo e calvo, con un sorriso aperto e ammaliante. Maye, che a Berlino possiede un distributore di benzina e mangia con gusto i bulbi oculari di Yoyo, mentre Jan Kees Vogelaar... «Owen.» Maye si trasforma in Kenny, si avvicina, una sagoma nera che si staglia su una parete in fiamme, solleva un braccio e Jericho vede che tiene in mano il teschio di Yoyo, con le orbite vuote. Dammi il tuo computer, dice.
Dammi il tuo... «Owen, svegliati.» Qualcuno stava scuotendo Jericho per le spalle. La voce di Yoyo s’insinuo nel sogno. Lui percep il suo profumo e apr gli occhi. Dietro di lei, Tu Tian stava ridendo. «Cosa c’e?» Poi indico la plancia di comando. «Non dovresti essere seduto la davanti?» «Pilota automatico, xingdì Un’invenzione prodigiosa. Ho dovuto sostituirti temporaneamente. Vuoi sapere come va avanti la storia con Maye?» «Ehm...» «Potrebbe essere un ’s’. Cosa ne pensi, ha detto di s?» sussurro Yoyo, rivolta a Tu Tian. «Sembra piuttosto che abbia bisogno di un caffe. Vuoi un caffe, Owen?» «Cosa?» «Ho chiesto se vuoi un caffe.» «Io... No, niente caffe.» «Non e del tutto presente, il nostro ’frabetator’», bisbiglio Yoyo in tono da cospiratrice. Tu Tian sogghigno. «Frabetator...» I due sembravano divertirsi un mondo, e lui era la fonte del loro divertimento. Lancio uno sguardo imbronciato fuori dal finestrino e poi torno a guardarli. «Quanto ho dormito?» «Oh, un’oretta.» «Mi dispiace, io non...» Yoyo lo fissava. Cercava di restare seria, ma alla fine lei e Tu Tian scoppiarono in una sonora risata. Risero fino a restare senza fiato. «Cosa ci sarebbe di tanto comico?» «Niente!» «Invece qualcosa c’e.» «No, niente, Owen, davvero. È solo che...» «Che cosa?» L’altezza ha dato alla testa a tutti e due, penso. Un attacco d’isteria. C’erano persone che, dopo esperienze traumatiche, non riuscivano piu a smettere di ridere. Sorprendentemente, anche se non aveva la minima idea del perche stessero ridendo, provava una dolorosa voglia di unirsi alla loro ilarita. Non va bene. Magari poi perdiamo tutti la testa. «Allora?» «Ecco...» Yoyo tiro su col naso e si asciugo gli occhi. «È una cosa stupida, Owen. Ti sei addormentato nel bel mezzo di una frase. La tua ultima parola e stata...» «Quale?» «Credo che volessi dire ’traghettatore’. Hai detto che Obiang aveva scelto un... un frabet...»
Tu Tian singhiozzava, incapace di smettere di ridere. «... tator...» «Voi due non siete normali.» «Dai, su, e divertente! È davvero divertente!» grugn Tu Tian. «Che cosa sarebbe tanto divertente?» «Ti sei addormentato nel bel mezzo di una frase», ridacchio Yoyo. «La tua testa e caduta in avanti in una posizione strana, la mascella si e aperta, piu o meno cos...» Con pazienza, Jericho attese che la parodia della sua umiliazione finisse in un filo di bava. Tu Tian si asciugo il sudore sulla fronte. In momenti come quelli, l’umorismo inglese e quello cinese sembravano lontani anni luce, ma all’improvviso si rese conto che pure lui stava ridendo. In qualche modo, ridere aveva un effetto benefico. Come se qualcuno dentro di lui stesse spostando i mobili e aprendo le finestre per dare aria all’animo. «D’accordo.» Tu Tian gli diede una pacca sulla spalla. «Torno davanti. Yoyo ti raccontera il resto. Poi potremmo tirare le nostre conclusioni.» «Dov’eravamo rimasti?» «Al frabetator...» «Okay, ora basta.» «No, sul serio. Al generale Maye.» Naturalmente. Obiang aveva nominato come successore il comandante in capo dell’esercito. Maye avrebbe dovuto sfruttare il tempo fino alla scadenza del mandato del presidente per preparare elezioni democratiche, invece... ... nessuno si fida del generale di brigata. Maye e considerato un duro, nonche un burattino nelle mani di Obiang. Senza dubbio ci saranno delle elezioni, in cui pero verra eletto Maye stesso oppure uno dei figli del presidente. Un’opzione che non alletta nessuno. Tranne Pechino. Quello che succede dopo e una sorpresa pure per Obiang e per Maye, al punto che, varie settimane dopo, si chiederanno ancora se non abbiano semplicemente fatto un brutto sogno. Il giorno del passaggio di consegne, un’alleanza raffazzonata di Bubi e Fang, tra cui anche alcuni membri dell’esercito, assalta in un’azione coordinata diverse stazioni di polizia di Malabo e la sede del governo, arresta il dittatore e il suo successore designato, li porta entrambi al confine col Camerun e, senza tanti complimenti, li butta dall’altra parte. L’investimento americano ha dato i suoi frutti: praticamente ogni posizione chiave nel governo e stata comprata, e questo addirittura a vantaggio di Obiang, perche Washington ha preteso, in cambio del supporto logistico e strategico del colpo di Stato, che non ci fossero linciaggi o episodi di giustizia sommaria.
Per alcune ore, il Paese resta senza guida. Poi, da un aereo commerciale spagnolo, sbarca il successore di Severo Moto, un economista di nome Juan Aristide Ndongo dell’etnia dei Bubi, che ha trascorso molti anni a Black Beach per aver criticato il regime e per questo raccoglie un ampio consenso nella popolazione. È considerato intelligente, gentile e debole, il Manchurian candidate ideale. I Fang e i Bubi si sono accordati sulla sua nomina con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Spagna, nella speranza di poter manovrare il buon Ndongo a proprio piacimento. Ma lui stupisce tutti: ha una propria strategia politica. Dichiara di voler mettere mano alle infrastrutture, creare un sistema scolastico degno di questo nome, rimettere in moto l’economia. Promette salute e benessere per tutti. Soprattutto, pero, lancia anatemi contro il capitalismo vampiresco della Cina che, insieme con la spietatezza di Obiang, avrebbe fatto precipitare la Guinea Equatoriale nel baratro. Inoltre straccia i contratti di licenza sottoscritti con Pechino e ripristina quelli americani, prevedendo saggiamente di fare lo stesso anche con gli spagnoli, gli inglesi, i francesi e i tedeschi. Ma la realta lo bracca come una muta di cani. I tentativi di mettere in atto il suo piano gli valgono le ire dell’elite Fang, che non aveva messo in conto l’istinto di sopravvivenza politica di Ndongo. Deposita i guadagni derivanti dal petrolio in fondi fiduciari invece di trasferirli su conti privati, sottraendo il denaro al circuito della corruzione. Come promesso, costruisce strade e ospedali, da nuovo impulso al commercio di legname, allenta la censura. In questo modo, attizza l’odio del vecchio entourage di Obiang, che a suo tempo si era fatto comprare e non immaginava che il politico Bubi avrebbe potuto fare di testa propria. Un anno dopo il cambio al vertice, lo zoccolo duro si e ritirato all’opposizione. Tutto quello che il presidente riesce a realizzare rinfocola il loro disgusto, percio tentano di sabotarlo in ogni modo, attaccano la sua incapacita di eliminare il risentimento etnico e gettano benzina sul fuoco. Ndongo, dicono, e un secondo Obiang, un fantoccio degli Stati Uniti che trascurerebbe i Fang. Molti dei progetti coraggiosamente intrapresi vengono bloccati. L’AIDS dilaga, la criminalita prospera e, alla fine, il parlamento si rivela altrettanto corrotto di quello che lo ha preceduto, mentre il presidente, che si ostina ad agire nella legalita, perde il controllo della situazione. Il secondo anno, alcuni Fang Esangui radicali attaccano installazioni petrolifere americane ed europee. I Bubi e i Fang si fanno la guerra come al solito e le bande terroristiche impediscono ogni tentativo di stabilizzazione politica. Il sogno di un mondo migliore collassa miseramente. Per i suoi oppositori, il presidente si e spinto troppo oltre; per i suoi amici, non e andato abbastanza lontano. In un doloroso atto di ripensamento, Ndongo inasprisce i toni, ordina arresti di massa e, nell’arco di una notte, sperpera il suo unico capitale: la rettitudine. Nel Camerun, Maye sta scaldando i muscoli.
«Si puo dire che, fuori del Paese, la situazione sia questa: Obiang, malato e amareggiato, ciondola oltre confine e fa pressioni su Maye affinche, alla prima occasione, rovesci l’attuale presidente. Secondo il volere del vecchio, pero, il generale non dovrebbe governare di persona, ma preparare il terreno per Teodorin e Gabriel, i quali, al solo pensiero di Ndongo al potere, si sono lanciati l’uno fra le braccia dell’altro. Il Paese e destabilizzato, Ndongo e sull’orlo del precipizio. A Maye basterebbe varcare il confine.» «Credevo che i golpisti non avessero bisogno di un visto...» «Infatti lui accetta e da il via alle operazioni. È ben noto che Maye ha preso contatti con una societa di mercenari privata, l’APS, l’African Protection Services. E questa...» - Yoyo fece una pausa carica di suspense - «... dovrebbe interessarci molto!» «Fammi indovinare. Ricompare Vogelaar.» La ragazza sorrise, soddisfatta. «Ho trovato gli anni mancanti. Il nome ArmorGroup ti dice qualcosa?» «Lo conosco. È il colosso inglese della sicurezza.» «Nel 2008 l’ArmorGroup ha accettato un incarico in Kenya. Nello stesso periodo, dall’azienda si e staccata un’impresa piu piccola, l’Armed African Services. La Mamba di Vogelaar in quel momento operava nella stessa area di crisi. Ci sono inevitabilmente stati prima contatti e poi incontri... forse si sono prestati un po’ di munizioni a vicenda. Insomma, per farla breve, si sono piaciuti e nel 2010 hanno fondato l’APS, con a capo Vogelaar. Tutto chiaro?» «S. Maye ha rovesciato Ndongo con l’aiuto dell’APS. Ma chi finanziava l’APS all’epoca?» «È proprio questo il punto. La politica di Maye era estremamente favorevole alla Cina.» «Vuoi dire che...» «Voglio dire che, per tutto questo tempo, abbiamo supposto che il frammento parlasse del tentato golpe dell’anno scorso. Ma, nel 2017, Pechino avrebbe avuto molti piu motivi di rovesciare il governo della Guinea Equatoriale.» Jericho riflette. Cercava di ricordare chi deteneva attualmente il potere a Malabo. Piu ci pensava, piu era sicuro che Ndongo avesse ripreso il suo posto. «E com’e andato il golpe di Maye?» «Liscio come l’olio. Ndongo era all’estero. Nessuno sembrava sorpreso. Quasi nessuna resistenza, niente morti. Ma e stato Obiang ad avere un vero shock. Maye ha fatto arrestare diversi oppositori, tra cui anche molti intimi amici del vecchio dittatore, i teodorinisti, i gabrielisti...» «Perche non aveva nessuna intenzione di cedere il potere a qualcun altro.» «Esatto.» «E Vogelaar e diventato il capo della sicurezza.»
«Gia.» «Esistono prove che la Cina sia stata coinvolta nel colpo di Stato?» «Owen, ma dove vivi?» lo rimprovero Yoyo. «Prove non ce ne sono mai. D’altro canto, bisogna essere idioti per non accorgersi che, subito dopo il golpe, la festa e finita per la Exxon, la Marathon e compagnia bella, mentre all’improvviso la cinese Sinopec nuotava nel petrolio della Guinea Equatoriale. Poi ci sono i discorsi di Maye: la Guinea Equatoriale sarebbe debitrice alla Cina, la Cina e sempre stata come una sorella, eccetera, eccetera. Tra le righe s’intuisce che aveva dato il suo assenso incondizionato alla svendita del Paese alla Cina.» Jericho annu. Senza dubbio Yoyo aveva ragione: Maye aveva conquistato il potere con l’aiuto cinese e aveva adeguatamente ricompensato i suoi benefattori. Ma allora perche quegli stessi benefattori, poco tempo dopo, avrebbero dovuto ucciderlo? «E se non fossero stati i cinesi?» propose Yoyo, come se gli avesse letto nel pensiero. «L’anno scorso, intendo.» «Allora chi?» «È cos difficile da indovinare? Maye non si e mai lasciato sfuggire l’occasione per irritare gli americani. Ha fatto arrestare i loro rappresentanti, ha cancellato i contratti, ha favorito gli attacchi terroristici contro le installazioni americane, anche se sul piano diplomatico ha sempre negato tutto. Comunque abbastanza per indurre Washington a minacciare sanzioni e un intervento militare.» «Un atteggiamento bellicoso. E poi? Quel tizio ha governato per sette anni. Cos’e accaduto in quel periodo?» «Ha fatto capire di che pasta era fatto. Affossando l’economia, facendo sparire gli oppositori, torturandoli, fucilandoli, decapitandoli, cose cos. In breve, tutti si rendono conto che, in confronto a Maye, Obiang era stato un vero e proprio benefattore, ma ormai ce l’hanno sul groppone. Certo, non ha interesse per il cannibalismo o per i riti magici, ma in compenso sviluppa una debordante megalomania. Costruisce grattacieli in cui non vive nessuno, ma va bene cos, dato che l’importante e avere uno skyline imponente. Pianifica di costruire una Las Vegas guineiana e vuole edificare un teatro sul mare, in cui mettere in scena opere liriche. Alla fine, perde completamente la testa e dichiara che la Guinea Equatoriale avrebbe sviluppato un programma spaziale: cos costruisce una rampa di lancio in mezzo alla giungla.» «Aspetta un attimo.» A Jericho sembrava di ricordare di aver letto qualcosa sull’argomento. Un dittatore africano che costruisce una base di lancio per missili e vaneggia che il suo Paese avrebbe mandato degli astronauti sulla Luna. «Non e stato...» «Nel 2022, due anni prima della caduta», disse Yoyo. «E com’e andata a finire?»
«Hai forse sentito parlare di africani nello spazio?» «No.» «Appunto. O, meglio, una volta ha davvero lanciato qualcosa. Un satellite per le comunicazioni.» «Cosa diavolo se ne faceva?» Yoyo si picchietto la tempia. «Era mezzo matto, Owen. Perche alcuni uomini si fanno allungare il pene? Non sono altro che piccole rampe di lancio. Ma tutta la faccenda e diventata ridicola quando il satellite e andato in avaria, poche settimane dopo il lancio.» «Pero il lancio e avvenuto.» «Senza problemi.» «E poi?» «E poi niente. Due anni dopo Maye e stato eliminato e Ndongo e tornato al suo posto.» Yoyo si appoggio allo schienale. La sua postura tradiva una profonda stanchezza. «Dovresti saperne piu di me al riguardo. Questa era la parte su cui hai fatto ricerche tu.» «Su Ndongo non so molto.» «Be’, se vuoi scoprire chi ha pagato, devi analizzare la politica petrolifera di Ndongo. Non ho idea se sia stato fedele alla Cina come il suo predecessore.» «No, non lo e stato.» «Cosa te lo fa pensare?» «Hai detto tu stessa che ha attaccato la Cina in ogni modo. Credo che su questo non ci siano dubbi. Ndongo e stato insediato dagli Stati Uniti e rovesciato dai cinesi.» «E allora chi ha rovesciato Maye?» Il detective si mordicchio il labbro. Dichiarazione del rovesciamento governo cinese... «C’e qualcosa in tutta questa storia che non ha senso», commento. «Nel testo si parla di un rovesciamento in cui e implicata la Cina, ma non puo essere il colpo di Stato del 2017. Anzitutto perche sono passati otto anni. Inoltre tutti sospettano un coinvolgimento di Pechino. Perche dovrebbero darci la caccia per questo? D’altronde vengono citati Donner e Vogelaar. Ma Vogelaar compare sulla scena solo in relazione a Maye.» «Forse e stato messo l da Pechino. Una specie di guardiano di Maye. E una spia.» «E Donner?» «Quello dell’anno scorso non e stato un semplice colpo di Stato. Si e trattato di un’esecuzione, di un tentativo di eliminare tutti i testimoni. Maye doveva essere a conoscenza di qualcosa o, meglio, lui e il suo staff ne erano a conoscenza. Qualcosa di scottante, di cos scottante da essere assassinato per questo.» «Qualcosa che riguarda la Cina.»
«Certo, altrimenti perche i cinesi avrebbero tolto di mezzo un dittatore che loro stessi avevano insediato? Probabilmente diffidavano di Maye. E Donner faceva parte del suo staff.» «E Vogelaar era quello che teneva i contatti con Pechino. Come capo della sicurezza, era la persona piu vicina a Maye. È lui che suggerisce di decapitarne il regime.» «Cosa che riesce. Fatta eccezione per Donner.» «Che scappa.» «Vogelaar adesso deve trovarlo per spedirlo nell’aldila a far compagnia a Maye. Per questo ci danno la caccia. Perche sappiamo che la copertura di Donner e saltata. Perche potremmo avvertirlo o anticipare Vogelaar.» «E Kenny?» «Forse e il contatto cinese di Vogelaar.» Le tempie di Jericho pulsavano. Se quelle congetture erano fondate, la vita di Donner era appesa a un filo. Si mordicchio di nuovo il labbro. No, doveva esserci qualcosa di piu. Non si trattava solo d’impedire l’assassinio di Donner. Certo, anche quello aveva la sua importanza. Ma il vero motivo per la sanguinosa battuta di caccia delle ultime ventiquattr’ore doveva essere un altro. Qualcuno temeva che loro potessero scoprire che cosa sapeva Donner. Guardo fuori dal finestrino e spero che non fosse troppo tardi. BERLINO, GERMANIA Circuiti di commutazione illuminati. Fili di una ragnatela iridescente su sfondo nero. Colonie di miliardi di organismi marini aggrovigliati, la rete di neuroni di un cervello infinito, un cosmo fuso. Guardandola di notte, dall’alto, la Terra si prestava a numerose interpretazioni, tranne a quella che alcune zone della sua superficie fossero semplicemente illuminate da lampioni, pannelli pubblicitari, fari d’automobile e lampadari, da taxisti stanchi e lavoratori notturni, dall’incessante ricerca di divertirsi e dalla lotta contro preoccupazioni che toglievano il sonno, ripercuotendosi su appartamenti illuminati a orari improbabili. Una sorta di messaggio in codice per un osservatore extraterrestre: s, siamo davvero soli nell’universo, ognuno per se e tutti insieme, e popoliamo anche i deserti senza luce, solo che l siamo sottosviluppati, poveri e tagliati fuori da tutto. Owen Jericho osservava il panorama dal finestrino del jet e Yoyo si era appisolata. L’aereo si preparava all’atterraggio. Per un po’, Jericho aveva cercato di trovare in rete informazioni sul mandato attuale di Ndongo, ma l’interesse dei media per la Guinea Equatoriale sembrava essersi spento con la caduta di Maye. All’improvviso, gli sembro di non avere piu una motivazione per agire. La ragazza russava sommessamente, un suono quasi melodioso. Di tanto in tanto, il petto le si sollevava e lei trasaliva, ruotando i bulbi oculari sotto le
palpebre. Lui la osservo. L’irritante momento d’intimita che avevano condiviso ormai era diventato un’ombra. Lui giro la testa dall’altra parte e lascio vagare lo sguardo sulla fitta rete di luci sotto di lui. A diecimila metri di quota aveva provato uno sconsolante senso di solitudine: la Terra era troppo lontana e il cielo non era abbastanza vicino. Ora iniziava a sentirsi pervaso da una sensazione tanto piu gradevole quanto piu l’aeroplano si avvicinava al suolo. Le interpretazioni astratte si ricomposero a formare immagini conosciute. Edifici, strade e piazze erano una realta familiare. Jericho era stato a Berlino diverse volte. Parlava bene il tedesco, anche se non alla perfezione, e non aveva accento, dato che non si era mai preoccupato d’impararne le giuste inflessioni. Quando s’impegnava, riusciva ad apprendere una lingua nel giro di poche settimane. Ascoltare gli altri era sufficiente per consentirgli di capirla. Sperava con tutto il cuore di trovare Andre Donner ancora vivo. Atterrarono all’aeroporto di Berlin Brandenburg alle 04.15. Tu Tian si allontano per noleggiare un’auto e torno con le chiavi di un’Audi e l’aria seccata. «Avrei preferito un’altra marca», brontolo, mentre attraversavano il deserto di neon del parcheggio coperto alla ricerca del loro veicolo. Jericho lo seguiva, con una Yoyo narcotizzata al suo fianco, apparentemente incapace di svegliarsi. Aveva con se Diane e alcuni pezzi di hardware. Nient’altro. Tu Tian, infatti, aveva rifiutato di accompagnarlo a Xntiand per consentirgli di prendere il minimo indispensabile per il viaggio. Nemmeno Yoyo aveva potuto tornare nel suo appartamento. Entrambi avevano protestato, irritando Tu Tian. «Nessuna discussione!» era sbottato lui. «Kenny e compari potrebbero essere la ad aspettarvi. O vi fanno fuori sul posto oppure vi seguono fino a casa mia.» «Allora manda i tuoi uomini», aveva proposto Yoyo. «Seguirebbero anche loro.» «Lasciami almeno...» «Scordatelo.» «Per la miseria! Non posso andare in giro per giorni interi con gli stessi vestiti puzzolenti. E neanche Owen, non e vero? Non e vero, Owen?» «Smettila con le tue stupide lamentele. Ho detto di no. Berlino e una citta civilizzata. Da quello che ho sentito, laggiu hanno calzini, mutande, acqua corrente e persino la corrente elettrica.» La corrente elettrica c’era, nessun dubbio. Tuttavia, per il momento, una doccia calda o il profumo della biancheria pulita sembravano lontani anni luce dal desolato parcheggio pieno di macchine. Con passo lesto, Tu Tian si lascio alle spalle dozzine di auto apparentemente identiche, facendo oscillare la sua borsa da viaggio e costringendo i compagni ad accelerare,
finche non individuo la sagoma scura della berlina che aveva noleggiato. «La macchina mi sembra piu che dignitosa», azzardo Jericho. «Avrei preferito una marca cinese.» «Ma che dici? Non guidi un’auto cinese nemmeno in Cina.» «Strano», borbotto Tu Tian, mentre la vettura leggeva i dati memorizzati sulla chiavetta e apriva le porte. «Sei un bravissimo investigatore, ma per certi aspetti vieni dall’eta della pietra. Io ho una Jaguar, e Jaguar e un marchio cinese.» «E da quando?» «Da tre anni. Lo abbiamo comprato dagli indiani, proprio come abbiamo comprato la Bentley dai tedeschi. Naturalmente ho anche una Bentley.» «Perche non una Rolls-Royce?» «Neanche per idea. La Rolls-Royce e indiana.» «Voi non siete normali», commento Yoyo, sbadigliando e sdraiandosi sul sedile posteriore. «Stammi a sentire», disse Jericho, mentre si accomodava nel sedile del passeggero. «I marchi non sono cinesi solo perche voi li avete comprati. Sono marchi inglesi. La gente compra queste automobili perche ama le macchine inglesi. E le ami anche tu, ecco perche le compri.» «Ma sono di proprieta...» «... dei cinesi, ho capito. A volte, questa storia della globalizzazione mi sembra solo un grande malinteso.» «Andiamo, Owen!» «Dico sul serio.» «Frasi del genere erano fuori moda gia vent’anni fa.» Tu Tian guido l’automobile attraverso la giungla d’infiniti tunnel tutti uguali. «Dimmi piuttosto se avete trovato altre cose interessanti. » Jericho gli riassunse i vani tentativi di Ndongo di riformare il Paese e di ritornare in affari con gli Stati Uniti, del nuovo golpe di Maye, dell’evidente coinvolgimento di Pechino e della nuova politica filocinese. Accenno alla megalomania del dittatore, al programma spaziale fallito e alla sanguinosa detronizzazione. «Ufficialmente Maye e la sua banda sono caduti vittime di una rivolta bubi, sostenuta da alcuni influenti circoli fang. È plausibile. Obiang, in ogni caso, non c’entrava. Dal suo esilio in Camerun, si e ritirato a vita privata e combatte la sua ultima battaglia contro il cancro, a quanto si dice.» «Non sono stati neanche i suoi figli?» «No.»
Tu Tian fece schioccare la lingua. «Be’, le informazioni disponibili sull’ultimo anno laggiu sono sorprendentemente scarse, non e cos?» Jericho lo fisso con uno sguardo sprezzante. «È solo una mia impressione o tu sai qualcosa che dovrei sapere anch’io?» «O o », rispose Tu Tian con aria innocente. «Questa pero non e di Confucio.» «No, pensa un po’. È di Platone, dall’Apologia di Socrate. ’So di non sapere.’» «Sbruffone.» «Nient’affatto. Centra il punto. In effetti, io so che esiste una spiegazione per la perdita d’interesse per la Guinea Equatoriale, solo che in questo momento non mi viene in mente. Pero e qualcosa sotto gli occhi di tutti.» «Spiega anche perche quasi nessuno all’estero si e fatto delle domande sul coinvolgimento di altri Stati?» «Chiedimelo quando mi sara venuto in mente.» Per un po’, Jericho ascolto la voce del sistema di navigazione. «Vedi, il problema e che il golpe non sarebbe mai riuscito senza l’aiuto straniero», disse poi. «Di certo Maye e stato insediato dai cinesi, quindi e logico dedurre che sono stati gli americani a rovesciarlo. Ma il nostro frammento di testo dice una cosa diversa, ovvero che pure la Cina era coinvolta. Se questo e vero, il mansueto servitore non era poi tanto mansueto.» «Vuoi dire che non era piu disposto a esaudire i desideri di Pechino?» «Yoyo e io pensiamo che lui e la sua cerchia potevano addirittura diventare una minaccia per la Cina.» «Questo spiegherebbe perche i cinesi prima lo hanno portato al potere e poi lo hanno eliminato», concluse Tu Tian. «Accettando anche le sgradevoli conseguenze.» «In che senso?» «Petrolio, gas... Ndongo non e mai stato un amico di Pechino.» Tu Tian fu sul punto di replicare. Per un momento sembro aver afferrato un concetto di portata superiore. Poi richiuse la bocca. Jericho sollevo un sopracciglio. «Volevi dire qualcosa?» «Piu tardi.» Yoyo si era riaddormentata. Quando imboccarono l’autostrada verso la citta, era quasi l’alba e il traffico si stava intensificando. Ogni tanto, il navigatore dava indicazioni sul percorso. Si avvicinarono al centro di Berlino, furono indirizzati verso Potsdamer Platz e, alle cinque e mezzo, avevano preso possesso di tre confortevoli camere nell’appena ristrutturato Hyatt. Un’ora dopo, erano seduti a fare colazione. Il buffet era lussuoso. Yoyo aveva smaltito
la stanchezza e ingurgitava quantita industriali di uova strapazzate e speck. Meno selettivo, Tu Tian attacco il buffet in diagonale e riusc ad abbinare pesce affumicato con una crema al cioccolato, creando un piatto cos disgustoso che Jericho fu costretto a distogliere lo sguardo. Come sempre, quell’uomo sembrava non rendersi conto di cosa mangiava. Innaffio quell’improponibile mescolanza con del te verde. «Non potete essere stanchi, dal momento che avete dormito a sufficienza a Shanghai, percio...» «Io non ho chiuso occhio. Solo prima, in aereo», ringhio Yoyo. «Vale anche per me», ammise Jericho. «Ogni volta che stavo per addormentarmi, cadevo in un campo elettrico.» «Accidenti, ecco cos’e!» Yoyo strabuzzo gli occhi e gli strinse la mano. «È proprio cos che ci si sente. Come se qualcuno ti desse una scossa.» «S, tu trasalisci e...» «E sei di nuovo sveglio. Per tutta la notte!» «Interessante.» Tu Tian guardo prima l’uno poi l’altra e scosse la testa. «Ho sopportato la piccola depressione del 2010, la crisi dello yuan del 2018, la recessione di due anni fa... ma non mi sono mai lasciato rubare il sonno.» «Ah, davvero?» disse la ragazza con una certa tensione nella voce. «Anche tu hai visto morire i tuoi amici e sei stato inseguito da qualcuno che voleva ucciderti?» Tu Tian inclino la testa. «Credi davvero di essere l’unica persona al mondo che ha visto morire qualcuno?» «Non ne ho idea...» «Appunto.» «Non ho idea di cosa hai visto tu.» «Se non ne hai idea, dovresti...» «No, non ce l’ho!» sbotto Yoyo. «E sai perche? Perche tu e mio padre state seduti sul vostro misero passato come le galline che covano le uova. A me non importa niente di quello che avete vissuto voi. Maggie, Tony, Jia Wei e Yn sono stati fatti a brandelli davanti ai miei occhi. E pure Xiaotong e Ma Mak sono morti. Per non parlare di Grand Cherokee e del fatto che mio padre, Daxiong e Owen siano ancora vivi per miracolo. Percio mi sono concessa il lusso di dormire male. Altre frasi da sapientone? » «Dovresti evitare questi sfoghi emotivi.» «No, tu dovresti!» urlo lei, gesticolando. «’Su, Hongbng, di’ la verita alla tua bambina, devi darle fiducia, non puoi tacere ancora, eccetera, eccetera.’ Oh, accidenti, tu sei il maestro delle chiacchiere, Tian, sei sempre tanto comprensivo e costruttivo. Ma guai a toccarti sul personale, non e cos?»
«Se posso permettermi...» s’intromise Jericho. «Non sei migliore di Hongbng, lo sai, vero?» «Ehi, non ho idea per quale motivo voi siate venuti a Berlino, ma io voglio trovare Andre Donner, e chiaro?» esclamo il detective. «Quindi andate a regolare i vostri conti in sospeso da un’altra parte.» «Dillo a lui.» Tu Tian si tormentava le mani, turbato. Sorseggio il te, diede un morso a una salsiccia, poi ingoio il resto, appallottolo il tovagliolo e lo getto nel piatto. Evidentemente non era inattaccabile come voleva far credere. Per un po’ regno un silenzio offeso. «E va bene. Se volete, buttatevi sul letto a riposare. Pero, entro la mattina, sarebbe il caso che vi compraste quello che vi serve: biancheria intima, T-shirt, cosmetici, quello che volete. Forse domani a quest’ora saremo gia a casa, forse no. Qui di fronte c’e un centro commerciale. Fateci un giro. Poi andremo al Muntu. Il ristorante e aperto all’ora di pranzo?» «Da mezzogiorno alle due, stando al loro sito web.» «Bene.» Jericho spiluccava un croissant. «Non lo so... Forse non dovremmo presentarci l tutti e tre.» «Perche no?» «Perche vogliamo avvertire Donner, non spingerlo a fuggire. Un tizio dall’aspetto europeo, una ragazza cinese, okay. In una metropoli come questa, puo passare per una normalissima coppia. Ma un altro cinese potrebbe rendere diffidente Donner.» «Tu credi? Berlino e piena di cinesi.» «Che vanno a pranzo nei ristoranti africani?» «Ma per favore! Siamo il popolo piu aperto del mondo.» «Siete aperti al mondo come un aspirapolvere. V’impadronite di tutto quello che non e saldamente avvitato da qualche parte, ma dal punto di vista gastronomico siete rimasti ignoranti. » «Ci stai confondendo coi giapponesi.» «Nient’affatto. I giapponesi sono fascisti culinari. Voi siete ignoranti.» «Quelli di McDonald’s non sarebbero d’accordo con te.» «Ma dai!» Jericho scoppio a ridere. Discutere con Tu Tian sul cibo era tanto assurdo quanto lo sarebbe stato illustrare a uno squalo i vantaggi della dieta vegetariana. «All’estero andate solo nei ristoranti cinesi, no? L’uomo che adesso si fa chiamare Donner ha fatto brutte esperienze coi cinesi, se quello che pensiamo e giusto. Lo stanno cercando. L’organizzazione cui appartengono Vogelaar e Kenny vuole ucciderlo.»
Tu Tian annu. «Forse hai ragione.» «Certo che ha ragione», commento Yoyo, rivolta al suo piatto. «D’accordo, allora voi andate al Muntu. Io restero di guardia qui.» «Nel frattempo, ti puoi divertire con Diane. Cerca di scoprire qualcosa di piu sulle circostanze che hanno portato alla caduta di Maye. E su Ndongo. Cosa combina, quali sono i suoi interessi, chi lo protegge. Perche non si sa piu niente della Guinea Equatoriale.» «Questo credo di saperlo gia.» Jericho drizzo le orecchie. Persino Yoyo sembrava aver accantonato il risentimento e fissava Tu Tian con espressione sorpresa. «E allora?» Il cinese si alzo. «Piu tardi. Adesso avete da fare. Riposatevi. Dopo potrete saccheggiare il mio conto corrente.» Owen Jericho avrebbe preferito andare da Donner subito dopo l’atterraggio, a costo di buttarlo giu dal letto, ma non era riuscito a trovare il suo indirizzo privato. Diede istruzioni al computer dell’albergo di svegliarlo alle dieci. Per un attimo, temette di rivivere gli incubi della notte precedente, intervallati da fasi in cui contemplava il buio. Invece dorm per due ore - un sonno profondo e senza sogni - e si risveglio di buonumore e pieno di energia. Anche Yoyo gli apparve piu riposata. Andarono al centro commerciale e acquistarono biancheria intima, Tshirt e spazzolini da denti. Lei si riforn anche di bombolette d’indumenti spray. La giornata era calda e soleggiata a Berlino, percio non avevano bisogno di molte cose. Jericho evito accuratamente di farle domande sulla sua vita privata. Se non c’erano ricerche da fare e non si doveva fuggire da qualche pericolo, non riusciva a capire come comportarsi con quella ragazza. Yoyo aveva un atteggiamento caratterizzato da una spensieratezza irritante: gli girava intorno con top ridottissimi, toccandolo ogni due minuti, trascinandolo di qua e di la e andandogli spesso molto vicina. L’unica spiegazione possibile era che provasse un totale disinteresse per lui dal punto di vista sessuale. È sempre cosi, si lamento quel brufoloso adolescente che viveva dentro di lui e che si consolava con la musica dei Radiohead, dei Keane e degli Oasis. Le donne fanno cos perche per loro sei solo un oggetto, un agglomerato di cellule nato con lo scopo di essere un amico fraterno. Si farebbero sedurre dal loro orsacchiotto di peluche piuttosto che innamorarsi di te. ’Fanculo, si replico Jericho. Frocio. Il fantasma putrescente della sua adolescenza svan e lui inizio a trovare la compagnia di Yoyo molto piacevole. Ma fu felice quando la lancetta dell’orologio si avvicino a mezzogiorno e arrivo il momento di dirigersi all’Oranienburger Straße. Il Muntu occupava il pianterreno di un vecchio edificio ristrutturato, a poche centinaia di metri dalle rive del fiume Sprea, dove la Museumsinsel - l’Isola dei Musei - divideva le acque come una balena spiaggiata. In un primo
momento non lo videro: era nascosto tra una libreria esoterica e una filiale della Banca di Pechino, neanche volesse assalire i passanti alle spalle. La porta e le finestre erano coperte da un gigantesco pannello di legno sul quale spiccava la scritta MUNTU, in caratteri arcaici, e la frase LA MAGIA DELLA CUCINA DELL’AFRICA OCCIDENTALE. «Carino», disse Yoyo, mentre entravano. Jericho si guardo intorno. Pareti ocra e giallo banana, battiscopa blu. Tovaglie batik al di sopra delle quali penzolavano lampade di carta, simili a gigantesche barbabietole illuminate. Colonne di legno e travi verniciate e intarsiate. La parte sul davanti del locale, di forma quadrata, era dominata da un bancone dall’aspetto rustico; a sinistra, una folcloristica porta a battente immetteva nella cucina. Mancavano pero le statue lignee di guerrieri, le lance, le maschere e gli scudi tipici di posti analoghi. E proprio per quel motivo il locale dava un’impressione di autenticita. I tavoli occupati erano pochi. Yoyo si diresse verso uno vicino al bar. Dalla penombra emerse una figura che si avvicino a loro. Una donna sulla quarantina, forse piu vecchia. Sul viso delle donne africane le rughe comparivano tardi e quindi era difficile stabilirne l’eta. Indossava un abito aderente dai colori sgargianti e in testa aveva una foresta di treccine rasta. Era molto scura di pelle e attraente, con un sorriso aperto e benevolo. «Mi chiamo Nyela», disse in un tedesco gutturale. «Volete bere qualcosa?» Yoyo fisso Jericho, irritata. Lui fece il gesto di portarsi alle labbra un bicchiere. «Ah, ho capito. Coca-Cola», disse lei. Nyela passo all’inglese. «Che banalita. Mai provato il vino di palma?» Senza aspettare conferma, scomparve dietro il bar, torno con due tazze colme di un liquido lattiginoso e porse loro un menu in inglese. «Il filetto di struzzo e finito. Torno subito.» Jericho sorseggio la bevanda. Il vino era buono, fresco e leggermente acidulo. Gli occhi di Yoyo seguirono Nyela al tavolo vicino. «E adesso? » «Ordiniamo qualcosa.» «Perche non le chiedi subito di Donner? Credevo che fosse urgente.» «E lo e. Siamo appena arrivati e non credo sia opportuno assillarla di domande. Al posto suo, m’insospettirei.» «Ma noi abbiamo un buon motivo.» «E cosa vorresti che le dicessi? Che c’e qualcuno che lo cerca per ammazzarlo? Cos lo facciamo scappare.» «Prima o poi dovremo per forza chiedere di lui.» «E lo faremo.»
«D’accordo, il capo sei tu.» Yoyo apr il menu. «Cosa ti va di mangiare oggi, capo? Ragu di antilope? Uccelli di scimmia con contorno di rane scuoiate vive?» «Non essere ridicola», ribatte lui, e passo in rassegna la lista degli antipasti e delle portate principali. «Sembra tutto molto buono. Il riso jollof, per esempio. L’ho assaggiato quand’ero a Londra.» «Mai mangiato.» «Fatti coraggio. Non hai idea di cosa devono sopportare gli europei nel Schuan.» L’indecisione nella scelta traspariva dal movimento delle pupille, che puntavano una portata e subito dopo un’altra. «Insomma, non so. Adalu. Akara. Dodo. Che razza di nomi. Cosa ne pensi del nunu, Owen? Un bel piatto di nunu?» «Ci sei anche tu sul menu.» «Cosa?» «Efo-Yoyo-Stew!» Lui scoppio a ridere. «Adesso sappiamo cosa puoi ordinare.» «Sei impazzito? Cosa sarebbe? Salsa di spinaci con polpa di granchio e pollo e... ishu? Cosa diavolo e l’ishu?» «Gnocchi di yams. Non c’e festa senza lo yams.» La donna di colore era ritornata al loro tavolo. «E cos’e lo yams?» «Una radice, anzi la regina di tutte le radici. Le donne la cucinano e poi la sminuzzano in un mortaio. Ti fai i muscoli.» Nyela proruppe in una risata profonda e melodica e mostro loro un bicipite perfetto. «Gli uomini sono troppo pigri. E forse anche troppo stupidi. Oh, scusami, amico.» La sua mano si appoggio confidenzialmente sulla spalla di Jericho. Lui percepiva il suo profumo speziato e seducente e, messo di buonumore, decise: «Sa cosa le dico? Metta insieme un piatto con qualche assaggio». Nyela fece l’occhiolino a Yoyo. «Questo non e un uomo stupido. Lascia decidere le donne.» Spar in cucina e, dopo neppure dieci minuti, ricomparve con due vassoi colmi di cibo. «Paradise is here», canticchio. Diffidente, Yoyo osservo Nyela appoggiare piattini e ciotoline davanti a loro. «Ceesbaar, frittata di plaintain, banane cotte... Akara, polpette fritte con gamberi... Samosas, fagottini di pasta con carne macinata... Quelli sono moyinmoyin, tortine di fagioli con polpa di granchio e carne di tacchino. Quello e efo-egusi, spinaci con semi di melone, manzo e baccala. Questo e nunu di miglio e yogurt... Adalu, sformato di fagioli e banane con pesce. Piccoli spiedini di carne. Dodo, arrostito in olio di arachidi e... budino di tapioca!» «Ah», fu l’unico commento della ragazza. Jericho allungo la mano e provo in rapida successione akara, samosas e moyinmoyin. «Delizioso», esclamo, prima che Nyela se ne andasse. «Come mai non avevo mai sentito
parlare del Muntu? » La donna ebbe un attimo d’indecisione. Intravide una mano alzata al tavolo di fianco, si scuso, prese le ordinazioni, le porto in cucina e poi torno da loro. «Semplice. Abbiamo aperto solo sei mesi fa.» Lui si riemp la bocca di nunu, mentre Yoyo sgranocchiava timidamente uno spiedino di carne. «E prima dov’eravate?» «In Africa. Nel Camerun.» «Lei parla un inglese perfetto.» «Me la cavo. Il tedesco e molto piu difficile. È una lingua strana.» «Il Camerun non e francese?» chiese Yoyo. «È africano», fu la risposta divertita, come se la ragazza avesse appena raccontato una barzelletta. «Il Camerun e stato una colonia francese. Almeno la gran parte. Si parla bantu, kotoko e shuwa, francese, inglese, camfranglais.» «Ed e lei che cucina tutte queste delizie?» chiese Jericho. «Per la maggior parte.» «Nyela, lei e una dea.» Nyela rise cos forte da far tremare la lampada di carta sopra il tavolo. «È sempre cos galante?» chiese rivolta a Yoyo. «Un bugiardo gentiluomo?» Lei non rispose e tossicchio. Sembrava appena essersi resa conto che la punta piccante della frittata si faceva sentire con insidioso ritardo. Jericho trangugio un altro sorso di vino di palma. «Senta, Nyela, in realta abbiamo bluffato un po’. Il Muntu ci e stato consigliato, quindi non siamo qui per caso. Ci piacerebbe inserire il suo locale in una guida culinaria. Potrebbe interessarle?» «Che tipo di guida?» «Una guida turistica virtuale della citta», intervenne Yoyo, che aveva colto al volo la strategia di Jericho. «Si puo visitare il ristorante in 3D indossando occhiali olografici. Conosce l’olografia? » Nyela scosse la testa, divertita. «Conosco solo la giurisprudenza, tesoro. Ho studiato diritto a Yaounde.» «Riproduciamo un’immagine tridimensionale del ristorante con un programma informatico. Con la strumentazione adatta, la gente puo letteralmente guardare dentro le sue pentole. Ma esiste anche una variante piu semplice. Una pagina in Internet. » «Non ci capisco niente, ma suona bene.» «Ci sta?» «Certo.»
«Allora dobbiamo solo sbrigare alcune formalita. Se non mi hanno informato male, lei non e la proprietaria, vero?» «Il Muntu e di mio marito.» «Andre Donner?» «Esatto.» Jericho inarco le sopracciglia in modo teatrale. «Ah, lei e Mrs Donner? Posso chiederle... suo marito... voglio dire, Donner non e un nome africano...» «È boero. Andre e sudafricano.» «Non posso crederci, che bella storia d’amore!» esclamo Yoyo, estasiata. «Sudafrica e Camerun.» «Be’, e voi due? Qual e la vostra storia?» chiese Nyela sorridendo. Lui voleva rispondere qualcosa, ma le dita della ragazza si posarono sulle sue prima che potesse reagire. «Shanghai e Londra. » «Non male. Lascia che ti dica una cosa, tesoro. L’amore e una lingua universale. Non c’e bisogno di nient’altro.» «Noi...» inizio Jericho. «Ci amiamo e lavoriamo insieme», sorrise Yoyo. «Proprio come lei e suo marito. È semplicemente meraviglioso!» A Jericho sembro di udire un suono di violini in sottofondo. Non sapeva come ritrarre la mano senza destare sospetti. La donna africana guardava prima l’uno poi l’altra, quasi commossa. «E dove vi siete conosciuti?» E Yoyo, esibendo sempre un sorriso beato: «A Shanghai. Io ero la sua guida. O, meglio, lui indossava gli occhiali olografici. Owen si e innamorato della mia immagine, non e dolce? Poi ha fatto di tutto per conoscermi. All’inizio, io non volevo, ma...» «Pazzesco.» «S, e lei? Dove ha conosciuto suo marito? In Sudafrica? Oppure lui e risalito fino all’equatore...» «Scusa se t’interrompo, tesoro», intervenne Jericho. «Ma, come sai, abbiamo ancora parecchio da fare oggi. Allora, Nyela, per preparare il tutto dobbiamo parlare con suo marito. Sono le regole. Per caso e qui?» Pensierosa, lei lo guardo coi suoi occhi scintillanti. Poi indico il budino di tapioca. «Gia assaggiato?» «Non ancora.» Il suo sorriso illumino la stanza. «Allora per il momento non andate da nessuna parte. Prima dovete mangiare tutto.»
«Nessun problema», sospiro Yoyo. «Owen adora la cucina africana. Non e vero, bambolo?» E Jericho credette di non aver sentito bene. «A volte lo chiamo ’bambolo’», confido lei con aria da cospiratrice a un’interessata e per nulla imbarazzata Nyela. «Quando siamo soli.» «Come adesso?» «Esatto, come adesso. Cosa ne pensi, bambolo, restiamo ancora un po’?» Lui la fisso. «Certo, rospetto. Se ti fa piacere.» Il sorriso di Yoyo si spense. Le dita si ritirarono e lui fu sommerso da un’ondata di dispiacere e sollievo nel contempo. «Comunque Andre non e qui», disse la donna. «Quanto vi fermate a Berlino?» Jericho si gratto la nuca. «Non molto. Il nostro aereo parte domattina presto. Non c’e la possibilita d’incontrarlo a breve? Stasera, per esempio?» «In realta, stasera siamo chiusi. Tuttavia...» Poso un dito sulle labbra. «Okay, aspettate. Torno subito.» E spar dietro la porta a battenti della cucina. «Mi hai dato del rospo?» «S. E lo pensavo davvero.» «Oh. Grazie.» «Non c’e di che, bambola.» «Perche?» protesto lei. «Era un nomignolo carino. Io ti ho detto una cosa carina, e tu...» «Sei fortunata che non ti abbia detto di peggio.» «Ma dai, Owen, perche ti scaldi tanto? Credevo che avessi il senso dell’umorismo.» «Hai parlato troppo, sciocca ragazza. Hai nominato l’equatore. » «Non e vero.» «S, invece. Ti ho sentito.» Yoyo alzo gli occhi al cielo. «Ma lei no. Okay, mi dispiace, datti una calmata. Al massimo ha sentito che ho parlato dell’equatore. E allora? Il Camerun si trova sull’equatore.» «Il Gabon si trova sull’equatore.» «Saccente.» «Rospo.» «Stronzo!» «Cos’e, una crisi di coppia?» ironizzo lui. «Non dobbiamo tirare troppo la corda, tesoro, altrimenti possiamo anche andarcene subito.» «Quindi io avrei tirato la corda? Perche sono stata carina con te?» «Sciocchezze. Perche non sei stata attenta.» Jericho si rendeva conto di aver reagito in modo troppo brusco, ma ribolliva di rabbia. Yoyo aveva lo sguardo fisso a terra, offesa.
Stavano ancora in silenzio quando Nyela torno. «Peccato. Andre non e raggiungibile. Probabilmente e impegnato. Ma nelle prossime ore dovrebbe chiamarmi. Puo lasciarmi il suo numero ? La chiamo se ho notizie.» «Certo.» Lui scrisse il suo numero di cellulare su un tovagliolo di carta. «Lascio il telefono acceso.» «Ci piacerebbe entrare in questa guida. Anche se non capisco niente di occhiali olografici!» «Non si preoccupi, ci sarete. Con o senza occhiali.» «Una guida culinaria. Che idea fantastica!» Yoyo trotterellava dietro di lui, con la faccia corrucciata. Quando uscirono dal Muntu, furono avvolti dalla luce cristallina del sole di mezzogiorno di un caldo giorno d’estate berlinese: il cielo sembrava una piscina capovolta. Ma Jericho non vi presto la minima attenzione. Attraverso la strada, si porto all’ombra degli edifici sul lato opposto e si fermo senza preavviso, facendo quasi inciampare Yoyo. Poi si volto e fisso il ristorante. «Non si e accorta di niente. Ne sono certa», lo rassicuro lei. Lui continuava a osservare il Muntu. La ragazza gli agito una mano davanti agli occhi. «Tutto bene? C’e nessuno?» Jericho si gratto il naso. Poi guardo l’orologio. «D’accordo, non devi per forza parlare con me», riprese lei, con voce flautata. «Possiamo anche scriverci. S, che idea. Tu potresti scrivere tutto su foglietti e consegnarli a qualcuno che me li porti. E io...» «Tu potresti renderti utile.» «Oh, dei suoni umani!» Lei s’inchino davanti a un pubblico immaginario. «Signore e signori, una cosa sensazionale. Quest’uomo ha parlato. Siamo orgogliosi di presentarvi...» «Pedinerai Nyela.» «Come, scusa?» «Non so se ha notato il tuo errore, ma su una cosa non le credo: che non e riuscita a parlare con Donner.» «Perche?» «È stata troppo tempo in cucina.» «Vuoi dire che Donner s’insospettisce se qualcuno vuole inserire il suo ristorante in una guida turistica?» «Un’idea fantastica, lo hai detto tu stessa. L’ironia era abbastanza evidente», la rintuzzo Jericho, con uno sguardo di fuoco.
«Puoi smetterla con questo atteggiamento?» «I casi sono due. Anche se lei l’ha bevuta, non significa che debba farlo pure lui. Non ha importanza quale favoletta le abbiamo raccontato. Donner sara sospettoso in ogni caso, verso tutto e tutti. Seconda possibilita: lei non ha creduto a una sola parola. Comunque sia, lui deve scoprire chi siamo, cosa vogliamo, cosa abbiamo da raccontare. Vuole delle certezze. Credo che si siano parlati al telefono. Se Nyela esce dal ristorante, forse va a incontrarlo... oppure lui potrebbe venire qui.» «Per fare cosa?» «Per essere qui prima che qualcuno possa sorprenderlo nel suo locale. O anche solo per tagliare le cipolle. Perche ha da fare. Che ne so.» «Mi stai dicendo che tu sorveglierai il ristorante.» Lui assent. «Hai notato la telecamera?» chiese, sforzandosi di assumere un tono un po’ piu gentile. «Quale telecamera?» «Sopra il bancone del bar ce n’e una. Poco appariscente, ma io conosco quegli aggeggi. Il Muntu e sorvegliato. Forse Donner vuole vedere le registrazioni prima di accettare un incontro con noi.» «Cosa succede, se niente di tutto questo e vero? Se ti stai sbagliando? » «In tal caso, aspettiamo che Nyela ci richiami. O che ti porti all’appartamento dei Donner.» «Forse non e cos sospettoso. Forse vuole davvero incontrarci per la guida, solo che prima di stasera non puo. Non ci giochiamo la possibilita di avvertirlo in tempo? Non dovremmo dire la verita a Nyela?» «Facendo in modo che lui se la svigni? In realta, noi non siamo qui per salvargli la vita, ma per scoprire qualcosa sul suo conto e, per riuscirci, dobbiamo per forza incontrarlo!» «Questo lo so anch’io», ribatte lei, stizzita. «Ma, se muore, non puo piu raccontarci nulla.» «Hai ragione. Ma cos’altro possiamo fare? Dobbiamo correre qualche rischio. E, credimi, quell’uomo e sicuramente molto sospettoso. Forse non si fida neanche di Nyela.» «Di sua moglie?» «S, di sua moglie. Tu ti fidi di lei?» «D’accordo, come vuoi. Saro la sua ombra», brontolo Yoyo, rassegnata. «Brava. Chiamami se noti qualcosa di strano.» «Forse avro bisogno della macchina.» Jericho si guardo intorno e scorse uno Starbucks. L’Audi era parcheggiata pochi metri piu in la, a poca distanza dal Muntu. «Nessun problema. Adesso ci sediamo la dentro, ordiniamo un caffe e sorvegliamo il locale. Se lei se ne va, tu la segui. A piedi, con la macchina, vediamo. Io resto di guardia qui.»
«Non sappiamo neppure che aspetto ha Donner.» «È un bianco, credo. Nome boero, origine sudafricana...» «Ah, questo restringe il campo», si lamento Yoyo. «Se vuoi, posso allargarlo senza problemi. Donner potrebbe essere il figlio di una coppia mista. Non sarebbe il primo nero di Citta del Capo che ha un cognome da bianco.» «Sei davvero bravo a motivare la gente.» «Lo so, e per questo che mi temono tutti.» Jericho si era impresso nella mente le facce degli altri avventori. Dopo che lui e Yoyo erano usciti dal ristorante, erano entrate altre tre coppie, oltre a un uomo anziano accompagnato dal suo alter ego che abbaiava senza sosta. Poi il Muntu lentamente si svuoto. L’uomo col cane fu l’ultimo a uscire. Ormai non c’erano altri clienti all’interno. Il tempo trascorreva lento. Yoyo beveva litri di te. Poco dopo le tre, un uomo di colore sal sul marciapiede, tolse il lucchetto a una bicicletta e se ne ando. Evidentemente lavorava in cucina: forse era l’aiutocuoco di Nyela. «E questo sarebbe il tuo lavoro?» chiese Yoyo, sforzandosi di non usare un tono sprezzante. «Osservare la gente per ore e ore?» «La maggior parte del tempo lavoro in rete.» «Forte. E l cosa fai?» «Osservo la gente.» «Cavoli, che noia. Un’unica, lunga e noiosa attesa.» Yoyo estrasse una bustina di te gocciolante dalla sua tazza. «Non sono d’accordo. Ci si diverte un mondo e il lavoro e vario. Ogni tanto qualcuno fa saltare in aria un’acciaieria. Ci sono spassosi piccoli inseguimenti, si salvano varie persone e si vola per mezzo mondo. La tua vita e molto piu eccitante?» Aspettandosi una risposta acida, torno a guardare fuori dalla finestra. Eppure la ragazza sembro riflettere sulla domanda. «No. Ma e piu socievole.» «Anche la vita di societa ti puo sfinire», replico lui, poi le intimo di tacere con un cenno. Nyela stava uscendo dal Muntu. Aveva sostituito l’abito sgargiante con jeans e T-shirt. «È il tuo momento.» Yoyo arraffo le chiavi dell’automobile e il cellulare e corse fuori. Jericho la vide mettere in moto l’Audi. Nyela si allontano a passo veloce e scomparve dietro l’angolo. La macchina la segu lentamente. Lui si augurava che la ragazza non si facesse notare troppo. Aveva tentato di spiegarle a grandi linee le regole base di un pedinamento, tra cui c’era anche quella di non investire la persona seguita. Neanche dieci minuti dopo, lei lo chiamo. «Due strade piu avanti c’e un parcheggio coperto. Nyela e appena uscita.»
«Che macchina guida?» «Una Nissan OneOne. Ibrida a energia solare.» Una piccola e maneggevole vettura da citta, concepita per muoversi nel traffico, dal momento che poteva ridurre il suo volume accorciando il passo delle ruote. In confronto, l’Audi era un mostro goffo e ingombrante, superiore solo sulle strade a scorrimento veloce. «Restale alle calcagna. Se succede qualcosa, fammelo sapere», disse lui. Poi chiamo Tu Tian per aggiornarlo. «E come va, l da te?» chiese infine. «Mi sto divertendo con Diane. Bel programma. Non proprio l’ultimo grido, ma ce la stiamo spassando alla grande.» «Ma se e nuovissimo!» protesto Jericho. «In questo settore, e nuovissimo solo quello che non e ancora stato inventato», ribatte Tu Tian. «Vieni al dunque.» «Per quanto riguarda Ndongo, sembra attuare una politica piu equilibrata rispetto al suo primo mandato. Resiste all’influsso cinese, ma stavolta cerca di non irritare troppo Pechino. Le sue simpatie sono indubbiamente per Washington e per l’Unione Europea. Inoltre, all’inizio dell’anno, ha dichiarato di voler tenere conto degli interessi dei diversi Paesi, posto che non si dimostrino troppo aggressivi, e ha concesso qualche briciola anche alla Sinopec. Oltre a questo, sta cercando con tutte le sue forze di ripulire il porcile che ha ereditato da Maye.» «Non e piu il burattino di una volta.» «Infatti. E tu sai perche? S, lo sai benissimo. Tutti lo sanno. Laggiu hanno enormi quantita di petrolio e di gas. Risposte a domande che nessuno pone piu. Questo e il problema. Che poi e anche stato il problema di Maye. Capisci?» «L’elio-3?» «Cos’altro?» Ma certo. Tutti lo sapevano. Pero si faceva presto a dimenticare che, per molti, la nuova situazione creata dallo sfruttamento delle materie prime lunari rappresentava uno svantaggio enorme. «All’inizio del 2020 era ormai chiaro che l’elio-3 avrebbe soppiantato i combustibili fossili», spiego Tu Tian. «Gli Stati Uniti hanno puntato tutto su quella risorsa. Sullo sviluppo di un ascensore spaziale, sulla costruzione di un’infrastruttura sulla Luna, sulla commercializzazione dell’elio-3, su Julian Orley... il quale, a sua volta, ha lavorato in modo febbrile ai suoi reattori di fusione. A quel tempo, Orley e gli Stati Uniti hanno creato un’enorme bolla. Avrebbe potuto andare tutto storto, e sarebbe stato un disastro. Il piu grande gruppo industriale di tutti i tempi sarebbe esploso come una bomba, gli Stati Uniti avrebbero subito un doloroso contraccolpo nel poker delle risorse fossili, svariati milioni di persone avrebbero perso i loro soldi. L’Africa
avrebbe potuto continuare a nuotare nell’oro, combattere le guerre civili coi guadagni derivanti dal petrolio e dettare le condizioni alle nazioni piu ricche. Ricordi la questione del prezzo al barile, nel 2019?» «Era ancora molto alto.» «S, ma lo e stato per l’ultima volta. Perche sappiamo che invece l’investimento ha funzionato. Orley e l’America hanno costruito il loro ascensore, e ci sono riusciti per primi. Ho fatto una ricerca minuziosa, Owen. Il primo agosto 2022 e stata inaugurata la base lunare, pochi giorni dopo la stazione americana. Due settimane piu tardi, e iniziata ufficialmente l’estrazione dell’elio-3. Un mese e mezzo dopo, il 5 ottobre, viene messo in funzione il primo reattore di Orley. È iniziata l’era della fusione nucleare, l’elio-3 e diventato la fonte energetica del futuro. In dicembre, il prezzo del greggio era di centoventi dollari al barile; nel febbraio successivo era gia sceso a settantasei dollari, e in marzo anche la Cina ha spedito sulla Terra il primo carico di elio-3, anche se con una tecnologia spaziale convenzionale e in quantita esigue. Comunque sia, le due nazioni piu affamate di materie prime erano sulla Luna. Altri hanno cercato di tenere il passo: l’India, il Giappone, l’Europa... Tutti erano ossessionati dall’idea di partecipare all’affare. Il petrolio non ha perso completamente la sua importanza, ma non era piu indispensabile. Nell’estate del 2023, costava cinquantacinque dollari al barile. In autunno, quarantadue. Ma non era finita: infatti il prezzo ha continuato a scendere. Sebbene il greggio non fosse mai stato tanto economico, le nazioni piu importanti si erano gia organizzate e avevano delle riserve, quindi nessuno lo acquistava piu. Nel settore automobilistico, l’elettricita e diventata un’alternativa concreta. I Paesi che esportavano materie prime e che dipendevano in tutto e per tutto dai guadagni derivanti dal petrolio e dal gas, trascurando l’economia locale, hanno subito la crisi in tutta la sua durezza, specialmente in Africa. I potenti come Obiang e Maye hanno visto sopraggiungere la fine. I partner d’oltreoceano, che per decenni si erano scannati a vicenda, hanno perso interesse nel petrolio. Questo, amico mio, e il motivo per cui lo sdegno di Washington nei confronti di Maye e sembrato sempre piu studiato a tavolino. La Cina ha subito deciso di seguire l’esempio americano e di liberarsi dai ceppi dei combustibili fossili. Allora cos’ha fatto il nostro uomo, nel suo delirio di onnipotenza?» «Stai insinuando che Maye abbia messo in piedi il suo ridicolo programma spaziale per andare sulla Luna ed estrarre l’elio-3? » «S. È proprio cos.» «Tian, andiamo. Quello era un pazzo. L’aguzzino di un Paese la cui tecnologia culminava nel faticoso tentativo di mantenere efficiente una rete elettrica.» «È vero. Ma lo ha dichiarato lui stesso.»
«Di voler andare sulla Luna? Maye?» «S. Diane ha scovato diverse citazioni dei suoi discorsi. È ovvio che era un folle. D’altra parte, gli esperti hanno verificato il corretto funzionamento della rampa. In fondo, ha messo in orbita un satellite per le comunicazioni.» «Che si e rotto.» «Non ha importanza. Il lancio e riuscito.» «Chi ha finanziato la costruzione della rampa?» «Credo che abbia svuotato le casse dello Stato. Avra chiuso gli ospedali, che ne so. La cosa interessante e che il rovesciamento del governo di Maye di sicuro non e stato causato dall’interesse di altri Paesi per il suo petrolio. Cos’ha messo tanta paura ai cinesi da indurli a eliminare la banda che governava un piccolo Stato dell’Africa occidentale, diventato irrilevante sia dal punto di vista economico sia da quello politico? Ponendomi questa domanda, ho fatto ulteriori ricerche... e ho trovato qualcosa. » «Dimmi.» «Il 28 giugno 2024, un mese prima della sua morte, Maye si e presentato alla televisione nazionale, ha lanciato anatemi contro lo sfruttamento perpetrato dai Paesi ricchi e ha rivolto accuse esplicite a Pechino. La Cina avrebbe dimenticato l’Africa, i soldi promessi non sarebbero arrivati e i cinesi sarebbero stati responsabili della decadenza dell’intero continente.» «Maye come avvocato difensore dell’Africa?» «Gia, ridicolo, non e vero? Nel suo discorso, pero, gli e scappato qualcosa che avrebbe fatto meglio a tenere per se. Se Pechino non avesse tenuto fede ai suoi impegni, ha detto, lui sarebbe stato costretto a divulgare informazioni compromettenti a livello internazionale. Ha minacciato il Partito.» Tu Tian fece una pausa. «Un mese dopo, non poteva raccontare piu nulla.» «E non ha divulgato qualche dettaglio che potrebbe indicare di cosa si trattava?» «In modo indiretto, s. Il suo Paese non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da nessuno. Il programma spaziale sarebbe stato ampliato. Ha annunciato il lancio di un nuovo satellite. Ha detto che certi governi avrebbero fatto meglio a sostenerlo, perche altrimenti avrebbero subito sgradevoli conseguenze.» Jericho rimase interdetto. «Cosa c’entra la Cina col programma spaziale di Maye?» «A livello ufficiale, niente. Tuttavia e palese che la Guinea Equatoriale non sarebbe mai stata in grado di realizzarlo da sola. Maye ha solo concepito l’idea. Ha sventolato i suoi miliardi, e gli scienziati sono accorsi da tutto il mondo. Ingegneri e fisici francesi, tedeschi, russi, americani, indiani. Ma, se si guarda con piu attenzione, colpisce soprattutto un nome... Zheng Pang Wang.»
«Il gruppo Zheng?» esclamo Jericho, sorpreso. «Proprio lui. Gran parte della costruzione era nelle mani di Zheng.» «Per quanto ne so, Zheng e coinvolto nel programma spaziale cinese.» «Nei viaggi spaziali e nei reattori. Non solo Zheng Pang Wang e uno dei dieci uomini piu ricchi del mondo e ha un enorme influsso sulla politica cinese, ma sembra anche intenzionato a diventare l’equivalente asiatico di Julian Orley. I dirigenti del Partito ripongono grandi speranze in lui. Si aspettano che prima o poi costruisca un ascensore spaziale e un reattore funzionante. Finora non ci e riuscito. Secondo alcune voci, i suoi sforzi principali hanno come obiettivo quello d’infiltrarsi nell’Orley Enterprises per fare spionaggio industriale. Ufficialmente, pero, cerca di convincere Orley a costituire un’unica societa. Si dice persino che Orley e Zheng si piacciano, ma questi sono soltanto pettegolezzi. » Jericho si soffermo a riflettere. «Gli assassini di Maye hanno agito molto rapidamente, non trovi?» «Una velocita sospetta, se vuoi la mia opinione.» «Ndongo che esce dal cilindro come per magia, la logistica dell’attentato... Una cosa del genere non la pianifichi in quattro settimane.» «Sono d’accordo. Il golpe e stato preparato nell’eventualita che Maye uscisse dai ranghi.» «Cosa che poi e...» «Scusami, Owen.» Era la voce di Diane. «Posso disturbarti? » «Cosa c’e?» «Ho una chiamata con priorita A per te. Yoyo Chen Yuyun.» «Nessun problema», disse Tu Tian. «Io ho gia sparato le mie cartucce. Tienimi al corrente degli sviluppi, okay?» «Lo faro. Passami la chiamata, Diane.» «Owen?» La voce di Yoyo e, in sottofondo, i rumori della strada. «Nyela e in centro. L’ho seguita per un pezzo, lei si e fermata a guardare una vetrina e ha fatto qualche telefonata. Non sembrava particolarmente inquieta o preoccupata. Due minuti fa, ha incontrato un uomo e ora sono a un tavolino all’aperto di un caffe.» «Cosa fanno?» «Chiacchierano. Bevono. L’uomo e un nero dalla pelle chiara. Almeno cos mi sembra. Sulla cinquantina. Tu hai visto delle fotografie di Maye col suo staff. C’era un tipo del genere?» «Non ce ne sono mica tante, di fotografie. E non ce n’e nessuna col suo staff al completo. Al massimo s’intravede qualcuno al suo fianco. Comunque puoi scaricarti l’elenco dei suoi ministri morti nell’attentato.» Jericho ripenso alle immagini. «Ma nessuno di loro aveva la pelle chiara. Almeno credo.»
«Cosa vuoi che faccia?» «Non perderli di vista. Come si comportano?» «In modo cordiale. Baci sulle guance, abbracci.» «Sai dirmi piu o meno dove ti trovi?» «Siamo passati due volte sopra questo fiume, come si chiama? Sprii, Spraa, Spree... Insomma l vicino. Il caffe si trova in una vecchia stazione ferroviaria di mattoni con degli archi, ma restaurata con stile... Aspetta.» Yoyo s’incammino lungo la facciata di mattoni cercando un’insegna, una targa stradale o almeno il nome della stazione. Numerose persone sciamavano dalla sopraelevata. Grazie alla bella giornata di sole, il piazzale antistante era affollatissimo e i turisti facevano schizzare alle stelle i guadagni dei numerosi bar, bistrot e ristoranti. Evidentemente Nyela l’aveva condotta in uno dei quartieri piu alla moda. A Yoyo piaceva. Le ricordava un po’ Xntiand. «Credo di sapere dove sei», disse Jericho. «Devi aver attraversato la Museumsinsel.» «Fra un attimo te lo dico.» «Non fa niente.» Yoyo intravide una S bianca su sfondo verde. Accanto c’era scritto qualcosa in verde chiaro. Apr la bocca ed esito. Come si pronunciavano una S, una C e una H messe insieme? «Hacke-s-cher Ma...» «Hackescher Markt?» «S. Potrebbe essere.» «Tutto chiaro. Continua a tenere d’occhio quei due. Se qui non succede piu niente, ti raggiungo.» «Okay.» Yoyo chiuse la comunicazione e si volto. Dalla stazione usc un fiume di viaggiatori, e molti si sparpagliarono tra i tavoli dei locali alla ricerca di posti liberi. All’improvviso, si trovo davanti un muro di schiene. Cerco di farsi largo tra la folla. Un cameriere si avvicino con passo da guerriero, quasi volesse travolgerla. Con un salto, lei scarto dietro un cespuglio giallo e verde. La visuale era ostruita da lavagne piene di scritte. Avanzo nella piazza, fino al punto in cui finivano le sedie, e da l si avvicino al caffe con le tende da sole blu e bianche dov’erano seduti Nyela e il suo amico di colore. O, meglio, dove avrebbero dovuto essere. Il cuore della ragazza perse un battito. Lei corse all’interno. Nessuno. Torno fuori. Niente Nyela, niente accompagnatore. «Merda», borbotto. «Merda, merda, merda!» Si affretto a raggiungere la strada principale, dove Nyela aveva parcheggiato l’automobile e lei aveva lasciato la sua Audi in divieto di sosta.
La Nissan non c’era piu. Disperata, continuo a correre, lanciando occhiate in tutte le direzioni, implorando il destino di avere pieta di lei, per poi maledirlo subito dopo. Alla fine si arrese, senza fiato. Non c’era niente da fare. Aveva rovinato tutto. Per colpa di uno stupido cartello. Tutto perche aveva voluto spiegare a Owen dove si trovava. Come avrebbe fatto a dirglielo? Un nero dalla pelle chiara sulla cinquantina. Jericho cercava d’immaginarselo. Per eta, poteva essere adatto a Nyela. Andre Donner? Indeciso, guardo verso il Muntu. Non succedeva nulla. Le luci erano spente, almeno per quanto riusciva a intravedere dalle vetrate. Dopo alcuni minuti, prese il cellulare, entro nel database di Diane e scarico le fotografie di Maye che avevano trovato in rete. Quasi tutte provenivano da articoli sul colpo di Stato apparsi online. La notizia in realta aveva avuto un certo risalto solo nei media dell’Africa occidentale; c’erano bizzarre biografie con ricche documentazioni fotografiche del defunto dittatore: Maye che visita una centrale idroelettrica, Maye che assiste a una parata militare. Maye intento a tenere un discorso, ad accarezzare teste di bambini, al fianco dei lavoratori su una piattaforma petrolifera. Con la sua presenza fisica e il suo narcisismo, quell’uomo bucava l’obiettivo. Chi era riuscito a farsi immortalare accanto a lui appariva curiosamente sfocato e privo d’importanza, mezzo coperto, secondario. Grazie alle didascalie, Jericho riconobbe ministri e generali poi morti nel golpe. Gli altri soggetti restavano senza nome. Quello che li accomunava era il colore della pelle, scuro o molto scuro, tipico delle popolazioni che vivevano lungo l’equatore. Carico il filmato che ritraeva Maye con Vogelaar, diversi ministri, rappresentanti dell’esercito e i due manager cinesi nella sala conferenze, ingrand i volti e studio lo sfondo. Un uomo in uniforme, seduto due file dietro Vogelaar, che seguiva il discorso con espressione annoiata e arrogante, poteva essere considerato di carnagione chiara, ma forse era solo l’effetto delle lampade al neon. Uno di loro era Donner? Jericho alzo lo sguardo e s’immobilizzo. La porta d’ingresso del Muntu era aperta. No, si stava chiudendo. Dietro il vetro comparve la sagoma di una persona alta, che si specchiava sui vetri degli edifici di fronte. Jericho represse un’imprecazione. Mentre lui si dilettava come un idiota a cercare in mezzo a un mucchio di estranei un uomo di cui non conosceva nemmeno l’aspetto, dall’altro lato della strada qualcuno era entrato nel locale. Mise in tasca il cellulare e si precipito fuori.
Era Donner quello che aveva visto? Attraverso la strada, si schermo gli occhi con le mani e guardo nella finestrella. La stanza era immersa nell’oscurita. Non si vedeva nessuno. Solo dai piccoli oblo incastonati nella porta a battenti della cucina proveniva una tremolante luce blu, come quella di un’illuminazione di emergenza guasta. I suoi sensi lo avevano ingannato? No, escluso. Spinse la porta. Lo invest l’aria fresca proveniente dall’interno del ristorante. Fece scorrere lo sguardo sulle tovaglie, sulle felci immobili e sul bancone del bar. Al di la della porta a battenti ud risuonare il rumore di un macchinario che si avviava, forse di un condizionatore. Tese l’orecchio. Nessun altro rumore. Niente che facesse pensare che, oltre a lui, ci fosse qualcun altro nel locale. Ma dove poteva essere scomparso l’uomo? La sua mano destra si poso meccanicamente sul calcio della Glock, che sonnecchiava, fredda e silenziosa, al suo posto. Anche se era andato fin l per mettere sull’avviso Donner, non poteva prevedere come l’uomo avrebbe reagito alla sua visita. Si avvicino al bar e sbircio dietro il bancone decorato. Nessuno. Oltre la porta a battenti il raggio di luce brillava gelido. Torno al centro della stanza, giro la testa verso la tenda di perline che nascondeva la toilette e credette di vedere alcune cordicelle oscillare. Guardo meglio. Come bambini colti con le mani nella marmellata, le perline s’immobilizzarono. Non si muoveva niente. Niente di niente. Si avvicino e diede un’occhiata oltre la tenda di perline. Scorse un breve corridoio scuro. «Andre Donner?» disse. Ma non si aspettava una risposta. E infatti non ne arrivo nessuna. La porta di sinistra immetteva probabilmente nel bagno degli uomini, quella di fronte nella toilette per le signore. Alla fine del corridoio c’era un’altra porta con la scritta PRIVATO. Infilo una mano tra le perline, che si animarono tintinnando, poi indugio. Forse doveva rimandare l’ispezione dei bagni e dei locali privati a piu tardi. Il suo sguardo torno a posarsi sulla porta a battenti e, nello stesso momento, il ronzio della macchina si spense. Ud molto chiaramente... Il nulla. Il rumore della macchina lo faceva sentire piu a suo agio. «Donner?» Gli rispose solo il silenzio. Persino i rumori della strada sembravano essersi cristallizzati sulla soglia. Lentamente si avvicino alla porta a battenti e spio attraverso uno degli oblo. Non c’era molto da vedere: un piccolo mondo cromato e piastrellato di bianco. Un tubo al neon difettoso illuminava l’ambiente con un effetto stroboscopico. Scorse un forno a gas con ap-
plicazioni nere, sovrastato da una cappa a muro appannata; l’angolo di un piano da lavoro; uno scaffale dove erano ammassate padelle e pentole. Entro. La cucina non era piccola come gli era sembrata di primo acchito. Anzi era sorprendentemente spaziosa per un ristorante come il Muntu. Tre pareti erano occupate da scaffali, frigoriferi, lavelli e forni a microonde. Lungo la quarta parete c’erano mensole e aste da cui penzolavano casseruole, padelle, mestoli e setacci. Un lungo piano di lavoro occupava il centro della stanza, vicino ai fornelli si trovavano due grosse pentole e varie ciotole coperte con pellicola trasparente e piene di verdure tagliate a pezzi, oltre ad alcune scatole di polistirolo chiuse. Sul lato opposto del tavolo troneggiava un’enorme affettatrice. L’aria era impregnata dall’odore di brodo, frittura, disinfettanti e da quello dolciastro della carne scongelata, che faceva bella mostra di se in una teglia col coperchio appoggiato per meta, marrone pallido sotto la luce pulsante del neon, ricoperta di pelle dai colori cangianti, con ossa che sporgevano dalla carcassa. Sembrava il quarto posteriore di un grosso animale. Antilope, penso Jericho. Si raffiguro i tendini bianchi sotto il pelo di un essere vivente, un capolavoro dell’evoluzione che permetteva all’animale di spiccare salti prodigiosi, un meccanismo di fuga raffinato, anche se alla fine inutile contro il piu piccolo e veloce di tutti i predatori, la pallottola di un fucile. Coi sensi all’erta, si avvicino ai fornelli. La tremolante luce blu richiamava alla mente associazioni con un apparecchio insetticida, dove ogni lampo comunicava la morte e l’incenerimento di ali e zampe, occhi che fissavano il vuoto senza paura prima di essere percorsi dalla scossa elettrica e scoppiare. Nel silenzio dell’ambiente ora riusciva a distinguere anche il ronzio della lampada, il clic di quando si accendeva e si spegneva, come uno strano codice. Il suo sguardo si poso sui fornelli, su una casseruola. Il contenuto attiro la sua attenzione. Qualcosa sembrava prendere vita sotto la luce della lampada... un serpente decapitato e arrotolato. Lo fisso. All’improvviso, ebbe la sensazione che la temperatura si fosse abbassata di diversi gradi. Sentiva un’oppressione sul petto, come se dita invisibili stessero afferrando il suo cuore col preciso intento di fermarlo. Percep un respiro estraneo alle sue spalle e seppe di non essere piu solo in cucina. L’altro era entrato senza fare rumore, materializzandosi dal nulla: un professionista. Si volto. L’uomo era un po’ piu alto di lui, coi capelli scuri, con occhi chiari e penetranti e con un mento pronunciato. In una vita precedente, aveva portato i baffi e i capelli biondo cenere, fatto ora testimoniato solo dalle ciglia e dalle sopracciglia chiare, ma Jericho lo riconobbe subito. Aveva visto quel volto molte volte, l’ultima solo pochi minuti prima, sul display del suo cellulare.
Jan Kees Vogelaar. Pensieri spaventosi si rincorrevano nella sua mente: Vogelaar che aspettava Donner per ucciderlo. Che lo aveva gia ucciso. Cadaveri nel frigorifero. Lui stesso si trovava in una posizione oltremodo sfavorevole, troppo vicino al suo avversario. Entrare in cucina era stato una leggerezza imperdonabile. L’effetto fantasmatico dei neon. L’arma nella mano di Vogelaar. Discutere o combattere? Il fallimento della ragione. Riflessi. Si chino e percosse con violenza il polso dell’uomo. Dall’arma part uno sparo e il proiettile perforo con un suono sordo il basamento della cucina. Rialzandosi, Jericho assesto con la testa un colpo sul mento di Vogelaar, facendolo barcollare. Poi afferro la casseruola e gliela scaravento addosso. Ne schizzo fuori un alieno guizzante - il corpo scuoiato del serpente -, che sferzo il viso dell’aggressore, mentre la casseruola ne sfiorava la fronte. Raccogliendo le forze, Jericho scarico un potente calcio sulla mano che impugnava l’arma. La pistola cadde a terra tintinnando e scivolo sotto il tavolo. Lui riusc a prendere la sua Glock, ma cadde all’indietro, come se fosse stato colpito da un ariete infuriato. Il suo avversario si era ripreso e, girandosi fulmineamente, aveva alzato la gamba destra, colpendolo col piede in pieno petto. Jericho sent l’aria uscire dai polmoni e ando a cozzare contro la cucina. Vogelaar si avvicino, roteando come un derviscio. Il calcio successivo lo colp alla spalla, e un altro al ginocchio. Si accascio con un urlo. L’uomo si chino su di lui e afferro il suo avambraccio sbattendolo ripetutamente e con violenza contro il bordo della cucina. Le dita di Jericho si contrassero e poi si aprirono. In qualche modo, riusc a trattenere la Glock e ad affondare la mano sinistra nel plesso solare di Vogelaar, senza pero ottenere l’effetto sperato. Il suo avversario si accan nuovamente sull’avambraccio. Un dolore pulsante lo attraverso a ondate. Non pote piu trattenere la pistola, che volo lontano, descrivendo un ampio arco nell’aria. Con la mano libera, cerco di colpire le costole e le reni di Vogelaar e, quando percep che la stretta sul suo braccio si allentava, riusc a liberarsi e a strisciare di lato. Dov’era finita la Glock? Eccola. A meno di mezzo metro da lui. Provo a raggiungerla, ma non fu abbastanza rapido. Fu afferrato e scaraventato contro una delle pentole giganti. Istintivamente cerco di afferrarne una; colpito alle ginocchia, si accascio e, cadendo, rovescio il pentolone. Un fiume di brodo unto e caldo si riverso su di lui insieme con una pioggia di ossa, verdure e carne. Inzuppato e sporco, rotolo sul pavimento, l’avversario piegato sopra di lui, la mano chiusa in un pugno che stava per centrarlo. Afferro la pentola vuota con entrambe le mani e la scaglio con la forza rimasta contro gli stinchi di Vogelaar.
Il sudafricano represse un gemito di dolore e vacillo. Come un anfibio, Jericho striscio nella pozza di brodo, riusc a rimettersi in piedi, scivolando piu volte e uso come armi contundenti prima una ciotola di pomodori a pezzi, poi un’altra colma di macedonia di frutta, facendo volare per la stanza mango, ananas e kiwi. Per alcuni secondi, il suo gigantesco avversario fu impegnato a schivare quei proiettili, concedendogli cos il tempo di mettere una certa distanza tra loro, poi torno ad attaccare. Jericho cerco riparo dietro il piano di lavoro e riusc a ribaltare uno degli scaffali, rovesciandone a terra il contenuto: padelle, pentole, teglie, ciotole e setacci, casseruole e cassetti pieni di posate. Vogelaar comp un balzo all’indietro per evitare la slavina. Ormai gran parte della cucina era bloccata. L’unica via d’uscita passava lungo il lato opposto del piano di lavoro. Ma Vogelaar era piu vicino alla porta. Idiota, penso Jericho. Ti sei messo in trappola da solo. L’ex mercenario sudafricano digrigno i denti in un sorriso ironico. Indugiarono entrambi, studiandosi. Per la prima volta, Jericho pote osservare meglio l’uomo che aveva di fronte. Gli torno alla mente la data di nascita del mercenario e con stupore si rese conto che aveva superato da tempo la sessantina. Una macchina da guerra in eta da pensione che annullava il vantaggio della gioventu. Non sembrava affaticato, mentre lui ansimava come una locomotiva a vapore. Vide un bagliore negli occhi dell’altro, il riflesso dei tubi al neon, poi calo il buio. Il neon aveva esalato il suo ultimo respiro. Vogelaar si trasformo in una sagoma scura dalla quale proveniva una sommessa risata di trionfo. Jericho strizzo gli occhi. Solo dalla porta a battenti filtrava un po’ di luce, appena sufficiente per scorgere l’unica possibile via di fuga. Con l’andatura di un granchio, striscio fuori dal suo riparo. E, proprio come se fosse la sua sagoma riflessa in uno specchio, anche il sudafricano inizio a muoversi. Era un’illusione. Non sarebbe riuscito a raggiungere la porta abbastanza velocemente. Forse era meglio tentare un diversivo. Parlare. «Perche non lasciamo perdere queste cazzate?» Silenzio. «Cos non arriviamo da nessuna parte. Dovremmo parlare.» Aveva un tremolio nella voce. Cos non andava. Respiro a fondo e ci riprovo. «C’e stato un malinteso.» Gia meglio. «Io non sono un tuo nemico.» «Mi hai preso per stupido?» Una risposta, se non altro, anche se minacciosa. Un tono che precludeva ogni dialogo. La sagoma si avvicino. Lui indietreggio, tastando con un piede dietro di se; tocco qualcosa di pesante e frastagliato e lo afferro per usarlo come arma. Con un colpo secco, la lampada riprese a funzionare. Vogelaar si avvento su di lui, brandendo un coltello da cucina, e Jericho ebbe la paralizzante sensazione di un deja-vu. Shenzhen, Ma Lpng, il «paradiso dei Piccoli Imper-
atori». All’ultimo momento, sollevo quello che teneva in mano. Il coltello taglio in due il rafano, sibilo nell’aria, lo sfioro. Lui barcollo all’indietro. Il gigante lo stava incalzando intorno al tavolo, spingendolo verso lo scaffale ribaltato. Jericho tasto alla cieca il mucchio di stoviglie a terra, riusc ad afferrare una teglia da forno e la tenne alzata davanti al petto, come uno scudo. Il metallo della lama stridette contro l’alluminio. Non sarebbe riuscito a respingere gli attacchi furiosi ancora a lungo, quindi impugno la teglia con entrambe le mani e passo al contrattacco, agitandola in tutte le direzioni e riuscendo a colpire Vogelaar. Lo fece vacillare e gli scaglio la teglia sulla testa, quindi si lascio scivolare a terra, rotolo sotto il tavolo sull’altro lato, si rialzo e si mise a correre. Vogelaar avrebbe dovuto girare intorno al tavolo... Invece lo supero con un salto. A pochi centimetri dalla porta, Jericho si sent tirare indietro con tale violenza che i suoi piedi persero il contatto col pavimento. Senza apparente sforzo, l’ex mercenario lo trascino lontano dalla porta e lo getto a terra. Urto qualcosa di duro e, per un qualche istante, non vide e non sent piu nulla. Poi si rese conto che, in realta, non si trovava per terra: la sua testa era premuta contro la lama dell’affettatrice, che comincio a girare con un sibilo. Si divincolo, cercando di liberarsi, ma Vogelaar lo bloccava, torcendogli un braccio sulla schiena fino quasi a spezzarglielo. La lama girava sempre piu velocemente. «Chi sei?» «Owen Jericho. Critico culinario.» «E che cosa vuoi?» «Niente, proprio niente. Vedere Donner, parlare con Donner... » «Andre Donner?» «S, s!» «Per una recensione del ristorante?» «S, maledizione!» «Con una pistola?» «Io...» «Risposta sbagliata.» Vogelaar gli premette la testa contro il metallo e lo spinse verso la lama. «E ogni risposta sbagliata ti costa un orecchio.» «No!» Un dolore lancinante attraverso il padiglione auricolare. In preda al panico, Jericho inizio a scalciare e ud un rumore sordo. La pressione sull’articolazione della spalla si allento e il gigante gli crollo addosso. Si rialzo di slancio e assesto una gomitata in pieno viso al suo torturatore che stava barcollando. L’altro si aggrappo alla sua cintura e cadde. Per non essere trascinato a terra, Jericho afferro il bordo del tavolo. Qualcosa di grande e scuro si abbatte sulla testa di Vogelaar, che svenne e non si mosse piu.
Yoyo lo fissava, tenendo con entrambe le mani la coscia surgelata di antilope. «E chi sarebbe questo stronzo?» «Jan Kees Vogelaar.» «Merda. E Donner?» «Non ne ho idea.» Jericho si accovaccio accanto all’uomo. «Presto, dobbiamo girarlo.» La ragazza getto via la coscia di antilope e lo aiuto senza fare domande. Unendo gli sforzi, riuscirono a girare Vogelaar sulla schiena. «Stai sanguinando», disse lei. «Lo so.» Gli slaccio la cintura e la sfilo dai pantaloni. «È rimasto qualcosa del mio orecchio?» «Difficile dirlo. Non ha esattamente l’aspetto di un orecchio. » «Lo temevo. Adesso rigiriamolo sulla pancia.» Ancora una gran fatica. Lui piego indietro gli avambracci di Vogelaar e li lego con la cintura. L’uomo respirava affannosamente ed emise un gemito. Le dita si contrassero. «Se serve, colpiscilo di nuovo», disse Jericho, guardandosi intorno. «Portiamolo fino a quel frigorifero laggiu. Quello accanto al microonde.» Insieme afferrarono il corpo sotto le ascelle, lo trascinarono verso il frigorifero e lo misero seduto. Vogelaar pesava un centinaio di chili, e i suoi gemiti facevano presagire che di l a poco avrebbe ripreso conoscenza. Jericho allora si sfilo anche la sua cintura e la uso per legare il prigioniero alla maniglia del frigorifero. Seduto con la testa reclinata, il sudafricano aveva l’aspetto di un martire. La luce tremolante del neon lascio il posto a una luminosita costante e sterile. Yoyo aveva trovato l’interruttore. Lui perlustro carponi il pavimento della cucina finche non trovo la Glock e la pistola del suo avversario. «Bastardo», bofonchio Vogelaar con la voce impastata. Jericho consegno l’arma a Yoyo e punto la Glock sull’uomo legato. «Dovresti scegliere con cura le parole. Potrei offendermi. Per esempio, potrei ricordarmi che il mio orecchio fa male e che devo a te questo scherzetto.» Il sudafricano gli rivolse uno sguardo pieno d’odio. All’improvviso, inizio a strattonare il frigorifero come un ossesso. L’elettrodomestico si sposto di alcuni centimetri. Jericho tolse la sicura alla Glock e premette la canna contro una narice dell’altro. «Reazione sbagliata.» «Vaffanculo!» «E una reazione sbagliata ti costera la punta del naso. Vuoi andare in giro senza naso, Vogelaar? Vuoi sembrare un idiota?» L’altro digrigno i denti, ma smise di agitarsi. Evidentemente l’idea di condurre un’esistenza senza naso lo disturbava piu dell’eventualita di perdere la vita. «Perche questo teatrino?»
chiese con aria torva. «Tanto mi ammazzerai comunque.» «Credi?» L’ex mercenario scoppio in una risata incredula. «Ma dai, risparmiami questi giochetti.» Il suo occhio sano si poso su Yoyo. L’occhio di vetro continuava a fissare il vuoto. «Che razza di gente siete? Non avrei mai pensato che Kenny rinunciasse al piacere di occuparsi di me di persona.» Jericho ebbe la netta impressione che stava per assistere a sviluppi inaspettati e incomprensibili. «Tu conosci Kenny?» Uno sbattere di palpebre. «Certo che lo conosco.» «Adesso ascoltami bene», disse Jericho, accovacciandosi accanto a lui. «Abbiamo trovato un documento, purtroppo solo dei frammenti, ma bisognerebbe essere imbecilli per non capire che sei qui per togliere di mezzo Andre Donner. Quindi una cosa alla volta. Partiamo da Donner, okay? Dov’e?» Qualcosa nello sguardo dell’altro si modifico. La rabbia aveva lasciato il posto a un totale stupore. «Ti sbagli. Bisogna essere imbecilli per pensare una cosa del genere.» «Dove diavolo e Andre Donner?» «Di’ un po’, ma sei completamente fuori di testa? Io...» «Per l’ultima volta. Dov’e?» «Per la miseria!» grido l’uomo legato al frigorifero. «Apri gli occhi!» Gia, a proposito di cose inaspettate e incomprensibili, disse una voce nella testa di Jericho. Sembra proprio che tu abbia preso un enorme abbaglio. «Non capisco...» «È seduto davanti a te. Sono io Andre Donner!» MERCENARI Le guerre dell’epoca moderna, in particolare la prima e la seconda guerra mondiale, venivano universalmente considerate conflitti fra Stati sovrani, decisi sulla base del diritto internazionale e combattuti dalle forze armate dei Paesi belligeranti. In molte parti del mondo, cio aveva formato l’errata opinione che, nel corso della storia, i soldati fossero sempre stati impiegati armati, che percepivano lo stipendio anche se non c’era nessuno da attaccare o niente da difendere. Era impensabile che le divisioni dell’US Army, della Royal Air Force, delle Forces armees o della Bundeswehr scorrazzassero per il proprio Paese saccheggiando le case e violentando le donne. In effetti, l’introduzione della leva obbligatoria aveva in apparenza segnato il declino delle forze che avevano determinato le sorti delle guerre fino a quel momento. I kerethei e i pelethei di re Davide, gli opliti greci dell’esercito persiano, le orde dedite al saccheggio dei borgognoni e degli armagnacchi del tardo Medioevo, i mercenari svizzeri, i lanzichenecchi della Guerra dei Trent’anni e gli eserciti privati dell’Africa coloniale si erano tutti messi al servizio del miglior offerente. Erano pagati per combattere e non per bi-
vaccare nelle caserme. Nel XX secolo, col ritiro delle potenze coloniali, molti mercenari erano stati attirati dai disordini che avevano accompagnato l’indipendenza dei Paesi africani, dove le persecuzioni, i colpi di Stato e gli stermini etnici erano all’ordine del giorno. Dal canto suo, l’Occidente proteggeva i propri interessi con l’aiuto degli eserciti privati, soprattutto per evitare che sul suolo africano si diffondesse il comunismo. E i comunisti non si comportavano in modo molto diverso. Inoltre alcuni Stati, come il Sudafrica, avevano creato corpi paramilitari come il Koevoet, assicurando ai soldati di professione un lavoro duraturo e ben retribuito. Il modello dei mercenari, apparentemente destinato all’oblio, aveva trovato la sua nicchia nella cerchia dei dittatori e dei ribelli. Poi tutto era cambiato. Con un sospiro della storia, era crollato l’impero sovietico, senza clamore, in modo quasi banale, ma irrimediabile. La Repubblica Democratica Tedesca aveva cessato di esistere. L’IRA non impensieriva piu Londra, a Citta del Capo era finito l’apartheid, la Guerra Fredda era stata superata, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti avevano ridotto le loro forze armate, i rivolgimenti politici in Sudamerica avevano gettato discredito su migliaia di militari. In tutto il mondo, soldati, poliziotti, agenti segreti, combattenti della resistenza e terroristi avevano perso il lavoro e la loro ragione di esistere. Non era una novita assoluta. Gia anni prima, i veterani della guerra del Vietnam avevano fondato agenzie militari private che facevano il lavoro sporco per Washington. Per conto della CIA, quelle societa avevano tolto di mezzo governanti poco graditi, smerciato armi e droga e alleggerito il budget della Difesa. Ora pero il mercato era sul punto di crollare per l’eccessiva disponibilita di combattenti professionisti, che nell’epoca di Nelson Mandela e dei colloqui tra americani e russi si contendevano le ultime aree di crisi. Per quanto i despoti ancora al potere facessero del loro meglio per violare i diritti umani, non c’era lavoro per tutti. Ed ecco che si alza il sipario su un nuovo atto. Entrano in scena Saddam Hussein, ambizioso e avido, e Slobodan Milosevic, nazionalista e delirante. Gli antagonisti perfetti di un’umanita altrimenti pacifica, che decide senza remore di riammettere la guerra come prosecuzione della politica. Purtroppo, nell’ebbrezza della riconciliazione generale, ci si e liberati di qualche soldato di troppo. Ed ecco che i mercenari possono ricominciare a lavorare. Legittimati dalle Nazioni Unite, danno una ripulita alla propria immagine, forniscono il loro contributo all’eliminazione del tiranno del Golfo e del mostro dei Balcani e aiutano a ripristinare la pace. Poi, un bel giorno, due aerei passeggeri si schiantano contro le Twin Towers di New York, mandando in fumo anche gli ultimi intenti pacifisti. Strenuamente impegnato a mettere in ginocchio l’asse del male, George W. Bush, il piu grande bancarottiere della storia americana, procura agli Stati Uniti migliaia di morti e un buco
finanziario di dimensioni inimmaginabili. Quasi tutte le nazioni devono imparare a proprie spese quanto sia costosa la guerra e che e ancora piu costoso ottenere la pace, almeno utilizzando gli eserciti regolari. D’altro canto, la necessita della guerra non e piu in discussione, pertanto le societa di sicurezza private, efficienti e discrete, si aggiudicano un appalto dopo l’altro. Nel contempo, l’Africa, con le sue materie prime, si trasforma nella scacchiera della globalizzazione. Ferite che si credevano ormai sanate si riaprono, i petroldollari dividono i Paesi e, agli angoli della coperta, agiscono le forze gravitazionali dell’Oriente e dell’Occidente. La Somalia diventa sinonimo di lacrime e sangue. Milioni di persone periscono nella guerra civile della Repubblica Democratica del Congo. Appena ripresosi dalle lotte tra il governo e l’esercito di liberazione popolare, il Sudan precipita nel conflitto del Darfur, che risucchia l’intera Africa centrale. Col silenzioso benestare della Francia, il dittatore del Ciad investe molti dei milioni guadagnati col petrolio nell’acquisto di armi e destabilizza la regione a modo suo. In Costa d’Avorio si massacrano i partiti del Nord e quelli del Sud. Mentre nella Nigeria meridionale, ricca di giacimenti, dilaga la violenza, il Senegal, il Congo, il Burundi e l’Uganda si segnalano per crimini contro l’umanita particolarmente efferati. Persino le nazioni considerate stabili come il Kenya per un breve periodo sprofondano nel caos. Solo per gente come Jan Kees Vogelaar la situazione non potrebbe essere migliore. All’inizio del nuovo millennio, la sua Mamba ha combattuto al fianco dell’esercito di pace dell’Unione Africana, impedito l’intervento dei sudanesi di ceppo arabo nella guerriglia e accettato lucrosi incarichi in Kenya e in Nigeria. Dopo la nascita dell’African Protection Services, Vogelaar puo estendere la propria attivita anche ad altre aree di crisi. L’APS diventa per l’Africa quello che la Blackwater e stata per l’Iraq. Fino al 2016, la societa si fa inoltre un nome nel settore della protezione delle installazioni petrolifere e delle vie di trasporto, nelle trattative per il rilascio di ostaggi e nell’esplorazione di nuovi siti per conto delle multinazionali occidentali e asiatiche, sempre piu entusiaste di utilizzare gli eserciti privati per determinati servigi. Ma il settore resta difficile, e Vogelaar inizia a stancarsi di dover continuamente cambiare vessillo. Dopo anni d’instabilita su tutti i fronti, inizia a guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa di duraturo, di un incarico permanente. E l’incarico arriva. «Mi e stato proposto da Kenny Xn», disse Vogelaar. «O, meglio, dall’azienda per cui lavora Kenny, che mi ha praticamente servito il futuro su un piatto d’argento.» «E chi si nascondeva dietro quell’azienda?» chiese Jericho. L’altro si massaggio i polsi, segnati dalla cintura. «A quel tempo, c’erano i servizi segreti cinesi. Ma piu tardi mi sono venuti dei dubbi.»
Jericho si era lasciato convincere a slegare Vogelaar, e ora erano seduti nel ristorante. Prima era passato in bagno per verificare in che stato fosse il suo orecchio. Aveva un aspetto orribile, completamente ricoperto di sangue. Rivoli rossi erano scesi lungo il collo per coagularsi sotto la T-shirt. Imbrattato di brodo e di resti di verdure schiacciate, aveva un aspetto pietoso. Dopo essersi ripulito dal sangue, la situazione era apparsa meno grave di quanto avesse pensato. Al padiglione auricolare mancava soltanto un lembo sottile come una fetta di carpaccio: Jericho, insomma, non sarebbe diventato un emulo di Van Gogh. Yoyo si era fatta indicare l’armadietto del pronto soccorso e lo aveva medicato e fasciato. A lui era parso di percepire nei movimenti delle dita della ragazza una delicatezza che andava oltre la cura richiesta dalla semplice medicazione. Se fosse stato un cane, avrebbe detto che lo stava accarezzando, ma lui non era un cane, e lei probabilmente stava solo svolgendo con zelo il suo compito. Vogelaar li aveva osservati e, all’improvviso, era parso molto stanco, come se dovesse recuperare anni di sonno perduto. «Se non siete venuti per uccidermi, perche diavolo siete qui?» «Per metterti in guardia, idiota», gli aveva spiegato la ragazza. «Da chi?» «Da quelli che vogliono ucciderti!» Jericho aveva preso il suo cellulare e, senza dire una parola, aveva proiettato sulla parete il frammento di testo e il filmato che mostrava Vogelaar in Africa. «Dove lo avete preso?» «Non lo sappiamo. Ci e capitato tra le mani per caso, ma da quel momento il tuo amico Kenny ci da la caccia per ammazzarci. » L’ex mercenario aveva emesso un suono a meta strada fra una risata e un grugnito. «Il mio amico Kenny... Vediamo di dirla tutta, non siete venuti fin qui perche avete a cuore la mia sopravvivenza.» «In effetti, no. Specialmente dopo che mi hai combinato un incontro con l’affettatrice.» «Potevo immaginare chi eri?» «Avresti potuto chiedermelo.» «Chiedertelo? Tu ti sei introdotto nella mia cucina e mi hai aggredito!» «Dopo che tu hai puntato la pistola...» «Santo cielo, cosa avrei dovuto fare, secondo te? Cosa avresti fatto tu, al mio posto? Nyela mi chiama e mi racconta che nel nostro ristorante sono seduti due pagliacci che si spacciano per critici gastronomici.» «Allora?» aveva esclamato Yoyo trionfante. «Te l’avevo detto... »
«Non era quello il problema, piccola. Eri tu il problema. Quello che hai detto. Qui nessuno sa nulla della Guinea Equatoriale, Nyela e camerunense e io sono un boero sudafricano. I Donner non sono mai stati all’equatore.» Yoyo aveva taciuto, imbarazzata. «Hai visto i filmati della telecamera di sorveglianza?» aveva chiesto Jericho. «Ah, l’hai notata?» «Sono un detective.» «Certo che li ho visti. Sono preparato a tutto, giovanotto. In realta, speravo di poter vivere in pace sino alla fine dei miei giorni. Nuova identita, nuova residenza. Ma Kenny non molla. Quel bastardo non ha mai mollato.» «Credi che il testo lo abbia scritto lui?» «Credo che dovresti slegarmi, altrimenti il resto te lo puoi ricostruire da solo.» Lui lo aveva accontentato, mentre Yoyo lo teneva sotto tiro. Vogelaar pero era andato dietro il bancone, aveva posato sul tavolo vino di palma, rum e Coca-Cola e aveva ascoltato la loro storia, fumando una sigaretta dopo l’altra. Jericho si concesse un bicchiere di rum, considerando di esserselo piu che meritato. «Che tipo di accordo ti ha proposto Kenny?» «Una specie di secondo Wonga-Coup.» «Non proprio un bel precedente.» «Lo so, ma le circostanze erano cambiate. Ndongo non era Obiang, non aveva la stessa protezione. In pratica, tutte le posizioni chiave del suo governo erano state comprate dagli americani e dagli inglesi. Solo che l’effetto dei soldi non dura per sempre. Devi continuare a oliare gli ingranaggi, altrimenti prima o poi il castello crolla. Inoltre Ndongo era un Bubi. I Fang lo avevano accettato solo perche alla fine se la passavano male proprio come i loro antagonisti e, sotto Maye, le cose sarebbero andate anche peggio. A quel tempo, l’APS operava lungo l’intera costa occidentale del continente africano. Nel Camerun proteggevamo le installazioni petrolifere dagli attacchi dei ribelli. A Yaounde ho conosciuto Nyela, la prima donna che ha fatto nascere in me il desiderio di mettere ordine nella mia esistenza.» «Si chiama veramente Nyela?» «Sei matto?» sbotto Vogelaar. «Nessuno usa il suo vero nome quand’e in gioco la vita. Comunque sia, un bel giorno arrivo in ufficio e trovo Kenny ad attendermi. Mi vuole illustrare gli interessi dei cinesi. Aveva un modo bizzarro di passare da un termine all’altro quando si riferiva ai suoi committenti. Una volta parlava del Partito comunista, poi dei servizi segreti, quindi lasciava intendere di essere stato mandato dalla societa petrolifera statale. Quando gli ho chiesto di essere piu chiaro, lui mi ha domandato di rimando quale fosse, secondo me, la differenza tra i governi e i gruppi petroliferi. Dopo averci riflettuto un attimo, gli ho detto che
non c’era differenza. O, per essere precisi, che in quarant’anni di attivita non ne avevo mai trovate.» «E Kenny ti ha proposto il colpo di Stato.» «I cinesi erano infastiditi dalla presenza degli americani nel golfo di Guinea. Stiamo parlando di un’epoca precedente all’elio-3: la regione valeva oro. Inoltre i cinesi ritenevano di aver diritto a quello che Washington teneva per se. Ho cercato di spiegare a Kenny che proteggere i governi dai guerriglieri e ben diverso che farli cadere. Gli ho raccontato del WongaCoup, di Simon Mann, che ammuffiva a Black Beach, e di come Mark Thatcher si era reso ridicolo agli occhi del mondo. Lui ha ribattuto fornendomi i dettagli del rovesciamento della casa reale saudita, l’anno precedente. Mi ha fatto venire la pelle d’oca. Era chiaro a tutti che era stata la Cina a sostenere i fondamentalisti arabi ma, se quello che mi stava dicendo Kenny era vero, Pechino a Riyad aveva fatto ben di piu che concedere qualche finanziamento. Credimi, riconosco un pallone gonfiato a dieci chilometri di distanza. Kenny non lo era. Diceva la verita, percio ho deciso di starlo a sentire.» «Immagino che andasse d’amore e d’accordo con Maye.» «Avevano qualche rapporto, s. Nel 2016, Kenny lavorava ancora dietro le quinte, ma ho capito subito che ben presto quel tizio si sarebbe esposto in prima persona.» Vogelaar rise sommessamente. «Sembra una persona gentile, ma non lo e affatto. Ed e ancora piu pericoloso quand’e gentile.» «Ma si puo essere gentili in un ambiente come questo?» chiese Yoyo. «Certo. Perche no?» «S, be’, i mercenari, per esempio.» La ragazza si torceva le mani. «Voglio dire, non sono tutti, chi piu chi meno, un po’... razzisti?» Dio mio, Yoyo, penso Jericho. Cosa c’entra questo, adesso? Vogelaar si giro verso di lei e soffio fuori il fumo. Sembrava un grosso drago fumante. «Parla pure apertamente.» «Koevoet. Apartheid. Ti basta?» «Io ero un razzista di professione, ragazzina, se ti riferisci a me. Dammi dei soldi e io odiero i neri. Dammi piu soldi e odiero i bianchi. I veri razzisti rovinano sempre tutto. Inoltre tipi del genere li trovi anche nell’esercito.» «Solo che voi vi fate comprare, al contrario dei soldati regolari... » «È vero, ci facciamo comprare, ma non tradiamo nessuno. E sai perche? Perche non stiamo dalla parte di nessuno. Siamo fedeli soltanto al nostro contratto.» «Ma se voi...» «Noi non possiamo tradire nessuno.»
«Io la vedo in modo diverso.» Jericho si agitava sulla sedia, a disagio. Cosa spingeva Yoyo a gettare addosso a Vogelaar tutto il suo sdegno proprio in quel momento? Apr la bocca per dire qualcosa, quando improvvisamente sul viso di lei si dipinse un’espressione che diceva: «Ho capito, adesso smetto». Si rassegno e, sorseggiando la Coca-Cola, chiese: «E chi ha preso contatto per primo? Maye o i cinesi?» Vogelaar la osservo, indeciso. Poi scrollo le spalle e si verso un generoso bicchiere di rum. «Per quanto ne so, e stata la tua gente a contattare Maye.» «Vuoi dire i cinesi», lo corresse la ragazza. «La tua gente», ripete l’altro. «Quando sono arrivati, hanno sfondato una porta aperta. Il punto era che Obiang aveva preso un abbaglio sul conto di Maye. Voleva qualcuno che si lasciasse manovrare a suo piacimento, ma aveva scelto la persona sbagliata. Senza l’elio-3, probabilmente Maye sarebbe ancora seduto al suo posto a Malabo.» «Allora alla fine anche lui non era altro che un fantoccio.» «S, ma dei cinesi, una potenza mondiale con un sacco di soldi. È ben diverso che lasciarsi tenere al guinzaglio da un ex dittatore malato di cancro. Quando Kenny e venuto da me, aveva studiato la faccenda ed era giunto alla conclusione che noi eravamo le persone giuste. Io l’ho ascoltato con calma... e poi ho rifiutato. » «E perche mai?» si meraviglio Jericho. «Per indurlo a scendere dal suo piedistallo. Ovviamente lui era deluso. E preoccupato, perche si era sbottonato un po’ troppo. Allora gli ho spiegato che forse c’era una possibilita. Ma che avrebbe dovuto mettere sul piatto qualcosa di piu di un colpo di Stato. Gli ho detto che ero stufo delle guerre lampo, di cercare continuamente nuovi incarichi, ma pure che in una qualche villa mi sarei annoiato a morte. Volevo un tipo diverso d’azione.» «Un posto nel governo di Maye. Una richiesta insolita per un mercenario.» «Kenny mi ha capito. Pochi giorni dopo, abbiamo incontrato Maye. Ha piagnucolato per due ore, lamentandosi della sua stupida famiglia, dicendo che aveva dovuto promettere una poltrona a tutti. Sarebbe stato impossibile trovare un posto anche per me. Mi ha lasciato rosolare a fuoco lento per ore, poi si e fatto piu amichevole, ha iniziato a fare lo zio, e ha tirato fuori il coniglio dal cilindro.» «Offrendoti il posto di capo della sicurezza.» «La cosa buffa e che era stata un’idea di Kenny. Ma gli aveva riempito la testa di parole sino a fargli credere che fosse stata un’idea sua. L’accordo era fatto. Il resto e stato un gioco da ragazzi. Io mi sono occupato della logistica, ho messo insieme i commando, ho procurato le armi e gli elicotteri, il solito armamentario, e il resto lo sapete gia. I cinesi ci tenevano che
l’azione si svolgesse senza spargimento di sangue e che Ndongo potesse lasciare incolume il Paese, e noi siamo riusciti a soddisfare anche quest’ultima richiesta.» «L’anno scorso, Pechino e stata molto meno schizzinosa.» «L’anno scorso, la posta era molto piu alta. Nel 2017 si trattava soltanto di correggere gli equilibri.» «Che eufemismo.» «Andiamo! Tutti sapevano che alcuni giornalisti scaltri, prima o poi, avrebbero scritto articoli intelligenti. Sulla ridistribuzione delle licenze, voglio dire, la posizione di Pechino era chiara. E allora? La gente e abituata a queste cose, ai cambi di regime. Ma i morti sono un’altra cosa. Soprattutto se stai tentando di ripulire la tua immagine. Pechino non aveva dimenticato che, nel 2008, era stata messa alla gogna. Anche per questo la casa reale saudita e riuscita a fuggire quando i fondamentalisti hanno preso Riyad. Era la condizione posta dai cinesi per finanziare l’operazione. Comunque sia, siamo entrati a Malabo, Maye ha posato il suo enorme sedere sulla poltrona di presidente, io ho fondato l’EcuaSec, i servizi segreti della Guinea Equatoriale, e ho fatto arrestare gli oppositori. Tutto qua.» «E non ti e mai venuta la nausea?» chiese Yoyo. «La nausea?» Vogelaar si porto il bicchiere alle labbra. «Solo una volta. Per colpa del tonno avariato.» Jericho le lancio un’occhiata piena di rimprovero. «E poi?» «Poco dopo l’insediamento di Maye, come c’era da aspettarsi, Kenny e tornato con nuove richieste. La Guinea Equatoriale e diventata il suo parco giochi. Ogni due settimane alloggiava al Paraso, un hotel per i lavoratori delle installazioni petrolifere, dove si faceva viziare dalle puttane e leggeva i miei rapporti. In Camerun avevamo concordato che avrei tenuto d’occhio Maye...» «Dunque era questo l’accordo.» «Certo, cos’altro? Come ho gia detto, e stata un’idea di Kenny. Nessuno era tanto vicino a Maye quanto me. Ero diventato il suo confidente.» «Nel contempo, pero, lo controllavi.» «In caso il grassone uscisse dai ranghi. Ovviamente anch’io ero sorvegliato. Questo e il metodo di lavoro di Kenny, cos costruisce le sue alleanze: tutti controllano tutti. Ma io ho sempre avuto l’occhio lungo.» «Di vetro», lo schern Yoyo. «Con quello sano vedo piu lontano di te che ne hai due», replico lui. «Ho scoperto ben presto dove si nascondevano le talpe che Kenny mi aveva messo alle calcagna. Mezza EcuaSec era infestata di spie. Naturalmente ho fatto finta di nulla. Volevo saperne di piu su di lui e sui suoi mandanti.»
«Io so solo che e pazzo.» «Diciamo che ama gli estremi. Ho scoperto che ha vissuto tre anni a Londra, al servizio dell’addetto militare cinese, e altri due a Washington, dove si e dedicato a operazioni sotto copertura. Ufficialmente apparteneva allo Zhong Chan’erbu, il servizio segreto militare, seconda divisione dello stato maggiore dell’Esercito di Liberazione Popolare. Purtroppo i miei contatti non erano sufficienti per saperne di piu; in compenso conoscevo un paio di persone del Guojia nquanbu, presso il ministero per la Sicurezza statale, che avevano gia collaborato con Kenny. Secondo loro possedeva capacita analitiche eccezionali e una grande sensibilita psicologica. Inoltre era famoso per condurre i sabotaggi e le eliminazioni con un certo... be’, s, un certo zelo, senza compromessi.» «In altre parole, il nostro amico era un killer.» «Quello non era un motivo sufficiente per agitarsi. Se non fosse stato per un altro dettaglio.» Vogelaar fece una pausa per accendere una nuova sigaretta. Lo fece con calcolata lentezza, aspirando voluttuosamente il fumo e lasciandosi catturare dal fiume dei ricordi. «Mi hanno detto che aveva qualcosa di mostruoso. Anch’io avevo avuto la stessa impressione, anche se non avrei saputo dire perche. Quindi ho cercato di scoprire qualcosa sul passato meno recente di Kenny. Ho trovato il servizio militare, un percorso di studi, un corso di formazione come pilota, l’addestramento con le armi da fuoco, tutto regolare. Stavo per rinunciare, quando mi sono imbattuto in una particolare organizzazione che porta il delizioso nome di Yu Shen.» «Oh, fantastico», sbotto Yoyo. Jericho aggrotto la fronte. «Yu Shen? Mi suona familiare. Ha a che fare con la dannazione eterna, giusto?» «Yu Shen e il dio degli inferi», spiego la ragazza. «Una figura del taoismo. Si basa sull’antica concezione cinese dell’inferno, nascosto nelle profondita della Terra e suddiviso in dieci regni, su ognuno dei quali domina un re degli inferi. Il dio degli inferi e la divinita piu potente. Insieme coi suoi giudici valuta i morti.» «Cio significa che tutti vanno all’inferno?» «All’inizio s. E ognuno viene giudicato da un tribunale speciale, in base alle proprie azioni. I buoni ritornano in superficie e rinascono in un’incarnazione spiritualmente piu evoluta. Anche i cattivi rinascono dopo aver scontato la loro pena all’inferno, ma come animali.» Jericho fisso Vogelaar. «In che cosa si e reincarnato Kenny?» «Ottima domanda. In una bestia dall’aspetto umano?» «E prima cos’era?» L’altro aspiro la sua sigaretta. «Ho cercato di raccogliere informazioni sullo Yu Shen. Impresa difficile. Ufficialmente questa divisione non esiste, in realta e paragonabile al tribunale
infernale. I membri vengono reclutati nelle prigioni, negli istituti psichiatrici e nelle cliniche neurologiche. Si puo dire che cercano le personificazioni del male. Individui estremamente dotati, i cui problemi psichici hanno superato il valore di soglia e in condizioni normali andrebbero rinchiusi. Lo Yu Shen offre loro una seconda possibilita. Non cerca di renderli persone migliori, ma di strumentalizzare la loro malvagita. Fanno degli esperimenti. Cose che non vorreste mai sapere. Dopo un anno, decidono se rimettere il candidato in liberta, infiltrandolo nell’esercito o nei servizi segreti, o rinchiuderlo nell’inferno di un istituto per sempre. » «Sembra un esercito di macellai», commento Yoyo, disgustata. «Non necessariamente. Alcuni membri dello Yu Shen hanno fatto carriere sorprendenti.» «E Kenny?» «Quando lo Yu Shen lo ha trovato, aveva appena compiuto quindici anni ed era rinchiuso in un istituto psichiatrico per giovani con disturbi mentali. Quello che c’e stato prima e avvolto dal mistero. Probabilmente e cresciuto nella piu nera miseria, in un angolo remoto di un quartiere dove non si vedono nemmeno i braccianti che lavorano alla giornata. Padre, madre, due fratelli. Non so niente su com’e avvenuto; so solo che una notte, quando aveva dieci anni, mentre tutti dormivano, ha rovesciato due taniche di benzina sulla capanna di lamiera della sua famiglia. Poi ha bloccato ogni via di fuga con delle barricate che aveva preparato per settimane, usando i rifiuti. Le ha incastrate in modo che nessuno potesse fuggire e ha appiccato il fuoco.» La ragazza lo fisso, sgomenta. «E la sua...» «Carbonizzata.» «Tutta la famiglia?» «Tutta. Per puro caso, uno strizzacervelli ha saputo dell’accaduto e ha preso in cura il ragazzo. Aveva un’intelligenza eccezionale e una spiccata lucidita di pensiero. Lui non ha negato di aver commesso il fatto, pero non ha mai spiegato il motivo del suo gesto. Per quattro anni e passato da un esperto all’altro, finche non ha attirato l’attenzione dello Yu Shen.» «Che lo ha aizzato contro l’umanita!» «Era considerato sano di mente.» «Sano di mente?» «Nel senso che aveva il controllo di se stesso. Non hanno trovato niente. Nessuna malattia mentale documentata. Solo un patologico bisogno di ordine, una passione per la simmetria. I classici sintomi di un disturbo ossessivo-compulsivo, ma nel complesso niente che potesse farlo dichiarare pazzo. Era soltanto... malvagio.» Per un po’ regno il silenzio. Jericho ricapitolo quello che sapeva di Kenny Xn. Il suo amore per il camuffamento, l’inquietante capacita di leggere nella mente degli altri. Jan Kees aveva ragione. Kenny era malvagio. Ciononostante aveva la sensazione che quella non fosse
ancora tutta la verita. Le sue azioni sembravano dettate da un oscuro codice che lui si sentiva obbligato a seguire con estremo scrupolo. «All’inizio, non avevo nessun motivo per non fidarmi di Kenny. Tutto funzionava a meraviglia. Pechino ha mantenuto la parola e le distanze, Maye si godeva lo status di sovrano indipendente. Il petrolio e i soldi scorrevano a fiumi. Poi e arrivata la fine. Tutto il mondo parlava dell’elio-3, tutti volevano andare sulla Luna. L’interesse per le risorse fossili andava rapidamente scemando e Maye non poteva farci niente. Ne giustiziando la gente ne infuriandosi.» Vogelaar diede un colpetto alla sigaretta per far cadere la cenere. «Il 30 aprile 2022 mi ha chiamato nel suo ufficio. Quando sono entrato, Kenny era gia l, accompagnato da alcuni uomini e da alcune donne che ci ha presentato come rappresentanti del ministero Aerospaziale cinese.» Yoyo fece schioccare le dita. «Io so cosa volevano. Hanno proposto a Maye di costruire una rampa di lancio.» Jericho sobbalzo. «Quindi non e stata affatto un’idea di Maye.» «No. Naturalmente voleva sapere a che scopo lui dovesse costruire una cosa del genere. Hanno detto che sarebbe servita per lanciare nello spazio un satellite. Che tipo di satellite? ha chiesto lui. Loro gli hanno risposto che un satellite e un satellite, non ha importanza a cosa serve. Vuoi un satellite? Un satellite personale, un satellite per le comunicazioni di proprieta della Guinea Equatoriale? Adesso puoi averlo. A noi interessa solo il lancio e che nessuno venga a sapere chi c’e dietro.» «Ma perche?» intervenne Jericho, costernato. «Quale vantaggio ci puo essere a lanciare nello spazio un satellite cinese da un Paese africano?» «Anche noi ci siamo fatti la stessa domanda. Hanno spiegato che esisteva un accordo sull’attivita spaziale, sottoscritto e ratificato dalla maggior parte degli Stati negli anni ’60 su richiesta delle Nazioni Unite. L’accordo diceva a chi apparteneva lo spazio, cosa si poteva fare e cosa no. L’accordo conteneva una clausola, piu tardi concretizzata in un accordo separato, che regolava le eventuali questioni causate dagli incidenti dei satelliti artificiali. Per esempio: se un meteorite cade nel tuo giardino e uccide le tue galline, non puoi farci niente. Ma se si tratta di un satellite con un reattore nucleare, che non cade sulle tue galline bens sul centro di Berlino, allora i danni materiali sono di proporzioni astronomiche, per non parlare dei morti e dei feriti e dell’aumento dei casi di cancro. Chi ne risponde?» «Quelli che lo hanno causato.» «Esatto. Gli Stati, e in misura illimitata, secondo l’accordo. Se la Germania riesce a dimostrare che si e trattato di un satellite cinese, la Cina deve pagare. Il fattore decisivo e da dove l’oggetto e stato lanciato. Piu oggetti una nazione spara nello spazio, piu alto e il rischio di dover prima o poi pagare i danni. Per questo, ci hanno detto i delegati, Pechino voleva trat-
tare con uno Stato disposto a fare installare alla Cina rampe di lancio sul proprio territorio e a far credere al mondo che si trattava di un’iniziativa autonoma.» «Ma, in questo modo, in caso di problemi, sarebbero costretti a pagare!» «Ai tipi come Maye non importa di mandare in rovina il loro popolo. I milioni del mercato del petrolio erano gia defluiti da tempo verso i suoi conti privati, com’era avvenuto anche ai tempi di Obiang. A lui interessava solo sapere cosa ci avrebbe guadagnato. Kenny ha detto una somma... una somma esorbitante. Maye cercava di apparire rilassato, ma sotto il tavolo se la stava facendo addosso dall’emozione.» «Tutta questa faccenda non gli sembrava assurda?» «La delegazione ha chiarito che la Cina conduceva quel tipo di trattative per minimizzare i rischi, anche se il pericolo che un satellite cadesse sulla Terra era remoto. E che si sarebbe trattato di un progetto civile, non militare, volto unicamente a testare un nuovo propulsore sperimentale. Tutto quello che Maye avrebbe dovuto fare era proclamarsi il padre del programma spaziale della Guinea e garantire che avrebbe mantenuto il silenzio sui finanziatori. In cambio, la Cina sarebbe stata disposta a regalargli il suo satellite.» «Che idiota», commento Yoyo. «Rifletti.La Guinea Equatoriale, il primo Paese africano con un proprio programma spaziale.» «Ma, durante la costruzione della rampa di lancio, nessuno si e reso conto che il cantiere era pieno di cinesi?» chiese Jericho. «Non era cos. È stata indetta una gara d’appalto pubblica. Maye ha fatto sapere al mondo di voler lanciare un programma spaziale e ha invitato gli esperti a visitare il suo Paese. Naturalmente hanno partecipato anche i cinesi. Tutto era organizzato alla perfezione. Alla fine, alla costruzione della rampa hanno collaborato russi, coreani, francesi e tedeschi, senza accorgersi che stavano realizzando i progetti di qualcun altro.» «E il gruppo Zheng?» Vogelaar sollevo le sopracciglia, stupito. «Ah, vi siete informati. È vero, molte parti della struttura sono state progettate da Zheng. C’era una squadra sul posto. I lavori sono iniziati in dicembre, meno di un anno dopo la rampa era pronta, e il 15 aprile 2024 durante una festosa cerimonia e stato lanciato in orbita il primo e unico satellite per le comunicazioni di Maye.» «Che ne era molto orgoglioso.» «Maye e letteralmente impazzito per quell’aggeggio. Un modello era appeso nel suo ufficio, si muoveva lungo un binario sul soffitto e gli girava intorno mentre lavorava alla scrivania: il Sole della Guinea Equatoriale.» «Ma e durato poco.»
«Neanche tre settimane. Prima una breve interruzione, poi il guasto definitivo. La notizia ha fatto il giro del mondo. Maye e stato schernito e deriso. Non che avesse bisogno di un satellite; se l’era cavata egregiamente anche senza. Ma si era esposto a livello internazionale, e si era reso ridicolo. Persino i Bubi, nelle loro celle, a Black Beach, si contorcevano dalle risate. Ribollente di rabbia, Maye ha preteso di vedere Kenny, il quale gli ha fatto sapere di avere ben altri problemi. Il che peraltro era vero. I cinesi e gli americani si stavano minacciando a vicenda, accusandosi di aver portato armi sulla Luna. Ho consigliato a Maye di abbassare i toni, ma non voleva farsene una ragione. Alla fine, ai primi di giugno, quando la crisi lunare si e risolta, Kenny e tornato a Malabo per un colloquio. Maye gli ha fatto una piazzata. Voleva un nuovo satellite, subito... Poi ha commesso un grave errore. Ha insinuato che dietro il lancio ci fosse qualcosa di piu del test di un propulsore sperimentale.» «In che senso?» chiese Jericho. Vogelaar soffio una nuvola di fumo. «Io gli avevo detto quello che avevo scoperto sul progetto.» «Avevi fatto delle ricerche?» «Certo. Ho monitorato la costruzione della rampa e il lancio del satellite molto piu da vicino di quanto sarebbe piaciuto a Kenny, ma senza farmi notare. Alcune cose non quadravano. Ho informato Maye, intimandogli di tenere la cosa per se, ma quell’idiota non e riuscito a dominarsi e ha minacciato Kenny.» «E lui ha reagito?» «In modo gentile. E la cosa non mi e piaciuta affatto. Ha detto a Maye di non preoccuparsi, che sarebbero riusciti a trovare un accordo.» «Suona come l’annuncio di un’esecuzione.» «Anch’io ho avuto la stessa idea. Ma ormai il danno era fatto. L’unica possibilita era scoprire tutta la verita, per mettere Kenny all’angolo. E sono riuscito davvero a scoprire qualcosa. Quando Kenny e ritornato, Maye lo ha ricevuto insieme con ministri e generali. Lo abbiamo messo davanti all’evidenza. Lui ha taciuto. A lungo. Molto a lungo. Poi ha chiesto se eravamo consapevoli del fatto che ci stavamo giocando la vita.» «L’inizio della fine.» «Non era detto. Perlomeno ci prendeva sul serio. E ha fatto capire di essere disposto a trattare.» Vogelaar rise amaramente. «Ma ancora una volta Maye ha rovinato tutto, chiedendo somme improponibili, un vero passo falso. Kenny non poteva accettare. Aveva costruito ponti d’oro per Maye. Avevo davvero la sensazione che volesse evitare un’escalation, ma la superbia del dittatore era irrefrenabile. Alla fine, gridando, ha detto che avrebbe raccontato come stavano le cose al mondo intero. Kenny si e alzato, ha sorriso e ha detto: ’Okay, hai vinto tu. Avrai quello che chiedi, grande dittatore, dammi due settimane’. Poi
se n’e andato.» Lo sguardo dell’ex mercenario si perse nella nuvola di fumo. «In quel momento ha avuto la certezza che Maye ci aveva appena condannato tutti a morte. Poteva anche crogiolarsi nell’illusione di essere uscito vincitore dallo scontro, ma era un uomo finito. Non ho perso tempo a convincerlo del contrario e me ne sono andato a casa a fare le valigie. Ho sempre diverse identita pronte e un piano di fuga per le emergenze. Il mattino seguente, io e mia moglie abbiamo lasciato la Guinea Equatoriale e tutto quello che possedevamo, a parte una valigia piena di soldi e un mucchio di documenti falsi. Gli sgherri di Kenny si sono subito messi sulle nostre tracce, ma il mio piano era perfetto. Non era la prima volta che ero costretto a scomparire. Abbiamo fatto cos tante deviazioni da far perdere le nostre tracce. A Berlino, siamo diventati Andre e Nyela Donner, un ingegnere agrario sudafricano e un’avvocatessa del Camerun con la passione per la gastronomia, e abbiamo cercato un locale. Il giorno dell’inaugurazione del ristorante, Ndongo riponeva le sue mutande nei cassetti del palazzo presidenziale di Malabo e Maye era morto. Tutti quelli che erano al corrente della faccenda erano morti.» «Tutti tranne uno.» «Gia. Tranne uno.» «E cosa c’era dietro il programma spaziale?» Vogelaar allungo una mano e sposto il bicchiere mezzo pieno verso il centro del tavolo. Il rum luccicava sotto la luce della lampada di carta, spargendo intorno a se bagliori e riflessi. «Fareste meglio a chiedervi chi vi sta dando la caccia.» Yoyo lo fulmino con lo sguardo. «Oh, grazie. Cosa credi che abbiamo fatto tutto il giorno?» «A essere sinceri, io mi chiedo la stessa cosa.» «Forse lo Zhong Chan’erbu», suppose Jericho. «I servizi segreti cinesi. Stando a quello che ci hai appena raccontato...» «Io non ne sono piu tanto sicuro. Temo che la strana delegazione di Kenny non rappresentasse ne il governo ne l’ente spaziale cinese. Con ogni probabilita, quei due non sanno nemmeno di essere stati chiamati in causa.» Jericho lo fisso, sbalordito. «Sono stati molto convincenti», aggiunse Vogelaar. «Ma il Partito doveva sapere cosa stava succedendo. Maye ne avra parlato negli incontri ufficiali.» «Sciocchezze. Il governo cinese non ha mai visitato la Guinea Equatoriale, e Maye non e mai stato invitato nella Citta Proibita. Non era qualcuno con cui ci si faceva vedere volentieri. Ogni tanto compariva un ininfluente ministro dell’Energia ma, per il resto, erano soprattutto quelli dei gruppi petroliferi a frequentare il Paese. Pechino ha sempre affermato d’intrattenere
con la Guinea Equatoriale rapporti esclusivamente commerciali.» «Ai tempi di Mugabe e dei suoi compari non avevano problemi a farsi fotografare coi dittatori.» «Mugabe non e salito al potere col loro aiuto. Dopo un colpo di Stato, non sta bene che i fiancheggiatori si facciano vedere troppo in giro. Oggi i cinesi sono piu prudenti.» «E cosa mi dici di Zheng?» «Cosa ti devo dire?» «Il suo gruppo lavora per l’ente spaziale cinese. Anzi no, e l’ente spaziale cinese, e ha costruito la rampa per Maye. Deve pur essere venuto fuori qualcosa.» «E chi dice che qualcuno ne abbia parlato con Zheng? All’interno di un ente c’e sempre chi sa e chi non sa. La sua azienda ha ottenuto il lavoro sul libero mercato. E allora?» «Il Partito ha permesso al piu importante costruttore spaziale del Paese di erigere una rampa di lancio all’estero?» «I colossi come quello di Zheng e quello di Orley non li puoi controllare, nemmeno il Partito puo farlo, e in realta non ne ha la minima intenzione. Il primo ministro cinese possiede azioni dello Zheng, dovrebbe controllare se stesso. Al contrario, Pechino ha salutato con favore la partecipazione di Zheng alla gara d’appalto, perche questo facilitava lo spionaggio in loco.» «E allora perche sei diventato sospettoso?» Vogelaar sorrise. «Perche sono sospettoso di natura. Cos ho scoperto che Kenny ha lasciato lo Zhong Chan’erbu nel 2022. Adesso collabora coi servizi segreti militari solo come consulente. » «Un momento», intervenne Yoyo. «Il rovesciamento che ha portato Maye al potere...» «È stato finanziato dai gruppi petroliferi cinesi, ratificato da Pechino ed eseguito dai servizi segreti cinesi col nostro aiuto.» «E la rampa?» «La rampa non ha nulla a che fare con tutto cio. Con la rampa sono entrati in scena nuovi attori. La Cina e sempre stata interessata solo alle materie prime. I tizi che ci hanno chiesto di costruire la rampa avevano altri interessi.» «Quindi Kenny ha cambiato schieramento?» «Non sono sicuro che lo abbia fatto. Magari ha semplicemente ampliato il proprio raggio d’azione. Non credo che sia andato contro gli interessi di Pechino, penso piuttosto che abbia dato la priorita agli interessi di altri.» «E la caduta di Maye?» «È da imputare ai costruttori della rampa di lancio. Puo darsi che il governo cinese abbia approvato. Comunque nessuno gli ha chiesto un parere.»
«È una tua supposizione o ne sei sicuro?» «È una mia supposizione.» «Vogelaar, devi dirci cosa hai scoperto sulla rampa di lancio, hai capito?» insistette Yoyo. Lui incrocio le dita. Osservo a lungo il proprio pollice, si tocco la punta del naso e alzo lo sguardo verso il soffitto. Infine annu. «D’accordo. Lo faro.» «Ti ascoltiamo.» «Per duecentocinquantamila euro.» «Come?» Jericho rimase senza fiato. «Sei impazzito?» «In cambio vi daro un dossier in cui c’e scritto tutto.» «Sei fuori di testa!» «Per niente. Io e Nyela dobbiamo sparire, e in fretta. La maggior parte del mio patrimonio e congelata nella Guinea Equatoriale. Quello che ho potuto portare con me e stato investito nel Muntu e nell’appartamento sopra il locale. Entro domani, vendero il possibile, ma Nyela e io dobbiamo ricominciare da capo da un’altra parte.» «Per la miseria, Vogelaar!» esplose Yoyo. «Sei davvero uno sporco, ingrato...» «Centomila, neanche un centesimo in piu», s’intromise Jericho. Vogelaar scosse la testa. «Io non tratto.» «Perche non sei nella posizione di trattare. Pensaci bene. Centomila euro o niente.» «Avete bisogno di quel dossier.» «E tu hai bisogno dei soldi.» Yoyo lo guardava con espressione torva, come se volesse passare lui nell’affettatrice. Jericho le lanciava sguardi eloquenti per invitarla alla calma. In caso di necessita, era pronto a minacciare il sudafricano con la Glock, anche se dubitava che Vogelaar avrebbe fatto degenerare la situazione fino a quel punto. In qualche modo dovevano trovare un accordo. Aspetto. Dopo quella che sembro un’eternita, Vogelaar sospiro e, per la prima volta, Jericho lesse la paura nei suoi occhi. «Centomila. In contanti, che sia chiaro. I soldi in cambio del dossier.» «Qui?» «Non qui. In un luogo piu frequentato.» Indico l’esterno con un cenno del capo. «Domani, a mezzogiorno in punto all’interno del Pergamonmuseum. È proprio dietro l’angolo. Seguite la Monbijoustraße fino alla Sprea, poi attraversate il fiume per raggiungere la Museumsinsel e la James Simon-Galerie. L i visitatori vengono smistati verso i vari musei. Ci troviamo davanti alla porta di Ishtar, di fronte alla Strada delle Processioni. Nyela e io spariremo subito dopo, quindi cercate di essere puntuali.» «E dove pensate di andare?»
Jan Kees lo fisso. «Questo non ti riguarda.» «Grandioso. Dove credi di trovare centomila euro?» chiese Yoyo mentre attraversavano la strada per raggiungere l’Audi parcheggiata sul lato opposto. Lui scrollo le spalle. «Non ne ho idea. Ma e sempre meglio di duecentocinquantamila.» «Oh, certo, molto meglio.» «Okay.» Jericho si fermo di colpo. «Cosa avrei dovuto fare, secondo te? Torturarlo?» «Esatto. Avremmo dovuto picchiarlo!» «Bella idea.» Si tocco l’orecchio, gonfio e ricoperto di bende. Si sentiva come un coniglio di peluche. «Gia mi vedo la scena. Io lo tengo fermo, mentre tu lo colpisci con la coscia d’antilope.» «Grazie per averlo notato. Io...» «E, ovviamente, Vogelaar non avrebbe opposto nessuna resistenza. » «Io l’ho davvero colpito con la coscia d’antilope!» «Ah, gia.» Jericho si avvicino alla vettura e sblocco le porte. «A proposito, da dove sei sbucata? Non dovevi tenere d’occhio Nyela?» «Questo e davvero il colmo!» Yoyo apr la porta sul lato del passeggero con uno strattone, scivolo all’interno e incrocio le braccia, imbronciata. «Senza di me saresti stato fatto a fettine, brutto stronzo.» Jericho tacque. Aveva appena commesso un errore? «Nemmeno io so come faremo a trovare i soldi. E non voglio partire dal presupposto che ce li mettera Tu Tian.» Yoyo borbotto qualcosa d’incomprensibile. «D’accordo. Torniamo in albergo?» Nessuna risposta. Lui sospiro e mise in moto. «Li chiedero a Tian, comunque. Me li puo prestare oppure scalarli dal mio compenso.» «Fa’ come vuoi.» «Magari ha qualche novita per noi. È da stamattina che si diletta con Diane.» Silenzio. «Prima di entrare al Muntu ho parlato con lui al telefono. Mi ha detto cose interessanti, che confermano la versione di Vogelaar punto per punto. Vuoi che ti racconti cosa mi ha detto Tian?» «Come vuoi.» Non riusc a cavarle una parola di piu fino all’albergo. Lui le racconto del suo colloquio con Tu Tian con la testardaggine di un pesce che nuota controcorrente, finche non riusc piu a fingere. Giunti nel parcheggio sotterraneo dello Hyatt, si arrese. «Okay. Hai ragione.»
Braccia incrociate, sguardo fisso. «Mi sono comportato male con te. Avrei dovuto ringraziarti. » «Chi se ne frega.» Se non altro, era rimasta seduta al suo posto anziche correre in camera sua. «Senza di te, Vogelaar mi avrebbe ucciso. Mi hai salvato la vita. Quindi, eh... grazie, okay? Dico sul serio. Non lo dimentichero mai. Sei stata molto coraggiosa.» Lei si volto e lo guardo con un’espressione corrucciata. «Perche devi sempre essere un orso?» Lui fisso il volante. «Non lo so. Forse non ho mai imparato.» «Cosa?» «A essere gentile.» «Io credo che puoi essere addirittura molto gentile, se vuoi.» Le braccia si sciolsero. «E sai cos’altro credo?» Jericho inarco le sopracciglia. «Che non riesci a esserlo soprattutto con le persone cui tieni di piu.» Lui la fisso, sbalordito. Non era una considerazione stupida. «E chi ti ha aiutato a giungere a questa conclusione?» chiese, mentre un vago sospetto prendeva forma nella sua mente. «Cosa intendi?» «Stavo solo pensando che una frase del genere potrebbe venire da Joanna.» «Non ho bisogno di Joanna per queste cose.» «Non e che per caso avete parlato di me?» «S», ammise Yoyo senza esitare. «Mi ha raccontato che siete stati insieme.» «E cos’altro ti ha detto?» «Che tu hai rovinato tutto.» «Ah.» «Perche non sei gentile con te stesso. Soprattutto con te stesso. » Lui aveva sulla punta della lingua milioni di obiezioni, l’una piu tagliente dell’altra. Ma avevano ben altro da fare che rovistare nel baule dei loro sentimenti. Pero, all’improvviso, Jericho si sentiva nudo. Come se Joanna lo avesse spogliato per esibirlo, portandolo in giro legato a un guinzaglio. Yoyo scosse la testa. «No, Owen. Non ha detto niente di negativo su di te.» «Ci pensero.» «Fallo.» Quella resa sembro avere un effetto benefico sull’umore della ragazza. «In fondo non e escluso che ci dobbiamo salvare la vita a vicenda un altro paio di volte.» «Come ti ho gia detto... quando vuoi! E per quanto riguarda Nyela...»
«È stato un mio errore. Ho mandato tutto all’aria. E, quando l’ho persa, ho pensato che la cosa migliore da fare fosse tornare subito da te.» Jericho si tocco l’orecchio. «Se devo essere sincero, sono felice che tu abbia mandato tutto all’aria.» CALGARY, ALBERTA, CANADA Aggirarsi per le strade di Calgary mostrando alla gente la fotografia del possibile attentatore nella speranza che qualcuno potesse offrire qualche informazione o addirittura riconoscerlo era come cercare il proverbiale ago nell’altrettanto proverbiale pagliaio. Quel milione e mezzo d’industriosi lavoratori, i quali fino a poco tempo prima avevano contribuito ad arricchire la citta in piu rapida espansione del Canada di nuovi beni, nuove architetture e risorse umane fresche, ora sembrava in preda a un totale disorientamento. Loreena Keowa era profondamente convinta dei vantaggi che avrebbe apportato all’economia la sostituzione dei tradizionali combustibili fossili con l’elio-3, ma le si stringeva il cuore pensando allo sguardo spento delle masse di disoccupati, al declino d’intere citta e province, alla bancarotta che, come una spada di Damocle, minacciava i Paesi la cui prosperita derivava esclusivamente dall’esportazione di petrolio e gas. Gli ecologisti avevano sognato e pregustato un passaggio di consegne non traumatico: Mr Fossilosauro avrebbe ricevuto un orologio d’oro come buonuscita a riconoscimento dei suoi servigi e si sarebbe ritirato in un’amena casa di riposo, da dove avrebbe benedetto l’inizio della nuova era con malinconia e dignita, mentre dieci miliardi di esseri umani avrebbero gioito all’idea di usufruire dell’elettricita prodotta senza limiti dall’elio-3. Ma c’e mai stato un solo cambiamento epocale nella storia del pianeta che sia avvenuto in modo indolore? Non nel Cambriano, nell’Ordoviciano o nel Devoniano, non alla fine del Permiano, del Triassico o del Cretaceo; non nel Pleistocene superiore, quando fece la sua comparsa una nuova specie dotata d’intelligenza superiore, l’essere umano, che entro a pieno titolo nel catalogo degli indicatori del cambiamento, aggiungendosi a eruzioni vulcaniche, meteoriti e glaciazioni, introducendo sul pianeta eventi di assoluta novita quali epidemie, guerre e crisi sociali. Era inevitabile che il meraviglioso nuovo mondo della fusione nucleare pulita avrebbe comportato una devastante crisi economica globale. Col vassoio su cui aveva disposto frutta, yogurt e cereali, Loreena si sedette al tavolo dove lo stagista stava gia attaccando la seconda montagna di pancake. «Ieri e stato un buco nell’acqua», disse il ragazzo senza smettere di masticare. Scrollando le spalle, lei manifesto il proprio disinteresse per quell’osservazione. Il Westin Calgary era molto vicino alla sede centrale dell’Imperial Oil, sulla 4th Avenue Southwest. Dopo la telefonata con Palstein, aveva percio deciso di pernottarvi insieme col suo collaboratore. Si erano poi dedicati a ripercorrere la strada fatta dal grassone asiatico. Un’impresa demoralizzante. Nel video di Bruford, l’uomo si era avvicinato al luogo dell’attentato da nord. Ma
la maggior parte degli alberghi era situata a sud, est e ovest della piazza, quindi era difficile individuare quello giusto, sempre che avesse effettivamente pernottato in un hotel. Magari viveva a Calgary. Con una breve passeggiata, in direzione del Bow River, lungo l’animata Centre Street, si raggiungeva Chinatown, che raccoglieva la numerosa comunita asiatica locale, terzo insediamento cinese in Canada dopo quelli di Vancouver e Toronto. Allo Sheraton, non lontano dal Prices Island Park, qualcuno ricordava con una certa precisione un asiatico alto e trasandato, ma non come ospite dell’albergo. Avevano mostrato la sua fotografia non solo nei ristoranti e nei negozi, ma anche, senza riscontri positivi, all’aeroporto internazionale. A ben vedere, quel mattino l’unico a ricevere qualche buona notizia era stato il corpo di Loreena: ananas, semi di girasole e yogurt magro gli segnalavano che lei aveva le migliori intenzioni di mantenerlo in buona salute. Mentre sorseggiava un te verde, la chiamo Sina, la redattrice di Vancouver che si occupava di cronaca interna. «Alejandro Ruiz, cinquantadue anni, direttore strategico della Repsol, o, piu precisamente, della Repsol YPF, con sede principale a Madrid... » «Le so gia queste cose.» «Aspetta. Leader di mercato in Spagna e in Argentina, per diverso tempo la Repsol e stata uno dei maggiori gruppi petroliferi privati del mondo, impegnata soprattutto nell’esplorazione, nella produzione e nella raffinazione, ma anche terzo fornitore mondiale di gas liquido. Da sempre poco interessata alle energie alternative. E da due decenni viene accusata con regolarita dagli indigeni Mapuche d’inquinare le loro falde idriche.» Quella combattivita degli indigeni rappresentava una novita assoluta per Loreena. «Esistono ancora i Mapuche?» «Oh, s. Sia in Argentina sia in Cile. Anche se il governo cileno nega che siano mai esistiti: divertente, no? E Ruiz non era solo il direttore del settore strategico, come pensavo fino a ieri, ma, dal luglio 2022, era il principale e unico responsabile delle attivita petrolchimiche in ventinove Paesi.» «Strabiliante», commento Loreena. «Perche?» «Lo e, se si considera l’orientamento dell’azienda. Perche nominare direttore strategico uno che chiede con insistenza il passaggio all’energia solare e usa parole indisponenti come ’etica’? » «Probabilmente lo hanno usato per non apparire troppo insensibili. Dalla sua posizione poteva abbaiare, ma non mordere. Solo che, a meta del 2022, la nave stava gia colando a picco. In quella situazione avrebbero potuto nominare direttore strategico anche un mulo andaluso. Quando e stato indiscutibile che la Repsol sarebbe stata uno dei grandi perdenti, hanno messo al timone un capro espiatorio, tutto qui.»
«Nel 2022 Ruiz non aveva piu nessuna possibilita di evitare il collasso.» «Lo so. Ciononostante, ha tentato il possibile e l’impossibile. Persino di entrare in affari con l’Orley Enterprises.» «Non ci credo!» esclamo Loreena, stupefatta. «Ho visto un paio di filmati. Ha un’aria simpatica, quel tipo. A Madrid, la moglie e la figlia, affrante, si stanno ancora chiedendo se un giorno tornera a casa. Ti mando i numeri di telefono per contattarle, e anche quelli di alcuni colleghi alla Repsol. Buona fortuna.» «Vuoi chiamare la moglie di Ruiz?» chiese lo stagista, una volta che lei ebbe terminato la chiamata con Vancouver. «Perche no?» «Per via dell’ora. E perche non parli spagnolo.» «A Madrid sono le quattro e mezzo del pomeriggio.» Lui si lecco le dita. «Sul serio? Credevo che in Europa fosse sempre notte quando qui da noi e giorno.» Lei stava per replicare, ma lascio perdere. Telefono dalla sua camera ed ebbe fortuna al primo tentativo. La senora Ruiz inizialmente si mostro turbata e reticente, ma poi fu molto disponibile e soprattutto parlava un ottimo inglese. Discusse con lei per una decina di minuti, poi chiamo un collaboratore del settore strategico della Repsol, un tizio che aveva frequentato Ruiz anche al di fuori del lavoro. Gli altri colleghi, il cui nominativo compariva nell’elenco di Sina, negli ultimi tempi battevano l’accidentato sentiero della disoccupazione. Ebbe modo di scoprire qualcosa di molto interessante. Fuori, un cielo plumbeo incombeva sulla citta. La pioggia battente sfumava sino a renderli indistinti i contorni della Calgary Tower, edificata molto tempo prima dai gruppi petroliferi Marathon e Husky Oil e alta centonovanta metri. I grattacieli apparivano come strutture scheletriche, simboli di un tessuto urbano divorato progressivamente dalla morte cellulare. Dopo una pausa di riflessione, chiamo di nuovo Vancouver. «Potete ricostruire i giorni precedenti alla scomparsa di Ruiz?» «Dipende da quello che vuoi sapere.» «Ho parlato con la moglie e con un collega. L’ultima tappa di Ruiz prima di volare a Lima e stata Pechino.» «Pechino?» si meraviglio Sina. «Cosa ci faceva Ruiz a Pechino? » «Appunto. È quello che mi chiedo anch’io.» «La Repsol non ha interessi in Cina.» «Questo non e del tutto vero. In effetti, si parlava di una joint-venture con la Sinopec. Di qualcosa legato all’esplorazione. Ne hanno discusso per una settimana. Quello che m’interessa in questo momento e sapere cos’ha fatto Ruiz l’ultimo giorno che ha trascorso in
Cina. Il primo settembre 2022, per essere precisi. Sembra che abbia partecipato a una conferenza, della quale pero il suo collega non ha saputo dirmi niente se non che si e svolta fuori citta e che dovrebbe esserci una documentazione da qualche parte. Mi ha promesso che dara un’occhiata.» «Nessuno sa di cosa si e parlato in quella conferenza?» «Ruiz era il direttore strategico. Era autonomo, non doveva rendere conto a nessuno delle sue azioni. La moglie dice che il suo Alejandro era una persona aperta, con uno spiccato sense of humour...» «Mi viene da piangere.» «Il punto e un altro. Era una persona difficile da mettere di cattivo umore. Quando lei gli ha parlato al telefono, poco prima della conferenza, splendeva ancora il sole. L’affare stava andando in porto, lui ha scherzato un po’ ed era felice di volare in Peru. Ma, quando l’ha chiamata dall’aereo per Lima, era piuttosto abbattuto.» «Ovvero il giorno successivo a quella famigerata conferenza. » «Esatto.» «E lei gli ha chiesto il motivo?» «Dice che deve essere successo qualcosa a Pechino che lo ha molto turbato, ma non ne ha voluto parlare. Addirittura non sembrava piu lui, era depresso e nervoso. L’ha chiamata un’ultima volta da Lima. Aveva un tono avvilito. Quasi spaventato.» «E subito dopo e scomparso?» «S, quella notte stessa. È stata l’ultima volta che ha parlato con lui.» «Cosa vuoi che faccia?» «Indaga. Voglio sapere a che tipo d’incontro ha presenziato in Cina. Dove si e svolto, di cosa si e parlato, chi ha partecipato.» «Faro il possibile, okay?» «Ma?» Sina indugio. «Susan vorrebbe parlare con te.» Loreena era consapevole di cosa la aspettava. Susan Hudsucker, il suo capo, il numero uno di Greenwatch, le chiese quando si sarebbe decisa ad accantonare le sue ambizioni personali per finire il reportage sulle magagne ecologiche dei gruppi petroliferi. L’eredita del mostro doveva andare in onda finche c’erano ancora dei mostri in circolazione. Inoltre poteva anche darsi che sulla faccenda di Palstein si fosse sbagliata. Loreena cerco di giustificarsi e d’impressionarla, dicendo che stava per far luce su un attentato. Susan replico che Greenwatch non era l’FBI. Lei insistette: forse l’attentato era collegato al tema del reportage.
Susan non nascose il suo scetticismo, ma d’altro canto Loreena Keowa non era una persona che si poteva comandare a bacchetta. «Ti rendi conto che quello che stai facendo e pericoloso? » «Il nostro lavoro e pericoloso. Cercare di risolvere dei casi lo e sempre!» «Loreena, stiamo parlando di un tentato omicidio.» «Stammi a sentire. Non posso spiegarti tutto per filo e per segno adesso. Domattina prendiamo il primo volo per Vancouver e convochiamo una riunione di redazione. Vi renderete conto che e un affare davvero scottante, e che noi siamo molto piu avanti di quegli idioti della polizia. Saremmo dei pazzi a lasciar perdere tutto adesso!» «Non sto cercando di metterti i bastoni tra le ruote. Dico solo che abbiamo anche molte altre cose da fare. L’eredita del mostro va finito.» «Non ti preoccupare.» «Invece mi preoccupo.» «Inoltre ho un accordo con Palstein. Se riusciamo a chiarire questa faccenda, ci lascera dare un’occhiata nei cassetti segreti dell’EMCO.» Susan sospiro. «Domani decideremo come procedere, okay?» «Fino ad allora Sina dovrebbe...» «Domani, Loreena.» «Susan...» «Per favore. Facciamo tutto quello che vuoi, ma prima parliamone. » «Oh, accidenti, Susan!» «Sid vi verra a prendere. Chiamalo per dirgli a che ora arrivate. » In preda alla rabbia, Loreena percorse a grandi passi la stanza, picchio piu volte il pugno contro il muro e poi ridiscese nel ristorante, dove lo stagista stava scavando col cucchiaio un’enorme porzione di mousse al cioccolato. «Perche mangi sempre tanto?» gli chiese. «Sto ancora crescendo», rispose lui pigramente. «A quanto pare, la telefonata con la Ruiz non e stata proprio un successo.» «Al contrario.» Lei si lascio cadere sulla sedia, fisso imbronciata la sua tazza e agito piu volte la teiera ormai vuota. «Ho avuto una conversazione sgradevole con Susan. Lei pensa che dovremmo concentrarci sull’Eredita del mostro.» «Questa non ci voleva.» «Non importa. Domattina voliamo a Vancouver e chiariamo tutto. Non posso mica lasciar perdere proprio adesso!» «Quindi riprendiamo a lavorare all’Eredita del mostro?» «No, no!» Si chino verso di lui. «Io lavoro all’Eredita del mostro. Tu ti occupi di Lars Gudmundsson.»
«La guardia del corpo di Palstein?» «Esatto. Di lui e della sua squadra. Mi sono informata, lavora per un’azienda di Dallas dal suggestivo nome di Eagle Eye. Protezione personale, eserciti privati. Tastagli il polso. Voglio sapere tutto il possibile.» Lo stagista la guardo, poco convinto. «E se sospetta qualcosa? Se capisce che stiamo indagando su di lui?» Lei sorrise. «Se se ne accorge, vorra dire che avremo commesso un errore. E noi commettiamo errori?» «Io s.» «Io no. Quindi finisci prima che mi venga la nausea a forza di guardarti mangiare. Abbiamo da fare.» GRAND HYATT Erano seduti nella hall, accanto al camino. Tu Tian ascolto il loro racconto ingoiando una manciata di noccioline dopo l’altra, quasi senza masticarle, prendendole da una ciotola accanto al suo Vodka Martini, le guance gonfie come quelle di uno scoiattolo che fa provviste per l’inverno. «Centomila.» Owen Jericho allungo una mano verso la ciotola. «Non trattabili. Vogelaar non ci dara una seconda opportunita.» «Allora paghiamo.» «Io non ho centomila euro», commento Yoyo con un sorriso mellifluo. «E allora? Secondo te ho fatto tutta questa strada per poi fermarmi davanti a centomila miserabili euro? Domattina avrete il denaro.» «Tian, io...» Jericho afferro una nocciolina e la porto alla bocca. «Non voglio che sia tu a sborsare questi soldi.» «Perche? Sono io il tuo datore di lavoro.» «Be’...» «Non e cos?» «In realta e Chen, e anche lui non ha...» «No, in realtà sono io, e io paghero!» esclamo Tu Tian con decisione. «L’importante e che il vostro amico ci dia il dossier.» «Insomma, e... nobile da parte tua.» «Non c’e bisogno che mi butti le braccia al collo. Si chiamano ’spese’», commento Tu Tian, liquidando l’argomento. «Da parte mia, posso comunicarvi che le ore trascorse con la tua affascinante anche se un po’ impersonale Diane mi hanno permesso di rintracciare il provider che ha messo in rete le dead letter box.»
«Sei riuscito a decodificare il messaggio?» chiese Yoyo, sorpresa. «Ssst.» Tu Tian fece un largo sorriso al cameriere che si era avvicinato per sostituire la ciotola vuota con una piena. Continuando a masticare, attese che l’uomo si fosse allontanato. «All’inizio ho trovato il router centrale. Un sistema davvero raffinato. Le pagine fanno un sacco di deviazioni, finche non compaiono nell’elenco messaggi inviati da diversi Paesi. Seguendo il loro percorso a ritroso pero si arriva a un unico server, che guarda caso si trova a Pechino.» «Cavoli. E chi e il gestore?» domando la ragazza. «Difficile dirlo. Ma ritengo che pure questo server non sia l’ultimo anello della catena.» «Se conoscessimo tutte le pagine inviate dal server potremmo... » «Non esiste un registro, se e cio che intendi. Tuttavia Diane utilizza l’impareggiabile software della Tu Technologies, ed e riuscita a catturare altre dead letter box che funzionano con questa maschera.» L’espressione assunta dal volto di Tu Tian era quasi mistica. Porse ai suoi compagni un foglio stampato. «Il testo e diventato un po’ piu lungo.» Jan Kees Vogelaar vive a Berlino sotto il falso nome di Andre Donner. È titolare di un per africano Indirizzo privato e indirizzo commerciale: Oranienburger Straße 50, 10117 Berlino. Cosa dobbiamo, continua a rappresentare un enorme rischio per l’operazione senza dubbio lui sa del. almeno a conoscenza di quello, e se, e discutibile In ogni caso dichiarazione a lungo Di fatto Vogelaar dal non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche sui retroscena del rovesciamento. Ndongo continua che il governo cinese ha programmato e attuato un’alternanza ai vertici. La natura dell’operazione al momento del Vogelaar ha poco Inoltre non e possibile concludere che all’Orley Enterprises e al si e trattato di un guasto. Nessuno la sospetta tutto. Io conto perche so, Ciononostante raccomando con urgenza l’eliminazione di Donner. È possibile sostenere Yoyo aggrotto la fronte. «Orley Enterprises.» Tu Tian sorrise con aria sorniona. «Interessante, vero? La piu grande azienda tecnologica del mondo. Ne abbiamo parlato poche ore fa. Questo particolare getta una nuova luce sull’intera faccenda. Piu che l’alternanza al governo della Guinea Equatoriale, il nocciolo della questione sembra la supremazia...» «... nello spazio.» Jericho si tocco l’orecchio. Si sentiva come se avesse arrancato per ore su una stradina di campagna per poi scoprire che, proprio l accanto, passava la strada principale. Secondo Vogelaar, i loro problemi erano iniziati nel 2022, con la visita della famigerata delegazione del ministero Aerospaziale cinese, quando Maye, vedendo andare in fumo tutti i suoi sogni, si era reso disponibile a qualsiasi tipo di accordo. Un accordo assurdo, ma Kenny era un rappresentante di Pechino, quindi Maye aveva creduto di trattare con una delegazione autentica. «Bene. Dimentichiamo Maye per un attimo. Yoyo, ricordi cosa ha detto Vogelaar a
proposito della rampa di lancio? Chi l’ha costruita ?» «Il gruppo Zheng.» «Esatto, Zheng. E chi e il principale concorrente di Zheng?» «L’America. Anzi no, l’Orley Enterprises», rispose Yoyo. «Il che in un certo senso e la stessa cosa, se non ricordo male. Orley ha permesso agli americani di conquistare la supremazia sulla Luna, ed e sempre un passo avanti a Zheng, sotto ogni punto di vista. Quindi Zheng punta sullo spionaggio...» «O sul sabotaggio.» «Vedo che avete capito.» Le dita di Tu Tian rovistavano tra noci e pistacchi. «Nel frammento si parla di un’operazione, e si dice che Vogelaar continua a rappresentare un enorme rischio perche sa. Ora, che tipo di operazione puo richiedere la morte di moltissime persone per garantirne la segretezza?» Yoyo si rabbuio e disse lentamente: «Una che non e ancora avvenuta». «Lo credo anch’io», commento Jericho. «Sulla natura e sul momento Vogelaar non sa nulla, ma potrebbe mandare all’aria il piano se rilasciasse dichiarazioni pubbliche sui retroscena del rovesciamento. Il mondo crede ancora che Ndongo si sia ripreso la poltrona di presidente con le proprie forze o con l’aiuto di Pechino... » «Bene, e adesso, per una volta, cerchiamo di non cadere in un equivoco», intervenne Tu Tian. «Qui c’e scritto anche: Non e possibile concludere che all’Orley Enterprises... si e trattato di un guasto. E...» «Nessuno la sospetta tutto!» «Quindi sospettano qualcosa. O no? Una formula del genere la scegli se sospettano qualcosa», s’intromise Yoyo. «Non dovremmo saltare alla conclusione che la seconda frase e completa solo perche in qualche modo suona sensata», obietto Jericho. «Il fatto decisivo e che entra in gioco Orley. Dall’altra parte abbiamo Zheng. Il disastro in Guinea Equatoriale e da imputare alla realizzazione di un programma spaziale nel quale Zheng ha avuto un ruolo attivo. Zheng rappresenta Pechino, ma forse anche solo se stesso. Julian Orley, salvatore del programma spaziale americano nonche nemico naturale di Zheng, e invece identificabile con Washington...» «Solo fino a un certo punto», lo interruppe Tu Tian. «Julian Orley e inglese, per quanto ne so, e fa squadra con gli americani solo perche gli servono. Anche lui rappresenta se stesso.» «E allora cosa abbiamo? Una guerra tra rappresentanti?» «È possibile. Che la situazione sulla Luna abbia aspetti critici lo sappiamo tutti almeno dall’anno scorso.» «Vogelaar la vede diversamente», riflette Yoyo. «Secondo lui, Pechino e stata presentata come finanziatrice del programma spaziale della Guinea Equatoriale, ma in realta e all’oscuro
di tutto.» Tu Tian scrollo le spalle. «Non ha importanza se e stata la Cina o se e stato Zheng. Vogliamo escludere l’eventualita che una multinazionale che opera a livello globale abbia progettato un attacco a un rivale col silenzioso assenso del suo governo?» «I cani mordono gli altri cani?» «Un attimo», esclamo Jericho. «I notiziari non hanno parlato della Orley Enterprises ultimamente? Pochi giorni fa ho visto un reportage sulla crisi lunare, e...» «Orley e sempre al centro dell’attenzione.» «S, ma si trattava di qualcosa di nuovo.» Gli occhi della ragazza s’illuminarono. «Ma s, certo! Gaia!» «Cosa?» «L’hotel sulla Luna. Il Gaia Hotel!» «È vero», disse Jericho. «Progettano di costruire un albergo lassu.» «Credo che lo abbiano gia finito», replico Tu Tian, pensieroso. «Avrebbero dovuto completarlo gia l’anno scorso, ma ci sono stati dei ritardi a causa delle discussioni sull’elio-3. Nessuno sa che aspetto abbia. È il grande segreto di Orley.» «Su Internet trovi un sacco d’illazioni», riprese Yoyo. «E hai ragione, e finito. È stato terminato in questi giorni.» «Cosa?» «Credo che debba essere inaugurato. Un gruppo di ricconi e volato sulla Luna. Forse anche lo stesso Orley. Un evento molto esclusivo.» Jericho la fisso. «Stai dicendo che l’operazione potrebbe essere collegata a questo hotel?» Tu Tian si massaggio la fronte. «Interessante. Dovremmo metterci subito al lavoro. Dobbiamo raccogliere tutte le informazioni possibili sulla Orley Enterprises. Cosa sta succedendo al momento? Cos’hanno in programma per il prossimo futuro? Poi ci occuperemo del gruppo industriale di Zheng. E, se riusciremo ad avere anche il dossier di Vogelaar, probabilmente faremo un gigantesco passo avanti. Quando dovete incontrare quel tipo?» «Domani a mezzogiorno, al Pergamonmuseum», lo informo Jericho. «Mai sentito.» «Ovvio. Tremila anni di cultura cinese fanno perdere di vista tutta l’insignificante storia del resto del pianeta. In ogni caso, non sarebbe una buona idea andare la in due», sentenzio, guardando Yoyo. «Come sarebbe a dire?» protesto lei. «Finora abbiamo fatto tutto insieme.» «Lo so. Ma resto della mia idea.»
Lei serro le labbra, imbronciata. «Capisco. Sei ancora arrabbiato con me per la storia di Nyela.» «No, per niente. Davvero.» «Credi che Vogelaar tentera un’altra volta di farti a fettine?» «È un uomo imprevedibile.» «Vuole i soldi, Owen. E in un luogo pubblico. Cosa puo succedere ?» «Owen ha ragione», intervenne Tu Tian. «Non siamo sicuri che Vogelaar abbia davvero quel dossier.» «Cosa vuoi dire?» «Quello che ho detto. Lui vi ha parlato di un dossier. Ma ve ne ha mostrato uno?» «Naturalmente no, visto che prima vuole...» Tu Tian la interruppe. «Quindi potrebbe aver bluffato. Proprio perche gli servono i soldi. Vuole ingannare Owen al museo per filarsela con centomila euro.» «Come farebbe a ingannarlo?» «Cos.» Jericho punto una pistola immaginaria contro la propria tempia. «Funziona anche in mezzo alla gente.» «Oh, fantastico!» Yoyo non riusciva a star ferma. «E vuoi ancora andarci da solo?» «Credimi, e piu sicuro.» «Saresti piu sicuro con me e con la mia coscia d’antilope!» «Da solo sono piu veloce e piu libero di muovermi. Non devo preoccuparmi di nessuno tranne che di me stesso.» «Cosa che ti riesce benissimo, orecchio di peluche.» «In ogni caso e bastato per salvarti la vita due volte.» «Ah, allora e cos? Hai paura di dovermi salvare una terza volta ? Mi ritieni troppo stupida?» si scaldo la ragazza, indignata. «Non sei per niente stupida.» «E cosa allora?» «Forse un po’ difficile?» «Lo spero bene!» Con tutta la sua autorita Tu Tian interruppe l’alterco. «Yoyo, la decisione e presa.» La rabbia che s’impadron di Yoyo esondo in un lago di lacrime. «Ma io non voglio stare qui seduta a rigirarmi i pollici. Sono stata io a mettervi in questa situazione. Non riuscite a capire che voglio fare qualcosa?» «Certo. Puoi aiutarmi nelle ricerche.» Ritorno il cameriere per controllare le ciotole. La mano di Tu Tian si avvento fulminea su quella davanti a se, come se lui temesse di non aver tributato alle noccioline la dovuta atten-
zione. «Dobbiamo sapere tutto su Orley. Inoltre voglio avere piu informazioni sulle imprese di Zheng. In fondo e l’unico cinese che potrebbe costruire una rampa di lancio da qualche parte senza informare le autorita. Come vedi, cara Yoyo, anche se Owen mi chiedesse in ginocchio di poterti portare con se, io rifiuterei. » Lei lo fisso con occhi torvi. «Mangi come un maiale, lo sai?» «Mi aiuti oppure no?» «Voi due superuomini avete preso in considerazione l’eventualita d’informare l’Orley Enterprises?» «Certo, ma non so cosa potremmo dire», replico Tu Tian. «Che in un momento imprecisato potrebbe succedere qualcosa, ma che non sappiamo cosa ne a danno di chi, ma che loro potrebbero essere l’obiettivo dell’operazione.» «Un suggerimento davvero molto concreto. Dovremmo accennare anche al fatto che potrebbe esserci Zheng dietro questa faccenda?» «O Pechino. O che potrebbero esserci i servizi segreti cinesi.» La ragazza si stava calmando. La rottura degli argini per il momento sembrava scongiurata. «Non sappiamo quando avra luogo l’attentato, se si tratta di un attentato. La caduta di Maye e avvenuta in concomitanza con la crisi lunare, che forse era gia l’operazione principale, ma il nostro testo dice una cosa diversa. Che deve ancora avere luogo. Ma quando? Quanto tempo ci resta ? Ci siamo precipitati a Berlino per avvertire Vogelaar. Ora dovremmo agire in modo altrettanto tempestivo e passare l’informazione, per quanto un po’ vaga, all’Orley Enterprises.» «Un’argomentazione strategica ineccepibile», commento Jericho. Yoyo era soddisfatta solo in parte. Jericho sapeva come si sentiva : intuiva la rabbia, la vergogna e il senso d’impotenza di una bambina che non puo rimediare al guaio combinato e nel cui intimo, pieno di sensi di colpa, imperversa il fantasma di un padre costantemente sotto accusa per il suo silenzio. Una bambina che, come molti altri bambini, ha dovuto sperimentare fin da subito l’irritante sensazione di non essere all’altezza. L’adolescente brufoloso dentro di lui conosceva bene quella sensazione. Il gruppo Orley era una specie di dea Kali dal cui torso si protendevano innumerevoli braccia: una rete cos intricata che, a un certo punto, Tu Tian si stufo di essere continuamente deviato altrove. Inoltre l’azienda offriva molti obiettivi ideali per un attacco. L’Orley Space, che si occupava del programma spaziale e delle tecnologie di supporto, avrebbe dovuto avere competenza per il progetto dell’hotel, ma nel contempo non lo aveva, dal momento che i viaggi privati verso la stazione orbitale e verso la Luna erano gestiti dall’Orley Travel. Per l’estrazione e il trasporto sulla Terra dell’elio-3 ci si affidava alla NASA e al ministero dell’Economia americano, ma anche all’Orley Space e all’Orley Energy, che si occupava della costruzione dei reattori a fusione. Piu si addentravano nella struttura labirintica del gruppo,
piu aumentava l’insicurezza sul reale obiettivo dell’operazione. L’Orley Entertainment produceva opere come Perry Rhodan, che aveva portato l’attore irlandese Finn O’Keefe nell’Olimpo delle star, e lavorava alla nuova generazione di film 3D: aveva costruito gratuitamente in diverse citta del mondo l’Orley Sphere, una gigantesca arena sferica da trentamila spettatori per ospitare grandi eventi. L’esibizione dell’ottantenne David Bowie sull’OSS, che si sarebbe svolta in quei giorni, ovviamente era stata organizzata dall’Orley Entertainment, ma alla parte organizzativa avevano contribuito anche l’Orley Space e l’Orley Travel. Esisteva anche una divisione marketing e innovazione, denominata Orley Origin, i cui giovani ricercatori lavoravano all’ideazione e alla definizione di quella che poteva essere la quotidianita del futuro. In Internet, le dimensioni del gruppo erano ormai quelle di una galassia a spirale. Inserendo la parola chiave NEWS, Diane forn una vera e propria agenda del XXI secolo. Tutto era nuovo, proprio tutto, perche non c’era settore in cui l’Orley Enterprises non avesse cercato di piantare la propria bandiera. Si spalanco una vera e propria voragine quando incapparono in OneWorld, un’iniziativa voluta espressamente da Julian Orley, il cui scopo era evitare il Global Collapse: un progetto da cui zampillavano fontane di fiducia con la stessa affidabilita di un geyser islandese. Vi si testavano senza soluzione di continuita nuovi materiali, nuovi impieghi, nuovi aggeggi di ogni tipo, addirittura un sistema di difesa contro i meteoriti che veniva sviluppato sull’OSS in collaborazione con l’Orley Space e l’Orley Origin. Su tutto cio brillava l’icona di Julian Orley, un uomo dal sorriso giovanile che prometteva eterne avventure, una figura piu simile a una rockstar che a un magnate dell’economia, un filantropo e un eccentrico, alleato degli Stati Uniti e nel contempo partner di nessuno, premuroso, generoso e imprevedibile, Master of Time and Space, sommo sacerdote del «cosa succederebbe se», un uomo capace di brevettare a suo nome il pianeta Terra, lo spazio circostante e il futuro. Il Gaia Hotel, li informo Diane, proprio in quei giorni era occupato da una selezionata comitiva di ospiti, affidati alla guida di Julian e Lynn Orley. Responsabile del progetto era... «Ne ho abbastanza», decise Tu Tian. Chiamo il quartier generale dell’azienda a Londra: Jennifer Shaw, direttrice del settore sicurezza, era in riunione, mentre Andrew Norrington, il suo vice, era in viaggio. Alla fine Tu Tian riusc a parlare con Edda Hoff, il numero tre dell’organigramma, che sfoggiava un’acconciatura simile a un casco e una presenza di spirito simile a quella di un servizio di risposta automatico: se volete segnalare un attacco terroristico, digitate 2. Se siete voi i terroristi, digitate 3. Dal tono, si sarebbe detto che l’Orley Enterprises venisse contattata tutti i giorni da persone che volevano metterli in guardia da qualche pericolo incombente. Tu Tian le mando il frammento di testo. Lei lo lesse con attenzione e senza cambiare espressione. Ascolto pazientemente le sue spiegazioni.
Fu solo quando Tu Tian accenno all’albergo lunare che la donna diede segni di vita. «E cosa le fa pensare che l’obiettivo di questo attentato sia proprio il Gaia Hotel?» «Ho sentito che e appena stato inaugurato», spiego Tu Tian. «Non ufficialmente. Il primo gruppo di ospiti e arrivato pochi giorni fa, ospiti personali di Julian Orley. Lui stesso...» Si blocco. «Si trova l?» fin la frase Tu Tian. «Questo dovrebbe preoccuparla. » «Nel documento non e specificata nessuna data. È piuttosto vago», replico lei in tono saccente. «Assai meno vago e il fatto che persone innocenti hanno perso la vita per il documento che lei ha davanti agli occhi», replico Tu Tian quasi allegramente. «Sono morti, morti stecchiti, in modo molto concreto, se capisce cosa intendo. Per quanto riguarda noi, abbiamo rischiato la nostra vita per consentirle di leggerlo.» Edda Hoff sembro riflettere. «Come posso raggiungerla?» Tu Tian le diede il suo numero di cellulare e quello di Jericho. «Ha intenzione di fare qualcosa? E quando?» «Informeremo il Gaia Hotel. Entro le prossime due ore.» Gli angoli della bocca s’incresparono nell’illusione di un sorriso. «Grazie per la segnalazione. La chiameremo.» Il monitor divento nero. «Era una donna o un robot?» chiese Yoyo, perplessa. Tu Tian sogghigno. «Diane?» «Buonasera, Mr Tu Tian.» «Chiamami Tian.» «Lo faro.» «Come stai, Diane?» La voce di Diane era flautata. «Grazie, Tian, molto bene. Cosa posso fare per lei?» Tu Tian si volto verso di loro e sussurro: «Non ho idea chi o che cosa sia Edda Hoff, ma al suo confronto Diane e sicuramente una donna. Owen, devo scusarmi con te. Sto iniziando a capirti». GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA «C’e qualcuno di cui ti fidi incondizionatamente?» D’istinto, Lynn avrebbe fatto il nome di Julian, ma all’improvviso si rese conto di non esserne sicura. Amava e rispettava il padre, che di certo si fidava di lei. Ma ogni volta che vedeva se stessa attraverso i suoi occhi - e cio accadeva di continuo, una bambina che cercava l’approvazione del padre - si spaventava davanti alla donna dagli occhi blu che Julian pensava fosse sua figlia. Quella non era lei. Quindi, come poteva fidarsi di lui, se lui non aveva assolutamente idea del mostro pulsante e in costante metamorfosi che lei aveva den-
tro? «A chi stai pensando?» chiese Island-II, l’Integrated System for Listening and Analysis of Neurogical Data. «A mio padre, Julian Orley.» «Julian Orley e tuo padre?» chiese conferma il programma. «S.» «Non e lui la persona di cui ti fidi di piu.» Quella non era una domanda, ma una constatazione. L’uomo di fronte a lei si chino in avanti. Lynn respirava affannosamente e i sensori sotto la T-shirt registravano ogni respiro per inoltrarlo al database. Scanner e rilevatori di stress misuravano temperatura corporea, polso, ritmo cardiaco e qualunque attivita neuronale. Sottoponevano le sue risposte a un’analisi della frequenza, bilanciavano mimica, dilatazione e contrazione delle pupille. I movimenti dei muscoli oculari, ogni singola goccia di sudore. In ogni secondo di misurazione, da Lynn a Island-II passava un flusso d’informazioni che il programma elaborava per valutare lo stato emotivo della donna. Dopo un attimo di apparente riflessione, l’uomo le regalo un sorriso d’incoraggiamento. Aveva una corporatura massiccia ed era calvo; i suoi occhi benevoli e pensierosi davano l’impressione di riuscire a penetrare la contorta natura di Lynn, il labirinto della sua immaginazione, strato per strato, senza pero la fredda invasivita con la quale gli psicologi spesso mettono sotto la lente d’ingrandimento i pazienti. «Bene, Lynn. Prendiamo in esame le persone intorno a te in questo momento. Elencami i nomi di quelle che senti piu vicine e, fra un nome e l’altro, lascia passare un paio di secondi.» Lei si guardo la punta delle dita. Comunicare con Island-II era come camminare nell’oscurita in equilibrio su una fune, verso una meta sconosciuta, illuminati solo dal fascio di luce di una torcia elettrica. Un trucco per non fare brutta figura era quello di considerarsi altrettanto virtuali. Lynn non aveva idea se l’immagine del dottore calvo corrispondesse all’aspetto di una persona reale, ma di fatto non poteva provare disprezzo per le sue ansie. In effetti, Island-II era umano solo nella misura in cui era stato programmato da psicoterapeuti reali. «Julian Orley», ripete Lynn, anche se il programma aveva gia depennato il suo nome dalla lista delle persone di fiducia. E, dopo una pausa, aggiunse: «Tim Orley... Amber Orley... Evelyn Chambers... sono queste, credo». Evelyn? Si fidava davvero della regina americana dei talk show? D’altra parte, perche no? Evelyn era un’amica, anche se, dall’inizio del viaggio, avevano parlato poco. Ma la domanda riguardava chi fossero le persone cui si sentiva piu vicina. Vicinanza era sinonimo di fiducia?
L’uomo la guardo e le disse: «Nell’ultimo quarto d’ora ho scoperto molte cose su di te. Tu hai paura. Non di una minaccia reale, ma dei tuoi pensieri, coi quali tu stessa ti crei delle ansie. Quando lo fai, non ti senti piu te stessa. L’assenza di questa percezione ti precipita nell’inferno della depressione, che produce altre paure indistinte, prima fra tutte la paura della paura. Sfortunatamente, in questo stato d’animo, ogni pensiero si trasforma in un mostro, inducendoti all’erronea convinzione che il contenuto dei tuoi pensieri sia responsabile del tuo malessere. Quindi cerchi di liberartene, ottenendo l’esatto contrario. Piu prendi sul serio questi mostri, piu loro si gonfiano e diventano potenti ». Fece una pausa per lasciarle il tempo di assimilare quelle parole. «Ma, in effetti, i contenuti sono intercambiabili. Non e il contenuto che crea la paura. È la paura a creare il contenuto. La paura e un fenomeno fisico. Il battito cardiaco accelera, senti un’oppressione sul petto, t’irrigidisci. Ti senti imprigionata e senza difese. Inizi a scalpitare come un animale in gabbia. Questa contrazione corporea, Lynn, e il motivo per cui attribuisci un significato esagerato ai tuoi pensieri, permettendo loro di farti cadere in un inferno. È importante che tu capisca questo meccanismo. È tutto qui. Se riesci a rilassarti, spezzi il circolo vizioso. Piu la tua percezione di te stessa e vivida, meno i tuoi pensieri hanno il potere di tormentarti. All’inizio di ogni terapia, quindi, c’e la fortificazione del corpo. Sport, molto sport. Movimento, dolore muscolare. Affinamento dei sensi. Ascoltare, vedere, gustare, odorare, toccare. Esci dalla proiezione ed entra nel mondo reale. Respira, percepisci il tuo corpo... Hai qualche domanda?» «No. Anzi s.» Lynn si torceva le mani. «Capisco cosa intendi ma... si tratta di paure concrete. Non me lo sto immaginando. Quello che ho fatto, quello in cui mi sono cacciata, intendo. I miei pensieri ruotano tutti intorno a... distruzione, tormenti e... morte. La morte di altri. Uccidere, torturare, distruggere. Ho il terrore di trasformarmi in qualcosa che all’improvviso prendera il sopravvento, uscira da me per attaccare gli altri, per aggredire le persone che amo e ridurle a brandelli. È un’angoscia che mi divora dall’interno fino a lasciare solo il guscio, e questo guscio nasconde qualcosa d’inquietante e alieno... Non so piu chi sono. Non so per quanto tempo riusciro a sopportare questa pressione...» All’improvviso gli occhi le si riempirono di lacrime. Distillati d’impotenza. Il mento sussultava. Dal naso colava un flusso liquido, persino dal labbro inferiore cadevano gocce di saliva. L’uomo si appoggio allo schienale e la osservo con le palpebre socchiuse, in attesa che aggiungesse qualcosa, ma lei non riusciva piu a parlare, annaspava alla ricerca di aria. Desiderava scomparire, rientrare nell’utero materno, anche se non in quello di Crystal, che quand’era in vita non era mai stata in grado di offrirle nessun sostegno; le aveva invece trasmesso il veleno della sua malinconia, codificandolo nei suoi geni. Desiderava un padre che la rassicurasse, spiegandole che aveva fatto un brutto sogno, ma non Julian, il quale l’avrebbe di certo presa tra le braccia per consolarla, ma senza capire il suo problema,
proprio come non aveva mai capito la depressione di Crystal e la sua pazzia. Semplicemente non era capace di farlo. Lynn sognava di tornare tra le braccia protettive di genitori che non erano mai esistiti. «Ho aspettative esagerate nei confronti di me stessa. E poi ho la certezza che sono troppo alte, e mi odio per i miei limiti... per il mio fallimento.» Si sentiva quasi trasparente. Stava conversando con un computer, eppure raramente si era sentita cos nuda. «Ti propongo un punto di vista diverso», disse Island-II dopo un po’. «Non sono le tue aspettative. Sono quelle degli altri, ma tu le hai interiorizzate al punto di convincerti che siano le tue e a esse tenti di conformare le tue azioni. Non attribuisci valore a cio che in realta sei, e pensi che varresti di piu se tu fossi la persona che gli altri vorrebbero. Ma non si puo negare e umiliare la propria natura per sempre. Capisci cosa intendo?» «S, credo di s.» Lo sguardo dell’uomo indugiava su di lei, cordiale e analitico. «Cosa provi in questo momento?» «Non lo so.» «Il tuo vero io lo sa. Ascolta te stessa.» «Non posso. Non ne sono capace. Non ho accesso a... me stessa.» L’uomo sorrise. «Non devi fingere, Lynn. Non con me. Non dimenticare che sono solo un programma. Anche se molto intelligente. » Fingere? Oh, s. Aveva sempre avuto una grande maestria nella finzione, sin dall’infanzia, una maestria acquisita nelle lunghe ore in compagnia della sua immagine riflessa allo specchio, finche non era stata in grado di far assumere al suo bel volto l’espressione che meglio le si addiceva e che mascherava i veri sentimenti: fiducia, se era sull’orlo dell’abisso; rilassatezza, se stava per crollare sotto il peso delle responsabilita; sicurezza, se non disponeva di nulla di certo. Non aveva tardato a essere consapevole degli effetti della dissimulazione, mentre proprio l’uomo che cercava di compiacere manifestava grande irritazione per ogni falsita. Non si era mai accorto di nulla e, alla fine, anche lei aveva smesso di farci caso. Arrancando per stare al passo con lui, aveva sviluppato una profonda avversione per le emozioni, in primo luogo per le proprie. Aveva iniziato a disprezzare le manifestazioni emotive della gente: l’esibizione dell’anima e del dolore, il fastidio appiccicaticcio dell’intimita non richiesta. Far sapere a tutti con quale piede ci si era alzati alla mattina e coinvolgerli nei processi chimici della propria mente le faceva ribrezzo. Preferiva mille volte l’ordine e la pulizia della finzione. Almeno fino a quel giorno di cinque anni prima, quando tutto era cambiato... «È rabbia quella che provi», disse Island-II pacatamente. «Rabbia?»
«S. Una rabbia senza freni. Lynn Orley, chiusa nella gabbia, vuole essere libera e amata, in primo luogo da se stessa. Questa Lynn deve abbattere molti muri, affrancarsi da molti pregiudizi. Ti meraviglia allora che tu abbia voglia di uccidere e distruggere ?» «Io non voglio uccidere e distruggere. Ma non posso... non riesco a...» Lynn piangeva. «Certo che non vuoi farlo. Non fisicamente, almeno. Non farai del male a nessuno, non temere. Stai tormentando una sola persona, te stessa. Non ci sono mostri dentro di te.» «Ma questi pensieri non mi lasciano in pace!» «Al contrario, Lynn. Sei tu che non li lasci andare.» «Ma ci provo, davvero. Ho provato di tutto!» «Diventeranno piu deboli a mano a mano che la vera Lynn si rafforzera. Puoi avere l’idea di una trasformazione in un mostro, in realta e l’inizio di una rinascita. Si chiama emancipazione. Pesti i piedi, vuoi uscire e ovviamente in questa lotta dilaniante qualcosa muore: la tua vecchia e finta identita. Conosci i tre obblighi dell’infanzia?» In risposta al suo muto diniego, Island-II prosegu: «Devo. Non posso. Dovrei. Ripetili, per favore ». «Io... devo, non posso... dovrei...» «Come ti sembra?» «Uno schifo.» «Da oggi per te non valgono piu. Non sei piu una bambina. Avrai un solo imperativo: io sono.» «I am what I am...» canticchio lei con voce malferma. «E chi sono?» «Sei la testimone dei tuoi pensieri e delle tue azioni. Quello che resta quando ti spogli di tutte le identita che ritieni facciano parte del tuo io, finche non rimane altro che la pura consapevolezza. Non hai mai avuto la sensazione di poter osservare te stessa mentre pensi? Di riuscire a vedere come i pensieri affiorano dal subconscio e poi di nuovo scompaiono?» Lynn annu debolmente. «Anche questa e un’importante verita. Tu non sei i tuoi pensieri, capisci? Tu non sei i tuoi pensieri. Non t’identifichi con la tua concezione del mondo.» «No, non capisco.» «Un esempio: sei consapevole che cio che stai vedendo e la proiezione olografica di un uomo?» «S.» «Cos’altro vedi?» «Mobili. La sedia su cui sto seduta. Qualche apparecchiatura. Pareti, pavimento, soffitto.» «Dove ti trovi con esattezza?» «Sono seduta sulla sedia.»
«E cosa fai?» «Niente... Ascolto. Parlo.» «Quando?» «Come, ’quando’?» «Dimmi quando questo accade.» «Be’, adesso.» «Ecco, vedi? La tua coscienza e perfettamente in grado di percepire il mondo reale e d’interpretarlo per quello che e. Il qui e ora. L’adesso. Al quale segue un altro adesso, e poi un altro ancora, e un altro e un altro e un altro e cos via. Tutto il resto, Lynn, sono proiezioni, fantasie, elaborazioni mentali. Nel tuo adesso trovi qualcosa di minaccioso?» «Siamo sulla Luna. Tutto potrebbe andare storto, e allora...» «Fermati. Stai scivolando nell’ipotetico. Resta concentrata su quello che e reale adesso.» «Be’, insomma. No. Non e minaccioso.» Lynn aveva risposto quasi controvoglia. «Lo vedi? La realta non e minacciosa. Quando uscirai da questa stanza, incontrerai persone, farai dell’altro, vivrai un nuovo adesso, poi un altro e un altro. In ognuno di questi momenti puoi anche chiederti se c’e qualcosa che ti minaccia. Un unico pensiero non ti e concesso: Cosa succederebbe se. La domanda corretta e: Cosa sta succedendo ora? Quasi sempre potrai constatare che l’unica minaccia incombente e quella che prende forma nella tua mente.» «Io sono una minaccia», sussurro Lynn. «No. Tu pensi di essere una minaccia, ne sei cos convinta da esserne terrorizzata. Ma anche questo non e altro che immaginazione. L’ottantacinque per cento di quello che ci passa per la testa e spazzatura. La maggior parte dei pensieri non raggiunge neanche la nostra consapevolezza. Ogni tanto pero un pensiero prende forma e noi ci spaventiamo. Ma noi non siamo i nostri pensieri. Non devi avere paura.» «Okay...» Dopo un breve silenzio l’uomo riprese: «Vuoi continuare a parlare di te?» «S. No, un’altra volta. Devo chiudere, per il momento.» «D’accordo. Ancora una cosa. Prima ti ho chiesto di chi ti fidi. » «S.» «Ho analizzato le tue reazioni mentre elencavi i nomi. Il mio consiglio e quello di confidarti con una di queste persone. Parla con Tim Orley.» Confidarsi con una persona. Con un essere umano. «Grazie», disse Lynn meccanicamente, senza chiedersi se Island-II apprezzasse la buona educazione.
L’uomo calvo sorrise. «Torna quando vuoi.» Lei usc dal programma, stacco i sensori dalla fronte, tolse la T-shirt e indosso di nuovo la propria. Per un po’ fisso il pannello di vetro, incapace di alzarsi, per quanto alzarsi non fosse cos facile in nessun luogo come sulla maledetta Luna. Era stata una buona idea venire fin l? Costringersi a rimanere davanti a uno specchio nel quale non voleva guardare? Era noto che Island-II forniva risultati stupefacenti e, per gli astronauti, il sostegno psicologico era diventato ormai indispensabile. Se, durante gli anni ’70, erano necessari eroi senza difetti e c’era maggiore predisposizione a credere all’esistenza di Paperino piuttosto che ai traumi psichici dovuti ai viaggi nello spazio, nell’era delle missioni a lungo termine era il mistero della mente umana a essere di assoluto rilievo, anche perche nessuno aveva voglia di mettere a repentaglio, a causa dell’inadeguatezza dell’equipaggio, operazioni oscenamente costose come le programmate missioni su Marte. Non erano i meteoriti o i guasti tecnici il pericolo maggiore, bens il panico, le fobie, le rivalita e il buon vecchio istinto sessuale. Ed erano gli aspetti legati al comportamento degli astronauti che imponevano la presenza di uno psicologo a bordo. Erano state eseguite delle simulazioni, con risultati inquietanti. In due casi su cinque, nel tentativo di analizzare la pazzia degli altri membri dell’equipaggio, aveva ceduto per primo il sistema nervoso dello psicologo. Ma, persino quand’era riuscito a mantenere la calma, la sua presenza non aveva avuto l’effetto sperato. Evidentemente gli astronauti preferivano farsi tagliare la lingua piuttosto che confidarsi con una creatura in carne e ossa in grado di giudicarli, attuando un’autocensura di sconsolante coerenza: gli uomini temevano per la propria carriera; le donne temevano di essere disprezzate. Erano stati cos introdotti gli psicoterapeuti virtuali. In principio, programmi semplici, che, sulla base delle risposte a questionari a scelta multipla, erogavano consigli per affrontare la quotidianita; poi giochi di ruolo e, alla fine, complessi software dialettici. Non c’era niente come una bella chiacchierata in video con amici e parenti, ma su Marte collegamenti del genere sarebbero stati di difficile realizzazione. Allora alcuni rinomati cyberterapeuti avevano sviluppato un programma che riuniva i vantaggi di raffinate tecniche di dialogo con l’analisi in tempo reale di un database tra i piu estesi che un’intelligenza artificiale avesse mai avuto a disposizione. Dalla schiera degli scettici emerse l’obiezione che ogni persona aveva esigenze particolari e uniche, e che solo un altro essere umano avrebbe potuto comprenderle, ma la pratica smentiva quella teoria. Per quanto le porte di accesso al tortuoso labirinto dell’anima fossero numerose, dopo aver vagato per un po’ ci si ritrovava sempre su un terreno familiare. Esistevano milioni di leitmotiv psicologici, milioni di variazioni di pochi modelli di base, ma in definitiva ci s’imbatteva ineluttabilmente nelle stesse nevrosi, negli stessi traumi, e la maggior parte riguardava cose banali come stabilire chi avesse mangiato l’ultimo budino al cioccolato.
Island-I era ormai impiegato anche nelle stazioni spaziali, nelle basi di ricerca piu isolate e nelle sedi centrali delle multinazionali di tutto il mondo, mentre il piu evoluto Island-II era attivo solo nel centro di meditazione e terapia del Gaia Hotel: una creatura in parte misteriosa persino per i suoi programmatori, priva della scintilla prometeica, eppure capace di apprendere e trarre conclusioni con una velocita sbalorditiva. Dopo un po’, Lynn racimolo le forze per alzarsi e dirigersi verso la hall. L’espressione del suo volto era insolitamente allegra. Incrocio alcuni ospiti euforici, di ritorno da un’escursione nelle grotte laviche del cratere Moltke, dalla cima del Monte Bianco, dal fondo della Vallis Alpina. Tutti dispensavano discorsi sulla comprensione dell’universo attraverso il golf e il tennis, trasudavano entusiasmo descrivendo i giochi d’acqua in piscina, i voli e i viaggi a bordo degli shuttle, dei grasshopper e dei buggy lunari e - non potendo farne a meno - anche della vista mozzafiato della Terra in lontananza. Antipatie e diversita di opinioni sembravano sepolte sotto la regolite: tutti parlavano con tutti. Momoka Omura si riempiva la bocca con parole come «creazione» e «umilta»; Chuck Donoghue defin Evelyn Chambers «una persona cortese»; Mimi Parker si accordo con Karla Kramp per fare una sauna insieme. Ondate di pestilenziale buonumore avevano dissolto ogni risentimento. Tutti erano allegri, disgustosamente rilassati e disponibili. Persino Oleg Rogacev, che costrinse i suoi compagni di viaggio, l’uno dopo l’altro, a sfidarlo a judo: si lanciava da una parte all’altra del tatami usando le tecniche del Naga-Waza, volando per metri e metri, ovviamente senza che nessuno si facesse male. Da vomitare. Ma la camaleontica Lynn ascolto con pazienza ogni racconto, come se fosse la missione della sua vita, e si lascio riempire di complimenti. Soffriva e sorrideva, sorrideva e soffriva. Le otto meno un quarto, quasi ora di cena. Immagino gli ospiti che ingoiavano gli antipasti, vide una spina di pesce conficcarsi nella gola di Aileen, Oleg sputare sangue, Heidrun soffocare, il volto di Gaia indurirsi e gettare all’esterno tutta quella massa di stronzi egocentrici, scagliarli nel vuoto senza protezione; li vide scoppiare, bruciare, congelare. Be’, in realta non si scoppiava. Ma nessuna madre sarebbe stata in grado di riconoscere il proprio figlio dopo un trattamento del genere. Dana Lawrence degno appena di uno sguardo Lynn, che stava entrando nella sala controllo, e diede una rapida occhiata all’orologio. Entro pochi minuti era prevista la cena dell’orda barbarica, e lei doveva ancora effettuare un controllo di routine nel sottosuolo. Solitamente era Ashwini Anand a presidiare la centrale quando lei doveva assentarsi, ma l’indiana in quel momento stava cercando di appurare la causa del guasto del robot che rifaceva i letti nella suite dei Nair. «Tutto a posto?» chiese Lynn.
«Quasi. Un guasto tecnico al livello 27, ma niente di preoccupante. » Un guizzo baleno negli occhi di Lynn. Fu sufficiente per destare l’attenzione della mente analitica di Dana che si chiese cosa stesse succedendo alla figlia di Julian. Sempre piu spesso notava in lei segni d’insicurezza e irritabilita. Perche due giorni prima si era opposta con veemenza alla proposta di far visionare le registrazioni a Julian? Poso il suo sguardo indagatore su Lynn, ma lei era gia tornata padrona delle proprie emozioni. «Se la cava da sola?» «Nessun problema. Ma, gia che e da queste parti, posso chiederle un favore? Devo andare di sotto per dieci minuti. Mentre sono via qui non c’e nessuno e...» «Perche non attiva il cellulare?» «Di solito lo faccio. Ma preferisco avere tutto sotto controllo quando iniziano a servire la cena al ristorante. Potrebbe stare qui per qualche minuto?» Lynn sorrise. «Certo. Vada pure.» Sei un’attrice nata. Cosa nascondi? Qual e il tuo problema? penso Dana. «Grazie, torno subito.» La centrale. Il piccolo Olimpo. Quanti pulsanti si potevano premere, quanti sistemi si potevano riprogrammare, quante impostazioni potevano essere modificate. Aumentare la percentuale di ossigeno fino a far prendere fuoco a tutta la struttura. Aggiungere una quantita eccessiva di anidride carbonica. Chiudere le paratie e imprigionare la comitiva nel ristorante sino a farli impazzire l’uno dopo l’altro. Convogliare lo sludge, le acque reflue, nell’acqua potabile e farli ammalare tutti. Bloccare gli ascensori. Disattivare il reattore. Aumentare la pressione interna e poi farla scendere di colpo. Un sacco di giochetti divertenti. Non c’erano limiti alla creativita. Sono una minaccia. Lo sguardo di Lynn vago sulla parete ricoperta di monitor che mostravano le aree sorvegliate. No. Tu non sei i tuoi pensieri. «I am what I am», canticchio. Una melodia si sovrappose alla sua. Una chiamata da Londra, il quartier generale del gruppo Orley, la divisione sicurezza. La sua mano sfioro indecisa il touchscreen, poi accetto la chiamata provando una sensazione di disagio. La testa da paggio di Edda Hoff comparve sul monitor. Il suo volto di cera non lasciava trasparire se avrebbe comunicato buone o cattive notizie. «Salve, Lynn. Come va?» «Non potrebbe andare meglio. Il viaggio e un successo. E da voi? Morti? Armageddon?» Edda esito per un lungo momento. Inquietante. «A essere sincera, non lo so.» «Cosa non sa?» «Poche ore fa una persona si e messa in contatto con noi. Un certo Tu Tian, un uomo d’affari cinese che al momento si trova a Berlino. Mi ha raccontato una storia piuttosto strana. Dice che lui e un paio di amici sono venuti in possesso d’informazioni segrete e che per
questo sono perseguitati da un qualche killer.» «E questo cosa ha a che fare con noi?» «Il testo all’origine di tutti i loro guai e frammentario. Ma quel poco che ci ha mandato non sembra rassicurante.» «E allora?» «Glielo invio.» Alcune righe si materializzarono su un monitor separato. Lynn lesse il testo, poi lo rilesse una volta, due volte, sperando che il nome Orley scomparisse come per miracolo, ma a ogni passaggio sembrava ingigantirsi. Fisso il documento, paralizzata, e sent montare un’ondata di panico, come se la conversazione con Island-II non fosse mai avvenuta. Nessuno la sospetta tutto. «Quindi? Cosa ne pensa?» volle sapere Edda. «È solo un frammento, come ha detto lei.» Non devi lasciar trasparire l’insicurezza. «Un rebus. Che puo essere male interpretato e farci credere cose che non esistono.» «Tu Tian teme un attentato al Gaia Hotel.» «Un po’ azzardato, non trova?» «Dipende dal punto di vista.» «Non c’e scritto dove questa operazione avra luogo.» «Gliel’ho detto anch’io. D’altro canto, non possiamo ignorare una possibile minaccia.» «Quale minaccia, Edda? Per decidere se ignorare qualcosa oppure no, bisogna prima sapere di che si tratta, non crede? Ma noi non sappiamo niente. L’Orley ha installazioni in tutto il mondo e, se davvero qualcuno sta progettando un attentato contro di noi, non deve per forza trattarsi del Gaia Hotel. Come mai questo cinese e giunto a una conclusione cos precisa?» «Perche e una novita.» «Ah, ecco.» La mente di Lynn era in subbuglio. Aveva la sensazione che i contorni della stanza fossero sul punto di dissolversi. «S, e vero, l’hotel e l’ultima novita, ma non per questo e il sito piu esposto ai pericoli. In ogni caso, al momento qui non abbiamo bisogno di emozioni forti, questo lo capisce, non e vero Edda? Non con questi ospiti. Non possiamo rischiare di spaventare dei potenziali finanziatori con simili fantasie.» «Non voglio spaventare nessuno, faccio solo il mio lavoro», obietto l’altra con una vena d’indignazione. «Naturalmente.» «Inoltre non volevo comunicare la cosa a lei, bens a Dana Lawrence, ma ha preso lei la chiamata. E non sono stupida, Lynn. So che gli ospiti sono persone importanti, ricchissime e famosissime. Ma non e proprio questa circostanza a fare dell’hotel un obiettivo sensibile?»
«Comunque sia, ha fatto bene a informarci tempestivamente. Quassu terremo gli occhi aperti, e dovrebbe farlo anche lei. Aumenti le misure di sicurezza. Ha gia parlato con Norrington e Shaw?» «No. Come prima cosa ho verificato l’attendibilita di questo Tu Tian.» «E cos’ha trovato?» «Un self-made man di successo. Possiede un’azienda che produce alta tecnologia applicata all’olografia e agli ambienti virtuali a Shanghai. Ho trovato un paio d’interviste e di articoli che parlano di lui. Di sicuro non e uno svitato.» «Bene. Continui a indagare. Mi faccia sapere se ha delle novita... Edda?» «S?» «Parli prima con me se scopre qualcosa.» «Ovviamente devo informare anche Norrington e Shaw...» «Ma certo. A presto, Edda.» Lynn termino la chiamata e fisso il vuoto. Si alzo quando, pochi minuti dopo, Dana riemerse dal sottosuolo. Sorrise e auguro alla direttrice la buonasera, senza informarla della telefonata. Usc dalla centrale, sal sull’ascensore per arrivare alla sua suite nel seno trasparente di Gaia, si precipito in bagno, apr con violenza la confezione delle pastiglie verdi e ne ingoio tre, cercando nel contempo di aprire una bottiglietta di vetro scuro contenente alcune capsule. Le scivolo dalle mani che, veloci, cercarono d’inseguirla, riuscendo ad afferrarla. Fece cadere due pasticche sul palmo tremante della mano, le infilo precipitosamente tra le labbra e bevve dell’acqua per inghiottirle. Quando sollevo la testa, fisso nello specchio il volto devastato di una gorgone, i capelli attorcigliati come serpenti, e non si sarebbe meravigliata di rimanere pietrificata dal suo stesso sguardo. Si sentiva sprofondare nell’abisso. Quella roba non faceva effetto, comunque non abbastanza velocemente: continuava a precipitare verso la follia, sarebbe impazzita se le pastiglie non avessero svolto la loro azione, sarebbe diventata pazza, pazza... Corse in soggiorno e, scordandosi della forza di gravita ridotta, urto con violenza contro una parete cadendo sulla schiena, proprio nel punto in cui voleva andare, anche se non proprio in quel modo, ma chi se ne importava. Ecco, il minibar, giusto davanti a lei. Tiro fuori tutto, Coca-Cola, acqua, succhi di frutta, doveva esserci una bottiglia di vino rosso in fondo al frigorifero o, ancor meglio, una bottiglia di whisky, una piccola razione per le emergenze che aveva portato di nascosto, anche se sulla Luna non bisognava bere alcol, eccetera, eccetera, buttalo giu, tutto d’un fiato... Il bourbon scorse bruciante nel suo esofago. Lynn si trascino di nuovo in bagno a quattro zampe, il petto squassato dai conati, riusc a malapena a raggiungere il water e vomito tutto, whisky, pastiglie e quanto il suo stomaco ancora conteneva. Il vomito imbratto le piastrelle davanti a lei e alcuni schizzi le rimbalzarono in faccia. Dov’erano le pasticche? Le narici erano
impregnate di un odore acidulo che le fece salire le lacrime agli occhi. Non riusciva piu a vedere niente. I conati continuavano a scuoterla, anche se nello stomaco non c’era piu niente da vomitare, finche non riusc a liberarsi del malessere per accasciarsi infine di fianco al water. Rimase sdraiata a terra immobile nel proprio sudore e nel vomito, fissando il soffitto... e all’improvviso riusc di nuovo a respirare. Tim. Island-II le aveva consigliato di confidarsi con Tim. Dov’era ? A cena? Chissa se avevano gia iniziato a mangiare. Le otto e venti, stupida oca, certo che hanno gia iniziato. Un breve saluto dalla cucina, chiacchiere e spume ed essenze di chissa quale cacata commestibile. Si sarebbe sentita di nuovo male, ma ci doveva andare, non poteva starsene sdraiata l in eterno aspettando che qualcuno abbattesse la porta a calci. La paura e un fenomeno fisico. Esatto, macchina superintelligente, Socrate dei miei stivali. Questa contrazione corporea, Lynn, e il motivo per cui attribuisci un significato esagerato ai tuoi pensieri, permettendo loro di spedirti all’inferno. Riusc a mettersi a sedere. La testa le scoppiava. Si sentiva come se fosse stata sdraiata sotto il sole del Sahara per un anno intero, ma la sua mente funzionava di nuovo a dovere, e i nervi si stavano calmando. Coi tremori e con l’instabilita di un vecchio si alzo e guardo la sua immagine riflessa nello specchio. «Dio mio, fai schifo.» Se riesci a rilassarti, spezzi il circolo vizioso. Piu la tua percezione di te stessa e vivida, meno i tuoi pensieri possono tormentarti. E va bene. Avrebbero dovuto mangiare gli antipasti senza di lei. Quella persona nello specchio non poteva essere resa presentabile con un po’ di fard. Ci sarebbe voluto un restauro piu accurato, ma ci sarebbe riuscita. Avrebbe fatto il suo ingresso al Selene in tempo per la portata principale, bella e raggiante, la regina della finzione. Un demone travestito da angelo. BERLINO, GERMANIA Tu Tian aveva insistito per uscire la sera, dopo aver mandato messaggi a un’infinita di persone per ottenere notizie riservate sul gruppo Zheng. Alcuni destinatari a quell’ora dormivano nei loro letti di Shanghai e di Pechino, quelli americani invece era riuscito a contattarli e a pregarli di richiamare. Tutto sommato, qualsiasi informazione proveniente dagli Stati Uniti era preferibile rispetto a quelle cinesi. «Perche?» chiese Jericho, mentre mangiavano le gigantesche schnitzel del leggendario Borchardt. «Perche l’America e il nostro migliore amico!» «È vero», approvo Yoyo. «Quando noi cinesi vogliamo sapere qualcosa sulla Cina, chiediamo agli americani.»
«Begli amici. Tutto il mondo trema davanti alla vostra amicizia », commento Jericho. «Ma dai, Owen.» «Sul serio. Poco fa non avete accennato alla crisi lunare?» Con la punta del coltello Tu Tian sollevo il bordo della cotoletta che sporgeva dal piatto come se si aspettasse di trovare l sotto la spiegazione del perche gli europei non tagliavano la carne a pezzetti. Avrebbe preferito andare in un ristorante cinese, ma davanti al «Non ci posso credere!» espresso all’unisono dai suoi due compagni di viaggio aveva dovuto arrendersi. «S. E la cosa mi ha fatto sentire a disagio quanto te. Ma non dobbiamo dimenticare che la Cina e l’America non possono farsi la guerra. Sono i gemelli dell’economia mondiale: nemici, ma uniti come siamesi. Come da tradizione, tra avversari si fanno affari fantastici, perche non amare i propri partner commerciali ha i suoi vantaggi. La simpatia e una tintura che ammorbidisce i contratti, mentre il disprezzo acuisce i sensi, di conseguenza la Cina fa ottimi affari con le nazioni che le piacciono di meno, ossia gli Stati Uniti e il Giappone. Se volessi sapere qualcosa sull’America, ovviamente contatterei lo Zhong Chan’erbu.» Jericho inizio a mangiare. «Questa e una verita lapalissiana. I cittadini di un regime totalitario riescono a scoprire qualcosa su se stessi se chiedono a quelli che hanno l’incarico di spiarli. Ma qui si tratta di una cosa diversa. Nemmeno gli americani possono vedere nella testa di Zheng Pang Wang.» «Giusto, ciononostante, la cosa migliore e interpellare la CIA e l’NSA, se vuoi sapere qualcosa su di lui. O se preferisci il Bundesnachrichtendienst, il SIS, lo Sluzba Vnesnej Razvedki, il Mossad, i servizi segreti indiani. Tu sei un detective, Owen, il tuo lavoro e infiltrarti nei sistemi altrui. Anche il loro. Credo pero che sia stato appurato che al giorno d’oggi e piu facile spiare i governi che le aziende.» Tu Tian spremette il limone sulla sua cotoletta con un’espressione concentrata, come se temesse che, in seguito a quel trattamento, la carne saltasse fuori dal piatto per scappare dal ristorante. «Prima hai detto che l’Orley Enterprises e gli Stati Uniti sono la stessa cosa. È cos. Ma solo nella misura in cui Orley detta agli americani i parametri del loro programma spaziale. A loro non piace ammetterlo. Odiano quest’idea, ma in effetti gli Stati Uniti dipendono completamente da Orley. Il programma spaziale e tutto il comparto energetico sono legati alle tecnologie della piu grande multinazionale del mondo, o piu precisamente ai soldi di Orley e al know-how dei suoi migliori collaboratori. In questo senso Orley forse e identificabile col programma spaziale americano, ma Washington non e identificabile con Orley. Anche se sai tutto sui piani del governo americano, non sai ancora niente di niente sull’Orley Enterprises. L’azienda e come una fortezza. Un universo parallelo. Uno Stato senza confini.» Limit
«E Zheng?» «La situazione e diversa. I presidenti americani possono aver avuto degli obblighi nei confronti delle lobby del petrolio, dell’acciaio e delle armi, ma i loro interessi non sono mai coincisi esattamente con quelli dei protagonisti dell’economia. Semplicemente perche le aziende dei Paesi democratici sono per loro natura organismi privati. In Cina invece le loro radici affondano nello Stato, ma poi fanno quello che vogliono.» «Il Partito quindi avrebbe perso il suo potere sulle aziende? Questo mi meraviglierebbe molto», commento Jericho. Yoyo scosse la testa. «Sciocchezze. Perdere il potere significa che qualcuno ti scaccia per governare al posto tuo. Ma sei ancora l, magari all’opposizione. In Cina invece c’e stata una trasformazione a trecentosessanta gradi, una metamorfosi. A ogni comunista vecchio stampo che lasciava il suo posto ne e subentrato uno che seguiva diligentemente le direttive del Partito, ma nel contempo rivestiva un ruolo dirigenziale in un’azienda orientata al profitto.» «In America non e molto diverso.» «Al contrario. L’Orley Enterprises ha eroso il potere di Washington, e puo darsi che questo irriti il governo, ma almeno esiste ancora qualcuno che si puo irritare. In Cina non esistono piu istituzioni statali che potrebbero irritarsi. Si chiama ancora comunismo, ma in realta e un consorzio di aziende con un mandato autoconferito per governare.» «Possiamo considerare la questione anche da un altro punto di vista», intervenne Tu Tian come se stessero partecipando a un dibattito politico. «La Cina e governata da manager per i quali il ruolo politico e un secondo lavoro. Nel mondo occidentale esistono ancora singoli capi di governo che contrastano gli interessi dei privati. Magari lo fanno con qualche esitazione, pero in apparenza esiste ancora una certa autonomia. Quando Deng Xiaopng ha deciso di consentire una graduale privatizzazione, alcuni si sono chiesti fino a che punto questa privatizzazione sarebbe stata realizzata. Ormai e una domanda obsoleta, perche in fin dei conti e stato il comunismo a essere privatizzato. » Poso forchetta e coltello, prese la cotoletta con le dita e l’addento. «Ed e per questo, Owen, che e piu facile trovare informazioni su un gruppo aziendale cinese all’estero che non in Cina. Per ottenere informazioni riservate su Zheng e sufficiente contattare i servizi segreti delle nazioni che spiano Pechino. E si da il caso che io conosca un paio di persone.» L’altro tacque. Non sapeva chi Tu Tian conoscesse e quando fosse entrato in contatto coi servizi segreti stranieri, sapeva solo che la visione di un mondo in cui i regimi erano trasformati in aziende oppure le aziende erano al di sopra di ogni controllo statale non gli era mai stata chiara come in quel momento. Chi era il loro nemico?
Verso le dieci inizio a sentirsi stanco, ma Yoyo, visibilmente nervosa anche se cercava di dissimularlo, propose di andare in giro per sperimentare la vita notturna berlinese. Tu Tian pretese di vedere il Kurfurstendamm, la via dello shopping che tutti conoscono come Ku’damm. Jericho si collego con Diane e trovo un elenco di club alla moda e bar dove ci si poteva cimentare nel karaoke. Poi si congedo adducendo motivi di lavoro: in realta non era una scusa, visto che negli ultimi due giorni aveva trascurato alcuni dei suoi clienti in modo imperdonabile. Yoyo protesto, insistendo perche andasse con loro. Lui esito. In fondo era deciso a tornare in albergo, ma all’improvviso ebbe la tentazione di cedere alla richiesta, sentendosi stranamente instillare una porzione extra di energia. Cerco di salvare almeno le apparenze. «Be’, insomma... a essere sinceri dovrei...» «Okay. Allora, a dopo.» Tutta l’energia svan di colpo. Il mondo sprofondo nell’inverno senza fine della sua adolescenza, quando veniva invitato alle feste solo perche non si potesse dire che ci si era dimenticati di lui. S’immagino Yoyo che si divertiva da pazzi, come tutti si erano sempre divertiti un mondo senza di lui. Come aveva odiato la sua gioventu. «Sicuro?» chiese lei con occhi gelidi. «Buon divertimento. A piu tardi.» Dopo essere rientrato in albergo, Jericho non era riuscito a concludere nulla. Sdraiato sul letto, stava cercando di stabilire in quale momento della sua vita si era avventurato fuori della via maestra per finire, come in un incubo, sempre proprio dove non voleva andare. Era nella condizione del viaggiatore che, all’aeroporto, davanti al nastro del ritiro bagagli, aspetta una valigia che magari sta per essere messa all’asta dall’altra parte del mondo: lui aspettava e aspettava, consapevole che l’attesa sarebbe potuta diventare il segno distintivo della sua vita. Poco dopo le due, mentre guardava con un occhio aperto e uno chiuso un malriuscito remake in 3D del classico di Tarantino Kill Bill, qualcuno busso sommessamente alla porta della sua stanza. Apr e si trovo davanti Yoyo. «Posso entrare?» Lui si giro verso l’orologio digitale sulla parete dove stava proiettando il film. «Grazie.» Lei s’infilo nella stanza un po’ malferma sulle gambe. «È molto tardi, lo so.» Il suo sguardo era velato di profonda tristezza, tra le dita una sigaretta accesa, ed era chiaro che aveva bevuto troppo: l’evidente stato confusionale induceva a pensare che nelle ore precedenti fosse incappata in una piccola tempesta. Jericho dubitava che avesse trascorso una bella serata. «Cosa stai facendo? Hai lavorato molto?» chiese lei, curiosa.
«Un po’.» Lui non provo neppure a spiegarle che aveva passato le ultime ore combattendo con un diciottenne per il dominio del suo corpo. «E tu? Ti sei divertita?» «Oh, s, da morire!» Allargo le braccia e fece una giravolta. Lui ebbe l’impulso di afferrarla, ma si trattenne. «Siamo stati in uno di quei bar dove fanno il karaoke. La musica era pessima, ma io e Tian abbiamo rivoltato il locale.» Jericho si sedette sul bordo del letto. «Avete cantato?» Yoyo ridacchio. «Eccome. Tian non conosce neanche un testo, io invece li so tutti a memoria. Un paio di tizi ci hanno invitati in un club, a sentire una band chiamata Tokio Hotel. Credevo che fossero giapponesi. Invece erano tedeschi, dei veterani del rock.» «Non sembra male.» «Infatti, solo che dopo mezz’ora io dovevo andare in bagno e non riuscivo a trovarne uno. Cos siamo andati al parco e da l in un altro locale che era ancora aperto. Non ho idea dove fosse.» Improvvisamente tacque e si lascio cadere accanto a lui sul letto. «E poi?» «Tian mi ha raccontato una cosa... Vuoi saperla?» Un improvviso, bizzarro pensiero lo elettrizzo: baciarla e apprendere direttamente dalle sue labbra quello che le aveva raccontato Tian. La leggera ebbrezza, l’ombrosita, la voce impastata la rendevano piu desiderabile, una sensazione che guizzo fino all’inguine e si trasformo in dolore: Yoyo era l solo per parlare con lui. Fisso lo sguardo sull’hardware luccicante e amorfo di Diane. Yoyo, la testa reclinata, aspiro l’ultimo tiro dalla sigaretta. «Mi piacerebbe davvero molto raccontartelo.» Nella voce di Jericho vibrava una certa tensione. «Okay...» Era un rifiuto, camuffato in modo miserabile. «Naturalmente solo se tu non...» «Cosa?» «Forse e davvero un po’ tardi, non credi?» No, e proprio il momento giusto, urlava l’uomo adulto nella sua testa, incapace di spegnere il pilota automatico votato alla frustrazione che stava cercando in tutti i modi di boicottare Yoyo. Si guardarono, separati da un Gran Canyon di emozioni. «Allora... e meglio che vada.» «Dormi bene», sent rispondere se stesso. Lei si alzo. Sconcertato del proprio atteggiamento, Jericho non fece nulla per trattenerla. Lei indugio per qualche istante, si avvio indecisa verso la porta e poi torno sui suoi passi e con uno sprazzo di lucidita disse: «Un giorno ameremo questo periodo della nostra vita che adesso odiamo. Un giorno dovremo rappacificarci con noi stessi se non vogliamo impazzire».
La voce che rispose era venata di stanchezza. «Hai venticinque anni. Puoi fare la pace con tutto quello che vuoi.» «E tu cosa ne sai?» mormoro lei prima di fuggire dalla stanza. CALGARY, ALBERTA, CANADA Un dobermann legato davanti a una macelleria. Cos si sentiva Loreena Keowa. Il suo istinto la implorava di concentrarsi su quella conferenza a Pechino, dopo la quale si erano perse le tracce di Alejandro Ruiz. Aveva fiutato una pista, era a un passo da una scoperta importante, ma Susan voleva parlare. A che scopo? E di cosa? Sina ora non poteva piu aiutarla, perche Susan Hudsucker aveva dei dubbi. Un’occasione buttata, un insensato spreco di tempo. Non dubitava che sarebbe arrivata a chiarire i motivi della sparizione di Ruiz se fosse riuscita a scoprire i retroscena della conferenza, e che cio le avrebbe consentito anche di sbrogliare la matassa del tentato omicidio di Palstein. Era vicina alla soluzione. Ma Susan voleva parlare. Controvoglia, digito sul portatile un paio di frasi di commento per L’eredita del mostro. Pensandoci bene, pero, non era obbligata a dipendere dall’aiuto di Sina. Da Calgary poteva accedere sia ai database della centrale di Vancouver sia al suo computer di Juneau. Avrebbe potuto diventare lei la centrale. Avrebbe potuto perlustrare la rete senza intermediari. Ma era frenata dal rispetto delle regole del gioco, e finora Susan le aveva sempre protetto le spalle quando ce n’era stato bisogno. Doveva mettere il suo capo di buonumore regalandole un reportage ricco di dettagli - L’eredita del mostro, parte 1. Gli inizi - e poi farla cadere in trappola presentandole dei fatti che l’avrebbero convinta a dare la priorita a Palstein. Loreena chiuse il portatile e con lo sguardo cerco il cameriere cinese che, dietro il bancone, stava lavando i bicchieri. Sollevando il suo gli segnalo che voleva un’altra Labatt Blue. Nel Keg Steakhouse and Bar il silenzio era quasi opprimente. Pregustando il salmone grigliato e la Cesars Salad, aspettava con una certa impazienza l’arrivo dello stagista, anche se in lei stava radicandosi il timore che, mangiando smodatamente, prima o poi il ragazzo potesse esplodere facendo schizzare in ogni direzione tutti gli insaccati, le frittate e le bistecche che aveva ingurgitato nel corso degli ultimi giorni. D’altro canto, era un ragazzo in gamba. Di sicuro avrebbe avuto delle novita per lei. Il cameriere le porto la birra. Lei immerse il labbro superiore nella schiuma, proprio mentre il cellulare iniziava a squillare. Era Gerald Palstein. «Buonasera, Shax’saani Keek’.» «Oh, Gerald, come sta? Che combinazione, ci stiamo proprio occupando del suo amico Gudmundsson. Lo ha licenziato?» «Loreena...»
«Forse e meglio tenerlo sotto controllo per un po’, prima.» «È scomparso.» Le ci volle un attimo per assimilare la notizia. Si alzo, prese la birra, usc dal bar e cerco un angolo appartato nella hall. «Gudmundsson e scomparso?» «Lui e tutta la sua squadra. Da mezzogiorno. Nessuno sa dove siano andati. Alla Eagle Eye e irreperibile, in compenso ho saputo che uno dei suoi oggi ha chiamato per avere informazioni su di lui.» Dopo un breve attimo d’indecisione lei disse: «Se devo scoprire chi le ha sparato devo occuparmi di Gudmundsson». «Non sono sicuro che il nostro accordo sia ancora valido.» «Un momento. Solo perche...» «Mi stia a sentire. Lei non e una detective, Loreena. Non mi fraintenda, sono in debito con lei gia per il solo fatto di sapere che forse Gudmundsson cerca d’intralciarmi. Mi creda, la sosterro con tutte le mie forze per il suo reportage sull’ambiente, gliel’ho promesso e manterro la parola, ma d’ora in avanti deve lasciare che di questa indagine si occupi la polizia.» «Gerald...» «No. Lei ha attirato la loro attenzione. Quella e gente che non esita a uccidere.» «Gerald, si e mai chiesto perche e ancora vivo?» «Ho avuto una fortuna sfacciata.» «No, perche e ancora vivo oggi. Forse non volevano ucciderla. Forse sarebbe comunque ancora vivo anche se non fosse inciampato sui gradini del palco.» «Vuole dire che...» «Oppure la cosa era irrilevante per loro. Ci rifletta. Gudmundsson avrebbe potuto farla fuori mille volte. Sono sicura che l’attentato avesse il solo scopo di toglierla dalla circolazione per un po’.» «Non ne sono sicuro.» «D’accordo, mi correggo. Se non fosse inciampato, la pallottola l’avrebbe centrata alla testa. Ma tutto il resto non fa una grinza, potrei giurarci. Qualcuno voleva impedirle di fare qualcosa. Secondo me, di volare sulla Luna con Orley. E ci sono riusciti, quindi perche dovrebbero ancora cercare di ucciderla? Forse Alejandro Ruiz ha avuto meno fortuna...» «Ruiz?» «Lo stratega della Repsol.» «Che relazione puo esserci tra me e Ruiz? Non ne vedo nessuna. » «Io s», sibilo Loreena, guardandosi intorno per controllare che nessuno potesse sentirla. «Dio mio, Gerald. Lei e il direttore strategico di un’azienda che per la maggior parte del tempo ha fatto esattamente il contrario di quello che voleva lei. Solo quando ormai era troppo tardi e
tutto stava andando a catafascio, le hanno dato piu responsabilita. Peccato che a questo punto lei non possa fare piu molto. Lo stesso e stato per Ruiz. Un profeta di sventura, uno che sputava nel piatto in cui mangiava, un vero tormento. Faceva pressioni sulla Repsol perche investisse nell’energia solare, voleva entrare in affari con l’Orley Enterprises, proprio come lei. Ma sbatteva contro un muro di gomma. E improvvisamente, quando la nave stava per affondare, e stato promosso a direttore strategico. Lei e Ruiz avete chiesto per anni un impegno nel settore delle energie alternative, siete stati ignorati, e poi all’improvviso siete stati messi sul trono. Conclusione: uno subisce un attentato, l’altro scompare a Lima. Lei non vede nessuna relazione?» Palstein non replico. «Il primo settembre 2022, il giorno prima del viaggio a Lima, Ruiz ha partecipato a una misteriosa conferenza, da qualche parte nei dintorni di Pechino. L dev’essere successo qualcosa che lo ha terrorizzato al punto da far preoccupare anche sua moglie. Mi ha detto che, quando gli ha parlato al telefono, lui non era in se. Questo non le fa suonare un campanello d’allarme?» «S, eccome.» «E cosa dice?» «Che lei e in pericolo. Forse le sue supposizioni sono corrette. Non si puo negare che ci siano delle analogie.» «Infatti.» «Ed e proprio questo che mi spaventa. La prego, Loreena, non voglio che qualcuno le faccia del male a causa mia.» «Staro attenta.» «Lei stara attenta?» Palstein rise, ma la risata era amara. «Mi creda, io sono stato molto attento, e poi sono stato ingannato dalla mia stessa guardia del corpo. Lasci che dell’indagine si occupi la...» «No. Ventiquattr’ore, mi dia ventiquattr’ore, in ogni film poliziesco che si rispetti danno al detective ventiquattr’ore. Domattina presto volo a Vancouver; informero la mia direzione e credo che dopo Greenwatch al completo lavorera al caso. Entro domani sera sapro di cosa si e parlato in quella conferenza e per chi lavora Gudmundsson; se falliro, lo giuro, informero la polizia. Questo glielo prometto, ma la prego, mi conceda queste poche ore.» Dal display del cellulare Gerald Palstein la guardo con occhi malinconici e sospiro. «Va bene. A quante persone ha mostrato le fotografie di Gudmundsson e dell’asiatico?» «Molte, ma nessuno conosce il grassone.» «E quante persone sono al corrente della faccenda di Ruiz?»
«Tre, quattro. Solo io pero conosco tutta la storia.» «Allora mi faccia almeno un favore. Lasci perdere tutto finche non arriva a Vancouver. Fino ad allora non faccia nulla che potrebbe attirare l’attenzione di qualcuno.» «Okay...» «Me lo promette?» chiese lui diffidente. «Parola d’onore di tlingit. E lei sa cosa significa.» Lui sorrise. «Certo, Shax’saani Keek’.» «Abbia cura di se, Gerald.» «Mi chiami non appena atterra a Vancouver.» «Lo faro. Promesso.» Chiuse il collegamento e l’immagine di Palstein svan dal display. Con un leggero turbamento, Loreena si rese conto che si sentiva attratta da quell’uomo, anche se era una persona malinconica, coltivava una passione astratta per la matematica e gli piaceva una musica bizzarra che, vivi i musicisti, era d’avanguardia. Era piu basso e piu magro di lei, quasi gracile, con una calvizie incipiente, l’esatto contrario del tipo d’uomo che le piaceva. I tratti del volto erano armoniosi anche se non particolarmente affascinanti, ma nei suoi occhi di velluto c’era qualcosa che la toccava nell’intimo. Assorta nei suoi pensieri, fissava il display spento quando qualcuno sposto rumorosamente la sedia di fronte a lei. Senza troppi preamboli lo stagista annuncio: «Sto morendo di fame. Dov’e il menu?» Lei mise in tasca il cellulare. «Spero che tu abbia combinato qualcosa di buono. Una bistecca in cambio d’informazioni.» «Dovrebbero bastare per una bistecca da un chilo.» Sparpaglio una dozzina di foglietti sul tavolo davanti a se. «Ho chiamato la Eagle Eye, l’agenzia che fornisce le guardie del corpo a Palstein. Ho raccontato la storiella della giornalista che ha bisogno di protezione perche sta conducendo indagini scottanti, e che ha conosciuto Gudmundsson, del quale il tuo amico Palstein ha parlato molto bene, bla bla bla. Mi hanno detto che Gudmundsson e un collaboratore esterno, che la protezione del nostro amico manager lo impegna quasi a tempo pieno, e che devono verificarne la disponibilita, altrimenti ti forniranno loro una squadra ad hoc. A proposito, ti conoscono.» Dopo un attimo di perplessita, Loreena disse: «Ah, davvero? » «I tuoi reportage in Internet. Sembravano entusiasti all’idea di proteggere Loreena Keowa.» «Lusingata. Lavorano molto con gli esterni?» «Si affidano quasi esclusivamente a loro. Meta sono ex poliziotti, gli altri provengono dai Navy Seals, dagli Army Rangers e dai berretti verdi. Alcuni prima hanno fatto parte di eserciti privati dislocati in tutto il mondo. Vanno poi considerati gli ex agenti segreti del settore della logistica e della raccolta d’informazioni, in particolare CIA, Mossad e DND. Soprattutto i te-
deschi hanno ottimi contatti, dicono, e ovviamente anche gli israeliani, ma anche agenti russi finiscono alla Eagle Eye, e persino cinesi e coreani. Su richiesta, forniscono il curriculum di ogni collaboratore. Non hanno segreti. Al contrario, la trasparenza e il pilastro portante della loro reputazione.» «E Gudmundsson?» «Per meta islandese: il cognome e rivelatore. Cresciuto a Washington, ex Navy Seal, addestrato come tiratore scelto, ha affrontato ogni tipo di situazione. A venticinque anni e entrato in un esercito privato, il Mamba.» «Mai sentito.» «Operava in Kenya e in Nigeria all’inizio del millennio. Poi e passato a un’analoga organizzazione dell’Africa Occidentale, l’APS, l’African Protection Services.» «Africa, quindi.» «S, ma da cinque anni vive negli Stati Uniti. È a disposizione di agenzie di sicurezza private, la Eagle Eye e altre, di solito come coordinatore.» Loreena cerco di mettere ordine. L’Africa? Aveva importanza dove Gudmundsson aveva lavorato in precedenza? Di fatto, aveva tradito il cliente del suo datore di lavoro. Non era possibile stabilire se la Eagle Eye fosse coinvolta. L’agenzia godeva di un certo prestigio e forniva i suoi servigi a tantissime personalita dell’economia e dello showbusiness. Il fatto che Gudmundsson lavorasse gia per la Eagle Eye all’epoca della sparizione di Ruiz era un dato interessante. Cosa aveva fatto Gudmundsson tra il 2 e il 3 settembre 2022? Dov’era la notte in cui Ruiz era sparito? Forse in Peru? «Tutto qui? Non c’e altro?» «Andiamo. Quello che ho trovato non e male!» «D’accordo, un piatto di patatine... Okay, okay. E doppia porzione di cotolette.» Limit 30 MAGGIO 2025 IL CRISTALLO DI MEMORIA BERLINO, GERMANIA Gli esobiologi sostenevano che la vita extraterrestre fosse possibile anche in ambienti ostili. Esseri bizzarri vivevano all’interno di camini vulcanici, sfidavano oceani di zolfo e ammoniaca, germogliavano sotto la crosta di lune di ghiaccio o si libravano con lenta maestosita nel cielo variopinto di Giove: colossi alati simili a razze ai quali l’idrogeno immagazzinato nel corpo impediva di schiantarsi al suolo a causa dell’attrazione gravitazionale esercitata dal nucleo di metallo del gigante gassoso. Alle 06.30 uno di quegli strani esseri si stava avvicinando a Berlino. Il suo rivestimento esterno risplendeva nella luce fredda e accecante dell’alba, mentre virava con eleganza e scendeva di quota. La fusoliera e le ali, con un’apertura di circa cento metri, formavano un
corpo unico che terminava con una testa minuscola, appena accennata, che, se rapportata alle dimensioni complessive, induceva a pensare a un’intelligenza rudimentale. In realta, proprio in quel punto si concentrava tutta la potenza di calcolo dei quattro sistemi computerizzati indipendenti, controllati dai piloti, che consentivano al velivolo di seguire la rotta. Era una cosiddetta «ala volante» dell’Air China, che poteva ospitare fino a mille passeggeri. I costruttori, stanchi di avvitare superfici portanti su strutture tubolari, avevano realizzato un corpo piatto, simmetrico, con sedili installati anche nelle ali: un vero capolavoro di aerodinamica. I propulsori erano integrati nella coda e sviluppavano una spinta elevata anche ai regimi piu bassi; nel contempo, la caratteristica forma a razza favoriva la spinta ascensionale e minimizzava gli effetti delle turbolenze, riducendo i consumi e abbassando la rumorosita a sessantatre decibel, un livello tollerabile per chi lo percepiva a terra. Per privilegiare l’aerodinamica, i progettisti avevano rinunciato anche ai finestrini, sostituiti da una fila di monitor sui quali era riprodotto in 3D il mondo esterno ripreso da minuscole videocamere disposte lungo la fusoliera. Erano svantaggiati solo i passeggeri che occupavano i posti piu economici, alle estremita delle ali, che durante le virate si sollevavano e si abbassavano anche di venticinque metri ed erano maggiormente esposte alle turbolenze. Ma l’uomo che stava tornando al proprio posto dopo aver sperimentato le delizie del servizio massaggi aveva il privilegio di una sistemazione nella Platinum Lounge. La simulazione trasmessa dai monitor mostrava la vista di cui si godeva dalla cabina di pilotaggio: un panorama affascinante in un’ineccepibile rappresentazione tridimensionale. Sprofondo nel sedile e chiuse gli occhi. Il suo sedile si trovava sull’asse centrale del velivolo, un autentico colpo di fortuna, considerando che il volo era stato prenotato all’ultimo minuto. Per la verita, chi aveva effettuato la prenotazione conosceva alla perfezione le sue preferenze e aveva indirizzato la fortuna nella direzione piu consona. Sapevano che lui avrebbe preferito viaggiare sulla punta delle ali, nel cesto di una mongolfiera, allacciato con delle cinghie sotto uno zeppelin o tra gli artigli di un uccello del Giurassico, piuttosto che accontentarsi del posto accanto a quello centrale. Il centro era il centro, non si discuteva. Piu lo scostamento dall’ideale era minimo, piu era intollerabile per lui, e lo induceva a correggere subito quel difetto. Osservo la campagna intorno a Berlino illuminata dal sole, con larghe aree verdi, solcata da corsi d’acqua e punteggiata da laghi luccicanti. Poi ecco la citta, un patchwork di storia. Il velivolo comp un’ampia virata di centottanta gradi, sorvolo complessi residenziali, parchi e viali e scese rapidamente di quota. Dal suo punto di osservazione privilegiato, per un attimo ebbe l’impressione che l’aereo stesse per schiantarsi sulla pista, poi il pilota sollevo il muso e l’aereo tocco terra senza particolari scosse. All’interno l’atmosfera muto, se pure impercettibilmente. Durante il viaggio sembrava che il tempo fosse rimasto sospeso; ora riacquistava consistenza, come segnalavano il vociare dei
passeggeri e il fruscio di giornali e libri che venivano riposti in fretta nelle borse. Da portelli enormi una fiumana di passeggeri si riverso nel terminal. L’uomo prese il suo bagaglio a mano e fu tra i primi a scendere. I suoi dati erano gia stati memorizzati nel sistema informatico dell’aeroporto, trasmessi dall’Air China alle autorita tedesche dopo neppure venti minuti dal decollo da Pudong. Inoltre il computer stava acquisendo le immagini registrate dalle telecamere di bordo e, al controllo passeggeri, sapeva gia che cosa aveva mangiato e bevuto durante il volo, cosa aveva letto, quali film aveva visto, con quale delle hostess aveva flirtato, a quale aveva risposto male e quante volte era andato alla toilette. Il sistema disponeva anche di una fototessera digitale, un riconoscimento vocale, impronte digitali, scansione dell’iride e, ovviamente, conosceva l’indirizzo del suo soggiorno a Berlino: l’Hotel Adlon. Appoggio il cellulare e poi la mano destra sullo scanner, sillabo il proprio nome e guardo verso la telecamera della postazione di controllo automatico, mentre il computer finiva di rilevare le sue coordinate RFID. Il sistema confronto i nuovi dati con quelli in memoria, lo identifico e ne autorizzo il passaggio. Appena dopo il controllo passeggeri due poliziotte controllarono il suo bagaglio ai raggi X e lo interrogarono brevemente sullo scopo del viaggio. In particolare vollero sapere se era la prima volta che veniva a Berlino. Rispose con gentilezza, anche se in tono quasi assente, come se stesse gia pensando all’appuntamento successivo. Solo quando rientro in possesso del cellulare, la sua voce viro a una maggiore cordialita. Auguro una buona giornata a entrambe, aggiungendo che sperava che non dovessero restare in servizio tutto il giorno. Lo disse guardando negli occhi la piu giovane, trasmettendole il messaggio che non avrebbe avuto nulla in contrario, per esempio, a trascorrere con lei quella meravigliosa mattina di sole berlinese. Lei lo gratifico con un piccolo sorriso d’intesa, il massimo che la sua funzione le consentiva, in cui si sarebbe potuto leggere: «Senza dubbio sei un bell’uomo, vestito in modo impeccabile, sappiamo benissimo entrambi che cosa vogliamo, grazie dei fiori ma adesso vattene». Tuttavia l’accoglienza si risolse in una frase di rito: «Benvenuto a Berlino, Zhao Xiansheng. Le auguro un piacevole soggiorno». Passo oltre. Apprezzava che in quel Paese si rivolgessero alle persone con l’appellativo corretto. Da quando la lingua cinese era diventata materia di studio obbligatoria nella maggior parte delle scuole europee, si poteva essere certi che il nome e il cognome tradizionali non venissero invertiti e che il cognome venisse sempre seguito dalla forma corretta per signore o signora. All’uscita lo aspettava un uomo pallido e calvo, occhi infossati come un San Bernardo e guance cadenti. Era alto e robusto e indossava un giubbotto in pelle abbottonato fino al collo. «Failte, Kenny.»
«Mickey.» Xn lo saluto con una pacca sulla spalla, senza rallentare il passo. «Come stanno i tuoi amici dell’IRA?» «Alcuni sono morti.» L’uomo calvo lo affianco. «Ho perso i contatti quasi con tutti. Con quale nome sei arrivato?» «Zhao Bde. È tutto pronto?» «S, anche se abbiamo avuto un ritardo mostruoso a Dublino. Sono arrivato dopo mezzanotte, un volo di merda, davvero. Ma non importa.» «E le armi?» «Pronte.» «Dove sono?» «In macchina. Vuoi passare prima dall’albergo o preferisci andare subito al Muntu? Le luci sono ancora spente. Anche nell’appartamento di sopra. Probabilmente stanno ancora dormendo. » Xn si concesse un attimo di riflessione. La settimana precedente, dopo che i suoi uomini avevano scoperto la nuova identita di Vogelaar, Mickey Reardon era andato al Muntu per studiare il locale. In Irlanda del Nord la sua specialita erano i sistemi d’allarme e, dopo lo smantellamento dell’IRA, come molti altri ex terroristi metteva la propria esperienza a disposizione del miglior offerente. Ogni tanto svolgeva incarichi anche per i servizi segreti come lo Zhong Chan’erbu. Kenny preferiva collaboratori piu giovani, ma Mickey, sebbene avesse quasi sessant’anni, era in ottime condizioni fisiche, ci sapeva fare con le armi ed era in grado di neutralizzare qualunque sistema di sicurezza a occhi chiusi. Aveva lavorato spesso con lui e infine l’aveva raccomandato a Hydra. Da allora, l’irlandese faceva parte della sua squadra. Non si poteva dire che fosse un genio, ma in compenso non faceva domande. «Facciamo un salto in albergo. Poi ci togliamo il pensiero.» Guardo il sole e si scosto i capelli dalla fronte. «Dicono che Berlino sia bellissima. Pazienza. Voglio ripartire entro stasera.» Jan Kees Vogelaar non stava dormendo. Non aveva chiuso occhio tutta la notte, ma non solo a causa del mal di testa che lo tormentava, conseguenza del colpo infertogli da Yoyo. Aveva discusso a lungo con Nyela e, insieme, avevano deciso di fuggire in Francia, dove aveva contatti con alcuni soldati della legione straniera in pensione. Mentre Nyela preparava i bagagli, lui preparava i loro nuovi documenti. Luc e Nadine Bombard, discendenti di colonialisti francesi del Camerun, sarebbero arrivati a Parigi in serata. Alle sette e trenta chiamo Leto, un amico originario del Gabon che si era trasferito a Berlino qualche anno prima per accudire il padre bianco ormai malato. Il giorno precedente Nyela l’aveva incontrato sull’Unter den Linden. Leto aveva fatto parte del Mamba prima che l’agenzia venisse assorbita dall’African Protection Services, e li aveva aiutati ad aprire il Muntu. Era l’unica persona di cui si fidavano in Germania, benche non fosse a conoscenza
delle circostanze che avevano indotto Vogelaar a fuggire dalla Guinea Equatoriale. Per lui l’eliminazione di Maye era sostanzialmente opera di Ndongo, finanziata da qualche potenza straniera. E Vogelaar non si era certo preoccupato di spiegargli che si sbagliava. «Dobbiamo sparire.» Fu tale la sorpresa che Leto, svegliatosi di soprassalto, non riusc nemmeno a sbadigliare. «Che significa ’sparire’?» «Cambiare Paese. Ci hanno trovato.» «Merda!» «S, merda. Ascolta, puoi farmi un favore?» «Certo.» «Tra due ore, quando aprono le banche, devo svuotare i nostri conti e sbrigare un paio di cose. Nyela nel frattempo scendera al Muntu a recuperare quello che possiamo portare con noi. Ti sarei grato se potessi accompagnarla. Solo per precauzione, finche non torno.» «Consideralo fatto.» «Magari vai a prenderla di sopra, nell’appartamento.» «D’accordo. Quando pensate di partire?» «Subito dopo mezzogiorno.» Qualche istante di silenzio, e poi: «Io proprio non capisco. Perche non vi lasciano in pace una buona volta? Ormai e da un anno che Ndongo ha ripreso il controllo del governo. Tu non sei piu una minaccia per lui». «Probabilmente non ha ancora digerito il fatto che prima l’ho scacciato dal Paese», ment Vogelaar. «Ma e ridicolo», sbuffo Leto. «È stato Maye. Tu eri stato pagato per farlo, non era niente di personale.» «A me basta sapere che quei tipi sono qui. Ce la fai a essere da Nyela alle otto e mezzo?» «Certo, figurati.» Un’ora e mezzo dopo Vogelaar stava guidando nel traffico del mattino. Il rosso dei semafori sembrava durare un’eternita. Attraverso la Franzosische Straße, arrivo fino alla Taubenstraße, riusc a infilare la Nissan in un buco di parcheggio ed entro nell’atrio della banca. La cattedrale del capitalismo era gremita. C’era ressa davanti alle postazioni informatiche e agli sportelli informazioni, come se mezza Berlino stesse programmando la fuga insieme con lui e Nyela. Vide il suo consulente alle prese con una vecchietta dal volto arrossato, che sottolineava le proprie argomentazioni battendo la mano sul banco davanti allo sportello. Gli
fece un cenno per segnalargli che avrebbe aspettato nella sala accanto, quindi si sedette in un’elegante poltrona in pelle e si arrabbio con se stesso. Aveva perso tempo. Perche non aveva ritirato i soldi il pomeriggio precedente? Poi gli venne in mente che, quando Owen Jericho e la sua amica cinese se n’erano andati, le banche erano gia chiuse. Cio non placo la sua irritazione. Era assurdo dover aspettare il proprio turno. Le operazioni bancarie erano ormai tutte computerizzate, ma per chiudere il conto corrente bancario e avere la disponibilita del saldo in contanti doveva ancora presentarsi di persona in banca. Brontolando, ordino un cappuccino. La speranza di ricevere entro qualche minuto la telefonata del consulente che lo invitava a tornare nell’atrio rischiava di naufragare nel fiume di parole della donna esagitata davanti allo sportello. Del resto, anche agli altri sportelli si erano formate lunghe code, perlopiu persone anziane. L’invecchiamento della popolazione di Berlino era un dato di fatto, anche nelle vie piu eleganti si respirava l’aria viziata dell’ansia di assicurarsi una pensione quantomeno dignitosa. Aveva appena bagnato il labbro superiore nella schiuma del cappuccino quando il suo cellulare squillo. Cercando di tenere in equilibrio la tazza, si alzo e getto un’occhiata al display: la chiamata, pero, non veniva dall’atrio. Era il numero di Nyela. Torno a sedersi e accetto la chiamata, in attesa che comparisse il suo viso. Ma era quello di Leto il volto che lo fissava. Qualcosa non andava. Leto aveva un’aria sconvolta. Anzi no. Sembrava piuttosto che si fosse rassegnato alle circostanze del suo sgomento e che avesse deciso di conservare quell’espressione fino alla fine dei suoi giorni. Poi cap che quella fine era gia arrivata. Leto era morto. «Nyela? Cosa c’e? Cos’e successo?» La persona che teneva in mano il cellulare di Nyela indietreggio in modo che si potesse vedere il busto di Leto riverso sul bancone del bar. Un sottile rivolo di sangue gli scendeva lungo il collo. «Non ti preoccupare, Jan. Abbiamo agito senza far rumore. Non voglio crearti problemi coi vicini.» L’uomo che aveva parlato rivolse il display verso di se. «Kenny...» sussurro Vogelaar. Xn gli sorrise. «Non sei contento di vedermi? A me tu sei mancato molto. Mi sono arrovellato per un anno chiedendomi come avessi fatto a sfuggirmi.» «Dov’e Nyela?» La voce di Vogelaar sembrava provenire da un luogo lontanissimo. «Aspetta, te la passo. Anzi te la faccio vedere.» L’inquadratura mostro l’interno del ristorante. Il volto di Nyela, seduta su una sedia, esprimeva un terrore che lasciava senza parole. Il braccio di un uomo pallido e calvo la bloccava, mentre nell’altra mano teneva un bisturi, la punta sospesa, immobile, a meno di un centimetro dall’occhio sinistro spalancato di Nyela. «Ecco.»
Dalla gola di Jan usc un rantolo, un suono che gli sembrava di non essere mai stato in grado di emettere. «Non farle del male. » «Non ti preoccupare, Mickey e un professionista, ha la mano ferma. S’innervosisce solo quando m’innervosisco anch’io.» «Cosa devo fare?» «Devi prendermi sul serio.» «Ma io ti prendo sul serio.» La voce di Xn assunse un’inquietante inflessione da serpe. «Certo che lo fai. D’altro canto, so bene di cosa sei capace, Jan. È la tua natura, non puoi farne a meno. In questo momento la tua mente sta elaborando migliaia di piani per cercare di fregarmi... Ma io te lo sconsiglio. Non ci devi nemmeno provare.» «Non lo faro.» «Mi sorprenderesti.» «Hai la mia parola.» «No. Ti convincerai solo quando avrai capito l’importanza di salvare la vista di tua moglie.» La videocamera zoomo sul volto della donna che, deformato dalla paura, riemp il display. «Jan», disse lei piagnucolando. «Kenny, ascolta», bisbiglio Vogelaar con voce roca. «Ho detto che hai la mia parola. Smettila, io...» «Si puo vedere benissimo anche con un occhio solo, non credi? » «Kenny...» «Ma, quando avrai capito quanto sia importante salvarle l’occhio rimasto, forse...» «Kenny, no!» Lui balzo in piedi. «Mi dispiace, Jan. Sto diventando nervoso.» Dal cellulare usc il grido straziante di Nyela mentre il bisturi scendeva verso l’occhio. L’urlo di Vogelaar congelo l’aria. GRAND HYATT Jericho sbatte le palpebre. Qualcosa lo aveva svegliato. Si rigiro sul fianco e diede un’occhiata all’ora: quasi le dieci. Era gia tardi. Salto giu dal letto, ud il trillo del telefono della camera e ando a rispondere. Era Tu Tian. «Ho i soldi. Centomila euro, come richiesto dal nostro amico mercenario. Banconote di taglio non troppo piccolo, in modo che tu riesca a passare dalla porta del museo.» «Bene.»
«Scendi a fare colazione?» «S... penso di s.» «Fai presto. Yoyo sta divorando una marea di uova strapazzate. Ti faccio mettere in caldo qualcosa prima che si mangi tutto. » Yoyo. Ando in bagno e si soffermo a studiare nello specchio l’uomo biondo con la barba ispida che affrontava il crimine usando tutti gli strumenti possibili tranne il pettine e il rasoio, ma con quel minimo di decenza necessario per dire un chiaro e tondo «no», anche quando in realta si sarebbe voluto dire «s». Erano gli strascichi della notte precedente, una sensazione di vuoto, come se avesse perso un’occasione. Una Yoyo ubriaca fradicia, ma non per quello meno comunicativa, era entrata nella sua camera perche voleva parlare, una prospettiva che il brufoloso adolescente che era in lui odiava con tutte le sue forze. Ma cos’era una conversazione se non il preambolo di un finale a sorpresa? Fisico e plasmabile. Sarebbe potuto accadere di tutto, ma lui, ferito nell’orgoglio, aveva lasciato che lei se ne andasse, quindi era tornato a guardare il finale del remake di Kill Bill, un film d’ignobile qualita, ed era proprio quello che si meritava. Sul letto di chiodi della sua incapacita di diventare adulto, era scivolato in un sonno profondo benche per nulla ristoratore, infestato di sogni pieni di stazioni e treni che continuava a perdere, l’uno dopo l’altro, per trovarsi poi a girovagare per l’eternita nella tetra terra di nessuno di una cupa Berlino d’altri tempi; all’interno degli edifici, involucri vuoti, erano in agguato grossi insetti. In ogni portone, ogni finestra, ogni fessura intravedeva agitarsi delle antenne, mentre le zampe corazzate si ritraevano rapidamente: un perfido gioco al rimpiattino. Treni. Che simbolismo imbarazzante. Com’era possibile fare dei sogni cos modesti? Fisso negli occhi il biondo nello specchio e immagino di vederlo voltarsi dall’altra parte, uscire dal bagno e lasciarlo solo, stanco della sua meschinita, della meschinita dell’adolescente coi brufoli. In un modo o nell’altro doveva liberarsi di quell’adolescente. Ne aveva abbastanza. VOGELAAR L’urlo di Jan si propago nella sala come lo scoppio di un ordigno nucleare e frantumo ogni pensiero, ogni conversazione intorno a lui. Un jazz soporifero sostitu le voci dei presenti. Sul tavolino di vetro una sorta di dipinto di caffe e schiuma di latte faceva da sfondo a un centro di frammenti di porcellana. Lui fisso il display. «Hai capito?» chiese Xn. Gli cedettero le ginocchia. Le orecchie erano dilaniate dai singhiozzi soffocati di Nyela. Si lascio cadere nella poltrona di pelle. Non era successo nulla. Il bisturi non era affondato nel
bulbo oculare, non aveva inciso iride e pupilla. Solo un sussulto, poi si era fermato. «S», sussurro Vogelaar. «Ho capito.» «Bene. Se rispetterai le regole del gioco, continuera a non accaderle nulla. Quanto a te, invece...» «Chiaro.» Vogelaar toss. «A cosa devo tutto questo disturbo, Kenny?» «Quale disturbo?» «Mi avresti potuto ammazzare in qualsiasi momento. Mentre uscivo di casa, mentre venivo qui, in banca...» Sul display comparve il volto di Xn. «È molto semplice.» Il tono era quello di una chiacchierata tra amici. «Perche tu non hai mai agito senza rete di protezione. Credi in una vita dopo la morte, nella quale gli avvocati aprono le tue cassette di sicurezza per consegnarne il contenuto alla stampa, autorizzati dal tuo trapasso violento.» «Posso aiutarla?» Vogelaar sollevo la testa. Davanti a lui c’era un impiegato che mostrava un certo disappunto: in una banca non si urla. Al massimo si puo prendere in considerazione un suicidio, purche dignitoso. «No, ho solo... ho appena ricevuto una bruttissima notizia.» «Se c’e qualcosa che possiamo fare per lei...» «No, e una cosa privata.» L’uomo sorrise, visibilmente sollevato. Non si trattava di denaro. Qualcuno era morto, o aveva avuto un incidente. «Come ho detto, se...» «La ringrazio.» Vogelaar segu con lo sguardo l’impiegato che si allontanava, poi si alzo e usc dalla saletta. «Vai avanti.» «La tua strategia si basa sulla convinzione che chi ti vuole male minaccera te in prima persona, in modo che tu possa dire: ’Attenzione, se domani non mi faccio vedere nel tale posto, tutto intero, da qualche parte esplodera una bomba’. È il piano di un solitario, come sei stato per quasi tutta la tua vita. Ma ora non piu. Forse sarebbe stato meglio cambiare modo di pensare.» «L’ho fatto.» «Non e vero. La miccia della tua bomba e ancora collegata soltanto al tuo benessere personale.» «Al mio e a quello di mia moglie.» «Non proprio. Forse hai cambiato il modo di pensare, ma non quello di agire. Una volta avresti detto: ’Kenny, tornatene a casa, non puoi farmi niente, oppure uccidimi e vedrai cosa succede’. Oggi invece il copione recita: ’Lascia in pace Nyela, oppure ti spedisco all’inferno’.»
«Puoi starne certo!» «Potresti ancora mandare all’aria tutto.» Xn fece una pausa. «Ma, allora, cosa dovremmo fare della tua povera moglie innocente? O, meglio, per quanto tempo dovremmo farlo?» Vogelaar aveva attraversato l’atrio ed era uscito sull’affollata Friedrichsstraße. «Basta, Kenny. Ho capito.» «Davvero? Quando Vogelaar amava solo Vogelaar, era un osso duro per le persone come me. Una volta mi avresti detto di ammazzarla, di torturarla a morte, che poi avremmo fatto i conti. Avremmo giocato un po’ e, alla fine, avresti vinto tu.» «Ti avverto. Se torci anche un solo capello a Nyela...» «Moriresti per lei?» «Dimmi cosa vuoi.» «Voglio una risposta.» Jan passo rapidamente in rassegna gli scenari della sua vita. Vide un insetto fastidioso, che mordeva, pungeva, fingeva di essere morto o scompariva fulmineo in una fessura. Un robot semovente la cui corazza negli ultimi anni era stata corrosa da abbondanti secrezioni di empatia. I suoi istinti si stavano disgregando a mano a mano che lui acquisiva consapevolezza che continuare a vivere aveva un senso, e che aveva un senso anche morire perche altri potessero vivere. Xn aveva ragione. Il suo modo di pensare era superato. L’insetto era stufo d’infilarsi da solo nelle fessure, ma in quel momento il futuro sembrava essersi ridotto a un’unica, stretta fessura. «S, darei la vita per Nyela.» «Perche?» «Per salvarla.» «No, Jan. Tu moriresti perche in realta l’altruismo e il concetto alla base dell’egoismo, e tu sei un individuo profondamente egoista. Non c’e nulla di piu gratificante del martirio, e l’autocompiacimento e da sempre la tua forza motrice.» «Risparmiami le prediche, Kenny.» «È giusto che tu sappia che, se farai le mosse sbagliate, con la tua morte non salverai nessuno. La sofferenza di Nyela sarebbe senza fine.» «Ho capito.» «Allora, qual e la tua rete di protezione stavolta?» «Un dossier.» «La roba che Maye voleva usare per ricattarci?» «S.» «Dov’e?» «Nel Crystal Brain. In un cristallo di memoria.»
«Chi ne e a conoscenza?» «Solo il mio avvocato e mia moglie.» «Nyela conosce il contenuto di questo dossier?» «S.» «E il tuo avvocato?» «Neanche una parola. Ha solo l’ordine di prelevare il cristallo se dovessi morire in modo violento e di renderlo pubblico.» «Perche non lo hai messo a conoscenza del contenuto?» «Perche non sono affari suoi», sbraito Jan sempre piu rabbioso. «Il dossier ha il solo scopo di proteggere la vita di Nyela e la mia.» «Il che significa che non appena entrero in possesso di questo cristallo... Va bene, vai a prenderlo. Quanto tempo ti serve?» «Un’ora al massimo.» «Dobbiamo aspettarci qualche visita nel frattempo? La donna delle pulizie, l’aiutocuoco, il postino?» «Nessuno.» «Allora forza, vecchio amico. Non perdere tempo.» Vogelaar non aveva una particolare coscienza ecologica. Guidava una Nissan a energia solare solo perche Nyela era sensibile ai problemi dell’ambiente. Era disposto ad ammettere che le utilitarie alleggerivano il traffico cittadino, ma era innamorato dei fuoristrada. Eppure in quel momento, mentre cercava di farsi largo nel Regierungsviertel, il quartiere governativo di Berlino, malediceva le automobili piu grandi e odiava tutti gli altri automobilisti. In effetti la Germania possedeva le tecnologie piu innovative, i progetti pero restavano chiusi in qualche cassetto ad ammuffire. Nessun altro mercato era affezionato ai motori a benzina e alla velocita come quello tedesco. Mentre in Asia e negli Stati Uniti l’interesse per le soluzioni ibride stava gia da tempo cedendo il passo a tecnologie ancora piu avanzate, in Germania anche le prime facevano fatica a imporsi: in nessun altro luogo le tecnologie a idrogeno, le celle a combustibile e i motori elettrici godevano di cos scarsa considerazione. Inoltre le persone avevano una predilezione altrettanto inossidabile verso le grandi auto di rappresentanza e, soprattutto, volevano guidarle personalmente, sebbene fossero equipaggiate con autopiloti efficienti e sicuri. Solo l’impopolarita delle riflessioni sul futuro superava quella delle city car. La Nissan di Jan procedeva con straziante lentezza e lui imprecava e batteva sempre piu irritato la mano sul volante. Era in un bagno di sudore quando, alla fine, rosso per la collera, riusc a entrare nel parcheggio del Crystal Brain. Usc con un balzo dall’abitacolo e raggiunse rapidamente l’ingresso principale.
Per un attimo il suo sguardo incontro quello di Einstein. L’edificio era stato costruito nel 2020 vicino al Regierungsviertel, il distretto governativo di Berlino, ma si aveva quasi l’impressione che in quel punto fosse appena atterrato un UFO cubico di vetro sulle cui superfici perfette si stagliava la scritta CRYSTAL BRAIN, evanescente come un pensiero ininfluente. A seconda della direzione dalla quale ci si avvicinava, gli occhi catturavano mondi spettrali, velociraptor in cerca di prede nelle savane del Giurassico, cacciatori dell’eta della pietra che scagliavano lance contro i mammut, re assiri che tenevano corte, soldati greci armati di lancia, imperatori romani, cavalleggeri napoleonici e principesse egizie, piramidi e cattedrali gotiche, il Kon-Tiki e il Titanic, satelliti, stazioni spaziali, basi lunari, il cipiglio severo di Abramo Lincoln, Goethe col suo cappello floscio, Bismarck con l’elmo prussiano sovrastato dal puntale, Niels Bohr, Werner Heisenberg, Konrad Adenauer, Marilyn Monroe, John Lennon, il mahatma Gandhi, Neil Armstrong, Nelson Mandela, Helmut Kohl, Bill Gates, il Dalai Lama, l’astronauta tedesco Thomas Arthur Reiter, Julian Orley, rappresentazioni geocentriche, eliocentriche e moderne del cosmo, eccellenti rappresentazioni astratte dei mondi quantistici di Planck, molecole, atomi, quark e superstringhe, l’invenzione della ruota, della stampa a caratteri mobili e del currywurst, la salsiccia con salsa al curry. Tutto quello e molto altro ancora era memorizzato sotto forma di olografie nelle imponenti pareti dell’edificio, si manifestava, respirava, pulsava, faceva l’occhiolino, sorrideva, stringeva mani, camminava, volava, andava in macchina, nuotava e moriva, a seconda della posizione dell’osservatore. La facciata esterna era un autentico capolavoro, un prodigio dell’eta moderna, ma era solo un frammento delle meraviglie custodite all’interno: il piu grande archivio del sapere umano concentrato in un unico luogo attendeva Vogelaar. Lui attraverso lo scintillante atrio a cupola. Su entrambi i lati gli ascensori salivano e scendevano, apparentemente senza ancoraggio; grazie a un raffinato effetto ottico sembravano librarsi. Anche la loro forma riproduceva la geometria frattale del resto della struttura: all’interno del Crystal Brain vigeva un principio di uniformita. La piu piccola entita, il cristallo di memoria, era identica alla piu grande, ovvero l’edificio stesso: un cristallo dentro un cristallo dentro un cristallo. La memoria del mondo. Quello che gli esseri umani avevano da tramandare della loro storia e della loro cultura non poteva essere racchiuso in un libro, anzi ne richiedeva una quantita tale che, per conservarli tutti, non sarebbero bastati gli scaffali di una miriade di biblioteche d’Alessandria cui fosse riservato un pianeta supplementare. La Bibbia, il Corano o la Torah ignoravano l’evoluzione, gli aggrovigliati intrecci delle casualita o il paradosso del gatto di Schrodinger. Non vi si potevano trovare l’enunciazione del principio d’indeterminazione, ne il concetto di deviazione standard, le equazioni non lineari, i buchi neri o i multiversi, lo spazio extradimen-
sionale o l’inversione della freccia del tempo. Erano il deposito e il veicolo di diffusione di una fede che non ammetteva deviazioni e critiche sulla strada a senso unico verso la verita assoluta: erano libri di smodate pretese ma poco ingombranti. Al di la della religione, per quanto riguardava tutto il resto dello scibile, il pianeta era ormai sul punto di scoppiare a causa della massa d’informazioni inutili o d’importanza capitale. Nel campo della storiografia, per esempio, erano milioni e milioni i tentativi di fissare sulla carta volatili frammenti temporali, che spesso sembravano soggetti al principio d’indeterminazione, dato che non era possibile fissarne contemporaneamente una data sicura e la veridicita, e potevano riguardare temi trascurabili come il colore dei capelli di Carlo Magno o la piu seria questione se fosse mai esistito. E poi le speculazioni nel campo della fisica, della filosofia o della futurologia. E tutti gli articoli usciti fino a quel giorno, i saggi, le novelle, i romanzi, le poesie e i testi delle canzoni, fossero anche solo quelle di Bob Dylan e tutti gli studi pubblicati su di esse. E, ancora, l’enorme quantita d’istruzioni per l’uso che accompagnano ogni elettrodomestico, i dati meteorologici raccolti fin da quando gli esseri umani avevano iniziato a effettuare e registrare le prime rilevazioni, la raccolta completa dei discorsi del Dalai Lama, la totalita dei menu cinesi stampati tra capo Horn e il Bosforo, tutte le nuvolette col pensiero di Paperon de’ Paperoni sull’accrescimento del capitale e quelle di rabbia e delusione che uscivano dal becco del suo sfortunato nipote, i foglietti illustrativi delle pomate contro le emorroidi o i bugiardini dei farmaci antidepressivi... C’era un problema di spazio e, di sicuro, il libro a stampa non era la soluzione ne era possibile implementare ulteriormente la capacita di DVD e hard disk, supporti che non soddisfacevano con sufficiente elasticita e affidabilita le esigenze d’immagazzinamento e conservazione delle informazioni, caratterizzate ormai da una crescita esponenziale. La buona vecchia pietra scolpita era resistente e inalterabile, tanto che la cristianita poteva continuare a coltivare la speranza che le tavole della Legge esistessero ancora da qualche parte. I libri si conservavano per almeno duecento anni, durata che triplicava se per stamparli si usavano inchiostri senza metalli e carta non acida. Secondo alcune stime, le pagine a base cellulosica potevano rimanere inalterate per quattrocento anni, i CD e DVD piu o meno per un secolo, i floppy disk una decina di anni. In linea del tutto teorica, il floppy sarebbe stato ancora preferibile alla chiavetta USB, se fossero stati mantenuti in uso i lettori di dischetti, perche il piu moderno supporto dopo tre anni d’uso iniziava a manifestare perdite di memoria. Per la creazione di una «memoria del mondo», sarebbe stato necessario superare una triplice barriera: un’inadeguata capacita di memorizzazione, il deperimento dei supporti, l’evoluzione troppo rapida dei supporti hardware. L’olografia aveva risolto tutti i problemi in una sola volta. Gli otto piani del palazzo erano occupati da «banche dei cristalli» e postazioni laser mediante le quali, comodamente seduti in
ariose e invitanti sale, i visitatori potevano viaggiare nella Storia. Sarebbe altres stato un autentico El Dorado per qualsiasi extraterrestre che un giorno lontano, avventurandosi in intricate foreste, avesse scoperto resti di artefatti umani. Ma Vogelaar, insensibile a tutta quella magnificenza, scese in ascensore al secondo piano interrato, dov’era possibile affittare a pagamento uno spazio di memoria per la conservazione di dati privati. Il sistema di accesso lo identifico con la consueta procedura - scansione dell’iride, impronte digitali - e lo fece entrare in un atrio illuminato da una luce soffusa. «Numero 17-44-27-15. » Il sistema gli chiese se desiderava una postazione laser, lui rispose che voleva prelevare immediatamente i dati. «Corridoio 17, settore B-2. Conosce la strada o desidera una mappa?» domando il sistema. «Conosco la strada.» «La preghiamo di prelevare il cristallo entro cinque minuti.» In fondo all’atrio, si apr una porta di vetro, lasciando intravedere una serie di corridoi dalle pareti che apparivano perfettamente lisce, mentre sul pavimento linee colorate, numeri e sigle servivano da guida. Vogelaar si fermo pochi passi dopo aver imboccato il corridoio che gli interessava. Per chi non l’avesse saputo sarebbe stata necessaria una notevole attenzione per individuare le sottilissime linee che suddividevano la parete a specchio in minuscoli quadrati. «Preparazione di 17-44-27-15 in corso», annuncio il sistema. Un impercettibile clic metallico anticipo la fuoriuscita di un sottile bastoncino quadrato trasparente e delle dimensioni di una zolletta di zucchero. Era uno dei milioni di cristalli che costituivano il tesoro del Crystal Brain, un efficientissimo supporto ottico con elaborazione e codifica dei dati integrate, privo di parti mobili e praticamente indistruttibile. I cristalli di memoria erano contraddistinti da una capacita compresa tra uno e cinque terabyte, da una velocita di lettura di diversi gigabyte al secondo e da un tempo di accesso assai inferiore al millisecondo. La memorizzazione avveniva mediante un sistema laser che salvava i modelli di dati elettronici sotto forma di pagine, ognuna delle quali con una capacita di milioni di bit. Ogni singolo cristallo poteva contenere migliaia di pagine. Il dossier di Vogelaar sfruttava solo una minuscola parte dello spazio disponibile. «Prelevare il cristallo.» Osservo il minuscolo oggetto e sent svanire il coraggio, sopraffatto all’improvviso da una profonda disperazione. Si appoggio alla parete alle sue spalle, incapace di muoversi. Perche era finita cos? Era stato tutto inutile.
No, non lo era stato. C’era ancora una possibilita. Era sensato fidarsi di Xn? Forse era assurdo, ma era possibile avere una certa fiducia nei confronti del killer, se si agiva rispettando le regole stabilite dalle sue manie e dal suo autocontrollo. Vogelaar non dubitava minimamente che l’ossessione di Xn per i numeri e la simmetria, la sua costante ricerca dell’ordine, il suo bizzarro codice di comportamento cooperavano per tenere sotto controllo la sua follia, una follia di cui lui aveva piena consapevolzza. Si presentava come una persona alla quale piaceva parlare, socievole e colta, ma Jan immaginava quanto gli fosse difficile intrattenere una normalissima conversazione. In lui doveva esserci ancora una scintilla di umanita, un desiderio inconfessabile di essere una persona diversa, un freno che gli impediva di uccidere indiscriminatamente chiunque gli attraversasse la strada, di mettere a ferro e fuoco il mondo intero, di trasformarsi in una folgore sterminatrice. Se avesse consegnato il cristallo a Xn, avrebbe dovuto cercare un accordo per salvare la vita di Nyela e la propria; sapeva pero che forse sarebbe riuscito a salvare solo sua moglie. A ogni modo, doveva consegnare davvero tutto a quell’assassino, ovvero quel dossier... Anche il duplicato? «Prelevare il cristallo entro sessanta secondi.» Vogelaar si stacco dalla parete, prese il cristallo e lo osservo in controluce, individuando la rete di minuscole fenditure, frasi miniaturizzate di una storia, poi lo mise in tasca. Risal al pianterreno e torno rapidamente alla Nissan. Il traffico si era diradato come per incanto, tanto che riusc a parcheggiare davanti al ristorante in anticipo sulla scadenza concordata. Non indugio e si diresse verso la porta d’ingresso tenendo le braccia alzate, il palmo delle mani bene in vista. Attraverso il vetro intravide l’uomo calvo che stringeva una pistola con silenziatore nella mano destra. Spinse lentamente la porta e nella penombra scorse i piedi di Leto che spuntavano da dietro il bancone. «Dov’e Nyela?» «È fuggita con Kenny», rispose l’irlandese col suo accento nasale. Agitando la canna dell’arma gli indico la cucina. Senza prestargli troppa attenzione, Vogelaar attraverso la sala e raggiunse la porta a battenti che dava sul retro. Il killer lo segu. «Jan!» Nyela si mosse per corrergli incontro, ma Xn la trattenne per le spalle. «Lasciala stare.» «Vi saluterete piu tardi. Cos’e successo qui, Jan? Sembra che nella tua cucina sia passato un branco di elefanti.» «Lo so.» Vogelaar osservo lo sconquasso provocato dallo scontro con Jericho. «Vuoi dare una sistemata, Kenny? Sotto il lavandino trovi tutto l’occorrente, detersivo per i vetri, lucidante per superfici cromate... lo so che non sopporti il disordine.»
«Nel mio mondo. Questo e il tuo. Dov’e?» Jan sfilo dalla tasca del giubbotto il cristallo di memoria appoggiandolo sulla superficie libera del piano di lavoro. Xn lo prese e lo rigiro un paio di volte tra le dita. «E sei sicuro che sia quello giusto?» «Sicurissimo.» «Vorrei andare da mio marito», disse Nyela con voce debole ma determinata. I suoi occhi erano gonfi di pianto, ma sembrava essere ancora in grado di dominarsi. «Certo», mormoro Xn. Il suo sguardo era monopolizzato dal cristallo e Jan conosceva la ragione: Xn aveva una particolare predilezione per i cristalli: la loro struttura e la loro purezza lo affascinavano. «Hai ottenuto quello che volevi. Ho mantenuto la mia promessa », disse Vogelaar. «Ma io non ti ho mai promesso nulla.» «Cosa?» «Ho sempre parlato solo di possibilita. È troppo rischioso lasciarvi vivere.» «Questo non e vero.» «Jan, ti prego!» «Hai promesso che avresti risparmiato Nyela.» «O entrambi o nessuno dei due.» La donna si strinse ancora di piu al marito. «Se ti uccide, dovra sparare anche a me.» «No, Nyela. Questo non lo...» «Credi davvero che starei a guardare mentre questo bastardo ti ammazza?» esclamo lei con la voce piena di odio. «Questo mostro che e entrato e uscito da casa nostra a suo piacimento per anni, si faceva servire da bere, si metteva comodo sulla nostra terrazza. Ehi, vuoi un drink, Kenny? Ti preparo un cocktail che ti fara uscire le fiamme dagli occhi!» «Nyela...» «Tu non farai niente a mio marito, hai capito?» grido la donna. «Ti perseguitero dalla tomba, miserabile d’una bestia, tu...» Xn parve rassegnarsi. Voltandosi dall’altra parte e scuotendo la testa, disse: «Perche nessuno mi ascolta quando parlo?» «Cosa?» «Quasi vi avessi tenuto nascosto qualcosa. Come se le regole non fossero state chiare fin dall’inizio.» «Non siamo qui per stare alle tue regole di merda!» sbotto Nyela. «Non sono regole di merda», sospiro Xn. «Sono... regole. È un gioco. Avete giocato e avete perso. Accettate la sconfitta.»
Vogelaar lo fisso. «Tu manterrai la promessa.» «Te lo ripeto ancora una volta, Jan, io non ho...» «Intendo dire la promessa che farai tra un attimo.» «Tra un attimo?» «S. C’e ancora una cosa che vuoi, Kenny. E che io posso darti. » «Cioe?» «Owen Jericho.» Xn si volto di scatto. «Sai dove si trova?» «La sua vita in cambio di quella di Nyela», propose Jan. «E risparmiati altre minacce. Se proprio dobbiamo morire, allora lo faremo senza dire una parola. A meno che...» «Vai avanti.» «A meno che tu non prometta di risparmiare Nyela. Allora ti serviro Jericho su un piatto d’argento.» «No, Jan!» la moglie lo guardo implorante. «Senza di te non voglio...» «Non c’e bisogno», disse Vogelaar. «La seconda promessa riguarda me.» «In cambio di chi?» chiese Xn. «Una ragazza di nome Yoyo.» Il cinese lo fisso, poi comincio a ridere, prima piano, in modo quasi impercettibile, poi sempre piu fragorosamente. Tenendosi la pancia, picchio il pugno contro il frigorifero, scosso da un irrefrenabile attacco d’ilarita. «Incredibile! Da non crederci.» «Tutto a posto, Kenny?» L’uomo calvo era confuso. «Stai bene? » «Se e tutto a posto? Quella ragazza, quel detective, Mickey, meriterebbero una medaglia. Che impresa. Da un paio di frammenti di testo sono riusciti a... incredibile, semplicemente incredibile. Sono riusciti a trovarti, Jan, hanno...» Smise di ridere e nei suoi occhi subentro lo stupore. «Sono venuti per metterti in guardia?» «Esatto», rispose l’altro calmo. «E tu li tradisci.» Vogelaar non replico. «Mi rinfacci di non avere una morale, mi accusi d’infrangere le promesse e poi tu tradisci le persone venute a salvarti la vita. » Xn annu con serieta, come se avesse appena imparato una lezione preziosa. «L’essere umano in tutta la sua vilta. Cos’hai raccontato a quei due sulla nostra avventura africana?» «Niente.» «Stai mentendo.» «Ho proposto loro uno scambio: dossier contro denaro. La consegna dovrebbe avvenire tra poco.»
«Straordinario», esclamo Xn. «E allora? Cosa mi dici?» «Scusa, amico mio.» Xn si asciugo una lacrima dall’angolo dell’occhio. «Non ci sono molte cose nella vita che riescono ancora a sorprendermi, ma questa... E sai qual e la parte migliore? È che io avevo addirittura ipotizzato che si sarebbero messi sulle tue tracce. Ma solo come si puo ipotizzare che forse la settimana prossima un meteorite colpira la Terra, che forse Dio esiste. Mi sono precipitato a Berlino per impedire una cosa che mai - lo giuro, mai avrei creduto potesse verificarsi realmente, ma la vita... Jan, mio caro Jan, la vita e meravigliosa. Davvero meravigliosa! » «Arriva al dunque, Kenny.» L’altro agito l’arma: il gesto magnanimo di un signorotto di campagna. «E va bene!» «Cosa significa?» «Promesso. Significa ’promesso’. Se tutto fila liscio, senza incidenti di percorso, senza che tu provi a fregarmi, anzi senza che neanche provi a pensare di fregarmi, allora voi vivrete.» Si avvicino e socchiuse le palpebre. La sua voce divento un sibilo. «Se invece qualcosa di quel dossier dovesse trapelare, Nyela avra una morte di una lentezza che non puoi nemmeno immaginare. E tu sarai l a guardare, mentre le strappero i denti a uno a uno, le tagliero le dita delle mani e dei piedi, le cavero gli occhi, le asportero strisce di pelle dalla schiena, e nel frattempo il nostro Mickey la violentera in continuazione, ripetutamente, finche non si ritrovera a scopare solo un piagnucolante brandello di carne sanguinolento. E pensa che a quel punto non sara ancora morta, no, Jan, non lo sara ancora per molto, moltissimo tempo, anche questo te lo prometto, e ti giuro che manterro tutte le mie promesse.» Vogelaar sent l’alito di Xn sul volto, fisso i suoi occhi freddi e scuri come la notte, sent Nyela tremare fra le sue braccia, avvert il battito del proprio cuore nel silenzio. E gli credette. Credette a ogni sua parola. Con uno schiocco secco, il neon guasto si spense. «Suona bene. Ci sto.» MUSEUMSINSEL, BERLINO, GERMANIA Nelle immagini satellitari di Berlino, la Museumsinsel sembrava un frammento di mattonella sistemato in modo approssimativo in mezzo al fiume Sprea. Gli edifici ospitavano reperti archeologici e opere d’arte che rappresentavano oltre seimila anni di storia: un percorso fisso guidava i visitatori attraverso sale simili a cattedrali fino a cortili inondati di luce, coinvolgendoli nella spettacolare architettura monumentale antica e nel silenzio senza tempo delle collezioni d’arte. All’estremita settentrionale, si stagliava la facciata in stile guglielmino, sormontata da una cupola, del Bode Museum, che emergeva dall’acqua come un transatlantico barocco. A sud, il complesso era delimitato dalla facciata classica dell’edificio piu imponente,
il Pergamonmuseum, che sembrava dar vita al sogno della Grande Germania di un appassionato ellenista. Sui lati dell’imponente corpo centrale, si estendevano due lunghe costruzioni identiche, scandite da colossali pilastri coronati da capitelli dorici. Nel 2015, all’originaria forma a U del complesso, era stata aggiunta un’altra ala, un trionfo di vetro, che chiudeva un quadrilatero nel quale compiere un viaggio ineguagliabile attraverso la storia dell’evoluzione umana, immergendosi via via nella cultura egizia, islamica, romana e dell’antico Medio Oriente. Durante i suoi soggiorni a Berlino, Jericho aveva attraversato spesso l’isola, passando sui ponti che la collegavano al centro cittadino, ma non era mai entrato nei musei. Non ne aveva mai avuto il tempo e, ora che s’affrettava lungo la Sprea, non riusciva a rallegrarsi che fosse arrivato il momento. Il suo giubbotto era imbottito coi pacchetti di banconote per Vogelaar e nessun rigonfiamento rivelava la presenza della Glock infilata nella fondina. Aveva l’aspetto di un turista, ma il suo stato d’animo era quello del topo invitato a pranzo dal gatto. Se Vogelaar aveva il dossier, lo scambio sarebbe avvenuto senza pronunciare parola; poi ognuno per la propria strada. Se non l’avesse avuto, c’era da aspettarsi qualche guaio: in un modo o nell’altro, l’ex mercenario avrebbe comunque preteso il denaro, e di sicuro non sarebbe stato disposto a risolvere la questione a parole. Jericho si fermo. La facciata del Pergamonmuseum sembrava fissarlo, come se ogni finestra fosse un occhio indagatore. L’ala di vetro brulicava di gente invasa dal sacro fuoco della cultura che si muoveva tra le vestigia di regni scomparsi. Riprese a camminare e controllo l’ora. Le undici e un quarto. L’appuntamento era a mezzogiorno, ma voleva effettuare un sopralluogo preliminare. Sulla destra, si estendeva un lungo edificio moderno, il cui basamento richiamava i motivi degli elementi architettonici antichi, ed era coronato da un ampio e arioso colonnato: la James Simon-Galerie, l’entrata ai musei. Lui si mescolo alla fiumana di visitatori che si dirigeva verso l’isola, attraverso il ponte sulla Sprea e sal la maestosa scalinata esterna che portava al piano superiore della galleria. In un atrio spazioso, fiancheggiato da terrazze e caffe, acquisto un biglietto e segu i cartelli che indicavano il percorso di visita del Pergamonmuseum. Quando entro nell’ala meridionale, ebbe la netta impressione di essere penetrato in una specie di nirvana. Solo le finestre ad arco in stile romanico che si affacciavano sul fiume trasmettevano un senso d’identita architettonica. Le opere esposte, decontestualizzate in quell’enorme ambiente virtuale, apparivano nel contempo sublimi e sperdute, un freddo tentativo di classificazione della storia. Lungo il percorso che passava in mezzo a mura con fregi e merli dai colori sgargianti, si soffermo a leggere le targhette esplicative: gli animali raffigurati simboleggiavano le divinita babilonesi; i leoni in marcia rappresentavano Ishtar, dea dell’amore e protettrice dei guerrieri; i draghi simili a serpenti erano l’emblema di Mushushu,
dio della fertilita e della vita eterna e protettore della citta; i tori erano il simbolo di Adad, signore della pioggia e delle tempeste. POSSIATE, O, DEI, PERCORRERE LIETI QUESTA VIA, recitava l’iscrizione fatta apporre sul muro da Nabucodonosor II. Ovviamente il sovrano non poteva immaginare che, un giorno, fra quelle mura sarebbero passate comitive di turisti coreani e giapponesi che perdevano l’orientamento seguendo le guide sbagliate perche portavano cappellini identici. Un cubo di vetro custodiva un plastico della citta di Babilonia, al centro del quale si protendeva verso il cielo una costruzione piramidale, la ziqqurat, il sacro tempio del dio Marduk. Era su quella torre sorprendentemente bassa che si era abbattuta l’ira del Dio dell’Antico Testamento, che aveva punito gli uomini con la confusione delle lingue. Eh, gia. In origine la strada aveva collegato la ziqqurat con la Porta di Ishtar che dominava la sala adiacente, un tripudio di giallo e di blu, anch’essa decorata con divinita animali. La ressa dei visitatori induceva a immaginare l’aspetto che quella strada doveva avere al tempo delle processioni. Ora di punta a Babilonia. Jericho attraverso la porta babilonese e usc - seicentosessant’anni piu tardi - da una porta romana che immetteva nella sala attigua: la porta del mercato di Mileto, un’opera maestosa a due piani, testimonianza della sintesi fra le tradizioni architettoniche ellenistiche e romane. Cerco d’individuare possibili vie d’uscita: la suddivisione del museo era piuttosto razionale e l’unico ostacolo poteva essere rappresentato dalle masse di visitatori che fluivano minacciose come fiumi in piena. Accanto a lui, qualcuno gesticolava animatamente: insensibile alla bellezza dei propilei greci, un coreano cercava di comunicare alla guida turistica straniera di aver perduto la moglie, forse risucchiata da un gruppo di giapponesi, per constatare alla fine che era lui a esservi finito. La babele linguistica colpiva ancora nella contemporaneita, creando come effetto secondario un ingorgo di turisti. Jericho lo aggiro e sgattaiolo nella sala successiva. Cap subito che era capitato nel punto in cui Vogelaar aveva fissato l’appuntamento. Piu della meta di quella sala enorme era dominata dalla facciata di un colossale tempio ellenistico; la scalinata che saliva al colonnato misurava circa venti metri. Una striscia di figure in bassorilievo alte il doppio di un uomo rivestiva il basamento di marmo; il famoso fregio illustrava il combattimento tra le divinita greche e i giganti, cronaca di un tentato colpo di Stato, lo sfondo perfetto per l’incontro col mercenario: Zeus aveva offeso Gaia esiliandone i figli, i potenti Titani, nel Tartaro, una sorta di Black Beach Prison - la famigerata prigione sull’isola di Bioko nella Guinea Equatoriale - dei tempi antichi. Per sottrarli agli inferi e per liberarsi dell’odiato padre degli dei, insieme con tutta la sua cricca di corrotti, Gaia aveva incitato alla rivolta i figli ancora in vita e in liberta, contando sul fatto che nessuno dei giganti poteva perire per mano divina. A loro volta, i Titani, noti attaccabrighe, si erano dichiarati prontissimi a
difendere l’onore della madre. Zeus aveva colto la palla al balzo per intraprendere una delle innumerevoli relazioni extraconiugali con donne mortali - È per una giusta causa, Era, non e come sembra... - e generare Eracle, che, in quanto mortale, sarebbe stato in grado di sconfiggere i Titani. Quelli si erano difesi con bordate di rocce e tronchi d’albero, scatenando la reazione di Atena - Questo lo so fare anch’io! - che aveva scagliato contro di loro intere isole, finendo per sotterrare Encelado, uno dei capi dei rivoltosi, sotto la Sicilia: da allora il respiro infuocato del gigante esce dal cratere dell’Etna. Un altro gigante, Mimante, era finito sepolto sotto il Vesuvio, e un terzo era stato colpito a morte con l’isola di Kos, lanciatata da Poseidone. La maggior parte dei giganti tuttavia era perita sotto le frecce avvelenate di Eracle e, alla fine, tutta la stirpe era stata annientata. Il fregio raccontava la solita lotta per il potere combattuta coi soliti mezzi. Chi era la preda? Chi era il Bubi di Bioko, chi il colonialista? Chi finanziava chi e perche? Era esistito anche allora un dossier che aveva scatenato la guerra, qualcosa del tipo Gigantomachia: la verita, oppure Il rapporto Olimpo? Un dossier come quello che l’ultimo sopravvissuto dei giganti della Guinea Equatoriale sosteneva di possedere? Lo sguardo di Jericho si poso sulla scalinata. Tre ingressi consentivano l’accesso al colonnato, l’originario cortile dell’altare. Vogelaar l’avrebbe aspettato l. Sal gli splendidi gradini marmorei, passo sotto le colonne e si ritrovo in un’area rettangolare ben illuminata, dove un fregio piu piccolo ornava le pareti. Da quel punto si poteva controllare cio che accadeva in basso, anche se si rischiava di essere visti. Ma bastava arretrare un poco per stare al coperto. Ricontrollo l’ora. Le undici e trenta. Doveva esplorare il resto del museo. Si diresse verso l’ala settentrionale, che accoglieva altri reperti di architettura ellenistica. E se Vogelaar non avesse avuto nessun dossier? Mentre costeggiava la facciata del palazzo della Mshatta, una residenza omayyade dell’VIII secolo costruita nel deserto, inizio a convincersi che il mercenario potesse tendergli un tranello. Arrivo alla fine di quelle sale, ma non avrebbe saputo dire cosa vi era esposto, perche il suo obiettivo era d’imprimersi nella mente la suddivisione degli spazi. Volti di pietra lo fissavano. Camminando tra due ali di arieti e sfingi, sfiorando i faraoni, attraverso il portale del tempio egizio di Kalabsha e oltrepasso gli artefatti della piramide di Sahure, giungendo nella struttura di vetro che gli ricordo subito il corridoio di vetro in cui il povero Grand Cherokee Wang aveva incontrato Kenny Xn. Un sinistro presagio? Forse. Un’apparente conferma veniva dalle braccia alzate, dalle lance sollevate, dalle spade di granito gia impugnate. Prosegu, immerso nella luce del giorno. Alla sua destra, la parete di vetro si affacciava su un ponte che scavalcava quel braccio della Sprea. A sinistra, era visibile il cortile interno del museo. Davanti a lui c’erano un obelisco e severi re sacerdoti in sella ad animali dallo sguardo minaccioso, mentre nell’angolo in cui il corridoio di vetro confinava con l’ala meridionale c’era la statua di Adad, il dio dei fulmini e delle tempeste, dav-
anti al quale si concludeva il percorso guidato, per ritornare sulla strada in cui si snodava la processione babilonese. Venti minuti a mezzogiorno. Si ritrovo nella sala dell’altare di Pergamo, circondato da studenti della scuola d’arte che tracciavano sui blocchi da disegno gli schizzi dai quali si sarebbe potuta presagire una futura carriera, affidata a una genialita non ancora sbocciata o gia appassita. Jericho sal la scalinata, a disagio. Nella sala dedicata a Telefo, eroe di Pergamo, i visitatori si trascinavano da un frammento di marmo all’altro, cercando di comprendere una storia antica testimoniata da corpi senza braccia e volti senza naso. Gli girava la testa. Mentre si aggirava tra le statue mutilate, ud la voce sommessa di un padre che s’ingegnava a estrarre dalle opere esposte un’ultima scintilla di fascino di arcaiche battaglie che accendesse l’interesse dei suoi rampolli. A ogni data snocciolata, un solco attraversava la fronte dei figli e, nel loro sguardo, si poteva leggere il sincero sforzo compiuto per conciliare la passione che gli adulti avevano per le statue monche con un mondo in cui, senza braccia, si era fregati, e dove cio che si rompeva veniva riparato. Senza nessuna possibilita di fuga, con aria da saputelli, fingevano ammirazione per anche spezzate, monconi di pietra e frammenti di volti di re. Senza nessuna possibilita di fuga... Proprio cos: quella sala era una trappola. Si chiese perche lui era sempre pessimista. Loro avevano salvato la vita a Vogelaar. Inoltre la sala di Telefo non era la cucina del Muntu. Lo scambio sarebbe stato rapido e discreto. Alla peggio, il dossier sarebbe stato una delusione. Cerco di rilassarsi, ma le sue spalle erano diventate rigide come travi. Il padre cercava di risvegliare l’entusiasmo dei figli per un seno nel quale lui riusciva a cogliere la bellezza della dea Iside. Erano occhi perplessi quelli che cercavano quella bellezza decantata, senza trovarla. Jericho si giro dall’altra parte, felice di non essere piu un ragazzo. VOGELAAR I pensieri vorticavano in una sarabanda di se e di ma, mentre lui percorreva con passo da automa la Strada delle Processioni. Se Jericho e la ragazza si fossero presentati all’ora concordata, se Xn fosse stato ai patti, se fosse davvero possibile fidarsi del cinese... Altrimenti, cosa sarebbe accaduto? Aveva paura di giocarsi anche l’ultima occasione di liberare Nyela dalle grinfie di quel folle che, forse, non aveva nessuna intenzione di lasciare in vita ne lui ne la moglie. La consolidata esperienza nell’escogitare strategie di fuga sembrava inaridita, inutile. Senza armi, senza cellulare, in un museo affollato, riuscire a liberarsi di Xn sarebbe stato molto difficile, anche se non impossibile. Poteva davvero permettersi di non ricorrere a qualche stratagemma? Quanto era davvero pericoloso quel Mickey, l’uomo che teneva in ostaggio Nyela? L’irlandese non sembrava molto diverso da un qualunque altro criminale, ma
se lavorava per Xn doveva essere per forza determinato e pericoloso. Eppure Jan era convinto di poter avere la meglio su di lui. Ma prima doveva liberarsi di Kenny. Doveva passare all’attacco, o no? S, doveva prendere l’iniziativa e farlo subito, prima di raggiungere l’altare di Pergamo. Senza un’arma, senza un piano. Senza cervello. No, non poteva permettersi colpi di testa. Gli sarebbe servita una buona dose di fortuna contro quel pazzo cinese. E cosa sarebbe accaduto se Xn avesse avuto davvero intenzione di mantenere la promessa? Se il tentativo d’ingannarlo fosse fallito, sarebbe stato proprio lui, Jan, a provocare la morte di Nyela. E poi sarebbe stato ammazzato anche lui. Fidarsi o non fidarsi? Cinque minuti prima, nella James Simon-Galerie. «Ti capisco», aveva detto Kenny, comprensivo. «Anch’io non mi fiderei.» Si trovava alle spalle di Jan, vicinissimo, la pistola a flechettes pronta sotto la giacca. «E pensi che ne avresti motivo?» Il killer cinese aveva riflettuto un momento. «Ti sei mai interessato di astrofisica?» «Mi sono occupato di altre cose nella vita», aveva risposto lui, sbuffando. «Golpe, conflitti armati...» «Peccato, mi capiresti meglio. I fisici stanno cercando di stabilire quali siano le condizioni che garantiscono la stabilita dell’universo, ossia perche oggi l’universo e come lo vediamo. Esistono due scuole di pensiero, una delle quali sostiene che l’universo e infinitamente stabile perche non ha mai avuto altra scelta che evolversi nella forma a noi nota. Con presupposti diversi forse la vita non sarebbe mai potuta nascere. Arrovellarsi sulla questione peraltro e inutile quanto chiedersi come sarebbe stata la nostra esistenza se fossimo venuti al mondo come donne.» «Suona fatalistico e noioso.» «Da un punto di vista filosofico sono d’accordo con te. L’altra scuola di pensiero, invece, sostiene che l’universo e infinitamente fragile, perche anche il minimo scostamento dalle condizioni di base provocherebbe drastici cambiamenti. Basterebbe un minimo di massa in piu o una sia pur trascurabile mancanza di determinate particelle. I sostenitori della stabilita dell’universo ritengono, non a torto, che la concezione della fragilita sia un castello di carte. Ma questa seconda teoria si avvicina di piu alla nostra visione dell’esistenza. Cosa accadrebbe, se? Io scelgo un sistema basato sull’ordine e sull’affidabilita, sul rispetto incondizionato di alcune regole di base. È in questo senso che io e te abbiamo fatto un accordo.» «Percio potresti modificare una delle condizioni in qualsiasi momento per non essere costretto a mantenere la parola.»
«Sei meschino, se mi consenti l’osservazione.» Voltandosi verso di lui, Jan lo aveva fissato negli occhi. «Oh, ho capito alla perfezione cosa intendi. So come vedi te stesso. Forse c’e un problema: il tuo ordine universale non e applicabile agli esseri umani, non credi?» Aveva sottolineato la sua affermazione con un ampio gesto circolare della mano. «Cosa ti succede, Jan? Un attimo fa eri piu coraggioso.» «Non m’importa un accidenti cosa pensi di me. Voglio solo sapere se Nyela sara al sicuro se io rispettero la mia parte dell’accordo. » «Lei e la mia assicurazione perche tu faccia la tua parte.» «E poi?» «Come ho detto prima...» «Ripetimelo!» «Santo cielo, Jan. La verita non diventa piu vera se la si ripete. D’accordo, come vuoi. Finche e con Mickey, Nyela sta bene ed e al sicuro. Se tutto fila liscio, non succedera nulla a nessuno dei due. Questi sono i patti. Soddisfatto?» «In parte. Il diavolo non fa mai niente senza un secondo fine. » «Tutti questi complimenti mi lusingano. Ora pero fammi il favore di muovere il culo.» Porta del mercato di Mileto. Con le parole di Xn che gli risuonavano ancora nell’orecchio, Vogelaar si chiedeva cosa sarebbe successo se in quel preciso istante avesse deciso di tornare indietro, se fosse scappato fuori dal museo, cercando di raggiungere il ristorante prima del killer. Sarebbe stata una drastica modifica delle condizioni di base. Avrebbe pero dovuto sapere dove si trovava il cinese in quel momento. Quand’erano entrati nell’ala meridionale, era rimasto indietro; lui si era voltato per cercarlo, ma non era riuscito a scorgerlo tra i gruppi di visitatori che sciamavano nelle sale. Peraltro non dubitava che seguisse ogni suo passo e che non sarebbe ricomparso fino al momento decisivo. Nella sala di Telefo, Jericho e la ragazza sarebbero stati in trappola. Materializzandosi dal nulla, il killer avrebbe sparato due colpi, forse tre. Fidarsi o non fidarsi? Xn non era normale. La sua vita non era nella realta, ma in un’astrazione della realta, e quello avrebbe dovuto indurre a fidarsi di lui, perche era obbligato a mantenere l’ordine. Forse non era nemmeno in grado di rompere una promessa se le condizioni di base venivano rispettate. Fendette la massa di visitatori e si avvicino all’entrata della sala dell’altare di Pergamo, una porta piu piccola in stile ellenistico sulla quale erano in corso lavori di restauro. L’impalcatura non impediva ai visitatori di ammirare la struttura architettonica, perche era
costituita da pannelli di vetro in cui si specchiavano le luci del soffitto, le statue e le colonne intorno, i visitatori, lui stesso... e anche qualcun altro. Gli si gelo il sangue. Sent montare un’ondata di panico, il petto stretto in una morsa, la parte inferiore del corpo attraversata da scariche di adrenalina. Tutte le emozioni si riversarono come un torrente in piena nei piedi, estinguendone la sensibilita e congelandone i movimenti. L’orrore per la sorte di Nyela fu scalzato dalla devastante certezza che il peggio era gia accaduto. Finche e con Mickey, Nyela sta bene... Allora perche Mickey si trovava l nel museo? Perche Nyela era morta. Era l’unica spiegazione. Xn non avrebbe mai permesso che restasse da sola nel ristorante, senza sorveglianza. Jan continuo a camminare come ubriaco. Aveva fallito. Era stato davvero ingenuo a sperare che quel pazzo avrebbe rispettato l’accordo. Invece aveva chiamato l’irlandese perche gli desse sostegno nel suo macabro lavoro. Tutto qui. Come Nyela, sin dall’inizio non aveva avuto nessuna possibilita di sopravvivere : anche la sua esistenza sarebbe stata spenta con quelle di Yoyo e di Jericho, di l a poco, nella piccola stanza sopra il tempio. Ma la paura si dissolse in un attimo, trasformandosi in gelida collera. Nella sua mente si attivarono l’uno dopo l’altro i meccanismi di sopravvivenza, e lui torno a essere l’insetto che era stato per gran parte della vita, riprendendo, dopo quella muta, la corazza di chitina. Oltrepasso l’ingresso e, con circospezione, fece vibrare le antenne, scomponendo quello che vedeva in mille immagini sfaccettate: sul lato opposto della grandiosa sala si trovava la porta corrispondente a quella che aveva appena varcato. Sulla sinistra erano esposti alcuni frammenti del fregio, sulla destra si ergeva il tempio con la scalinata, in alto il colonnato che dava accesso alla sala di Telefo dove Jericho e la ragazza stavano aspettando un dossier che non avrebbero mai ricevuto e di cui non avrebbero piu avuto bisogno. Avrebbe potuto essere tutto cos facile. Consegnando loro il duplicato avrebbe intascato centomila euro. Un duplicato della cui esistenza, oltre a lui, era stata a conoscenza solo Nyela... Era stata? Come poteva essere cos sicuro che fosse morta? Perche era certamente cos. Fantasticherie. Estranee agli insetti. Le mascelle di Jan sembravano macinare qualcosa. Tra il colonnato e il pavimento si muovevano eserciti di turisti. Molti sedevano sui gradini come se stessero valutando l’opportunita di consumare l il loro pranzo al sacco. Scorse un gruppo di giovani con blocchi e matite, i volti concentrati e assorti nella lotta dei Titani. Alle loro spalle, alcuni curiosi ne sbirciavano il lavoro. Il suo sguardo esperto passo in rapida rassegna gli studenti e si fermo su una ragazza pallida col naso all’insu, che non godeva ancora dell’attenzione di un circolo
di ammiratori occasionali. Le si avvicino senza fretta. Sul suo blocco, Zeus lottava con Porfirione, impegnati contro l’incapacita della ragazza d’infondere vita nei loro corpi. La quantita di matite accanto a lei - una ventina - era inversamente proporzionale al suo talento. Disponeva di un ricco set di materiali da disegno al quale forse aveva sacrificato tutte le mance del lavoro serale da cameriera, nell’illusione che una buona attrezzatura fosse un sicuro viatico sulla strada dell’arte. Lui si chino e chiese gentilmente: «Mi scusi, puo prestarmi una delle sue matite?» Lei sbatte le palpebre, quasi spaventata. «Solo per un attimo. Vorrei prendere un appunto. Mi sono dimenticato di portare una penna, come sempre.» «Be’, s», rispose la ragazza con voce tesa. L’idea che le sue matite potessero essere utilizzate anche per scrivere sembrava turbarla. Un attimo, poi sembro accettare quella possibilita. «Ma certo. Ne prenda una qualsiasi.» «È molto gentile.» Scelse una matita lunga e ben appuntita che gli sembrava piu robusta delle altre. Non dubitava che lo sguardo di Xn fosse puntato su di lui. Sicuramente non lo perdeva di vista ed elaborava, traendo conclusioni in tempo reale, ogni suo gesto. Gli restavano pochi secondi per agire. Si volto di scatto. Mickey, a pochi metri da lui, lo fisso con gli occhi sbarrati da alano e tento in modo maldestro di nascondersi dietro un gruppo di anziani che parlavano spagnolo. Con pochi passi Jan gli fu addosso. La mano destra dell’irlandese scatto verso il fianco, ma sembrava indeciso sul da farsi. Evidentemente Xn non gli aveva spiegato come comportarsi se si fosse verificata una situazione del genere. Le guance gli sussultavano per l’agitazione, gli occhi si muovevavo freneticamente, il sudore gli imperlava la fronte. Jan circondo la nuca dell’uomo con un braccio, lo attiro verso di se e gli conficco la matita nell’occhio destro. L’irlandese emise un urlo straziante, dimenandosi come un animale ferito. Il sangue zampillava dalla ferita. Jan aumento la pressione del palmo sull’estremita della matita per affondarla ancora di piu nell’occhio, finche non sent la punta rompere l’osso e penetrare nel cervello. Mickey si accascio, intestini e vescica si svuotarono. A tastoni Jan trovo l’arma dell’irlandese e con uno strappo la sfilo dalla fondina. «Jericho!» LA FUGA Jericho aveva scelto di attendere il sudafricano sul lato opposto dell’altare, nascosto dietro una falange di sculture, nell’eventualita che Jan gli avesse teso una trappola. Cio che vide in quel momento lo spavento ancora di piu. Era uno scenario peggiore di quelli che la sua fantasia sovraeccitata aveva partorito nelle ultime due ore, perche significava che la consegna del dossier era andata a monte.
Stava andando tutto tremendamente storto. Impugnando la Glock con la destra, usc allo scoperto. Dal punto in cui Jan aveva aggredito l’irlandese, ondate di shock si propagavano in tutta la sala, suscitando orrore, urla, gemiti, suoni che non si sarebbe riusciti a descrivere. I testimoni dell’attacco erano indietreggiati di colpo, creando una sorta di arena al centro della quale Vogelaar e la sua vittima stavano avvinghiati come moderni gladiatori. Alcuni visitatori erano impietriti dal terrore, e la loro immobilita imitava alla perfezione quella marmorea delle divinita e dei giganti tutt’intorno. Le matite scivolarono dalle mani dei disegnatori. La ragazza col naso all’insu inizio a saltellare sul posto come una palla di gomma, coprendosi la bocca con le mani quasi volesse trattenere gli strilli che le sfuggivano con l’urtante regolarita di un segnale d’allarme. Un parapiglia generale: le persone si voltavano a guardare, spalancavano gli occhi, acceleravano il passo, cercavano una via di fuga. In mezzo a quella confusione, Jericho vide apparire l’angelo della morte. Corse verso il sudafricano, che stava per soccombere sotto il peso di Mickey, il quale era crollato a terra trascinando con se il suo carnefice. L’angelo si avvicinava rapidamente dall’ala settentrionale, capelli bianchi, baffi, gli occhi nascosti dagli occhiali scuri, ma il modo di muoversi e la pistola che spuntava sotto l’avambraccio lo identificavano senza possibilita d’errore. Anche Jan lo vide. Con un urlo riusc a sollevare il busto dell’irlandese, facendosene scudo. Una prontezza che gli salvo la vita; infatti il giubbotto del morto venne colpito dalla raffica di proiettili che era destinata a lui. Jericho si getto a terra, mentre Jan apr a sua volta il fuoco. Xn cerco riparo dietro le persone che correvano in ogni direzione senza sapere dove andare. Una donna fu colpita alla spalla e cadde a terra. «Basta!» grido Jericho. «Dobbiamo uscire da qui!» Il sudafricano si libero del cadavere con un calcio. Jericho lo aiuto a risollevarsi. La coscia sinistra di Jan si lacero con un rumore simile a quello della carne sbattuta su un piano di lavoro. Inciampo e si aggrappo al suo soccorritore. «Al ristorante... Nyela...» Jericho lo afferro sotto le ascelle senza allentare la presa sulla Glock, ma Vogelaar era pesante, troppo pesante. Intorno a loro si era scatenato l’inferno. «Resisti. Devi...» L’altro lo guardo con occhi stralunati e si accascio a terra: era stato colpito di nuovo. In preda al panico, Jericho cerco il killer tra la folla e ne individuo il ciuffo bianco. Entro pochi istanti, Xn avrebbe avuto di nuovo la visuale libera. «Alzati! Avanti!» Jan gli scivolo di mano, il viso ormai una maschera di cera. Cadde supino e dalla bocca sgorgo un fiotto di sangue rosso chiaro. «Nyela... non so se... probabilmente... morta, ma... forse...»
«No», sussurro Jericho. «Non puoi mollare adesso...» A pochi metri da loro, centrato da un poderoso pugno, un uomo fu sollevato in aria e, dopo un breve volo, ricadde a terra con le braccia aperte. Xn stava aprendosi un varco tra la folla. Non puoi morire così, Vogelaar, penso Jericho disperato. Dov’e il dossier? Sei la nostra unica speranza, alzati, dai. Alzati! Poi fugg. Jan fissava la luce. Non era mai stato credente. Persino in quel momento l’idea di un regno dei cieli in cui qualunque idiota avrebbe trovato la pace gli sembrava una favola per poveri ingenui e ignoranti. La religione era una di quelle fessure nelle quali l’insetto non si era mai intrufolato. Non riusciva a comprendere la tardiva paura di un Cyrano de Bergerac, che aveva disprezzato la fede per tutta la vita e aveva chiesto perdono sul letto di morte per premunirsi nel caso fosse davvero esistito un dio. Era la fine. Perche sprecare gli ultimi istanti rimasti per sperare nel paradiso? Quel pensiero gli era venuto solo perche stava guardando il soffitto costellato di neon che illuminava a giorno la sala. Era quella la luce bianca che raccontavano di aver visto le persone clinicamente morte e poi tornate in vita. Esperienze di premorte, del presunto aldila. Nient’altro che scariche di triptamina allucinogena nel cervello. Quanto gli dispiaceva non aver consegnato il dossier a Jericho. Pazienza, era andata cos. Dentro di lui si accese un debole barlume di speranza: forse si era sbagliato per quanto riguardava Nyela. Forse era ancora viva, e forse Jericho avrebbe potuto fare qualcosa per lei, sempre che riuscisse a scappare. Non gli venne in mente nient’altro, ma non gli sembro cos male dedicare l’ultimo pensiero all’unica persona che aveva amato piu di se stesso. La redenzione dalla sua esistenza da insetto? Xn entro nel suo campo visivo. Gorgogliando, Jan sollevo l’arma. Anzi tese tutti i muscoli per riuscirvi. Era come se stesse cercando di scagliare addosso al cinese un bilanciere da dodici chili. La pistola era pesante come il piombo. Le poche forze rimastegli bastarono a malapena per sparare al cinese con gli occhiali. Il killer increspo le labbra con disprezzo: «Le condizioni di base, idiota!» Sparo un colpo al petto e passo oltre, senza piu degnare la vittima d’un altro sguardo. Doveva rimproverarsi qualcosa? Era stato un errore decidere all’ultimo minuto di portare Mickey per evitare intoppi? Vogelaar l’aveva scoperto e aveva tratto delle conclusioni sbagliate. Ma Nyela era ammanettata nella cantina del Muntu, incolume, come lui aveva promesso. Non gli aveva forse assicurato che l’avrebbe lasciata in vita? Lo aveva fatto, maledizione.
E, s, l’avrebbe davvero lasciata vivere. Gli sarebbe persino piaciuto lasciarla vivere. Vogelaar, quello stupido primate, non aveva capito niente, niente di niente. Era andato tutto a rotoli, la legge pretendeva il suo tributo. Ora doveva uccidere la donna, perche anche quello rientrava negli accordi. Xn inizio a correre fra la gente, un’orda impazzita di persone urlanti, che nella loro stupidita tentavano d’infilarsi nella piccola uscita tutte insieme. Una bambina davanti a lui inciampo e cadde a terra. La calpesto, ne scaravento un’altra di lato, colp un uomo anziano sulla testa con la canna della pistola, tirando calci e pugni si fece largo tra la folla come un ariete e, alla fine, sbuco dall’altra parte della calca, di fronte alla porta del mercato di Mileto, nella quale vide scomparire Jericho. Sparo alcuni colpi che scheggiarono la pietra millenaria del monumento. Di nuovo s’intensificarono le urla dei turisti che cercavano una fuga senza meta, che si gettavano a terra impauriti, il solito noioso spettacolo. Agitando la pistola come un manganello, Xn si lancio all’inseguimento della sua preda, che si era ormai confusa tra i visitatori che assiepavano la Strada delle Processioni. Poi, da un corridoio laterale, vide accorrere due uomini in uniforme con le armi spianate che forse si stavano chiedendo chi fosse il loro nemico. Li falcio senza nemmeno fermarsi. Il fronte dell’onda di panico che lo precedeva giunse al settore babilonese. Dove si era ficcato quel maledetto detective? Correva a perdifiato lungo la Strada delle Processioni. Era assurdo che stesse fuggendo, quando avrebbe potuto usare l’arma che impugnava, ma - lo sapeva bene -, se solo si fosse fermato, Kenny l’avrebbe freddato subito, perche era addestrato a colpire bersagli molto piccoli sfruttando il minimo spiraglio. Correva gridando «Via di qui!» e «Fate largo!» Agitava la Glock come fosse il bastone di Mose, aprendo il mare di persone davanti a se, verso il corpo nero di Adad, passando accanto a sculture di leoni tozzi dal ghigno spaventoso, tanto da sospettare che i loro avi avessero ceduto alle lusinghe di mastini e carlini, e quindi da chiedersi se felini del genere avessero davvero popolato il mondo delle piu progredite civilta dell’antichita o fosse solo la fantasia di alcuni scultori un po’ fuori di testa, o anche di alcuni pessimi scultori; in fondo non tutto quello che finiva nei musei era opera d’arte... e poi, erano pensieri da fare in una situazione come quella? Dietro la schiena di Adad, erano allineate delle colonne alte e sottili, private del senso della loro esistenza, dato che ormai non sorreggevano piu niente. Istintivamente Jericho fece uno scarto, proprio mentre una sventagliata di colpi sordi andava a infrangersi sul dio delle tempeste; corse allora in direzione dell’ala di vetro... e si fermo. Se si fosse infilato in quel corridoio trasparente sarebbe rimasto intrappolato nel quadrato del museo. A sinistra si andava verso la James Simon-Galerie. Approfitto dei brevi istanti in cui Xn l’aveva perso di vista. Si rifugio, carponi, dietro le colonne strisciando nella direzione
opposta. Vide Xn entrare di corsa nel corridoio di vetro, allora si rimise in piedi e, dopo aver rinfoderato la Glock, si precipito verso il passaggio che portava alla galleria: non piu preda braccata, ma semplicemente una persona che s’ingegnava, come tutti, di evitare una menzione nelle statistiche del notiziario della sera. Uno tsunami di paura irrefrenabile inondo l’atrio, percio nessuno fece caso a lui mentre correva verso l’uscita. Saltando i gradini, scese a precipizio le scale che portavano verso il fiume e attraverso il ponte per arrivare sull’altra sponda. Nyela. Il dossier. Doveva raggiungere il Muntu. Xn cerco i capelli biondi di Jericho tra la folla assiepata nel corridoio di vetro. Come per incanto, la vista della pistola dipingeva la preoccupazione sui volti delle persone intorno a lui. Eppure qualcosa non quadrava. Se Jericho fosse passato di l prima di lui con un’arma in mano, urlando e sgomitando, non ci sarebbe stata quell’atmosfera. Forse lo avevano scambiato per un addetto alla sicurezza. Controllo il corridoio, il cui lato occidentale era rischiarato da un raggio di sole: l’obelisco proprio di fronte a lui, il tempio di Sahure, gli enormi faraoni sui loro basamenti, il massiccio portone del tempio di Kalabsha. Non poteva escludere che Jericho avesse avuto abbastanza fegato da nascondersi l. Aveva un vantaggio di una decina di secondi al massimo, appena sufficiente per trovare riparo dietro un monumento egizio. E se invece si fosse diretto a nord? No, lo aveva visto entrare l. Continuo ad avanzare guardingo, protetto da visitatori sempre piu innervositi, punto l’arma dietro i basamenti, le colonne, le facciate, le statue. Doveva essere da qualche parte, eppure nessuno gli sparava contro, usciva allo scoperto tentando la fuga, metteva in atto un audace attacco frontale. La tensione generale si stava trasformando progressivamente in paura: in molti iniziavano a chiedersi se quell’uomo non fosse un terrorista. Lui si aspettava di veder comparire da un momento all’altro degli uomini armati. Se non avesse stanato subito il detective, avrebbe dovuto eclissarsi senza aver concluso nulla. «Jericho! Vieni fuori. Parliamo.» Nessuna risposta. «Ti garantisco che voglio solo parlare.» Prima parlare e poi sparare, penso. Ma non accadde nulla. Ovviamente non si aspettava che lui si facesse vedere pronto per una chiacchierata amichevole, ma l’assenza di una qualsiasi reazione, a parte quella delle persone che sembravano avere una gran fretta di uscire dal corridoio, lo innervos. Continuo ad avanzare, percep un movimento tra le colonne della Porta di Kalabsha e sparo. Spunto una figura barcollante, una giapponese che stringeva fra le mani la macchina fotografica, sul volto un’espressione di attonita sorpresa: scatto un’ultima fotografia come per riflesso e cadde a terra.
Xn approfitto dello scompiglio provocato dallo sparo e corse in fondo al corridoio, guardandosi freneticamente intorno. «Jericho! » Torno indietro e controllo il cortile interno attraverso la vetrata. Il tempo stringeva: dal corridoio che portava alla James Simon-Galerie giungeva il rumore di passi in avvicinamento, di sicuro uomini che calzavano stivali pesanti. Sposto lo sguardo sul ponte che collegava il Pergamonmuseum con l’altra sponda, quindi il lungofiume... Eccolo. Una testa bionda, lontana. Jericho correva come se avesse il diavolo alle calcagna e Xn impreco, perche quell’uomo era riuscito a fregarlo. C’era una gran confusione tra le statue dei re sacerdoti: gli agenti della sorveglianza stavano sgomitando per risalire controcorrente il flusso tumultuoso dei visitatori in fuga. Aveva tergiversato troppo a lungo, ed era corso troppo sangue per poter sperare di trattare coi poliziotti. Quello che gli serviva era un ostaggio. Una ragazzina scivolo sul pavimento tirato a lucido. Lui con un balzo l’afferro e la strinse a se puntandole la canna della pistola alla tempia. La bambina s’irrigid e comincio a piangere. Una giovane donna si mise a urlare, protese le braccia, fu spinta di lato dalle persone in fuga e, alla fine, bloccata dal marito che le imped di lanciarsi verso una morte sicura. Accanto alla coppia presero posizione gli agenti, sbraitando qualcosa in tedesco che Xn non cap, ma non aveva importanza, lo sapeva che cosa volevano. Senza perderli di vista, trascino la ragazzina verso la vetrata e lancio un’occhiata al ponte sulla Sprea sul quale nel frattempo si era radunato un nugolo di curiosi. Si chino verso la piccola e le sussurro: «Andra tutto bene, te lo prometto». La bimba non capiva perche le aveva parlato in mandarino, ma quel sibilo da serpe ebbe su di lei un effetto ipnotico: il suo corpo si rilasso e il respiro divenne piu regolare. «Cos, brava, non avere paura.» «Marian!» La madre gemeva in modo straziante. «Marian!» «Marian», ripete Xn in tono amichevole. «Carino.» Premette il grilletto. La vetrata contro la quale il killer aveva puntato la pistola si frantumo, provocando un’esplosione di terrore. Una pioggia di schegge li invest. Protesse la bambina col suo corpo, poi la spinse in avanti, incrocio le braccia davanti alla testa e al petto e si lancio nel vuoto. Mentre gli agenti cercavano ancora di capire cosa fosse successo, lui era gia atterrato come un gatto tre metri piu in basso fra i curiosi e aveva iniziato a correre. JERICHO Il Muntu era chiuso. Senza esitare, Jericho sparo due colpi sulla serratura e con un calcio spalanco la porta. Da dietro il bancone, un mulatto lo fissava con uno sguardo smarrito. Era morto. La cucina era ancora sottosopra dopo la colluttazione con Vogelaar del giorno precedente.
Di Nyela, nessuna traccia. Scosto la tenda di perle e controllo i bagni, l’uno dopo l’altro, quindi provo la porta con la targhetta PRIVATO: chiusa. Non esito a far saltare la serratura. Al di la, una scala si perdeva nell’oscurita. Fu sopraffatto dal tanfo di marcio e di disinfettante, dall’odore calcareo dell’intonaco umido, dai ricordi di Shenzhen, la discesa verso l’inferno. Indugio, poi la mano cerco a tentoni l’interruttore della luce e, in fondo alla scala, si accese una lampada protetta da una griglia. Intonaco scrostato, macchie sul pavimento, un ragno che fuggiva dalla luce. Impugnando la Glock, scese i gradini in preda ai brividi e alla nausea. Kenny Xn. Animal Ma Lpng. Chi o cosa lo aspettava laggiu? Quali creature lo avrebbero assalito stavolta, quali immagini si sarebbero impresse per sempre nelle sue circonvoluzioni cerebrali? In fondo alla scala un corto corridoio, ostruito da casse e fusti di birra, conduceva a una porta di metallo semiaperta. Entro con estrema cautela. Nyela. Era accovacciata sul pavimento, le braccia piegate dietro la schiena, la bocca sigillata con nastro adesivo. I suoi occhi luccicavano, fluorescenti nella penombra. Le si accosto, infilo la Glock nella fondina, tolse il nastro adesivo e le poso un dito sulle labbra. Non ora. Prima doveva liberarla dalle manette. I suoi aguzzini l’avevano incatenata a un tubo del riscaldamento. Non ci si poteva aspettare che la chiave fosse stata lasciata l vicino, un regalo per i detective piu ingegnosi. «Torno subito.» In cucina apr tutti i cassetti, rovisto con sempre maggior furia tra pentole d’acciaio e di rame, e su uno dei piani di lavoro trovo quello che stava cercando: un’accetta da macellaio. Torno nello scantinato. «Piegati in avanti. Mi serve spazio.» Nyela si posiziono in modo che lui potesse vedere bene le sue mani. Il tubo era pericolosamente corto. A pochi centimetri dai polsi si piegava verso il muro entrando nell’intonaco. Respiro a fondo, si concentro e colp. Un suono simile al rintocco di una campana si propago lungo il calorifero. Il tubo aveva solo un’ammaccatura. Lo colp piu e piu volte finche non riusc a tranciarlo e a piegarlo verso l’esterno facendo leva col manico dell’accetta. La catena delle manette si sfilo dal tubo. «Dove...» comincio Nyela. «Di la.» Con un cenno, Jericho indico un tavolo da lavoro metallico. «Schiena contro il tavolo, fai pressione con le mani, cerca di aprirle piu che puoi. Tieni ben tesa la catena.» Presagendo che presto avrebbe avuto cattive notizie, si rabbuio in viso, segu le indicazioni e si mise in posizione. «Non muoverti. Resta ferma, immobile.» Lei guardo per terra mentre lui calava un colpo secco che trancio la catena. «Usciamo da qui.»
«No. Dov’e Jan? Cos’e successo?» Lui aveva un nodo in gola. «È morto.» Nyela lo guardo. Si sarebbe aspettato la violenta manifestazione di qualche sentimento: incredulita, sgomento, lacrime. Nulla di tutto cio accadde. Negli occhi della donna lesse solo un muto dolore e amore per l’uomo che giaceva senza vita nel museo, e nel contempo una sorta di strana rassegnazione, come se dicesse: «È cos che va la vita, prima o poi doveva succedere». Jericho ebbe un’esitazione, poi strinse Nyela in un breve abbraccio che lei ricambio con delicatezza. «Ti porto fuori di qui.» «S», replico lei esausta. «Me lo dicono in continuazione.» Di sopra li accolse il corpo senza vita dell’africano dietro il bancone, con lo sguardo perso nel vuoto, come se stesse aspettando che qualcuno gli spiegasse cosa gli era successo e perche. Jericho si affretto verso l’uscita e controllo all’esterno. «Dovremo camminare un po’.» «Perche?» «Ho lasciato la macchina qualche strada piu in la.» «La mia no.» Nyela prese da un cassetto del bancone una chiavetta. «Jan l’ha usata stamattina. Dovrebbe averla parcheggiata proprio qui davanti.» Yoyo gli aveva parlato di una Nissan OneOne. Un’automobile di quel modello era infatti posteggiata a pochi passi dal ristorante. Un abitacolo ovoidale con un design che ricordava un’aggraziata balenottera. Su entrambi i lati del vano dell’abitacolo erano fissati bracci inforcati sulle ruote. Quando erano completamente estesi, l’abitacolo si abbassava quasi rasente al suolo. Riducendo il passo delle ruote, i bracci formavano un angolo acuto e la cabina si sollevava. Si trattava quindi di una vettura sportiva e aerodinamica che si trasformava in una «torre», a ingombro ridotto. Jericho rivolse la sua attenzione alla strada. Le forme e i colori sembravano fondersi nella luce di mezzogiorno; nell’aria, odore di polline si mischiava a quello dell’asfalto. Alla rara presenza di pedoni corrispondeva un traffico abbastanza intenso. Il suo sguardo fu attratto dalla sagoma a forma di sigaro di uno zeppelin turistico che solcava il cielo con un leggero rombo. «Via libera. Andiamo.» La cupola a specchio dell’abitacolo distorceva cielo, nuvole e facciate degli edifici in uno spazio einsteiniano. Nyela fece sollevare la capote; gli interni erano sorprendentemente spaziosi, con un sedile continuo e dei seggiolini di emergenza. «Dove?» «Al Grand Hyatt.»
«So dov’e.» La Nissan disponeva di comandi orientabili e quindi poteva essere guidata sia dal conducente sia dal passeggero. La cupola si riabbasso silenziosamente. Il vetro scuro filtrava l’abbagliante luce di mezzogiorno, creando l’atmosfera di un bozzolo. Il motore elettrico si avvio con un ronzio discreto. «Nyela, io... devo chiederti una cosa.» Lei lo guardo con occhi spenti. «Dimmi.» «Jan voleva darmi un dossier.» «Un... mio Dio! Non l’hai ricevuto? Non e riuscito nemmeno a consegnartelo?» Lui fece un cenno di diniego. «Avremmo potuto fargliela pagare a quei maiali!» «Lo aveva con se?» «Non quello del Crystal Brain, che e nelle mani di Kenny, ma...» Certo, e ovvio, penso Jericho, sentendosi pervadere dalla stanchezza. «Ma il duplicato...» «Un momento!» esclamo lui afferrandole il braccio. «Esiste un duplicato?» «Voleva consegnartelo.» Lo sguardo di Nyela si fece supplichevole. «Credimi, Jan non aveva altra scelta che sacrificare te e la ragazza. Lui non era cos, non era un traditore. Lui ha sempre... » «Dov’e il duplicato?» «Abbiamo dovuto dare il cristallo a Kenny. Lui ci avrebbe sparato, cosa potevamo fare? Jan ha cercato fino all’ultimo un modo per salvarvi, ne sono sicura, lui voleva darvi il dossier, per...» «Dove?» «Pensavo che te l’avesse detto.» «Detto cosa?» Jericho si sentiva impazzire. «Nyela, maledizione, dove aveva...» «Aveva, aveva!» Lei scosse la testa, frustrata. «Mi stai facendo la domanda sbagliata. Lui e il duplicato!» Lui la fisso. «Cosa intendi...» Il collo della donna si coloro di rosso. Lui fu investito da fiotti di liquido caldo. Si getto sulle cosce di Nyela, mentre la capote della Nissan esplodeva e la gommapiuma e il granulato dei sedili schizzavano da tutte le parti. Piegato in avanti, s’impossesso dei comandi, accelero e part a tutta velocita. Una raffica di colpi sventro il rivestimento in fibra di carbonio. Si protese quanto bastava per riuscire a vedere oltre il cruscotto, sent il corpo di Nyela appoggiarsi pesantemente sulla sua spalla e perse il controllo. Il veicolo sbando invadendo la corsia opposta e sfreccio tra stridore di frenate e colpi di clacson per proseguire la sua corsa sul mar-
ciapiede. I pedoni cercavano di mettersi in salvo. Jericho riprese il controllo e, sterzando con decisione, torno sulla corsia di marcia giusta, evitando per un nonnulla di schiantarsi contro un furgone che, sbandando, struscio la fiancata di molti veicoli parcheggiati lungo il marciapiede. La Nissan o, meglio, quanto ne restava sobbalzo sullo scalino del marciapiede e si diresse verso la diramazione che portava alla Sprea. E la vide l’angelo della morte, alto e coi capelli bianchi. Xn apr il fuoco correndogli incontro. Lui invert nuovamente direzione rischiando di cappottare, perche l’assetto dell’abitacolo e il passo troppo corto non erano adatti per quella manovra. Cerco di capire su quali comandi potesse agire, mentre il cinese si era fermato per prendere meglio la mira. Un pezzo della capote demolita si stacco con un boato. La Nissan avanzo verso il killer e Jericho si preparo allo schianto. Xn balzo di lato. La vettura gli sfreccio accanto come un’enorme carrozzina fuori controllo. Continuo a sparare e, oltre allo schiocco dei colpi, ud lo stridio di freni: una berlina lo sfioro, picchio sullo spartitraffico, costringendo un motociclista a manovre acrobatiche per evitarla, e si mise di traverso. Kenny si sposto con un tuffo dalla traiettoria del veicolo, ma poi volo in aria e cadde sull’asfalto. Era stato travolto da un’utilitaria, il cui conducente si era dato prontamente alla fuga. Altre auto si fermarono. Lui rotolo sulla schiena e, vedendo il motociclista correre verso di lui, cerco la pistola. «Oh, mio Dio!» L’uomo si chino su di lui. «Cos’e successo? Si e fatto male?» Xn afferro la pistola e gli pianto la canna nel naso. «Sto benissimo. » Il motociclista impallid e indietreggio. Il cinese scatto in piedi e, con pochi passi, raggiunse la motocicletta. Monto in sella e si diresse verso la Sprea, dove si fermo sgommando. Si guardo intorno e individuo la Nissan che oltrepassava un semaforo rosso e si allontanava verso sud. Jericho lo vide arrivare. Aveva sbagliato strada e la sua Audi si trovava da tutt’altra parte. Avrebbe potuto cambiare macchina per abbandonare la Nissan, che era ormai un rottame, e il cadavere di Nyela che, sballottato di qua e di la, gli cadeva continuamente addosso. Stava cercando fra i comandi il dispositivo per regolare il passo delle ruote. Quasi tutte le funzioni erano controllabili tramite touchscreen, ci doveva pur essere un simbolo, ma non riusciva a concentrarsi perche doveva sempre scansare ostacoli, controsterzare, frenare e accelerare. Cos Kenny recupero lo svantaggio. Jericho passo sull’acciottolato del lungofiume, taglio la strada a un autocarro e imbocco un elegante viale costeggiato da edifici in stile imperiale. La Nissan, troppo sollevata, rischiava di cappottare a ogni manovra azzardata. Cerco inutilmente di ricordare la strada per l’hotel e si rese conto che non aveva uno straccio di piano. Sfrecciava per il centro di Berlino in una utilitaria che stava andando in pezzi con una donna morta al suo fianco, inseguito da
Xn, che si stava inesorabilmente avvicinando. Un ingorgo lo costrinse a cambiare corsia, col solo risultato di trovarsi in un’altra coda. Nuovo salto di corsia. Un passaggio. Coda. Un altro passaggio. Zigzagando come la pallina di un flipper, stava puntando verso un’imponente statua equestre che si ergeva all’inizio di una banchina spartitraffico alberata su un ampio viale. La Nissan ando a sbattere contro il marciapiede e s’impenno ricadendo in mezzo ai pedoni. Attanagliato dal panico, Jericho s’impegno in uno spericolato slalom scandito dal frenetico suono del clacson, che lo ricondusse inaspettatamente sulla strada. Aveva la netta sensazione che il peggio stesse per arrivare: la forza centrifuga infatti spinse l’utilitaria sulla banchina spartitraffico, e la scarsa aderenza le fece perdere il contatto con l’asfalto. Inclinata su due ruote, era in rotta di collisione con gli alberi. Jericho cerco di stabilizzarla spostando il peso del corpo, ma non ne ebbe il tempo. Un boato accompagno il tremendo impatto che fece letteralmente esplodere la corteccia dell’albero, alzando nubi di polvere e schegge. Ancora piu sconquassata, l’auto ricadde sull’asfalto. Il viale, fiancheggiato da tigli e panchine, era quasi deserto. Il traffico su entrambi i lati si perdeva in una tavolozza verde di colori, luci, impressioni di movimento. Alle sue spalle, visibile tra i rami dei tigli, il predatore lo stava per raggiungere. Ripreso il controllo del suo mezzo, Jericho accelero, ma i guai non finivano mai: gli si materializzarono davanti un romantico caffe all’ombra degli alberi, un chiosco, tavolini tutto intorno, giocatori di bocce, persone che schizzavano via dalla traiettoria della Nissan mentre urlavano insulti e minacce. Sempre marciando sullo spartitraffico alla massima velocita possibile, sfruttando l’attimo in cui agli incroci i semafori scattavano dal giallo al rosso taglio la strada a dozzine di automobili, immettendosi nella sezione successiva del viale inseguito da un rabbioso concerto di clacson. Si volto e... Xn non era piu in vista. Seminato. L’aveva seminato, almeno per il momento. Aveva una manciata di secondi preziosi, e ogni secondo valeva un’eternita. L’improvviso calo di tensione gli consent di riacquistare il controllo della situazione e l’orientamento. Sulle due corsie il traffico si era alleggerito e, poiche un chiosco gli bloccava la via, Jericho usc dall’ombra degli alberi per tornare sulla via; in lontananza si profilava l’inconfondibile sagoma della Porta di Brandeburgo. Non pote fare a meno di sorprendersi - e non era la prima volta - di quanto apparisse imponente in fotografia e di quanto fossero modeste le sue dimensioni nella realta. I cortili in stile guglielmino, gli edifici sfarzosi e i palazzi barocchi lasciarono il posto a costruzioni moderne; i bistrot e i negozi scomparvero, ai lati della strada i passanti si diradarono. Dal punto in cui il viale s’immetteva nella vivace Pariser Platz, con l’Accademia delle Belle Arti e le ambasciate francese e americana, si apriva l’arteria che collegava la parte nord della citta con quella sud. Aveva pensato d’imboccare quella strada, ma... la in fondo c’era una grande attivita. Sulla sinistra la fila di alberi s’interrompeva, consentendogli la vista del boulevard in tutta la sua ampiezza. Ampi tratti della strada erano sbar-
rati e lui stava andando dritto verso un vicolo cieco. Un gigantesco robot edile muoveva il braccio articolato di acciaio e calava sulla strada lunge travi d’acciaio. A peggiorare la situazione e a riaccendere la paura, l’unico specchietto retrovisore superstite gli rimandava l’immagine della motocicletta di Xn, che era di nuovo sulle sue tracce. Imprecando, Jericho ritorno sul viale. Appesa al braccio del robot oscillava una gigantesca trave che incombeva sul marciapiede e sulla strada. Con ampi, perentori gesti gli operai deviavano il flusso delle automobili che, nonostante le numerose indicazioni che segnalavano i lavori, peraltro invisibili dallo spartitraffico alberato, erano giunte fin l. La trave scendeva inesorabilmente verso il suolo e a Jericho sembrava che la collisione fosse ormai inevitabile. E Xn si avvicinava, la pistola spianata... Dove dannazione era il simbolo per il controllo dell’assetto dell’auto? I primi operai lo videro arrivare e si scansarono con un balzo, mentre alcuni spari colpirono la parte posteriore della Nissan. Se avesse frenato, Kenny lo avrebbe decapitato, in caso contrario ci avrebbe pensato la trave d’acciaio. Impossibile fare inversione, stava andando troppo veloce, davvero troppo veloce, e quel maledetto simbolo... Eccolo finalmente. Non un simbolo, ma un interruttore. Un banalissimo e antiquato interruttore. Jericho modifico l’assetto e la Nissan inizio ad assumere una forma allungata e piatta. La trave pero era scura e minacciosa, a meno di un metro e mezzo dal suolo: ormai era la fine. Un ridicolo riflesso condizionato gli fece sollevare il braccio per proteggersi la testa mentre l’abitacolo continuava ad abbassarsi. Con un rumore di lamiere contorte e vetro che andava in frantumi la trave spazzo via quello che restava della capote. Jericho si appiatt contro il sedile, mentre il veicolo sfilava sotto la trave. Un attimo di buio, poi torno il blu del cielo. L’incrocio, un autobus, uno schianto inevitabile. Sbalzata due metri piu a destra, la Nissan entro in testa coda, slittando nella Pariser Platz. Ciclisti, pedoni, tutto e tutti cercavano scampo fuggendo intorno a lui. Jericho tento di riprendere il controllo del mezzo, lanciato verso la Porta. Un giroplano della polizia, un elicottero ultraleggero e senza portelloni laterali, volteggiava sopra la Quadriga. Qualcuno, lassu, stava abbaiando in un altoparlante. Aveva pensato di raggiungere l’altro lato infilandosi tra le colonne doriche, ma non aveva tenuto conto dei bassi paracarri che bloccavano il passaggio. Freno e, slittando, l’auto vi urto contro con violenza e l si fermo definitivamente. Accanto a lui, Nyela si rialzo, come se volesse dirgli qualcosa, si piego in avanti e poi ripiombo sul sedile come se all’ultimo momento ci avesse ripensato. Jericho balzo fuori dal rottame e, mentre il giroplano scendeva di quota, correndo a perdifiato passo oltre la Porta, dove il boulevard si trasformava in un’arteria a piu corsie. In lontananza vide un’alta torre slanciata. Senza troppo preoccuparsi di semafori e cartelli di divieto e di pericolo, si lancio sulle strisce pedonali, accolto dallo stridio dei freni e dal botto di un tamponamento, che gli fece balenare, inatteso e inconcepibile in quella situazione, un pen-
siero: Strano, esistono ancora automobili senza sistema SBC? Una vecchia cabrio gli sfreccio davanti riuscendo miracolosamente a schivare i suoi piedi, ma lui non si salvo dalla raffica d’insulti del conducente. Riprese la fuga, raggiunse l’altro lato della strada sfiorando il radiatore di un camion e s’infilo in una viuzza ombreggiata: era nel Tiergarten, il cuore verde del centro di Berlino. Sabbia e ghiaia, sentieri tranquilli, davanti a lui la statua di un leone. Ancora alberi, prati, altri sentieri. Ne imbocco uno e continuo a correre senza fermarsi finche non ebbe la certezza di non essere piu tallonato, ne da Xn, ne dal giroplano. Si ritrovo sulla sponda di un laghetto, appoggio le mani sulle ginocchia, con un dolore lancinante al fianco e un sapore amaro sulla lingua. Ansimo, toss, sputo. Gli sembrava che il cuore fosse sul punto di esplodere. Una donna anziana si accorse di lui, gli dedico uno sguardo e poi torno a occuparsi del nipotino che cercava di non cadere dalla bicicletta. XN Xn era riuscito a non schiantarsi contro la trave d’acciaio, ma aveva perso tempo prezioso. Vide la Nissan, che procedeva a elevata velocita, scontrarsi con un autobus. Penso che Jericho avesse perso il controllo e sparo una raffica di colpi. Quando sopra la Porta comparve il giroplano, fu sorpreso che i poliziotti sembrassero piu interessati alla sua motocicletta che a Jericho, che in quel momento stava saltando fuori dalla macchina e se la stava squagliando. Il velivolo stava puntando dritto su di lui. Incurante degli ordini secchi che risuonavano nell’aria, valuto rapidamente la situazione. Il giroplano era sospeso sulla piazza a poco piu di un metro da terra: era impossibile aggirarlo e, se avesse sparato ai propulsori, i poliziotti avrebbero reagito aprendo il fuoco contro di lui. Decise di fuggire imboccando la strada che incrociava il viale. Il giroplano riprese quota e part all’inseguimento. Entrarono in azione i cannoncini schiumogeni. Se uno di quei proiettili, che si gonfiavano e si solidificavano al contatto col suolo, si fosse infilato tra i raggi delle ruote della moto, la sua corsa sarebbe bruscamente terminata. Dopo aver fatto un’inversione a U e puntando un ponte davanti a lui, si ritrovo sulla riva della Sprea. Quella strada l’avrebbe ricondotto sulla Museumsinsel, e non era certo una buona idea ripresentarsi in una zona che, senza dubbio, ormai brulicava di poliziotti. Fu sovrastato dal rombo del giroplano, prima alle spalle, poi sopra e davanti a lui. Il velivolo scese a terra per sbarrargli il passo e costringerlo a fermarsi. Ma ci voleva ben altro: Xn giro la moto e fugg nella direzione opposta, ma un altro elicottero della polizia, apparentemente immobile al di sopra della cupola del Reichstag, inizio la discesa. Lo stavano accerchiando. Si lancio allora in direzione del Reichstag, col fiume sulla destra. Si concentro per capire quale fosse la situazione: frotte di turisti affollavano una scalinata; il viale si allargava; i palazzi governativi di vetro e acciaio fiancheggiavano la riva, e davanti avevano filari di alberelli potati con cura. Sulla Sprea navigavano i battelli turistici. Piu
avanti il corso del fiume descriveva un’ampia ansa scorrendo sotto un ponte pedonale dall’alta campata. E, al di sopra del ponte, i due velivoli, che sembravano inchiodati al cielo. Xn continuo a dirigersi verso il ponte disperdendo un gruppo di giovani spaventati, accelero, impenno, prese tutta la rincorsa possibile e sfreccio oltre il parapetto. Per un attimo la motocicletta libro sull’acqua vitrea della Sprea. Lui avvert sulla pelle una piacevole brezza e, in quell’attimo, si chiese come sarebbe stato vivere una vita completamente diversa. Ma ne aveva a disposizione una sola. Stacco le mani dal manubrio. La superficie del fiume si frammento in un caleidoscopio di colori e l’acqua gli riemp le orecchie. Cerco di allontanarsi il piu velocemente possibile dalla motocicletta che affondava, ma non riusc a evitare che la ruota anteriore lo colpisse sull’anca. Resistette al dolore, risal in superficie, riemp i polmoni d’aria e s’immerse di nuovo, abbastanza in profondita da non poter essere individuato dall’alto. Nuoto verso il centro del fiume. Sentiva il rimbombo di uno dei battelli. Aveva una grande resistenza sott’acqua, tuttavia prima o poi avrebbe dovuto riemergere, e due giroplani lo aspettavano al varco. Nel baluginio di riflessi sulla superficie individuo la sagoma scura del barcone turistico che stava passando proprio sopra di lui. Con energiche sbracciate affioro di fianco allo scafo. Dopo aver compiuto un tentativo a vuoto, si aggrappo a uno dei sostegni sotto la vetrata frontale e scruto il cielo, parzialmente coperto dalla sagoma del battello. Uno dei due giroplani stava volando in tondo sopra il punto in cui Xn era scomparso. Gli giungeva anche il rombo dell’altro velivolo, ma non riusciva a vederlo e, quando fu certo che fosse proprio sopra il battello, s’immerse nuovamente senza pero mollare la presa. Dopo essere rimasto a lungo in apnea, si arrischio a tornare in superficie mentre il barcone transitava sotto il ponte. Il velivolo si allontano. Allora lui si lascio trasportare dal battello per un tratto, poi si stacco e nuoto verso la riva. Quando usc dall’acqua, i suoi occhi abbracciarono una vasta superficie cementata, dietro la quale correva una strada trafficata. Piu che vedere, intu che i poliziotti stavano rastrellando la riva dall’altra parte del ponte. La parrucca che si era messo era rimasta sul fondo della Sprea, quindi strappo anche la barba posticcia, si sfilo la giacca, butto tutto nel fiume e si allontano bagnato fradicio. Le acque della Sprea avevano inghiottito anche la sua arma, ma il cellulare waterproof non aveva subito danni. Con sollievo constato che pure la cintura col cristallo di memoria e con le carte di credito gli cingeva ancora la vita. Le carte, che portava sempre con se, erano considerate mezzi di pagamento obsoleti, perche gli acquisti di solito venivano effettuati via cellulare tramite codice identificativo, ma lui preferiva non correre troppi rischi di essere identificato quando comprava dei vestiti.
Non lontano c’era una sopraelevata della ferrovia dell’alta velocita che, compiendo un’ampia curva, entrava sotto la cupola di un complesso di edifici a piu piani: la stazione centrale di Berlino. Arrotolo le maniche della camicia, si tiro indietro i capelli lisci e neri e s’incammino con passo spedito. Le macchine sfrecciavano sulla strada che stava costeggiando e, a una certa distanza, un altro giroplano stava probabilmente sorvegliando la zona. Non se ne preoccupo, anche perche il suo aspetto non corrispondeva piu a quello dell’uomo ricercato dalla polizia. Una decina di minuti dopo entro nell’atrio della stazione, dove con una delle sue carte di credito prelevo del denaro da uno sportello automatico, trovo un negozio di abbigliamento sportivo, acquisto jeans, scarpe da ginnastica e T-shirt - seguito dallo sguardo stupito di una commessa quasi interamente ricoperta di applicazioni -, indosso quello che aveva comprato, pago in contanti, si fece dare un sacchetto di plastica, vi stipo gli abiti fradici, getto il sacchetto in un bidone e prese un taxi per farsi portare all’Hotel Adlon. JERICHO Lo Hyatt, a quanto ricordava, era a sud del Tiergarten, ma l’intrico di sentieri e laghetti gli fece perdere l’orientamento e Jericho si trovo a vagare da un paesaggio bucolico all’altro. Da una certa distanza gli giungeva il rumore del traffico. Il sole splendeva con una luce innaturale. Fu colto dalla nausea, fitte penetranti gli si diffusero nel torace, poi il dolore si propago dalla spalla lungo il braccio sinistro. Il cielo, gli alberi e le persone vennero risucchiati in un tunnel rosso. Erano i sintomi di un infarto? Con le ginocchia che gli cedevano, si trascino fino a un cespuglio e vomito. Si sent meglio e riusc a raggiungere la strada principale. A un incrocio riconobbe diversi edifici, e una scultura di Keith Haring gli confermo che il Grand Hyatt era proprio l vicino. Avrebbe giurato di essersi aggirato per ore nel parco e invece, quando controllo l’ora, noto che dallo schianto alla Porta di Brandeburgo erano passati al massimo quindici minuti. Erano quasi le dodici e mezzo. Chiamo Tu Tian. «Sono su da te, con Yoyo.» «Aspettatemi. Sto arrivando.» La stanza di Jericho era diventata la loro centrale operativa, dal momento che Diane risiedeva l. In ascensore riusc a recuperare una certa lucidita di pensiero, ma raramente si era sentito tanto impotente. Era quasi riuscito a portare Nyela al sicuro, ma alla fine l’aveva persa. «Cos’e successo?» Tu Tian balzo in piedi e gli ando incontro. «Tutto a...» «No.» Jericho estrasse i pacchi di banconote dalla tasca del giubbotto e li getto sul letto. «Ecco i tuoi soldi. Questa e la buona notizia.» Tu Tian prese in mano uno dei mazzetti e scosse il capo. «Non e affatto una buona notizia.»
Jericho li informo su quanto era accaduto. Sebbene si fosse riproposto di conservare una certa obiettivita, dal suo racconto la situazione apparve a tinte assai piu fosche di quanto fosse. Yoyo era sempre piu pallida. «Nyela... Cosa abbiamo combinato? » «Proprio niente.» Jericho si passo le mani sul viso, stanco e avvilito. «Sarebbe successo comunque. Forse le abbiamo allungato la vita di qualche minuto.» Il volto della ragazza s’incup. «Niente dossier. È stato tutto inutile.» «Secondo Nyela, Vogelaar lo aveva portato con se.» Jericho si avvicino alla finestra e guardo fuori, lo sguardo perso nel vuoto. «Vogelaar ci ha traditi svelando a Xn la nostra presenza qui, ma all’ultimo momento, per qualche motivo, ha deciso di ribellarsi. Lui voleva che io avessi quel dossier.» «Maledizione!» Tu Tian batte un pugno sul palmo aperto dell’altra mano. «E Nyela e sicura...» «Era, Tian. Era.» «... che l’aveva con se?» «Ha detto che Kenny ha l’originale.» «Il cristallo di memoria.» «S. Ma evidentemente esiste un duplicato.» «Che Vogelaar voleva portare al museo?» Yoyo aggrotto la fronte. «Se e cos, significa che ce l’ha ancora addosso.» «Irrilevante», replico Jericho. Erano in un vicolo cieco. «La polizia l’avra perquisito e ne sara gia entrata in possesso. Ma pazienza, almeno questo ci toglie dall’imbarazzo di dover prendere altre decisioni. Basta iniziative personali. Possiamo fidarci delle forze di polizia locali, percio...» Si blocco. Gli giunse, come provenisse da un altro pianeta, la voce di Tu Tian che stava dicendo qualcosa sulle telecamere di sorveglianza del museo, che forse lo stavano cercando e che non ci si poteva fidare della polizia in nessuna parte del mondo. Dentro di lui riecheggiavano chiare e distinte le ultime parole di Nyela: Mi stai facendo la domanda sbagliata. Lui e il duplicato. Lui e il duplicato? «Dio santo, era cos semplice», mormoro. «Cos’e semplice?» chiese Tu Tian. Si riattizzo una speranza che credeva spenta per sempre. «Credo di sapere dove Vogelaar ha nascosto il dossier.» ADLON Xn estrasse il cristallo di memoria, lo rigiro tra le dita e sorrise. Un sapere inutile. In fondo poteva essere soddisfatto. Attraverso l’abbagliante hall dell’hotel e sal alla sua suite. Controllo
il cellulare, del quale il produttore garantiva l’impermeabilita fino a venti metri di profondita. Funzionava alla perfezione. Sul display venne visualizzata la chiamata persa del suo referente che aveva tentato di contattarlo poco prima dell’incontro con Vogelaar. «Hydra.» La sua voce venne registrata, sottoposta a verifica e accettata. «Qualcuno ha avvisato Orley», spiego il referente. «Cosa?» s’incoller Xn. «Quando?» «Ieri, nel tardo pomeriggio.» «Voglio i dettagli!» «Un certo Tu Tian ha mandato un documento. Sembrerebbe una trascrizione parziale del suo messaggio.» L’interlocutore di Xn sospiro. «Devono essere riusciti a decifrare altre parti. Com’e potuto succedere? Credevo...» «Che vuol dire ’parziale’?» Xn prese a camminare avanti e indietro. «Non lo so ancora.» «Allora rimuova immediatamente tutti i siti dalla rete.» «Ma in questo modo crolla il nostro canale di comunicazione via e-mail.» «Questa storia me l’ha gia raccontata.» «A ragione.» «S, e adesso guardi che cosa ha ottenuto.» Xn cerco di calmarsi. Apr il minibar e comincio meccanicamente a correggere la distanza tra le bottiglie. «L’idea delle e-mail era perfetta per scambiare informazioni complesse e farle avere al distributore mondiale, per il resto bastano i cellulari. Ormai e fatta. Non possiamo piu cambiare la situazione. L’unica cosa che potrebbe andare storta a questo punto e che il mio messaggio venga interamente decifrato, quindi rimuova quei siti dalla rete, e subito!» Fece una pausa. «Lui lo sa?» «S.» «Allora?» L’altro sospiro. «È del suo stesso avviso. Anche lui sostiene che sia necessario bloccare i siti. Quindi faro quello che mi chiedete. Adesso veniamo a lei. Che ne e di Vogelaar?» «Eliminato.» «Non c’e piu pericolo?» «Aveva un dossier, in un cristallo di memoria, che ora e nelle mie mani. Oltre a lui, la moglie era l’unica a sapere dell’esistenza del documento, ed e morta anche lei.» «Finalmente una buona notizia.» «Vorrei tanto poter dire lo stesso di lei», replico Xn. «Perche vengo a sapere solo ora che Orley e stato avvisato?» «Perche io stesso l’ho saputo solo stamattina.»
«Come ha reagito l’azienda?» «Ha chiamato il Gaia Hotel.» «Cosa?» Per poco non gli cadde il telefono dalle mani. «Hanno avvisato il Gaia Hotel?» «Si calmi. Forse solo perche al momento tutti i media ne stanno parlando. Per quanto ne so, lassu tutto procede secondo programma. Le escursioni non sono stante cancellate, nessuno ha chiesto di anticipare il rientro.» «Chi ha preso la chiamata al Gaia?» «Dovrei ricevere i dettagli da un momento all’altro.» Xn fisso l’interno del frigorifero. «Va bene. Nel frattempo deve fare una ricerca per me, e subito. Cerchi Yoyo e Jericho a Berlino.» «Quei due sono a Berlino?» «Devono aver preso una stanza da qualche parte. Controlli i sistemi di prenotazione degli alberghi, nella banca dati della dogana tedesca, non m’interessa cosa fa, li trovi e basta.» «Santo cielo», gemette l’altro. «Cosa c’e?» chiese Xn. «Sta perdendo la calma?» «No, e tutto okay. Faro il possibile.» «No», ringhio Xn. «Deve fare piu del possibile.» GRAND HYATT Un istante prima che gli spari di Xn ponessero fine alla sua vita, Nyela aveva allargato le dita come se volesse sottolineare le sue parole, un gesto cui Jericho non aveva dato peso, ma che aveva un preciso significato. Aveva indicato il viso, che in quel momento rappresentava il viso di Vogelaar. Aveva indicato gli occhi. Lui e il duplicato. L’occhio di vetro di Jan era un cristallo di memoria. Portava sempre con se il duplicato, nascosto nella cavita oculare. «Che personaggio», disse Yoyo, indecisa tra ammirazione e disgusto. Tu Tian rise sbuffando. «Non avrebbe potuto scegliere un posto migliore. Aveva la verita sempre sott’occhio.» «In modo che venisse alla luce alla sua morte.» Il viso di Yoyo riprese colore. A Jericho torno in mente la notte precedente. Non erano passate nemmeno dieci ore da quando lei aveva lasciato la sua stanza, col trucco sbavato sotto gli occhi, sporca, avvolta dall’odore di vino rosso e di fumo. Non considerando il pallore provocato dalle circostanze del resto la vita stava giocando a tutti loro davvero un brutto scherzo - gli eccessi non sembravano aver lasciato nessuna traccia sul suo volto. Yoyo aveva un aspetto fresco, gradevole, la pelle tesa, sembrava quasi piu giovane. Elaboro pensieri deprimenti sul rapporto tra i giovani e gli euforizzanti. Quando lui la notte cedeva alla tentazione dell’alcol, gli enzimi ripar-
atori della doppia elica del suo DNA si attivavano ormai solo di rado. «Sei tu l’esperto, Owen», disse Tu Tian. «Cosa succede durante una perizia medicolegale? Analizzeranno anche l’occhio? » «Di sicuro lo rimuoveranno, almeno temporaneamente.» «E un cristallo di memoria non puo passare inosservato.» «Non a uno specialista», intervenne Yoyo. «Percio nelle prossime ore la polizia prendera il nostro dossier.» Jericho non voleva certo coinvolgere la polizia tedesca. Li avrebbero sottoposti a lunghi interrogatori, non si sarebbero fidati di loro e avrebbero negato l’accesso alle informazioni di Vogelaar. Le loro ricerche si sarebbero complicate. Tu Tian gli passo un foglio. «Forse dovresti prima dare un’occhiata a quello che abbiamo trovato durante la tua assenza. Abbiamo evidenziato in grassetto le parti nuove.» Jan Kees Vogelaar vive a Berlino sotto il falso nome di Andre Donner. È titolare di un per africano Indirizzo privato e indirizzo commerciale: Oranienburger Straße 50, 10117 Berlino. Cosa dobbiamo, continua a rappresentare un enorme rischio per l’operazione senza dubbio lui sa del RAZZO VETTORE. almeno a conoscenza di quello, e se, e discutibile In ogni caso dichiarazione a lungo Di fatto Vogelaar dal non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche sui retroscena del rovesciamento. Ndongo continua che il governo cinese ha programmato e attuato un’alternanza ai vertici. La natura dell’operazione del RAPPORTO al momento del Vogelaar ha poco Inoltre non e possibile concludere che all’Orley Enterprises e al si e trattato di un guasto. Nessuno la sospetta E DOPO IL - COMUNQUE tutto È ANDATO COME PREVISTO. Io conto perche so, Ciononostante raccomando con urgenza l’eliminazione di Donner. È possibile sostenere «Razzo vettore...» mormoro Jericho. «Un’altra prova che Vogelaar ha detto la verita. Il lancio del satellite e stato qualcosa di piu di un collaudo sperimentale.» «Un razzo vettore trasporta sempre un carico. Com’e arrivato nello spazio il satellite di Maye?» chiese Tu Tian. «Con lo stesso mezzo, un razzo vettore», ipotizzo Jericho. «Pero qui non viene menzionato nessun satellite.» «No. Evidentemente il fattore determinante non e il satellite, ma il razzo vettore.» Tu Tian era dello stesso parere. «A questo proposito, un paio di persone che controllano assiduamente i miei diligenti connazionali, pur non spifferandomi nulla di segreto, hanno espresso alcune valutazioni sulle quali vale la pena soffermarsi. Secondo loro il governo cinese non ha mai sviluppato progetti spaziali che prevedessero la costruzione di una rampa di lancio in territorio straniero. La storia della clausola di responsabilita fa acqua da tutte le parti, come quella del sudario di Mao. Una favola inventata a uso e consumo di Maye; in ogni caso
far partecipare altri Stati ai rischi connessi a questi progetti non e la prassi comune. » «Quindi potrebbe essersi trattato di un’iniziativa personale di Zheng?» chiese Jericho. «Il gruppo Zheng ha operato sul suolo africano un’unica volta, nella Guinea Equatoriale, e questo e assodato, ma non possiamo sapere se l’abbia fatto per conto di Pechino. I miei informatori ne dubitano. Il governo cinese ha avuto parte nello sviluppo del programma spaziale del Paese africano e nella caduta di Maye? S, se si crede che persone come Zheng Pang Wang fanno parte del governo. No, se questa ipotesi non ha fondamento. » Yoyo intervenne, e lo fece in tono sprezzante. «Questo dimostra che il Partito e solo un’entita senza sostanza, un fantasma. Il vero potere, e senza limiti, e quello economico, che sfugge anche al controllo e al coordinamento statali. I signori del petrolio cinesi hanno favorito l’ascesa di Maye con la collaborazione dello Zhong Chan’erbu e l’approvazione dei compagni di Partito. E forse il maggiore dei nostri imprenditori si e adoperato per farlo nuovamente cadere.» «Senza informare i compagni, stavolta.» Le dita di Yoyo stavano picchiettando sul foglio. «Esatto. Piu avanti il testo dice: Nessuno la sospetta... cosa? Qualcosa. Ovvero, nessuno sospetta niente. Il termine tutto si riferisce alla seconda parte. Tutto e andato come previsto. Sembra che stiano valutando se valga ancora la pena eliminare Vogelaar. Percio, non so come la pensate voi, ma a me sembra che il disastro sia imminente.» «Qualche idea di cosa possa significare rapporto?» domando Jericho. Fu il cinese a rispondere. «Si trattera di un qualche rapporto. Hanno paura che Vogelaar possa raccontare qualcosa.» «Bene. Comunque sia, siamo a un punto morto», sentenzio Jericho. Yoyo si lascio cadere sul letto a braccia aperte e fisso il soffitto. Poi, sollevandosi di colpo, chiese: «Cosa succedera esattamente a Vogelaar?» Jericho non riusciva a capire il senso della domanda. «Che vuoi dire? Cosa dovrebbe succedergli?» «Vorrei proprio sapere cosa sta accadendo in questo preciso momento. Facciamo cos, torniamo indietro di un’ora, a mezzogiorno. Bang, bang. Vogelaar viene colpito da un’arma da fuoco. È l, morto stecchito sul pavimento del museo. Cosa succede?» «Intervengono le forze speciali di polizia. Il posto viene chiuso al pubblico, la Scientifica inizia i rilevamenti.» «E il cadavere?» «Per il momento e ancora l. Alla Scientifica serve tempo. Al piu tardi alle due il corpo sara sul tavolo autoptico, dove verra sezionato.»
«E l’occhio?» «Dipende. L’anatomopatologo non e un poliziotto piu bravo degli altri, non e come nei film. Lui decide cosa deve essere sottoposto all’attenzione degli inquirenti. Se si accorge dell’occhio, lo indichera nel referto. Forse lo rimettera al suo posto, oppure lo riporra nella bacinella dei reperti autoptici.» «Quanto dura l’autopsia?» «Non ha una durata precisa. La causa della morte e nota: Vogelaar e stato ucciso con un’arma da fuoco, quindi sara una cosa piuttosto veloce. Fra due o tre ore sara tutto finito.» «E poi?» «L’anatomopatologo dara l’autorizzazione al prelievo della salma», rispose Jericho con un sorriso amaro. «Puoi andare a prenderlo, se trovi un carro funebre.» «Allora andiamo a prenderlo.» Tu Tian la fisso. «Proprio un bel piano. Dove pensi di trovare un carro funebre?» «Non ne ho idea. Da quando ti tiri indietro di fronte a una sfida?» «Non e questo, e che...» «Ci serve per forza un carro funebre?» Yoyo si mise a sedere sul letto, infiammata da un improvviso entusiasmo. «Perche non possiamo andare a prenderlo con un’auto privata? E se fossimo dei parenti?» «Come no. Tu sembri proprio sua sorella. Stessi capelli, stessi occhi...» la canzono Tu Tian. «Un momento», intervenne Jericho. «Prima di tutto senza carro funebre non si va da nessuna parte. Secondo, se hanno gia rimosso l’occhio, il cadavere di Vogelaar non ci serve a niente.» L’euforia di Yoyo si spense. Incrocio le braccia e assunse un’aria imbronciata. «Terzo, la tua idea non e male.» ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE CHARITÉ, BERLINO, GERMANIA Verso le tre, Jan Kees Vogelaar non aveva affatto un brutto aspetto. Cereo e non piu di questo mondo, e vero, eppure aveva un’espressione strafottente e scanzonata. Poche ore prima, steso in una pozza di sangue, con gli occhi spalancati e gli arti rigidi, avrebbe potuto ricordare immagini stereotipate delle idi di marzo : una morte da Cesare, ai piedi di un tempio romano, una scena che nei testi scolastici aveva mantenuto una patina di eroismo, ma che nella realta doveva essere stata ripugnante. L’uomo accanto a lui, calvo e altrettanto morto, non contribuiva a rendere piu piacevole l’atmosfera. Dopo averlo fotografato da ogni angolazione, aver disegnato con la matita sul pavimento la sagoma e ricostruito la dinamica dell’aggressione, avevano chiuso il cadavere in un sacco di plastica per trasportarlo all’Istituto di medicina legale dell’ospedale universitario Charite, nel
quartiere Moabit. L era stato pesato, misurato, ne erano state registrate le caratteristiche fisiche in una apposita cartella ed era stato poi riposto nella cella frigorifera. Dove peraltro non era rimasto a lungo, perche fu sottoposto a un esame radiografico, che stabil le posizioni dei frammenti dei proiettili, la presenza di vecchie fratture e una protesi in titanio nel ginocchio. I periti avevano anche accertato che l’occhio sinistro era artificiale e si apprestavano a eseguire l’autopsia anche sul cadavere dell’uomo calvo e su quello di Nyela che, nel frattempo, era stato posizionato accanto ai primi due; dunque tre dei cinque tavoli autoptici accoglievano salme alle quali nessuno era riuscito fino a quel momento a dare un’identita. Da una parte i medici legali erano occupati con Vogelaar, dal quale estrassero gli organi interni, li analizzarono e li pesarono, per poi verificare i volumi dei liquidi biologici e registrare i risultati; dall’altra i membri della commissione speciale, riunita d’urgenza, confrontavano le fotografie delle salme con quelle presenti nei file degli archivi anagrafici. Poterono accertare che l’automobile da cui era stato estratto il corpo della donna apparteneva ad Andre Donner, residente a Berlino da un anno, ristoratore, sposato con Nyela Donner, la cui fotografia indicava che il cadavere femminile era proprio quello di Nyela. Restava da identificare l’uomo calvo. Mentre i periti ricucivano Donner alias Vogelaar, l’obitorio ricevette la chiamata di un funzionario del ministero degli Esteri, che informava come quell’omicidio avesse destato l’interesse delle autorita cinesi. Gia da tempo, spiego il funzionario, la polizia tedesca e quella cinese erano sulle tracce di una banda di contrabbandieri di tecnologie. L’uccisione del ristoratore avrebbe potuto essere la conseguenza di una mancata consegna e forse Donner non era affatto Donner, ma un prestanome. Per Berlino era molto importante cooperare alle indagini dei due colleghi cinesi, che sarebbero arrivati per controllare le salme. C’era voluto del tempo perche la chiamata passasse. Era stata presa da una dottoranda che, attenendosi alla procedura, aveva preteso di verificare l’identita di chi chiamava. L’interlocutore aveva fornito il proprio nome e un numero di telefono, sollecitandola a eseguire gli accertamenti, poi aveva riagganciato. La direttrice dell’Istituto di medicina legale aveva suggerito all’estemporanea centralinista di chiedere conferma dei dati al ministero degli Esteri e l’aveva pregata di accompagnare gli inquirenti cinesi, al loro arrivo, nell’area riservata. La ragazza digito 4-9-3-0 ed ebbe immediata risposta ancor prima di comporre l’interno. Una voce registrata inizio: «Risponde il ministero degli Esteri. Al momento tutte le linee sono occupate. Resti in attesa per non perdere la priorita acquisita. Risponde il ministero degli Esteri. Al momento tutte le linee sono...» La segreteria s’interruppe e s’inser una voce femminile dolce e melodiosa: «Ministero degli Esteri, buongiorno. Il mio nome e Regina Schilling». «Istituto di medicina legale dello Charite. Vorrei parlare con... ehm...» La ragazza dovette ricontrollare il suo appunto. «Mr Helge Malchow.»
«Attenda, prego», replico Diane. Jericho sorrise. Aveva creato i protagonisti della farsa associando a caso nomi e cognomi selezionati dall’elenco telefonico di Berlino, e aveva programmato una serie di frasi per Diane che avrebbero dissipato ogni eventuale dubbio della persona che stava chiamando. Nessuno si sarebbe accorto che chi rispondeva non era una persona fisica al ministero ma un computer nella camera di un hotel. Inutile dirlo, il tedesco di Diane era impeccabile. «Mr Malchow e occupato su un’altra linea», comunico Diane. «Vuole attendere in linea?» «Devo aspettare molto?» Jericho digito la risposta per Diane che, con voce gentile, disse: «Solo un attimo... Oh, ha appena riagganciato. Glielo passo. Buona giornata». «Grazie.» «Helge Malchow.» Era il detective. «Charite di Berlino. Lei ci ha chiamato a proposito degli inquirenti cinesi.» «Esatto. Sono gia arrivati?» Il suo tedesco non era affatto male, solo un po’ arrugginito. «No, ma non ci sono problemi. Verranno accompagnati direttamente all’edificio O.» «Benissimo.» «Mi potrebbe dare i loro nomi?» «Il commissario capo Tu Tian dirige le indagini ed e accompagnato dal commissario Chen Yuyun. Stanno lavorando sotto copertura, percio sia cos gentile da consentire loro un accesso rapido e senza intoppi burocratici.» Un’affermazione piuttosto insensata, ma suonava bene. «Un’altra cosa, i colleghi parlano solo inglese.» «Capisco. Non si preoccupi. Ne faciliteremo l’accesso e senza... » «La ringrazio moltissimo.» Riattacco e seleziono il numero di Tu Tian. «Si parte.» Dallo sguardo di Tu Tian traspariva tutto il ribrezzo per quello che stavano per fare. «Mi ero ripromesso di non vedere mai piu gente morta, cadaveri in stanze asettiche. Mai piu.» «Prima o poi saremo tutti cadaveri in stanze asettiche», sentenzio Yoyo. «Be’, almeno non vedro piu niente.» «Questo non puoi saperlo. Pare che si veda il proprio corpo dopo la morte, ma si prova solo indifferenza.» «Io non provero indifferenza.» Yoyo esito, poi le sue dita bianche e sottili strinsero la mano carnosa e macchiata dell’uomo. Una bambina che cercava di rincuorare un gigante. Ripenso alla sera precedente e allo strazio con cui durante la notte Tu Tian le aveva raccontato di persone rinchiuse cos a lungo che, alla fine, il carcere ne aveva ottenebrato l’anima. Il macigno dei sensi di colpa che l’aveva oppressa da tanto tempo, l’irrazionale convinzione di essere responsabile del dolore di altre creature, si era polverizzato, scalzato da una verita ancora piu opprimente. Aveva fu-
mato, bevuto, pianto e si era sentita inerme e inutile, come succede sempre ai figli di fronte ai complessi turbamenti dei genitori di cui non comprendono le cause, e che pertanto imputano alle proprie mancanze. Tu Tian aveva esaurito le argomentazioni per farle capire che lei non aveva nulla a che fare con quei problemi, e il suo dolore si era intensificato, prima che quel racconto di anime soffocate la liberasse da anni di autocommiserazione. Si era allora riaccesa la compassione per Hongbng e lei si era chiesta se volesse davvero un padre da compatire. Si era vergognata per quel pensiero ed era stata nuovamente sopraffatta dal senso di colpa. «Nessuno ha voglia di compatire i propri genitori», aveva detto il cinese. «Per un po’ desideriamo solo che ci proteggano, e che da un certo momento in poi ci lascino in pace. La cosa migliore che possiamo fare e cercare di capire il loro comportamento e perdonare noi stessi per i figli che siamo stati.» Pure Tu Tian meritava compassione, anche se sembrava non averne bisogno, diversamente da suo padre che doveva aver vissuto esperienze traumatiche. Eppure, a differenza dell’amarezza repressa di Hongbng, la sorte di Tu Tian non la metteva... «A disagio?» Tu Tian aveva riso. «Non preoccuparti. Non sono nemmeno tuo zio. Sono solo un vecchio coglione in compagnia di una giovane donna. Tu vedi in me quello che sono ora e non quello che sono stato. Questa storia non crea nessun legame fra te e me.» «Ma siamo... amici, non e vero?» «S, siamo amici e, se tu provassi un po’ piu d’interesse per il mio conto in banca e ti facessi meno scrupoli, potresti persino essere la mia amante. Hongbng invece puoi osservarlo solo da un’unica prospettiva, ovvero quella che ti e concessa dal destino. E l non c’e posto per la compassione. Non e contemplata. Solo quando terminera il gioco di ruoli imposto dai nostri geni, saremo in grado di vedere i nostri genitori, comprenderli, accettarli, rispettarli e magari amarli per quello che sono e per quello che sono sempre stati, ovvero semplici esseri umani.» E poi, purtroppo, la visita a Jericho a notte fonda. Che umiliazione. Si era introdotta nella sua stanza gonfia di alcol e presuntuose aspettative, solo per uscirne subito dopo con un pugno di mosche, come un’ubriaca incosciente. Un episodio che forse significava poco, ma che aveva preso la consistenza di una montagna di vergogna. Oltretutto, ripensandoci, non sarebbe stata nemmeno in grado di spiegare perche era andata da lui. O forse s? «Leviamoci il pensiero», esclamo il vecchio cinese. Un quarto d’ora prima erano andati a prendere l’Audi parcheggiata lungo la Sprea, e in quel momento erano fermi davanti all’Istituto di medicina legale dello Charite. Tu Tian mise in moto e arrivo alla sbarra d’ingresso, esib il documento d’identita, spiego al portiere che la vis-
ita era autorizzata dal ministero degli Esteri e si fece indicare la strada per l’edificio O. Passarono accanto a una serie di costruzioni con mattoni a vista. Le fronde di enormi alberi si protendevano su rigogliosi prati verdi, invitando a sedersi all’ombra con una baguette, del formaggio e una bottiglia di Chianti per festeggiare ogni singolo minuto che separava dal rien ne va plus dell’obitorio. L’aria era pervasa da un senso di pace, la stessa che regnava nei cimiteri, dove contagiava persino le persone piu vitali. Percorsero un lungo viale fino a fermarsi davanti a uno squallido edificio chiaro, che emanava il fascino di un ambulatorio di paese. Quell’impressione, unita al fatto che sullo spiazzo antistante ci fossero solo tre veicoli speciali di colore verde con la scritta MEDICINA LEGALE, diede a Yoyo la sensazione di non essere nel posto giusto, come se la salma fosse custodita altrove. Si era immaginata che l’Istituto di medicina legale di una megalopoli come Berlino, dove le persone morivano in continuazione, avesse le dimensioni di un hangar. Quell’edificio dimesso non faceva pensare a medici sempre al lavoro, commissari e profiler come quelli che si vedevano nei film gialli. Saliti tre gradini, suonarono a una porta di vetro e furono accolti da due donne in camice bianco. Una alta, di bell’aspetto e piuttosto giovane, l’altra con un fisico asciutto e nervoso, sulla cinquantina, le guance rosse e una pettinatura che voleva essere solo pratica : era la dottoressa Marika Voss e presento la giovane accompagnatrice come Svenja Maas. Tu Tian e Yoyo mostrarono i loro documenti d’identita. La dottoressa Voss li esamino e fece un cenno di assenso, come se avesse una notevole esperienza di documenti cinesi. «S, ci hanno annunciato il vostro arrivo», disse in un inglese spigoloso. «Chen Yuyun?» Yoyo le strinse la mano. Il viso della dottoressa assunse un’espressione pensierosa: evidentemente aveva qualche difficolta a collegare l’aspetto di Yoyo a quello di un’agente sotto copertura che indagava su un omicidio. Il suo sguardo si poso su Svenja e poi di nuovo su Yoyo, come se fosse giunta alla conclusione che pure in professioni del tuto diverse ci si poteva imbattere in belle donne. «E...» «Commissario capo Tu Tian, lieto di conoscerla. Non vogliamo rubarvi troppo tempo. È gia finita l’autopsia?» «A voi interessa Andre Donner, vero?» «S.» «Con lui abbiamo terminato pochi minuti fa, con Nyela Donner non ancora. Dovete dare un’occhiata anche a lei?» «No.» «O forse al secondo cadavere proveniente dal museo? Non siamo riusciti a identificarlo.»
Tu Tian corrugo la fronte. «S, se possibile, s.» «Bene. Seguitemi.» Quando la dottoressa Voss venne riconosciuta dal sistema attraverso la scansione della pupilla, si apr un’altra porta che li immise in un corridoio. Yoyo percep per la prima volta quell’odore acre e dolciastro che, nei film polizieschi, chi visita l’obitorio cerca di neutralizzare spalmandosi una crema sotto il naso. L’odore di decomposizione batterica s’intensifico mentre scendevano le scale verso l’area autopsie, e sembro quasi solidificarsi quando entrarono nell’anticamera della sala settoria. Un uomo giovane dai tratti arabi caricava fotografie di bambini su un monitor. La ragazza cinese s’impose di non pensare ai bambini. Del resto non ne ebbe il tempo, perche Marika Voss le mise in mano qualcosa. Perplessa, Yoyo osservo il tubetto e si sent sprofondare in un abisso d’ignoranza. «Per i visitatori», spiego la dottoressa. «Sa come funziona.» No, non lo sapeva. «Spalmare sotto il naso.» La dottoressa rimase stupita da quell’indecisione. «Pensavo avesse...» «È la prima volta che Ms Chen opera nell’ambito della patologia forense», intervenne Tu Tian. Sfilo il tubetto dalle dita di Yoyo, ne spremette due gocce di pasta e distribu il prodotto sotto le narici. «È qui per fare esperienza.» La dottoressa accolse quella spiegazione con un cenno d’assenso. «Non e stata molto attenta durante le lezioni, vero commissario? » la punzecchio Tu Tian in cinese, porgendole il tubetto. Lei sostenne il suo sguardo e, cercando di stare al gioco, spalmo un po’ di crema sopra il labbro superiore. Troppa, come cap subito dopo, quando una bomba al mentolo esplose nelle sue vie respiratorie, scatenando una tempesta che spazzo via il puzzo di cadavere. Svenja la osservava con aria complice, quel tipo di complicita che s’instaura tra persone di bell’aspetto che si trovano a interagire con altri meno avvenenti. «Dopo un po’ ci si abitua.» Yoyo accenno un sorriso. Seguirono la dottoressa nella sala settoria, rivestita con piastrelle bianche e rosse, finestre dai vetri opachi e plafoniere quadrate. Cinque tavoli autoptici erano allineati l’uno accanto all’altro. I primi due erano sgombri, su quello centrale, invece, erano chinati in quel momento due medici. Il corpo, dalla cui gabbia toracica aperta uno dei due stava estraendo la massa scura di un polmone, era quello di una donna di pelle scura. L’altro medico disse qualcosa in un dittafono mentre il polmone veniva trasferito sulla bilancia. Passarono accanto al quarto tavolo, sul quale riposava una sagoma massiccia coperta da un telo bianco, quindi si fermarono davanti all’ultimo tavolo, dove giaceva, anch’esso coperto, un altro cadavere. La dottoressa sollevo il telo, scoprendo Jan Kees Vogelaar, alias Andre Donner.
Yoyo lo osservo. Quell’uomo non le era stato particolarmente simpatico, ma, vedendolo steso l col torace sfregiato da un’incisione a Y fresca di sutura, provo pena per lui. Quella stessa compassione che aveva provato per Jack Nicholson in Qualcuno volo sul nido del cuculo, per Robert De Niro in Heat — La sfida, per Kevin Costner in Un mondo perfetto, per Chris Pine in Neighborhood e per Emma Watson in Pale Days. Cioe per tutti quelli che ce l’avevano quasi fatta ma che avevano fallito all’ultimo momento, come spesso accadeva nei film. «Se non avete bisogno di me, vi lascio in compagnia di Mrs Maas. Ha assistito all’autopsia di Donner e dovrebbe essere in grado di rispondere in modo esauriente alle vostre domande.» «Bene.» Dall’inglese, Tu Tian passo al cinese: «Allora al lavoro, cara collega». Chinandosi sul viso pallido di Vogelaar, il cui incarnato stava virando al bluastro, Yoyo cerco di ricordare quale fosse l’occhio di vetro. Jericho sosteneva che fosse il destro, lei pero ne dubitava, anzi era quasi sicura che si trattasse del sinistro. Sarebbe stato impossibile decidere finche le palpebre del morto fossero restate chiuse. Una leggera inquietudine colse Tu. «Non sei sicura?» «Colpa di Owen.» Yoyo accenno con la testa a Svenja, che si teneva in disparte. «Chiedi alla nostra amica di mostrarti il tipo sul tavolo accanto.» «Okay, cerco di distrarla.» «Ce la faro.» Yoyo sorrise amaramente. «In fondo le possibilita sono solo due.» Non sarebbe mai riuscita ad abituarsi alla vista dei cadaveri o all’idea che le persone appena conosciute morissero nel giro di poche ore. Eppure, mentre ripugnanza e fascino stavano ancora battagliando, inaspettatamente si sent pervadere da una grande calma, scura e cristallina come un lago alpino. Tu Tian indico a Svenja l’altro tavolo. «Potrebbe scoprire questa salma per noi?» Sfortunatamente la dottoranda si posiziono sul lato sbagliato e avrebbe comunque visto cio che Yoyo stava per fare. Allora Tu Tian si sposto in modo da coprirle la visuale. «Santo cielo, cos’e successo al suo occhio?» «Infilzato con una matita», spiego la dottoranda, quasi con entusiasmo. «Ha perforato l’osso ed e penetrata fino al cervello.» «E com’e avvenuto esattamente?» Yoyo appoggio due dita sulla palpebra destra di Vogelaar e la sollevo. Ne ricavo la stranissima sensazione di mancanza di una qualsiasi temperatura: non era ne calda ne fredda. Mentre Svenja illustrava a Tu Tian l’angolo d’ingresso della matita e i punti di pressione, la ragazza infilo pollice e medio agli angoli dell’occhio. Il bulbo oculare sembrava ben ancorato
all’orbita e di una consistenza simile a quella di una biglia di vetro, non morbida e viscida. Confusa, si chiese se alla fine avesse ragione Jericho e premette piu a fondo le dita nella cavita oculare. Trovo resistenza. Erano muscoli? L’occhio non ne voleva sapere di uscire dall’orbita, anzi si ritraeva come un animale minacciato e secerneva un liquido. Non poteva essere un occhio di vetro, per niente al mondo. «La matita si e scheggiata», continuo la dottoranda avvicinandosi al tavolo, tra il cadavere e il lavandino; in una bacinella si trovava un sacchetto di plastica trasparente contenente qualcosa. Yoyo ritrasse istintivamente le dita dalla cavita oculare, appena prima che la donna guardasse nella sua direzione, e le sembro di udire un rumore scivoloso, umido, di rimprovero. Tu Tian si sposto di nuovo per nasconderla a eventuali sguardi indagatori. Yoyo rabbrivid. La donna aveva sentito qualcosa? C’era stato davvero un rumore o era stato solo frutto della sua fantasia, perche era terrorizzata che la potessero sentire? La superficie del lago della sua calma s’increspo. Sentiva le dita appiccicose. Jericho si era sbagliato. Tu Tian continuava a sostenere il suo ruolo di schermo, mostrando un interesse smisurato per il lavoro di Svenja; Yoyo affondo le dita nell’orbita dell’occhio sinistro e percep subito una sensazione molto diversa. La superficie era piu dura, senza dubbio artificiale. Premette a fondo, inarcando il pollice e il medio. Tu Tian, con le sue domande, stava indagando sull’efficacia degli strumenti da disegno usati come armi. La dottoranda, che sembrava esperta in materia, gli spiego che qualsiasi cosa poteva trasformarsi in un’arma e si sposto di un passo verso sinistra. Tu Tian, dichiarandosi d’accordo con lei, ne fece uno verso destra. I medici al tavolo centrale erano completamente assorbiti dall’autopsia sul cadavere di Nyela per potersi rendere conto di quanto stava accadendo. Yoyo inspiro a fondo, su di giri per il mentolo. Adesso. L’occhio di vetro scivolo fuori dall’orbita sul palmo della sua mano, senza nessuna difficolta. Lei lo infilo nella tasca della giacca, richiuse le palpebre di Vogelaar e solo in quel momento si rese conto di averle deturpate. Ma era ormai troppo tardi per rimediare. Con un telo copr rapidamente il volto sfigurato e ando accanto a Tu Tian. «Per quanto riguarda Andre Donner, non c’e piu nessun dubbio.» Tu Tian s’interruppe nel bel mezzo di una domanda. «Oh, bene. Molto bene. Allora penso che possiamo andare.» «Entro quando le serve il mio rapporto, capo?» «Il prima possibile, commissario. Il procuratore ci sta addosso. »
Sipario, applauso, penso Yoyo. «Avete finito?» Svenja guardo prima l’uno poi l’altra, quasi infastidita per essere stata bruscamente interrotta. «S, non vogliamo darle troppo fastidio.» Tu Tian sorrise affabile. «Non e stato un fastidio.» «Ha ragione. È stato un piacere. Arrivederci, e porga i nostri saluti alla dottoressa Voss.» La dottoranda li riaccompagno nell’anticamera e si congedo. Tu Tian s’incammino verso le scale, poi accelero il passo e quasi corse attraverso il corridoio, tallonato da Yoyo la cui riserva di calma era ormai agli sgoccioli. Per uscire non era necessaria un’autorizzazione. Raggiunsero il parcheggio ed erano ormai nei pressi dell’Audi quando udirono una voce autoritaria risuonare alle loro spalle. «Mr Tu Tian. Ms Chen!» Yoyo s’irrigid, si volto lentamente e vide la dottoressa Voss sui gradini. Se ne sono accorti. Siamo stati troppo lenti. Tian sollevo le braccia per scusarsi. «Perdoni la fretta. Volevamo salutarla, ma non l’abbiamo trovata.» «Spero che siate soddisfatti della nostra collaborazione.» «Siete state di grande aiuto.» «Bene, sono contenta.» La donna sorrise. «Vi auguro di riuscire a proseguire positivamente la vostra indagine.» «Grazie al vostro aiuto abbiamo fatto grandi progressi.» «Buona giornata.» La dottoressa Voss rientro e Yoyo si sent come un panetto di burro al sole. Scivolo dentro l’Audi e si abbandono sul sedile. «Ce l’hai?» chiese Tu Tian. «Ce l’ho», rispose lei con le ultime forze. Se non proprio offesa, Svenja era rimasta comunque infastidita dal comportamento dei cinesi. Rientrando nella sala delle autopsie, si stava chiedendo se, al di la dei tipici modi gentili orientali, i due poliziotti fossero realmente al lavoro. Quando si avvicino ai tavoli, si accorse che la giovane aveva coperto il cadavere di Donner col telo, senza nessuna cura. Stizzita, prima lo tiro per risistemarlo, poi, non soddisfatta, lo tolse per poterlo ridistendere ordinatamente. E subito si accorse che qualcosa non quadrava: l’occhio destro di Vogelaar sembrava danneggiato, ma quello sinistro era conciato ancora peggio. Un presentimento inquietante la indusse a sollevare la palpebra. L’occhio di vetro non c’era piu. Il timore che le avrebbero addossato la responsabilita per quella violazione della salma la fece sudare freddo.
Non avevano estratto l’occhio di vetro in attesa che venisse analizzato da un esperto. In effetti aveva avuto l’impressione che quell’oggetto nascondesse qualcosa, forse un meccanismo che consentiva la visione. Nesuno pero vi aveva dato particolare importanza. Evidentemente si erano sbagliati. In preda all’agitazione, usc di corsa e sal le scale. Nel corridoio incontro la dottoressa Voss. «Gli inquirenti cinesi sono ancora qui?» chiese quasi senza fiato. «I cinesi? No. Sono appena andati via. Perche?» «Merda!» «Cosa c’e?» «Hanno fatto sparire una cosa!» piagnucolo Svenja. «Sparire?» fece eco l’altra. «L’occhio. L’occhio di vetro.» La dottoressa non aveva partecipato all’autopsia di Donner, quindi non sapeva nulla dell’occhio, ma intu che erano cadute in una trappola. «Chiamo la portineria.» La macchina percorse la via principale costeggiando gli edifici in mattoni e i sentieri lungo i prati. La voce preoccupata di Yoyo ruppe quell’atmosfera idilliaca: «Cosa sta succedendo l davanti?» Alla portineria c’era concitazione. La guardia usc di corsa dal gabbiotto, quindi sollevo e agito le braccia come se fosse su una pista e stesse facendo dei segnali a un aereo. La sbarra inizio ad abbassarsi. Senza dubbio erano loro la causa di quel trambusto. «Ci hanno scoperti.» «Fantastico. E adesso?» Tu Tian la guardo. «Dipende da te. Ti piace Berlino? Vuoi restarci ancora un po’?» «Non ci tengo proprio.» «Come pensavo.» Tu Tian accelero e riusc a sgusciare sotto la sbarra, rasentandola al punto che Yoyo si meraviglio di non sentirla raschiare sul tettuccio della vettura. Alle loro spalle le grida dell’agente della sicurezza si persero nell’aria satura di pollini d’inizio estate. ADLON Sul display luccico il simbolo dei serpenti aggrovigliati che spuntavano da un unico corpo. Nove teste, l’emblema di Hydra. «Le abbiamo inoltrato i dati relativi ai principali hotel di Berlino », disse una voce. «Con gli alberghi minori non e andata bene. Ce n’e un’infinita ed e impossibile penetrare in tutti i sistemi cos in fretta...» «Allora?» chiese Xn.
«Negativo.» «Ma loro devono aver pernottato da qualche parte.» «Non in un hotel delle catene internazionali. Nessuna Chen Yuyun, nessun Owen Jericho. In compenso, posso fornirle qualche dettaglio sull’avvertimento fatto pervenire ieri a Londra. Le mando il testo. Vuole prima sentirlo?» «Avanti.» Xn ascolto quello che lui stesso aveva scritto. Si chiese quanto potesse essere pericolosa la minaccia innescata da Yoyo e Jericho. Non si poteva piu parlare di un semplice frammento. Avevano decodificato quasi il novanta per cento del messaggio. Ma mancava il passaggio piu importante, quello decisivo. Inoltre, un uomo di nome Tu Tian - non Jericho o la ragazza - aveva chiamato Edda Hoff, numero tre nell’apparato di sicurezza dell’impero di Orley, della quale lui sapeva ben poco se non che era una persona priva d’immaginazione e, di conseguenza, poco incline a farsi prendere dal panico o a drammatizzare le situazioni. «Edda Hoff ha soltanto messo al corrente l’azienda dell’eventualita di un attentato, senza nascondere che non avevano in mano nulla di concreto», spiego la voce. «Sono stati informate tutte le divisioni, e quindi anche il Gaia Hotel, dove non hanno ritenuto opportuno modificare il programma. Pare che Edda Hoff abbia contattato l’interlocutore giusto.» La voce sembrava reticente a fare nomi al telefono, sebbene fosse pressoche impossibile intercettare una conversazione su quella linea. D’altra parte, era anche vero che non si sarebbero mai aspettati che qualcuno riuscisse a decifrare un codice parassita nascosto all’interno di e-mail innocue. «Tu», riflette Xn a voce alta. «Ha detto di chiamarsi cos. Le mando il suo numero di cellulare. Non sappiamo da dove sia partita la chiamata.» Nel mondo la varieta di cognomi era quasi infinita, in Cina invece era piuttosto limitata. La stragrande maggioranza dei cinesi condivideva poche dozzine di nomi di clan, perlopiu composti da una sola sillaba, i cosiddetti «cento cognomi», cosicche non era una rarita che gli abitanti di un intero paese si chiamassero Zheng, Wang, Han, Ma, Hu oppure Tu Tian. Eppure Xn non riusciva a liberarsi della sensazione di avere gia sentito quel nome, di recente e in qualche modo collegato a Yoyo. «Ha provveduto a rimuovere i siti dalla rete?» «La comunicazione e stata sospesa.» Era consapevole di quanto fosse costato prendere quella decisione e capiva lo sconforto del suo interlocutore, che aveva proposto il metodo delle mail parassita e poi lo aveva implementato. Per tre anni il sistema era stato utilizzato senza problemi. Le teste di Hydra avevano potuto scambiarsi simultaneamente le informazioni e avevano funzionato come un unico grande cervello. «Non e una perdita insostenibile», disse cercando di non sembrare scortese. «Grazie alla rete abbiamo raggiunto lo scopo che ci eravamo prefissi, e questo e merito suo.
Ha il nostro rispetto. Comunque adesso tutti capiranno che, a un passo dall’obiettivo finale, per motivi di sicurezza abbiamo deciso di rinunciare al contatto istantaneo. È arrivato il momento in cui non c’e piu nulla da dire. Bisogna solo aspettare.» Xn chiuse il collegamento, fisso i propri piedi e li dispose paralleli, in modo tale che caviglie e sporgenze si trovassero esattamente alla stessa distanza senza toccarsi. Sposto le ginocchia verso il centro. Odiava gli imprevisti dovuti alla casualita. Quando avvert un contatto tra i peli dei polpacci, corresse la posizione dei piedi, allineo cosce, parte superiore delle braccia, avambracci, mani e spalle in modo speculare rispetto all’asse centrale, fino a raggiungere una posizione perfettamente simmetrica. Il piu delle volte, in quel modo riusciva a mettere ordine nei propri pensieri; stavolta l’esercizio non produsse l’effetto sperato. Fu sopraffatto dai dubbi e si chiese se non avesse sbagliato fin dall’inizio, se non avesse peggiorato le cose accanendosi nel dare la caccia a Yoyo. Pensieri, catene di pensieri. Perdita di controllo. Il suo cuore batteva all’impazzata. Aveva la sensazione che gli sarebbe bastato un nonnulla per esplodere, frammentandosi in mille pezzi. No, non lui. Il suo involucro. Quel costume da essere umano che si chiamava Kenny Xn. Un corpo in affitto, un bozzolo, un pupazzo, lo stadio intermedio di una metamorfosi, e lui era terrorizzato da quella cosa che lo avrebbe divorato dall’interno. Ogni volta che cresceva, si espandeva e gli rubava il fiato, quando non riusciva piu a dominarla e la pressione diventava insopportabile, doveva darle qualcosa per calmarla, come quando gli era toccato ridurre in cenere la capanna dei suoi aguzzini, affidare alle fiamme l’infamia, la malattia, la miseria, per sentirsi libero, purificato dalla sventura e finalmente lucido. Da allora si domandava se quel giorno fosse impazzito o se invece fosse guarito dalla pazzia. In ogni caso non ricordava quasi nulla del periodo precedente. Tutt’al piu la ripugnanza nei confronti della vita. L’odio verso i genitori per averlo messo al mondo. Anche se era molto piccolo e sapeva poco sulle circostanze della sua nascita, aveva la certezza che la famiglia era responsabile della sua esistenza, fatto gia di per se sufficiente per odiarla. Oltre a cio, i genitori gli rendevano la vita un inferno. Sapeva che la vita non aveva senso. Solo dopo l’incendio aveva capito. Ci si poteva definire pazzi se all’improvviso tutto acquistava un senso? Quante delle cosiddette persone «sane di mente» si dedicavano tutto il giorno ad attivita insensate? Quanto di tutto cio che veniva reputato corretto e morale si basava su riti e dogmi privi di ogni ragionevolezza? Il fuoco aveva ampliato i suoi orizzonti, svelandogli il piano del destino, le vie labirintiche e l’astratta bellezza della creazione. Da quel punto non c’era ritorno. Era passato a un livello superiore, che poteva anche essere chiamato follia, ma che in realta lo costringeva a resistere alla pressione di una consapevolezza cos grande da rendere inutile qualsiasi tentativo di condividerla con gli altri. Come poteva spie-
gare alle persone che tutto quello che facevano rispondeva a un disegno superiore? Era il prezzo che doveva pagare, facendolo pagare al prossimo. No, non aveva peggiorato le cose. Aveva dovuto prendere delle precauzioni. Xn s’immagino il proprio cervello. Un universo di Rorschach. Purezza della simmetria, attendibilita, pacatezza, controllo. Lentamente recupero la calma. Si alzo, collego il cellulare alla console informatica della sua stanza e carico sul monitor le liste delle prenotazioni alberghiere. Le fece scorrere tutte, l’una dopo l’altra. Non si aspettava di vedere spuntare dagli elenchi i nomi di Chen Yuyun e Owen Jericho. Gli hacker di Hydra penetrati nei sistemi informatici degli hotel avevano gia controllato piu volte le liste. Non sapeva esattamente cosa si aspettasse di trovare, aveva solo il presentimento che avrebbe trovato qualcosa. E, in effetti, qualcosa trovo. Come la tessera mancante di un puzzle che s’incastra alla perfezione, cio che scopr chiar quanto era accaduto al museo e rispose a un serie di altre domande: erano state prenotate tre camere al Grand Hyatt, in Marlene Dietrich Platz, a nome di una societa chiamata Tu Technologies, con sede a Shanghai, confermate dal proprietario in persona, Tu Tian, con l’apposizione della propria firma. Era la societa per cui lavorava Yoyo. Ecco perche conosceva quel nome. Carico la homepage dell’azienda e trovo una foto del fondatore. Un uomo in carne, quasi calvo, col cranio simile a una palla da biliardo, nel complesso cos brutto da sembrare quasi attraente. Le labbra gonfie avrebbero fatto invidia anche a un anfibio. Nel contempo, pero, risultavano sensuali. Dietro i minuscoli occhiali, brillavano occhi che rivelavano sense of humour e serieta insieme. Sebbene l’uomo emanasse la tranquillita di un Buddha, trasmetteva anche un’indubbia determinazione. Tu Tian, Xn lo cap subito, era un anticonformista travestito da buffone. Una persona da non sottovalutare. Col suo aiuto, Jericho e Yoyo potevano lasciare Berlino con la stessa rapidita con cui erano arrivati. I coniugi Vogelaar erano morti. Quindi loro sarebbero partiti. Molto presto. Subito. Xn prese le armi, scelse una parrucca coi capelli lunghi e rossi e la barba adatta, si riemp la fronte e gli zigomi di applicazioni, indosso uno spolverino verde smeraldo, si mise un paio di sottili occhiali olografici con le lenti a specchio e, per qualche secondo, resto immobile davanti allo specchio per valutare il risultato del travestimento. Sembrava una popstar. Un tipico mando-progger che aveva fatto i soldi ma non aveva guadagnato nemmeno un briciolo di buon gusto. Lascio l’hotel, fermo un taxi e si fece portare al Grand Hyatt. GRAND HYATT Sul monitor apparve il volto di Tu Tian. «Metti Diane in valigia. Ce la squagliamo.»
Jericho non era sorpreso. «E l’occhio di vetro?» Le dita di Yoyo entrarono nella visuale. L’occhio artificiale di Vogelaar lo fisso. Privato della palpebra, sembrava guardare il mondo meravigliato e con una leggera indignazione. «Senza ombra di dubbio un cristallo di memoria», disse Yoyo. «L’ho osservato bene, e proprio un modello tipico. Datti da fare. Gli sbirri saranno l a momenti.» «Dove siete adesso?» «Stiamo venendo da te», comunico Tu Tian. «Hanno la targa della macchina. Detto in altre parole, sanno che e un’auto a noleggio, chi l’ha affittata e cos via. Da me, risaliranno agli sgradevoli avvenimenti di stamattina.» «E al tuo jet.» «Al mio...» «Fuck. Ha ragione!» esclamo la ragazza. «Non appena capiranno che hai noleggiato la macchina in aeroporto, faranno due piu due. Ci arresteranno ancor prima di riuscire a riconsegnarla.» «Quanto tempo ci resta?» chiese Tu Tian. «Difficile dirlo. Per prima cosa passeranno al setaccio le liste dei passeggeri degli aerei atterrati prima che tu ti presentassi all’autonoleggio. Ci vorra un po’ di tempo. Non troveranno nulla, ma poi controlleranno i voli privati.» «Con l’Audi ci vuole una buona mezz’ora per raggiungere l’aeroporto.» «Potrebbe essere troppo tardi.» «Lascia perdere questa stupida Audi», sbotto Yoyo. «Se vogliamo avere una possibilita, ci serve uno skycab.» «Posso chiamarne uno», propose Jericho. «Fallo. Saremo in albergo tra dieci minuti», disse Tu Tian. «Agli ordini.» Jericho si affretto lungo il corridoio. Mentre si dirigeva verso gli ascensori, si raffiguro i meticolosi poliziotti berlinesi che cercavano di risolvere l’enigma del loro arrivo, con rapidita, efficienza e passando in rassegna gli scenari peggiori. Sal sul tetto e trovo lo skyport vuoto. Un inserviente in livrea lo accolse dal terminale con un sorriso. La vista di Jericho sembrava aver dato un nuovo senso alla sua esistenza solitaria sul tetto dell’hotel. «Vuole che le chiami un aerotaxi?» «S, esatto.» «Solo un istante.» Le mani dell’uomo scivolarono rapide sulla console del computer. «Arriva tra dieci minuti, un quarto d’ora al massimo.» «Il prima possibile!»
«Nel frattempo, se le serve aiuto coi bagagli...» L’uomo era gia sparito nell’ascensore. Torno di corsa in camera sua e infilo Diane e il resto dei supporti hardware nello zaino. Ci appoggio sopra gli abiti che erano sparsi in giro, controllo la Glock e la ripose nella fondina, si slancio lungo il corridoio e invio un messaggio a Tu Tian: Sono sul ponte di volo. ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE CHARITE, BERLINO, GERMANIA «No, non c’e», disse la voce al telefono. Svenja Maas si tormentava le mani, pallida come un lenzuolo. La dottoressa Marika Voss non riusciva a star ferma. «Malchow. Helge Malchow.» «Come le ho gia detto...» «La mia collega l’ha chiamato in uno dei vostri uffici.» «Puo darsi, ma...» «Prima e stata messa in attesa, poi un’operatrice ha inoltrato la chiamata. A Malchow. A Hel...» «Non c’e!» «Ma...» «Mi stia a sentire», disse la voce, chiaramente spazientita dall’insistenza della donna. «L’aiuterei volentieri, ma al ministero degli Esteri non c’e nessuno con questo nome. E l’interno che ha indicato non esiste.» La dottoressa serro le labbra, indignata. Quello ormai lo aveva capito anche lei, dopo che un messaggio registrato le aveva comunicato che il numero era inesistente. Tuttavia non le sembrava un motivo sufficiente per darsi per vinta. «Ma la signora... » «Ah, gia, la signora.» Breve pausa, sospiro. «Come si chiama esattamente questa signora?» «Come si chiamava l’operatrice?» sibilo Marika. «Qualcosa come Schill o Schall», bisbiglio Svenja con un filo di voce. «Schill o Schall.» «No.» «No?» «Abbiamo una Scholl.» «Scholl?» chiese ancora Marika a Svenja. «Forse Schill.» «Forse Schill.» «Mi spiace. Nessuna Schill, nessuna Schall, nessun Malchow. Vi consiglio di chiamare subito la polizia. Evidentemente qualcuno si e preso gioco di voi.»
La dottoressa Voss si arrese. Ringrazio con tono glaciale e compose il numero della polizia giudiziaria. Al suo fianco, Svenja sembrava appassire. Meno di cinque minuti dopo, gli agenti della commissione speciale avevano verificato il numero di targa. Qualche secondo ancora e conoscevano il nome dell’uomo che aveva noleggiato l’auto. Confrontarono i registri della compagnia di noleggio coi dati della dogana e appresero che Tu Tian aveva messo piede a Berlino il mattino presto del giorno precedente e aveva indicato come indirizzo del suo soggiorno in citta il Grand Hyatt di Marlene Dietrich Platz. GRAND HYATT Grazie alla guida spericolata di Tu Tian, raggiunsero l’albergo prima del previsto. Ora, pero, avevano un motivo in piu per svignarsela : tra la Turmstraße e Marlene Dietrich Platz avevano infranto il codice della strada almeno una dozzina di volte. Tu Tian scese dalla vettura, lancio la chiave al portiere e lo prego di parcheggiare l’auto nel garage sotterraneo. «Andiamo al bar?» chiese Yoyo a voce cos alta che l’uomo non avrebbe potuto non sentirla. Tu Tian cap al volo cosa lei stava cercando di fare e stette al gioco. «In effetti, qualcosa di dolce non sarebbe male.» «Al Sony Center c’e uno Starbucks. In fondo alla strada.» «Va bene. Ci incontriamo l. Avverto Owen.» Una commedia patetica, ma forse avrebbe consentito di guadagnare tempo. Mantennero un passo normale, attraversarono l’atrio, salirono al settimo piano e si precipitarono nelle loro camere. «Lascia tutto quello che non ti serve. Prendi solo lo stretto necessario», le consiglio Tu Tian. «Non e difficile. Non ho niente. Tu, piuttosto, cerca di non innamorarti del tuo bagaglio.» «Non ho nessun interesse per la moda.» «È vero. Infatti dovremo lavorare un po’ su questo. Ci vediamo tra due minuti sul ponte di volo.» Xn salto fuori dal taxi. Conosceva il numero delle stanze, ma non sapeva a chi fossero state assegnate, perche erano state tutte prenotate dalla Tu Technologies e i nomi di Yoyo e Jericho non comparivano nei registri. Entro nella hall. La gente avrebbe notato un uomo alto dai capelli rossi, barba e baffi alla Gengis Khan, arrivato allo Hyatt alle 15.30, molto probabilmente un artista. Gli occhiali olografici nascondevano il taglio orientale degli occhi. Poteva essere scambiato per un europeo. Non passare inosservati era il travestimento migliore.
Sal in ascensore e premette il pulsante del settimo piano. Non accadde nulla. Dopo un attimo di perplessita, noto lo scanner per il rilevamento dell’impronta del pollice. Poi si ricordo che, nella maggior parte degli alberghi di lusso, per usare l’ascensore era necessaria l’autorizzazione. Rassegnato, torno nella hall, dove proprio in quel momento un gruppo di suoi connazionali si stava dirigendo verso la reception creando una certa ressa al bancone. Gli addetti si adoperarono per interpretare lo stentato inglese dei nuovi arrivati e per alimentare il meraviglioso mondo dei malintesi con le proprie scarne nozioni di cinese. Xn si avvicino con passo deciso all’unica receptionist che non era impegnata in quella commedia degli equivoci, le si piazzo di fronte e cerco di elaborare una qualche richiesta che non destasse sospetti. Come faccio a raggiungere il settimo piano? - Desidera registrarsi? - No, ho degli amici che alloggiano qui e vorrei andare a trovarli. - Posso autorizzarla a salire e avvertire i signori del suo arrivo. - Be’, sa, in realta vorrei fare loro una sorpresa. - Capisco. Se ha un attimo di pazienza, salgo con lei. Come vede, c’e un po’ di caos al momento, ma tra qualche minuto... Non si puo fare piu in fretta? - In realta non potrei, sarebbe consentito solo agli ospiti... Xn rinuncio. Troppo complicato. Non aveva la minima intenzione di lasciare le proprie impronte digitali nel sistema dello Hyatt, ne voleva correre il rischio che Tu Tian, Jericho o Yoyo venissero avvisati della sua presenza. Si confuse nel gruppo dei cinesi. Jericho vide lo skycab spuntare sopra il Tiergarten e virare verso lo Hyatt. Un massiccio aeromobile a decollo verticale, dotato di quattro turbine, si avvicino sibilando, inclino gli ugelli e scese lentamente verso la piattaforma. «È arrivato il suo taxi», annuncio l’addetto con un sorriso. Sembrava quasi che dalla sua voce trapelasse l’entusiamo per la diffusione del trasporto aereo e per il fatto che esistessero persone che ne facevano uso. Un attimo dopo, dal terminal spunto Yoyo con una borsa di plastica appallottolata sotto il braccio. Tu Tian la seguiva trascinando la sua valigia come un ragazzino in gita. Il taxi atterro. «Tempismo perfetto», si rallegro Tu Tian. «Perche l’ho chiamato io», preciso Jericho gentilmente. «Risparmiatevi i battibecchi.» Yoyo si avvicino al portello di accesso. «Il tuo jet e gia pronto per il decollo?» La domanda paralizzo Tu Tian. Si tocco il rado tappeto di peli sul cranio e cerco di formare dei riccioli rigirando tra le dita i pochi capelli non piu lunghi di cinque millimetri. «Cosa c’e?» «Ho dimenticato una cosa.»
Yoyo lo fisso incredula. «Non ci credo!» «Invece s. Il cellulare. Pensavo di chiamare l’aeroporto dal taxi, e mi sono reso conto...» «Devi tornare in camera?» «Direi di s.» Tu Tian abbandono il bagaglio e torno verso l’ascensore. «Torno subito. Promesso.» Quando Xn ud che la coppia di anziani cinesi davanti a lui avrebbe alloggiato in una delle suite piu belle e costose del Grand Hyatt, provo una gioia intensa, un’emozione che certo non nasceva dall’altruismo, ma dal fatto che la suite si trovava al settimo piano, proprio dove voleva andare. Una giovane impiegata si offr di accompagnare la coppia alla suite e insieme si diressero verso l’ascensore. Xn si accodo. Mentre aspettavano, la signora cinese lo scruto incuriosita e lo sguardo s’impiglio tra i suoi ricci selvaggi e rimbalzo sulle lenti a specchio degli occhiali olografici. Perplessa, osservo la punta degli stivali in pelle di serpente, visibilmente irritata dall’idea di dover condividere l’hotel con un personaggio come quello. Suo marito, un uomo tozzo e robusto, le stava appiccicato alla spalla e si limitava a fissare la fessura tra le porte dell’ascensore in attesa che si aprissero. Entrarono in ascensore tutti insieme. La giovane impiegata non solo non gli chiese a che titolo si trovasse l, ma gli sorrise gentilmente e lui ricambio con altrettanta cordialita. «Anche lei va al settimo piano?» gli chiese in inglese. «S, grazie.» Accanto a lui, l’anziana signora s’irrigid, forse incredula di dover condividere addirittura lo stesso piano. Tu Tian tiro indietro il copriletto, ma del cellulare non c’era traccia. Non era nemmeno sulla scrivania o su uno dei comodini. Rovisto tra le lenzuola, sposto i cuscini, infilo le dita nello spazio tra il materasso e la struttura del letto. Niente da fare. Chi aveva chiamato l’ultima volta? Chi avrebbe voluto chiamare? L’aeroporto. O almeno quella era stata la sua intenzione. Alla fine pero aveva scelto di rimandare. Riflettendoci, quando lo aveva deciso, aveva il telefono in mano. E lo aveva appoggiato. Perlustro ancora una volta la scrivania, le sedie, le poltrone, il pavimento. Incredibile, stava invecchiando. Qual era l’ultima cosa che aveva fatto? Rivide se stesso mentre teneva il cellulare con la destra, e con la sinistra qualcos’altro all’altezza del cavallo dei pantaloni... Ah, giusto. Settimo piano. La signora cinese spinse da parte la giovane impiegata per uscire dall’ascensore il piu in fretta possibile, come se temesse che quello strano personaggio potesse morderla. Il marito
invece comp un gesto di galanteria molto occidentale: fece un passo indietro e, con un sorriso raggiante, fece passare la giovane donna. Xn attese finche il gruppo non fu piu in vista. I corridoi dell’albergo formavano un quadrato intorno a un luminoso atrio, le stanze si affacciavano sull’esterno. Studio le indicazioni e constato che l’impiegata e la coppia cinese si erano mosse nella direzione opposta rispetto a quella in cui si trovavano le camere prenotate dalla Tu Technologies. Adesso era completamente solo. La moquette attutiva il rumore dei passi. Supero un Club Lounge, imbocco il corridoio successivo e si fermo ripetendo mentalmente i numeri delle camere di Tu Tian: 712, 717, 727. La 712 si trovava alla sua sinistra, ma era chiusa. Prosegu. Anche la 717 era chiusa. Il suo spolverino si gonfio quando lui si fermo proprio al centro del corridoio. La porta della 727 era socchiusa. Tu Tian? Jericho? Yoyo? Uno dei tre avrebbe presto rimpianto di non avere chiuso la porta. Yoyo fu la prima a vedere il giroplano. «Dove?» grido Jericho. «Credo stia venendo da questa parte.» Si sposto verso il bordo dello skyport. «Oh, maledizione! Gli sbirri. Sono gli sbirri!» Jericho, che stava parlando col pilota dell’aerotaxi, si copr gli occhi con la mano. Yoyo aveva ragione. Il velivolo che si stava avvicinando era un giroplano della polizia, proprio come quello che aveva visto qualche ora prima sopra la Porta di Brandeburgo. «Potrebbero essere qui per mille motivi diversi.» Yoyo corse verso di lui. «Tu Tian mandera tutto all’aria.» «Ancora non e successo niente.» Jericho indico lo skycab con un cenno del capo. «Saliamo. Cos almeno non ti vedono qui mentre ti agiti.» «Ah!» esclamo Tu Tian. Era andato a fare pip. E, mentre la faceva, con la sinistra impegnata a dirigere il getto e il cellulare nella destra, il suo cervello strapazzato per un attimo aveva addirittura mescolato le due azioni: aveva quasi scrollato l’ultima goccia dal cellulare e appoggiato l’orecchio al pisello. Un uomo succube della comunicazione. La cosa lo aveva fatto inorridire. Almeno in bagno non doveva esserci bisogno di comunicare. A tutto c’era un limite. Nulla avrebbe dovuto indurre un uomo a scambiare il proprio membro per un cellulare. Dopo aver concepito quel pensiero, aveva appoggiato il coso, quello col display, e si era dedicato interamente al richiamo della natura. Il bagno era incassato nella zona soggiorno, come una stanza incastonata in un’altra stanza, con due accessi posti l’uno di fronte all’altro. Si poteva entrare sia dalla camera da letto sia dal salotto. Tu Tian apr la porta di vetro scorre-
vole che dava sulla camera da letto e guardo subito verso il water. Eccolo l, sulla cassetta dello sciacquone. Che idiota. E ora via. Xn entro nella suite e si guardo intorno. Si trovava in una specie di soggiorno, in fondo al quale s’intravedeva un altro locale inondato di sole: la camera da letto. Alla sua destra c’era una porta in vetro satinato, chiusa, dietro la quale risuonavano dei passi e una melodia fischiettata senza convinzione. C’era qualcuno in bagno. La sua mano s’infilo sotto il soprabito. Il giroplano atterro. Yoyo si schiaccio contro il sedile come se volesse fondersi con l’imbottitura. Jericho arrischio uno sguardo all’esterno. Due uomini in divisa scesero dal velivolo ultraleggero, andarono verso l’addetto al terminal e gli dissero qualcosa. «Cosa vogliono di nuovo?» brontolo il pilota in inglese, con un forte accento tedesco, sporgendosi incuriosito. «Non ci lasciano piu in pace nemmeno in cielo.» «È un bene, lo fanno per proteggerci», cinguetto Yoyo. Lui le lancio un’occhiataccia. Temeva che l’addetto, da un momento all’altro, li indicasse. Se la polizia aveva delle fotografie, erano spacciati. L’uomo gesticolo in direzione dell’interno del terminal, dove si trovavano gli ascensori. Jericho trattenne il fiato. Vide i poliziotti scambiare qualche parola, poi uno di loro si giro verso lo skycab. Per un attimo sembro che lo stesse fissando dritto negli occhi, poi distolse lo sguardo e, insieme col collega, scomparve sotto la tettoia del terminal. «Speriamo che Tu Tian non se li trovi davanti», sussurro la ragazza. I passi si avvicinarono. Si sent qualcosa sbattere. Dietro il vetro opaco della porta del bagno, Xn distinse la silhouette di una persona, che si fermo proprio l davanti. Punto l’arma. Con un movimento improvviso spalanco la porta, afferro l’uomo e lo spinse contro la parete, quindi richiuse la porta dietro di se e gli premette la canna della pistola contro la tempia. «Non una parola.» «Cosa?» mormoro uno dei poliziotti. L’altro indico qualcosa davanti a loro. «Credo che la 727 sia aperta.» «Hai ragione.» «Almeno sappiamo da che parte cominciare, no?» Dal ponte di volo erano scesi al settimo piano per controllare le stanze prenotate dal cinese. La sua fotografia era registrata nel database dell’aeroporto ed era stata scaricata sui loro cellulari, percio sapevano esattamente che aspetto avesse. Ma, a parte quello, non sapevano quale delle tre suite occupasse.
«Avremmo dovuto mostrare la fotografia di Tu Tian al tizio sul tetto.» «Perche adesso ti viene in mente una cosa del genere?» bisbiglio il collega. «Cos.» L’altro si mordicchio il labbro. Si erano limitati a chiedere dove si trovassero le suite. «Non lo so. Cosa vuoi che ne sappia l’impiegato del ponte di volo?» Attraverso la porta aperta della camera 727 si riusciva a intravedere una parte del soggiorno. «Non importa», sussurro l’altro. «Ora non ha piu molta importanza.» Xn era immobile, in ascolto. La mano sinistra premeva sulla bocca dell’uomo grassottello e sudato, l’arma era ancora puntata contro la sua tempia. Gli sarebbe piaciuto fare un paio di domande a quel tizio, ma si era appena verificato un imprevisto. C’erano degli uomini proprio davanti alla porta, almeno due, che cercavano di parlare sottovoce. Un’impresa che non poteva avere successo, perche l’udito del killer era sensibile come un radiotelescopio. Per lui quei due non stavano sussurrando, ma urlando come ubriachi. Sembravano particolarmente interessati alla camera 727. Dalla cassa toracica del suo ostaggio usc un suono soffocato. Lui scosse la testa in segno di ammonimento e... Tu Tian trattenne il fiato. Era come impietrito, gli occhi sbarrati. Il minimo errore e sarebbe finita, era chiaro. Finita una volta per tutte. I poliziotti si scambiarono un’occhiata. Estrassero le pistole, poi uno di loro indico la porta della camera con un cenno del capo, come se avesse detto: «Entriamo». Xn passo in rassegna le alternative. Poteva mettere in guardia la sua vittima: una parola e sei morto. Nascondersi accanto alla doccia e sperare che l’uomo fosse abbastanza terrorizzato da non tradire la sua presenza. Molto rischioso. Usarlo come scudo. Ancora piu rischioso. Come sarebbe riuscito a portare fuori dallo Hyatt un ostaggio? Non sapeva chi fossero gli uomini la fuori. Visto che cercavano di non fare rumore, forse si trattava del servizio di sicurezza o della polizia. Oppure di Jericho? Il bagno aveva due entrate. Entrambe le porte erano chiuse. Poteva solo sperare che gli uomini ispezionassero prima la camera da letto, per poi entrare in bagno da l. Quello gli avrebbe dato la possibilita di svignarsela dalla porta del soggiorno senza essere visto. Per farlo, pero... Senza lasciare l’arma, circondo la testa dell’orientale con un braccio e, con un rapido movimento, gli spezzo l’osso del collo. Il corpo si affloscio. Xn lo afferro e lo fece scivolare a terra senza rumore.
I poliziotti avanzarono con grande cautela lungo le pareti del corridoio. Sulla sinistra, uno specchio duplicava la loro presenza. A destra videro una porta di vetro satinato che, evidentemente, portava al bagno. Uno si fermo e guardo il collega con espressione interrogativa. L’altro indugio, scosse la testa e indico un punto davanti a loro. Ripresero a muoversi. Tu Tian espiro. Quand’era uscito dalla suite e, nel corridoio, si era trovato davanti due uomini in divisa, il cuore era diventato di ghiaccio. Senza osare richiudersi la porta alle spalle, li aveva visti rallentare davanti alla camera 727, fermarsi e parlottare sottovoce. Per tutto il tempo gli avevano dato le spalle, sebbene di sicuro fosse proprio lui l’uomo che stavano cercando. Si era come paralizzato, a meno di dieci metri da loro: se soltanto si fossero voltati, lo avrebbero arrestato. Ma non lo avevano fatto. Non capiva perche la loro attenzione fosse rivolta alla stanza di Yoyo. Ma, all’improvviso, gli fu chiaro. Noto che la porta era aperta, e si rese conto di aver avuto una fortuna incredibile. Perche Yoyo aveva lasciato la porta aperta? Fretta? Distrazione? Non era il caso di stare a pensarci troppo. Chiuse a chiave la 717, cercando di non fare il minimo rumore, percorse il corridoio con passo felpato, passo davanti alla lounge, raggiunse gli ascensori, premette il sensore e sollevo lo sguardo verso i display. Tutti gli ascensori erano al pianterreno. I sensi di Xn cercavano di captare ogni singolo gesto degli agenti. Erano due, proprio come aveva supposto, e in quel momento stavano entrando nella camera da letto, dove si separarono. Lancio un’occhiata al cadavere dell’inserviente dell’hotel, con la testa in una posizione innaturale per via della frattura all’osso del collo. Nella mano destra stringeva ancora il flacone di shampoo che stava per appoggiare sulla mensola sotto lo specchio. Si ricordo di avere visto un carrello di servizio nel corridoio. Senza fare rumore, apr la porta del bagno che dava sul soggiorno, sguscio fuori e la richiuse delicatamente. Per un attimo intravide il braccio e la spalla di uno degli agenti, spero non ce ne fossero altri appostati davanti alla suite e usc. Tu Tian saltellava da un piede all’altro respirando affannosamente, si guardava intorno, stendeva le dita e poi stringeva i pugni. Forza, stupido ascensore, mi devi solo portare sul tetto! Sui display i numeri dei piani si susseguivano con una lentezza straziante. Due cabine stavano salendo. Una si fermo al quinto piano, la seconda al sesto, proprio sotto di lui. Per un attimo provo una rabbia omicida nei confronti delle persone che entravano e uscivano. Gli
stavano facendo perdere un sacco di tempo. Li odiava con tutto il cuore. Muoviti, maledizione! Stanza 727. I poliziotti si avvicinarono alla porta di vetro che, dalla camera da letto, immetteva nel bagno. Si fermarono cercando di carpire eventuali rumori all’interno. Ma non udirono nulla. Alla fine uno dei due si fece coraggio. Piu o meno in quell’istante avrebbero scoperto il cadavere. Con passi misurati, Xn si avvicino all’angolo dove iniziava il corridoio che portava agli ascensori. Cerco di mantenersi calmo. I poliziotti non l’avevano visto uscire e aveva richiuso bene la porta. Nulla poteva indicare che l’assassino dell’inserviente si trovasse nel bagno fino a pochi secondi prima. Non c’era motivo di affrettarsi. Sette. Tu Tian avrebbe giurato che l’ascensore aveva percorso gli ultimi metri al rallentatore. Alla fine le porte d’acciaio si aprirono e usc un gruppo di giovani vestiti in abiti eleganti. Si fece largo senza troppi complimenti, appoggio il pollice sullo scanner e premette il pulsante SKYPORT. Le porte si richiusero. Xn giro l’angolo. Alcuni ospiti dell’hotel gli vennero incontro. Vide uno degli ascensori chiudersi, si avvicino a quello accanto, premette il sensore e attese. «Oh, finalmente!» esclamo Yoyo. Tu Tian era spuntato trafelato dal terminal, il busto proteso in avanti come se tentasse di fuggire dalle proprie gambe. Si butto nella cabina, si lascio cadere sul sedile con un tonfo e fece un cenno al pilota. «Hai la faccia di uno che ha visto un fantasma», commento Jericho, mentre gli ugelli del velivolo ruotavano in posizione verticale. «Due.» Per rafforzare il concetto, alzo l’indice e il medio, poi si rese conto del valore simbolico del gesto che alludeva alla vittoria e scoppio a ridere. «Ma loro non hanno visto me.» «Idiota», lo insulto la ragazza sottovoce. «Per favore...» «Non farlo mai piu. Owen e io abbiamo sudato freddo.» Decollarono. Il ponte di volo e il giroplano della polizia diventarono sempre piu piccoli, poi il pilota accelero e si lasciarono Potsdamer Platz alle spalle. Tu Tian guardo fuori dal finestrino, offeso. «Potete tranquillamente continuare a sudare. Non siamo ancora al sicuro.» «Cos’hanno fatto gli sbirri?»
«Sono entrati nella tua stanza. A proposito, avevi lasciato la porta aperta.» «No, l’avevo chiusa.» «Strano. Allora forse stavano rifacendo il letto.» «Comunque non troveranno nulla.» «Dimenticato niente?» Yoyo lo fisso. «Proprio tu mi chiedi se ho dimenticato qualcosa? » Tu Tian tossicchio, estrasse il cellulare e chiamo l’aeroporto. Certo che hai dimenticato qualcosa, penso Jericho. Tutti abbiamo dimenticato qualcosa. Impronte digitali, capelli, DNA... Si chiese se non sarebbe stato meglio coinvolgere le autorita locali, ma il cinese sembrava condividere l’avversione di Yoyo per la polizia. Pero la Germania non era la Cina. Fino a quel momento, nel dramma che stavano vivendo, non erano affiorati interessi tedeschi. In compenso la loro impresa aveva assunto connotazioni disperate. Sebbene in realta non avessero commesso reati, la loro situazione era sempre piu complicata. Tu Tian richiuse il cellulare e guardo Jericho a lungo, mentre lo skycab sfrecciava verso l’aeroporto. «Lascia perdere.» «Cosa?» «Ti stai chiedendo se dovremmo costituirci.» «Non lo so», sospiro Jericho. «Io s. Prima di conoscere il contenuto del dossier e di aver parlato un’altra volta con l’incantevole Edda Hoff, non coinvolgeremo nessuna autorita.» Tu Tian punto l’indice all’altezza della tempia. «Ci affideremo solo alla nostra intelligenza.» Il ronzio di uno sciame di calabroni infuriati non era niente a confronto delle vibrazioni che avevano iniziato a scuotere la polizia dopo il massacro al Pergamonmuseum. E adesso pure un indonesiano morto, un giovane inserviente che conduceva una vita inappuntabile, parlava pochissimo tedesco e aveva l’umilissimo compito di distribuire sapone, carta igienica e dolcetti della buonanotte. Un lavoro in cui si poteva rischiare di essere rimproverati dai clienti o di trovare una stanza trasformata in un porcile, non certo di farsi spezzare l’osso del collo. Anche non considerando i due poliziotti uccisi al museo, diverse persone sembravano collegate da un filo misterioso. C’era il cadavere del proprietario di un ristorante con un passato sudafricano, che a sua volta, usando una matita come arma, aveva spedito all’altro mondo un uomo la cui identita era tuttora ignota: un’aggressione che richiedeva conoscenze piuttosto inusuali per un ristoratore. Poi la moglie, una donna di colore, assassinata e poi scarrozzata in giro per mezza citta a bordo della propria automobile. E ancora il conducente del veicolo, bianco, capelli biondi, che al museo aveva tentato di aiutare Donner, ed era a sua volta diventato la preda di un killer, anch’esso senza nome, alto, capelli bianchi, baffi, vestito eleg-
ante e occhiali scuri. Senza contare il proprietario di un’azienda con sede a Shanghai, che, spacciandosi per poliziotto, in compagnia di una giovane cinese, aveva sottratto l’occhio di vetro di Donner. E, per finire, l’indonesiano, grazie al quale i bagni dell’albergo erano sempre riforniti con tutto il necessario e gli ospiti trovavano dolci sorprese sul proprio guanciale prima di andare a letto. Un bel mistero. Saggiamente, gli inquirenti non tentarono nemmeno di risolvere tutti gli enigmi in una volta sola, sebbene fossero gia in grado di trarre qualche conclusione: l’uomo coi capelli bianchi era un killer professionista; l’occhio di vetro custodiva un segreto che forse era la causa di tutte quelle morti; l’indonesiano si era semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Diedero priorita alle indagini sull’imprenditore cinese, non tanto per arrivare a chiarire le ragioni dell’incursione all’obitorio, quanto piuttosto per acciuffarlo il prima possibile. Da come erano state lasciate le tre suite prenotate a suo nome al Grand Hyatt, si poteva essere sicuri che gli occupanti non avevano intenzione di rimetterci piede. L’unica cosa certa era che Tu Tian e la donna dall’Istituto di medicina legale erano tornati subito in albergo, avevano incaricato il portiere di parcheggiare l’Audi nel garage sotterraneo per poi scomparire chiacchierando nella hall. Il portiere si ricordava perfettamente delle loro parole. Si erano dati appuntamento con una terza persona al Sony Center, perche il grassone voleva qualcosa di dolce. Tra l’altro, la donna era davvero molto bella. I poliziotti chiesero al portiere se capisse il cinese, ma lui sostenne che la conversazione era avvenuta in inglese, circostanza che il capo della commissione speciale ritenne subito sospetta: secondo le dichiarazioni della dottoressa Voss, all’obitorio i due tra loro avevano parlato in cinese. Per scrupolo, invio una pattuglia al Sony Center e ordino ai suoi uomini di scoprire come Tu Tian fosse arrivato a Berlino. Piu ci pensava, piu si convinceva che Tu Tian e il biondo stavano dalla stessa parte. Lo skycab aveva raggiunto l’aeroporto in otto minuti scarsi: a Jericho erano sembrati un’eternita. Cerco d’immedesimarsi negli inquirenti della commissione speciale. Quali sarebbero state le loro priorita? Su cosa avrebbero focalizzato l’attenzione? Lui stesso era sul luogo della sparatoria, alcuni testimoni lo avevano visto correre verso il Tiergarten. Avrebbero preteso dei chiarimenti da lui. Il fatto che al museo fosse armato non giocava a suo favore, tuttavia la perizia balistica avrebbe dimostrato che non era stato lui a uccidere Nyela. Yoyo e Tu Tian, invece, si erano resi colpevoli di esercizio abusivo di funzioni pubbliche e di violazione di cadavere. Inoltre Tu Tian aveva temporaneamente modificato le norme del codice della strada a proprio vantaggio. Ma i poliziotti dovevano seguire anche molte altre piste e, grazie a Dio, quello avrebbe rallentato le indagini. Dovevano accertare le identita delle persone coinvolte, stabilire la cronologia degli avvenimenti, raccogliere dichiarazioni, chiarire i
moventi. Sarebbero sprofondati in una palude di congetture. D’altro canto, la polizia fino a quel momento aveva gia dato prova di grande efficienza. Si erano presentati al Grand Hyatt con un’incredibile e ammirevole tempestivita, e quello dimostrava che Tu Tian era nel mirino. Restava da appurare se sapessero del jet o se comunque supponessero che avrebbe lasciato Berlino entro breve. Lo skycab viro sopra il terminal dei voli privati e, seguendo un’ampia curva, scese di quota. Avvistarono l’Aerion Supersonic fermo sulla pista. Con le sue corte ali, ricordava un uccello marino che allungava il collo incuriosito, come se avesse fretta anche lui di svignarsela. Il pilota oriento gli ugelli e atterro non lontano dal jet. Tu Tian gli porse una banconota. «A posto cos», disse in inglese. Quella generosita stimolo la disponibilita del pilota, che offr immediatamente il suo aiuto per scaricare i bagagli. Ma, a parte la piccola borsa di Tu Tian, non c’erano altre valigie; allora chiese se poteva rendersi utile in qualche altro modo. Dopo una rapida riflessione, il cinese gli disse: «Aspetti qui finche non ce ne saremo andati e, nel frattempo, non parli con nessuno». Il capo della commissione speciale si stava dirigendo verso lo skyport del presidio di polizia quando ricevette una chiamata. Prima che potesse rispondere, vide corrergli incontro un’impiegata. «Sappiamo chi e l’uomo calvo», quasi urlo la donna. Lui ebbe un attimo d’indecisione. La chiamata infatti proveniva da uno degli uomini che dovevano trovare informazioni sull’arrivo e sul soggiorno di Tu Tian a Berlino. L’impiegata gli mostro il display del suo cellulare con una fotografia dell’uomo sdraiato su un tavolo autoptico, con frammenti di matita nel lobo cerebrale frontale. «Richiamo io», disse lui al telefono. «Tra due minuti.» «Mickey Reardon», annuncio la donna. «Un veterano del terrorismo irlandese, specializzato in impianti di allarme. In seguito allo smantellamento dell’IRA, vent’anni fa, ha lavorato come libero professionista per tutti i servizi segreti possibili e immaginabili e per organizzazioni al limite tra politica e crimine.» «Un irlandese? Oh, santo cielo!» Scoprire che Reardon fosse membro dell’ex esercito popolare nordcoreano lo avrebbe impressionato di meno. Ogni volta che le forze armate regolari o le organizzazioni militari esaurivano la propria funzione, spuntavano personaggi come Reardon, i quali, se non passavano direttamente nelle file della criminalita organizzata, spesso si mettevano a disposizione dei servizi segreti internazionali. «Per chi ha lavorato?» «Disponiamo solo d’informazioni parziali. Piu volte per l’MI6, per il Mossad, per lo Zhong Chan’erbu, il BND. Un personaggio poliedrico, molto abile nell’installazione e nella disattivazione dei sistemi di sicurezza. Segnalato piu volte alle autorita per il coinvolgimento in
crimini gravi e forse anche in qualche omicidio.» «Reardon era armato», disse pensieroso il capo della commissione. «Quindi era in missione. Donner lo ha fatto fuori ed e stato ucciso a sua volta. Dall’uomo coi capelli bianchi. Un’operazione dei servizi segreti? Reardon e l’uomo coi capelli bianchi da una parte, Donner e il biondo che voleva aiutarlo dall’altra... » Si era quasi dimenticato di essere diretto al Grand Hyatt. «Dobbiamo andare», annuncio il suo accompagnatore. E fu cos che solo dopo il decollo si ricordo di dover fare una telefonata. Il jet si porto sulla pista di rullaggio. Tu Tian ridusse la spinta e attese l’autorizzazione. Era preoccupato, molto piu di quanto desse a vedere. In realta Jericho aveva ragione. Quello che stavano facendo era una follia. Stavano fuggendo dalla polizia tedesca senza che ce ne fosse bisogno, quando magari le forze dell’ordine avrebbero persino potuto aiutarli. Ma non ne erano affatto sicuri. Tu Tian aveva sperimentato sulla propria pelle l’arbitrarieta del potere delle autorita statali, sebbene si sforzasse di non scambiare ogni ombra per un nemico. Le radici della sua paranoia affondavano nel tempo, a ventotto anni prima, e tuttavia stava trasformando i suoi compagni in ostaggi della propria diffidenza, in particolare Yoyo, gia piuttosto incline a schemi comportamentali paranoidi. In un certo senso li stava manipolando. Cerco di convincersi che comunque agiva nel modo giusto, e forse era davvero cos. Ma non era quello il punto: se ne era reso conto la sera precedente quando, vagando per Berlino con Yoyo, aveva compreso all’improvviso che la sua paranoia non era niente in confronto a quella che tormentava Hongbng. L’uno strisciava nelle catacombe dei ricordi, l’altro le attraversava fischiettando allegramente. Rispetto a Hongbng lui stava benissimo, anche se non tanto da riuscire a superare sempre tutto da solo. Aveva fornito a Yoyo un assaggio della storia, gettandola in una confusione ancora piu profonda. Non c’era niente da fare. Avrebbe dovuto raccontarle anche il resto, quello che finora aveva confidato solo a Joanna. Pensando che Hongbng avrebbe approvato la decisione, si ripromise di compiere quel gesto liberatorio non appena se ne fosse presentata l’occasione. Avrebbe preferito che Hongbng parlasse con Yoyo di persona, ma andava bene anche cos. Qualunque cosa era meglio del silenzio. Dobbiamo metterci una pietra sopra, una volta per tutte, penso. Basta fuggire, basta rifugiarsi nel successo o nella disperazione. Una voce nelle cuffie diede l’autorizzazione al decollo. Tu Tian aumento la potenza delle turbine e fu sottoposto a una spinta che lo schiaccio contro il sedile. Il jet decollo.
Solo alcuni minuti piu tardi il capo della commissione speciale fu informato che Tu Tian era arrivato a Berlino con un aereo privato del modello Aerion Supersonic. Le suite allo Hyatt erano vuote, evidentemente il cinese e i suoi accompagnatori se n’erano andati. Forse si trovavano ancora in citta: non avevano effettuato il check-out in albergo e l’Audi che Tu Tian aveva noleggiato in aeroporto era ancora parcheggiata nel garage del Grand Hyatt. D’altro canto, in una camera era stato trovato un cadavere. Il capo della commissione ordino alla sua squadra di bloccare il jet del cinese, ma ben presto cap che l’identificazione di Mickey Reardon gli era costata cara e gli aveva fatto perdere minuti decisivi. Impreco a voce talmente alta che gli agenti della Scientifica che lavoravano intorno a lui si fermarono sorpresi. Ormai era tutto inutile. Tu Tian aveva lasciato Berlino. AERION SUPERSONIC «Certo che legge i cristalli di memoria!» urlo Jericho verso la cabina, come se Tu Tian gli avesse chiesto se si faceva la doccia tutti i giorni. «Chiedo mille volte scusa. Mi ero dimenticato che per te e come una moglie.» Jericho estrasse l’hardware di Diane dallo zaino, lo collego alle interfacce di bordo e sollevo il monitor della console del sedile. Accanto a lui, Yoyo trafficava con l’occhio di vetro di Vogelaar. Lo svito, separo le due meta e ne estrasse un oggetto luccicante, piu piccolo di una zolletta di zucchero. Tu Tian viro. Berlino sembrava andare loro incontro dai finestrini laterali; dal lato opposto, il cielo si tinse di un blu intenso. «Ciao, Diane.» «Ciao, Owen. Come stai?» «Cos cos.» «Cosa posso fare per farti stare meglio?» «Roba da matti. Non appena hai un minuto mi devi assolutamente raccontare come bacia», sussurro in tono canzonatorio Yoyo. Jericho fece una smorfia. «Apri il Crystal Reader, Diane.» Sul lato anteriore del computer fuoriusc un alloggiamento dal bordo trasparente. Il jet si stabilizzo sulla rotta e continuo a salire di quota. Sotto di loro, l’area metropolitana cedette il posto a campi arati, verdi, marroni e gialli, intervallati da boschetti, strade e paesini che sembravano toppe su una coperta. Macchie di laghi e corsi d’acqua riflettevano l’intenso sole pomeridiano. «Spero almeno che la porcheria che ho fatto allo Charite sia servita a qualcosa.» Yoyo inser il piccolo dado e il minuscolo cassetto si richiuse. «Tutti abbiamo fatto dei sacrifici», replico Jericho, stizzito, mentre Diane caricava i dati. «Tu Tian stava per buttare al vento centomila euro.»
«Per non parlare del tuo orecchio.» Yoyo lo guardo. «Cioe, del pezzetto d’orecchio che hai perso. Del sottilissimo strato di...» «Della seria lesione al mio orecchio.» Il monitor si riemp di simboli. Jericho inspiro profondamente. Il dossier era molto piu consistente del previsto. Per un momento, lui percep quell’ambigua punta di timore che si prova un attimo prima di entrare nella tana del mostro, di vederlo in tutto il suo orrore e svelarne la vera natura. Di l a pochissimo avrebbero saputo perche qualcuno dava loro la caccia, perche tante persone avevano perso la vita. Lui sapeva che quello che avrebbero scoperto non gli sarebbe piaciuto. Anche la ragazza era titubante. Appoggio un dito sulle labbra e rimase immobile. «Se fossi stata in lui avrei inserito una versione sintetica, non credi anche tu?» «Certo. Ma dove?» «Qui.» Il dito si stacco dalle labbra e si poso su un simbolo contraddistinto dalla dicitura JKV_Intro. «JKV?» «Jan Kees Vogelaar.» «Potrebbe avere senso. Proviamo. Diane?» «S, Owen.» «Apri JKV_Intro.» Apparve Vogelaar in camicia e pantaloncini corti, seduto su una terrazza coperta da una rozza tettoia di legno, con un drink accanto. Sullo sfondo, s’intravedevano colline coperte di boscaglia che digradavano verso la costa. Qua e la dalla bassa vegetazione spuntavano delle palme. Stava piovigginando. Sulla scena incombeva un cielo di un colore indefinibile, che si fondeva con un mare lontano lungo la linea dell’orizzonte. «La probabilita che in questo momento io non sia piu tra i vivi e piuttosto alta», disse Vogelaar senza perdersi in convenevoli. «Percio ascoltatemi attentamente, chiunque voi siate. Da me non potrete ricevere nessun’altra informazione.» Piegandosi in avanti, Jericho si avvicino al monitor. Fissare Vogelaar negli occhi era come guardare uno spettro. E forse era proprio cos, perche stavano letteralmente guardando attraverso uno dei suoi occhi. Diversamente da come l’avevano conosciuto a Berlino, nel filmato aveva di nuovo i capelli biondo cenere, baffi folti, sopracciglia e ciglia chiare. «Non ci sono cimici qui. Si potrebbe pensare che in un Paese come questo, costituito quasi esclusivamente da paludi e foreste pluviali, l’intimita non sia un problema, tuttavia Maye e stato contagiato dalla stessa paranoia di cui soffrono i potenti della sua pasta. Suppongo che pure Ndongo avrebbe cercato d’intercettare persino i pappagalli. Ma, dal momento che hanno nominato me capo della sicurezza, sorvegliare la valorosa popolazione della Guinea
Equatoriale e compito mio, soprattutto la famiglia regnante e i nostri stimati ospiti stranieri. Il mio compito e proteggere Maye. Lui si fida di me e io non ho intenzione di tradire la sua fiducia.» Vogelaar allargo le braccia come se volesse abbracciare lo sfondo. «Come vedete, siamo in paradiso. Di mele ce ne sono in abbondanza e, come in ogni paradiso che si rispetti, anche qui c’e un serpente che vuole tenere sotto controllo tutto e tutti. Kenny Xn non si fida di nessuno. Nemmeno di me, sebbene si professi mio amico e mi abbia procurato questo lavoretto alquanto remunerativo... A proposito, cari saluti, Kenny. Come vedi, la tua diffidenza era giustificata.» Rise. «Forse non lo conoscete, in ogni caso e lui il motivo che mi ha spinto a compilare questo dossier. Molti dei documenti allegati lo riguardano, quindi per ora accontentiamoci di sapere che nel 2017 Kenny Xn ha organizzato il colpo di Stato contro Juan Aristide Ndongo per conto di alcuni gruppi petroliferi cinesi e con l’approvazione di Pechino. Lo ha realizzato col mio aiuto o, per essere piu precisi, con l’aiuto dell’African Protection Services. Il dossier contiene la cronaca del rovesciamento, alcune informazioni riservate sul ruolo del governo cinese in Africa e molto altro ancora, ma il nucleo del dossier riguarda un’altra questione. » Accavallo le gambe e scaccio pigramente un insetto grande come un pugno. «Forse qualcuno ricorda la rampa di lancio fatta costruire da Maye sull’isola di Bioko nel 2022. Al progetto hanno partecipato diverse aziende internazionali, coordinate dal gruppo Zheng. Questo farebbe supporre che la Cina abbia avuto le mani in pasta anche in questa faccenda. Io non credo che le cose stiano cos. Non e vero nemmeno quello che abbiamo sempre dichiarato pubblicamente, ossia che il nostro programma spaziale fosse al cento per cento un’idea di Maye. In realta e stato promosso da un gruppo d’investitori verosimilmente cinesi che, a mio avviso - e contrariamente a quanto loro stessi dichiarano -, non sono un’emanazione di Pechino ed erano rappresentati da Kenny Xn. Questa organizzazione voleva lanciare nello spazio, dal nostro territorio, un satellite per le comunicazioni, per testare dei propulsori innovativi. Maye avrebbe potuto utilizzare il satellite per scopi civili, a condizione di spacciare l’intero progetto spaziale per un’iniziativa personale. Ho allegato i progetti della rampa insieme con la lista di tutte le imprese che hanno partecipato alla sua costruzione.» «Andiamo, ci sta prendendo per il culo», sibilo Yoyo. «Non credo», replico Jericho scuotendo la testa. «Non ci puo piu prendere per il culo.» «Ma e proprio quello che ci ha raccontato al Muntu...» Lui la interruppe con un gesto della mano. «Ascolta.» «... il lancio era programmato entro due giorni. Pertanto i preparativi dovevano essere conclusi, mancava solo il posizionamento del satellite sulla punta del vettore. Quella notte, nell’area della rampa e arrivato un convoglio di veicoli blindati. Qualcosa e stato portato nel capannone del cantiere e agganciato al satellite, un oggetto delle dimensioni di una grande valigia o di una cassettiera, dotato di un modulo di atterraggio, ugelli e serbatoi sferici.
L’oggetto poteva essere ripiegato per ridurre l’ingombro al minimo. Della consegna e del montaggio si sono occupate soltanto persone di fiducia di Xn, non erano presenti tecnici stranieri e nemmeno il personale del gruppo Zheng. In quel momento, ne Maye ne nessun altro del suo governo era a conoscenza del fatto che nello spazio sarebbe stato lanciato anche qualcos’altro oltre al satellite. Io non sono un esperto di astronautica, ma ritengo che quella custodia fosse una piccola navicella spaziale, una sorta di unita di atterraggio automatica. I miei uomini hanno fotografato l’arrivo del convoglio e la custodia stessa. Potete trovare le immagini nei file ’Kon_Pics’ e ’Sat_Pics’.» Vogelaar sogghigno. «Stai ancora guardando, Xn? La tua ossessione di sorvegliarmi non ti ha neppure permesso di accorgerti che anche noi sorvegliavamo voi!» Tu Tian spunto dalla cabina di pilotaggio e si un a loro. «Ho inserito il pilota automatico. Al momento stiamo volando verso Amsterdam, quindi perche non beviamo...» «Zitto!» intimo Yoyo. «... volevo sapere cosa contenesse quella custodia», continuo Vogelaar. «Per scoprirlo, dovevo ricostruire il percorso seguito dall’oggetto. Forse dovrei precisare che le persone che l’avevano consegnata col favore delle tenebre erano quasi tutte cinesi. In ogni caso, siamo riusciti a ricostruire la rotta dell’aereo a bordo del quale e giunto in Africa dopo una serie di scali intermedi. Per ovvi motivi, ero convinto che il velivolo fosse partito dalla Cina. Invece, con mia grande sorpresa, accertammo che proveniva dalla Corea, per l’esattezza da un aeroporto isolato del Nord, vicino al confine.» Sullo sfondo aveva cominciato a piovere a dirotto. Il crescente scrosciare della pioggia si mescolava alle parole di Vogelaar, mentre un grigio cangiante colorava il cielo, la boscaglia e il mare. «Nel corso degli anni mi sono costruito una rete di contatti piuttosto estesa. Anche nel Sud-est asiatico. Una persona che mi doveva un favore ha cercato di scoprire che cosa fosse stato caricato in quell’aeroporto. Dovete sapere che la regione e tutt’altro che sicura. Le acque circostanti sono infestate dai pirati, c’e molta criminalita, disoccupazione, frustrazione. Dal 2015 il Sud finanzia la ricostruzione del Nord, ma i soldi scompaiono in un’enorme bolla speculativa. Di conseguenza dilagano corruzione e mercato nero. Uno dei commerci piu lucrosi e la rivendita dell’ex arsenale di Kim Jong-un, in particolare delle testate missilistiche. Le armi piu richieste sono le cosiddette ’mini-nuke’, piccole bombe atomiche dotate di un potenziale distruttivo considerevole. Gia i sovietici ne avevano sperimentato l’utilizzo, forse anche tutte le altre superpotenze. Anche Kim ne possedeva a centinaia. Ma nessuno sa dove siano andate a finire. Dopo il crollo del regime nordcoreano, la morte di Kim e la riunificazione, sono scomparse. Dato che non sono particolarmente grandi» — il mercenario distanzio le mani di circa un metro — «e lo spessore non supera quello di una scatola da scarpe, non e facile trovarle. Una mini-nuke puo scatenare l’inferno, ma e cos piccola da poter essere nascosta ovunque.» Sorrise. «Per esempio, in una
navicella che viene clandestinamente lanciata nello spazio agganciata a un satellite.» Jericho fisso il monitor. Sulla vegetazione alle spalle di Vogelaar si stava abbattendo un temporale. «Volevo sapere se in tempi recenti qualcuno avesse fatto acquisti sul mercato nero. Il mio contatto me lo ha confermato. Meno di due anni prima, nella terra di nessuno al confine tra il Nord e il Sud, nell’ambito di una transazione privata, del materiale nucleare di origine coreana, con ogni probabilita una mini-nuke, aveva cambiato proprietario. Io sono diffidente per natura e so perfettamente che bisogna prendere con le pinze le informazioni di seconda mano, ma gli indizi raccolti mi hanno fatto credere di conoscere molto bene l’acquirente.» Tu Tian era sbigottito. «È incredibile. Hanno lanciato una bomba atomica nello spazio?» «Era stato il nostro amico Kenny Xn a comprare quell’aggeggio. All’improvviso ho capito perche ci tenesse tanto a costruire la rampa di lancio proprio nel nostro piccolo e tranquillo paradiso nella giungla. Era un’operazione assolutamente illegale. Non sarebbe stato possibile introdurre una bomba atomica in nessun ente spaziale statale senza passare inosservati. I committenti di Kenny dovevano trovare un territorio neutrale, meglio se una repubblica delle banane governata da una cricca di delinquenti senza scrupoli. Inoltre, i punti migliori per i lanci nello spazio sono distribuiti lungo la linea dell’equatore. Per me questa e la prova che il Partito comunista cinese non c’entra niente in questa faccenda, almeno al piu alto livello, altrimenti avrebbe lanciato il finto satellite dalle rampe ufficiali a Xchang, Taiyuan, Hainan o in Mongolia, e nessuno avrebbe sospettato che trasportasse qualcosa di pericoloso. A mio avviso abbiamo a che fare con un’organizzazione privata, criminale o terroristica. Il che non significa che non vi possano essere implicati singoli organi statali. Non dimentichiamo che i servizi segreti cinesi ormai sono completamente autonomi, e nemmeno Washington e sempre al corrente di quello che fa la CIA. Ma e anche possibile che ci sia dietro un grande gruppo industriale. O anche solo il buon vecchio Dottor Mabuse, se qualcuno lo conosce ancora.» «E l’obiettivo della bomba...» sussurro Yoyo. Vogelaar si appoggio allo schienale e sorseggio il suo drink. «Questo dossier in realta era pensato come un’assicurazione sulla vita. Per me e per mia moglie, che forse avete conosciuto come Nyela. Evidentemente non e riuscito a salvarci, pertanto adesso puo servire a scovare i mandanti che si nascondono dietro l’organizzazione. Kenny ricopre un ruolo di primo piano, dal momento che e in contatto col capo della banda, di cui probabilmente conosce l’identita. La scansione dell’iride, le impronte digitali e la scansione vocale di Xn e nel file ’KXin_Pers’. Ma sono certo che non sia lui l’ideatore del progetto. Allora chi? Sicuramente non i coreani, che si limitano a smerciare l’eredita del loro amato leader defunto. Il Partito comunista, per portare in segreto degli armamenti nello spazio? Come ho gia detto, non avrebbe avuto bisogno di costruire una rampa nella Guinea Equatoriale. Forze vicine agli am-
bienti governativi come il gruppo Zheng? È possibile. Forse la risposta va cercata nella corsa alla conquista della Luna. La Cina ha fatto capire piu volte di non apprezzare i progressi americani, inoltre Pechino proietta il suo malumore sull’Orley Enterprises, il fortunato corrispettivo occidentale del gruppo Zheng. Oppure qualcuno cerca di scaricare la colpa sulla Cina, perche una situazione del genere si adatta perfettamente allo scenario della lotta spaziale per l’elio-3. Facendo esplodere una bomba atomica in un punto strategico, si potrebbero aizzare le superpotenze l’una contro l’altra. Ma a quale scopo? Entrambe uscirebbero indebolite da un conflitto. Forse pero e proprio questo l’obiettivo. Chi ne trarrebbe vantaggio?» Il jet sfrecciava sotto il controllo del pilota automatico. Avrebbe potuto passare accanto a un UFO e le persone a bordo non se ne sarebbero accorte: i loro occhi erano ipnotizzati dal monitor. «Ora veniamo alla questione di dove possa trovarsi la bomba in questo momento. Ancora sul satellite? Oppure e stata sganciata mentre il razzo vettore portava il satellite nello spazio? Sulla Terra non si e verificata nessuna esplosione nucleare, ma l’ordigno potrebbe semplicemente non essere esploso. D’altro canto, sarebbe stupido spedire una bomba in orbita per poi rimandarla sulla Terra. Credo di poter almeno fornire una risposta parziale a questa domanda, visto che siamo riusciti a tenere d’occhio Kenny e i suoi uomini anche nella sala di controllo. Il file ’Disconnect_Sat’ contiene un filmato che mostra non solo il satellite che si stabilizza nell’orbita terrestre, ma pure che poco dopo qualcosa si stacca e si allontana seguendo una traiettoria propria. È chiaro di che cosa si tratta, ma la domanda e: dove si e diretta la mini-nuke dopo essere stata sganciata? Anche qui la risposta e semplice. Verso un luogo non raggiungibile da un ordigno atomico seguendo le vie normali. Per quale motivo? Per distruggere qualcosa che non puo essere distrutto dalla Terra. L’obiettivo si trova nello spazio.» Vogelaar incrocio le dita. «Voglio proporvi un ultimo rebus da risolvere strada facendo. Riguarda l’anno in cui sto parlando davanti a questa videocamera, il 2024. Non intendo annoiarvi con storie di destini personali. Il nostro piccolo e grazioso Paese e al verde, non c’e piu nessuno che fa a botte per il nostro petrolio, Maye comincia a perdere la testa e, detto sinceramente, mi aspettavo che il mio lavoro fosse piu importante per le sorti dello Stato. Ma non importa. Voglio che riflettiate sul fatto che i lavori di costruzione della rampa sono iniziati due anni fa e che il progetto risale di sicuro a qualche anno prima. L’impiego della bomba quindi e pianificato da tempo. E adesso si trova lassu. A quando la detonazione? Una cosa e certa: l’obiettivo doveva esistere gia anni fa, o se non altro gli ideatori sapevano che sarebbe esistito al momento del lancio del satellite. Come ho gia detto, non sono un esperto di viaggi in orbita, ed esistono numerosi obiettivi potenziali sulla Terra e sulla Luna. Ma, per quanto ne so, solo uno verra finito e inaugurato a breve, forse entro quest’anno. Un hotel,
realizzato sulla Luna, costruito dall’Orley Enterprises. Questo vi dice qualcosa? Ma certo. Julian Orley, il grande avversario di Zheng, l’uomo che ha relegato i cinesi nelle retrovie per quanto riguarda la conquista dello spazio.» Vogelaar sollevo il bicchiere e brindo agli spettatori. Dietro di lui la Guinea Equatoriale veniva sommersa da cascate di pioggia tropicale. «Buon divertimento con la soluzione del caso. Di piu non sono riuscito a raccogliere, il resto dovrete scoprirlo da soli. Se sapete dove saro sepolto, venite a trovarmi qualche volta. A me e a Nyela farebbe molto piacere.» La registrazione termino. Si udiva solo il ronzio uniforme delle turbine. Lentamente, come in trance, Yoyo si volto a guardare prima Jericho, poi Tu Tian. La sua bocca formo due parole: «Edda Hoff». «S. E subito!» esclamo Tu Tian. Limit 30 MAGGIO 2025 L’AVVERTIMENTO ARISTARCHUS PLATEAU, LUNA Lo shuttle-pullman Ganymed era un modello Hornet equipaggiato con propulsori ionici e ugelli orientabili a trecentosessanta gradi, che permettevano di dirigere la spinta in qualsiasi direzione. Dall’esterno somigliava in modo grottesco a un elicottero da trasporto della classe Eurocopter HTH in cui i rotori erano sostituiti da piedi corti e tozzi, ma all’interno offriva il comfort di un jet privato. I trentasei sedili disponevano di una console multimediale e potevano essere trasformati in comodi letti premendo un pulsante. A bordo c’era anche una cucina ben fornita: mancavano solo le bevande alcoliche, perche il meraviglioso panorama era gia sufficientemente inebriante. Al momento il Gaia Hotel aveva due shuttle Hornet, il Ganymed e il Kallisto. Quel pomeriggio erano entrambi in servizio, a piu di millequattrocento chilometri di distanza: il Kallisto volava in direzione della Rupes Recta, una colossale faglia nel Mare Nubium, profonda duecentocinquanta metri e cos lunga da dare l’impressione che corresse tutt’intorno alla Luna; il Ganymed si dirigeva verso l’Aristarchus Plateau, un arcipelago di crateri al centro dell’Oceano delle Tempeste. Poche ore prima il Kallisto, pilotato da Nina Hedegaard e con a bordo gli Ögi, i Nair, i Donoghue e O’Keefe, aveva costeggiato la distesa di detriti intorno a Cartesio, dove ancora sonnecchiavano sotto il sole la struttura del modulo di allunaggio dell’Apollo 16 e un rover lunare abbandonato, che emanava un fascino nostalgico. Il Ganymed invece si era addentrato nel cratere Copernico. Gli escursionisti avevano ammirato la ripida catena montuosa, erano penetrati nella vasta area interna ed erano rabbrividiti all’idea del colosso che era caduto dal cielo in quel punto ottocento milioni di anni prima.
La Luna non era altro che un’enorme roccia, ma nel contempo era molto di piu. Grazie alla morbida ondulazione delle sue pianure, i maria sembravano veri mari e il fondo dei crateri parevano dei laghi. La bizzarria di quelle formazioni geologiche faceva pensare che in passato il satellite fosse stato abitato, come se gli eroici esploratori dello spazio di H.G. Wells si fossero davvero imbattuti in seleniti simili a insetti e in mandrie di mucche lunari, prima di essere rapiti dalle macchine del sottosuolo lunare. Quello spettacolo si era presentato alla vista di Carl Hanna, di Marc Edwards e di Mimi Parker, di Amber e dei Locatelli, di Evelyn Chambers e di Oleg Rogaev - la moglie era rimasta al Polo a crogiolarsi nella depressione -, ma Julian affermava che il meglio doveva ancora venire. A nord-ovest apparvero le prime propaggini dell’altopiano. Peter Black fece salire di quota lo shuttle, sopra il cratere Aristarchus, inondato da una luce fluida. «L’arena degli spettri», sussurro Julian con aria di mistero, gli angoli della bocca atteggiati in un sorriso infantile. «Luogo di avvistamento d’inspiegabili formazioni luminose. Qualcuno e convinto che Aristarchus sia abitato da demoni.» «Interessante», commento Evelyn. «Forse dovremmo lasciare Momoka qui per un po’.» «Le apparizioni cesserebbero», replico lei in tono asciutto. «Dopo un’ora in mia compagnia, anche l’ultimo demone vorrebbe traslocare su Marte.» Nell’espressione del volto di Locatelli si poteva leggere tutta l’ammirazione per il modo in cui sua moglie mescolava civetteria e autoironia. «E sai dirci qual e la causa?» chiese Oleg. «La questione e oggetto di un acceso dibattito. Le apparizioni luminose sono state osservate per secoli, sull’Aristarchus Plateau come in altri crateri, ma, ciononostante, fino a pochi anni fa gli astronomi ultraortodossi si rifiutavano persino di ammettere l’esistenza di questi Lunar Transient Phenomena.» «Forse dei vulcani?» ipotizzo Carl. «Wilhelm Herschel, un astronomo del tardo XVIII secolo, molto famoso ai suoi tempi, ne era convinto. Èstato uno dei primi ad avvistare dei puntini rossi nella notte lunare, gran parte in questa zona, e ha ipotizzato che si trattasse di eruzioni di lava. Piu tardi le sue osservazioni sono state confermate, altri scienziati hanno segnalato una nebbia viola, nubi scure e minacciose, fulmini, fiamme e scintille. Tutto estremamente misterioso.» «Per sputare lava, la Luna dovrebbe avere un nucleo fuso. Ce l’ha?» chiese Amber. Julian sorrise. «È proprio questo il punto. Generalmente si ritiene che questo nucleo ci sia, ma, se davvero esiste, e sepolto cos in profondita che delle eruzioni vulcaniche sarebbero impossibili. » Momoka osservo con diffidenza le fauci spalancate del cratere Aristarchus dal finestrino laterale.
«Non tenerci sulla corda», sollecito Evelyn. «Non preferite credere ai demoni?» «I demoni non hanno proprio niente di romantico», intervenne Mimi. «Vorrebbe dire che sulla Luna ci abita il diavolo.» Warren Locatelli, non molto interessato, cerco di tagliare corto: «E allora? Meglio qui che in California». «Col diavolo non si scherza», sentenzio Mimi. Julian alzo le mani, in segno di resa. «Va bene. In effetti esiste una minima attivita vulcanica in superficie. Senza fiumi di lava, ma e stato accertato che queste apparizioni si manifestano sempre quando la Luna e piu vicina alla Terra e quindi subisce maggiormente la sua forza di gravita. La conseguenza sono i terremoti lunari. Si aprono crepe e fessure, dalle profondita i gas bollenti sfiatano in superficie e vengono scagliati verso l’alto con una pressione enorme, trascinando con se la regolite; nel punto di eruzione l’albedo aumenta e si forma una nuvoletta luminosa.» «Chiaro. La Luna fa una scoreggia», commento con poco garbo Momoka. «Smettila di svelare tutti i trucchi, i demoni avevano piu fascino », disse Amber lanciando un’occhiata a Mimi. Marc, che stava guardando all’esterno, indico qualcosa e chiese: «E quello cos’e?» Una formazione colossale anguiforme s’inoltrava verso nord-ovest, sopra l’altopiano ricoperto di scanalature e cavita che testimoniavano l’impatto dei meteoriti. Sembrava un gigantesco serpente o, meglio, lo stampo di un serpente, un animale di dimensioni mitologiche. Dalla testa, il corpo contorto si allungava e si assottigliava sempre piu, terminando in una punta affusolata che penetrava in una pianura adiacente. Nel complesso, sembrava che l avesse riposato Ananden, il serpente dell’antica cosmologia indiana che sorreggeva la Terra e l’universo, il trono ricoperto di squame del dio Vishnu. «Quella e la Vallis Schroteri», disse Julian. Peter sorvolo la formazione mantenendosi a una certa altitudine per consentire ai passeggeri di ammirarne le dimensioni colossali. «La piu ampia valle lunare, vecchia di quattro miliardi di anni », spiego Julian. La somiglianza con un serpente era gia stata notata da altri. Il cratere che formava la testa, di sei chilometri di diametro, veniva chiamato Cobra Head, un cobra che si estendeva per centosessantotto chilometri fino alla riva dell’Oceanus Procellarum. Su un altopiano che sovrastava il Cobra Head, da nord-ovest, scorsero una spianata circondata da hangar e collettori. Una grande antenna brillava sotto i raggi del sole. Il pilota fece scendere il Ganymed, che si avvicino alla pista di atterraggio e si poso dolcemente al suolo con le sue zampe da maggiolino. «Il porto spaziale Schroter», disse
rivolto a Julian, sorridendo con aria complice. «Benvenuti nel regno degli spettri. Le probabilita d’incontrarne uno sono piuttosto basse, tuttavia evitate di avvicinarvi a buche e fessure sospette. Indossate le protezioni e i caschi. Usciamo cinque alla volta, come stamattina. Prima Julian, Amber, Carl, Oleg ed Evelyn; poi Marc, Mimi, Warren, Momoka e io. Dopo di voi.» Al contrario di quanto avveniva nel modulo di allunaggio del Charon, in un Hornet non era necessario aspirare tutta l’aria dell’abitacolo: si usciva utilizzando un ascensore che serviva anche da camera di decompressione. Peter apr l’armadietto, da cui gli ospiti presero le protezioni pettorali, mentre Julian cercava di scacciare l’ombra che si stava allungando sul suo inossidabile buonumore. Lynn stava cambiando, non poteva negarlo. Si stava chiudendo a riccio, le erano venute inestetiche borse sotto gli occhi e mostrava segni di crescente e immotivata aggressivita. Costernato, si era confidato con Carl, e forse era stato un errore, anche se non avrebbe saputo dire perche. Il canadese era un tipo a posto, ma da qualche giorno provava nei suoi confronti un certo imbarazzo, come se ogni volta che lo guardava temesse di dover fare inquietanti collegamenti tra lui, Lynn e il treno fantasma di qualche sera prima. Piu ci pensava, piu era sicuro che la soluzione fosse l, proprio davanti ai suoi occhi. Vedeva la verita, pero non riusciva a distinguerla. Un dettaglio banale che avrebbe spiegato ogni cosa, tuttavia, finche il suo intuito non avesse dato segni di vita, non sarebbe riuscito ad afferrarla. Entro nell’ascensore con gli altri e indosso il casco. Osservo l’interno dello shuttle attraverso i finestrini mentre dalla cabina veniva aspirata l’aria. Vide Marc gesticolare e Momoka che aiutava Mimi a indossare lo zaino coi sistemi di sopravvivenza. La cabina si abbasso, usc dal ventre del Ganymed, si poso sull’asfalto della pista di atterraggio e si apr. Iniziarono a scendere lungo la rampa che era fuoriuscita dal fondo della cabina. Non era previsto che gli shuttle atterrassero su qualcosa di diverso da un fondo solido, ma, se si fosse reso necessario, sarebbe stato indispensabile limitare al minimo i contatti della cabina con la fine polvere di regolite, perche in caso contrario... Julian si blocco. All’improvviso fu come se il suo intuito si fosse risvegliato, si fosse alzato sbadigliando per scendere in archivio a cercare il filmato perduto. L’aveva vista di nuovo, la verita. E di nuovo non l’aveva capita. Innervosito, osservo il secondo gruppo che usciva dall’ascensore. Peter indico loro di seguirlo verso uno degli hangar cilindrici, all’interno del quale erano parcheggiati tre rover aperti, sorprendentemente simili ai veicoli lunari storici, ma dotati di tre assi, ruote piu grandi e predisposti per accogliere sei persone ciascuno. Grazie alle migliorie, spiego il pilota, quei modelli si muovevano piu velocemente e riuscivano a superare senza problemi anche asperita estreme. Ognuna delle sospensioni poteva raggiungere un assetto
verticale a novanta gradi, un angolo sufficiente per passare indenni sopra le rocce piu grosse che il veicolo si fosse trovato davanti. «Ma non sul percorso che stiamo per affrontare. Costeggeremo il lato nord della valle fino al punto in cui il corpo del cobra curva la prima volta. Lì c’e una propaggine dell’altopiano della Rupes Toscanelli, che si spinge sopra l’orlo della gola chiamata Snake Hill. Di piu al momento non voglio svelare.» «E quanto dista?» volle sapere Warren. «Non molto. Poco meno di otto chilometri, ma il viaggio e spettacolare, procederemo lungo il bordo della valle.» «Posso guidare? Voglio assolutamente guidare questo aggeggio! » Peter rise. «Certo. È facile manovrare, i comandi non sono molto diversi da quelli di un normale buggy. Non devi lanciarti a tutta birra verso gli ostacoli piu grossi se non vuoi essere sbalzato fuori, ma per il resto...» «Certo che no», assicuro Warren. «Che dici, lo lasciamo fare?» chiese Julian a Momoka. «Sì. Se io posso viaggiare con l’altro rover.» «D’accordo. Warren guidera il rover numero due e promette di portare Carl, Mimi e Marc alla meta sani e salvi, noi invece prendiamo l’altro. Chi vuole guidare?» Tutti volevano provare, ma alla fine la scelta cadde su Amber che, dopo essersi fatta spiegare i comandi, comp un giro di prova senza il minimo errore. «Voglio anch’io un giocattolo del genere quando torniamo giu», esclamo. Julian sogghigno. «Non credo. Sulla Terra e sei volte piu pesante. Resterebbe ad arrugginire in garage.» La piccola carovana si mosse. Peter fece andare avanti Amber, per impedire a Warren di tentare di stabilire un nuovo record di velocita. Erano in viaggio da una decina di minuti ed erano entrati in un’ansa dalla curvatura dolce; uno stretto sentiero conduceva in cima a una dorsale dalla quale si godeva di una vista impareggiabile sulla Vallis Schroteri. Da quel punto si poteva ammirare quasi tutta la formazione, ma l’attenzione degli escursionisti fu catturata da una gru, montata su una piattaforma sospesa sopra la gola. Avvicinandosi, videro che, da un argano all’altezza del suolo, una fune d’acciaio correva lungo il braccio e terminava in un doppio seggiolino aperto. Come funzionasse la gru fu subito chiaro a tutti, senza bisogno di spiegazioni: due persone prendevano posto sul seggiolino, il braccio si spostava oltre il bordo e gli occupanti restavano sospesi sopra l’abisso con le gambe a penzoloni. «Assolutamente pazzesco!» Marc, amante degli sport estremi, era in preda all’eccitazione. Salto fuori dal rover, si avvicino alla piattaforma e guardo in basso. «Quanto e alto? Quanto si puo scendere con questo affare?»
«Fino in fondo», spiego Peter, con la sicurezza di chi avesse scavato la gola con le proprie mani. «Sono mille metri.» «Il Gran Canyon a confronto e un ridicolo canaletto di scolo », commento Warren con quel tono saccente che non lo abbandonava mai. «Funziona?» chiese Marc. «Certo. Quando l’albergo sara a pieno regime, ne costruiremo altri due», disse Julian. «Lo devo assolutamente provare!» «Noi lo dobbiamo assolutamente provare», lo corresse Mimi. «Anch’io.» A Julian sembro di vedere Oleg sorridere. «Se Evelyn mi fa compagnia.» «Oh, Oleg», rise lei. «Saresti disposto a morire insieme con me?» «Finche ci saro io a comandare l’argano, non muore nessuno », promise Peter. «Bene, allora Mimi e Marc scendono per primi...» «Io vado con Carl... se ne ha il coraggio», disse Amber. «Ce l’ho. Con te, sempre.» «Allora dopo vanno Amber e Carl, poi Oleg ed Evelyn. Momoka? » «Neanche per sogno!» «Allora Momoka viene con me», propose Julian. «Noi nel frattempo scaleremo la Snake Hill. Oleg, Evelyn, anche voi. Ci vuole tempo prima che Peter riesca a portare giu e tirare su quei quattro.» «Ci ho ripensato», disse Amber. «Preferisco venire su con voi. Carl, tu cosa fai?» «Te la stai squagliando?» «Non ci sperare.» «Allora, a piu tardi. Vai pure. Io voglio vedere cosa ci aspetta. » Carl Hanna guardo i compagni iniziare la salita. Il sentiero s’inerpicava in maniera graduale scomparendo, dopo una curva, in una zona d’ombra. Tornava visibile parecchio piu in alto, costeggiava il ripido fianco della collina per almeno cento metri e poi scompariva di nuovo dalla vista. Gli sarebbe piaciuto andare con loro, ma l’occasione di esplorare quell’abisso era irresistibile. Forse avrebbe potuto salire sull’altopiano piu tardi, insieme con Mimi e Marc. In realta, avrebbe peferito fare quell’escursione da solo, pero, ovunque fosse andato, avrebbe sempre avuto la voce di qualcuno nelle orecchie. Era possibile escludere singolarmente gli altri ospiti, invece le guide erano sempre collegate e controllavano tutte le comunicazioni. Osservo interessato come Peter sganciava l’argano, apriva la mascherina della console e attivava il pannello di comando premendo uno di cinque pulsanti. Gli sembrava una tecnologia lunare un po’ primitiva, concepita per le tozze estremita di qualche alieno. Ma, in fondo, che cos’altro erano loro su quel corpo celeste, se non alieni con le dita strizzate in guanti rigidi e goffi? La guida premette un altro pulsante e il braccio si mosse iniz-
iando a girare. Mimi e Marc attendevano impazienti sul bordo della piattaforma. «A cosa servono gli altri pulsanti?» chiese Carl. «Quello blu fa rientrare la gru, quello sotto aziona l’argano», spiego Peter. «Quindi quello nero serve per far risalire il seggiolino?» «Esatto. Non c’e nulla di complicato nei vari comandi, qui sulla Luna, in modo che non ci si debba sempre affidare all’esperto di turno.» «Nel caso, per esempio, in cui questo muoia.» Marc si sposto per fare spazio al seggiolino. «Non dire cos», protesto Mimi. «Non vi preoccupate», rassicuro Peter mentre alzava la barra di sicurezza del seggiolino. «Sarei un irresponsabile a morire mentre voi siete sospesi la fuori. Ma, se venissi divorato dai demoni che abitano questa zona, c’e Carl. Vi tirera su. Pronti? Via!» «Merda!» impreco Warren. Avevano appena attraversato la zona in ombra e raggiunto la cima della collina quando se ne accorse. Irritato, guardo in basso, verso la valle. Sotto di loro si apriva la gola, larga quattro chilometri, e la piattaforma sembrava un giocattolo, popolata da minuscole creature saltellanti. Peter stava aiutando i californiani a salire sul seggiolino, mentre Carl si stava interessando all’argano. Momoka gli chiese che cosa avesse e, dopo aver sentito la risposta - «Ho dimenticato la telecamera» -, lo gratifico con un «Idiota.» «Ah, s? Sei sicura che sia l’unico? Prova a pensarci», sbuffo Warren. «Non litigate», s’intromise Amber. «Vorra dire che useremo la mia teleca...» «Stai parlando di me?» ringhio lei. «E di chi altro? Avresti potuto pensarci anche tu», replico Warren. «Vai all’inferno. Cosa c’entro io con la tua stupida telecamera? » «Parecchio, mio piccolo fiore di loto. Chi vuole farsi riprendere dalla mattina alla sera, come se non bastasse tutto quel ciarpame che produci per il cinema?» «La tua telecamera sarebbe l’ultima da cui vorrei farmi riprendere! » «Non farmi ridere. Te la fai letteralmente addosso non appena c’e una telecamera nei paraggi.» «Davvero gentile, brutto stronzo. Adesso puoi anche andartela a prendere.» «Ci puoi scommettere!» sbraito lui, incamminandosi. «Ehi, Warren!» chiamo Evelyn. «Non vorrai davvero fare tutta quella strada per andare a...» «Invece s.»
«Aspetta!» esclamo Julian. «Amber ha ragione, usa la sua. Puoi filmare Momoka finche non implora pieta.» «No. Vado a prendere quello stupido aggeggio.» Continuo ostinatamente a camminare in direzione della gola. «Lo so, non ha vita facile con me», ud sua moglie dire sottovoce agli altri, come se lui non potesse sentirla. «Ma Warren e felice solo se ogni tanto le prende sul muso.» «Detto francamente, sembrate averne bisogno tutti e due», commento Amber. Momoka sospiro. «Oh, s. Lo adoro quando reagisce. È la cosa che amo di piu di lui.» Julian, un passo avanti agli altri come richiedeva il suo ruolo di eterno leader, aveva quasi raggiunto l’altopiano quando nel suo casco risuono la voce di Sophie Thiel. Non lontano vedeva parcheggiati i due piccoli rover, tramite i quali era collegato col Ganymed, e da quello col Gaia Hotel. «Cosa c’e, Sophie?» «Mi scusi, signore, una chiamata dalla Terra. Ho in linea Jennifer Shaw. Per favore, passi alla modalita O-SEC.» O-SEC. Collegamento protetto, chiamata riservata. Doveva interrompere il contatto col gruppo in modo che nessuno ascoltasse la conversazione con la responsabile della sicurezza della sua azienda. «D’accordo, fatto. Adesso non ci sente nessuno.» «Julian!» La voce di Jennifer, allarmata. «Non voglio perdermi in preamboli. Lynn le avra parlato dell’avvertimento che abbiamo ricevuto ieri. Poco fa abbiamo...» «Lynn?» la interruppe Julian, sorpreso. Si volto verso gli altri e, con un cenno della mano, intimo loro di fermarsi. «No, Lynn non mi ha parlato di nessun avvertimento.» «Non l’ha fatto?» chiese la donna sbalordita. «Quando sarebbe successo?» «Ieri sera. Edda Hoff ha parlato con sua figlia. Lynn le ha chiesto di tenerla al corrente degli sviluppi. Ovviamente io pensavo che...» «Degli sviluppi di cosa, Jennifer? Non capisco una parola di quello che dice.» Lei tacque per un momento. Il segnale impiegava circa un secondo per rimbalzare dalla Terra alla Luna, e il ritardo creava pause fastidiose. Poi riprese: «Due giorni fa abbiamo ricevuto un avvertimento da un uomo d’affari cinese. Per puro caso e venuto in possesso del frammento di un testo sospetto, e da allora e in fuga. Da quanto e riuscito a dedurre - o almeno sembra che si possa dedurre - una delle installazioni della nostra azienda e l’obiettivo di un attentato». «Cosa? Edda Hoff ha raccontato questo a mia figlia?» «S.»
«Lynn? Ci sei?» «Sono qui, papa.» «Cosa sta succedendo? Cos’e questa storia?» «Io... io non volevo allarmarti», disse lei con voce tremante, evidentemente turbata. «Naturalmente ho...» «Lynn, Julian, vi chiedo scusa», intervenne Jennifer. «Ma non c’e tempo per questo. Il cinese si e rifatto vivo poco fa, anzi uno dei suoi collaboratori. Stanno venendo qui da noi. Stamattina hanno cercato di scoprire qualcosa di piu, ma e stato un mezzo disastro. Ci sono stati diversi morti, comunque hanno nuove informazioni.» «Che tipo d’informazioni?» «Aspetti. Abbiamo in linea il jet del cinese. La metto in collegamento. » Dopo un secondo, nel casco di Julian risuono una voce maschile, leggermente disturbata a causa del fruscio atmosferico. «Mr Orley? Il mio nome e Owen Jericho. So che vorrebbe farmi mille domande, ma per il momento la prego di ascoltarmi. Non si tratta solo del messaggio. Siamo riusciti a scoprire che l’anno scorso dal suolo africano e stato messo in orbita un satellite per le comunicazioni. Ufficialmente tutta l’operazione era stata programmata e realizzata dal governo della Guinea Equatoriale allora in carica, guidato dal generale Maye, un golpista.» «S, lo so. Maye e il suo satellite. Si e reso ridicolo con quel coso.» «Quello che forse non sa e che Maye era solo il burattino di alcuni lobbisti cinesi. E la sua ascesa al potere e avvenuta almeno col tacito assenso di Pechino. Adesso e morto, ma, fin quando ha governato, i cinesi hanno finanziato il suo programma spaziale. Il nome Zheng le dice qualcosa?» «Il gruppo Zheng? Ma certo!» «All’epoca, Zheng ha fornito gran parte della tecnologia e del know-how. Il satellite era solo un pretesto per portare in orbita qualcos’altro. Qualcosa che non sarebbe stato possibile lanciare nello spazio per vie ufficiali.» «Cosa?» «Una bomba. Una bomba atomica coreana.» Julian rimase impietrito. Immaginava - temeva di riuscire a immaginare - dove quel Jericho volesse andare a parare. Irritato, osservo i suoi compagni sparpagliarsi per il sentiero gesticolando. «I coreani? Cosa diavolo c’entro io coi...» «Non i coreani, Mr Orley, ma quello che Kim Jong-un ha lasciato in eredita. In altre parole, la Cina, o qualcuno che finge di lavorare per la Cina, ha comprato sul mercato nero una piccola e maneggevole bomba atomica coreana, una cosiddetta mini-nuke. Abbiamo la certezza che questa bomba si e staccata non appena il satellite si e stabilizzato in orbita, quindi un an-
no fa, per continuare il suo viaggio verso una meta sconosciuta. E siamo convinti che questa meta non si trovi sulla Terra.» «Un momento.» Non sulla Terra. «Mi sta dicendo che...» «Crediamo che l’obiettivo sia distruggere una delle sue installazioni spaziali, s. Probabilmente il Gaia Hotel. L’albergo sulla Luna.» «E cosa glielo fa pensare?» chiese Julian con voce incredibilmente calma. «Il ritardo. Naturalmente esistono infinite variabili. Solo che nessuna e in grado di spiegare perche l’ordigno sia rimasto nello spazio per un anno senza esplodere. A meno che non ci sia stato un imprevisto.» Jericho fece una pausa molto lunga. «Il Gaia Hotel doveva essere aperto gia nel 2024, ma l’inaugurazione e stata rimandata a causa della crisi lunare, se non sbaglio.» Julian tacque. Nella sua mente scatto qualcosa. L’intuito torno col filmato perduto, lo carico e... «Carl», mormoro. «Come?» chiese Jericho. «L’altro ieri mattina!» esclamo Julian. «Mio Dio. L’ho visto ma non ho capito. Carl Hanna, uno dei nostri ospiti. L’ho incontrato nel corridoio, e lui ha detto di aver cercato l’uscita senza trovarla, ma ci ha fregato. Lui e stato fuori!» «Julian.» Dana Lawrence si era inserita nella conversazione. «Credo che si stia sbagliando. Abbiamo controllato le registrazioni. Carl di sicuro non e mai uscito.» «Inveces, Dana. E io, idiota, ho visto tutto. Gia quando l’ho incontrato nel corridoio, senza capire. Qualcuno ha manomesso le registrazioni, ha tagliato alcune parti del filmato. Lui e entrato nella gangway del Lunar Express...» «Per tornare indietro pochi secondi piu tardi.» «No, e andato fuori. Prima di uscire la sua tuta era pulita, Dana, candida come un lenzuolo. Quand’e rientrato, le gambe erano ricoperte di polvere lunare. Ecco cosa ho cercato di ricordare per tutto il tempo, ecco perche avevo sempre la sensazione che qualcosa non quadrasse.» «Un attimo, carico subito i filmati», disse Dana con voce tagliente. E bravo Julian, penso Carl. Era immobile accanto al braccio della gru, che stava ruotando oltre il margine della gola. Mimi e Marc ridevano sospesi sull’abisso, Peter mise in moto l’argano e, all’improvviso, lui sent quello che non avrebbe mai dovuto sentire. Era stato collegato. Anche stavolta Ebola lo aveva messo in condizione di agire, anche se il suo raggio d’azione si era drasticamente ridotto. Si chiese come fosse potuto accadere, quale errore fosse stato commesso da Hydra. Essere scoperto era l’ultimo dei suoi pensieri, la sua copertura avrebbe dovuto essere inattaccabile. Nemmeno quando Vic Thorn era morto, l’operazione era stata in bilico come in quel
momento. Di colpo, il piano era andato a monte, doveva agire, anticipare i tempi, sfruttare i secondi, i minuti che Ebola era riuscito a fargli avere, per creare la massima confusione e sparire. «Faccia immediatamente controllore palmo a palmo l’hotel», stava dicendo Jericho. «Questo Carl forse e stato fuori per recuperare la bomba e nasconderla nella struttura. Gli chieda...» «Oh, glielo chiedero», sibilo Julian. «Altroche se lo faro!» Senti, senti, penso Carl. Il seggiolino scendeva lentamente verso il fondo della gola. Peter era accanto all’argano e salutava i californiani. Chiese loro che effetto facesse fluttuare a un chilometro dal suolo. «È incredibile!» gioiva Mimi Parker. «Meglio che lanciarsi col paracadute. Meglio di qualsiasi altra cosa!» Carl si sposto e allungo le braccia. «Puo aumentare la velocita?» chiese Marc. «Lo faccia andare piu veloce. Ci faccia volare!» «Certo, io...» Carl afferro lo zaino di Peter, trascino via l’uomo dal pannello di comando, lo sollevo e lo porto verso il bordo. «Ehi!» Il pilota cerco di girarsi. «Carl, e lei?» Lui non rispose e continuo a camminare. La sua vittima scalcio, tento di afferrare l’aggressore. «Carl, cosa significa? È impazzito? No!» Getto Peter oltre la piattaforma. Per un attimo il pilota sembro trovare un appiglio nel nulla, l’attimo successivo inizio a precipitare, prima lentamente, poi sempre piu veloce. Il suo urlo disperato si confuse con quello di Mimi. Nulla, nemmeno un sesto della gravita terrestre, poteva salvare una persona precipitata in un abisso di mille metri. GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA «Julian? Mrs Shaw?» chiamo Sophie Thiel. «Che succede?» si allarmo Dana Lawrence. «Silenzio radio. Li ho persi entrambi.» Sophie tento freneticamente di ripristinare il collegamento col quartier generale di Londra e con Julian, ma la comunicazione si era interrotta subito dopo l’inizio del filmato che mostrava il prodigioso impolveramento dei pantaloni di Carl Hanna nell’ambiente sterile del corridoio sotterraneo. Ora il canadese andava a spasso sul tapis roulant senza che nessuno gli prestasse la minima attenzione.
«Julian? Risponda, per favore!» «Cerchi di raggiungere la Terra tramite i canali convenzionali », sugger Dana. «Anzi, lasci perdere, ci penso io.» Spinse Sophie di lato, apr un menu, disattivo l’LPCS e passo al collegamento diretto tramite antenna col Tracking and Data Relay Satellite System terrestre. Localizzo le stazioni accessibili, ma il Gaia Hotel sembrava privo di tutti i sistemi di ricezione. Lynn fissava il monitor con una mano davanti alla bocca. Sophie camminava nervosamente avanti e indietro. «Ho inoltrato il collegamento in modo del tutto nor...» «Non cerchi di giustificarsi prima di essere accusata di qualcosa », replico Dana. «Continui a provare. Esegua un’analisi. Voglio sapere qual e il problema. Lynn?» Lei si volto come se fosse in trance. «Posso parlarle un attimo?» «Cosa?» Dana usc dalla centrale fremendo di collera. Lynn la segu nell’atrio come un automa. «Iocredo...» «Mi scusi!» Dana la fisso con un gelido sguardo indagatore. «Lei e il mio superiore, quindi sono tenuta a portarle rispetto. Ma in questo caso devo chiederle senza giri di parole cos’e successo ieri quand’e stata informata della minaccia.» Lynn sembro risvegliarsi da un lungo coma. Alzo una mano e inizio a studiare il palmo come se sperasse di scoprirvi qualcosa di affascinante. «Era tutto molto vago.» «Cosa era vago?» «Edda Hoff ha chiamato dicendo che un paio di persone blateravano a proposito di un attentato a una delle installazioni del gruppo Orley. Suonava... be’, s, insomma, molto vago. Non sembrava una cosa preoccupante.» «Perche non mi ha informata immediatamente?» «Perche non l’ho ritenuto necessario.» «Io sono la direttrice e la responsabile della sicurezza di questo hotel, e lei non l’ha ritenuto necessario?» Lynn smise di dedicarsi al palmo della mano e lancio alla donna un’occhiata furiosa. «Come ha sottolineato poco fa, io sono il suo superiore. No, non ho ritenuto necessario informarla della telefonata. Secondo Edda Hoff c’era il vago sospetto che da qualche parte sulla Terra in chissa quale momento poteva esserci un attentato a una delle nostre installazioni, motivo per cui voleva parlare con me o con Julian, e non con lei. Mio padre ha gia abbastanza preoccupazioni, percio le ho chiesto di tenere me al corrente. Le basta come spiegazione?»
Dana le si avvicino. Sull’hotel incombeva l’incubo di una tragedia, ma Lynn fu rapita da elucubrazioni sui misteri della fisiognomia di Dana Lawrence. Come poteva una bocca tanto sensuale atteggiarsi a tanta durezza? Il pallore era un effetto della luce, una predisposizione genetica o semplicemente la spia di una grande amarezza? Com’era possibile ribollire di rabbia senza che il volto lasciasse trasparire la minima emozione? «Forse prima si e persa qualche passaggio», disse Dana sottovoce. «Ma si parlava del fatto che questo hotel potrebbe saltare in aria a causa di una bomba atomica. Uno dei suoi ospiti sembra coinvolto. Abbiamo perso il contatto con suo padre e con la Terra. Avrebbe dovuto comunque parlarne con me.» «Sa una cosa? Faccia il suo lavoro e mi lasci in pace», taglio corto Lynn prima di tornare nella centrale. Sul monitor Carl stava ancora andando avanti e indietro nel corridoio. La direttrice la segu senza fretta. Con un tono glaciale replico: «Lo farei molto volentieri. Ha lavorato troppo, Lynn? Ce la fa a reggere la pressione? Poco fa sembrava paralizzata». Sophie alzo gli occhi e li riabbasso subito, a disagio. «Temo che ci sia un guasto al satellite. Non riesco a raggiungere ne la Terra ne il Ganymed ne il Kallisto. Vuole che provi con la base Peary?» «Piu tardi. Prima dobbiamo decidere cosa fare. Se quello che abbiamo sentito e vero, siamo sull’orlo di una catastrofe.» «Che tipo di catastrofe?» chiese Tim. ARISTARCHUS PLATEAU, LUNA A Warren Locatelli si blocco il respiro quando, emergendo dalla zona d’ombra, vide Peter precipitare nell’abisso. Fisso la scena inebetito, immobile, come se fosse conficcato nel terreno. Non riusciva a stabilire chi lo avesse spinto, e non poteva neppure sentire nessuno, perche il collegamento audio col gruppo era chiuso. Ma non aveva dubbi: era stata un’azione deliberata, non un incidente. Era stato un omicidio. Molto si poteva rimproverare a Warren - la rozzezza, la mancanza di tatto, il narcisismo -, ma non che fosse un vigliacco. Il suo temperamento prese il sopravvento e domino lo sgomento. Inizio a correre e, in quel momento, vide l’assassino estrarre qualcosa dalla tuta all’altezza della coscia. Lo vide anche Marc. Sotto di loro, la sagoma di Peter si rimpiccioliva sempre piu. Ne sapeva abbastanza di fisica per capire che, nonostante la gravita ridotta, il pilota non sarebbe sopravvissuto. L’accelerazione era inferiore a quella sulla Terra, dodici metri potevano anche sembrare due, ma, non essendoci atmosfera, la caduta non sarebbe stata rallentata dall’attrito. Il corpo sarebbe stato sottoposto a un’accelerazione lineare determinata unicamente dall’attrazione gravitazionale e, a ogni secondo, la sua velocita sarebbe aumentata di 1,63 metri al secondo,
finche non si sarebbe schiantato al suolo come un meteorite. Allo stesso modo, lui e Mimi... Una nuova ondata di orrore lo pervase. Guardo verso la piattaforma e vide l’uomo che aveva gettato Peter nel vuoto con un oggetto lungo e piatto nella mano destra. «Carl?» ansimo. La mancanza di risposta gli diede la certezza che pure loro erano in grave pericolo. Come impazzito, inizio a tirare la barra di sicurezza, la piego di lato, si tiro su. Dovevano uscire da l. Arrampicarsi lungo la fune e raggiungere la piattaforma strisciando lungo il braccio della gru, la loro unica possibilita. «Santo cielo, cosa stai facendo?» grido Mimi. Marc stava per rispondere, ma le parole gli morirono in gola. L’uomo sulla piattaforma punto l’oggetto che aveva impugnato verso di loro e fece fuoco. Invece della polvere da sparo, detono il pezzetto di plastilina contenuto nella boccetta. Il liquido nella capsula di gelatina evaporo, espandendo il proprio volume e producendo una pressione sufficiente per imprimere al proiettile una velocita considerevole. Il proiettile perforo il casco di Mimi e il bagnoschiuma e lo shampoo si mischiarono dando luogo a una miscela esplosiva. Il sedile salto in aria insieme coi suoi occupanti, scagliando in tutte le direzioni pezzi di acciaio, fibra di vetro, componenti elettronici e parti anatomiche. Carl rimise l’arma nella tasca e si avvio a balzi verso i veicoli rover. Warren Locatelli cerco di scendere piu veloce. Salto, scivolo giu per il sentiero, ma la strada era lunga. Vide l’astronauta in fuga raggiungere il primo dei due rover e saltare al posto di guida. Di nuovo in contatto visivo col gruppo di Julian, ud risuonare nel casco una babele di voci, scatenata da qualcosa che aveva detto Amber. L’assassino mise in moto e part a tutta velocita. «Merda!» ansimo lui. «Fermati, lurido porco!» «Warren, cosa succede? Rispondi!» esclamo Momoka. «Sono qui.» «Amber ha detto di essersi messa in collegamento con Peter e di aver sentito delle urla. Dice che...» Warren inciampo. I suoi balzi erano troppo alti, troppo spericolati. Allargo le braccia, atterro su un tratto scosceso ricoperto di detriti e fece una capriola. «Warren, per l’amor del cielo, cosa sta succedendo?» L’alto s’invert col basso. Il suo corpo, leggero come quello di un bambino, continuava a rotolare verso il basso, avvicinandosi sempre di piu all’orlo della gola, sollevandosi da terra due metri per poi ricadere al suolo, impedendogli di vedere e di sentire. Polvere, nient’altro che polvere, ma la sua tuta, almeno apparentemente, non era stata danneggiata. Altrimenti sarei morto, penso. Qui fuori e questione di un attimo, si muore senza nemmeno accorgersene.
«Warren!» «Un attimo. Ahi! Un attimo!» grido lui. «Ma dove...» Il collegamento s’interruppe. Scivolando supino, raggiunse la parte in piano, si diede una spinta e si rimise in piedi, quindi corse verso il secondo rover. Dopo essersi seduto al posto di guida, ricomincio a sentire grida concitate nel casco, ma le ignoro. Non ebbe il minimo dubbio sulle intenzioni dell’assassino: se la sarebbe svignata col Ganymed e li avrebbe abbandonati l. Quello stronzo stava ascoltando? Meglio interrompere ogni comunicazione, in modo che si accorgesse il piu tardi possibile che qualcuno era sulle sue tracce. Con un gesto rapido premette l’interruttore centrale, tacito tutto il vortice di voci nella sua testa, schiaccio l’acceleratore e si lancio all’inseguimento. GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Tim era entrato nella centrale mentre Dana Lawrence stava dicendo qualcosa a proposito di una catastrofe. L’atmosfera era pesante: la direttrice dell’hotel lasciava trasparire una tensione glaciale, l’espressione di Sophie Thiel era sconsolata e Lynn appariva devastata. Penso che sembrava una naufraga sul punto di annegare, dibattuta tra il terrore e la rabbia di non aver mai imparato a nuotare. «Cosa c’e?» chiese lui. Dana lo informo della situazione, in modo conciso, asciutto, senza giri di parole e senza minimizzare. E cos ora sapeva che qualcuno minacciava di far saltare in aria il Gaia Hotel facendo esplodere un ordigno nucleare, che forse dietro l’operazione c’erano i cinesi, e che con ogni probabilita l’attentatore era Carl Hanna, il simpaticone che suonava la chitarra e che al momento era fuori in gita con Amber. «Santo cielo. Siamo sicuri che ci sia una bomba?» «Non c’e niente di sicuro. Solo supposizioni, ma, finche non siamo in grado di confutarle, dovremmo partire dal presupposto che sono vere.» Dana si rivolse gelida a Lynn. «Haqualche idea, nella sua veste di superiore?» Lei annaspo in cerca di aria. «Per quale ragione dovrebbero far esplodere il Gaia Hotel? Devono essersi sbagliati.» «Grazie, il suo apporto e risolutivo. Mi dia una direttiva oppure mi autorizzi a fare qualche proposta. Per esempio, ordinare l’evacuazione.» Lynn serro i pugni. Sembrava sul punto di saltare alla gola di Dana. «Se nell’hotel fosse stata davvero messa una bomba, perche non e gia esplosa? Voglio dire, chi o che cosa vogliono colpire? L’edificio? Qualcuno in particolare?»
«Siamo tutti in pericolo», intervenne Tim. «Qualcuno che porta un’atomica sulla Luna non si preoccupa certo di salvare delle vite umane.» «Appunto.» Lynn li fisso l’uno dopo l’altro. «E finora siamo sempre stati tutti insieme, percio perche non e ancora successo? Forse perche in realta non c’e nessuna bomba. Perche qualcuno cerca soltanto di spaventarci.» «Be’, come ha detto questo Jericho, il compito di Carl Hanna potrebbe essere stato quello di portare qui la bomba. Se e arrivata sulla Luna gia un anno fa...» azzardo Sophie titubante. «Il Gaia Hotel esisteva gia un anno fa?» chiese Tim. «Era in costruzione», rispose Lynn. «Questo significa che potrebbe trovarsi qui da allora.» «Un’atomica?» Il viso di Dana esprimeva scetticismo. «Mi spiace, ma questo non sono disposta a crederlo nemmeno io. Non so niente di mini-nuke, ne di armi atomiche in generale, ma suppongo che emettano radiazioni. E nessuno se ne sarebbe accorto per oltre un anno?» «Forse Hanna l’ha portata solo l’altro ieri», ipotizzo Sophie. «Durante la sua uscita nott...» «Illazioni. Nient’altro che illazioni!» Lynn agito nervosamente le mani. «Solo perche aveva un po’ di polvere sui pantaloni. E, anche se fosse, perche non l’ha fatta detonare?» «Sta aspettando il momento giusto», suppose Tim. «E quando sarebbe?» «Non ne ho idea.» Sophie scosse la testa e i suoi ricci sventolarono di qua e di la come se stessero danzando, incuranti della drammaticita della situazione. «Di sicuro non ora. A parte lei e Tim, qui ci sono solo persone poco importanti... Scusate, volevo dire persone non cos importanti.» «Allora non c’e nessun bisogno di evacuare l’albergo», concluse Lynn trionfante. «Non faccio i salti di gioia all’idea di organizzare un’evacuazione, se e questo che pensa», ribatte Dana. «Ma lo faro se lo riterro necessario. Per il momento sono d’accordo con Sophie. La situazione diventera critica solo al rientro degli shuttle, che e previsto per le sette. Adesso sono le quattro e venti. Abbiamo due ore e mezzo abbondanti per cercare quell’affare.» Lynn alzo gli occhi al cielo. «Come, scusi? Dovremmo perquisire l’hotel?» «S. A squadre.» «È come cercare un ago in un pagliaio!» «Se c’e, lo troveremo. Sophie, vada a chiamare gli altri. Ci concentreremo sui punti in cui si potrebbe verosimilmente nascondere una cosa del genere.» «Quanto e grande una mini-nuke?» chiese lei perplessa. «Qualcuno lo sa?» Nessuno era in grado di dirlo e allora Sophie apr sul display del cellulare diverse finestre piene di diagrammi e tabelle numeriche. «In ogni caso, all’interno dell’hotel non e stato registrato un livello di radiazioni superiore alla norma. Neanche una fonte di calore anomala.»
«Perche non c’e nessuna bomba», borbotto Lynn. «E i sensori coprono tutte le aree?» chiese Tim. «Tutte quelle accessibili, s.» «Dovremmoesaminare anche un altro punto prima d’iniziare la ricerca», intervenne Dana. «Secondo me non abbiamo a che fare solo con una bomba.» «Ma?» «Con un traditore.» Lynn scosse la testa. «Per l’amor del cielo. Credevo che il cattivo fosse Carl.» «Carl e uno dei cattivi. Ma chi ha manomesso il video? Chi lo ha aiutato a lasciare il Gaia Hotel a bordo del Lunar Express? Suo padre sembra dotato di uno spirito di osservazione fuori dal comune.» E Dana lancio un’occhiataccia a Lynn. «Lei crede che qualcuno sia in combutta con Carl?» chiese Tim. «Lei no?» «So troppo poco di questa faccenda per arrivare a delle conclusioni. » «Lei sa esattamente quello che sappiamo noi. Carl Hanna non potrebbe cavarsela da solo quassu. Agire e poi cancellare le proprie tracce. Perche i satelliti hanno smesso di funzionare quand’e stato fatto il suo nome? Possibile che siano tutte coincidenze? » «Ma chi potrebbe essere?» Il viso infantile di Sophie era in quel momento il ritratto del terrore. «Nessuno del personale. E di certo nessuno degli ospiti.» «Anche Carl e un ospite, selezionato da Julian Orley in persona. Come ha fatto a guadagnarsi tutta questa fiducia?» Dana squadro Lynn. Poi il suo sguardo si sposto su Sophie e infine si poso su Tim. «Quindi chi e l’altro? L’altra? Qualcuno in questa stanza?» «Che assurdita!» sbotto Lynn. «Puo darsi. Ma anche per questo ci divideremo in squadre.» Dana sorrise. «Cos ci controlleremo a vicenda.» ARISTARCHUS PLATEAU, LUNA Carl Hanna si accorse di essere inseguito solo dopo un po’. Nella confusione generale, l’ultima cosa che aveva captato all’interno del casco era che il collegamento con la sede di Londra, col Gaia Hotel e col jet cinese era interrotto. Hydra aveva studiato diverse possibilita per mettere fuori uso i sistemi di comunicazione, se la situazione lo avesse richiesto. Di sicuro Ebola era intervenuto. Adesso erano in funzione solo l’impianto radio delle tute e le antenne dei rover e dello shuttle, ma per poter comunicare era necessario un contatto visivo. Per ultima aveva sentito la voce di Warren Locatelli, che evidentemente era piu vicino degli altri. Era lui l’uomo che lo tallonava? Aggiro un piccolo cratere. La velocita massima del rover era di ottanta chilometri orari. Il veicolo era leggero e si sollevava spesso dal suolo alzando nubi di polvere. Da qualche parte in mezzo a quella nuvola grigia, era improvvisamente com-
parso l’altro veicolo, in rapido avvicinamento. O il pilota sottovalutava le leggi della fisica che vigevano sulla Luna, oppure aveva una grande esperienza. Locatelli partecipava a corse automobilistiche. Doveva essere lui. Carl valuto la possibilita di fermarsi e farlo saltare in aria, ma rinuncio subito: la polvere non gli avrebbe consentito di prendere la mira, e poi avrebbe perso tempo. Meglio cercare di aumentare il vantaggio. Una volta raggiunto lo shuttle, il destino di Locatelli e degli altri non avrebbe piu avuto importanza. Anche se fossero riusciti a lasciare l’Aristarchus Plateau, non sarebbero stati in grado di fermarlo. Aveva abbastanza tempo per portare a termine l’operazione e tornare sull’OSS. Da l poi avrebbe potuto... La ruota anteriore destra schizzo verso l’alto e il rover spicco un salto, sbando quasi in un testa-coda e una nube grigia avvolse Carl, che perse temporaneamente controllo e orientamento. Incerto sulla direzione, diede gas e, all’ultimo momento, si rese conto che rischiava di precipitare nell’abisso della Vallis Schroteri. Quindi riprese il controllo del veicolo e accelero al massimo. Contro Locatelli, quello era chiaro, sarebbe servita solo la velocita. Polvere. Il mostro che inghiottiva tutto. Locatelli impreco. Il porco davanti a lui sollevava cos tanta polvere che lui dovette frenarsi per non arrivargli troppo vicino, buttandosi in uno scontro alla cieca in cui probabilemnte avrebbe avuto la peggio. Poi, tutt’a un tratto, l’assassino si lancio nel vuoto, per poi riprendere la giusta direttrice di marcia, sollevando nuvole di minuscole particelle che, investite dalla luce del sole, luccicavano come se alla regolite fosse mischiata della polvere di vetro. Intorno all’inseguitore prima calo una nebbia fitta, poi torno la visibilita: vide il rover davanti a lui con sorprendente chiarezza. Il fondo era cambiato, ora procedevano sull’asfalto, poche centinaia di metri li separavano dal Ganymed, fermo sulle sue zampe da insetto... Locatelli si chiese quale arma avesse usato Hanna. Poi uno sprazzo di lucidita affioro nell’oceano della sua collera, un’isola di silenziosa meditazione. Cosa diavolo ci faceva l? Come poteva affrontare un uomo fornito di armi mortali e pronto a usarle? Tutte le perplessita, pero, furono spazzate via da un’ondata di rabbia: l’assassino evidentemente lo riteneva cos ininfluente da non sprecare neppure un secondo del suo tempo con lui. Infatti, quando arrivo allo shuttle, arresto il rover sotto la parte posteriore e si lancio di corsa verso l’ascensore che, come una mostruosa protuberanza, fuoriusciva dal corpo del Ganymed. Solo all’ultimo momento, con un piede gia nella cabina, si fermo e rivolse la visiera a specchio del casco verso l’inseguitore. «Lurido pezzo di merda!» grido Locatelli. «Aspetta che ti metta le mani addosso!» Dalla tasca della tuta Carl estrasse l’arma con la quale aveva ammazzato gia due persone.
Sull’Oceanus Procellarum dell’anima di Warren Locatelli la tempesta si placo. I focosi geni mediterranei si ritirarono precipitosamente e il loro posto fu preso da quelli di un autentico americano, pratico e razionale: cap in quale sgradevole situazione l’aveva spinto la sua imprudenza. Vide se stesso con gli occhi del nemico, cap di essere sotto tiro... «Merda», sussurro. Accelero al massimo, si lancio fuori dal rover e atterro scivolando sull’asfalto liscio, mentre il veicolo continuava la sua folle corsa verso il Ganymed e l’astronauta. Un lampo accecante cancello dal cielo la fredda e bianca luce solare. Il rover s’impenno mentre un nugolo di frammenti di rivestimento, brandelli di fogli dorati e componenti elettronici si sparpagliava tutt’intorno. D’istinto, Locatelli incrocio le braccia sopra il casco. Accanto a lui, i rottami ricadevano sull’asfalto creando una pioggia di scintille. Rotolo sulla schiena e, rialzandosi, vide una ruota volargli contro. La schivo con un balzo e si rimise in piedi. Quel maledetto non sarebbe riuscito a fregarlo. Non lui. Piegato in avanti e preparato al peggio, attraverso di corsa la pista di atterraggio, ma il suo avversario era scomparso. La cabina stava salendo nel vano dell’ascensore. Ancora pochi minuti. Non poteva permettere che l’assassino s’impadronisse dello shuttle e li abbandonasse in mezzo a quella desolazione. Senza preoccuparsi delle ferite che si era procurato durante la sua esibizione da stuntman, corse sotto il Ganymed e raggiunse l’ascensore. La cabina era ormai salita, ma il led era rosso: finche fosse rimasto rosso, aveva spiegato Peter, non era possibile ritirare l’ascensore. Il suo nemico doveva essere ancora nel vano di decompressione, che forse in quel momento veniva riempito di aria. Bene, molto bene. Warren cerco di riprendere fiato e attese. Verde. Con la mano aperta, premette il pulsante di chiamata. Carl non perse tempo a togliersi il casco e passo tra i sedili per raggiungere subito la plancia di comando. Aveva ucciso Locatelli? Probabilmente no. L’uomo era saltato fuori dal veicolo, aveva visto il corpo in volo prima che la carica facesse esplodere il rover. Forse era rimasto sepolto sotto i rottami, o forse era stato colpito dai detriti. Scivolo sul sedile del pilota e studio gli indicatori. Conosceva bene i comandi, gia mesi prima aveva avuto l’opportunita d’imparare il funzionamento di tutti i veicoli lunari. Grazie all’eccellente lavoro di Hydra, era perfettamente in grado di riportare la navicella spaziale in orbita e, da l, sull’OSS. Inoltre non avrebbe viaggiato da solo, sempre che Ebola riuscisse a mettersi in contatto con lui dopo il black out dei sistemi di comunicazione. Ma di quello non doveva preoccuparsi. Ebola aveva fiducia nelle sue capacita e, a tempo debito, si sarebbero incontrati. Le sue dita accarezzarono i comandi, ma lui resto interdetto. Non riusciva a far rientrare il vano dell’ascensore. La spia rossa indicava che l’aria veniva ancora aspirata dalla cabina, op-
pure veniva pompata all’interno, oppure... che si stava muovendo. Si volto di scatto. No, la cabina era dove doveva essere, ed era vuota. Esito. L’intuito gli consigliava di andare a controllare, ma non poteva permettersi altri ritardi. In quel momento il led passo da rosso a verde. Il Ganymed era pronto per il decollo. «La!» In preda all’agitazione, Amber indicava il cielo, dove, in lontananza, luccicava un oggetto allungato che saliva verso l’alto. «Il Ganymed!» Si erano lanciati lungo il sentiero, senza pensare, senza respirare, saltando come canguri, fino alla piattaforma con la gru, e l avevano solo potuto constatare che i rover erano scomparsi. Non c’era anima viva nel raggio di chilometri. Nelle orecchie di Amber risuonavano ancora le urla di Peter. Aveva iniziato a gridare nel momento in cui lei si era collegata per chiedergli se andasse tutto bene: Carl, che significa? È impazzito? No! Carl? In preda al terrore, era corsa verso il bordo della piattaforma; dalla gru penzolavano i resti del seggiolino sul quale avrebbero dovuto esserci Mimi e Marc: solo un moncherino dello schienale, alcuni tubi piegati, il frammento contorto di una barra di sicurezza e, dietro, incastrato nel rottame, qualcosa di bianco, di terribilmente familiare... Una gamba. Solo il notevole sforzo di autocontrollo le aveva impedito di vomitare nel casco, mentre gli altri stavano scrutando verso il fondo della gola alla ricerca dei dispersi. Ma non si riusciva a vedere nulla. E la conclusione di Oleg Rogacev era stata: «Sono morti». «Come fai a esserne sicuro?» aveva replicato Evelyn. «Finche non vediamo un cadavere...» Ma lui, indicando la gamba, con un senso macabro della realta aveva detto: «Quello e un cadavere». «No, quella... quella e...» Nessuno aveva avuto il coraggio di terminare la frase. «Dobbiamo cercarli», aveva insistito Evelyn. «Piu tardi.» Julian stava fissando il punto in cui fino a poco prima erano parcheggiati i rover. «Al momento abbiamo problemi piu gravi.» «Pensi che questo non sia abbastanza grave?» aveva esclamato Momoka. «È orribile. Prima pero dobbiamo ritrovare i rover», aveva risposto Julian. Tuttavia Momoka aveva iniziato a chiamare il marito ripetendone il nome come un mantra: «Warren? Warren, dove sei?» «Partendo dal presupposto che ce l’abbiamo fatta...» aveva tentato di dire Evelyn. Rogacev taglio corto: «Sono morti. Cinque persone sono disperse. Almeno due di loro sono ancora vive, altrimenti i rover sarebbero ancora qui, ma gli altri si trovano sul fondo della
valle. Vuoi calarti nel burrone e frugare nell’oscurita?» «Come fai a sapere che non e... che non e Carl uno di quelli laggiu?» «Perche Carl e vivo», aveva dichiarato Amber, per chiudere la questione. «Credo che abbia sulla coscienza Peter e gli altri.» «Come fai a esserne sicura?» «Amber ha ragione», era intervenuto Julian. «Carl e un traditore. Credetemi, abbiamo davvero un problema piu grande di questo. Dobbiamo decidere cosa fare per...» In quel momento Amber aveva visto lo shuttle salire di quota sull’orizzonte. Per un attimo sembro restare sospeso sopra Cobra Head, poi si diresse verso di loro. Sta venendo qui, penso. Lo scafo corazzato era sempre piu grande, ma purtroppo anche sempre piu lontano. Chiunque fosse alla guida del Ganymed, evidentemente non aveva nessuna intenzione di atterrare per recuperarli. La navicella li sorvolo silenziosamente e poi si allontano, fino a diventare un puntino nel cielo e scomparire. «Se la sta svignando», sussurro Momoka. «Ci lascia qui.» «Julian, chiama il Gaia Hotel», disse Evelyn. «Devono venirci a prendere.» Lui sospiro. «Non posso. La comunicazione e interrotta.» «Interrotta?» grido Momoka terrorizzata. «Perche e interrotta ?» «Non ne ho idea. Come vedete, siamo proprio nei guai.» BERLINO, GERMANIA Quando lo chiamo il suo contatto, la trasformazione di Xn da mando-progger in semplice killer professionista era praticamente conclusa. Si era chiesto cosa ci facessero i due poliziotti al Grand Hyatt. Senza dubbio davano la caccia a Tu Tian, Jericho e la ragazza, ma per quale motivo? Jericho non era registrato a Berlino, percio gli inquirenti avevano preso di mira in particolare Tu Tian. D’altro canto, il motivo non era cos importante. Era dovuto sparire senza aver concluso nulla, ma il suo intuito gli suggeriva che era comunque arrivato troppo tardi. Quei tre se l’erano svignata. Pazienza. Non potevano piu fare grandi danni: Vogelaar e la moglie erano morti, il cristallo era nelle sue mani. Mentre riponeva la parrucca e la barba finta, rispose alla telefonata. «Maledizione, Kenny, com’e potuto succedere?» Niente Hydra, niente saluti. Solo un sussurro pieno di angoscia. Xn rimase interdetto. Il contatto era fuori di se. «Perche, cos’e successo?» «Sta andando tutto a rotoli. Quel Tu Tian e i suoi amici stanno venendo qui da noi, e sono al corrente dell’operazione. Sanno tutto. Del pacco, dell’attentato. Sono persino riusciti a parlare con Julian Orley. Siamo stati scoperti!»
Xn era una statua di pietra. La barba posticcia gli penzolava fra le dita come un piccolo animale morto. «È impossibile.» «Impossibile? Forse dovrebbe fare un salto qui. Lo shock sta scuotendo l’intera azienda, un terremoto non sarebbe niente al confronto.» «Ma il dossier e nelle mie mani.» «Ne hanno uno anche loro!» Il contatto racconto le circostanze che avevano portato allo smascheramento di Carl Hanna e all’attivazione del blocco delle comunicazioni. Era stato pensato come misura d’emergenza nel caso i dettagli dell’attentato avessero raggiunto la Luna anzitempo. Un’eventualita che nessun membro di Hydra aveva seriamente preso in considerazione; invece era accaduto. «Quand’e stata bloccata la rete?» chiese Xn. «Durante la videoconferenza.» L’altro respirava affannosamente nel ricevitore. «Per le prossime ventiquattr’ore la Luna sara isolata, ma non possiamo mantenere il blocco in eterno. Spero solo che Hanna riesca a tenere la situazione sotto controllo. Per non parlare di Ebola.» Ebola. Il braccio destro di Carl era uno specialista nell’arte d’infiltrarsi nei sistemi chiusi e d’indebolirli dall’interno. Il fatto che fosse riuscito a interrompere la videoconferenza era stato un’azione brillante, considerate le circostanze; purtroppo la nave stava affondando. Vogelaar lo aveva fregato. No. Xn cerco di recuperare la calma. Ancora non erano affondati. Aveva selezionato Hanna ed Ebola perche erano in grado d’improvvisare, e sarebbero riusciti a mantenere il controllo, nonostante le circostanze sfavorevoli. Non voleva sprecare nemmeno un secondo a considerare l’eventualita che l’operazione potesse fallire. «E cosa intende fare per ridurre questo Tu Tian e la sua cricca alla ragione?» incalzo l’interlocutore. «Ha perso Mickey Reardon, a Shanghai sono morti due dei nostri, su Gudmundsson e la sua squadra al momento non puo contare perche sono impegnati altrove, quindi cosa pensa di fare per...» «Non faro proprio niente», lo interruppe Xn. Il contatto tacque sconcertato. «Eliminare il gruppo di Tu Tian non ha piu senso, ormai», spiego il cinese. «I fatti sono di pubblico dominio, la diffusione del dossier non puo piu essere fermata. Adesso tutto si decidera sulla Luna.» «Accidenti, sta andando tutto a rotoli!» «No. A partire da questo momento il mio compito e proteggere Hydra per evitare che venga smascherata. Lui e gia al corrente della situazione?» «L’ho informato cinque minuti fa. Sarebbe felice se lei lo chiamasse di persona, comunque adesso devo chiudere. Cosa devo fare se mi scoprono?»
«Nessuno verra scoperto.» «Ma quelli stanno portando qui il dossier. Non so cosa contiene. Forse sarebbe meglio...» «Si rilassi.» I lamenti dall’altra parte della linea iniziavano a dargli la nausea. «Arrivero a Londra il prima possibile. Saro nelle vicinanze e, se la situazione diventasse critica, la vengo a prendere.» «Mio Dio! Com’e potuto succedere?» «Adesso basta. L’unico rischio che corriamo e che lei perda la testa. Torni dagli altri e faccia finta di nulla.» «Speriamo che Hanna sappia quello che fa.» Xn termino la chiamata, sposto il cellulare nell’altra mano e si concentro sull’ambiente circostante. Come c’era da aspettarsi, noto una miriade di dettagli fuori luogo, asimmetrie, proporzioni sbagliate, errori di design, un’irritante composizione floreale. L’esiguo talento del fiorista non era bastato per dare un senso alla composizione, per esempio fare in modo che il numero di boccioli fosse divisibile per il numero di petali. Priva di una forma che rimandasse a una funzione estetica o strutturale, la composizione lasciava trasparire un’inquietante mancanza di pianificazione, un incubo per lui. La sola idea di non poter giustificare le sue azioni lo terrorizzava. Di malavoglia fece un altro numero tenendo il cellulare con la sinistra, mentre con la destra stava cambiando di posto ai fiori per correggerne la posizione. «Hydra.» «Quanto e grande questo dossier?» chiese la voce. «Non ho ancora avuto occasione di verificarlo.» Xn pizzico un giglio. «Sono dispiaciuto per quello che e successo. Naturalmente me ne assumo la piena responsabilita, ma piu che minacciare Vogelaar con la tortura e poi ucciderlo non potevamo fare. Deve aver dato una copia del dossier a Jericho.» «Non e colpa sua. L’importante e che il blocco sia attivo. Cosa propone di fare?» «Cambiare obiettivo. Smettere di dare la caccia a Jericho, Tu Tian e Yoyo. La loro morte non e piu una priorita, e non possiamo influenzare in nessun modo quello che accade sulla Luna. Continuo a essere dell’opinione che l’operazione sara un successo. Adesso l’importante e garantire l’anonimato di Hydra.» «Siamo d’accordo per quanto riguarda i punti deboli?» «Dal mio punto di vista, c’e solo quello di cui abbiamo gia parlato.» «La penso esattamente come lei.» Xn osservo la composizione. Non era migliorata, era ancora priva di qualsiasi contenuto semantico. «Prendo il prossimo aereo per Londra.» «La ha tutto quello che le serve?» «Airbike e tutto il resto. In caso di necessita posso chiamare rinforzi.»
«Gudmundsson e occupato, questo lo sa.» «La mia rete e molto estesa. Potrei attivare intere legioni, ma non sara necessario. Mi terro pronto, questo dovrebbe bastare.» «Mi informi sui contenuti fondamentali del dossier. Dal momento che abbiamo sospeso la comunicazione via e-mail, non puo piu mandarmelo.» «Comunque togliere i siti dalla rete era l’unica cosa da fare.» «Aspetto sue notizie.» Xn indugio un attimo. Poi scaglio il cellulare sul letto e inizio a maltrattare le orchidee, i gigli e i crochi con collera crescente. Doveva partire da Berlino il prima possibile, ma non poteva lasciare nemmeno quella stanza finche non fosse riuscito a dare a quella composizione una struttura soddisfacente. Il mondo non era un prodotto del caso. Esisteva un disegno. Tutto doveva avere un senso. Dove finiva il senso iniziava la follia. Il bocciolo di un giglio si spezzo. Furioso, Xn strappo l’intera composizione dal vaso e la getto nella spazzatura. GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Lynn aveva deciso di passare al setaccio i sotterranei del Gaia Hotel con Sophie. Tim ne intuiva la ragione: evitare di confrontarsi con lui, perche era consapevole che non sarebbe stata in grado di fingere. Per il momento riusciva ancora a mentire a se stessa. Il suo comportamento oscillava tra lucidita, indecisione e scatti di collera. Nel suo sguardo c’era di nuovo quella oscura e abissale paura che anni prima l’aveva quasi uccisa, e Tim credette di riconoscervi anche qualcos’altro, indefinibile e subdolo, che lo spaventava a morte. Mentre perlustrava il casino in compagnia di Axel Kokoschka, il cuoco, i suoi pensieri passavano dalla sorella ad Amber, che era la fuori in compagnia di un presunto terrorista. Julian aveva ricevuto la notizia su una frequenza sicura, ma come aveva reagito? Peter era con lui. Avevano neutralizzato Carl Hanna? Cosa stava accadendo sull’Aristarchus Plateau? Amber... penso. Fatevi sentire. Per favore. Secondo Dana, i livelli sotterranei del Gaia Hotel meritavano un’ispezione particolarmente attenta, perche, se fosse esplosa l sotto, la bomba sarebbe stata devastante. Michio Funaki e Ashwini Anand si stavano occupando degli alloggi del personale, Lynn e Sophie delle serre, degli acquari e dei magazzini. Il mondo sotterraneo del Gaia Hotel era assai vasto; del resto i piani per il 2026 prevedevano un addetto per ogni ospite. «Nel frattempo cerchero di mettermi in contatto con la base Peary», aveva detto Dana prima che si separassero. «E come fa senza satellite?» aveva chiesto Tim. «Tramite la linea fissa. Esiste un collegamento laser diretto tra il Gaia e la base Peary. Trasmettiamo i dati utilizzando un sistema di specchi.»
«Specchi? Banali, normalissimi specchi?» «Il primo si trova dall’altra parte della gola. Un pilone sottile e molto alto. Dalla sua suite dovrebbe riuscire a vederlo.» «E quanti ce ne sono?» «Una dozzina fino al Polo. Disposti in modo che il raggio di luce superi i crateri e le montagne. Per parlare con gli shuttle, le navicelle spaziali o la Terra, ovviamente ci vogliono i satelliti, ma per la comunicazione tra due punti fissi sulla Luna non c’e niente di meglio. Nessuna atmosfera, nessuna rifrazione, nessuna pioggia... Spieghero agli altri in che situazione ci troviamo, sperando che loro non abbiano problemi coi satelliti, ma non sono ottimista.» E poi, dopo che Lynn era sparita con Sophie all’interno dell’ascensore, Dana, cercando di misurare le parole, aveva detto: «Tim, sono in imbarazzo. Sa che non amo i giri di parole, ma in questo caso...» Lui aveva sospirato, con un brutto presentimento. «Si tratta di Lynn?» «S. Cosa le sta succedendo?» Tim spostava alternativamente lo sguardo dal pavimento alle pareti a qualsiasi altro oggetto, pur di non incontrare lo sguardo della donna. «Vede, Lynn e io non ci conosciamo molto bene», aveva proseguito Dana. «Ma e stata lei a volere la mia assunzione e ha seguito tutta la mia formazione, l’addestramento sulla Terra e sulla Luna, sempre padrona della situazione e competente, davvero ammirevole. Adesso sembra agire in modo irresponsabile, e suscettibile, litigiosa. È cambiata.» Tim, in imbarazzo crescente, aveva tentato di rassicurarla. «Io... le parlero.» «Non le ho chiesto questo.» Gli occhi indagatori della direttrice erano fissi nei suoi e allora lui si era reso conto che Dana non sbatteva le palpebre. Fino a quel momento non l’aveva vista sbattere le palpebre nemmeno una volta. Gli era tornato in mente un vecchio film, Alien, che il padre adorava, in cui uno dei membri dell’equipaggio era un androide. «Non so cosa rispondere.» «Lo sa benissimo, invece. È sua sorella, Tim. Voglio sapere se possiamo fidarci di lei.» Tim aveva fissato la direttrice, perche improvvisamente gli era stato chiaro quello che lei intendeva dire. «Sta insinuando che Lynn potrebbe essere la complice di Carl?» «Vorrei solo il suo parere.» «Lei e pazza.» «Tutta questa situazione e una follia. Andiamo, non abbiamo tempo per i giochetti. Sarei felicissima di sbagliarmi, ma Lynn tre giorni fa ha cercato in ogni modo di convincere suo padre che stava vaneggiando. Non voleva fargli vedere i video delle telecamere di sorveglianza, non mi ha informato del colloquio con Edda Hoff, anche se sapeva che avrebbe dovuto parlarne con me. Inoltre si comporta come se ci fossimo immaginati gli eventi dell’ultima
mezz’ora, benche lei stessa sia stata presente fin dall’inizio.» Non e vero, voleva dire Tim, ed effettivamente su un punto Dana Lawrence aveva torto. Lynn non era stata presente fin dall’inizio. Sophie aveva risposto alla chiamata, mentre sua sorella e la direttrice discutevano coi cuochi del Selene la possibilita di organizzare un picnic sul fondo della Vallis Alpina. Jennifer Shaw aveva chiesto di Lynn o di suo padre, quindi Sophie aveva mandato un messaggio al Selene e aveva messo in collegamento la responsabile della sicurezza con Julian sull’Aristarchus Plateau. Quando Lynn e Dana erano entrate nella centrale, la conversazione era gia in corso. Questo faceva una qualche differenza? «Come ha detto, Lynn e mia sorella.» Si era allontanato di qualche centimetro. «Potrei mettere entrambe le mani sul fuoco per lei.» «Non mi basta.» «Deve bastarle.» La direttrice aveva sospirato. «Voglio solo assicurarmi che non si verificheranno problemi dove non ce li aspettiamo. Mi dica cosa succede. La nostra conversazione e confidenziale, nessuno ne sapra niente. Ne Julian, ne Lynn.» «Dana, davvero...» «Mi metta in condizione di fare il mio lavoro!» Tim aveva taciuto per un momento. «Ha avuto un esaurimento, alcuni anni fa. Depressione. Ne e venuta fuori, ma io continuo a temere che possa accadere di nuovo.» «Un burnout?» «No, piuttosto una...» La parola era sembrata non voler uscire dalle sue labbra. «Malattia?» aveva provato Dana. «Lynn cerca di minimizzare, ma... s. Una predisposizione patologica. Sua... nostra madre ha sofferto di depressione e alla fine...» La donna era rimasta silenziosa in attesa che Tim aggiungesse ancora qualcosa, ma lui riteneva di aver detto abbastanza. «Grazie. Per favore, tenga d’occhio sua sorella.» Lui aveva annuito sconsolato, aveva raggiunto Kokoschka e iniziato a setacciare l’hotel coi rivelatori portatili. Si sentiva come un maledetto collaborazionista, anche se il sospetto insinuatogli da Dana lo tormentava. Non perche pensava che Lynn venisse sospettata ingiustamente, ma perche era divorato dall’incertezza. Poteva davvero mettere le mani sul fuoco per Lynn? Avrebbe dato la vita per lei, questo era certo, qualunque cosa facesse. Semplicemente non era sicuro della sua innocenza. GANYMED Warren Locatelli era rannicchiato sul pavimento della cabina, proprio davanti alle porte scorrevoli. Due terzi delle pareti erano di vetro, ma finche restava sdraiato sarebbe stato im-
possibile vederlo, sia dalla cabina passeggeri sia dalla plancia di comando. Inizio a elaborare freneticamente un piano dopo l’altro e, con la stessa rapidita, li bocciava. Riusciva a scorgere il pannello di controllo interno dell’ascensore che indicava pressione, ossigeno e temperatura dell’ambiente. Benche ci fosse ossigeno in cabina, non osava togliere il casco, temendo che il pilota potesse decidere d’ispezionare l’ascensore proprio mentre lui era intento a trafficare con quel maledetto aggeggio. Si era infilato tra le porte non appena si erano aperte, aveva premuto il pulsante e si era subito acquattato sul pavimento. Era pero convinto che Hanna si fosse accorto che la cabina aveva fatto un altro viaggio. Con cautela si sollevo per cercare qualcosa che potesse usare come arma, ma non individuo nulla di tagliente o affilato. Il Ganymed era ancora in fase di accelerazione. Locatelli supponeva che il velivolo disponesse di un pilota automatico, ma, finche lo shuttle non raggiungeva la velocita di crociera, chi era ai comandi non poteva abbandonare la sua postazione. Forse, pero, dopo sarebbe stato troppo tardi per togliere le protezioni e il casco, meglio farlo subito. Gli venne un’idea. Si tolse il casco e lo appoggio a terra, poi inizio a trafficare febbrilmente con la protezione pettorale. La pressione dell’accelerazione diminu. Armeggio con chiusure e valvole, si sfilo lo zaino dei sistemi di sopravvivenza e spinse lontano tutto l’equipaggiamento. Ora poteva muoversi liberamente e aveva anche un’arma per affrontare un eventuale attacco di sorpresa. Rimase sdraiato ad aspettare, i sensi all’erta. Lo shuttle viro e sal ulteriormente di quota. Locatelli aveva la certezza che quella sarebbe stata la sua unica chance. Se non fosse riuscito a neutralizzare Carl - o chiunque stesse pilotando il Ganymed al primo tentativo, avrebbe anche potuto congedarsi definitivamente dal mondo. Non lamentarti, idiota, l’hai voluto tu. E, stranamente - o forse no -, la sua voce interiore aveva il tipico tono condiscendente, inclusa la caratteristica «r» asiatica, di Momoka. GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Dana Lawrence raggiunse la propria postazione di lavoro. Depressione. Quello spiegava diverse cose. Ma come si manifestavano gli stati depressivi? Apatia? Aggressivita? Lynn avrebbe dato di matto? Cosa ci si poteva aspettare dalla figlia di Julian? Stabil il collegamento laser con la base Peary e, sul monitor, si materializzo il volto del vicecomandante Tommy Wachowski. Tra l’hotel e la base gli scambi non erano frequenti, fino a quel momento avevano comunicato direttamente una volta sola. L’uomo apparve teso e sollevato nel contempo, come se, chiamandolo, Dana gli avesse tolto un peso dal cuore. Lei era certa di conoscerne la ragione, ed ebbe la conferma proprio dallo stesso Wachowski. «Felice di vederla. Stavo gia pensando che non saremmo piu riusciti a parlare con nessuno.»
«Avete problemi col satellite?» Lui fu sorpreso. «Come fa a saperlo?» «Perche ci troviamo nella stessa situazione. Eravamo in contatto con la Terra quand’e saltato il collegamento. Da allora non riusciamo piu a ripristinarlo, nemmeno coi nostri shuttle.» «Anche noi siamo isolati. Il problema e che ci troviamo nella zona d’ombra, per via della librazione. Non abbiamo alternative. Dipendiamo completamente dal sistema LPCS. Ha idea di cosa stia succedendo?» La risposta era scontata. «No. Al momento siamo solo sconcertati. Del tutto sconcertati. E voi?» ARISTARCHUS PLATEAU, LUNA La gravita lunare agevolava la marcia. Non si poteva dire lo stesso delle tute spaziali. Sebbene garantissero un comfort eccezionale e una notevole liberta di movimento, chi le indossava era racchiuso in una specie d’incubatrice. Ogni movimento faceva sudare copiosamente e otto chilometri erano pur sempre otto chilometri, anche se percorsi saltando come canguri. Sottoposto a un fuoco di fila di domande, Julian aveva rivelato molti dettagli della vicenda. Aveva raccontato del suo avvistamento notturno del Lunar Express, delle menzogne e delle manovre diversive di Carl Hanna, e aveva ammesso che sulla Terra qualcuno stava tramando ai danni dell’Orley Enterprises. Ma ritenne opportuno non ammettere che dei terroristi avrebbero tentato di far saltare in aria il suo hotel con una bomba atomica, ne si fece sfuggire una parola sull’ingiustificabile omissione di Lynn. Era terribilmente preoccupato per lei, eppure in lui si era aperta una voragine di dubbi, all’interno della quale strisciava un pensiero simile a un verme nero e ripugnante. Chi aveva manomesso il filmato della sorveglianza, e chi aveva permesso a Carl di ascoltare la conversazione con la Terra poco prima? Che il canadese avesse sentito tutto era fuori discussione; era entrato in azione non appena quell’uomo di nome Jericho aveva esposto i suoi sospetti. E, infine, chi aveva messo fuori uso i satelliti con un tempismo perfetto in relazione alla fuga di Carl? Il verme si contorse, cambio colore, si dimeno e partor l’immagine di un complice all’interno dell’hotel. O di una complice. Una persona che gli aveva inspiegabilmente negato la visione del video manipolato e il cui comportamento si faceva sempre piu enigmatico di ora in ora. «Come ce ne andiamo da qui? Come torniamo all’hotel senza shuttle e senza collegamento radio?» chiese con un po’ d’insistenza Evelyn. «Io piuttosto vorrei sapere dov’e diretto Carl», disse Rogacev pensieroso. «Come se in questo momento fosse importante», sbuffo Momoka.
«Perche e fuggito tanto precipitosamemte? Non avremmo potuto incolparlo di nulla, se non di aver mentito.» «Forse ha un piano», propose Amber. «Un piano che deve attuare in fretta, ora che e stato scoperto.» In fretta. Appunto. Come avrebbe fatto il complice, se ce n’era davvero uno, a lasciare in tempo l’hotel? Quanto era concreto il pericolo che di l a qualche ora nel Gaia Hotel esplodesse una bomba? Carl Hanna non sarebbe dovuto tornare al Gaia Hotel per innescarla? O il conto alla rovescia era gia iniziato? In tal caso... Lynn. Doveva essere pazzo a sospettare di lei. Ma, se davvero sua figlia aveva un assurdo e macabro ruolo in quella drammatica vicenda, era consapevole in che ginepraio si era cacciata? Sapeva cosa stava facendo? Carl poteva averla indotta a partecipare con un pretesto qualsiasi, approfittando della sua fragilita mentale, facendole credere chissa cosa, e poi averla convinta a fare delle cose di cui lei ignorava completamente il significato? Forse avrebbe dovuto prestare maggiore ascolto a Tim. Avrebbe dovuto. Occasione sprecata e rimpianto. «Julian, come ce ne andiamo da qui?» chiese nuovamente Evelyn. Con qualche esitazione lui le rispose: «Peter conosce... conosceva il porto spaziale Schroter meglio di me. Di velivoli non ce ne sono, credo, ma di sicuro c’e un terzo rover. In ogni caso riusciremo ad andarcene.» «S, ma fino a dove? La prospettiva di attraversare il Mare Imbrium con un veicolo lunare non e certo incoraggiante», replico Rogacev. «Quanto siamo distanti dall’hotel?» chiese Amber. «Circa milletrecento chilometri.» «Quanto ossigeno abbiamo?» «Lasciamo perdere», ansimo Momoka. «Non abbastanza per arrivare con quella carretta fino alla Vallis Alpina, non e vero, Julian? Quanto tempo ci vuole per percorrere milletrecento chilometri a ottanta chilometri orari?» «Sedici ore, ma non e realistico pensare che riusciremo a procedere a ottanta.» «Sessanta?» «Forse cinquanta.» «Fantastico!» rise Momoka. «Si accettano scommesse su chi tirera le cuoia per primo, noi o la carretta.» «Smettila», disse Amber. «Scommetto che saremo noi.» «Momoka, fare cos non serve a niente. Sarebbe meglio...»
«Il veicolo passeggera per un po’ sulla Luna coi nostri cadaveri, finche a un certo punto...» «Momoka. Adesso basta. Smettila!» grido Amber. Julian cerco di riprendere in mano la situazione. «D’accordo, basta cos. Siamo tutti sconvolti. Quello che sta succedendo sembra assurdo e non disponiamo di nessuna informazione certa. Al momento l’unica cosa sensata da fare e guardare avanti, fare un passo alla volta, e il nostro prossimo passo sara il porto spaziale Schroter. L’ossigeno e sufficiente.» Fece una pausa. «Ora, dato che Peter e morto...» «Se e davvero morto», intervenne Evelyn. «Dato che Peter probabilmente e morto, sono io il capo della spedizione, chiaro? La responsabilita del gruppo adesso e mia, e d’ora in avanti voglio solo sentire proposte costruttive.» Una richiesta che ebbe l’immediata adesione di Rogacev. «Io ne avrei una.» «Bravo, Oleg.» Il tono di Momoka era chiaramente canzonatorio. «Le proposte costruttive sono molto quotate attualmente. » Lui la ignoro. «Gli impianti di estrazione di elio-3 sono molto piu vicini all’Aristarchus Plateau che all’hotel, o sbaglio?» «Giusto, si trovano piu o meno a meta strada», confermo Julian. «Dunque, se riuscissimo ad arrivare fin l...» «Gli impianti di estrazione sono automatizzati», obietto Momoka. «Me lo ha detto Peter. Tutti robot.» «S, e vero», confermo Evelyn pensierosa. «Ma ci saranno pure delle infrastrutture, no? Degli alloggi per il personale addetto alla manutenzione, un qualche mezzo di trasporto...» «Di sicuro c’e un deposito di sistemi di sopravvivenza. Ottima proposta, Oleg. Muoviamoci!» li rincuoro Julian. Ma evito d’informare i suoi compagni che l’ossigeno non sarebbe bastato nemmeno per raggiungere la zona di estrazione. GANYMED Carl Hanna si stava dirigendo verso la sua meta a milleduecento chilometri orari, facendo scivolare l’ombra del Ganymed sopra la monotonia vellutata della parte settentrionale dell’Oceanus Procellarum. Il veicolo procedeva alla sua velocita massima, il viaggio sarebbe durato ancora un’ora e un quarto e non c’era motivo di preoccuparsi, perche il gruppo di Julian aveva scarsissime possibilita di sopravvivenza. Ma, anche ammesso che fossero riusciti a lasciare il Plateau, lui avrebbe avuto a disposizione un tempo sufficiente per portare a termine il suo compito e abbandonare la Luna. Non sapeva se Ebola sarebbe riuscito a raggiungerlo, ora che il piano era stato scoperto; avrebbe aspettato il suo arrivo il piu a lungo possibile, pero a un certo punto se ne sarebbe andato, da solo. Erano le regole del gioco. Le alleanze avevano senso finche servivano a uno scopo.
Sulla destra inizio a delinearsi un altopiano, disseminato di minuscoli crateri, che divideva la parte settentrionale del Mare Imbrium dall’Oceanus Procellarum. Al di la si estendevano le zone di estrazione dell’elio-3, che arrivavano a lambire la baia Sinus Iridum, la zona che l’anno precedente era stata il teatro delle aspre contese tra americani e cinesi, sulle quali Kenny Xn gli aveva rivelato molti retroscena. Quell’uomo poteva anche essere pazzo, ma valeva sempre la pena starlo ad ascoltare. Si guardo intorno quasi rilassato. Il vano dell’ascensore era immerso in una luce soffusa e nulla poteva indurre a pensare che Locatelli ce l’avesse fatta a introdursi nello shuttle; del resto il rumore delle porte scorrevoli l’avrebbe tradito. Volse nuovamente l’attenzione ai comandi; la cartina olografica sulla console segnalava che il grande cratere sotto di lui era il Mairan. Il Ganymed stava viaggiando da una ventina di minuti e Carl fu come sopraffatto dalla noia. Decise di scuotersi da quel torpore. Si alzo, prese l’arma coi proiettili non esplosivi e si diresse verso l’ascensore, passando tra le file di sedili. A mano a mano che si avvicinava, riusciva a inquadrare piu distintamente i dettagli all’interno della cabina. La sua tranquillita comincio a dissolversi quando, a poca distanza, si accorse che sul pavimento c’era una massa ingombrante e bianca, forse uno zaino coi sistemi di sopravvivenza. Si fermo. Possibile che Locatelli ce l’avesse fatta? Riprese ad avanzare e pote distinguere altri dettagli: le spalle di una protezione pettorale, una gamba piegata e poi, solo quando fu cos vicino che il suo respiro si condenso sul vetro in minuscole goccioline, riusc a scorgere anche una parte del volto, un occhio sgranato, una bocca mezza aperta. Locatelli - non poteva essere che lui - era appoggiato contro la porta e non aveva un bell’aspetto, sembrava morto. Carl strinse con piu forza l’arma. Appoggio l’altra mano sul touchscreen, apr la porta e indietreggio di un passo mentre, dall’interno, il corpo cadde come un sacco: gli occhi sbarrati fissavano il soffitto, il braccio sinistro sbatte a terra inerme, le dita si aprirono come se chiedessero un’ultima elemosina. La destra, ancora all’interno dell’ascensore, stringeva il bordo inferiore del casco. Forse era riuscito a togliersi le protezioni prima di crollare. Carl si chino e, in quell’istante, cap che qualcosa non andava. Il colorito era insolitamente acceso per un cadavere, e quello poteva anche essere comprensibile... ma Warren Locatelli di certo era il primo morto che ancora sudava. Hanna, dunque. Warren urlo e, balzando in piedi, colp violentemente col casco il braccio di Carl, facendo volar via l’arma. Sapeva che il canadese avrebbe smascherato il suo bluff e, un attimo dopo, gli avrebbe sparato. Fu quasi sorpreso di essere ancora vivo due secondi dopo l’attacco. Dal decollo dello shuttle sembrava passata un’eternita e un’infinita di volte si era immaginato il copione di
quella scena, valutando quante probabilita aveva di cavarsela. E, adesso che era arrivato il momento d’interpretarla, non c’era piu tempo di pensare o di prendere fiato. Come facevano gli antichi celti, che confidavano sull’effetto di urla disumane, lancio grida spaventose e si avvento sull’avversario, colpendolo ripetutamente col casco, senza dargli la possibilita di contrattaccare o ritirarsi. Quando lo vide piegarsi, miro al cranio rasato, menando una serie di colpi tremendi. Il canadese cerco di afferrarlo, ma Locatelli gli sferro un calcio alla spalla. Spesso aveva fatto a botte in vita sua e non si era mai tirato indietro, tuttavia era la prima volta che si batteva con un killer professionista - perche, gli era ormai chiaro, Carl Hanna non era altro che quello - e anche quando quell’uomo non si muoveva piu gli assesto un altro colpo sulla testa; sentendosi quindi sicuro, afferro la strana arma di Hanna, indietreggio di qualche passo incespicando e prese la mira. Lo sparo fece schizzare il sangue di Carl ovunque. La mano di Locatelli tremava. E i tremiti di paura lo scuotevano ancora quando lui oso avvicinarsi al corpo disteso e appoggio la canna della pistola contro la tempia. Non vi fu nessuna reazione. Hanna aveva gli occhi chiusi e il respiro pesante. Piu il tempo passava, piu Locatelli sentiva il suo battito cardiaco tornare normale. Intanto quell’assassino non dava segno di ripresa. Si convinse che non si trattava di una finzione. Allora inizio a preoccuparsi di cosa avrebbe dovuto farsene di lui. Non gli sarebbe dispiaciuto infilare quello stronzo nell’ascensore e gettarlo nel vuoto, ma sarebbe stato un omicidio, e lui non sarebbe mai stato capace di uccidere qualcuno, neanche nei momenti in cui perdeva completamente il controllo. Inoltre voleva sapere perche Peter, Mimi e Marc erano morti e quale fosse il suo vero obiettivo. Aveva bisogno d’informazioni e poi... Momoka, Julian e gli altri erano rimasti bloccati sull’Aristarchus Plateau. Doveva tornare a prenderli, era la priorita assoluta. Ma ci sarebbe riuscito? Guardo la plancia di comando. Le sue specialita erano le macchine sportive e le regate veliche, non sapeva niente degli Hornet, ne dove fosse diretto il Ganymed; neppure la sua attuale velocita e quota di crociera, e la situazione a bordo non contribuiva a sollevargli l’umore. Da una parte il canadese, che prima o poi avrebbe ripreso i sensi, dall’altra il mondo sconosciuto della plancia di comando. Non aveva la piu pallida idea di dove mettere le mani. Doveva assolutamente cominciare a capirci qualcosa, e subito. Il problema piu urgente, pero, era quello di trovare un posto sicuro dove tenere Carl Hanna. Dal momento che le sue riflessioni non davano risultati soddisfacenti, decise di trascinare il corpo inerte verso la plancia, lo lascio cadere dietro il sedile del copilota e condusse una breve esplorazione alla ricerca di qualcosa con cui immobilizzarlo. Ma a bordo sembrava che non esistesse nulla che assomigliasse a una corda. Gli fu chiaro che non si sarebbe annoiato.
LONDRA, INGHILTERRA Una delle ultime opere architettoniche dell’ormai anziano Sir Norman Foster si ergeva sull’Isle of Dogs, una penisola a forma di goccia nell’East End di Londra. In quel punto il Tamigi descriveva un’ansa a U e bagnava un’area che ospitava quartieri commerciali, infrastrutture portuali elegantemente restaurate, appartamenti esclusivi e cio che restava della vecchia edilizia popolare, i cui abitanti storici si erano trasformati in spettatori di un idillio architettonico di rinascita e benessere. Gia negli anni ’90, alcuni facoltosi londinesi avevano riscoperto il fascino del quartiere, e cos locali di tendenza, gallerie d’arte e piccole e grandi aziende vi si erano trasferiti soppiantando le fatiscenti palazzine residenziali degli operai. Dopo quasi due decenni di preoccupanti tensioni sociali, anche le ultime strade erano state restaurate. Le famiglie che vi abitavano furono elevate a specie protetta, trasformandole, grazie alle sovvenzioni, in casi sociali che i manager stressati potevano tranquillamente invidiare senza essere accusati di cinismo. Nel 2025 sull’Isle of Dogs non c’erano piu poveri. Nemmeno all’ombra della Big O. La costruzione del nuovo quartier generale dell’Orley Enterprises era iniziata quando Owen Jericho abitava ancora a Londra, l’anno prima che la paura di perdere Joanna lo spingesse a tornare a Shanghai. Ora, nella parte sudorientale dell’isola dei cani, dove un tempo sorgevano gli Island Gardens, un basamento piatto - se si poteva definire piatto un edificio di dodici piani - sorreggeva una enorme O di duecentocinquanta metri di diametro, intorno alla quale orbitava una luna artificiale arancione cui si accedeva attraverso ponti sospesi. Gli atri luminosi, i giardini e gli ampi uffici dell’imponente struttura di vetro ospitavano cinquemila dipendenti, indaffarati come una colonia di termiti. Sul tetto era stato realizzato un ponte di volo integrato nella struttura che non alterava la forma arrotondata della O. Solo avvicinandosi in volo ci si accorgeva che la cima dell’edificio non era convessa ma piatta, una piattaforma sulla quale era parcheggiata una ventina di elicotteri e aeromobili. Il jet di Tu Tian era atterrato a Heathrow alle quattro e un quarto. I tre passeggeri erano stati accolti da alcuni addetti alla sicurezza dell’Orley Enterprises direttamente sulla pista di atterraggio e trasportati fino all’Isle of Dogs a bordo di un elicottero aziendale. Piu avanti, verso nord, si stagliava il complesso di grattacieli del Canary Wharf, che tentava invano di eguagliare la magnificenza della Big O. Alcune minuscole imbarcazioni private solcavano l’acqua davanti alle vecchie infrastrutture portuali ristrutturate. Jericho noto due uomini camminare sul ponte di volo. Quando l’elicottero atterro, gli uomini si avvicinarono. Uno dei due, capelli neri ispidi e sopracciglia folte, allungo la mano verso di lui, poi ci ripenso e la porse a Yoyo. «Andrew Norrington, vicecapo della sicurezza. Chen Yuyun, suppongo.»
«Solo Yoyo. L’onorevole Tu Tian e l’altrettanto onorevole Owen Jericho.» L’altro uomo tossicchio, si asciugo il palmo della mano sui pantaloni e fece un cenno di saluto. «Tom Merrick, responsabile delle comunicazioni.» Jericho lo osservo: giovane, affetto da calvizie precoce e incapace di sostenere lo sguardo dell’interlocutore per piu di due secondi. «Tom e il nostro specialista di sistemi informativi», chiar Norrington. «Avete portato il dossier?» Jericho si limito a mostrare loro il minuscolo dado. Norrington fece un cenno di assenso. «Molto bene. Seguitemi. » Vennero condotti verso la parte coperta del tetto, lungo un percorso costeggiato da aiuole, poi attraversarono un ponte, oltre il quale s’intravedeva una fila di ascensori di vetro. Inevitabilmente lo sguardo si posava sull’open space all’interno della Big O, animato dal formicolio continuo di persone indaffarate e attraversato da altri ponti. Centocinquanta metri piu in basso, lungo la curvatura della struttura, salivano e scendevano cabine simili ad ascensori. Entrarono in uno degli ascensori ad alta velocita, sfrecciarono verso il pianterreno, lo oltrepassarono e si fermarono al quarto piano interrato. Andrew li guido a passo sostenuto verso una parete a specchio che si apr senza il minimo rumore. Il mondo della high security li inghiott con le sue postazioni di lavoro informatiche, le sue pareti ricoperte di monitor, gli uomini e le donne muniti di cuffie impegnati in qualche videoconferenza. Tu Tian si sistemo gli occhiali sul naso, emise dei suoni di compiacimento e allungo il collo, ammaliato da quella esibizione di tecnologia. «La nostra centrale informativa», spiego la loro guida. «Da qui possiamo collegarci con tutti gli impianti dell’Orley, in qualsiasi parte del mondo. Noi lavoriamo direttamente con le filiali, e questo significa che non esistono capi area, ma solo responsabili della sicurezza delle singole succursali che fanno capo a Londra. Tutti i dati confluiscono qui da noi.» «A che profondita ci troviamo?» chiese Yoyo. «Piu o meno quindici metri. Siamo riusciti a contrastare le infiltrazioni dalla falda freatica. Per ovvi motivi, la centrale della sicurezza richiedeva una protezione particolare, doveva essere messa al riparo da eventuali attacchi aerei. Il sottosuolo della Big O, inoltre, e anche un bunker antiatomico.» «Vale a dire che pure se l’Inghilterra crollasse...» «... Orley continuerebbe a esistere.» «Il re e morto, lunga vita al re.» «Niente paura», replico Norrington sorridendo. «L’Inghilterra non sparira. Il nostro Paese e in continua evoluzione, abbiamo dovuto accettare la scomparsa delle cabine telefoniche e degli autobus rossi, ma la famiglia reale e intoccabile. Se la situazione si facesse critica, qui
sotto potremmo ospitare anche il re.» Li condusse in una sala conferenze le cui pareti erano schermi per proiezioni olografiche. Due donne stavano conversando sottovoce e Jericho ne riconobbe subito una, grazie al caschetto neroblu che incorniciava un viso pallido: era Edda Hoff. L’altra donna era paffuta, con lineamenti gradevoli anche se un po’ scontrosi, occhi grigi e capelli bianchi tagliati corti. «Jennifer Shaw», si presento. Capo della sicurezza, aggiunse nella sua mente Jericho. Cane da guardia numero uno dell’impero internazionale di Orley. Seguirono altre strette di mano. «Caffe?» chiese Jennifer. «Acqua? Te?» «Qualcosa.» Tu Tian aveva intravisto un lettore per cristalli di memoria e si avvio risoluto verso l’apparecchio. «Qualsiasi cosa.» «Vino rosso», disse Yoyo. La donna fu sorpresa e quasi infastidita da quella richiesta, ma non si scompose. «Preferisce un vino leggero, uno corposo o un barricato?» «Qualcosa di narcotizzante, se possibile.» «Un vino narcotizzante e qualcosa», disse Edda come se stesse chiedendo conferma dell’ordinazione. Usc per qualche istante e, quando rientro, gli altri stavano prendendo posto intorno al lettore. Tu Tian infilo il cristallo. «Col vostro permesso, diamo prima la parola a un vecchio mascalzone. Dovete ringraziare lui se avete la possibilita di guardare dentro la mente malata del vostro nemico. Inoltre vorrei cancellare subito qualsiasi dubbio sulla nostra credibilita.» Jennifer si appoggio allo schienale. «Dove si trova quest’uomo adesso?» «È morto», intervenne Jericho. «È stato assassinato davanti ai miei occhi. Volevano impedirgli di divulgare quello che sapeva. » «A quanto pare senza successo. Come siete riusciti a entrare in possesso del cristallo?» «Gli ho rubato l’occhio», rispose Yoyo. «Quello sinistro.» Dopo una breve riflessione, Jennifer commento: «Gia, il fine giustifica i mezzi. Date pure la parola al vostro defunto amico». «Be’, sembrerebbe un guasto dei satelliti», disse Tom Merrick, responsabile della sicurezza IT, dopo che Vogelaar ebbe finito di evocare un’apocalisse sotto il cielo carico di pioggia dell’Africa occidentale. «Almeno all’apparenza.» «Cos’altro potrebbe essere?» chiese Jericho. «Dunque, e un po’ complicato. Anzitutto i satelliti non sono apparecchi che si possono attivare e disattivare a piacimento premendo un pulsante. Per poterli controllare e indispensabile conoscere i codici.» Merrick distolse lo sguardo dagli interlocutori. «Certo, se ne puo entrare in possesso con azioni di spionaggio. Un satellite per le comunicazioni si puo bloccare
mediante data streaming mirati, per qualche ora o per un giorno. Si puo anche distruggere bombardandolo di radiazioni, ma qui siamo di fronte a un guasto globale, capite? Non riusciamo a raggiungere ne il Gaia Hotel ne la base Peary.» «La base Peary?» gli fece eco Tu Tian. «La base lunare americana ?» «Esatto. Per isolare questa base attualmente basterebbe bloccare il sistema LPCS, i satelliti lunari, per via della librazione, ma...» «Librazione?» Il volto di Yoyo assunse un’espressione perplessa. «La Luna all’apparenza e immobile», intervenne Norrington prima che Merrick potesse rispondere. «Ma si tratta di un’illusione. Il satellite e sottoposto a una rotazione continua. Durante la sua rivoluzione intorno alla Terra, la Luna ruota anche una volta intorno al proprio asse, e in questo modo mostra alla Terra sempre la stessa faccia. È il fenomeno della ’rotazione sincrona’ ed e una caratteristica tipica della maggior parte delle lune del Sistema Solare. Tuttavia...» «S, s», intervenne Tom spazientito. «Deve spiegare che la velocita angolare con la quale una luna ruota intorno a un corpo piu grande, rapportata alla rotazione intorno al proprio asse...» «Penso che i nostri ospiti preferiscano una spiegazione piu semplice. In sostanza, a causa del movimento rotatorio, la Luna oscilla leggermente. Questo e il motivo per cui l’osservatore terrestre e in grado di vedere piu della meta della superficie lunare, quasi il sessanta per cento in effetti. Per contro, le regioni ai bordi periodicamente scompaiono alla vista.» «E percio non sono raggiungibili via radio», intervenne nuovamente Tom. «La radiotrasmissione convenzionale presuppone il contatto visivo, a meno che non ci sia un’atmosfera che rifletta le onde radio, ma, com’e noto, sulla Luna l’atmosfera e assente. E al momento il Polo Nord, dove si trova la base Peary, e nella zona d’ombra della librazione, pertanto non e raggiungibile dalla Terra via radio. Per questo intorno alla Luna e stata predisposta una rete di dieci satelliti, il Lunar Positioning and Communication System, LPCS, almeno cinque dei quali sono sempre visibili dalla Terra. Quindi dovremmo essere in grado di metterci in comunicazione con la base, indipendentemente dagli effetti della librazione.» «E cosa v’induce a escludere che qualcuno sia riuscito ad assumere il controllo di tutti e dieci i satelliti?» chiese Jericho. «Niente. Cioe, tutto. Sapete di quanti satelliti si dovrebbe prendere il controllo per interrompere qualsiasi collegamento tra la Terra e la Luna? Il Gaia Hotel non e soggetto agli effetti della librazione perche e sempre visibile dalla Terra, quindi e sempre raggiungibile via radio tramite il satellite TDRS, anche senza l’LPCS. Il fatto e che non riusciamo a stabilire un collegamento nemmeno con l’albergo.»
«Questo significa che pure i satelliti terrestri...» «... dovrebbero essere stati messi fuori uso, esatto. Un’infinita di maledetti codici, ma potrebbe anche essere possibile. Alla lunga, pero, questa mossa si rivelerebbe inefficace. Anche se venisse attaccata la centrale TDRS a White Sands e venissero bloccati in una volta sola tutti i satelliti Tracking and Data Relay, basterebbe appoggiarsi alle stazioni terrestri, oppure ai satelliti civili come l’ARTEMIS, dotati di transponder S-Band e antenne orientabili. È impensabile che qualcuno sia riuscito a bloccarli tutti contemporaneamente.» «È proprio questo il problema», commento Edda. «Siamo in contatto con le stazioni terrestri disponibili, in tutto il mondo. Ma nessuna riesce a stabilire un collegamento.» «Dopo l’interruzione della teleconferenza, abbiamo immediatamente informato la NASA e l’Orley Space a Washington», disse Jennifer. «E anche il Mission Control Center di Houston, e le nostre stazioni di controllo sull’Isla de las Estrellas e a Perth. Silenzio radio ovunque.» Jericho si massaggio il mento. «E quale potrebbe essere la causa, se non un guasto dei satelliti?» Studiando le linee sul palmo della propria mano, Tom rispose: «Non lo so ancora». «I collegamenti sono interrotti anche tra la base Peary e il Gaia Hotel?» «Forse no», ribatte Norrington. «Non possiamo saperlo con sicurezza. Ma tra la base e l’hotel esiste un collegamento laser non satellitare.» «Quindi, se riuscissimo a metterci in contatto con la base...» «Loro potrebbero inoltrare i nostri messaggi al Gaia Hotel.» Intervenne Jennifer: «Devo essere sincera, Jericho. Fino a poco fa dubitavo che le vostre informazioni rivelassero un pericolo reale per il Gaia Hotel. Potevate essere una banda di svitati isterici ». «E qual e la sua opinione adesso?» chiese Tu Tian. «Sono propensa a credervi. Secondo il vostro dossier, la bomba si trova lassu dall’aprile dello scorso anno. In effetti l’apertura del Gaia Hotel era prevista per il 2024, ma la crisi lunare ha fatto slittare l’inaugurazione. Avrebbe senso far saltare la bomba ora, a lavori ultimati. Appena dopo che abbiamo avvertito della situazione l’hotel, e stato messo fuori uso il nostro sistema di comunicazioni. Anche questo e un indizio che qualcosa succedera, ma soprattutto che qualcuno, in questo stesso istante, ci sta sorvegliando. Fatto estremamente inquietante, per due motivi in particolare: primo perche ci fa sospettare che tra noi c’e una talpa, secondo perche significa che qualcuno lassu cerchera di portare la bomba al Gaia Hotel per farla esplodere, sempre che non l’abbia gia fatto.» «In base alle rivelazioni di Vogelaar, in questa storia ci sono cinesi ovunque», noto Norrington.
«S, non si puo escludere il coinvolgimento dei cinesi.» Jennifer fece una pausa e poi prosegu: «Tuttavia Julian aveva dei sospetti gia prima che il collegamento venisse interrotto: uno degli ospiti, quello che si e unito al gruppo per ultimo». «Carl Hanna», disse Norrington. «Carl Hanna. Datevi da fare e procuratemi tutta la documentazione che lo riguarda. Voglio sapere tutto di lui. Edda, lei si metta in contatto con la NASA e con l’OSS. Devono mandare uno shuttle al Gaia Hotel.» Edda ebbe un’esitazione. «Non so se l’OSS al momento ha disponibilita...» «Non m’interessa. Devono intervenire. E subito.» ARISTARCHUS PLATEAU, LUNA Il rover di cui aveva parlato Julian era parcheggiato in una zona riparata. Il secondo era abbandonato sulla pista di atterraggio, la carrozzeria bruciacchiata, come se fosse stato investito dalle emissioni dei propulsori dello shuttle. Del terzo restava solo un mucchio di rottami, disseminati un po’ ovunque. Momoka inizio a corrervi in mezzo alla ricerca dei resti di Warren. In un silenzio funereo, il gruppo perlustro tutta la zona, per poi accertare che, senza ombra di dubbio, tra quei detriti non c’erano ne Locatelli ne brandelli del suo corpo. La conseguenza era chiara a tutti: Locatelli era riuscito a salire a bordo dello shuttle. Scoraggiati, esplorarono minuziosamente gli hangar. Il porto spaziale Schroter era ancora in fase di ultimazione. Il progetto prevedeva camere di decompressione e ambienti pressurizzati che avrebbero consentito una temporanea permanenza in loco, ma sembrava che mancasse un vero e proprio sistema di sopravvivenza: la cella frigorifera, che avrebbe dovuto essere il magazzino per i generi alimentari, era infatti vuota, e dei grasshopper che avrebbero dovuto trovarsi nella parte dell’hangar in cui Julian aveva parcheggiato il veicolo lunare non si vedeva nemmeno l’ombra. «Be’, almeno teoricamente siamo al sicuro», commento Evelyn, sprizzando rabbia dopo aver constatato il vuoto cosmico di un container d’acciaio che avrebbe dovuto contenere le tute spaziali. «Tutto questo sarebbe comunque dovuto succedere tra quattro settimane.» «Abbiamo davvero a disposizione solo quello stupido veicolo lunare?» si lamento Momoka. Poi intervenne Julian, che stava esplorando l’edificio adiacente insieme con Amber e Oleg Rogacev: «No, abbiamo qualcosa di piu. Fareste meglio a venire di qua». «Non vola, e vero, pero si muove. Il rover bruciacchiato la fuori di sicuro non ha un bell’aspetto, ma funziona. Insieme con quello nell’hangar fanno due, e guardate cos’ha trovato Amber: batterie di ricambio cariche per entrambi i veicoli. E nel vano di carico del rover integro c’e un’ulteriore riserva di ossigeno per due persone.»
«Noi siamo in cinque», ribatte Momoka. «Possiamo agganciare alternativamente le bombole alle nostre tute?» «S. Le scorte non sono sufficienti per raggiungere il Gaia Hotel, anche perche sarebbe impossibile attraversare le Alpi coi rover, ma dovremmo riuscire ad arrivare all’impianto di estrazione.» «E qualcuno conosce la strada?» Amber sventolo una pila di fogli ripiegati. «È quella la.» «Cosa sono, mappe?» «Erano nel rover.» «Perfetto!» sbuffo Momoka. «Come ai tempi di Vasco de Gama. Che tecnologia di merda e questa se uno stupidissimo catorcio lunare non puo nemmeno essere programmato per seguire un percorso?» «La tecnologia di una civilta che confonde sempre piu spesso le proprie conquiste con la magia», rispose Rogacev. «O forse ti e sfuggito che la comunicazione satellitare e saltata? Niente LPCS, niente sistema di orientamento.» «Non mi e sfuggito», replico lei scontrosa. «Avrei anche un’osservazione costruttiva, comunque.» «Sentiamo.» «Non penseremo certo di mettere radici nell’impianto di estrazione, vero? Voglio dire, in questo momento e impossibile mettersi in comunicazione con l’hotel, perche il segnale satellitare e assente. Quindi dobbiamo raggiungere l’albergo solo con le nostre forze.» «Dove vuoi arrivare?» «C’e un qualunque tipo di velivolo all’impianto?» «Probabilmente ci sono dei grasshopper.» «Gia, davvero utili se ti accontenti di passeggiare per la Luna a passo di lumaca. Ma, se non ricordo male, i serbatoi di elio vengono trasportati con una ferrovia magnetica. Quindi la ci sara una stazione e da l partira un treno per la base Peary. E dalla base Peary...» Ma certo, penso Julian, puo funzionare. Dopotutto era cos ovvio. Difficile da credere, ma Momoka, per una volta, era stata d’aiuto. GANYMED Warren Locatelli fissava i display. Aveva capito che Carl si era orientato servendosi di una mappa olografica, una specie di surrogato dell’LPCS. Le videocamere esterne sincronizzavano in tempo reale l’immagine del paesaggio sorvolato dal Ganymed con un modello 3D caricato nella memoria del computer, sul quale venivano impostati destinazione e percorsi: in tal modo non si rischiava di finire fuori rotta. In pratica era come se fosse inserito il pilota automatico, dato che il computer effettuava continui aggiustamenti; per il corretto funzionamento
del sistema, pero, era necessario mantenere una quota di crociera piuttosto elevata. Locatelli sapeva che Carl Hanna aveva impostato la destinazione, ma i dati disponibili non permettevano di capire dove fossero diretti. Avrebbe scommesso che il canadese voleva tornare all’hotel, ma volavano troppo a ovest; per raggiungere il Gaia avrebbero dovuto dirigersi a nord-est, e invece aveva l’impressione che stessero seguendo il 50° di longitudine. Hanna era diretto al Polo? Una ridda di domande comincio ad affollargli la mente. Perche Carl non aveva attivato il sistema LPCS? Come si faceva atterrare un aggeggio del genere? E come si rallentava? Stavano volando a milleduecento chilometri orari, a diecimila metri di altitudine: piuttosto angosciante. Quanto sarebbe durato ancora il carburante, considerato pure che i propulsori dovevano imprimere una spinta costante al Ganymed per mantenerlo in quota e farlo contemporaneamente accelerare? Cerco di attivare il collegamento integrato nella tuta per contattare Momoka, ma non ebbe risposta; fece un secondo tentativo con Julian, dopodiche passo alla modalita di ricezione collettiva: solo fruscii. Forse i sistemi di comunicazione delle tute non funzionavano a quella distanza; del resto stava volando da circa mezz’ora. Dopo aver eseguito un calcolo approssimativo, arrivo alla conclusione che tra lo shuttle e l’Aristarchus Plateau dovevano esserci piu di cinquecento chilometri. A destra, a notevole distanza, spiccava un altopiano con un cratere al centro, che la cartina indicava come Mairan; un altro, Louville, si stagliava a nord, superando la linea dell’orizzonte. Doveva assolutamente prendere confidenza con la plancia di comando: a bordo del Ganymed almeno sarebbe stato possibile comunicare via radio con l’hotel. Si accorse solo allora che sul vetro davanti alla postazione del pilota c’era un diagramma con una serie di semplici istruzioni, che lo guidarono all’attivazione del menu principale. Molte operazioni gli apparvero subito piu semplici di quanto avesse immaginato. Continuava a non avere la piu pallida idea di come si pilotasse quell’aggeggio, ma almeno adesso era in grado di far funzionare l’impianto radio. Lo sconcerto pero crebbe quando, anche dopo un ulteriore tentativo, non ottenne risposta alla sua chiamata. Penso che l’impianto fosse difettoso, poi cap che il collegamento satellitare era saltato. Ecco perche Carl Hanna si era affidato alle mappe di navigazione. Comprese pure il motivo per cui non fosse riuscito a contattare nessuno coi metodi tradizionali: perche una trasmissione radio convenzionale funzionasse, era necessario che nessun ostacolo si frapponesse tra emittente e ricevente assorbendo le onde radio; la curvatura pronunciata della Luna interrompeva quasi immediatamente ogni tentativo di comunicazione. Era proprio per quel motivo che i suoi precedenti tentativi di contattare Momoka e gli altri era fallito; mentre lui si era lanciato all’inseguimento, loro si erano fermati dall’altra parte della Snake Hill. Basandosi su quelle considerazioni, era in grado di stabilire il momento esatto del guasto del satellite. Coincideva con la fuga di Hanna. Poteva essere un
caso? No. Di sicuro c’era in gioco qualcosa di grosso. Dietro di lui Carl emise un gemito sommesso e Warren lo guardo per controllare la situazione. Dopo una ricerca piu accurata era riuscito a scovare delle cinghie per il fissaggio del carico e con quelle aveva legato il prigioniero alla prima fila di sedili. Anche se il canadese fosse riuscito a liberarsi, lui avrebbe avuto il tempo di sparargli a una gamba con la sua stessa arma. Per qualche istante osservo il volto pallido dell’assassino, che continuava a tenere gli occhi chiusi. Si concentro di nuovo sul pannello di comando dello shuttle, per farsi almeno una vaga idea di come regolare la quota del Ganymed, semplicemente... Sicuro. Si sent pervadere da una grande agitazione. Sulla Luna non c’era atmosfera, quindi la quota di crociera in realta non aveva importanza, tutt’al piu avrebbe inciso sul consumo di carburante. Anche in condizioni limite non cambiava niente, il vuoto era vuoto. Ma, piu in alto avesse portato lo shuttle, meno rilevante sarebbe stata la curvatura lunare, fino a diventare ininfluente. Se non s’ingannava, a nord-est della Vallis Schroteri si estendeva solo l’altopiano Rupes Toscanelli con la Snake Hill. Ammesso che i suoi compagni non avessero cercato rifugio sotto una sporgenza rocciosa, ma si fossero spinti fino al porto spaziale, lui avrebbe potuto contattarli. Le sue dita scivolavano veloci sulla console di comando. Lo shuttle disponeva di una quantita inquietante di ugelli e Locatelli noto che alcuni erano rivolti verso il basso, altri verso la parte posteriore e altri ancora erano orientabili. Decise di escludere questi ultimi e di utilizzare solo quelli verticali per imprimere spinta al Ganymed. Inser un valore a caso e... un secondo dopo sembro che gli stessero schiacciando l’aria fuori dai polmoni. Accidenti. Era troppo, decisamente troppo. Che razza di stupido era stato. Perche non aveva iniziato inserendo un valore piu basso? Il Ganymed stava sfrecciando verso l’alto, le pareti vibravano, il velivolo sembrava impazzito, come se volesse sputarlo fuori dalla cabina. Ridusse subito la spinta e si accorse che le vibrazioni erano dovute al fatto che gli ugelli non bruciavano la stessa quantita di carburante; corresse, regolo, pareggio i valori finche lo shuttle non comincio a stabilizzarsi, continuando a salire, ma a velocita piu moderata. Bene. Molto bene. «Locatelli chiama Orley. Momoka, Julian, per favore, rispondete. » Dagli altoparlanti giungeva ogni possibile variante di rumore bianco, pero niente che fosse anche solo lontanamente somigliante a qualcosa di umano. Il Ganymed si stava avvicinando ai tredici chilometri d’altitudine; dopo i capricci iniziali, ora si lasciava guidare con la docilita di un cavallo domato, guadagnando costantemente quota, mentre Locatelli chiamava i nomi di Julian e Momoka ogni pochi secondi. Quattordici chilometri.
Il suolo lunare si allontanava sempre di piu. Nel momento in cui il comando automatico registro l’allontanamento dal grado di longitudine di riferimento, lo shuttle ricomincio a tremare e a vibrare, a seguito della brusca correzione della deviazione. «Locatelli chiama Orley. Julian, Momoka, Oleg, Evelyn. Qualcuno mi sente? Rispondete. Locatelli chiama...» 14,6 - 14,7 - 14,8 Inizio a sentirsi sempre piu a disagio, anche se la sua mente si affrettava ad assicurargli che in teoria avrebbe potuto spingersi nello spazio aperto. Era tutta una questione di carburante. «Momoka, Julian!» 15,4 - 15,5 - 15,6 «Warren Locatelli chiama Orley. Rispondete.» Fruscii. Crepitii. Ronzii. «Locatelli chiama Orley. Julian, Momoka!» «Warren!» ARISTARCHUS PLATEAU, LUNA «Warren! Ho Warren in linea!» Momoka si lancio in un balletto scoordinato intorno al rover bruciato sul quale avevano cominciato a caricare le batterie. Tutti si fermarono per ascoltare Locatelli. La sua voce risuonava nei caschi a un volume che alimentava la speranza, forte e chiara, come se fosse stato proprio davanti a loro. «Warren, tesoro, amore!» urlo Momoka. «Dove sei? Amore mio, oh, tesoro. Stai bene?» «Tutto a posto. E voi?» «Manca qualcuno, non sappiamo esattamente cosa sia successo. Peter, Mimi, Marc...» «Sono morti», comunico lui. Non avevano bisogno di conferma, l’avevano capito anche loro, ma quelle parole sferzarono lo spazio taglienti come una lama, spazzando via definitivamente anche la piu piccola e irrazionale speranza che fino ad allora si era insinuata in ogni sorta di «se» e «forse» pronunciati a mezza voce. Il gruppo ne fu turbato e per breve tempo rimase in silenzio. «Dove sei?» chiese Julian, visibilmente provato. «Nello shuttle. Quel bastardo di Carl ha spinto Peter nel burrone, ha fatto saltare in aria Mimi e Marc e poi e scappato con lo shuttle, ma io sono riuscito a salire a bordo.» «E dov’e Carl adesso?» «È svenuto. Gli ho dato una botta in testa e l’ho legato a un sedile.» «Sei un eroe!» eclamo estasiata Momoka. «Lo sai? Sei un dannato eroe!» «Come no. Sono un eroe chiuso in una navicella spaziale maledettamente veloce senza avere la piu pallida idea di come si guidi. Cioe, sono capace di andare verso l’alto, ma devo
ancora prendere confidenza con le manovre per invertire la rotta, scendere di quota e atterrare.» «Riesci a collegarti con l’hotel via radio?» chiese Julian. «Credo di no, e troppo lontano e ci sono troppe montagne in mezzo. Sono a oltre sedici chilometri di altitudine, comincio ad avvertire la mancanza della forza di gravita. Oltre al fatto che non so quanto carburante mi resti.» «Va bene, non ci sono problemi, ti aiuto io. Per il momento resta a questa altitudine, per mantenere la connessione radio.» «Il sistema LPCS e saltato: come mai?» «Sabotaggio. Carl ti ha detto qualcosa?» «Non gli ho lasciato il tempo di parlare.» «Oh, mio eroe!» «Conosci la tua posizione?» «50 gradi Ovest, 46 gradi Nord. Alla mia destra c’e un cratere, poi cominciano le montagne.» «Dammi un nome.» «Aspetta un attimo: Montes Jura.» «Benissimo. Ora stammi a sentire Warren, devi...» GANYMED Warren ascoltava Julian mentre gli dava istruzioni, ma ebbe il sospetto che nemmeno il suo amico sapesse esattamente cosa fare, anche se di sicuro aveva le idee molto piu chiare di lui su come si pilotava uno shuttle Hornet; sapeva virare, tanto per dirne una. Warren per esempio avrebbe orientato gli ugelli singolarmente e, in quel modo, si sarebbe lanciato nel vuoto, trovando morte sicura. In realta era tutto piu facile, bastava riuscire a tenere a mente alcune semplici procedure, come quelle per cancellare un percorso preimpostato e riattivare il comando manuale. «Tieniti sulla destra, vola verso est, in direzione del Montes Jura, e poi dirigiti verso sud con un’ampia virata di centottanta gradi.» «Tutto chiaro.» «No che non lo e. La cosa importante e che il raggio di virata non sia troppo corto, hai capito? Fai sempre curve belle ampie. Non dimenticarti che stai volando a una velocita di milleduecento chilometri orari!» Lui obbed e, forse, segu le istruzioni anche con troppa diligenza: la virata gli permetteva ora di ammirare un’ampia porzione di paesaggio lunare. Quando il Ganymed ebbe terminato la manovra, si ritrovo nuovamente a ovest del 40° di longitudine e sotto di lui si stagliavano le gole di un antichissimo massiccio montuoso che abbracciava un’enorme insenatura. Era il Si-
nus Iridum, che confinava col Mare Imbrium, e a Locatelli quel nome suono vagamente familiare. Poi si ricordo: il Sinus Iridum era stato il pomo della discordia che aveva scatenato la crisi lunare del 2024. Dal finestrino della cabina di pilotaggio si godeva una vista da togliere il fiato: la terra sembrava fondersi col mare in un modo perfetto, mancava solo che il vellutato manto di basalto del Mare Imbrium, particolarmente delicato dove s’incontrava con la propaggine sudoccidentale delle montagne, si tingesse di blu. «Dove sei?» chiese Julian. «Sopra la parte meridionale del Sinus Iridum. Davanti a me si estende una lingua di terra. Il Promontorium Heraclides. Devo scendere ancora? Se lo faccio poi non avro piu molto margine a disposizione.» «S, fallo. Vediamo fino a che punto regge la comunicazione. » «Okay. Quando s’interrompe, riprendo quota.» «Diventera comunque sempre piu stabile a mano a mano che ti avvicini a noi.» Locatelli indugio. Scendere di quota era una bella cosa, ma sarebbe stato ancora meglio diminuire anche la velocita. Non di molto, gli sarebbe bastato portarla al di sotto dei mille chilometri orari. Il viaggio con lo shuttle non era neanche lontanamente simile a un normale volo terrestre, dove si solcavano strati atmosferici e ci si doveva misurare con le turbolenze; tuttavia le innumerevoli ore di volo accumulate adesso gli tornavano utili. Si risolse quindi a diminuire velocita e quota. Il Ganymed comincio a entrare in picchiata. Lo shuttle si piego su un lato e l’interno fu inondato dal frastuono delle urla di dolore di una tecnologia sovraccarica. «Julian! Ho fatto qualche cazzata!» «Cosa succede?» «Sto precipitando!» «Cos’hai combinato?» Le mani di Warren si muovevano nervosamente sui comandi, indecise su quale tasto premere o quale interruttore usare. «Penso di aver confuso la regolazione dell’altitudine con quella della velocita.» «Okay, non agitarti!» «Non sono agitato!» urlo fuori di se. «Fai come ti dico. Devi soltanto...» La comunicazione s’interruppe. Merda, merda, merda. Locatelli si aggrappo alla plancia di comando come una donna che avesse visto un topolino. Non sapeva cosa fare, ma si rendeva conto che non fare niente lo avrebbe portato dritto dritto alla morte, quindi doveva fare qualcosa, ma cosa?
Cerco di bilanciare l’inclinazione dello shuttle con una controspinta. Il Ganymed rugg come un bestione ferito, entro in violenta oscillazione e s’inclino sull’altro lato. Un attimo dopo il mezzo rollava cos tanto che Locatelli temette che sarebbe esploso in mille pezzi. Inerme, si guardo intorno, poi un riflesso lo costrinse a voltarsi. Carl Hanna lo stava fissando. Hanna, il colpevole di tutto cio. In altre circostanze si sarebbe alzato e gli avrebbe dato una bella e istruttiva lezione su come gestire i rapporti interpersonali coi propri compagni di viaggio, ma quello non era proprio il momento adatto. Il canadese stava cercando selvaggiamente di liberarsi delle cinghie. Lui decise d’ignorarlo e rivolse di nuovo l’attenzione alla plancia di comando. Lo shuttle stava rapidamente perdendo quota, continuando a inclinarsi. Decise di accettare l’idea dell’atterraggio di fortuna sulle rocce per dedicarsi alla stabilizzazione della posizione, ma i suoi sforzi ebbero come unico risultato quello di fargli perdere all’improvviso ogni controllo sui comandi. «Warren, hai...» Hanna stava urlando qualcosa. «... hai inserito il pilota automatico. Devi...» Perche quell’idiota non chiudeva il becco una volta per tutte? «... sei uscito dal comando manuale. Warren, accidenti. Slegami! » «’Fanculo.» «Cos moriremo entrambi!» Locatelli si mise testardamente a esaminare il menu principale. L’altimetro segnalava quote paurosamente sempre piu basse, 5,0-4,8-4,6: si sarebbero schiantati come un meteorite. Poco prima, in un eccesso di zelo, doveva aver attivato una qualche funzione che lo aveva privato del controllo dello shuttle, negandogli l’accesso a qualunque metodo di navigazione. Ora, per quanto si sforzasse, niente di quello che faceva sembrava influenzare minimamente il volo del Ganymed. «Warren!» Come diavolo aveva fatto? Sforzati di ricordare. Fai quello che hai fatto prima, seguendo le indicazioni di Julian, ha funzionato cos bene. Devi escludere il pilota automatico e attivare il comando manuale. Ma come? «Slegami, Warren!» Perche adesso non era piu in grado di farlo? Stupido touchscreen. Su quella maledetta plancia di comando esistevano solo campi virtuali, sconosciuti paesaggi elettronici e simboli criptici invece di solide levette con chiare didascalie. «Moriremo, Warren. E questo non servirebbe a nessuno. Non puoi volerlo davvero!» «Scordatelo, stronzo.»
«Non ti faro niente, okay? Ma adesso slegami!» Con un’inclinazione di quarantacinque gradi, il suolo lunare si avvicinava pericolosamente, mentre alla loro destra la cima della dorsale montuosa si stagliava sopra la traiettoria dello shuttle. A quella distanza sembrava che la sotto, nel Sinus Iridum, fosse in atto una qualche inquietante e inspiegabile trasformazione: qua e la lo strato di basalto pareva dissolversi, si vedeva piu foschia che superficie solida, e cio dava luogo a fenomeni oscuri ed enigmatici. Tra lo shuttle e la superficie lunare c’era poco meno di un chilometro; dove prima si vedevano solo contorni confusi e sfocati, ora prendevano forma le rotaie della ferrovia magnetica, mentre i profili di cupole, antenne e ponteggi diventavano sempre piu nitidi. Locatelli scorse per un attimo un accumulo di strutture a forma d’insetto su una salita, poi anche quelle scomparvero dalla vista. E lo shuttle continuava a precipitare. «Warren, idiota testardo!» La cosa terribile era che Hanna aveva ragione. «E va bene!» Impreco e si alzo barcollando: considerato che stavano precipitando a una velocita folle, il suo corpo non aveva praticamente peso. Tutto intorno a lui tremava, vibrava e rimbombava. Il pavimento dello shuttle era cos inclinato che, se in quel momento lui non avesse fluttuato, gli sarebbe stato comunque impossibile reggersi in piedi. Con l’arma ben salda in mano si avvicino al canadese, poi striscio dietro di lui e con la mano libera diede uno strattone alle cinghie. Ma non ottenne nessun risultato. Le cinghie sembravano saldate. Bel lavoro, Warren. Bravo. Avrebbe dovuto utilizzare entrambe le mani. Dannata sfortuna. Come avrebbe fatto con l’arma? Svelto, in filatela sotto l’ascella. E ora niente panico, devi solo allentare i nodi e poi scioglierli con cautela. Le cinghie caddero. Hanna si mise in piedi con un balzo, riusc ad afferrare il bracciolo del sedile del pilota e scivolo al posto di comando. «Come immaginavo.» Locatelli si isso a fatica sul sedile del copilota. Il canadese non lo degno della benche minima attenzione. Concentrato esclusivamente sul suo compito, imposto una serie di comandi e il muso del Ganymed si rialzo. Sotto di loro turbinava un mare infinito di sabbia, dal quale affioravano pallide dita che si protendevano verso l’alto e cercavano di afferrarli e di trascinarli in un vortice generato da un enorme insetto che strisciava lentamente sulla pianura. Locatelli trattenne il fiato. Nella totale assenza di contorni e profili definiti, gli sembro che enormi coleotteri luccicanti camminassero sotto di loro, poi, tutto a un tratto, ebbe la sensazione che il cervello gli venisse spremuto fuori dalle orecchie. Hanna freno bruscamente lo shuttle. Davanti ai finestrini si sollevo un turbinio di nuvole. Stavano volando alla cieca, troppo veloci. Poco prima lui avrebbe dato qualunque cosa per ridurre Carl a brandelli, ora il suo piu grande desiderio era quello di vederlo padrone della
situazione. Il volto del canadese era imperlato di sudore, i muscoli della mascella contratti. Nella parte posteriore del Ganymed risuono il rumore di un’esplosione, poi un rimbombo ancora piu forte: il muso dello shuttle si sollevo... Contatto col suolo. I sostegni per l’atterraggio si staccarono. Come se un gigante avesse dato un pugno nello stomaco al Ganymed, Locatelli fu sbalzato dal sedile, fece una capriola e fu scagliato verso il fondo dello shuttle. Sembrava che tutte le ossa del suo corpo volessero improvvisamente cambiare di posto. Coi propulsori ancora fumanti, lo shuttle tracciava solchi nella regolite, quindi si sollevo, impatto di nuovo contro il suolo, si rialzo, saltello, tuttavia la fusoliera resistette. Lui cercava disperatamente un appiglio e, con una mano, riusc ad afferrare un montante; tese i muscoli e si mise in piedi, pero subito perse la presa e volo in avanti. Nella sua folle corsa, lo shuttle aveva urtato qualcosa e si era impennato, sfiorando le pendici di una collina. Quando alla fine il velivolo si fermo in mezzo a una distesa di detriti, Warren atterro tra due file di sedili e la spinta dell’accelerazione lo sbalzo in avanti facendogli sbattere la testa. Tutto intorno a lui si coloro di rosso. Poi fu il buio. ARISTARCHUS PLATEAU, LUNA Alla breve euforia per aver udito la voce di Warren si era sostituita un’angoscia ancora piu grande. Julian aveva ripetutamente cercato di contattare il Ganymed, ma dalle cuffie non arrivava altro che il solito brusio. «È precipitato», continuava a sussurrare Momoka. «Non significa niente», cercava di consolarla Evelyn Chambers. «Sicuramente ha pieno controllo del mezzo, Momoka. Ci e gia riuscito una volta.» «Ma non risponde.» «Perche sta volando a una quota troppo bassa. Non puo rispondere. » «Tra mezz’ora sapremo cos’e successo», sentenzio Oleg Rogacev con calma. «Quando dovrebbe essere qui.» «Giusto.» Amber si sedette a terra. «Aspettiamo.» «Non e cos semplice», intervenne Julian. «Se lo aspettiamo a lungo consumeremmo troppo ossigeno e poi potrebbe non bastarci per raggiungere l’impianto di estrazione.» «Cosa? Siamo cos a corto?» esclamo Amber. «Dipende. Possiamo attendere anche una mezz’ora, poi pero tutto dovrebbe filare liscio come l’olio, ogni minimo dettaglio. E comunque non sappiamo se i rover resisteranno, magari in alcuni punti sara impossibile proseguire, dobbiamo mettere in conto anche delle deviazioni.»
«Julian ha ragione», commento Evelyn. «È troppo rischioso. Abbiamo un’unica possibilita.» «Ma, se Warren dovesse arrivare quando noi ce ne saremo gia andati, come fara a trovarci?» obietto Momoka tra le lacrime. «Magari potremmo lasciargli un’indicazione», disse Rogacev dopo qualche istante di silenzio. «Un messaggio?» «Un segnale», propose Amber. «Potremmo formare una freccia utilizzando i rottami del rover distrutto, in modo che sappia in che direzione siamo andati.» «Aspettate», intervenne Julian. «Non e affatto una cattiva idea. A ogni modo, mi e venuto in mente che le nostre strade in realta dovrebbero comunque incrociarsi. La sua ultima posizione era il Promontorium Heraclides, e l che sta volando, ed e proprio l che dobbiamo andare anche noi. Se continuiamo a rimanere in ascolto, prima o poi riusciremo a ristabilire il contatto radio.» «Credi che lui» - Momoka deglut prima di proseguire - «sia vivo?» «Warren?» Julian rise. «Ti prego. Non c’e niente che possa abbatterlo, dovresti saperlo meglio di chiunque altro. E poi quegli affari non sono cos difficili da pilotare.» «E se avesse dovuto compiere un atterraggio di emergenza ?» «Lo incontreremo per strada.» Caricarono le batterie rimanenti e le scorte di ossigeno sui rover, poi accatastarono detriti, scaffali vuoti e container per formare una freccia che puntava verso nord. A destra del segnale formarono una E e un 3 utilizzando dei frammenti di roccia. «Perfetto», constato Evelyn soddisfatta. «È proprio un’indicazione precisa», concordo Amber. A poco a poco cominciava ad accendersi nel gruppo un barlume di speranza. «Con questa ci trovera di sicuro.» «S, hai ragione.» Dal tono di Momoka era sparita ogni traccia di presunzione; sembrava ancora terribilmente preoccupata, ma in fondo era grata agli altri per quello che stavano facendo. «Non si puo sbagliare.» «Ora dobbiamo metterci in marcia», insistette Rogacev. «Proposte su chi debba guidare i rover?» «Decida Julian. È lui il capo», propose Momoka. «E il capo va per primo», replico lui. «Insieme con Amber. Ma saremo gentili, vi lasceremo il mezzo migliore.» «Bene, allora...» Sebbene sapessero di non poter sopravvivere in quel luogo, stranamente l’idea di lasciare il porto spaziale faceva nascere in ognuno di loro un paradossale disagio: avevano la
sensazione di lasciare un posto per certi versi sicuro, anche se il porto in realta non offriva nessuna garanzia concreta. Dovevano iniziare a inoltrarsi nel deserto. Guardarono ciascuno nella direzione dell’altro, anche se le visiere impedivano di vedere i volti. «Forza», decise infine Julian. «Andiamocene da qui.» LONDRA, INGHILTERRA Per correttezza, Jennifer Shaw aveva fatto intervenire alcuni rappresentanti di New Scotland Yard che, a loro volta, avevano subito avvisato il SIS, il servizio d’intelligence anglosassone, non appena si era accennato al nucleare coreano. Sebbene la sede legale dell’Orley Enterprises si trovasse in territorio britannico, il vero obiettivo sembrava essere un’installazione oltreconfine, motivo per cui vennero coinvolti sia l’MI5 sia l’MI6. Jericho ebbe la sensazione di essere stato messo da parte; non che gli mancasse Xn ne la caccia all’uomo che aveva scatenato, ma sembrava che improvvisamente avessero tolto a lui, Yoyo e Tu Tian la possibilita di prendere qualunque iniziativa. Nel tardo pomeriggio la Big O pullulava d’investigatori. Jennifer aveva insistito perche fossero presenti a ogni colloquio, col risultato che ogni volta si sentivano porre sempre le stesse domande e loro snocciolavano meccanicamente sempre le stesse risposte, finche Tu Tian, nel bel mezzo di un interrogatorio condotto da un agente di Sua Maesta, non ne pote piu e pretese, rosso di collera, la restituzione della sua valigia. «Cosa ti succede?» chiese Yoyo irritata. «Non hai sentito la domanda?» Tu Tian indico con un dito grassoccio il funzionario che, impassibile, stava scrivendo qualcosa su un minuscolo taccuino. «Certo», rispose lei con prudenza. «E?» «A dire il vero ha soltanto...» «Mi ha offeso. Quel tizio mi ha offeso!» «Le ho solo chiesto perche si e sottratto alle autorita tedesche », ribad il funzionario con molta calma. «Non mi sono sottratto!» replico Tu Tian. «Non mi sottraggo mai. Tuttavia so di chi mi posso fidare, e i funzionari di polizia di rado sono nell’elenco, molto di rado.» «Questa affermazione non depone a suo favore.» «Ah, no?» Sul volto di cera di Edda Hoff all’improvviso si accesero segni di vita. «Forse dovrebbe cercare di tenere a mente che dobbiamo ringraziare Mr Tu Tian e i suoi collaboratori per le informazioni che ci hanno fornito, e di cui voi non eravate nemmeno a conoscenza.» L’uomo chiuse il taccuino. «Sarebbe stato meglio per tutti se aveste collaborato coi tedeschi fin dall’inizio. O c’e qualche motivo che giustifichi il vostro comportamento?»
Tu Tian balzo in piedi e picchio i pugni sul tavolo. «Di cosa mi sta accusando?» «Di niente, solo...» «Chi si crede di essere? Un maledetto soldato della Gestapo? » «Ehi.» Jericho afferro Tu Tian per le spalle e cerco di farlo sedere: era come tentare di sradicare un parchimetro a mani nude. «Nessuno ti sta accusando di niente. Devono controllarci. Perche non gli racconti...» «Cosa dovrei raccontargli? Cosa?» Tu Tian lo fisso. «A questo qui? Dovrei raccontargli di come la polizia mi ha torturato per sei mesi della mia vita, di come ancora oggi mi sveglio nel cuore della notte in un bagno di sudore? Dovrei dirgli che ho paura di addormentarmi perche l’incubo potrebbe ripresentarsi nei miei sogni?» «No, solo...» Jericho s’interruppe. Cos’aveva appena detto il suo amico? «Tian.» Yoyo poso una mano sul pugno di Tu Tian. «No, ne ho abbastanza.» Il cinese si scrollo la mano di dosso, si libero dalla presa di Jericho e fece per andarsene. «Voglio andare in un albergo. Adesso. Ho bisogno di una pausa, voglio essere lasciato in pace almeno per un’ora.» «Non e necessario andare in albergo», disse Edda. «Abbiamo delle stanze per gli ospiti nella Big O. Posso fargliene preparare una.» «Grazie.» L’uomo dell’MI6 poso il taccuino sul tavolo e si giro verso Tu Tian, diretto verso la porta. «L’interrogatorio non e ancora finito. Non puo...» «Certo che posso», replico Tu Tian mentre stava gia uscendo dalla stanza. «Se avete bisogno di uno stronzo da inserire fra i sospettati cercatevi qualcun altro.» Di solito Tu Tian era un tipo pacato e padrone di se, lo aveva dimostrato anche pochi giorni prima, quando in casa sua c’era stato un viavai continuo di poliziotti cinesi; Jericho avrebbe voluto chiedergli cosa gli avesse fatto perdere le staffe in quel modo, ma si sentiva come in una centrifuga, sballottato da un colloquio all’altro. Tu Tian scomparve nell’atrio scortato da una premurosissima Edda Hoff e l’investigatore dell’MI6 se ne ando per la sua strada. Mentre aspettavano il ritorno di Jennifer, ci fu qualche minuto d’imbarazzo, reso ancora piu insopportabile dal fatto che Yoyo, custode di oscuri segreti, fissava ostinatamente il vuoto davanti a se, solidale coi tormenti di Tu Tian. «Immagino che pure stavolta sai cose che io non so.» Yoyo annu. «E non sono affari miei.» «Non posso essere io a raccontartelo.» Yoyo si giro verso di lui e i suoi occhi luccicavano, come se la scenata di Tu Tian avesse fatto cedere gli argini del suo autocontrollo.
A Jericho sembrava che a poco a poco la famiglia Chen e il suo facoltoso mentore stessero avvicinandosi sempre piu all’orlo dell’esaurimento nervoso, al punto di esplodere sotto il peso di troppo stress. Qualunque fossero i problemi di Yoyo, cominciavano a dargli sui nervi. «Capisco.» Ed era vero. Conosceva fin troppo bene la sensazione che si prova quando non e possibile sfogarsi. Si osservo le dita in silenzio, erano screpolate e con le unghie sfagliate. Erano poco attraenti. Joanna diceva sempre che lui era un uomo pulito, ma non curato; non era mai stato in grado di cogliere la differenza tra i due aggettivi, pero ora si rendeva conto che non gli sarebbe piaciuto stringere una mano del genere. Non aveva cura di se stesso. Yoyo non si piaceva, Chen nemmeno e, constato sconvolto, perfino Tu Tian, la roccia sulla quale sembrava poggiare tutto l’egocentrismo di questo mondo, non si amava. Esisteva qualcuno per cui il passato non fosse una presenza ingombrante con la quale era costretto a convivere? Jennifer entro nella stanza. «Ho sentito che non avete piu voglia di fare conversazione.» «Si sbaglia.» Yoyo si asciugo gli occhi. «Non abbiamo piu voglia che persone che non sanno cosa abbiamo passato calpestino i nostri sentimenti con la delicatezza di un elefante.» «I colloqui col SIS sono finiti.» Jennifer consegno loro dei sottili fascicoli. «Siete stati giudicati credibili, tutti e tre.» «Oh, grazie.» «Ora potete unirvi al vostro amico Tian. Vi sono molto grata per quello che avete fatto, dico sul serio.» I suoi occhi grigioazzurri davano la certezza che non stava mentendo, ma c’era dell’altro. «Ma?» chiese Jericho. «Vi sarei ancora piu grata se decideste di continuare ad aiutarci nelle indagini.» «Saremmo felici di poter partecipare.» «Allora direi che questo punto e risolto.» Jennifer si mise a sedere. «Avete dimestichezza col messaggio cifrato, durante i giorni scorsi siete riusciti a fare ipotesi migliori delle nostre. Avete conosciuto Kenny Xn, sapete del coinvolgimento di Pechino nel colpo di Stato africano, delle mini-nuke coreane, del complotto messo in atto sotto il naso delle istituzioni statali... per cambiare un po’, volete sentire qualcosa che ancora non sapete? Il nome Gerald Palstein vi dice qualcosa?» «Palstein.» Jericho cerco di ricordare. «Mai sentito.» «Pensate agli scacchi: lui potrebbe essere la torre o, meglio, la regina, le cui mosse sono condizionate dalle circostanze. Palstein e il direttore strategico dell’EMCO.» «L’EMCO, il gigante petrolifero?» «In declino. Un tempo era il numero uno tra i gruppi industriali conservatori, oggi sta morendo per overdose di elio-3. Il compito di Palstein avrebbe dovuto essere il salvataggio
della compagnia, ma in realta non gli e rimasto molto altro da fare che sospendere le esplorazioni, chiudere una filiale dopo l’altra e gettare intere famiglie nel baratro della disoccupazione. La politica in questo caso non ha fatto granche. Percio e ancora piu sorprendente che Palstein non si sia dato per vinto. Opponendosi ai vertici aziendali, tenta da anni un avvicinamento alle energie alternative, soprattutto alla nostra. Avrebbe partecipato volentieri al nostro progetto, ma l’EMCO all’epoca riteneva che ci occupassimo di cose tipo viaggi nel tempo e teletrasporto. Non prendevano sul serio la nostra attivita, l’elio-3, l’ascensore spaziale e tutto il resto e, quando i fatti hanno dimostrato che avevano torto, sono stati loro a non essere piu presi sul serio. Palstein pero sembrava fermamente deciso a vincere la sfida.» «Sembra la storia di Don Chisciotte.» «È un paragone che non gli rende onore. Palstein non e il tipo che lotta contro i mulini a vento, sa che lo sfruttamento dell’elio-3 e un’ipotesi tutt’altro che remota e quindi vuole partecipare all’affare. L’unica strada passa attraverso di noi e l’EMCO comunque non e ancora in condizioni cos disastrose. Solo che a un sacco di gente farebbe comodo che lo fosse, quella stessa gente che preferirebbe investire i miliardi rimasti a tutela dei lavoratori, mentre Palstein e convinto che la garanzia migliore coincida con la sopravvivenza del gruppo e che sarebbe quindi opportuno investire il denaro in progetti di questo tipo. Forse e stata proprio questa sua idea a renderlo l’obiettivo di un proiettile. » «Ora comincio a ricordare qualcosa», disse Jericho. «Un attentato a un manager petrolifero, s, adesso ricordo. Il mese scorso, in Canada. Per poco non e stato colpito.» «È stato colpito, per sua fortuna alla spalla. Pochi giorni prima, Palstein e Julian avevano concordato i termini della partecipazione dell’EMCO all’Orley Space. In quell’occasione era stato anche deciso che Palstein sarebbe volato sulla Luna per l’inaugurazione non ufficiale del Gaia Hotel. Il posto gli era gia stato riservato da anni, ma con una ferita da arma da fuoco che lo costringe a tenere il braccio al collo non poteva certo andare nello spazio.» «Capisco. Quindi al suo posto e subentrato Carl Hanna, il tizio che ha fatto insospettire Orley e sul quale sta indagando Norrington.» Jennifer fece scivolare le dita sul tavolo; sulla parete apparve il volto di un uomo dai tratti spigolosi, con sopracciglia ispide e barba e capelli tagliati cortissimi. «Carl Hanna. Un investitore canadese, o almeno e quello che dice di essere. Ovviamente Norrington ha svolto ricerche su di lui quando abbiamo organizzato il viaggio. Anche se per personaggi come Mukesh Nair od Oleg Rogacev non c’e bisogno di fare grandi indagini...» «Rogacev», le fece eco Yoyo. La donna indico i fascicoli sul tavolo. «Vi ho preparato una lista degli ospiti che, al momento, sono con Julian. Alcuni di loro dovreste gia conoscerli. Finn O’Keefe, per esempio...»
«L’attore?» A Yoyo brillarono gli occhi. «Ma certo!» «O Evelyn Chambers. Tutti conoscono la regina dei talk show americani. E poi c’e Miranda Winter, sempre al centro di scandali e regina del gossip. Ma il denaro vero e in mano agli investitori. Per la maggior parte si tratta di personaggi di un certo rilievo, Hanna invece sembra una vera incognita. Figlio di un diplomatico, nato a Nuova Delhi e trasferitosi in Canada, consegue la laurea in Scienze economiche a Vancouver. Successivamente comincia a occuparsi di operazioni di borsa, ritorna in India di tanto in tanto. Il suo patrimonio e stimato in quindici miliardi di dollari, in parte ereditati, in parte frutto di abili investimenti, all’inizio soprattutto nel settore del petrolio e del gas, poi, al momento giusto, nelle energie alternative. Detiene quote di partecipazione della Lightyears di Warren Locatelli, della Quantime di Marc Edwards e di diverse altre societa. Secondo alcune voci avrebbe voluto investire prima nell’elio-3, ma la situazione era ancora troppo precaria.» «Ma ora e cambiata, come ben sappiamo.» «E sono cambiati anche i presupposti per un investimento. Circa un anno e mezzo fa, in occasione di una crociera organizzata da Locatelli, ha conosciuto Julian e sua figlia Lynn. Si e creata subito una certa sintonia, ma di certo e stato decisivo il fatto che Hanna abbia detto che accarezzava l’idea di sponsorizzare il programma spaziale indiano in nome di antichi legami affettivi con l’India. È stato questo a stuzzicare Julian. All’epoca il gruppo di partecipanti al viaggio sulla Luna era gia stato deciso, quindi Julian ha proposto a Hanna di partecipare a quello dell’anno successivo.» Jennifer fece una pausa. «Owen, lei e un investigatore esperto. Quanto della vita di Hanna potrebbe essere falso?» «Tutto.» «Le partecipazioni sono documentate.» «Da quando?» «L’ingresso di Hanna nel gruppo Lightyears risale a due anni fa.» «Due anni non sono niente. Lunghi soggiorni all’estero, nato in un Paese straniero, un classico delle identita fasulle degli agenti segreti. Nei Paesi emergenti e difficile fare delle verifiche e nessuno si stupisce se i certificati di nascita spariscono nel nulla. Le autorita locali sono piuttosto distratte. Secondo: l’investitore, il camuffamento per eccellenza. Il denaro non lascia tracce durature. Nessuno e in grado di provare chi veramente abbia investito o da quanto tempo. Con un po’ di preparazione potreste tirare fuori tipi come Hanna dal cappello di un mago e convincere tutti che si tratta di un coniglio. Lo ha incontrato?» «S, una persona gradevole. Gentile, premuroso, non un gran chiacchierone. Un tipo solitario.» «Hobby? Di sicuro non attivita di gruppo.»
«Fa immersioni.» «Immersioni, arrampicate... tipico di detective e di agenti sotto copertura. Attivita che si possono fare in solitaria.» «Suona la chitarra.» «Ci puo stare. Suonare uno strumento gli conferisce un’apparenza di autenticita e suscita simpatia. E ora lei crede che Palstein sia stato sacrificato per fare posto a Hanna?» «Ne sono convinta.» «Non sono d’accordo», s’intromise Yoyo. «Non sarebbe stato piu facile per Hanna chiedere di aggiungere un nome alla lista? Voglio dire, uno in piu o in meno, cosa cambia? Non si deve certo arrivare a uccidere qualcuno.» Jennifer scosse la testa. «Per i viaggi nello spazio e un po’ diverso. La non ci sono risorse naturali, ne per spostarsi, ne per sopravvivere. Ogni respiro, ogni boccone, ogni sorso d’acqua, tutto viene calcolato prima della partenza. Ogni chilogrammo in piu a bordo dello shuttle influisce sul consumo di carburante. L’ascensore spaziale non rappresenta certo l’eccezione, quand’e pieno e pieno. E, su un veicolo che accelera a una velocita pari a dodici volte quella del suono, di certo non si vuole rischiare di rimanere in piedi.» «Cosa dice Norrington?» «Be’, il curriculum di Hanna sembra inattaccabile, ma ci sta lavorando.» «E lei e proprio sicura che sia lui il nostro uomo?» Jennifer non rispose subito, poi disse: «Vedete, il vostro defunto amico Vogelaar ha fatto una serie di allusioni alla Cina e al gruppo Zheng in particolare. Prima i cattivi erano i russi, ora sono i cinesi. Cambia forse qualcosa il fatto che Hanna di cinese non abbia proprio niente? Se dietro l’attentato c’e davvero Pechino, allora non potevano avere idea migliore che mandare un occidentale nello spazio, qualcuno che avesse un invito ufficiale per il nostro ascensore spaziale e per il Gaia Hotel, una persona che lassu potesse muoversi indisturbata. S, Owen, sono certa che Hanna sia il nostro uomo. Julian stesso ce lo ha confermato poco prima che cadesse la comunicazione». Yoyo scorse rapidamente l’elenco degli invitati, poi scosto il fascicolo. «Questo vuol dire che, se riusciamo a scoprire cosa si nasconde dietro l’attentato a Palstein, sapremo anche cosa sta accadendo sulla Luna. Quindi, dove si trova questo tizio? Dov’e la sede dell’EMCO? In America?» «A Dallas», rispose Jennifer. «Texas.» «Perfetto. Sette... nove, sei ore indietro. Il nostro amico Palstein e in pausa pranzo. Chiamiamolo.» «Era proprio quello che avevo in mente», concordo sorridendo Jennifer.
DALLAS, TEXAS, STATI UNITI L’ufficio di Palstein si trovava al diciassettesimo piano della sede centrale dell’EMCO; era circondato da sale conferenze che venivano costantemente inondate di cattive notizie, come l’acqua salmastra s’infiltra nelle cantine quando i muri non sono coibentati. La riunione che ormai da due ore lo teneva impegnato non faceva eccezione. Oggetto della discussione era un progetto di esplorazione al largo delle coste dell’Ecuador, a tremila metri di profondita: era cominciato come un’impresa gloriosa e audace, ma ora si ritrovavano fra le mani solo una scomoda patata bollente. La sorte di due piattaforme aveva scatenato un acceso dibattito: trascinarle a riva o lasciarle affondare? La risposta non era affatto scontata, soprattutto dopo la debâcle della Brent Spar. La segretaria di Palstein entro nella stanza. «Potrebbe rispondere brevemente al telefono?» «È una cosa importante?» chiese lui faticando a dissimulare la gratitudine per averlo strappato almeno per un po’ a quel rito funebre. «Orley Enterprises.» La donna guardo gli altri relatori con un sorriso cordiale. «Qualcuno vuole del caffe, un espresso, ciambelle?» «Sovvenzioni», le rispose un signore anziano con la voce roca. Nessuno rise. Palstein si alzo. «Ha gia avuto notizie da Loreena Keowa?» chiese alla segretaria mentre stavano uscendo dalla sala. «No.» Guardo l’orologio. «Forse e ancora in volo.» «Devo provare a chiamarla sul cellulare?» «No, credo che Loreena avesse intenzione di prendere un volo in mattinata. Se non ricordo male dovrebbe atterrare verso le dodici.» «Dove?» «A Vancouver.» «Grazie mille. Lei mi ha appena confermato che manterro il mio posto di lavoro ancora per un po’.» Palstein la fisso confuso. «Le dodici a Vancouver sono le due in Texas.» «Ah, gia!» Lui si mise a ridere. «Santo cielo, come farei senza di lei?» «Infatti. Sala riunioni piccola, collegamento video.» Sul monitor a parete comparve un gruppetto dall’aria piuttosto tesa. Jennifer Shaw, addetta alla sicurezza dell’Orley Enterprises, sedeva a un tavolo apparentemente spoglio in compagnia di un uomo biondo e di un’asiatica molto carina.
«Mi spiace doverla disturbare, Gerald», esord Jennifer. «A me non dispiace affatto.» Si appoggio sull’orlo del tavolo a braccia conserte. «È bello rivederla. Purtroppo ora ho pochissimo tempo da dedicarle.» «Lo so, era nel bel mezzo di una riunione. Posso fare le presentazioni? Chen Yuyun...» «Yoyo», la corresse la ragazza. «E Owen Jericho. Purtroppo la circostanza non e delle piu piacevoli, ma di sicuro l’aiutera a trovare risposte alle domande che si pone dal giorno dell’attentato di Calgary.» «Calgary?» Palstein aggrotto le sopracciglia. «Sputi il rospo.» Jennifer gli racconto della possibilita di un attacco nucleare al Gaia Hotel e del fatto che, probabilmente, avevano voluto toglierlo di mezzo per consentire a un terrorista di prendere il suo posto tra gli ospiti di Julian. Palstein ripenso alle parole di Loreena Keowa: Qualcuno voleva impedirle di fare qualcosa. Secondo me, di volare sulla Luna con Orley. «Mio Dio... È orribile.» «Abbiamo bisogno del suo aiuto, Gerald.» Jennifer aveva un’aria scontrosa, imponente, un monumento alla sfiducia. «Ci serve tutto il materiale visivo raccolto il giorno dell’attentato dalle autorita canadesi e americane. E di tutte le altre informazioni disponibili. Ovviamente potremmo percorrere le vie ufficiali, ma lei conosce le persone che hanno la responsabilita di questa indagine. Sarebbe molto gentile da parte sua se riuscisse ad accelerare la procedura. Visto il fuso orario, in Texas avete a disposizione un intero pomeriggio di lavoro: dei funzionari diligenti ci potrebbero inviare qualcosa gia oggi.» «Avete coinvolto la polizia inglese?» «Il Secret Intelligence Service e la polizia giudiziaria. Gireremo immediatamente tutto il materiale agli uffici competenti ma, come puo ben immaginare, il mio lavoro non si limita alla trasmissione d’informazioni.» «Faro tutto il possibile.» Palstein era turbato. «Perdonatemi, e come vivere in un incubo. Prima l’attentato, poi questo. Non e passata nemmeno una settimana da quando ho augurato buon viaggio a Julian. Dopo il suo ritorno avremmo dovuto sottoscrivere degli accordi.» «Lo so. E lo farete.» «Perche qualcuno vorrebbe distruggere il Gaia Hotel?» «Stiamo cercando di scoprirlo. E stiamo cercando anche di trovare la persona che le ha sparato.» «Mr Palstein.» Il biondo prese la parola per la prima volta. «So che se lo sara sentito chiedere gia un migliaio di volte, ma lei sospetta di qualcuno?» Palstein sospiro e si stropiccio gli occhi. «Fino a pochi giorni fa, sarei stato disposto a giurare che qualcuno avesse soltanto dato sfogo alla propria frustrazione, Mr...»
«Jericho.» «Mr Jericho.» Palstein aveva gia un piede nella sala conferenze attigua. «Nell’ultimo periodo siamo stati costretti a licenziare molti dipendenti e a chiudere diverse filiali. Sapete quello che e successo. Ma ci sono persone che la pensano come voi, che credono che l’attentato avesse lo scopo d’impedirmi di andare sulla Luna, pero finora non ero proprio riuscito a capire il perche.» «Credo che adesso i motivi siano piu chiari.» «Molto piu chiari. Tuttavia queste persone - anzi in realta si tratta di una persona in particolare - non esclude che possano esserci in gioco interessi cinesi.» Jennifer, Jericho e la ragazza si scambiarono sguardi preoccupati. «E come mai questa persona e arrivata a tale conclusione?» Palstein esito. «Senta, Jennifer, devo ritornare alla riunione, anche se l’idea non mi entusiasma. Cerchero di fare in modo che il materiale vi venga inviato il prima possibile. C’e una cosa, pero, per cui devo chiedervi di avere un po’ di pazienza.» «Di cosa si tratta?» «Esiste un filmato dove probabilmente compare l’uomo che mi ha sparato.» «Cosa?» Yoyo sobbalzo sulla sedia. «Ma e proprio quello che...» «Lo avrete.» Palstein alzo le mani in segno di resa. «Solo che ho promesso alla persona che ha ottenuto quel filmato di tenerlo sotto chiave, almeno per il momento. Tra poche ore la contattero e la preghero di autorizzarmi a mandarvelo, ma fino ad allora vi chiedo di avere pazienza.» La bella cinese lo fisso. «Abbiamo passato dei brutti momenti. » «Anch’io.» Palstein indico la spalla. «Ma adesso e la lealta a dettare il corso degli eventi.» «Bene.» Jennifer sorrise. «Ovviamente rispettiamo la sua decisione. » «Avrei ancora una domanda», intervenne Jericho. «Mi dica.» «L’uomo che secondo questa persona potrebbe essere l’attentatore... lo si vede chiaramente?» «Abbastanza, s.» «Ed e cinese?» «Asiatico.» Palstein rimase in silenzio per un attimo. «Forse cinese. S, quasi sicuramente e un cinese.» PROMONTORIUM HERACLIDES, MONTES JURA, LUNA Locatelli era stupito. Aveva scoperto che la Luna era la sua testa e che la superficie lunare, coi mari e coi crateri, rivestiva l’interno del cranio. Da cio dedusse due cose: da un lato il motivo per cui il suo cervello fosse pieno di polvere, dall’altro che l’intero viaggio, come lo ri-
cordava, non era mai esistito, perche era frutto della sua fantasia, in particolare l’ultimo, sgradevole capitolo. Quando avesse aperto gli occhi, avrebbe avuto la confortante certezza che nessuno gli avrebbe fatto del male, e anche il vortice di terrore che ancora lo pervadeva avrebbe trovato una naturale spiegazione. Solo un dettaglio non lo convinceva: non riusciva a capire quale fosse il ruolo dell’universo. Il fatto che ora l’universo stesse premendo sulla parte destra del suo viso lo stupiva e lo sconcertava, ma dato che doveva solo aprire gli occhi... Non era l’universo. Era il pavimento. Clac, clac. Alzo la testa e trasal. Un dolore lancinante e tagliente come una lama comincio a sezionargli la testa. Davanti ai suoi occhi balenavano forme e colori indistinti. Tutto era immerso in una luce soffusa, fioca e abbagliante nel contempo, tanto che fu costretto a richiudere gli occhi. Un costante suono metallico gli rimbombava nelle orecchie. Cerco di alzare una mano, ma senza successo. Era immobilizzata, come l’altra: erano ripiegate dietro la schiena e non volevano, anzi non potevano, separarsi. Clac, clac. La vista comincio a schiarirsi. Dopo un po’ vide un paio di stivali e un oggetto dalla forma allungata che oscillava di qua e di la e che, con una regolarita degna del sistema di tortura della goccia cinese, picchiava contro il sedile del pilota, sul quale era seduto il proprietario degli stivali. Locatelli giro la testa e scorse Carl Hanna, che lo osservava accigliato, l’arma stretta nella mano destra, come se si trovasse l da un’eternita. Era lui a far dondolare ritmicamente la canna dell’arma. Clac, clac. «Siamo precipitati?» Hanna continuo a osservarlo senza dire niente. Le immagini cominciavano a collegarsi ai ricordi. No, erano atterrati. Un atterraggio di fortuna. Si erano schiantati sulla regolite, c’era stata una collisione. Dal momento dell’impatto non ricordava piu nulla, ma nel frattempo i ruoli dovevano essersi invertiti, dato che adesso era lui quello legato. Si sent avvampare dalla vergogna: aveva mandato tutto a rotoli. Clac, clac. «Puoi smetterla di sbattere quel cavolo di affare contro la sedia? Mi da sui nervi.» Con sua grande sorpresa, Carl smise davvero. Poso l’arma e si accarezzo il mento. «E adesso cosa devo fare con te?» Il tono lasciava intendere che non si aspettava davvero una proposta, piuttosto dalle sue parole traspariva un velo di rassegnazione, un lieve dispiacere, che spavento Locatelli molto piu di un’aggressione diretta. «Perche non mi lasci andare e basta?»
«Non posso farlo.» «Perche no? Quale sarebbe l’alternativa?» «Non lasciarti andare.» «Quindi farmi fuori?» «Non lo so, Warren. Perche hai fatto l’eroe?» «Capisco. Allora, cosa stai aspettando? Hai una specie di limite? Tipo non piu di tre omicidi al giorno? Sei solo un bastardo! » Tutto a un tratto, Locatelli si rese conto di aver perso le staffe e cerco di dominarsi, perche forse non era una grande idea quella di far irritare ancora di piu Carl, ma, accecato dalla rabbia com’era, aveva perso ogni barlume di lucidita. Si tiro su e riusc a mettersi seduto, poi gli indirizzo uno sguardo pieno d’odio. «Ti diverte? Ti eccita uccidere le persone? Che razza di pervertito pezzo di merda sei, Carl? Mi disgusti. Cosa diavolo ci fai qui? Cosa vuoi da noi?» «Sto facendo il mio lavoro.» «Il tuo lavoro? Anche spingere Peter in un burrone faceva parte del tuo fottuto lavoro? O far saltare in aria Mimi e Marc? È questo il tuo dannato lavoro, stronzo bastardo?» Smettila, Warren. «Lurido porco. Pezzo di merda!» Basta. «Mezza sega. Aspetta solo che riesca a slegarmi.» Oh, Warren... Perche si era lasciato sfuggire tutti quegli insulti? Perche non si era limitato a pensarli? Hanna corrugo la fronte, ma non sembrava prestargli attenzione; il suo sguardo si sposto sulla camera di decompressione. Poi, di colpo, si chino verso di lui. «Ascoltami bene, Warren. Quello che faccio e paragonabile alle attivita di diboscamento o di bonifica delle paludi. Capisci? Uccidere a un certo punto puo essere necessario, ma il mio lavoro non consiste nel distruggere qualcosa, quanto piuttosto nel preservare o ricostruire qualcos’altro. Una casa, un’idea, un sistema, quello che ti pare.» «E quale sistema di merda contempla l’omicidio?» «Tutti.» «Stronzo. E in nome di quale di questi sistemi hai ucciso Mimi, Marc e Peter?» «Smettila. Stai cercando di farmi sentire in colpa?» «Lavori per qualche fottuto governo?» «Alla fine tutti lavoriamo per un governo.» Hanna si appoggio allo schienale, sospirando. «Bene, ti diro una cosa. Ti ricordi della crisi economica mondiale di sedici anni fa? Ha lasciato il mondo col fiato sospeso, India compresa, solo che l poi ha avuto inizio una rinascita. Investimenti in settori quali tutela ambientale, tecnologia high-tech, istruzione e agricoltura, il sis-
tema delle caste si e allentato, e aumentata l’esportazione di servizi, la poverta e stata dimezzata. Un miliardo e mezzo di persone, perlopiu giovani promotori della globalizzazione molto motivati, sono riusciti a fare dell’India la terza potenza economica mondiale.» Locatelli era esterrefatto. Non aveva la benche minima idea del perche Hanna gli stesse raccontando tutto quello, ma era sempre meglio che venire ammazzato per mancanza di argomenti di conversazione. «Ovviamente Washington voleva gestire la situazione; temeva, per esempio, che un’India molto forte potesse avvicinarsi troppo a Pechino e dimenticarsi del buon vecchio zio Sam. Quale blocco si sarebbe formato alla fine? India e Stati Uniti? Oppure India, Cina e Russia? L’America aveva sempre considerato l’India un alleato importante e non si sarebbe fatta scrupolo di servirsene contro la Cina, ma Nuova Delhi andava fiera della propria autonomia e non accettava l’ingerenza di nessuno, ne tantomeno gradiva essere strumentalizzata.» «Cos’ha a che fare tutto cio con noi?» «In questa fase, Warren, persone come me sono state spedite nel subcontinente per indirizzarlo sulla giusta strada. Siamo stati incaricati di fare il possibile per sostenere il miracolo indiano, ma nel 2014 l’ambasciatore cinese a Nuova Delhi e stato fatto saltare in aria dalla LimGI, la Lega per una grande India musulmana; questo avvenimento ha intaccato i rapporti tra Cina e India proprio in tempo per favorire alcuni importanti accordi tra India e Stati Uniti.» «Tu sei... aspetta un attimo!» Locatelli digrigno i denti. «Non mi starai mica dicendo che...» «S. E devi ringraziare proprio alcuni di questi accordi se oggi i tuoi collettori solari vanno a ruba sul mercato indiano.» «Sei un maledetto agente della CIA!» Hanna rise con un velato accenno di autocompiacimento. «La LimGI e stata una mia idea. Uno dei tanti trucchi per evitare la formazione di un blocco sino-indiano. Alcuni hanno funzionato, anche se a discapito di qualche vita umana, altri hanno fallito, e anche in questo caso qualcuno ci ha rimesso la pelle, qualcuno dei nostri per essere precisi. Con rispetto parlando per la tua genialita, Warren, le persone come te sono diventate importanti e influenti perche favorite da determinate circostanze, create magari da uno di quei fottuti governi di cui parli. Sei davvero sicuro che la tua leadership di mercato non sia costata la vita a qualcuno dall’altra parte del pianeta?» «Cosa? Stai scherzando?» «Puoi escludere questa possibilita?» «Io non sono un dannato governo. Certo che...» «Ma ne trai vantaggio. Pensi che io sia un bastardo, quando in realta mi hai solo visto fare una cosa che fanno tutti, e non ti rendi conto che tu stesso ne approfitti ogni giorno senza
porti il minimo problema. La rivoluzione nell’approvvigionamento energetico, la fusione pulita, tutto molto bello, davvero meraviglioso. E il miglioramento della resa delle tue celle solari ha cambiato per sempre il mercato dei collettori solari. Congratulazioni. Ma, come sempre succede, la fortuna di uno coincide con la rovina di un altro. A volte e necessario essere aiutati, e sono le persone come me a offrire questo tipo di aiuto.» Locatelli cerco negli occhi di Hanna il tremolio tipico di una follia devastante, tic nervosi, traumi e demoni interiori, ma vi scorse solo una calma fredda e oscura. «E cosa vuole la CIA da noi?» «La CIA? Niente, per quanto ne so. Non faccio piu parte della famiglia da sette anni. Vedi, alla fine arriva un giorno in cui capisci che puoi ottenere lo stesso lavoro dalle stesse persone per una cifra tre volte superiore. Tutto quello che devi fare e metterti in proprio e non rivolgerti piu al tuo interlocutore chiamandolo Mr Presidente ma Mr Amministratore Delegato. Ovviamente anche prima sapevi di favorire il Vaticano, la mafia, le banche, i cartelli energetici, i produttori di armi, le lobby ambientaliste, i vari Rockefeller, Warren Buffet, Zheng Pang Wang e Julian Orley, solo che da quel momento in poi lavori direttamente per loro. Puo comunque succedere che in qualche occasione tu debba rappresentare gli interessi di un governo. L’unica cosa da fare e ampliare il concetto stesso di governo in base alle circostanze: gruppi come l’Orley Enterprises, per esempio, che accentrano cos tanto potere nelle loro mani, sono il governo. Sono i grandi gruppi industriali a controllare il mondo, superando ogni frontiera. La linea di confine che li separa dai governi statali e labile, quasi inesistente. Non sai mai esattamente per chi stai lavorando, quindi smetti di chiedertelo, anche perche non fa comunque nessuna differenza.» «Come, scusa?» Sembrava che gli occhi di Locatelli stessero per schizzargli fuori dalle orbite. «Non sai nemmeno per chi stai facendo tutto questo?» «Diciamo che non posso darti una risposta univoca.» «Ma hai ucciso tre persone! Sei un fottutissimo stronzo che si atteggia a fare l’agente segreto!» Carl apr la bocca, ma la richiuse subito e si stropiccio gli occhi, come se volesse cancellare qualcosa di brutto che aveva appena visto. «Okay, e stato un errore, non avrei dovuto raccontarti tutta questa storia, avrei dovuto essere piu furbo. Finisce sempre cos, alla fine c’e sempre qualcuno che mi da dello stronzo. Non che la cosa mi tocchi piu di tanto, e solo che e uno spreco di tempo.» Si alzo mostrando la sua imponenza e minacciosita: due metri di massa muscolare chiusa in una tuta di fibra sintetica con rinforzi in acciaio, coronata da una fredda mente analitica, che proprio in quel momento stava perdendo la pazienza. Locatelli riflette in modo febbrile su come proseguire quell’assurda conversazione. «Uccidere Mimi e Marc e stato del tutto inutile. Ma lo hai fatto lo stesso, per il puro piacere di
farlo.» L’altro scosse la testa con indulgenza. «Non capisci, Warren. Tipi come me li hai visti solo al cinema, e pensi che siamo tutti degli psicopatici. Ma uccidere non e ne piacevole ne ripugnante, e un atto di spersonalizzazione. Non puoi vedere contemporaneamente una persona e un obiettivo. Poco fa, nella Vallis Schroteri, quei tre erano troppo vicini, anche Mimi e Marc. Marc avrebbe potuto arrampicarsi lungo la fune, raggiungere il braccio e seguirmi col secondo rover, per non parlare di Peter. Non potevo permettermi di correre rischi.» «E perche non ci hai semplicemente...» «Perche pensavo che tu e gli altri foste sulla Snake Hill, quindi troppo lontani per essere pericolosi. Che tu ci creda o no, Warren, cerco di risparmiare delle vite.» «Davvero commovente», mormoro Locatelli. «Solo che non avevo fatto i conti con te. Perche all’improvviso sei ricomparso?» «Ero tornato indietro.» «Perche? Non avevi voglia di goderti un bel panorama?» «Avevo dimenticato la videocamera.» La sua voce suono imbarazzata perfino a lui stesso. Hanna sorrise con compassione. «Sono le piccole cose che cambiano il corso della vita.» Locatelli fisso la punta dei suoi stivali e lotto per frenare un isterico eccesso d’ilarita. Era seduto l e si chiedeva se, confessando la sua dimenticanza, avesse sminuito il proprio eroismo. O forse no? Ci sarebbe stato almeno un necrologio. Un discorso toccante. Un brindisi, un po’ di musica: Oh, Danny Boy... Alzo lo sguardo. «Perche sono ancora vivo? Non hai fretta? Cosa sono tutti questi giochetti?» Carl lo fisso coi suoi occhi scuri e imperscrutabili. «Non sto facendo giochetti, non sono abbastanza perfido per queste cose. Sei rimasto svenuto per oltre un’ora, durante la quale ho analizzato la nostra situazione: piuttosto sgradevole.» «La mia di sicuro.» «Anche la mia. Non riuscivo a capire perche questo trabiccolo non avesse ripreso quota, con una controspinta verticale avremmo dovuto evitare l’atterraggio di fortuna. Ma poi mi sono ricordato che, mentre volavamo in mezzo a quelle nuvole di polvere, i propulsori si trovavano a poca distanza dal suolo: forse si sono ostruiti. Sfortunatamente nell’impatto si sono staccati i sostegni per l’atterraggio e ora il Ganymed giace sulla pancia, mezzo sepolto. Non c’e bisogno che ti spieghi le implicazioni.» «Non possiamo passare attraverso il vano di decompressione per uscire.» «Se vuoi sapere come la penso, installare le camere di decompressione sul lato inferiore e stato un piccolo errore di progettazione. » «Non c’e un’uscita d’emergenza?»
«S. L’area di carico a poppa. Si puo creare il vuoto e riempirla d’aria, per poi calare il portello posteriore e farne una rampa... Ma, come ho detto, il Ganymed ha strisciato sulla regolite per chilometri e negli ultimi metri si e schiantato contro una roccia. I pezzi sono sparsi un po’ ovunque, fino a dove si riesce a vedere. Penso che alcuni blocchino il portellone: non riusciremo ad aprirlo neanche di mezzo metro.» Divertente, molto divertente, penso Locatelli. «Di cosa ti stupisci? Sei in prigione, Carl. Proprio dove devi essere.» «Ci sei anche tu.» «E allora? Fa molta differenza per te uccidermi qui oppure la fuori?» «Warren...» «È lo stesso. Benvenuto in gattabuia!» «Se avessi voluto ucciderti, non avrei aspettato che tu riprendessi conoscenza. Hai capito? Non ho intenzione di ammazzarti. » Il suo sorriso si spense. «Dici sul serio?» «Tanto non riuscirai a fregarmi una seconda volta, come prima nell’ascensore. Quindi puoi scegliere: puoi fare resistenza passiva oppure aiutarmi.» «Cosa ci guadagnerei nel caso scegliessi di collaborare?» «Per il momento la tua sopravvivenza.» «’Per il momento’ non mi basta.» «Non ho di meglio da offrirti. Diciamo che, se collabori, non saro piu una minaccia per te. Questo te lo posso promettere.» Dopo un breve silenzio, Locatelli disse: «D’accordo. Sentiamo ». ROVER Non era trascorsa neanche mezz’ora da quand’erano partiti e Amber era gia convinta che non avrebbero raggiunto l’impianto di estrazione. Dall’alto, l’Aristarchus Plateau appariva leggermente arcuato, un paesaggio perfetto per i veicoli lunari, soprattutto nel tratto lungo la Vallis Schroteri, dove il terreno era completamente piatto, come se fosse stato livellato. Dal basso, invece quello stesso scenario si trasformava in una specie di formicaio, in cui tutto costituiva un ostacolo. Grazie agli assi flessibili, i rover erano riusciti a oltrepassare senza fatica le piccole alture e le protuberanze rocciose di cui era disseminato il percorso, ma quando si trovarono davanti una serie di crateri, buche e crepe, per quanto piccoli, furono costretti a districarsi fra un dislivello e l’altro viaggiando a venti, al massimo trenta chilometri orari. Solo dopo aver superato un campo di crateri piu grandi in corrispondenza dell’inizio dell’Oceanus Procellarum, il terreno comincio ad assestarsi e i rover poterono procedere piu velocemente. Da quel momento Amber aveva osservato il cielo sempre piu di frequente, aspettandosi di veder comparire il Ganymed all’orizzonte, ma la speranza aveva ceduto il posto
all’opprimente certezza che Warren non ce l’avesse fatta. Momoka, alla guida del secondo rover, si era chiusa in un ostinato mutismo, e anche il resto del gruppo non era molto loquace. Solo dopo un certo tempo Amber chiamo il suocero su una frequenza separata, in modo che gli altri non potessero sentire. «Ci stai nascondendo qualcosa.» «Come ti viene in mente?» esclamo Julian. «Sesto senso. È una specie di campanello d’allarme che risuona nella testa delle donne quando gli uomini mentono o non dicono tutta la verita.» «Sciocchezze.» «No, sono seria. È cos e basta, le donne hanno piu talento nello smascherare le bugie. Conosciamo molto meglio di voi il repertorio delle menzogne, riusciamo a vederci attraverso come se fosse un fine tessuto di seta. Prima hai parlato della possibilita di un attentato a una struttura dell’Orley da qualche parte. Carl se ne va in giro in preda a una follia omicida e ora, a posteriori, e chiaro che ti stava prendendo in giro anche due giorni fa, quando si e fatto un bel giretto notturno col Lunar Express.» «Ma niente di tutto questo ha senso.» «Certo che ce l’ha, se Carl e l’uomo che deve compiere questo attentato.» «Qui sulla Luna?» «Non trattarmi cone una stupida. S, qui sulla Luna. E questo significa che l’obiettivo non e una struttura qualunque, ma una ben precisa.» I rover stavano sfrecciando sulla scura superficie uniforme di basalto dell’Oceanus Procellarum, proprio al confine col Mare Imbrium. Per la prima volta da quand’erano partiti, poterono spingere i veicoli alla massima velocita ma, dato che il telaio sobbalzava continuamente, sembrava di stare su un’altalena in perenne movimento. In lontananza cominciavano a scorgersi delle alture : era la regione del Gruithuisen, una catena di crateri, montagne e vulcani spenti che si estendeva fino al Promontorium Heraclides. «C’e un’altra cosa», disse Julian. «Posso parlarti di Lynn?» «Se cos mi darai una risposta a quello che ti ho chiesto poco fa, s.» «Come sta secondo te?» «Ha un problema.» «Lo dice sempre anche Tim.» «Sebbene Tim lo dica sempre, tu lo ascolti molto di rado.» «Perche ogni volta mi aggredisce. Lo sai benissimo. È impossibile avere una conversazione civile con lui quando si parla di Lynn!» «Forse perche la razionalita si addice poco alla condizione di Lynn.» «Allora dimmelo tu qual e il suo problema.»
«La sua fantasia, secondo me.» «Grandioso!» sbuffo Julian. «Se fosse cos, io dovrei essere fuori di testa.» «Infatti il potere della fantasia sulla ragione e sempre una forma di follia», sentenzio Amber. «Anche tu sei un po’ folle, ma sei un caso eccezionale. Distribuisci la tua follia a piene mani, la coltivi, ne fai un punto d’onore. Adori la tua pazzia e lei ti ricambia permettendoti di salvare il mondo. Non ti e mai venuto il dubbio che potrebbe essere troppo per te?» «Mi preoccupa solo prendere decisioni sbagliate.» «Non e la stessa cosa. Quello che intendo dire e se conosci la paura.» «Tutti noi abbiamo dei timori.» «Timore, dici. C’e una sottile differenza. Il timore e un prodotto della razionalita, caro Julian, e una paura reale, fondata su qualcosa di tangibile e concreto. Abbiamo paura dei cani, degli hooligan e del futuro regime fiscale. Io sto parlando di paura nel senso di angoscia, di quel velo di nebbia dietro il quale potrebbe nascondersi qualunque cosa, pronta a tenderci un agguato. Parlo della paura di fallire, di non essere in grado di soddisfare le aspettative, di farsi un’idea sbagliata di se, di scatenare una catastrofe, parlo di quella paura paralizzante che alla fine non e altro che paura di se stessi. Capisci cosa intendo?» «Hmm... Dovrei?» «No, certo, perche dovresti? Sei quello che sei. Ma per Lynn non e cos.» «Non ha mai parlato di paura.» «Ti sbagli. Sei tu che non hai mai ascoltato con attenzione, perche il tuo cervello e sempre sotto adrenalina. Almeno sai cosa le e successo cinque anni fa?» «So che era troppo impegnata. Forse per colpa mia. Ma io gliel’ho detto di riposarsi, o no? E lei lo ha fatto. Dopo ha costruito lo Stellar Island Hotel, l’OSS Grand, il Gaia Hotel, era iperattiva come non mai. Se e per un esaurimento che fate tutte queste storie, allora...» «Non stiamo facendo storie», replico Amber irritata. «E comunque sono io quella che ti difende sempre con Tim, al punto che lui comincia a chiedersi se io non venga pagata per questo. Credimi, Julian, io sto dalla tua parte, i testardi mi sono sempre piaciuti, nella ristrettezza delle tue vedute posso perfino trovare qualcosa di positivo, forse e uno degli effetti collaterali del mio lavoro come assistente sociale. È per questo che ti voglio bene, anche se a volte sembri non capire nemmeno le cose piu elementari, ma cio non significa che tutto debba rimanere com’e, non credi? E comunque resta il fatto che non hai ancora capito qual e il succo della questione.» «Basta cos.» «Tanto per essere chiari, sei tu che hai voluto parlare di Lynn, invece di rispondere alla mia domanda.»
«Allora, forza, spiegami cosa le sta succedendo.» «Devo spiegarti cosa passa per la testa di tua figlia qui, in mezzo all’Oceanus Procellarum?» «Ti sarei grato se almeno ci provassi.» «Oh, santo cielo! Va bene, la faccio breve: pensi che Lynn allora fosse stressata?» «S.» «Ti stupirebbe sapere che il troppo lavoro era in realta l’ultimo dei suoi problemi? Se fosse stato cos, non avrebbe potuto dirigere l’Orley Travel ne costruire i tuoi alberghi. No, il suo problema era che ogni volta che chiudeva gli occhi si sentiva accerchiata da tante piccole Lynn di tutte le eta. La Lynn neonata, la Lynn bambina, la Lynn adolescente, la Lynn figlia, la Lynn cocca di papa, e tutte credevano che l’unico modo per potersi guadagnare la tua approvazione fosse quello di diventare un osso piu duro di te. Davanti a questo esercito proveniente dal passato, che la teneva in scacco giorno e notte, Lynn era assalita dal panico. Ma continuava a pensare che il controllo fosse tutto, e il suo terrore piu grande era proprio quello di perderlo, perche temeva che, in quel caso, sarebbe successo qualcosa di terribile, ne sarebbe scaturita una Lynn che non doveva esistere, o forse proprio nessuna Lynn in assoluto, perche la fine del controllo avrebbe significato anche la fine dell’esistenza stessa. Capisci cosa intendo?» «Non ne sono del tutto sicuro», disse Julian col tono di chi sta attraversando una foresta disseminata di trappole. «Per Lynn l’idea di non avere piu il controllo di se stessa provoca molto di piu che semplice paura. Per lei la perdita del controllo coincide con la pazzia. Ha paura di finire come Crystal.» «Vuoi dire che Lynn ha paura d’impazzire?» «Tim crede che sia cos. Ha passato piu tempo con lei, quindi dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro, ma anch’io, s, anch’io credo che sia questo il punto. Perlomeno cinque anni fa.» «Era di questo che aveva paura?» «Temeva di fallire, di perdere il controllo e il lume della ragione. Ma cio che l’angosciava di piu era la consapevolezza di cosa sarebbe stata capace pur di restare padrona della situazione. A proposito, sapevi che pure il suicidio e una forma di controllo ?» «Cosa c’entra adesso il suicidio, per l’amor del cielo?» «Accidenti, Julian.» Amber sospiro. «È parte del problema. Non deve essere per forza un suicidio fisico; intendo qualunque atto di distruzione di se stessi, della propria salute o dell’esistenza, cui si ricorre non appena la paura di essere esposti all’annientamento per mano di altri diventa insopportabile. È a questo punto che preferisci ucciderti da solo, prima
che lo faccia qualcun altro: l’ultima dimostrazione che si ha pieno controllo di se.» «È vero che Lynn sta mostrando di nuovo i sintomi di questa... di questa...» «All’inizio, pensavo che Tim stesse esagerando, ma ora credo che abbia ragione.» «E perche io non lo vedo? Perche questi segnali non arrivano fino a me? Lynn non ha mai dimostrato nessuna debolezza davanti a me.» «Perche, tu di solito mostri le tue debolezze?» «Non lo so, Amber. Non mi faccio mai domande simili.» «Esatto. Tu non ti fai domande. Lynn non ha bisogno di una pausa, ha bisogno di una terapia, una terapia lunga, molto lunga. Alla fine di questo percorso forse prendera le redini dell’Orley Enterprises, ma potrebbe anche decidere di dedicarsi alla pittura floreale o alla coltivazione di canapa nello Sri Lanka. Nessuno sa chi e davvero tua figlia, nemmeno lei.» Julian emise un lungo sospiro e disse: «Okay, esiste la concreta possibilita che qualcuno stia cercando di far saltare in aria il Gaia Hotel con una bomba atomica. E che Lynn sia in qualche modo coinvolta». La rivelazione le piombo addosso e la travolse con un tale impeto che lei rimase senza fiato. Il suo sguardo scruto il cielo ancora una volta, ben sapendo che il Ganymed non sarebbe comparso. «Quanto ne sei sicuro?» «Sono solo ipotesi di persone che nemmeno conosco. Non so altro, te lo giuro. Ma quello che e successo oggi dimostra che c’e qualcosa di vero. Hai ragione, il compito di Carl potrebbe essere quello di portare a termine l’attentato, ma temo... insomma tutto fa pensare che ci sia qualcuno sulla Luna ad aiutarlo, e...» «Credi che questo qualcuno sia Lynn?» «Non voglio crederlo, ma...» «Perche, santo cielo? È il suo hotel. Perche dovrebbe essere coinvolta in un attacco al suo hotel?» «Forse non sa come stanno davvero le cose, magari e stata manipolata, pero resta il fatto che mi ha nascosto i video di sorveglianza dove si vedeva Carl che prendeva in prestito il Lunar Express. Lei ha accesso a tutti i sistemi dell’hotel, se avesse voluto, avrebbe potuto far saltare le comunicazioni, e poi e aggressiva, e strana, il suo comportamento e inspiegabile...» «E Tim e al Gaia Hotel», sussurro Amber. PROMONTORIUM HERACLIDES, LUNA «Allora, ascolta attentamente. Devo andarmene di qui il prima possibile.» «Chiaro.» «Nel vano di carico ho trovato un grasshopper e un buggy. Per quanto riguarda il primo, temo che l’unita di comando sia rimasta danneggiata nello schianto, il buggy invece sembra integro. Cio significa che dobbiamo liberare il portello posteriore.»
«E se non ce la faccessimo a uscire?» «Ci riusciremo. Non dico che non sara pericoloso, ma, se indossiamo le tute e ci teniamo ben saldi al momento giusto, ce la faremo. Dopodiche mi aiuterai a togliere di mezzo i rottami e a scaricare il buggy. Poi vedremo il da farsi.» Locatelli non poteva che essere diffidente. «Se hai intenzione di prendermi per il culo, Carl, allora puoi anche dire addio al tuo merdoso piano...» «Se tu hai intenzione di prendermi per il culo, Warren, stai certo che portero a termine da solo il mio merdoso piano: e chiaro?» «Okay», rispose lui in tono rassegnato. Carl Hanna fece sparire l’arma in un fodero all’altezza della coscia, s’inginocchio dietro di lui e sciolse i nodi che lo tenevano legato. Locatelli distese le braccia e, attento a non compiere movimenti bruschi, si massaggio i polsi. Si sentiva ancora stordito. Rendendosi conto solo allora della pendenza dello shuttle, a tentoni arrivo fino alla plancia di comando e guardo fuori: attraverso una leggera foschia vide un terreno in salita. Una foschia di polvere, l’orribile e onnipresente polvere lunare, che offuscava la vista e depositava sul vetro della cabina una sporca patina grigia. Non c’erano particelle d’atmosfera a sostenerla, quindi come faceva quella roba a rimanere sospesa? «Elettrostatica», riflette a voce alta. «La polvere?» Hanna si avvicino. «Me lo sono chiesto anch’io. Ci troviamo molto vicino alla zona di estrazione, in quest’area vengono smosse tonnellate di regolite. È comunque sorprendente che non cada a terra.» «In realta credo che lo faccia», ipotizzo Warren. «In buona parte, perlomeno. Se ti ricordi, durante il viaggio col buggy ne abbiamo sollevata una gran quantita, si alzava in piccoli vortici e poi ricadeva verso il basso, perfino il granello piu sottile, la particella piu microscopica.» «Chi se ne importa, vieni.» Indossarono le tute, le protezioni e il casco e attivarono il sistema di comunicazione. Carl lo fece spostare nella parte posteriore, dietro l’ultima fila di sedili, e indico le spalliere. «Appoggiati l con la schiena, ti faranno da scudo. I finestrini della plancia di comando dovrebbero essere di vetro blindato, quindi mirero a uno dei tiranti. La forza dell’esplosione dovrebbe bastare a farlo cedere. In caso contrario dovremo fare i conti con una pioggia di schegge. Se tutto andra per il verso giusto, ci sara una forte onda d’urto, quindi rimani dietro i sedili e tieniti forte.» «E l’ossigeno? Non s’incendiera?» «No, la concentrazione corrisponde a quella terrestre. Pronto? » Locatelli si accovaccio. In altre circostanze si sarebbe divertito un mondo, ma non poteva certo lamentarsi per la mancanza di adrenalina. «Pronto.»
L’altro si sistemo accanto a lui, da un fodero sull’altra coscia estrasse un’arma praticamente identica alla prima, si sporse nel corridoio e miro alla plancia. Locatelli percep un sibilo acuto, al quale segu una detonazione, cos breve che il fragore sembro venire inghiottito dal vuoto nel momento stesso dell’esplosione... Poi il risucchio. Oggetti, frammenti e schegge volavano da tutte le parti, una massa confusa che turbinava vorticosamente e che gli sfreccio davanti agli occhi in direzione della plancia. Tutto cio che non era avvitato o saldato veniva aspirato all’esterno. L’aria che stava fuoriuscendo lo schiacciava contro i sedili. Qualcosa urto la visiera, qualcos’altro di altrettanto indefinito lo colp alla spalla e al fianco, mentre un aggressivo sciame di opuscoli e libri gli cadde addosso: le rilegature gli parvero particolarmente agguerrite. Un grosso volume si fermo all’altezza del petto e rimase l per un po’, agitando le pagine nel tentativo di liberarsi, poi si stacco e scomparve nel corridoio. Tutto si svolse in un silenzio totale, poi fin. Era tutto vero quello che era successo? Dopo qualche secondo Locatelli si sporse oltre i sedili e osservo la cabina. Dove prima c’era il vetro della plancia, ora si spalancava un buco enorme. «Mio Dio... Che razza di roba hai usato per sparare?» «Miscela casalinga, e un segreto.» Hanna si alzo e attraverso il corridoio. «Vieni, dobbiamo ancora raggiungere il vano di carico. » Nel vano la situazione appariva meno caotica di quanto Locatelli si aspettasse. I pezzi del grasshopper erano sparsi un po’ ovunque. Li raccolse l’uno dopo l’altro. L’unita di comando era stata quasi distrutta, il buggy invece era appoggiato integro sul suo supporto, un piccolo veicolo a due posti con una superficie di carico. In caso di necessita, lo shuttle poteva trasportare sei buggy. Lui si preparo ad aiutare Hanna a togliere il mezzo dal supporto. Il portellone, che fungeva anche da parete posteriore del vano di carico, era socchiuso, come se si fosse deformato durante lo schianto, e da quello spiraglio il cielo stellato illuminava debolmente l’interno dello shuttle. Il canadese si avvicino a una parete scorrevole, la apr e prelevo batterie e due kit di sopravvivenza, poi carico tutto sul buggy. Tornarono in cabina e uscirono dal buco davanti alla plancia di comando. Il terreno si trovava qualche metro sotto di loro. Locatelli salto con agilita, giro intorno al muso del Ganymed, simile a una balena spiaggiata, e osservo la pianura trattenendo il fiato. Era uno spettacolo spettrale. Vortici di regolite si estendevano a perdita d’occhio in direzione del Sinus Iridum, per poi unirsi e formare un unico pesante manto turbinante. Nei punti in cui la polvere si diradava, la natura vellutata del terreno sembrava acquisire una consistenza piu scura. Una scia di devastazione conduceva fuori dalla nube fino a un terreno roccioso in salita, proseguiva attraverso una breccia frastagliata, descriveva una curva verso l’alto e terminava in corrispondenza dello shuttle che, come ebbe modo di constatare, si era schiantato sull’orlo di uno strapiombo, provocando una frana. Mucchietti di detriti di tutte le dimensioni circondavano la fusoliera del Ganymed, alcuni
erano scivolati a valle, altri piu grossi bloccavano la parte inferiore del portellone. A nordovest si snodava il crinale dei Montes Jura punteggiato di crepacci. «Non ci sono poi tanti detriti», dichiaro Carl. «Temevo che avessero letteralmente ricoperto lo shuttle.» «No, non sono molti», confermo Warren indispettito. «Sono solo enormi. Quello la davanti pesera tonnellate.» «Diviso sei. Forza, al lavoro.» GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Alle sei e mezzo Dana Lawrence richiamo le squadre di ricerca. Lynn e Sophie Thiel avevano controllato la maggior parte degli alloggi per il personale e alcune suite poste nella gabbia toracica; Michio Funaki e Ashwini Anand avevano perlustrato le serre, analizzando ogni appezzamento di verde e girando e rigirando tra le mani ogni pomodoro, prima di dedicarsi al centro di meditazione e alla chiesa multireligiosa. Il terzo gruppo, per bocca di Axel Kokoschka, annuncio che la piscina, il centro benessere e il casino erano puliti, e calcarono su tale parola con la stessa enfasi che avrebbe usato Philip Marlowe dopo aver perquisito un sospettato. «Avete controllato anche nei muri e sotto i pavimenti? Nelle unita di sopravvivenza?» chiese Dana. Axel fece oscillare in modo eloquente il suo detector. «Non ha rilevato nulla.» «S, certo, ma sappiamo troppo poco delle mini-nuke.» «Perquisire l’hotel e stato una sua idea», puntualizzo Lynn irritata. «Quindi adesso non ci venga a raccontare che e stato tutto inutile. Inoltre io e Sophie abbiamo guardato anche nelle unita di sopravvivenza, ovunque ci fosse abbastanza spazio per un affare del genere.» «Davvero?» Dana la squadro dall’alto in basso. «E come fa a sapere quanto posto occupa una mini-nuke?» «Questo non e giusto, Dana», intervenne Tim a bassa voce. «Non e vero», replico lei senza nemmeno guardarlo. «Il mio compito e quello di ridurre i rischi, la ricerca e servita a questo. Abbiamo setacciato i posti piu importanti, io stessa sono andata a controllare la testa, sebbene rimanga dell’idea che una bomba dovrebbe essere sistemata in un punto centrale alla base della struttura.» «Non necessariamente», riflette Ashwini. «È una bomba atomica. L’effetto dell’esplosione puo essere devastante, quindi in teoria non e importante dov’e nascosta.» «In teoria», ripete Dana. «A ogni modo, quello che ho sentito da voi non basta per un cessato allarme, ma almeno sono riuscita a mettermi in contatto con la base Peary. Anche loro hanno gli stessi problemi: come immaginavo, non riescono a comunicare ne con la Terra ne col nostro shuttle, oltre al fatto che in questo momento si trovano nella parte della Luna os-
curata dalla librazione. Dopo aver spiegato al vicecomandante...» «Cosa?» esplose Lynn. «Gli ha raccontato quello che sta succedendo? » «Si calmi. Ho...» «Gli ha detto della bomba?» Lynn balzo in piedi. «Non deve farlo per nessun motivo, ha capito? Non possiamo permettercelo! » «... parlato col vicecomandante...» «Non senza il mio permesso!» «... del guasto del satellite», continuo Dana con un tono un po’ piu alto, quasi stridulo. «E gli ho spiegato che non riusciamo a metterci in contatto coi nostri ospiti. Era questo che avevamo concordato, giusto? Poi gli ho chiesto se dalla Terra fossero giunte notizie insolite, prima che i satelliti smettessero di funzionare. Ma la sua risposta e stata negativa.» «Quindi gli ha davvero raccontato...» «No, ho soltanto sondato il terreno. E lui non aveva niente da dirmi. La base e una struttura americana. Anche se Jennifer Shaw avesse deciso d’informare Houston della bomba, e arrivata troppo tardi, ormai la comunicazione era interrotta. La nessuno e al corrente dei nostri problemi, ma mi sono permessa di esprimere la mia preoccupazione circa la sorte del Ganymed, pensando a un possibile incidente.» Lo sguardo di Lynn perlustro l’intera stanza, per aggrapparsi alla fine a quello di Tim. «Non dobbiamo rischiare che la voce si diffonda.» «Se il Ganymed non si fara vivo nel giro di poco tempo, si spargera di certo», replico Dana. «In quel caso dovremo chiedere alla base di mandare uno shuttle all’Aristarchus Plateau.» «Assolutamente no. Non dobbiamo mettere in allarme gli ospiti di Julian.» Oh, Lynn, accidenti. Tim resistette all’impulso di posarle una mano sul braccio per cercare di calmarla. «Quale sarebbe la tua proposta?» «Forse... Per il momento, continuare a cercare.» «Tra mezz’ora rientrano gli ospiti. Vorranno avere i loro drink», disse Michio. «Se ne occupera Axel. No, lo fara lei, Michio. Noi altri dobbiamo prendere tempo, rimanere tranquilli. Dobbiamo decidere le prossime mosse con calma.» «Io sono calma», specifico Dana con voce inespressiva. «Posso guardare di nuovo i video della sorveglianza», propose Sophie. «Quello della notte in cui Carl e scomparso e quello del giorno dopo.» «A che scopo?» chiese Axel. Per la prima volta Tim noto che il cuoco osservava di continuo la tedesca lentigginosa con gli stessi occhi affamati di un dobermann, come se stesse esaminando la qualita della carne, dei fianchi, delle guance e del petto, per poi distogliere frettolosamente gli occhi quando lei
guardava nella sua direzione. Ah-ha, il cuoco e cotto, penso. «Chiunque abbia manomesso le immagini dev’essere stato nella centrale, no? Voglio dire, qualche telecamera deve pur averlo ripreso. Quindi se riuscissimo a ricostruire...» «Buona idea», esclamo Lynn entusiasta. «Ottima. Dobbiamo spremere Carl e questa... questa seconda persona.» «Spremerli», le fece eco Dana. «Ha un’idea migliore?» chiese Lynn inviperita. «Hanna pero non e qui.» «E allora? Mio padre arrivera a momenti e portera anche lui. Perche dovremmo stare qui a scervellarci? Chiediamolo a lui, e poi» - i suoi occhi brillarono - «non ci puo succedere niente fintanto che teniamo Carl all’interno del Gaia Hotel. Di certo non vorra essere vaporizzato dalla sua stessa bomba atomica.» «Certo che no», commento Axel accarezzandosi la pancia rotonda. «Un attentatore suicida: in effetti non si sentono mai cose del genere.» «Cosa ha detto?» lo aggred Lynn. «Sta cercando di provocarmi ?» «Cosa?» Il cuoco trasal e si passo nervosamente la mano sulla testa calva. «No, io... chiedo scusa, non volevo...» «Carl Hanna ha forse l’aspetto di un islamico?» «No, mi perdoni. Davvero.» «Allora non dica fesserie!» «Noi... noi siamo tutti un po’ agitati.» «Non penserete che dietro ci sia davvero la Cina», chiese Ashwini, a disagio. «Questo Jericho dice di s», replico Sophie. «Quanti cinesi sono islamici?» riflette Michio. «Domanda interessante.» «No, sciocchezze!» Dana alzo le mani. «Finitela. È capitato anche ai cristiani a volte di prendere la scorciatoia per il paradiso. Che idiozia. Dal mio punto di vista, Lynn ha fatto una proposta interessante che ci fara guadagnare tempo, sempre ammesso che riusciamo davvero a prendere Hanna e questa dannata seconda persona. Io suggerisco di fare come ha detto lei. Anand e Kokoschka si dedicheranno di nuovo alle installazioni nei muri e sotto i pavimenti, Thiel riguardera i video, Funaki andra al bar, Lynn e io...» «Gaia, per favore, rispondete!» Dana s’interruppe, mentre il resto del gruppo si scambiava sguardi perplessi: il sistema stava trasmettendo un messaggio radio. Tutti i presenti speravano che la comunicazione fosse trasmessa via satellite.
Sophie balzo in piedi e lancio un’occhiata al display. «Kallisto, qui parla Gaia.» «Truppa affamata in arrivo», squitt Nina Hedegaard. «Riuscite a vederci? Se non troviamo qualcosa pronto in tavola, andiamo dai cinesi.» «Merda», sussurro Dana. «Eccoli.» Attraverso la finestra panoramica posta all’altezza della pancia osservarono lo shuttle solcare il cielo illuminato dal sole. Il Kallisto si era avvicinato all’albergo da dietro e ora stava compiendo la parabola di discesa. Di solito, infatti, ogni escursione si concludeva con un giro intorno al Gaia Hotel. «Non riuscirete a mangiare tutto quello che vi abbiamo preparato », cinguetto gioiosamente Sophie. «Com’e andata la vostra giornata?» «A meraviglia. Il fatto che non vi siete messi in contatto con noi per ore non ci e importato minimamente.» «Non avevamo voglia di parlarvi.» «No, sul serio, cos’e successo?» «Un guasto al satellite», rispose Sophie. «Come temevo. Non siamo riusciti a comunicare nemmeno con Julian. Sapete da cosa dipende?» «Non ancora.» «Strano. Com’e possibile che tutti i satelliti si guastino contemporaneamente ?» «Forse li avete urtati per sbaglio. Ora basta con queste sciocchezze. Nina, porta giu gli affamati.» «Oui, mon general!» «Almeno sono tornati», commento Ashwini guardandosi intorno. «Gia.» Dana segu il Kallisto con lo sguardo finche non scomparve oltre la finestra. «E con ogni probabilita uno di loro sta giocando sporco con noi. Cosa pensa di fare, Lynn? Andiamo ad accoglierli?» Con un certo sollievo, Tim noto che Dana aveva usato il nome proprio. Un’offerta di pace? Oppure una semplice tattica per poter studiare Lynn in tutta tranquillita? Non aveva nessun dubbio riguardo al fatto che la direttrice dell’hotel sospettasse la sorella di cospirazione, ma Lynn si stava rilassando a vista d’occhio. «Non una parola davanti agli ospiti», disse lei. «Okay. Per il momento. Ma quando saranno tutti qui dovremo fare le cose per bene. O Carl e il suo complice vuotano il sacco, oppure informiamo la base e facciamo evacuare la struttura. » «Poi vedremo.»
«Daremo al Ganymed un’altra ora di tempo.» «Perche pensa che al Ganymed serva un’altra ora?» Lynn ha davvero perso del tutto il senso della realta, penso Tim. Oppure e lei a fare il gioco sporco. Error. Pensiero non ammesso. «Comunque sia, andiamo», concluse Dana. CALGARY – VANCOUVER, CANADA «Credimi, ho setacciato la rete in lungo e in largo», dichiaro lo stagista. «Non posso offrirti niente di piu rispetto a ieri sera.» Il Boeing 737 della Westjet Airlines sprofondo in un vuoto d’aria. Il bicchierino monodose di succo d’arancia rischio di rovesciarsi proprio nel momento in cui Loreena Keowa lo stava aprendo: qualche goccia schizzo sulla sua giacca e il resto basto per inzuppare il croissant. «Merda!» «Prima di entrare nell’APS...» «Ma porca miseria!» Il succo stava gocciolando dal vassoio sulle sue gambe. «Rinfrescami la memoria, cos’e l’APS?» «African Protection Services.» «Ah, gia.» «Dunque, prima di entrare nell’APS, Gudmundsson ha prestato servizio presso il Mamba, l’altra agenzia di sicurezza che operava in Kenya e in Nigeria a inizio secolo e che poi nel 2010 si e fusa con l’Armed African Services, un’organizzazione del tutto simile, dando cos origine all’APS. Gudmundsson e stato a capo di diverse squadre...» «Questo me lo hai gia detto ieri», lo interruppe Loreena, impegnata a usare con parsimonia il suo minuscolo tovagliolo di carta. «... e ha preso parte ad alcune operazioni in Gabon e nella Guinea Equatoriale. Lo mangi ancora?» «Cosa?» «Il croissant. Non e molto invitante, se posso dire la mia.» Loreena guardo la brioche. Prima era soltanto insipida, adesso era insipida e inzuppata di succo. «No.» Il ragazzo allungo la mano e s’infilo meta cornetto in bocca. «Qua e la affiorano indizi secondo cui l’APS avrebbe contribuito ad aiutare un qualche dittatore africano a salire al potere con un colpo di Stato», prosegu con la bocca piena. «L’APS ha sempre smentito, ma sembra che ci sia qualcosa di vero. Gudmundsson potrebbe quindi aver partecipato a quel golpe prima di lasciare la societa e mettersi in proprio. Quando lui se n’e andato, l’APS e passata sotto la responsabilita di un certo Jan Kees Vogelaar, che era stato a capo anche del
Mamba. Tra l’altro, Vogelaar e entrato a far parte proprio del governo della Guinea Equatoriale, che e il Paese dov’e avvenuto il colpo di...» «Basta cos.» «Volevi che facessi luce sul passato di Gudmundsson», borbotto lo stagista risentito. «S, sul suo passato, non su quello di un qualunque Vogelhat o come diavolo si chiama.» Loreena asciugo il succo d’arancia dai pantaloni. «Non hai trovato niente riguardo a tre anni fa, se Gudmundsson e stato in Peru o notizie del genere? Mi sembra che alla Eagle Eye siano piuttosto disponibili.» «Abbi pazienza, Pocahontas. Ci sto lavorando.» Loreena guardo fuori dal finestrino. L’aereo stava sorvolando le Montagne Rocciose; un volo breve ma pieno di turbolenze. Il Boeing tremo. La donna bevve velocemente il succo rimasto. «Voglio mettere sotto il naso a Susan quante piu informazioni possibile, capisci? Deve rendersi conto che non possiamo piu chiamarci fuori da questa storia, che ci siamo dentro fino al collo. » «Gia, s.» Il ragazzo inghiott anche la seconda meta del croissant. «Ammesso che Ruiz abbia davvero a che fare con Palstein. Per ora la tua e solo una congettura.» «So di poter contare sul mio istinto.» «Sciocchezze indiane.» «Vacci piano. Non puoi mandare giu il boccone prima di parlare? Quella roba nella tua bocca non e certo un bello spettacolo. » «Oh, santo cielo», sospiro lo stagista. «Hai davvero qualche problema.» Loreena guardo di nuovo fuori dal finestrino. L’intenzione con cui il ragazzo aveva detto quella frase era un’altra, ma a lei aveva riportato alla mente lo sguardo di Palstein del giorno precedente, quando aveva letto nei suoi occhi un velo di preoccupazione; temeva che la donna avrebbe assistito impotente al suo stesso declino, che si sarebbe cacciata nei guai se avesse sollevato altra polvere sotto la quale stavano in agguato creature come Lars Gudmundsson. E allora? Woodward e Bernstein si erano forse lasciati intimidire da qualche viscido animaletto quando si era trattato d’incastrare Nixon? Rispettava la preoccupazione di Palstein, ma l’esitazione di Susan la indispettiva. Doveva forse gettare al vento l’unica occasione di far luce sul suo Watergate? Le buone intenzioni non servono a nulla, penso. Il coraggio non si compra. Non il mio, perlomeno. Dopo un po’ registro a bassa voce sul suo cellulare i risultati delle ricerche condotte fino a quel momento, attese che il software convertisse la registrazione in un documento di testo, allego il video di Bruford e sped tutto a entrambi i suoi indirizzi di posta elettronica. Non si sa mai.
Le turbolenze erano finite. Tre quarti d’ora dopo l’aereo inizio la manovra di atterraggio presso il Vancouver International Airport. Il tempo era bello. Piccole nubi bianche si stavano dirigendo verso l’entroterra e lo stretto di Georgia era baciato dal Sole. L’isola di Vancouver, ricoperta da una fitta vegetazione scura, evocava antichi miti dei nativi americani e ricordava la fragranza dell’albero della vita e della duglasia. Piu l’aereo scendeva di quota, piu il morale di Loreena si risollevava, dato che in quei pochi giorni avevano fatto molte scoperte. Forse avrebbero dovuto accontentarsi di quello che erano riusciti a sapere di Gudmundsson e concentrarsi sui retroscena della sventurata conferenza di Pechino. Mentre il Boeing stava rallentando, lei escogito una tattica per l’imminente riunione di redazione: anzitutto si sarebbe comportata come se non fosse mai stato fatto il nome di Palstein. Voleva confondere Susan e discutere con entusiasmo del reportage L’eredita del mostro, offrire la propria collaborazione, dimostrare che prendeva sul serio i suoi impegni. Poi, con la fotografia del grassone asiatico, avrebbe giocato il suo asso nella manica. Be’, forse non era proprio una scala reale, ma era di certo un full. «Spero almeno che Sid sia puntuale», disse lo stagista, mentre attraversavano il terminal decorato coi lavori d’intaglio delle First Nations. «In realta non lo e quasi mai.» «Allora lo aspetteremo un paio di minuti», replico Loreena tranquilla. «Io pero ho fame. Non possiamo passare prima da McDonald’s? » «Di’ pure al tuo stomaco...» «Va bene, ho capito.» Ma Sid Holland, redattore di politica di Greenwatch, era in perfetto orario. Era al volante di una vecchissima Thunderbird cabrio a quattro posti tirata a lucido; amava cos tanto quell’automobile che si offriva spontaneamente di accompagnare chiunque nei dintorni pur di poterla guidare. «Susan spera che tu abbia per le mani qualcosa d’interessante per L’eredita del mostro.» «Si fa colazione?» chiese lo stagista. «Ragazzo, sono le undici e mezzo!» «Pranzo?» Mentre il giovane si sistemava sul sedile posteriore, Loreena fisso il cielo azzurro e penso al premio Pulitzer. Sid lascio l’aeroporto attraversando il ponte Arthur Laing, poi guido in direzione nord-ovest passando per i quartieri Marpole, Kerrisdale e Dunbar-Southlands. Alla fine della zona edificata iniziava il Pacific Spirit Regional Park. La Southwest Marine Drive, un raccordo autostradale a quattro corsie che si snodava lungo la costa, si tuffava in una fitta vegetazione e arrivava fino all’area universitaria, presso Point Grey; era molto piu di un semplice campus, era quasi una piccola cittadina autonoma che confinava con un grazioso quart-
iere punteggiato da tipiche casette canadesi e ville ben curate. Grazie a una quota di partecipazione studiata nei minimi dettagli, Greenwatch poteva permettersi di avere la propria sede in una di quelle ville. Gli studi e le sale di montaggio, pero, si trovavano altrove, i collaboratori erano sparpagliati per tutto il Canada e l’Alaska, e a Point Grey c’erano solo gli uffici dei dirigenti e alcune sale conferenze di rappresentanza. Il futuro sarebbe stato ancora piu roseo per Greenwatch. Sid procedeva al di sotto dei limiti di velocita consentiti, sulla Marine Drive c’era poco traffico. Sulla loro sinistra il bosco si divideva in due e lasciava intravedere il luccichio del mare e il profilo lontano delle montagne, che sembravano disegnate a mano. Centinaia di tronchi legati sulle chiatte scivolavano tranquille su acque calme, testimonianza di un’industria del legno ancora fiorente, nonostante il diboscamento. Loreena chiuse gli occhi per godersi il vento sul volto. Folate tiepide le scompigliavano i capelli. Quando riapr gli occhi, lo sguardo le cadde sullo specchietto laterale. Appena dietro di loro c’era un Suv, un massiccio fuoristrada grigio coi vetri oscurati. Improvvisamente si sent pervasa da un brutto presentimento. Nel corso dell’ultimo quarto d’ora aveva guardato in quello specchietto piu d’una volta, ma non aveva notato niente di strano. Loreena era uno di quei passeggeri superattenti, che di tanto in tanto innervosiscono il guidatore con commenti del tipo «È rosso!» e «Non e che se lo guardi diventa verde prima!» e ancora «Attento a dove vai!» Non le sfuggiva niente, nemmeno il fatto che adesso qualcuno li stesse seguendo. Il presentimento si trasformo in certezza. Era sicura che il Suv fosse stato incollato alla loro auto fin dall’aeroporto. Il parabrezza rifletteva il cielo, percio era impossibile vedere chi ci fosse all’interno. Loreena si giro di nuovo verso la strada, che si snodava attraverso una vegetazione rigogliosa: la linea di mezzeria era una striscia d’erba ingiallita, in cui erano state piantate alcuni alberelli bassi e aiuole a distanze irregolari. Un altro fuoristrada venne loro incontro sulla corsia opposta. Anche questo era scuro: un altro. Si stava sbagliando? Stava forse sviluppando una piccola, strana forma di paranoia? Quanti Suv scuri potevano esserci a Vancouver? Centinaia, di certo. Migliaia. Per i canadesi dell’Ovest i fuoristrada erano come il guscio per i paguri. Smettila di dare i numeri, penso. D’altro canto, che male c’era nel segnarsi la targa del veicolo? Prese il cellulare, ma proprio in quel momento il Suv cambio corsia e si accosto a loro sulla destra. Adesso Loreena non riusciva piu a leggere i numeri della targa. Non potevi aspettare ancora qualche secondo? Stavo proprio per... Il Suv si avvicino.
«Ehi!» Sid suono il clacson e gesticolo in direzione dell’altro veicolo. «Guarda dove vai, idiota!» Sempre piu vicino. «Ma cosa sta facendo?» ringhio Sid. «È sbronzo?» No, penso Loreena, improvvisamente inquieta. Alla guida c’e qualcuno che sa esattamente quello che sta facendo. Sid accelero. Anche il Suv diede gas. «Ma tu guarda questo idiota!» impreco lui. «Qualcuno dovrebbe... » «Attento!» urlo lo stagista. Loreena vide arrivare l’enorme veicolo e si sposto quanto piu possibile dalla portiera; il Suv urto il fianco della Thunderbird spingendola sulla striscia d’erba della mezzeria. Sid impreco e sterzo bruscamente, cercando di non finire sulla corsia opposta. Continuando a sbandare solcarono il terreno sfiorando i cespugli ed evitando all’ultimo momento di schiantarsi contro un albero. Il motore dell’auto sportiva ululava. Sid diede gas. Il fuoristrada li tampono di nuovo, con maggiore violenza. Loreena sobbalzava sul sedile, investita dallo stridore metallico delle lamiere. All’improvviso si ritrovarono sulla corsia opposta; un clacson risuono come una sirena d’allarme e riuscirono a evitare l’impatto per un soffio. «La mia macchina!» rugg Sid. «La mia bellissima macchina !» Riporto la Thunderbird sull’erba, ma in un tratto disseminato di cespugli. Sfrecciava attraverso la vegetazione bassa facendo schizzare rametti da tutte le parti. A destra il fuoristrada filava alla loro stessa velocita, impedendo all’auto sportiva d’immettersi sulla carreggiata. Sid freno di colpo nell’intento di accodarsi al Suv, ma anche l’inseguitore rallento, facendo cos sfumare il suo piano, quindi cerco di nuovo di speronarli. Stavolta Sid fu piu rapido. Prima della collisione, attraverso entrambe le corsie e fin davanti a un motociclista sul’Old Marine Drive, una strada stretta e sconnessa che si snodava lungo il pendio per alcuni chilometri, fino ad arrivare all’area universitaria, dove incrociava la strada principale. Non c’era nessun altro oltre a loro. Loreena noto che la cintura era stata strappata via dal suo attacco ed era finita intorno al parabrezza. Si stava chiedendo cosa mai volessero da loro quegli individui, ma non collego l’assalto con Palstein, Ruiz e tutta quella storia. Penso piuttosto a dei giovani balordi, a dei rapinatori o a qualcuno tanto folle da farlo per puro divertimento. Si guardo alle spalle. Buche, alberi, nient’altro. Per un attimo coltivo la speranza che Sid fosse riuscito a seminare il Suv, ma poco dopo ricomparve dietro di loro, avvicinandosi inesorabilmente alla Thunderbird. Sentirono un rumore strascicato provenire dal vano motore. L’automobile sbuffo. «Accelera!» urlo Loreena.
«Sto andando piu veloce che posso», urlo Sid di rimando. Ma la velocita stava diminuendo. «Deve andare piu forte!» «Non so cosa sia successo.» Sid lascio andare il volante e comincio a gesticolare. «Qualcosa e andato a puttane, ma non so cosa.» «Tieni le mani sul volante!» «Oh, santo cielo», gemette lo stagista scivolando giu sul sedile. Il muso scuro e massiccio del fuoristrada si stava avvicinando minaccioso e li tampono da dietro. La Thunderbird fece uno scatto, Loreena venne sbalzata in avanti e batte la testa. «Coraggio!» disse Sid implorando l’auto. «Forza!» Il Suv li tampono ancora una volta. La Thunderbird emetteva rumori preoccupanti, poi ecco spuntare l’inseguitore al loro fianco: li stava pian piano spingendo di lato. Sid impreco, controsterzo come un pazzo, diede gas, freno... Perse il controllo. Le ruote dell’auto si staccarono dal suolo, e gli occupanti ebbero l’impressione di essere immersi nel silenzio piu totale; ogni rumore, non soltanto quello delle ruote sulla ghiaia della corsia, ma pure quello del motore o del fuoristrada, sembro spegnersi, fino al piu piccolo canto argentino degli uccellini. La Thunderbird si capovolse e ai tre passeggeri per un attimo sembro che gli alberi li stessero guardando dal cielo e che alcune nuvole punteggiassero un infinito mare blu dalla profondita sconfinata. Poi la prospettiva cambio di nuovo, il bosco adesso era inclinato. Ricominciarono a sentire scricchiolii e tintinnii. Loreena era stata sbalzata fuori dall’auto; agitando le braccia in volo vide la Thunderbird sotto di se scivolare lungo la scarpata, il telaio rivolto verso l’alto, le ruote che giravano: sembrava un avido animale affamato di cespugli e foglie. Mentre era ancora in aria noto che il relitto si era rimesso sulle ruote e si era finalmente fermato; poi vide avvicinarsi il terreno a una velocita spaventosa. Quando si riprese, non avrebbe saputo dire esattamente quale osso si fosse rotta, ma a giudicare dal dolore doveva essere conciata davvero male. Il suo corpo aveva picchiato sulla schiena, sulla pancia, sul fianco. Era riversa a terra con braccia e gambe distese, sangue negli occhi, sangue in bocca. Il suo primo pensiero fu che, almeno, era ancora viva. Il secondo fu che il suo cellulare luccicava sotto il Sole non lontano da lei. Lo vide scintillare su un sasso liscio, come fosse un pezzo in esposizione, come se qualcuno lo avesse sistemato l con cura. Piu giu la Thunderbird, ormai distrutta, era incastrata fra alcuni alberi martoriati, cosparsa di rametti, pezzi di corteccia e foglie. Dal finestrino ciondolava il corpo di Sid, la testa in una posizione del tutto innaturale, gli occhi sbarrati.
Lei sent avvicinarsi il rumore di ruote sulla ghiaia e sull’erba. «Loreena?» Il suo nome fu pronunciato da una voce debole e sofferente. Apr gli occhi e vide lo stagista giacere all’ombra di un abete rosso. Cerco di alzarsi, si piego dal dolore, ci provo di nuovo. Il Suv si era fermato. Qualcuno stava scendendo lungo la scarpata, senza fretta. Un uomo. Alto, pantaloni scuri, camicia bianca, occhiali da sole. Nella mano destra teneva con disinvoltura una pistola a canna lunga. «Sono subito da lei. Un momento solo.» Un silenziatore, penso Loreena. Mentre le passava accanto, l’uomo sorrise in modo un po’ distaccato, si diresse verso lo stagista e gli sparo tre volte, fino a che il giovane non si mosse piu. Loreena apr la bocca nel tentativo di urlare, chiamare aiuto, ma tutto quello che usc dal suo torace malridotto fu un debole sussurro. Ogni respiro era una tortura. A fatica si sollevo sui gomiti e striscio fino alla pietra dov’era appoggiato il cellulare. L’uomo ritorno da lei, prese il telefono e se lo mise in tasca. Lei si lascio andare, rotolo sulla schiena, socchiuse le palpebre guardando il Sole e penso quanto Palstein avesse avuto ragione. Era arrivata cos vicina alla verita. Cos vicina. Il torace e la testa di Lars Gudmundsson entrarono nel suo campo visivo, insieme con la canna della pistola. «Lei e una donna molto intelligente.» «Lo so», gemette Loreena. «Mi spiace.» «È tutto... tutto gia in rete», mormoro a fatica. «Tutto gia...» «Verificheremo», replico Gudmundsson cordialmente, prima di premere il grilletto. GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Nella sauna, in preda alla frustrazione, Nina Hedegaard cercava d’imbrigliare i mille pensieri che svolazzavano nella sua mente. Ovunque udiva il cinguettio della spensieratezza e si godeva la protezione assicurata da quel nido accogliente, un calore che solo il mondo di Julian poteva offrire. Mille meravigliosi pensieri d’impalpabile levita. Ma, quando Julian non c’era, gli uccellini non si lasciavano rinchiudere nella gabbia dei suoi progetti per il futuro. Ogni volta che lui le sussurrava una mezza promessa e lei pensava di aver afferrato almeno un passerotto, anche quella piccola speranza le sfuggiva di mano e andava a unirsi a tutte le seducenti aspettative - vicine e nel contempo irraggiungibili - partorite dalla propria fantasia. Ormai dubitava della sincerita di Julian. Lui sapeva perfettamente che lei si aspettava qualcosa di piu. Perche non le parlava con sincerita? In fin dei conti, la loro non era una relazione clandestina e lui non doveva temere i giudizi altrui. Era infatti un single affascinante, proprio come lei, con l’unica differenza che lei non era ricca.
La sua frustrazione fluiva densa da tutti i pori, si accumulava sulle braccia, sui seni e sulla pancia. Irritata, distribu gli strati di sudore caldo e fece scivolare le mani lungo l’interno delle cosce, lasciando vagare le dita verso il centro dell’inguine come guizzanti e indomabili strumenti di piacere che non conoscevano l’orgoglio. Inorrid. Tra i vapori di rabbia si stava facendo largo l’umiliante desiderio d’immaginare al suo fianco il grande assente... No, mai. Julian voleva soltanto scoparla. Ecco tutto. Non provava niente, non la amava. Voleva scopare una piccola astronauta danese molto carina quando ne aveva voglia. Proprio come si scopava il mondo intero quando ne aveva voglia. Stupido idiota. Con rabbia strappo le mani dalle cosce e le premette sul bordo della panca. Si concentro sullo spettacolo della gola all’esterno, con le superfici color pastello e le ombre decise. D’un tratto, le migliaia di stelle luccicanti nel cielo le sembrarono piu raggiungibili della vita che avrebbe voluto condurre al fianco di quell’uomo. Non era interessata ai suoi soldi, anche se di certo non disprezzava il denaro. No, lei voleva conquistarsi un posto nella mente visionaria che era riuscita a partorire l’idea di un ascensore spaziale, voleva essere la musa di Julian, la sua idea piu brillante, ed essere riconosciuta dal mondo come tale, come la donna che lui amava. Non perche andava a letto con lui, ma perche se lo meritava. Era seduta l proprio perche voleva dirgli tutte quelle cose, ma senza angustiarlo. Solo qualche vago progetto per il futuro, unito alla seducente prospettiva di un amplesso nella sauna, subito dopo il rientro del Ganymed. Cos erano rimasti d’accordo, e Julian aveva promesso di raggiungerla subito, ma ormai erano le otto meno un quarto e, quando aveva chiesto notizie a Lynn, lei le aveva propinato l’incredibile favoletta che il gruppo, incantato dalla bellezza della Vallis Schroteri, aveva perso la cognizione del tempo e quindi avrebbe ritardato il rientro di un’ora o due. Nina le aveva chiesto come facesse a saperlo, dato che il collegamento satellitare era saltato. D’accordo, aveva ammesso Lynn, non lo sapeva con certezza, ma Julian quella mattina aveva accennato alla possibilita di allungare l’escursione nell’entroterra della Snake Hill. Non c’era motivo di preoccuparsi. Era sicuramente tutto a posto. Tutto a posto. Sì, certo. Fisso cupa il vuoto davanti a se. Poteva anche darla a bere agli ospiti, ma di certo non a lei. Non avrebbe mai dovuto iniziare una relazione col vecchio buontempone piu ricco del mondo. Era tempo di fare una doccia fredda e di concedersi una nuotata in piscina. «È davvero solenne», disse Heidrun Ogi. «Naturalmente se si riesce a trascendere.» «Se si riesce a fare cosa?» sorrise Miranda Winter. «Se si riesce a cogliere il significato nascosto della realta, mia cara. Un esercizio difficile, oggigiorno. Alcuni lo chiamano religione. »
«Una bandiera piegata e un vecchio modulo di allunaggio?» «Un vecchio modulo di allunaggio e le tracce non molto eccitanti lasciate da due uomini in una zona piuttosto banale della Luna; pero sono stati i primi esseri umani a metterci piede. Capisci ? Questo conferisce al Mare della Tranquillita una...» «Un’aura sacrale?» propose Aileen Donoghue, entusiasta. «Esatto!» «Ah», commento Miranda. «Bisogna credere in Dio per provare una cosa del genere?» Rebecca Hsu pesco una ciliegia candita dal suo drink, arriccio le labbra e la inghiott con un leggero risucchio. «Anch’io l’ho trovato interessante, pero sacrale mi sembra troppo.» «Perche la tua cultura non contempla un simile concetto», sentenzio Chucky. «Quella della tua gente, intendo. Del tuo popolo. I cinesi non hanno il senso del sacro.» «Grazie per avermelo ricordato. Adesso almeno so perche la Rupes Recta mi e piaciuta di piu.» Il gruppo era riunito al Mama Quilla Club, e cercava di dissimulare la preoccupazione per il mancato rientro del Ganymed ripercorrendo le esperienze vissute durante la giornata appena trascorsa. Nella parte occidentale del Mare della Tranquillita avevano ammirato la struttura di sostegno del modulo di allunaggio della navicella spaziale su cui Armstrong e Aldrin avevano raggiunto il satellite, nel 1969. L’area era considerata una zona di grande interesse culturale, compresi i tre piccoli crateri che portavano il nome dei due pionieri e del terzo astronauta, Collins, che pero era rimasto a bordo. Gia da grande altezza, il museo - come veniva chiamata la regione - aveva evidenziato la banalita della spedizione umana. Il modulo era appoggiato sulla regolite come una zanzara sulla schiena di un elefante, e la famosa impronta dello stivale di Armstrong faceva bella mostra di se, protetta da un cubo di vetro. Un luogo di pellegrinaggio. Senza dubbio esistevano cattedrali ben piu maestose pero, tutto sommato, Heidrun aveva ragione quando sosteneva che fosse la testimonianza del progresso della razza umana. Era la consapevolezza che loro non sarebbero stati l, se quegli uomini allora non avessero affrontato il deserto del vuoto spaziale e compiuto il miracolo dell’allunaggio. Un’impresa che suscitava un timore reverenziale. Piu tardi, quel pomeriggio, di fronte alla parete quasi senza limiti della Rupes Recta, che coi suoi duecento metri d’altezza sembrava avvolgere la Luna intera, avevano sperimentato la sublime suggestione dell’architettura cosmica, senza tuttavia percepire quella strana commozione che avevano provato nel Mare della Tranquillita. In quel momento, quasi tutti avevano capito che non erano pionieri. I pionieri non venivano accolti da comitati di benvenuto. Non trovavano ad attenderli strutture consumate dal tempo, ma soltanto la solitudine e un mondo alieno.
Lynn Orley e Dana Lawrence fecero del loro meglio per tenere viva la conversazione, finche Olympiada Rogaceva non poso il suo bicchiere e disse: «Adesso vorrei parlare con mio marito ». Gli altri ammutolirono, a disagio. La donna aveva appena rotto un tacito accordo. In realta, pero, alcuni approvarono quel gesto di ribellione, soprattutto Chuck, che aveva gia dovuto raccontare tre penose barzellette per sovrastare le rumorose proteste del suo stomaco. «Andiamo, Dana. Cosa sta succedendo? Cosa ci state nascondendo? » «Un guasto dei satelliti non e una cosa grave, Mr Donoghue. » «Chuck.» «Chuck. Un micrometeorite grande come un granello di sabbia, per esempio, puo mettere temporaneamente fuori uso un satellite, e il sistema LPCS...» «Non avete bisogno del sistema LPCS. Armstrong e gli altri non avevano niente del genere.» «Le posso assicurare che ben presto il problema tecnico sara risolto. Ci vuole un po’, ma entro breve potremo comunicare di nuovo con la Terra.» «Pero e strano che gli altri non siano ancora tornati», osservo Aileen. «Per niente.» Lynn si sforzo di sorridere. «Sapete com’e fatto Julian. Ha organizzato un programma mastodontico. Stamattina aveva gia ventilato l’ipotesi che forse sarebbero tornati tardi. A proposito, avete ammirato le scanalature tra il Mare della Tranquillita e il Sinus Medii? Dovreste averle viste, quando avete sorvolato la Rupes Recta.» «S, sembravano strade», commento Rebecca. Il chiacchiericcio riprese. Olympiada fissava il vuoto. Miranda si accorse del suo stato catatonico, smise di leccare lo zucchero dal bordo del suo Strawberry Daiquiri, si avvicino e le poso un braccio abbronzato intorno alle spalle magre e cadenti. «Non preoccuparti, tesoro. Tra poco te lo riportano sano e salvo.» «Mi sento cos meschina», replico Olympiada con un filo di voce. «Perche?» «Cos gretta, cos infelice. Voglio parlare a tutti i costi con qualcuno che detesto solo perche non c’e nessun altro. È una cosa patetica.» «Ma ci siamo noi!» bisbiglio Miranda, stampando un bacio sulla tempia della donna. Solo dopo un attimo sembro rendersi conto di quello che Olympiada aveva appena detto. «Qualcuno che detesti? Non stai parlando di Oleg, vero?» «E di chi altro?» «Oh. Tu lo detesti?»
«Ci detestiamo a vicenda.» Miranda cerco di assimilare il senso di quelle parole. Sul suo volto passo una serie di espressioni adatte alla circostanza: stupore, comprensione, incredulita. Poi inizio a esaminare Olympiada come se la vedesse per la prima volta. L’abito da sera - una catsuit della collezione di Mimi Parker che cambiava colore in base all’umore di chi la indossava - ricadeva floscio sul suo corpo, come se fosse appeso a un attaccapanni; il mascara e il fondotinta cercavano invano di mascherare le tracce di anni di trascuratezza e di sofferenze coniugali. Quella donna avrebbe potuto avere un aspetto decisamente migliore. Un po’ di botulino nelle guance e sulla fronte, un tocco di acido ialuronico per livellare le rughe intorno agli angoli della bocca, piccoli impianti qua e la per rassodare i tessuti connettivi e la sua autostima. En passant, decise che, subito dopo il rientro sulla Terra, avrebbe sostituito le protesi che si era fatta impiantare nei glutei. Se stava seduta troppo a lungo, le davano fastidio. «Perche non lo lasci?» «Perche uno zerbino non lascia la porta di casa?» ribatte Olympiada. Da non crederci. Miranda era allibita. Ovviamente si trovava irresistibile, ma non pensava che fosse necessario avere l’aspetto di una valchiria palestrata per non cadere vittima dei pensieri che stavano tormentando Olympiada. «Secondo me stai commettendo un errore. Un grosso errore di valutazione.» «Ah, s?» «S. Ti senti infelice perche credi che nessuno ti voglia, percio ti lasci trattare male, perche e pur sempre meglio di niente.» «Hmm.» «Ma in realta nessuno ti vuole proprio perche tu ti senti inÈ felice. Capisci? È il contrario. È... casiale, casuale, o come si dice. Insomma quella cosa della causa e dell’effetto, io non ho studiato, ma so che funziona cos. Tu credi che gli altri ti considerino una merda, percio ti senti una merda e ti comporti come tale, col risultato che gli altri ti vedono cos, e il cerchio si chiude, mi sono spiegata? Una specie di... giudizio interiore. Perche tu sei il piu grande... ehm... nemico di te stessa. E in fondo ti piace. Tu vuoi soffrire.» Pero, suonava bene! Neanche fosse stata all’universita. «Tu credi?» chiese Olympiada, guardandola con occhi tristi e lucidi. «Certo!» Le piaceva quella conversazione, si sentiva una vera psicologa. Avrebbe dovuto farlo piu spesso. «E sai perche vuoi soffrire? Perche cerchi conferme. Perche ti senti, come abbiamo detto prima...» Il lessico, Miranda, il lessico. Non puoi dire sempre «merda», cerca un’altra parola... «Uno schifo. Ecco, ti senti uno schifo. Ma essere uno schifo e sempre meglio di niente e, se anche qualcun altro pensa che tu sia uno schifo, capisci, questo non fa che confermare quello che pensi di te.»
«Santo cielo.» «Sentirsi infelici e un rifugio, credimi.» «Non lo so.» «S, invece, sentirsi uno schifo ti fa sentire al sicuro. Come dice la gente quando va in chiesa? Dio, perdonami, sono colpevole, non merito niente, ho peccato ancora prima di nascere, sono una creatura indegna, perdonami e, se non lo fai, va bene lo stesso, avrai sicuramente ragione tu, io sono solo un attaro...» «Un attaro?» «S, un attaro, un acaro, o come cavolo si chiama!» Miranda gesticolava, frenetica, inebriata da se stessa. «Nel cristianesimo e cos, sei sempre e comunque uno stronzo, fin da quando nasci. Tu ti senti nello stesso modo. Pensi che la sofferenza sia un rifugio. Ma non e vero. Soffrire fa schifo.» «Tu non soffri mai?» «Certo, come un cane. Lo sai, sono stata un’alcolizzata, ho ricevuto il premio di peggiore attrice del mondo, sono stata in prigione, davanti al giudice...» Rise, innamorata della propria disastrosa biografia. «Tutte cose piuttosto sgradevoli.» «E tutto questo non ti turba?» «Certo che s. La sfortuna mi turba molto.» «Ma non ti fa sentire una... be’...» «No. Solo una volta, quando bevevo. Altrimenti non saprei di cosa sto parlando. Ma sentirmi cos non fa parte della mia natura. » Per la prima volta, quella sera, Olympiada sorrise timidamente, come se dubitasse del fatto che i suoi muscoli facciali fossero stati creati a quello scopo. «Mi sveli un segreto, Miranda ?» «Quello che vuoi, tesoro.» «Come si fa a diventare come te?» «Non ne ho idea.» Miranda parve riflettere sulla domanda. «Immagino che sia necessario essere... privi di fantasia.» «Privi di fantasia?» «Esatto. Pensa un po’, io non ho un briciolo di fantasia. Non riesco a vedermi attraverso gli occhi degli altri. Certo, mi accorgo quando mi trovano attraente, quando mi spogliano con gli occhi. Ma per il resto riesco a vedermi solo coi miei occhi e, se qualcosa non mi piace, cerco di correggerlo. E, dato che non riesco a immaginare come gli altri mi vorrebbero, non cerco neanche di diventarlo.» Fece una pausa e indico a Funaki il suo bicchiere vuoto. «E adesso smettila di vederti con gli occhi di Oleg, capito? Sei carina, molto carina. Santo cielo, sei un deputato del... cos’era?»
«Del parlamento russo.» «Appunto. E sei ricca e tutto il resto. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, okay, voglio essere sincera, lascia un po’ a desiderare, ma dammi quattro settimane e ti trasformo in una bomba. Non hai bisogno di questo atteggiamento. Soprattutto non hai bisogno di sentire la mancanza di Oleg.» «Hmm.» «Sai una cosa?» Miranda poso una mano sull’avambraccio di Olympiada e abbasso la voce. «Adesso ti svelero un segreto. Gli uomini trattano le donne come delle merde quando si sentono loro stessi cos. Capisci? Cercano d’incrinare la nostra autostima, di rubarcela, perche loro stessi non ce l’hanno. Non permettergli di trattarti cos. Devi issare la tua bandiera, dolcezza. Non sei quello che lui vorrebbe che tu fossi.» Una frase un po’ contorta, ma sembrava funzionare. Stava migliorando a vista d’occhio. «Magari non torna piu», mormoro Olympiada, che sembrava aver scoperto un barlume di speranza in fondo alla disperazione. «Esatto. Che vada a ’fanculo.» Olympiada sospiro. «Okay.» «Michio, tesoro», gracchio Miranda, agitando il bicchiere vuoto. «Uno di questi anche per la mia amica!» Quando Tim entro nella centrale, Sophie Thiel stava rovistando nel tradimento e nell’inganno. Sulla parete multimediale era aperta una dozzina di finestre che riportavano in vita il passato. «Tutto manipolato», dichiaro lei scoraggiata. Lui guardo alcune persone attraversare la hall, entrare nella centrale, eseguire i propri compiti, uscire. Piu in la, i locali erano immersi nella penombra e desolatamente vuoti, illuminati soltanto dal crudo riverbero della luce solare, che rischiarava la gola e la console dei macchinari che tenevano in vita l’albergo. Sophie indico una delle sequenze d’immagini. La telecamera era puntata sulla finestra panoramica, lasciando intravedere la parte opposta della Vallis Alpina con le montagne e la ferrovia magnetica. «La centrale era vuota la notte in cui Hanna ha preso il Lunar Express.» Tim socchiuse le palpebre e si avvicino allo schermo. «No, non riuscira a vederlo. Sua sorella ritiene che il treno non sia mai partito. In realta, qualcuno sta cercando d’ingannarci col trucco piu vecchio del mondo. Vede quell’indicazione che lampeggia sul lato destro del monitor?» «S.» «Quasi nello stesso momento ne compare una qui sotto, poi qui, molto dopo, l’indicazione cambia. Ha visto? Tutte piccolezze. In circostanze normali, nessuno ci farebbe caso. Ma io mi
sono presa la briga di cercare delle corrispondenze. Dia un’occhiata all’ora.» «Le 04.53», lesse Tim. «Esattamente la stessa sequenza si ripete alle cinque e dieci.» «Potrebbe essere una coincidenza?» «Non quando un’analisi piu approfondita rivela un salto quasi impercettibile delle ombre sulla superficie lunare. La sequenza e stata copiata e inserita qui per occultare un evento della durata di circa due minuti.» «L’arrivo del Lunar Express», sussurro Tim. «Esatto, e potrei continuare. Hanna nel corridoio: tagliato, proprio come ha detto suo padre. La centrale, apparentemente vuota. Ma qualcuno ha manomesso i filmati, compresi quelli in cui compariva lui stesso. Un lavoro perfetto. Anche la ripresa della hall, che dovrebbe mostrare Mr X mentre arriva alla centrale, e stata manomessa.» «Ci deve essere voluto un sacco di tempo», commento Tim. «No, se si sa dove mettere le mani.» «Incredibile!» «Frustrante, soprattutto, perche non ci consente di fare passi avanti. Adesso sappiamo con certezza che i video sono stati manomessi, ma non da chi.» A Tim venne un’idea. «Se potessimo ricostruire quando i video sono stati modificati, e poi dare un’occhiata al registro cronologico... Voglio dire, e possibile manipolare anche il registro ?» «Solo con un lavoro molto lungo.» «Ma si puo fare?» «In realta, no. L’intervento verrebbe registrato... Okay, ho capito dove vuole arrivare.» «Se conoscessimo il momento esatto in cui i video sono stati manipolati, potremmo fare un confronto con l’assenza e la presenza degli ospiti e del personale. Dove si trovavano nel momento incriminato? Chi ha visto chi? Il nostro sconosciuto traditore non puo aver modificato tutti i dati del sistema informatico dell’hotel nel tempo che aveva a disposizione. Quindi studiando il registro...» «... possiamo scoprire chi e. Ma, per farlo, ci vuole un programma di autorizzazione.» «Io ne ho uno.» Sophie lo fisso, stupita. «Davvero? Un programma di autorizzazione per questo sistema?» «No, una normalissima, piccola talpa che ho scaricato da Internet lo scorso inverno per vedere i dati di un collega. Col suo consenso, ovviamente», si affretto ad aggiungere Tim. «Il suo sistema scattava una fotografia della schermata del computer ogni sessanta secondi, e io volevo vedere quelle fotografie, ma non avevo l’autorizzazione. Allora ho chiesto aiuto a uno dei miei studenti, che mi ha consigliato Gravedigger, un programma di ricostruzione... be’, di-
ciamo non proprio legale, semplice da ottenere e compatibile con quasi tutti i sistemi. L’ho tenuto. È sul mio computer, e il mio computer...» «... e qui al Gaia Hotel.» «Esatto.» Tim sogghigno. «Nella mia stanza.» «Be’, Mr Orley, se per lei non e un problema...» «Vado.» Solo mentre si dirigeva verso la suite a Tim venne in mente un altro motivo per cui Sophie trovava solo filmati manipolati: perche poteva essere stata lei stessa a manometterli. Mukesh Nair usc dalla piscina a forma di cratere schizzando acqua ovunque. Poco piu in la, Sushma si stava asciugando e chiacchierava con Eva Borelius e Karla Kramp, mentre Heidrun Ögi e Finn O’Keefe facevano a gara a chi resisteva piu tempo sott’acqua, come i bambini. Attraverso la finestra panoramica si vedeva la Terra, familiare come un vecchio amico. Mukesh prese un asciugamano e si strofino i capelli. «Succede anche a voi? Quando guardo la nostra cara Terra, mi sembra cos indifferente.» «Indifferente a cosa?» chiese Karla, scomparendo nel suo accappatoio. «A noi.» L’uomo fece scivolare a terra l’asciugamano e guardo il cielo. «Alle conseguenze delle nostre azioni. La temperatura si e alzata ovunque. Intere regioni un tempo abitate sono finite sott’acqua, altre sono oppresse dalla siccita. Interi popoli stanno migrando, affamati, assetati, senza lavoro, senza patria, ma tutto questo sembra non avere effetto su di lei. Almeno non da questa distanza.» «Da questa distanza, non cambierebbe aspetto nemmeno se ci bombardassimo a vicenda», replico Karla. Lui scosse la testa, ammaliato dallo spettacolo celeste. «I deserti dovrebbero essere diventati piu grandi, o no? Molte linee costiere si sono modificate. Ma, se si e abbastanza lontani, cio non intacca la sua bellezza.» «Se si e abbastanza lontani, sembro ancora bella persino io», sorrise Sushma. «Oh, Sushma!» Nair rise, mostrando una fila di denti perfettamente ricostruiti. «Tu sei e sarai sempre la piu bella per me, da vicino e da lontano. Sei persino piu bella di tutte le mie verdure !» «Accidenti che complimento», esclamo Heidrun rivolta a O’Keefe, con l’acqua in un orecchio e la morbida voce baritonale dell’indiano nell’altro. «Perche tu non mi dici mai cose del genere ?» «Perche io non sono Walo.» «Patetica giustificazione.»
«Paragonarti a un alimento rientra nel suo repertorio.» «È una mia impressione o ultimamente non ti stai piu impegnando come si deve?» «Non mi ricordi nessuna verdura. Mah, forse un asparago.» «Finn, devo proprio dirtelo: cos non arriverai mai da nessuna parte.» Heidrun nuoto verso il bordo della vasca, si tiro su e spruzzo uno schizzo d’acqua in direzione di Nair. «Ehi, voi laggiu, di cosa state parlando?» «Della bellezza della Terra», rispose Sushma. «E un po’ anche di quella delle donne.» «È la stessa cosa. La Terra e femmina», sentenzio Heidrun. Eva Borelius allaccio il suo kimono. «Voi vedete davvero qualcosa di bello, la fuori?» «Ma certo», annu Nair, entusiasta. «Bellezza e semplicita.» «Volete sapere cosa vedo io?» chiese Eva dopo aver riflettuto un attimo. «Un malinteso.» «In che senso?» «Una enorme sproporzione delle aspettative. La Terra non somiglia affatto a come siamo abituati a percepirla.» «È vero», concordo Heidrun. «Gli svizzeri, per esempio, percepiscono la Svizzera come se fosse tanto grande quanto l’Africa. Invece l’Africa, sempre nella mente di uno svizzero, rimpicciolisce fino a diventare un’isoletta umida piena di poveracci, zanzare, serpenti e malattie.» Eva annu. «È esattamente quello che intendo. Vedo un pianeta meraviglioso, ma non un pianeta che condividiamo. Un mondo che, se dovesse rappresentare cio che alcuni hanno e altri no, dovrebbe avere un aspetto ben diverso.» «Brava.» O’Keefe si avvicino, battendo le mani. «Smettila, Finn. Almeno sai di cosa stiamo parlando?» sibilo Heidrun. «Certo», sbadiglio lui. «Del fatto che Eva Borelius ha dovuto andare sulla Luna per scoprire una cosa evidente.» Eva rise e inizio a radunare le proprie cose. «No. Pensa un po’, Finn, ho sempre saputo che aspetto ha il pianeta, ma vederlo cos e comunque diverso. Mi fa ricordare per chi facciamo le nostre ricerche.» «Per quelli che vi pagano. Non te l’ha mai detto nessuno?» «Che la ricerca indipendente sta morendo? S, certo.» «Non e che tu abbia motivo di lamentarti», s’intromise Karla maliziosamente. Eva era presa tra due fuochi. «Ah, davvero. È questo che sto facendo?» L’altra le rivolse uno sguardo innocente. «Volevo solo puntualizzare. » «Certo, la ricerca sulle cellule staminali fa guadagnare, quindi riceve finanziamenti. Isolare e analizzare le cellule adulte per arrivare alla coltivazione in vitro di tessuto artificiale e stata un’operazione costosa. Adesso abbiamo decodificato gli schemi proteici delle nostre cellule,
lavoriamo con successo con Molecular Prothetics, abbiamo a disposizione ricambi per i nervi danneggiati e per l’epidermide ustionata, in caso di necessita creiamo nuove cellule per i muscoli cardiaci, siamo in grado di combattere il cancro... perche anche le persone piu ricche del mondo non vengono risparmiate dall’infarto, dal cancro e dalle ustioni.» Fece una pausa. «Ma loro non prendono la malaria o il colera, che sono riservati ai poveri. Se dovessimo convertire in denaro l’incidenza quantitativa di queste malattie, la maggior parte dei finanziamenti per la ricerca confluirebbe nel Terzo Mondo. Invece la stragrande maggioranza dei brevetti sulla malaria e congelata, anche quelli piu promettenti, perche non sono remunerativi.» Nair continuava a osservare la Terra. Sorrideva ancora, ma aveva uno sguardo piu pensieroso. «Io vengo da un Paese incredibilmente grande e nel contempo da un cosmo molto piccolo. Non ho mai avuto la sensazione che esistesse un unico mondo, anche perche non e possibile guardarlo simultaneamente da ogni prospettiva. Nessuno lo vede nella sua interezza, nessuno vede tutta la verita. Tuttavia, se si percepisce il mondo come una moltitudine di piccoli mondi interconnessi, ciascuno dei quali ha le proprie regole, si puo tentare di migliorarne alcuni. Davanti al compito di migliorare tutto il mondo quasi di sicuro avrei fallito.» «E sei riuscito a migliorare qualcosa?» chiese Karla. «Un paio di piccoli mondi», rispose lui, raggiante. «Almeno spero.» «Hai coperto l’India di centri commerciali climatizzati, collegato a Internet interi villaggi, creato le condizioni per far sopravvivere migliaia di contadini indiani. Ma, nel contempo, hai anche aperto le porte alle multinazionali, permettendo loro di comprare delle quote, non e cos?» «Certo.» «E alcune di loro non hanno affittato terreni e sostituito i contadini con macchinari e lavoratori a giornata piu economici? » Il sorriso di Nair appass. «Ogni buona idea puo essere applicata in modo sbagliato.» «Sto solo cercando di capire.» «È vero, cose del genere accadono. Noi dobbiamo cercare d’impedirlo.» «Vedi, non sono del tutto d’accordo col tuo tentativo di rivestire l’ineguaglianza di un alone romantico. Piccoli mondi autarchici... Hai fatto molte cose buone, Mukesh, ma in fondo non sei altro che la personificazione della globalizzazione. Il che va bene, finche i tuoi deliziosi piccoli mondi non vengono assorbiti dalle multinazionali...» «Non avevamo deciso di andare in camera?» s’intromise Eva. «S, certo. Andiamo. Come al solito, ti senti in imbarazzo se cerco di portare il discorso su cose concrete», intervenne Karla. «Ma dove sono finiti gli altri?» chiese Sushma. «Sarebbero dovuti tornare gia da un pezzo.»
«Quando siamo scesi erano ancora fuori.» «Evidentemente lo sono ancora.» Nair poso una mano sulla spalla di Karla. «Comunque hai ragione. Dovremmo affrontare piu spesso questi argomenti. E non risparmiarci le critiche.» «Volete che vi dica cosa vedo io?» intervenne O’Keefe. Tutti si voltarono verso di lui. «Io vedo alcune tra le persone piu ricche del bistrattato pianeta Terra strette fra la malaria e lo champagne. E, rispondendo perfettamente alle aspettative sproporzionate cui hai accennato prima, Eva, fuggono sulla Luna, dove nell’albergo piu costoso dell’intero Sistema Solare riescono a giungere a significative prese di coscienza. Sapete cosa vi dico? Io mi faccio un’altra vasca. » Dopo aver installato il programma, Sophie aveva chiesto a Tim se sospettasse che fosse lei la traditrice. Lui l’aveva guardata, sbigottito, poi era scoppiato a ridere. «Si vede cos tanto?» «Eccome.» «Be’, io...» «Non sono io. Soddisfatto?» Lui rise di nuovo. «Se bastasse un’affermazione del genere per essere rilasciati, le prigioni potrebbero essere convertite in pollai.» «Lei e insegnante, giusto?» «S.» «Quante volte al giorno sente queste cose?» «Tipo ’non sono stato io’?» Tim scrollo le spalle. «Non saprei. Di solito perdo il conto all’ora di pranzo. D’accordo, non e stata lei. Ha qualche sospetto?» Sophie chino la testa sul pannello di comando. I riccioli biondi nascondevano il suo volto. «Forse.» Tim sospiro. «Sta pensando a mia sorella, vero? Andiamo, non mi offendo. Non e l’unica a sospettare di lei. Dana Lawrence e fissata con Lynn.» «Lo so. Ma non sono affatto convinta che sua sorella sia coinvolta in questa faccenda. Lynn ha costruito questo albergo. Sarebbe davvero una follia. A me l’hanno solo raccontato, pero quando si e rifiutata di far vedere a suo padre il video... Perche avrebbe dovuto farlo? Voglio dire, perche, se non lo aveva manomesso? Al suo posto io glielo avrei sbattuto sotto il naso.» Un’ombra di preoccupazione oscuro il viso di Tim. All’improvviso, lui si era reso conto di ritenere piu credibile l’opinione di Dana che non la sua, e cio lo metteva a disagio.
«A essere sinceri, prima mi sono chiesta... se forse persino lei...» Lui sogghigno «Ah, davvero? No, non sono stato io.» «Altri pollai. Vuole farmi compagnia mentre cerco di ricostruire il registro?» «No, voglio andare a cercare Lynn. Pero mi chiami, se trova qualcosa.» Le sorrise. «Lei e molto coraggiosa, Sophie. Pensa di cavarsela?» «In qualche modo ce la faro.» «Non ha paura?» «Stranamente la cosa che mi preoccupa di meno e la prospettiva di saltare in aria. Troppo irreale. Se accadesse, scompariremmo tutti in un lampo, non avremmo nemmeno il tempo di rendercene conto.» «Anch’io la penso cos.» «E lei? Di cosa ha paura?» «In questo momento? Ho paura per Amber. Molta paura. Per mia moglie, per mio padre...» «Per sua sorella...» «S. Anche per Lynn. A piu tardi.» «Non sei stato affatto carino.» Heidrun rimprovero O’Keefe, mentre galleggiavano soli nell’acqua nera del cratere, una scena a meta strada fra un idillio e un’apocalisse. «Pero sono stato sincero», replico lui, allontanandosi con vigorose bracciate. Heidrun scosto i capelli bagnati dalle orecchie. Sotto la superficie dell’acqua, il suo corpo appariva distorto, ancora piu pallido e ossuto, mentre le piccole onde ne confondevano i contorni. O’Keefe solco la superficie come un motoscafo, sollevando fastidiose onde di notevole ampiezza, che sembravano non perdere mai di forza: erano giochi d’acqua che un nuotatore sulla Terra non sarebbe mai stato in grado di produrre. Un fenomeno caratteristico riservato agli esseri umani che giungevano sulla Luna. Ci si poteva lanciare fuori dall’acqua come delfini e reimmergersi sollevando piccoli tsunami, ignorando allegramente tutte le leggi della gravita. Al momento, pero, l’umore di O’Keefe rispecchiava piuttosto il grigiore del paesaggio esterno. Heidrun si stiracchio, s’immerse, segu la sua scia e poi riemerse accanto a lui. «Cosa c’e? Sei di cattivo umore?» «Non lo so. Non devi tornare di sopra?» «E tu?» «Io non ho appuntamento con nessuno.» Heidrun aveva appuntamento con qualcuno? Con Walo, ovviamente, ma il magnetismo quotidiano del matrimonio poteva ancora essere definito un appuntamento? «Quindi non hai idea di che umore sei.»
«Non so.» Lei penso che forse O’Keefe non riusciva a spiegarsi la sua improvvisa cupezza. Per tutto il giorno era stato di ottimo umore, l’aveva fatta ridere con le sue fulminanti battute sarcastiche, una dote che Heidrun apprezzava moltissimo. Le piacevano gli uomini dotati di un umorismo spontaneo che denotava grande sicurezza. Per lei non c’era niente di piu erotico della risata, ed era una predisposizione che sfortunatamente le aveva creato non pochi problemi, dal momento che la maggior parte degli uomini cercava di sedurla sul piano intellettuale. Il risultato di solito era scoraggiante. Impegnati a guadagnare punti con la loro cultura, i corteggiatori perdevano anche l’ultimo briciolo di virilita ai suoi occhi. Ma c’era di peggio. Per Heidrun, il sesso era divertimento: spesso cadeva preda di un’irrefrenabile ilarita al momento dell’orgasmo e gli uomini coinvolti nell’atto lamentavano un immediato calo del desiderio, convinti di venire derisi. Alla caduta della passione, seguiva sempre lo stesso, immancabile imbarazzo. Ogni volta lei si sentiva in colpa, ma cosa poteva farci? Le piaceva ridere, tutto l. Solo Walo l’aveva capito e, su di lui, la natura di Heidrun non aveva effetti inibitori. La sua spigolosa fisionomia svizzera poteva distendersi in una fragorosa risata senza preavviso e lui viveva il sesso con la stessa spensieratezza della moglie, percio era un’esperienza sempre appagante per entrambi. Limit Ora, di fronte a se, aveva Finn O’Keefe. Oggettivamente, sempre che fosse possibile rendere oggettiva la bellezza, era molto piu attraente di Walo: aveva un fisico perfetto ed era piu giovane di lui di sedici anni. Ma, a parte quello, dava l’impressione di essere una persona malinconica, pigra e scontrosa. La sua sfacciataggine tradiva insicurezza, la sua timidezza indifferenza, ma era un attore e quindi in grado di gestire quei sentimenti con scaltrezza professionale. Da lui promanava quell’aura di mistero che aveva ammaliato milioni di donne emancipate. Apparentemente schivo, coltivava l’immagine di alieno in un mondo di cui era cofondatore e abitante. Faceva il duro, recitava la parte del ribelle sudato, come se Marlon Brando, James Dean e Johnny Depp non avessero gia recitato a sufficienza quel ruolo. Con tutta la buona volonta, non lo si poteva definire un compagnone. Ciononostante, Heidrun intuiva che, dietro quella maschera, si nascondeva una persona disponibile all’eccesso, al divertimento anarchico e selvaggio, se solo avesse avuto la compagnia giusta. Non aveva dubbi sul fatto che fosse possibile giocare con lui e fare sesso ridendo sino allo sfinimento della libido e del diaframma, per ore e ore. «Non li sopporti, i nostri stimati compagni di viaggio, vero?» «Non sopporto me stesso, perche credo che sia un mio problema », rispose lui, strofinandosi gli occhi.
«Come?» «Il fatto di non sciogliermi dalla commozione, quassu. Sembra quasi inevitabile. Tutti si lanciano in osservazioni filosofiche, tutti hanno una frase a effetto a portata di mano. Alcuni si mettono a piangere non appena vedono la Terra. Eva individua l’ingiustizia e Mukesh Nair la meraviglia del miracolo in ogni granello di polvere lunare. L’intera elite sembra impegnata a relativizzare la sua esistenza precedente, solo perche e seduta su un sasso che e abbastanza distante dalla Terra da permettere di vederla nella sua interezza. E a me cosa viene in mente? Solo una vecchia, stupida battuta che risale al Precambriano dell’era spaziale.» «Spara.» «Gli astronauti sono uomini che non devono portare un regalo alla moglie dai loro viaggi di lavoro.» «Davvero stupida.» «Vedi? Gli altri hanno ritrovato se stessi, qui sulla Luna. Io non so nemmeno cosa cercare.» «E allora? Fregatene.» «Te l’ho detto, non sono loro il problema. Sono io.» «Ti lamenti da una posizione privilegiata, mio caro Finn.» Lui la guardo, offeso. «Non e vero, non e autocommiserazione. È solo che mi sento... vuoto, rattrappito. Mi piacerebbe commuovermi, provare una certa soggezione, e tornare sulla Terra per spendere soltanto parole illuminanti, ma non riesco a provare nulla. Non mi viene in mente granche a proposito di questo viaggio, se non che e stato bello. Ma questa e e rimane la stupidissima Luna, accidenti. Non e un livello superiore dell’esistenza, non e uno strumento per comprendere qualcosa di piu elevato. Non mi fa sentire piu spirituale, non mi tocca, e questo e un mio problema. Ci deve pur essere di piu. Mi sento come se fossi morto dentro.» Rimanendo a galla, si erano accostati. E, mentre Heidrun stava cercando la risposta piu adeguata a quello sfogo, all’improvviso si ritrovarono pericolosamente vicini. Le piccole ma profonde rughe di espressione che solcavano il volto dell’uomo testimoniavano una vita all’insegna delle sbornie e della dissolutezza. Lei riconobbe l’incapacita di O’Keefe di mettere d’accordo il suo talento con la banale consapevolezza che, nonostante il talento, lui non era una persona speciale: era un essere umano come gli altri, che sfrecciava lungo l’autostrada della vita, condannato a schiantarsi contro un muro senza essere riuscito neanche lontanamente a comprendere il senso dell’esistenza. Un uomo che aveva avuto tanto eppure era insoddisfatto, e che adesso reagiva alle impressioni del loro viaggio con una sincerita maggiore di quella del resto del gruppo.
Subito dopo le sent. Le sue mani sui fianchi, sul sedere. Sent come esploravano la vita e la schiena, poi le sue labbra fredde sulle sue. Lo cinse con le gambe e lo attiro a se, fino a percepire il membro pulsante schiacciato contro il suo sesso, completamente disorientata dalla schiettezza del suo approccio e ancora di piu dalla propria disponibilita a commettere un adulterio. Sapeva che stava per fare qualcosa di stupido, di cui si sarebbe pentita, ma ogni scrupolo legato alla fedelta coniugale si sciolse come neve al sole nell’ardore del momento. Se gli uomini pensavano col pene, come si diceva, allora la sua ragione e la sua volonta si erano appena trasferite senza ripensamenti nella sua vagina, e anche quello era un pensiero di una tale spaventosa banalita da indurla a scoppiare a ridere. Pure O’Keefe rise. Una reazione fatale. Anche un guizzo irritato delle sopracciglia l’avrebbe salvata, ma lui si mise a ridere e inizio ad accarezzarla in mezzo alle gambe, gettandola nel panico, mentre le sue dita afferrarono freneticamente il costume da bagno dell’uomo e lo tirarono verso il basso, liberando l’animale imprigionato sotto il tessuto. Siamo scimmie acquatiche, penso lei. Siamo scimmie acquatiche. «Io lascerei perdere, se fossi in voi», disse la voce di Nina Hedegaard. «Vi procurera solo frustrazione e un sacco di problemi. » Quindi si tuffo. Si allontanarono come se fossero stati colpiti da un fulmine. O’Keefe recupero il costume da bagno, irritato. Heidrun fin con la testa sott’acqua, riemerse e toss fin quasi a sputare i polmoni. Nina passo loro accanto, mulinando le braccia come un battello a ruota. «Non volevo fare la guastafeste. Ma dovreste davvero pensarci due volte.» Fine dello spettacolo. A Heidrun mancava la predisposizione genetica per arrossire, ma in quel momento avrebbe giurato di essere letteralmente avvampata per l’imbarazzo. Fisso O’Keefe. Con enorme sollievo, constato che nel suo sguardo non c’era disagio; si scorgevano solo dispiacere e la vaga consapevolezza di aver perso un’occasione. Sentiva con chiarezza che la desiderava ancora, e che lei provava lo stesso desiderio, ma nel contempo avvertiva la mancanza di Walo. In piu, avrebbe voluto abbracciare Nina per il suo intervento. «Be’, noi... stavamo proprio per tornare di sopra», disse O’Keefe con un sorriso malizioso. «S, l’ho notato.» Nina li raggiunse con alcune vigorose bracciate. «Terro la bocca chiusa, non temete. Sono affari vostri. Gli altri stanno diventando inquieti. Il gruppo di Julian non e tornato e i satelliti sono ancora fuori uso.» «Julian non ha detto niente?» chiese Heidrun, col cuore che batteva all’impazzata. «Stamattina, voglio dire.»
«S, che avrebbero fatto tardi, perche il programma era troppo denso. Almeno cos dice Lynn.» «Allora sara vero.» «A me sembra strano.» «Di sicuro, Julian ha cercato di mettersi in contatto con qualcuno, magari proprio con te», disse O’Keefe. «S, certo. E tu cosa faresti, Finn, se non riuscissi a parlare con nessuno? Cercheresti di essere puntuale. Se non altro per non far preoccupare nessuno. Inoltre non sono una stupida, c’e dell’altro. Qualcosa che non mi dicono.» «Chi?» «Quel pezzo di ghiaccio di Dana Lawrence. E Lynn. Lo sa il diavolo cosa sta succedendo. A proposito, la cena e stata fissata per le nove.» Heidrun guardo O’Keefe e intu che stava pensando cio che pensava lei, ovvero se non dovessero sfruttare il tempo a disposizione per rifugiarsi nella suite di lui. Ma era un pensiero labile, sottile come un filo di seta. Forse non era neanche un pensiero: non proveniva ne dalla testa ne dal cuore, ma dall’inguine, il cui colpo di Stato era appena fallito. Lui si avvicino e le diede un bacio che aveva qualcosa di consolante e definitivo. «Vieni. Raggiungiamo gli altri.» LONDRA, INGHILTERRA Dopo il colloquio con Palstein, Owen Jericho aveva presentato a Jennifer Shaw il contenuto del suo zaino. «Diane. Il quarto componente del nostro gruppo.» «Diane?» La spigolosita del volto della donna venne alterata dal movimento di un sopracciglio. «S, Diane.» «Capisco. Figlia o moglie?» Da quel momento, Diane era stata costantemente collegata con la rete Internet pubblica e con la rete interna superprotetta della Big O, un sistema del tutto isolato dal mondo esterno, impossibile da forzare. Jennifer lo aveva autorizzato ad accedere ad alcune parti del server aziendale, fornendogli una password che gli permetteva di consultare la storia della multinazionale e il suo organigramma. Comunque, grazie a Diane, poteva anche lavorare su un terreno piu familiare. In assenza di Tu Tian e di Yoyo, che erano via ormai da un’ora e mezzo, Owen si sentiva terribilmente solo e fuori posto. Era come un ricognitore mandato in avanscoperta, ma indegno di fiducia. Gli amici! Che quei due si crogiolassero pure nei loro tormenti. Finalmente lui poteva farsi coccolare dalla voce calda e morbida di Diane, indifferente a ogni problema. Le chiese di fare una ricerca in rete con parole chiave come «Palstein», «attentato», «atto terroristico»,
«attentatore», «tentato omicidio», «Orley», «Cina», «indagini», «indizi», «risultati»... Grazie all’intervento di Palstein, le autorita canadesi avevano mandato un’ingente quantita di materiale, che ora lui stava esaminando insieme con Edda Hoff, uno specialista del reparto di sicurezza IT e un’agente dell’MI6. Se solo Palstein fosse stato disposto a mandare il video che forse mostrava il suo attentatore, avrebbero potuto risparmiarsi tutto quel tedioso lavoro. Diane sputava senza sosta concordanze relative all’attentato di Calgary, ma, per quanto riguardava la decodifica dei pezzi mancanti del frammento di testo, brancolava nel buio. Evidentemente l’oscura rete di comunicazione era stata chiusa. In compenso, erano sommersi da immagini, rapporti, ipotesi e teorie relativi a Calgary, senza che, peraltro, fossero in grado di trarre conclusioni convincenti. Jericho si affaccio nella sala dove Jennifer era impegnata in videoconferenza coi rappresentanti dell’MI6. Lei gli fece cenno di entrare. «Sono felice di vederla. Se ha qualche novita per noi...» «Quando doveva essere inaugurato il Gaia Hotel?» chiese Jericho. «Lo sa. L’anno scorso.» «Quando, esattamente?» «Be’, avevamo pensato alla tarda estate, ma progetti come questi sono talmente pionieristici che e difficile fare previsioni. Avrebbe potuto essere anche in autunno o in inverno.» «E solo per via della crisi lunare...» «No, non solo per quello», intervenne Andrew Norrington, entrando nella stanza. «Ci troviamo nel tempio della trasparenza, Owen. Non abbiamo problemi ad ammettere che ci sono stati ritardi di natura tecnica. L’inaugurazione era prevista per l’agosto del 2024 ma, anche se non ci fosse stata la crisi, non ce l’avremmo fatta prima del 2025.» «Quindi all’epoca non era possibile prevedere la data?» «Perche lo vuole sapere?» chiese uno degli agenti dell’MI6. «Perche continuo a chiedermi se l’obiettivo sia davvero soltanto il Gaia Hotel. Una struttura che di sicuro sarebbe stata ultimata, ma senza sapere quando. Al momento del lancio del satellite, in ogni caso, non era ancora pronta.» «Ha ragione», convenne l’uomo dell’MI6. «Avrebbero potuto rimandare il lancio. Forse avrebbero persino dovuto farlo.» «Perche?» chiese un altro. «Perche le bombe atomiche emettono radiazioni. Un’arma del genere non puo rimanere sulla Luna a tempo indeterminato: potrebbe surriscaldarsi e detonare anzitempo.» «Quindi doveva sicuramente esplodere nel 2024», concluse Jennifer. «Ecco, appunto», disse Jericho. «Era o e destinata soltanto al Gaia Hotel? Quanto esplosivo ci vuole per far saltare in aria un albergo?»
«Molto», rispose Norrington. «Ma non e necessaria una bomba atomica, giusto?» «No, a meno che non si voglia contaminare l’intera area circostante », sugger l’uomo dell’MI6. «Gia. E cos’ha di particolare l’area intorno al Gaia Hotel?» «La Vallis Alpina?» Jennifer riflette. «Niente, a quanto ne so. Ma questo non significa nulla.» «Dove vuole arrivare?» intervenne Norrington. «È molto semplice. Se partiamo dal presupposto che la bomba doveva esplodere nel 2024, a prescindere dall’avanzamento dei lavori al Gaia Hotel, la domanda che ci dobbiamo porre e: perche non e successo?» «Perche c’e stato un imprevisto», ipotizzo Jennifer. Jericho sorrise. «Perche qualcuno ha avuto un imprevisto e non e riuscito a innescarla. Cio significa che dovremmo smettere di chiederci dove e quando esplodera, e concentrarci su questa persona, che forse, anzi molto probabilmente, non si chiama Carl Hanna. Quindi chi doveva andare sulla Luna l’anno scorso per innescare la bomba? Cos’e accaduto?» E, nel contempo, si chiese: A chi sto raccontando tutto questo? Jennifer Shaw aveva insinuato che, all’interno dell’azienda, si nascondesse una talpa, un traditore. Chi era? Edda Hoff, impenetrabile e scostante? Tom Merrick, il nervoso responsabile della sicurezza delle comunicazioni? Poteva essere stato lui ad attivare il blocco che diceva di voler risolvere? Oppure, insieme con Andrew Norrington, le sue ipotesi venivano ascoltate anche da persone che non dovevano conoscerle? E sempre ammettendo che Jennifer non avesse parlato della talpa per distogliere l’attenzione da se stessa... Quanto erano davvero al sicuro nella Big O? GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Ricostruire il registro cronologico era stato facile. Rendendo onore al suo nome, il Gravedigger aveva scandagliato le profondita del sistema e aveva creato un elenco dettagliato. Ma, siccome elencava le attivita di diversi giorni, spulciarlo tutto avrebbe richiesto molto tempo. «Merda», sussurro Sophie. Limitando la ricerca agli orari sospetti, tuttavia, l’operazione si rivelo piu veloce del previsto. In effetti, la traccia del falsificatore dei filmati attraversava il registro cronologico come un modello che si ripeteva: dopo qualunque azione, cancellava subito le proprie tracce. Il video della passeggiata notturna di Hanna era stato manipolato mentre il canadese era fuori del Gaia Hotel in compagnia di Julian, ovvero tra le cinque e un quarto e le cinque e mezzo del mattino. E quella era una prova inconfutabile del fatto che non era stato Hanna a manipolare
il video. Lei dove si trovava in quel momento? A letto. Si era alzata alle sette. Fino ad allora, nella hall e nella centrale erano state attive soltanto le macchine. In una proiezione simultanea, visiono le varie registrazioni relative all’arco di tempo in cui il fantasma aveva portato a termine l’operazione, ma nessuno aveva lasciato la propria stanza, nessuno si era seduto in un angolo nascosto per comandare il sistema da una postazione esterna. Impossibile. Qualcuno doveva essersi aggirato per l’hotel. Che fossero stati manipolati anche quei filmati? Riesamino il registro cronologico, diede istruzioni al computer di analizzare i filmati alla ricerca di tagli inseriti a posteriori. E la conclusione fu proprio quella. Sophie fisso il monitor. La faccenda diventava sempre piu inquietante. Da tutto cio che vedeva - o, meglio, che non vedeva - trasparivano una preoccupante professionalita e una freddezza sconcertante. Se fosse andata avanti cos, alla fine avrebbe dovuto ricontrollare ogni singolo comando, nella speranza che il traditore avesse commesso almeno un piccolo errore. No, non sarebbe arrivata da nessuna parte. Lo sconosciuto aveva sfruttato bene il tempo e le possibilita di cui disponeva; era stato piu bravo di lei. Forse doveva considerare il problema da un’altra angolazione. Partire dall’ultimo evento significativo, cioe il guasto del satellite. Magari il fantasma non aveva avuto tempo di cancellare le tracce. Isolo il passaggio tra la videoconferenza e l’improvvisa interruzione delle comunicazioni e visiono di nuovo l’intera sequenza. La ricostruzione mostro le sue stesse azioni: aveva preso la chiamata, mandato un messaggio a Dana Lawrence e a Lynn al Selene, inoltrato la chiamata a Julian Orley. Poi... Un’ombra si poso su di lei. Sophie trasal, alzo la testa e fece un balzo indietro. «Scusami, pensavo che avessi fame.» «Axel!» La sagoma monolitica di Kokoschka oscuro il desktop. Reggeva un piatto da cui sporgeva l’osso di una cotoletta d’agnello e si propagava un dolce profumo di zucchine. «Accidenti, mi hai spaventato!» ansimo lei. «Mi spiace, io...» «Non fa niente. Be’, non dovevi ribaltare pavimenti e pareti? » «Il cerbero ci ha sollevato dall’incarico», sorrise lui. «Hai fame? Agnello della Frisia orientale.» Rivolse lo sguardo alle pareti, al pavimento, poi oso di nuovo stabilire un contatto visivo. Oh, cielo, no. I tedeschi si attirano a vicenda. Axel aveva una cotta per lei. «Sei molto gentile.»
Il sorriso dell’uomo si allargo. Poso il piatto in un angolo libero accanto a lei, le porse tovagliolo e posate. All’improvviso, Sophie si rese conto che, durante l’ultima ora, la fame si era fatta strada nel suo stomaco e ora la stava letteralmente divorando. Aspiro avida il profumo del cibo. Axel aveva gia tagliato le cotolette per lei. Ne prese una con le dita e succhio la tenera carne dall’osso tornando a girarsi verso il monitor. «Che combini?» chiese lui. «Controllo il registro cronologico del pomeriggio», rispose lei con la bocca piena. «Per scoprire qualcosa sul guasto dei satelliti. » «Credi che ci sia davvero la bomba?» «Non ne ho idea, Axel.» «Strano. In qualche modo non mi convince.» La fronte di Kokoschka s’imperlo di sudore. Anche se cercava di dissimulare il suo stato d’animo, appariva nervoso e respirava affannosamente. «Quindi vuoi scoprire dov’e la bomba?» «No, voglio scoprire chi e il complice di Han...» Lei si giro di scatto. Axel riusc a sostenere il suo sguardo per alcuni secondi, poi i suoi occhi scivolarono sui monitor. Il sudore aumento, un’arteria pulsava sulla tempia. Sophie smise di masticare, si blocco con le guance piene e la bocca aperta. «Okay, di sicuro l’hai capito gia da un po’», disse Axel con voce stanca. Lei deglut. Arretro. «Cosa?» Lui la fisso negli occhi. «Possiamo parlare un attimo?» Dana fece un rapido cenno a Lynn, indicandole le scale che portavano dal Mama Quilla Club al Luna Bar, un piano sotto, e da l al Selene e al Chang’e. Tutti gli occhi erano puntati su Chuck Donoghue che, ridendo, teneva le mani alzate, col palmo rivolto verso l’alto e con le dita distese. «Cosa pensa il papa quando fa cos?» «Non ne ho idea», rispose Olympiada, malinconica. Conoscendo poco le abitudini del pontefice e del clero, Miranda scosse la testa, speranzosa di riuscire comunque a capire la battuta, mentre un’ondata di sdegno fece scomparire ogni benevolenza dai tratti di Aileen. Accanto a lei, Rebecca Hsu troneggiava come un leone su uno sgabello del bar e parlava sottovoce nel suo computer portatile. Walo Ögi si era ritirato nella sua suite per leggere un libro. «Chuck, non raccontare quella stupida barzelletta.» «Andiamo, Aileen...» «Non lo fare!»
«Cosa pensa il papa?» ridacchio Miranda. «Chuck, no!» «È semplice.» Donoghue abbasso nove dita, lasciando alzato solo il medio della mano destra. «Questo, ma in dieci lingue!» Miranda si mise a ridacchiare, Rebecca rise di cuore, Olympiada storse la bocca. Aileen guardava gli altri implorando perdono, con la smorfia della sconfitta dipinta sul volto. Lynn non registrava nulla di tutto cio in modo normale. Cio che vedeva e udiva aveva su di lei l’effetto di una sequenza di lampi stroboscopici. Nel suo impietoso falsetto, Aileen rimprovero Donoghue, facendogli presente con disprezzo che avevano concordato di evitare le barzellette sulla Chiesa. In sottofondo, risuonavano le risate ritmiche di Miranda, che non aveva capito la battuta. Un vero martirio. «Dobbiamo partire dal presupposto che, nell’Aristarchus Plateau, sia successo qualcosa di brutto», dichiaro Dana Lawrence. Lynn si tormentava le mani. «D’accordo, mandiamo Nina a cercarli con l’altro shuttle.» «Va bene», concordo Dana. «E dobbiamo evacuare l’hotel.» «Un momento. Avevamo deciso di aspettare.» «Aspettare cosa?» «Julian.» Dana getto una fugace occhiata al gruppo di ospiti. Miranda stava dicendo: «Forte, e perche in dieci lingue?» mentre Chuck lanciava occhiate sospettose nella loro direzione. «Mi ascolta quando parlo?» sibilo lei. «Le ho detto che il gruppo di Julian potrebbe essere nei guai. Non sappiamo nemmeno se riusciranno a tornare qui, e siamo sotto la minaccia di una bomba. Abbiamo degli ospiti da proteggere. Dobbiamo assolutamente evacuare l’albergo.» «Ma abbiamo fissato la cena per le nove.» «Stupidaggini.» «No.» «Ne ho abbastanza, Lynn. Faro radunare tutti alle otto e mezzo al Mama Quilla Club, e parleremo chiaro. Poi predisporremo un annuncio radio per Julian. Nina andra a cercarli, noi invece prenderemo il Lunar Express per raggiungere la...» «Stupidaggini. Sta dicendo un mucchio di stupidaggini!» «Io dico stupidaggini?» Donoghue si alzo e si sistemo i pantaloni. «Ero convinto che lo sapessi», affermo Axel Kokoschka, imbarazzato.
Sophie scosse la testa, impietrita dal terrore. «Hmm.» Lui si deterse il sudore dalla fronte. «Non e cos importante. Immagino di aver scelto il momento sbagliato.» «Per cosa?» «Io ti... In qualche modo mi sono... Ah, lascia perdere. Volevo solo dirti che tu mi... be’...» Sophie quasi svenne dal sollievo. Avvicino la mano al piatto, ma il suo stomaco non si era ancora reso conto che Axel voleva solo farle una dichiarazione d’amore e quindi si rifiutava di assumere altro cibo. «Anche tu mi piaci», disse lei, sperando che, dal tono, fosse chiaro che lui le piaceva come essere umano e che ogni speranza era fuori luogo. Kokoschka strofino le dita sull’immacolata divisa da cuoco. «Sono proprio curioso di vedere se trovi qualcosa.» «Anch’io, fidati.» Stava cambiando argomento, grazie a Dio. Studio le finestre sul monitor, il registro cronologico, il flusso di dati. «Una faccenda piuttosto enigmatica. Noi...» Guardo meglio. «E questo cos’e?» Kokoschka si avvicino. «Cosa?» Sophie fermo il programma di ricostruzione. C’era qualcosa di strano che non riusciva a classificare. Una specie di menu. Semplice, chiaro, collegato a un’infinita serie di dati, a sequenze di comandi inviati dal Gaia Hotel pochi secondi prima che la comunicazione s’interrompesse. Aveva una certa dimestichezza coi linguaggi di programmazione. Sapeva leggerne diversi, ma quella criptica sequenza non avrebbe avuto senso per lei se alcuni codici non le fossero apparsi in qualche modo familiari. Codici per i satelliti. La comunicazione era stata bloccata dal Gaia Hotel. Poteva vedere quando e da dov’era partito il comando. E in un attimo cap chi lo aveva fatto. «Oh, merda...» Paura, una terribile paura invase ogni cellula del suo corpo. Inizio a tremare. Kokoschka si chino verso di lei. «Cosa c’e?» Ogni segno di timidezza era scomparso. Ora il viso spigoloso del tedesco mostrava solo una sincera preoccupazione. Incapace di continuare a usare il computer, Sophie fece un mezzo giro sulla sedia, apr un cassetto e cerco un foglio e una penna. Scarabocchio poche parole sul foglio, lo piego e lo mise in mano allo chef. «Portalo a Tim Orley. Subito.» «Cos’e?» Lei esito. Doveva rivelargli cio che aveva scoperto? Perche no? Pero, nella sua ingenuita, Axel Kokoschka era imprevedibile nonche forte come un toro: sarebbe stato capace di scagliarsi contro quella persona e prenderla a pugni. Un errore fatale. «Portalo a Tim e basta.
Ovunque si trovi. E digli di venire qui subito. Per favore, Axel, fai presto. Non perdere tempo.» Kokoschka si rigiro il foglio tra le dita e lo fisso per qualche secondo. Poi annu, si volto e scomparve senza dire una parola. «Non possiamo evacuare l’albergo», insistette Lynn in tono febbrile. «Non possiamo giocarci la fiducia dei nostri ospiti.» «Con tutto il rispetto: e impazzita?» sussurro Dana. «L’edificio potrebbe saltare in aria da un momento all’altro e lei si preoccupa della fiducia dei suoi ospiti?» Livida, Lynn la fisso e scosse la testa. Chuck Donoghue si avvicino con passo deciso e disse: «Basta con questi giochetti. Esigo di sapere subito cosa sta succedendo ». «Niente», rispose Dana. «Stavamo discutendo se mandare Nina Hedegaard all’Aristarchus Plateau col Kallisto, in caso fosse davvero...» «Ascoltami bene, ragazzina, saro anche vecchio, ma non stupido. » Donoghue si accosto a Dana per fissarla dritto negli occhi. «Quindi non mi sottovalutare, okay? Dirigo i migliori alberghi del mondo, ne ho costruiti piu di quanti tu ne potrai mai visitare, quindi smettila di prendermi per il culo.» «Nessuno vuole prenderla in giro, stiamo solo...» «Lynn.» Lui allargo le braccia con un atteggiamento conciliante. «Per favore, dille di smetterla. Conosco quell’espressione, quel suo confabulare sottovoce. Percio ditemi cosa sta succedendo!» Lynn sapeva che quello non era il solito Chuck. Si era trasformato in un ariete, e cercava di penetrare nel suo intimo, di travolgerla, di metterla alle strette. Ma lei non glielo avrebbe permesso, non avrebbe permesso a nessuno di farlo, avrebbe resistito... Julian. Dov’era Julian? Lontano. Come sempre. Come lo era sempre stato, durante tutta la sua vita. Quand’era nata. Quando aveva avuto bisogno di lui. Quando Crystal era morta. Quando, quando, quando. Julian? Lontano. Tutta la responsabilita pesava sulle sue spalle. «Lynn?» Non perdere il controllo. Non adesso. Procrastinare il collasso abbastanza a lungo per poter agire. Fermare Dana, che era il suo nemico. E tutti gli altri che erano al corrente. Adesso erano tutti nemici. Era sola. Poteva contare soltanto su se stessa. «Vi prego di scusarmi.» Doveva agire, subito. Essere operosa come un’ape. E, come uno sciame di api, si precipito lungo le scale verso l’ascensore. Donoghue era esterrefatto. «Cosa le e preso?» «Non ne ho idea», disse Dana. «Non volevo mica offenderla», balbetto lui. «Non era mia intenzione. Volevo solo...»
«Mi faccia un piacere, d’accordo? Torni dagli altri.» Donoghue si gratto il mento. «La prego, Chuck», insistette lei. «È tutto a posto. La terro informata, glielo prometto.» Poi si volto e segu Lynn. Non che Axel Kokoschka si considerasse davvero sovrappeso. Non troppo, almeno. D’altra parte, la sua arte consisteva nel combinare un’autentica cucina da gourmet con le esigenze di una societa ossessionata dal fitness e dalle calorie da bruciare. Da quel punto di vista, lui era sovrappeso. Fermamente deciso a ridurre i chili che pesava sulla Luna da quindici a quattordici, non usava quasi mai gli ascensori. Anche in quel momento, saltava da ponte a ponte, costringendo il suo corpo tarchiato a conquistarsi un piano alla volta. Alla fine, imbocco le scale che conducevano al collo di Gaia. L’area compresa tra le spalle e la testa era un mezzanino in cui si fermavano gli ascensori destinati agli ospiti; solo il montacarichi e l’ascensore del personale salivano fino alla cucina. Nella posizione in cui il corpo umano aveva i muscoli del collo, erano state predisposte scale esterne che collegavano le suite sottostanti coi ristoranti e coi bar situati nella testa. Inoltre una parte del collo era riservata alla scorta di ossigeno liquido. I serbatoi erano stipati dietro le pareti ed erano piuttosto ingombranti, cosicche solo la gola di Gaia era provvista di una parete di vetro. Diverse bombole di ossigeno erano appese ai sostegni sul muro. Kokoschka respirava a fatica. Anche senza interpellare la bilancia, sapeva che nei giorni appena trascorsi era ulteriormente ingrassato. Non c’era da meravigliarsi se Sophie lo teneva a distanza. Doveva andare in palestra piu spesso, sfiancarsi sul tapis roulant, altrimenti i suoi contatti carnali rischiavano di limitarsi all’incontro con filetti, cotolette e carne macinata. Il Chang’e era vuoto, come il Selene. Pure il Luna Bar era deserto. A giudicare dal chiacchiericcio, il gruppo era riunito al piano alto. Sebbene fossero minacciati, stranamente Axel non aveva paura. Non riusciva a immaginare una bomba atomica ne un’esplosione nucleare. In fondo, non avevano trovato niente durante le perquisizioni: un affare del genere non avrebbe dovuto emettere delle radiazioni? Era molto piu preoccupato per Sophie. Qualcosa l’aveva spaventata. All’improvviso era sembrata sconvolta... e poi gli aveva messo in mano quel foglietto scarabocchiato per Tim. Ma Tim Orley non c’era. Vide soltanto i Donoghue, Rebecca Hsu, Miranda Winter e la triste moglie del russo. Sedevano davanti a un drink e sembravano assorti nei loro pensieri. Funaki lo informo che Tim era stato l poco prima per chiedere di Lynn, la quale a sua volta era appena andata via. «Ma io non le ho fatto niente», brontolo Donoghue. «Davvero. » Aileen lancio un’occhiata enigmatica al gruppo. «Insomma, sembrava piuttosto esaurita, non trovate anche voi?»
«Lynn e okay.» «Be’, io me ne sono accorta. Voi no? Gia quand’eravamo sulla stazione spaziale.» «Lynn e okay», ripete Donoghue. «Quell’altra, la direttrice dell’hotel, invece non mi piace.» «Perche no? Fa il suo lavoro», intervenne Rebecca. «Ci nasconde qualcosa.» «Be’, allora...» Kokoschka lascio intendere che voleva andarsene. «Allora...» Donoghue batte la mano aperta sul tavolo. «Me lo dice la mia esperienza. E anche la mia prostata. Dove non arriva l’esperienza, arriva la prostata. Quella donna ci prende per il culo. Non mi stupirei affatto se scoprissimo che ci sta fregando.» «Allora io devo...» «E lei, giovanotto, con cosa ci stupira stasera?» chiese Aileen in tono mieloso. Kokoschka si passo la mano sulla pelata. Era incredibile come pochi millimetri di cuoio capelluto potessero produrre una tale quantita di sudore, strato dopo strato, come se stesse sudando tutto il cervello. «Ossobuco e risotto alla milanese.» «Fantastico!» si entusiasmo Miranda. «Adoro il risotto!» «Lei lo sa che bisogna mescolare in continuazione? Non bisogna mai smettere di mescolare», gli comunico Aileen. «Lui e uno chef, cara», disse Donoghue. «Ma certo, lo so. Posso chiederle dove ha imparato il mestiere? » «Be’...» Kokoschka cercava un modo per liberarsi dalla ragnatela degli ospiti. «Sylt... per esempio.» «Ah, Sylt. Aspetti, e quella... un attimo, non dica niente. Quella... quella citta nel Nord della Norvegia, giusto?» «No.» «No?» «No.» Doveva andarsene, cercare Tim. «È un’isola.» «E con chi ha studiato, Alex?» Aileen gli fece l’occhiolino. «Posso chiamarla Alex, vero?» «Axel. Con Johannes King. Mi scusi, adesso devo proprio...» «King? Ha ricevuto una stella?» «Tre stelle. La terza non la voleva, ma era troppo bravo. Lo avete conosciuto sull’OSS. Adesso dovrei...» «Usa il concentrato di manzo per il risotto?» Kokoschka si guardava intorno con aria nervosa: un topo in trappola. «Avanti, non si faccia pregare. Ci sveli questo segreto», sorrise Aileen. «Si sieda, Alex, Axel, si sieda.»
Piu Sophie si addentrava nel registro cronologico, piu la faccenda la spaventava. Con raffinati collegamenti trasversali si accedeva a elenchi di comandi rapidi non ufficiali, alcuni criptici, altri concepiti per prendere il controllo dei sistemi di comunicazione dell’albergo. Adesso anche il collegamento laser tra il Gaia Hotel e la base lunare era bloccato o, meglio, il segnale era deviato su un cellulare. Ormai lei aveva imparato a decifrare l’enigmatico menu. Non era stato attaccato il sistema LPCS, ma era stato inviato un impulso sulla Terra: se i suoi occhi non la stavano ingannando, quell’impulso aveva attivato un blocco che non coinvolgeva solo i satelliti lunari. Un lavoro straordinario: la Luna era completamente isolata. E, all’improvviso, Sophie inizio a sospettare che tutte quelle manovre non avessero come unico obiettivo la distruzione dell’hotel. Chi erano quelle persone? Tim... Sperava proprio che lui la raggiungesse al piu presto. Axel non l’aveva trovato? Lei non era in grado di disattivare il blocco, anche perche ancora non sapeva con esattezza cosa l’avesse scatenato. In compenso, poteva ripristinare il collegamento laser con la base Peary. Si sarebbe messa in contatto con gli astronauti di stanza laggiu e avrebbe chiesto aiuto, anche se in quel modo avrebbe rischiato la vita, visto che la comunicazione sarebbe stata di sicuro intercettata. In caso, si sarebbe nascosta da qualche parte. Nascondersi. Che idiozia. Un pensiero infantile. Dove pensava di nascondersi quando fosse esplosa la bomba? Doveva andarsene da l. Tutti dovevano andarsene. Le dita scivolavano veloci sul touchscreen. Pochi secondi dopo, Sophie ud dei passi e la familiare ombra si poso su di lei. Nel frattempo le cotolette d’agnello si stavano raffreddando. «Lo hai trovato?» chiese lei senza alzare lo sguardo, intenta a correggere un comando. Doveva modificare ancora quella sequenza. Ma forse non era Axel, bens Tim. Nessuno rispose. Sophie alzo la testa. Nel momento in cui balzo in piedi e arretro, inciampando nella sedia e ribaltandola, si rese conto di aver commesso un errore fatale. Avrebbe dovuto restare impassibile. Far finta di niente. Invece i suoi occhi si spalancarono per l’orrore, rivelando tutto quello che aveva scoperto. «È lei...» sussurro Sophie. Di nuovo nessuna reazione. Almeno non a parole. Quando entro nella suite in accappatoio, Heidrun si sentiva un po’ stordita. Diversamente dal solito, e soprattutto diversamente da Finn O’Keefe, aveva rinunciato a usare i ponti e aveva chiamato l’ascensore. Incredula per essersi arresa all’attacco biochimico di una parte
del cervello che Walo non aveva mai trascurato, si era subito allontanata dalla piscina delle tentazioni, con la paura di fare un movimento sbagliato, annusandosi con cautela le dita per verificare che non emanassero l’odore di un’eccitazione proibita. Era come se tutto il suo corpo la volesse tradire. L’aria nell’ascensore era sembrata pregna d’indizi, satura di odori vaginali e del tanfo di ozono di uno sperma estraneo, anche se non era successo niente. Quasi niente. Il cuore batteva all’impazzata. Walo... Stava leggendo e lei gli diede un bacio: il familiare e ruvido bacio sui baffi. Lui sorrise. «Ti sei divertita?» «Molto», rispose lei prima di fuggire in bagno. «E tu? Non vai al bar?» «Ci sono stato, tesoro. Ma non ne potevo piu. Le barzellette di Chuck stanno entrando in conflitto con la formazione cristiana di Aileen. Prima ci ha chiesto cos’hanno in comune un cane sano e un ginecologo miope.» «Fammi indovinare: un naso bagnato?» «Ecco perche ho pensato che sarebbe stato meglio tornare in camera a leggere.» Heidrun si guardo allo specchio, esamino il suo volto color avorio e gli occhi viola, proprio come prima aveva osservato il viso di O’Keefe sotto la luce impietosa della consapevolezza che gli esseri umani invecchiano ineluttabilmente. La pelle, un tempo soda e tesa, stava iniziando a cedere. Lei aveva superato da poco i quarant’anni e stava vivendo un periodo che la maggior parte delle donne sosteneva di non attraversare: una profonda crisi di mezza eta. Se si decide d’invecchiare insieme con l’uomo che si ama, non si dovrebbe avere bisogno di qualcun altro per sentirsi piu giovani. E lei amava Walo, lo amava davvero tanto. Torno in soggiorno nuda, si sdraio davanti a lui sul tappeto, incrocio le braccia dietro la testa, allungo un piede e diede una lieve spinta al ginocchio sinistro del marito. «Cosa stai leggendo? » Lui abbasso il libro e osservo sorridendo il suo corpo esile. «Non lo so. L’ho appena dimenticato.» Tim premette il campanello per l’ennesima volta. «Lynn? Per favore, fammi entrare. Dobbiamo parlare.» Nessuna reazione. Al Mama Quilla Club non si erano incrociati per un pelo, percio aveva supposto che lei fosse tornata nella sua suite. Ma forse non era l. Piu di qualsiasi bomba, lo spaventava la possibilita che lei perdesse davvero la testa, sempre che non l’avesse gia persa. Anche sua madre, al di la della depressione, si era progressivamente staccata dalla realta.
«Lynn, se ci sei, aprimi! Per favore.» Dopo un po’ si arrese e salto da un ponte all’altro per scendere nella hall. Si chiese come se la stesse cavando Sophie. Il Gravedigger era riuscito a ricostruire il registro cronologico? Intanto la sua mente era affollata da mille pensieri: Amber, Julian, la bomba, Lynn, Hanna, i complici, il guasto dei satelliti, la bomba, Amber, Lynn... Preoccupazioni che si rincorrevano in circolo, un vero manicomio. La centrale era vuota. «Sophie?» Perplesso, Tim si guardo intorno. Una porta scorrevole dava accesso a un ripostiglio ma, quando lui poso il dito sul sensore, scopr che era chiusa a chiave. Poi scorse Dana Lawrence attraversare in fretta la hall. La donna entro e si guardo intorno, preoccupata: «Ha visto Sophie Thiel?» «No.» Il volto di Dana si oscuro. «Siamo impazziti? Dovrebbe essere qui. La centrale deve essere sempre presidiata. Non e che per caso ha incontrato Axel?» «No. Certo che e strano. Sophie stava lavorando a una cosa molto interessante.» «Ovvero?» Tim rifer a Dana del programma di autorizzazione e di cosa sperassero di trovare. La direttrice non batte ciglio e studio i monitor. «Lasci perdere», disse Tim. «Non c’e niente.» «No, non sembra arrivata molto lontano. Ha installato il programma? » «Ero qui quando l’ha fatto.» Dana si avvicino al touchscreen, seleziono i codici di chiamata di Ashwini Anand, Axel Kokoschka, Michio Funaki e Sophie Thiel e li visualizzo tutti sullo stesso canale. Solo Ashwini e Michio risposero. «Qualcuno mi sa dire dove sono Sophie Thiel e Kokoschka?» «Non qui», assicuro Michio. In sottofondo rimbombava la voce baritonale di Chuck Donoghue. «Neanche qui», disse Ashwini. «Sophie non e alla centrale? » «No. Per favore, se li incontrate, dite loro di contattarmi immediatamente. Vi anticipo che evacueremo l’hotel.» «Come?» esclamo Tim. Lei gli fece cenno di abbassare la voce. «Tra cinque minuti chiedero agli ospiti di riunirsi nel Mama Quilla Club alle otto e mezzo. Fatevi trovare l anche voi. Spiegheremo la situazione senza tanti giri di parole e poi lasceremo l’albergo.» «E il Ganymed?» volle sapere Ashwini. «Non lo so.» Lancio una fugace occhiata a Tim. «Predisporremo un segnale radio che il Ganymed captera non appena sara in contatto visivo col Gaia. Li informeremo di non atter-
rare e di proseguire verso la base Peary. Mi raccomando: prima delle otto e mezzo, neanche una parola con gli ospiti.» «Ricevuto», replico Ashwini. «Certo», ribad Michio. «Il comportamento di Axel non mi stupisce», commento Dana, dopo aver chiuso il collegamento. «Non e mai raggiungibile, dimentica sempre il cellulare. È uno chef eccezionale, ma per il resto e un idiota senza speranza. Se, entro le otto e mezzo, lui e Sophie non si fanno vedere, li chiamo con gli altoparlanti.» «Vuole davvero evacuare l’albergo?» chiese Tim. «Lei cosa farebbe al mio posto?» «Non lo so.» «Vede? Io s. Non prendiamoci in giro: suo padre doveva tornare un’ora e mezzo fa e, anche se non abbiamo trovato nessuna bomba, non significa che non stia ticchettando da qualche parte. Le bombe atomiche ticchettano, secondo lei?» domando posando un dito sulle labbra. «Non ne ho idea.» «Non importa. Mandiamo Nina Hedegaard all’Aristarchus Plateau e prendiamo il Lunar Express per raggiungere la base Peary.» «Fine della vacanza», sentenzio Tim, rendendosi conto che il suo labbro inferiore aveva iniziato a tremare. Amber. Lotto contro l’impulso di piangere e fisso con insistenza le proprie scarpe. Dana accenno un sorriso. «Vedra, troveremo il Ganymed. Su con la vita, Tim.» «Ma certo.» «Ho bisogno che lei rimanga lucido. Torni al bar e racconti qualche barzelletta per rallegrare l’atmosfera.» «Le barzellette sono la specialita di Chuck.» «Ma quelle che racconta lei sono di sicuro migliori.» «Mr Orley? Tim?» L’area fitness era molto grande. Addirittura immensa, se si cercava una persona specifica, come stava facendo Kokoschka in quel momento. Dopo essere riuscito a liberarsi della soffocante curiosita di Aileen, aveva dovuto sorbirsi i paternalistici consigli di Chuck Donoghue, che gli aveva suggerito di cercare il figlio di Julian nel posto in cui andavano tutti gli uomini che desideravano allungare la propria aspettativa di vita e rinforzare gli addominali. Ma la palestra era deserta e pure sui campi da tennis non c’era nessuno. Tim non era nella sauna ne sul tapis roulant, e non stava strapazzando i muscoli con gli attrezzi. Sembrava che volesse sfuggirgli a ogni costo.
Un barlume di speranza si accese quando Kokoschka ud dei rumori provenire dalla piscina, ma nel cratere nuotava solo Nina Hedegaard. No, non aveva visto Tim, e voleva sapere cosa stava succedendo, dov’era finito il Ganymed e se i satelliti erano ancora guasti. Kokoschka dedusse che la donna era all’oscuro della faccenda della bomba, forse perche, nella concitazione, nessuno aveva pensato d’informarla. Valuto l’idea di spiegarle tutto, ma quello sceriffo di Dana Lawrence doveva avere le sue buone ragioni per tenere segreta la notizia. Lui era solo lo chef, in fondo. Borbotto un ringraziamento e decise di raggiungere Sophie per aggiornarla. Tim aveva appena messo piede nel locale situato nella fronte di Gaia, quando nell’aria risuono un annuncio: «Signore e signori, come avrete gia notato, la nostra tabella di marcia si e un po’ modificata, anche perche il Ganymed e in ritardo e purtroppo abbiamo problemi con la comunicazione satellitare». La voce di Dana Lawrence suonava impersonale e fredda. «Non c’e motivo di allarmarsi, ma tutti gli ospiti e i collaboratori del Gaia Hotel sono pregati di farsi trovare alle venti e trenta al Mama Quilla Club, dove saranno aggiornati sulla situazione. Vi prego di essere puntuali.» «È fra dieci minuti», disse Rebecca con la voce impastata. «Non mi piace», mormoro Donoghue. «Perche? Ha detto che non c’e motivo di allarmarsi», affermo Miranda, svuotando una ciotola di stuzzichini al formaggio. «Certo, perche ci pensera lei a farlo.» Donoghue si agito sulla poltrona, serrando i pugni e tamburellando sul sedile. «Ve l’ho detto, quella ci prende per il culo!» «Adesso, se non altro, ci diranno qualcosa», cerco di calmarlo Aileen. «No, Chuck ha ragione», intervenne Olympiada, scoraggiata. «L’indizio piu sicuro di una catastrofe incombente e il tentativo dei responsabili di negarla.» «Cazzate», sentenzio Miranda. «Invece no, dobbiamo aspettarci il peggio», insistette Donoghue. Miranda saccheggio un’altra ciotola di salatini. «Siete tutti cos negativi. Pessimo karma.» «Vedrai che ho ragione.» «Sciocchezze.» «Anche in parlamento e cos», spiego Olympiada al suo bicchiere mezzo vuoto. «Per esempio, se diciamo che non aumenteremo le tasse, in realta le vogliamo aumentare. E se...» «Ma qui non siamo in parlamento», ribatte Tim in tono piu tagliente di quanto non volesse. «Finora i dipendenti dell’hotel sono stati altamente professionali, non crede?» Lei lo guardo. «Mio marito e fuori col Ganymed.»
«Anche mia moglie.» «Be’, voi aspettate qui, se volete.» Chuck Donoghue balzo in piedi e si diresse verso le scale. «Io scendo a vedere cosa succede.» «Dov’e Sophie?» Dana lo squadro, irritata. «Che ne dice di rendersi raggiungibile ogni tanto?» Kokoschka si asciugo le mani sulla giacca e lascio vagare lo sguardo nella centrale. «Mi scusi. Ho sentito che ci dobbiamo incontrare al Mama Quilla...» «Dovrebbe abituarsi a portare con se il cellulare. E comunque lo chiedo io a lei: dov’e Sophie Thiel?» Lo chef si gratto l’orecchio. «Pensavo fosse qui. Dovrei iniziare a preparare la cena... Inoltre dovrei anche...» Il foglietto sembrava bruciare nella tasca della sua divisa. «Per caso, sa dov’e Tim Orley?» «Cos’e, un quiz? Giochiamo a nascondino?» «Era solo una domanda.» «Tim Orley dovrebbe essere al bar. È salito pochi minuti fa.» «Bene, allora...» Kokoschka fece un passo indietro. «Fermo l», intimo Dana, severa. «Mi spieghi bene dove avete cercato oggi pomeriggio. Avete controllato anche la sauna?» «S, certo.» All’improvviso, Kokoschka era molto preoccupato per Sophie. Cosa stava succedendo? «Si calmi. Tra pochi minuti saliremo al bar insieme.» Il bar si stava popolando. Dalle scale spuntarono Eva Borelius e Karla Kramp, seguite dai Nair e da O’Keefe. Bloccarono la strada a Donoghue, che scendeva con un’andatura da cavaliere dell’Apocalisse. «Sapete qualcosa?» Eva scrollo le spalle. «Non piu di te, immagino.» «Speriamo che non sia niente di grave», disse Sushma. «È successo qualcosa, ci puoi scommettere», brontolo Donoghue. «Tu credi?» «Amici, e inutile fare ipotesi», sorrise Mukesh Nair. «Tra pochi minuti ne sapremo di piu.» «Tra pochi minuti ci propineranno una favoletta della buonanotte », replico Donoghue. «Gliel’ho letto in faccia, a Lynn e a quella donna. Ma nessuno riesce a fregare Chucky.» «Perche pensi che ti vogliano fregare?» chiese O’Keefe. «Me lo dice l’esperienza. E la mia prostata!» «Non te la sei mai fatta controllare?»
«Senti, giovanotto...» «Perche ti agiti tanto? Non ci nascondono niente.» «Ah, no? E tu come lo sai?» O’Keefe sogghigno. «Me lo dice la mia prostata. No, sul serio. Chucky, se volessero nasconderci qualcosa, non ci avrebbero riuniti tutti.» «Ma io non mi accontento della versione ufficiale», esclamo l’altro, battendosi il pugno sul petto. «Io voglio sapere la verita, capisci? E, finche non me la diranno, non faro salire quella stronza della direttrice di sopra, siete avvisati!» Quindi avanzo. Karla lo segu con lo sguardo. «Per essere un albergatore, interpreta il ruolo dell’ospite rompiscatole alla perfezione.» «Dobbiamo andare su», dichiaro Heidrun. Era sdraiata in parte sul marito, in parte accanto a lui, col suo braccio peloso sotto la schiena. Come se si fosse infettata col virus dell’infedelta, lo aveva spinto a fare l’amore per ottenere l’antidoto alla propria lussuria. Nel preciso istante in cui risuonava la voce di Dana Lawrence, lei aveva vissuto un’esorbitante esplosione neuronale, quasi fosse stata scatenata dal timbro monotono della direttrice. Heidrun era cos irritata con Dana che aveva preferito ignorare l’annuncio. «Che ore sono?» chiese Walo. Di malavoglia, lei si rotolo sulla schiena e lancio un’occhiata all’indicatore digitale sopra la porta. «Mancano quattro minuti alle otto e mezzo. Potremmo ancora essere puntuali.» «Sei impazzita?» «È quello che tutti si aspettano dalla Svizzera.» «Sarebbe ora di confutare simili pregiudizi, non credi?» Prese tra le dita una ciocca di capelli della moglie. Cheratina non pigmentata, ma per lui era luce lunare bianca che scorreva tra le sue mani. «D’accordo, forse hai ragione, non dovremmo prendercela troppo comoda. Hanno gia abbastanza preoccupazioni. » «Per via del Ganymed?» «Non lo so. Ma annunci come questi non sono molto tranquillizzanti. » «La chiacchierona ha detto che non ci dobbiamo allarmare.» «Be’, allora stiamo eseguendo gli ordini, non credi? Forza, mein Schatz, rendiamoci presentabili.» Dana stava salendo al bar con al fianco un ammutolito e sudato Kokoschka. L’ascensore si fermo all’altezza del quindicesimo piano. Lynn vi sal. Sembrava abbattuta, invecchiata. Un bizzarro sorriso assente e vagamente malvagio completava il quadro. «Che significa?» chiese a Dana senza guardarla, e ignorando Axel.
«Cosa?» «Perche quell’annuncio?» Le porte dell’ascensore si chiusero. «Evacuiamo l’albergo», annuncio Dana. «Dov’e stata, Lynn? Ha visto Sophie Thiel?» «Sophie Thiel?» Lei la fisso come se sentisse quel nome per la prima volta, ma lo trovasse molto interessante. «S. La ricorda, vero?» «Non possiamo evacuare l’albergo», dichiaro Lynn, quasi con allegria. «Julian non sarebbe d’accordo.» «Suo padre non e qui.» «Oh, la smetta.» «Con tutto il rispetto, io invece sono convinta che lui sarebbe d’accordo.» «No. No, no, no, no, no.» «Invece s.» «Lei sta mandando all’aria l’intero viaggio.» Kokoschka infilo la mano in tasca. Dana se ne accorse e si blocco, interdetta. «Brutta stronza», mormoro Lynn. Le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo. Ad attenderli c’era Chuck Donoghue, livido di rabbia. Aileen si precipito lungo le scale, preoccupata. Dana usc dall’ascensore seguita da Lynn e da Kokoschka. «Cosa posso fare per lei, Chuck?» «Ci ha preso per stupidi?» «Sono qui proprio per informarla sugli ultimi sviluppi», replico Dana, sfoggiando l’illusione di un sorriso. «Non potremmo discuterne di sopra?» «No.» «Chucky, ti prego.» Aileen strattonava la manica del marito. Le porte dell’ascensore si richiusero. «Ascolta quello che ha da dire.» «Voglio ascoltarlo qui.» «Non c’e proprio niente da dire», cinguetto Lynn. «Va tutto a meraviglia. Andiamo a mangiare?» «Voglio sapere cosa sta succedendo e lo voglio sapere subito! » Serrando i pugni, Donoghue si avvicino, superando l’invisibile limite imposto dalla buona educazione. «Dov’e Julian? Dove sono gli altri? Perche non riusciamo a parlare con nessuno ? Ci state tenendo all’oscuro di qualcosa.» «Mi sta minacciando?»
«Avanti, parli.» Dana non si mosse. Fissava negli occhi quell’uomo molto piu grande di lei. Doveva sollevare la testa per farlo, ma si sentiva come se lo stesse guardando dall’alto in basso. «Se glielo dico, poi possiamo andare di sopra?» Evidentemente Donoghue non aveva messo in conto una resa cos repentina. Fece un passo indietro. «Ma certo!» si affretto a rispondere Aileen al suo fianco. «D’accordo», borbotto lui. «No!» grido Lynn. Tim la sent dal Mama Quilla Club. Percep la sua paura, la sua collera, la sua pazzia. In un attimo, balzo in piedi e si precipito lungo le scale, facendo gli scalini a due a due. L’autoritaria voce da contralto di Dana Lawrence si mescolava agli acuti spaventati di Aileen e al brontolio baritonale di Donoghue. «Lynn!» Incredibile. La sorella aveva staccato una delle bombole d’ossigeno dal suo supporto e brandiva il cilindro d’acciaio come una clava. Dana, Chuck, Aileen e Axel la circondavano come un branco di lupi. Tim passo tra i Donoghue, vide Lynn arretrare e rugg: «Che significa? Cosa le state facendo?» «Dovresti chiedere a lei cosa vuole fare a noi», ringhio Chuck. «Lynn...» «Non ti avvicinare!» Tim le tese la mano destra. Lei arretro ancora, alzo la bombola e lo fisso con le pupille dilatate. «Dimmi cosa sta succedendo.» «Vuole evacuare il Gaia Hotel», ansimo Lynn. «Ecco cosa sta succedendo. Questa stronza vuole evacuare l’albergo!» Axel Kokoschka era cos confuso che non tento nemmeno di capire cosa stesse accadendo. Era evidente che l’amministratore delegato dell’Orley Travel stava impazzendo. Il suo pensiero era rivolto a Tim e alla fine della sua personale odissea. Estrasse dalla tasca il foglietto di Sophie. «Mr Orley, devo...» Tim non gli presto la minima attenzione. «Lynn, torna in te.» «Vuole evacuare l’albergo.» La voce della donna era ridotta a un soffio. «Ma non lo permettero, per nessuna ragione.» «Certo, dobbiamo discuterne. Prima, pero, dammi quella bombola.»
«Evacuare?» fece eco Donoghue spalancando gli occhi. «Dovrebbe dare retta a suo fratello.» Dana indico la bombola d’ossigeno. «Ci sta mettendo tutti in pericolo.» Tim aveva notato che le dita di Lynn erano pericolosamente vicine al meccanismo di attivazione. Se avesse innescato la reazione esotermica, il contenuto sarebbe fuoriuscito dalla bombola : uno spreco inutile e un rischio, perche la pressione d’ossigeno nella stanza avrebbe potuto superare il valore di soglia. Le bombole erano per le emergenze, in caso l’aria respirabile iniziasse a scarseggiare. «Mr Orley!» Kokoschka sventolava il biglietto. «Cosa significa che vuole evacuare l’albergo?» chiese con una certa violenza Donoghue. «Dana ha ragione», dichiaro Tim. «Per favore, Lynn. Dammi quella bombola.» «Julian non vuole che l’hotel sia evacuato», spiego Lynn con aria trasognata a un uditorio immaginario. Per un secondo sembro completamente assente, poi il suo sguardo si poso sul fratello. «Lo sai, non possiamo spaventare gli ospiti di papa, percio nessuno si muovera di qui.» «Come no, le piacerebbe», si lascio sfuggire Dana. L’espressione sognante sul volto di Lynn lascio il posto a una smorfia di collera. Alzo di nuovo la bombola. «Tim, dille di chiudere il becco!» «Ah, io devo chiudere il becco?» Dana fece un passo verso di lei. «Ormai tutti sanno cosa sta succedendo.» Tim la fisso, esterrefatto. «Di che parla?» «Del fatto che sua sorella ha manomesso le registrazioni. Del fatto che si e lasciata manipolare da Hanna. Del fatto che le manca qualche rotella. Non e cos, Miss Orley?» Lynn si chino. Un guizzo maligno attraverso il suo sguardo, poi lei fece un balzo in avanti e cerco di colpire Dana, che schivo il colpo con prontezza. «Lei ha fatto in modo che Hanna potesse farsi un giro col Lunar Express. A che scopo, Lynn? Doveva andare a prendere qualcosa e poi portarlo qui in albergo?» «La smetta!» «È stata lei a bloccare i satelliti. È paranoica. Ed e in combutta con un criminale.» «Cosa significa che vuole evacuare l’albergo?» tuono di nuovo Donoghue. Senza troppi complimenti, afferro Dana Lawrence per le spalle. «Le ho fatto una domanda!» La donna si giro e si libero dalla presa. «Lei stia zitto!» Il cranio massiccio di Donoghue si coloro di rosso carminio. «Ma chi si crede di essere? Adesso le faccio vedere io!» «Chuck, no!» lo imploro Aileen.
«Miss Orley...» ripete Dana. Lynn scosse ostinatamente la testa. Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Cosa ha fatto con Sophie? Prima e andata alla centrale...» insistette Dana. «Non e vero. Sono...» «Lei era l!» «Dana, basta», sibilo Tim. Lei gli lancio un’occhiata glaciale. «Sono io che ne ho abbastanza. Non intendo piu assistere a questa pagliacciata. Si arrenda, Lynn. Ci dica dov’e la bomba.» «La bomba?» Come un bufalo, Donoghue si slancio su Lynn, la spinse contro il muro e le strappo la bombola dalle mani. «Siete tutti impazziti?» Le dita di Lynn si trasformarono in artigli. Gli graffio la guancia, facendola sanguinare. Prima che Donoghue potesse riaversi dalla sorpresa, lei raggiunse la scala e spar al piano inferiore. «Lynn!» grido Tim. «No, aspetti, la prego!» Con orrore, Kokoschka vide che Tim Orley stava seguendo quella svitata della sorella. Resta qui, penso. Non di nuovo, devo darti... «Sophie mi ha incaricato di...» Troppo tardi. Doveva inseguirlo? Tutti intorno a lui avevano perso le staffe. Inerme, noto Chuck Donoghue avventarsi su Dana, brandendo minaccioso la bombola d’ossigeno. Nella sua mente, si addensavano temporali, tempeste, tornadi di paura. I pensieri svolazzavano come petali impazziti in balia di folate di confusione. Ogni volta che cercava di prenderli, venivano spinti lontano. Cosa doveva fare? Alla fine, riusc ad afferrarne uno: quello che Sophie aveva scritto sul biglietto, qualunque cosa fosse, avrebbe spiegato il delirio cui stava assistendo. Il foglietto gli avrebbe detto cosa fare. Doveva leggerlo, visto che, come al solito, non era riuscito a portare a termine il compito che gli era stato assegnato. Con le dita tremanti, lo apr. Dana percep il cambiamento. Tutto il suo corpo reag. I peli delle braccia formicolarono come migliaia di campanelli di allarme. Dal ristorante si avvicinavano delle voci. Il tumulto doveva aver raggiunto i piani superiori e qualcuno stava scendendo per vedere cosa fosse successo, mentre il volto impietrito di Axel emanava ondate d’incredulita e di sdegno. Lentamente Dana giro la testa verso di lui. Lo chef la fissava e, nella sinistra, stringeva un pezzo di carta. Poi sollevo la destra e le punto contro un dito accusatore. Dana gli strappo di mano il foglietto e lesse le poche parole scarabocchiate sul foglio. «Cazzate.» «No.» Kokoschka si avvicino. «Non sono cazzate. Lei lo aveva scoperto. Lei lo aveva scoperto!»
«Chi aveva scoperto cosa?» abbaio Chuck Donoghue. «Sophie.» L’indice di Axel era sempre puntato su Dana. «È lei. Non e Lynn. È lei la traditrice!» Dana fece un passo indietro. «Ha passato troppo tempo ai fornelli. Le si e cotto il cervello, stupido idiota.» «No.» La sagoma tarchiata di Kokoschka si mosse: sembrava un Frankenstein che cercasse di fare i primi passi. «Lei ha interrotto le comunicazioni. Vuole farci saltare tutti in aria!» «Lei e pazzo!» «Ah, davvero?» Gli occhi di Donoghue si ridussero a due fessure. «Ci vuole un attimo per scoprirlo.» Sollevo la bombola d’ossigeno e si avvicino alla donna. «Mi e appena venuta in mente una bella barzelletta, in cui...» Dana infilo la mano nella tasca dei pantaloni, estrasse la pistola e miro alla testa di Chuck. «E questa e la battuta finale.» Premette il grilletto. Dal foro nella fronte di Donoghue usc materia cerebrale, e un rivolo di sangue si fece strada fra le sopracciglia e lungo il naso. La bombola gli scivolo dalle mani. Aileen emise un urlo cupo, disumano. Dana punto la pistola su di lei. In quel momento, si aprirono le porte dell’ascensore E2, da cui emerse Ashwini Anand: il suo ritardo le fu fatale. Il proiettile la colp prima ancora che lei si rendesse conto della situazione. Si accascio, bloccando le porte dell’ascensore. Ma la sua improvvisa comparsa era costata a Dana secondi preziosi, che Kokoschka sfrutto per agire. Lei prese la mira, pero Aileen le salto addosso, le afferro i capelli e le tiro indietro la testa, senza smettere di urlare, uno spaventoso lamento funebre. Mentre Dana cercava di scrollarsela di dosso, Kokoschka le agguanto il polso e allora lei gli assesto una ginocchiata nei testicoli. Subito dopo, sparo due colpi. Lo chef si piego, ma riusc a farle cadere la pistola. Dana lo colp col taglio della mano sulla gola e, con una mossa di karate, si libero della furia che aveva sulla schiena. In modo quasi aggraziato, Aileen volo verso il marito, ancora in piedi e con gli occhi sbarrati; cadendo, lo trascino con se. Kokoschka si stava muovendo, carponi, ma Dana lo colp con un calcio sul petto. Poi si ud un sibilo metallico che non lasciava presagire niente di buono. Le paratie si chiusero. Lei noto i fori prodotti dagli spari andati a vuoto. I serbatoi. I proiettili dovevano aver perforato uno dei serbatoi alloggiati dietro la parete. Il cambio di pressione aveva fatto scattare la chiusura automatica degli accessi ai piani inferiori e superiori. Non era da escludere che pure la tubazione esterna di raffreddamento fosse stata colpita, liberando il velenosissimo e infiammabile gas d’ammoniaca.
Era rinchiusa dentro una bomba. Doveva uscire di l. Il gas invisibile scese su Aileen, sul cadavere di Donoghue ed entro nell’ascensore, bloccato dal corpo di Ashwini. Sgranando gli occhi, Kokoschka si rialzo e protese le mani verso Dana, ma lei lo ignoro e si mise a correre. Gli accessi si stavano chiudendo, l’uno dopo l’altro. Raggiunse appena in tempo il passaggio che portava al piano delle suite, riusc a scivolare fuori dal collo di Gaia infilandosi tra le paratie che si chiudevano e ruzzolo lungo le scale, atterrando di schiena. Kokoschka sapeva che la fuoriuscita incontrollata di ossigeno poteva essere catastrofica. Spinto dalla disperata speranza di uscire in tempo, segu Dana attraverso il pertugio, ma non riusc a superarlo completamente e la paratia lo blocco contro il muro. Era incastrato. «No, no, no, no, no...» Adesso percepiva il sibilo della perdita d’ossigeno dai serbatoi. In preda al terrore, tento di spingere il pannello di metallo che lo schiacciava, impedendogli di respirare. Sent le costole spezzarsi. Si giro e vide Aileen inginocchiata sopra il cadavere del marito, col viso sprofondato sul suo petto. In bocca aveva un sapore metallico, gli occhi sporgevano dalle orbite come se volessero esplodere. Cerco di urlare, ma tutto quello che riusc a emettere fu un rantolo d’agonia. «Chuck...» gemette Aileen. Poi l’ossigeno s’incendio, in silenzio. Due lame di fuoco uscirono dalla parete nel punto in cui erano penetrati i proiettili: avvolsero Aileen, il cadavere di Donoghue e il corpo afflosciato di Ashwini, le pareti e il pavimento. Le fiamme strisciarono lungo le porte dell’ascensore, penetrarono nella cabina aperta, come spiriti di fuoco impegnati in una danza orgiastica. Un momento dopo, l’intero mezzanino era avvolto dalle fiamme. Axel non aveva mai visto un fuoco ardere in quel modo, anche se, con una forza di gravita ridotta, l’incendio si sarebbe dovuto propagare piu lentamente... Kokoschka sputo un fiotto di sangue. La paratia continuava a premere senza pieta. Come se il fuoco si fosse accorto solo allora che lui non poteva fuggire, si protese verso l’alto e sembro indugiare. Poi si avvento su di lui. Miranda Winter aveva deciso di scendere al piano inferiore insieme con Sushma Nair, perche era chiaro che di sotto stavano litigando. Sulle scale che portavano dal Selene al Chang’e, avevano udito due distinti plop in rapida successione - che il suo immaginario cinematografico associo agli spari di una pistola con silenziatore - seguiti dagli strazianti ululati di Aileen. Poi alcuni rumori simili ai rintocchi delle campane, come se qualcuno stesse colpendo le pareti di metallo con un martello. Sushma si blocco, in preda alla paura. Miranda, che era piu coraggiosa, le fece cenno di aspettare e si avvicino al passaggio che portava al collo di Gaia.
Cosa diavolo... «La paratia! Ci stanno chiudendo dentro!» Esterrefatta, Miranda sbircio attraverso la fessura e una lingua di fuoco le si avvento contro. Fece un balzo all’indietro. Il demone soffio, divampo, cerco di ghermirla con lingue che sputavano scintille, le brucio le sopracciglia e i capelli. Lei inciampo, cadde e striscio lontano per sfuggire alle fiamme. «Oh, merda. Scappa, Sushma, scappa!» Le lingue del demone si avvicinarono, si moltiplicarono, partorirono nuove creature guizzanti che si sparpagliarono divorando con voracita tutto quello che incontravano. Con terrificante rapidita, coprirono la vetrata frontale, ma non trovarono nulla di cui nutrirsi e proseguirono la loro scorreria sul pavimento, sulle colonne e sui mobili. Miranda salto in piedi, sal di corsa le scale, spingendo in avanti Sushma, che urlava con tutto il fiato che aveva in corpo. Proprio sopra di loro si stavano chiudendo le paratie che davano accesso al Selene, mentre un muro di calore avanzava alle loro spalle. Sushma inciampo. Miranda la spinse da sotto e l’indiana scavalco il muro d’acciaio, infilandosi nel pertugio ancora aperto. Era cos stretto... Come una ginnasta, Miranda afferro il bordo della paratia e si tiro su. Per un momento temette di rimanere incastrata, poi riusc per un soffio a saltare dall’altra parte. La paratia si chiuse con un tonfo sordo, salvandole dall’onda infuocata. «Gli altri... Santo cielo, gli altri!» Dana era sdraiata sulla schiena. Poco piu in alto, Kokoschka dimenava le gambe, colpendo i gradini della scala a chiocciola. Dal collo di Gaia, il rombo del fuoco stava rapidamente scendendo verso di lei. Le fiamme avevano avvolto la giacca e i pantaloni dello chef. Avanzavano tastando le superfici come se fossero alla ricerca di nuovo cibo. A ondate si propagavano sul soffitto, esplorando la struttura e i rivestimenti. Dana doveva chiudere la paratia. Gli incendi scatenati dall’ossigeno erano imprevedibili. Benche il gas in se non fosse combustibile, favoriva la distruzione di quasi tutti i materiali. La brace incandescente si sarebbe riversata come lava lungo il collo di Gaia e avrebbe inondato il piano delle suite. Con un balzo, Dana raggiunse il pannello di controllo manuale, si accovaccio per sottrarsi il piu possibile al calore e attivo il meccanismo che faceva riaprire la paratia. Kokoschka fu libero e ruzzolo lungo le scale, scalciando. Tentacoli di fuoco si scagliarono verso di lei, come se volessero riprendersi la preda che prima era sfuggita loro. Ma la paratia si richiuse, tagliando le fiamme e isolando il collo di Gaia dalle spalle. Kokoschka era una torcia umana. Il sistema di ventilazione rilascio una nebbiolina di estinguenti chimici, del tutto insufficiente. In pochi istanti, avrebbero preso fuoco le piante, le pareti, il pavimento. Dana strappo dal muro un estintore portatile e lo svuoto sul corpo ormai immobile dell’uomo, poi oriento il getto verso il soffitto. Nell’inferno al livello superiore,
l’impianto antincendio di sicuro si era arreso alle fiamme gia da un pezzo e la temperatura doveva essere altissima. Il fumo le invase le vie respiratorie e le annebbio la vista. Il petto le doleva. Doveva trovare il modo di respirare aria pulita. Kokoschka, le scale e alcune zone del soffitto continuavano a fumare, qua e la ardevano ancora piccoli focolai. Invece di arginare l’incendio, Dana trattenne il fiato e avanzo barcollando lungo la galleria. Nelle orecchie aveva il sibilo della paratia che stava sigillando anche la zona delle spalle di Gaia. Nel punto in cui la spalla destra confluiva nel braccio, c’era un deposito d’emergenza che, oltre alle bombole prescritte, ospitava anche maschere per l’ossigeno. Freneticamente ne indosso una, inspiro piu ossigeno possibile e vide il passaggio verso il braccio che si chiudeva. Non ce l’avrebbe fatta. Era in trappola. Tim era riuscito a raggiungere la sorella nella hall. Lynn era fuggita, saltando come un satiro da un ponte all’altro. Piu volte era sembrata sul punto di crollare a terra, di scivolare e di farsi male, ma niente aveva fermato la sua fuga. Solo all’ultimo salto inciampo, cadde e cerco di scappare, strisciando carponi. Tim atterro appena dietro di lei e riusc ad afferrarle una caviglia. Come un serpente, la sorella tento di strisciare via sulla pancia, ma lui la blocco, la fece girare sulla schiena e... si prese un pugno in pieno viso. Lynn ansimava, ringhiava, tentava di graffiarlo. Lui le immobilizzo i polsi e la schiaccio a terra. «Smettila! Basta ! Sono io!» Sbavando, lei cerco di morderlo. Era un animale rabbioso. Con le braccia bloccate, prese a scalciare, inarcando la schiena, poi all’improvviso strabuzzo gli occhi e si affloscio. Il respiro era irregolare. Tim ebbe paura che avesse perso i sensi, poi vide le sue palpebre tremare. Lo sguardo torno limpido. «Va tutto bene. Sono qui con te.» «Mi dispiace», piagnucolo lei. «Mi dispiace tanto!» Inizio a singhiozzare. Lui la prese tra le braccia e inizio a cullarla come una bambina. «Aiutami, Tim. Ti prego, aiutami.» «Sono qui. È tutto finito. Va tutto bene.» «No, non e vero.» Lynn si strinse contro di lui. «Sto impazzendo. Sto...» Non riusc a terminare perche il resto fu sommerso da una nuova ondata di pianto. Era stato proprio il timore che potesse verificarsi una situazione del genere a spingerlo a partecipare a quello stupido viaggio, eppure Tim si sentiva come uno scolaretto impreparato. La sua forza d’animo minacciava di capitolare sotto il peso di uno stress prolungato ed eccessivo. Alzo la testa e, nella cupola della hall, scorse un fantasma di fumo che spiegava, malevolo, le proprie ali. Qualcosa usciva dai balconi, dalle piastre di metallo, dalle enormi paratie.
Si rese conto che l’orrore era appena iniziato. E che lassu stava succedendo qualcosa di terribile. PROMONTORIUM HERACLIDES, MONTES JURA, LUNA All’inizio, erano riusciti ad avanzare abbastanza velocemente, finche non avevano scoperto che le rocce piu grosse si sostenevano l’una con l’altra: toglierne una avrebbe avuto imprevedibili conseguenze sull’equilibrio dell’insieme, tanto che piu volte lui e Carl Hanna avevano rischiato di essere investiti dai detriti. Ogni volta che Warren Locatelli schivava una roccia all’ultimo istante, nella sua mente si formavano audaci schemi di causa ed effetto in cui i detriti - spinti lungo una traiettoria ben calcolata - schiacciavano Hanna, come se fosse una pizza. Il tallone d’Achille di quel piano era il fatto che, nella distesa di detriti intorno al Ganymed, non c’era modo di calcolare nulla. Percio lui si era rassegnato a collaborare. Avevano cominciato a rimuovere rocce e frammenti procedendo dall’alto verso il basso, lavorando con cautela e vigilando ciascuno sulla sicurezza dell’altro. Dopo due ore di fatica disumana, e non riuscendo comunque a spostare le pietre piu grosse, dovettero arrendersi. Locatelli si appoggio a una roccia e si meraviglio di non sentire anche Hanna ansimare come un cane. Doveva essere molto piu in forma di lui. «E adesso?» chiese Warren. «Tu cosa pensi? Dobbiamo liberare il portello.» «Ah, davvero, sapientone? Peccato che sia impossibile.» Hanna si chino per esaminare l’ostacolo e Locatelli avrebbe giurato di sentire il ronzio dei rele nel suo cervello. «Non vuoi provare con una delle tue bombe? Facciamo esplodere questi dannati affari.» «No, l’energia si disperderebbe verso l’esterno. Anche se...» Hanna indugio, poi si accovaccio nel punto in cui due rocce si toccavano. Infilo la mano nel pertugio ed estrasse una manciata di detriti. «Forse hai ragione.» «Certo che ho ragione. Ho quasi sempre ragione. È la benedizione e la condanna della mia esistenza. Piu la tua stupida bomba riesce a penetrare in profondita, piu danni provochera.» «Non so se la forza esplosiva sara sufficiente. Questi sassi sono enormi.» «Ma sono porosi. È basalto, accidenti, roccia lavica. Con un po’ di fortuna, alcuni pezzi si staccheranno, destabilizzando l’intero cumulo.» «D’accordo», acconsent Carl. «Proviamoci.» Scavarono e allargarono la fessura. A un certo punto il canadese scomparve all’interno dello shuttle e torno col supporto della console del grasshopper, quindi continuarono a scavare con l’attrezzo improvvisato, finche Hanna non decise che poteva bastare. A una certa distanza dal Ganymed, in una posizione leggermente rialzata, eressero un muro di protezione,
ammucchiando le rocce piu piccole. Carl prese la mira. «Giu la testa!» Tra i massi, si sollevo una nuvola grigia, come un cosmo appena nato. Locatelli si chino, mentre frammenti di roccia s’infrangevano sul basalto a destra e a sinistra del muro. Quando sollevo la testa al di sopra del riparo, gli sembro che non fosse successo niente. Poi vide la roccia piu grande spostarsi con infinita lentezza, quasi ruotando su se stessa. Quella accanto si spezzo alla base e inizio a rotolare lungo il dirupo. «S! È stata una mia idea, una mia idea!» La roccia piu grande continuava a ruotare; fu urtata da una terza che si era infilata nel buco creato dall’esplosione e infine s’inclino su un lato, scatenando una reazione a catena e facendo rotolare a valle una slavina di detriti. «S!» Uscirono a balzi dalla loro trincea e rimossero le macerie. Inebriato da quello che riteneva un successo personale, Locatelli sembro dimenticarsi delle circostanze che lo avevano indotto a considerare Carl Hanna un nemico. Come se i contrasti delle ultime ore fossero dovuti a una svista, a causa della quale Carl, l’amicone, era stato ingiustamente demonizzato. Adesso era di nuovo un compagno di avventure con cui si facevano saltare in aria le montagne lunari. Liberarono il portello posteriore del Ganymed e Hanna gli diede una pacca sulla spalla. «Ben fatto, Warren, ottimo lavoro!» Locatelli avvert appena il contatto attraverso lo spessore della tuta spaziale, ma ne fu profondamente turbato; sebbene il suo cervello fosse saturo di dopamina, non poteva tollerare che quell’uomo lo toccasse. Aveva sempre provato simpatia per lui, per i suoi modi virili, per la sua essenzialita. Persino adesso avvertiva un fondo di gentilezza. «Leviamoci il pensiero», disse in tono sgarbato. «Tu apri il portello, io porto fuori il buggy e...» «No, tu ti prendi una pausa. Il buggy lo porto fuori da solo.» «Perche? Credi che me la voglia svignare?» «Proprio cos.» E hai ragione, sacco di merda, penso Locatelli, e non per la prima volta. Con lo sguardo, segu Hanna risalire il pendio, aprire il portello del Ganymed e scomparire all’interno. Cap che da quel momento il killer non aveva piu bisogno di lui e, aspettandosi il peggio, fece un passo indietro non appena il portello inizio ad abbassarsi, rivelando l’interno del vano di carico. Hanna sal sul buggy, controllo i comandi e si mosse lungo la rampa. In quel momento, Locatelli si accorse che il bordo inferiore non avrebbe combaciato col terreno, perche la fossa scavata dallo shuttle era troppo profonda. E infatti la rampa rimase sospesa di un metro sopra la regolite. Le grandi ruote anteriori del mezzo superarono il vuoto e fecero presa sui detriti
sottostanti. Il piccolo veicolo sembro un animale in procinto di spiccare un salto, poi si fermo appena oltre la rampa. Locatelli era indeciso; non sapeva cosa aspettarsi. Il suo timore era che Hanna non si fermasse, che lo abbandonasse al suo destino, all’ombra di una navicella spaziale inutilizzabile. Poi, quando lo vide scendere, si chiese se l’uomo non intendesse procedere a un’esecuzione sommaria prima di proseguire il viaggio. Titubante, mosse un passo verso la rampa. «Cosa c’e? Non vuoi venire con me?» chiese Hanna. «Venire con te?» «Puoi ancora essermi utile.» Utile? Sì, certo. «E per quanto tempo ti saro utile?» «Finche non raggiungiamo l’impianto di estrazione americano. » Hanna indico un punto oltre la pianura ricoperta di polvere. «Mentre eri svenuto, ho cercato di calcolare la nostra posizione approssimativa. Dovremmo essere atterrati proprio sulla punta del Promontorium Heraclides. Questo vuol dire che la stazione si trova in direzione nord-ovest, in mezzo al mare di basalto dove s’incontrano il Sinus Iridum e il Mare Imbrium. A circa cento chilometri da qui.» «E perche vuoi andare la?» «La stazione e automatizzata», spiego lui. «Ma viene controllata con regolarita dagli ispettori, che hanno a disposizione un terminal. Pressurizzato. Una vera e propria piccola base in cui e possibile sopravvivere per mesi. Ma siamo costretti ad affidarci soltanto al nostro intuito per raggiungerla, dal momento che i satelliti non funzionano.» «Riattivali.» «Cosa ti fa pensare che io sia in grado di farlo?» «Cosa ti fa pensare che io abbia la testa piena di segatura?» replico Locatelli. «Hanno smesso di funzionare quando hai iniziato a uccidere i miei amici. Vuoi farmi credere che e stata una coincidenza?» «No, pero non sono in grado di neutralizzare il blocco. Quando sono stato scoperto, abbiamo dovuto interrompere le comunicazioni. Ma adesso smettila di darmi sui nervi, okay? Fammi da navigatore e io ti lascero all’impianto di estrazione. Se vuoi sopravvivere...» Hanna continuo a parlare, ma l’altro aveva smesso di ascoltarlo. Fissava un punto al di la della rampa. Di fianco al Ganymed qualcosa aveva attirato la sua attenzione. «... ti sarai liberato di me. Devi solo...» Perche nel punto in cui lo scafo dello shuttle era immerso nella regolite si alzavano turbini di polvere? Nuvolette che sbuffavano lungo il fianco del velivolo come il fumo di una vecchia locomotiva. Cosa stava succedendo? I contorni della nave spaziale si fecero confusi, il corpo d’acciaio inizio a tremare. Il bordo della rampa si sollevo impercettibilmente, liberando ancora
piu polvere. Anche il terreno inizio a tremare. «... poi noi...» «Lo shuttle si muove!» grido Locatelli. Hanna si volto. Il Ganymed, non piu in equilibrio sui massi, s’impenno, si riabbasso e inizio a scivolare, sollevando una tempesta di sabbia e detriti. Hanna spicco un salto e atterro sulla rampa che si avvicinava velocemente, investendo e trascinando via il buggy. Cerco di mettersi al riparo, inciampo. Per un attimo, riusc a rimettersi in piedi, si diede lo slancio e scarto di lato. Sarebbe bastato mezzo metro e ce l’avrebbe fatta... Nel momento in cui la rampa scavo un solco nel suo addome, lui vide con cristallina chiarezza l’immagine di un Warren Locatelli di un universo parallelo che aveva fatto la cosa giusta ed era saltato, proprio come Carl Hanna. Poi un dolore bruciante spense ogni pensiero. Istintivamente si aggrappo alla lamiera e, come un torero incornato, fu trascinato a valle dal Ganymed, che spicco un ultimo balzo e, impattando contro il suolo, lo scaglio in alto. Locatelli ricadde sulla schiena molti metri piu in la, e si rese conto che lo shuttle si era fermato di colpo, incastrato in una sporgenza rocciosa. Scorse il buggy capovolto e vide Hanna attraversare la pista di atterraggio. Premette le mani sulla pancia piu forte che poteva. Nel frattempo, l’altro lo raggiunse e si chino su di lui. Warren voleva dire qualcosa, ma riusciva solo a emettere gemiti strozzati. Non aveva bisogno di guardare in basso - cosa che peraltro non sarebbe stato in grado di fare - per sapere che la tuta era strappata. Se era ancora vivo, lo doveva al fatto che le biosuit non si sgonfiavano subito come palloncini. Forse, se continuava a premere sulla ferita... «Sanguini», affermo Hanna. «Merda. Non puoi...» «Idiota!» Strano, sembrava colmo d’ira. «Cos’hai combinato ? Ti avevo risparmiato, accidenti. Ti avrei tratto in salvo!» «Mi... mi... dispiace...» Come? Mi dispiace? Si stava scusando con quell’assassino per aver permesso alla rampa del Ganymed di dilaniarlo? Di chi era la colpa, maledizione? All’improvviso, sent un gran freddo e comprese che in quel momento, a parte Hanna, non gli restava piu niente. «Per... favore... non mi... lasciare... » «Stai morendo», disse l’altro con calma. «No.» «Non c’e modo di riparare il danno, Warren. Il vuoto ti risucchiera non appena toglierai le mani dalla ferita.» Locatelli mosse le labbra. «Bendami», avrebbe voluto dire. «Ripara la tuta.» Ma riusciva solo a gorgogliare e a tossire.
«Ogni secondo in piu e soltanto sofferenza.» Sofferenza? Scosse la testa debolmente. Che idea stupida, penso. Tanto non mi vede nessuno. Potevano vedere solo le visiere a specchio. Attizzatoi incandescenti gli perforavano l’addome. Emise un rantolo. «Warren?» Le mani di Carl si avvicinarono al suo casco. «Mi senti?» «Sstt...» «Guarda le stelle. Guarda il cielo stellato.» «Carl...» Il dolore era insopportabile. «Sono qui con te. Guarda le stelle.» Le stelle. Roteavano sopra di lui e mandavano messaggi che non riusciva a capire. Non ancora. Oh, cavolo, penso, mentre Hanna armeggiava col suo casco. Chi e mai morto ammirando uno spettacolo del genere? «Merda», riusc a dire ancora una volta. La sua parola preferita. Carl gli tolse il casco. GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Per quante teste Hydra potesse avere, adesso avevano tutte piu di una ragione per preoccuparsi. Le difficolta erano state previste. Il disastro del 2024 non era stato dimenticato. Insieme con Vic Thorn, nelle profondita dello spazio erano andate perse lunghe e complesse pianificazioni e tutte le speranze a esse legate. Per piu di un anno si erano chiesti se il pacco avrebbe resistito all’interno del cratere per tutto quel tempo. Dana Lawrence sapeva bene che le mini-nuke erano difficili da localizzare, anche se ovviamente aveva nascosto quel dettaglio alle squadre di ricerca che avevano perlustrato l’albergo. Il potenziale distruttivo di quelle piccole bombe atomiche era rappresentato dall’uranio-235, che non emetteva raggi gamma, ma onde alfa: sarebbe bastato un foglio di carta per schermarle e renderle invisibili ai detector. Tuttavia, durante lo stoccaggio, sviluppavano energia termica, che sulla Terra veniva dispersa grazie all’atmosfera. Sulla Luna, invece, non c’erano molecole che raccogliessero con solerzia i «pacchetti» di calore per portarli via. Per impedire il surriscaldamento di un’atomica nel vuoto, erano necessari grossi radiatori. Il pacco pero era sprovvisto di sistemi di dispersione, perche avrebbe dovuto essere recuperato tre mesi dopo l’allunaggio da Vic Thorn, di stanza alla base lunare. Se tutto fosse andato secondo i piani, Thorn avrebbe collocato la bomba e impostato il timer, per poi squagliarsela in direzione Terra, lamentando un’improvvisa malattia. Il resto sarebbe entrato nei libri di storia fra le catastrofi degne di essere ricordate. Dana osservo con ribrezzo il cadavere carbonizzato e fumante di Axel Kokoschka. Finalmente era riuscita a spegnere gli ultimi focolai. Non osava neanche immaginare quale inferno
si fosse scatenato nel collo di Gaia, ma anche l le fiamme avevano consumato gran parte dell’ossigeno. La maschera salvavita le permettiva di respirare e la visiera proteggeva gli occhi dal fumo, ma il vero problema era che non sarebbe riuscita a uscire in fretta di l. E tutto per colpa di quella pazza. Cosa diavolo aveva Lynn? Mai lei aveva sospettato che fosse cos fuori di testa. Una fanatica del controllo, quello s, e quasi patologica nella sua ricerca della perfezione. Ma, d’altro canto, anche lei voleva essere sempre impeccabile. Fino a pochi giorni prima, considerava Lynn Orley l’architetto di tre hotel straordinari e una persona in grado di gestire una multinazionale. Poi, in modo del tutto inaspettato, erano comparsi i primi sintomi della paranoia. Dopo un primo momento d’inquietudine, Dana aveva intuito che il cambiamento di Lynn la rendeva perfetta come capro espiatorio. Quindi non aveva perso occasione per gettare discredito sulla figlia di Julian e alimentare il sospetto che facesse il doppio gioco. Ma poco prima, al Mama Quilla Club, con l’abbaiare di Chuck Donoghue nelle orecchie, all’improvviso era stata sopraffatta dalla paura. Per evitare sgradevoli sorprese, aveva seguito Lynn, che pero si era rinchiusa nella propria suite. Allora Dana si era recata alla centrale, dove aveva trovato Sophie. Non aveva avuto i nervi abbastanza saldi, la piccola, anche se la sua abilita investigativa era stata ammirevole. L’unico errore che aveva commesso le era stato fatale: quando aveva mandato le squadre di ricerca in giro per l’hotel, non aveva contraffatto il registro cronologico. A Sophie era bastato poco per capire che, durante la videoconferenza, il suo capo aveva bloccato le comunicazioni tra la Terra e la Luna, col pretesto di caricare il video di Carl Hanna. Intelligente, la piccola Sophie, davvero intelligente: sapendo quanto fossero inaffidabili i messaggeri digitali, aveva affidato il suo messaggio a carta e penna, e a Kokoschka, mandando quell’idiota innamorato da Tim, per rivelargli chi era il vero nemico. Era stato un caso che lei fosse tornata in tempo alla centrale, altrimenti forse sarebbe stata scoperta molto prima. Ora il registro cronologico era stato di nuovo corretto, anche se probabilmente non aveva piu importanza. Il piano di riunire gli ospiti e il personale nella testa del Gaia Hotel per poi togliere l’aria e svignarsela verso Peary era saltato. Pure lei era in trappola. Dana respiro a fondo nella maschera per l’ossigeno. Intorno a lei, ronzavano i ventilatori che, a fatica, aspiravano la fuliggine e le sostanze velenose e pompavano aria pulita. Tento di aprire la paratia che la divideva dal braccio di Gaia, prima attivando il comando manuale, poi con la sola forza delle braccia. Ma ben presto si rese conto che era tutto inutile. Bruciando ossigeno, le fiamme avevano creato in quel settore, ermeticamente isolato, una leggera depressione. Finche non fosse stata compensata, la porta blindata non si sarebbe mossa. Ci sarebbero volute almeno due ore prima che la pressione ritornasse a livelli accettabili, percio era meglio utilizzare il tempo per capire come aveva fatto quel maledetto detective a penetrare nei dati di Hydra. In precedenza, tutti i contrattempi erano stati risolti: dal pacco bloccato
nel cratere alla comparsa di Julian nel corridoio al ritorno di Hanna. Lei aveva manipolato i dati e cancellato le tracce. Non c’era motivo di farsi prendere dal panico. Ma poi tutto era andato storto. Eppure Hydra era uscita rafforzata dal fallimento della missione di Thorn. Era stato infatti deciso di effettuare un secondo tentativo, stavolta affidato a una squadra. Alla NASA non era piu possibile reclutare alleati: Thorn era stato un colpo di fortuna, una canaglia benvoluta da tutti che non aveva nessun rigore morale. Gia anni prima, quando lui stava ancora completando l’addestramento sui simulatori, Hydra l’aveva tenuto sotto controllo per capire se fosse corruttibile. Alla fine, gli aveva fatto un’offerta che l’astronauta, nel frattempo promosso al ruolo di comandante designato della base lunare, aveva rifiutato senza battere ciglio, chiedendo il doppio. Il denaro non era un problema e l’accordo era stato trovato. I lavori nella giungla della Guinea Equatoriale stavano per essere conclusi e Hydra aveva trovato quello che cercava sul mercato nero del terrorismo internazionale. Stava prendendo forma un’opera d’arte della logistica criminale, ideata da un fantasma che Dana non aveva mai incontrato, mentre conosceva bene il suo cerimoniere: Kenny Xn, il folle principe delle tenebre, un autentico psicopatico, che tuttavia per certi versi lei ammirava. Hydra non avrebbe potuto scegliere un uomo migliore per realizzare una cospirazione grandiosa, che si ramificava in tutti i continenti della Terra fino allo spazio, e di cui lei faceva parte da un anno. Subito dopo la morte di Thorn, Xn, che conosceva a fondo l’ambiente delle spie e dei killer professionisti disoccupati, aveva contattato Dana Lawrence, un’ex agente del Mossad, specializzata nell’infiltrarsi in alberghi di lusso, quindi la candidata ideale per il Gaia Hotel; inoltre aveva ideato la copertura perfetta per l’investitore canadese che doveva guadagnarsi la fiducia di Julian. Ma, a giudicare dagli eventi, il principe delle tenebre aveva perso il controllo della situazione. Dana si chiese se ci fosse ancora qualcuno vivo all’interno dell’albergo. Il tratto in cui era imprigionata sembrava deserto, ma lei ignorava chi si trovasse nella testa di Gaia quando l’ossigeno si era incendiato. Se la fortuna fosse stata dalla sua parte, sarebbero stati tutti l. Non che lei avesse una particolare predilizione per gli omicidi di massa, ma il destino del gruppo era segnato dal momento in cui la copertura di Carl Hanna era saltata. Dana era sicura che l’uomo avrebbe raggiunto la base lunare, pero non poteva sapere quando e se sarebbe stato in grado di mettersi in contatto con lei. Interrompendo le comunicazioni, aveva cercato di concedergli tempo; tuttavia, se Jennifer Shaw e quel detective avessero comunque contattato la base Peary tramite la NASA, sarebbe stato un vero disastro. Hanna aveva maggiori probabilita di completare la missione se al Polo Nord nessuno avesse saputo del suo arrivo.
Anche il blocco delle comunicazioni era stato un’idea partorita dall’infaticabile mente di Kenny Xn, una lungimirante precauzione. Mandare gli ospiti alla ricerca della bomba era stato un giochetto. Altrettanto facile era stato sondare il terreno col vicecomandante della base, Tommy Wachowski, ovviamente senza chiedergli aiuto per le ricerche del Ganymed. Dopo essersi assicurata che gli americani non sapessero niente dell’attentato, lei aveva manomesso pure la comunicazione laser, in modo che le chiamate dalla base venissero inoltrate sul suo cellulare. Adesso doveva solo aspettare che Hanna si facesse vivo e poi lasciare l’albergo. Prima, pero, avrebbe dovuto liberarsi degli ospiti. Non poteva certo portare tutta quella marmaglia con se al Polo. Se fossero arrivati prima di Carl, magari qualcuno di loro avrebbe iniziato a raccontare storie di bombe atomiche e di attentati terroristici. Nessuno doveva raggiungere la base. Chi poteva essere sopravvissuto? Lynn e Tim, penso Dana. Sono da qualche parte nell’hotel, forse nella centrale. Doveva mettersi in contatto con loro. PROMONTORIUM HERACLIDES, MONTES JURA, LUNA Il comportamento della materia nel vuoto era oggetto di molte leggende, alcune delle quali avevano un fondo di verita. Per esempio, il fatto che i corpi poco consistenti e con alte percentuali gassose si disgregassero, lievitando come la pasta, dal momento che il gas cercava di farsi strada verso l’esterno. Quindi non era il vuoto che aspirava, ma il gas che premeva per disperdersi. Alcuni oggetti si deformavano, altri scoppiavano. Le praline di cioccolato ripiene di crema si gonfiavano fino a quadruplicare il proprio volume e, se si ripristinava la pressione originaria, si trasformavano in masse amorfe, indizio di un disgregamento strutturale. Un profilattico annodato, invece, dopo essersi gonfiato come un palloncino, riassumeva la sua forma originaria, ma ovviamente era meglio evitare di utilizzarlo. Il polmone di un vitello veniva ridotto a brandelli, l’emmenthal e le melanzane non subivano apparentemente nessuna modifica, proprio come le uova di gallina. La birra produceva quintali di schiuma, le patatine fritte trasudavano grasso e si raffreddavano, i tubi di ketchup si gonfiavano solo un po’. Per quanto riguardava gli esseri umani, si riteneva che nel vuoto esplodessero. Per loro natura, erano piu simili alle praline di cioccolato che ai profilattici: erano morbidi, porosi e pieni di gas e liquidi. Tuttavia, quando Carl Hanna sgancio il casco di Locatelli, s’innesco un processo molto piu complesso. Proprio come l’acqua che, nelle profondita delle fosse oceaniche, iniziava a bollire solo a 200 o 300 °C, mentre in cima all’Everest raggiungeva il punto di ebollizione gia a 70 °C, le parti liquide all’interno del cranio di Warren, esposte alla totale assenza di pressione, ribollirono in una frazione di secondo e, quasi contemporaneamente, si
raffreddarono a causa dello scambio termico con l’esterno. Nel vuoto, tutto cio che evaporava produceva ghiaccio, cosicche i liquidi del corpo di Warren congelarono quasi nello stesso istante in cui iniziarono a bollire. La testa non esplose, ma la sua fisionomia attraverso diverse trasformazioni e, alla fine, sul suo volto si cristallizzo una maschera ghignante, ricoperta da un sottile strato di ghiaccio. Dato che il corpo giaceva all’ombra di una sporgenza rocciosa, il ghiaccio si sarebbe conservato finche i raggi del sole non lo avessero colpito, facendolo evaporare. A quel punto, il corpo si sarebbe ustionato, ma Locatelli non se ne sarebbe certamente accorto. Era morto in modo cos repentino che l’ultima cosa che aveva visto era stata la bellezza del cielo stellato. Hanna si alzo. Come aveva detto, uccidere non lo faceva sentire in colpa ne gli dava piacere. Le vittime non popolavano i suoi sogni. Se fosse arrivato alla conclusione che Locatelli rappresentava un pericolo per lui, gli avrebbe sparato. Ma, nelle ultime due ore, aveva capito di non doverlo fare. Il suo coraggio meritava rispetto e, sebbene fosse un bastardo arrogante e pieno di se, provava una certa simpatia per lui e avrebbe voluto risparmiarlo. La prospettiva di salvare la vita a Locatelli lo aveva fatto sentir bene. Se non altro, adesso aveva messo fine alla sua agonia. Rialzandosi, cancello il morto dalla sua memoria. Doveva portare a termine la missione. Il buggy era rovesciato su un fianco, spinto contro uno spuntone di roccia dal Ganymed. Lo rimise sulle ruote e lo ispeziono, constatando che uno degli assi era sul punto di spezzarsi, anche se lui non era in grado di prevedere quando. Poteva solo sperare che tenesse fino all’impianto di estrazione. Mise in moto, senza degnare ne Warren Locatelli ne lo shuttle di un ultimo sguardo. GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA Stupefacente, penso O’Keefe: si riferiva all’improvviso pallore di Mukesh Nair. Era incredibile che qualcuno con un colore della pelle simile al caffe espresso potesse apparire cos pallido. Il volto era esangue come le parole che pronunciava. «Verranno a prenderci, Sushma. Non ti preoccupare.» «Chi?» «Come vedi, il nostro amico Michio...» Sushma scoppio in singhiozzi. «No, Mukesh, non c’e piu nessuno. Non riuscira a mettersi in contatto con nessuno. Alla centrale non risponde nessuno, e la sotto sta bruciando tutto! È tutto in fiamme!» Strabiliante. O’Keefe non riusciva a smettere di fissare Nair. In particolare il naso. Sembrava morto, un rafano pallido appiccicato sulla faccia di Mr Tomato.
L’oggetto del suo interesse poso un braccio intorno alle spalle di Sushma. «Riuscira a parlare con qualcuno, tesoro. Ne sono sicuro.» Con voce preoccupata, Rebecca osservo: «È gia diventato piu caldo qui, non vi sembra?» «No», rispose Eva. «Secondo me, s.» «Sei tu che senti caldo, Rebecca.» Karla si diresse verso le scale e guardo in basso. «Ormoni dello stress, aumento della pressione sanguigna. Climaterio. Una cosa del tutto normale, alla tua eta.» O’Keefe la segu. Due piani piu in basso, la scala a chiocciola era interrotta da una barriera di acciaio. «Forse dovremmo tentare di aprire le paratie.» Funaki li guardo e boccio la proposta. «Finche l’indicatore sul pannello di controllo e rosso, e meglio lasciar perdere. Pericolo di morte.» «Perche?» Miranda Winter pesco una fragola dal suo Daiquiri e la succhio con avidita. «Il sistema automatico ha chiuso ermeticamente i vari tratti, quindi adesso possiamo dare un’occhiata, no?» La sua pelle ricordava il colore del carapace di un astice bollito: il volto e il decollete erano rosso fuoco; i capelli gia resi fragili da troppe tinture erano scomparsi dall’attaccatura della fronte, e anche le sopracciglia erano state strinate. Eppure ostentava una fiducia che potevano mostrare solo le persone molto limitate o con un notevole autocontrollo. «Non e cos semplice», replico Funaki. «Cazzate.» Miranda lecco il succo di fragola dagli angoli della bocca. «Solo una sbirciatina. Se brucia ancora, richiudiamo subito.» «Non riuscireste nemmeno ad aprire le paratie.» «Finn e forte, e Mukesh...» «Se la pressione parziale dell’ossigeno e scesa, la forza fisica non basta.» Miranda sollevo quello che restava delle sue sopracciglia. «Capisco. Non era un cavaliere o qualcosa del genere?» «Come, scusi?» «Parziale.» «Perceval», sospiro Olympiada Rogaceva. «Ah, gia. E cos’ha a che fare col nostro ossigeno?» «Michio, vecchio samurai, sia cos gentile da usare parole comprensibili anche per una normale multimiliardaria», intervenne O’Keefe. «Credo che lei volesse dire che dall’altra parte si e formata una depressione, giusto? Cio significa che dobbiamo inventarci qualcos’altro per uscire da qui.»
Eva lo guardo, interdetta. «E come, senza ascensore?» Erano scesi nel Selene per ispezionare l’ascensore riservato al personale, l’unico dei tre che scendeva fino al piano dei ristoranti, ma Funaki si era opposto energicamente: «Finche il sistema o la centrale non ci segnalano che e tutto a posto, non sappiamo in che stato sia il vano dell’ascensore. Se non volete essere avvolti dalle fiamme, via le mani dalle porte». Ma la centrale non si era fatta viva. «In caso, per scendere, useremo i condotti di ventilazione. Non e molto comodo, ma almeno e sicuro», aveva aggiunto Funaki. Da allora, era passato un po’ di tempo. Karla lancio un’altra occhiata verso la scala a chiocciola. «Comunque io non restero qui ad arrostire.» Gli occhi di Rebecca erano spalancati per il terrore. «Arrostire ? Perche arrostire? Vuoi dire che...» «Karla, e proprio necessario?» mormoro Eva. «Perche?» rispose l’altra in tedesco. «Sopra di noi ci sono solo le stelle. Non possiamo uscire sulla terrazza panoramica senza tute spaziali. E sotto di noi c’e un incendio. Il fuoco si espande verso l’alto. Se Michio non riesce a stabilire in fretta un contatto con la centrale, io non staro qui ad aspettare, questo te lo posso assicurare. Voglio uscire da qui.» «Vogliamo tutti uscire, ma...» «Michio!» Una voce distorta usc dall’interfono del bar. «Michio, mi sente? Sono Tim. Tim Orley!» Forse aveva sbagliato le priorita. Avrebbe dovuto ignorare Lynn e stabilire subito un contatto con gli altri, ma vedere la sorella in quello stato gli era sembrato insopportabile. Scossa dai singhiozzi, lei gli aveva detto che l’assunzione di alcuni farmaci l’avrebbe fatta stare meglio, cos Tim l’aveva accompagnata al tredicesimo piano, dove si trovava la sua suite. Il caldo eccessivo nell’ascensore all’inizio era stato registrato soltanto dal suo subconscio. Poi, quando avevano raggiunto il ponte di vetro, si era ricordato degli inquietanti rumori provenienti dal collo di Gaia e del fantasma di fumo nella cupola della hall. Quando aveva alzato la testa verso il soffitto, sopra di lui si estendeva una massiccia blindatura. Esterrefatto, si era chiesto da dove fossero spuntati i pannelli d’acciaio, concludendo che erano rimasti nascosti tra i vari piani, invisibili. Ma cosa stava succedendo lassu? In bagno, Lynn era stata colta da forti tremori, cos lui era stato costretto a metterle sulla lingua le pastiglie verdi e la capsula bianca che lei gli aveva indicato e a tenerle il bicchiere d’acqua. Lynn aveva bevuto, ansimando come una bambina. Il successivo attacco di tosse gli aveva fatto temere che la sorella vomitasse subito le pasticche, poi le medicine avevano iniziato a fare effetto. Un quarto d’ora piu tardi, Lynn era stata in grado di lasciare la suite. Us-
cendo, avevano incontrato Heidrun e Walo Ögi. «Cosa sta succedendo?» aveva chiesto lui con aria preoccupata. «Dove sono gli altri?» «Di sopra.» Lynn era cos pallida che poteva essere scambiata per la sorella di Heidrun. «Abbiamo provato a salire, ma e tutto sbarrato», aveva repli cato Ögi. «Sbarrato?» «Forse e meglio se venite a vedere», aveva proposto Heidrun. Al piano superiore, Tim si era reso conto della situazione. Un muro d’acciaio chiudeva la galleria, impedendo l’accesso a E2, uno degli ascensori per gli ospiti, e al collo di Gaia. La parte rimasta della scala a chiocciola terminava in una paratia, chiusa anch’essa. Tim aveva avuto la sensazione che la sua vista fosse annebbiata, come se la retina fosse coperta da un sottilissimo film. Aveva afferrato uno dei minuscoli brandelli neri che fluttuavano nell’aria e lo aveva sbriciolato tra le dita. «Fuliggine.» «Sentite questo odore?» aveva chiesto Ögi. «Sembra che ci sia stato un incendio.» Un’ondata di orrore aveva sommerso Tim. Le paratie chiuse avevano un unico significato: l’incendio non era ancora spento. Sopraffatti dall’angoscia, erano scesi al pianterreno e, giunti nella hall, avevano sentito i pressanti richiami di Michio Funaki. Lynn si era trascinata fino ai comandi, aveva attivato l’interfono e, facendo un cenno al fratello, si era lasciata cadere su una sedia. «Michio! Michio, mi sente? Sono Tim. Tim Orley!» «Mr Orley! Stavamo iniziando a temere che non rispondesse piu nessuno. È mezz’ora che cerco di contattare qualcuno.» «Mi spiace, abbiamo avuto... abbiamo dovuto risolvere un paio di problemi.» «Dov’e Dana Lawrence?» «Non e qui.» «Sophie?» «Non c’e neanche lei. Non c’e nessuno del personale. Solo gli Ögi, mia sorella e io.» «In questo caso temo che dovra continuare a risolvere problemi. Siamo chiusi dentro.» «Cos’e successso...» In quell’istante risuono la voce di Dana Lawrence: «Centrale, rispondete». Tim cerco di orientarsi tra gli indicatori lampeggianti. «Aspetti, Michio. Ho in linea Dana Lawrence. Solo un momento... Accidenti, come diavolo si usa questo aggeggio?» Lynn si alzo, lo spinse via e premette un pulsante che lampeggiava. «Dana? Sono Lynn.» «Finalmente! È mezz’ora che cerco di...» «Si risparmi questa frase, l’ha gia detta Michio. Dove si trova? » «Sono chiusa dentro. Nella spalla destra.»
«Bene, ci faremo vivi. Resti in linea.» «Ma io devo...» «Chiuda il becco e aspetti finche qualcuno non avra voglia di giocare con lei.» «Cos’ha detto?» Dana era furibonda. «A proposito, lei e licenziata.» Senza pensarci due volte, Lynn mise l’infuriata direttrice dell’hotel in standby. «Michio, sono Lynn Orley. Voglio un quadro preciso della situazione.» «Okay. Il Mama Quilla Club, il Luna Bar e il Selene sono accessibili. Il Chang’e invece e isolato e, secondo il computer, al momento non ci sono le condizioni minime di sopravvivenza. Con ogni probabilita, un incendio nel collo ha indotto il sistema automatico a sigillare il settore. Miss Winter ha visto una fiammata... » «Visto?» proruppe l’acuta voce di Miranda in sottofondo. «Sono stata abbrustolita!» «... ed e riuscita a salvarsi per un pelo.» Lynn si appoggio al pannello di comando. A Tim sembrava uno zombie che cercava di portare a termine un compito per il quale non era piu adatto da tempo. «Chi c’era nel collo, quand’e scoppiato l’incendio?» «Non lo sappiamo con certezza. A quanto pare, c’e stata una lite. I Donoghue sono scesi per controllare; inoltre abbiamo sentito la voce di Dana Lawrence e... la sua, Miss Orley. Sumimasen... Pero lei dovrebbe sapere meglio di chiunque altro chi si trovava l.» Lynn tacque per qualche secondo. «S, lo so», rispose con un filo di voce. «Almeno so chi c’era prima che io... me ne andassi. Le sue osservazioni sono corrette. L’incendio deve essere scoppiato subito dopo che io e Tim ce ne siamo andati...» Si schiar la voce. «Al momento chi c’e con lei?» Funaki elenco nove nomi e le assicuro che stavano tutti bene: solo Miranda Winter aveva riportato leggere bruciature. Tim rabbrivid al pensiero del collo isolato ermeticamente. Non osava nemmeno immaginare cosa fosse accaduto a Chuck, ad Aileen e a Kokoschka. «Grazie, Michio.» Le dita di Lynn si mossero agili sul touchscreen, reimpostando dispositivi di regolazione e modificando parametri. «Cosa stai facendo?» chiese Tim. «Arresto la convezione nel pozzo degli ascensori e nei condotti di ventilazione.» «Convezione?» ripete Ögi. «Il ricircolo dell’aria. L’incendio ha sviluppato una grandissima quantita di fumo. Dobbiamo impedire che i ventilatori lo distribuiscano nei vari ambienti, magari favorendo la diffusione del fuoco... Dana?» «Lynn, maledizione. Non puo trattarmi cos, io...»
«È sola?» «S.» «Cos’e successo?» «Io... okay, mi scuso per averla accusata ingiustamente prima, ma tutto faceva pensare che fosse lei la persona che stavamo cercando. A me sta a cuore la sicurezza dell’hotel, quindi...» «La pianti.» «Non ho avuto scelta. E lei deve ammettere che, negli ultimi tempi, il suo comportamento e stato quantomeno anomalo.» Dopo qualche esitazione, Dana riprese a parlare e la sua voce suono calda e comprensiva. «Nessuno la biasima per questo. Puo succedere a tutti di perdere le staffe, ma forse lei e malata, Lynn. Forse ha bisogno di aiuto. È sicura di avere il controllo della situazione? Lei si sarebbe fidata di se stessa?» Per un attimo, quel discorso demoralizzante sembro avere effetto. Lynn abbasso la testa, respirando con affanno. Poi cambio atteggiamento. «Mi basta sapere che ho lei sotto controllo, piccola intrigante che non e altro.» «No, Lynn, lei non capisce, io...» «Non le permettero di trattarmi cos una seconda volta, ha capito?» «Voglio solo...» «Basta! Cos’e successo nel collo?» «Sto cercando di dirglielo.» «Allora parli.» «Kokoschka. Lui ci ha traditi!» «Kokoschka?» «S, era il complice di Hanna.» «Dana!» s’intromise Tim. «Ne e sicura? Mi sembra di ricordare che volesse darmi qualcosa.» «Non ne ho idea, pero, s, e vero. Era furioso quando lei non gli ha prestato attenzione, sembrava che qualcosa non fosse andato per il verso giusto. Subito dopo che lei e Lynn siete andati via, e arrivata Ashwini Anand. Non so cosa avesse scoperto e come, ma ha accusato Kokoschka di essere un agente e lui... mio Dio, ha perso la testa. Ha tirato fuori una pistola e ha ucciso prima lei, poi Chuck e Aileen. Si e svolto tutto nel giro di pochi secondi. Ho cercato di disarmarlo, e sono partiti dei colpi, un serbatoio d’ossigeno ha cominciato a sputare fuoco e... ho iniziato a correre, volevo uscire di l prima che le paratie si chiudessero. Lui mi ha inseguito ed e rimasto incastrato. Ha preso fuoco. La galleria bruciava, tutto era avvolto dalle fiamme. Io...» La voce le mor in gola. Quando riprese a parlare, stava chiaramente cercando di recuperare il controllo di se stessa. «Sono riuscita a liberarlo, a chiudere la paratia e a
spegnere le fiamme nella galleria, ma...» «Santo cielo, e lei come sta?» Dana tossicchio. «Grazie, Tim. Ho un po’ di anidride carbonica nei polmoni, ma sto bene. La mia maschera mi consentira di sopravvivere finche la pressione non si stabilizzera e le paratie si apriranno.» «E Kokoschka?» «È morto. Non ho potuto chiedergli niente, purtroppo.» Sui volti di Heidrun e di Ögi erano dipinti orrore e incredulita. Lynn si stacco dalla console, fece un paio di passi, barcollo e si aggrappo allo schienale della sedia. «È colpa mia. È tutta colpa mia.» Gia da tempo, Nina Hedegaard si chiedeva se Julian non fosse un emulo del conte di Saint-Germain, l’alchimista e avventuriero che «non muore mai e tutto sa», come aveva scritto Voltaire a Federico il Grande, e quali misteriosi elisir ed essenze utilizzasse per sprigionare sempre la forza e l’entusiasmo di un trentenne. Durante i dodici mesi della loro relazione - nata quasi per caso sulle macerie di un breve legame con uno storico -, il misterioso conte era stato il personaggio preferito di Nina. Geniale giocatore d’azzardo, compagno di viaggio di Casanova, maestro di Cagliostro, era riuscito ad abbindolare persino la Pompadour, sostenendo di possedere un’acqua benedetta in grado di bloccare l’invecchiamento. Era nato all’inizio del XVIII secolo e ufficialmente morto nel 1784, pero i suoi biografi giuravano e spergiuravano di averlo incontrato ancora nel XIX secolo, vivo e vegeto. Ricco, eloquente, affascinante e, dietro la facciata del filantropo, assolutamente senza scrupoli: il ritratto di Julian. Nel XXI secolo, il conte di Saint-Germain aveva una stazione spaziale e un albergo sulla Luna, trasformava come sempre il piombo in oro, mutando col suo genio alchemico l’elio-3 in energia, creando tubi di carbonio anziche diamanti, tenendo il mondo in scacco e spezzando il cuore di una fragile pilota danese. Spossata dall’autocommiserazione, da sei notti di sesso, da discorsi inconcludenti sul futuro, da altro sesso e da tre ore di sonno per notte, Nina si era trasferita dalla piscina alla zona relax. Non aveva voglia di consumare un’altra opulenta cena al Selene e di recitare la parte dell’adorabile capocomitiva. La sola idea le faceva ribrezzo. O Julian chiariva la loro relazione prima di tornare sulla Terra, oppure poteva anche starsene a marcire nell’Aristarchus Plateau. Il malumore si trasformo in rabbia cocente. Non potevano comunicare. Il Ganymed non rispondeva. Ultimo avvistamento del conte nel 2025? Chi se ne frega. Non doveva essere sempre lei a chiedere di Julian. Era esausta e, all’improvviso, non sperava nemmeno che Julian la trovasse quando si fosse finalmente deciso a rientrare. In realta, voleva essere trovata, ma non subito. Prima lui doveva preoccuparsi per lei, stringere un cuscino vuoto, sentire la sua mancanza, crogiolarsi nei sensi di colpa: ecco cosa si meritava.
Come la piscina, anche la zona relax riproduceva la superficie lunare, piena com’era di piccoli crateri e di angoli nascosti. Avvolta nell’accappatoio, si era sdraiata su un lettino appartato ed era sprofondata subito in un sonno profondo e senza sogni, al riparo dallo sguardo di chiunque l’avesse cercata, con la coscienza sospesa al di la del tempo e dello spazio, russando leggermente e non sentendo altro che una pace celestiale. O forse nemmeno quella. Molti piani sopra di lei, si era scatenato l’inferno. Quand’era integro, il Gaia Hotel poteva essere paragonato a un organismo giovane e in piena forma, protetto da una serie di accorgimenti e dispositivi che lo proiettavano verso l’immortalita. Ma erano bastati alcuni proiettili vaganti perche i sistemi di controllo gli si rivolgessero contro. I serbatoi nascosti, concepiti per compensare un eventuale malfunzionamento del circuito biorigenerativo immettendo nell’atmosfera minuscole quantita di ossigeno, si erano trasformati in un fatale tallone d’Achille. Venti minuti dopo l’inizio della catastrofe, il serbatoio colpito aveva smesso di bruciare, ma altri sistemi di sicurezza continuavano ad alimentare il fuoco. Ormai, nella zona sigillata, la temperatura aveva superato i 1000 °C. Gli involucri delle bombole si erano fusi e avevano liberato ossigeno, il liquido di raffreddamento incendiato aveva fatto scoppiare le tubature e i rivestimenti delle pareti, in teoria ignifughi, erano diventati una poltiglia incandescente. A differenza che sulla Terra, le fiamme non tendevano verso l’alto, ma serpeggiavano come se fossero animate di vita propria, infiltrandosi in ogni angolo, compresa la cabina dell’ascensore E2, le cui porte non si erano chiuse in tempo perche ostruite dal corpo di Ashwini. Dei tre cadaveri rimanevano soltanto qualche grumo catramoso e delle ossa, tutto il resto era stato divorato dal mostro di fuoco: tessuti organici, materiali sintetici e piante, ma la sua fame non era stata placata. Mentre gli ospiti imprigionati nel Mama Quilla Club pianificavano la fuga con Lynn e Tim, Dana Lawrence prendeva a pugni la paratia chiusa e Nina Hedegaard, immersa nel sonno, si stava perdendo la catastrofe, le fiamme aggredirono il secondo serbatoio, le cui guarnizioni non resistettero e liberarono altri venti litri di ossigeno compresso, dando inizio alla seconda fase dell’inferno. In mancanza di altri materiali, il mostro inizio ad attaccare il vetro rinforzato della finestra e l’intelaiatura d’acciaio che sosteneva la testa di Gaia, indebolendola. Alle nove e un quarto le prime strutture portanti iniziarono a cedere. «Avete fatto benissimo a non usare l’ascensore.» La voce di Lynn nell’interfono suonava stanca e spossata, come se ogni forza l’avesse abbandonata. «Il problema e che qui sotto possiamo soltanto fare delle ipotesi. I sensori nel collo di Gaia non funzionano piu, e possibile che l’incendio non si sia ancora spento. Nel Chang’e il sistema antincendio potrebbe essere riuscito a spegnere le fiamme, ma l’ambiente e contaminato e si e prodotta una forte depressione: praticamente non c’e ossigeno. Secondo me, nell’arco di due ore i ventilatori riusciranno a ristabilire la pressione corretta, proprio come nel settore delle spalle.»
«Ma noi non possiamo aspettare due ore. Qui dentro fa molto caldo», replico Funaki lanciando un’occhiata a Rebecca. «D’accordo, in questo caso...» «E i condotti di ventilazione? Potremmo usare le scalette per scendere», propose il giapponese. «I dati che abbiamo sono contrastanti. Nel condotto est c’e stata una leggera perdita di pressione, forse e penetrato all’interno anche un po’ di fumo. Il condotto ovest sembra a posto. Per quanto riguarda gli ascensori degli ospiti, E2 e inutilizzabile, la cabina e bloccata nel collo, e l’ascensore del personale e nel sotterraneo. E1 e qui nella hall. Lo abbiamo utilizzato piu volte senza problemi.» «E1 non ci serve a molto», disse Funaki. «Finisce nel collo. Se dobbiamo usare un ascensore, l’unico che arriva fino al Selene e quello del personale.» «Un attimo.» Nella centrale parlarono sottovoce. Riconobbero prima Tim, poi Walo Ögi. «Vorrei ricordarvi che E1 ed E2 sono abbastanza distanti l’uno dall’altro», aggiunse Michio. «Anche se E2 e in fiamme, non dovrebbe rappresentare un pericolo per E1. L’ascensore del personale invece si trova proprio nel mezzo, e passa molto vicino a E2.» O’Keefe si chino sull’interfono. «Lynn, il fuoco puo raggiungere anche i pozzi degli altri ascensori?» Lei esito. «La probabilita e molto bassa. I pozzi sono collegati mediante dei passaggi, ma sono disposti in modo da impedire alle fiamme e al fumo di propagarsi con facilita. Inoltre il pozzo in se non puo incendiarsi.» «Cosa significa che non si propagano con facilita?» volle sapere Eva. «Significa che correremo il rischio di fare una prova», rispose Lynn con fermezza. «Vi mandiamo su l’ascensore del personale. Se il sistema non rileva condizioni di rischio, le porte dovrebbero aprirsi nel Selene. Poi lo riportiamo giu, esaminiamo l’interno e, se non ci sono problemi, lo rimandiamo su una seconda volta. A questo punto dovreste poterlo utilizzare.» O’Keefe scambio prima un’occhiata con Funaki, poi rivolse lo sguardo agli altri. Sushma cercava di mantenere una certa dignita nonostante il terrore, Olympiada si mordicchiava il labbro, Karla ed Eva diedero il loro tacito consenso. «Sembra sensato», disse Nair. Karla rise nervosamente. «S. Molto meglio dei condotti di ventilazione pieni di fumo.» «Va bene, proviamo», decise Funaki. «Dopo quello che ho visto non puo spaventarmi piu niente», cinguetto Miranda. La sensazione di avere un piano tranquillizzo il gruppo. Scesero tutti al Selene, dove la temperatura era sensibilmente piu alta. Funaki esamino le paratie che uscivano dal pavi-
mento. Nulla faceva presagire che il fumo o le fiamme sarebbero riusciti a farsi strada verso l’alto. Attesero. Poco tempo dopo sentirono l’ascensore. Le porte rimasero chiuse per quella che parve a tutti un’eternita, poi alla fine si aprirono senza un rumore. La cabina aveva lo stesso aspetto di sempre. Funaki fece un passo all’interno e controllo. «Sembra a posto. » Sushma si aggrappo al braccio del marito e gli rivolse uno sguardo implorante. «Hai sentito cos’ha detto? Non potremmo scendere gia ora?» «No.» Funaki, con una gamba ancora nella cabina, si giro e scosse la testa. «Dobbiamo rimandarlo giu vuoto. Come ha detto Miss Orley.» Le spalle di Sushma sussultavano per l’agitazione. «Ma e integro, no? Ogni volta che lo mandiamo su e giu puo diventare piu pericoloso. Voglio scendere adesso. Ti prego!» «Be’, tesoro, non lo so.» Nair guardo il giapponese, incerto sul da farsi. «Michio ha detto che...» «È una mia decisione!» Funaki fece una smorfia e si gratto dietro l’orecchio. «Vengo anch’io», disse Karla. «Cosa, vuoi scendere adesso?» chiese Eva. «Pensi davvero che sia una buona idea?» «Perche no? La cabina e riuscita a salire, quindi riuscira anche a riportarci giu. Sushma ha ragione.» «Vengo anch’io», dichiaro Rebecca. «Finn?» Ma l’interpellato aveva deciso diversamente: «Io resto». «Anch’io», si accodo Olympiada. Funaki guardo Miranda, che si passo una mano tra i capelli bruciacchiati. «Insomma, io credo nei presagi. Segnali inviati dall’universo, sapete. A volte bisogna prestare molta attenzione per coglierli, ma poi il cosmo ci parla e ci dice cosa dobbiamo fare.» «Ah», commento Karla. Con gentilezza O’Keefe chiese: «E cosa ti sta dicendo il cosmo in questo momento?» «Di aspettare. Insomma, che io devo aspettare. Posso parlare solo per me.» «Certo.» «Stiamo perdendo tempo», sollecito Funaki. «L’indicatore si e acceso, hanno gia richiamato l’ascensore nella hall.» Nair afferro la mano di Sushma. «Vieni!» Passarono accanto al giapponese ed entrarono nella cabina, seguiti da Rebecca, Karla e da Eva, che peraltro sembrava piuttosto scettica.
«Vieni anche tu?» le chiese Karla. «Credevi forse che ti avrei lasciata andare da sola?» «Non lasciate il Selene», grido Mukesh agli ospiti rimasti. «Ve lo rimandiamo subito.» Le porte si chiusero. Forse sono uno sconsiderato, penso O’Keefe. Un codardo? E provo la sgradevole sensazione di aver appena gettato al vento l’ultima occasione per salvarsi la pelle. «Terribile. Se penso a quello che e successo ad Aileen e a Chuck...» disse Eva sottovoce. «Cerca di non farlo», replico Karla senza guardarla. La cabina inizio a muoversi. «Sta scendendo», constato Rebecca. «Spero solo che riesca a fare anche un secondo viaggio», affermo Sushma preoccupata. «Gli altri avrebbero dovuto venire con noi.» «Non ti preoccupare, non ci saranno problemi», la tranquillizzo il marito. Provarono la familiare sensazione della perdita di peso. L’ascensore accelero, passo accanto... ... alla cabina dell’ascensore E2, il cui interno era incandescente, mentre il serbatoio dell’ossigeno continuava a sputare fuoco nei locali ormai deserti del collo di Gaia. Nonostante lo spessore, la vetrata frontale faticava a resistere al fuoco, tuttavia al momento la pressione spingeva verso l’interno, gonfiando la cabina in modo lento ma inesorabile. I pozzi degli ascensori erano separati da sottili pareti divisorie, intervallate da passaggi larghi un metro. Erano molto robuste, costruite in cemento lunare e concepite per resistere anche alle sollecitazioni estreme. Ma non cos estreme. Per oltre tre quarti d’ora all’interno della cabina si era progressivamente accumulata una tensione magnetostatica che, superata la soglia limite, si scarico con tale violenza distruttiva da far esplodere uno dei rivestimenti laterali con un rumore assordante, sventrando la parete del pozzo e propagandosi come uno shrapnel nel pozzo adiacente, col risultato che l’ascensore del personale si blocco. L’ascensore si fermo in modo cos improvviso che gli occupanti furono scagliati verso l’alto, per poi ricadere sul pavimento. Un attimo dopo, qualcosa colp il tetto della cabina facendola sussultare in modo preoccupante. «Cos’e stato?» Sushma si mise a sedere e si guardo intorno terrorizzata. «Cos’e successo?» «Siamo fermi!» «Mukesh?» La donna era in preda al panico. «Voglio uscire di qui. Voglio uscire subito di qui!»
«Stai calma, tesoro, di sicuro e tutto...» «Voglio uscire! Fatemi uscire!» Lui la prese tra le braccia e inizio a parlarle con voce calma e tranquilla. L’uno dopo l’altro si rimisero in piedi, i volti pallidi dalla paura. Rebecca fissava il soffitto. «Avete sentito quel rumore?» «Avevamo gia oltrepassato il punto critico, la galleria», disse Karla tra se, come se potesse cancellare la realta col ragionamento. «Qualcosa ci ha fermato.» Eva guardo gli indicatori. Le luci si erano spente. Premette il pulsante dell’interfono: «Pronto? Qualcuno mi sente?» Nessuna risposta. «Merda», esclamo Rebecca. «Voglio uscire», piagnucolo Sushma. «Vi prego, fatemi...» Ma Rebecca la aggred: «Smettila di darci sui nervi. Sei stata tu a metterci la pulce nell’orecchio, a convincerci a salire. È colpa tua se siamo bloccati qui». «Nessuno ti ha obbligato a seguirci, lasciala in pace», la rintuzzo Nair furibondo. «Vaffanculo, Mukesh.» «Ehi!» s’intromise Eva. «Non litigate, noi...» Qualcosa sopra di loro scricchiolo. Quindi lo scricchiolio fu sovrastato da un rumore cupo e stridente, seguito da un silenzio di tomba. Poi la cabina precipito. «Cosa avete fatto?» Lynn fissava lo schermo e la faccia di Funaki, che esprimeva un profondo sgomento. «Sono voluti salire a ogni costo», cerco di giustificarsi il giapponese. «Cosa avrei dovuto fare? Non siamo nell’esercito, le persone decidono in autonomia.» «Ma qualcosa e andato storto e abbiamo perso il contatto!» «Sono... si sono bloccati?» Lynn lancio un’occhiata a un diagramma sul monitor. Aveva notato l’improvviso arresto della cabina sotto la galleria, poi il simbolo dell’ascensore era scomparso. Nessuno parlo. Walo Ögi camminava avanti e indietro lungo la stanza, Heidrun e Tim fissavano il monitor come se potessero far ricomparire il simbolo con la forza del pensiero. Le facolta mentali di Lynn erano in stato di emergenza. Le droghe avevano prodotto il loro effetto narcotizzante, ma il dramma che si stava compiendo era oltre i limiti del sopportabile. Da un lato si sentiva annebbiata, un po’ ubriaca, dall’altro pero coglieva ogni dettaglio dell’ambiente circostante con inusuale e sconcertante chiarezza. Non esistevano piu percezioni primarie e secondarie. Tutti gli stimoli la investivano simultaneamente, e lei si sentiva sempre piu incapace di gestirli. I vari livelli di realta si sovrapponevano, si frammentavano, si
ricomponevano, creando scenari surreali e opere incomprensibili. Le ronzavano le orecchie. Per la centesima, la millesima, la milionesima volta si chiese perche si era fatta coinvolgere in tutto quello, perche si era fatta convincere a costruire stazioni spaziali e alberghi sulla Luna, invece di opporsi a Julian una volta per tutte e fargli capire che non era perfetta, non era sovrumana, forse non era nemmeno una persona sana di mente, e quel compito l’avrebbe uccisa. Forse soltanto un folle avrebbe potuto ideare quella follia, ma la gestione era un compito da affidare a persone lucide ed equilibrate, che giocavano e flirtavano con la follia senza pero sapere nemmeno lontanamente cosa implicasse. Per quanto tempo avrebbe resistito? Aveva mal di testa. Abbasso le palpebre e premette la punta delle dita sulle tempie. Doveva tenere duro, non poteva permettere che l’argine che tratteneva la marea nera si rompesse proprio ora. Era l’unica che conosceva perfettamente l’hotel. Lo aveva costruito. Tutto dipendeva da lei. Sopraffatta dal terrore, riapr gli occhi. Il simbolo era di nuovo sul monitor. «Aiuto! Qualcuno riesce a sentirci?» Mentre Eva premeva rabbiosamente il pulsante dell’interfono, Sushma si getto sulle porte dell’ascensore e tento di aprirle a mani nude. Il marito la tiro indietro e la strinse fra le braccia. «Voglio uscire di qui, per favore», imploro lei. L’ascensore era precipitato solo di un metro, abbastanza da terrorizzare i cinque occupanti. Si guardavano l’un l’altro, bianchi come cenci, come un gruppo di fantasmi che capiscono all’improvviso di essere morti da un pezzo. «Okay.» Eva lascio perdere l’interfono e cerco di far trasparire un simulacro di oggettivita, cosa che le riusc incredibilmente bene. «Adesso l’importante e mantenere la calma. Anche tu, Sushma. Mi hai capito?» Lei annu, il volto rigato di lacrime. «Bene. Non sappiamo cosa stia succedendo, non riusciamo a parlare con nessuno, quindi dobbiamo uscire e vedere.» «Non puo succedere niente di tanto terribile», ipotizzo Rebecca. «Voglio dire, con un sesto della gravita...» «Dodici metri sulla Luna sono come due metri sulla Terra, lo sai», sbotto Karla. «E noi ci troviamo piu o meno a centoventi metri dal suolo.» «Ascoltate!» Ci fu un terribile fragore, intervallato da ululati strazianti delle strutture aggredite dal fuoco. Eva alzo lo sguardo e noto uno sportello sul soffitto della cabina. Dopo una breve esitazione, aziono il meccanismo di apertura, ma per alcuni secondi non accadde nulla, facendole temere che pure quel dispositivo fosse danneggiato. Mentre gia cercava soluzioni alternative
per uscire, il portello inizio lentamente a sollevarsi; un bagliore rosso e arancione penetro nel vano e il rumore aumento d’intensita. Eva si rannicchio per prendere lo slancio, riusc ad afferrare il bordo dell’apertura, si isso e si arrampico sul tetto. «Mio Dio...» Sul lato destro, la parete divisoria era distrutta per un largo tratto, consentendole di vedere il pozzo adiacente. Cinque, forse sei metri sopra di lei stava sospesa la cabina incandescente e mezza distrutta dell’ascensore E2. Non c’era piu il rivestimento laterale, quindi era possibile intravedere l’interno, la fonte del rumore, che adesso era piu intenso. Degli spettri rossastri guizzavano sopra il soffitto in fiamme, nuvole di fumo e di fuliggine si addensavano piu in alto nel pozzo. Ovunque guardasse vedeva detriti. Un pezzo di metallo incandescente e contorto si trovava proprio davanti ai suoi piedi. Fece un passo indietro. Per quanto riusciva a vedere, le ganasce che frenavano l’ascensore si erano chiuse intorno ai binari; osservandole con piu attenzione, si rese conto che due erano bloccate da alcuni frammenti, forse danneggiate. Per il gran calore, grosse gocce di sudore le scorrevano lungo la fronte e il labbro superiore. Poi, all’improvviso, le manco l’appoggio sotto i piedi. Un urlo si propago dal basso, quando la cabina precipito di un altro metro. Eva riusc a non perdere l’equilibrio e vide che una ganascia si era aperta; anzi, dannazione, si era spezzata. Sebbene il panico si stesse impossessando di lei, cerco una via d’uscita. Adesso era all’altezza del bordo inferiore dell’accesso alla galleria. Infilo le dita nella fessura delle porte tentando di forzarle. Ma non ci sarebbe mai riuscita, perche erano paratie a chiusura ermetica. Finche non fossero state sbloccate dal sistema o da qualcuno all’esterno, i suoi tentativi erano un’inutile perdita di tempo. «Eva!» sent singhiozzare Sushma. «Cosa c’e?» Faceva fatica a ignorare quella povera donna, ma non era il momento di farsi carico dei problemi degli altri. Alla febbrile ricerca di una soluzione, noto, nella parete ancora intatta, un passaggio di un metro che conduceva al pozzo dell’ascensore E1. Ne scorse un altro - irraggiungibile - alcuni metri piu in alto, mentre quello inferiore era ostruito dai frammenti incandescenti e fumanti del rivestimento della cabina esplosa. Eva avvert una sgradevole pressione all’altezza del petto e si giro per esaminare il pozzo dell’ascensore E2. L’intera parte superiore della struttura divisoria era scomparsa: al suo posto c’era un buco enorme, il cui contorno affilato si trovava all’altezza della sua fronte. Si sollevo e vide dei binari verticali che conducevano verso il basso, scomparendo in un abisso ignoto. Tra i binari scorreva una fila di traverse, abbastanza larghe per aggrapparsi e appoggiare i piedi, mentre sull’altro lato del pozzo... c’era un passaggio. Un’apertura rettangolare che sbucava in un breve tunnel orizzontale. Eva credeva di sapere dove conducesse e, soprattutto, era abbastanza largo da consentire l’accesso a due persone contemporaneamente. Con un po’ di fortuna, avrebbero potuto raggiungerlo
utilizzando le traverse come passatoie. Intanto la cabina gemeva, il metallo graffiava il metallo. Nair si sporse dal portello e fisso incredulo il relitto in fiamme dell’ascensore E2. «Santo cielo. Cos’e successo qui?» «Tutti fuori!» L’esortazione di Eva suono come un ordine. «Fuori, presto! Ma state attenti al metallo incandescente.» «Cos’ha intenzione di fare?» chiese Nair. «Mi dia una mano.» L’ascensore cigolo e si abbasso leggermente, mentre dall’alto cadeva una pioggia di scintille. Eva percep le dolorose minuscole ustioni sulle mani e sugli avambracci. Per la cena, aveva deciso di mettersi un semplice top smanicato, e adesso rimpiangeva quella scelta. In fretta aiutarono Karla, Sushma e Rebecca a uscire, finche non furono tutti riuniti sul tetto. «Spogliatevi», disse Eva, sfilandosi il top. «T-shirt, camicie, tutto quello che potete avvolgere intorno alle mani.» La testa di Sushma ciondolava quasi senza controllo. «Perche? » «Perche ci bruceremo le zampe se non le proteggiamo.» Eva indico il passaggio con un cenno del capo. «Dobbiamo arrivare la. Sull’altro lato addossatevi alla parete. Ci sono delle traverse tra i binari dell’ascensore, vi ci potete aggrappare per usarle come sostegno. Non guardate in basso, e neanche in alto, ma solo davanti a voi. Sull’altro lato c’e un tunnel, credo che porti in un condotto di ventilazione.» «Non ce la faro mai», affermo Sushma con un filo di voce. «Invece s», replico Rebecca con decisione. «Ce la faremo tutti, e anche tu. E scusami per prima.» Sushma sorrise esitante. Senza indugiare, Eva strappo il tessuto sottile del top, che le era costato un occhio della testa. Avvolse le strisce di stoffa intorno alle mani e ai polsi e aiuto Karla a fare altrettanto con la sua T-shirt, mentre Nair assisteva sua moglie. Rebecca, rimasta in biancheria intima, imprecava per il cambio di destinazione d’uso del suo abito da cocktail. L’indiano le diede quanto restava della sua camicia. «Bene, io vado per prima», disse Eva. La cabina dell’ascensore sussulto. Lei afferro il bordo della parete divisoria distrutta, si isso e lo scavalco con una gamba. Non guardare in basso? Eva, Eva... Era piu facile a dirsi che a farsi. All’improvviso si sent in pericolo e il coraggio evaporo. Il pozzo si perdeva in un abisso senza fondo che non prometteva niente di buono, e anche le traverse ora le apparivano terribilmente sottili. Si costrinse a non alzare lo sguardo verso la cabina distrutta dell’ascensore E2. Allungo il brac-
cio, afferro una delle traverse e sent che il calore penetrava nella stoffa. Stringendo i denti, si arrampico sull’altro lato e poso i piedi sull’acciaio incandescente. Non proprio una passeggiata. Ma era in piedi. Oso fare un passo laterale, prosegu fino alla parete frontale del pozzo, scavalco l’angolo con una gamba e tasto il sostegno con la punta del piede, in cerca di un appoggio. La parte superiore del suo corpo s’inarco all’indietro e la stoffa delle bende improvvisate scivolo sull’acciaio della traversa. Per un momento temette di perdere la presa e involontariamente alzo la testa, fissando la parte inferiore della cabina in fiamme. L’ascensore E2 era sospeso proprio sopra di lei, nero e minaccioso. Si aggrappo con piu forza e con un passo raggiunse la parete opposta. Doveva fare in fretta. Il calore stava iniziando a bruciare attraverso le bende, di sicuro si stavano formando delle vesciche. Non avrebbe resistito a lungo l dentro, inoltre aveva il sospetto che il fumo si stesse propagando anche verso il basso. S’infilo tra il margine inferiore delle porte dell’ascensore e la parete, quindi riusc a oltrepassare anche il secondo angolo. Alla sua destra, a meno di un metro di distanza, c’era il passaggio che portava al condotto di ventilazione. Giro la testa con cautela e, all’altezza delle porte, vide Karla, seguita a breve distanza da Sushma, che teneva diligentemente il viso rivolto verso il muro senza guardare ne in alto ne in basso. Mukesh Nair era appena riuscito a raggiungere l’altro lato. L’uomo si aggrappo con la mano destra per aiutare Rebecca a issarsi. «Occupati di Sushma», disse lei ignorando la mano tesa. «Io ce la faccio anche da so...» Le sue parole furono sovrastate da un cigolio inquietante. Presa dal panico, Rebecca cerco freneticamente di scavalcare il bordo. Poi l’ascensore precipito con un rombo terrificante. «Tutto a posto?» La voce di Nair riecheggiava tra le pareti e fu inghiottita dall’abisso. Rebecca annu tremante. «Dio, com’e caldo.» «Aspetta, ti aiuto.» «No, ce la faccio. Prosegui.» Eva trasse un profondo respiro e si porto sotto il passaggio. Era piu in alto di quanto avesse valutato, ma dal muro sporgevano due pioli. Si sollevo sulle braccia ed entro, poi procedette a carponi e quasi subito ando a sbattere contro una piastra di metallo che chiudeva il passaggio. Accanto c’era un piccolo pannello di comando. Affidandosi alla fortuna, premette il pulsante di apertura ma, nello stesso istante, fu investita da un’ondata di terrore agghiacciante. Depressione. E se il fuoco e il fumo avessero gia consumato troppo ossigeno nel pozzo dell’ascensore?
Con enorme sollievo, vide la paratia scivolare di lato e liberare l’accesso a un tunnel di due metri per due, illuminato da una luce soffusa. Sulla sinistra c’era una scaletta. Si giro, striscio indietro e allungo le braccia verso Karla. «Qui dietro c’e il condotto dell’aria.» L’altra s’infilo nel passaggio accanto a lei. «Usa la scaletta per scendere. Da qualche parte ci sara sicuramente un modo per uscire.» «E tu cosa fai?» «Aiuto gli altri.» «Okay.» Sushma la guardo, combattuta fra la speranza e la paura di morire. «Non temere, cara. Adesso andra tutto bene», assicuro Eva. Preceduta da un sinistro scricchiolio e da un intenso rumore metallico, si abbatte su di loro una pioggia di scintille. Eva alzo lo sguardo e attraverso una fessura intravide il bagliore delle fiamme. Si chiese se il fuoco fosse sempre stato l. Sembrava che il fondo della cabina stesse iniziando a staccarsi dal resto della struttura. Oh, no... Non ancora, per favore. Anche Rebecca, allarmata, guardo in alto, mentre tentava di superare il secondo angolo. Le ginocchia le tremavano. Sushma inizio a piangere. Eva isso velocemente l’indiana all’interno del condotto, aiutata da Mukesh: l’uomo sembrava indeciso tra seguire sua moglie o aiutare Rebecca, che avanzava faticosamente centimetro dopo centimetro. «Coraggio, entra!» gli intimo Eva. «Penso io a Rebecca. Avanti, muoviti.» Lui obbed, le passo accanto e scomparve nel condotto di aerazione. Risuono un altro boato. La pioggia incandescente s’intensifico. Rebecca grido quando le scintille colpirono le spalle nude. Si addosso alla parete, paralizzata dalla paura. Eva si sporse verso di lei. «Rebecca!» «Non posso...» gemette lei. «Ci sei quasi!» Eva allungo il braccio verso la cinese tentando di afferrarla. «Non ci riesco!» «Ancora un pezzo. Dai, afferra il mio braccio.» Altri boati rimbombarono nel pozzo. Il fondo della cabina si gonfio ed esplose in diversi punti. No! penso Eva. Per favore, non ora... Si sporse il piu possibile. La cinese supero la paralisi e l’angolo, fece un altro coraggioso passo, si avvicino, afferro la sua mano destra, alzo gli occhi verso di lei... e piu in alto, verso il soffitto. Il tempo passava.
Il fondo dell’ascensore si stacco con un colpo secco. I tratti di Rebecca s’irrigidirono, pietrificati dalla consapevolezza che non ce l’avrebbe fatta. Per un attimo il suo sguardo indugio su Eva, che urlo: «No! No!» La cinese lascio la sua mano. Come se volesse salutare la propria fine, allargo le braccia e si lascio cadere nel pozzo. Eva reag d’istinto. Con una mossa fulminea si ritrasse e protesse la testa nascondendo la faccia tra i gomiti. Il fondo della cabina passo a pochi centimetri da lei, sprizzando fontane di scintille che le ustionarono gli avambracci, le mani e i capelli, senza che lei nemmeno se ne accorgesse. Nel pozzo si riverbero un boato terrificante. Incredula, Eva si sporse e vide la nuvola di fuoco diventare sempre piu piccola, finche non sembro implodere. Il sarcofago di Rebecca. Mentre lingue di fuoco si abbattevano dall’alto, Eva striscio nel condotto. I piedi trovarono i pioli della scaletta senza difficolta. Aziono meccanicamente un pannello di comando identico a quello del passaggio e il portello si chiuse senza far rumore. Sotto di se udiva delle voci e l’eco metallica dei passi sulla scaletta. Ogni immagine del futuro si era dissolta, era rimasta sospesa nel condotto, dove la temperatura si stava progressivamente alzando. Ma lei si sentiva gelare, come se il cuore pompasse acqua fredda. Non era piu in grado di formulare pensieri lucidi, neanche quando le lacrime iniziarono a solcare le sue guance scavate. «Eva?» Era Karla. «Eva, ci sei?» In silenzio, comincio a scendere. «Guardate!» Heidrun indicava il monitor col diagramma degli ascensori. Nel canale sinistro di E2 si muovevano alcuni puntini luminosi, che scomparvero per un attimo, poi ricomparvero, cambiando posizione. «Cos’e quello?» «Il condotto di ventilazione!» Lynn scosto i capelli sudati dalla fronte. «Sono nel condotto di ventilazione.» Nel frattempo, l’ascensore del personale era scomparso dallo schermo. Il computer segnalava che era precipitato. Su E2 non forniva nessuna informazione. «Se la caveranno da soli?» chiese Walo Ögi. «Dipende. Se il fuoco ha raggiunto il condotto, la perdita di pressione potrebbe bloccare le uscite.» «Be’, se l ci fosse un incendio, sarebbero gia morti.» «Anche nel pozzo dell’ascensore E2 c’e un incendio, ma sono riusciti ad attraversarlo e a raggiungere l’altro lato.» Lynn si massaggio le tempie. «Qualcuno deve andare nella hall, presto!» «Vado io», disse Heidrun. «Bene. A sinistra dell’ascensore E2 c’e un rivestimento in bambu...»
«Lo conosco.» «Il rivestimento e fissato a un binario: spostalo di lato. Dietro vedrai una porta con un pannello di comando.» Mentre la donna si dirigeva all’uscita, Lynn le grido ancora: «La porta da accesso a un breve corridoio, molto breve, neanche due metri, poi c’e un’altra porta. Da l...» «... si accede al condotto di ventilazione. Ho capito.» Heidrun attraverso di corsa la hall, passando sotto il modello del Sistema Solare. Armeggio con la copertura di bambu, la spinse di lato, esito. Poi le sue dita si fermarono appena prima di toccare il sensore, mentre il terrore risaliva strisciando la sua spina dorsale. Cosa avrebbe trovato dietro quella porta? Sarebbe stata investita dalle fiamme? Quello sarebbe stato il suo ultimo momento di coscienza, il suo ultimo ricordo di una vita? La paura si dissolse. Heidrun aziono il pulsante. La porta si apr e fu investita da una folata d’aria fresca. Entro nel corridoio, apr la seconda porta, allungo il collo e guardo verso l’alto. Una prospettiva surreale. Pareti, scalette e luci di emergenza salivano verso un punto di fuga invisibile. Intravide delle persone sulla scaletta. «Qui sotto! Sono qui!» Miranda Winter aveva perso la sua proverbiale tranquillita. «Rebecca?» singhiozzo. In un attimo di razionalita, O’Keefe penso che era una delle poche donne che non perdevano il loro fascino neanche quando si scioglievano in lacrime. C’erano persone che, nei momenti di sofferenza, assumevano espressioni da rana, altre invece sembravano sull’orlo di un irrefrenabile scoppio di risa. Le sopracciglia assumevano forme bizzarre, nasi solitamente gradevoli si gonfiavano fino ad assumere l’aspetto di foruncoli bagnati. Aveva assistito a ogni metamorfosi, ma la disperazione di Miranda manteneva un tocco erotico, accentuato dal trucco che, colando, disegnava sul viso lunghe righe nere. Perche gli passavano per la testa certe idee? Era nauseato dai suoi stessi pensieri. Manovre diversive per impedirgli di fermarsi a riflettere. A che scopo? Perche il lutto creava una certa intimita tra le persone che lo condividevano, e perche lui considerava l’intimita con diffidenza? Era davvero meglio stare al Madigan’s Pub in Talbot Street solo come un cane e ubriaco, giusto per mantenere le distanze? «Allora, noi useremo i condotti di ventilazione», riassunse Michio Funaki cercando di mantenere la calma. «Non il condotto ovest», disse Lynn dal monitor. «È troppo vicino all’ascensore E2, inoltre i sensori segnalano la presenza di una grande quantita di fumo. Provate sull’altro lato, l sembra tutto a posto.» Il giapponese deglut. «E come stanno gli altri? Se la sono cavata? » Lynn tacque e abbasso lo sguardo. O’Keefe noto che aveva un aspetto terribile, come se fosse solo un involucro che assomigliava a Lynn e che nascondeva qualcos’altro. Qualcosa che non avrebbe mai voluto in-
contrare. «Stanno bene», rispose lei con voce atona. L’altro annu, oppresso dai sensi di colpa. «Allora adesso apriamo il condotto est.» «Scendete fino alla hall, Michio. Lei sa dov’e l’uscita.» Ormai non c’era piu niente che potesse bruciare. Anche il secondo serbatoio si era svuotato, dei tre cadaveri non restava altro che un mucchietto di cenere. Ma l’incendio non accennava a spegnersi. Nel frattempo il fumo stagnava nel pozzo dell’ascensore del personale, perche l’arresto dei ventilatori ne aveva bloccato la diffusione. Tuttavia le differenze di temperatura erano il motore di un vero e proprio sistema di riciclo, inoltre nei materiali deformati si sviluppavano sempre nuovi focolai, e infatti il pozzo attraversato dal gruppo di Eva un quarto d’ora prima era adesso completamente privo di ossigeno e pieno di fumo. All’altezza dei resti fusi della cabina, le paratie ermetiche del condotto di ventilazione ovest si erano liquefatte, mentre le paratie del condotto est resistevano. Nel collo di Gaia la temperatura era ancora a livelli da altoforno, e contribuiva a diminuire drasticamente la resistenza dei montanti in acciaio che sostenevano la testa. Di nuovo il mento di Gaia s’inclino leggermente verso il basso, e stavolta... ... il movimento fu percepito da tutti. «Il pavimento si e mosso», sussurro Olpympiada Rogaceva aggrappandosi al braccio di Miranda, che smise subito di piangere. «Di sicuro perche la struttura e elastica», disse lei tirando su col naso e dando dei colpetti rassicuranti sulla mano della donna. «Non ti preoccupare, cara. Anche i grattacieli sulla Terra si muovono, sai, a causa dei terremoti.» O’Keefe fissava l’esterno con la bocca asciutta. «Tu sarai elastica. Il Gaia Hotel di sicuro no.» «Come fai a saperlo? Michio, cosa...» «Non c’e tempo!» Funaki era in cima alle scale e agitava le braccia nella loro direzione. «Presto, venite!» «Forse siamo vittime di un’isteria di massa», spiego Miranda a una confusa Olympiada, mentre seguivano il giapponese attraverso il Luna Bar diretti al Selene. Il pavimento si mosse di nuovo. «Chikusho!» sibilo Funaki. Le conoscenze di giapponese di O’Keefe erano inesistenti, ma dopo giorni e giorni in compagnia di Momoka Omura aveva acquisito familiarita con le imprecazioni. «Ècos grave?» «Molto. Non dobbiamo perdere nemmeno un secondo.» Funaki prese da un armadietto quattro maschere per l’ossigeno e poi si avvicino a una delle due colonne che, fino a quel momento, per O’Keefe erano semplici elementi decorativi, rivestiti di olografie di costellazioni.
Quando il giapponese spinse via il rivestimento, comparve un portello alto come un uomo. «Il condotto di ventilazione!» esclamo O’Keefe. «Esatto. Inizia qui. Incrociamo le dita. La centrale crede che all’interno non ci sia fumo e che la pressione sia stabile.» Distribu le maschere. «Comunque e meglio indossare queste, non si sa mai. Passatele sopra la testa e fatele aderire bene per proteggere gli occhi... No, al contrario, Mrs Rogaceva. Miss Winter, potrebbe aiutarla, per favore? Grazie. Mr O’Keefe, posso vedere? S, cos. Molto bene.» Funaki indosso la propria maschera, controllo che fosse posizionata correttamente e continuo a parlare con la voce attutita: «Non appena il portello si apre, io vado dentro. Aspettate il mio segnale, poi seguitemi in fila indiana, prima Mrs Rogaceva, poi Miss Winter e per ultimo Mr O’Keefe. La scaletta ci portera direttamente nella hall. Restate sempre dietro di me. Ci sono domande?» Nessuno ne aveva. Funaki aziono il sensore, fece un passo indietro e attese. Il portello si apr. Un’ondata di calore li invest. O’Keefe si avvicino al giapponese e guardo giu. Videro un condotto illuminato senza fine. «Via libera.» «Aspettate il mio segnale.» Funaki appoggio i piedi sui pioli della scaletta, si aggrappo ai montanti e inizio a scendere. Dopo circa cinque metri, si fermo e diede via libera. «Okay, tutto bene. Venite.» «Olympiada, tesoro!» Miranda la abbraccio e la bacio sulla fronte. «Tra poco saremo al sicuro, dolcezza.» Abbasso la voce: «E dopo lo lasci. Hai capito? Non hai bisogno di lui. Lascialo. Nessuna donna ha bisogno di un uomo del genere». I legami chimici si spezzarono. Per fondere l’acciaio sarebbero state necessarie temperature piu elevate, ma il calore fu sufficiente per trasformare alcuni sostegni in una specie di caucciu, che inizio a deformarsi sotto il peso dell’intelaiatura sovrastante. La testa di Gaia comprimeva gradualmente i materiali indeboliti, producendo tensioni alle quali la vetrata frontale e i pannelli in cemento lunare, gia sottoposti a sforzi troppo intensi, non riuscirono a resistere oltre. Tra i pannelli del doppio vetro, l’acqua evaporata dilatava le strutture e, senza preavviso, uno dei moduli di cemento si spezzo per tutta la lunghezza. Il mento di Gaia si piego, appoggiandosi sulla vetrata frontale. L’una dopo l’altra, esplosero la vetrata interna e quella esterna. Frammenti di vetro e vapore acqueo furono scagliati nel vuoto, trascinando con se i componenti diventati instabili, parti di sistemi di sopravvivenza e cenere. L’atmosfera artificiale si distribu come una nuvola intorno al collo di Gaia e si disperse nel calore dei raggi solari. Ma gran parte della struttura era in ombra, cosicche in quel punto l’aria si cristallizzo, mentre il gelo del cosmo penetro all’interno, spegnendo in un istante le fiamme e raffreddando l’acciaio in modo talmente rap-
ido che quello s’irrigid in una massa friabile. I montanti resistettero solo per una frazione di secondo e poi collassarono. La testa di Gaia era trattenuta unicamente dal tirante principale della massiccia spina dorsale d’acciaio, fino a quel momento sottoposta a sollecitazioni inferiori. Gli ultimi resti della vetrata frontale si frantumarono, il mento si abbasso ancora, sopra le spalle esplose il rivestimento isolante, i moduli di cemento scoppiarono e nel condotto di ventilazione si apr una voragine. O’Keefe fu spinto contro un tavolo. Olympiada, che si stava apprestando a entrare nel condotto, fu scagliata contro Miranda e la trascino a terra con se. Precipitiamo... penso l’attore. La testa si sta staccando. In preda al terrore, cerco di rialzarsi, di trovare un appiglio. Con la destra riusc ad afferrare il portello. «Nel condotto! Presto!» Michio Funaki lo fissava con gli occhi sbarrati e tento di risalire, ma qualcosa lo tratteneva. Urlo e allungo un braccio. O’Keefe cerco di prendere la mano del giapponese, quando all’improvviso lo assal la terrificante sensazione di guardare nelle fauci di un essere vivente. I capelli, i vestiti, tutto inizio a svolazzare. Fu investito da un violento risucchio, e allora comprese cosa stava accadendo. L’aria stava uscendo dalla testa di Gaia. Da qualche parte nel condotto doveva essersi aperto un buco. Il vuoto minacciava d’inghiottirli. Si aggrappo al portello per raggiungere la mano di Funaki, che stava cercando di risalire i pioli della scaletta. Con la coda dell’occhio, O’Keefe vide la paratia iniziare a muoversi verso di lui: il maledetto sistema di sicurezza automatico. Il portello si stava chiudendo per evitare che morissero tutti, ma lui non poteva abbandonare Funaki. Delle mani afferrarono i suoi vestiti, impedendogli di essere risucchiato verso il basso. Miranda e Olympiada urlavano come forsennate. Il portello si avvicinava. Allungo il braccio il piu possibile, le sue dita sfiorarono per un attimo quelle del giapponese... che fu strappato via dalla scaletta e scomparve con un grido straziante nell’abisso. Le donne lo tirarono via. Il portello si chiuse con un colpo, sfiorandogli la faccia. Spossati, si aiutarono a vicenda a rimettersi in piedi sul pavimento inclinato del ristorante. Rumori e gemiti spettrali provenivano dalle profondita di Gaia: presagi di una sventura ancora piu grande. Dana Lawrence ud gli stessi rumori proprio sopra di se. Un violento sussulto l’aveva fatta cadere, seguito da un brusio di voci, che si era subito spento. La galleria sembrava riecheggiare ancora dei boati simili a esplosioni che avevano preceduto il fragore. L’intero edificio aveva oscillato come un diapason, per poi stabilizzarsi, e ora regnava un lugubre silenzio di tomba, rotto solo dai gemiti e dai lamenti provenienti dal soffitto, simili a quelli dei gatti in calore. Corse verso la paratia e assesto un colpo violento al meccanismo di apertura. Non ac-
cadde nulla. «Lynn!» Nessuna risposta. «Lynn! Cosa sta succedendo?» Ancora niente. «Avanti, mi dica qualcosa! Non voglio morire qui dentro!» Si guardo intorno. Nella galleria la visibilita era tornata normale, i ventilatori avevano svolto al meglio il loro compito. Presto la pressione sarebbe tornata a livelli accettabili, ma, se al piano superiore era successo quello che temeva, anche il settore dove ora si trovava rischiava di essere sepolto dal peso della testa. Doveva uscire. Doveva riprendere il controllo della situazione. «Lynn!» «Dana.» La voce di Lynn era metallica come quella di un robot. «C’e stata una serie d’incidenti. Aspetti il suo turno.» Dana si lascio cadere, esausta, contro la parete. Quella maledetta stronza. Ovviamente non le si poteva rimproverare nulla, aveva tutte le ragioni per essere arrabbiata, tuttavia provo un odio bruciante per la figlia di Julian. Contrariamente alla sua natura, inizio a considerare la cosa un fatto personale. Lynn aveva scatenato quel disastro. Aspetta che ti metta le mani addosso, penso. PROMONTORIUM HERACLIDES, MONTES JURA, LUNA Verso le undici, di colpo Momoka Omura si fermo. «Se e precipitato, deve essere qui.» Julian, che procedeva davanti a lei, rallento a sua volta. Parcheggiarono i veicoli sulla pianura del Mare Imbrium illuminata dal sole. A sinistra della distesa di basalto si ergeva il Promontorium Heraclides con le propaggini meridionali dei Montes Jura, i ripidi avamposti del Sinus Iridum, la baia dell’arcobaleno. Era fin troppo scontato immaginare di essere seduti su imbarcazioni da diporto anziche su rover e di guardare la terraferma cullati dalle onde: mancava giusto un po’ di colore e la pittoresca figura di un faro sulla scogliera. A rendere l’illusione ancora piu perfetta, le registrazioni satellitari mostravano ampie onde piatte che penetravano nella baia dell’arcobaleno. Registrazioni in realta datate, dato che con l’estrazione dell’elio-3 il tempo sul Sinus Iridum era cambiato. Ora un fitto banco di nebbia nascondeva le onde protendendosi verso l’entroterra. Dal punto in cui si erano fermati, potevano vedere la nuvola di polvere in lontananza, un velo grigio senza contorni steso come una coperta sul mare di pietra. «Non potrebbe aver seguito un’altra rotta?» chiese Evelyn. «È possibile.» Julian rivolse uno sguardo al cielo, come se Warren Locatelli avesse scritto un messaggio per loro nelle stelle.
«Anzi e addirittura probabile», aggiunse Oleg Rogacev. «Era in difficolta con lo shuttle, quindi potrebbe essere andato alla deriva.» «Dov’e esattamente l’impianto di estrazione?» chiese Amber. «Laggiu.» Julian indico la nube di polvere. «A circa cento chilometri da qui, tra il Promontorium Heraclides e il Promontorium Laplace, a nord.» «A proposito, come siamo messi con l’ossigeno?» «Bene, considerate le circostanze. Il problema e che non possiamo piu affidarci alle mappe.» Amber controllo la cartina geografica. Finora aveva avuto il vantaggio di una visuale perfetta. Ogni cratere e ogni altopiano segnalati sulla mappa erano puntualmente apparsi all’orizzonte, consentendole di determinare la loro posizione, ma quel nebbione polveroso avrebbe molto limitato la sua capacita di orientamento. «Quindi dovremmo cercare di non perderci», dichiaro Evelyn. «E Warren? Cosa facciamo con Warren?» insistette Momoka. «Be’, non saprei», rispose esitante Julian. «Un commento davvero costruttivo, grazie!» ringhio lei. «Cosa ne direste di cercarlo?» «Non possiamo prenderci questo rischio, Momoka.» «Perche no? Dobbiamo comunque arrivare fino al promontorio. » «E da l dobbiamo dirigerci verso la stazione senza deviazioni. » «Non sappiamo nemmeno se e precipitato», obietto Evelyn. «Forse...» Momoka non riusc piu a contenere la rabbia: «Certo che e precipitato! Non prendiamoci in giro. Siete davvero in grado di proseguire a cuor leggero, sapendo che lui e imprigionato in un relitto con quel pezzo di merda di Carl?» «Ma questa regione e vastissima», protesto Evelyn. «Potrebbe essere ovunque.» «Pero...» «Non lo cercheremo, non posso assumermi questa responsabilita », sentenzio Julian. «Sei uno stupido!» «Sarebbe stupido non riuscire a raggiungere l’impianto di estrazione a causa tua», rincaro Evelyn, chiaramente irritata. «Nessuno qui se ne frega di Warren, ma non possiamo perlustrare l’intero Mare Imbrium e consumare tutto l’ossigeno.» Rogacev si schiar la voce. «Avrei una proposta. Su un punto Momoka ha ragione: per raggiungere l’asse di collegamento, dobbiamo in ogni caso arrivare fino al promontorio. Lo costeggiamo per un tratto e teniamo gli occhi aperti. Diciamo per tre, quattro chilometri, poi proseguiamo verso l’impianto di estrazione. » «Sembra sensato», commento Evelyn.
Julian riflette qualche secondo. Per il momento non avevano ancora avuto bisogno di ricorrere alle riserve di ossigeno. «S, credo che sia fattibile», ammise a malincuore. Si inoltrarono nella baia, tenendo la catena montuosa sulla sinistra. Dopo pochi minuti, raggiunsero una fossa trasversale che sembrava nascere dalla nebbia. Julian rallento. «Quella non e una fossa», affermo Rogacev. Studiarono il profondo solco, tracciato nella regolite come una ferita. «È fresco», constato Amber. Momoka si alzo e fisso la nebbia in lontananza, finche, con un sussurro, non indico: «La». Nel punto in cui la pendice del promontorio saliva verso la catena montuosa, un relitto metallico riposava inclinato sul pendio. Rifletteva la luce solare: era un oggetto piccolo, lungo, una sagoma familiare. Si trovava proprio alla fine del solco. Julian diede gas. Procedeva a tutta velocita, tuttavia Momoka lo sorpasso. La pendenza era dolce, facile da superare per i rover che, dotati di sospensioni flessibili, s’inerpicarono. Non ebbero piu dubbi che si trattasse del Ganymed. Era arenato tra mucchi di detriti e incastrato fra alcune rocce piu grandi. Il vano di carico era aperto. Non lontano dalla rampa era sdraiato un uomo, la testa e le spalle immerse nell’ombra. Mentre Julian stava ancora pensando a come fare per tenere lontana Momoka, lei era gia saltata giu dal veicolo e si arrampicava a balzi lungo il pendio. La sent respirare affannosamente nel casco, poi la vide cadere in ginocchio. La parte superiore del suo corpo fu inghiottita dall’ombra, poi negli altoparlanti risuono un grido acuto e spettrale. «Evelyn», disse Julian su una frequenza separata. «Cedo che tu sia piu brava in queste cose.» «Okay», replico lei con voce angosciata. «Me ne occupo io.» SINUS IRIDUM, LUNA Considerati tutti gli ostacoli che aveva dovuto affrontare, Carl Hanna non si aspettava certo di raggiungere l’impianto di estrazione senza problemi. Conosceva fin troppo bene la legge di Murphy. L’asse danneggiato del buggy di sicuro si sarebbe spezzato nel momento peggiore, e infatti accadde a quindici chilometri dalla meta. Inoltre, quasi fosse una beffa, si ruppe su un tratto pianeggiante. In ogni caso, la regola fondamentale per sopravvivere era pensare positivo. Poteva gia essere contento del fatto che quella carretta avesse resistito tanto a lungo. E poi lui aveva un senso dell’orientamento eccezionale. Nonostante la visibilita pessima, era sulla strada giusta, di quello era sicuro. Proseguendo in linea retta avrebbe raggiunto l’impianto di estrazione in circa un’ora, anche se da quel momento in poi doveva fare molta attenzione. La polvere nascondeva pericoli che, muovendosi a piedi, sarebbero stati ancora piu insidiosi. Era meglio mantenere le distanze. I maggiolini erano lenti, ma gli agili ragni di filigrana spesso tendevano agguati a sorpresa.
Hanna controllo la situazione. In lontananza vide un’ombra spettrale sfrecciare sulla pianura. Lui sal sulla piattaforma di carico, prese due zaini di sopravvivenza e s’incammino. PROMONTORIUM HERACLIDES, MONTES JURA, LUNA Mentre Evelyn tentava di consolare Momoka, Julian, Amber e Rogacev controllarono l’interno dello shuttle e l’ambiente circostante: nessuna traccia di Carl Hanna. «Come ha fatto ad andarsene?» si meraviglio Amber. «A bordo del Ganymed c’era un buggy», affermo Julian mentre girava intorno al relitto. «Gia, e io so anche da che parte e andato», esclamo Rogacev dall’altra estremita dello shuttle. «Venite a vedere.» Pochi secondi piu tardi, erano radunati accanto al solco scavato dal Ganymed durante l’atterraggio di fortuna. La loro attenzione si concentro su... «Tracce di pneumatici», sentenzio Julian. «Il tuo buggy», confermo Rogacev. «Carl ha percorso il solco per scendere e poi si e inoltrato nella pianura. Non so quanto sia pratico della zona, ma cos’altro potrebbe interessargli se non il posto in cui vogliamo andare anche noi?» «S, quel porco se l’e squagliata!» Momoka stava scendendo con Evelyn lungo il pendio dove si trovava il cadavere di Locatelli. «Momoka», esord Julian. «Mi dispiace immensamente...» «Lascia perdere. Niente condoglianze e corone di fiori, per favore. Adesso l’unica cosa che m’interessa e ammazzarlo.» «Lo seppelliremo.» «Non c’e tempo.» La voce della donna suonava piatta e gelida come quella di un messaggio registrato. «Ho guardato Warren in faccia, Julian. E sai una cosa? Lui mi ha parlato. Non qualche stupido messaggio dall’aldila, niente cazzate del genere. Parlerebbe anche a te, se tu ti prendessi la briga di andare da lui. Devi solo guardare la sua faccia. È cambiato un po’, ma puoi sentirlo dire che gli esseri umani non dovrebbero essere qui. Questo non e il loro posto. Non il nostro... e neanche il tuo.» «Momoka, io...» «Mi ha detto che non avremmo mai dovuto accettare il tuo invito!» Ma l’avete fatto, penso Julian. «Carl e diretto verso l’impianto di estrazione», disse Amber. «Perfetto. Tanto dobbiamo andare la anche noi, no?» affermo Momoka incamminandosi verso i rover. «No, aspetta», obietto Julian. Lei si fermo. «Prima avevate tutti una gran fretta.»
«Nel vano di carico dello shuttle ho trovato altre riserve d’ossigeno. Quindi abbiamo il tempo necessario per dargli una sepoltura dignitosa...» «Molto gentile da parte tua, ma Warren e gia sepolto. Carl gli ha aperto la pancia e gli ha tolto il casco. Non c’e nessun motivo per sottoporlo anche alla lapidazione.» Per un secondo tutti tacquero. «Allora, andiamo?» chiese lei. «Guido io», disse Evelyn. «Anch’io potrei...» si offr Rogacev. «Nessuno di voi si mettera alla guida», dichiaro risoluta Momoka, appannando l’interno della visiera. «D’accordo.» Julian rivolse lo sguardo verso la pianura. «Dal momento che manca il collegamento satellitare, passero tutti e quattro su un’unica frequenza. Da questo momento nessuno potra piu sentirci, neanche Carl, in caso gli arrivassimo troppo vicino. Speriamo che serva a qualcosa.» GAIA HOTEL, VALLIS ALPINA, LUNA «Deve pur esserci un modo!» Tim aveva perso la cognizione del tempo. I secondi duravano un’eternita e un’ora era un attimo fuggente, tanto da farli sentire scoraggiati e inermi. Se la morte dei loro compagni di viaggio almeno li aveva distratti dal pensiero della bomba, dopo aver informato gli altri sul pericolo incombente quella minaccia si era reimpossessata delle loro menti. Tuttavia Lynn sembrava acquistare vigore a mano a mano che la situazione diventava piu critica. Non perche si sentisse meglio, ma le catastrofi, le catastrofi reali, sembravano avere un effetto esorcizzante sui demoni che vivevano nella sua testa. Allora Tim comprese che non erano altro che il frutto d’ipotesi, figli del «cosa succederebbe se», armati con gli strumenti di tortura della mancata realizzazione. Provava una profonda pena per la sorella. La paura che la sua opera potesse rivelarsi imperfetta le era costata l’equilibrio mentale. Ormai Tim era sicuro che il proprio disagio, alimentato dai sospetti di Dana Lawrence, si fondava su un tragico malinteso. Lynn non stava cercando di arrecare danno alla sua stessa creatura e ai suoi ospiti. Il suo spirito era sul punto di disgregarsi, ma al momento non avrebbe potuto accaderle niente di meglio che essere costretta ad affrontare la realizzazione dei suoi peggiori incubi. Lynn aveva persino messo al corrente Dana Lawrence, la sua nuova nemica giurata, degli ultimi sviluppi, per chiederle consiglio. «Abbiamo dato un’occhiata alle immagini delle telecamere esterne. A quanto pare, le fiamme hanno provocato un crollo parziale dello scheletro d’acciaio di Gaia all’altezza del collo. Pertanto l’incendio dovrebbe essere spento; in compenso adesso abbiamo gravi problemi statici. Lassu ci sono diverse perdite.»
L’altra tacque. «Avanti, Dana. Ho bisogno di un consiglio», insistette Lynn. «Lei cosa pensa?» «Che Miranda, Olympiada e Finn hanno un’unica via d’uscita, che non conduce verso il basso.» «La terrazza panoramica?» «Esatto. Devono uscire attraverso la camera di decompressione nel Mama Quilla Club.» «Ci sono due problemi. Primo, non c’e modo di scendere dal lato esterno della testa.» «Invece s. Abbiamo previsto una scala avvolgibile per le emergenze.» «Non e installata.» «Perche no? Le norme di sicurezza...» «Per motivi estetici. Una sua disposizione», aggiunse Dana con asprezza. «Potremmo montarla, ma nelle condizioni attuali sarebbe un’operazione assai complicata che richiederebbe un sacco di tempo.» «Il secondo problema e piu grave», s’intromise Finn O’Keefe, collegato con loro. Almeno i cavi in fibra ottica erano ancora integri. «Quassu non ci sono tute spaziali. Senza tute la terrazza ci serve a poco.» «Non possiamo portarle di sopra?» Walo Ögi continuava a camminare avanti e indietro per la stanza, con passi precisi e misurati. Era l’unico degli ospiti rimasto nella centrale. Gli altri erano seduti nella hall e cercavano di riprendersi con l’aiuto di Heidrun. «E1 dovrebbe funzionare ancora.» «E1 arriva solo fino al collo», obietto Tim. «Lasciate perdere», dichiaro Lynn. «Il pozzo e stato chiuso ermeticamente per proteggere i settori inferiori dal vuoto. In seguito alle modifiche strutturali, le porte non si aprirebbero comunque. Esiste una sola possibilita.» «La camera di decompressione», completo Dana. «Esatto.» Lynn si mordicchio il labbro. «Dall’esterno. Dobbiamo portare le tute spaziali utilizzando la camera di decompressione che da sulla terrazza.» «Prima dovete riuscire a portarle su», disse O’Keefe. «Qui sopra scricchiola tutto. Dovete fare presto. Non so per quanto tempo la testa reggera ancora.» «Il Kallisto», sugger Dana. «Portatele su col Kallisto.» «A proposito, dov’e Nina?» chiese Tim. Lynn lo guardo sorpresa. Nella frenesia dell’emergenza si erano completamente dimenticati dell’astronauta danese. «Non era con voi al bar?» «Nina? No.» rispose O’Keefe.
«Forse qualcuno l’ha vista... Accidenti!» Ogni traccia di colore era scomparsa dal volto di Lynn. «Ci vuole qualcuno in grado di pilotare il Kallisto con estrema precisione. Dobbiamo andare a cercarla!» «Non possiamo aspettare cos tanto», insistette O’Keefe. Lynn cerco di respirare, nel tentativo di combattere il panico che la stava assalendo. «In questo caso... potremmo... abbiamo dieci grasshopper in garage. E quasi tutti avete gia guidato uno di quegli affari almeno una volta.» «S, a pochi metri dal suolo», obietto Dana. «Se la sente di prendersi questa responsabilita? Salire con un grasshopper per piu di centocinquanta metri ed atterrare sulla terrazza?» «L’atterraggio non e un problema, ma l’altezza...» intervenne Tim. «L’altezza potrebbe essere il problema minore, in teoria con quei veicoli si potrebbe volare anche nello spazio. Ma Dana ha ragione. Io non me la sento. Non nelle mie condizioni. Non riuscirei a mantenere la calma.» Era la prima volta che Lynn ammetteva il proprio malessere in modo tanto schietto. Tim non l’aveva mai vista cos. Lo considero un buon segno e disse: «D’accordo. Quanti ce ne servono? Ogni grasshopper puo trasportare un passeggero, quindi tre, giusto? Tre piloti. Io mi offro volontario. Walo?» «Non sono mai andato cos in alto, ma se Lynn ritiene che si possa fare...» Tim ando nella hall e richiamo l’attenzione battendo le mani. «Mi serve un volontario. Ci serve un pilota per il terzo grasshopper. » «Vengo io», disse Heidrun, senza sapere di cosa si trattava. «Sei sicura? Dovrai atterrare con quell’affare sulla testa di Gaia. Te la senti?» «In linea di massima mi sento di fare tutto...» «Non hai problemi di vertigini?» «... essere sicura di riuscirci e un altro paio di maniche.» «No, non lo e. Devi riuscirci. E devi sapere adesso se lo puoi fare, altrimenti...» Lei si alzo e si scosto i capelli candidi dalla fronte. «Altrimenti niente. Ce la faro.» Tutte le tute spaziali erano doppie, riposte dietro una parete nella hall, cosicche non furono costretti ad arrampicarsi sui ponti per raggiungere gli armadietti ai piani superiori. Si aiutarono a vicenda a indossare le protezioni, assemblarono le tute per Olympiada, Miranda e Finn e le stiparono in alcuni contenitori. «Ci sono problemi nel corridoio?» chiese Tim. «No, i sensori segnalano valori costanti.» Lynn li condusse a un passaggio accanto agli ascensori e apr una grossa paratia: dietro si celava un’ampia scalinata. «Scendete. Io apriro il garage dalla centrale.»
Una scala del genere forse avreste dovuto costruirla anche per raggiungere i piani superiori, penso Tim, ma si trattenne dall’esprimere l’osservazione ad alta voce. «Buona fortuna», auguro Lynn. Tim abbraccio la sorella e se la strinse al petto. «Immagino cosa stai passando. Sono molto orgoglioso di te. Non so come fai a sopportare tutto questo.» «Vorrei saperlo anch’io», mormoro lei. «Andra tutto bene.» Lei si sciolse dall’abbraccio e gli prese le mani. «Cosa puo ancora andare bene? Tim, devi credermi, non ho niente a che fare con Carl, non importa cosa dice Dana. Faccio del male solo a me stessa.» «Non e colpa tua. Non potevi farci niente!» La bocca di Lynn inizio a tremare. «Adesso andate. Presto!» Il corridoio vuoto e illuminato era in qualche modo rassicurante; sembrava fatto apposta per ricostruire e rafforzare la fiducia nel progresso tecnologico. Nella sua sobrieta sembrava inattaccabile dalle catastrofi, ma Tim si ritrovo a pensare che tutto aveva avuto inizio proprio l, con Carl Hanna, la cui presenza nei sotterranei aveva insospettito Julian. Si chiese se la bomba fosse nascosta l sotto. Nelle poche ore a disposizione, non erano certo riusciti a perquisire ogni angolo. Quanto era grande una mini-nuke? Era nascosta sotto il tapis roulant che li stava portando verso il garage? Sotto il pavimento? Dietro una parete, nel soffitto? Avevano proposto a Sushma e Mukesh Nair, Eva e Karla di recarsi ai piedi dei Montes Alpes a bordo del Lunar Express, per aspettare a distanza di sicurezza l’evolversi degli eventi, ma tutti avevano insistito per restare, persino Sushma, che tentava coraggiosamente di dominare la sua paura. Per risollevare il morale generale, Lynn aveva mandato le donne a cercare Nina Hedegaard: un modo per tenerle impegnate. Raggiunsero il garage e videro il tetto avvolgibile ritirarsi. Sopra di loro brillava il cielo stellato. Una dozzina di buggy era pronta per una gita che non avrebbe mai piu avuto luogo. Di fronte a loro faceva bella mostra di se il Kallisto. «Brutto ma affidabile», lo aveva definito Chuck il giorno precedente. Accanto allo shuttle i grasshopper sembravano giocattoli. «Chi va per primo?» chiese Heidrun. «Tim», decise il marito, posando sul piccolo vano di carico il contenitore con la tuta che avrebbe dovuto indossare Olympiada. «Poi vai tu. Io ti seguo. Voglio essere sicuro di non perderti per strada.» «Lynn, stiamo partendo», comunico Tim nell’impianto radio del casco. Ancora non riusciva ad abituarsi all’assenza di rumori di avviamento. Il grasshopper si sollevo silenzioso, usc dal garage e prese quota. Da dietro, Gaia aveva l’aspetto di sempre, imponente e solido. La telecamera integrata nel suo casco inviava imma-
gini alla centrale. Viro, come concordato con Lynn, per consentirle di vedere in che stato era la facciata frontale, aumento la spinta, si porto verso la sezione delle spalle della gigantesca figura e trattenne il fiato. «Mio Dio», esclamo Ögi. Gia all’altezza dei fianchi Tim aveva notato che qualcosa non quadrava. Parti della facciata erano state spazzate via o erano ridotte a brandelli, in alcuni punti s’intravedeva l’acciaio della struttura portante. Avvicinandosi, le dimensioni del danno apparivano in tutta la loro tragica realta. Il volto senza contorni non guardava piu verso la Terra, ma verso il basso. Dove prima c’era il collo, ora si spalancava una voragine nera. L’intera vetrata frontale era esplosa, e il mento di Gaia si era abbassato tanto che s’intravedevano solo le meta inferiori delle porte degli ascensori. Tim porto il grasshopper ancora piu vicino. Tutto il gigantesco cranio sembrava essere attaccato al corpo solo coi tiranti nella nuca. E2 era aperto, l’interno un abisso divorato dalle fiamme. I montanti d’acciaio, grottescamente deformati, si protendevano verso di lui. Azzardo uno sguardo verso il basso. Le cosce di Gaia erano cosparse di detriti, anche se non in grande quantita. O’Keefe aveva ragione: non c’era un minuto da perdere. Salendo di quota, Tim intravide il Chang’e sigillato e scorse fumo, fuliggine e mobili bruciati, ma i vetri oscurati non permettevano di distinguere i dettagli. Dovette superare i primi sintomi di un attacco di vertigini, causati dalla considerazione che, al confronto con la piattaforma senza parapetti del grasshopper, un tappeto volante era una pista da ballo. Si accerto che Heidrun e Walo lo seguissero, passo accanto al Selene e al Luna Bar, e costeggio la cupola per raggiungere la terrazza panoramica. In basso vedeva muoversi delle sagome: Finn O’Keefe, Olympiada e Miranda, diretti verso la camera di decompressione. Oriento gli ugelli, diminu la velocita, supero la terrazza, viro e, con un atterraggio non proprio elegante, si fermo vicinissimo al parapetto. Accanto a lui, a una certa distanza, se la cavo assai meglio Heidrun, come se non avesse mai fatto altro in vita sua. Ögi, invece, compì - imprecando - una specie di giro d’onore, urto il parapetto con una delle gambe telescopiche e, con qualche difficolta, fece scendere il grasshopper sulla terrazza. «In realta sono un appassionato di deltaplani e palloni aerostatici. » Poi scarico il contenitore e lo porto alla camera di decompressione, un portello doppio di diversi metri di diametro integrato nel pavimento. «Ma direi che la Svizzera e piu grande.» Tim salto giu dal suo mezzo. «Finn, siamo proprio sopra di voi.» Lynn aveva collegato l’impianto radio dei caschi con la rete interna del Gaia Hotel. Passarono alcuni secondi, poi O’Keefe rispose: «Okay, cosa dobbiamo fare?» «Niente, per il momento. Chiamiamo l’ascensore, vi mandiamo giu le tute spaziali e...»
... il pavimento sotto i suoi piedi aveva iniziato a tremare. «Sbrigati, sta ricominciando!» grido l’attore. Ci volle qualche secondo perche Tim riuscisse a trovare il pannello di comando della camera di decompressione e, quando lo aziono, l’aria venne aspirata con una lentezza straziante. Le vibrazioni s’intensificarono fino a trasformarsi in un piccolo terremoto. Poi l’incubo cesso di colpo com’era iniziato. «L’ascensore sta salendo», annuncio Ögi senza fiato. Le porte sul pavimento si aprirono e ne fuoriusc una cabina di vetro, abbastanza spaziosa da ospitare una dozzina di persone. Vi stiparono subito i contenitori con le tute spaziali. «Io vado giu», disse Heidrun. Il marito la fisso sconvolto. «Come? E perche?» «Per aiutarli con le tute, per fare piu in fretta.» Prima che lui potesse protestare, lei era gia scomparsa all’interno della cabina. Premette il pulsante di discesa. «Mein Schatz», mormoro lui. «Non ti preoccupare, tesoro. Torniamo tra cinque minuti.» O’Keefe vide arrivare l’ascensore con una persona all’interno. Attraverso il vetro, riconobbe quelle gambe sottili, sebbene fossero coperte dalle protezioni in fibre d’acciaio spesse alcuni centimetri. Impaziente, attese che venisse ripristinata la pressione interna e si aprisse la porta. «Opla!» esclamo Heidrun lanciandogli il primo contenitore. Olympiada, bianca in volto come un fantasma, passo il secondo contenitore a Miranda e inizio a svuotare il proprio. «Grazie. Non dimentichero mai quello che avete fatto per me.» Cercando di fare il piu in fretta possibile, si aiutarono a vicenda a indossare le protezioni, chiusero le cerniere, fissarono i sostegni, issarono sulle spalle gli zaini e infilarono i caschi. «Sarebbe chiedere troppo se, non appena scendiamo da qui, ce ne andassimo da questo hotel?» chiese Miranda. «È solo che, sapete, non ho voglia di saltare in aria, e il minibar l’ho gia svuotato, percio...» «Ci puoi contare», disse la voce di Lynn. «Non mi fraintendere!» si affretto ad aggiungere Miranda. «Non ho niente contro il tuo albergo.» «Invece hai ragione. È un albergo di merda», replico Lynn. In quell’istante, il pavimento cedette. Per un attimo, Tim credette che il lato opposto della gola fosse stato sollevato da una forza ancestrale. Poi vide i grasshopper scivolare lungo la terrazza. Ögi sbatte contro il parapetto agitando le braccia, perse l’equilibrio e scivolo verso i velivoli.
Gaia chinava il capo davanti all’inevitabile. Nel casco di Ögi arrivava la drammatica registrazione di un caos di urla disumane. Cadde sulla schiena, riusc ad alzarsi e si allungo, ma fu un errore, perche quel movimento gli fece perdere di nuovo l’equilibrio. Fu scaraventato con violenza contro il parapetto. Precipito dall’altra parte e urto la superficie liscia e ripida della vetrata. Atterrito, inizio a scivolare, cercando inutilmente un appiglio sulla superficie a specchio. Si stava allontanando dalla protezione dei parapetti della terrazza. Uno dei grasshopper, che lo seguiva nella caduta, ando a cozzare contro il vetro. Tim cerco di afferrarlo e riusc ad agguantare il manubrio, proprio mentre un altro velivolo scompariva nel vuoto. Gli sembro di fluttuare e, con le gambe sospese sull’abisso, grido: «Stop!» Come se qualcuno da qualche parte la fuori, in mezzo alla miriade di stelle che li sovrastava, avesse sentito la sua richiesta e il disperato desiderio di sopravvivere, il movimento dell’enorme cranio cesso. «Tim! Tim!» «Tutto a posto, Lynn, tutto a...» Niente era a posto; si arrampico sul velivolo e si rese conto che una delle gambe telescopiche si era incastrata nel parapetto. Ma subito dopo dovette constatare che la gamba si stava staccando. Il grasshopper ebbe un sussulto. Tim penzolava nel vuoto, indeciso fra due ozpioni: tentare di salire strappando definitivamente il grasshopper dal suo ancoraggio o rimanere immobile, giusto per ritardare la propria morte di qualche secondo. Una sagoma si sporse oltre il parapetto, lo scavalco e si calo lungo la ringhiera. «Aggrappati a me, forza!» ansimo Ögi. I piedi dell’uomo erano proprio davanti al suo casco. Tim trasse un profondo respiro, allungo la mano... Il grasshopper si stacco, ma lui oscillava appeso allo stivale di Walo. Afferro il parastinchi, poi le ginocchia, sal lungo il corpo dello svizzero come su una scaletta e scavalco il parapetto, poi aiuto il suo salvatore a mettersi al sicuro. La terrazza si era trasformata in uno scivolo inclinato di almeno quarantacinque gradi. Ce l’aveva fatta, ma i tre grasshopper erano persi. «No! Io vado su!» Lynn si allontano dal pannello di controllo e si aggrappo a Mukesh Nair. L’indiano fissava sconvolto le immagini inviate dal casco di Tim e dalle telecamere esterne sull’altro lato della gola. Il collegamento a fibre ottiche col Mama Quilla Club era interrotto, ma era ancora attivo il contatto radio dei caschi. «È finito. Adesso cosa facciamo?» Era Miranda, senza fiato. «Olympiada?» chiamo O’Keefe.
«Qui», rispose lei, provata. «Dove?» «Dietro il bar... sono dietro il bar.» «Per l’amor del cielo, amore, dove...» chiese Walo Ögi, disperato. «Non so», rispose Heidrun col respiro affannoso. «Da qualche parte. Ho battuto la testa.» «Tutti fuori!» ordino Tim. «Non potete restare l. Provate a vedere se l’ascensore della terrazza funziona ancora.» Le tempie di Lynn pulsavano a un ritmo ipnotico. Nebbie colorate si assemblavano in piccoli vortici. Lo spettacolo della testa di Gaia che si piegava fin quasi a toccare il petto l’aveva lasciata senza fiato. E ora il cuore batteva all’impazzata. Gaia sembrava addormentata. «Qui e tutto inclinato, siamo caduti gli uni addosso agli altri, e non so se riusciremo a raggiungere l’ascensore», disse O’Keefe. Ragiona, Lynn, ragiona. Per quanto tempo puo resistere la testa di Gaia? «Veniamo a prendervi. Abbiamo ancora sette grasshopper. Vengo su io.» «Anch’io», si offr Nair. «Ci serve un terzo pilota, Mukesh. Cerca Karla, e quella nelle condizioni migliori.» Mentre l’uomo si precipitava nella hall, Lynn raggiunse l’armadietto delle tute spaziali. Ne mancavano molte, tra cui la sua. Quindi torno di corsa nella centrale: la parete posteriore nascondeva un vano per le attrezzature di riserva, estintori, tute spaziali e caschi. Attese che il portello d’acciaio si aprisse ed entro, sorpresa che la luce fosse accesa. Il suo sguardo si poso sull’armadietto con l’equipaggiamento, sui contenitori accatastati, sulla fila di maschere disposte sugli scaffali... e su Sophie Thiel, appoggiata alla parete, gli occhi spalancati, i tratti armoniosi del volto divisi da un rivolo di sangue essiccato, fuoriuscito da un foro nella fronte. Per alcuni secondi, Lynn rimase immobile a fissare il cadavere. Stranamente non le fece nessun effetto. Forse aveva gia vissuto troppe disgrazie in quella specie d’inferno perche la vista di un morto potesse turbarla. Alla fine inizio a portare fuori i contenitori con le biosuit. «Salve, Lynn.» Lei alzo lo sguardo, irritata. Era Dana Lawrence. Heidrun e Finn cercavano di raggiungere la camera di decompressione, aggrappandosi alle gambe dei tavoli e delle sedie, e nel contempo aiutando Olympiada, ritrovata non dietro il bar ma dietro la console del deejay. Miranda si reggeva a un tubo accanto all’ascensore, con una mano appoggiata sul sensore per tenerlo aperto. «Ce la fate?» «S», gemette Olympiada.
«Non e vero, hai una gamba rotta, non puoi appoggiarla», ribatte Heidrun. Il problema maggiore non era tanto l’inclinazione del pavimento, ma quello dell’ascensore: era quasi capovolto. Quindi era molto difficile entrare. Inoltre, se non fossero stati piu che attenti, una volta arrivati sul tetto sarebbero scivolati via in un attimo. «Non appena raggiungete la terrazza, dovete girare subito intorno all’ascensore», sugger Tim. «Sulla parte posteriore avrete un sostegno. E portate qualcosa di lungo e appuntito, non so, un coltello.» «Per fare cosa?» chiese O’Keefe, mentre tentava di affidare Olympiada alla mano protesa di Miranda. «Per bloccare la cabina, in modo che non ritorni giu.» «Ho detto che ce la faccio da sola.» Olympiada afferro la ringhiera dell’ascensore e si trascino all’interno col volto contratto dallo sforzo. «Vai a cercare il coltello, Finn», disse Tim. O’Keefe le lascio all’ascensore e, quando ricomparve, aveva un puntello da ghiaccio tra le mani e un pezzo di stoffa drappeggiato intorno alle spalle. Miranda chiuse le porte e attivo l’aspirazione dell’aria. La cabina tremo. «Non di nuovo», piagnucolo Olympiada. «Niente paura, adesso smette», la tranquillizzo Miranda. «Cos’ha intenzione di fare?» chiese Dana. Quando alla fine le paratie si erano aperte, lei era stata liberata dalla sua prigione. Aveva raggiunto la hall dalla galleria, saltando da un ponte all’altro, mentre studiava le mosse successive: interrompere la missione di salvataggio, impossessarsi del Kallisto, squagliarsela. Nell’ora e mezzo precedente, aveva tentato di riconquistare la fiducia degli altri, mostrandosi disponibile con Lynn, ma adesso ne aveva abbastanza; l’odiata figlia di Julian era sola nella centrale. Un’avversaria che avrebbe battuto senza problemi, anche se senza pistola sarebbe stato piu difficile. «Vado su.» Lynn era imperturbabile: torno nel locale di servizio e trascino fuori altri due contenitori con le tute spaziali. Dana era perplessa: non aveva visto Sophie Thiel? Impossibile, doveva averla vista. Perche non sembrava affatto turbata? La vista del cadavere avrebbe dovuto farle perdere la ragione, ma lei ostentava un’indifferenza degna di un automa. Si sfilo la giacca e inizio a slacciare i bottoni della camicetta. «Avanti, Dana, vada anche lei a prendere una tuta.» «Perche?» «Pilotera uno dei grasshopper. Piu siamo, piu velocemente... » S’interruppe e la fisso. «Lei sa pilotare anche il Kallisto, giusto?»
Dana si avvicino lentamente, sgranchendosi le dita. «S.» «Bene. Allora faremo in modo diverso. Niente grasshopper. » Gli altoparlanti trasmettevano conversazioni caotiche. Senza proferire parola la direttrice aggiro la console. Lynn ne fu sorpresa. «Ehi, ha capito cos’ho detto?» Dana accelero il passo. Lynn la squadro e fece un passo indietro. Il suo sguardo si ravvivo. Un bagliore appena percettibile tradiva diffidenza. «Pilotera il Kallisto, mi ha sentito?» Certo, penso lei. Ma senza di te. «Neanche per idea!» Dana si fermo come se fosse stata colpita da un fulmine e si volto. Nina Hedegaard entro nella centrale seguita da Karla. Indossava la tuta spaziale, aveva il casco sottobraccio e un’aria contrita. «Lynn, Miss Lawrence, sono mortificata, non ero al mio posto. Mi sono addormentata nella zona relax. Karla mi e passata davanti tre volte senza vedermi, ma alla fine mi ha trovato e mi ha raccontato tutto. Piloto io lo shuttle.» Dana si costrinse a sorridere. Non avrebbe avuto difficolta a neutralizzare Lynn e Karla, ma Nina era addestrata e aveva i riflessi pronti. Arrivo anche Mukesh Nair, grondante di sudore, e il suo piano di fuga salto definitivamente. «Karla», esclamo lui sollevato. «Eccoti qui... Oh, Nina. Miss Lawrence, grazie al cielo.» «Ci sono novita», annuncio Lynn. «Nina andra sul tetto con lo shuttle.» Si avvicino alla console e disse nel microfono: «Sushma, Eva, tornate subito nella centrale». Dana non fece obiezioni, perche non poteva competere con l’esperienza di Nina come pilota. «Ha parecchio da farsi perdonare. Spero che questo le sia chiaro.» «Mi spiace, davvero. Li tirero fuori di l, lo prometto.» «Vengo con lei, avra bisogno di aiuto.» Senza aspettare una risposta, Dana attraverso la centrale, entro nello stanzino sul retro e indietreggio di scatto. Il cadavere di Sophie. Fingendo rabbia e sgomento si volto verso Lynn: «Perche non mi ha detto niente?» «Perche non e importante», rispose Lynn imperturbabile. «Non e importante? Dica un po’, e diventata completamente paz...» Lynn si avvento su di lei, la afferro per il collo e la scaglio contro lo stipite della porta, facendole battere la testa. «Non si permetta.» «Lei e pazza.» «Non si permetta mai piu di darmi della pazza, oppure le faro vedere cos’e davvero la pazzia. Mukesh, si metta la tuta, e nel contenitore con la scritta XL. Karla, contenitore S!» Dana la fisso con odio. Avrebbe potuto uccidere la figlia di Julian seduta stante con un paio di colpi ben assestati. Senza distogliere lo sguardo, poso le dita intorno al polso di Lynn
e la allontano. «Ma, insomma, non davanti agli ospiti. Che figura ci facciamo?» Dopo l’ultimo cedimento della testa di Gaia, l’ascensore della camera di decompressione sporgeva dalla terrazza panoramica come un cannone puntato verso la Terra. Mentre le porte della cabina si aprivano, i componenti del gruppo erano aggrappati al parapetto e si tenevano l’uno all’altro. «Eccoci, buona fortuna», disse Miranda. Il mondo era inclinato di quarantacinque gradi e incombeva su di loro, pronto a seppellirli. Nel punto in cui finiva la terrazza, erano accovacciati Tim e Walo Ögi, in posizione strategica per intercettare quelli che avessero perso la presa. Miranda afferro il telaio delle porte e si trascino fuori. La suola degli stivali della sua biosuit la aiuto a non scivolare. Quindi riusc a infilare le dita in una sporgenza e, con la corda di tovaglie del Selene intrecciate - brillante intuizione di O’Keefe - legata a un’estremita intorno alla vita e con l’altro capo fissato alla protezione toracica di Olympiada, inizio a risalire la pendenza. «Okay. Di’ loro di venirci a prendere.» Heidrun spinse Olympiada fuori dall’ascensore, attese che si fosse ancorata al telaio e la lascio. Subito Olympiada si piego su se stessa e scivolo giu. Invece di cadere, pero, resto appesa al cordone ombelicale che la univa a Miranda, la quale continuo ad arrampicarsi lungo la cabina fino ad accovacciarsi dietro di essa. Puntando i piedi contro il retro dell’ascensore, isso anche la compagna, slego la corda e la calo per gli altri. Heidrun si arrampico agile come una scimmia, seguita da O’Keefe, che infilo il punteruolo per il ghiaccio tra le porte dell’ascensore in modo che non si chiudessero e la cabina non scomparisse di nuovo sotto il pavimento. «Tutto bene?» chiese Ögi. «Alla grande!» rispose Heidrun. «Allora vi raggiungiamo.» Grazie al parapetto, era piuttosto facile risalire la terrazza, ma per arrivare all’ascensore avevano bisogno della corda. Miranda la getto e, al secondo tentativo, Tim riusc ad afferrarla, poi la lego al parapetto e iniziarono la traversata. In sei si stava piuttosto stretti nello spazio dietro la cabina, pero almeno potevano appoggiare la schiena a un sostegno. Cos, addossati l’uno all’altro, non osavano muoversi per paura che ogni pur piccolo movimento potesse destabilizzare irrimediabilmente la testa di Gaia. «Lynn, siamo tutti fuori», comunico Tim. La parete di vetro sussulto. Heidrun cerco la mano del marito. «Lynn?» Nessuna risposta.
«Strano», sospiro Miranda. «Non avrei mai pensato che un giorno mi sarebbe dispiaciuto.» «Cosa?» chiese Olympiada con la voce impastata. «Per quell’incidente in piscina, anni fa.» L’altra si schiar la voce. «Quello di Miami, per cui sei stata processata?» «S. L’incidente del mio povero Louis.» «Che cosa ti dispiace esattamente?» domando O’Keefe. «Il fatto che e morto o il fatto che gli hai dato una mano a morire?» «Sono stata assolta», replico Miranda quasi allegramente. «Non hanno potuto dimostrare niente.» Un nuovo terremoto fece traballare la struttura e sembrava non voler smettere. Olympiada gemette e si aggrappo alla coscia di O’Keefe. «Lynn!» grido Tim. «Dove siete finiti?» «Tim!» Era lei. «Tenete duro. Stiamo venendo a prendervi.» Lynn aveva insistito per lasciare il Gaia Hotel insieme. Nel vortice della sua mente confusa, intuiva che in qualche modo Dana Lawrence faceva il doppio gioco e che non sarebbe stato saggio mandarla fuori da sola con Nina Hedegaard. Portare a termine l’evacuazione e il salvataggio in un’unica operazione le sembrava la decisione piu giusta. Ignoro la rabbia dissimulata a fatica di Dana e il suo odio per lei: si sentiva pervasa da una grande calma e, nel contempo, provava il forte impulso di ridere, ma cercava di reprimerlo perche era sicura che se avesse cominciato non avrebbe piu smesso. Entrarono nel corpo tozzo del Kallisto. Nina apr il portellone posteriore e accese i propulsori. Salirono in verticale sotto la cupola del cielo stellato che, fino a poche ore prima, avevano ammirato come un pubblico estasiato davanti a uno spettacolo di magia. Ora, invece, erano diventati protagonisti di una pericolosa operazione di recupero. «Ci siete ancora?» chiese Nina. «Non per molto», rispose Heidrun. «L’ascensore dello shuttle possiamo dimenticarcelo. È troppo vicino ai propulsori e io devo mantenere la controspinta. Mi avvicinero col portellone posteriore aperto, d’accordo? Cerchero di non toccare la testa di Gaia, quindi sappiate che dovrete issarvi a bordo a forza di braccia.» «Facciamo anche le capriole, se vuoi.» Presero quota. Dalla plancia dello shuttle scorsero prima la schiena di Gaia, poi la nuca con la spina dorsale d’acciaio. Lynn per la prima volta la vide con gli occhi di Julian: Gaia non era altro che una sua rappresentazione idealizzata. E, in effetti, stavano diventando sempre piu simili. Due regine in procinto di perdere la testa.
Lentamente il Kallisto aggiro il cranio. O’Keefe aiuto gli altri ad alzarsi. Stretti fra la parete dell’ascensore e il pavimento della terrazza, si aggrappavano l’uno all’altro e agitavano le braccia in direzione delle sagome alla plancia di comando. Lo shuttle inizio a ruotare sul proprio asse, rivolgendo loro prima il fianco, poi il portellone posteriore aperto con la rampa di carico abbassata. «Piu vicino!» grido Tim. Un urto scosse la testa di Gaia. Ögi perse l’equilibrio e fu afferrato al volo da Heidrun. Il Kallisto inclino due degli ugelli. Nina fece indietreggiare la gigantesca navicella con estrema precisione. La rampa di carico si avvicino, ancora, e ancora, troppo... «Stop!» Lo shuttle s’immobilizzo sospeso nel vuoto. «Ci arrivate?» chiese Nina. O’Keefe si diede lo slancio, afferro la rampa e si isso. Quindi allungo le braccia verso il resto del gruppo. «Nina, puoi abbassarti ancora un po’?» «Ci provo.» La mano destra di O’Keefe sfioro la punta delle dita di Heidrun. Il Kallisto scese ancora e rimase sospeso all’altezza dei caschi degli altri. «Direi che questo e il massimo», dichiaro Nina. «Non serve, ce la facciamo.» Heidrun si arrampico. Poi tocco al marito, che si accovaccio e tiro su Olympiada. Altre mani si protesero verso Miranda e Tim per aiutarli a salire. «Ce l’abbiamo fatta», sussurro Olympiada mentre si accasciava. Ma l’osso gia fratturato della gamba si spezzo definitivamente e lei, con un urlo, rotolo giu e precipito di nuovo sulla terrazza. «Olympiada!» Miranda, che aveva quasi raggiunto la rampa, si lascio cadere accanto alla donna e la prese sotto le ascelle. «No... non...» «Stai scherzando? Credi forse che ti lascerei qui?» «Sono un essere inutile», piagnucolo l’altra. «Non e vero, sei fantastica.» Miranda sollevo senza fatica il corpo minuto della donna verso O’Keefe, che la isso sulla rampa e la passo a Tim. «Ottimo, adesso andiamocene!» Miranda protese le braccia verso Finn, ma lui non riusc a raggiungerla. Sbalordito, si sporse il piu possibile, ma lei si allontanava a grande velocita. Per un attimo, lui credette che, per sbaglio, Nina fosse gia decollata. Eppure lo shuttle era immobile.
La testa di Gaia si era staccata. «Miranda!» O’Keefe sentiva i gemiti soffocati della donna nel casco, come se fosse stata proprio accanto a lui. Miranda agito le braccia e, conoscendo il suo incrollabile ottimismo, sembrava quasi che stesse festeggiando qualcosa, ma, quando grido il nome di O’Keefe, la sua voce esprimeva tutta la disperazione di una persona che ha capito che niente e nessuno potra piu salvarla. «Finn! Finn!» «Miranda!» Poi il suo corpo supero la cabina dell’ascensore, luccico sotto i raggi del sole e scomparve dietro la testa spezzata di Gaia, che ruoto di mezzo giro e infine si stacco completamente dalle spalle, precipitando nella finestra in stile romanico che decorava il settore dell’addome. «Tutti dentro!» grido O’Keefe sconvolto. «Nina!» «Cosa c’e? Noi...» Lui salto nel vano di carico. «Miranda e precipitata, devi spostarti sul lato frontale.» «Siete dentro?» O’Keefe si guardo intorno. Accanto a lui Tim, con Olympiada in braccio, barcollo e cadde sul pavimento del vano di carico. «S, tutti. Presto, per l’amor del cielo, fai presto!» Prima ancora che il portellone si chiudesse, s’infilo nel tunnel di collegamento non appena si apr, inciampo nel corridoio centrale, fu scagliato tra i sedili col rombo dei propulsori nelle orecchie, si rialzo e raggiunse la plancia di comando. L’addome era distrutto. E poi lampi di fuoco che si spegnevano subito dopo essersi sprigionati dall’interno. Detriti che precipitavano mentre il torace con le suite crollava lentamente. L’enorme e regale cranio di Gaia, con la vetrata ancora intatta, rotolo a valle lungo la coscia, quasi esitante oltrepasso le ginocchia e s’infranse sulla piattaforma duecento metri piu in basso. «Scendi!» Lo shuttle si abbasso, ma Miranda non si vedeva, ne sulla coscia ricoperta di frammenti di vetro ne sul suolo circostante. «La piattaforma e stata trascinata giu. Devi...» «Finn.» «No, cercala!» Senza obiettare, Nina viro e scese ancora di quota, passando accanto ai resti della testa, sparsi sulla piattaforma. Nel frattempo anche gli altri si erano riuniti nell’abitacolo dietro la plancia di comando. «Non puo essere scomparsa!» grido O’Keefe.
«Finn.» Lui percep un tocco leggero sul braccio. Heidrun aveva tolto il casco e lo guardava con gli occhi arrossati. «Non puo essere scomparsa», ripete lui con un filo di voce. «È morta. Miranda e morta.» O’Keefe inizio a piangere. Accecato dalle lacrime, si accascio ai piedi di Heidrun. Non ricordava di aver mai pianto in vita sua. Lynn era seduta con lo sguardo assente nella prima fila di sedili. Ancora una volta, aveva guidato e illuminato il gruppo con lo splendore di una stella morente, aveva abbagliato e respinto la sua nemica, ma la sua energia vitale era finita, il crollo inevitabile. I pensieri si rincorrevano come uno sciame impazzito, tutto era confuso, impressioni, fatti, probabilita. Le certezze si confondevano con le ipotesi. Il costante flusso di stimoli si frammento in minuscole particelle di sensazioni, impossibili da associare a un tempo, a un livello di percezione, a una storia. Fasi sempre piu brevi di pensiero, nubi che fluttuavano alla velocita della luce, uno spirito che collassava su se stesso, che implodeva in assenza della spinta contraria della volonta, nessuna trasmissione, solo ricezione, la fine di tutti i processi mentali, di tutti i contorni, di ogni identita: cio che era stata Lynn Orley si sarebbe disgregato sotto la pressione del suo peso e, evaporando, non avrebbe lasciato dietro di se altro che uno spazio immaginario e vuoto. Qualcuno era morto. Molti erano morti. Non se lo ricordava piu. LONDRA, INGHILTERRA Yoyo, la desaparecida, si ripresento solo intorno alle ventidue, proprio mentre Diane riesumava i dati di un morto presunto; presunto perche nessuno aveva trovato il cadavere, che sfuggiva come tutti gli oggetti che si muovono su traiettorie sconosciute o non calcolabili. «Victor Thorn, detto Vic», disse Jericho, senza soffermarsi a chiedere a Yoyo perche cinque minuti si fossero trasformati in tre ore e se Tu Tian avesse sbollito la rabbia. «Scusami.» Sembrava che Yoyo avesse un rospo in gola che voleva uscire a tutti i costi. «Lo so, ti avevo promesso che sarei tornata molto prima...» «Comandante del primo equipaggio che si e insediato nella base lunare. Nel 2021 ha lasciato la NASA per sei mesi.» «Tian di solito non fa cos, lo conosci.» «Evidentemente Thorn aveva svolto bene il proprio lavoro, cos bene da essere richiamato in servizio. Nel 2024 gli e stata affidata una nuova missione di sei mesi.» «A dire il vero, non abbiamo nemmeno parlato molto», insistette Yoyo con voce stridula. Il rospo si dimenava per uscire. «Era solo molto arrabbiato. Alla fine abbiamo guardato un film,
fingendo che fosse tutto normale, sai cosa voglio dire. Forse il momento era piu che inopportuno, ma non devi pensare che...» Jericho sospiro e dichiaro la sua indifferenza: «Yoyo, sono fatti vostri. La cosa non mi riguarda». «Certo che ti riguarda!» Il rospo era quasi sulla punta della lingua. «Invece no.» Con stupore si rese conto che lo pensava davvero. Il vecchio risentimento mai superato, che gli era rimasto attaccato ai vestiti come un cattivo odore per cos tanto tempo, lascio il posto alla consapevolezza che ne Tu Tian ne Yoyo erano responsabili del suo malumore. Per quanto profonda potesse essere la loro amicizia, non erano davvero fatti suoi. «È il vostro rapporto, la vostra vita. Non dovete giustificarvi con me.» Yoyo fisso il monitor con aria infelice. Il luogo non invitava all’intimita. La postazione nel centro informatico era stata provvisoriamente isolata con pannelli mobili, tutt’intorno lavoravano altre persone, che acquisivano, digerivano e infine risputavano informazioni nell’addome della Big O. «E se io volessi raccontarti qualcosa?» «Allora qualsiasi momento sarebbe migliore di questo.» Lei sospiro. «Va bene. Cosa stavi dicendo di questo Thorn?» «Ammesso che l’esplosione della mini-nuke fosse programmata per il 2024, in quel periodo sulla Luna doveva esserci qualcuno che aveva il compito di recuperare l’ordigno, posizionarlo e innescarlo. Oppure qualcuno doveva raggiungere la Luna per svolgere questo compito.» «Non fa una grinza.» «Ma non e stata registrata nessuna esplosione, e quelli dell’MI6 ritengono che, se una mini-nuke viene lasciata nel vuoto per troppo tempo, c’e il rischio che subisca un decadimento. Quindi, perche non e stata innescata?» «Perche l’incaricato non e riuscito a portare a termine la missione. Perche c’e stato un imprevisto.» «Esatto. Percio ho fatto fare una ricerca a Diane. In Internet si trovano informazioni su tutte le missioni spaziali dell’anno scorso, e mi sono imbattuto in Thorn. Un incidente mortale durante un intervento esterno sull’OSS, il 2 agosto 2024. Un incidente avvenuto poco prima che lui prendesse servizio alla base Peary, ma soprattutto tre mesi dopo il lancio del satellite di Maye.» Yoyo si mordicchio il labbro. «E i cinesi? Hai controllato anche loro?» «I cinesi non li puoi controllare, devi accontentarti delle dichiarazioni ufficiali. Sostengono che nel 2024 non ci sono stati incidenti.»
«A parte la crisi lunare. Il comandante della base cinese e stato arrestato dagli americani.» «Ma via! Prima spediscono sulla Luna una bomba atomica con una manovra diversiva incredibilmente complessa e raffinata, e poi un paio di astronauti cinesi sconfinano nel territorio di estrazione americano come degli stupidi e si fanno beccare?» «Quindi qualcuno ha preso l’ascensore. Ma per questo avrebbero dovuto infiltrare un loro uomo in un equipaggio autorizzato, oppure...» «Oppure corrompere qualcuno che ne faceva gia parte.» «E Thorn faceva parte dell’equipaggio.» «Una missione ufficiale. Nella veste di comandante, con una liberta d’azione pressoche illimitata. Soprattutto conosceva gia alla perfezione il terreno di gioco. Era gia stato lassu una volta.» «Hai parlato con Jennifer Shaw e Andrew Norrington?» Gli occhi di Yoyo brillavano, d’improvviso era tornata un Guardiano assetato di conoscenza. Jericho si alzo. «No. Ma e meglio farlo al piu presto.» Jennifer Shaw e Andrew Norrington erano impegnati con alcuni delegati dell’MI5, ma Edda Hoff accolse con entusiasmo le nuove scoperte di Jericho. Era al corrente dell’incidente di Thorn, solo che finora a nessuno era venuto in mente che l’emerito comandante della base Peary potesse essere stato incaricato di far saltare in aria il Gaia Hotel. La donna promise loro di raccogliere altre informazioni su Thorn e di aggiornare i suoi superiori. Tu Tian entro nella centrale: sembrava di buonumore. Come se nulla fosse successo, racconto una barzelletta e chiese di essere aggiornato sullo stato delle indagini, prima di scomparire di nuovo nel settore riservato agli ospiti. «Affari», si scuso. «In Cina e gia mattina. Schiere di solerti concorrenti affilano i coltelli per colpirmi alle spalle, non posso comportarmi come se non avessi piu un’azienda da gestire. Quindi, se non avete bisogno di me per salvare il mondo...» «Per ora no, Tian.» «Meglio cos. Fenshou!» Furono raggiunti da Jennifer e Norrington, ma persero Edda per una videoconferenza con la NASA. Jericho voleva parlare con Jennifer di Vic Thorn, ma proprio in quel momento Tom Merrick annuncio che forse aveva individuato la causa del blocco delle comunicazioni, anche se non era in grado di annullarlo. «Sapere perche non riusciamo a comunicare e gia un progresso », commento la donna. Si riunirono tutti in una grande sala. Lo sguardo di Merrick vagava sfuggente tra i presenti. «Come ho gia detto, isolare la Luna e praticamente impossibile, visto che bisognerebbe sabotare un gran numero di satelliti e di
stazioni di terra. Percio io propendo per un’altra soluzione: IOF.» «Per cosa?» chiese Jennifer. Lui la guardo come se non capisse perche gli esseri umani non si adattassero a comunicare tra loro esprimendosi esclusivamente con sigle. «Information Overflow.» «Paralisi dei terminali mediante e-mail di massa controllati da una botte. Intasamento di dati», spiego Yoyo. «Immagini che, in una stanza, ci sia una persona che lei vuole mettere a tacere e che inoltre non deve sentire niente. Mille porte danno accesso al locale. Ammettendo che lei riesca a entrare in possesso di tutte le chiavi, cerchera di chiudere tutte le porte per isolarlo dal mondo esterno. Le porte sono i satelliti e le stazioni di terra. Ma lei non puo impedire che vengano aperte nuove porte, oltre al fatto che non riuscira mai ad avere tutte le chiavi. L’alternativa e di una semplicita imbarazzante. Lei entra nella stanza e ficca al tizio un bavaglio in bocca e del cotone nelle orecchie.» «Il tizio, se ho capito bene, e il computer centrale del Gaia Hotel.» «I tizi sono due: il computer del Gaia Hotel e il sistema della base Peary», preciso Merrick. «Non impiegano sistemi ridondanti?» chiese Jericho. Tom comincio a gesticolare, impaziente. «D’accordo, allora quattro tizi, o anche di piu. È possibile che siano stati imbavagliati anche i ricevitori satellitari degli shuttle. In ogni caso, questo procedimento e piu efficace, perche vengono disturbati solo i terminali, ossia gli indirizzi IP della gente che si vuole attaccare. I satelliti non hanno niente che non va. Possono anche essere milioni: il loro numero non cambia nulla. Anzi i satelliti e le stazioni di terra oggi vengono utilizzati sempre piu spesso come nodi di una rete IP, un Internet nello spazio. La botnet puo saltare da un nodo all’altro per raggiungere il proprio obiettivo.» Jericho cap subito che Merrick aveva ragione. In fondo, le botnet erano roba vecchia. Gli hacker riuscivano a prendere il controllo d’innumerevoli computer infiltrando nei sistemi un software ad hoc. In genere, gli utenti erano ignari del fatto che i loro computer diventavano soldati di un esercito automatizzato, dei bot. In teoria, il software illegale poteva sonnecchiare nei computer per un tempo indefinito, finche, in un dato momento, non si risvegliava e induceva l’ospite a spedire senza sosta e-mail a un determinato obiettivo: richieste completamente legali, solo in quantita massicce. Il mercato nero del cyberterrorismo offriva reti con anche centomila bot. Quando la botnet si attivava, inviava simultaneamente milioni e milioni di mail e sommergeva l’obiettivo di messaggi, finche il computer attaccato non era piu in grado di gestire i dati e capitolava per IOF: Information Overflow. «Lei che ne pensa, Tom? Per quanto tempo puo durare un attacco?» chiese Jennifer. «Difficile a dirsi. Di solito le botnet non possono essere fermate. Prima si dice al software quando dare il via all’attacco, e poi lo s’infiltra nel sistema. Da quel momento non e piu possibile intervenire.»
«Non si puo programmare il software anche per determinare il momento in cui l’attacco dovra cessare?» «S, certo, si puo fare tutto. L’attacco e avvenuto come reazione diretta al nostro tentativo di mettere in guardia Julian e il Gaia Hotel, dunque qualcuno deve aver lanciato i bot manualmente. » «Questo implica che, dopo l’installazione del software, a questa persona e stata inviata una richiesta», disse Yoyo. «Ovvero : ’Attacco?’ La persona interessata deve solo rispondere di s, nel momento in cui lo ritiene piu opportuno.» «E, mentre attacca il Gaia Hotel e la base Peary, il software invia una seconda richiesta a Mr X», s’inser Tom. «Adesso chiede: ’Smetto?’» «Quindi se sapessimo chi ha dato inizio alla cosa...» ipotizzo l’uomo dell’MI6. «Potremmo indurlo a fermare l’attacco.» «Dove potrebbe trovarsi questa persona?» chiese Jennifer. Tom la fisso. «Come faccio a saperlo? Potrebbe pure essere piu di una. Il tizio che ha dato il via all’attacco potrebbe anche trovarsi sulla Luna. Se ha infiltrato il software di comando nel sistema informatico del Gaia Hotel, per lui non e stato un problema far partire i bot da l, anche se in tal modo ha isolato pure se stesso. Quindi sospetto che la persona che potrebbe fermare questa follia sia da qualche parte sulla Terra. Mio Dio, Jennifer !» Le sue mani svolazzavano. «Potrebbe essere ovunque. Potrebbe essere qui, nella Big O. In questa stanza!» Poco tempo dopo furono contattati da Gerald Palstein. Aveva un’aria affranta, e Jericho penso a quello che gli aveva raccontato Jennifer, ovvero che il direttore strategico dell’EMCO ogni giorno era costretto a prendere molte decisioni impopolari. Poi lo osservo meglio. C’era qualcos’altro. Palstein aveva lo sguardo di una persona che aveva appena ricevuto una terribile notizia. «Adesso posso mettervi a disposizione il filmato.» «È riuscito a parlare con la sua fonte?» chiese Jennifer con cautela. «No. È successo qualcosa.» La fronte di Palstein s’ingrand in modo sproporzionato, mentre lui si chinava per attivare una funzione sotto la telecamera. Sullo schermo comparve un notiziario della CNN. «Una tragedia e accaduta oggi a Vancouver, in Canada», annuncio Christine Roberts, l’elegante anchor-woman di Breaking News. «In un atto d’inqualificabile violenza, e stato annientato praticamente tutto il direttivo del portale Internet Greenwatch. L’emittente, nota per le battaglie a favore dell’ambiente e i reportage impegnati e critici, negli ultimi anni ha contribuito alla soluzione di molti scandali e all’istituzione di diversi processi a carico di multinazionali e di politici, e si era accreditata per il suo equilibrio e la sua lealta... È collegato con noi il nostro corrispondente da Vancouver, Rick
Lester. Ci sono indizi che possano consentire agli inquirenti di risalire ai responsabili di questo bagno di sangue?» L’immagine cambio. La luce crepuscolare del tramonto. Un uomo stazionava davanti a una villa, circondato da nastri che isolavano la zona, macchine della polizia, persone in uniforme. «No, Christine, ed e proprio questo a rendere il tutto ancora piu inquietante. Finora non ci sono indizi che consentano di capire chi siano gli autori di questi omicidi, anche se si dovrebbe parlare di vere e proprie esecuzioni. Soprattutto, la polizia si chiede quale possa essere il movente per un crimine tanto efferato.» Rick Lester parlava con grande enfasi, prendendo fiato alla fine di ogni frase. «Al momento si sa che Greenwatch stava lavorando a un importante reportage sul diboscamento in Canada e in altre parti del mondo perpetrato dalle compagnie petrolifere, anche se il documentario sarebbe stato soprattutto una retrospettiva su cio che e accaduto negli anni passati e cui non e mai stato posto rimedio. Quindi a prima vista nulla che potrebbe giustificare un massacro del genere.» «Si parla di dieci morti, Rick. Cos’e successo esattamente, e chi sono le vittime?» «Allora, bisogna sottolineare che si e trattato di un’azione coordinata, che non si e svolta solo qui, nella sede centrale di Greenwatch, dove sono stati trovati sette corpi.» Si giro per mostrare la casa alle sue spalle. «Infatti, un quarto d’ora prima, sulla Marine Drive, una strada costiera che porta a Point Grey, c’e stato un selvaggio inseguimento. Alcuni testimoni sostengono di aver visto un grosso fuoristrada tamponare ripetutamente una Thunderbird con a bordo tre collaboratori di Greenwatch, fino a mandarlo fuori strada. A quanto sembra, due passeggeri sono sopravvissuti allo schianto e subito dopo sono stati finiti a colpi di pistola. Una delle vittime, questa ormai e una triste certezza, e la caporedattrice di Greenwatch, Loreena Keowa. Subito dopo gli assassini hanno raggiunto il quartier generale di Greenwatch, qui a Point Grey, sono entrati e in pochi minuti hanno portato a termine la strage.» «Un bagno di sangue che - stando alle ultime notizie - e costato la vita anche a Susan Hudsucker, il direttore generale?» «S, ne abbiamo avuto conferma poco fa.» «È terribile, Rick, davvero terribile. Ma c’e pure un altro aspetto su cui stanno indagando gli inquirenti, non e cos? Sembra che sia stato sottratto anche del materiale...» «Esatto, Christine, e questo getta una luce particolarmente sinistra sull’episodio. In tutto l’edificio non c’e piu nemmeno un computer, l’intero archivio informatico di Greenwatch e scomparso, mancano persino gli appunti scritti a mano.» «Bene, Rick, questo non fa pensare che qualcuno abbia cercato d’impedire la pubblicazione d’informazioni scottanti?» «Di sicuro qualcuno ha tentato di ritardarne la pubblicazione, e abbiamo appena saputo che sono stati contattati i collaboratori esterni per cercare di scoprire qualcosa di piu sui pro-
getti in corso, ma a Greenwatch la prassi e sempre stata quella di coinvolgere solo una ristretta cerchia di persone, quindi potrebbe essere impossibile ricostruire i progetti cui stavano lavorando.» «Una tragedia terribile. Per il momento da Vancouver e tutto, grazie, Rick Lester. E ora...» La registrazione termino. Ricomparve Palstein davanti al tavolo in mogano della sala riunioni di Dallas. «Era lei il suo contatto? La donna nella macchina?» chiese Jennifer. «S, Loreena Keowa.» «Crede che questi avvenimenti siano direttamente collegati all’attentato di Calgary?» Palstein sospiro. «Non lo so. Hanno trovato un filmato che mostra un uomo. Potrebbe essere l’attentatore, ma questo giustifica un massacro del genere? Voglio dire, anch’io sono in possesso di quelle immagini, e Loreena sosteneva di averle mostrate a molte persone. Doveva telefonarmi subito dopo l’atterraggio a Vancouver, le avevo chiesto di farsi sentire...» «Perche era preoccupato.» «S, certo. Era davvero ossessionata da questo caso. E io ero molto in pena per lei.» «Mr Palstein, quando potremo avere il filmato?» intervenne Jericho. «Ogni secondo...» «Nessun problema. Posso mostrarvi la sequenza anche subito. » L’immagine cambio di nuovo. Stavolta sul monitor comparve l’ingresso di un edificio. A Jericho sembro di riconoscere la facciata fatiscente del complesso di uffici di fronte alla centrale dell’Imperial Oil di Calgary, dal quale, si diceva, era partito lo sparo che aveva ferito Palstein. Alcune persone camminavano davanti all’edificio, all’apparenza senza una meta precisa. Dall’edificio uscirono due uomini e una donna. Gli uomini si avvicinarono a un poliziotto e si misero a conversare con lui, la donna resto in disparte. Da sinistra si avvicino una figura grande e massiccia, con lunghi capelli neri, che avanzava strascicando i piedi. In un angolo del monitor comparve un fermo immagine che mostrava solo le spalle e la testa dell’indiziato. Chiaramente un asiatico, un uomo corpulento e trasandato, coi capelli unti e con la barba incolta: ma cosa non si riusciva a fare con un po’ di lattice, di gommapiuma e di trucco? «È quasi irriconoscibile», sussurro Yoyo. «Conoscete quest’uomo?» chiese Jennifer. «Altroche.» Jericho scoppio a ridere. «È davvero incredibile, ma e proprio lui!» Il travestimento era da Oscar, tuttavia, considerate le circostanze in cui lo avevano incontrato, lo avrebbero riconosciuto in qualsiasi situazione. Gia una volta il detective era caduto nella sua trappola e non si sarebbe fatto ingannare una seconda volta, neanche se quel pezzo di merda si fosse ricoperto di peli e avesse iniziato a camminare a quattro zampe. «Quello e senza dubbio l’attentatore di Calgary.»
«E sapete anche come si chiama?» chiese Jennifer. «S, anche se non vi servira a molto», disse Yoyo. «Quell’uomo e volatile e sfuggente come un gas. Il suo nome e Xn. Kenny Xn.» SINUS IRIDUM, LUNA Terra delle nebbie. Solo dopo il suo arrivo sulla Luna, Evelyn Chambers aveva scoperto come gli astronauti chiamavano la zona di estrazione. Aveva trovato quella denominazione un po’ kitsch e non del tutto appropriata. Sulla base delle sue reminiscenze scolastiche, il termine «nebbia» descriveva un fenomeno meteorologico, un aerosol atmosferico, ma parlare di formazione di goccioline sulla Luna era perlomeno fuori luogo. Aveva anche chiesto se la scelta del nome fosse un pretenzioso omaggio a Riccioli e ai suoi storici abbagli, ma non aveva ricevuto una risposta soddisfacente. Nessuno parlava molto di quel posto. Julian aveva annunciato che l’ultimo giorno del loro soggiorno al Gaia Hotel avrebbero visto un documentario sull’attivita estrattiva, ma non era prevista una visita in loco. Adesso che le circostanze li avevano condotti l, bastava una rapida occhiata per rendersi conto perche l’area compresa tra il Sinus Iridum e il Mare Imbrium fosse una «terra delle nebbie». Da un orizzonte all’altro si ergeva una barriera iridescente priva di contorni precisi, alta piu di un chilometro, e che non aiutava certo a risollevare il morale di Evelyn. La disperazione gravava tetra sotto forma di polvere. Nessuno dotato d’intelligenza avrebbe mai potuto desiderare di attraversarla. Eppure le tracce di pneumatico lasciate da Carl Hanna entravano dritte nel muro di nebbia: aveva seguito la pista per alcune centinaia di metri e poi aveva curvato verso nordest. Percio Julian ipotizzava che si stesse spostando seguendo la linea immaginaria che collegava il Promontorium Heraclides col Promontorium Laplace. Sperando che quel maledetto assassino fosse un maestro di sopravvivenza, decisero di seguirlo. Amber continuo a studiare le mappe, ma, se fino a poco prima erano state uno strumento prezioso, ora si rivelarono del tutto inutili. A tratti la visibilita diventava pressoche nulla gia dopo cento metri, spesso persino dopo dieci. Non era piu possibile distinguere nessun orizzonte, nessuna collina, nessuna catena montuosa. Solo le tracce di Carl nella sua corsa verso l’ignoto. Qualcosa di oscuro che divorava la gioia di vivere si alzo dalla polvere, si poso opprimente sul petto di Evelyn e scateno in lei un desiderio infantile di piangere. La Luna non era che materia morta, eppure fino a quel momento le era sempre sembrata animata da una certa vitalita, come un vecchio saggio, un affascinante Matusalemme che custodiva tra le rughe la storia della creazione. In quel luogo, tuttavia, sembrava che ogni sembianza di fascino fosse stata cancellata per sempre. La familiare consistenza polverosa della regolite, le morbide alture e i piccoli crateri avevano lasciato il posto a un paesaggio farinoso e mono-
tono, quasi spettrale. Per un attimo ebbe l’impressione di scorgere un piccolo cratere, che pero ben presto si dissolse nella foschia: una mera illusione dei sensi. «Qui non e rimasto nulla che consenta di orientarsi», disse Julian ad Amber. «I maggiolini hanno modificato per sempre il paesaggio.» Maggiolini? Evelyn non aveva mai sentito parlare d’insetti che imperversassero sulla Luna, ma, qualsiasi cosa facessero quegli insetti lassu, aveva davanti agli occhi l’enormita della devastazione di cui erano responsabili. Era come se qualcosa o qualcuno avesse violentato il satellite. Quella polvere farinosa aveva la consistenza delle ceneri di un defunto e si estendeva a perdita d’occhio in due strisce piatte e parallele, come solchi in un campo arato. «Julian, questo posto ha un aspetto terrificante. » «Lo so. Anch’io non lo definirei uno scenario da sogno. Gli addetti ai lavori vengono qui solo quando ci sono dei problemi che i robot di manutenzione non riescono a risolvere.» «E cosa diavolo sarebbero questi maggiolini?» Julian sollevo il braccio e indico qualcosa. «Guarda la, quello e un maggiolino.» Evelyn dapprima vide solo il luccichio tremolante della luce solare sui granelli di polvere, poi, in mezzo alla nube grigia e a una distanza indefinibile, prese forma una sagoma che ricordava un animale preistorico. Il corpo aveva una specie di gobba e sembrava stranamente privo di peso. La lentezza con cui si spostava permetteva d’individuare dettagli bizzarri, dei dispositivi di aspirazione rotanti sotto una testa piegata e piatta che rovistava in continuazione nella regolite, e lunghe zampe da insetto. Avanzava ingurgitando polvere e sollevandone altra. Le microscopiche particelle vorticavano intorno al corpo massiccio, avvolgendo gli arti come in un bozzolo. Evelyn credeva di sapere di cosa si trattasse, ma qualsiasi supposizione sulla natura del maggiolino perdeva consistenza di fronte alla sua mastodonticita. Piu si avvicinavano, piu l’essere sembrava gonfiarsi e inarcare il dorso sul quale luccicavano colossali specchi convessi, un mostro mitologico alto quanto un palazzo a piu piani. E Julian si stava dirigendo dritto verso il gigante. «Momoka, resta dietro di me. Nessuna iniziativa personale. Se non vogliamo tornare indietro, sara inevitabile passare vicino a quelle macchine. I loro movimenti sembrano lenti, ma e una lentezza relativa se rapportata alle dimensioni.» La visibilita diminu ancora. Quando, a poca distanza dal maggiolino, le ruote dei rover tornarono a toccare la consistenza vellutata della regolite, riuscirono a distinguerne il tronco, scuro e minaccioso, sullo sfondo di un cielo sfocato. Nonostante l’altezza, la macchina era molto esile. Le zampe e i dispositivi di aspirazione si dissolsero in una nuvola di polvere. Evelyn ebbe l’impressione che il gigante girasse la testa piatta con una lentezza infinita, seguendoli con lo sguardo mentre sollevava uno dei potenti arti segmentati per avanzare di un passo. Il rover sussulto leggermente. Attribu il sussulto a un’increspatura nel terreno,
anche se avrebbe giurato di averlo percepito nel momento esatto in cui il maggiolino aveva affondato il piede nella regolite. «Una macchina di estrazione!» Oleg Rogacev si volto verso il gigante dai contorni sempre piu indistinti. «Fantastico. Perche non me ne hai mai parlato finora?» «Noi li chiamiamo maggiolini», affermo Julian. «Per via della forma e dell’andatura. Sono fantastici. L’unico problema e che ne abbiamo pochi.» «Trasformano la regolite in questa... cosa?» chiese Evelyn riferendosi al deserto polveroso. Julian era reticente. «Come ho detto, modificano il paesaggio. » «Be’, non che avessi un’idea precisa su come si svolga il processo di estrazione dell’elio3, ma forse mi aspettavo di vedere delle torri di trivellazione o qualcosa di simile.» Per un attimo Evelyn si vergogno di se stessa. Stava tranquillamente conversando con Julian di tecniche di estrazione, come se Momoka non avesse dovuto confrontarsi col macabro spettacolo del cadavere deformato del marito neanche mezz’ora prima. Da quando avevano lasciato il Promontorium Heraclides, la giapponese non aveva piu detto una parola, anche se si dimostrava in grado di mantenere un perfetto controllo di guida del rover. C’era in lei qualcosa di spettrale, come se fosse in trance. L’essere nascosto dietro la visiera scura del casco avrebbe potuto tranquillamente rivelarsi un robot. «L’elio-3 non si estrae come il petrolio, il gas o il carbone, e un isotopo contenuto nella polvere lunare sotto forma atomica », spiego Julian. «Circa tre nanogrammi per ogni grammo di regolite, ripartiti in modo uniforme.» «Un nanogrammo, aspetta... e la miliardesima parte del grammo, giusto?» riflette Evelyn. «Cos poco?» si meraviglio Rogacev. «Non proprio poco. Pensateci, si e depositato qui grazie all’azione del vento solare per miliardi di anni. Il totale supera il mezzo miliardo di tonnellate, ovvero una quantita dieci volte superiore alle riserve terrestri di carbone, petrolio e gas. È tantissimo. Solo che per estrarlo bisogna processare il suolo lunare.» Ah, e cos che si dice, penso Evelyn. Processare. E il risultato e un deserto polveroso. Con un po’ di amarezza, fisso l’orizzonte. In lontananza un secondo maggiolino si faceva strada attraverso la polvere e di colpo il terreno torno a essere accidentato e farinoso. «È comunque una quantita esigua», insistette Rogaev. «Ho l’impressione che debbano essere processate quantita considerevoli di suolo lunare. Fino a che profondita scavano questi affari ?» «Da due a tre metri. Anche a cinque metri di profondita si trovano depositi di elio-3, ma la maggior parte di quello processato si trova in superficie.»
«Ed e sufficiente?» «Dipende da quello che ci vuoi fare.» «Voglio dire, e sufficiente per rifornire il mondo di elio-3?» «È stato sufficiente per far crollare il mercato dei combustibili fossili.» «Che e crollato in anticipo sui tempi. Quante macchine vengono impiegate, al momento?» «Trenta. Credimi, Oleg, l’elio-3 risolvera il nostro problema energetico per un lungo periodo. Ma hai ragione, ci servono piu macchine per arare con profitto tutto il terreno.» «Arare...» ripete Amber. «È adatto piu a un campo di grano che a un giacimento.» «S», replico Julian con una risata forzata. «In effetti queste macchine si spostano per tutta l’area, smuovendo e sollevando il terreno come un aratro.» «Impressionante», commento Rogacev. Evelyn colse una punta di scetticismo nella sua osservazione. In lontananza si profilo la sagoma di un terzo maggiolino. Sembrava fermo. Poi lei scorse qualcosa di piu piccolo che si muoveva rapidamente avvicinandosi alla macchina da dietro. Penso che fosse un velivolo, poi si rese conto che aveva zampe lunghe e sottili come filigrana. Tipo ragno. Si fermo sotto l’enorme addome del maggiolino, quindi si abbasso. Evelyn fisso la scena, incuriosita. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Julian, ma il silenzio di Momoka gravava sul gruppo come un macigno, quindi prefer tacere, anche se quello che vedeva la inquietava. Quell’insettario non le piaceva per nulla. Non che avesse nulla contro la tecnologia, anzi: guidava coscienziosamente un’automobile elettrica, aveva attrezzato la propria tenuta coi pannelli solari di Locatelli, faceva la raccolta differenziata, senza tuttavia potersi vantare di una spiccata sensibilita ambientale. Fenomeni come la robotica, le nanotecnologie e l’astronautica l’appassionavano quanto le cascate, le sequoie e le scimmie leonine a rischio di estinzione, la cui sopravvivenza non poteva considerarsi indispensabile al mantenimento dell’equilibrio biologico. Le tecnologie moderne la affascinavano, ma c’era qualcosa in quel regno dei morti che la spaventava e che sembrava non lasciare indifferente nemmeno un freddo industriale come Oleg Rogacev. Le tracce lasciate dal veicolo di Carl Hanna disegnavano un’ampia curva. Delle impronte colossali facevano supporre che avesse dovuto schivare una delle macchine di estrazione. Alle orme grandi come crateri se ne aggiunsero altre piu piccole e meno profonde. Evelyn si volto e vide il maggiolino tremolare come una fata morgana nel suo bozzolo di polvere. L’oggetto che assomigliava a un ragno non era piu in vista. Lei chiuse gli occhi e l’immagine della gigantesca macchina continuo a scintillare sulla sua retina come un fantasma. Il maggiolino ingurgitava regolite. Infilava ininterrottamente nel terreno i suoi denti a pala, smuoveva la roccia, setacciava i bocconi indigesti e convogliava la finissima materia residua all’interno del suo corpo, mentre gli enormi riflettori sul dorso seguivano il corso del sole, im-
prigionando fotoni e trasmettendoli a specchi parabolici piu piccoli. Da l, la luce penetrava all’interno dell’organismo cibernetico generando un inferno la cui temperatura era di 1000 °C, non sufficiente per fondere la regolite, ma abbastanza elevata per separarne gli elementi piu preziosi. Idrogeno, carbonio, azoto e un’infinitesima quantita di elio-3 salivano nel forno solare sotto forma di gas e da l giungevano all’addome. A -260 °C, sottoposti a una pressione elevatissima, i gas si condensavano e venivano convogliati verso una serie di serbatoi sferici: da un lato le minuscole particelle di elio-3, ogni goccia un tesoro prezioso custodito con la massima cura, dall’altro tutto il resto, in quantita enormi. L’idrogeno si sarebbe prestato benissimo per la produzione di carburante, l’azoto per arricchire l’aria respirabile e il carbonio per produrre materiali da costruzione, ma il maggiolino, nonostante le sue colossali dimensioni, non poteva trattenere tutto, percio restituiva al vuoto la maggior parte delle sostanze, dove evaporavano all’istante, generando intorno alla macchina un’atmosfera volatile che si rinnovava ciclicamente. In quel modo i maggiolini trasformavano tutto cio che li circondava: il suolo lunare, che restituivano sotto forma di particelle bruciate, e lo spazio vuoto, che veniva arricchito dei gas nobili che la macchina espelleva senza sosta. L’espulsione dei gas portava la polvere a addensarsi ancora di piu intorno alle macchine. In realta, in assenza di molecole di aria che tenessero in sospensione le particelle di roccia, una barriera di polvere come quella non avrebbe dovuto nemmeno formarsi. Tuttavia era proprio la mancanza di pressione atmosferica, unita alla gravita ridotta e ai fenomeni di carica elettrostatica, a indurre le particelle a seguire traiettorie lunghe ed estremamente alte, dalle quali ricadevano al suolo, quasi controvoglia, solo dopo alcune ore. Col tempo, sopra la zona di estrazione si era formata una cappa di foschia permanente. Le nubi di gas trattenevano altre particelle di polvere, in una quantita tale da avvolgere la bocca e le zampe del maggiolino. Sulla struttura cristallina del materiale in sospensione si rifletteva una luce cangiante, simile all’aurora boreale, che ostruiva ulteriormente la visibilita. Per tutti quei motivi, Carl Hanna si era reso conto di quanto fosse vicino a una delle macchine di estrazione giusto un attimo prima di essere afferrato da una ganascia, e solo grazie a una manovra degna di uno stuntman aveva evitato di partecipare al ciclo di trasformazione industriale. Si allontano velocemente dal maggiolino, ancora sorpreso per non essersi accorto prima della presenza di quel colosso, che pure faceva tremare il terreno. La macchina svettava altissima sopra di lui, ma, in effetti, le creature piu piccole tendevano a non vedere quelle molto piu grandi a una distanza cos ridotta. Grazie all’inesauribile fonte d’informazioni di Hydra, Hanna sapeva che i maggiolini «aravano » la regolite, seguendo traiettorie ad angolo retto rispetto a una linea immaginaria che univa il Promontorium Heraclides e il Promontorium Laplace, e sapeva pure che era impossibile oltrepassare la stazione procedendo perpendicolarmente rispetto ai solchi arati: l’unico punto di riferimento possibile in un mondo in
cui, a causa dell’assenza di campo magnetico, non si potevano usare nemmeno le bussole. Era in cammino da oltre un’ora, da quando il buggy era passato a miglior vita, e aveva dovuto ricorrere alla prima riserva di ossigeno. Eppure non avvertiva nessuna stanchezza. Salvo imprevisti, sarebbe arrivato alla stazione di estrazione nel giro di quindici o venti minuti. Altrimenti, sarebbe stato in guai seri. E avrebbe avuto un bel po’ di tempo a disposizione per preoccuparsi. All’improvviso si trovarono davanti un ragno. Emerse dall’ombra di un maggiolino e taglio loro la strada a una velocita tale che Julian fu costretto a sterzare per evitare la collisione. A Evelyn tornarono in mente i tripodi di H.G. Wells, le macchine marziane del romanzo La guerra dei mondi, che attaccavano e incenerivano le citta coi loro raggi termici. Quella macchina, pero, di zampe ne aveva otto, sottili e alte diversi metri, tanto che il corpo sembrava sospeso nel vuoto. Nella parte posteriore del corpo erano allineate dozzine di serbatoi sferici; un altro aspetto che differenziava i ragni dai loro omologhi marziani era il totale disinteresse per la presenza umana. Se non fosse stato per la prontezza di spirito di Julian, il ragno avrebbe infatti tranquillamente travolto il rover. «Cosa diavolo era quella bestiaccia?» grido Momoka, tornando a comunicare, per quanto il suo tono facesse rimpiangere il malinconico silenzio mantenuto fino a poco prima. Ogni traccia di dolore sembrava essere stata canalizzata in una rabbia indomabile. Evelyn sospettava che il suo carattere scontroso non era frutto di superbia, ma di un’aggressivita repressa accumulata nel corso di molti anni. Vederla alla guida del rover le piaceva sempre meno. Col cuore in gola, osservo il robot che si allontanava rapidamente. Davanti a loro, Julian riprese ad avanzare con prudenza. «Un ragno.» Come se ci fossero ancora dei dubbi. «Robot di carico e scarico. Prelevano i serbatoi pieni dai maggiolini e li sostituiscono con quelli vuoti, portano il carico alla stazione e lo preparano per il trasporto successivo.» «Qui non ci si sente proprio i benvenuti», noto Rogacev. «Non fanno niente», borbotto Amber. «Vogliono solo giocare. » «Questa zona e sorvegliata?» «S e no», rispose Julian. «Cioe?» «La sorveglianza scatta solo in caso di una segnalazione di guasto. Vi ho gia detto che l’estrazione e automatizzata. Intelligenza distribuita, collegata a una rete di comunicazione in tempo reale. I robot interagiscono solo tra di loro, noi non siamo previsti nei loro schemi interni.» «Robot di merda. La tua stramaledetta Luna sta davvero iniziando a stancarmi», sibilo Momoka.
«Forse varrebbe la pena inserire qualche dato in piu in questi schemi», propose Evelyn. «Voglio dire, se nell’universo di un ragno c’e posto per degli oggetti enormi come i maggiolini, non dovrebbe essere cos difficile infilarci anche l’Homo sapiens. » «Non e previsto che esseri umani si aggirino nella zona di estrazione, che e una tecnosfera chiusa», replico Julian innervosito. «E quanto e grande questa tecnosfera?» chiese Amber. «Attualmente, il settore americano e di cento chilometri quadrati. I cinesi occupano uno spazio piu piccolo.» «E tu sei sicuro che quelle siano macchine americane?» «I cinesi impiegano mezzi cingolati.» «Quand’e cos...» sospiro Evelyn. «Almeno non rischiamo di farci calpestare dal nemico.» Da quel momento in poi, avanzarono con una cautela ancora maggiore per evitare i pericoli che potevano nascondersi in quel paesaggio sfocato e, siccome nel vuoto non si udivano rumori, si concentrarono sulla vista. Fu cos che Amber scorse il buggy gia da lontano. «Cosa c’e?» volle sapere Momoka quando Julian si fermo. «Ci potrebbe essere Carl, la davanti.» «Oh, bene», commento lei con una secca risata. «Molto bene. Per me, non per lui.» Sorpasso Julian. Rogacev le appoggio la mano sul braccio. «Aspetta.» «Perche diavolo dovrei aspettare?» «Ho detto di aspettare.» L’insolito tono autoritario indusse Momoka a fermarsi. Rogacev si alzo. Non c’erano in vista ne ragni ne maggiolini. Solo la regolite bruciata indicava che le macchine avevano gia arato quella parte del Sinus Iridum. In mezzo alla desolazione, il buggy di Hanna sembrava il relitto di una vecchia battaglia perduta molto tempo prima. «Io non lo vedo da nessuna parte», disse Amber dopo un po’. «Pare che non ci sia, in effetti», confermo Rogacev dopo aver controllato da tutti i lati. «Come fai a dirlo con questa polvere di merda?» ringhio Momoka. «Potrebbe essere ovunque.» «Almeno finora nessuno ci ha sparato addosso.» «D’accordo, andiamo a vedere», decise Julian. Pochi minuti e poterono constatare che Hanna non era in agguato. Uno degli assi del buggy aveva ceduto, rendendo il veicolo inutilizzabile. Impronte di stivali si allontanavano in linea retta.
«Ha proseguito a piedi», constato Amber. «Puo farcela?» chiese Evelyn. «Nessun problema, finche ha ossigeno a sufficienza.» Julian si chino a ispezionare il vano di carico. «Qui non ha lasciato niente, di sicuro ha preso le riserve d’ossigeno del Ganymed.» «Non dovremmo essere quasi arrivati?» Evelyn fisso il vuoto. «Voglio dire, siamo in viaggio da piu di un’ora.» «Secondo il rover mancano quindici chilometri alla stazione. » «Un’inezia.» «Per noi. Un po’ meno per lui. A piedi ci mettera una o due ore. Questo significa che e ancora qui vicino, da qualche parte. È impossibile che sia gia arrivato.» «Quindi lo incontreremo.» «Molto presto, credo.» «E cosa facciamo con lui?» «Faremmo meglio a chiederci cosa fara lui con noi», sbotto Amber. «In ogni caso so benissimo cosa faro io con lui», intervenne Momoka. «Io lo...» «No, non lo farai», la interruppe Julian. «Non fraintendermi. Comprendiamo il tuo dolore, ma...» «Risparmiami queste cazzate!» «... ma noi dobbiamo scoprire cos’ha in mente Carl. Voglio capire perche sta succedendo tutto questo. Ci serve vivo!» «Non sara facile, e armato», sottolineo Rogacev. «Proposte?» «Be’, abbiamo qualche vantaggio su di lui. Abbiamo i rover. E ci troviamo alle sue spalle. Se non si gira proprio nel momento decisivo, possiamo arrivargli molto vicino senza che se ne accorga. » «E come pensi di evitare che ci riempia di pallottole non appena ci vede?» obietto Amber. «Gli stiamo addosso, va bene. E poi?» «Potremmo cercare d’imbottigliarlo, arrivando su di lui da destra e da sinistra», ipotizzo Julian. «Ma cos ci vedra», disse Rogacev. «E se gli dessimo un colpetto da dietro?» propose Evelyn. «Non e una cattiva idea.» Julian cerco di delineare un piano di attacco. «Potremmo cercare di avvicinarci affiancati, pian piano. Poi un rover potrebbe farlo cadere, senza ucciderlo, e quelli dell’altro rover saltargli addosso e disarmarlo.» «E chi gli da la botta?» chiese Evelyn.
«Julian», disse Rogacev. «Noi invece cercheremo di sopraffarlo. » «E chi guida?» Rogacev guardo Momoka, immobile come se stesse aspettando che qualcuno attivasse le sue funzioni vitali. «Lei e molto provata emotivamente.» «Non ti preoccupare», replico la donna in tono impersonale ma deciso. «E invece s. Non so se sia il caso di farti guidare. Rovinerai tutto.» «Ah, e cos?» Momoka riacquisto vitalita e si isso sul sedile del conducente. «E quale sarebbe l’alternativa, Oleg? Se mi permetti di saltargli addosso, rischi molto di piu. Potrei sfondargli la visiera col primo pezzo di roccia che mi capita in mano.» «Ci serve vivo», ripete Julian. «In nessun caso lo...» «Ho capito!» ringhio lei. «Niente iniziative personali, Momoka!» «Staro alle regole. Faremo come dite voi.» «Sei sicura?» Lei sospiro. Quando riprese a parlare, la sua voce tremava come se stesse lottando per trattenere le lacrime. «S. Sono sicura. Promesso.» «Non mi fido», sentenzio Rogacev. «Non ti fidi di me?» «No. Credo che ci metterai tutti in pericolo. Ma la decisione e tua, Julian. Se vuoi farla guidare, accomodati.» Carl Hanna vide il maggiolino avvicinarsi da sinistra. La polvere avvolgeva gli arti e le pale rotanti, mentre nubi gelate uscivano dai fianchi e si mescolavano alla materia in sospensione. Lui doveva raggiungere l’altro lato prima della macchina: era piuttosto vicina, e affrettando il passo avrebbe potuto farcela. Sulla Terra, penso, quel robot avrebbe prodotto un fracasso infernale. L, invece, regnava un silenzio inquietante. Non udiva altro che il ronzio del sistema di climatizzazione e il proprio respiro regolare. Era consapevole del fatto che quella quiete apparente poteva indurre a compiere gesti avventati e, oltretutto, la luce abbagliante non consentiva di calcolare con precisione le distanze. D’altro canto, non aveva proprio voglia di aspettare che il gigantesco mostro lo superasse strisciandogli accanto. La stazione di estrazione doveva essere vicinissima. Ne aveva abbastanza, voleva arrivare a destinazione. Tenendo l’ultimo zaino coi sistemi di sopravvivenza stretto sotto il braccio, inizio a compiere balzi piu lunghi. «Lo vedo!» La sagoma del canadese apparve sfocata all’orizzonte. Attraversava la pianura con lunghi salti, mentre da sinistra si stava avvicinando il corpo mastodontico di un maggiolino. Julian
fece cenno al rover di Momoka Omura di avvicinarsi e attese finche lei non si affianco. «È piuttosto azzardato quello che sta facendo», sussurro Amber. «E soprattutto molto sfavorevole per noi», borbotto Rogacev. «Dobbiamo davvero rischiare?» Julian tentenno. «Non lo so. Se aspettiamo che la macchina passi, potrebbe volerci un’eternita.» «Potremmo girarci intorno», propose Evelyn. «E poi?» «Avvicinarci a lui dall’altro lato.» «No, cos ci vedrebbe. Possiamo giocare sull’effetto sorpresa solo se restiamo dietro di lui.» «Allora, avanti», intervenne Momoka. «Se lui riesce a passare sotto quell’affare, possiamo farlo anche noi.» «La macchina e troppo vicina, Momoka», insistette Rogacev. «Non sarebbe meglio aspettare? Carl non puo sfuggirci, ormai. » «A meno che non ci abbia gia visto», commento Evelyn. «Avrebbe sparato.» «Forse vuole seminarci.» «No, Carl e un professionista.» Rogacev fece una pausa. «Conosco le persone come lui. In una situazione del genere, non esiterebbe ad aprire il fuoco. Anch’io farei cos.» I rover si avvicinavano alla sagoma in fuga a una velocita costante. Nel contempo, si ridusse anche la distanza tra il maggiolino e Hanna, che aveva iniziato a compiere balzi ancora piu lunghi. La coreografia scalpitante dei sei potenti arti era percepibile solo in modo vago sullo sfondo polveroso. Il canadese sembrava un parassita insignificante rispetto al maggiolino ma, piu avanzava, piu dava l’impressione di avere fatto bene i calcoli. «Ce la fara», sussurro Momoka. «E se anche fosse?» disse Amber. «Oleg ha ragione, non ci puo sfuggire. Dovremmo aspettare.» «Stronzate. Ce la possiamo fare.» «Perche dovremmo correre un rischio del genere proprio ora? Possiamo seguire le sue impronte.» «Ma il maggiolino le cancellera.» «Finora le abbiamo sempre ritrovate.» «Momoka», sibilo Rogacev in tono minaccioso. «Avevi promesso... » «Fine della discussione», decise Julian. «Aspettiamo.»
«No!» Momoka premette a fondo il pedale e il rover fece un balzo in avanti, sollevando una gragnuola di frammenti di regolite. Rogacev, che si era sollevato dal sedile, perse l’equilibrio e fu scaraventato sul terreno polveroso. Per un attimo il rover sbando, poi schizzo via. «Lurido porco!» grido lei. «Brutto...» «Momoka, no!» «Torna indietro!» Lei ignoro le voci nel suo casco e si lancio all’inseguimento dell’assassino del marito. Evelyn si aggrappo con le unghie al sedile posteriore, fu spinta all’indietro e ud tutta una serie di colorite imprecazioni in russo uscire dalla bocca di Rogacev. Sfrecciavano verso Carl Hanna a tutta velocita. Ancora pochi secondi e l’avrebbero travolto e ucciso. «Momoka, fermati. Ci serve...» In quell’istante, il canadese si volto. Carl Hanna non credeva ne all’intuizione ne al sesto senso. I suoi colleghi che si erano affidati all’istinto non erano sopravvissuti a lungo. Il principio ordinatore dell’intelletto imponeva di compensare la mancanza di occhi dietro la testa con la razionalita. Tutto il resto era frutto del caso, come il fatto che si fosse voltato proprio in quell’esatto, decisivo istante. Vide il rover sfrecciare verso di lui. Limit Analisi della situazione: era un modello proveniente dal porto spaziale Schroter, quindi erano riusciti ad arrivare fin l dall’Aristarchus Plateau. Sia lui sia il veicolo procedevano perpendicolarmente rispetto al maggiolino. Tempo rimanente al sopraggiungere della macchina: incerto. Tempo rimanente all’impatto col rover: tre secondi. Estrarre l’arma e fare fuoco: inutile. Ancora due secondi. Un secondo... Si getto di lato all’ultimo momento. Rotolo e si rimise in piedi, trovandosi pericolosamente vicino al maggiolino. Davanti a lui venivano scagliate in aria tonnellate di polvere. Dietro, si spalancavano le fauci affilate di una pala gigantesca, che si sollevava dal terreno colma di regolite, seguita da un’altra, poi da un’altra e da un’altra ancora. La ruota di azionamento girava velocissima, oscillando a sinistra e a destra e sollevando di continuo nuove masse di roccia lunare per convogliarle verso i setacci e i rulli trasportatori. Il maggiolino avanzo facendo tremare il suolo. Dov’era il rover? Carl si giro e, a pochi passi di distanza, vide lo zaino che gli era scivolato a terra durante la caduta. Aveva bisogno della riserva d’ossigeno, ma il veicolo aveva gia fatto inversione sollevando un vortice di polvere e stava per lanciarsi di nuovo su di lui. Un secondo rover si stava avvicinando dalla direzione opposta. Hanna porto la mano alla coscia ed estrasse la
pistola coi proiettili esplosivi. «Lo sapevo, lo sapevo!» impreco Rogacev. Si era sistemato dietro Julian e aveva assistito all’attacco. Poi aveva visto Hanna estrarre un’arma dalla tuta. Sembrava indeciso contro quale dei due veicoli aprire il fuoco. Quell’attimo di esitazione gli fu fatale. Una delle ruote del rover di Momoka, alte come un uomo, lo colp alla spalla, scaraventandolo lontano. Cadde sul fianco e rotolo di nuovo verso le pale rotanti della mostruosa fabbrica semovente che si stava avvicinando fin troppo in fretta. «Basta, Momoka!» grido Julian. «Lo recuperiamo noi.» Ma lei era diventata sorda. Mentre Hanna si rialzava visibilmente stordito, lei sterzo bruscamente, costringendo il rover a una curva troppo stretta e perdendo il controllo. Il mezzo s’impenno, si ribalto piu volte e scivolo verso il maggiolino sollevando nuvole di detriti. Momoka fu scaraventata nella polvere ma, gridando come un’arpia, si rimise in piedi, illesa, e si getto contro Hanna. Inorridita, Amber vide il rover cappottarsi e fermarsi, coperto da una campana di polvere. «Mio Dio, Evelyn... Evelyn!» L’unico pensiero di Evelyn fu quello di aggrapparsi con tutte le forze ai montanti del sedile posteriore. Sperava che il veicolo l’avrebbe protetta come una gabbia finche lei non avesse mollato la presa. Momoka era scomparsa. Non era piu possibile distinguere l’alto dal basso, solo scossoni, polvere e ancora scossoni, che stavano distruggendo il telaio. Alla fine fu sbattuta a terra e si ritrovo a fissare una ruota traballante. Il rover si era fermato, e lei era viva. Almeno per il momento. Tento subito di liberarsi dal rottame. Poteva muovere gambe e braccia, ma era comunque incastrata, mentre il terreno sussultava sotto il peso di qualcosa di colossale che affondava nella regolite proprio accanto a lei. Con una chiarezza agghiacciante, cap di cosa si trattava. Amber urlo ancora: «Evelyn! Evelyn!» «Incastrata», grido lei. «Sono incastrata!» Il terreno tremo di nuovo. I robot interagiscono solo tra di loro, noi non siamo previsti nei loro schemi interni. Doveva liberarsi il piu velocemente possibile. Terrorizzata, inizio a tirare i montanti, ma era come se la sua schiena si fosse fusa col rover. Inizio a piangere, perche aveva capito che sarebbe morta. Julian si fermo proprio accanto al rover distrutto. In quel momento, Hanna e Momoka erano l’ultimo dei suoi pensieri. Erano scomparsi dall’altro lato del maggiolino, lontano dalle voraci pale del robot. Dovevano liberare Evelyn. Rogacev e Amber saltarono a terra ed Evelyn allungo le braccia verso di loro. Si resero conto immediatamente che lo zaino coi sistemi di sopravvivenza si
era incastrato fra il telaio deformato del mezzo. Julian lancio un’occhiata preoccupata verso l’alto. La macchina colossale avanzava inesorabilmente, oscurava il cielo, copriva la pianura, le persone, i veicoli con la propria ombra. Si potevano vedere le piastre della corazza, i rivetti, le giunture, i perni e le tubazioni esterne. La testa bombata col dispositivo di aspirazione, coi setacci e coi nastri trasportatori si muoveva quasi con circospezione da un lato all’altro, come se fiutasse qualcosa sul terreno. Dalle articolazioni coniche sui fianchi fuoriuscivano delle zampe segmentate, ognuna alta quasi dieci metri e massiccia come il braccio di una gru. Il rover si trovava proprio sulla sua traiettoria. E l’arto anteriore del mostro inizio a sollevarsi. Carl cerco di orientarsi. Aveva picchiato la nuca contro il rivestimento interno del casco, un evento in teoria impossibile, dal momento che la struttura era concepita in modo da scongiurare incidenti di quel tipo. Anche la spalla gli doleva, ma la protezione aveva attutito l’urto. Riusciva a muovere le braccia, pero aveva perso l’arma coi proiettili esplosivi. Davanti ai suoi occhi vorticavano cerchi rossoarancio che sembravano voler risucchiare la sua coscienza. Quasi accecato, incespico per qualche passo, cadde in ginocchio, si riscosse, contrasto un potente attacco di nausea. Momoka si trovava pochi passi dietro di lui. Ribolliva di odio. Era una Medea, un’Elettra, una Nemesi, la personificazione della vendetta, sfrenata, senza paura, senza nessun piano. Ogni pensiero razionale era stato cancellato dall’ossessione di riuscire a uccidere Carl Hanna, in un modo o nell’altro. Un oggetto lucido dalla forma allungata attiro la sua attenzione: un oggetto che ricordava un’arma da fuoco, anche se era priva di grilletto, sostituito da tasti e pulsanti. Quella era un’arma da fuoco, la pistola di Hanna. «Prova a spingere la staffa verso il basso.» «Quale staffa? Maledizione!» «La. Quella la! La staffa, la sbarra, quello che e!» Quello che era, penso Amber, prima che il rover si trasformasse in un mucchio di rottami. Un pezzo dell’asse? Il supporto del ricevitore radio? Spinse con tutte le sue forze, mentre Rogacev tirava lo schienale del sedile di Evelyn. Una parte si era infilata tra lo zaino e la tuta e lei non riusciva a smuoverla. «Sbrigatevi!» li incito Julian. Rogacev punto lo stivale contro lo schienale, che si allento leggermente. Il vero problema, tuttavia, restava la sbarra piegata. Amber alzo lo sguardo e vide la zampa del maggiolino sollevarsi sempre di piu, lentamente, come in un incubo. Era sospesa proprio sopra le loro teste. Una fitta pioggia di polvere e sassolini si abbatte su di loro. Rogacev riprese a imprecare in russo, e Amber lo interpreto come un brutto segno. Riprovo a fare forza contro la sbarra, tese
i muscoli allo spasimo e, di colpo, l’asta di ferro si spezzo. Rogacev sfilo lo schienale da sotto lo zaino e lo scaglio lontano. «Riesco a uscire da sola!» Rapida come un fulmine, Evelyn si districo fra i rottami e balzo lontano. Corsero verso il rover di Julian e si gettarono nel veicolo. La mastodontica zampa si abbatte sul rottame e lo disintegro con un tale impeto che pure il loro veicolo si sollevo dal terreno. «Da che parte?» grido Julian. Amber indico il polverone. «Devono essere dall’altro lato della macchina!» Momoka afferro quell’insperato strumento di vendetta e si lancio all’inseguimento di Hanna, che barcollava come un ubriaco. La luminosita era diminuita, un’ombra indistinta si era posata su di lei, ma non se ne curo. Con un balzo, si avvento sul canadese che, perso nuovamente l’equilibrio, cadde bocconi. No, non era ancora il momento di sparare. Doveva guardarlo in faccia. Doveva vederlo morire. A corto di fiato, Momoka attese che Hanna si girasse e punto l’arma al casco. «Lurido porco!» Premette uno dei pulsanti. E poi un altro. «Lo vedi? Lo vedi, questo, brutto stronzo?» Ma, per quanto premesse, non partiva nessun colpo. Poi credette di aver individuato una sicura, protetta da una mascherina: bastava sollevarla col pollice e poi... Carl indietreggio strisciando e fisso incredulo la sagoma senza volto. Poteva essere solo di lei. Anche Oleg Rogacev era dotato di un simile spirito combattivo, ma, cos minuta e delicata, doveva essere Momoka Omura, che voleva vendicare la morte di Warren Locatelli. Aveva scoperto la sicura. L’aveva sollevata. Sarebbe stato impossibile strapparle l’arma di mano. Doveva scappare, mettere una certa distanza tra se e la giapponese. Stava imprecando contro di lui? Momoka trasmetteva su un’altra frequenza, pero di sicuro stava gridando, e lui si sent vittima di un’ingiustizia. Non ho ucciso tuo marito, avrebbe voluto dirle, come se quello avrebbe cambiato le cose. Ma era la verita: lui non l’aveva ucciso, anzi avrebbe voluto risparmiargli la vita, e lo aveva persino aiutato a morire. Meritava di essere punito per quello? Il suo sguardo si sposto verso un punto sopra di lei. Via. Doveva allontanarsi. «Passiamo tra le zampe!» grido Amber. «Sei impazzita?» Julian sfrecciava accanto al maggiolino. Amber piego il busto all’indietro e osservo il gigante dal basso. Julian aveva ragione. Era troppo pericoloso. Solo ora, da vicino, si rese conto di quanto il maggiolino fosse enorme. Una montagna in movimento. Ognuna delle sei zampe poteva porre fine alla loro esistenza in un lampo. La polvere si concentrava soprattutto sotto il tronco. L la visibilita era nulla e, come
se non bastasse, dalle aperture poste lungo le giunture uscivano altre nuvole bianche e dense. Girarono intorno alla parte posteriore della macchina e, schivando la pioggia di detriti, costeggiarono l’altro lato. Verso la testa del mostro. Momoka voleva gustare il momento il piu a lungo possibile. Percio non sparo subito, ma rimase a osservare Hanna che strisciava via carponi, quasi avesse la speranza di fuggire. Come se esistesse l’eventualita che lei ci potesse ripensare. «Paura?» sibilo Momoka. Oh, s. Doveva avere paura. Come aveva avuto paura Warren. Ci serve vivo, sent lamentarsi Julian, lo stronzo che li aveva attirati su quella Luna di merda, lei e Warren. Vivo? A lei serviva morto. E infatti l’avrebbe ammazzato, adesso, mentre cercava di alzarsi, sayonara, Carl Hanna. Proprio un bel momento. All’improvviso calo il buio. E quello cos’era? Alzo lo sguardo. Incredibile. Luna di merda. La Luna le stava davvero sulle... «... palle», sussurro lei. L’enorme macchia nera calo inesorabile su Momoka. Il maggiolino pose fine alla sua esistenza senza concederle un momento di raccoglimento: del resto, non sarebbe stato da lei. Invece, in linea col suo temperamento, visto che bisognava morire come si era vissuto, diede in escandescenze per un’ultimissima volta e, mentre veniva ridotta in poltiglia, l’arma di Hanna si disintegro contro la protezione toracica della sua tuta spaziale e un proiettile si spezzo. Il docciaschiuma si lego chimicamente con lo shampoo e il proiettile esplose, seguito dagli altri nove, disintegrando il piede del maggiolino. Venne inviata una segnalazione di guasto alla centrale della base lunare: un danno sul lato anteriore sinistro dell’apparato motorio di BUG-24. La macchina era in avaria, quindi il sistema la disattivo all’istante. Tuttavia l’intervento della squadra di controllo non sarebbe servito a nulla. Perso il punto di appoggio dell’arto anteriore, quello centrale si piego: il colosso comincio a inclinarsi. Palle. L’ultima parola che avevano sentito uscire dalla bocca di Momoka Omura. «Non la vedo», disse Amber. E come possiamo vederla con tutta questa polvere? penso Evelyn Chambers. Era ancora scossa dai tremiti. Continuava a rivivere il momento in cui era quasi stata calpestata, una visione spettrale di cui la sua mente non riusciva a liberarsi. Aveva paura che presto si sarebbe risvegliata scoprendo che aveva solo sognato di essere stata salvata e che la zampa d’acciaio l’avrebbe... La zampa d’acciaio? Evelyn cerco di mettere a fuoco lo scenario. C’era qualcosa nel maggiolino che la confondeva. Un’allucinazione? Erano loro a essersi avvicinati alla macchina o la macchina a ess-
ersi avvicinata a loro? Vide una zampa staccarsi. «Si sta ribaltando...» «Cosa?» «Si sta ribaltando!» Evelyn comincio a gridare. «La macchina si sta ribaltando! Si sta ribaltando!» Il maggiolino pendeva dalla parte sbagliata. La loro. Julian sterzo, cercando di ottenere l’impossibile dal rover. Lungo il tragitto dall’Aristarchus Plateau, ottanta chilometri orari a Evelyn erano sembrati una velocita esorbitante, a causa della mancanza di aderenza al terreno e della gravita ridotta. Adesso quella stessa velocita era un’andatura da lumaca. Tenne sempre d’occhio il maggiolino: era come se lottasse per mantenere l’equilibrio e, per un brevissimo attimo, quasi riusc a trovare una posizione stabile. Ma l’arto posteriore inizio a oscillare minacciosamente e infine si spezzo. Sollevando uno tsunami di polvere, il dorso del mostro si schianto nella regolite e s’inclino verso di loro. «E quello cos’e?» grido Amber. Solo dopo un paio di secondi Evelyn si rese conto che Amber non si riferiva alla macchina minatrice, bens a qualcos’altro che si avvicinava dalla direzione opposta. «Via! Via!» «Non ce la faccio!» esclamo Julian. Mentre il maggiolino crollava a terra, un ragno spuntato dal nulla stava piombando loro addosso: i suoi programmi interni non solo non prevedevano esseri umani, ma neanche macchine di estrazione che si ribaltavano. Il robot di carico puntava senza deviare dalla sua traiettoria verso il gigante in caduta libera. Julian sterzo a sinistra, e pure il robot invert la rotta. Allora lui cerco di deviare a destra. Il suolo tremo. L’onda d’urto invest il rover e il paesaggio si tinse completamente di grigio. Il veicolo sbando, inizio a girare sul proprio asse e colp con la parte posteriore uno dei sottilissimi arti del ragno, che comincio a barcollare. Stavano cercando scampo in retromarcia quando Evelyn vide il maggiolino schiantarsi al suolo, una montagna che sollevava un uragano di regolite. Un uragano che invest il rover. Sopra di loro il ragno saltellava sulle lunghe zampe, quasi impazzito. «Via!» grido Rogacev. Saltarono fuori dai sedili, caddero, inciamparono, si allontanarono piu rapidamente che poterono, ma furono avvolti e sospinti lontano da nuvole di polvere. Uno degli immensi specchi parabolici del maggiolino venne scagliato verso Evelyn e, ruotando come la lama di una gigantesca sega circolare, apr una fenditura nel terreno a pochi passi da lei, per poi scomparire roteando nel grigio piroclastico. Il maggiolino termino la caduta e colp il robot danneggiato, che perse l’equilibrio e si ripiego su se stesso, accasciandosi sul rover. Il corpo del ragno distrusse sterzo e sedili, quindi perse le sfere-serbatoio dell’elio-3 che rimbalzarono sul terreno come se stessero dando la caccia ai fuggitivi.
Evelyn scappava a grandi balzi. E anche Carl Hanna. Quando aveva visto la zampa del maggiolino calare su Momoka, non aveva avuto dubbi sull’imminente catastrofe. L’apparato motorio della macchina era estremamente stabile, ma dieci capsule detonanti che esplodevano tutte insieme sprigionavano potenza sufficiente per disintegrare anche le strutture piu solide. Non rientrava nei suoi programmi l’attesa per vedere se gli arti rimasti sarebbero riusciti a compensare la perdita. Ebbe la risposta dal boato che fece tremare il terreno. Intorno a lui si sollevo una nube di polvere finissima. A balzi cerco di allontanarsi il piu possibile e solo quando ritenne di essersi sottratto al pericolo rallento per riprendere fiato, la testa dolorante e la spalla che pulsava. Si volto a osservare la scena del disastro. Nubi grigie si gonfiavano in lontananza, ostruendo la vista. Si era sbarazzato dei suoi inseguitori, sebbene le probabilita fossero davvero scarse. Aveva avuto fortuna, doveva riconoscerlo. A quel punto, cos’altro poteva andare storto? Cosa diavolo stava sbagliando? Non stava sbagliando proprio nulla. Da tempo aveva imparato come ci si sentiva nel flipper delle condizioni limite. Al di la delle capacita personali, alla fine era sempre il caso a decidere. Anche i piani piu accurati erano soltanto ipotesi che, a tavolino, funzionavano alla perfezione, mentre nella realta la vera abilita era non uscire di strada lungo i tornanti del caso. Quindi non doveva agitarsi. Dunque, lo scenario peggiore: tutti, tranne Momoka Omura, erano sopravvissuti. Il rover della giapponese si era ribaltato, pero, se fossero riusciti a rimetterlo in moto, avevano ancora a disposizione due veicoli. Lui invece era a piedi e disarmato. Una situazione preoccupante. Mosse il braccio con cautela, lo distese, lo piego. Niente di rotto. Inoltre aveva ancora la pistola coi proiettili tradizionali, che provocavano fori piu piccoli ma altrettanto letali. Cerco di stabilire in che direzione fosse fuggito: senza le impronte del maggiolino, sarebbe stato molto difficile orientarsi e trovare la stazione. Per fortuna le sue impronte erano perfettamente visibili sul suolo non ancora processato. Comunque, fino a quel momento non aveva avvistato i due rover. Forse gli altri stavano cercando Momoka. Ma potevano davvero rischiare di perdere le sue tracce per lei? Se avessero davvero avuto a disposizione entrambi i rover, uno dei due non sarebbe gia partito all’inseguimento ? Forse la situazione non era poi cos negativa. Intanto doveva capire dove si trovava esattamente. L’uno dopo l’altro si rialzarono, confusi, le tute sporche, scampati per un nonnulla alla morte. Intorno a loro, sembrava che il paesaggio fosse stato sconvolto da un bombardamento o da una catastrofe naturale. Il maggiolino, che poco prima si stagliava contro il cielo, adesso era soltanto un blocco semisepolto nella regolite. Poi il ragno con le zampe spezzate e i rover distrutti. Un fantasma di polvere aleggiava sulla scena.
«Momoka?» La cercarono nei dintorni, urlando il suo nome. Ma non ottennero nessuna risposta ne riuscirono a individuare una sia pur minima traccia della donna, come se Momoka fosse stata inghiottita dal suolo lunare. All’improvviso Evelyn perse di vista anche gli altri. Si fermo. Rabbrivid, come se qualcosa di gelido l’avesse toccata nell’intimo. La polvere si gonfio e formo una sorta di tunnel, al di la del quale sembrava esserci qualcosa di piu scuro, nel contempo minaccioso e invitante. Lei ebbe l’impressione di scomparire nel tunnel. A ogni passo, si allontanava dal suo vero io. I suoi contorni si dissolsero, fino a diventare irriconoscibili, e alla fine perse se stessa. Poi, dopo un tempo indefinito, si ritrovo accanto agli altri. «Dove sei stata?» chiese Julian preoccupato. «Ti abbiamo chiamata a lungo.» Gia, dov’era stata? Lungo un confine. Lungo il confine dell’oblio. Aveva gettato un’occhiata furtiva alle ombre: qualcosa l’aveva risucchiata e, con tetri richiami, aveva cercato di persuaderla ad agire. Era consapevole dell’irrazionalita di quella sensazione. Le esperienze estreme erano state piu volte oggetto di dibattiti esoterici nelle sue trasmissioni, anche se lei non credeva nell’aldila. Ma, nel momento in cui Amber, Rogacev e Julian ricomparvero al suo fianco, Evelyn ebbe la certezza che Momoka era morta. Il silenzio che seguiva i loro richiami era il silenzio della morte. Scopriromo tracce che si allontanavano dalla testa del maggiolino. Potevano essere solo le impronte di Carl Hanna. Ma la giapponese era scomparsa. Evelyn non parlo della sua insolita esperienza. Dopo un po’ abbandonarono la ricerca e tornarono al rover. Era inutilizzabile, ma recuperarono le scorte d’ossigeno. Per la prima volta da quando davano la caccia a Hanna, le sue tracce sembravano fuorviarli. Valutarono la situazione e, alla fine, decisero di continuare a seguirlo. Limit 31 MAGGIO 2025 MINI-NUKE KALLISTO, LUNA O’Keefe chiuse gli occhi. Non era un codardo e stare da solo non lo turbava. Gia anni prima aveva scoperto il balsamico piacere della compagnia di se stesso e, da solo, aveva trascorso momenti indimenticabili, col cielo azzurro e con le strida degli uccelli marini che cavalcavano i salmastri venti di ponente e perlustravano il mare alla ricerca di un bagliore che tradisse la presenza di una preda. La solitudine - la sorella disperata dello stare da soli - lui la avvertiva solo nei luoghi affollati. In tal senso, la Luna, benché finora non gli avesse permesso di sperimentare nessuna illuminazione spirituale, sarebbe dovuta piacergli: per essere completamente soli bastava andare dietro una collina, chiudere la comunicazione radio e
fingere che gli altri non ci fossero. Ora, mentre volavano verso la base Peary, si rese conto che aveva sempre ingannato se stesso. Stare da soli, sulla Terra, era ridicolo: c’era la consapevolezza che il mondo sarebbe sempre stato a portata di mano e che si poteva tornare a godere delle sue chiassose manifestazioni di civilta in qualsiasi momento. Persino nella vastita del deserto del Mojave, sulle cime dell’Himalaya o in mezzo ai ghiacci perenni, si sapeva di condividere il pianeta con altri esseri pensanti, una sensazione rassicurante. Sulla Luna, invece, si era davvero soli. Privato della protezione del corpo di Gaia, escluso da ogni tipo di comunicazione, isolato dal resto dell’umanita, in quelle due ore di viaggio O’Keefe aveva capito che, alla Luna, non importava nulla degli esseri umani. Non si era mai sentito tanto inutile e insignificante. L’hotel era una rovina in preda alle fiamme. La base Peary era un miraggio. Le pianure e le catene montuose intorno a lui di colpo gli apparivano ostili, anzi forse nemmeno quello, dato che l’ostilita presupponeva almeno di essere presi in considerazione. Ma, nel contesto di cio che i credenti definivano «creazione», la razza umana sembrava piu irrilevante di un microbo sotto un battiscopa. Considerando la Luna come un modello dei miliardi di galassie del cosmo visibile, diventava evidente che l’universo non era stato creato per gli esseri umani... sempre ammesso che fosse stato qualcuno a crearlo. Inaspettatamente, O’Keefe aveva trovato conforto nel gruppo e provava gratitudine per ogni parola pronunciata dagli altri. Sebbene non conoscesse bene Miranda, viveva la sua morte come una tragedia personale, perché sarebbero bastati pochi centimetri per consentirgli di evitarla. Lei poteva anche avere ammazzato il suo amato Louis, dato un nome ai suoi seni e creduto alle idiozie piu assurde che aride dive di Hollywood come Olinda Brannigan leggevano nelle carte o nei fondi di caffe. Ma, di quella donna, lui aveva ammirato l’autostima, l’allegra determinazione a non farsi guastare l’umore da niente e da nessuno, la dignita che emanava benché apparisse ridicola. E, s, forse aveva addirittura un po’ amato tutto cio. Si chiese se, in tutta la sua supponenza, lui fosse mai stato cos sincero con se stesso come lo era stata Miranda nella sua semplicita. Il suo sguardo si poso su Lynn Orley. Cosa le era successo? Era come spenta, uno zombie. Aveva sentito Nina Hedegaard dire a Wachowski che si trovava sotto shock, ma a lui sembrava che stesse seguendo una sorta di programma di autodistruzione. Dalla morte di Miranda non aveva piu detto una parola. E non dava piu segni di percepire l’ambiente circostante. Nemmeno il piu piccolo stimolo esterno... ... riusciva a penetrare la sua consapevolezza. Era diventata un buco nero. Era seduta sul fondo del buco nero, capace di sentire l’eco dei suoi pensieri. Cosa insolita per un buco nero, secondo il modello di Hawking. C’era qual-
cosa che non andava. Se fosse davvero precipitata nel suo centro collassato e la sua individualita avesse cessato di esistere, cio avrebbe segnato la fine di ogni cognizione. Invece lei era finita da qualche parte. Altrimenti sarebbe stato impossibile spiegare il fatto che fosse ancora in grado di produrre pensieri e congetture, come per esempio che probabilmente si sarebbe sentita meglio se le sue pillole verdi non fossero bruciate tra le fiamme, quando... ... con la distruzione dell’hotel, si era spenta pure ogni speranza di ricevere un messaggio da Carl, ammesso che lui fosse ancora in grado d’inviare messaggi. Nel frattempo, ripensando alla serata appena trascorsa, quando tutto era andato storto, Dana inizio ad avere dei dubbi. Avrebbe dovuto abbandonarsi al pessimismo? Cos’era accaduto all’Aristarchus Plateau? Forse, anche senza saltare alla conclusione che Carl non ce l’avesse fatta, doveva considerare l’eventualita di prendere in mano lei stessa la situazione. Lei almeno non era ancora stata smascherata e, per quanto riguardava la sua nemica numero uno, sembrava aver perso ogni cognizione di se stessa e non rappresentava piu un pericolo. Tutti gli altri si fidavano di lei. Persino Tim, che... ... cercava, disperato, di suddividere equamente la propria apprensione. Era preoccupato per Amber e per Julian, piu di quanto fosse disposto ad ammettere; era preoccupato per Lynn e per tutti gli altri nello shuttle, ovunque si trovassero, e lo era anche per i limiti della propria capacita di sopportazione. Era angosciato oltre ogni dire. Dopo due ore di volo, ormai dovevano essere abbastanza vicini alla base, eppure non erano ancora riusciti a contattare nessuno. Dana disse che era colpa di quel maledetto problema coi satelliti, e che avrebbero stabilito un collegamento radio non appena avessero avuto un contatto visivo con la base. Quest’ultima affermazione trasformo l’angoscia di Tim in terrore: e se la base fosse stata deserta? Oppure, chissa per quale motivo, distrutta? Il tempo si dilatava all’infinito... o passava troppo in fretta? La Luna non offriva nessun punto di riferimento per le concezioni umane del divenire. La percezione del tempo trovava un’assurda continuita solo nell’enclave del Kallisto, mentre fuori il tempo non esisteva e loro, forse, non sarebbero mai piu arrivati da nessuna parte. E, proprio mentre l’orrore di quella visione, alimentato dalla sua fantasia sfrenata, minacciava di sommergerlo, fu salvato da quattro parole e uno sbadiglio. «Tommy Wachowski. Base Peary.» «Base Peary, qui Kallisto. Siamo in avvicinamento. Chiediamo l’autorizzazione ad atterrare fra circa dieci minuti.» «Una visita?» esclamo Wachowski con voce assonnata. «Oh, cavolo. Ma lo sapete che ore sono? Spero solo che qui abbiano fatto le pulizie e tolto di mezzo le bottiglie.» «Non e una visita di cortesia», disse Nina Hedegaard.
«Un attimo.» Il tono di Wachowski si fece subito piu serio. «Pista di atterraggio 7. Serve aiuto?» «Stiamo bene. Abbiamo un ferito non grave, e una persona sotto shock.» «Perché non proseguite fino al Gaia Hotel?» «Veniamo proprio da la. C’e stato un incendio. Il Gaia Hotel e distrutto, ma ci sono anche altri motivi per cui non possiamo tornare nella Vallis Alpina.» «Oh, santo cielo. Cos’e successo?» «Tommy...» Dana s’inser nella conversazione. «I dettagli dopo, va bene? Abbiamo molto da raccontare e ancora di piu da rielaborare. In questo momento, ci accontentiamo di un atterraggio. » «D’accordo», disse lui. «Prepariamo tutto per il vostro arrivo. A tra poco.» IMPIANTO DI ESTRAZIONE AMERICANO, SINUS IRIDUM, LUNA Dopo meno di un quarto d’ora, la polvere si dirado, svelando di nuovo il lontano Mare Imbrium, la catena montuosa dello Jura e l’impianto di estrazione. Carl si concesse un brevissimo riposo. Si era allontanato troppo in direzione nord-ovest, ma ce l’aveva fatta. Mantenendo quel passo, avrebbe raggiunto la stazione di l a poco. L’ipotesi che gli altri fossero morti, o comunque che non potessero muoversi a loro piacimento, era diventata certezza. Con un rover avrebbero potuto raggiungerlo senza troppe difficolta, e invece non era accaduto. Sentiva la testa ovattata. Dovette lottare contro un leggero capogiro e di nuovo contro la nausea. Riprese a muoversi a lunghi balzi, raggiungendo la stazione abbastanza rapidamente. A differenza della base Peary, era costruita in superficie: un enorme igloo ricoperto di regolite, collegato con robot-insetto cilindrici pressurizzati, serbatoi sferici e hangar che incorniciavano a ferro di cavallo la pista di atterraggio adiacente alla ferrovia magnetica. Scale e ascensori portavano sulla sopraelevata, dove si trovavano i binari, sui quali stazionavano alcuni treni merci - semplici piattaforme agganciate - pronti per il successivo viaggio. Ai lati della pista di atterraggio, due dozzine di ragni stavano immobili, pronte a entrare in azione non appena attivate. Altri due erano accanto ai binari e caricavano i serbatoi sferici su uno dei treni. Un terzo ragno si stava avvicinando col suo carico. A prima vista, sembrava che fossero in corso dei lavori di ampliamento dell’impianto, ma Carl noto che hangar, depositi e infrastrutture poggiavano su cingoli: cio significava che, processato fino all’esaurimento quel territorio, l’intera stazione sarebbe stata trasferita altrove. Nonostante il sottile velo di polvere che avvolgeva ogni cosa, l la visibilita era migliore. L’accecante luce del sole veniva riflessa dalla struttura cristallina delle particelle in sospensione e creava un’atmosfera da day after. Un mondo di macchine.
Carl perlustro gli hangar. Oltre a diversi robot di manutenzione, trovo quattro robusti grasshopper con superfici di carico piu ampie e gambe telescopiche piu lunghe rispetto ai modelli utilizzati al Gaia Hotel. Ma non c’erano né mezzi piu veloci né shuttle, insomma nulla che potesse essere considerato un mezzo di trasporto. Nella zona di estrazione si preferivano le macchine provviste di zampe ai veicoli su ruote, perché sollevavano meno polvere, e quindi garantivano una migliore protezione dei componenti meccanici. Le interfacce di manutenzione dei maggiolini erano alloggiate nella testa e nel dorso, e cio spiegava la presenza dei grasshopper, che permettevano di sollevarsi oltre il manto polveroso ed effettuare atterraggi di precisione sui mastodontici corpi delle macchine; tutte le altre attivita erano svolte dai robot. Carl non dubitava che un grasshopper - un velivolo a basso consumo ma anche straordinariamente lento - l’avrebbe portato a destinazione ma, con uno di quegli affari, gli ci sarebbero voluti quasi due giorni. Avrebbe potuto riempire la superficie di carico con scorte di ossigeno, sempre che fosse riuscito a trovarne all’interno della stazione. La tuta gli avrebbe fornito acqua potabile, ma avrebbe dovuto rinunciare al cibo solido. Era disposto ad accettare persino quello. Pero non il ritardo. Doveva agire entro poche ore. Attraverso la camera di decompressione della struttura ed entro in un locale di disinfezione, dove spruzzi di liquidi detergenti ad alta pressione ripulirono la sua tuta dalla polvere lunare, poi finalmente poté togliersi il casco. L’ambiente era spazioso e abbastanza accogliente: impianti sanitari, una cucina, generose scorte alimentari, ambienti di lavoro e alloggi, uno spazio comune e persino una piccola palestra. Ando in bagno, mangio due barrette di muesli ricoperte di cioccolato, bevve un’abbondante quantita di acqua, si lavo la faccia e si mise a cercare qualcosa contro il mal di testa. La farmacia della stazione era ben fornita. Diede un’occhiata a uno dei transporter insettoidi agganciati all’impianto, ma anche quel mezzo si rivelo inadatto, essendo ancora piu lento dei grasshopper. Poi trovo altre scorte di ossigeno, che gli avrebbero assicurato la sopravvivenza per qualche giorno dopo che avesse lasciato la stazione. Pero non aveva ancora idea di come avrebbe portato a termine il suo incarico in tempo utile. Si rimise il casco e trasporto sul ponte di volo tutte le scorte di ossigeno che riusc a trovare. Osservo i ragni. L’ultimo della fila stava issando i serbatoi sulla superficie di carico quasi completa del treno merci, fissandoli successivamente con grandi staffe di sicurezza che spuntavano di lato. Tutto faceva pensare che il treno sarebbe partito entro pochi minuti, con destinazione la base lunare. A settecento chilometri all’ora. Una velocita che provoco un momentaneo turbamento nella mente di Carl. Il ragno doveva caricare ancora una dozzina di serbatoi. Forse gli restavano dieci minuti, troppo pochi per sabotare i grasshopper, come
avrebbe voluto, ma sufficienti per caricare tutte le scorte di ossigeno. Pose gli zaini sull’ascensore, che si mise in movimento con una lentezza snervante. Attraverso le inferriate, lui poteva vedere le zampe del ragno, il suo corpo, i suoi organi prensili. Ancora tre serbatoi. Sceso sulla banchina, infilo gli zaini sulla superficie di carico tra i serbatoi impilati. Le estremita simili alle zampe di una mantide religiosa sollevarono l’ultimo serbatoio e lo posizionarono sul treno. Carl si fermo a pensare quale fosse il miglior posto per viaggiare su quel treno, poi si diede dello stupido. Non era il Lunar Express, ma un treno merci, uno di quelli la cui accelerazione non costituiva un pericolo per l’uomo. La sua velocita, l sulla Luna, era irrilevante. Spostarsi nel vuoto sulla superficie della Luna non era molto diverso dal volare a quarantamila chilometri orari all’interno di una navicella, dalla quale si poteva uscire per effettuare qualche lavoro o una passeggiata nello spazio con relativa tranquillita. Tuttavia, potendo scegliere, decise che il posto migliore era davanti ai serbatoi. Si isso sulla piattaforma di carico, scivolo lungo i serbatoi sferici e sotto gli arti del ragno finché non trovo un punto adatto, un passaggio vuoto tra due vagoni. S’infilo nel pertugio, si accovaccio, punto i piedi, appoggio la schiena ai serbatoi e attese. Il robot aggancio l’ultimo serbatoio, ma il treno ancora non partiva. Carl s’innervos. Il fatto che il treno fosse carico non significava automaticamente che sarebbe anche partito. Stava ancora riflettendo sulla faccenda, quando il treno si mise in movimento con un leggero sussulto. Carl si volto: il ragno era gia scomparso dalla vista. Il treno accelero, schiacciandolo contro i serbatoi. La pianura sfrecciava accanto a lui, la polvere diminu. Per la prima volta da quand’era stato smascherato, non si sent piu prigioniero dell’incubo di qualcun altro. «Inutili grasshopper!» grido Julian. Allo stremo delle forze, erano riusciti a raggiungere l’impianto. Solo Rogacev, allenato a stare in piedi fino al crollo degli avversari, non dava segni di stanchezza. Aveva ripreso a parlare con calma e, come sempre, emanava la freschezza di una cella frigorifera. Amber invece era pronta a giurare che nella propria tuta si fossero sviluppate forme di vita malvagie, che volevano impedirle di muoversi per farle vivere un’insolita esperienza di claustrofobia. Era rinchiusa nella bardatura fradicia e avvolta da odori terribili. Pure Evelyn sembrava piuttosto malmessa: era malferma sulle gambe e ancora sotto shock per aver rischiato di morire schiacciata dal maggiolino. Persino Julian sembrava aver all’improvviso scoperto di essere un sessantenne. Non avevano mai sentito Peter Pan col fiato corto. Dopo la prima ricognizione, si resero conto che, in tutto l’impianto, non c’era nemmeno uno zaino con le riserve di ossigeno. «Potremmo ricavare l’aria dai nostri kit di sopravvivenza», propose Evelyn. «Potremmo, s, ma non e cos semplice.» Erano seduti all’interno del modulo abitativo e bevevano te. Julian aveva tolto il casco. Il suo viso era arrossato e la barba arruffata, come
se avesse rovistato per ore tra i peli alla ricerca di una soluzione. «Ma ci serve ossigeno compresso. Per ottenerlo, dovremmo modificare tutta una serie di cose, e francamente...» «Non girarci intorno, Julian. Dillo e basta.» «... al momento non ricordo nemmeno come si fa. Be’, a grandi linee s, ma questo non ci aiuta. Potremmo riempire solo i nostri serbatoi. Tutti i serbatoi di riserva sono scomparsi.» «Carl», disse Rogacev. Amber fisso il vuoto. Ma certo. Carl era stato l. Avevano perlustrato l’impianto, aspettandosi che lui li attaccasse da un momento all’altro e invece lui era gia stato l e se n’era andato. La questione era: con quale mezzo, dal momento che non mancava nemmeno un grasshopper? Il mistero si chiar quando Julian trovo i piani operativi e gli orari di partenza dei treni: poco prima del loro arrivo, era partito un carico di elio-3 per la base Peary. «Quindi sta andando alla base.» «S, e dal Polo tornera all’hotel.» «Bene, seguiamolo. Quando parte il prossimo treno?» «Ehm, fammi vedere... Dopodomani.» «Come?» «Gente, gli americani qui non pompano fiumi di elio-3. Si tratta di piccole quantita. In un futuro prossimo ci saranno molti piu treni, ma al momento...» «Dopodomani. Maledizione! Due giorni bloccati qui.» Neppure dai satelliti ottennero aiuto. Amber era seduta davanti a un te sempre piu freddo e cercava di tenere le spalle dritte per evitare che le cadesse in avanti il capo, diventato pesantissimo. Da un lato, temeva per Tim, Lynn e gli altri. Dall’altro, nel contempo, le sembrava di avere nella testa un intero ente pubblico stipato d’istanze inoltrate dalla propria sopravvivenza. Pero i messaggi di cordoglio erano accatastati in un angolo, lo sportello Empatia era chiuso per la pausa caffe e gli altri lo erano per rimozione di traumi in corso, mentre al dipartimento per il Disturbo post-traumatico da stress rispondeva la segreteria telefonica. Aveva voglia di piangere, ma per le lacrime bisognava compilare un modulo introvabile. Solo lo sportello della Dissociazione mentale lavorava a pieno ritmo, vagliando e poi bocciando piani di fuga, mentre il suo io, sotto shock, aspettava in compagnia di cinque morti, sperando nell’arrivo di un corriere. «E fin dove potremmo arrivare coi grasshopper?» chiese. «In teoria fino all’hotel, tuttavia ci vorrebbero due giorni e l’ossigeno non basterebbe», spiego Julian. «È possibile modificare il programma del sistema di comando dei treni?» chiese Rogacev. «Ce ne sono alcuni parcheggiati qui fuori. Se riuscissimo a farne partire uno...» «Io non sono capace di farlo. E tu?»
«Forse dovremmo considerare il problema da un’altra prospettiva », propose Evelyn. «Quanto ossigeno abbiamo ancora?» «Tre o quattro ore a testa, penso.» «Cio significa che dobbiamo escludere tutti i mezzi di trasporto che ci mettono piu tempo.» «Di certo non ci permetteranno di raggiungere l’hotel. In compenso qui possiamo sopravvivere per un tempo pressoché illimitato.» «Vorresti ammuffire qui dentro mentre fuori va tutto in rovina ?» sbotto Amber. «E i robot insettoidi? Quegli strani veicoli con le zampe... sono equipaggiati con sistemi di sopravvivenza, no?» «S, ma sono ancora piu lenti dei grasshopper. Arriveremmo ai piedi delle Alpi fra tre o quattro giorni. Solo la salita richiederebbe piu tempo di quanto consentito dalle nostre scorte.» «Sempre l’ossigeno», constato amaramente Evelyn. «Non solo quello, Evelyn. Anche se ce ne fosse abbastanza, perderemmo troppo tempo.» Rogacev gli rivolse uno sguardo indagatore. «Cosa vuoi dire? » «In che senso?» «Perché perderemmo tempo?» Julian ricambio lo sguardo di Rogacev. Sembro sul punto di dire qualcosa, infine guardo Amber, in una silenziosa richiesta d’aiuto. Lei annu impercettibilmente, e allora Julian sputo il boccone amaro, raccontando tutta la verita. Rogacev rimase impassibile. Evelyn invece studiava la punta delle dita, frastornata. Le sue labbra sembravano recitare silenziose preghiere. «E questo e tutto?» chiese infine. Julian scosse la testa, affranto. «Temo di no. Pero, al momento, non so altro. Davvero. Non vi avrei mai portato qui se solo avessi avuto il minimo sospetto...» «Nessuno ti sta accusando di aver agito in modo sconsiderato », disse freddamente Rogacev. «Tuttavia stiamo parlando del tuo hotel, quindi rifletti. Hai qualche idea del perché qualcuno voglia far saltare in aria il Gaia Hotel, per di piu con una bomba atomica?» «Mi sto arrovellando da ore su questa domanda.» «Allora?» «Non ne ho idea.» «Appunto. Non ha senso. A meno che l’hotel non nasconda qualcosa di cui nemmeno tu sei a conoscenza.» L’hotel o la sua costruttrice, rifletté Amber. Le tornarono in mente i sospetti di Julian. Sciocchezze, penso subito dopo, senza tuttavia riuscire a scacciare la sensazione di disagio. «Perché il Gaia Hotel?» continuo Rogacev. «Perché una bomba atomica? Mi sembra del tutto esagerato.»
«A meno che non si tratti solo di distruggere l’hotel.» «Le mini-nuke non hanno un potere distruttivo inferiore alle bombe atomiche convenzionali?» chiese Amber. «S, certo. Se facciamo il confronto coi peggiori disastri possibili. Altrimenti anche una mini-nuke e sufficiente per contaminare mezza Vallis Alpina. Quindi che senso ha tutto questo? Cos’ha quest’area di tanto speciale, Julian?» insistette Rogacev. «Te l’ho detto: non ne ho la piu pallida idea!» «Forse e un falso allarme. Abbiamo solo le congetture di questo detective», mormoro Evelyn. Julian scosse la testa. «Ti sbagli. Abbiamo cinque vittime e un killer in fuga. Tutto quello che ha fatto Carl nelle ultime ore e una dichiarazione di colpevolezza.» Rogacev intreccio le dita. «Forse dovremmo smetterla di volere l’impossibile.» «Che arguta constatazione.» L’altro sorrise, gelido. «Un attimo di pazienza. Non riusciamo a raggiungere l’hotel direttamente? Allora dobbiamo cercare una strada alternativa. Volete sapere una cosa? Vi raccontero una barzelletta.» «Una barzelletta?» Evelyn lo guardo con diffidenza. «Mi devo preoccupare?» «La barzelletta della mia vita. Mio padre la raccontava spesso. Una breve storia che, secondo lui, al momento opportuno aiuta le persone a trovare la giusta soluzione.» «In mancanza di Chucky...» Julian appoggio il mento sul palmo delle mani. «Dai, racconta. » «Due tizi stanno passeggiando nel Serengeti quando da un cespuglio salta fuori un leone. I due si spaventano a morte. Il leone ruggisce ed e chiaramente molto affamato. Il primo tizio si mette a correre a gambe levate. Il secondo si toglie lo zaino di spalla, lo apre con calma, tira fuori un paio di scarpe da ginnastica e le indossa. ’Sei impazzito?’ gli urla l’altro. ’Pensi davvero che con quelle scarpe riuscirai a correre piu veloce del leone?’ ’No’, gli risponde l’amico. ’Questo no.’» Il sorriso di Rogacev si allargo. «’Pero saro piu veloce di te.’» Julian lo fisso. Un sussulto delle spalle diede l’avvio a una breve risata. Un po’ esitante, Evelyn lo imito, seguita da Amber. «Quindi ci servono delle scarpe da ginnastica», constato Julian. «Fantastico, Oleg. Corriamo a casa a prenderle.» D’un tratto s’irrigid. «Un momento.» «Cosa c’e?» «Noi abbiamo delle scarpe da ginnastica.» «Come?» «Che idiota!» Con gli occhi sgranati dallo stupore per non averci pensato prima, Julian esclamo: «Le nostre scarpe da ginnastica sono i cinesi!»
«I cinesi?» «L’impianto di estrazione cinese. Ma certo. È abitato. Possiamo raggiungerlo in un’ora coi grasshopper, l’ossigeno ci basterebbe, la ci sono degli shuttle, hanno un satellite...» «E potrebbero esserci proprio loro dietro l’attentato», obietto Amber. «Quel Jericho non ha formulato proprio questa eventualita? » «S, ma anche quelli che ci hanno avvertito del pericolo sono cinesi.» Lo sguardo di Julian torno pieno di determinazione. «In fondo, cosa abbiamo da perdere? Se davvero e in corso un complotto cinese contro l’Orley Enterprises, pazienza. Peggio di cos non potrebbe andare. In caso contrario, oppure se non sono coinvolti proprio questi cinesi... avremmo solo da guadagnarci. » «Dovresti raccontare barzellette piu spesso», disse Evelyn a Rogacev. «Vi sembro tipo da conoscerne altre?» replico Rogacev in tono altero. «No», rise Julian. «Andiamo, allora. Prendiamo le nostre cose. » LONDRA, INGHILTERRA La teoria della Cina. Da quando avevano riconosciuto Kenny Xn nel filmato di Calgary, quel concetto era stato usato sino allo sfinimento dai collaboratori della Big O e dagli uomini del SIS. Era stata riesumata la spiegazione meno credibile e tuttavia piu convincente, ovvero che fosse un agente patogeno cinese a infettare l’Orley. E perché? Perché l’attentatore era cinese. Jericho era piu perplesso che mai. Dopo l’iniziale entusiasmo per avere smascherato Xn e trovato alcune tessere mancanti del puzzle, era sprofondato in una disperazione ancora piu bruciante. Di primo acchito, la teoria della Cina non faceva una grinza. Xn si era rivelato il perno intorno al quale ruotavano azioni ignobili avvenute in ogni angolo del mondo, azioni che avevano un unico scopo: metterlo in grado di portare a termine l’attentato. Difficilmente, pero, gli si poteva imputare anche il massacro di Vancouver. Un jet avrebbe potuto portarlo da Berlino in Canada in tempo per assassinare dieci persone, ma Jericho dubitava che Xn avesse lasciato l’Europa. Era piu propenso a credere che li avesse seguiti a Londra e che da l controllasse lo sviluppo degli eventi. Poteva benissimo aver delegato la faccenda di Vancouver a qualcun altro, e alcuni dei suoi collaboratori non erano cinesi, quello era dimostrato. La rampa di Mayé, l’acquisto e il posizionamento della mini-nuke erano opera dei cinesi. La Cina aveva provocato la crisi lunare, Pechino provava rancore verso gli Stati Uniti, Zheng cercava di combattere Orley e nel contempo di tirarlo dalla sua parte... in breve, la teoria della Cina s’inseriva perfettamente in quello scenario da servizi segreti. Ai suoi occhi, una sola cosa deponeva a sfavore di una simile teoria: in ultima analisi, il puzzle formato da tutte quelle tessere, che sembravano incastrarsi perfettamente, non aveva il minimo senso.
«Ma cosa sta dicendo?» s’indigno Norrington. «È stato Xn a sparare a Palstein. Questo dovrebbe farla riflettere.» «Infatti e cos», disse Jericho. «Quell’uomo non e soltanto un fucile nelle mani di qualcuno, lei lo sa meglio di me. È uno dei capi dell’organizzazione ed e un maledetto agente segreto cinese. Mi sembra un po’ azzardato escludere a priori che la Cina sia dietro tutta la faccenda.» Yoyo fece capire che non ne poteva piu di stare seduta in uno scantinato, per quanto accogliente. «Ho chiesto a Jennifer. Secondo lei, fino a domattina non e previsto nessun bombardamento atomico su Londra, quindi potremmo anche trasferirci con Diane in uno degli ampi uffici sul tetto.» Un’idea semplice, ma la migliore delle ultime ore. Londra alle due di notte era una distesa di luci. Una metropoli che forse non spiccava per modernita, ma che, per Jericho, era la piu bella e affascinante del mondo. Sulla riva opposta del Tamigi risplendeva la cupola del Millennium Dome; a ovest, c’era l’Hungerford Bridge, appeso a ragnatele luminose e sovrastato dal cerchio del London Eye. La luna artificiale arancione orbitava nel campo gravitazionale della Big O. Yoyo si appoggio con la schiena contro la vetrata dell’ampia finestra, facendo nascere in Jericho l’impulso di prenderle le mani. «La faccenda di Vancouver non ti ricorda Quyu?» Il pallore dello sconforto era scomparso dal viso di Yoyo. Il vino rosso e la voglia di lottare avevano restituito luminosita al suo sguardo. «Non credo che sia stato Xn», disse lui. «Ma la dinamica e molto simile. I Guardiani e Greenwatch: in entrambi i casi c’e stata una feroce caccia alle informazioni su Internet. Controllarne la diffusione e praticamente impossibile. Quindi, invece di un attacco mirato, punti subito all’annientamento di tutte le infrastrutture ed elimini chiunque possa aver avuto accesso alle informazioni in questione. Non hai garanzie, ovvio, pero almeno ne rallenti la divulgazione. Ed e questo che conta per Kenny. Sono sicura che farebbe saltare in aria questo edificio, se solo avesse la certezza di guadagnare qualche ora.» «Perché l’operazione e imminente.» «E noi non sappiamo cosa fare», Yoyo strinse i pugni. «Il tempo gioca a nostro sfavore. Vincera lui, Owen. Vincera quel lurido porco.» Lui le si avvicino, gettando un’occhiata alle luci della notte londinese. «Dobbiamo trovare i mandanti prima che compiano l’attentato.» «E come?» sbuffo Yoyo. «Alla fine troviamo sempre e solo Xn.» «E l’MI6 ormai e ossessionato dai cinesi. E lo stesso vale per l’MI5, per Andrew Norrington, per Jennifer Shaw...»
«Be’, anche noi abbiamo creduto la stessa cosa per quasi tutto il tempo, no?» Jericho sospiro. Yoyo aveva ragione. Erano stati proprio loro a mettere la pulce nell’orecchio a quella gente. «D’altra parte, come hai gia detto tu, c’e qualcosa che non quadra. La crisi lunare non si adatta al contesto. Perché la Cina dovrebbe riesumare la controversia sulle zone di estrazione in un momento in cui non ha certo bisogno di una pubblicita del genere a livello internazionale?» «Per Norrington, si tratta di una manovra diversiva.» «Bella manovra diversiva. Pechino e stata accusata di portare armi sulla Luna. Se la bomba esplodera davvero, non e certo il modo migliore per conquistare la fiducia del resto del mondo. Pensaci, Owen, non sarebbe stato molto piu semplice mandare un attentatore cinese con un missile cinese?» «Secondo Norrington, uno degli ospiti avrebbe avuto piu facilmente accesso al Gaia Hotel.» «Che sciocchezza! Quale accesso? Per fare esplodere una bomba atomica? Non hai bisogno di un accesso per fare una cosa del genere: la trascini davanti alla porta, ti allontani e la fai saltare in aria. Ricordi cos’ha detto Vogelaar? Lui sospettava di Zheng, non di Pechino.» «E cosa ci guadagnerebbe Zheng a uccidere Orley e distruggere il suo hotel?» Jericho la fisso. «Gli consentirebbe di costruire ascensori spaziali migliori? O reattori di fusione piu potenti?» «Hmm.» Yoyo si mordicchio il pollice. «A meno che la morte di Orley non modifichi gli equilibri all’interno del gruppo a favore di Zheng.» «Vogelaar aveva anche un’altra teoria.» «Che qualcuno stia cercando di aizzare le superpotenze l’una contro l’altra?» «Senza arrivare subito alle estreme conseguenze. Una guerra mondiale non scoppia cos facilmente, ma diverse cose cambierebbero. » «Tra i due litiganti...» «... il terzo gode.» Jericho picchio contro la vetrata. «Capisci, e proprio questo mi disturba. È tutto cos evidente. Sembra... una perfetta messinscena!» «D’accordo. Lasciamo perdere la Cina. Chi altro potrebbe volere la rovina di Orley?» «Se si trattasse solo di lui, basterebbe una pallottola. Non sarebbe necessaria una bomba atomica. Sai cosa ti dico? Invece di stare qui a rimuginare inutilmente, chiediamo consiglio a zia Jennifer.» «L’MI6 adora la teoria della Cina», disse Jennifer alcuni minuti piu tardi. «Come l’MI5. E, se fosse per Andrew Norrington, avremmo gia convocato l’ambasciatore cinese.»
«E lei cosa pensa?» «Sono combattuta. Non riesco a cogliere un senso in questa teoria, ma del resto neanche un cane capisce perché il suo padrone mette il pacchetto coi croccantini sullo scaffale piu alto. Noi dobbiamo diffidare della Cina, non abbiamo altra scelta. Per quanto riguarda Julian, ovviamente c’e un sacco di gente che vorrebbe vederlo morto.» «Girano voci che intenda rendere accessibili i suoi brevetti al mondo intero.» «È possibile», ammise Jennifer. «E una mossa del genere potrebbe essere nell’interesse di Zheng?» «Di certo non sarebbe nell’interesse dell’America. Per Washington, sarebbe il momento ideale per un cambio al vertice nella nostra societa. Sa, c’e stato un po’ di scompiglio.» Jericho rimase interdetto. Nella sua mente si formo un nuovo pensiero, che inizio a germogliare. «Esistono forze all’interno del gruppo Orley che non condividono la politica di Julian e sono invece piu vicine alla posizione di Washington?» Lei sorrise, stizzita. «Cosa crede? Che siamo qui a fare il girotondo ? Il semplice fatto che Julian stia riflettendo sulla possibilita di divorziare dall’America viene vissuto da alcuni come un sacrilegio. Tuttavia, finché comanda lui, chi non e d’accordo brontola con gli altri davanti a una birra, altrimenti tiene la bocca chiusa. A lei, Owen, Julian andrebbe a genio: e uno con cui si puo fare baldoria. E per questo talvolta ci si dimentica che, quando serve, si trasforma in un despota. Chi e dotato di creativita e capacita strategica ha piena liberta con Julian. Ma solo finché si attiene al suo vangelo. I rivoltosi di palazzo Orley possono dirsi fortunati che la ghigliottina sia stata abolita.» «Sua figlia non e la numero due dell’azienda? Cosa ne pensa della faccenda dei brevetti?» «È d’accordo col padre. So dove vuole arrivare, ma l’Orley Enterprises non si distrugge dall’interno.» «A meno che...» «... non si elimini Julian.» «Ottimo spunto», disse Yoyo, impassibile. «Forze interne all’azienda che vorrebbero la sua morte, ma che da sole non arriverebbero da nessuna parte. Con chi potrebbero allearsi?» «Con la CIA», rispose Jennifer senza esitazioni. «Ah.» «Lo so per certo. La CIA sta ipotizzando scenari di collaborazione senza Julian. Vagliano ogni possibilita. Gli americani temono per la loro sicurezza nazionale.» «Ma lo Stato ha la facolta di sottrarre i brevetti ai loro proprietari se e in gioco la sicurezza nazionale», obietto Jericho.
«È vero, pero Julian e inglese, non americano. E in Gran Bretagna nessuno ha problemi con lui, anzi. Con tutte le tasse che paga, il primo ministro sarebbe disposto a fargli da scudo col proprio corpo, se fosse necessario. E poi stiamo parlando di economia, non di guerra. Julian non mette in pericolo la sicurezza nazionale di nessuno, solo i profitti.» «L’unico modo per modificare gli equilibri dell’azienda sarebbe decapitarlo.» «Esatto.» «Zheng Pang Wang potrebbe...» «No. Zheng ripone tutte le sue speranze in Julian. Vuole convincerlo almeno a creare una joint-venture. Se ai vertici dell’Orley ci fosse qualcun altro, lui verrebbe tagliato fuori. A proposito, mi e venuto in mente che Edda ha raccolto i dati che le avevate chiesto.» «S, quelli relativi a...» «Vic Thorn, lo so. Un’idea interessante. Mi scusi, Owen, mi stanno chiamando dalla centrale di controllo dell’Isla de las Estrellas. Le inoltro i dati sul suo computer.» «La CIA...» mormoro Yoyo. «Questa e nuova.» «Un’altra teoria.» Jericho appoggio la testa, che era diventata pesante come il piombo, nell’incavo delle mani. «Eliminare il proprio partner commerciale per poi far ricadere la colpa sui cinesi. » «È plausibile una cosa del genere?» «Altroché!» Per un po’ rimasero seduti in silenzio. Sul monitor di Diane era apparsa un’icona e, sotto, c’era scritto VICTHORN. Jericho la fisso, sopraffatto da un senso d’impotenza. Aveva bisogno di una spinta per ripartire. Un piccolo successo che riaccendesse il suo entusiasmo. «Ascolta», disse. «Adesso facciamo una cosa che avremmo dovuto fare gia da tempo.» Trascino sul monitor il simbolo dei serpenti attorcigliati e lo chiamo SCONOSCIUTO. «Diane.» «S, Owen?» «Cerca in rete delle corrispondenze per SCONOSCIUTO. Di cosa si tratta? Mostrami le corrispondenze, complete di dettagli.» «Un attimo, Owen.» Yoyo gli si avvicino, incrocio le braccia sul tavolo e appoggio il mento nella piega del gomito. «Ha proprio una bella voce. Se fosse cos anche il suo aspetto...» Il monitor si riemp d’immagini. «Preferisci un riassunto, Owen?» «S, grazie.» «La grafica rappresenta quasi certamente un serpente acquatico. Si tratta di un’Idra, un mostro della mitologia greca, un serpente con nove teste. Viveva nelle paludi dell’Argolide,
compiva scorrerie nei dintorni, uccideva persone e bestiame e distruggeva i raccolti. Benché la testa centrale le garantisse l’immortalita, l’Idra e stata sconfitta da Eracle, uno dei figli di Zeus. Vuoi sapere qualcosa di piu su Eracle?» «S, raccontami come ha sconfitto l’Idra.» «La particolarita del mostro era che, quando veniva tagliata una testa, ne crescevano altre due, cosicché, durante un combattimento, esso diventava sempre piu pericoloso. Solo quando Eracle, con l’aiuto del nipote Iolao, comincio a dare fuoco ai monconi, le teste del mostro non furono piu in grado di riformarsi. Alla fine, Eracle ebbe ragione anche della testa immortale, schiacciandola sotto un gigantesco masso; poi intinse le sue frecce nel sangue dell’Idra, rendendole capaci d’infliggere ferite letali. Vuoi ulteriori dettagli?» «Grazie, Diane. Per il momento e sufficiente.» «Un mostro greco», mormoro Yoyo. «Nell’immagine ha un aspetto piu asiatico.» «Un’organizzazione con molte teste.» «Che ricrescono una volta tagliate.» «Ti sembra possibile che cospiratori cinesi scelgano come simbolo un essere della mitologia greca?» Yoyo fisso il monitor. Diane aveva selezionato una ventina d’immagini dell’Idra, ricavate da duemila anni di storia: erano molto diverse, ma tutte raffiguranti un rettile che si dimenava con le sue nove teste. «Mai e poi mai», rispose. BASE PEARY, POLO NORD, LUNA Anche se in quel luogo non c’era traccia d’indiani, si sentivano un po’ come i sopravvissuti di una carovana di pionieri che erano riusciti a rifugiarsi in un fortino. Mentre il Kallisto si avvicinava alla base, O’Keefe immaginava di vedere un reggimento di soldati a cavallo accorsi sull’altopiano per proteggerli, coi loro cappelli e con le spalline luccicanti, le fanfare, gli spari e le parole d’ordine. «Tutto bene, sergente?» «Sì, signore. È stato un inferno. Pensavamo di non farcela.» «Vedo che mancano i Donoghue.» «Sono morti, signore.» «Maledizione. E il personale?» «Morti, signore, tutti morti.» «Oh, mio Dio. E che ne e di Miranda Winter?» «Non ce l’ha fatta, signore. Abbiamo perso anche Rebecca Hsu.» «Ma e terribile.» «Sì, signore. Spaventoso.» Che strano. Persino una scienza come l’astronautica sembrava funzionare soltanto se la si adattava ai miti terrestri, trasferendo l’inconsueto nei termini della consuetudine. Cio che si prestava ad aprire la mente veniva ricondotto a una soffocante familiarita e compresso all’interno di angusti schemi mentali. Forse gli esseri umani non potevano fare in modo diverso. Forse banalizzare lo straordinario li aiutava a non soccombere sotto il peso della loro stessa banalita. Ecco perché il subconscio di O’Keefe era andato a scomodare il western, un genere che per decenni aveva avuto il compito di riportare ordine in un mondo sconvolto, con
l’aiuto di armi sempre cariche e di paesaggi mozzafiato. «Sono successe cose terribili, sergente.» «Sì, signore.» «Molti dei nostri hanno perso la vita.» «Sì, signore.» «Pero guardi questa terra, sergente. Questo paesaggio non vale il loro sacrificio?» «Non potrei mai rinunciare a questa terra, signore.» «Sì, e una terra straordinaria. È per lei che batte il nostro cuore, che scorre il nostro sangue. Noi un giorno moriremo, ma questa terra restera. Io amo questa terra.» «Anch’io, solo Dio sa quanto. Via, al galoppo...» Invece non era cos. Nel momento in cui il Kallisto, pilotato da Nina Hedegaard, tocco terra, tutti gli occhi erano puntati sul Charon. Come una piccola fortezza inespugnabile, il modulo di allunaggio riposava sulle sue gambe telescopiche all’estremita meridionale della pista, circondato dalle navicelle spaziali della base. O’Keefe rammento i loro primi passi sul suolo lunare, quando avevano saltellato pieni di entusiasmo e spirito di conquista, senza immaginare nemmeno lontanamente che, di l a breve, sarebbero stati decimati. Anche dopo il disastro nel Gaia Hotel, i paesaggi monocromatici e il mare di stelle color madreperla non avevano perso nulla del loro fascino, ma i loro sguardi adesso erano rivolti verso l’interno. L’avventura era finita. L’istinto di fuga aveva vinto sullo spirito pionieristico. «Mah, io non capisco», disse con aria scettica Leland Palmer, il comandante della base, un uomo tarchiato e dai tratti irlandesi. «Tutto questo non ha senso.» «Forse non ha senso, ma un sacco di gente e morta», replico O’Keefe. Un bus robotizzato li aveva portati dalla pista di atterraggio all’Igloo-2, una delle unita abitative a cupola che costituivano il centro della base. L’Igloo-1 ospitava la centrale e i laboratori di ricerca; la cupola adiacente veniva sfruttata per attivita ricreative e per l’assistenza medica. In una lounge a meta strada fra comfort e funzionalita, avevano raccontato la loro storia all’equipaggio, mentre Karla Kramp, Eva Borelius e i Nair venivano visitati per i sintomi dell’intossicazione e Olympiada Rogaceva, sconvolta dai sensi di colpa, si faceva steccare la gamba. Lynn era stata seduta in mezzo a loro senza dire una parola, finché Tim, col viso contratto dall’angoscia, non le aveva preso la mano e le aveva consigliato di andare a dormire per un po’. Un suggerimento che lei aveva apaticamente accettato. «È tutto l’insieme che non ha senso», ribad Palmer. «Basta guardare che danni puo causare l’ossigeno che prende fuoco. Perché usare addirittura una bomba atomica?» «Forse per distruggere anche l’ambiente circostante», ipotizzo Dana Lawrence. «Vorrebbe dire che la bomba potrebbe non essere destinata al Gaia Hotel?» «Non soltanto, direi.» «È vero», intervenne Walo Ögi. «Un paio di bombe a mano piazzate nei punti giusti sarebbero state piu che sufficienti. Casualmente so qualcosa di queste mini-nuke...»
«Tu?» si stup Heidrun. «L’ho visto in televisione, mein Schatz. E di fatto so solo che non bisogna farsi ingannare da quel vezzoso prefisso mini. Ognuna delle mini-nuke scomparse dall’Unione Sovietica all’inizio degli anni ’90 poteva radere al suolo Manhattan.» «S, ma cosa vogliono distruggere, di preciso?» chiese Tommy Wachowski. «Il Gaia Hotel si trova ai margini di una conca», disse Tim, reggendosi la testa tra le mani. «Nei punti in cui la Vallis Alpina descrive un cerchio.» «Che effetto avrebbe una bomba atomica nella conca?» domando O’Keefe. «Mah. La contaminerebbe», ipotizzo Wachowski, quasi con indifferenza. «Direi qualcosa di piu», intervenne Palmer. «Qui non c’e aria che potrebbe trasportare in giro il materiale radioattivo. Non ci sarebbe nessun fallout, insomma. D’altro canto, pero, non c’e nulla in grado di frenare la forza esplosiva. L’impatto sulle zone adiacenti sarebbe disastroso, analogo all’impatto con un meteorite. La pressione farebbe esplodere i bordi della conca, il calore vetrificherebbe le pareti e una quantita indescrivibile di roccia verrebbe scagliata nel vuoto. Ma, soprattutto, la detonazione s’infilerebbe in un tunnel.» «Cioe?» chiese Heidrun. «Oltre ad andare verso l’alto, c’e solo una direzione verso la quale la pressione puo scaricarsi.» «Verso l’interno della valle.» «Gia. L’onda d’urto si propagherebbe lungo tutta la Vallis Alpina, a una velocita resa maggiore dalle pareti ripide. L’intera regione verrebbe distrutta.» «S, ma a quale scopo? Che cos’ha di speciale quella valle, a parte la bellezza?» borbotto Heidrun. «Io mi chiedo piuttosto perché la bomba non sia gia esplosa da tempo», disse Tim. «Non era ancora esplosa tre ore e mezzo fa», lo corresse O’Keefe. «Nel frattempo puo essere successo di tutto.» «E noi non sappiamo niente», sbotto Wachowski. «Maledizione ! Cos’e successo coi satelliti?» Potrei raccontarvi parecchie cose, penso Dana. «Non importa», disse. «Non possiamo risolvere il problema in questo momento e, detto francamente, nemmeno m’interessa risolverlo. Voglio sapere piuttosto cos’e successo nell’Aristarchus Plateau.» «Ben presto avremo finito di rifornire gli shuttle di carburante », la rassicuro Wachowski. «E Carl cosa fara?» si chiese preoccupata Heidrun. «Dipende. È ancora vivo? Sono vivi gli altri? È riuscito a fuggire ? Io scommetto che ha ancora qualcosa da sbrigare all’hotel. »
«E sarebbe?» chiese Tim. «Innescare la bomba.» Lei lo guardo. «Cos’altro?» «Deve ancora innescarla?» «Potrebbe essere, s», annu Wachowski. «Altrimenti come la farebbe esplodere?» «Con un comando a distanza.» «Allora dovrebbe disporre di un’antenna molto grande che voi senza dubbio avreste visto setacciando il Gaia Hotel. Dal momento che non l’avete trovata, dovra attivarla manualmente. » «Questo spiegherebbe perché siamo ancora vivi», disse Ögi. «Carl non e riuscito ad attivare il timer. I suoi piani sono saltati. » «È un problema che ci riguarda?» intervenne O’Keefe. «Io non sprecherei nemmeno un minuto a cercarlo. Concentriamoci sul Ganymed.» «Sono d’accordo», esclamo Dana. «Potremmo addirittura prendere due piccioni con una fava. Se troviamo il Ganymed, probabilmente troveremo anche Carl Hanna.» «Non chiederei di meglio», ringhio O’Keefe. «Davvero.» Nina Hedegaard entro nella lounge. «Siamo pronti!» «Bene.» Dana e Palmer avevano concordato di far partire subito due squadre di ricerca. Nina avrebbe raggiunto il cratere Platone col Kallisto e perlustrato la zona di estrazione costeggiando i Montes Jura. L’Io, uno degli shuttle della base Peary, sarebbe decollato quindici minuti piu tardi, diretto a sud, all’altezza del cratere Platone, e avrebbe sorvolato la pianura del Mare Imbrium a cinquecento chilometri dal Kallisto. Dana si alzo. «Formiamo le squadre.» «Lei puo venire con me.» «Grazie, ma credo che la mia presenza qui sia indispensabile. Qualcuno si deve occupare degli altri. A quante persone puo rinunciare, Leland?» Palmer si gratto il mento. «Kyra Gore e il nostro primo pilota. Potrebbe pilotare l’Io con la nostra astronoma, Annie Jagellovsk... » «Mi scusi», lo interruppe Dana. «Non mi sono spiegata bene. Quante persone devono rimanere alla base per garantirne l’attivita?» «Una. Anzi no, diciamo due.» «Vorrei ricordarle che quest’uomo e estremamente pericoloso. È possibile che le squadre di ricerca siano costrette ad affrontarlo, magari per liberare il gruppo. Bisognerebbe equipaggiare ogni shuttle con quattro o, meglio ancora, cinque persone.» «Ma noi siamo solo otto.» «Io vengo con voi», disse O’Keefe.
«Anch’io», si offr Tim. «Heidrun e io...» inizio a dire Ögi. «Mi dispiace, Walo. La sua presenza non mi sembra adatta.» Dana si sforzo di sorridere. «Ammiro il suo coraggio, ma abbiamo bisogno di persone giovani e ben allenate. Quindi: Tim e Finn vanno con Nina, piu altre due persone della base. L’Io partira con cinque uomini della base...» «Un attimo.» Palmer cerco di fermare quella specie di treno in corsa. «Si tratterebbe di una missione straordinaria.» «Be’, in caso le sia sfuggito, le faccio notare che questi sono problemi straordinari», replico lei, seccata. «Sei persone su otto... Dovrei prima chiedere l’autorizzazione. » «A chi?» «A...» «Non puo comunicare con nessuno.» «S, pero... non e cos semplice, Dana. Si metta nei miei panni. Sta parlando di tre quarti del mio equipaggio. E, per la maggior parte del tempo, gli shuttle non avranno nessun contatto con la base.» «Consideri me come un rinforzo sul campo», disse Dana. «Io sono responsabile della sicurezza di Julian Orley e dei suoi ospiti. E, detto francamente, non sono disposta ad accettare che l’azione di salvataggio fallisca per mancanza d’impegno...» «E va bene.» Palmer scambio un’occhiata con Wachowski. «Tommy, tu e Minnie rimanete qui.» «Minnie? E chi sarebbe?» chiese Dana. «Minnie deLucas e la nostra specialista per i sistemi di sopravvivenza. » «Non sarebbe meglio se restasse Jan?» disse Wachowski. «Chi e Jan?» esclamo Dana. «Jan Crippen. Il nostro direttore tecnico.» «Non e necessario», disse Palmer. «Minnie e in grado di svolgere le mansioni di Jan. E poi non staremo via in eterno.» «A me non interessa quanto state via», sbotto Dana. «L’essenziale e che troviate Julian Orley.» L’essenziale e che vi leviate dalle scatole entro le prossime due ore, penso. A Wachowski e a questa deLucas ci pensiamo Carl e io... Sempre che Carl ce la faccia. Finalmente, alle due e quaranta del mattino, lo shuttle-pullman porto le squadre di ricerca sulla pista di decollo. O’Keefe era seduto sul sedile del veicolo aperto e si guardava intorno. La seconda sera, nel tentativo di sfuggire a qualche noiosa conversazione, si era rifugiato nel centro multimediale del Gaia Hotel ancor prima del dessert e aveva visto un filmato sulla base
Peary. Cos sapeva che la base si estendeva su un’area di dieci chilometri quadrati e che solo la superficie di atterraggio era tre volte piu grande di un campo da calcio. I silos sul margine occidentale erano navicelle abbandonate dai primi pionieri che avevano effettuato un allunaggio al Polo Nord. Inizialmente trasformate in unita abitative, ora venivano utilizzate come alloggi di emergenza. Erano sovrastate dalla struttura di un telescopio in costruzione, mentre al centro si trovavano le cupole dell’Igloo-1 e dell’Igloo-2. Entrambe erano arrivate al Polo come strutture pieghevoli e, una volta giunte a destinazione, erano state gonfiate sino a raggiungere le dimensioni definitive. Poi erano state coperte da uno strato di regolite spesso qualche metro, che avrebbe protetto gli occupanti dalle tempeste solari e dai meteoriti. Nelle pareti erano state ricavate camere di decompressione; il terreno all’intorno era stato livellato e veicoli e apparecchiature erano stati sistemati negli hangar, le strutture tubolari che Momoka Omura - nel suo tipico modo disfattista - aveva definito «ciarpame» e che erano in realta serbatoi di carburante dell’era degli Space Shuttle. Nel corso degli anni, la stazione era stata ampliata: erano stati costruiti altri edifici, strade e un’ampia cava. In lontananza, davanti alle fabbriche automatizzate dove la regolite veniva trasformata in materiale da costruzione, svettavano le strutture di enormi impianti di montaggio. I manipolatori avanzavano su rotaie accanto a macchine di estrazione, saldavano elementi e li incastravano, mentre i robot umanoidi si occupavano degli interventi di precisione. Teleferiche e binari collegavano i luoghi di produzione coi cantieri, dove i materiali giungevano all’interno di navicelle e vagoni. Ovunque si guardasse c’erano macchine in azione: l’incessante vitalita di un mondo inanimato. Mentre il pullman si dirigeva verso la pista di decollo, posta a due chilometri di distanza, O’Keefe guardo verso est. Distese di collettori solari, pannelli che seguivano il movimento di un sole che non tramontava mai, coprivano un terreno a tratti pianeggiante e a tratti collinare. La roccia del cratere era solcata da canali di lava. Grazie a essi, la base Peary disponeva di un sistema naturale di catacombe, ampiamente ramificato, gran parte del quale non era ancora stata esplorata. C’era un’unica cosa che tradiva cio che veniva custodito nel sottosuolo: una grande fenditura o, piu esattamente, una gola. Si spalancava nell’altopiano, si allargava verso ovest e sboccava in una valle ripida il cui fondo non veniva mai raggiunto dai raggi solari. C’erano ponti che sovrastavano una fenditura che sembrava prodotta da un forte terremoto, e che era in realta un canale di lava creatosi miliardi di anni prima, attraversato da fiumi di roccia fusa. Come O’Keefe aveva appreso dal documentario, alcuni tratti della cavita arrivavano in quella gola e lui si chiese se i piani sotterranei della base fossero accessibili da quel punto. Oltrepassarono il portone ricavato nella barriera di protezione del campo di volo. Uno dei robot elevatori, simili a cavallette, comunicava silenziosamente con un manipolatore, il quale
sollevo il braccio segmentato nella loro direzione, come in un ultimo cenno di saluto, e poi rimase immobile. Sulla piattaforma della stazione, i binari sembravano abbandonati. La desolata linea ferroviaria s’inoltrava nella valle sotto la luce abbagliante dovuta all’estrema inclinazione dei raggi solari. L’attivita delle macchine sembrava soggetta a una certa ritualita, una sorta d’insensatezza post-apocalittica, un’immagine di singolare autarchia. Che cosa avrebbero trovato all’Aristarchus Plateau? All’improvviso O’Keefe fu sopraffatto dal desiderio di addormentarsi per svegliarsi in un pub di Dublino, dove i clienti davano molta piu importanza alla cremosita della schiuma di una pinta di birra scura che a tutte le meraviglie della Via Lattea messe insieme e, portando il bicchiere alla bocca, sospiravano, ricordando i bei tempi andati. LONDRA, INGHILTERRA La notte trascorreva lenta. Yoyo stava telefonando a Chén Hongbng. Tu Tian studiava la possibilita di una jointventure con la Dao IT, un’azienda che, fino a poco tempo prima, era stata sua acerrima concorrente. A Jericho si chiudevano gli occhi. Trecento metri sopra la citta di Londra, il suo cervello si era trasformato in una palude di teorie stagnanti, che gorgogliavano e ribollivano senza produrre nulla oppure si dissolvevano in un mare di perplessita: Vic Thorn nel suo viaggio verso l’eternita; Kenny Xn che si apprestava a compiere l’omicidio di Palstein; le nove teste di Hydra; Carl Hanna, nella cui biografia Norrington finora non era riuscito a trovare nulla di sospetto; Diane che continuava a rigurgitare notizie su Calgary e sul massacro di Vancouver; sinistri rappresentanti della CIA, in linea con lo stereotipo che incarnavano... Gli sembrava di girare in tondo, un cerchio cos grande che dava la sensazione di procedere lungo una linea retta, ma alla fine tornava sempre al punto di partenza. Era sfinito. Yoyo rientro dalla telefonata proprio nel momento in cui lui aveva deciso di stendersi a terra e chiudere gli occhi. Se avesse avuto il tempo di farlo, probabilmente si sarebbe addormentato e la sua corteccia cerebrale sovraeccitata avrebbe riempito i suoi sogni di persecutori e perseguitati. In fondo, era contento che Yoyo lo tenesse sveglio, benché l’esuberante vivacita della ragazza iniziasse a innervosirlo. Dal loro arrivo alla Big O, si era scolata da sola una bottiglia di Brunello di Montalcino, le sue guance si erano colorate di un rosso rubino che richiamava quello del Sangiovese e gli occhi brillavano dell’instancabilita della gioventu, senza tradire il minimo segno di ubriachezza. Per ogni sigaretta che spegneva, tra le sue dita ne spuntavano altre due. Era piu imprevedibile del cielo d’Irlanda, prima malinconica e imbronciata e poi, un attimo dopo, allegra e serena. «Come sta tuo padre?» chiese Jericho sbadigliando.
«Come vuoi che stia?» Yoyo si lascio cadere in una poltrona girevole, per rialzarsi subito dopo. «Piuttosto bene, in realta. Ovviamente non gli ho raccontato tutto. La faccenda del Pergamonmuseum, per esempio... Non c’e bisogno che ne venga a conoscenza, intesi? Sai, lo dico solo in caso ti capitasse di parlare con lui.» «Non ne vedo il motivo.» «Hongbng e un tuo cliente.» Si mise a trafficare con la macchina del caffe. «L’hai gia dimenticato?» Jericho fu colto dal timore di guardarsi allo specchio e ritrovarsi due monitor al posto dei bulbi oculari. Si costrinse a distogliere lo sguardo dal computer. «Io ti ho riportato da lui. L’onorevole Chén Hongbng non e piu un mio cliente.» «Oh, cavolo.» Yoyo stava esaminando la macchina del caffe. «Mille tipi di caffe e neanche l’ombra di un te.» «Guarda meglio. Gli inglesi sono i piu grandi bevitori di te del mondo.» «Dove?» «In basso a destra. Acqua calda. La scatolina con le bustine e l accanto. Cosa gli hai raccontato?» «A Hongbng?» Yoyo rovisto nella scatola. «Che Donner, in uno slancio di generosita, si e confidato con noi, e che Vogelaar non era altro che un fantasma?» Sistemo il bicchiere sotto gli ugelli, infilo una bustina di te Oolong e premette il tasto dell’acqua bollente. «Ah, un viaggio di piacere, quindi», la prese in giro Jericho. «Siamo gia stati da Madame Tussaud o a fare shopping in King’s Road?» «Avrei dovuto raccontargli che ho cavato un occhio a un morto?» «D’accordo, ho capito. Un marocchino, per favore.» «Un cosa?» «Caffe con latte e cacao. Fila a sinistra, terzo pulsante dall’alto. A che punto sei con Vic Thorn?» Si erano divisi i compiti e lei doveva analizzare i dati forniti da Edda Hoff e integrarli con le informazioni raccolte in rete. «Con lui finisco tra un paio di minuti», disse Yoyo, mentre guardava il cappuccino fondersi col cacao. «Sbaglio o sei stanco?» Jericho stava per risponderle, ma si accorse che Diane stava scaricando centododici risultati su Calgary e Vancouver e sprofondo in un silenzio frustrato. Yoyo poso la tazza fumante davanti a lui e ando a sedersi alla propria postazione, sorseggiando rumorosamente il te. Di malavoglia, lui decise di dare un’ultima occhiata al messaggio da cui era partito tutto e, mentre visualizzava il testo sul monitor, la ragazza fischio. «Vuoi sapere chi era il responsabile di progetto delle missioni Peary dal 2020 alla fine del 2024?»
«Se me lo chiedi con questo tono, direi proprio di s.» «Andrew Norrington.» «Norrington?» Jericho si raddrizzo di colpo. «Il vice di Jennifer Shaw?» «Aspetta, c’erano diversi responsabili, ma Norrington faceva parte della squadra. Qui pero non dice fino a che punto fosse coinvolto e se ha avuto a che fare personalmente con Vic Thorn.» «E sei sicura che sia lo stesso Norrington?» «’Andrew Norrington’», lesse Yoyo. «’Responsabile del personale e della sicurezza, nel 2024 e passato all’Orley Enterprises in qualita di vicecapo della sicurezza.’» «Strano. Quando ho nominato Thorn, Edda Hoff non ha battuto ciglio. Avrebbe dovuto fare il collegamento», mormoro Jericho, perplesso. «Norrington e un suo superiore. Non vedo perché dovrebbe conoscere i dettagli del suo curriculum.» «Ma nemmeno Norrington ha avuto reazioni.» «Hai parlato di Thorn con lui?» «Non direttamente. Lui e Jennifer erano in riunione. Io sono entrato e ho detto che, l’anno scorso, qualche imprevisto doveva avere impedito l’attivazione della mini-nuke.» «Poco fa, pero, Jennifer era al corrente della tua ipotesi su Vic Thorn.» «È vero, forse gliene ha parlato Edda. Avrebbe dovuto venirle in mente che Norrington lavorava per la NASA nello stesso periodo in cui ci lavorava Thorn. Certo, in questo momento ha un sacco di cose per la testa. Norrington, pero...» «... doveva arrivarci da solo al fatto che Vic Thorn poteva essere coinvolto?» «Forse era chiedere troppo.» Jericho appoggio il mento sulle mani. «Be’, sai che ti dico? Adesso vado a chiederglielo.» «Victor Thorn...» Norrington occupava un ufficio sorprendentemente piccolo, uno dei pochi locali indipendenti. Jericho era arrivato senza preavviso, come se fosse passato di l per caso. «S, Thorn. Potrebbe essere il nostro uomo, non crede?» Norrington fisso il vuoto. «Un’ipotesi interessante», mormoro con aria pensierosa. «Ha perso la vita tre mesi dopo il lancio del satellite. I tempi coincidono.» «Ha ragione. Perché non ci sono arrivato da solo?» Con un sorriso, Jericho replico: «Spesso ci sfuggono proprio le cose piu ovvie. Ha avuto a che fare con lui?» L’altro scosse lentamente la testa. «Poco. Altrimenti l’avrei capito molto prima.» «Che tipo di contatto?»
«Io ero responsabile della sicurezza generale del progetto. Ogni tanto ci s’incrociava, ma del personale si occupava qualcun altro.» «Com’era Thorn?» «Aveva fama di essere un playboy, ma forse la gente esagerava. Piu che altro era un uomo che sapeva godersi la vita, anche se si atteneva a una ferrea disciplina. Un ottimo astronauta, davvero. Non e frequente essere ingaggiati per una seconda missione Peary.» «Si sforzi di ricordare qualcosa di piu, Andrew. Ogni informazione potrebbe essere preziosa.» Il tono di Jericho si era fatto piu pressante. «Ovvio. Ma temo di non poterle fornire un contributo particolarmente illuminante. Jennifer e gia al corrente?» «S, pare che Edda Hoff l’abbia informata. Era al corrente dei miei sospetti.» L’altro sospiro. «A me non ha detto niente. Mah, pazienza, lo vede anche lei in che situazione ci troviamo, passiamo da una riunione all’altra, e tutto sottosopra. Carl Hanna mi sta facendo impazzire. Non sono riuscito a trovare nulla di compromettente su di lui, eppure le assicuro che non e la prima volta che passo al setaccio la sua biografia.» «Era lei il responsabile del gruppo d’invitati di Orley?» «Sì. Di Hanna non sapevamo molto, ma Julian voleva che ci fosse anche lui. Mi creda, l’ho letteralmente passato ai raggi X. Niente. Pulito.» «Novita da Merrick?» «Sta tentando di ripristinare il collegamento. La sua teoria sulla botnet sembra corretta.» Norrington esito. «Owen, non mi fraintenda e non la prenda come una mancanza di fiducia nel suo fiuto investigativo, ma in queste ore siamo costretti a occuparci anche di altre installazioni dell’Orley. Non possiamo escludere l’eventualita di trovarci di fronte a un’azione concertata. Mi dia un po’ di tempo per riflettere su Thorn. Mi faccio vivo non appena possibile.» «Sta mentendo. Lui conosceva Thorn», disse Yoyo quando Jericho torno da lei. «In effetti non ha detto di non conoscerlo.» «No, voglio dire che lo conosceva bene.» Yoyo indico il monitor. «Thorn si e guadagnato l’attenzione dei media con la missione Peary. Inoltre era un bell’uomo e gli piaceva parlare. In rete ci sono parecchie interviste, ma la migliore l’ho trovata mentre tu eri via. Uno speciale sull’equipaggio della base Peary del ’24: Vic Thorn, ambitissimo scapolo, alla sua seconda missione sulla Luna, eccetera, eccetera. I reporter lo hanno ripreso in casa sua e hanno presenziato alla sua festa di compleanno. E indovina chi c’era sulla lista degli invitati?» Fece partire il video. Una cucina accogliente, atmosfera allegra. Una ventina di persone raccolte intorno a vassoi di tartine e stuzzichini. Una brezza jazz - brani dell’epoca del Rat Pack - soffia su un mare di chiacchiere. Sullo sfondo, persone che ballano e bevono. Thorn sorride alla telecamera, dice qualcosa sugli effetti benefici dell’amicizia, poi viene inquadrato
mentre e impegnato in un’accesa conversazione con un uomo, lo stesso che poco dopo gli da una confidenziale pacca sulle spalle. «Ti sembrano due persone che si conoscono a malapena?» «Direi proprio di no.» «... che alcuni di questi uomini ben presto trascorreranno insieme sei mesi su un altro corpo celeste», stava dicendo la commentatrice. «Surreale, in una serata come questa, in cui...» «Puo essere un caso», ammise Yoyo. «Non possiamo dimostrare che Norrington sia la nostra talpa, e nemmeno che Thorn fosse coinvolto nella faccenda. Pure congetture.» «Puo darsi. Ma voglio saperne di piu sul suo periodo alla NASA. Di cosa si occupava, quanto erano stretti i rapporti tra i due... Una cosa e certa: ha mentito quando ha negato di conoscere bene Thorn.» «... gia alla sua seconda missione sui monti della luce eterna », stava spiegando la giornalista. «La catena montuosa porta questo nome perché, al Polo Nord lunare, il sole non tramonta mai. All’inizio, questo aspetto e stato fondamentale perché la base Peary avesse una fonte di energia, ma in seguito anche questo problema e stato risolto con la costruzione di un reattore a fusione...» «I monti della luce eterna», mormoro Jericho. Yoyo lo guardo, irritata. «Ma s, lo sai benissimo. Le regioni polari vengono chiamate cos.» Qualcosa scatto nella sua mente. Come in trance, raggiunse la sua postazione di lavoro e rilesse il testo del messaggio. Jan Kees Vogelaar vive a Berlino sotto il falso nome di Andre Donner. La e titolare di un per africano Indirizzo privato africano e indirizzo commerciale: Oranienburger Straße 50, 10117 Berlino. Cosa dobbiamo, continua a rappresentare un enorme rischio per l’operazione senza dubbio lui sa del razzo vettore. almeno a conoscenza di quello, e se, e discutibile In ogni caso dichiarazione a lungo Di fatto Vogelaar dal non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche sui retroscena del rovesciamento. Ndongo continua che il governo cinese ha programmato e attuato un’alternanza ai vertici. La natura dell’operazione lucerna al momento del Vogelaar ha poco Inoltre non e possibile concludere che all’Orley Enterprises e al si e trattato di un guasto. Nessuno la sospetta e dopo il - comunque tutto e andato come previsto. Io conto perche so, Ciononostante raccomando con urgenza l’eliminazione di Donner. È possibile sostenere Era quasi tutto chiaro. C’era una sola espressione ancora misteriosa, due parole aggiunte poco prima che la rete venisse oscurata. In qualche modo, sembravano non aver nulla a che fare col resto: «operazione lucerna». Jericho aveva sempre supposto che fosse il nome in codice dell’operazione.
«Diane. Analisi dei frammenti. Ordina i frammenti di testo in base alla loro provenienza.» «Codificazione cromatica?» «S, per favore.» Un attimo dopo, parole o espressioni quali «razzo vettore», «rovesciamento» ed «Enterprises» si trasformarono in stringhe alfabetiche colorate. «Ent erpr ises» era stata ricavata da tre file; «ro v esc ia m en to» si presentava ancora piu spezzettata. Altre parole come «operazione» e «attuato» provenivano invece da un unico file. La parola «lucerna» risulto costituita da due frammenti distinti. «Santo cielo», sussurro Jericho. «Cosa c’e?» Yoyo balzo in piedi e si porto alle sue spalle. «Temo che abbiamo commesso un errore.» «Un errore?» «Un errore madornale.» Come aveva potuto non accorgersene? Eppure era cos evidente! «Abbiamo puntato sul cavallo sbagliato. La bomba non e nel Gaia Hotel.» «Come? Ma...» «Far saltare in aria il Gaia Hotel non ha senso, e noi l’abbiamo sempre saputo. Che idiota. Sono uno stupido idiota!» «Operazione luc-erna... Operazione Monti della luce eterna.» IMPIANTO DI ESTRAZIONE CINESE, SINUS IRIDUM, LUNA Jia Keqiang non era un politico. Era un taikonauta, un geologo, un maggiore dell’esercito, in quest’ordine o in ordine inverso, a seconda dell’umore, ma non un politico. Secondo la sua esperienza, i cinesi, gli americani, i russi, gli indiani, i tedeschi e i francesi che viaggiavano nello spazio si distinguevano solo per l’ideologia che li strumentalizzava e per il fatto che le sillabe -nauta, avevano il prefisso cosmo- se si parlava dei russi, taiko- se ci riferiva ai cinesi o astro- per tutti gli altri. Cio che li accomunava era l’ampiezza di vedute, una cosa che sempre secondo la sua esperienza - invece mancava ai politici, fatta eccezione per quei pochi che avevano avuto occasione di volare nello spazio. Il fatto che Hua Lwei, il suo predecessore sulla Luna, per un periodo prigioniero degli USA, un anno dopo la risoluzione della controversia sfruttasse ancora ogni dichiarazione ufficiale come pretesto per accusare gli americani dei peggiori abusi, non aveva fatto ricredere Jia, che infatti continuava a ritenere gli astronauti persone affabili e apolitiche. Ognuno di loro svolgeva semplicemente il proprio ruolo, seguendo un copione prestabilito; persino Hua Lìwei, in privato, dopo un paio di bicchieri, era addirittura disposto ad ammettere la propria simpatia per gli yankee, che in realta lo avevano trattato con ogni riguardo e, che tra l’altro, conservavano nelle catacombe del cratere Peary un whisky strepitoso.
Ma Hua pensava pure che gli americani fossero responsabili di tutto quel pasticcio, un’opinione che Jia condivideva. Ciononostante, durante la crisi lunare, si era dato da fare per gettare acqua sul fuoco, nei limiti consentiti dalla propria influenza. Il Partito lo stimava e lo considerava la speranza dell’astronautica cinese: pilota pluridecorato, formazione da taiconauta sotto la guida del leggendario Zhai Zhgang, e dottorato in geologia con specializzazione in geologia extraterrestre, il che lo rendeva altamente qualificato per l’estrazione dell’elio-3. Zhai aveva trasmesso a Jia la passione per i balli di gruppo, una passione seconda soltanto a quella per la marineria, in particolare per il breve momento di gloria della marina cinese del XV secolo, con le sue leggendarie giunche a nove alberi. Una passione che richiedeva grande pazienza, come nel caso del minuzioso lavoro di ricostruzione di un modello di tre metri della nave dell’ammiraglio Zheng Hé. Quando non era in viaggio nello spazio, Jia amava navigare in barca a vela con moglie e figli, leggere libri sulla conquista dei mari e dedicarsi alla cucina. Era orgoglioso del suo Paese, il primo dopo gli Stati Uniti a essere riuscito a sbarcare sulla Luna, arrabbiato perché Zheng Pang Wang non faceva progressi nella costruzione dell’ascensore spaziale, preoccupato per la supremazia americana nello spazio, e cauto nelle sue valutazioni sul futuro. Il rappresentante ideale della Cina, cordiale, patriottico, amato dai media, abbastanza saggio da tenere per sé l’opinione secondo cui i politici al di qua e al di la della Muraglia Cinese fossero veri e propri ritardati e, a dirla tutta - frankly, come dicevano gli americani -, dei perfetti idioti. Tuttavia, adesso sarebbe stato costretto a occuparsi di politica. Altrimenti avrebbe perso ogni potere decisionale nella storia di cui era appena diventato uno degli interpreti secondari. Di fronte a lui, era seduto Julian Orley. Gia il fatto che si trovasse l era abbastanza singolare, ma ancora piu singolare era cio che l’uomo gli aveva appena raccontato. Venti minuti prima, lui, sua nuora, la regina dei talk show americani Evelyn Chambers, e un russo che non conosceva erano spuntati dalla Terra delle nebbie cavalcando dei grasshopper, neanche fossero un gruppo di cavalieri Jedi di ritorno da una battaglia, e avevano chiesto aiuto. Ovviamente alla stazione stavano dormendo tutti erano le tre e mezzo del mattino - e, quando Jia l’aveva fatto notare a Julian, questi era sembrato stupito. I cinesi si erano subito prodigati per dare il benvenuto agli inattesi ospiti e avevano portato loro del te caldo. Tuttavia il comandante si trovava in una posizione difficile, perché... «... non vorrei sembrarle offensivo, Mr Orley, ma l’ultima volta che gli americani hanno messo piede nel nostro territorio le conseguenze sono state piuttosto problematiche.» Per un po’ avevano provato a parlare in cinese, ma lo stentato mandarino di Orley non poteva competere con l’inglese fluente di Jia. Zhou Jnpng e Nan Mou, l’equipaggio di Jia, si prendevano cura degli altri in un locale adiacente. Evelyn Chambers, in particolare, sembrava
a un passo da una crisi di nervi. «Il vostro territorio? Non e stato il contrario?» chiese Orley sorpreso. «Siamo consapevoli del fatto che l’America vede la questione in modo diverso. Sembra che la percezione dei fatti sia parecchio soggettiva.» «S, certo. Ma vede, comandante, a me non importa niente di queste cose. Io non rappresento le societa di estrazione né ho qualcosa a che fare con le mire territoriali di Washington. Io ho costruito un ascensore, una stazione spaziale e un hotel.» «Il suo elenco non e completo, se posso permettermi. Lei e il principale fruitore del prodotto di estrazione, perché e in grado di costruire i reattori.» «S, ma in qualita d’imprenditore privato.» «Le tecnologie della NASA e quelle dell’Orley Enterprises sono legate a doppio filo. Agli occhi dei cinesi, lei e qualcosa di piu di un semplice imprenditore privato.» Orley sorrise. «Allora perché Zheng Pang Wang sottolinea in continuazione il fatto che lo sono?» «Forse per rassicurarla sulla sua autonomia decisionale?» Jia ricambio il sorriso. «Non mi fraintenda. Io non mi permetto di mettere in discussione l’onorevole Zheng, ma nemmeno lui e un imprenditore privato, esattamente come non lo e lei. Voi due influenzate la politica molto piu di quanto facciano molti politici di professione. Desidera altro te?» «S, grazie.» «Vede, per me e importante che lei capisca la mia situazione, Mr Orley...» «Julian.» A disagio, Jia tacque per qualche istante e gli verso il te. Non aveva mai capito cosa spingesse americani e inglesi a voler passare subito al nome proprio. «L’integrazione degli accordi del novembre 2024 prevede la nostra reciproca assistenza sulla Luna », disse poi. «Noi siamo taiconauti e voi astronauti, ma rappresentiamo tutti la razza umana. Dovremmo poter contare l’uno sull’altro. Io personalmente le metterei subito a disposizione il nostro shuttle, come da sua richiesta, ma il semplice fatto che sia lei a chiedermelo fa assumere alla faccenda una dimensione politica. Per giunta, potrebbero esserci in gioco delle armi atomiche. » «Non sarebbe la prima volta che i cinesi ci forniscono questo tipo di assistenza. Altrimenti forse non sapremmo niente nemmeno di questi ordigni e andremmo tranquillamente in giro per la Luna con Carl Hanna fino all’esplosione.» «Be’, s...» «D’altra parte...» - Orley incrocio le dita - «... voglio giocare a carte scoperte con lei. Le persone dalle quali abbiamo ricevuto l’avvertimento non escludono la complicita della Cina nell’attentato... »
«Che sciocchezza!» sbotto Jia. «Che interesse potrebbe avere il mio Paese a distruggere il suo hotel?» «Lo trova assurdo?» «Totalmente assurdo!» Julian osservo il suo interlocutore. Jia era una persona gradevole, ma lavorava per Pechino. Se il complotto contro l’Orley Enterprises era stato davvero ordito dalla Cina, Jia doveva esserne coinvolto. In tal caso, in quel momento aveva di fronte un nemico, il che rendeva la franchezza ancora piu necessaria, perché doveva far capire al suo interlocutore che i mandanti stavano per essere scoperti e che forse sarebbe stato meglio lasciar perdere. Se invece Jericho e i suoi amici si stavano sbagliando, parlare chiaro lo avrebbe comunque aiutato a conquistarsi la fiducia di Jia. «La bomba e stata lanciata sulla Luna nel 2024», disse. «S, e allora?» «Ci trovavamo nel bel mezzo della crisi.» «Noi abbiamo fatto di tutto per trovare una soluzione pacifica. » «Pero e indiscutibile che, all’epoca, Pechino non vedesse di buon occhio Washington. A questo proposito, potrebbe interessarle sapere che la bomba proveniva dal mercato nero coreano e che e stata acquistata da alcuni cinesi.» Jia sembrava confuso. Si passo una mano davanti agli occhi come se dovesse togliersi di dosso una ragnatela. «Noi siamo una potenza nucleare. Perché il Partito dovrebbe acquistare armi atomiche sul mercato nero?» «Io non ho detto che e stato il Partito a comprare la bomba.» «Vada avanti.» «Va anche sottolineato che la bomba e stata lanciata nello spazio dal suolo africano, ma il presidente della Guinea Equatoriale era un burattino nelle mani di alcuni cinesi, portato al potere dal vostro governo con un colpo di Stato. Per quanto ne so, il programma spaziale della Guinea Equatoriale si e avvalso delle tecnologie del gruppo Zheng...» «Un momento. Vuole farmi credere che Zheng intende far saltare in aria il suo hotel con una bomba atomica?» «Mi convinca del contrario.» «Perché dovrebbe farlo?» «Non ne ho idea. Perché siamo concorrenti?» «No, non lo siete. Voi non competete per gli stessi mercati. Voi competete per il knowhow. E le armi in questo tipo di concorrenza sono lo spionaggio, la corruzione, la discussione, il tentativo di stringere alleanze, di certo non le bombe atomiche. » «Lo scontro si e fatto piu duro.»
«Sì, ma a compiere un attentato del genere Zheng non ci guadagnerebbe nulla. Per non parlare del mio Paese. In che modo la distruzione del suo hotel cambierebbe gli equilibri attuali, anche se lei stesso morisse nell’attentato?» «Sì, appunto. In che modo?» Jia non rispose, limitandosi a chiudere gli occhi. Quando li riapr, sul suo volto era dipinta un’espressione interrogativa. «No», disse Julian. «No?» «La mia visita non e una manovra diversiva all’interno di qualche operazione, onorevole Jia. E non ho la minima intenzione di offendere lei e il suo Paese. Avrei potuto nasconderle tutta una serie d’informazioni e influenzare cos la sua decisione.» «Cosa si aspetta che faccia?» «Io le posso solo dire di cosa ho bisogno.» «Vuole che riporti lei e i suoi amici all’hotel? Col nostro shuttle? » «Al piu presto. I miei figli sono al Gaia Hotel, e si trovano l anche tutti i miei ospiti e il personale. Abbiamo ragione di temere che Hanna riesca a trovare un modo per tornare la... Inoltre avrei bisogno anche dei suoi satelliti.» «I miei satelliti?» «S. Avete avuto problemi nelle ultime ore?» «Non che io sappia.» «Come le ho spiegato, i nostri sono stati messi fuori uso. I vostri invece sembrano funzionare. Ho bisogno di fare due chiamate. Una alla nostra centrale di Londra, e l’altra al Gaia Hotel. » Julian fece una pausa. «Ho mostrato di avere la massima fiducia in lei, comandante, anche correndo il rischio che lei rifiuti di aiutarci. Di piu non posso fare. Adesso tocca a lei.» Ancora una volta, il taiconauta si prese un po’ di tempo per riflettere. Poi mormoro: «Se la aiutassi, lei sarebbe in debito con la Cina». «Certo.» Julian riusciva a vedere cosa frullava nella mente di Jia, come se fosse stata trasparente. In preda all’inquietudine, il comandante si stava chiedendo se Julian avesse ragione e se il suo governo avesse davvero macchinato qualche porcheria della quale lui non era al corrente. E se aiutare, senza autorizzazione, l’uomo dalla cui opera dipendeva il vantaggio dell’America sulla Cina poteva essere considerato alto tradimento. Julian si schiar la gola. «Forse dovrebbe prendere in considerazione la possibilita che qualcuno stia cercando di addossare la colpa alla Cina. Io, al suo posto, non lo permetterei.» «Come s’insegna nei corsi introduttivi alla psicologia?»
«Be’.» Julian scrollo le spalle e sorrise. «Un po’, in effetti.» «Raggiunga i suoi amici e aspetti», disse Jia. Evelyn non riusciva a bloccare il film: continuava a vedere il piede del maggiolino che scendeva verso di lei per schiacciarla. All’improvviso, comincio a tremare come se fosse in preda a un attacco epilettico. Senza piu forze, scivolo a terra lungo la parete del modulo abitativo dov’era stata sistemata insieme con Amber e Rogacev. Nella stazione cinese, gli spazi erano angusti, assai diversi da quelli delle infrastrutture americane. Nan Mou, la taiconauta, le diede del te e un tortino piccante che sapeva di polpa di granchio. Mentre Julian era a colloquio col comandante, Evelyn aveva raccontato alla cinese, che sembrava capire meglio l’inglese di quanto non lo parlasse, i fatti che l’avevano sconvolta nelle ultime ore e, ascoltandosi mentre parlava, si mise a rabbrividire cos forte da doversi interrompere. «Sdraiare», disse Nan con gentilezza. La donna aveva tratti mongoli, con gli zigomi alti e gli occhi a mandorla, e sembrava portare ancora i segni di un passato vissuto all’ombra della dittatura. «Si ripete ininterrottamente», sussurro Evelyn. «Ininterrottamente. » «S. Gambe su.» «Chiudo gli occhi, li riapro, non smette.» Afferro il polso della donna, sent il sudore gelido colare sulla fronte e sul labbro. «Continuo a vedermi morire calpestata da un insetto. Non e assurdo? Sono gli uomini che calpestano gli insetti, non vice-versa. Ma non riesco a farlo smettere.» «Ci riuscirai.» Amber si sottrasse alla curiosita di Zhou Jnpng, il terzo membro dell’equipaggio cinese, e si sedette per terra accanto a lei. «Sei sotto shock, tutto qui.» «No, io...» «È normale, Evelyn. Anch’io sono sul punto di crollare.» «No, c’e qualcos’altro.» Evelyn ruoto gli occhi come una sacerdotessa voodoo in stato di trance. «Ho visto la morte.» «Lo so.» «No, io ero dall’altra parte, capisci? Nell’aldila. E c’era Momoka, e... voglio dire, sapevo che era morta, ma...» Due laghi di sconvolgimento e dolore ruppero gli argini e si riversarono sul viso di Evelyn, che inizio a gesticolare, quasi volesse scacciare la propria disperazione con un incantesimo. Poi, sfinita, lascio cadere le braccia e comincio a piangere. Amber le poso un braccio intorno alle spalle e la attiro a sé con dolcezza. «Troppo», annu saggiamente Nan Mou. «Andra tutto bene, Evy.»
«Io le volevo chiedere cosa ci aspetta», disse Evelyn tra i singhiozzi. «Faceva cos freddo nel suo mondo. Credo che sia stata lei a lanciarmi il maleficio di questa visione infernale, forse pure lei ha visto qualcosa di terribile prima di morire, e...» «Evy...» disse Amber in tono basso ma deciso. «Non sei una veggente. Hai solo i nervi a pezzi.» «Non mi e mai piaciuta particolarmente.» Amber sospiro. «A nessuno di noi piaceva, tranne che a Warren, suppongo.» «Ma e terribile!» Si aggrappo a lei, scossa dai singhiozzi. «E adesso non c’e piu, e non possiamo nemmeno... che so, una parola carina...» È davvero necessario? penso Amber. Bisogna per forza dire qualcosa di carino a una stronza solo perche sta tirando le cuoia? «Non penso che lei la vedesse in questo modo», mormoro. «Dici?» «S, insomma, il concetto di gentilezza che aveva Momoka era un po’ diverso dal nostro.» Evelyn abbandono la testa sulla spalla di Amber. La giornalista piu influente degli Stati Uniti continuo a piangere finché a un certo punto non si addormento, esausta. Nan Mou e Zhou Jnpng si allontanarono in rispettoso silenzio. Rogacev era seduto a gambe incrociate su una delle brande e stava scarabocchiando qualcosa su un foglio di carta che si era fatto dare. «Che stai facendo?» chiese stancamente Amber. Senza guardarla in faccia, Rogacev rigiro la penna tra le dita. «Qualche calcolo.» Jia Keqiang stava lottando con se stesso. Conosceva bene le lungaggini e la rigidita dei canali ufficiali, proprio come sapeva che l’Agenzia spaziale cinese pullulava d’individui paranoici. D’altro canto, sarebbe bastata una telefonata per scaricare ogni responsabilita. Almeno non avrebbe corso il rischio di commettere errori, cosa inevitabile se avesse preso da solo la decisione di soddisfare le richieste di Orley. Gli sarebbe bastato scaricare il peso della scelta sulle spalle di qualcuno che si occupava di quelle cose per professione; cos, se l’hotel di Orley fosse davvero saltato in aria, nessuno avrebbe potuto fargliene una colpa. In seguito, Pechino avrebbe dovuto giustificare la violazione degli accordi, l’omissione di soccorso e via dicendo, ma lui avrebbe continuato a dormire sonni tranquilli, senza timori per la propria carriera. Ma ci sarebbe riuscito davvero, dopo una cosa del genere? D’altra parte... Se Orley aveva ragione ed era davvero la Cina a muovere i fili? Pensieroso, rigiro tra le dita il bicchiere di te verde. Cosa sarebbe accaduto? Avrebbe chiamato i superiori e li avrebbe informati delle congetture di Orley, come richiedeva la procedura, per ritrovarsi improvvisamente tra le mani dei segreti di Stato. Veri segreti di Stato, che non lo riguardavano per nulla; infatti nessuno aveva pensato di raccontarglieli. Sarebbe
stato subito classificato come elemento di rischio per la sicurezza nazionale. Portare Julian Orley con lo shuttle al Gaia Hotel rappresentava il problema minore. Chi poteva vederli, in quel deserto? Sarebbe stato impossibile dimostrare che quel volo aveva avuto luogo. Permettere a Orley di usare i satelliti cinesi era un altro paio di maniche: richiedeva una procedura di autorizzazione lunga e complicata. Prima della crisi lunare, avrebbe potuto tranquillamente prendere da solo la decisione. Adesso non era piu possibile. Doveva telefonare. E dire cosa? Sposto il bicchiere da sinistra a destra, da destra a sinistra. E d’un tratto gli venne un’idea. Sarebbe stato comunque rischioso, ma poteva funzionare. Si alzo, ando verso il pannello di controllo, stabil il collegamento con la Terra e tenne due brevi conversazioni. «In sintesi, lei invita degli amici a una gita di carattere strettamente privato», disse Jia a Julian dopo avergli chiesto di tornare nella centrale. «Uno dei suoi ospiti si rivela essere un killer, uccide cinque persone e la abbandona nell’Aristarchus Plateau.» «Esatto.» «Questo perché il killer ha ascoltato una conversazione tra lei, il Gaia Hotel e la centrale dell’Orley a Londra, durante la quale lei e stato informato che alcuni terroristi avrebbero lanciato sulla Luna una bomba destinata ad annientare un impianto americano o uno cinese.» «Un impianto cinese?» Julian sembrava confuso. Poi comprese . «S, certo. È proprio così.» «E lei non ha la minima idea di chi ci sia dietro.» «Adesso che me lo fa notare, comandante, devo ammettere che non ne ho davvero la piu pallida idea. So solo che la vita di alcuni cittadini americani, o cinesi, potrebbe essere in pericolo. Jia annu con aria grave. «Capisco. Adesso e tutto chiaro. Voglio dire, e nell’interesse della nostra sicurezza nazionale seguire insieme con voi questa faccenda cos scottante. Ho esposto i fatti ai miei superiori e sono stato autorizzato a metterle a disposizione il nostro satellite e successivamente ad accompagnarla nella Vallis Alpina.» Julian scruto Jia e mormoro: «Grazie». «È un piacere.» «Si rende conto che, nel corso delle conversazioni che avro tra poco, potrebbero emergere accuse nei confronti della Cina?» «L’importante e che, in questo momento, io non lo sappia ancora.» Jennifer Shaw era accanto al tavolo della sala riunioni. Sembrava esausta, come se non avesse fatto altro che correre per tutto il giorno. Era in compagnia di Andrew Norrington e di
Edda Hoff. Dietro di loro, un giovane biondo, leggermente spettinato, era appoggiato allo stipite della porta. «Julian!» esclamò Jennifer. «Santo cielo,come sta? È da ore che cerchiamo di raggiungerla. Dove si trova?» «Siete riusciti a stabilire un contatto col Gaia Hotel?» «No.» «Perché no? Dovreste riuscire a stabilire un collegamento radio... » «Abbiamo provato in tutti i modi. Non risponde nessuno.» Julian sent una stretta al cuore. «Anzitutto, non c’e stata nessuna esplosione nella Vallis Alpina », si affretto a dire Edda. «Di questo sono sicura.» «E la base? Riuscite a comunicare con la base lunare?» «Negativo.» «Ascolti, Julian», s’intromise Norrington. «Siamo arrivati alla conclusione che qualcuno sta utilizzando i satelliti per disturbare la comunicazione, intasando i terminali sulla Luna con una gigantesca botnet. Di fatto siamo parzialmente ciechi e completamente sordi, quindi abbiamo bisogno delle sue informazioni.» «Ma com’e possibile che qualcuno riesca a bloccare tutti i terminali? » s’infurio Julian. «Semplice. Serve una talpa.» Santo cielo, perché non riusciva a liberarsi della sgradevole sensazione che Lynn fosse in qualche modo coinvolta in quella terribile storia? «Stiamo indagando su Hanna», disse Edda. «Non c’e molto da dire su di lui, e il suo curriculum e immacolato. In ogni caso, concordiamo tutti sul fatto che non puo agire da solo.» «Di nuovo: dove si trova?» insistette Norrington. Julian sospiro. Spiego in sintesi quello che era successo dal momento in cui il collegamento si era interrotto. Ogni volta che al suo racconto si aggiungeva una vittima, Jennifer diventava sempre piu pallida. «Jia Keqiang si e gentilmente offerto di portarci all’hotel con uno shuttle», concluse. «Prima, pero, tenteremo di contattare il Gaia Hotel tramite il satellite cinese, in modo da...» «Mr Orley.» Il tizio biondo si sposto dalla porta e fece un passo avanti. «Non vada al Gaia Hotel.» Julian corrugo la fronte. «Lei e Owen Jericho.» «Sì.» «Mi scusi.» Allargo le braccia. «Avrei dovuto ringraziarla gia da tempo, ma...» «Un’altra volta. Le dice qualcosa il nome Hydra?»
«Mitologia greca», rispose Julian. «Un mostro a nove teste.» «Nessun’altra associazione?» «No.» «Sembra che, dietro tutta questa storia, ci sia un’organizzazione di nome Hydra. Teste che ricrescono una volta tagliate. Molte teste. Una forza invincibile, attiva a livello mondiale. Per un po’, siamo stati convinti che i mandanti si nascondessero negli ambienti dell’economia o della politica cinesi ma, da qualunque punto di vista la si guardi, la cosa non ha senso. Tra l’altro nella lista nera di Hydra e finito anche un suo amico.» «Cosa? Per l’amore del cielo, chi?» «Gerald Palstein.» «Come? Cosa vogliono da Gerald?» «Questa forse e la domanda cui e piu facile dare una risposta» , disse Norrington. «L’attentato a Palstein ha avuto come effetto la sua rinuncia al viaggio sulla Luna, lasciando libero il posto per Carl Hanna.» «Ma...» «Di questo parleremo in un secondo momento.» Jericho si avvicino. «La cosa piu importante che deve sapere ora e questa: l’obiettivo dell’attentato non e il Gaia Hotel.» «No? Lei ha detto...» «Lo so. A quanto pare, ci siamo sbagliati. Nel frattempo, siamo riusciti a decifrare altre parti del messaggio e abbiamo scoperto che la bomba non e destinata alla distruzione del suo hotel. » «E allora e destinata a distruggere cosa?» Per qualche istante, nessuno parlo, come se tutti sperassero che fosse qualcun altro a prendere in mano la patata bollente. «Alla base Peary», disse Jennifer. Julian la fisso a bocca aperta. Jia si sent mancare il terreno sotto i piedi. «Pechino non potrebbe mai...» comincio. «Non siamo sicuri che sia un’iniziativa di Pechino», lo interruppe Jennifer. «In ogni caso, escludiamo che siano coinvolti gli ambienti cinesi ufficiali. Ma non importa. L’obiettivo di Hydra e quello di contaminare il cratere Peary e i Monti della luce eterna, praticamente tutta l’area. In realta non vogliono niente da noi, ci hanno solo sfruttato per arrivare sulla Luna. Deve contattare subito la base, non importa come. Bisogna rastrellare la zona e, se necessario, evacuarla.» «Santo cielo», sussurro Julian. «Che cos’e questa Hydra?» «Non ne abbiamo idea. Pero, chiunque siano i suoi membri, il loro obiettivo e cancellare la presenza americana dal Polo lunare. »
«E Carl sta andando la.» All’improvviso gli fu tutto chiaro. Balzo in piedi e fisso Jia. «Vuole innescare la bomba!» gridò «Vuole innescarla e tagliare la corda!» Non riuscirono a comunicare con la base Peary nemmeno col satellite cinese, e le preoccupazioni di Julian aumentarono. Provarono a contattare il Gaia Hotel. Riprovarono con la base. Poi di nuovo col Gaia Hotel. Poco dopo le quattro rinunciarono. «Siamo riusciti a parlare con Londra, quindi non puo essere un problema del nostro satellite», osservo Jia. Orley lo guardo. «Stiamo pensando la stessa cosa?» «Che la bomba e gia esplosa e per questo non riusciamo a contattare nessuno?» Jia si strofino gli occhi. «Ammetto di averlo pensato.» «È terribile.» «Ma, come hanno detto i suoi collaboratori, il problema di comunicazione non riguarda i satelliti bens i terminali. Sono la base Peary e il Gaia Hotel a essere stati attaccati, non noi. Ecco perché possiamo comunicare, anche se non con l’hotel o col Polo. Inoltre l’esplosione di una bomba atomica...» Ji esito. «Non crede che ci avrebbero informato? Il mio Paese monitora costantemente la Luna. Io penso che il suo hotel sia ancora in piedi.» «La base si trova nella zona di librazione, il suo Paese puo monitorare la superficie lunare quanto vuole... non vedrebbe proprio niente!» «Stia certo che la Cina non ha niente a che fare con questa faccenda.» «Non capisco.» Julian camminava avanti e indietro nella piccola centrale. «Semplicemente non capisco. Perché tutto questo? » Jia giro la testa. «Quando vuole partire?» «Subito. Avviso gli altri. Le sono molto grato, comandante. Davvero!» «Mi chiami Keqiang», disse Jia, quasi senza rendersene conto. Dannazione. Ebbe la tentazione di ritirare l’offerta, ma quell’inglese coi capelli lunghi e dai modi spicci gli piaceva. Era troppo severo nel giudicare le maniere confidenziali degli occidentali? Forse l’offerta di chiamarsi per nome poteva favorire la comprensione tra i popoli. «Una cosa e certa, Keqiang», disse Julian con un ghigno amaro. «Con noi due non ci sarebbe stata nessuna crisi lunare.» In quello stesso istante, si sent chiamare per nome. La voce usciva dagli altoparlanti, e sembrava un messaggio destinato a ripetersi all’infinito: «Kallisto a Ganymed. Kallisto a Julian Orley. Per favore, rispondete. Julian Orley. Ganymed, per favore, rispondete. Kallisto a...» Jia balzo in piedi e si slancio verso il pannello di comando. «Kallisto, qui parla Jia Keqiang, comandante dell’impianto di estrazione cinese. Dove siete?»
Per qualche istante dagli altoparlanti usc solo un fruscio. Poi sul monitor apparve il viso di Nina Hedegaard. «Stiamo sorvolando i Montes Jura. Ma com’e possibile che...» «Perché teniamo le orecchie aperte. State cercando Julian Orley? » «S!» «Nina. Dove siete?» Julian si precipito davanti al monitor. «Julian!» Accanto a lei comparve il volto di Tim. «Finalmente! È tutto a posto da voi?» «No!» «Ma...» Il viso di Tim era contratto dall’angoscia. «Non preoccuparti, Amber sta bene», lo tranquillizzo Julian. «Come sta Lynn? Cosa succede al Gaia Hotel? Tim, cosa sta succedendo?» «Non lo sappiamo. Lynn e... Noi siamo vivi.» «Voi siete vivi?» «Il Gaia Hotel e distrutto.» Julian fisso il monitor, incapace di parlare. «C’e stato un incendio e... molti sono morti. Abbiamo dovuto evacuare l’hotel, anche per via della bomba.» La bomba... «No, Tim.» Julian scosse la testa e strinse i pugni. «Non ti preoccupare, siamo al sicuro. Alla base. Veniamo proprio da l. Abbiamo formato due squadre di ricerca per...» «Siete in contatto con la base?» «No, e completamente isolata.» «Tim!» «Julian, sto procedendo all’atterraggio», s’intromise Nina. «Tra un’ora saremo di nuovo al Polo. Poi potremo...» «Troppo tardi, sara troppo tardi!» grido Julian. «La bomba non e nel Gaia Hotel. Mi sentite? Il Gaia Hotel non c’entra niente . È al Polo Nord, vogliono distruggere la base lunare. Dov’e Lynn, Tim? Dov’e Lynn?» Tim sembrava pietrificato. Le sue labbra si mossero formando tre silenziose parole. Al Polo Nord. «Dimmi che non e vero!» Julian si guardo intorno, in preda al panico. «Dovete assolutamente...» «La seconda squadra di ricerca e partita dopo di noi», intervenne Nina. «Stanno sorvolando il Mare Imbrium. Veniamo a prendervi e poi saliamo di quota, in modo da stabilire un collegamento con loro. Diremo loro di rientrare subito alla base. Sono piu vicini rispetto a noi.» «Sbrigatevi. Carl e diretto alla base Peary. Vuole innescare quell’affare!»
«Stiamo arrivando!» BASE PEARY, POLO NORD, LUNA Dana Lawrence era seduta nella penombra della centrale nell’Igloo-1, inalava ossigeno puro da una maschera e fissava il vuoto. Gia nel Gaia Hotel aveva avuto modo d’inalare abbastanza ossigeno per contrastare l’intossicazione, ma un paio di respiri in piu non le avrebbero di certo fatto male. «Vuole dormire un po’?» le chiese Wachowski in tono comprensivo. La luce dei comandi e dei monitor faceva risplendere la pelle del suo viso di un azzurro pallido. «Se c’e qualcosa, la sveglio.» «Grazie, ma sto bene.» In effetti non si sentiva stanca. Per quello che riusciva a ricordare, per tutta la vita aveva sempre cercato di ridurre il sonno al minimo. Karla Kramp, Eva Borelius e i Nair erano stati sistemati nell’infermeria, dove sonnecchiavano in uno stato semicomatoso, anche per effetto dei sedativi. Erano amorevolmente assistiti da Minnie deLucas, medico della base oltre che specialista dei sistemi di sopravvivenza. Ma nemmeno lei riusciva a capire di cosa avesse bisogno Lynn. Un giovane geologo di nome Jean-Jacques Laurie aveva proposto di affidarla alla saggezza di Island-I, il precursore di Island-II. Il programma di supporto psicologico aveva fornito la prevedibile diagnosi di uno stato di shock, apparentemente accompagnato da una forma di mutismo psicosomatico. Da quel momento, la figlia di Julian se ne stava sdraiata al buio a occhi aperti o vagava per la base come uno zombie, prigioniera di se stessa. Heidrun e Walo Ögi, gli unici sopravvissuti integri dal punto di vista sia fisico sia psichico, si erano invece sistemati in una delle torri abitative sul lato ovest. Nella base scarseggiava il personale, i sopravvissuti erano fuori combattimento, le squadre di ricerca erano in volo credendo, erroneamente, che Carl Hanna avrebbe cercato di tornare all’hotel. Dana aveva fatto davvero tutto il possibile per creargli condizioni favorevoli, ma lui non si era ancora fatto vedere. Ormai erano passate le quattro e lei iniziava a dubitare che arrivasse. Il piano prevedeva che agissero in modo coordinato, ma in operazioni come quelle si lottava fianco a fianco sinché non diventava necessario sacrificare il proprio compagno. Le squadre sarebbero rientrate nel giro di due o tre ore. A quel punto, uno di loro doveva aver agito. Si alzo. «Vado a sgranchirmi le gambe. Mi aiutera a rimanere sveglia.» «Qui sappiamo fare anche un buon caffe.» «Lo so. Ne ho gia presi quattro.» «Ne preparo ancora.» «L’intossicazione da fumo mi basta, non vorrei avere anche un avvelenamento da caffeina. Sono di la in palestra, se ha bisogno di me.»
«Dana?» Wachowski sorrise, un po’ imbarazzato. «S?» «Posso chiamarla Dana, vero?» «Certo... Tommy.» «Lei ha tutta la mia stima.» «Oh.» Sorrise nuovamente. «Grazie.» «Lo penso davvero. Ha una forza incredibile. Dopo tutto quello che e successo, Orley puo dichiararsi fortunato ad avere una collaboratrice come lei. Lei s che sa tenere a bada i nervi.» «Diciamo che ci provo.» «La figlia di Julian sembra averci rinunciato.» «Be’, Island-I dice che e sotto shock.» «Uno shock profondo, direi. Cos’ha? Lei la conosce meglio, Dana. Cosa le sta succedendo?» «Quello che sta succedendo a tutti», rispose lei, uscendo. «Combatte contro i demoni.» CARL HANNA Il treno merci carico di serbatoi di elio-3 sfrecciava lungo la vallata verso il campo di volo della base Peary a oltre settecento chilometri orari, ma i pensieri di Hanna volavano ancora piu veloci. Doveva innescare la bomba. Tuttavia, prima, doveva mettersi in contatto con Dana. Non aveva la minima idea di cosa fosse accaduto all’hotel. Senza dubbio, pero, il fatto che lui fosse stato scoperto aveva limitato anche la liberta d’azione della sua complice. Se l’avesse aspettata al Polo, sarebbero potuti fuggire insieme, ma sull’OSS la sua doppia identita sarebbe stata di pubblico dominio, e avrebbe potuto dire addio al rientro sulla Terra con l’ascensore spaziale. Il piano iniziale era andato a monte, pertanto non restava che agire il piu rapidamente possibile. Attivare il timer e tagliare la corda col Charon. Il geniale piano di Xn poteva ancora andare in porto. Forse non proprio nel modo previsto, ma con lo stesso risultato. Era meglio che Dana, al sicuro nella distante Vallis Alpina, continuasse a recitare la parte della direttrice premurosa e a confidare nella possibilita di essere riportata sulla Terra dai cinesi, come previsto dall’accordo sull’assistenza reciproca siglato dalle due superpotenze. L’altopiano si avvicinava. Divennero visibili la recinzione del porto spaziale, gli hangar, le antenne, i segni della colonizzazione umana. Quando il treno rallento, Hanna si ritrovo schiacciato contro i serbatoi che aveva davanti a sé. Per un attimo, temette di avere fatto male i calcoli e che la brusca decelerazione lo avrebbe ridotto in poltiglia, ma poi il convoglio percorse un’ultima curva con la delicatezza di un bateau mouche, e si fermo sulla piattaforma della stazione. Hanna salto sulla banchina prima che uno dei manipolatori potesse scambiarlo
per un serbatoio sferico, facendo attenzione a non finire nel campo delle videocamere di sorveglianza. Tutt’intorno, le macchine si risvegliarono, i robot elevatori si avvicinarono al treno e i bracci meccanici iniziarono le procedure di scarico. Lui scivolo verso il bordo esterno della piattaforma e, con un salto di quindici metri, raggiunse il suolo. Davanti ai suoi occhi, per due chilometri, si estendeva una distesa pianeggiante, attraversata solo dalla strada che univa il porto spaziale agli igloo. Riusciva a distinguerli chiaramente tra i rilievi collinari e i capannoni industriali, affiancati dalle torri abitative. In mezzo, erano sistemati in ordine sparso hangar e alloggi. A una certa distanza, dietro il profilo di pietra di un rilievo collinare, si stagliava una sagoma enorme: la struttura esterna di una centrale energetica a elio-3. Hanna si allontano senza fretta, tenendosi lontano dalla strada, protetto dalle alture e con la base alla sua destra. Ben presto un altro sole avrebbe illuminato l’area. Per poco, ma con una luce cos radiosa che avrebbe cambiato tutto. Il paesaggio. La storia. DANA LAWRENCE Aveva raggiunto il sottotetto dell’Igloo-1 con l’ascensore ed era entrata nel tunnel di collegamento tra le due cupole. Sotto di lei, passava la strada che portava alle fabbriche nell’entroterra. Alcune finestrelle consentivano di vedere i bordi del cratere, l’area industriale e il porto spaziale. Il sole basso disegnava un panorama di ombre degno di un dipinto di Giorgio de Chirico, ma Dana non era interessata alla bellezza surreale del paesaggio sovrastato da miliardi di stelle. Senza esitazioni, entro nell’Igloo-2 e con l’ascensore scese al pianterreno, indosso le protezioni e lo zaino coi sistemi di sopravvivenza della sua tuta, afferro il casco, scese nei sotterranei, passo accanto alla palestra e all’infermeria, oltrepasso una parete rocciosa e penetro nel labirinto di grotte e corridoi che attraversavano il sottosuolo. Grazie ai piani e alle descrizioni di Thorn, conosceva la base Peary come le sue tasche. Anche se non era mai stata l, quando le porte dell’ascensore si aprirono lei sapeva esattamente cosa la aspettava e dove doveva andare. Si ritrovo sul fondo del mare. Almeno quella era la sua impressione. Davanti a lei si ergevano le pareti di vetro alte diversi metri delle vasche degli allevamenti ittici. I riflessi prodotti dall’acqua e dalle coreografie di salmoni, trote e altri pesci che nuotavano in branco danzavano sul pavimento. Dopo un po’, la grotta si ramifico. Quasi tutte le gallerie erano immerse nel buio; solo in alcuni corridoi baluginava una luce azzurrognola o bianca, segnalando la presenza di coltivazioni, laboratori d’ingegneria genetica e impianti di produzione per la frutta e la verdura. Incrocio un altro tunnel, percorse un breve corridoio ed entro in una sala di pietra quasi circolare e di dimensioni colossali. Da l un ascensore portava direttamente all’Igloo-1. Avrebbe potuto prendere l’ascensore per scendere, ma Wachowski doveva continuare a credere che lei fosse andata in palestra. Controllo se ci fossero telecamere. Ai tempi di Thorn, la sala non ne aveva e sem-
brava che non ne fossero state installate. Comunque, anche se nel frattempo fosse stato predisposto un sistema di sorveglianza, la base era sguarnita e Wachowski avrebbe avuto ben altro da fare che sorvegliare gli allevamenti ittici e le serre. Dalla sala si dipartivano diverse gallerie che conducevano ai laboratori, ai magazzini e agli alloggi. Solo una era provvista di un tunnel di decompressione, al di la del quale le grotte si estendevano per centinaia di chilometri verso l’ignoto, diramandosi all’infinito. La maggior parte dei canali di lava si perdeva nei pendii del cratere Peary, altri curvavano verso la valle, altri ancora sboccavano nella gola che attraversava la zona. Dana indosso il casco, entro nel tunnel di decompressione e aspiro l’aria, quindi apr la porta posteriore. Accese le luci sul casco ed entro in una galleria rocciosa immersa nella piu assoluta oscurita. I coni di luce guizzavano nervosi sul basalto vetrificato. Dopo un centinaio di metri, sulla sinistra, scorse la fenditura di cui le aveva parlato Hanna. Era davvero molto stretta. Vi s’infilo; il soffitto, dopo un breve tratto, si abbasso repentinamente, costringendola a procedere carponi, e poi a strisciare sulla pancia. Proprio quando le sembrava che quello spazio angusto stesse diventando insopportabile, la galleria si allargo e lei scorse un cumulo di detriti che qualcuno aveva provveduto ad ammonticchiare. Inizio a scavare finché non riporto alla luce un oggetto piatto e luccicante, con un display lampeggiante e un pannello di comando. Un ottimo nascondiglio, bisognava ammetterlo. Nonostante tutte le avversita, avevano avuto fortuna. Il piano originario prevedeva che il pacco raggiungesse il fondo della gola in autonomia e vi restasse fino all’ultimo giorno del viaggio. Solo durante la visita ufficiale della base, poco prima del rientro sull’OSS, Hanna avrebbe dovuto staccarsi dal gruppo per recuperare il contenuto e sistemare la bomba nella grotta. Il Charon avrebbe lasciato la Luna quella sera stessa; ventiquattr’ore dopo l’ordigno sarebbe esploso. Ma la meccanica del pacco si era guastata e Hanna era stato costretto a portare il contenuto alla base Peary anzitempo e a nascondere la mini-nuke in quella parte del labirinto sotterraneo. Considerando che la sua copertura era saltata e che l’intera operazione rischiava di fallire, era una fortuna che le circostanze gli avessero imposto di giocare d’anticipo. Dana apr la mascherina del pannello di comando ed esito, indecisa sul tempo che avrebbe dovuto impostare. Ormai si sapeva che ci sarebbe stato un attentato, ma tutti pensavano ancora che l’obiettivo fosse il Gaia Hotel, una convinzione che lei aveva cercato di rafforzare in ogni modo. Cosa sarebbe successo se le squadre di ricerca avessero intuito qualcosa all’Aristarchus Plateau? Se fossero tornate, convinte che fosse in pericolo anche la base e avessero iniziato una ricerca al Polo? Non doveva dar loro il tempo di trovare la bomba. Doveva programmare un tempo il piu breve possibile.
Rabbrivid. Non cos breve da rischiare di essere incenerita lei stessa dal lampo nucleare, beninteso. Quel prodigioso ordigno distruttivo sul quale si muovevano le sue dita avrebbe trasformato la corona del cratere Peary in un inferno, spazzando via tutto quello che era stato costruito dall’uomo. Doveva fare in modo di essere molto lontana, in quel momento fatidico... ma quando sarebbero tornate le squadre di ricerca, quando sarebbe partito il Charon? Impostare un tempo superiore alle ventiquattr’ore sarebbe stato un’opzione sicura per garantire la propria sopravvivenza. E se invece il blocco delle comunicazioni fosse stato risolto anzitempo e tutti fossero venuti a sapere che la mini-nuke in realta si trovava al Polo? No, era impossibile che riuscissero a capirlo. Anzi s, potevano riuscirci. Il fatto che sapessero della bomba dimostrava che ormai erano in grado di svelare tutto il piano. Ormai il Kallisto doveva aver raggiunto l’Aristarchus Plateau. Se avevano trovato dei sopravvissuti, sarebbero rientrati alla base a breve. In caso contrario, avrebbero prolungato le ricerche. Non poteva far dipendere la propria decisione dagli shuttle. Doveva innescare quell’ordigno, impossessarsi del Charon e raggiungere l’OSS. La avrebbe dovuto dare parecchie spiegazioni: perché era partita senza gli altri? Perché aveva lasciato la Luna? Come faceva a sapere della bomba? Se ci fossero stati dei sopravvissuti, avrebbero smascherato ogni sua bugia. Ma lei era stata addestrata ad affrontare quel tipo di problemi. Le sue dita tremavano, indecise. Poi inser il codice, ricopr l’ordigno di terra e ritorno carponi nella galleria principale. L’inferno era stato programmato. Era ora di andarsene. IGLOO-1, LUNA Tommy Wachowski era visibilmente spaventato. «Cosa ci fa qui?» Lynn lo guardo dall’alto in basso, meravigliata dell’immagine di se stessa che vedeva riflessa negli occhi dell’uomo, uno spettro pallido e scarmigliato, che si era avvicinato di soppiatto come una folata di vento, un’apparizione mossa da forze aliene: Lady Madeline Usher, Elsa Lanchester come sposa di Frankenstein, la protagonista di un film di serie B. Era stupefatta dall’assoluta chiarezza con cui vedeva apparire quelle immagini e quei pensieri nell’oscurita, dopo che la ragione l’aveva abbandonata... Evidentemente, quando se n’era andata, si era lasciata dietro una scia di briciole di pane per consentire alla bambina che si era persa nel bosco di ritrovare la strada verso la normalita. Sull’onda dei pensieri, alcuni esseri astrali si avvicinarono strisciando. «Nella luce, nella luce, bambina delle stelle...» mormoravano intelligenze superiori che non avevano bisogno di un corpo fisico e provavano un sinistro piacere nell’attirare poveri astronauti verso dei monoliti per poi rinchiuderli in ridicole copie di stanze in stile Luigi XIV come il povero David Bowman, che... David Bowman? Lady Madeline?
Questa e la mia testa, urlo. È la mia testa, Julian. Il suo urlo, un piccolo urlo coraggioso, si fece strada come un valoroso compagno d’armi per raggiungere la superficie, poi perse forza e coraggio, si ripiego su se stesso e mor. «Si sente bene?» Wachowski chino la testa di lato. Interessante. Nelle sue tempie, le arterie pompavano sangue. Il sangue dello spavento. Lynn vide piccoli sommergibili solcare quel fiume rosso. «Non l’ho sentita entrare.» Sommergibili nelle arterie. Dennis Quaid in Salto nel buio. No, Raquel Welch e Donald Pleasance in Viaggio allucinante. La primissima versione cinematografica. Ah, gia, scusa, papa. Lynn si sentiva come un terreno contaminato. Contaminato da Julian. Era evidente, lui era l, si prendeva gioco di lei con la sua ossessione per i film. Ogni volta che credeva di aver trovato se stessa, si rendeva conto di essere di nuovo finita in uno dei suoi mondi: Alice nel mondo di Orley, l’eterna protagonista della sua fantasia, una sua invenzione. Sei pazza, Lynn, penso. Alla fine sei diventata come Crystal. Prima depressa, poi pazza. O forse anche quel ruolo era stato scritto per lei da Julian? Oh, come gesticolava entusiasta, con lo sguardo acceso, quando portava lei e Tim nel suo cinema privato, costringendoli a vedere ogni metro di celluloide, ogni dramma concepito dalle menti di autori e registi: Viaggio nella Luna di Georges Mélies, Una donna nella Luna di Fritz Lang, Base Luna chiama Terra di Nathan Juran, Cittadino dello spazio con Jeff Morrow e Faith Domergue e il mutante... oh, Dio, il mutante. Star Trek, L’uomo che cadde sulla Terra, 2001: Odissea nello spazio, Guerre stellari, Alien, Independence Day, La guerra dei mondi, Perry Rhodan con Finn O’Keefe, ah, gia, O’Keefe doveva essere da qualche parte l intorno, e nel ruolo principale sempre... Ta-daa!... Lynn Orley! «Mi ha fatto spaventare.» Wachowski. Completamente solo nella penombra della centrale, circondato da monitor e pannelli di comando. Perché se la prendeva tanto, quello stronzo? Anche lui aveva una faccia da far paura. «Bene», mormoro Lynn. Si chino verso di lui, gli appoggio una mano sulla nuca e poso le labbra sulle sue. Oh, calde, piacevoli. Lei era Grace Kelly. Lo era, no? E lui... «Miss Orley, Lynn...» Cary Grant s’irrigid. Mi scusi, sono sulla strada giusta per Caccia al ladro? Strano. Quello non era un film di fantascienza. Ma a Julian piaceva. Clic, sstt, controllo. Hai perso l’hotel.
Di nuovo uno di quei cartelli segnaletici luminosi. Cosa stava facendo l? Cosa diavolo stava facendo nella centrale con l’alito di Wachowski nelle narici? Lo spinse via, indietreggio e si passo il dorso della mano sulle labbra, disgustata. «È tutto a posto?» chiese lui, sconvolto e affascinato. «S, va tutto a meraviglia!» ringhio lei. «Haqualcosa da bere?» Lui si alzo e annu. E, opla, i suoi pensieri furono risucchiati in un vortice. Quando lui le mise in mano un bicchiere d’acqua, lei non ricordava nemmeno di averglielo chiesto. CARL HANNA Era passato accanto alle torri residenziali, tenendosi a debita distanza, costeggiando il bordo della gola. Le pareti del canale di lava collassato non erano scoscese - in molti punti digradavano dolcemente, formando sporgenze e gradini naturali -, cosicché Hanna non ebbe problemi a raggiungere il fondo. A ovest, la gola si apriva in una ripida valle che intersecava il fianco del cratere Peary; a destra invece si restringeva. Sul fondo della gola, riusciva ancora a scorgere i tetti illuminati dal sole delle due torri, oltre a due ponti che scavalcavano la gola a una certa distanza. Il fondo era buio e ricoperto di detriti. Passo sotto il primo ponte, segu una scanalatura simile a un sentiero che percorreva un tratto in leggera salita, giunse a poca distanza dal secondo ponte e guardo verso l’alto. Dieci metri sopra di lui, c’era un’apertura nella roccia; ne esistevano diverse nei canali di lava che sboccavano nella gola, ma l c’era quella che gli interessava. Inizio a scalare la parete, raggiunse l’apertura, accese le luci sul casco e penetro all’interno della grotta. Dopo un breve tratto in salita, la galleria tornava a essere in piano. I proiettori illuminarono la fessura nella quale riposava la bomba. Considero l’idea di non andare nella centrale e di effettuare subito la programmazione, ma prima doveva parlare con Dana. Nelle ultime ore potevano essere successe molte cose, e cio gli imponeva di riconsiderare i suoi piani. Inoltre aveva urgente bisogno d’informazioni per poter analizzare la propria situazione. Il collegamento laser tra la base e il Gaia Hotel avrebbe dovuto funzionare, manipolato in modo che Dana ricevesse la sua chiamata direttamente sul cellulare. Ignoro la fenditura, si diresse verso il tunnel di decompressione e vi entro. Dalla finestrella entrava un raggio di luce. Dall’altra parte del tunnel si trovava quella che alla base veniva chiamata «la sala», una grotta naturale dalla quale si dipartivano le gallerie che portavano ai laboratori, alle serre e alle vasche dei pesci. Un ascensore collegava la sala con l’Igloo-1 e portava nella centrale. Hanna controllo l’orologio: quasi le quattro e mezzo. Forse non avrebbe trovato nessuno. Quando entro nella sala, pero, estrasse l’arma, si guardo intorno con circospezione e soltanto allora premette il pulsante di chiamata dell’ascensore.
DANA LAWRENCE Determinata a non restare alla base un minuto piu dello stretto necessario, aveva lanciato un rapido sguardo nell’infermeria dell’Igloo-2 e colto lo smorzato concerto delle persone che russavano, con Mukesh Nair come solista. Minnie deLucas, una donna di colore con le treccine rasta, lavorava a un computer. «Come stanno?» chiese Dana, premurosa. «Stanno tutti bene.» Il medico poso un dito sulle labbra e si volto verso i letti. «Le intossicazioni da fumo non sono gravi, ma una delle tedesche sembra aver subito un profondo trauma. Mi ha raccontato quello che e successo nei pozzi degli ascensori degli hotel. Che non e riuscita a salvare una delle sue compagne di viaggio.» «S», sussurro Dana. «Abbiamo vissuto un’esperienza terribile. Dov’e Miss Orley?» «Avrei dovuto legarla per costringerla a stare qui.» «Se n’e andata?» «Vaga per la stazione. Non riesce a dormire e non vuole farlo. Credo che sia andata nella centrale, da Tommy. E lei? Tutto bene?» «Oh, s. Ho respirato cos tanto ossigeno puro nelle ultime ore che credo di non dover temere un’altra intossicazione da fumo per il resto della vita.» «Intendo dal punto di vista psicologico.» «Me la cavo. Le emozioni sono un lusso che non mi posso permettere.» «Dovrebbe comunque parlare con uno psicologo», le consiglio Minnie. «Certo.» «Dico sul serio, Dana. Non cerchi di reprimersi. Non ci si deve vergognare di chiedere aiuto.» «Cosa le fa pensare che io mi vergogni?» «Lei da l’impressione di essere molto...» Minnie esito. «... molto dura con se stessa. Con se stessa e con gli altri.» Dana si dimostro interessata. «Ah, davvero?» «Non e cos male stendersi su un divano, di tanto in tanto», sorrise Minnie. «Oh, sono in parecchi a credere che dovrei farlo.» Le fece l’occhiolino con aria complice. «A piu tardi. Faccio un giro sul tapis roulant.» IGLOO-1, LUNA Un barlume di lucidita aveva spinto Lynn ad andare nella cucina della centrale - un piccolo locale separato dalla sala di controllo da un divisorio in vetro sabbiato - per appoggiare l il bicchiere vuoto. All’improvviso, dopo essere stata tormentata per mesi dalle piu selvagge paure di distruzione, qualcosa dentro di lei dava grande importanza all’ordine. Il Gaia Hotel era ridotto a un cumulo di macerie. Lo aveva demolito cos tante volte nella sua fantasia che iniz-
iava a sospettare di averlo distrutto con le sue mani, anche se non ne era del tutto sicura. Nel momento in cui poso il bicchiere, improvvisamente tutte le tessere del puzzle s’incastrarono al loro posto, e lei ricordo. L’azione di salvataggio nella testa di Gaia. La morte di Miranda. Cerco di piangere. Tiro gli angoli della bocca verso il basso, socchiuse le palpebre. Ma i condotti lacrimali restarono vuoti. Sinché non fosse riuscita a piangere, avrebbe continuato a vagare per il labirinto della sua anima, senza trovare una via d’uscita. Indecisa, fisso il bicchiere, poi ud il ronzio dell’ascensore. Qualcuno stava salendo. Il suo volto si trasformo in una maschera di collera. Non voleva che qualcuno salisse. Non voleva nemmeno che Tommy Wachowski stesse vicino a lei. Quel porco l’aveva baciata. O no? Cosa gli era saltato in mente? Come se lei non fosse altro che una sgualdrina da quattro soldi. Un oggetto da scopare, un giocattolo, un avatar, una fantasia di qualcun altro. Andate tutti a ’fanculo, penso. Vaffanculo, Julian. Si appoggio al bordo della vetrata, in modo da poter vedere la centrale. Il pozzo dell’ascensore attraversava l’igloo come un asse. Qualcuno con indosso una tuta spaziale usc dall’ascensore. Aveva il casco sottobraccio e un’arma in mano. S, non c’erano dubbi: quell’oggetto era un’arma, perché l’uomo la teneva puntata su Wachowski, che salto in piedi e indietreggio sorpreso. «C’e qualcun altro qui, oltre a te?» chiese il nuovo arrivato con voce calma. «Nessuno.» «Sei sicuro?» Con un enorme sforzo, il vicecomandante riusc a non guardare in direzione della cucina. «Ci sono solo io», gracchio. «E qualcuno potrebbe presentarsi nei prossimi minuti?» Il vicecomandante esito, si chino. Sembrava considerare la possibilita di attaccare l’avversario, molto piu grosso di lui. Lynn fissava la nuca rasata dell’uomo, incapace di muovere un dito o di distogliere lo sguardo. Carl Hanna. «Qui puo sempre arrivare qualcuno», disse Wachowski. «Sarebbe poco saggio da parte sua...» Risuono uno smorzato plop. Il vicecomandante crollo a terra. Hanna si volto. Niente. Solo le pareti arrotondate della centrale, avvolte nella penombra. Il locale era deserto, a parte il morto ai suoi piedi.
Poso il casco sulla console, tenne l’arma puntata e fece un giro intorno all’ascensore. Nessuna delle altre postazioni di lavoro era occupata. Da un pannello divisorio opaco filtrava una debole luce, e lui intravide un pezzo di scaffale, pieno di confezioni di caffe, filtri e tazze. Si fermo, fece un passo avanti. Dal punto in cui aveva ucciso Wachowski provenne un leggero fruscio. Hanna torno sui suoi passi, punto l’arma sul corpo immobile e la riabbasso subito, constatando che il vicecomandante era davvero morto. Il braccio inerte dell’uomo era scivolato sul pavimento. Carl rimise in tasca l’arma e si chino sulla console. Le sue dita scivolarono sul touchscreen, stabilirono un contatto col Gaia Hotel... o almeno era quello che lui si aspettava, ma nessuno rispose alla chiamata. Fece un altro tentativo. La linea rimase muta. «Dana, accidenti a te», sibilo. «Rispondi.» Dopo un ulteriore tentativo, inizio a sospettare che non fosse colpa di Dana. Il computer gli comunico di non poter stabilire nessun collegamento con l’utente selezionato; dunque non esisteva piu nessun collegamento con l’hotel, nemmeno utilizzando il canale laser. Il Gaia Hotel non rispondeva. Lynn si addosso contro la lavastoviglie, rannicchiata in posizione fetale, cercando di farsi sempre piu piccola, con la testa affondata tra le ginocchia. All’ultimo momento aveva vinto la paralisi e si era ritratta... Incredibile cosa si riesce a fare nei momenti critici, si meraviglio la bambina persa nel bosco che seguiva le luminose briciole di pane, mentre il corpo della donna adulta era irrigidito dalla tensione e tratteneva il fiato, tanto a lungo da farle dolere i polmoni. Un’altra frattura si apr nei suoi pensieri. Quello era Carl Hanna, il tipo un po’ riservato ma molto simpatico e affabile che ricordava una popstar, col quale una sera, nel Gaia Hotel, aveva chiacchierato fino a tardi, concedendosi il lusso d’immaginare cosa lui sarebbe stato in grado di fare con quel corpo cos muscoloso e quali piacevoli sensazioni le avrebbero suscitato le sue mani robuste... se solo lei avesse avuto il coraggio d’invitarlo nella sua suite. La sua detestata suite, accidenti, il cui specchio rifletteva l’immagine di una donna isterica, depressa, che ingoiava pastiglie verdi, motivo per cui preferiva non trascorrerci troppo tempo. Hanna aveva mantenuto un certo contegno e lei aveva represso i suoi istinti. Poi qualcosa era andato sottosopra. Qualcuno aveva detto che lui era malvagio e che voleva far saltare in aria il suo hotel. Poche parole che avevano sconvolto il suo mondo, e adesso quello stesso tipo affabile con cui aveva flirtato nel Mama Quilla Club aveva ucciso il povero Tommy Wachowski, e quel corpo muscoloso e quelle mani robuste le incutevano un cieco terrore. La paura immerse il suo cervello nell’acqua gelata, consentendole di pensare in modo lucido per un breve istante, e facendole comprendere che non doveva muoversi o cedere alla
tentazione di piangere senza ritegno perché l’uomo che si faceva chiamare Carl Hanna avrebbe ucciso anche lei. Trattenne il fiato e resto in ascolto. Lo sent imprecare. Ud ognuna delle sue parole rivelatrici. HANNA Modificare il piano. Dana era fuori dai giochi. Qualunque cosa le fosse capitata, lui non poteva piu fare affidamento su di lei. Erano le regole del gioco. Portando il morto in spalla come un sacco pieno di regali di Natale, Hanna torno nella sala e lo trascino verso il tunnel di decompressione. Lo abbandono nel tratto retrostante e se ne disinteresso. Quindi ando verso la fenditura, s’infilo all’interno, si mise carponi e striscio come un serpente fino al punto in cui il passaggio non si allargava, rivelando il familiare cumulo di terra. Sposto le pietre, libero il pannello di comando della mini-nuke, sollevo la mascherina... Il timer era gia stato programmato. Per qualche istante, nella sua testa regno il vuoto assoluto. Non poteva crederci, ma non c’erano dubbi, qualcuno aveva innescato la bomba. E poteva essere stata solo... Dana Lawrence. Lei era l. No, se n’era gia andata, o stava per farlo. Se non voleva rischiare di essere incenerita insieme con le cime del cratere Peary, Dana doveva lasciare subito la base a bordo del Charon. E cio significava che... Inizio freneticamente a strisciare all’indietro per uscire dal canale, si alzo troppo presto e il casco cozzo contro il soffitto. Poi lui riguadagno l’uscita, accelero il passo, seguendo il balletto di luci dei proiettori sul suo casco, fino al passaggio, sbuco sul fondo della gola, inciampo lungo la scanalatura, scalo la parete all’altezza del primo ponte, si isso oltre il bordo, raggiunse la strada e oltrepasso le torri residenziali, sollevando nuvole di regolite. IGLOO-2, LUNA Le dita di Minnie deLucas scivolarono sul touchscreen e completarono un quartetto di basi. Era una convinta sostenitrice del progetto di allevamento dei vitelli nelle catacombe del cratere Peary. Le galline, quasi incapaci di sopravvivere in assenza totale di gravita, sopportavano bene un sesto della gravita terrestre, deponevano uova che cadevano diligentemente verso il basso e fornivano un discreto Lunar Chicken Burger. Perché non avrebbero dovuto sopravvivere al Polo pure vitelli e agnelli? Forse persino i maiali, anche se il problema del cattivo odore avrebbe imposto di sistemarli nei tratti piu appartati. Come scienziata, Minnie era abituata ad affrontare i problemi sia dal lato pratico sia da quello teorico e, dal momento che gli artiodattili vivi scarseggiavano, lei si dedicava a fare esperimenti coi loro gen-
omi. Vegliare sul sonno di altre persone non era esattamente una sfida avvincente. Finché nessuno cadeva dal letto, poteva lavorare indisturbata. Aveva appena caricato nel computer dell’infermeria i dati di alcuni esperimenti sui feti di vitelli di razza Galloway ed era cos concentrata sul suo lavoro che, sulle prime, non cap cosa stava accadendo. «Peary, rispondete. Io chiama Peary. Qui parla Kyra Gore. Wachowski, perché non rispondi?» Minnie guardo l’ora. Le cinque meno dieci. Lo shuttle Io era di nuovo entrato nel campo di rilevamento del ricevitore radio. Stava rientrando prima del previsto, ma perché lei stava ricevendo la chiamata sul suo terminale? «Qui parla Minnie», confermo. «Ehi, che succede?» disse Kyra con una certa agitazione. «Dov’e Tommy?» «Non ne ho idea. Forse e andato in bagno.» «Tommy non si allontanerebbe mai senza ricevitore.» «A me non ha comunicato che si assentava. Dove siete?» «Siamo da voi tra cinque minuti. Ascolta, Minnie, devi portare tutti fuori. Fuori dalla base. Porta tutti al campo di volo.» «Cosa? E perché?» «La bomba e qui da noi!» «Da noi?» «È nascosta da qualche parte nella base. Il tizio che deve innescarla sta venendo l. Infila la gente nelle tute spaziali e portala fuori. E vai a cercare Tommy!» CAMPO DI VOLO, LUNA Dana Lawrence aveva regolato la frequenza della sua unita di comunicazione sulla ricezione collettiva, percio ud la chiamata via radio dell’Io mentre attraversava il portone che dava accesso al porto spaziale. Si fermo. Perché erano gia di ritorno? Al massimo si sarebbe aspettata che Tommy Wachowski le chiedesse cosa aveva intenzione di fare, dal momento che, mentre si dirigeva verso il campo di volo, non si era data la pena di nascondersi. Ma adesso l’Io stava per atterrare. E sapevano della bomba. Ora le restavano davvero solo pochi minuti. Accelero. MINNIE DELUCAS Cercando di non perdere il controllo, Minnie corse nell’altra stanza e inizio a scuotere le due tedesche e la coppia indiana per svegliarle. Ma era un’impresa tutt’altro che semplice. Mukesh smise di russare e ritrovo il contatto con la realta, Karla si mise a sedere e guardo
l’ambiente circostante con vivo interesse, ma Eva e Sushma sembravano cadute vittime di un incantesimo. «Cosa c’e?» chiese Karla. «Dovete vestirvi, tutti. Indossate le tute spaziali. Abbandoniamo la base.» «Ah», biascico Karla. «E perché?» «Una... misura precauzionale.» «Contro cosa?» «Sushma?» Mukesh combatteva una faticosa battaglia contro i sedativi. «Sushma, tesoro, alzati!» «Voglio solo capire», disse Karla, raccogliendo le sue cose. «Vorrei anch’io», replico Minnie, diretta verso la porta. «Faccia in modo che tra cinque minuti siano tutti pronti per uscire.» Invece di prendere l’ascensore, sal i pochi scalini che la separavano dal piano superiore, ispeziono la lounge, torno di sotto, diede un’occhiata in palestra. Dana Lawrence aveva detto di voler andare sul tapis roulant, no? E dove si era cacciato Tommy? E dov’era Lynn Orley? In un attimo, la noiosa veglia notturna si era trasformata in una corsa contro il tempo. Si precipito di nuovo al piano superiore, attraverso di corsa il passaggio che portava all’Igloo-1 ed entro nella centrale in penombra, illuminata solo dalla luce dei monitor, apparentemente deserta. «Tommy?» Non c’era nessuno. Solo il rumore delle macchine riempiva la stanza, il ronzio dei transistor, dei ventilatori. Fece un giro di perlustrazione, guardo ogni singolo monitor nella speranza di vedere Wachowski, ma l’uomo sembrava scomparso. Mentre usciva, le sue orecchie captarono un altro rumore che lei non riusc a classificare: una specie di cigolio. Si fermo sulla soglia, esitante e a disagio, si volto. Non lo sentiva piu. Si giro per uscire, e di nuovo lo ud. Non un cigolio, ma una specie di lamento inquietante. Col cuore che batteva all’impazzata, Minnie rientro nella centrale e aggiro per meta il vano dell’ascensore. Adesso era vicino, molto vicino. Un piagnucolio infelice, che proveniva da un angolo appartato della cucina. Minnie trasse un profondo respiro e guardo dentro. Davanti alla lavastoviglie era rannicchiata Lynn Orley, con le braccia strette intorno al corpo. Sembrava del tutto assente. Si accovaccio accanto a lei. «Miss Orley...» Nessuna reazione. Lo sguardo della donna sembrava attraversarla, come se fosse trasparente. Esito, allungo una mano e le tocco delicatamente la spalla.
Fu come se avesse tolto la linguetta da una bomba a mano. CAMPO DI VOLO, LUNA Dana impreco. Perché il modulo di atterraggio doveva trovarsi proprio nel punto piu lontano del porto spaziale? Di secondo in secondo, le sue possibilita di fuggire diminuivano. Doveva pensare a un’alternativa. Avrebbe potuto... «Aspetta.» Qualcuno la afferro per il braccio. Balzo di lato, si volto. Davanti a lei, c’era un astronauta alto e massiccio, quasi irriconoscibile dietro la visiera a specchio. Ma la voce non lasciava dubbi sulla sua identita. Passo la conversazione su un canale riservato. «Dove sei stato?» sibilo. «Hai impostato il timer», constato Hanna, senza rispondere alla domanda. «Volevi andartene senza di me?» «Tu non eri qui.» «Adesso ci sono. Vieni.» L’uomo inizio a camminare. Lei lo segu. In quel preciso istante, al di la della recinzione, apparve la sagoma dell’Io, che sorvolo il campo di volo, scese di quota e taglio loro la strada. Hanna si fermo, infilo la mano nella tasca sulla coscia, estrasse l’arma. «Lascia perdere», sussurro Dana. L’Io tocco terra e l’ascensore di decompressione usc dal suo ventre. Erano in due, e dovevano fronteggiare la squadra di Leland Palmer, cinque astronauti ben addestrati e in ottima forma fisica, disarmati, ma veloci e abituati al combattimento a corpo a corpo. Magari sarebbero anche riusciti a eliminarli, ingaggiando una piccola battaglia, ma in ogni caso la copertura di Dana sarebbe saltata, e lei non poteva assolutamente permetterlo. Quello sposto l’ago della bilancia. Dana riattivo la ricezione collettiva e sgancio dal suo supporto il piccolo martello appuntito che faceva parte dell’equipaggiamento standard delle tute spaziali, uno strumento pensato per le emergenze e per ridurre le rocce in pezzi abbastanza piccoli da essere portati a casa come souvenir. Hanna aveva allargato le gambe e teneva la pistola puntata sull’ascensore dal quale era fuoriuscita la rampa. Le porte si aprirono. Gli astronauti si riversarono verso l’esterno. Lei vide il calcio della pistola spostarsi verso l’alto, sollevo il martello sopra il casco... e colp. La punta perforo la tuta di Hanna all’altezza del dorso della mano e penetro a fondo tra le ossa e i tendini. L’uomo gemette di dolore. Si volto e colp Dana, facendole perdere l’equilibrio. «Aiuto!» grido poi. «Aiuto!» Intorno a loro risuonarono alcune voci. Benché premesse le dita della mano sinistra sul buco nel suo guanto, Hanna stringeva ancora l’arma: punto la pistola su Dana, che rotolo di lato e gli assesto un calcio sul ginocchio, facendolo cadere. Un attimo dopo, era di nuovo in
piedi pronta a colpire, e calo la punta del martello sulla visiera del casco, producendo un minuscolo foro nel vetro. Lui arretro e le diede un calcio nella pancia, facendole perdere la presa sul martello, che resto incastrato nella visiera. Dana fu scagliata lontano e ricadde a terra alcuni metri piu in la. In quell’istante, un pezzo della sua protezione toracica ando in frantumi e lei si rese conto che Hanna le aveva sparato. Dal campo di volo, intanto, stavano accorrendo i membri dell’equipaggio dell’Io. Doveva mettere fine alla cosa, una volta per tutte. Per niente al mondo gli astronauti dovevano prendere Hanna vivo. Con un balzo poderoso, si scaglio contro di lui, lo fece cadere a terra e afferro l’impugnatura del martello che sporgeva dalla visiera del casco. Per un lungo, terribile attimo, nonostante la visiera a specchio, le parve di vedere i suoi occhi. «Dana», sussurro lui. Lei diede uno strattone al martello e lo estrasse dal casco. Alcuni frammenti della visiera si staccarono. Hanna lascio cadere l’arma, alzo entrambe le mani, ma l’aria deflu velocemente dal casco, non lasciandogli scampo. Resto sdraiato a terra con le braccia tese, come se stesse abbracciando una partner invisibile. Dana recupero la pistola, la fece scivolare nella tasca all’altezza della coscia - nessuno poteva averla vista - e si butto a terra, rigirandosi sul fianco e chiedendo di nuovo aiuto. In molti la aiutarono ad alzarsi. «Hanna», gemette lei. «È Hanna. Lui... credo che volesse tagliare la corda col Charon.» «Le ha detto qualcosa?» le chiese Palmer. «Ha detto qualcosa della bomba?» «Lui...» Non mostrarti troppo tranquilla, Dana. Doveva rendere la cosa un po’ teatrale, quindi si accascio su se stessa, facendosi sorreggere dagli altri. «Ero fuori. L’ho visto, correva dalla base verso il porto spaziale. In un primo momento, ho pensato che fosse Wachowski, ma la statura... Poteva essere solo Hanna...» Si scrollo di dosso le mani degli altri, trasse alcuni respiri profondi. «Allora l’ho seguito, ho cercato di parlare con lui. È corso verso il campo di volo...» «Ha detto qualcosa?» «S, quando... l’ho raggiunto. Ho cercato di trattenerlo, e lui ha urlato che tra poco sarebbe saltato tutto in aria... e poi mi ha aggredito. Voleva uccidermi! Cosa avrei dovuto fare?» «Merda!» tuono Palmer. «Dovevo difendermi», esclamo lei in tono quasi isterico. Kyra Gore le circondo le spalle con un braccio. «Ha fatto bene, Miss Lawrence. È stata incredibilmente coraggiosa.» «S, ha ragione», disse Palmer, camminando avanti e indietro. Poi si fermo e strinse i pugni. «Questo stronzo e morto. Cosa facciamo adesso? Cosa facciamo adesso?»
IGLOO-1, LUNA Minnie si tocco il viso. Un liquido rosso carminio ricopriva la punta delle dita. Sangue. Il suo sangue. Quella pazza! Lynn era scattata come un coltello a serramanico e l’aveva aggredita, piantandole le unghie nelle guance prima di tentare di fuggire dalla centrale. Lei l’aveva inseguita, era riuscita ad afferrarla e l’aveva spinta contro il vano dell’ascensore. «Miss Orley, basta. Sono io, Minnie!» Poi aveva sentito le grida di aiuto negli altoparlanti, brandelli di parole, la voce di Dana Lawrence, quella di Palmer. Lynn cerco di liberarsi, sollevo le braccia e colp il naso di Minnie deLucas con una tale violenza da procurarle un dolore atroce. Quando la vista le si schiar, Minnie si rese conto che Lynn stava cercando di uscire dalla centrale. Con la testa che rimbombava, la segu e riusc a immobilizzarla, evitando di essere colpita di nuovo. Lynn inciampo nella sedia vuota di Wachowski, guardo verso l’ascensore e indietreggio, con gli occhi spalancati. «Va tutto bene», ansimo Minnie. Le labbra di Lynn si mossero impercettibilmente. Il suo sguardo vagava dall’ascensore al medico. «Mi capisce, Miss Orley? Dobbiamo andarcene da qui.» Con cautela, allungo la mano destra. Lynn indietreggio. «Deve venire con me», insistette Minnie, mentre sentiva un rivolo caldo scendere lungo il labbro superiore. «Andiamo di la. A indossare la sua tuta spaziale.» D’un tratto, negli occhi di Lynn, baleno un lampo di lucidita. Continuo a muovere le labbra e indico l’ascensore con un dito tremante. «Lui e uscito da l», gracchio. Minnie segu il suo dito. Evidentemente la donna era terrorizzata dal vano dell’ascensore o, meglio, da qualcuno che era uscito da l. «Chi?» chiese. «Wachowski?» Lynn scosse la testa. Un brivido di orrore percorse la schiena del medico. «Chi, Lynn? Chi e uscito dall’ascensore?» «Lo ha ucciso», piagnucolo Lynn. «Cos, senza motivo. Avrebbe ucciso anche me.» Inizio a canticchiare una canzone. «Chi, Lynn? Chi ha ucciso chi?» «Minnie? Tommy!» Dagli altoparlanti usc la voce di Palmer. «Rispondete, qui abbiamo un problema.» Lynn smise di canticchiare e fisso Minnie. «Cosa vuole da me?» la aggred. «Brutta stronza!»
CAMPO DI VOLO, LUNA «Leland, ho un problema con Lynn Orley.» «Fantastico, ci mancava anche questa. E gli altri?» «Dovrebbero essere tutti pronti.» «Allora uscite», Palmer camminava avanti e indietro, col cadavere di Hanna ai suoi piedi. «Cosa stai aspettando?» «Sembra che sia successo qualcosa a Tommy», rispose Minnie. «Lynn sostiene che qualcuno e entrato nella centrale e ha ucciso qualcun altro, e terrorizzata e...» «Hanna», ringhio Palmer. «Temo che stia cercando di dirmi che Tommy e stato ucciso. Ma lui non e qui, non c’e nessuno a parte noi.» «Merda», mormoro Kyra. «Dobbiamo prendere una decisione», disse Palmer. «Dana e riuscita a impedire che Hanna fuggisse. È stata costretta a ucciderlo, ma prima di morire lui ha detto che...» «S, ho sentito cos’ha detto», lo interruppe Minnie. «Che ben presto saltera tutto in aria.» «Allora la smetta di perdersi in chiacchiere», intervenne Dana, rabbiosa. «Si sbrighi a portare fuori i miei ospiti!» «Non ho mica il dono dell’ubiquita», la rintuzzo l’altra. «Ascolta, Minnie, non ho intenzione di sacrificare la base senza combattere, pero Dana ha ragione: devi portare fuori quella gente.» Palmer lancio uno sguardo verso lo scintillante oceano di stelle. A est s’intravedevano i raggi del sole basso sull’orizzonte. Non riusciva a credere che tutto quello sarebbe finito. «Forse abbiamo ancora tempo», disse. «Hanna deve aver impostato un tempo sufficiente per potersela squagliare con calma.» «Sembrava avere molta fretta», osservo Dana. «Comunque sia, noi perlustreremo l’area. Kyra portera gli ospiti a distanza di sicurezza con lo shuttle.» «E dove li dovrei portare?» chiese Kyra. «Andrete incontro al Kallisto. Che tornino indietro immediatamente. Dovreste riuscire a contattarli non appena salite di quota. Tornate alla base cinese.» «È una follia. Lasci perdere. Come pensa di trovare una bomba in un’area vasta come questa?» Dana era sempre piu incollerita. «Cercandola.» «Sciocchezze. Mettera solo a repentaglio la vita dei suoi uomini. » «Questo non e un problema suo. Lei salira a bordo dell’Io.» Palmer si rivolse alla propria squadra. «Qualcun altro vuole andarsene? Siete liberi di farlo, qui non siamo nell’esercito. Io vado a cercare quel maledetto affare. Hanna deve essersi dato almeno mezz’ora di tempo
per fuggire!» «Leland?» Era Minnie. «Se quello che dice Lynn e vero, forse Hanna e arrivato dal sottosuolo. Dalla sala.» Palmer annu con aria cupa. «Bene. Allora inizieremo da l.» LONDRA, INGHILTERRA Le sue supposizioni erano corrette oppure «lucerna» era davvero solo il nome in codice dell’operazione? Nella Big O regnavano il dissenso e l’agitazione. La Luna era ancora stretta nella morsa della botnet. Nessun contatto con la base Peary e col Gaia Hotel. Tom Merrick cercava di aggirare il problema, passando dai satelliti alle stazioni di terra, ma senza risultato. Nel frattempo, gli agenti dell’MI6 continuavano ad abbeverarsi alla fonte della teoria della Cina. Era troppo bella, troppo perfetta, troppo seducente. D’accordo, perché Pechino avrebbe dovuto volere la distruzione del Gaia Hotel? Ma la base Peary... distruggendola sarebbe stata annientata una gran parte dell’infrastruttura americana sulla Luna. Non un attentato contro Orley, ma contro la superiorita di Washington. Indebolimento del nemico. Paralisi del mercato americano dell’elio-3. Dovevano essere stati i cinesi. Pechino o Zheng, o entrambi. La CIA, appena entrata nel novero degli indiziati, fu subito depennata dalla lista. «A quanto pare abbiamo raggiunto nuove vette d’impotenza », disse Jennifer Shaw. «Meraviglioso», commento Yoyo. I responsabili della sicurezza delle filiali dell’Orley sparse per il mondo facevano affluire informazioni alla centrale di Londra, ma tutto indicava che l’azienda non era esposta ad altri attacchi. Norrington continuava a insistere sul fatto che l’Orley dovesse proteggersi a ogni costo. Inoltre non aveva fornito nuove notizie su Thorn. Kenny Xn era ricercato e, nella foto segnaletica a disposizione delle forze dell’ordine, non l’avrebbe riconosciuto neanche sua madre. Uno shuttle era partito dall’OSS diretto verso la Luna, ma ci sarebbero voluti piu di due giorni per raggiungere il cratere Peary. «Norrington sembra nervoso, vero?» disse Jericho. Yoyo si alzo. «S, continua ad aprire un nuovo scenario dopo l’altro. Se va avanti cos, rallentera il lavoro di tutti fino a paralizzarlo. » Pochi minuti prima era terminata una nuova riunione con l’MI5, dato che le autorita adesso temevano anche per la sicurezza interna. Non c’era un attimo di tregua. A una chiacchierata ne seguiva un’altra. L’aria era pregna di scambi d’idee, d’intraprendenza e d’impegno. Solo ogni tanto emergeva la sensazione che essere presenti e correre di qua e di la non bastassero per arrivare alla soluzione del problema. «Perché fa cos?» si chiese Jericho, seguendo Yoyo all’esterno. «Perché e molto preoccupato?»
«Non ci crede nessuno. Norrington non e un idiota.» «Certo che no. Vuole paralizzare la baracca.» Jericho si guardo intorno. Nessuno prestava loro attenzione. Norrington era chiuso nel suo ufficio, Jennifer nel proprio. Entrambi stavano telefonando. «Ma non so di chi fidarmi, con chi parlare di lui.» «Perché chiunque potrebbe essere coinvolto?» «Come facciamo a saperlo?» Yoyo getto un’occhiata diffidente in direzione dell’ufficio di Jennifer. «Lei non ha l’aspetto di una talpa.» «Nessuno ha l’aspetto di una talpa.» «Anche questo e vero.» Si fermo come per riflettere, poi disse: «D’accordo. Facciamo irruzione». «Come? Dove?» «Nel computer centrale. Nelle aree per le quali non abbiamo l’autorizzazione. Nelle aree riservate di Norrington.» Jericho la fisso. Qualcuno passo l accanto, parlando al telefono. Yoyo attese che il tizio si fosse allontanato e abbasso la voce. «È abbastanza semplice, no? Se conosci te stesso e il tuo nemico, non hai bisogno di studiare la ritirata in battaglia. Se conosci te stesso, ma non il tuo nemico, per ogni vittoria che otterrai subirai anche una sconfitta.» «Questa e tua?» «È di Sunz. Si trova nell’Arte della guerra. Un’opera di duemilacinquecento anni fa, ma ancora attuale. Vuoi scoprire chi sono i mandanti? Allora ti diro cosa dobbiamo fare. La tua deliziosa Diane scoprira la password di Norrington e noi daremo un’occhiata nei suoi cassetti.» «Non farmi ridere. Come credi che ci possa riuscire?» «Non chiederlo a me. Sei tu il detective informatico», replico Yoyo con aria innocente. «E tu sei la dissidente informatica.» «Giusto. Quindi sono piu brava di te.» «Come? E perché?» chiese Jericho, preso in contropiede. «Non e cos? Allora smettila di piagnucolare e inventati qualcosa.» Lui si guardo intorno. Nessuno faceva caso a loro. In fondo, sarebbero potuti andare a dormire. Oppure avrebbero potuto inventare una nuova supposizione ogni due ore, cos, tanto per movimentare ulteriormente la faccenda. «E va bene. Se dovessimo farcela, avremo una sola possibilita.» «Faremo cio che e necessario.» Dodici minuti dopo, Norrington usc dal suo ufficio, raggiunse i gruppi di lavoro impegnati a monitorare la superficie lunare coi telescopi, scambio qualche parola e ando a prendersi un
caffe. Poi fece una breve visita a Jennifer e torno alla sua scrivania per rimettersi al lavoro. Accesso negato, disse il computer. Esterrefatto, clicco di nuovo sul file che voleva aprire, con lo stesso risultato. Cio significava che non era piu registrato nel sistema. Ma non aveva effettuato il logout prima di uscire dall’ufficio. O forse s? Il suo sguardo vago per la centrale. Ovunque c’era gente intenta a svolgere i propri compiti. Solo la minuta ragazza cinese gironzolava intorno a una postazione di lavoro, come se non sapesse cosa fare. Il disagio di Norrington aumento. In preda all’angoscia, riavvio il sistema per effettuare il login. Yoyo lo stava controllando. Nessuno l’aveva vista entrare nel suo ufficio e buttarlo fuori dal sistema, una questione di pochi secondi. Apparentemente immersa nella contemplazione di un monitor sulla parete, premette il tasto d’invio del suo cellulare e un segnale arrivo sul tetto. Jericho ordino a Diane di avviare la registrazione. Nei processori della Big O scorrevano fiumi di dati. All’interno dell’edificio, nessuno possedeva un computer personale, nel senso di un calcolatore autarchico. I collaboratori avevano a disposizione solo un hardware standardizzato, una variante mobile dei lavo-bot a forma di container impiegati anche alla Tu Technologies. Ci si poteva collegare col computer centrale della Big O da qualunque interfaccia inserendo il proprio nome, una password di otto caratteri e l’impronta digitale. Non tutte le aree, pero, erano accessibili a chiunque: persino i potenti amministratori di sistema che gestivano il gigantesco cervello informatico e assegnavano le password erano esclusi da alcune di esse. Come in una metropoli, lo scambio di dati della Big O produceva una sorta di rumore di sottofondo dovuto al traffico, e naturalmente, durante l’orario di lavoro, quel ronzio s’intensificava. Ed era un ronzio che si poteva «ascoltare», nel senso che era possibile tracciare le informazioni codificate sotto forma di bit e byte che viaggiavano nel sistema. Conoscendo il momento esatto in cui un’informazione veniva inviata dal punto A al punto B, si poteva registrare l’intervallo di trasmissione e filtrare i singoli dati per trasformarli in parole e immagini con l’aiuto di potenti programmi di decodifica. Al momento, nel sistema, c’era poco traffico, percio non era stato difficile isolare il flusso di dati di Norrington nell’istante in cui lui aveva effettuato il login. Diane inizio a calcolare. Sei minuti dopo, erano in possesso della password. Altri tre minuti furono sufficienti per decodificare il software che aveva inoltrato al computer centrale l’impronta digitale di Norrington.
Rimaneva un solo ostacolo. Una volta effettuato l’accesso al sistema, non era possibile entrare una seconda volta con gli stessi dati personali: sarebbe stato come suonare il campanello di casa propria quando si era gia seduti sul divano davanti al televisore. Dovevano buttare fuori Norrington dal sistema una seconda volta. L’occasione non tardo a presentarsi. Norrington fu convocato per una riunione, ma si ostino a gironzolare per gli uffici piuttosto a lungo, in modo da tenere d’occhio la propria postazione. Edda Hoff lo rimprovero e, dopo un lungo tira e molla, Norrington finalmente rinuncio e scomparve nella sala riunioni, ma non senza gettare dietro di sé un ultimo sguardo sospettoso. Jericho gli sorrise. Lui e Yoyo si erano scambiati di ruolo. Era una regola base del pedinamento: mai mostrare la stessa faccia alla persona che si sorveglia. Adesso era lei ad attendere il segnale sul tetto. La porta della sala riunioni si chiuse. Senza fretta, Jericho raggiunse l’ufficio di Norrington. Poi la porta della sala riunioni si riapr e Jennifer fece capolino. «Owen», chiamo. Lui si fermo. Si trovava a dieci, forse dodici passi dall’ufficio di Norrington. Ma poteva essere diretto ovunque. «Credo che dovrebbe partecipare anche lei alla riunione», disse Jennifer. «Abbiamo analizzato altri dati del dossier di Vogelaar, materiale che riguarda il vostro amico Xn e il gruppo Zheng.» Si guardo intorno. «A proposito, dove sono i suoi amici?» Jericho si diresse verso di lei. «Yoyo sta indagando su Vic Thorn.» I tratti scontrosi della donna si sciolsero in un sorriso. «Chissa, magari siete piu veloci dell’MI6. E Tu Tian?» «Gli abbiamo dato la giornata libera. Si sta occupando dei propri affari.» «Bene. Che il cielo ci salvi da una crisi economica cinese. Quello che ci hanno fatto passare gli americani tempo fa e piu che sufficiente. Allora, viene?» «Mi dia un minuto.» Jennifer torno dentro, lasciando la porta socchiusa. Con passo rilassato, Jericho torno verso l’ufficio di Norrington. Da una delle postazioni, qualcuno alzo lo sguardo su di lui e poi torno a dedicarsi al proprio lavoro. Jericho entro nel minuscolo locale, effettuo il logout sul computer di Norrington e torno rapidamente verso la sala riunioni. Poco prima di entrare, invio il segnale concordato a Yoyo. Lei inser subito il nome di Norrington. Il sistema le chiese la password e Yoyo la digito, caricando subito dopo l’impronta digitale di Norrington. Il monitor si riemp d’icone. «Eccovi qui», sussurro la ragazza, e diede istruzioni a Diane di scaricare i dati personali di Norrington. «Subito, Yoyo.»
Yoyo? Che carina. Jericho doveva aver inserito la sua voce nelle frequenze riconosciute dal sistema. Impaziente, osservo un pacchetto dopo l’altro riversarsi sul disco fisso di Diane, nell’attesa febbrile che sul monitor comparisse il messaggio Download completato. Con la stessa impazienza, Jericho attese i segnali di fine download e di logout. Subito dopo, avrebbe dovuto agire di nuovo: lasciare la riunione, tornare nell’ufficio di Norrington ed effettuare il login, in modo che lui non si accorgesse dell’intrusione. Norrington si alzo. «Scusatemi», disse sorridendo, e usc. Jericho fisso la sedia vuota. Cosa succede, Yoyo? Perche ci stai mettendo tanto? Avrebbe dovuto seguire Norrington? Impedirgli di entrare nel suo ufficio? Gia insospettito dal fatto che il sistema centrale fosse apparentemente in grado di buttarlo fuori a proprio piacimento, ogni altra anomalia - anche se minima - lo avrebbe messo in allarme. Agitato da sentimenti contrastanti, Jericho resistette alla tentazione, sperando di ricevere presto il segnale, e cerco di assumere un’espressione interessata. Norrington somatizzava l’ansia e la paura a livello dello stomaco e dell’intestino. Ando quindi in bagno, dove trovo finalmente sollievo. Tuttavia, mentre si apprestava a rientrare nella sala riunioni - con una mano gia sulla maniglia della porta -, fu assalito dalla sgradevole sensazione di essere osservato. Non da occhi umani, ma da qualcosa, qualcosa che gli sussurrava all’orecchio: «Sto venendo a prenderti». Si volto di scatto verso il suo ufficio: deserto. Indugio, ma la sensazione non lo abbandonava. Attraverso il locale, entro nell’ufficio e ando dietro la scrivania. Apparentemente era tutto a posto. Allora attivo il touchscreen e cerco di aprire un file. Accesso negato. Atterrito, indietreggio. Cosa stava succedendo? Un errore del sistema? Impossibile. Nella sua mente si fece strada l’immagine di Jericho che cercava di estorcergli informazioni su Thorn unita all’immagine della sua reazione, tanto goffa da risultare imbarazzante. Avrebbe forse dovuto ammettere che lo conosceva? Che lo conosceva molto bene? Ma che senso aveva tutto cio? Il fatto che lui conoscesse Thorn non dimostrava nulla, anche se quell’uomo fosse stato il peggior terrorista del mondo. Richiamo una finestra di autorizzazione e inser il proprio nome. Il sistema gli comunico che il suo account era gia attivo. Download completato. «Finalmente», sospiro Yoyo. Butto Norrington fuori dal sistema e invio il messaggio concordato al cellulare di Jericho. Norrington fissava il monitor. Qualcuno stava rovistando nei suoi dati. Con dita tremanti, fece un secondo tentativo: il sistema consent l’accesso. Ma lui sapeva che qualcuno era entrato nei suoi file personali. Gli avevano rubato i codici di accesso, lo
spiavano. Gli stavano col fiato sul collo. Un gli indici e li premette contro le labbra. Credeva di conoscere l’identita dei colpevoli, pero cosa poteva fare per fermarli? Dare ordine di sequestrare il computer di Jericho? Il detective avrebbe messo in dubbio la sua lealta. E, per non destare sospetti, Norrington avrebbe dovuto accettare che i suoi dati fossero esaminati. L’inizio della fine. Una volta che avessero recuperato le sue e-mail cancellate... Cerco di riflettere. Jericho era seduto nella sala riunioni. Forse era stata sua l’idea di buttarlo fuori dal sistema, ma non poteva essere il diretto responsabile. Allora la colpa era di Tu Tian o di Chén Yuyun, che si era seduta davanti a quel computer che Jericho chiamava stupidamente Diane. La ragazza... Non l’aveva vista aggirarsi per la centrale poco prima, come se non avesse niente di meglio da fare? Doveva liberarsi di lei. «Andrew?» Salto sulla sedia. Edda Hoff, pallida e inespressiva sotto il caschetto nero. Inespressiva, davvero? Oppure nei suoi occhi baluginava il lampo della cacciatrice pronta a scagliarsi sulla preda? «Jennifer ha bisogno di lei per il proseguimento della riunione », disse la donna. Poi, cogliendo la sua preoccupazione, gli chiese: «Tutto okay? Non si sente bene?» Lui si alzo. «Un po’ di mal di stomaco. Niente di grave.» Il suo rientro nella sala riunioni fece scattare un campanello di allarme nella testa di Owen. Il viso dell’uomo aveva assunto una colorazione giallastra e gli occhi tradivano una profonda angoscia. Senza dubbio aveva capito tutto ma, invece di puntare il dito contro di lui e obbligarlo ad ammettere il misfatto, si limito a sedersi. Se avevano bisogno di una prova, l’atteggiamento di Norrington equivaleva a un’ammissione di colpevolezza. «Scusatemi, dovrei tornare a...» inizio Jericho, ma sul monitor a parete comparvero alcune persone e lo interruppero. «Miss Shaw, Andrew, Tom...» Uno dei nuovi arrivati agito un fascicolo. «Questo dovrebbe interessarvi.» «Di che si tratta?» chiese Jennifer. «Del caro amico di Julian Orley, Carl Hanna. Investitore canadese, un patrimonio di quindici miliardi di dollari, giusto?» «Questo e cio che ci ha fatto credere», commento Norrington. «E voi avete controllato le sue credenziali?» «Lo sapete benissimo.» «D’accordo, a tutti puo capitare di commettere un errore. Abbiamo chiesto in giro. Alla fine e stata la CIA a vuotare il sacco. » La dichiarazione fu accolta da un silenzio carico di attesa.
L’uomo sorrise. «Chi ha voglia di conoscere meglio questo tizio? Stiamo parlando di una persona che voi avete reputato degna di fiducia. Che poteva essere mandata in viaggio con Julian Orley.» «Non ci tenga sulle spine», scatto Jennifer, con un sorriso tirato. «Dobbiamo sorbirci anche uno spot o arriviamo al dunque? » L’agente poso la cartella davanti a sé. «D’ora in poi, bisogna chiamarlo Neil Gabriel, classe 1981, nato a Baltimora, nel Maryland. Dopo essersi arruolato in marina, fa carriera in polizia come specialista in missioni sotto copertura. Lo nota la CIA, accetta di cambiare lavoro e viene spedito a Nuova Delhi per una missione. Il suo lavoro e cos ben fatto che lui si ferma l per alcuni anni, diventando un vero esperto della zona, anche se rivela una certa tendenza ad agire in modo indipendente. Per quanto riguarda l’India ha detto la verita, ma di vero non c’e altro. Nel 2016, lascia la CIA e passa all’African Protection Services.» «Hanna ha lavorato per l’APS?» si lascio sfuggire Jericho, allibito. L’uomo sfoglio il fascicolo. «Nel suo dossier, Vogelaar elenca tutte le persone coinvolte nel colpo di Stato che ha portato Mayé al potere, nel 2017. C’e anche un certo Neil Gabriel, che pero non rimane a lungo nell’APS, diventando indipendente. A quanto sembra, svolge incarichi anche per lo Zhong Chan’erbu. Vogelaar sostiene che Xn era molto soddisfatto di lui. Dopo aver parlato coi nostri amici americani, adesso sappiamo chi e questo Neil Gabriel. Evidentemente all’epoca c’e stata una specie di scisma all’interno dell’APS. Alcuni sono rimasti fedeli a Vogelaar; altri sono diventati... ’satelliti’ di Kenny Xn.» Jericho lo ascoltava, affascinato, ma senza perdere di vista Norrington. A ogni parola, il vicecapo della sicurezza sembrava sprofondare, travolto dai fatti. «Stiamo cercando di spulciare il falso curriculum di Hanna, cioe di Gabriel, cercando d’individuare la gente che lo ha fatto entrare nella Lightyears e nella Quantime. Gente con molti soldi, che non sara facile individuare.» «Una di queste persone la conoscete gia», disse Jericho. «È Xn.» L’agente si volto verso di lui. «Non abbiamo molte speranze di catturarlo. Ogni volta che pensiamo di averlo intrappolato, sembra dissolversi nell’aria.» «È stato facile scoprire la vera identita di Hanna?» chiese Jennifer. «Be’, non proprio. Pero abbiamo buoni rapporti coi colleghi americani e senza di loro non saremmo arrivati da nessuna parte. Comunque, detto fra noi...» Fece una pausa e fisso Norrington. «... se all’epoca aveste fatto una chiacchierata amichevole con la CIA, vi sareste risparmiati un sacco di guai.» «L’abbiamo fatto! Cosa crede?» scatto Norrington. «Non sto mettendo in dubbio la sua professionalita», replico l’agente in tono cordiale. «Questo non e compito mio.»
Il cellulare di Jericho trillo. Lui guardo il display, si scuso, usc e chiuse la porta dietro di sé. «Norrington sa tutto», sussurro. «Merda!» esclamo Yoyo. «Credevo che...» «Non ha funzionato come speravamo. Almeno sei riuscita a scaricare i dati?» «Oh, s, e mi sono anche data da fare. Il programma di ricerca non trova nulla su Thorn nei file di Norrington, ma c’e parecchio materiale su Hanna. Non era l’unico che poteva prendere il posto di Palstein. C’erano altri candidati, partner commerciali di Orley, a quanto sembra, e alcuni uomini d’affari, tutti multimiliardari, con cui lui voleva stringere accordi. Tuttavia, per ognuno di loro, Norrington ha trovato qualcosa che non andava. Uno aveva problemi di cuore, l’altro aveva la pressione alta, l’altro ancora sarebbe stato in cura per problemi psichici, un quarto sarebbe a un passo dal fallimento, un quinto aveva rapporti troppo stretti col governo cinese, eccetera, eccetera. Si ha costantemente la sensazione che sia stato pagato per trovare qualcosa che rendesse quei tizi non idonei per il viaggio.» «Forse e andata proprio cos.» «Su Hanna, invece, splende il sole. È stato calorosamente raccomandato a Julian Orley.» «E nessuno lo ha trovato strano?» «Norrington non e un semplice responsabile di reparto, Owen, e il vicecapo della sicurezza. Se una persona nella sua posizione raccomanda Hanna, quest’ultimo partecipa al viaggio. E Orley si fida di lui. In fondo, paga profumatamente i suoi collaboratori.» «D’accordo, parlero con Jennifer. Basta giocare a nascondino. » Lei esito. «Sei sicuro di poterti fidare di lei?» «Abbastanza sicuro da tentare. Se il tutto si rivelasse una bolla di sapone, ci butterebbero fuori senza complimenti, ma e un rischio che possiamo correre.» «Va bene. Io continuo a occuparmi dei panni.» In quell’istante, la porta della sala riunioni si apr e Norrington si precipito verso il suo ufficio. Jennifer, Tom e gli altri si dispersero per tornare al lavoro. «Jennifer...» Jericho le si paro davanti. «Posso parlarle un attimo? » Lei lo fisso con un’espressione imperscrutabile. BASE PEARY, POLO NORD, LUNA Alla fine, Minnie deLucas aveva rinunciato a qualsiasi delicatezza. Aveva trascinato Lynn al piano superiore e da l nell’Igloo-2, poi le aveva buttato addosso le protezioni, lo zaino coi sistemi di sopravvivenza e il casco, minacciandola di picchiarla se non si fosse vestita subito. Non gliene fregava nulla che si trattasse dell’adorata figlia di Julian Orley: era chiaro che le mancava qualche rotella. In certi momenti sembrava lucida, in altri, Minnie non si sarebbe meravigliata di vederla camminare a quattro zampe o entrare nel tunnel di decompressione senza casco. Butto Heidrun e Walo Ögi giu dal letto: per fortuna, sembravano due persone
alla mano e soprattutto rapide a capire la situazione. Mentre lei caricava tutta la banda su uno dei bus e la conduceva al porto spaziale, Palmer e i suoi avevano iniziato a perlustrare le grotte. Come se stessero compiendo una razzia, frugarono i laboratori, strapparono i materassi dai letti negli alloggi, guardando in ogni anfratto e dietro i rivestimenti delle pareti, negli acquari e nelle serre. Alla fine, Minnie, dopo aver indossato la tuta spaziale e col casco sottobraccio, scese nella sala per unirsi a loro. Non aveva la piu pallida idea di che aspetto avesse una mini-nuke: sapeva solo che era piccola e che avrebbe potuto essere nascosta ovunque. Se l’attentatore fosse stato lei, dove avrebbe nascosto quella bomba? Nella giungla delle coltivazioni? Fra le trote e i salmoni? Nel soffitto? I suoi occhi si alzarono verso la cupola di basalto della sala. La assal il febbrile desiderio di svignarsela insieme con gli ospiti di Julian Orley. Quello che stavano facendo era pura follia. Il fatto che Hanna fosse andato nella centrale non significava che la bomba si trovasse nel sottosuolo. Indecisa, sbircio nei vari corridoi. Poi guardo l’ora. Le cinque e venti. Rifletti, Minnie. Una bomba atomica era un mostro in grado di divorare tutto, ma anche un ordigno cos terrificante doveva essere sistemato in modo da produrre il danno piu esteso possibile. Le citta - le grandi citta - erano realta di superficie, a meno di tener conto anche del sottosuolo percorso da tunnel e canali. Per distruggere New York, per esempio, la cosa migliore sarebbe stata lanciare una bomba atomica dall’alto, ma sulla Luna le cose erano assai diverse. Per annientare la base, bisognava distruggerla dall’interno. La bomba doveva devastare prima l’interno dell’altopiano e poi innalzarsi come una palla di fuoco sopra il cratere. Quindi l’ordigno doveva essere nelle catacombe: era il punto piu indicato. E doveva essere da qualche parte tra gli acquari, le serre, gli alloggi e i laboratori. Lo sguardo di Minnie si poso sul tunnel di decompressione. Penso che fosse inutile cercare da quella parte, dove non c’era niente. Al di la del tunnel, pero, iniziava la zona inutilizzata del labirinto, e una delle gallerie sboccava nella gola. Come aveva fatto Hanna a entrare nell’igloo? Attraverso i tunnel di decompressione in superficie? Possibile. In tal caso, pero, Wachowski non lo avrebbe visto sui monitor? Forse era andata proprio cos. Forse Hanna era entrato dalla porta principale, ma allora perché non aveva percorso a piedi i pochi metri fino al primo piano ed era salito sull’ascensore? Perché era arrivato dal sottosuolo. «Qui non c’e niente», disse una voce nel suo casco. «Neanche qui», intervenne Palmer. Come aveva fatto a entrare nelle catacombe senza dare nell’occhio? Minnie si avvicino al tunnel di decompressione. Quasi nessuno si avventurava dall’altra parte. Da quel punto in poi, il labirinto s’inoltrava nell’altopiano e nella parete del cratere. Perlustrarlo in tutta la sua
estensione avrebbe richiesto schiere di astronauti e settimane - se non mesi - di lavoro. Pero la logica suggeriva a Minnie che la bomba doveva essere molto vicina, in un punto centrale sotto le infrastrutture. E quel punto si trovava nella sala o nelle gallerie circostanti. Entro nel tunnel, indosso il casco e tolse l’aria. Quando la porta si apr sull’altro lato, accese i proiettori sul casco e s’inoltro nella galleria deserta. Quasi subito inciampo nel cadavere di Tommy Wachowski. «Tommy», gemette. «Leland, Tommy e qui e...» Poi le venne in mente che l’impianto radio al di la della paratia non funzionava. Era una terra di nessuno, tagliata fuori da tutto. Fu assalita dalla nausea. Ansimando e rabbrividendo, cadde bocconi. Con un estremo sforzo di volonta, riusc a non vomitare nel casco e, carponi, si allontano dal cadavere, inoltrandosi nella galleria. Chiuse gli occhi e trasse alcuni respiri profondi. Quando oso riaprirli, le luci del casco illuminavano un’ombra, poco piu avanti. Il suo cuore perse un colpo, poi Minnie si rese conto che quella non era l’ombra di una persona, ma una fenditura nella parete di roccia. Con gli occhi gonfi di lacrime, tiro su col naso e cerco di dominare la paura. Si rimise in piedi, si avvicino e guardo dentro. Era solo una fessura, niente di piu. Ma entrarci a cuor leggero era un’altra faccenda. E proprio per questo tu ci entrerai, penso. Strisciando, s’infilo nel pertugio. Faticava a respirare e il terrore la attraversava a ondate. Fu costretta a sdraiarsi prona e sent il cuore pulsare contro la roccia come un martello pneumatico. L’impulso di tornare indietro era fortissimo. Quel budello non portava da nessuna parte, era un vicolo cieco. Ancora un metro e poi basta. Si trascino in avanti, guidata dal cono di luce dei proiettori, immagino di essere sepolta viva l dentro... poi d’un tratto il corridoio si allargo e le sue dita toccarono un cumulo di terra. Ecco. Fine della corsa. Ma quel mucchio di detriti era strano. Sembrava fatto ad arte. Minnie si sposto leggermente: la luce illumino le pietre e venne riflessa da qualcosa che affiorava. La donna inizio a scavare, liberando la superficie liscia e levigata di un oggetto metallico. Cos’altro poteva essere se non...? Come impazzita, si mise a scavare con entrambe le mani e libero una scatola metallica grande come una ventiquattrore. Non ebbe piu dubbi. Adesso vedeva anche il display col countdown che stava lampeggiando, e indicava... «Oh, no», mormoro. Cos poco tempo. Cos poco tempo.
In preda all’agitazione, con la bomba tra le mani, inizio a strisciare all’indietro. Doveva uscire da l al piu presto. Poi il suo zaino s’incastro nel soffitto del cunicolo e lei non riusc piu a retrocedere. Era incastrata. Il panico la travolse. LONDRA, INGHILTERRA «Lei e pazzo», disse Jennifer. Il suo ufficio era una copia pressoché identica di quello di Norrington, semplice e funzionale, pero c’erano anche tracce di una vita al di fuori della Big O: fotografie del marito, dei figli ormai adulti, di bambini che sicuramente la chiamavano nonna... Jericho faticava a immaginare la scontrosa responsabile della sicurezza come una creatura guidata da desideri e ormoni, che stringeva un altro corpo, sospirava e sussurrava e gemeva in un crescendo di piacere. Si chiese se qualcuno, almeno fra le mura domestiche, fra il televisore e il filo interdentale, chiamasse Mrs Shaw, quella Jennifer Shaw responsabile della sicurezza del piu grande gruppo tecnologico del mondo, con qualche scherzoso nomignolo: era un topolino, un orsetto o un coniglietto? Guardo fuori dalla stanza, ma da l era impossibile vedere l’ufficio di Norrington. «Tutto questo non le da da pensare?» chiese. «Mi da da pensare il fatto che lei abbia abusato della mia fiducia », rispose il topolino, orsetto o coniglietto con voce tagliente. «No, e esattamente il contrario. Noi cerchiamo d’impedire che qualcuno abusi della sua fiducia.» Prese una sedia e si accomodo. «Jennifer, so bene che ci stiamo muovendo su una lastra di ghiaccio molto sottile, ma Norrington ha mentito sul suo rapporto con Thorn. Lo conosceva meglio di quello che ci ha lasciato intendere. Perché si comporta cos se non ha niente da nascondere? E c’e un’altra cosa: forse ha avuto ottimi motivi per proteggere Hanna, ma perché, con tutti gli strumenti che aveva a disposizione, non e stato in grado d’identificare un ex agente della CIA prima del viaggio sulla Luna? Poi, quando si e accorto che ci eravamo infiltrati nel suo computer... Be’, insomma, lei cosa avrebbe fatto al suo posto?» «Vi avrei messi al muro!» «Appunto!» Jericho batté sul tavolo col palmo della mano. «E lui? Torna nella sala riunioni senza dire una parola, si lascia maltrattare dagli uomini dell’MI6, e poi fugge. Lei mi ha detto che Edda Hoff ha messo lei e i servizi segreti al corrente della mia teoria su Vic Thorn. Quindi anche Norrington avrebbe dovuto esserne informato, non crede?» «Edda e molto coscienziosa. Lo ha informato di sicuro.» «Tuttavia, quando sono andato nel suo ufficio per parlargliene, lui sembrava caduto dalle nuvole. Invece doveva sapere quale pista stavamo seguendo. Ancora: non ha pure lei l’impressione che le azioni di Norrington siano piu volte a rallentare il ritmo delle indagini che
a favorirle?» «Le ho detto che stiamo combattendo su troppi fronti.» Jennifer lo fisso. «Cosa dovrei fare, secondo lei? Sollevarlo dal suo incarico a causa di qualche vago sospetto? Ordinare che i suoi dati vengano passati al setaccio?» «Credo che lei sappia benissimo cosa deve fare.» Due stanze piu in la, Norrington stava digitando un numero sulla tastiera del suo cellulare. Le dita gli tremavano. Aveva commesso errori, reagendo in maniera avventata. Il cappio si stava stringendo e, quando avessero raccolto prove sufficienti contro di lui, mettendolo alle strette, lui avrebbe perso il controllo e vuotato il sacco. Era stato un idiota a lasciarsi coinvolgere in quella faccenda, fin dal giorno in cui gli avevano offerto dei soldi per proporre Vic Thorn per una seconda missione... ma i soldi erano davvero tanti, una somma inimmaginabile, e molti altri sarebbero arrivati quando l’operazione Monti della luce eterna si sarebbe conclusa, cambiando il corso della Storia. Dopo essersi lasciato corrompere, era entrato a far parte dello stato maggiore di Hydra, aveva fornito al mostro dalle molte teste informazioni dettagliate sull’OSS, sul Gaia Hotel e sulla base Peary e aveva persino progettato l’oscura rete che permetteva di scambiarsi informazioni camuffate da rumore bianco. Aveva conosciuto la testa immortale di Hydra, l’intelligenza nascosta dietro l’intero apparato terroristico, la cui identita era nota solo ad altre sei persone in tutto il mondo. In origine erano sette, pero una era morta. In quell’occasione, Norrington aveva imparato che, se necessario, Hydra era disposta a tagliare le proprie teste, soprattutto se mostravano la tendenza a chiacchierare troppo. Non poteva assolutamente cadere nelle mani dei servizi segreti. Xn rispose. «Sta andando tutto a rotoli, Kenny. Proprio come avevo previsto. » «E io le ho detto di mantenere i nervi saldi.» «La smetta di sputare sentenze. L’MI6 ha scoperto la vera identita di Gabriel. E Jericho e la ragazza si sono intrufolati nel mio computer. Non so quanto tempo passera prima che Jennifer Shaw mi metta con le spalle al muro. È possibile che gia ora non mi facciano piu uscire dall’edificio. Mi tiri fuori di qui.» Dopo un breve silenzio, Xn chiese: «Ed Ebola? Sanno anche di lei?» Norrington esito. Per qualche incomprensibile motivo, non riusciva proprio ad abituarsi al nome in codice di Dana Lawrence. «Di lei non sanno niente, e ignorano anche il resto, a parte la bomba alla base Peary. Ovviamente, pero, non appena si metteranno a esaminare i miei dati, inizieranno a leggere le mie raccomandazioni con occhi diversi.» «È sicuro che Jericho abbia parlato di lei con Jennifer Shaw?»
«Non ne ho idea», gemette Norrington. «Spero di no. Ora come ora, non c’e piu nulla di sicuro.» «D’accordo. Tra cinque minuti saro sul ponte di volo. Dovrebbe cercare di portare il computer di Jericho fuori dall’edificio. » «E poi? Mi metto a dipingere la Luna di giallo e le disegno una faccia allegra?» scatto Norrington. «Non devono prendermi, ha capito, Kenny? Devo uscire di qui!» «Okay, okay.» Di colpo, la voce di Xn parve il sibilo di un serpente. «Nessuno la prendera, Andrew. Le ho promesso che l’avrei tirata fuori dai guai, e io mantengo sempre le promesse. » «Si sbrighi, maledizione!» Mentre le luci di Londra si dissolvevano nell’alba, Yoyo decise di richiamare Jericho. Nel frattempo, lei e Diane erano diventate grandi amiche. Non aveva mai lavorato con programmi di ricerca tanto efficienti. «Ho qualche novita», disse. «Dove sei?» «Nell’ufficio di Jennifer. Possiamo parlare apertamente. Aspetta.» Una voce in sottofondo disse qualcosa, poi Jericho riprese: «Facciamo cos, richiama sulla sua linea, okay?» «Puoi dirle che...» «Diglielo tu stessa.» Riaggancio. Fremeva dalla voglia di raccontare a Jericho dei dossier che Norrington aveva creato sugli ospiti e sul personale del Gaia Hotel. Diane aveva confrontato le ricerche del vicecapo della sicurezza con le biografie ufficiali disponibili in Internet e non aveva trovato discrepanze rilevanti, tranne forse per il fatto che Evelyn Chambers mentiva sfacciatamente sulla propria eta. Per quanto riguardava il personale del Gaia Hotel - due tedeschi, un’indiana e un giapponese -, era stato assunto dalla direttrice, una certa Dana Lawrence, la quale a sua volta era stata raccomandata da Norrington. Nessuno dei quattro candidati era stato respinto, ma la carriera di Dana Lawrence metteva in ombra le altre e Lynn Orley, alla quale spettava l’ultima parola, sarebbe stata una pazza a non assumerla. Solo guardando con piu attenzione si notava che i curriculum ufficiali di Dana pubblicati in rete erano diversi da quello presentato all’Orley. Diverse posizioni mancavano del tutto o potevano essere interpretate in modo differente. L’insieme dava comunque l’impressione di una carriera ambiziosa ma, se si fosse voluto pensar male, si sarebbe detto che Norrington si era preso la liberta di «aiutare» Lynn nella scelta. E Yoyo era piu che determinata a pensar male. Curiosa di sapere cosa avrebbero detto gli altri delle sue ipotesi, inser il nome di Jennifer Shaw. Stava per dire al computer di comporre il numero, quando ud un rumore. Un ascensore era salito sul tetto. Le porte si aprirono.
Yoyo s’irrigid. A quell’ora, nella Big O, non c’era nessuno, a parte gli agenti della sorveglianza e gli instancabili impiegati del centro informatico. Tese l’orecchio, mentre per la prima volta si rendeva davvero conto del luogo in cui si trovava. Era seduta a una postazione uguale a tutte le altre, dato che gli impiegati riponevano gli oggetti personali all’interno di unita mobili con le quali, in caso di necessita, potevano collegarsi al sistema centrale in qualsiasi punto dell’edificio. Alla sua sinistra, sotto il display olografico, era appoggiato il piccolo corpo luccicante di Diane; a destra era sistemato un armadietto provvisto di ruote, con cassetti in cui riporre tutto quello che non si poteva fare con un computer. Apr il cassetto superiore, vi guardo dentro, apr quello sottostante. Alzo gli occhi sulla vetrata che circondava l’open space. La notte londinese stava lentamente lasciando il posto ai colori pastello dell’alba; solo a ovest era ancora buio. I vetri riflettevano l’interno degli uffici, le postazioni di lavoro, il passaggio sul fondo che dava accesso al tetto. Una sagoma si avvicino al passaggio. Yoyo si chino. La sagoma smise di avanzare. Un uomo, a giudicare dalla statura. Era immobile e guardava nella sua direzione. Doveva coglierli di sorpresa. Forse Jennifer non sapeva ancora niente. Prendere il computer a Yoyo non sarebbe stato difficile, ma affrontare Jericho... Forse, pero, c’era un modo per farlo arrivare sul tetto. Supponendo che i due non avessero messo Tu Tian al corrente delle loro mosse, liberarsi di loro e far sparire il computer poteva essere sufficiente. Sarebbe stato come se nulla fosse successo. A nessuno sarebbe venuto in mente che... Sciocchezze. Un puro desiderio, congetture senza capo né coda. Come avrebbe giustificato la morte dei due? I sistemi di sorveglianza lo avrebbero smascherato subito. E poi: a che scopo sottrarre il computer di Jericho, dal momento che non conteneva nulla che non fosse presente anche nel sistema della Big O? Jennifer poteva accedere ai dati e lo avrebbe fatto senz’altro, se sul tetto fosse avvenuto un doppio omicidio... Ma soprattutto non ne sarebbe stato capace. A differenza di persone come Xn, Hanna, Dana Lawrence e Gudmundsson, lui non era un killer. Hydra non aveva ancora perso la battaglia, lui s. Il fatto che stesse cercando di fuggire equivaleva a un’ammissione di colpevolezza ma, se restava, poteva pure arrestarsi da solo. Inutile cercare di cancellare le proprie tracce. Doveva andarsene, sparire. Il denaro per rifarsi una vita non gli sarebbe mancato. Il grande locale degli uffici era immerso nella penombra. Era tormentato da una ridda di domande: cosa avevano scoperto? Col computer di Jericho potevano visualizzare le e-mail che aveva cancellato? Dov’era la ragazza?
Combattuto tra curiosita e voglia di fuggire, guardo dentro, poi le sue gambe si mossero come animate da una volonta indipendente. Entro nel locale, apparentemente deserto. Le luci sul soffitto mandavano un chiarore soffuso. Poco lontano, scorse alcuni monitor accesi e vide la piccola scatola chiamata Diane, lasciata da Yoyo. Avrebbe dovuto ispezionare l’ufficio, che offriva molti nascondigli. Indeciso, avanzo, poi guardo l’ora. Xn ormai doveva essere arrivato. Sì, bisognava tagliare la corda. Ma la luce dei monitor lo ipnotizzava e lo attraeva. Si avvicino alla postazione di lavoro e afferro il piccolo computer... Improvvisamente, alle sue spalle, qualcosa si mosse. Benché fosse minuta, Yoyo aveva muscoli allenati e potenti: non era solo in grado di sollevare senza difficolta una massiccia sedia da ufficio, ma anche di scagliarla a una certa distanza. Lo schienale colp Norrington sulla testa e sul petto mentre lui si girava, e lo scaravento contro il bordo del tavolo. Norrington gemette e cerco un appiglio, ma Yoyo lo colp di nuovo con lo schienale. Mentre atterrava sulla schiena accanto a Diane, Yoyo lancio via quell’arma impropria, estrasse dalla cintura dei jeans le forbici che aveva trovato in uno dei cassetti e gli atterro con le ginocchia sul petto. Le ossa di Norrington scricchiolarono e lui emise un gemito soffocato. Yoyo circondo la gola dell’uomo con le dita della sinistra, si chino su di lui e spinse la punta delle forbici contro i testicoli. «Un solo movimento sbagliato e potrai unirti al coro di voci bianche di Westminster Abbey.» L’uomo cerco di colpirla con un pugno. Ma lei fu piu rapida, lo schivo e fece penetrare la punta delle forbici un po’ piu a fondo. Lui si ripiego su se stesso e non si mosse piu. «Povera pazza, cosa vuoi da me?» gemette. «Fare due chiacchiere.» «Sei fuori di testa. Salgo per vedere se e tutto a posto, se stai bene, e tu...» «Andrew, ehi, Andrew!» lo interruppe lei. «Non dire cazzate. Non voglio sentire cazzate.» «Volevo...» «Volevi rubare il computer, l’ho visto benissimo. Non ho bisogno di altre prove, percio parla. Chi siete? Che intenzioni avete? Avevamo ragione sulla base Peary? Chi sono i mandanti?» «Non so davvero di cosa stai...» «Andrew, stai giocando col fuoco.» «... parlando.» Qualcosa si fece strada dentro di lei, un’onda rossa e incandescente, come se non esistesse la minima possibilita che si fossero sbagliati sul suo conto, che l’uomo sotto di lei non fosse indirettamente responsabile della morte dei suoi amici e della tortura subita dal padre quando Xn lo aveva legato davanti al fucile automatico. Ogni cellula del suo corpo ribolliva di
odio. Voleva... no, aveva bisogno di un colpevole, l, subito, di uno qualunque, di una canaglia che rappresentasse tutti quelli che si erano accaniti sulle persone che lei amava e dalle quali desiderava essere amata. Contrasse il bicipite e pianto le forbici nella coscia di Norrington con tale violenza che la punta attraverso la pelle e la carne come se fossero burro, raggiungendo l’osso. Norrington urlo, alzando le mani e cercando di allontanarla da sé. Ancora in preda alla collera, lei estrasse di scatto l’arma dalla ferita e poi la affondo di nuovo. «Fa male, vero?» sussurro. «E la prossima volta te le ficco nelle palle. Avevamo ragione sulla base Peary?» «Sì», piagnucolo lui. «Quando? Quando esplodera la bomba?» «Non lo so.» Si dimeno, gli occhi iniettati di sangue. «Adesso... Presto... Abbiamo perso il contatto.» «Avete attivato voi la botnet?» «S.» «Puoi fermarla?» «S. Lasciami andare!» «La vostra organizzazione si chiama Hydra? Chi sono i mandanti? » Di colpo la testa di Norrington si sollevo, e Yoyo comprese che era stato un errore chinarsi troppo su di lui. Il cranio dell’uomo cozzo contro la sua fronte con un rumore simile a quello prodotto da due ceppi di legno che si urtano. Fu scaraventata all’indietro. Cerco di colpirlo, poi si sent afferrare e scagliare di lato. La testa le doleva, il naso sembrava essersi gonfiato a dismisura e davanti a sé vedeva solo macchie. Rotolo di lato, tenendo le forbici dritte davanti a sé ma, invece di avventarsi su di lei, l’uomo si allontano zoppicando. «Dove credi di andare?» ansimò Yoyo. Per quanto gli consentiva la gamba ferita, Norrington si precipito fuori dall’ufficio, saltellando in modo grottesco. Yoyo si rialzo, ma ricadde subito a terra e si tasto il volto. Perdeva sangue dal naso. In preda alle vertigini, riusc infine a rimettersi in piedi, avanzo barcollando fino alla piattaforma e vide Norrington su una scaletta al di la del ponte di vetro che collegava il lato ovest della Big O con l’ala est dell’edificio. Quel pezzo di merda voleva andare sul ponte di volo. Una voce nella sua testa le intimo di dominare il suo odio e di considerare la possibilita che sarebbe stato pericoloso seguirlo lassu. Ma lei la ignoro. Proprio come non permetteva a se stessa di nutrire dubbi sulla colpevolezza di Norrington, in quel momento riusciva soltanto a pensare che non doveva farselo sfuggire. Lo insegu, guardo verso l’abisso scuro sotto il ponte e fu di nuovo assalita dalla nausea.
Norrington si trascino lungo gli ultimi scalini e scomparve. Yoyo cerco di riprendersi e torno ad avanzare, correndo lungo la scaletta. Arrivata in cima, vide che una delle porte di vetro che davano sul tetto si stava chiudendo. Norrington era la. Stringendo le forbici, Yoyo si accosto alla porta, che si apr automaticamente. Davanti a lei apparve il ponte di volo coi suoi elicotteri e con le skycar. Norrington stava procedendo verso un’airbike. D’un tratto, fece un cenno e grido: «Sono qui!» Con vago stupore, Yoyo penso che, il giorno prima, quell’airbike non c’era. Si fermo e il suo sguardo, spostandosi sul ponte di volo, si poso su due agenti di guardia, stesi a terra in una posizione innaturale. Poi un uomo scese dall’airbike e Norrington si trascino verso di lui. Ma, quando l’uomo gli punto contro una pistola, lui si fermo, con una mano premuta sulla coscia. «Kenny, che significa? » chiese. «Siamo convinti che lei rappresenti un rischio per l’organizzazione. È abbastanza stupido da farsi catturare, e racconterà cose che non dovrebbe raccontare», disse Xn. «No! Le prometto che...» grido Norrington. Non ebbe modo di finire la frase. Sembro spiccare un enorme salto, resto sospeso in aria, come un burattino, per qualche secondo, poi ricadde con le braccia spalancate e atterro ai piedi di Yoyo. Al posto del suo viso, c’era una pulsante massa rossastra. Atterrita, Yoyo crollo sulle ginocchia e lascio cadere le forbici. Xn si diresse verso di lei e le punto l’arma alla tempia. «Sei stata gentile a venirmi a trovare», sussurro. «Avevo quasi perso le speranze.» Yoyo fisso il vuoto davanti a sé. Per un istante penso che forse, se lo avesse ignorato, quell’uomo sarebbe scomparso. Poi si rese conto di non avere piu speranze e gli occhi le si riempirono di lacrime. Era davvero finita. Stavolta nessuno si sarebbe precipitato a salvarla. Con un filo di voce, in un tono cos basso che lei stessa quasi non riusc a udire le proprie parole, disse: «Ti prego». L’uomo si accovaccio davanti a lei e Yoyo alzo lo sguardo sui tratti armoniosi del suo volto. «Mi stai pregando?» chiese Xn. Lei annu. La canna della pistola premeva con forza inusitata contro la sua fronte. «Per cosa? Per la tua vita?» «Per la vita di tutti», sussurro lei.
«Una richiesta un po’ presuntuosa.» «Lo so.» Grosse lacrime le rigavano le guance. Improvvisamente ebbe la strana sensazione che la paura, sua fedele compagna fino a quel momento, scorresse via con le lacrime, lasciando dietro di sé solo un profondo dolore, perché ben presto avrebbe saputo cosa era successo a Hongbng e perché la sua vita era andata in quel modo e non in un altro. Xn non la terrorizzava piu. Poteva addirittura buttargli le braccia al collo e piangere sulla sua spalla. Perché no? «Yoyo?» Qualcuno la stava chiamando. «Yoyo? Dove sei?» Era forse Owen? Xn sorrise. «Piccola e coraggiosa Yoyo. Sei davvero ammirevole. Peccato, mi sarebbe piaciuto fare due chiacchiere con te... Ma lo vedi anche tu: non ho mai un attimo di pace. Ti stanno cercando, quindi temo di doverti lasciare.» Si alzo, continuando a puntare la pistola contro la fronte della ragazza. Yoyo lo guardo. La brezza mattutina che asciugava le sue lacrime era piacevole. Affettuosa. Consolante. «Yoyo!» grido Jericho. Xn scosse la testa. «Mi dispiace, Yoyo.» BASE PEARY, POLO NORD, LUNA Dopo essersi sistemati nei sedili dell’Io, tutti allacciarono le cinture. Kyra era diretta verso la plancia di comando quando ricevette una chiamata via radio dal Kallisto. Sul monitor apparve il volto della pilota danese. «Dove siete?» chiese, mentre avviava i propulsori. «Stiamo atterrando.» «Tornate subito indietro. Una disposizione di Palmer.» «Dove sono i nostri ospiti?» «Sono qui con me, a bordo dell’Io.» Regolo la potenza, oriento gli ugelli e fece lentamente salire di quota lo shuttle. «Tutti?» «Alla base sono rimasti soltanto Palmer e alcuni dei nostri. Abbiamo avuto la visita di Carl Hanna. Tra poco saltera tutto in aria, quindi andatevene!» «Che ne e di Carl Hanna?» s’intromise Julian Orley. «Dov’è?» «È morto.» Come di consueto, il suo sguardo esamino tutti i comandi. Sotto lo shuttle, il campo di volo si andava rimpicciolendo. I capannoni, le cupole e le condutture sembravano ormai giocattoli per scienziati. Le strade attraversavano la regolite come fughe in una distesa di piastrelle.
Macchine minuscole assemblavano altre macchine piu grandi all’interno di hangar piccolissimi. I pannelli solari riflettevano la luce del sole. Kyra viro, sal ancora di quota e porto lo shuttle oltre il bordo del cratere, verso ovest. «Morto?» boccheggio Orley. «Dana Lawrence lo ha ucciso. Lei e qui con me, insieme con sua figlia e coi suoi ospiti. Stanno tutti bene.» «E la bomba? Che ne e di Palmer e dei suoi?» «La stanno cercando.» «Ma non possiamo lasciarli...» «Invece s. Invertite la rotta. Torniamo dai cinesi.» MINNIE DELUCAS Erano passati secondi? Ore? Minnie non sarebbe stata in grado di dirlo, ma il display sul quale scorreva il conto alla rovescia le rivelo che la peggiore esperienza della sua vita non era durata nemmeno un minuto. Scalciando e urlando, alla fine era riuscita a districarsi e, con cautela, continuo a retrocedere. Ma non era finita: dopo alcuni metri, fu la bomba a incastrarsi fra le pareti. Tirando la mini-nuke come se fosse un bambino recalcitrante che si poteva riportare all’ordine solo con la forza, si mise a imprecare... e, incredibilmente, l’ordigno si libero. Minnie raggiunse allora la galleria principale, oltrepasso il cadavere di Tommy Wachowski e si precipito nel tunnel di decompressione. Poi, mentre il vano si saturava d’aria - con una lentezza che non aveva eguali in tutto il Sistema Solare -, vide attraverso l’oblo Palmer e Jagellovsk entrare nella sala e comincio a prendere a pugni il vetro dell’oblo. Scorgendola, Palmer sembro indeciso sul da farsi. Poi la paratia si apr, Minnie inciampo nella soglia, cadde lunga distesa e la bomba scivolo davanti ai piedi del comandante. «Alle sei in punto», ansimo la donna. «Abbiamo trentacinque minuti.» Leland Palmer afferro l’oggetto con entrambe le mani. «Portiamola fuori di qui», disse. Tornarono in superficie con l’ascensore, uscirono dall’igloo e si diressero verso la distesa circostante, punteggiata di capannoni. L’Io stava scomparendo oltre il bordo del cratere. «E adesso cosa ne facciamo?» domandò Leland. «Disinneschiamola!» «Ma non dire stronzate. C’e qualcuno capace di fare una cosa del genere?» «L’ho visto in milioni di film, per la miseria. Bisogna solo...» «Filo rosso, filo blu? Sei impazzita?» «Ancora ventinove minuti!» Posarono la mini-nuke ai loro piedi. Il countdown continuava, implacabile, proteso verso un nuovo Big Bang.
«Basta!» sbottò Leland. «Non disinnescheremo proprio niente. La portiamo al campo di volo. Dobbiamo liberarcene.» «Non ce la faremo mai», protesto Minnie. «Come pensi di...» Leland attivo la frequenza degli shuttle. «Io? Kallisto? Qui parla Leland Palmer. Qualcuno mi sente?» «Kallisto, la sento forte e chiaro.» «Qui parla Kyra. Cosa c’e, Leland?» «Abbiamo trovato la bomba. Esplodera tra ventotto... anzi no, tra ventisette minuti. Uno di voi mi serve qui, e subito!» «D’accordo. Torniamo indietro», disse Kyra. «Noi siamo piu vicini», intervenne Nina. «Come? Ma non dovevate...?» «Eccolo!» esclamò Jagellovsk. Minnie trattenne il fiato. Dal mare di stelle emerse il Kallisto, che viro e scese verso la base. «Stiamo atterrando», annuncio Nina. «All’Igloo-1!» grido Leland. Saltellava come un derviscio, agitando le braccia. «All’Igloo-1, mi sentite? Siamo qui fuori. Prendete la bomba a bordo e buttatela in qualche cratere il piu lontano possibile da qui!» KALLISTO, LUNA «Li vedo», disse Nina. «Se prendiamo a bordo quell’affare...» disse Julian. «Se io prendo a bordo quell’affare», lo corresse lei. Si volto e lo guardo negli occhi. «Tu scendi.» «Come? Non se ne parla!» «Invece s.» «Andremo insieme...» «Scenderete tutti», dichiaro lei, con voce calma e autoritaria. «E scenderai anche tu.» Duro un attimo, ma fu un attimo incredibilmente gratificante, che valeva un’eternita. Non era forse sempre stata al suo fianco con discrezione? Non se l’era forse meritato? Per quell’attimo, Nina lesse negli occhi di Julian la paura: non per i suoi ospiti miliardari, non per la sua enigmatica figlia, non per il suo hotel. Aveva paura per lei, paura che le potesse accadere qualcosa. Paura che lei lasciasse dietro di sé un vuoto, un vuoto nel suo petto. Nina freno e fece abbassare lo shuttle. Minnie, Jagellovsk e Leland correvano, agitando le braccia. La zona di atterraggio era stretta, piena di veicoli e di macchine. Con perizia e cautela, Nina guido il Kallisto verso un punto vicino all’igloo, tocco terra, attivo l’apertura del tunnel di decompressione e si rivolse ai passeggeri. «Tutti fuori!» esclamo, battendo le mani.
«E portate a bordo quel maledetto affare. Via!» Poi guardo Julian, che era rimasto immobile. Un bagliore di autentica preoccupazione attraverso il suo sguardo, poi lui la attiro a sé e la bacio. «Abbi cura di te», mormoro lui. «Non preoccuparti: non ti libererai di me tanto facilmente.» Nina sorrise. «Fate attenzione ai propulsori quando scendete. Non passate sotto gli ugelli.» Scese anche lui e si accodo agli altri. Nina torno a dedicarsi ai comandi. Il simbolo dell’ascensore indicava che il gruppo stava scendendo verso il suolo. Attraverso il vetro della plancia, vide sopraggiungere un astronauta che trasportava un oggetto grande quanto una valigetta. Poi la sagoma scomparve sotto il ventre del Kallisto e lei udì la voce di Palmer: «È dentro!» «Ricevuto.» «Forza. Toglicelo di torno. Ancora venti minuti!» «Ci puoi scommettere», mormoro lei, riattivo i propulsori e sal di alcuni metri, mentre ritirava il vano dell’ascensore e virava. D’un tratto, uno scossone squasso il ventre dello shuttle. «Cos’e successo?» grido Nina. «Il vano dell’ascensore ha urtato un capannone», disse Julian. «Hai sfiorato il tetto.» Lei impreco e sal ancora, controllando se ci fosse la segnalazione di un guasto. «Sta rientrando?» chiese poi. «S. Sembra tutto a posto.» I controlli indicavano che l’ascensore stava rientrando nel ventre dello shuttle. Nina si porto a trecento metri di quota e accelero con violenza. La pressione la schiaccio contro il sedile. Il Kallisto si allontano dalla base a dodicimila chilometri orari, sfrecciando sopra catene montuose, gole e altopiani. Le rocce frastagliate sembravano gonfiarsi sotto di lei nel punto in cui i bordi del cratere Peary e del cratere Hermite si fondevano. Nuovi massicci montuosi si stagliavano all’orizzonte... quindi finalmente apparve una conca immersa nell’ombra. Il fondo del cratere Hermite. Ancora troppo vicino. Anche se la catena montuosa avesse protetto la base dall’esplosione, la pioggia di detriti avrebbe comunque avuto un’ampiezza eccessiva. Nina proietto una carta geografica del Polo sul display olografico per trovare un punto adatto. Se avesse aspettato troppo a liberarsi della mini-nuke, sarebbe stata incenerita dall’esplosione; d’altra parte, non voleva disfarsi di quell’affare prima del necessario. Sotto di lei, le ombre lasciarono il posto a una pianura immersa nella luce del sole, costellata di buchi d’impatto di piccoli meteoriti. Volava a una quota cos bassa da non avere piu contatto radio con nessuno. Secondo l’orologio di bordo, era in viaggio ormai da otto minuti, e ancora non aveva attraversato del tutto il cratere Hermite. In
lontananza, vide il bordo occidentale del cratere, una catena montuosa circolare, che si avvicinava rapidamente. Ancora dodici minuti. Il suo sguardo si poso di nuovo sulla mappa. Piu in la, verso sud-ovest, c’era un piccolo cratere immerso nell’ombra, e cio faceva pensare che fosse abbastanza profondo. Chiese al computer ulteriori informazioni. Alcune righe di testo si sovrapposero all’immagine olografica. Cratere Sylvester. Larghezza: cinquantotto chilometri. Profondita: sconosciuta. Quel cratere le piaceva. Aveva la sensazione che sarebbe stato in grado di assorbire l’energia di una bomba atomica. Improvvisamente le venne da ridere. Sylvester: un nome piu che appropriato. Nessun posto sarebbe stato piu adatto per ospitare dei fuochi d’artificio di quelle proporzioni. Sorridendo, corresse la rotta di pochi gradi, e il Kallisto viro verso sudovest, superando il bordo occidentale del cratere Hermite. Undici minuti. La parete del cratere era scoscesa e frastagliata e digradava in un’ampia valle. Le montagne sull’altro lato probabilmente erano gia i contorni del cratere Sylvester. Nina salto giu dal sedile e corse verso l’ascensore, colta da un’improvvisa inquietudine e dal dubbio che Leland si fosse sbagliato, ma poi vide l’ordigno sul pavimento della cabina. Sul display il countdown era appena sceso sotto la soglia dei dieci minuti. Alla vista della bomba, fu assalita dalla paura. 09:57 09:56 09:55 Adesso basta, ho sfidato abbastanza la sorte, si disse. La distanza tra la bomba e la base era sufficiente. Torno rapidamente in plancia e comando al sistema di far uscire l’ascensore. Il computer rispose con un messaggio di errore. Incredula, Nina fisso la console. Il simbolo dell’ascensore era rosso e lampeggiante. Tento di nuovo, senza successo. Impossibile. Impossibile. Chiese spiegazioni al sistema. E la spiegazione arrivo. Vano di decompressione non completamente rientrato. Ritirarlo completamente prima di ritentare. Le sue gambe iniziarono a tremare. Inser il comando per ritirare il vano, anche se era gia all’interno... almeno cos sembrava, ma forse, chissa, mancavano un paio di centimetri. La spia continuo a lampeggiare.
Impossibile ritirare il vano di decompressione. Come sarebbe a dire? Nove minuti. Meno di nove minuti. «Stai dando i numeri?» urlo, rivolta al computer. «Ritirare il vano, far uscire il vano. Cosa dovrei...» Si blocco. Quanto bisognava essere fuori di testa per litigare con un computer? Era impossibile aprire il vano, punto e basta. Cio significava che non poteva buttare giu la bomba, né recuperarla per buttarla fuori dal portellone di carico. Il portellone di carico. Col cuore che batteva all’impazzata, si precipito verso la coda del velivolo, apr la paratia che dava accesso al vano di carico, corse all’interno e si guardo intorno. Alcuni grasshopper erano appesi ai loro supporti. Meno di diciotto ore prima, avevano cavalcato quegli affari per visitare i leggendari punti di atterraggio delle missioni Apollo. Sgancio i fermi, appoggio uno dei velivoli sulle sue gambe telescopiche e controllo la riserva di carburante. Sufficiente. Adesso doveva tornare indietro ma, davanti al vano dell’ascensore, non riusc a resistere. Indugio. Un demonio la tento a rivolgere uno sguardo all’interno e lei cedette. Ovviamente il countdown continuava, implacabile. 06:44 06:43 ... si stacco dal vetro e corse verso la plancia di comando. La parete del cratere Sylvester era ancora distante, ma non troppo. Doveva far esplodere la bomba sul fondo del cratere. Qualsiasi altro luogo avrebbe significato per lei morte certa. Le sue dita volarono sul touchscreen, calcolarono il grado d’inclinazione necessario per far precipitare il Kallisto in modo controllato, e il naso dello shuttle si abbasso... No, cos e troppo, un po’ meno. Ecco, meglio. Un volo in picchiata controllato. Adesso doveva uscire di l. Indossare il casco. Le mani le tremavano. Proprio adesso dovevano mettersi a tremare? 05:59 Il casco non entrava. 05:58 Era troppo nervosa. 05:57 05:56 Adesso. Vano di carico.
Comando manuale. Il portellone posteriore si abbasso con snervante lentezza, lasciando intravedere il cielo stellato e il lontano massiccio del Peary e dell’Hermite. Nina si arrampico sulla piattaforma del grasshopper e fece salire leggermente di quota il velivolo. Il portellone continuava ad aprirsi. Senza attendere che si aprisse del tutto - l’importante era riuscire a passare - guido il grasshopper all’aperto, fuori dallo shuttle che proseguiva imperterrito sulla propria rotta. Era un’illusione pensare che fosse al sicuro. Lo shuttle sembrava fermo, il che significava che pure lei e il suo ridicolo mezzo di locomozione stavano ancora sfrecciando verso il cratere Sylvester a dodicimila chilometri orari, proprio come il Kallisto. A essere realisti, bisognava ammettere che le sue possibilita di sopravvivere erano esigue, pero aveva ancora cinque minuti, o forse quattro, per tentare l’impossibile. Dai duecentocinquanta ai trecento secondi. Sperando con tutta se stessa di aver calcolato correttamente l’angolo d’impatto dello shuttle, oriento gli ugelli in orizzontale e sprono il velivolo alla massima velocita. Il grasshopper sussulto, cercando di disarcionarla. Poi sprigiono tutta la potenza di cui disponeva per allontanarsi dallo shuttle, accelerando in modo folle e nel contempo perdendo quota. Davanti agli occhi di Nina, lo shuttle rimpicciol rapidamente. Lei corresse ancora l’orientamento degli ugelli e si avvicino al suolo, portandosi molto vicino... troppo vicino, si rese conto d’un tratto, perché era ancora troppo veloce. Temendo di sfracellarsi, fece risalire il grasshopper, spremendo l’ultima goccia di propulsione dai suoi ugelli e vide il Kallisto avvicinarsi alle montagne del cratere Sylvester, illuminate dal sole. Il fondo polveroso aveva smesso di sfrecciare sotto di lei e il grasshopper lottava con successo contro il proprio slancio. Stava rallentando, ma avrebbe avuto tempo sufficiente per raggiungere la velocita di atterraggio? E poi? Quanti minuti le restavano? Due? Uno? Un piccolo cratere si avvicino, passo sotto di lei e scomparve. Un posto ideale per cercare riparo. In qualche modo, doveva tornare a quel cratere, ma stava ancora volando a una velocita troppo elevata. All’orizzonte, il Kallisto si era ridotto a un puntino luminoso sopra le montagne, cos vicino alle rocce che per un attimo angosciante Nina temette di aver sbagliato i calcoli e che lo shuttle si sarebbe disintegrato contro il bordo del cratere, che la bomba sarebbe esplosa su una delle cime, esponendola alla potenza devastante della detonazione. Poi il puntino scomparve all’interno del cratere Sylvester, e lei si lascio sfuggire un urlo di trionfo, perché aveva segnato un punto a favore della propria sopravvivenza. Continuando a gridare, guido il grasshopper verso il basso, cercando di padroneggiarne la velocita, e il ve-
livolo comincio a rallentare, anche se la sua velocita rimaneva troppo elevata per un atterraggio. Il piccolo cratere di poco prima poteva anche dimenticarselo, era gia troppo lontano, ma un altro cratere molto simile si stava avvicinando, forse ancora piu piccolo. Poteva misurare forse due, tre chilometri di diametro, ma le pareti erano sorprendentemente alte, e lei fu colta dall’improvviso timore che il grasshopper non ce l’avrebbe fatta a superare le creste e si sarebbe schiantato contro le rocce. Poco prima dell’impatto, fece impennare il veicolo, supero il bordo e guardo in basso. Il bordo del cratere gettava ombre minacciose nella conca sottostante. Continuando a rallentare, sorvolo l’altro bordo, poi viro e si trovo di nuovo davanti la pianura e il cratere Sylvester, paurosamente vicino e nitido. Laggiu stava succedendo qualcosa. Nina socchiuse le palpebre. Il cielo sopra il cratere Sylvester si rischiaro. Nina trattenne il fiato. In un attimo, le stelle furono inghiottite da una luce abbacinante. Era come se, all’interno del cratere, fosse nato un nuovo sole. Nina distolse lo sguardo, viro di centottanta gradi e si rese conto di avere recuperato il pieno controllo sulla direzione e sulla velocita. Il piccolo cratere era alle sue spalle, ma almeno adesso lei poteva atterrare. Aveva vinto la battaglia contro l’accelerazione e ora doveva trovare un riparo. Tutt’intorno a lei, le colline e le pareti rocciose risplendevano e persino le lontane catene montuose del Polo sembravano accese da un misterioso fuoco. Quindi la luce si spense con una tale rapidita che Nina non riusc a trattenersi. Volto di nuovo il grasshopper. Sulle prime, lei penso che Sylvester avesse assorbito tutta l’energia della bomba atomica. Poi, d’un tratto, comprese cos’era successo e quella rivelazione la colp come una frustata: il bordo del cratere era scomparso. No, non scomparso: inghiottito. Da un muro di polvere che ne avvolgeva i bordi e si protendeva verso il cielo, divorando le stelle, per chilometri e chilometri, sempre piu in alto, irreale, bizzarro, l’immagine dell’orrore... E adesso scendeva lungo i pendii. Scendeva? «Oh, merda», mormoro Nina. All’improvviso, il muro si era trasformato in una gigantesca onda che, dai bordi del cratere, si riversava nella pianura. Era impossibile calcolarne la velocita, ma di sicuro si spostava dieci, venti, trenta volte piu rapidamennte del suo misero grasshopper. Per qualche istante, Nina rimase come paralizzata, incapace di distogliere lo sguardo da quello spettacolo. Poi si riscosse e giro il veicolo, lanciandolo di nuovo verso il piccolo cratere senza nome. Dopo la fuga infernale dal ventre del Kallisto, adesso le sembrava che il grasshopper avanzasse
strisciando. Arrischio un’occhiata alle sue spalle. S, il cratere Sylvester era scomparso. Si vedeva solo un mare di polvere che inghiottiva il cielo e tutto quello che incontrava sulla propria strada. Piu veloce, piu veloce. Il bordo del cratere, il suo rifugio. Disperata, fece salire il grasshopper, che arranco, come se ne avesse abbastanza della frenesia degli ultimi minuti. Le sue zampe telescopiche colpirono la roccia, il veicolo oscillo, poi sussulto e sfreccio oltre il cucuzzolo. Nina allargo le braccia e salto giu dalla piattaforma, cadde pesantemente nella regolite, rotolo verso il centro del cratere e oltrepasso una sporgenza. Precipito nel vuoto e tocco terra parecchio piu in basso all’ombra di una parete quasi verticale. Fece in tempo a vedere il grasshopper che precipitava e, puntando i piedi, riusc ad arrestare la propria caduta. Si rifugio sotto una sporgenza rocciosa e si rannicchio. Il cielo si anner. Un momento dopo, pero, tutto divento grigio. Una grandinata di sassolini si abbatté sul fondo del cratere. Lei cerco di rannicchiarsi il piu possibile, protetta dall’onda d’urto e dai detriti piu grandi dalla sporgenza rocciosa, ma l’impatto dei massi scagliati in ogni direzione sollevava vortici di regolite. Incrocio le braccia sopra il casco, sperando che la tuta potesse resistere a quell’inferno, quindi non vide piu nulla se non una fitta coltre grigia. Chiuse gli occhi. Il muro di polvere passo oltre. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo era rimasta immobile. Quando infine oso abbassare le braccia, la grandinata era cessata e tutto era avvolto da una cappa torbida e nel contempo abbacinante. Si rimise in piedi e si stiracchio. Era incredibile che fosse ancora viva. Che non si fosse rotta niente. Era sopravvissuta a una bomba atomica. In compenso, ora si trovava in un cratere senza nome, lontano dalla base Peary e senza mezzo di locomozione. Con una tuta spaziale intatta, un impianto radio funzionante e ossigeno sufficiente per qualche ora, finché l’Io non fosse riuscito a trovarla. Sperava che si mettessero a cercarla, che non dessero per scontata la sua morte. Anzitutto doveva uscire dal cratere. Era l’unico modo per stabilire un contatto radio con l’Io, se fosse apparso all’orizzonte. Rassegnata, si accinse ad affrontare la salita. LONDRA, INGHILTERRA «Mi dispiace, Yoyo...»
Le parole che Xn aveva pronunciato dopo quella frase le si erano impresse nella mente come se fossero state tessute su una trama e non semplicemente dette; ormai sopraffatto dalla mole di lavoro, il suo nervo vago aveva infatti interrotto la sua regolare attivita, gettando nel caos tutti gli organi controllati e abbandonandoli a se stessi. Senza piu un superiore cui fare riferimento, i vasi sanguigni avevano spalancato le porte a flussi ematici in fuga verso le gambe, cosicché il cuore si era ritrovato in preda ai disertori, senza piu nulla da pompare, mentre il cervello era rimasto in vana attesa dei rinforzi armati di ossigeno. In tutto quello sconvolgimento, l’anatema di Xn - «Perderete questa guerra» - era stato relegato a un semplice stimolo elettrochimico. Forse lui aveva davvero pronunciato quella frase o forse non l’aveva fatto. L’unica cosa certa era stata il blackout : Yoyo aveva strabuzzato gli occhi e perso i sensi, come a voler anticipare il momento in cui Xn le avrebbe sparato. Jericho l’aveva trovata cos, drappeggiata sui corpi senza vita di due guardie e di un traditore. Coperta da un velo di sudore freddo, Yoyo non aveva polso e sembrava aver smesso di respirare. Non aveva richiamato sulla linea di Jennifer e non aveva risposto nemmeno alla sua chiamata; un’occhiata nell’ufficio di Norrington era bastata a confermargli la sua assenza. In preda all’ansia, Jericho era rapidamente salito al sessantottesimo piano, dove Diane versava in uno stato pietoso, ridotta a un groviglio di fili strappati. Nessuna traccia di Yoyo: solo chiazze di sangue sul pavimento, sulla piattaforma, poi sulla passatoia e infine sulle scale che portavano sul tetto. Al resto aveva provveduto il suo intuito. Era arrivato sul tetto appena in tempo per vedere l’airbike sparire in lontananza e aveva creduto che Yoyo fosse morta. Si era chinato su di lei, inginocchiandosi davanti all’onnipotenza del fallimento, e aveva pensato al dolore che avrebbero provato Tu Tian e Hongbng quando avrebbe dato loro quell’orribile notizia. Poi l’orecchio appoggiato al petto della ragazza aveva colto un battito quasi impercettibile, seguito da un altro, a formare un ritmo prima lento poi sempre piu accelerato mentre il sangue riusciva ad aprirsi un varco e a riappropriarsi della sua funzione vitale. Jericho aveva sollevato le gambe della ragazza e lei era rinvenuta quasi subito, confusa e apatica, ma in qualche modo gia in grado di mormorare cose del tipo «chi sono», «mi fa male la testa », «stanca», «dormire». Xn le aveva risparmiato la vita. Perché? Nel frattempo, Jennifer era caduta preda di un’incontrollabile collera. Rimaneva da dimostrare la colpevolezza di Norrington, anche se lei ormai non aveva piu dubbi al riguardo. Dovendo confrontarsi con una quantita infinita di congetture sui danni che il vicecapo della sicurezza aveva causato all’Orley, aveva ordinato che venissero esaminati tutti i suoi dati. Poi aveva fatto perquisire il suo ufficio: era stato trovato un piccolo oggetto, all’apparenza una chiave d’ingresso, in realta uno stick su cui era salvato un programma che veniva visualizzato
sul monitor con l’icona di un serpente a nove teste, un pulsante indizio del suo tradimento. A quel punto, Jericho aveva deciso di andarsene. Che risolvessero da soli i loro problemi. Non poteva - non voleva - piu fare altro, come se tra lui e Xn fosse stato stipulato un tacito accordo: io risparmio la vita a Yoyo, ma tu afferra il messaggio. E il messaggio, tanto semplice quanto inequivocabile, era: «Pensate agli affari vostri». Forse Xn si era reso conto che la morte di Yoyo sarebbe stata superflua, dato che ormai troppe persone erano a conoscenza del suo segreto. Ucciderla non avrebbe piu avuto senso e l’insensatezza era inconciliabile con la filosofia - la si poteva chiamare cos? - di Xn. A ogni modo... Lui, Jericho, aveva mantenuto la sua promessa e aveva riportato Yoyo a entrambi i suoi clienti Tu Tian e Hongbng. Qualunque altra cosa adesso riguardava soltanto Jennifer e i servizi segreti inglesi, non lui. Inoltre iniziava a provare un’atroce stanchezza; sapeva pero che non sarebbe riuscito a dormire, anche se sbadigliava in continuazione. Lo shock sembrava invece aver proiettato Tu Tian - che in genere dormiva comunque pochissimo - in un perenne stato di veglia, alimentato dai sensi di colpa per non essere stato accanto a Yoyo. Da due ore, la ragazza sonnecchiava nel letto di Tu Tian - nella Big O, tutte le suite per gli ospiti disponevano di diverse stanze e offrivano la vista di panorami incantevoli -, mentre lui e Jericho sorseggiavano un te in salotto. Tu Tian stava dando sfogo a un maniacale autolesionismo, accanendosi sulle scorte di noccioline e di dolci. «Non c’e niente da fare: devo mangiare», disse, come per giustificarsi prima di ruttare sonoramente. «Mangiare e fare l’amore sono i due piu grandi desideri dell’uomo...» «Chi lo dice?» borbotto Jericho. «Confucio. In altre parole: dobbiamo alimentarci con regolarita per essere in grado di proteggere le nostre donne. Quindi ho un po’ di arretrati da recuperare.» Le noci del Brasile si mischiavano con gli orsetti gommosi. «E, se quel bastardo, mi capitasse tra le mani...» «Non gli faresti nulla.» Tu Tian batté il palmo sul tavolo. «Siamo arrivati fin qui, xiongdì. Mi credi davvero capace di darmi per vinto, di lasciar scappare quel mostro? Pensa a quello che ha fatto agli amici di Yoyo, a Hongbng. Pensa al modo in cui lo ha torturato!» «Non urlare.» Jericho guardo verso la porta semiaperta della camera da letto. «Con tutto il rispetto per la tua collera, forse dovresti ringraziare di essere ancora vivo.» «S, va bene, grazie. E poi?» «E poi niente.» Jericho apr le braccia e alzo gli occhi al cielo. «Vivere. Continuare a vivere.» «Questo atteggiamento non ti si addice», lo rimprovero Tu Tian. «Non e nell’indole di un tarlo accontentarsi di rimanere in contemplazione della venatura di un legno.»
«Ti ringrazio per il paragone.» «Perché ci siamo fatti coinvolgere in questa storia? Per consentire che quei mascalzoni la facciano franca?» «Ascoltami bene.» Jericho poso la tazza di te. «Puo anche darsi che tu abbia ragione e che, ora della prossima settimana, io veda le cose in modo diverso ma, alla fine, dove ci ha portato tutta questa storia? Le nostre indagini infinite, i killer, i mercenari e i servizi segreti, i rovesciamenti in Africa occidentale, la sete di potere di governi e gruppi industriali, oggi in Guinea Equatoriale, domani sulla Luna e dopodomani su Venere, giganti petroliferi in rovina, le bombe atomiche coreane, gli hotel sulla Luna e gli astronauti traditori, gli attentati a manager petroliferi, l’eliminazione di Greenwatch, la teoria della Cina e quella della CIA, mostri a nove teste a forma di serpente... E allora? Tutto inizia in una giornata calda e afosa, tra mobili ancora imballati e un uomo triste e preoccupato per la figlia scomparsa, che mi ha aiutato a togliere la plastica da due poltrone in modo che potessimo avere qualcosa su cui sederci. Sinceramente non me ne frega piu nulla di Xn e della sua Hydra. Con tutta la buona volonta, cosa abbiamo a che fare noi con l’Orley Enterprises? C’e una ragazza nell’altra stanza e il fatto che stia ancora respirando e che noi non siamo stati costretti a coprirla con un lenzuolo mi sta molto piu a cuore di tutti i complotti di questo mondo messi insieme; ormai siamo fuori dai giochi, quale che sia la piega che prenderanno le cose. Abbiamo messo alle strette quella gentaglia, Tian, e l’abbiamo fatto cos bene da farle credere che non abbia piu senso ucciderci. La storia svanisce in se stessa; inizia e finisce sul campo da golf Tomson Shanghai Pudong, dove mi hai chiesto di riportare al tuo amico la figlia, sana e salva. L’ho fatto. Grazie, prego.» Tu Tian lo osservava, pensieroso, reggendo una manciata di noccioline a mezz’aria. «Te ne sono infinitamente grato...» «No, non hai capito. Tutti noi siamo infinitamente grati, ma ora ce ne torniamo a casa. Tu ti occuperai della joint-venture con la Dao IT, Yoyo riprendera a studiare, Hongbng vendera la Silver Shadow di cui mi ha parlato e si godra la provvigione, io togliero le impronte di Xn dai miei mobili e cerchero d’innamorarmi di una donna che non si chiami Diane o Joanna. E sara meraviglioso fare tutte queste cose. Condurre una vita schifosamente normale. Ci risveglieremo da questo incubo, ci stropicceremo gli occhi e fine della storia, perché questa non e la nostra vita, Tian. Questi sono problemi di qualcun altro.» Si lascio cadere all’indietro sul divano e desidero poter credere alle parole che aveva appena detto. Tu Tian si gratto la pancia. «Una vita schifosamente normale », gli fece eco. «Sì, Tian, schifosamente normale. E se mi posso permettere di aggiungere una cosa da amico: parlate con Yoyo. Parlare aiuta.» Era una cosa poco gentile da dire a un cinese, anche se si trattava di un amico. Ma forse, dopo due giorni come quelli... quanto si poteva es-
sere intimi pur continuando a non tollerare l’intimita? Jericho guardo fuori dalla finestra. Londra si stava svegliando e lui si chiese se non dovesse lasciare Shanghai e tornare l. In fondo, non gli importava. «Scusami», sospiro. «So che non sono affari miei.» Tu Tian rovescio le noccioline di nuovo nella ciotola e le mescolo con un dito. Per un po’, regno il silenzio. «Sai cos’e un ankang? » gli chiese poi. «S.» «Avresti voglia di sentire una storia su un ankang?» Tu Tian sorrise. «Certo che no. Nessuno vorrebbe sentire una storia su un ankang, ma tu non hai scelta. Comincia il 12 gennaio 1968, nella provincia di Zhejiang, con la venuta al mondo di un bambino, che restera figlio unico. E non in ottemperanza alla politica del figlio unico, introdotta anni dopo, come tu sicuramente sai, essendo un quasi-cinese.» «12 gennaio... Non stai parlando della tua nascita», disse Jericho. «No, anche perché io sono nato a Shanghai. Il bambino in questione viene al mondo in una piccola citta. Il padre e un insegnante e, come tale, sospettato di mettere il proprio cervello al servizio di cose riprovevoli come la cultura generale e la liberta di parola... in sintesi, di pensare. È sufficiente conoscere anche solo a grandi linee la storia locale per essere bastonati per strada ma, da quando le orde di Pechino hanno avviato la loro Rivoluzione Culturale, l’insegnante ha imparato a convivere con la situazione. E infatti per un po’ ci convive. Il quartier generale delle Guardie Rosse e nella capitale, mentre i locali capi di Partito combattono i soldati della guardia dalle zone rurali; i contadini e gli operai di quelle regioni infatti generalmente sostengono la politica di Deng Xiaopng e Liu Shaoq, dalla quale traggono un maggiore profitto. Per dissimulare la sua istruzione, il nostro insegnante comincia a lavorare in una fabbrica di macchine agricole, cercando di opporsi coi suoi umili mezzi alla caduta di Deng e Liu per mano dei maoisti. In citta, si e verificata una spaccatura interna alle Guardie Rosse, che ha dato vita al Comitato di lavoro coordinato, un organo che simpatizza per Deng Xiaopng. L’insegnante pensa quindi che sia una buona idea unirsi a loro. E lo e. Almeno fino al 1968, quando il Comitato si scioglie sotto la pressione dei fautori della linea dura. Si viene a sapere che il nostro uomo e stato un insegnante e tanto basta perché lui cominci a temere per la sua famiglia, il giorno in cui viene al mondo suo figlio.» Jericho sorseggio il te. «Come si chiama questo insegnante?» chiese, mentre un sospetto si faceva strada dentro di lui. «Chén Dé.» Tu Tian tasto un’arachide con l’indice e la fece rotolare sul tavolino. «Per quanto riguarda il nome del figlio, dovresti arrivarci da solo.» «Un nome che doveva esprimere fedelta al Partito: ’Soldato Rosso’.» «Hongbng. Una scelta intelligente, ma non serve a molto. Alla fine del ’68, la madre di Hongbng e arrestata per dichiarazioni sovversive... Almeno cos le viene detto, ma la realta e
che molti soldati della guardia intendono rivoluzionare la cultura con l’ausilio del bastone che hanno tra le gambe, mentre lei non riesce a capire come giovi ai poveri contadini il fatto che lei vada a letto con gente del genere. È portata in un campo di rieducazione dove viene... be’, rieducata. Quando torna a casa, e malata e porta addosso i segni dei maltrattamenti subiti; non e mai piu stata la stessa. Correndo enormi rischi, Chén Dé riprende la sua attivita d’insegnante, ma per la maggior parte del tempo continua a lavorare in fabbrica, cercando di trasmettere segretamente al figlio tutto quello che sa e sottolineando l’importanza di uno stile di vita che rispetti la morale; un grande pericolo, se posso dire la mia. A meta degli anni ’70 quando Mao comincia a dedicarsi alle giovani figlie della Rivoluzione o, meglio, a deflorarle, se vogliamo essere espliciti -, la sua adesione al Comitato di sette anni prima vale a Dé l’accusa di essere un controrivoluzionario. Segue un breve processo e poi il carcere. Dé lascia Hongbng da solo, con una madre provata dagli abusi.» Tu Tian fece una pausa e si verso dell’altro te. «A questo punto, le cose iniziano a cambiare, alcune in meglio, altre in peggio. La madre e Mao muoiono a breve distanza l’una dall’altro e Deng Xiaopng, che era caduto in disgrazia, riprende il potere; il padre di Hongbng puo di nuovo insegnare, conformemente alle linee del Partito, s’intende. Il ragazzo cresce tra ideologia e dubbi. In mancanza di modelli in carne e ossa, concentra il proprio entusiasmo sulle automobili, oggetti allora molto rari. In campagna, pero, tali conoscenze non gli servono granché: all’eta di diciassette anni si trasferisce quindi a Shanghai, la variante allegra della bacchettona Pechino, e tira avanti per un po’ con qualche lavoretto saltuario. A un certo punto, conosce un gruppo di studenti che, nella Cina post-rivoluzionaria, coltivano con cura i germogli del bagaglio ideologico della democrazia. Sono loro a fargli leggere gli scritti di Wei Jngsheng e Fang Lzh: la ’quinta modernizzazione’, l’apertura della societa... Idee tanto affascinanti quanto vietate.» «Hongbng ha fatto parte del Movimento democratico?» «Oh, s!» annuì prontamente Tu Tian. «Era in prima linea, caro Owen. Un combattente. Il 20 dicembre 1986, settantamila persone si riversano nelle strade di Shanghai per protestare contro la manipolazione operata dal Partito delle assegnazioni dei posti presso l’Assemblea popolare nazionale, e Hongbng e in prima fila. Strano che non lo becchino gia in quell’occasione. Nel frattempo, ha trovato lavoro presso un’officina di riparazioni e rimette in sesto le automobili dei potenti, quindi stringe amicizie importanti e abbandona anche le ultime illusioni, dato che quei manager sono immersi nella corruzione fino al collo. Ma non gli importa, almeno non in quel momento. Ti dice qualcosa il 15 aprile 1989?» «No. Mi dice qualcosa il 4 giugno 1989.» «S, s, ma la storia comincia prima. Il 15 aprile 1989 muore Hu Yaobang, un politico nel quale gli studenti hanno sempre visto un alleato, soprattutto perché, all’interno del Partito stesso, e stato considerato il capro espiatorio dei disordini del 1986. Per commemorarlo,
migliaia di cinesi si riuniscono in piazza Tian’anmén - la piazza della Pace Celeste - dove piangono il defunto, scandendo a voce sempre piu alta le ormai ben note rivendicazioni - democrazia e liberta - per irritare gli anziani al potere. Questo clima di opposizione al regime contagia anche altre citta, tra cui ovviamente Shanghai, dove Hongbng agita di nuovo il pugno e organizza movimenti di protesta. Deng Xiaopng rifiuta il confronto con gli studenti, i dimostranti iniziano lo sciopero della fame e piazza Tian’anmén diventa il fulcro di un anelito di rinascita e di cambiamento, un evento che Hongbng vuole vedere coi propri occhi. Nel frattempo, nella piazza, si e riversato un milione di persone. Giornalisti da tutto il mondo seguono quello spettacolo straordinario. In piu, in Russia, e arrivato Michail Gorbacev, con le sue idee di Glasnost e di Perestrojka. Il Partito si trova proprio in un bel guaio.» «E Hongbng c’e dentro fino al collo.» «Tuttavia la cosa poteva risolversi pacificamente. Alla fine di maggio, la maggior parte degli studenti di Pechino vuole sciogliere il movimento, accontentandosi dell’umiliazione subita da Deng Xiaopng. Ma chi e venuto da fuori, come Hongbng, insiste per portare le rivendicazioni fino alle estreme conseguenze. Il resto e Storia; non c’e bisogno che ti racconti del massacro di Tian’anmén. Anche stavolta Hongbng ha una fortuna sfacciata. Non gli succede niente perché il suo nome non e su nessuna lista nera. Caduta ogni illusione, torna a Shanghai e decide di occuparsi piu seriamente del suo lavoro: fa carriera e diventa vicedirettore dell’officina che, nel corso degli anni, si amplia; il nuovo ceto di ricchi, infatti, disdegna sempre piu le pedalate in bicicletta e nessuno e piu competente di Hongbng in fatto di automobili. Ogni tanto, il lavoro gli viene pagato con una serata in qualche bordello; importanti dirigenti lo invitano a cena, e funzionari benestanti non avrebbero niente in contrario se quel ragazzo di bell’aspetto mettesse incinte le loro figlie.» «Quindi Hongbng si e adattato alle circostanze.» «Fino all’inverno del 1992, quando, dopo anni passati a cercare di non impazzire, Chén Dé perde la testa. Cade in depressione. Per la moglie morta, puoi ben capire, e perché la Rivoluzione ha distrutto la sua famiglia. Hongbng inizia a provare odio per se stesso. Per il suo nome, che non sopporta, per i suoi vuoti incontri con profittatori che avevano il proprio interesse per il Movimento democratico e che ora non perdono occasione per brindare, esclamando: ’Ganbei!’ Vuole intraprendere un nuovo percorso. L’anno precedente, in occasione dell’anniversario del massacro di Tian’anmén, il dissidente Wang Wanxng e stato arrestato per aver srotolato in mezzo alla piazza della Pace Celeste uno striscione che chiedeva di riconoscere dignita ai dimostranti uccisi. Un anno dopo, il 4 giugno 1993, sempre in occasione dell’anniversario, Hongbng e altri due organizzano una dimostrazione per chiedere la scarcerazione di Wanxng; un piccolo traguardo mirato, cos la vede lui, che forse puo avere qualche possibilita di successo. E, in effetti, attira l’attenzione, ma purtroppo delle persone
sbagliate.» «Hongbng viene arrestato.» «Subito. E ora arriva la parte crudele della storia. Potresti obiettare che lo e gia abbastanza, ma sbaglieresti.» Tu Tian fece una pausa, mentre il sole saliva nel cielo e inondava di luce il corso del Tamigi. «Alcuni chilometri fuori Hangzhou, in una posizione idilliaca tra risaie e piantagioni di te, c’e stato per molti anni un bellissimo tempio buddhista, demolito per far spazio a una costruzione che doveva essere al servizio della societa cinese. » «Un ankang.» Jericho ebbe la strana sensazione che tutta la stanchezza scivolasse via. Aveva gia sentito parlare degli ankang, ma non ne aveva mai visto uno. Letteralmente ankang significava «sicurezza, pace e salute»; in realta, indicava gli ospedali-prigione. «L’ankang di Hangzhou e il primo ospedale psichiatrico di questo tipo in Cina», spiego Tu Tian. «Si basa sul concetto dell’ideologia perfetta; metterla in discussione puo solo essere il risultato di una turba mentale piu o meno grave, alla stregua dei malati di mente convinti che la Terra sia quadrata o che il proprio coniuge sia un cane travestito. Seguendo il modello sovietico, anche la Cina comincia con sempre maggiore frequenza ad accusare i dissidenti di essere pazzi; tuttavia il Partito da questo bel nome, ankang, agli ospedali psichiatrici soltanto alla fine degli anni ’80. Prima, sono gestiti in gran segreto e in forma, diciamo cos, anonima.» «Di’ un po’, il dissidente per il quale Hongbng chiedeva la liberazione, Wang Wanxng... non e stato rinchiuso anche lui in un ankang?» «Per tredici anni: e stato rilasciato nel 2005. Fino ad allora sono girate solo voci sugli ankang, sul fatto che il loro obiettivo non fosse tanto curare i malati di mente, quanto umiliare i sani. Dal 2005, invece, si avvia un timido dibattito su queste strutture, cosa che comunque non impedisce al Partito di aprirne altre, dato che e impossibile annientare tutte le persone oberate dal peso della paranoia dei diritti umani o fissate con schizofreniche rappresentazioni di libere elezioni. Il mondo e pieno di matti, Owen, quindi bisogna fare molta attenzione: sindacalisti, democratici, religiosi, persone con istanze e lamentele che, per esempio, si oppongono alla politica di demolizione di Shanghai e che pretendono d’importare da altri Paesi cose bizzarre, come il diritto alla libera espressione. E poi non bisogna dimenticare quei soggetti confusi che sostengono di aver individuato casi di corruzione nella nostra societa perfetta.» Tu Tian bevve rumorosamente il suo te, come se volesse lavar via dalla bocca il sapore della parola ankang. «A partire dal rilascio di Wanxng, pero, le vittime cominciano a difendersi. All’inizio del 2005, l’Assemblea promulga una legge che vieta alla polizia la pratica della tortura... una farsa, ovviamente. Gli indiziati continuano a essere sottoposti a prolungate rappresaglie finché non acconsentono a firmare una confessione a testimonianza della propria malattia mentale. Da quel momento, la tortura puo essere a buon diritto definita ’trattamento’. In Cina c’e ancora un centinaio di ankang, oggetto di dibattiti da parte dell’opinione pubblica e
di proteste internazionali ma, quando Hongbng viene portato a Hangzhou, siamo nel 1993, quindi non c’e ancora nessuna legge che permetta di sollevare obiezioni. Tra i platani del giardino dell’istituto, troneggia un bello striscione rosso: SALUTE DEL CORPO E DELLO SPIRITO: UNA GIOIA PER TUTTA LA VITA. Il tipico vocabolario dei gulag. Hongbng ha la sua diagnosi: psicosi paranoica e monomania politica. Al di fuori della Cina, nessun medico ha mai sentito parlare né dell’una né dell’altra patologia, ma cio e soltanto un’ulteriore prova di quanto siano stupidi gli stranieri. Hongbng ’fa una buona impressione’: cos si dice banalmente nel gergo di questi istituti. Il suo umore e stabile, lui obbedisce, ascolta la radio, gli piace leggere ed e sempre pronto a rendersi utile. Tuttavia, se si parla di politica, manifesta ’una totale mancanza di logica’. Chiunque puo notare che la sua attivita mentale e caratterizzata da megalomania, che lui ha un’indole litigiosa e un’eccessiva e patologica forza di volonta. I medici ritengono opportuno sottoporlo a cure e metterlo sotto stretta sorveglianza. Solo cos potranno riportare il povero Hongbng sul luminoso sentiero della lucidita mentale. Intanto, pero, lo privano di qualsiasi diritto.» «Non puo nemmeno parlare con un avvocato?» chiese Jericho, sbalordito. «Ci deve pur essere almeno la remota possibilita di ottenere un processo.» «Ma Owen!» Tu Tian aveva ricominciato a mangiare dolci, ne ingurgitava una manciata dopo l’altra, senza nemmeno aspettare di aver ingoiato quelli che aveva gia in bocca. «Non afferri il controsenso? Come puo un matto sollevare obiezioni sulla sua comprovata pazzia? Tutti sanno che i matti si ritengono le uniche persone sane di mente al mondo. Non c’e modo di contestare il giudizio emesso dalla polizia, e la durata del ricovero e decisa da psichiatri e da funzionari. Ecco perché e cos insopportabile per le vittime: in prigione o in un campo di lavoro sai qual e la sentenza che ti e stata appioppata, ma il tuo soggiorno nell’ankang dipende unicamente dall’arbitrio del tuo aguzzino. E sai qual e la vera crudelta?» Jericho scosse la testa. «Che molti ospiti sono davvero pazzi. Raffinato, no? Immaginati il tormento di una persona costretta a vivere circondata da delinquenti con gravi turbe psichiche, che ti minacciano di continuo. Sei mesi dopo il ricovero, Hongbng assiste all’uccisione di due uomini, mentre il personale sta a guardare senza muovere un dito. Per notti intere si costringe a rimanere sveglio, temendo di essere il prossimo. Altri detenuti... cioe pazienti sono invece sani, come lui, ma questo non importa. Tutti sono costretti ad attraversare lo stesso inferno. Vengono sottoposti regolarmente a varie ’terapie’: camicie di forza chimiche, shock insulinici ed elettroshock. È incredibile come questi metodi aiutino un paziente nel recupero della lucidita mentale. Poi ci sono le sigarette spente sulla pelle, preferibilmente sui genitali, la tortura con ganci incandescenti, l’esposizione al calore estremo, la privazione del sonno, l’immersione in acqua ghiacciata e poi, ovviamente, i cari, vecchi bastoni. I sobillatori sono legati al letto e tor-
mentati fino allo svenimento, gli s’infila un ago nel labbro superiore oppure li si collega a impulsi di corrente, il cui voltaggio viene alternativamente alzato e abbassato. Il dolore e costante, inevitabile. Quando medici e infermieri ne hanno voglia, tutti gli ospiti vengono puniti, indipendentemente dal fatto che abbiano combinato qualcosa o no. Diversi pazienti sono morti d’infarto sotto le amorevoli cure del personale. Un tizio - di cui Hongbng diventa amico - e cos disperato che, a un certo punto, decide d’iniziare lo sciopero della fame. Allora viene legato al letto e i suoi compagni sono costretti ad alimentarlo, sotto la supervisione degli infermieri. Ma come? Nell’unico modo possibile: tenendogli la bocca aperta con la forza e facendogli mandar giu un’enorme quantita di liquidi. In breve, l’uomo muore soffocato, anche se i documenti ufficiali parlano di collasso cardiaco. Nella sfortuna, pero, Hongbng ha un vantaggio: gli vengono risparmiate le torture peggiori. E cio grazie ai numerosi appassionati di automobili di Shanghai che intercedono a suo favore, benché in modo assai discreto, per non cadere vittima loro stessi di rappresaglie. È comunque sufficiente perché Hongbng riceva un trattamento privilegiato. Ha una cella singola, puo leggere e guardare la televisione. Tre volte al giorno gli vengono somministrati neurolettici, con gravi effetti collaterali, mentre alcuni medici gli fanno capire di nascosto di ritenerlo del tutto sano. Per un certo periodo, Hongbng nasconde le pillole sotto le labbra e poi le butta nel cesso, ma poi lo scoprono e lo puniscono con una terapia di shock insulinico. Rimane in coma per diversi giorni. Un’altra volta, viene legato a un lettino e un medico, dopo essersi infilato dei guanti con placche metalliche, gli posa le mani sulla fronte. Hongbng si sente trafiggere da un dolore insopportabile, poi perde temporaneamente l’uso della vista e dell’udito. Un elettroshock, stavolta come punizione per il semplice fatto di essere Hongbng. L’ankang e immerso in un fracasso continuo: con tutte quelle urla di dolore, nessuno riesce a chiudere occhio. I pazienti si nascondono sotto i letti, nei bagni, sotto i lavabi, ma invano: vengono scoperti, sempre. Oh, non c’e piu niente da sgranocchiare.» A Jericho ci volle un momento per reagire. Come ipnotizzato, si alzo e si diresse al minibar, tornando da Tu Tian con due pacchetti di patatine. «Queste sono al formaggio e cipolle», lesse dalle confezioni. «O preferisci il gusto bacon?» «Fa lo stesso. Durante il secondo anno di reclusione, Hongbng cerca di fuggire e quasi ci riesce. Quell’esperienza popola ancora oggi i suoi peggiori incubi. Come ’ricompensa’ per il suo spirito d’iniziativa gli viene somministrata della scopolamina, un farmaco che ti rende apatico, in modo che tu non possa piu pensare a come evadere o a stupidaggini simili. È inutile che ti spieghi quale incredibile scia di danni fisici e mentali lasci dietro di sé quella robaccia. Nell’estate del 1996, il terzo anno del suo soggiorno, viene ricoverata una giovane operaia: ha denunciato il figlio del direttore della fabbrica in cui lavorava per aver accettato delle bustarelle. Il ragazzo lo ha saputo e l’ha picchiata sino a farle perdere i sensi, cos lei lo
ha di nuovo denunciato, un’insolenza che fornisce un ottimo pretesto al direttore della fabbrica, al capo della polizia e agli amministratori dell’ankang per dichiararla non sana di mente. La giovane viene ’inghiottita’ dalla clinica senza nessuna perizia medica, senza denunce e senza processo, mentre il genero del responsabile amministrativo dell’ankang diventa caporeparto della fabbrica. Certo, le coincidenze esistono, come no? E Hongbng? S’innamora di quella donna e si prende cura di lei finché non muore per uno shock insulinico sei mesi dopo il ricovero. Anche l’ultimo barlume di resistenza crolla. Il giorno in cui Hongbng perde quella donna, perde anche tutta la sua forza.» «È terribile, Tian», mormoro Jericho. «È la storia di come la vita, a un certo punto, possa prendere una direzione sbagliata. Una storia fatta di ’avrei dovuto’ e ’non avrei dovuto’. Poi, nella primavera del 1997, all’allegro esercito di matti si aggrega un tipo vivace, proveniente da una famiglia benestante, pragmatico e sicuro di sé. E, proprio come ci si aspetta, i medici si occupano subito di questa sua sicurezza. Nella cerchia dei dissidenti quest’uomo non e affatto uno sconosciuto, anzi e un eroe locale della lotta contro la corruzione. Si e fatto notare quando ha coinvolto migliaia di lavoratori di una fabbrica di componenti elettronici, in cui lui stesso lavorava come caporeparto, in una protesta contro la direzione, accusandola di arricchirsi a spese dei dipendenti; con tanto di prove, e andato fino a Pechino per presentare reclamo, con l’unico risultato di essere arrestato e rinchiuso. Nell’ankang gli viene somministrato di tutto: lui si ammala, perde i capelli e comincia a soffrire di contrazioni spastiche, d’insonnia, di nevrastenia e di perdita della memoria. Eppure niente riesce a privarlo del suo spirito di sopravvivenza. Il suo unico obiettivo e uscire di l il prima possibile. D’altronde puo vantare conoscenze influenti a Shanghai: suo cognato, per esempio, gioca spesso a golf col capo della polizia. A quest’uomo, Hongbng piace: passa molto tempo con lui, lo ascolta e, a poco a poco, gli infonde una nuova speranza. Sei mesi dopo, l’uomo lascia l’ankang, diventa dirigente di una multinazionale di software e comincia a pianificare la propria ascesa professionale. Passa un altro anno e finalmente anche Hongbng e libero; ha trent’anni, di cui cinque passati nella clinica neurologica. L’uomo gli procura un lavoro presso un autosalone e s’impegna ad aiutarlo in ogni modo possibile.» Il sole ormai splendeva alto nel cielo, la tenue e rosata luce mattutina si posava sui tetti. «Sei tu l’amico che lo ha aspettato fuori dall’ankang», disse Jericho. «S.» Tu Tian si tolse gli occhiali e si mise a pulirli con un lembo della camicia. «Sono io. Ecco cosa lega me e Hongbng.» «E Hongbng non ha mai raccontato niente di questa storia a Yoyo?» «Mai.» Tu Tian mise gli occhiali in controluce e guardo attraverso le lenti. «Pensa alla tua vita, Owen. Ci sono vicende che si chiudono come lucchetti intorno alle tue corde vocali, lo
sai benissimo. La vergogna ti ammutolisce; credi che, non parlandone, quelle vicende si dissolveranno con gli anni, ma in realta acquistano sempre piu potere su di te. Dopo la sua liberazione, Hongbng voleva presentare denuncia. Io gli ho invece suggerito di costruirsi una solida esistenza prima d’intraprendere qualunque passo in una simile direzione. La sua competenza in fatto di automobili era davvero impressionante. Pochissimo tempo dopo il lancio sul mercato di un nuovo modello, lui ne conosceva ogni minimo particolare. Ha seguito il mio consiglio ed e stato promosso a venditore. Nel 1999 ha conosciuto una ragazza di Nngbo e l’ha sposata in fretta e furia. Erano una coppia mal assortita, ma Hongbng voleva recuperare i cinque anni perduti e mettere su famiglia. Cos e nata Yoyo e il matrimonio e fallito, come ci si poteva aspettare, perché Hongbng era convinto di aver scoperto di non poter piu amare nessuno, ma in realta era se stesso che non riusciva ad amare... e non ci riesce neanche adesso. La ragazza e tornata a Nngbo, Hongbng ha ottenuto l’affidamento di Yoyo e da quel momento ha cercato di darle tutto quello che lui non aveva avuto.» «La comprensione, l’amore...» «Il problema di Hongbng e che si ritiene indegno. Ma Yoyo ha frainteso, pensa di essere stata lei ad aver sbagliato qualcosa. Col suo silenzio, Hongbng l’ha caricata di un enorme senso di colpa... Non era sua intenzione, ma tu l’hai conosciuto e sai quanto sia chiuso in se stesso. L’altra notte, a Berlino, quando gironzolavo per la citta con Yoyo e tu te ne stavi a rimuginare in hotel, le ho raccontato la mia storia, e Yoyo, da ragazza intelligente qual e, ha voluto subito sapere se a Hongbng fosse successo qualcosa di simile.» «Cosa le hai risposto?» «Niente.» «Dovra essere lui a parlargliene.» «Gia. Se riuscira a superare la sua freddezza. Ti svelo un altro segreto: per tutti questi anni, Hongbng ha lottato per la sua riabilitazione sociale. E ovviamente Yoyo non lo sa.» «E tu? Sei stato riabilitato?» «Nel 2002, quando sono diventato manager della multinazionale di software, ho deciso di sporgere denuncia. La mia istanza e stata respinta ben nove volte poi, del tutto inaspettatamente, mi e stato detto che si era trattato di un increscioso errore, che ero stato vittima di una diagnosi sbagliata, addirittura di manovre criminali. Ho riacquistato la mia dignita e, a quel punto, la strada della mia carriera era spianata. Ho ottenuto che Hongbng venisse promosso a direttore tecnico di una filiale della Mercedes, cos da assicurargli un’esistenza sicura, in modo che pure lui alla fine potesse fare la sua denuncia. Aveva raccolto scatoloni colmi di documenti e di perizie mediche, a dimostrazione del fatto che non era mai stato malato di mente. Ancora oggi, pero, la sua condanna e stata rivista solo in parte. Io mi sono scontrato con dirigenti corrotti, perfino con criminali, ma lui si era opposto al Partito. E il Partito e un ele-
fante. Rimane quindi una macchia sulla sua anima, che nasconde una ferita profonda. Credo che, se fosse stato riabilitato, avrebbe potuto confidarsi con Yoyo, ma cos...» Jericho si rigiro la coppetta tra le mani. «Yoyo deve sapere la verita, Tian. Se Hongbng non le parla, dovrai farlo tu.» «Gia.» Tu Tian si sistemo gli occhiali sul naso e fece una smorfia. «Dopo stamattina, ho comunque una certa esperienza in merito.» «Grazie per avermi raccontato tutta la storia.» Pensieroso, Tian guardo prima i pacchetti di patatine vuoti, poi Jericho. «Sei mio amico, Owen. Sei nostro amico. Fai parte della nostra famiglia. Sono cose che riguardano anche te.» Limit 2 GIUGNO 2025 LYNN LONDRA, INGHILTERRA L’edificio al numero 85 di Vauxhall Cross sorgeva nella zona sudoccidentale della citta ed era adagiato sulle rive dell’Albert Embankment, vicino al Vauxhall Bridge. L’impressione che si aveva, guardandolo, era che fosse una ziqqurat babilonese costruita da Nabucodonosor II coi mattoncini del Lego. Ma quel complesso color sabbia, protetto da vetri verdi antiproiettile, era il cuore pulsante della sicurezza inglese, il Secret Intelligence Service, meglio conosciuto come SIS o MI6 e, nonostante l’aspetto, era un baluardo contro i nemici del Regno Unito, anzi un baluardo inespugnabile, come aveva dimostrato, venticinque anni prima, il missile lanciato dalla riva opposta del Tamigi da un commando dell’IRA: l’unico effetto dell’esplosione era stato un tremolio delle stoviglie nella coffee lounge. Jennifer Shaw stava andando alla cena di compleanno del figlio quando ricevette una chiamata dai piani alti; attivo la modalita di ricezione e la voce di C pervase l’abitacolo odoroso di pelle della sua Jaguar Mark II appena rimessa a nuovo. Dopo trentun film di James Bond, nell’immaginario collettivo si era radicata la convinzione che il nome in codice del capo dell’intelligence inglese fosse M; invece Sir Mansfield Smith-Cumming, il primo leggendario direttore del SIS, e i suoi successori, avevano adottato la C, iniziale della parola «Control». «Buonasera, Bernard», lo saluto Jennifer, sicura che la sua serata era appena andata a monte. «Salve, Jennifer. Spero di non disturbare.» Pura retorica nel rispetto delle convenzioni: a Bernard Lee, direttore in carica del SIS, non interessava minimamente né cosa lei stesse facendo né se la stesse disturbando. L’unico disturbo di cui si preoccupava era quello che potevano provocare gli attacchi alla sicurezza nazionale.
«Sto andando al Bibendum.» «Oh, scelta eccellente. È da un po’ che non ci vado. Potrebbe fare un salto veloce da me, prima?» «Quanto veloce?» «Solo finché ha tempo, ovviamente. Altrimenti...» «Non c’e molto traffico. Tra dieci minuti sono l.» «Grazie.» Chiamo il figlio al cellulare e gli disse di mangiare gli antipasti, e che ordinasse per lei una doppia porzione di soufflé al limone. «Mi stai dicendo che non ti vedremo prima del dessert», ironizzo il figlio. «Cerchero di arrivare in tempo per il secondo.» «C’entra il viaggio sulla Luna di Orley?» «Non ne ho idea, tesoro.» «Credevo che la bomba fosse esplosa senza causare danni e che i sopravvissuti stessero rientrando.» «Non so di cosa si tratta, davvero.» «Va bene. Dopotutto credo che i figli del primo ministro vedano la madre ancora meno di noi.» «È bello aver messo al mondo una persona cos piena di ottimismo. Non essere arrabbiato con me. Ci sentiamo piu tardi.» All’altezza del Wellington Arch, svolto in Grosvenor Place e segu la Vauxhall Bridge Road fino all’altra sponda del Tamigi. Poco dopo era seduta alla scrivania di C, in abito da sera e con davanti un bicchiere d’acqua. «Abbiamo ricostruito le e-mail cancellate da Norrington», le disse lui. «E cosa avete scoperto?» chiese Jennifer, senza cercare di nascondere l’ansia. «Sa bene che tutti gli indizi deponevano a suo sfavore, solo che non avevamo uno straccio di prova concreta...» «Il fatto che Xn gli abbia sparato, aprendogli un buco in testa, per me e una prova abbastanza convincente. Tracce del cinese ?» «Nessuna. Tuttavia, mentre le stavamo cercando, ci siamo imbattuti in qualcosa di estremamente allarmante, che ha preoccupato anche i nostri colleghi americani. All’inizio, le email di Norrington non avevano senso; sembrava che lui avesse cancellato solo del rumore bianco. Abbiamo allora provato col programma Hydra, e abbiamo avuto accesso a una corrispondenza complessa. Ma non siamo riusciti a capire chi sia Hydra e non e chiaro nemmeno a chi fossero indirizzate le e-mail. Di sicuro, Norrington faceva parte di un gruppo ristretto di destinatari ai quali ha inviato a sua volta e-mail in codice...»
«E tutto questo dal computer centrale della Big O?» «Proprio cos. Senza la maschera, senza questa icona con le teste di serpente, non e possibile decodificarle e, come sono visualizzate, hanno l’aspetto d’innocue e-mail. Del resto, Norrington non era uno sprovveduto e non avrebbe mai installato il programma di decodifica sul computer dell’ufficio: lo portava sempre con sé su una chiavetta. Dalle ricostruzioni sono comunque emersi aspetti interessanti riguardo alla pianificazione e alla costruzione della rampa nella Guinea Equatoriale. Inoltre abbiamo ottenuto informazioni sorprendenti, e del tutto nuove, relative al mercato nero delle armi atomiche coreane, sul quale era stata acquistata la bomba che, come sappiamo, e esplosa senza causare danni.» «Indirettamente ha causato molti problemi», replico Jennifer. «Pero e vero, Julian, Lynn e alcuni ospiti stanno tornando a casa. Tra qualche ora dovrebbero raggiungere l’OSS.» «Sarebbe molto importante che lei parlasse con Julian.» «Lo faro.» «Il prima possibile, intendo. Entro la prossima ora. Ho bisogno della sua opinione.» «Riguardo a cosa, se posso chiederlo?» «A giudicare dalla corrispondenza di Norrington, non e ancora tutto finito.» «Parli chiaro. Mi convinca che valga la pena lasciare che mio figlio compia trent’anni senza che sua madre sia presente alla sua festa.» «Mi creda, Jennifer, ne vale la pena. L’anno scorso non e stata spedita sulla Luna una sola mini-nuke.» Fece una pausa, bevve un sorso d’acqua e poso il bicchiere davanti a sé in modo studiatamente lento. «Ma due.» «Due», disse Jennfer. Non era una domanda, ma l’eco dell’ultima affermazione di C. «Kenny Xn ne ha comprate due, ed entrambe sono state caricate sul missile di Mayé. E ora mi chiedo: che fine ha fatto la seconda bomba?» Lee aveva ragione; quello era un allarme rosso. Come conseguenza immediata, non ci sarebbe stato nessun soufflé al limone; ma Jennifer rifiutava anche solo di pensare a quali potessero essere le altre implicazioni. CHARON, SPAZIO Evelyn Chambers colse sul volto di Olympiada Rogaceva, che stava fluttuando fuori dalla zona notte, un’espressione di amara soddisfazione. Aveva perso l’aura spettrale che fino a quel momento era stata quasi una divisa per lei; forse per la prima volta aveva se stessa come unico metro del valore della propria vita e non pensava piu di esistere solo grazie a un patto stretto con qualcuno o alle coordinate che erano state tracciate per lei. «Gli ho detto di andare a ’fanculo», disse, lasciandosi cadere vicino a Heidrun. «E lui come ha reagito?»
«Ha detto che non lo fara, pero mi ha augurato buona fortuna. » «Davvero? Gli hai davvero detto che lo vuoi lasciare?» chiese Heidrun, stupita. Olympiada si guardo con la stessa maliziosa soggezione di un’adolescente che contempla il terreno inesplorato del suo corpo. «Pensate che sia troppo vecchia per...» «Sciocchezze», scatto con risolutezza Heidrun. Lei sorrise, rialzo lo sguardo e si allontano. Una virtuale Miranda Winter caprioleggiava a mezz’aria in assenza di gravita, esultando e squittendo di gioia, accanto a un reale Finn O’Keefe che aveva preferito immergersi nella lettura per non essere costretto a vedere le labbra dipinte di rosso della donna protendersi a formare il fiore della promessa o pronunciare parole di una banalita epocale. Sfrecciavano nel cosmo accompagnati dalla costante presenza di Rebecca Hsu, sentivano ancora le battute acide di Momoka Omura e Warren Locatelli che si vantava delle sue imprese, ascoltavano Chucky raccontare barzellette tremende in un modo ancora piu tremendo del solito e Aileen che creava variopinte collane di perle di saggezza; Mimi Parker e Marc Edwards erano totalmente assorbiti l’una dall’altro e Peter Black riportava le ultime novita sullo spazio-tempo. Riuscivano a sentire perfino il suono della chitarra di Carl Hanna, dell’altro Carl Hanna, non il terrorista, ma il bravo ragazzo. Walo Ögi giocava a scacchi appeso al soffitto e stava perdendo la sua terza partita contro Karla Kramp, mentre Eva Borelius era intrappolata nel circolo vizioso dei sensi di colpa e Dana Lawrence, assurta a eroina, compilava un rapporto. Evelyn se ne stava zitta, soddisfatta di non dover pensare a niente. Per la prima volta, da quando avevano lasciato la Luna, stava davvero meglio. La strana, surreale esperienza vissuta nella zona di estrazione le aveva procurato un forte disagio e un grande imbarazzo, ma non ne aveva ancora parlato con nessuno. Prima o poi, pero, avrebbe dovuto trovare il coraggio e le parole per affrontare l’argomento. Era prigioniera di un terrore di cui non si capacitava, come se una presenza mostruosa, acquattata in quel mare di nebbia, l’avesse adocchiata e la spiasse senza tregua. Alla fine, tuttavia, si sarebbe abituata anche a quello. Si diede un piccolo slancio, lascio sola Olympiada e fluttuo sino al bistrot. «Come va?» chiese. «Bene.» Ancorato a un sostegno, Rogacev distolse lo sguardo dal computer. «E tu, come stai?» «Meglio.» Si massaggio le tempie. «La pressione sta diminuendo. » «Mi fa piacere.» «Ti secca molto se lascio via libera alla mia curiosita professionale ?» «Chiedimi quello che vuoi, ma non pretendere che risponda a ogni domanda.» Il sorriso di Rogacev sciolse un po’ del gelo che traspariva dal suo sguardo.
«Cosa ci fai sempre attaccato a quel computer?» «Julian merita una risposta. Grazie a lui abbiamo trascorso una settimana splendida, indipendentemente da com’e andata a finire: ci ha mostrato molte cose e ora si aspetta qualcosa da noi.» «Vuoi investire?» chiese Mukesh Nair, entrando nella stanza. «Perché no?» «Nonostante il cataclisma?» «Dov’e il problema? Abbiamo forse smesso di costruire navi perché il Titanic e affondato?» «Ammetto di essere un po’ confuso.» «Conosci la meccanica del fallimento, Mukesh. È sempre la paura della crisi a scatenarla. All’inizio c’e un problema risolvibile, che pero si trascina dietro una psicosi. È la psicosi da squalo : un unico squalo puo far scappare i turisti da un’intera regione. Anche se la probabilita che si venga attaccati e assai prossima allo zero, nessuno vuole piu fare il bagno. Il crollo dell’economia, il collasso dei mercati finanziari... tutte psicosi. La vera minaccia non e il singolo attacco terroristico, né la bancarotta di un unico istituto finanziario, ma la successiva paralisi generale. Dovrei lasciare che uno squalo influenzi la mia decisione d’investire nel progetto di Julian, nella rivoluzione dell’approvvigionamento energetico mondiale?» Nair era esterrefatto. «Qui lo squalo e una bomba atomica, Oleg. Che forse inneschera un conflitto globale.» «O forse no.» «Comunque Julian non ha colpe», confermo Evelyn. «Siamo stati vittime di un attentato, ma il vero obiettivo era qualcun altro. Ci siamo trovati soltanto nel posto sbagliato al momento sbagliato.» «Ma ancora ignoriamo chi ci sia dietro tutto questo!» «E allora? Vorresti forse sospendere tutti i viaggi spaziali fino a nuovo ordine?» chiese Rogacev. «Sai benissimo che non intendevo quello», brontolo Mukesh. «Mi sto solo chiedendo se un investimento sia una scelta sensata. » «È proprio quello che mi sto chiedendo anch’io.» «E cosa ti sei risposto?» Rogacev indico il monitor. «Ho fatto qualche calcolo. Sulla Luna c’e circa un milione di tonnellate di elio-3, che corrispondono a una resa energetica teorica circa cento volte superiore a quella di tutti i giacimenti terrestri di petrolio, gas e carbone messi insieme. Forse anche di piu, perché la concentrazione dell’isotopo sulla faccia nascosta dovrebbe essere maggiore. Lo strato di regolite considerato saturo e pari a cinque metri; lo strato considerato piu in-
teressante e quello che arriva fino a due-tre metri, ovvero esattamente la profondita che viene ’arata’ dai maggiolini. Non considerando il trasporto sulla Terra, il bilancio energetico e il seguente: un grammo di regolite puo produrre 1750 joule. Una parte viene dissipata durante il riscaldamento e la lavorazione, quindi rimangono, diciamo, 1500 joule: considerando il valore teorico e quello dopo la dissipazione, basterebbe ’arare’ e processare ogni anno un’area di quarantamila chilometri quadrati, pari a un millesimo della superficie lunare, per coprire il fabbisogno energetico attuale della Terra. Per quanto riguarda la lavorazione, i maggiolini funzionano con la luce solare, il che significa che per sei mesi all’anno restano privi della loro fonte di energia; per garantire una resa costante, ce ne vorrebbe quindi il doppio.» «E quanti sarebbero?» «Alcune migliaia.» «Alcune migliaia?» esclamo Mukesh, disorientato da quella conclusione. «S, certo», rispose Rogacev, impassibile. «Supponendo di avere a disposizione una simile quantita di macchine, le scorte basterebbero per mille anni, a condizione che la popolazione mondiale non aumenti e che il fabbisogno energetico del Terzo Mondo rimanga ben al di sotto di quello dei Paesi industrializzati. Ma non si possono bloccare né le nascite né lo sviluppo dei Paesi poveri. Secondo stime realistiche, alla fine del secolo, la Terra sara abitata da venticinque miliardi di persone e ci sara un notevolissimo aumento della richiesta e del consumo di energia elettrica. Basandosi su questi dati, la Luna potra fornirci energia al massimo per settecento anni.» «E poi?» chiese Evelyn. «Poi avremo esaurito un’altra risorsa fossile e saremo di nuovo al punto di partenza. La Luna sara stata spianata, non sara piu una meta interessante per il turismo, ma forse saremo riusciti a ricavare un paio di aree naturali protette, sempre ammesso che la caligine di polvere lunare permetta ancora di vedere qualcosa.» «Migliaia di macchine!» Mukesh quasi grido. «È una follia. Gli utili non basteranno nemmeno per coprire le spese.» «Invece s.» Rogacev spense il computer. «Il problema del deficit lo avremmo avuto con l’astronautica convenzionale, ma l’ascensore ha cambiato lo scenario. Inoltre, se fossi in te, non sarei cos stupito dall’idea di dover costruire qualche migliaio di macchine di quel tipo. Si costruiscono anche migliaia di blindati, una Luna spianata e pur sempre una Luna spianata.» «Merda», borbotto Evelyn. «So cosa stai pensando. Per l’ennesima volta, avremo distrutto un gioiello della natura per trarne un beneficio temporaneo.» «E ne sara valsa la pena?»
«Ne varra la pena per settecento anni. In piu, da lontano, la Luna non sara molto diversa da come la vediamo oggi. Quindi ho deciso che investiro nell’Orley Space una parte della somma cui avevo pensato inizialmente.» «Congratulazioni.» «E lo faro seguendo il tuo consiglio. Hai gia dimenticato? L’Isla de las Estrellas?» «All’epoca, non ero ancora stata nella zona di estrazione.» «Capisco. Psicosi da squalo.» «No, affatto», protesto Evelyn. «Hai appena espresso a parole quello che avevo gia capito nella Terra delle nebbie. L’idiozia di tutto cio. Quando si parla d’industria estrattiva lunare, la maggior parte della gente pensa a un paio di ruspe che si perdono nell’immensita delle pianure lunari. Invece e vero il contrario: stiamo perdendo la Luna per colpa delle ruspe. È sicuramente meglio distruggere la Luna piuttosto che la Terra, la fusione neutronica e un’energia pulita e, se poi dura settecento anni, tanto meglio. Ma rimango comunque dell’idea che sia una vera merda.» «Per quanto riguarda l’altra meta del denaro, pensavo d’impiegarla per rilevare la Lightyears di Locatelli.» «Come?» Mukesh lo guardo, stralunato. «Tu vuoi...» Rogacev alzo entrambe le mani, quasi volesse difendersi da quelle ondate di stupore. «Non voglio sembrare irriverente. Warren e morto, ma farci degli scrupoli non lo riportera in vita. Era un piccolo dio e come tutti gli dei ha lasciato un grande vuoto dietro di sé. A mio parere, la Lightyears e un affare. Warren e stato un pioniere della tecnologia solare, ma ci sono ancora molti obiettivi da raggiungere, senza contare che i migliori cervelli del settore lavorano nella sua societa. Parliamoci chiaro: la tecnologia solare e l’unico mezzo che abbiamo per risolvere in modo definitivo i nostri problemi energetici. E forse non ci sara piu nemmeno bisogno di spianare la Luna.» «E tu sei sicuro che la Lightyears si fara inghiottire facilmente ?» chiese l’indiano con diffidenza. «Ci sara da lottare.» «Dovrai sborsare un bel po’ di soldi.» «Lo so. Vuoi partecipare?» «Santo cielo, che razza di domande mi fai? Io non mi occupo di queste cose, sono solo un modesto...» «Figlio di contadini, lo so.» «Ci devo pensare, Oleg.» «Fallo. Ho gia parlato con Julian. Lui ci sta. E anche Walo.»
«L’uno si prende una gamba, l’altro un braccio», mormoro Evelyn, mentre Mukesh si allontanava con gli occhi illuminati dalle celle solari. Rogacev sfoggio un sorriso sornione e le chiese: «E tu, cosa farai?» «Nei confronti di Julian?» «Amministri pur sempre il capitale dell’opinione pubblica, come sottolinei spesso.» «Niente paura, ne faro buon uso.» «Sei una vera amica», replico Rogacev con ironia. «L’amicizia non c’entra. Ero favorevole alla maggior parte dei progetti di Julian gia prima di volare sulla Luna e lo sono ancora, sebbene non consideri positivo lo sfruttamento selvaggio in atto lassu. Julian e un pioniere, un innovatore. Nessuna banda di criminali potra mai cancellare la simpatia che ho per lui.» «Parlerai di quello che e successo in una delle tue trasmissioni? » «Certo. Sarai dei nostri?» «Se mi vorrai.» «Potro farti anche qualche domanda sulla tua vita privata?» «No, puoi farlo solo qui. Come amica.» «Si dice in giro che tu sia stato lasciato.» «Ah, s, credo che Olympiada abbia accennato a qualcosa del genere.» «Accidenti, Oleg!» «Cosa vuoi da me? Da quando ci siamo sposati, mi lascia ogni due settimane.» «Stavolta sembra fare sul serio.» «Magari passasse ai fatti invece di limitarsi alle minacce. Pero, in effetti, e la prima volta che mi lascia senza essere completamente sbronza. Percio ho qualche speranza.» «Davvero non t’importa?» «Certo che no. È da un pezzo che aspetto questo momento.» «Scusami, ma non riesco proprio a capire. Perché non la lasci tu, allora?» «L’ho gia fatto, tempo fa.» «Intendo dire ufficialmente.» «Perché ho promesso a suo padre che non lo avrei fatto.» «Oh, capisco. Cazzate da macho.» «Cosa? Mantenere le promesse? Vuoi che ti racconti cosa mi ha sempre rimproverato, Evelyn? Vuoi davvero saperlo? Tu cosa pensi?» «Non ne ho idea. Le tue infedelta? Il tuo cinismo?» «No. Il fatto che non le abbia mai mentito. Capisci?» rispose lui. «Ma io non mento. Mi si puo rimproverare qualsiasi cosa, e spesso a ragione, ma non ho mai mentito e non mentiro mai. Riesci a immaginare cosa significa vivere con una persona che, di tutti i tuoi lati negativi,
ti rinfaccia costantemente l’unico positivo?» «Forse pensava che, nel corso degli anni, sarebbe diventato piu sopportabile...» «Per chi? Per lei? Poteva andarsene in qualunque momento. Anzi non avrebbe proprio dovuto sposarmi. Mi conosceva benissimo e sapeva che io e Ginsburg miravamo soprattutto a unire i nostri patrimoni. Ma Olympiada ha acconsentito a sposarmi perché non sapeva cos’altro fare nella vita, e anche adesso non sa fare altro che commiserare se stessa. Credimi, non saro io a trattenerla, ma non le imporro nemmeno la separazione. Potra anche pensare che io l’abbia umiliata, pero tocca a lei riprendersi la sua dignita. Olympiada dice che accanto a me sta morendo. Faccia quello che vuole. Ma io non posso salvarle la vita; e lei che deve farlo, e puo farlo solo andandosene.» Evelyn si fisso la punta delle dita e, nella sua mente, d’un tratto ricomparve il piede del maggiolino che incombeva su di lei. Fu come fissare la morte negli occhi, una morte che diceva: «Ti osservero sempre, scrutero ogni giorno che tu passerai a prepararti per quando arrivero». Si schiar la gola. «Pero hai salvato la mia vita», disse. «E io non ti ho ancora ringraziato.» «Credo che tu stia cercando di farlo adesso», replico Rogacev. Dopo un attimo di esitazione, lei lo bacio sulla guancia. «Credo che dopotutto tu abbia qualche lato positivo», gli disse. «Anche se rimani comunque un perfetto ignorante.» Rogacev abbasso la voce. «Mio padre era un uomo coraggioso, piu coraggioso di tutti noi messi insieme, ma io non sono riuscito a salvargli la vita. Ci provo tutti i giorni: accumulo denaro per lui, compro societa per lui, sottometto persone alla mia, quindi alla sua, volonta, pero tutte le volte lui viene ucciso. Ancora e ancora. Non tornera piu in vita e io non riesco a farmene una ragione. Non c’e via di mezzo, Evelyn: o si e troppo lontani o troppo vicini.» «Voi due non siete poi cos diversi.» Amber era arrabbiata perché Julian e Tim non facevano che litigare. Ma la cosa che la faceva imbestialire era l’ostinazione con la quale entrambi esprimevano il loro risentimento, mentre Lynn continuava a dormire, come se fosse sotto anestesia. «Entrambi avete sospettato che fosse in combutta con Hanna.» «Perché si comportava in modo ambiguo», si giustifico Tim. «Ridicolo. Come se Lynn fosse davvero capace di distruggere il suo hotel!» «Lo hai visto tu stessa», bisbiglio Julian. «Ora puo sembrarci strano, ma Lynn e completamente esaurita...» «Cosa che tu hai notato subito, vero?» scatto Tim. «Adesso basta», intervenne Amber. «Mi sembra di essere all’asilo. O imparate a confrontarvi in modo civile oppure ve la vedrete con me. Tutti e due!» Si erano chiusi nel modulo di allunaggio per non dare spettacolo del loro rancore, un sentimento che nessun argine ormai tratteneva piu. Il cadavere della loro vita familiare era l, dav-
anti a loro, nudo, putrefatto e rivoltante, pronto per essere sezionato. Dopo che l’Io era riuscito a recuperare Nina Hedegaard nell’inferno di polvere e il gruppo di sopravvissuti era salito a bordo del modulo per tornare all’unita abitativa, Lynn era crollata, mettendosi a piangere in modo incontrollabile. Subito dopo la manovra di aggancio, era tornata in sé, senza riconoscere nessuno, per assopirsi di nuovo poco dopo e partire per un viaggio incantato di ventiquattr’ore. Quando si era svegliata, sembrava un’altra persona, ma non riusciva a ricordare nulla di cio che era successo sulla Luna. E adesso stava di nuovo dormendo. «Giusto per chiarire un paio di cose...» comincio Tim. «Zitto», sibilo Amber. «Perché?» «Ti ho detto di stare zitto!» «Ma non sai nemmeno quello che...» «Certo che lo so. Stavi per aggredire tuo padre. Quanto durera ancora questa storia? Che cosa gli rimproveri di preciso? Di aver reso l’astronautica economicamente accessibile? Di dare lavoro a molte migliaia di persone?» «No.» «Di aver realizzato i sogni dell’umanita? Di lottare per un’energia piu pulita, per un mondo migliore?» «Certo che no.» «Allora cosa?» strillo lei. «Santo cielo, ne ho abbastanza di questa guerra di trincea. Sono stufa!» «Lui non si e mai occupato di noi. Quando...» «Di cosa avrebbe dovuto occuparsi?» lo interruppe Amber. «Puo anche essere stato un padre poco presente ma, per come la vedo io, lui si occupa ogni singolo giorno di quel marginale fenomeno cosmico che si chiama umanita, che produce ogni tipo di robaccia e fa solo una gran confusione. Mi dispiace, Tim, ma non approvo il tono lamentoso con cui i giovani parlano dei loro genitori; per quanto questi compiano veri e propri miracoli, i figli s’intestardiscono nel volersi crogiolare nel loro piccolo mondo di merda.» «Il punto non e che lui e stato poco presente», si difese Tim con accanimento. «Il punto e che non era con noi nemmeno in quelle poche occasioni in cui avrebbe dovuto esserci. Che Crystal abbia perso la ragione...» «Sei un bastardo sleale», sbotto Julian. «Tua madre aveva una predisposizione genetica.» «Cazzate!» «E invece e cos. ¿Comprendes, hombre? Avrebbe perso la testa anche se fossi stato al suo fianco dalla mattina alla sera.»
«Sai benissimo che...» «No, era malata. Era scritto nei suoi geni e si era gia giocata meta cervello ancora prima che ci sposassimo. E per quanto riguarda Lynn...» «Per quanto riguarda Lynn, ora sarai tu ad ascoltare me», lo apostrofo Amber. «Perché sono d’accordo con Tim: tu non sei in grado di guardare nella testa delle altre persone. Pensi che la vita sia un film, che tu sia il regista e che tutti gli altri agiscano e pensino secondo il tuo copione. Non so se vuoi bene a Lynn o ti sei affezionato al ruolo che hai scelto per lei...» «Ma certo che voglio bene a Lynn!» «Bisogna riconoscere che hai fatto molto per lei, permettendole d’intraprendere una carriera straordinaria, ma ti sei mai davvero interessato a lei? Ti sei mai davvero interessato a qualcuno ?» «Santo cielo, e perché allora avrei creato tutto questo?» «No, no. Ascolta con attenzione quello che ti dico, Julian. Tu giochi a fare il regista e assegni le parti: dieci miliardi di comparse e Lynn nel ruolo di protagonista.» «Non e vero!» «Certo che lo e. Non sei in grado di riconoscere che tua figlia soffre di un disturbo maniaco-depressivo e che rischia di fare la stessa fine della madre.» «Proprio cos», urlo Tim. «E questo perché tu...» «Chiudi il becco, Tim. Vedi, Julian, non e che tu non voglia riconoscerlo, e che semplicemente non riesci a farlo. Guarda in faccia la realta. Lynn ha doti straordinarie, proprio come le hai tu, pero, a differenza di te, nelle sue vene non scorre la tua stessa energia. Lei non ha il temperamento di chi cade sempre in piedi, né possiede uno spiccato sesto senso. Quindi smettila di pensare che sia perfetta e di scaricare tutto su di lei, solo perché non si azzarda a contraddirti. Non sottoporla a tutta questa pressione. Ripeti dopo di me: ’Lynn non e come me.’» «Ehm... Julian?» Amber alzo lo sguardo. Nina Hedegaard, visibilmente a disagio, li guardava dal tunnel di decompressione che conduceva all’unita abitativa. Julian cerco di mostrarsi il piu calmo possibile. «Entra pure. Ci stiamo raccontando alcune divertenti storielle familiari e stiamo organizzando il prossimo Natale.» «Non vorrei disturbare.» Nina fece un timido sorriso. «Ciao, Amber. Ciao, Tim.» Da quando il Charon aveva iniziato il suo solitario viaggio di ritorno verso l’OSS, Julian non si era piu preoccupato di tenere nascosta la sua relazione con la donna. Ad Amber, Nina piaceva, anche se la compativa per il modo in cui pendeva dalle labbra di Julian, cullandosi nella speranza di un futuro insieme.
«Cosa c’e?» chiese lui. «Ho Jennifer Shaw in linea.» «Arrivo subito.» Visibilmente sollevato, Julian sguscio via, verso il tunnel di decompressione. «Poi torna subito qui», disse Amber. «Non ho ancora finito con te.» «S», sospiro Julian. «Era proprio quello che temevo.» Dalla bocca di Tim usc un’osservazione infelice. Amber gli lancio un’occhiataccia che basto a fargli capire che era meglio stare zitto. Lynn era tormentata da un sospetto. Cio che era successo sulla Luna le sembrava un’unica, atroce catena di incubi. In effetti, lei ricordava a malapena le ultime ore al Gaia Hotel. Proprio quando stava aprendo gli occhi, Dana Lawrence usc fluttuando dal sacco a pelo, la guardo e le chiese come stava; in quel preciso istante, nel cervello della ragazza esplose una salva di fuochi d’artificio sinaptici e lei non riusc a trattenersi dal risponderle: «Vada al diavolo, viscida serpe». Dana s’irrigid. Poi si avvicino a Lynn. «Che cos’ha contro di me, Lynn? Non le ho fatto niente...» «Ha messo in discussione la mia autorita.» «No, io sono stata leale. Crede che mi sia piaciuto stare a guardare Kokoschka morire carbonizzato, anche se era in combutta con Hanna? Dovevo ordinare l’evacuazione.» Le sembro strano, ma non poteva darle torto. Lynn si rendeva conto di essersi comportata da paranoica, anche se non riusciva a cogliere i dettagli degli avvenimenti. Le sfuggiva, per esempio, il motivo per cui non aveva voluto mostrare a Julian alcune registrazioni. Non riusciva a ricordare nemmeno la sua disperata fuga sulle passerelle di vetro, pochi secondi prima che andasse tutto a fuoco; tuttavia ricordava bene il tradimento di Hanna, la bomba e l’operazione di salvataggio degli ospiti chiusi nella testa di Gaia. Per un istante, lei si era riappropriata della sua autorevolezza, ma poco dopo la sua mente l’aveva lasciata sola. Le sembrava un miracolo che ora funzionasse di nuovo. Spossata, non riusciva nemmeno a immaginare cosa volesse dire provare gioia. Nonostante tutta quella confusione, pero, sapeva benissimo cosa non aveva sognato e l’episodio che aveva come protagonista Dana Lawrence non si poteva certo definire «eroico». «Mi lasci in pace», le disse. «Ho solo fatto il mio lavoro, Lynn», replico Dana, offesa. «Non e colpa mia se il Gaia Hotel aveva difetti progettuali e architettonici che hanno portato a una catastrofe.» «Non c’era nessun difetto. Quand’e previsto l’arrivo?» «Fra circa tre ore.» Lynn comincio a slacciarsi le cinghie. Aveva sete. Era gia qualcosa. E aveva voglia perfino di qualcosa in particolare, cioe di succo di pompelmo. Il che significava che non aveva
solo sete, ma anche un certo appetito. In un certo senso, provava un’emozione. «Avreste dovuto costruire altre uscite d’emergenza», continuo Dana, rigirando il coltello nella piaga. «Il collo era una strettoia senza via d’uscita.» «L’ho licenziata, se non sbaglio.» «S, lo ha fatto.» «Allora chiuda il becco.» Lynn la spinse da parte e scivolo verso il boccaporto che conduceva nel modulo adiacente, dal quale provenivano alcune voci. Come sempre, tutti sarebbero stati gentili e premurosi con lei. Sarebbe stato compito suo esaudire i desideri degli ospiti di Julian, ma lei era malata. Tim l’aveva messa al corrente della catastrofe a poco a poco; sapeva dunque chi era morto e in quali circostanze. E di nuovo aveva lottato per cercare di provare qualcosa, dolore o almeno rabbia, ma non aveva sentito che una cupa disperazione. «Cosa voleva?» «Come?» Julian si tolse le cuffie. «Ti ho chiesto cosa voleva.» Tim si stava sforzando di non essere aggressivo. Julian si volto. Il modulo di comando del Charon si trovava dietro la zona notte. Attraverso la paratia aperta, si vedeva il salone dove Heidrun, Sushma, Olympiada e O’Keefe stavano chiacchierando, mentre Walo Ögi si disperava per un arrocco di Karla. «Una cosa piuttosto strana», rispose Julian a bassa voce. «Mi ha chiesto quante bombe abbiamo trovato nella base lunare.» «Ti ha chiesto... quante?» «Sembra che a bordo di questo missile partito dalla Guinea Equatoriale siano state mandate nello spazio due mini-nuke. Da qualche parte, lassu, ce n’e ancora una.» Aveva parlato con calma, come se quella fosse una notizia trascurabile. E infatti a Tim serv qualche istante per comprendere in pieno la portata di quell’informazione. «Merda», sussurro. «Palmer lo sa gia?» «Lo hanno informato subito. Alla base sono in piena frenesia. Vogliono ispezionare di nuovo le grotte.» «Credi che la bomba possa davvero...» «Probabilmente Hanna ha collocato anche la seconda.» «Mah.» Julian poso una mano sulla spalla di Tim. «Sara bene non diffondere troppo la notizia.» «Non lo so... Credi davvero che Hanna abbia sistemato anche la seconda bomba nelle grotte?»
«Tu no?» «Dopo averne piazzata gia una? Se io ne avessi una di riserva, cercherei un nascondiglio diverso.» «Anche questo e vero.» Julian si accarezzo la barba. «E se la seconda mini-nuke non fosse affatto destinata alla base?» «E a chi, allora?» «Sto maturando un sospetto, forse un po’ crudele... Immagina che qualcuno stia cercando di aizzare americani e cinesi gli uni contro gli altri; un gioco da ragazzi, dato che gia l’anno scorso ci sono stati notevoli contrasti. Quindi magari la seconda bomba...» «È destinata ai cinesi? Dovresti scrivere romanzi di fantapolitica, te l’hanno mai detto? Pero, s, non e da escludere. E c’e una terza possibilita.» «Quale?» «Il terreno di estrazione.» «Be’, s. E noi non possiamo fare niente.» «Hai qualcosa in contrario se lo dico ad Amber?» «Per me va bene, ma solo a lei. Parlero ancora con Jennifer e la informero dei nostri sospetti.» ORLEY SPACE STATION, ORBITA GEOSTAZIONARIA Si stavano avvicinando alla stazione spaziale lungo una traiettoria trasversale, cosicché l’imponente struttura a forma di fungo, lunga duecentottanta metri, sembrava aver assunto un’inclinazione fuori dall’ordinario. A bordo del Charon, tutti avevano di nuovo indossato le tute. Anche se la Terra era distante ancora circa trentaseimila chilometri, vedere che l’OSS si stava progressivamente avvicinando li faceva sentire un po’ piu a casa: riconobbero i cinque livelli, la rotondita sporgente dell’hangar, gli stravaganti moduli del Kirk e del Picard, il porto spaziale a forma di anello con le sue camere di decompressione mobili, i manipolatori, gli shuttle cargo e la schiera di navette di evacuazione, simili ad aeroplani. Alle undici, nell’esatto momento in cui Nina Hedegaard termino la manovra di attracco del Charon, nello shuttle echeggio un suono cupo, come quello di un gong, accompagnato da una leggera vibrazione. «Vi preghiamo di tenere addosso le tute. I vostri bagagli...» inizio Nina, ma s’interruppe, ricordando che nessuno aveva piu bagagli. Era rimasto tutto al Gaia Hotel. «Dal Charon andremo subito nel Picard, dov’e stato preparato uno spuntino. Non abbiamo molto tempo: l’ascensore sara qui verso le dodici e un quarto e ripartira subito dopo. Abbiamo pensato che... be’, ecco, che fosse meglio per voi fare ritorno sulla Terra il prima possibile. Potete depositare i caschi e gli zaini nel Toro-2.» Non ci fu nessuna reazione visibile. Avvolti da un velo di malinconia, tutti lasciarono la navicella spaziale attraverso la camera di decompressione e si congedarono dal loro piccolo
albergo volante, rivolgendo anche un ultimo tardivo saluto alla Luna. L’uno dopo l’altro fluttuarono attraverso il lungo corridoio fino al Toro-2, il modulo di distribuzione in cui avevano sede il terminal e la reception. Da l si diramavano alcuni tunnel di collegamento che conducevano alle suite sottostanti, mentre un altro passaggio dava accesso all’area scientifica della stazione, coi laboratori, con gli osservatori e con le officine. Le camere di decompressione allungabili, che conducevano alle cabine dell’ascensore, erano chiuse. Tre astronauti stavano lavorando alle console, controllavano i sistemi dell’ascensore e monitoravano il procedimento di scarico di uno shuttle cargo e i lavori di montaggio di un manipolatore. O’Keefe ripenso all’hangar discoidale dove venivano costruite le navicelle spaziali destinate ad audaci missioni e dove macchine di ogni tipo attraversavano lo spazio in assoluto silenzio, il tutto punteggiato da pannelli solari che scintillavano sotto la luce di un sole freddo e bianco. Era l che Heidrun lo aveva spinto fuori nel vuoto, lo aveva preso in giro e Warren Locatelli aveva vomitato nel casco. Quanto tempo era passato? Un decennio? Un secolo? Mentre stava posando il suo casco sull’apposito scaffale, decise che non sarebbe mai tornato l. Se si trattava di girare film di fantascienza con effetti spettacolari e salvare la Terra, nessun problema, qualunque cosa richiedesse il copione, ma per niente al mondo sarebbe tornato lassu. Come se volesse controfirmare quel giuramento mormoro: «No». «No?» Heidrun stava sistemando il casco accanto al suo. O’Keefe fisso i suoi occhi viola, osservo il suo viso da elfo, contemplo il ventaglio bianco e fluente dei suoi capelli che fluttuavano in assenza di gravita, sent il cuore diventare un macigno nel petto. «Tu ritorneresti? Qui, sulla Luna?» le chiese. «S. Credo di s», gli rispose dopo una brevissima riflessione. «Dunque hai trovato qualcosa qui.» «Qualcosa, Finn.» Lei sorrise. «Forse anche piu di qualcosa. E tu?» Niente, penso. Ho solo perso qualcosa. Prima ancora di averlo. Invece disse: «Non saprei». Non avrebbe piu rivisto nemmeno quella donna. Avrebbe fatto di tutto per evitarlo. La Terra era piena di posti sperduti, il mondo stesso era un posto sperduto. Non c’era bisogno di andare sulla Luna. Heidrun socchiuse le labbra e alzo una mano, come se volesse toccarlo. «Nella prossima vita», gli disse sottovoce. «Abbiamo soltanto questa», replico lui bruscamente. Heidrun annu, abbasso la testa e scivolo oltre. Una ciocca di capelli gli accarezzo il volto, solleticandogli il naso. «Mein Schatz», sent chiamare Ögi. «Vieni?»
«Sto arrivando, tesoro!» Il macigno inizio a fare male. O’Keefe osservo il suo casco, poi si accodo agli altri, la testa svuotata di ogni pensiero. Era quasi mezzanotte. Nessuno aveva voglia di rinfocolare l’angoscia dei giorni precedenti, dominata a fatica, con la caffeina, percio gli ospiti del Picard preferirono succhi e tisane. Julian avrebbe mangiato volentieri una zuppa, ma in condizioni di microgravita il brodo era piuttosto ribelle, e lui si accontento delle lasagne. Ne prese una porzione generosa e poi spar nel tunnel che conduceva alle suite del piano inferiore, per parlare con la Terra in santa pace. Dana si un a lui. «Non ha fame?» chiese Julian. «S, ma ho dimenticato il mio rapporto sul Charon.» Lui si fermo davanti alla sua cabina, tenendo in equilibrio le lasagne. Sarebbe mai riuscito a capire sino in fondo quella donna ? Al Gaia Hotel aveva dimostrato di avere nervi saldi: aveva sfidato quel traditore di Kokoschka e ucciso Hanna. Lynn non avrebbe potuto fare una scelta migliore... eppure, ripensandoci, l’aveva innervosito il fatto che quella fosse sembrata una scelta obbligata. Una reazione probabilmente dovuta all’idea che lui aveva delle donne o, piu in generale, delle persone, che non corrispondeva affatto alle caratteristiche di Dana Lawrence. Era impensabile che si lasciasse prendere da una crisi di pianto o di risa. Il suo viso da Madonna, con la bocca a forma di cuore e gli occhi indagatori, gli ricordava quello di una replicante, la sosia vegetale di Brooke Adams nel film Terrore dallo spazio profondo, nella scena in cui apre la bocca ed emette l’urlo cupo e disumano di un alieno. Con la sua innegabile intelligenza e la sua non disprezzabile bellezza, Dana Lawrence era distante anni luce da qualunque passione. «Devo ringraziarla», disse Julian. «So che, a causa della sua crisi, Lynn non e stata sempre... all’altezza della situazione.» «Si e battuta con coraggio.» «So pure che l’entusiasmo iniziale di Lynn nei suoi confronti recentemente si e trasformato in rifiuto. Non la biasimi. La buona capacita di giudizio di Lynn si e offuscata durante questo viaggio. Lei si e dimostrata avveduta e coraggiosa.» «Ho fatto il mio lavoro.» Dissimulo un sorriso che addolc i suoi tratti, ma non la rese piu sensuale. «Vuole scusarmi?» «Certo.» Fluttuo oltre e spar nella diramazione successiva. Julian si dimentico subito di lei, annuso affamato le sue lasagne, guardo lo scanner e scivolo nella sua cabina.
Dana raggiunse il Toro-1 - coi suoi bar, con le biblioteche e coi locali comuni - procedette oltre e s’infilo nel lungo tunnel che conduceva verso il livello superiore e che collegava l’OSS Grand col Toro-2. Soltanto due astronauti erano ancora in servizio presso il terminal. «Devo tornare sul Charon a prendere dei documenti», disse loro. Poi, avendo avuto l’autorizzazione, s’inoltro nel corridoio che collegava il Toro-2 con l’anello esterno del porto spaziale e arrivo alla camera di decompressione, dietro la quale la navicella spaziale era agganciata alla sua struttura di ancoraggio. Tutto stava procedendo secondo i piani. Hydra non aveva ancora perso, anzi. L’unico motivo d’irritazione era la diffidenza di Lynn: Dana non riusciva a spiegarsene il motivo. In definitiva, pero, anche quello non aveva importanza. Fece scorrere la paratia che immetteva nel Charon e si guardo alle spalle, ma nessuno l’aveva seguita. Erano tutti nel Picard, a godersi le lasagne e crogiolarsi nella nostalgia di casa. Si diede una spinta per raggiungere l’interno dell’unita di allunaggio, di l prosegu verso il modulo abitativo, attraverso il bistrot e il salone e si fermo nella zona notte, dove inizio a trafficare col rivestimento della parete. Hanna le aveva spiegato con precisione dove si trovava. E infatti eccola l. Il flash di un ricordo. Era sorprendente come, in mezzo a tanta confusione, le connessioni diventassero d’un tratto piu chiare. Non riusciva a ricordare con esattezza quello che era successo nell’igloo, ma l’immagine di Carl Hanna si era impressa nella sua mente. Prima di scivolare a terra nella cucina della stazione, impietrita dalla paura, lo aveva visto uccidere Tommy Wachowski e aveva sentito la frase rivelatrice, benché sussurrata. «Dana, accidenti a te. Rispondi.» Gia qualche ora prima, quando Dana Lawrence le aveva chiesto in tono ipocrita come stesse, una scintilla di sospetto si era accesa nella sua testa. Adesso, pero, ne aveva la certezza assoluta. Hanna aveva cercato di mettersi in contatto con quella stronza e il suo tono faceva supporre che tra loro due ci fosse un accordo. Ma quale? Le era gia costato uno sforzo sovrumano trarre le necessarie conclusioni, per metterne al corrente anche Julian e, nelle ultime ore, non aveva avuto modo di parlare granché con lui. Aveva inoltre notato che escluderlo dai suoi pensieri la faceva sentire meglio... ma nel contempo le dava un’impressione di vuoto. Se il burattinaio non muoveva i fili, la marionetta giaceva inerte. Almeno razionalmente era consapevole che, in realta, idolatrava suo padre. Forse non era piu in grado di sentirlo, ma sapeva ancora quello che provava. Qualcosa era andato storto nella sua vita e Dana Lawrence aveva avuto un ruolo in quel fallimento. Lynn guardo verso il corridoio. Decisa a non perdere di vista nemmeno per un secondo la sua nemica, aveva seguito Dana quando aveva lasciato il Picard in compagnia di Julian. La
scaltrezza della pazzia, penso, quasi divertita. Fece passare qualche secondo, poi la tallono. Quando, alla fine del corridoio, vide che la porta di comunicazione col Charon era aperta comprese che la donna era entrata nella navicella spaziale. Ti prendero, penso allora. Dimostrero che sei una viscida serpe, e l’odio che provi per me sara la tua fine. Cara inavvicinabile e controllata Dana, non avresti dovuto lasciarti coinvolgere; ma io so che non sei inattaccabile. Ci deve essere una ragione, se hai cercato di distruggere la fiducia che gli altri riponevano in me. Me la pagherai. Oltrepasso in silenzio la porta scorrevole, attraverso il modulo di allunaggio, il bistrot e il salone; vide che, nella zona notte, Dana era china su un oggetto quadrato, grande come una valigetta ventiquattrore, che aveva prelevato dalla parete aperta. Osservo le dita della donna scivolare veloci sul display e digitare. 09:00 Un piano semplice ed efficace. Lanciare un missile sulla Luna e farlo esplodere sulla base Peary? S, poteva funzionare, ma la sua traiettoria sarebbe stata facilmente ricostruibile, permettendo cos d’identificare il colpevole. Senza contare, poi, il rischio concreto di mancare l’obiettivo. Colpire l’OSS dalla Terra o da un satellite era impensabile: il missile sarebbe stato intercettato e, anche in quel caso, la traiettoria avrebbe portato dritto al mittente. Invece Hydra aveva escogitato un piano perfetto. Due mini-nuke nascoste in un satellite per le comunicazioni: sarebbero giunte sulla Luna, toccando il suolo a una certa distanza dalla base, e l sarebbero rimaste finché non fosse arrivato qualcuno per estrarle dalla capsula e sistemarle nei punti prestabiliti. La prima nella base; la seconda nella navicella spaziale che avrebbe riportato la bomba e l’attentatore all’OSS. Il piano prevedeva di attivare la bomba numero uno poco prima di lasciare la base, di nascondere la bomba numero due nella stazione spaziale, programmare il timer e, come previsto, tornare sulla Terra con l’ascensore, prima che la spoletta a tempo innescasse le due esplosioni distruggendo sia la base Peary sia l’OSS. Un piano perfetto. E non ci sarebbe stato modo di ricostruire la successione degli eventi. L’attentato alla base Peary era fallito, ma non sarebbe successa la stessa cosa sull’OSS. Alle nove precise, quando ormai i passeggeri sarebbero stati sull’Isla de las Estrellas e qualcuno addirittura sulla via di casa, la stazione spaziale si sarebbe disintegrata. A quel punto, nel Pacifico, si sarebbero inabissate parecchie migliaia di chilometri di cavo in fibra di carbonio, leggero come una piuma. Forse non era nemmeno necessario togliere la bomba dalla navicella spaziale, perché il Charon, a quanto lei aveva appreso, sarebbe rimasto ancorato almeno due giorni. Collocare la mini-nuke nel rivestimento del soffitto della camera di decompressione o lasciarla l dov’era non avrebbe fatto la minima differenza.
08:59 08:58 Soddisfatta, osservo la valigetta coi numeri luminosi... ma, mentre gia pregustava il suo trionfo, un brivido le corse lungo la schiena. Aveva avvertito una presenza alle sue spalle. Si volto di scatto e contemporaneamente fu colpita da un calcio in pieno petto, che la mando a schiantarsi contro la parete della cabina. La mini-nuke le scivolo dalle mani e fluttuo nell’aria. Lynn si protese nel tentativo di afferrarla, ma perse il controllo e si mise a roteare. Dana allora si tuffo per riprendere la valigetta, pero una mano le serro la caviglia e la fece scivolare all’indietro. Lynn sfilo sopra di lei, prese al volo l’ordigno e, spinta dalla sua stessa accelerazione, s’introdusse nel modulo di allunaggio. Dana non poteva permetterle di lasciare il Charon. Si lancio dietro di lei, la raggiunse poco prima che entrasse nella camera di decompressione e la trascino di nuovo all’interno dell’unita. Lynn fece una capriola, stringendo saldamente la bomba tra le braccia, e si aggancio con le gambe divaricate al passaggio che conduceva al modulo abitativo. Attraverso la paratia aperta, Dana vide che, nella camera di decompressione e nel corridoio di collegamento, non c’era nessuno, ma sapeva che l’area era video sorvegliata. Doveva impedire con ogni mezzo che la loro lotta silenziosa proseguisse al di fuori del Charon. La figlia di Julian la stava fissando, tenendo abbracciata a sé la valigetta con la bomba atomica ticchettante, come fosse un oggetto dal quale non avrebbe voluto separarsi mai piu. «Indecisa ?» chiese, sogghignando. «Mi dia quella cosa, Lynn.» Dana ansimava, non per la fatica ma per la rabbia. «Subito.» «No.» «È un apparecchio scientifico molto costoso. Non so cosa le sia preso, ma sta per mandare a monte un esperimento di enorme importanza. Suo padre andra su tutte le furie.» «Ah, s?» Lynn fece una smorfia. «Davvero?» «Lynn, la prego!» «So che cos’e, brutta sgualdrina. È una bomba. Esattamente come quella che tu e Carl Hanna avete nascosto nella base.» «Lei e confusa. Lei...» «Basta con queste cazzate!» le urlo Lynn di rimando. «Io sto benissimo!» «Okay.» Dana agito le mani. «Lei sta benissimo. Ma quella non e una bomba.» «Allora non dovrebbe essere un problema lasciarmi andare! » Pensieri imbizzarriti si rincorrevano nella testa di Dana. Doveva riuscire a riprendersi la mini-nuke, ma cosa doveva fare con quella pazza che poi tanto pazza non era? Se l’avesse lasciata vivere, lei sarebbe tornata dagli altri, spifferando tutto.
«Problemi?» Lynn ridacchio. «L’ascensore non partira senza di me. Mi cercheranno per ore, se necessario, e neanche tu partirai. Non puoi farmi niente.» «Mi dia la valigetta», sibilo Dana, controllandosi a fatica, poi fluttuo verso di lei. Lynn abbasso la bomba come se stesse prendendo in considerazione l’idea di accogliere l’invito; poi, con un movimento fulmineo, la lancio dietro di sé, nel modulo abitativo. «E adesso ?» chiese. L’altra digrigno i denti ed estrasse dalla tasca nascosta all’altezza della coscia l’arma di Hanna. Gli occhi di Lynn si dilatarono per il terrore, ma lei reag e, con un balzo, si lancio in direzione della bomba. Poi, con una mano, riusc a raggiungere il sensore che azionava la porta scorrevole tra il modulo e l’unita abitativa. La porta inizio a chiudersi cos velocemente che Dana comprese non solo che non sarebbe riuscita a passare, ma pure che, se ci avesse provato, vi sarebbe rimasta incastrata. Attraverso lo spiraglio sempre piu stretto intravide il busto di Lynn e i suoi capelli biondo cenere che, agitandosi, le coprivano parte del volto. Prese la mira e sparo. La paratia si chiuse con un sordo fruscio. Dana si sposto alla console di comando per tentare di riaprirla, ma il pannello non si mosse. Lynn doveva aver azionato la chiusura di emergenza dall’interno. Fuori di sé dalla rabbia, comincio a prendere a pugni la porta di acciaio. Roteando come una palla, attraverso il salone. Lynn riusciva a vedere soltanto spirali in movimento. Con un grande sforzo, riusc a focalizzare la sua attenzione sulla plancia di comando, si mise in posizione orizzontale, si aggrappo al bordo del passaggio successivo e impresse al suo movimento un ulteriore slancio in avanti, che le permise di raggiungere la console. Doveva mettersi in comunicazione col terminal. «Lynn Orley », ansimo. «Qualcuno mi sente?» Cosa stava succedendo alla sua voce? Perché suonava cos debole, cos affaticata? «Miss Orley, s, la sento.» «Mi metta in comunicazione con mio padre. È nella sua... nella sua suite... Presto, faccia presto!» «Subito, Miss Orley.» Qualcosa era riuscito a farsi strada attraverso la fessura. Le provocava dolore, le offuscava la mente. Il suo respiro si ridusse a un rantolo, il buio scese su di lei. «Julian...» disse con un filo di voce. «Papa...» La collera di Dana era al massimo. Si era lasciata trasportare dalle emozioni, come una principiante, invece di usare la diplomazia. Restava solo la fuga. Che avesse ucciso, ferito o mancato Lynn era irrilevante. Lei doveva lasciare l’OSS prima che arrivasse l’ascensore. In preda all’ira, si catapulto fuori dal modulo di allunaggio, si lancio lungo il corridoio e da l nel
toro. Sparo alla testa di uno degli astronauti. L’uomo cadde di lato e ando lentamente alla deriva. Lei distese le gambe per frenare la propria corsa e punto l’arma sull’altro astronauta, che la fissava, terrorizzato, con le mani immobili sul touchscreen. «Porta qui una delle navette di evacuazione!» gli urlo. «Subito !» L’uomo tremava. «Muoviti!» Furibonda, gli assesto un colpo in pieno viso. L’uomo si aggrappo alla console per non perdere l’appiglio. «Non posso farlo.» «Sei scemo?» Certo che poteva, perché non avrebbe dovuto? «Vuoi morire?» «No... La prego...» Stava cercando di fregarla. Lei sapeva che tutti i punti di attracco potevano scivolare lungo l’anello; bastava parcheggiare il Charon da qualche altra parte, far arrivare al suo posto una navicella di evacuazione fino alla camera di decompressione e ancorarla l. «Fallo», gli ripet. «Non posso, lo giuro.» L’astronauta deglut e si umetto le labbra. «Non durante la procedura di avviamento.» «Quale procedura di avviamento?» «Quando... uno shuttle sta per partire, non posso spostare il punto di attracco, devo aspettare finché...» «Partire?» urlo Dana. «Cosa sta per partire?» «Il...» L’uomo chiuse gli occhi e lei noto che le sue labbra non erano sempre in sincrono con quello che stava dicendo, come se tra una parola e l’altra recitasse una silenziosa preghiera. Poi scorse la saliva luccicare agli angoli della bocca. «Parla, maledizione!» «Il Charon. Si tratta del Charon. Sta... partendo.» «Papa?» Julian rimase interdetto. Aveva appena iniziato la conversazione con Jennifer Shaw quando, sulla parete olografica, era comparsa una seconda finestra. «Lynn!» esclamo. «Mi scusi un attimo, Jennifer.» «Papa, devi fermarla.» Il volto della giovane donna era vicinissimo alla videocamera e Julian noto che era provato e pallido, come se lei stesse per svenire. Senza esitare, mise Jennifer in attesa. «Lynn, va tutto bene?» Lynn scosse debolmente la testa. «Dove sei?»
«Nello shuttle. Ho... avviato il Charon.» «Cos’hai fatto?» «Vado via... porto... la bomba via da qui.» Le palpebre fluttuarono, la testa ricadde in avanti. «Ha nascosto a bordo una seconda bomba, lei oppure... Hanna, non so...» «Lynn!» Le mani di Julian si strinsero intorno alla console. Con la stessa lentezza con cui sarebbe entrato in circolo il veleno di un serpente, cominciava a rendersi conto di cosa stava succedendo, di dove si trovava la bomba. Ma certo. Era logico. Quello non era soltanto un attentato contro gli americani, ma contro l’astronautica. «Lynn, non farlo. Porta indietro il Charon. Non farlo !» «Devi fermarla», sussurro Lynn. «Dana... e Dana Lawrence. Lei e la... e lei la complice di Hanna...» «Lynn. No!» «Mi... dispiace, papa.» Le sue parole erano poco piu di un soffio. «Mi dispiace tanto.» Lo shuttle si stacco. I robusti ganci di acciaio che lo tenevano ancorato alla camera di decompressione si aprirono, liberando il Charon, che venne lentamente spinto lontano, nello spazio aperto. Lynn sentiva la voce di Julian in lontananza. La chiamava, ancora e ancora, come impazzito. Si stese a terra. Ah, che sciocchezza, a terra... L non c’era gravita. Era tutta una questione di punti di vista decidere se fosse sdraiata sulla schiena o sulla pancia. Anzi forse era stesa su un fianco... ma certo, era proprio cos, era in tutte quelle posizioni nel contempo, pero almeno da quella prospettiva riusciva a vedere la bomba, che fluttuava sopra di lei. Il display lampeggiava davanti ai suoi occhi. 08:47 No, non era un 8. Forse erano due zeri? 00:47? 00:46 46 minuti? Minuti, certo, cos’altro? Forse addirittura secondi? Aveva poco tempo. Doveva accelerare. Accelerare. Vide fluttuare nella stanza delle palline rosse: alcune minuscole, altre grosse come biglie. Tese la mano per afferrarne una, che si spalmo sulle sue dita. Improvvisamente si rese conto che quel filo di perle rosse veniva dal suo petto. Qualcosa di brutto si nascondeva l dentro, la derubava della sua forza e la limitava nei movimenti; si sentiva terribilmente stanca, pero doveva cercare di non perdere i sensi. Doveva far accelerare lo shuttle, portarlo il piu possibile lontano dall’OSS. Poi, una volta sicura che non ci sarebbero piu stati rischi per l’OSS, si
sarebbe sbarazzata della bomba. In qualche modo. Magari gettandola nello spazio. Oppure si sarebbe potuta rifugiare nel modulo di allunaggio, sganciare l’unita abitativa con dentro la mini-nuke e tornare alla stazione. Qualcosa del genere. La bocca di Lynn si apriva e si chiudeva ritmicamente, come quella di un pesce. Gemendo di dolore, riemp d’aria i polmoni e si giro. «Haskin!» grido Julian. Si era messo in comunicazione col terminal senza ricevere risposta, e ora stava parlando col responsabile del settore tecnico. In realta, Haskin non doveva essere in servizio ma, in quell’emergenza, si era reso disponibile ad assumere la direzione della squadra di pronto intervento. Sfortunatamente Haskin, al momento, si trovava nel Toro5, sul tetto dell’OSS, molto lontano dal porto spaziale. «Oh, Dio, Julian, cosa...» «Perlustri l’intera stazione. Cerchi Dana Lawrence, arresti quella donna. Probabilmente si trova nel terminal!» «Non capisco...» «Non me ne importa niente se capisce o no. Cerchi Dana Lawrence: quella donna e una terrorista. Al terminal non risponde nessuno. E riporti indietro il Charon. Lo riporti qui!» Mentre sul monitor c’era ancora il volto perplesso e allarmato di Haskin, Julian volteggio fino alla porta della cabina. «Aprire!» Dana stava fissando la plancia di comando e teneva la canna dell’arma premuta contro la tempia dell’astronauta. Era rimasta in ascolto delle comunicazioni radio, aveva udito ogni singola parola: la commovente conversazione tra Lynn e il padre, le grida di quest’ultimo. Lynn sembrava ferita: alla fine, era riuscita a beccare quella miserabile guastafeste. Magra consolazione, considerato che di l a poco avrebbe avuto alle calcagna gli uomini di Haskin. «Blocca gli accessi al livello», ordino. «Non si puo», replico l’astronauta, ancora ansimante. «Certo che si puo. Sono certa che si puo.» «Lei non sa proprio niente. Posso chiudere gli accessi, ma non bloccarli. Riusciranno a entrare, che le piaccia o no.» «E la navicella di evacuazione?» «Il Charon e ancora troppo vicino. Lo giuro, e la verita!» D’accordo, avrebbe fatto in un altro modo. Non aveva bisogno della camera di decompressione esterna. Le navette disponevano di accessi di emergenza, dunque era del tutto irrilevante dove fossero parcheggiate. Doveva solo raggiungere in qualche modo l’anello esterno e prenderne una. Quello stupido non era in grado di aiutarla, ma forse avrebbe potuto farle ancora comodo. Lo colp nuovamente sulla testa con l’arma, lo osservo cadere in avanti, poi si
diresse verso lo scaffale coi caschi. L’ansia si era impadronita di Julian. Mentre si muoveva lungo il corridoio che dal Toro-1 conduceva al terminal, cercando di fare il piu in fretta possibile, urto la parete con le spalle e con la testa. Cerco di dominarsi. Prima non si era mai accorto che i corridoi della stazione fossero tanto lunghi, adesso invece gli sembrava di non arrivare mai e di continuare a picchiare contro qualcosa. Era atterrito. Aveva avuto l’impressione che Lynn stesse per morire. La sua voce era fievole... Doveva essere ferita, gravemente ferita. Il peggio, pero, era che Haskin non aveva nessuna possibilita di riportare indietro il Charon. Non si trattava di un astronauta alla deriva, ma di una massiccia navicella spaziale, e se Lynn... Oh, no, penso. Ti prego, no. Non azionare i propulsori, Lynn. Ti prego, non... ... azionare i propulsori. Lottava contro l’oscurita che a tratti la avvolgeva, mentre le sue dita tastavano alla cieca. Pero, finché la vista non fosse ritornata nitida, non le sarebbe servito a molto toccare il touchscreen. Sapeva di essere ancora troppo vicina all’OSS. Doveva allontanarsene ; se la bomba fosse esplosa, l’onda d’urto l’avrebbe danneggiata gravemente. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare il tempo visualizzato sul display della mini-nuke. Sapeva soltanto che era poco, maledettamente poco. Toss. Intorno a lei, continuavano a fluttuare le perle rosse e scintillanti del suo sangue. Il vantaggio dell’assenza di gravita era che non poteva crollare del tutto, non aveva bisogno di energia per rimettersi in piedi, e cio permise al suo organismo di mobilitare un’ultima, impensata riserva di forze. La vista si schiar. Le dita, pur esitanti e smarrite, cominciarono a muoversi con decisione, si distesero e si piegarono. I display s’illuminarono, una dolce voce automatica comincio a parlare. Lynn si costrinse a sedere nella poltrona del pilota, ma non riusc ad allacciare la cintura. Le rimanevano appena le forze per avviare la procedura di accelerazione. La punta dell’indice scivolo sulla superficie del touchscreen. I propulsori si attivarono, imprimendo allo shuttle la spinta massima consentita. La giovane fu schiacciata contro l’imbottitura del sedile e perse conoscenza. Il Charon schizzo via. Lasciare il livello. Attraversare uno dei tunnel interni. Arrivare fino a uno degli imponenti tralicci che erano la spina dorsale dell’OSS, arrampicarsi lungo la struttura fino al porto spaziale, iniziare la procedura di avviamento di una delle navette, sganciarsi e puntare dritto verso la Terra. L’aspetto esteriore e il funzionamento di quei veicoli erano in parte simili a quelli dei cari, vecchi shuttle spaziali; a differenza dei modelli ormai superati, pero, quelle navette disponevano di maggiori scorte di carburante. Una volta impadronitasi di una navetta
e rientrata nell’atmosfera terrestre, cio le avrebbe permesso di dirigersi ovunque volesse e atterrare in un punto dove nessuno avrebbe potuto trovarla. Dana fluttuo verso uno dei due tunnel, mentre la tuta controllava i sistemi di sopravvivenza e verificava il corretto aggancio del casco. Dietro la porta chiusa si snodava un breve corridoio, una camera di decompressione a soffietto, i cui segmenti erano ancora rientrati; ogni volta che l’ascensore raggiungeva l’interno del livello, la camera si allungava fino a congiungere il livello stesso con la cabina dell’ascensore, cosicché gli ospiti potevano entrare direttamente nella stazione, proprio come avevano fatto loro quand’erano arrivati. Apr la paratia. Anche la parte opposta della camera era chiusa e, da un oblo, si potevano intravedere i cavi dell’ascensore, che scintillavano al chiarore dell’illuminazione esterna. Era stata piu veloce di Haskin. Non aveva piu bisogno dell’astronauta svenuto; ora doveva soltanto pompare l’aria fuori dalla camera di decompressione, aprire il portello e andarsene. Nessuno poteva fermarla. Con l’arma pronta nel suo fodero, scivolo nel tunnel. Julian fluttuo fuori dal corridoio, sbatté di nuovo contro il soffitto, e prosegu, ignorando il dolore. Un corpo umano oscillava nel vuoto sotto di lui. I suoi occhi sbarrati fissavano il nulla e dalla tempia usciva un rivolo di sangue, che si sgranava in piccole perle. Vide un secondo corpo umano e si chiese se quell’uomo fosse morto o solo svenuto. Poi si allontano, scivolando lungo il soffitto. Nella parte interna, proprio sotto di lui, una paratia era aperta. Da l partiva una delle deviazioni del tunnel. Dana Lawrence? Ira, odio e paura si accavallavano nella sua mente. Entro di slancio nella camera di decompressione e urto contro una persona con la tuta spaziale che stava per attivare il meccanismo di chiusura; la spinse via dai controlli, scagliandola ancora piu all’interno della camera. La visiera con filtro UV era ancora alzata e lui riconobbe il viso da Madonna di Dana Lawrence, che lo fisso, sorpresa; andarono a colpire entrambi il portello esterno, vennero sbalzati indietro e rotolarono nuovamente verso il toro, descrivendo una serie di capriole. Dana si agitava, cercando di fermarsi; poi sbatté contro la parete del tunnel e, dopo essersi data lo slancio, si avvento su Julian che non riusc a schivare l’impatto. Una galassia esplose nella sua testa e lui prese a mulinare le braccia, lottando per riacquistare il controllo. Da dietro, lei gli assesto un secondo colpo, che gli ruppe il naso. Avrei dovuto indossare il casco, stupido idiota che non sono altro, penso Julian. La vista si stava annebbiando e, davanti ai suoi occhi, balenavano lampi rossi e neri. Poi, dopo essersi aggrappato a uno degli appigli mobili, comincio a scalciare alla cieca, centrando il casco di Dana, che inizio a vorticare su se stessa. «Cos’hai fatto a Lynn? Cos’hai fatto a mia figlia?» Il suo odio non aveva piu argini. Continuava a tirare calci ma, a un certo punto, Dana si capovolse, riprese l’equilibrio, si getto su
di lui e lo afferro per le spalle, scaraventandolo lungo il corridoio. Come una pallina da flipper, Julian rimbalzo da una parete all’altra del tunnel e usc dalla camera di decompressione. Dov’era Haskin? Dov’era quella squadra di smidollati del pronto intervento? Dana si era avvicinata alla console di comando con l’intenzione d’isolare la camera di decompressione, di chiuderlo fuori. Lui si chiese che cosa avesse in mente quella donna. Di certo, aveva intenzione di fuggire. Sentiva il sangue ristagnare nel naso, la testa rimbombava come una campana, ma riusc a rientrare nella camera di decompressione e ad afferrare un braccio della donna, impedendole di raggiungere il meccanismo di chiusura. Senza mollare la presa, nonostante la gragnuola di colpi con cui lei lo tempestava con la mano libera, Julian riusc a tirarla indietro. Cominciarono a caprioleggiare e urtarono di nuovo il portello esterno. Julian guardo attraverso l’oblo il lato opposto dell’enorme modulo ad anello, illuminato a giorno, coi cavi dell’ascensore che correvano al centro; ancora pochi minuti e poi sarebbe arrivata la cabina. Una distrazione imperdonabile, perché lei ne approfitto subito, assestandogli una ginocchiata nello stomaco. Fu colto da un conato di vomito, annaspo e perse la presa sul braccio della donna, che lo colp di nuovo, proiettandolo contro la parete. Riusc ad aggrapparsi a un tirante. Dana fluttuo in posizione eretta fino al portello esterno, si volto verso di lui ed estrasse l’arma. Aveva perso. Frastornato, Julian chino la testa di lato. Non poteva, non doveva finire cos. Mai arrendersi. Dopo che il suo sguardo lo ebbe individuato, gli ci volle una frazione di secondo per ricordarsi a che cosa serviva lo sportello incassato nella parete, proprio accanto a lui o, meglio, a cosa servisse quello che c’era dietro lo sportello. Manuale dell’OSS, lettera D: Detonazione dei perni di fissaggio. «In casi di emergenza, puo rendersi necessario far detonare il portello esterno di una camera di decompressione, indipendentemente dal fatto che all’interno della stessa sia stato creato il vuoto oppure no. La misura puo rendersi necessaria in caso il portello o il rivestimento della camera di decompressione rimanga impigliato o incastrato nella cabina dell’ascensore o che una navicella in fase di attracco si blocchi, impedendo quindi la partenza e/o l’avviamento del mezzo, e mettendo cos a repentaglio vite umane. In caso di detonazione, assicurarsi che il tunnel della camera di decompressione che conduce all’adiacente modulo abitativo sia chiuso e che la persona il cui compito e effettuare la detonazione indossi una tuta spaziale e sia ben assicurata alla parete della camera stessa.» Julian non era assicurato. Poteva contare solo sulla sua forza. Non indossava nemmeno il casco. Inoltre la paratia era aperta.
Al diavolo! Con la mano sinistra intorno alla sbarra, alzo lo sportello. Quando Dana si accorse della maniglia rosso fuoco e cap cosa lui aveva in mente, Julian vide i suoi occhi dilatarsi dietro la visiera. Alzo la canna della pistola: un movimento rapido. Ma non abbastanza. Julian afferro la maniglia e senza esitazioni la spinse verso il basso. Poi trattenne il fiato. Le cariche di esplosivo posizionate in corrispondenza dei perni di fissaggio detonarono con un fragore assordante, facendo saltare il portello dal suo ancoraggio. Si formarono vortici che turbinarono verso lo spazio aperto e istantaneamente inizio pure il risucchio, un uragano terribile e ululante che faceva defluire all’esterno tutta l’aria, trascinandosi dietro anche Dana Lawrence. Julian si aggrappo alla sbarra con entrambe le mani. Altra aria veniva risucchiata fuori, continuando ad alimentare il tornado. In quello stesso istante - lo sapeva bene - tutti gli accessi ai corridoi adiacenti si sarebbero chiusi automaticamente e lui, che non indossava neppure il casco, era completamente inerme. Se non fosse riuscito a entrare nel tunnel nel giro di pochi secondi e la paratia si fosse chiusa, sarebbe morto nel vuoto. Strinse i denti, tese i muscoli e cerco di raggiungere l’interno. Le sue dita stavano perdendo la presa. Un’ondata di panico lo travolse. Non doveva mollare, ma l’uragano lo attirava a sé. Dana era riuscita ad aggrapparsi a uno dei suoi stivali. Il risucchio diventava sempre piu violento, pero la donna non si staccava ; anzi, sospesa orizzontalmente in quell’inferno, stava addirittura cercando di prendere la mira per sparargli. Punto l’arma contro di lui. La canna della pistola era minuscola, nera. Significava morte. Un pensiero limpido e intensissimo: era stufo di quella donna. La sua ira, la sua paura, la sua rabbia alimentarono una forza che lui non sospettava neppure di possedere. «Questa e la mia stazione!» urlo. «Fuori di qui!» Le sferro un calcio e lo stivale colp il casco. Le dita di lei scivolarono. In un lampo, venne sbalzata via... eppure, nonostante tutto, continuava a tenere l’arma puntata contro di lui. Julian attese la fine. La donna oltrepasso i cavi dell’ascensore e, per un attimo, lui non si capacito di quello che stava vedendo. Quel corpo si stava dirigendo in due direzioni diverse nello stesso momento. Le spalle, parte del tronco e il braccio destro - la cui mano impugnava l’arma - si erano staccati dal resto. «Perche il contatto diretto con la fune puo costarvi una parte del corpo. Dovete tenere presente che, pur essendo larga piu di un metro, e piu sottile della lama di un rasoio, ma incredibilmente resistente.» Erano parole sue. Le aveva pronunciate sull’Isla de las Estrellas. L’uragano imperversava. Con uno sforzo sovrumano, Julian scivolo, tenendosi aggrappato alla sbarra. Non ce l’avrebbe fatta. Non poteva farcela. I polmoni gli bruciavano, gli occhi
lacrimavano, nella testa rintronava un costante martello pneumatico. Lynn, penso. Mio Dio, Lynn. Una figura entro nel suo campo visivo. Indossava un casco ed era assicurata a una corda. Un’altra persona. Due mani lo afferrarono, lo trascinarono indietro, al sicuro. Lo tenevano ben stretto. La paratia interna si chiuse. Haskin. Stelle. Come polvere. Lynn e andata via, lontano. Lo shuttle sta silenziosamente solcando la scintillante notte eterna, un’isola di quiete e sicurezza. Nel breve istante in cui riacquisto conoscenza, Lynn si stup soltanto del fatto che la bomba non fosse ancora esplosa. Ma forse era passato troppo poco tempo. Riaffiorarono nella sua mente i contorni di un piano che lei aveva escogitato per lasciare la mini-nuke nel modulo abitativo e fare ritorno all’OSS con l’unita di allunaggio, salvandosi. Unita di allunaggio. Unita di annullaggio. Mini-nuke. Nuki-duke? Mini-nuki-duki? Mini-qualcosa. Bruce Dern in 2002: la seconda odissea. Bel film. E alla fine: booooooooom. No, lei sarebbe rimasta l. Anche perché era stremata. Troppe cose erano andate storte. Mi dispiace, Julian. Non volevamo volare sulla Luna? Come stanno andando i lavori allo Stellar Island Hotel? Come? Oh, merda, non li finiranno in tempo, certo, lo sapevo, l’ho sempre saputo, non li finiranno. Non li finiranno mai. Mai, mai, mai. Freddo. Il piccolo robot che annaffiava i fiori insieme con Bruce Dern. Com’era dolce. Tutte le piante rimaste erano lassu, su quella piattaforma nell’universo, prima che Dern si facesse saltare in aria, accompagnato dalla voce di quell’ambientalista di Joan Baez. Julian diceva sempre che, ogni volta che la sentiva, gli sembrava che gli stessero trapanando il cervello. Secondo lui, aveva rovinato il finale del film con quella sua voce isterica da soprano. «Lynn?» Era lui. «Per favore, rispondi. Lynn. Lynn!» Oh. Stava piangendo? E perché mai? Era colpa sua? Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Non piangere, Julian. Dai, guardiamo un altro di quei bei filmacci di una volta. Armageddon. No, quello non gli piaceva, diceva che era troppo costruito, troppo inverosimile... Allora quello di Ed Wood, Piano 9 da un altro spazio, oppure che ne dici di Destinazione... Terra! Dai, questo e bello. Jack Arnold, il vecchio cantastorie. Va sempre bene, fa sempre paura. Gli
extraterrestri con quei cervelli giganti. È proprio questo l’aspetto che hanno. Dici sul serio? Sciocchezze. Non e vero. E, invece, sì Papa, Tim non ci crede che gli extraterrestri sono fatti così «Lynn!» Eccomi, papa. Sto arrivando. Sono qui. Limit 3-8 GIUGNO 2025 IL LIMITE XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA Una vita schifosamente normale... Appendere i quadri, fare un passo indietro, correggere l’inclinazione, riordinare i libri, spostare le poltrone, fare un passo indietro, spostarle di nuovo. Apportare piccoli cambiamenti, fare di nuovo un passo indietro, avvicinarsi alle cose mantenendo una certa distanza, creare l’armonia, la formula universale di Confucio contro le forze del caos. Se quelli erano i segni distintivi di una vita normale, Owen Jericho era rientrato in pieno nella normalita. Kenny Xn non aveva bruciato il suo loft, ogni cosa era al suo posto o in attesa che lui gliene trovasse uno. Il televisore era acceso, un caleidoscopio d’immagini senza audio, perché lui era piu interessato al suo aspetto ornamentale che alle notizie. Sentiva il pressante bisogno di non sapere piu niente. Non voleva piu sforzarsi di trovare collegamenti tra le cose; desiderava solo srotolare il tappeto, decidere se stenderlo in un punto piuttosto che in un altro. Lo tiro in diagonale, fece un passo indietro, osservo la sua opera e decise che mancava di equilibrio, perché non stava bene con la lampada a stelo. Non c’era armonia, avrebbe detto Confucio. Pero la lampada a stelo doveva pur stare da qualche parte. Chissa come stava Yoyo. Il giorno dopo l’incontro con Xn si era svegliata a mezzogiorno con un forte mal di testa, dovuto in parte all’impatto col cranio di Norrington, e in parte a una dose eccessiva di Brunello di Montalcino, ma forse soprattutto alla consapevolezza di aver visto la morte in faccia. Ancora paralizzata dallo shock, durante il viaggio di ritorno aveva parlato molto poco. Tu Tian aveva avviato i motori dell’Aerion Supersonic all’ora di pranzo e quattro ore piu tardi il jet era atterrato al Pudong Airport. Erano tornati a casa. Ovviamente nei giorni seguenti non si erano potuti sottrarre all’incessante susseguirsi di notiziari. Non appena il Charon era entrato nel campo di ricezione degli impianti radio terrestri, aveva trovato conferma la notizia che, nella terra di nessuno del Polo Nord lunare, c’era stata un’esplosione nucleare e che il viaggio sulla Luna del gruppo di Orley si era risolto in un disastro, con molte vittime illustri. I servizi
segreti avevano cercato di mantenere il massimo riserbo su quegli avvenimenti, ma erano comunque trapelate alcune voci su un possibile complotto, che avrebbe avuto come obiettivo quello di distruggere la base lunare americana, con la Cina nel ruolo di principale indiziato. Era un’ipotesi priva di fondamento, ma aveva trovato molti sostenitori in rete. In tutto il mondo, venti di diffidenza alimentavano le braci del sentimento anticinese. Ma non c’era nessun indizio concreto su chi fossero in realta i mandanti. Orley stesso si era affrettato a smentire le voci durante il viaggio verso l’OSS, dichiarando che l’attentato era stato sventato grazie all’aiuto del taiconauta Jia Keqiang e dell’autorita spaziale cinese. Pero i media inglesi e americani continuavano a soffiare sul fuoco. Non era la prima volta, sostenevano, che la Cina progettava attacchi contro installazioni straniere, e il fatto che Pechino amministrasse l’eredita militare di Kim Jong-un non era un segreto per nessuno. Le voci che ammonivano le superpotenze a sforzarsi di remare nella stessa direzione si mescolavano ai timori di un’escalation nello spazio. Poi erano iniziate a filtrare notizie sul ruolo svolto dal gruppo Zheng nella costruzione della rampa di lancio della Guinea Equatoriale e Zheng Pang Wang si era trovato in grande imbarazzo. Lo Zhong Chan’erbu si era affrettato a dichiarare che non conosceva nessun Kenny Xn né un’organizzazione chiamata Yu Shén, la quale apparentemente reclutava i propri membri nelle cliniche psichiatriche e negli istituti di pena per farne dei killer. Comunque, anche ammesso che quello Xn esistesse davvero, di sicuro agiva contro gli interessi del Partito. Inoltre c’era da chiedersi perché Mr Orley e gli americani si stupivano tanto, dal momento che privavano il mondo d’importanti tecnologie e insultavano la comunita internazionale violando ripetutamente gli accordi sulla colonizzazione della Luna e dello spazio. Tutto cio suonava cos familiare, dopo la crisi lunare, che le riflessioni piu serie, come il fatto che i cinesi non avrebbero tratto nessun vantaggio dalla distruzione della base Peary - conclusione sostenuta dagli analisti piu accreditati -, erano state sommerse da un mare d’ipotesi. Lampada a stelo e tappeto. No, non c’era modo di armonizzare quei due elementi. Anche se, dopo la morte di Grand Cherokee Wang, nel suo appartamento c’era una stanza libera in piu, Yoyo aveva preferito trasferirsi da Tu Tian. In via provvisoria, ci aveva tenuto a dire. Probabilmente voleva stare vicino a Hongbng, il quale alloggiava nella villa in attesa che terminassero i lavori di ristrutturazione del suo appartamento. Jericho sospettava che la ragazza, sull’onda delle emozioni dei giorni precedenti, si aspettasse qualcosa di simile a una confessione. Nel frattempo si stava preparando per riprendere gli studi. Daxiong si dava da fare con le sue motociclette, ignorando i consigli dei medici, cioe come se non avesse uno strappo fresco di sutura sulla schiena e uno ancora piu lacerante nel cuore. Tu Tian si dedicava anima e corpo ai propri affari, e casi meravigliosamente noiosi di spionaggio informatico attendevano Jericho. Dopo la fine ingloriosa dell’operazione Monti della luce
eterna, costata la vita a tante persone, erano arrivati alla conclusione che Hydra non rappresentasse piu un pericolo per loro. Dovevano ancora affrontare gli interrogatori della polizia cinese, ma non avevano intenzione di rivelare in quali circostanze Yoyo era incappata nel fatale frammento di testo. Inoltre il governo aveva piu di un motivo per ringraziarli. Il fatto che l’attentato era stato sventato grazie al coraggio e all’intraprendenza di due cinesi e di un inglese che viveva in Cina era il miglior alibi per Pechino. I primi tre giorni di giugno erano trascorsi senza che accadesse nulla, e Patrice Ho, capo della polizia di Shanghai nonché amico di Jericho, lo aveva chiamato per comunicargli che era stato promosso e che, di conseguenza, sarebbe stato trasferito nella capitale. «Sono ben consapevole del fatto che le tue indagini hanno giovato molto alla mia carriera», gli aveva detto. «Se ti dovesse venire in mente in che modo posso sdebitarmi...» «Consideriamolo un credito.» «Forse c’e persino la possibilita di aumentarlo, questo credito. Come sai, anche le nostre indagini a Lanzhou sono state coronate da successo. Siamo riusciti a stanare una banda di pedofili e, durante questa operazione, ci siamo imbattuti in alcuni indizi che fanno ritenere...» «Vuoi che continui a ficcare il naso nel mondo dei pedofili?» «La tua esperienza potrebbe esserci molto utile. Pechino ripone in me grandi speranze. Dopo i successi di Shenzhen e Lanzhou, un’improvvisa interruzione di questa serie positiva potrebbe suscitare irritazione...» «Capisco», aveva sospirato Jericho. «Ma, anche a rischio di giocarmi il mio credito, ho deciso di non accettare piu incarichi del genere. Ho da poco traslocato in un appartamento piu grande, ma sta diventando gia troppo piccolo per tutti gli spettri che mi porto a casa dal lavoro.» «Non dovrai andare in prima linea», si era affrettato a rassicurarlo Ho. «Sai benissimo che si finisce sempre in prima linea, in questi casi.» «Ovviamente. Scusami se ti ho messo sotto pressione.» «Non l’hai fatto. Posso pensarci?» «Ma certo. Quando andiamo a berci una birra?» «Cosa ne dici della settimana prossima?» «Perfetto.» Niente era perfetto. Il tappeto e la lampada a stelo s’intendevano a meraviglia. Il punto era che nessuno dei due era in armonia con lui. Non si sentiva in armonia con niente, e men che meno gli sembrava di essere tornato alla normalita. Come una conferma, sulla parete olografica comparve Julian Orley, circondato da molte persone, sullo sfondo di un cielo azzurrissimo. Disse qualcosa e si fece largo tra la folla, seguito dall’attore Finn O’Keefe e da una donna affascinante e dall’aspetto esotico che sfoggiava una cascata di capelli bianchi come
la neve. Evidentemente il gruppo era rientrato sulla Terra. Jericho alzo il volume. «... l’esplosione della seconda mini-nuke e avvenuta alle nove in punto, orario europeo, a quarantacinquemila chilometri di distanza dall’OSS, la quale con ogni probabilita era l’obiettivo dell’ordigno. Alcuni hanno espresso il timore che la serie di attacchi nucleari possa proseguire. Julian Orley, che sta per lasciare Quito, sinora ha rifiutato...» Qualcosa non quadrava. Jericho alzo ulteriormente il volume, ma sembrava essersi perso la parte piu importante. Lungo la banda sul bordo inferiore dello schermo scorreva la notizia di un fallito attentato nucleare all’OSS, con un numero di vittime ancora da verificare. Inizio a fare zapping alla ricerca di altre notizie. Evidentemente, nello shuttle che aveva portato i sopravvissuti dalla base Peary alla stazione spaziale, era nascosta una seconda bomba atomica, pero era stata scoperta in tempo e fatta detonare a distanza di sicurezza dall’OSS. Orley stesso diceva di non voler rilasciare dichiarazioni al riguardo. Gli sembrava invecchiato di colpo. Yoyo lo chiamo. «Hai sentito la cosa della seconda bomba?» Lui passo dalla CNN a un canale di news cinese, nel quale pero si parlava della riforma delle scuole superiori. Un altro era impegnato a sdrammatizzare le nuove rivolte uigure nella provincia di Xnjiang. «È molto strano», disse lui. «Vogelaar non parla di una seconda bomba, nel suo dossier.» «Probabilmente perché non ne era a conoscenza.» «Gia.» La BBC stava dedicando un servizio speciale agli avvenimenti. «Per fortuna non e piu un nostro problema.» «S, hai ragione. Oh, cielo, come sono felice di esserne fuori. Che ci lascino in pace... Pero e una cosa pazzesca, non credi? Una cosa davvero pazzesca!» Il detective fisso la banda rossa su cui scorrevano le ultime notizie. «Tutto bene l da te?» chiese. «Tutto okay.» E, dopo una leggera esitazione, aggiunse: «Mi dispiace di non essermi piu fatta sentire, ma stanno succedendo tante cose... Sto cercando di rimettermi al passo. Ma non e cos semplice. Ci sono i funerali dei miei amici, Daxiong gioca a fare l’eroe, e mio padre... Abbiamo parlato a lungo, immagino che tu sappia di cosa...» Lui colse subito l’allusione. «E...?» domando, cauto. «Non preoccuparti, Owen, possiamo parlarne. Non puoi svelarmi nulla che io non sappia gia. Sono contenta che lui mi abbia raccontato la verita.» La sua affermazione aveva un tono stranamente lapidario. Per tutta la vita aveva sofferto per il silenzio di Hongbng, e adesso riusciva a dire solo che era «contenta» del fatto che il padre si fosse aperto con lei.
«Ehi!» esclamo Yoyo all’improvviso. «Ti rendi conto che siamo stati noi a sventare questi attentati? Senza di noi, la base lunare e l’OSS non esisterebbero piu.» Un’emittente tedesca. Sulla parete olografica comparvero le stesse immagini tremolanti di Orley e del suo gruppo. Un giornalista con un microfono in mano e col Pacifico dietro di sé sosteneva che la bomba era esplosa a bordo di una navicella spaziale, uno shuttle lunare, e che forse, contrariamente a quanto dichiarato nei primi comunicati, c’era stata almeno una vittima. «Se ci pensi bene, gli attentati avrebbero riportato il programma spaziale americano indietro di decenni», constato Yoyo. «O no? Tu cosa ne pensi? Niente ascensore spaziale, niente elio-3. Orley avrebbe potuto mettere i suoi reattori di fusione in naftalina.» «A quanto pare siamo dei veri eroi», commento acidamente Jericho. «Be’, se non altro possiamo essere almeno un po’ fieri di noi stessi, non credi? Che programmi hai per stasera?» «Spostare mobili. Dormire.» Guardo l’orologio. Le dieci e mezzo. «Almeno spero. Da tre giorni sono stanco morto ma non riesco a chiudere occhio. Mi addormento solo verso il mattino e sonnecchio per due, tre ore.» «A me succede la stessa cosa. Prendi una pastiglia.» «Non ne ho voglia.» «Allora e solo colpa tua. A piu tardi.» Dopo quella telefonata, non se la sent piu di pensare secondo le categorie dell’armonia confuciana. Tutto quello che aveva intorno sembrava aver perso senso: nessuna disposizione dei mobili sarebbe stata concepibile. Tra lui e gli oggetti si era innalzata una parete di vetro, l’armonia e la normalita si erano trasformate in concetti puramente accademici, come se un cieco si mettesse a dissertare sui colori. Spense il televisore e spalanco la bocca in uno sbadiglio infinito. Secondo Schopenhauer, il mito della sua gioventu, lo sbadiglio era un movimento involontario, la cui causa profonda era un momentaneo depotenziamento del cervello dovuto a noia, apatia o sonnolenza. Si stava annoiando? Stava cadendo nell’apatia? Era depotenziato? Nulla di tutto cio. Era fastidiosamente sveglio. Si sdraio sul divano, spense la luce e provo a chiudere gli occhi. Forse, se rinunciava a compiere azioni precise come spogliarsi o andare a letto, sarebbe riuscito a ingannare il suo corpo e la sua mente che, piu lui s’impegnava a dormire, piu sembravano opporsi al sonno. Mezz’ora dopo, aveva le idee piu chiare. Non era ancora finita. Hydra continuava a tenerlo avvinto a sé. Il suo veleno avrebbe continuato a infettargli i vasi sanguigni sinché lui non fosse riuscito a comprendere la sua natura. Non poteva fingere che la cosa non lo riguardasse solo perché, al momento, nessuno stava
cercando di ucciderlo. La normalita non si poteva decidere a tavolino; una cosa non finiva semplicemente perché la si seppelliva nel passato. L’incubo non era ancora finito. Chi era Hydra? Riaccese la luce. Yoyo aveva ragione. Avevano scoperto molte cose, mandato all’aria i piani degli attentatori, un buon motivo per essere fieri di se stessi. Nel contempo, pero, aveva la sensazione che avessero sempre guardato in un cannocchiale dalla parte sbagliata. Cio che era vicino si era ridotto a un puntino in lontananza, diventando apparentemente insignificante, ma in realta sarebbe bastato girare il cannocchiale e la verita si sarebbe palesata senza sforzo davanti ai loro occhi. Apr una bottiglia di Shiraz, si verso da bere e cancello sistematicamente tutti gli indiziati dalla lista: Pechino, Zheng Pang Wang, la CIA... A una piu attenta osservazione, tutte quelle piste si erano rivelate un vicolo cieco, ma forse ce n’era una che non lo era. Una pista della quale finora non si erano occupati a sufficienza. Il massacro di Greenwatch. L’intero direttivo dell’emittente ecologista annientato. Nessuno era in grado di dire a cosa stesse lavorando Greenwatch, anche se qualcuno parlava spesso di un reportage sulla distruzione dell’ambiente da parte delle multinazionali del petrolio. L’ambizione di Loreena Keowa di risolvere da sola il mistero dell’attentato di Calgary aveva attirato l’attenzione sul filmato in cui si vedeva il presunto attentatore di Gerald Palstein. Tuttavia quelle immagini avevano iniziato a girare troppo velocemente perché il massacro avesse come scopo quello di limitarne la diffusione. Fece riprodurre ancora una volta la sequenza video a Diane. Verso la fine, quando la telecamera si spostava in direzione del palco, si vedeva che la piazza era piena di gente col cellulare e di troupe televisive. Era un vero miracolo che Xn, col suo travestimento, non fosse stato ripreso piu spesso; in ogni caso, Hydra doveva aver messo in conto quella possibilita... ma forse il primo errore nel ragionamento stava proprio l. Forse era proprio quello che voleva. Piu Jericho ripensava alle immagini, piu il bizzarro travestimento di Xn e il suo passo strascicato gli sembravano parte di una messinscena che aveva l’unico scopo d’indirizzare gli inquirenti verso un attentatore asiatico, in caso lui venisse scoperto... proprio come la presenza di Zheng in Guinea Equatoriale equivaleva all’impronta di un elefante nella Terra di Mezzo. Lars Gudmundsson aveva fatto il doppio gioco, Palstein era sopravvissuto all’attacco per un colpo di fortuna, lasciando il posto libero a Carl Hanna, Loreena Keowa lo aveva scoperto, e cio era costato la vita a dieci persone e la memoria a Greenwatch. Ma tutto quello non aveva senso. A meno che la squadra di Greenwatch non avesse scoperto qualcosa di davvero compromettente su Hydra. Loreena Keowa era arrivata da Calgary. Forse era in possesso d’informazioni scottanti. Era diretta a una riunione di redazione, un incontro che Hydra era riuscita a impedire all’ultimo momento, anche se cio non per-
metteva comunque a Hydra di sapere quanto della scomoda indagine fosse gia stato salvato sui dischi fissi dell’emittente, dal momento che Loreena poteva avere... spedito delle e-mail. Ecco la chiave. Jericho si rimise al lavoro. Mentre a Shanghai si avvicinava la mezzanotte, sull’altro lato del Pacifico splendeva il sole del pomeriggio. Chiese a Diane un elenco di tutti i provider della zona e inizio a chiamarli, l’uno dopo l’altro, sempre con lo stesso pretesto: chiamava a nome di Loreena Keowa, perché dal suo account non si potevano piu spedire e ricevere e-mail. Potevano essere cos gentili da verificare cosa non funzionava? Undici volte gli fu risposto che nessuna Loreena Keowa figurava tra i clienti; tre provider conoscevano di nome Loreena, sapevano della sua morte e gli fecero le condoglianze. Lui ringrazio con voce grave. Solo al quindicesimo tentativo ebbe fortuna. Gli chiesero la password, il che significava che la donna era registrata come cliente. Disse che avrebbe richiamato. Poi s’infiltro nel sistema del provider e fece decodificare la password di Loreena a Diane. Il flusso di dati di ogni connessione era stato registrato, pertanto Jericho riusc ad accedere nel giro di pochi minuti. Chiamo il provider, forn la password e chiese se le mail spedite nelle ultime due settimane erano salvate nel sistema. Gli fu comunicato che tutti i messaggi restavano in memoria per sei settimane, e gli fu chiesto quali volesse vedere. «Tutti», rispose lui. Mezz’ora dopo, aveva visionato i numerosi documenti sugli scandali ambientali che avrebbero dovuto formare il nucleo del reportage in tre puntate intitolato L’eredita del mostro, un reportage del quale i media avevano parlato a piu riprese negli ultimi giorni. Venivano fatti tantissimi nomi, ma lui non credette nemmeno per un attimo che ci fosse qualche collegamento. Il massacro aveva avuto luogo come reazione all’ultima e-mail che Loreena Keowa aveva spedito. Custodiva tra le sue righe la risposta a tutte le domande. L’identita di Hydra. Gerald Palstein Direttore strategico dell’EMCO (USA), vittima di un attentato a Calgary il 21/04/2025, probabilmente con l’obiettivo d’impedirgli di volare sulla Luna (informazioni su Palstein sono disponibili). Attentatore asiatico, forse cinese. (Interessi cinesi nell’EMCO? Mercato delle sabbie bituminose?) Alejandro Ruiz Direttore strategico (dal luglio 2022) della Repsol YPF (gruppo spagnolo-argentino), soprannominato Ruiz El Verde, sposato, due figli, stile di vita sobrio, nessun debito. Scomparso nel 2022 a Lima durante un viaggio d’ispezione (crimine?) In precedenza conferenza di piu giorni a Pechino, tra l’altro si parla di una joint-venture con Sinopec. Ultimo incontro fuori Pechino il 1º settembre 2022: argomento e partecipanti sconosciuti (alla Repsol stanno esam-
inando i documenti a disposizione, sto aspettando risposta). 2 settembre: volo per Lima, telefonata con la moglie. Ruiz sembra turbato, con ogni probabilita a causa dell’incontro del giorno precedente. Punti in comune tra Palstein e Ruiz Entrambi hanno cercato di estendere il campo di attivita della propria azienda a nuovi settori, per esempio energia fotovoltaica, Orley Enterprises. Punti di vista etici. Contrari allo sfruttamento delle sabbie bituminose. Molti nemici all’interno dell’azienda. Nominati direttori strategici quando la bancarotta incombente delle rispettive aziende lascia loro poca liberta d’azione. Tuttavia: nessun punto di contatto tra EMCO e Repsol. Secondo Palstein, nessun contatto personale tra lui e Ruiz. Lars Gudmundsson Guardia del corpo di Palstein, collaboratore esterno dell’agenzia di sicurezza texana Eagle Eye. Carriera: Navy Seal, addestrato come tiratore scelto, passa al servizio dell’esercito privato Mamba in Africa, poi all’APS (African Protection Services), forse coinvolto nel golpe in Africa occidentale, dal 2000 di nuovo negli Stati Uniti. Fa il gioco sporco: coi suoi uomini fa in modo che l’attentatore di Palstein possa accedere indisturbato all’edificio di fronte alla sede dell’Imperial Oil (ho informato Palstein del tradimento di Gudmundsson e chiesto informazioni su G. alla Eagle Eye. In seguito G. e scomparso insieme con tutta la sua squadra). Gudmundsson... Il nome fece scattare qualcosa nella mente di Jericho. Seguendo un’intuizione, esamino di nuovo il dossier di Vogelaar, ed eccolo l: Lars Gudmundsson aveva fatto parte dell’unita speciale che aveva portato Mayé al potere... insieme con Neil Gabriel, meglio noto come Carl Hanna. Sembrava che entrambi fossero in ottimi rapporti con Kenny Xn, tanto da lavorare per lui in diverse occasioni e alla fine lasciare l’APS. L’e-mail di Loreena Keowa inoltre conteneva il filmato sul luogo dell’attentato, un numero di telefono della Repsol e il numero privato della vedova di Ruiz. Incarico Diane di trovare altre informazioni sullo spagnolo, ma non c’era molto di piu. Nei filmati e nelle fotografie l’uomo aveva un aspetto simpatico, positivo, vitale. Dopo l’incontro di Pechino, pero, aveva avuto paura. E poi era scomparso. Come si spiegava il suo improvviso cambio di umore? A quell’incontro aveva vissuto o scoperto qualcosa che lo aveva turbato? Di sicuro, ma piu probabilmente aveva intuito che la sua vita era in pericolo. Se Alejandro Ruiz era davvero stato ucciso, l’omicidio era avvenuto perché qualcuno voleva impedire che gli argomenti trattati durante l’incontro diventassero di dominio pubblico.
Hydra aveva assassinato Ruiz perché sapeva dell’operazione Monti della luce eterna? Ma che dire di Palstein? Loreena Keowa aveva scoperto incredibili analogie fra i due, tra cui il fatto che Palstein era informato dei progetti di Hydra? Sorseggio lo Shiraz. Sciocchezze. Stava facendo ipotesi campate in aria. Ruiz era scomparso subito dopo l’incontro. Prima di poter aprire bocca. Perché avrebbero dovuto lasciare a Palstein tre anni di tempo per spifferare quello che sapeva? L’attentato di Calgary aveva avuto l’indubbio scopo d’infiltrare un agente in incognito nel gruppo di ospiti di Orley; inoltre Palstein era vivo, anche grazie a una casualita. Da allora nessuno aveva piu tentato di ucciderlo, anche se ci sarebbero state svariate occasioni per farlo. Gudmundsson, per esempio, per lavoro gli gironzolava sempre intorno: avrebbe potuto ammazzarlo in qualsiasi momento, sparandogli a bruciapelo. Perché non lo aveva fatto? Perché non lo aveva fatto prima? Prima di Calgary? Hydra era riuscita a infiltrarsi nella cerchia piu stretta di Palstein, nella squadra degli addetti alla sua sicurezza. Perché organizzare un’operazione tanto complessa? Una manifestazione pubblica, agenti che distraggono poliziotti, Kenny Xn che spara da un edificio vuoto... Perché una cosa cos contorta? Perché doveva sembrare quello che non era. Nessun dubbio: il collegamento tra Lima e Calgary, tra Ruiz e Palstein, esisteva. Le ricerche della reporter portavano direttamente a Hydra, altrimenti gli aguzzini di Vancouver non avrebbero ucciso dieci persone e fatto sparire tutti i loro computer. Ma allora: cosa era davvero successo il 21 aprile in Canada? L’incontro di Pechino era la chiave. Stava per telefonare alla Repsol a Madrid quando suonarono alla porta. Sorpreso, guardo l’ora. L’una e venti. Degli ubriachi? Il campanello suono di nuovo. Considero la possibilita d’ignorarlo, poi si diresse verso il citofono e guardo nel monitor. Yoyo. «Che cosa fai qui?» chiese, allibito. «Che ne diresti di aprirmi la porta?» replico lei. «O devo inoltrare una richiesta scritta per venirti a trovare?» «Non e esattamente un orario di visite», disse lui, quando Yoyo entro nel suo loft col casco sottobraccio. Lo poso sul piano di lavoro della cucina, entro nella zona soggiorno e si guardo intorno, incuriosita. Lui la segu. «Carino.» «Non e ancora finito.» «È carino comunque.» Indico la bottiglia di Shiraz. «Non hai un altro bicchiere?»
Lui si gratto l’orecchio, irritato, mentre lei si sfilava il giubbotto di pelle e si lasciava cadere sul divano. «Certo», rispose. «Aspetta.» Ando a prendere un bicchiere. Un bagliore rosso nella penombra del divano gli segnalo che lei si era accesa una sigaretta. Dopo averle versato da bere, rimasero seduti in silenzio, sorseggiando il vino. Yoyo faceva uscire nuvolette di fumo dagli angoli della bocca e i suoi occhi fissavano il vuoto. Ogni tanto abbassava le palpebre come se volesse cancellare quello che vedeva ma, ogni volta che le riapriva, il suo sguardo appariva disorientato. Jericho rammento la ragazza nel video che Hongbng gli aveva mostrato poco piu di una settimana prima. Una settimana? Sembrava un anno. «Cosa stai facendo?» chiese Yoyo, gettando uno sguardo a Diane. «Mi chiedo cosa ti abbia portato fin qui.» «Non volevi andare a letto? Dormire?» «Ci ho provato.» «Anch’io. Credevo che fosse piu facile.» «Dormire?» «Continuare a vivere, riprendere da dove avevo lasciato. Ma ho la sensazione di afferrare il vuoto. Molte cose non esistono piu. La centrale nell’acciaieria, i Guardiani... Poi c’e la stanza di Grand Cherokee con dentro tutte le sue cose, come se dovesse tornare da un momento all’altro: una cosa da brivido. Invece l’universita e sempre l’universita. Le stesse aule, gli stessi professori, la stessa amministrazione che si prende cura di te in modo che tu non sviluppi troppe idee autonome. Lo stesso pollaio, le stesse battaglie, le stesse inezie. Ascolto musica, esco, guardo la televisione, mi dico che altri stanno molto peggio di me, che potrei essere morta, e che la banalita del quotidiano ha i suoi lati positivi. Cerco di convincermi che dovrei sentirmi sollevata.» Jericho accavallo le gambe. Era seduto davanti a lei sul pavimento, la schiena appoggiata contro la poltrona. «E poi accade quello che ho aspettato per tutta la vita. Hongbng mi prende tra le braccia e mi dice che mi ama, e mi rovescia addosso tonnellate di tragedie. L’intera, terribile storia. E io so che dovrei sparare i fuochi d’artificio, sciogliermi nella compassione, impazzire di gioia, gettargli le braccia al collo, dirgli che quei maledetti non hanno piu nessun potere su di noi, che adesso andra tutto bene, possiamo finalmente parlare, che siamo una famiglia. Invece...» Disegno degli anelli di fumo nell’aria. «Invece penso che la mia testa non sia altro che una credenza con mille cassetti, in cui ognuno mette quello che gli pare. E adesso anche mio padre lo fa. E penso: Come sei ipocrita, Yoyo... Perche non provi niente? Su, devi provare qualcosa, in fondo hai sempre desiderato che...» Afferro il suo bicchiere, bevve il vino in un
sorso e aspiro l’ultimo alito di vita dalla sigaretta. «Hai desiderato tanto che lui parlasse con te. Anche mentre Kenny premeva la sua fottuta pistola contro la mia testa, pensavo: No, non voglio morire senza sapere cosa ha mandato a rotoli la sua vita... Ma adesso che lo so mi sento... satura.» Jericho rigirava il bicchiere tra le dita. «E nel contempo svuotata», continuo lei. «È assurdo, no? Niente riesce a toccarmi. Come se questo non fosse il mondo che conoscevo, ma solo una copia. Tutto mi sembra fatto di cartapesta. » «E pensi che nulla tornera come prima.» «È questo che mi spaventa, Owen. Forse il mondo non ha proprio niente che non va, e sono io la copia di me stessa. Forse la vera Yoyo e stata davvero ammazzata da Xn.» Jericho si fisso i piedi. «In un certo senso, e proprio cos.» «Xn mi ha rubato qualcosa, quella notte. Se l’e portato via. Me l’ha portato via. Non riesco piu a provare le emozioni che dovrei provare. Non sono nemmeno in grado di tributare a mio padre il rispetto che merita. O di avere un crollo emotivo degno di questo nome.» «Perché non e ancora finita.» «Lo rivoglio. Voglio tornare a essere me stessa.» Si accese un’altra sigaretta. Di nuovo calo il silenzio. Tacquero, ognuno perso nei propri pensieri. «Non ci siamo ancora svegliati, Yoyo.» Jericho guardo verso il soffitto. «È questo il nostro problema. Da tre giorni dico a me stesso che non voglio piu sapere niente di Hydra. Di Xn e di tutti i fantasmi che danzano sulle mie palpebre mentre gli altri dormono. Riempio la mia vita di cose futili, cerco di vivere nel modo piu normale possibile, eppure mi sento fuori posto. Come se fossi finito su un palcoscenico...» «S, proprio cos!» «E prima, dopo la nostra telefonata, ho capito. Siamo ancora imprigionati in questo incubo, Yoyo. C’illudiamo di essere svegli, ma non e cos. Non e ancora finita.» Sospiro. «In realta sono ossessionato da Hydra. Non ho scelta: devo continuare a lavorare al caso, mettere ordine nella cantina in cui da decenni ammasso morti apparenti. Hydra e una metafora della mia vita. È la risposta alla domanda: ’Come devo andare avanti?’ È necessario per me affrontare questi fantasmi, in modo che io possa liberarmi di loro, anche se cio significa giocarsi la ragione. Non posso, non voglio andare avanti cos. Non ce la faccio piu a vivere in questo modo, capisci? Voglio finalmente svegliarmi dall’incubo. » Altrimenti rimarremo intrappolati per sempre in un mondo immaginario, penso. E non saremo mai persone reali, ma solo echi dei nodi irrisolti del passato. «E... hai continuato a lavorare al caso? Al nostro caso?»
«S. Nelle ultime due ore. Prima che arrivassi tu, stavo giusto per telefonare a Madrid.» «A Madrid?» «A un gruppo petrolifero di nome Repsol.» Vide che l’entusiasmo accendeva i tratti della ragazza, percio le racconto delle sue ultime indagini, le fece vedere l’e-mail di Loreena Keowa e le illustro le sue teorie. A ogni parola, Hydra entrava piu a fondo nel loft, le sue teste allungavano il collo, li fissavano coi loro occhi gialli. Nel tentativo di liberarsi del mostro, lo richiamavano in vita, ma qualcosa era cambiato. Il mostro non era arrivato per aggredirli alle spalle o per dare loro la caccia: erano stati loro a chiamarlo. Per la prima volta, Jericho si sent piu forte del serpente. Alla fine seleziono il numero dell’azienda spagnola. «Certamente!» rispose un uomo. «Loreena Keowa! Ho cercato piu volte di mettermi in contatto con lei, perché non mi risponde? » «Ha avuto un incidente... È morta», rispose Jericho. «Santo cielo! È terribile.» L’uomo fece una pausa. Quando riprese a parlare, una punta di diffidenza traspariva dalla sua voce. «E lei e...?» «Un detective privato. Cerco di portare avanti il lavoro di Miss Keowa e di chiarire le circostanze della sua morte.» «Capisco.» «Lei le aveva chiesto alcune informazioni, vero?» «Be’, s.» «Su un incontro che si e svolto a Pechino e al quale ha partecipato Alejandro Ruiz prima della sua scomparsa?» «S...» «Sto seguendo proprio questa pista. Forse a quell’incontro hanno partecipato le persone che hanno sulla coscienza Ruiz e Loreena Keowa. Mi sarebbe di grande aiuto se potesse mettermi a disposizione le informazioni che ha raccolto.» «Ecco...» L’uomo esito. «D’accordo, perché no? Mi terra al corrente degli sviluppi? Vorrei proprio sapere cos’e accaduto a Ruiz.» «Certamente.» «Allora: nel 2022, Ruiz era appena stato nominato direttore del settore strategico. Ha fatto fuoco e fiamme per conquistare nuovi ambiti di attivita. Alcune delle multinazionali petrolifere all’epoca pensavano a possibili joint-venture, e cos si sono svolti dei colloqui a Pechino, che sono proseguiti per una settimana... » «Perché proprio a Pechino?» «Per nessun motivo particolare. Potevano benissimo aver luogo in Texas o in Spagna. Forse perché si parlava di un progetto congiunto tra la Repsol, l’EMCO e la societa petrolifera
cinese Sinopec. Il promotore della joint-venture ha proposto di coinvolgere nei colloqui tutti i maggiori esponenti del settore, trasformando l’incontro in un vero e proprio summit. Le riunioni sono proseguite per una settimana intera. Ruiz ne era felice. Diceva che forse sarebbero riusciti a cambiare qualcosa.» «Ha idea di cosa volesse dire con ’cambiare qualcosa’?» «Se devo essere sincero, no.» «E dove si e tenuto il summit?» «Nel centro congressi della Sinopec alla periferia di Chaoyang, una circoscrizione a nordest di Pechino.» «E Ruiz era di buonumore?» «Per la maggior parte del tempo s, anche se i colloqui indicavano chiaramente che ormai la partita era persa. Ma difficilmente le cose potevano peggiorare. L’ultimo giorno del summit ha chiamato per dire che, se non altro, quella settimana non era stata una perdita di tempo, e che verso sera ci sarebbe stata un’ultima riunione, un incontro informale, per esaminare alcune idee.» «E anche questo incontro e avvenuto nel centro congressi?» «No, nella circoscrizione di Shuny, in un’abitazione privata. Almeno cos ci ha detto. Il giorno seguente, Ruiz sembrava abbattuto e turbato. Gli ho chiesto com’era andato l’incontro. Lui ha reagito in modo strano. Ha detto che non avevano cavato un ragno dal buco e che aveva lasciato la riunione anzitempo.» «Sa chi erano gli altri?» «Ruiz ha accennato al fatto che partecipavano rappresentanti dei principali colossi mondiali... suppongo che noi fossimo i pesci piu piccoli. Russi, americani, cinesi, inglesi, sudamericani, arabi. Un vero summit internazionale. Ma, a quanto pare, non e servito a molto.» Io non ne sarei tanto sicuro, penso Jericho. «Avrei bisogno di un elenco dei partecipanti ufficiali al summit», disse. «Esiste ancora qualcosa del genere?» «Glielo mando. Mi dia il suo indirizzo e-mail.» Jericho gli forn i suoi dati e lo ringrazio. Promise di farsi vivo non appena ci fossero state novita, chiuse la comunicazione e guardo Yoyo. «Cosa ne pensi?» «Un incontro non ufficiale cui partecipano pezzi grossi delle multinazionali petrolifere», mormoro lei. «E Ruiz se ne va prima che finisca. Perché?» «Forse non si e sentito bene. La spiegazione piu semplice.» «Alla quale pero noi non crediamo.» «Ovviamente no. Se n’e andato perché ha capito che non sarebbero arrivati da nessuna parte. Magari perché c’e stata una lite, o perché lui non condivideva quello che e stato deciso.»
«Se fosse stato arrabbiato e basta, ne avrebbe spiegato il motivo ai suoi collaboratori o alla moglie. Invece non ha detto niente. » «Si sentiva minacciato.» «Temeva che potessero metterlo a tacere perché non voleva collaborare.» «Cosa che hanno fatto, a quanto pare.» «E chi sono loro?» «Be’, stiamo pensando la stessa cosa, vero?» Quella notte, Yoyo resto da lui, ma non accadde nulla. Bevvero un’altra bottiglia di vino e lui la tenne tra le braccia, stupito dal fatto di volerla solo consolare: una ragazza intelligente, piena di talento e bellissima, sopraffatta dal peso di diventare adulta, che aveva gia destabilizzato il Partito eppure conservava gli atteggiamenti di una teenager, una sfrontatezza snervante e immatura, priva di qualsiasi connotazione erotica. Gli sembrava che Yoyo non volesse crescere, almeno finché tutto non si fosse appianato, consentendole una giovinezza piu serena di quella che aveva avuto fino a quel momento. Lui invece desiderava soltanto cancellare quella fase della sua vita, tirare una riga sui tristi anni della maturazione. Non c’era da meravigliarsi se entrambi non riuscivano a provare quello che avrebbero dovuto provare, come aveva detto Yoyo. Mentre rifletteva su quelle cose, si sent piu leggero. C’era qualcun altro con loro nella stanza. Jericho alzo lo sguardo e vide se stesso, un timido ragazzino accovacciato nella penombra, in un angolo del loft. Intontita dal vino e dall’ansia, Yoyo fissava il vuoto davanti a sé, mentre al ragazzino si riempivano gli occhi di lacrime per la delusione, per il fatto che le ragazze come lei lo cercassero sempre e solo per parlare. Il suo naso sproporzionato era troppo grande per il volto dai tratti infantili e i capelli avevano bisogno di uno shampoo. Era un essere umano che amava tutto e tutti piu di se stesso. Come odiava quel piccolo perdente, che non riusciva a capire perché un uomo adulto tenesse tra le braccia una ragazza che avrebbe potuto avere senza neppure dichiararle il proprio amore. All’improvviso non la desiderava piu? Perché l’aveva desiderata, vero? Jericho guardo il ragazzino accovacciato, avvert la paura che lo paralizzava e lo divorava, il terrore di essere inadeguato, di fallire, di essere rifiutato. E d’un tratto smise di odiarlo. Incluse anche lui nell’abbraccio, lo perdono e gli assicuro che non aveva nessuna colpa. Gli comunico la sua compassione. Gli spiego che era necessario che scomparisse dalla sua vita - non solo fisicamente, com’era gia successo molto tempo prima - e gli promise che, prima o poi, entrambi avrebbero trovato la pace. Il ragazzino si dissolse. Di certo sarebbe ricomparso ma, per quella notte, si erano rappacificati. Il mondo ora sembrava piu concreto e colorato. A un certo punto, Yoyo si era addormentata, russando sommessamente, un rumore melodioso e conciliante. Lui non aveva chiuso occhio, ma non si sentiva stanco. Con cautela,
sollevo la ragazza, scivolo giu dal divano e la fece sdraiare. Lei mormoro qualcosa, si rigiro sul fianco e si rannicchio in posizione fetale. Lui la osservo, chiedendosi quale persona sarebbe emersa una volta che lei si fosse spogliata di quel vestito da eterna teenager. Senza dubbio una persona molto affascinante. S, sarebbe cresciuta e sarebbe stata felice. Ma ancora non lo sapeva. Sarebbe riuscita a provare tutto, non quello che doveva provare, non quello che voleva provare, ma semplicemente quello che provava. Quasi le nove. Jericho prese il cellulare, si sposto in cucina e preparo un caffe forte. Adesso sapeva cosa doveva fare per inchiodare quei bastardi. Era arrivato il momento di fare una telefonata. «Ho ripensato alla tua offerta», disse. Patrice Ho sembro sorpreso. «Non mi aspettavo di risentirti cos presto.» «Alcune decisioni si prendono subito o mai piu.» «Owen, prima che tu aggiunga altro... Mi dispiace se sono stato scortese. Penserai che non sono mai soddisfatto.» «Spero proprio che tu non lo sia», replico Jericho. «Nell’interesse dei risultati, intendo. Quindi continuero a sostenerti nelle indagini sulla pedofilia.» «Tu continuerai...?» Una breve pausa. «Sei un vero amico. Sono in debito con te, ora piu che mai.» «Okay. Allora adesso vorrei riscuotere una parte del mio credito. » «E io saro felice di aiutarti!» «Aspetta a dirlo. Quello che ti chiedero potrebbe non piacerti. » «Questo lo davo per scontato», disse Ho in tono asciutto. «Bene, allora ascolta. Nell’ultima settimana dell’agosto 2022 a Pechino, piu precisamente nel centro congressi della Sinopec nella circoscrizione di Chaoyang, si e svolto un incontro fra le multinazionali del petrolio. Ti faro avere l’elenco dei partecipanti. L’ultimo giorno del summit, la sera del 1º settembre, alcune di queste persone si sono riunite in modo informale nella circoscrizione di Shuny. Non so chi abbia partecipato a questa riunione, ma e probabile che si tratti di personaggi di un certo rilievo. Inoltre non so dove esattamente si e svolto l’incontro.» «E vuoi che io lo scopra. Capisco. Sembra una cosa di routine. E cosa non dovrebbe piacermi?» «La seconda parte della mia richiesta.» «Che sarebbe?» «Te lo diro solo dopo aver avuto la risposta alla prima parte. » «D’accordo. Me ne occupo subito.» Jericho sent la vita ritornare a scorrere nelle vene. La preda si era trasformata in cacciatore. Controllo la casella di posta: l’uomo della Repsol gli aveva mandato il programma com-
pleto del summit: vi avevano partecipato proprio tutti i rappresentanti dei principali gruppi petroliferi che contavano o avevano contato qualcosa nel settore. Scorse la lista e si blocco, esterrefatto. Ma certo. C’era da aspettarselo. Eppure... Inoltro la documentazione a Ho, diede un’occhiata a Yoyo, che dormiva ancora profondamente, torno in cucina e inizio a sfornare teorie. A un certo punto, tutte le tessere del puzzle andarono a posto. Nel tardo pomeriggio - ancora ubriaca di sonno, Yoyo se n’era andata, non senza avergli chiesto di essere aggiornata sugli ultimi sviluppi -, Patrice Ho lo richiamo. «Tre anni non sono pochi», esord, cercando di creare una certa suspense. «Ma forse sono riuscito nell’impresa. Non so ancora chi abbia partecipato all’incontro, ma posso dirti con una certa sicurezza chi lo ha ospitato.» «Si e tenuto in un’abitazione privata, vero?» «Gia. A Shuny non ci sono installazioni della Sinopec, ma ci abita il direttore strategico dell’azienda. Ci siamo presi la briga di fare qualche piccola indagine su di lui e abbiamo scoperto che il suo stile di vita e nettamente al di sopra delle sue possibilita... anche se non e una cosa insolita. Il suo nome e Joe Song. Ha rappresentato la Sinopec nel summit. Questa informazione puo esserti utile?» «Credo di s.» Un nome, un altro nome. Doveva capire se aveva fatto centro. «Grazie. È un ottimo inizio.» «Bene. Adesso arriva la parte che non mi piacera.» «S. Dovete introdurvi nel computer di Song. Forse mi sbaglio e quell’uomo non ha niente da nascondere. In caso contrario... » «Owen, ascoltami bene. Una promessa e una promessa, okay? Ma, prima di muovermi, ho bisogno di qualche altra informazione. A cosa stai puntando?» «Forse a salvare la reputazione del governo cinese.» «Ah.» «Mi prometti che mi aiuterai?» «Come ho gia detto...» «Allora ascolta. Ti spieghero tutti i retroscena. Poi ti diro cosa devi cercare.» Venti minuti dopo, quand’era abbastanza sicuro che l’uomo della Repsol avesse bevuto il suo primo cafe con leche, Jericho richiamo Madrid. «Posso rubarle ancora un paio di minuti?» «Ma certo.» «Lei ha detto che, all’epoca del summit, si parlava di una possibile joint-venture tra la Sinopec, la Repsol e l’EMCO, e che l’iniziativa era stata proposta da qualcuno. Si ricorda da chi?»
«Certo.» L’uomo gli disse il nome. «È stato lui a organizzare il summit e a proporre Pechino come sede dei colloqui. La Sinopec lo aveva apprezzato molto. I cinesi adorano che le sorti del mondo vengano decise a casa loro.» «Grazie. Lei mi ha aiutato moltissimo.» La persona che aveva proposto l’incontro... Jericho sogghigno. Vide Hydra allungare le teste, minacciarlo, spalancare le fauci. Ma, a poco a poco, il mostro inizio a ripiegarsi su se stesso e ad arretrare. Quella notte, Jericho dorm un sonno profondo e senza sogni. Fino a mezzogiorno non ci furono novita. Poi lo chiamo Ho. Sembrava eccitato come due settimane e mezzo prima, quando Jericho gli aveva comunicato l’arresto di Animal Ma Lípíng. «Incredibile», esclamo. «Avevi ragione!» Il cuore di Jericho perse un colpo. «Cosa avete trovato, esattamente? » «Quel simbolo. Quella bestia simile a un serpente, come si chiamava?» «Hydra.» «Sul computer aziendale di Song. Nascosto tra altri programmi. Per ricostruire le sue email, pero, dobbiamo mettere le mani sul disco fisso.» «Non dovrebbe essere un problema. Avete prove sufficienti per arrestarlo.» «Owen, questo potrebbe...» Ho ansimava. «Questo potrebbe favorire il mio ingresso a Pechino...» Jericho sorrise. «Lo so. Andate a prendere quel tizio. Troverete dati che sembrano semplice rumore bianco, ma con l’icona del serpente potrete rapidamente ricostruire messaggi di senso compiuto.» «Ti richiamo... Ti richiamo!» «Aspetta!» Jericho inizio a camminare avanti e indietro. «Ci servono i nomi degli altri partecipanti. Solo in apparenza questo e il complotto di un intero settore. In realta, e una cospirazione che ha coinvolto poche persone. Dobbiamo trovarle. In modo rapido e mirato, cos che nessuna possa sottrarsi alla cattura. Forse riuscirai a strappare una confessione al nostro amico, illustrandogli le attenuanti del caso.» «Per esempio che potra tenere la testa attaccata al collo», ringhio Ho. «Ma dai. Pensavo che la pena di morte fosse stata abolita nel 2021.» «È cos. Ma posso sempre minacciarlo di farla reintrodurre apposta per lui. Sapremo presto chi sono i suoi complici, puoi starne certo!» «Bene. Se non parla, dovremo controllare ogni singolo alibi. Sara un lavoraccio.» «Non necessariamente. Credo che le aziende abbiano tutto l’interesse a far luce sulla vicenda. In tempi come questi, nessuno e disposto a giocarsi la reputazione.»
«Comunque sia, deve essere un’azione concertata. Dovete informare l’MI6 e i servizi segreti americani, oltre a quelli di tutti i Paesi coinvolti. Tra poco parlero con l’Orley Enterprises... quindi promettimi che la polizia cinese sara pronta a collaborare. Anche cos sarete ricoperti di gloria.» «Tu sarai ricoperto di gloria, Owen!» Era quello che voleva? Essere ricoperto di gloria? Forse s, come aveva suggerito Yoyo. Lui, Yoyo e Tian se l’erano meritato. Ma, oltre a quello, a Jericho sarebbe bastato dormire bene un’altra notte come quella appena trascorsa. Nel primo pomeriggio, Joe Song, lo stratega della Sinopec, fu arrestato nel suo ufficio. Lui finse di cadere dalle nuvole, e gli inquirenti si misero al lavoro. Proprio come i restauratori rimuovono il colore strato per strato, in modo da svelare le opere d’arte nascoste sotto la patina del tempo, cos i poliziotti riportarono alla luce le e-mail di Song. Grazie al programma di decodifica, il rumore bianco si trasformo in un documento il cui contenuto sarebbe bastato per sbattere Song in prigione per il resto dei suoi giorni. Lui nego tutto. Per tutta la sera e tutta la notte continuo a sostenere di non avere nulla a che fare con gli attentati, di non sapere nulla di un’organizzazione chiamata Hydra, e di non avere la minima idea di come quell’icona e il messaggio fossero finiti nel computer della Sinopec. Nel frattempo, una squadra di polizia mise a soqquadro la sua casa, sotto lo sguardo atterrito della moglie, e trovo un’altra piccola Hydra pulsante nel computer personale di Song. Ma il manager si ostinava a non collaborare. Dopo una notte in prigione e due colloqui coi suoi avvocati, il pomeriggio del 6 giugno - all’interno di una stanza insonorizzata - Patrice Ho gli illustro in modo molto convincente la desolazione della vita che lo attendeva, non senza mostrargli una via d’uscita in caso decidesse di confessare. Le parole di Joe Song si trasformarono in un fiume inarrestabile. Jericho ascolto, estasiato, il racconto di Ho. Subito dopo chiamo Jennifer Shaw. A Londra erano le nove del mattino, e lui era quasi contento di rivederla. «Owen? Come sta?» «Adesso abbastanza bene. E lei?» «Un formicaio e un monastero zen a confronto con la Big O. Stiamo portando avanti diverse indagini, ognuno segue il filo delle proprie congetture e non si riesce a fare un passo senza rimanere impigliati da qualche parte.» «Da quello che mi dice, non sembra che abbiate chiarito molto. » «Se non altro siamo riusciti a scoprire che la direttrice del Gaia Hotel era una ex agente del Mossad. Comunque sono felice che lei abbia chiamato, Owen. Julian sembra che si sia sdoppiato. Lavora ventiquattr’ore al giorno, ma so che aveva intenzione di chiamarla alla
prima occasione.» «Lui c’e?» «È in giro. Vuole che la faccia richiamare?» «Ho una proposta migliore, Jennifer. Vada a prenderlo.» «A quanto pare non ha chiamato solo per un saluto. Non e cos?» Lui sorrise. «Quello che ho da dirvi le piacera.» Poco dopo erano tutti riuniti nel suo loft, proiettati a grandezza naturale sulla parete olografica di Tu Tian, e Jericho scopr le sue carte. Orley non lo interruppe nemmeno una volta, incupendosi e irrigidendosi sempre piu fino a diventare un massiccio roccioso che incombeva sui suoi occhi azzurri. Pero, quando alla fine lui si rivolse a Jennifer, la sua voce era calma e rilassata. «Faccia preparare un elicottero per l’aeroporto», disse. «Da l prenderemo il jet. Andiamo a fargli visita.» «Adesso?» chiese Jennifer. «E quando, senno?» «Detto francamente, non ho la piu pallida idea di dove sia in questo momento. Pero, d’accordo, riusciremo a...» «Non ce n’e bisogno», la interruppe Orley con un sorriso feroce. «Io so dov’e. Me l’ha detto subito dopo il nostro rientro. Quando mi ha chiamato per manifestarmi il suo cordoglio.» «Come vuole», disse Jennifer, rassegnata. «Mi dia un’ora per fare i bagagli. Informi l’Interpol, l’MI6, ma dica loro che non devono rubarci la scena.» Orley si alzo. «Owen... Vuole venire con noi?» «Dove?» Orley gli disse il nome della citta. Non era molto lontana... per un inglese dotato di un mezzo di locomozione adeguato. All’improvviso, gli venne da ridere. «Io sono a Shanghai, Julian. » «E allora?» Orley si guardo intorno, come per dimostrare che non c’erano problemi. «Questo e il suo momento, Owen. A chi importa della distanza? A me no di sicuro. Prenda il primo jet ad alta velocita, le pago io il biglietto.» «È molto gentile da parte sua, ma...» «Gentile? Si rende conto di quello che le devo? La porterei anche in spalla, se fosse necessario. No, facciamo un’altra cosa, non abbiamo uno dei nostri jet mach-4 nei paraggi? Lo verifichi, Jennifer: credo che uno si trovi a Tokyo, no? La veniamo a prendere, Owen. E porti anche Tu Tian e quella meravigliosa ragazza... » «Julian, aspetti.» «Non e un problema. Davvero.»
«Ho cose piu importanti da fare», avrebbe voluto dire. «Devo trovare l’equilibrio confuciano tra una lampada a stelo e un tappeto, perché questa e la mia vita.» Ma non voleva offendere Orley, anche perché, proprio come aveva previsto Jennifer, quell’uomo gli piaceva. Aveva un carisma che avrebbe indotto chiunque a lanciarsi con lui in qualsiasi avventura, senza la minima esitazione. «Non posso muovermi, in questo momento», disse. «Ho dei clienti, e sa com’e... non voglio piantarli in asso.» «No, certo, ha ragione.» Orley si gratto la barba, palesemente insoddisfatto della situazione. Poi poso di nuovo il suo sguardo azzurro su di lui. «Ma forse esiste un modo per farla partecipare, pur restando a Shanghai... Owen, mi dica: riesce a dormire tranquillo senza aver messo la parola fine su questa faccenda? » «No», ammise lui in tono stanco. «Ma questa non e piu la mia...» Non trovava la parola giusta. «Crociata?» completo Orley. «La capisco, amico mio. Lo so. Lei deve scrivere la sua storia, non la mia. Ascolti comunque la mia proposta. Sara un’apparizione breve, pero lei non dovrebbe perdersela, Owen. Non dovrebbe perdersela per niente al mondo! » VENEZIA, ITALIA Il record di specchio piu grande del mondo mai costruito dall’uomo se lo contendevano il Large Binocular Telescope Observatory in Arizona, sulla cima del Mount Graham - due specchi, ciascuno con un diametro di circa otto metri e mezzo e pesante sedici tonnellate -, e l’Hobby-Eberly Telescope in Texas, costituito da celle riflettenti, con una superficie di undici metri per dieci. Ma non c’erano dubbi su quale fosse lo specchio piu bello del pianeta. In un’epoca di alluvioni globali, piazza San Marco, a Venezia, sbaragliava ogni concorrenza. Gerald Palstein era seduto davanti al Caffe Florian, circondato da un flusso incessante di turisti, che lo infastidiva proprio come lo affascinava l’acqua alta che, ormai da anni, sommergeva piazza San Marco. Per godersi quello spettacolo era pronto ad accettare la presenza invasiva dei visitatori, anche perché il loro comportamento si stava a poco a poco modificando. Persino i gruppi di turisti giapponesi ora mostravano una certa esitazione ad attraversare la piazza nelle giornate di sole come quella, disturbando la quiete dell’acqua che arrivava alle caviglie e nella quale si specchiavano la basilica, il campanile e i palazzi circostanti: un mondo fondato sull’acqua e cresciuto sull’acqua, uno sguardo simbolico sul futuro. Inevitabilmente, a mano a mano che la laguna si alzava, la citta sprofondava nel mare, quasi fossero due amanti inseparabili, uniti anche a costo di perire nell’abbraccio. A parte quello, in citta nulla era cambiato. Il campanile con l’orologio si stagliava come sempre verso il cielo col suo passaggio verso le Mercerie, il pannello di lapislazzuli blu indicava le fasi lunari e solari e i segni zodiacali e i guardiani di bronzo segmentavano la Terra e l’Universo in ore scandite dalle campane, mentre una brezza quasi impercettibile ac-
carezzava lo specchio, grande poco piu di un chilometro quadrato, e sfiorava l’immagine riflessa senza dissolverla, come se fossero all’opera gli spiriti di Salvador Dal e Friedensreich Hundertwasser. Palstein gratto i deliziosi residui di zucchero sul fondo della tazzina di espresso. La moglie non aveva voluto accompagnarlo, perché era impegnata nei preparativi del suo viaggio in un ashram che visitava periodicamente da quando, a un vernissage, aveva conosciuto un guru capace di ammaliare la sua anima e il suo conto in banca. In realta, era meglio cos. Se era solo, non era costretto a parlare, a fingere un interesse che non provava, a confrontarsi con cose che preferiva dimenticare. Poteva godere del benefico silenzio della Venezia riflessa nell’acqua, sentendosi come Alice passata attraverso lo specchio per visitare il mondo celato dall’altra parte. Rumore. Urla. Risa. Un gruppo di adolescenti attraverso schiamazzando la piazza e lo specchio d’acqua divenne una macchia confusa. L’illusione svan. Che stupidi, rovinare un’opera d’arte del genere. L’illusione di un’opera d’arte. Palstein li segu con lo sguardo, troppo stanco per arrabbiarsi. Non era sempre cos? Si costruiva qualcosa con tanto impegno, portandolo alla perfezione, poi arrivavano un paio di ragazzini e rovinavano tutto. Pago il conto - esorbitante per l’espresso e il sottofondo di musica da camera -, attraverso le arcate della Piazzetta fino al bacino di San Marco, dove il Palazzo dei Dogi confinava con l’acqua piu profonda, e segu le passerelle fino ai giardini della Biennale. L vicino, nel tranquillo sestiere di Castello, ceno nella Hostaria da Franz, considerata dagli esperti il miglior ristorante di pesce di Venezia, chiacchiero con Gianfranco, il vecchio proprietario, un uomo che aveva avuto esperienze degne di Alexander von Humboldt e che nulla riusciva a far stare fermo, a parte forse un paio di bicchieri vuoti, poi si accomiato da lui e da suo figlio Maurizio con un abbraccio e prese un taxi che lo porto fino a Palazzo Loredan. Quando ancora navigava nell’oro, l’EM-CO aveva acquistato quel magnifico edificio rinascimentale e, nella frenesia seguita al declino, aveva dimenticato di disfarsene. Il palazzo era ancora a disposizione dei dirigenti, ma per lungo tempo era rimasto deserto. Cos Palstein, spinto dal suo amore per Venezia e dall’idea che nulla fosse piu consono alla sua situazione di quell’immagine per eccellenza della transitorieta, era volato fin l per una settimana di vacanza. Il sole era basso sul canale. Il rumore dei vaporetti e delle barche da carico si mescolava col ronzio di eleganti barche a motore e con le voci dei gondolieri, creando un sottofondo che nessun’altra citta al mondo era in grado di offrire. Dal momento che il pianterreno era sott’acqua, Palstein entro nel palazzo attraverso un ingresso situato piu in alto e raggiunse il
piano nobile grazie a una scala di legno. La luce pomeridiana illuminava una serie di divani e poltrone disposti intorno a un basso tavolo di vetro. In una delle poltrone era seduto Julian Orley. Palstein si fermo, interdetto. Poi accelero il passo, attraverso la sala e allargo le braccia. «Julian!» esclamo. «Che sorpresa!» Orley si alzo. «Scommetto che non ti aspettavi questa visita. » «No, davvero!» Palstein lo abbraccio, e l’altro ricambio l’abbraccio, stringendolo un po’ troppo forte... o almeno cos gli parve. «Da quando sei a Venezia?» «Sono arrivato un’ora fa. Il custode ha acconsentito a farmi entrare dopo essersi convinto che non ho intenzione di rubare i candelabri in vetro di Murano.» «Perché non mi hai chiamato? Avremmo potuto cenare insieme. Invece ho dovuto gustarmi il migliore rombo della mia vita in splendida solitudine.» Palstein si avvicino a un piccolo bar, prese due bicchieri e una bottiglia e si volto. «Grappa? Prime Uve, morbida e gradevole.» «Portala qui.» Julian si rimise seduto. «Dobbiamo brindare, vecchio mio. Abbiamo qualcosa da festeggiare.» «S, il tuo ritorno.» Palstein esamino l’etichetta e riemp i due bicchieri a meta. Poi si sedette di fronte a Julian. «Brindiamo alla sopravvivenza. Alla tua sopravvivenza.» «Buona idea.» Sollevo il bicchiere, bevve un sorso di grappa e lo poso sul tavolo. Poi apr una borsa, estrasse un computer portatile e lo accese. «Infatti brindare alla tua sopravvivenza sarebbe come festeggiare il futuro di un impiccato. Se capisci cosa intendo.» Continuando a sorridere, Palstein sbatté le palpebre. «No, se devo essere sincero.» Il monitor s’illumino. Una videocamera trasmise l’immagine di un uomo che gli sembrava di conoscere. Ma certo: era Jericho. Quel maledetto detective. «Buonasera, Gerald», esord Jericho. Palstein esito. «Salve, Owen. Cosa posso fare per lei?» «Quello che ha gia fatto una volta, alla Big O. Aiutarci. Allora ci ha aiutato davvero molto, ricorda?» «Certo. Avrei voluto fare di piu.» «Bene. Adesso ne ha la possibilita. So che Julian ha diverse domande da farle, ma io prima devo raccontarle alcune cose. Sara felice di sapere che abbiamo risolto il mistero dell’attentato di Calgary...» Palstein non fece commenti. «... benché io temessi di perderci il sonno.» Jericho rise, come se rammentasse un ostacolo ormai superato. «Perché vede, Gerald, se qualcuno avesse voluto liberarsi di lei, dopo essere riuscito a infiltrare Lars Gudmundsson nella squadra addetta alla sua sicurezza...
perché avrebbe avuto bisogno di una sceneggiata come quella di Calgary? Perché Gudmundsson non l’ha semplicemente uccisa a casa sua? Gia alla Big O ho avuto la sensazione che l’intero attentato fosse una messinscena, ma a vantaggio di chi? A un certo punto, ho pensato che Hydra, un’organizzazione che credo lei conosca, volesse presentare al mondo un attentatore cinese, in caso Xn, a Calgary, venisse inquadrato da una telecamera. E di certo questo era uno dei motivi, visto che Hydra ha cercato con determinazione di spargere indizi a carico della Cina: da un lato, perché i cinesi sono il capro espiatorio ideale; dall’altro, perché un conflitto aperto dopo il successo dell’operazione Monti della luce eterna avrebbe ulteriormente ostacolato i progetti di sfruttamento del suolo lunare delle superpotenze. Tuttavia, persino considerando la questione da questo punto di vista, l’attentato non aveva senso. Chi, come noi, ha conosciuto Kenny Xn, sa che coltiva una vera passione per le munizioni a flechettes. A Quyu, a Berlino, sul tetto della Big O, si e sempre servito di proiettili di questo tipo. Invece a Calgary si e accontentato di armi piu modeste. La ferita che lei ha riportato e stata dolorosa, certo, ma niente di piu. Sono sicuro che una chiacchierata coi suoi medici potra confermarcelo.» Palstein fissava il fondo del suo bicchiere. «E poi... Se lo lasci dire da chi e riuscito a sfuggire a Xn piu volte e l’ha visto uccidere. È un tiratore fenomenale. Se ha la visuale libera, di certo non manca l’obiettivo solo perché la vittima inciampa. Comunque, anche ipotizzando che il suo piccolo passo falso abbia deviato il primo proiettile dalla testa alla spalla, il secondo l’avrebbe sicuramente colpita prima che lei potesse toccare terra.» Jericho fece una pausa, quindi riprese: «Lei e stato colpito, Gerald. Tuttavia, per quanto possa aver rischiato e investito, non sarebbe stato nel suo interesse essere ferito in modo serio. E io conosco pochissimi tiratori scelti in grado di mettere a segno un colpo preciso come quello di Calgary: ferire in modo superficiale un uomo mentre questi simula una caduta. Un autentico capolavoro, dopo il quale nessuno avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare che lei avesse lasciato a Gabriel - o vogliamo continuare a chiamarlo Hanna? - il suo posto nel gruppo di Julian. Era improbabile che qualcuno scoprisse i dettagli sull’operazione, e comunque lei avrebbe avuto un alibi perfetto. La scoperta del video da parte di Loreena Keowa non puo averla preoccupata, vero? Aveva messo in conto anche questa eventualita». «Ho sempre ammirato Loreena per il suo acume», mormoro Palstein. Stava ascoltando Jericho con palese interesse. «Ne sono certo. Ma poi Loreena ha ’dissotterrato’ Ruiz, collegandolo con un certo incontro avvenuto tre anni fa a Pechino. E questo lei non se lo sarebbe mai aspettato. Era un problema, un grande problema.»
«Ho messo piu volte in guardia Loreena», sospiro Palstein. «Lei probabilmente non ci credera, ma avrei davvero voluto risparmiarle la vita. Mi piaceva molto.» «E Lynn?» intervenne Julian con voce amara. «Cosa mi dici di Lynn? Lei non ti piaceva?» «Ero disposto a sacrificare...» «... la vita di mia figlia?» In silenzio, Palstein fece scivolare l’indice lungo il bordo del bicchiere. «Sette persone a Quyu», riprese Jericho. «Dieci persone a Vancouver, Vogelaar, Nyela. Anche Norrington probabilmente si era immaginato un epilogo diverso per la sua collaborazione... Solo per curiosita, chi si e occupato di Greenwatch?» Palstein s’irrigid. «È stato Gudmundsson. Dovevamo impedire che si tenesse una riunione di redazione. Gli ho detto di sparire subito dopo.» «Cosa che, ancora una volta, ha rafforzato la sua condizione di vittima: Gerald Palstein, tradito da tutti. Posso approfittare dell’occasione per chiederle cos’e accaduto ad Alejandro Ruiz?» Doveva raccontare come Xn e Gudmundson avessero prelevato lo spagnolo mentre la citta di Lima ancora dormiva e, dopo averlo portato al largo, lo avessero gettato in mare? Quello che squali, granchi e batteri non avevano ancora divorato riposava nella silenziosa oscurita della fossa oceanica peruviana. No, troppi dettagli. Dovevano arrivare al punto. «Era un debole», disse allora. «Si opponeva con vigore all’elio-3, ma pensava che noi ci saremmo accontentati di far saltare in aria un paio di macchine estrattive. Il 1° settembre, quando Hydra si e riunita in casa di Song, ho capito di averlo sopravvalutato. Al contrario di tutti gli altri, devo dire. Ho selezionato con cura le teste di Hydra: mi ci sono voluti mesi. Dovevano essere uomini in grado di dirottare grosse somme di denaro verso progetti di copertura senza sollevare curiosita o sospetti. Ma, sopra ogni cosa, dovevano essere pronti a tutto. Come mi aspettavo, quando io e Xn abbiamo presentato l’operazione Monti della luce eterna, la reazione e stata entusiasta. Solo Ruiz e caduto dalle nuvole. È diventato pallido come un cencio e se n’e andato.» «Ha minacciato di tradire Hydra?» «Era scontato che lo avrebbe fatto.» «Quindi il suo destino era segnato.» Palstein si passo una mano sugli occhi. Era stanco. Terribilmente stanco. «E come pensate di dimostrare tutto cio?» chiese. «È tutto gia dimostrato, Gerald. Joe Song ha confessato. Conosciamo l’identita di tutte le teste di Hydra: in queste ore, stanno ricevendo la visita delle rispettive autorita. Sono convinto che saranno trovate icone a forma di serpente e messaggi camuffati da rumore bianco nei
computer di diverse grandi multinazionali petrolifere. Davvero un’impresa titanica, Gerald, oltre ogni confine e ogni ideologia. Lei e stato il promotore della joint-venture tra la Sinopec, la Repsol e l’EMCO, ha allargato l’incontro di Pechino trasformandolo in un summit... ma e con Hydra che entrera nella Storia... Solo che il suo nome non sara associato a qualcosa di positivo. A proposito, come ha fatto a trovare un tipo come Xn?» «Sta facendo la domanda sbagliata, Owen», intervenne Julian, che fino ad allora era rimasto in silenzio. «La domanda giusta e: come ha fatto Xn a incappare in un tipo come Gerald?» «In Africa», rispose Palstein, calmissimo. «Nella Guinea Equatoriale, nel 2020, quando Mayé era ancora interessante per l’EMCO.» «Perché tutto questo, Gerald? Perché?» chiese Julian. «‘Perché’cosa?» «Perché ti sei spinto tanto oltre?» «Stai parlando seriamente?» Palstein lo fisso, costernato. «Per difendere i miei interessi, proprio come tu difendi i tuoi. Gli interessi del mio settore.» «Con le bombe atomiche?» «Credi davvero che io non abbia fatto di tutto per risolvere i problemi in modo diverso? Lo sanno tutti quanto ho lottato per mettere sull’avviso i dinosauri, ma loro hanno continuato ad avanzare, sordi e ciechi ai miei richiami, diretti verso il punto in cui sarebbe caduto il meteorite che ne avrebbe segnato l’estinzione. Potevamo dire la nostra nel settore delle energie alternative. Invece abbiamo perso tutte le occasioni: abbiamo rinunciato a comprare la Lightyears di Locatelli, per esempio, portandolo cos dalla nostra parte, anche se era gia chiaro che l’elio-3 avrebbe determinato la nostra fine. Ho persino cercato di entrare nel mercato dell’elio-3, come ben sai, pero non mi hanno lasciato stringere accordi con te.» «Cosa che avresti fatto ora.» «Se il piano fosse fallito, s. Non se le due bombe atomiche avessero distrutto le infrastrutture per l’estrazione dell’elio-3, ritardandone lo sfruttamento di decenni.» D’un tratto salto in piedi e serro i pugni. «Avevo calcolato tutto, Julian. Quali conseguenze avrebbe avuto distruggere solo l’ascensore spaziale? Cosa sarebbe successo con un’unica bomba alla base Peary? Soltanto un doppio attacco prometteva risultati ottimali. Gli americani sarebbero stati costretti a utilizzare di nuovo razzi convenzionali per portare sulla Terra l’elio-3, proprio come la Cina. Ma cio non sarebbe mai accaduto. Tutti sanno che la Cina e in perdita... Comunque, anche ammesso che si fosse decisa a compiere un simile passo, la quantita di elio-3 sarebbe stata trascurabili. Avresti dovuto costruire un altro ascensore spaziale, una nuova stazione... Ti ci sarebbero voluti almeno vent’anni, se non altro perché non avresti mai ricevuto i finanziamenti con la stessa rapidita della prima volta. E solo con la ripresa dei viaggi spaziali fra
l’orbita terrestre e la Luna avresti potuto ricostruire l’infrastruttura in loco... altri decenni di lavoro.» «Ma tra quaranta, cinquant’anni sara finita comunque. Sarete alla fine, perché le risorse saranno esaurite!» «Quarant’anni, s!» sbottò Palstein. «Avremmo avuto altri quarant’anni per fare affari. Quattro decenni di sopravvivenza, durante i quali sarebbe stato possibile rimediare a quello che gli idioti prima di me hanno distrutto. Potevamo riorganizzarci. Cinque anni fa, ho fatto analizzare i possibili scenari in caso di successo dell’estrazione dell’elio-3 e della sua commercializzazione. Il risultato era indiscutibile: saremmo stati annientati. Dovevamo fare qualcosa per contrastarvi!» «Noi?» sussurro Julian. «Tu e la tua banda di folli vi arrogate il diritto di parlare in nome di un intero settore? Di migliaia e migliaia di persone per bene?» «Migliaia di persone che avrebbero perso il proprio posto di lavoro!» urlò Palstein. «L’intera economia mondiale e in ginocchio. Guardati intorno! Svegliati! Quanti Paesi, quante persone che sopravvivono grazie al petrolio vengono danneggiati dall’elio-3? Ci hai mai pensato?» «E pensare che qualcuno ti ha definito la ’coscienza verde’ del settore...» «Perché lo sono!» ansimo Palstein. «Ma talvolta e necessario agire tradendo le proprie convinzioni. Credi che altri quattro decenni di economia fondata sul petrolio avrebbero arrecato al pianeta piu danni di quanti non ce ne siano gia? Saremo anche una banda di folli, ma...» «No», disse la voce di Jericho dal laptop. «Lei non e un folle, Gerald. È un calcolatore, quindi molto peggio. Come ogni canaglia, trova il modo di attribuire la colpa dei propri crimini alle circostanze. Lei e... banale.» Palstein tacque e si lascio cadere sulla poltrona. «Perché proprio questo viaggio sulla Luna?» chiese Julian con un filo di voce. «Perché nel 2024 c’e stato un imprevisto. Un astronauta di nome Thorn avrebbe dovuto...» «Non hai capito. Perché questo viaggio e non il successivo? Perché proprio il viaggio cui abbiamo partecipato io e i miei figli, Warren Locatelli, i Donoghue, Miranda Winter...» «Non m’importava nulla dei tuoi ospiti, Julian», sospiro Palstein. «Era la prima buona occasione dopo il fallimento di Thorn. Quando avrebbe avuto luogo il prossimo viaggio? Solo dopo l’inaugurazione ufficiale. Quest’anno? L’anno prossimo? Quanto avremmo dovuto aspettare?» «Ma avra messo in conto il fatto che Julian avrebbe potuto morire», disse Jericho.
«Sciocchezze.» «La sua morte avrebbe rafforzato la frangia piu conservatrice all’Orley», riprese Jericho. «Quella formata da chi si oppone alla svendita delle tecnologie. E, meno Paesi sono in grado di costruire l’ascensore, piu e remota la possibilita che ne venga rapidamente costruito un secondo...» «Sta lavorando di fantasia, Owen. Se lei non avesse rovinato tutto, al momento delle esplosioni Julian sarebbe gia stato al sicuro, sulla Terra. E sarebbero stati al sicuro anche i suoi figli.» Dalle finestre entrava il rumore smorzato delle imbarcazioni che solcavano il canale. Proprio sotto di loro, qualcuno cantava con professionale fervore O sole mio. «Ma noi non eravamo sulla Terra», disse Julian. «Non era questo il piano.» «Me ne sbatto del tuo maledetto piano. Hai oltrepassato ogni limite, Gerald.» «E tu? E i tuoi amici americani? Non fate anche voi quello che noi abbiamo fatto per decenni? Volete estrarre qualcosa dal suolo finché non ce ne sara piu. Senza contare che avrete distrutto un corpo celeste. Voi quale limite state oltrepassando? Tu quale limite oltrepassi, gestendo la tua azienda come uno Stato che detta le regole agli Stati veri? Credi di essere migliore di me? Se non altro, i gruppi petroliferi servivano i propri Paesi. Tu chi servi, se non la tua vanita? Gli Stati sociali non possono esistere senza organi statali... Tu ti comporti come un moderno capitano Nemo e disprezzi il mondo e il modo in cui funziona. Noi abbiamo solo giocato la partita imposta dalle circostanze. Guarda l’umanita: le sue guerre pulite e giuste, il crollo ciclico dei suoi sistemi finanziari, il cinismo degli approfittatori, la mancanza di scrupoli e la stupidita dei politici, la perversione dei leader religiosi... Non venire a farmi la morale sui limiti.» Julian si gratto la barba e si alzo. «Chissa, magari hai ragione, Gerald. Pero questo non cambia nulla. Owen, grazie per il tempo che ci ha dedicato. Noi ce ne andiamo.» «Stia bene, Gerald. O anche no», disse Jericho. L’immagine sul monitor scomparve. Julian chiuse il laptop e lo ripose nella borsa. «Prima, quando sono entrato nella tua meravigliosa residenza, di sotto ho notato una piccola lapide: nel mezzanino di un’ala laterale di questo palazzo e morto Richard Wagner. E sai una cosa? Mi piace. Mi piace l’idea che i grandi uomini muoiano in grandi palazzi.» Prese la giacca, ne estrasse una pistola e la poso sul tavolo davanti a Palstein. I suoi occhi azzurri lo fissarono in modo quasi gentile, incoraggiante. «È carica. Di solito basta un colpo, ma tu sei un grande uomo, Gerald. Davvero un grande uomo. Potrebbero servirti due colpi.» Si giro e percorse la sala senza fretta. Palstein lo segu con lo sguardo finché i capelli brizzolati di Julian non scomparvero in fondo alle scale. Poi afferro il cellulare e seleziono un
numero. «Hydra», disse seccamente. «Cosa posso fare per lei?» «Venirmi a prendere. Sono stato scoperto.» «Scoperto?» Xn tacque per un istante, poi disse: «Sa, Gerald, credo che il mio contratto sia appena scaduto». «Mi sta piantando in asso?» «Mi sembra una definizione sbagliata. Mi conosce, sono leale e non temo nessun pericolo, ma in casi senza speranza... e il suo purtroppo e un caso senza speranza...» Palstein deglut. «Cosa... pensa di fare?» Xn rimase in silenzio per qualche secondo, come se volesse riflettere. Quindi mormoro: «Be’, a dire il vero, e stato un periodo piuttosto stressante. Credo di avere bisogno di una vacanza. Stia bene». «Stia bene.» Era la seconda persona che glielo diceva. S’irrigid. Abbasso il cellulare. Poteva udire distintamente alcune voci al piano inferiore. Il suo sguardo si poso sulla pistola. Sulle scale lo aspettavano gli uomini dell’Interpol e dell’MI6. Jennifer gli lancio un’occhiata interrogativa. «Dategli un minuto», disse Julian. «Non so se sia il caso. Potrebbe fare qualche gesto avventato », si preoccupo uno degli agenti. «S, appunto.» Julian si fece largo per passare. «Jennifer, andiamocene. Devo occuparmi di mia figlia.» LONDRA, INGHILTERRA Polvere di stelle. Immersa nel sonno, si era persa in un sogno ed era tornata nel silenzio della navicella spaziale che sfrecciava nella notte scintillante di stelle, con a bordo lei e la bomba. Aveva rivissuto tutto: dal piano di caricare la mini-nuke nel modulo abitativo all’idea di sganciarlo e di tornare all’OSS a bordo dell’unita di atterraggio. Da Tim e Amber e Julian, che aveva pianto a lungo mentre la chiamava. Col pensiero gli aveva promesso che non lo avrebbe mai lasciato solo, ma i pensieri erano tutto cio che era ancora in grado di controllare. Non era molto. Poi era arrivato il momento in cui, in un lampo di lucidita, la bomba le aveva svelato la verita, cioe che mancavano alcune ore alla detonazione, non minuti o secondi come aveva creduto. Che aveva ancora una possibilita. Nella pioggia di perle del suo sangue si era addormentata. Eccomi, papa. Sto arrivando.
Sono qui. Clong. Uno di quei rumori che vengono percepiti come un disturbo, anche se annunciano la salvezza, perché in realta si e gia trovata la pace. In mancanza di un’alternativa, ovvio. Ma lei aveva davvero trovato la pace prima che lo shuttle con a bordo Julian, Nina, Tim e Amber si agganciasse al Charon. Lo shuttle su cui viaggiava Lynn non era stato rifornito di carburante all’OSS e aveva soltanto finito il propellente. Ancor prima di raggiungere la velocita massima. Pero lei non si era accorta di nulla. Voci intorno a lei. Persone avvolte in tute spaziali. «Lynn? Lynn!» Incoscienza. Brandelli di parole. Suoni ovattati. «Quanto tempo abbiamo?» «Poco meno di cinque ore. Sufficienti per riportare entrambi gli shuttle alla stazione.» «Credo che Lynn sia stabile.» La voce di Nina. «Ha perso molto sangue, pero credo che...» Di nuovo silenzio. Poi una voce che si ripeteva all’infinito: «E adesso buttate fuori quell’affare!» Fuori quell’affare, fuori quell’affare, fuoriquellaffare, fuoriquellaffarefuoriquell... «Lynn.» Sbatté le palpebre. Una stanza di ospedale. Ritorno al presente. Un attimo, non si chiamava cos un film con... Oh, ma che importa? «Come ti senti?» disse Julian. «Ho sognato.» Si mise a sedere. Il fianco sinistro le faceva male, ma ogni giorno si sentiva un po’ meglio. Quella maledetta Dana Lawrence per un pelo non l’aveva uccisa. «Eravamo a bordo dello shuttle.» Cielo, se aveva fame. Una fame da lupi. «Un incubo, in realta sempre lo stesso.» «Adesso e passato.» «Oh, non importa. Non era cos terribile.» Sbadigliò «Prima o poi riusciro a sognare qualcosa di diverso.» «No, adesso e davvero passato, Lynn.» Le prese la mano e sorrise, il sorriso da mago che la incantava quand’era piccola. «L’incubo e finito.» XNTINDÌ, SHANGHAI, CINA «Yoyo potrebbe anche chiamare, qualche volta», si lamento Jericho.
Tu Tian pesco un fascio di spaghetti collosi dalla scatola di carta che sostituiva le stoviglie del suo pranzo. «E tu potresti farti vedere, ogni tanto», disse masticando. «Invece di limitarti sempre a telefonare. Ti sei seppellito in quello stupido loft.» «Ho molto da fare. Davvero.» Tu Tian lo guardo con sufficienza. La montatura dei suoi occhiali dava l’impressione di essere sul punto di spezzarsi in due all’altezza del naso. «Devi occuparti anche dei tuoi amici», lo rimprovero. «Cosa ne dici di stasera? Andiamo fuori a cena, una cosa in grande stile. Con un sacco di cose da bere.» «Chi ci sara?» «Un sacco di gente. Anche Yoyo, se ha smesso di frignare. Non fa altro da due giorni: sto pensando di costruire una diga nell’ala riservata agli ospiti. Incredibile. Non fa altro che produrre lacrime. In quantita industriale.» «E Hongbng?» «Piange anche lui. Sono uniti come non mai.» «Mi sembra una bella cosa.» «S, certo», ringhio Tu Tian. «Tanto non sei tu che te li devi sorbire. Cosa mi dici di stasera?» «D’accordo.» «Bene. Non avrei accettato un ’no’, xiongd!» Jericho rimase seduto per un po’. Poi ando in cucina a prepararsi un cappuccino. Passo accanto a quella che aveva iniziato a chiamare «la strana coppia»: Jack Lemmon e Walter Matthau travestiti da lampada a stelo e da tappeto, un accostamento che continuava a non volersi conformare ai principi confuciani dell’armonia. Si fermo a osservare i due oggetti. Poi li prese, li porto in cantina e torno a osservare l’angolo. E, finalmente, inondato solo di luce, libero e ordinato, gli piacque. Adesso era perfetto. Limit PERSONAGGI Anand, Ashwini Membro dello staff del Gaia Hotel. Si occupa degli ospiti e di logistica. Black, Peter Capo della spedizione al Gaia Hotel, pilota di shuttle. Conosce il nome di tutti i crateri lunari.
Borelius, Eva Ospite di Julian Orley. Compagna di Karla Kramp. Scienziata e imprenditrice, amministratore delegato del laboratorio di ricerca tedesco Borelius-Pharma. Celebre per la sua freddezza teutonica, ama la musica classica e i cavalli. Bruford, Sid Ex dipendente del gruppo petrolifero EMCO, in Canada. Disoccupato, sogna una carriera da attore. Chambers, Evelyn Ospite di Julian Orley. Influente personaggio televisivo americano, conduttrice del talk show Chambers. Odiata dal Partito repubblicano per la sua bisessualita dichiarata. Dotata di brillante spirito analitico, attenta e curiosa. Chen Hongbng Venditore di automobili. Padre di Yoyo e amico di Tu Tian. Cordiale ma chiuso in se stesso, con un passato misterioso. Crippen, Jan Direttore tecnico della base americana Peary, Polo Nord lunare. Daxiong (Guangao) Fondatore del gruppo di dissidenti informatici i Guardiani, capo del club motociclistico City Demons e titolare dell’officina meccanica Demon Point. Dotato di una straordinaria forza fisica, con una passione sfrenata per la Francia. deLucas, Minnie Medico e specialista di sistemi di sopravvivenza della base americana Peary, Polo Nord lunare. Si occupa della ricerca finalizzata all’allevamento di animali domestici sulla Luna. Diane Computer di Owen Jericho. Donner, Andre Proprietario del ristorante africano Muntu, a Berlino. Marito di Nyela Donner. Ha un passato oscuro. Donner, Nyela Moglie di Andre Donner. Originaria del Camerun. Donoghue, Aileen Ospite di Julian Orley. Moglie di Chuck Donoghue. Amministratore delegato della Xanadu, una catena di alberghi e casino. Ha un atteggiamento materno e invadente. Donoghue, Chuck Ospite di Julian Orley. Marito di Aileen Donoghue. Fondatore e amministratore delegato della Xanadu, una catena di alberghi e casino. Pugile dilettante e repubblicano intransigente,
e chiassoso e affabile, e si diletta a raccontare pessime barzellette. Edwards, Marc Ospite di Julian Orley. Marito di Mimi Parker. Fondatore e amministratore delegato della societa di microchip quantistici Quantime. Ama gli sport estremi e le immersioni subacquee. Sostenitore della teoria creazionista. Funaki, Michio Sous chef e barman del Gaia Hotel, specializzato in sushi. Gore, Kyra Pilota dello shuttle della base americana Peary, Polo Nord lunare. Gudmundsson, Lars Guardia del corpo di Gerald Palstein per conto dell’agenzia Eagle Eye. Hanna, Carl Ospite di Julian Orley. Investitore canadese, particolarmente attivo nel settore delle energie alternative. Solitario ma simpatico, viaggia sempre con la sua chitarra. Haskin, Ed Responsabile del settore tecnico dell’Orley Space Station, OSS. Hedegaard, Nina Capo della spedizione al Gaia Hotel, pilota di shuttle. È romantica e molto acuta. Ha una relazione con Julian Orley. Ho, Patrice Funzionario di alto rango della polizia di Shanghai. Amico di Owen Jericho. Ambizioso di natura, si e spesso avvalso dell’aiuto di Jericho e gli deve un favore. Hoff, Edda Dirigente del settore sicurezza dell’Orley Enterprises. Pallida, inespressiva ed estremamente affidabile. Holland, Sid Reporter dell’emittente ambientalista Greenwatch. Ama portare in giro amici e colleghi con la sua vecchia Thunderbird. Hsu, Rebecca Ospite di Julian Orley. Fondatrice e amministratore delegato della Rebecca Hsu, un’azienda di Taiwan che commercializza marchi di lusso. Ossessionata dal lavoro e incapace di stare sola, combatte una battaglia senza speranza contro il sovrappeso. Hudsucker, Susan Direttrice dell’emittente ambientalista Greenwatch. Capo di Loreena Keowa. Prudente, talvolta indecisa.
Island-II Programma di supporto psicoterapeutico. Jagellovsk, Annie Astronoma e pilota della base americana Peary, Polo Nord lunare. Jericho, Owen Detective informatico di origine inglese, finito a Shanghai per un amore sfortunato. Ottimo investigatore, audace e dotato di un grande talento nell’apprendimento delle lingue straniere. Soffre di solitudine ed e vittima dei propri incubi. Viene incaricato di cercare Yoyo dall’amico Tu Tian. Jia Keqiang Comandante dell’impianto di estrazione cinese dell’elio-3, Sinus Iridum, Luna. Nazionalista, ma nel contempo favorevole alla cooperazione tra i popoli. Jn Jia Wei Studente universitario. Membro del gruppo di dissidenti informatici i Guardiani e del club motociclistico City Demons. Keowa, Loreena Reporter dell’emittente ambientalista Greenwatch. Nativa americana del popolo tlingit. Fervente ecologista, di aspetto elegante. È determinata a far luce sul tentato omicidio di Gerald Palstein. Kokoschka, Axel Chef del Gaia Hotel. Geniale in cucina, impacciato e di poche parole in pubblico. Kramp, Karla Ospite di Julian Orley. Tedesca. Compagna di Eva Borelius. Medico chirurgo, dotata di un forte spirito critico. Spesso pone domande scomode. Ama gli scacchi. Laurie, Jean-Jacques Geologo della base americana Peary, Polo Nord lunare. Lawrence, Dana Direttrice e responsabile della sicurezza del Gaia Hotel. Distaccata e scrupolosa. Lee, Bernard («C») Direttore dell’MI6. Leto Ex mercenario. Amico di Jan Kees Vogelaar a Berlino. Liao Ye Braccio destro di Daxiong. Operaio dell’officina meccanica Demon Point e membro del club motociclistico City Demons. Di corporatura esile, ma coraggioso e leale.
Liu, Naomi Segretaria di Tu Tian presso la Tu Technologies. Elegante, adora il te alla fragola. Locatelli, Warren Ospite di Julian Orley. Marito di Momoka Omura. Americano con radici italo-algerine. Fondatore e amministratore delegato del gruppo Lightyears, attivo nel settore fotovoltaico. Irascibile ed egocentrico, eppure dotato di un certo fascino. Ama le imprecazioni, le corse automobilistiche e le regate veliche (ha vinto la Coppa America). Lurkin, Laura Personal trainer responsabile dell’area fitness dell’Orley Space Station, OSS. Ma «Animal» Lpng Gestore del Paradiso dei Piccoli Imperatori, un circolo di pedopornografi. Affetto da coxalgia e da problemi alla vista. Estremamente pericoloso. Maas, Svenja Attraente dottoranda presso l’Istituto di medicina legale dell’ospedale universitario Charité, a Berlino. Maggie (Xiaomei Q) Studentessa universitaria. Membro del gruppo di dissidenti informatici i Guardiani e del club motociclistico City Demons. Maye, Juan Alfonso Generale africano e, per un certo periodo, presidente della Guinea Equatoriale. Successore di Teodoro Obiang in seguito al colpo di Stato del 2017. Corrotto e megalomane. Merrick, Tom Impiegato del settore sicurezza dell’Orley Enterprises. Specialista delle comunicazioni. Moto, Severo Oppositore di Teodoro Obiang in Guinea Equatoriale. Nan Mou Membro dell’equipaggio dell’impianto di estrazione cinese dell’elio-3, Sinus Iridum, Luna. Nair, Mukesh Ospite di Julian Orley. Marito di Sushma Nair. Fondatore e amministratore delegato della catena di supermercati Tomato. Figlio di contadini, ama la gente semplice e vede sempre il lato positivo delle cose. Nair, Sushma Ospite di Julian Orley. Moglie di Mukesh Nair. Medico pediatra. È affabile e a volte un po’ apprensiva. Ndongo, Juan Aristide
Presidente della Guinea Equatoriale dopo il rovesciamento del generale Mayé. Tenta di governare con metodi legali. Norrington, Andrew Vicecapo del settore sicurezza dell’Orley Enterprises. Responsabile per la sicurezza degli ospiti di Julian Orley. Obiang, Teodoro Presidente della Guinea Equatoriale fino al 2015. Ögi, Walo Ospite di Julian Orley. Marito di Heidrun Ögi. Investitore e architetto svizzero. Uomo di mondo, edonista, con un debole per la musica rock degli anni ’90. Cordiale, tende all’esibizionismo e alla spavalderia. Ögi, Heidrun Ospite di Julian Orley. Moglie di Walo Ögi. Albina, ex spogliarellista ed ex attrice di film porno, e poi diventata fotografa. È molto schietta. O’Keefe, Finn Ospite di Julian Orley. Irlandese. È diventato una star internazionale dopo aver interpretato il film Perry Rhodan. Beniamino della critica e idolo delle donne, e timido e solitario, ma coltiva la sua immagine di ribelle. Nel suo passato, ci sono parecchi eccessi. Omura, Momoka Ospite di Julian Orley. Moglie di Warren Locatelli. Giapponese. Attrice di film sperimentali, eccentrica e arrogante. Orley, Amber Ospite di Julian Orley. Moglie di Tim Orley. Insegnante. Donna tanto in gamba quanto semplice, funge da mediatrice fra Tim e il padre. Orley, Crystal Moglie di Julian Orley, morta dopo aver trascorso gli ultimi mesi di vita in uno stato d’infermita mentale. Orley, Julian Ex produttore cinematografico. Fondatore e amministratore delegato dell’Orley Enterprises. È l’uomo piu ricco del mondo. Immagine da rockstar, disinvolto, carismatico, marcata propensione al comando, prova una dichiarata antipatia per i governi nazionali. Inventore dell’ascensore spaziale e organizzatore del viaggio sulla Luna. Orley, Lynn Figlia di Julian Orley e amministratore delegato dell’Orley Travel, divisione turistica del gruppo Orley. Perfezionista, psichicamente instabile. Architetto del Gaia Hotel. Partecipa al viaggio sulla Luna organizzato dal padre Julian.
Orley, Tim Figlio di Julian Orley. Insegnante. Da sempre in rapporto conflittuale col padre. Partecipa al viaggio sulla Luna organizzato da Julian e cerca di proteggere Lynn da un nuovo esaurimento nervoso. Palmer, Leland Comandante della base americana Peary, Polo Nord lunare. Palstein, Gerald Direttore strategico del gruppo petrolifero EMCO, Texas. Esteta, affascinato dai numeri, ha combattuto per anni perché la sua azienda investisse nel settore delle energie alternative. È scampato per miracolo a un attentato. Parker, Mimi Ospite di Julian Orley. Moglie di Marc Edwards. Stilista e creatrice del marchio Mimi Kri per capi di abbigliamento adatti all’assenza di gravita. Ama gli sport estremi e le immersioni subacquee. Sostenitrice della teoria creazionista. Reardon, Mickey Ex membro dell’IRA, specializzato nella disattivazione degli impianti di allarme. Rogacev, Oleg Ospite di Julian Orley. Marito di Olympiada. Amministratore delegato della Rogamittal, colosso russo dell’acciaio. In ottimi rapporti col Cremlino e con la mafia russa. Appassionato di sport da combattimento e tifoso di calcio. È un maniaco dell’autocontrollo. Rogaceva, Olympiada Ospite di Julian Orley. Moglie di Oleg Rogacev. Figlia dell’ex presidente Maksim Ginsburg e deputato del parlamento russo. Poco appariscente, alcolizzata, soffre per il pessimo rapporto col marito. Ruiz, Alejandro Direttore strategico del gruppo petrolifero Repsol. Scomparso in Peru nel 2022. Shaw, Jennifer Direttrice del settore sicurezza dell’Orley Enterprises. Competente e autoritaria, e dotata di un peculiare senso dell’umorismo. Sina Reporter di cultura e societa dell’emittente ambientalista Greenwatch. Collabora alle ricerche di Loreena Keowa. Song, Joe Direttore strategico del gruppo petrolifero cinese Sinopec, a Pechino. Song, Tony
Studente universitario. Membro del gruppo di dissidenti informatici i Guardiani e del club motociclistico City Demons. Stagista Collaboratore di Loreena Keowa presso l’emittente ambientalista Greenwatch. È una buona forchetta e un abile ricercatore. Tautou, Bernard Ospite di Julian Orley. Marito di Paulette Tautou. Amministratore delegato della Suez Environnement, colosso dell’acqua franco-inglese. È galante, ma incline all’autocompiacimento. Tautou, Paulette Ospite di Julian Orley. Moglie di Bernard Tautou. Ha un carattere accondiscendente e uno stomaco delicato. Thiel, Sophie Vicedirettrice del Gaia Hotel. Responsabile dell’amministrazione e dei sistemi di sopravvivenza. È allegra e disinvolta e ha un fiuto da detective. Thorn, Vic Comandante del primo equipaggio della base americana Peary, Polo Nord lunare. Abile astronauta e playboy. Morto nel 2024 in seguito a un incidente sull’OSS. Tu Joanna Pittrice, ex compagna di Owen Jericho e moglie di Tu Tian. Elegante e mondana, ha un atteggiamento beffardo e distaccato nei confronti del mondo. Tu Tian Fondatore e amministratore delegato della Tu Technologies, azienda di Shanghai attiva nel settore dell’olografia e degli ambienti virtuali. Golfista e uomo d’affari di talento, dotato di una spiccata autostima. Confidente di Yoyo, amico di vecchia data di Chén Hongbng e amico intimo di Owen Jericho. Vogelaar, Jan Kees Mercenario. Membro del governo della Guinea Equatoriale sotto il generale Mayé. Estremamente astuto. Segni particolari: un occhio di vetro. Voss, Marika Direttrice dell’Istituto di medicina legale dell’ospedale universitario Charité, a Berlino. Wachowski, Tommy Vicecomandante della base americana Peary, Polo Nord lunare. Wang, Grand Cherokee Studente universitario. Coinquilino di Yoyo con L Zhang. È addetto all’ottovolante Silver Dragon nel World Financial Center di Shanghai. È un debole e un esibizionista.
Winter, Miranda Ospite di Julian Orley. Ex modella e occasionalmente attrice. Ingenua e incolta, d’indole cordiale e chiassosa. Chiama per nome i suoi seni. Woodthorpe, Kay Collaboratrice del gruppo di ricerca per i sistemi biorigenerativi dell’Orley Space Station, OSS. Yoyo (Chen Yuyun) Studentessa universitaria. Figlia di Chén Hongbng. Fondatrice del gruppo di dissidenti informatici i Guardiani. Membro del club motociclistico City Demons. Canta in un gruppo musicale mando-prog, ama i party e gli eccessi. È bellissima e assai esigente. Xn, Kenny Agente segreto. È un esteta e un nevrotico. Yn Zy Studentessa universitaria. Membro del gruppo di dissidenti informatici i Guardiani e del club motociclistico City Demons. Zhang L Studente universitario. Coinquilino di Yoyo insieme con Grand Cherokee Wang. Zhao Bde Collaboratore temporaneo di Owen Jericho. Vive a Quyu. Come Jericho, e sulle tracce di Yoyo. Zheng Pang Wang Fondatore e amministratore delegato del gruppo Zheng, multinazionale cinese della tecnologia, promotrice del programma spaziale cinese. Zhou Jnpng Membro dell’equipaggio dell’impianto cinese di estrazione dell’elio-3, Sinus Iridum, Luna. Limit RINGRAZIAMENTI Sono moltissimi gli articoli, le pubblicazioni tecniche, i documentari, le fotografie e i film che mi hanno aiutato durante la stesura di Limit, così tanti che sarebbe impossibile elencarli tutti. Perciò mi sento in dovere di ringraziare di cuore gli autori, i giornalisti, gli scienziati, i fotografi e i registi al cui lavoro ho potuto attingere durante le mie ricerche. Naturalmente questo romanzo non avrebbe visto la luce se alcune persone speciali non mi avessero dedicato parte del loro prezioso tempo. Per ampliare le mie conoscenze su astronauti, stazioni e navicelle spaziali, basi lunari, satelliti, comunicazione interplanetaria, giacimenti lunari di elio-3 e tecnologie di estrazione, trattati spaziali e, in ultima analisi, le mie cognizioni sulla Luna in generale e sul futuro dei pro-
grammi spaziali, è stato determinante il contributo di: Thomas Reiter, astronauta sull’ISS e sulla Mir, membro del consiglio direttivo del Centro aerospaziale tedesco, il Deutsches Zentrum für Luft- und Raumfahrt (DLR), Colonia-Porz; Kerstin Rogon, collaboratrice di Thomas Reiter, DLR, Colonia-Porz; dottor Wolfgang Seboldt, divisione Missioni e Tecnologie spaziali, DLR, Colonia-Porz; dottor Reinhold Ewald, fisico e astronauta sulla Mir; professor Ernst Messerschmidt, fisico e astronauta; dottoressa Eva Hassel-von Pock, direttrice della divisione Comunicazione, centro di controllo ESA, Darmstadt; dottor Paolo Ferri, direttore della divisione Missioni planetarie nel Sistema Solare, centro di controllo ESA, Darmstadt; dottor Frank-Jürgen Dieckmann, responsabile dei progetti Envisat ed ERS/2, centro di controllo ESA, Darmstadt; dottor Manfred Warhaut, responsabile delle missioni, centro di controllo ESA, Darmstadt; dottor professor Tilman Spohn, direttore dell’Istituto di ricerca planetaria, DLR, Berlino; dottoressa Marietta Benkö, avvocato specializzata in trattati spaziali, Colonia; Ranga Yogeshwar, fisico e divulgatore scientifico. Ringrazio anche coloro che mi hanno permesso di comprendere meglio le dinamiche del settore petrolifero, le strutture dei grandi gruppi industriali, le previsioni per il futuro e il mercato in costante crescita delle energie alternative: Werner Breuers, membro del consiglio di amministrazione della Lanxess Ag; Wahida Hammond, Skywalker, Colonia; con un ringraziamento extra per i contatti e simply being why. Molto di quello che ho imparato sulle moderne tecnologie di comunicazione, sulle prospettive future della rete, sulla sicurezza informatica, sull’olografia e sugli ambienti virtuali, lo devo a: dottor Manfred Bogen, direttore della divisione Virtual Environments presso il FraunhoferInstitut für Intelligente Analyseund Informationssysteme, Sankt Augustin; Paul Frießem, direttore della divisione Infrastrutture e Processi di sicurezza presso il Fraunhofer-Institut für Intelligente Analyse- und Informationssysteme, Sankt Augustin; Thorsten Holtkämper, responsabile del progetto Virtual Environments presso il Fraunhofer-Institut für Intelligente Analyse- und Informationssysteme, Sankt Augustin; Roland Kuck, responsabile del progetto Virtual Environments presso il Fraunhofer-Institut für Intelligente Analyseund Informationssysteme, Sankt Augustin; Thomas Tikwinski, responsabile del progetto NetMedia presso il Fraunhofer-Institut für Intelligente Analyse- und Informationssysteme, Sankt Augustin;
Jochen Haas, Simply Net Datendienste, Colonia. Ho potuto approfondire le mie conoscenze relative all’architettura e alla pianificazione urbanistica, in modo particolare per quanto riguarda lo sviluppo urbano in Cina, grazie a: dottor professor Eckhard Ribbeck, Istituto di urbanistica dell’Università di Stoccarda; Ingeborg Junge-Reyer, responsabile dello sviluppo urbanistico di Berlino. La situazione attuale e le prospettive future della medicina legale mi sono state illustrate in modo realistico da: dottor Michael Tsokos, direttore dell’Istituto di medicina legale dell’ospedale universitario Charité di Berlino. Informazioni sul passato e sul presente e previsioni sul futuro della Cina, sugli usi e costumi cinesi, sui nomi cinesi nonché sull’attuale scena pop cinese mi sono state fornite da: Mián Mián, scrittrice e icona del panorama artistico di Shanghai, Wéi Butter, Master of Art, specializzato in lingue asiatiche, Bonn. Le nozioni relative a mercenari, agenzie di sicurezza private, armi e attività investigative mi sono state fornite da: Peter Nasse, direttore dell’agenzia di protezione personale Security Management Services, Colonia; Uwe Steen, ufficio Pubbliche relazioni della polizia di Colonia. Un ringraziamento particolare va a: Gisela Tolk, giudice e appassionata sinologa, che ha instancabilmente raccolto per me materiale sulla Cina; Maren Steingroß, che ha messo ordine nelle mie ricerche sulla Cina e quindi, indirettamente, anche nella mia testa; Jürgen Muthmann, che in una settimana legge più giornali di quanto io non faccia in un anno intero, e che ha attirato la mia attenzione su cose che altrimenti mi sarebbero sfuggite; Larissa Kranz, per la gradevole compagnia a tavola. Quando si scrivono romanzi molto lunghi, il rischio che si corre è quello di isolarsi dal resto del mondo, a causa di una percezione distorta dello spazio e del tempo. Si sarebbe disposti a giurare, per esempio, che è passata solo una settimana dall’ultima serata trascorsa in giro col proprio migliore amico, se non fosse che, durante una telefonata proprio con quell’amico, salta fuori che non ci si vede da almeno sei mesi. Le persone care, quelle importanti, si chiedono a vicenda in quale galassia siano stati risucchiati lo spirito e il corpo del marito, dell’amico, del parente. In effetti, mi sono fatto desiderare per un bel po’ di tempo, però non mi sono mai sentito rivolgere una sola parola di rimprovero. Al contrario, per due anni interi ho ricevuto soltanto comprensione, sostegno e pazienza. Per questo devo ringraziare di cuore i miei amici e la mia famiglia. Più di tutto, ora mi riempie di gioia il pensiero di po-
ter passare di nuovo più tempo con voi, anche perché odio stare seduto tutto solo a una scrivania! Se non esistessero portatili, batterie e prolunghe, fare lo scrittore non sarebbe il lavoro adatto a me. Mi piace stare in mezzo alla gente, quindi mi sono abituato a scrivere fuori casa, con la musica, le chiacchiere o il rumore del traffico a tenermi compagnia. Infatti buona parte del romanzo è stata composta nel locale di qualche amico, le cui attenzioni hanno avuto una certa influenza sul risultato finale. Un ringraziamento speciale va a Thomas Wippenbeck e al grandioso team del ristorante Fonda, nella zona sud di Colonia, in cui ho passato tanto di quel tempo da rischiare di essere considerato parte dell’arredamento e di essere messo, alla chiusura, a gambe all’aria sui tavoli insieme con le sedie. Sono stato coccolato pure allo Spitz, dove i camerieri hanno sempre difeso il mio posto fisso a discapito degli altri clienti. Anche gli Stern al Vintage e Romain Wack al Wackes mi hanno sempre fatto sentire a casa. Quando sentivo il bisogno di fuggire da Colonia, andavo fino a Sylt per essere coccolato sia da Johannes King e dal team del Söl’ring Hof sia da Herbert Seckler, da Ivo Köster e dai loro ragazzi dello Sansibar. Voglio ringraziare anche tutti i fantastici collaboratori della mia casa editrice per il loro impegno; soprattutto te, Helge, per la tua amicizia e per la tua incrollabile fiducia. Ma l’ultimo e più importante ringraziamento va a te, Sabina. Per quanto mi sia piaciuto volare sulla Luna con la fantasia, la parte più bella era sempre quella in cui rivolgevo lo sguardo verso la Terra. Perché lì c’eri tu.