Questo mormorio di spighe è la mietitura dei campi di battaglia ai tempi della follia degli uomini.
LIQUIDATE PARIGI! d...
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Questo mormorio di spighe è la mietitura dei campi di battaglia ai tempi della follia degli uomini.
LIQUIDATE PARIGI! di SVEN HASSEL
Traduzione dall'originale francese Liquidez Paris! di Giovanna Rosselli
2 « Mi domando se si potrebbe mai arrivare in Inghilterra a nuoto », disse Petit Frère con uno sguardo vago in direzione del mare. « Può darsi », rispose il legionario, « ma sarà duro ». « Ma non l'hanno già fatto? » « Sì, ma non è di qui che si parte. » « Senti », insistè Petit-Frère, « se io riesco ad attraversare questa maledetta zona di Rommel, e nuoto sempre diritto davanti a me, dove arrivo? » « A Dover, forse. » « No », intervenne Heide, « a Brighton ». « Che distanza c'è, all'incirca? » « Trenta o ottanta chilometri. » « Ci sono dei volontari? » domandò Porta. « In fondo si potrebbe tentare. » « Io », ghignò Gregor. « Gli altri possono star qui a farsi ammazzare per la vittoria, senza di noi. » « E voi creperete di fatica », sorrise il Vecchio. « È lontano però », borbottò Barcelona, « maledettamente lontano, e se non si tiene la direzione giusta c'è ancora un bel pezzo prima di arrivare in Islanda. Se non si arriva in Islanda non c'è che la Groenlandia, a meno che non sì riesca ad approdare sulla banchisa attraverso lo stretto di Bering». « Il bello è che sembrano seri », disse il Vecchio sghignazzando. L'allenamento cominciò. Ci mettemmo a nuotare molto al largo, così al largo che un giorno un crampo mi paralizzò e per poco non colai a picco. Dovetti la vita a Gregor. Ma una sera tutti credettero che fossero veramente partiti, fino a mezzanotte, quando li vedemmo tornare tutti rattrappiti. Assicurarono di aver visto da lontano la costa inglese. Purtroppo la cosa si venne a sapere e ci si incrociò con le sentinelle lungo la spiaggia. Notate bene che ce ne erano sempre state, ma questa volta era proprio noi che sorvegliavano.
3 CAPITOLO I
ALLA SEZIONE 91 NESSUNA TREGUA Le granate annullano qualsiasi pensiero. Il Blockhaus è sconnesso, uno dei lati quasi sommerso nella sabbia, l'altro si drizza come un moncherino grigio. Le granate sono molto peggio delle bombe; si può calcolare il punto di caduta di una bomba, e poi il fragore di una granata è infernale in confronto a quello di una bomba. Petit-Frère gioca con una bomba a mano, l'anello dondola pericolosamente fuori dalla presa. Lui e io siamo i migliori tiratori della sezione; lui le lancia a centodiciotto metri, io a centodieci, nessun altro riesce a tanto. Un'altra esplosione mostruosa... il Blockhaus vacilla. Tutto si spegne. Buio pesto. Il maggiore Hinka alza la testa per primo con l'uniforme a brandelli, il moncherino che esce da uno strappo della manica. La ferita non si è ancora cicatrizzata del tutto dopo quasi due anni che ha perduto il braccio. Un branco di topi irrompe e ci sommerge strillando. Uno si avvicina al petto di Hinka, scoprendo i suoi denti gialli. PetitFrère lo sbatte con una manata in fondo al rifugio, dove è divorato dai suoi compagni; sono topi mangiatori di cadaveri, e ce ne sono molti qui da un po' di tempo. L'artiglieria della marina spara come impazzita contro i muraglioni di cemento. I fanti sbarcati puntano su di noi, li uccidiamo con le bombe a mano. Sembra di essere nel mezzo di un gigantesco tamburo su cui picchiano senza sosta migliaia di pazzi, e questo dura da ore Porta propone una partita a 421 ma nessuno riesce a seguire il gioco. Tendiamo l'orecchio... quando attaccheranno? Speriamo che non adoperino i lanciafiamme,
4 saremmo perduti, sappiamo che non scherzano; ci hanno avvertiti : « Arrendetevi, tutti i soldati che ancora combattono saranno uccisi ». Propaganda assurda come la nostra, ci batteremo come topi, le spalle al muro. Il Vecchio si ciondola lentamente guardando il suo elmetto senza rendersi conto che io lo osservo; vedo le lagrime scendere lungo le sue guance, è un uomo che non ne può più. Un colpo spaventoso! Il tetto del rifugio si sfalda sulle nostre teste, siamo come delle cariatidi viventi. Ci precipitiamo, drizziamo dei pali con grandi colpi di martello... le gambe divaricate, cerco di tenere in piedi una pesantissima putrella con PetitFrère che non dice una parola. Tutte le mie ossa scricchiolano. Porta e il maggiore Hinka scavano freneticamente, la putrella ci schiaccia dal peso, ma per fortuna arriva Gregor. Il soffitto tiene, non siamo ancora dei sepolti vivi. Sollievo e giro di calvados. Porta riprende il tappeto verde e butta i dadi. Puntiamo due pacchetti di giras, sigarette esilaranti, ma una recluta improvvisamente urla. Il cannone gli si è rovesciato addosso, ha tutte e due le gambe schiacciate. L’infermiere gli fa una iniezione, ma non camminerà più. La paura, lentamente la paura ci prende, la follia non è lontana. Per nulla potremmo ucciderci l'un l'altro. Una nuova ondata di topi troverebbe da sfamarsi. Mettiamo via il tappeto verde, attesa... le ore scivolano via lentamente. Si impara la pazienza nell'esercito. Petit-Frère suona l'armonica battendo il tempo con tutto il suo grosso corpo coperto dalla tuta mimetizzata. È giorno o notte? Fuori non deve esserci più nulla di vivente, ormai. Un fumo denso ci nasconde il sole. Quanto tempo è passato? Settimane, ore... non lo si sa più. Porta sbatte lontano il suo elmetto, dice cose incomprensibili, passa ancora una volta le carte. Ma dobbiamo smettere, non si distinguono nemmeno più i colori, e poi guadagnare o perdere
5 non ha più alcun senso. Non si ha nemmeno più voglia di barare. Che cosa conta di più sotto un bombardamento a tappeto? Attesa... Porta apre la sua « razione di emergenza » e lo guardiamo mangiare indifferenti; lo stesso maggiore non interviene, nonostante sia una cosa assolutamente proibita. Le « razioni di emergenza » non devono essere aperte se non dopo un preciso ordine del comandante. Porta mangia servendosi di una baionetta come cucchiaio, poi beve l'acqua destinata al raffreddamento delle mitragliatrici. Nessuno protesta, che senso avrebbe? Ma è diventato pazzo, forse? Adesso si pulisce le unghie, poi è la volta del suo unico dente e si serve dello straccio con cui si tengono asciutti i fucili, e sempre con lo straccio sistema la sua dentiera. Tutto questo sorridendo. Nemmeno un bombardamento a tappeto riesce a smontare Porta. Il bombardamento sembra calmarsi. Subito si prendono in mano le armi, si toglie la sicura. Gregor piazza la mitragliatrice. Che si possa rimanere uomini in questo inferno, è uno strano mistero. I pali di difesa e i reticolati installati con cura da Rommel, tutto è scomparso, è un altro universo questo. Hinka manovra con disperazione il telefono : « Il punto d'appoggio 509 segnala uno sbarramento! » urla. «Mi sentite, perdio? Tiro di sbarramento! » Non c'è più telefono, non c'è più artiglieria. Le posizioni, gli uomini, tutto è scomparso, volatilizzato nel bombardamento più spaventoso della storia. Eccoli! Sbarcano sulla spiaggia. Un brulichio di uomini in kaki che non pensano di trovarsi di fronte a una resistenza armata. Il bombardamento aereo deve aver distrutto tutto. Ma improvvisamente i mortai da 120 lanciano una pioggia fitta di bombe... la fanteria in kaki esita: «Avanti, avanti!» urlano gli ufficiali. Le mitragliatrici li falciano a intere file. Ardono sotto il lan-
6 ciafiamme di Porta... che muoiano, perdio! È finita l'attesa tremenda, a noi di ucciderli, adesso. Cascano l'uno sull'altro; un soldato resta impigliato nel filo spinato, urla, è orribile morire presi nei reticolati; un compagno gli si avvicina ma una breve raffica di mitragliatrice lo spezza in due, il suo corpo si ripiega sul filo, atroce. « Avanti, dietro a me! » grida il maggiore Hinka. Ci buttiamo tutti verso la scaletta del rifugio, Petit-Frère e il legionario sono i primi. Trascino la mitragliatrice, l'affusto sulle spalle; con la mano che mi resta libera lancio le bombe che riesco a prendere dal mio cinturone. Proprio davanti a me intravedo un profilo, il contorno di un corpo... un elmetto piatto, un inglese. Un colpo con il calcio del fucile. Grida, corpi abbandonati sopra gli scogli. Salto oltre i reticolati, la mitragliatrice sempre sulla spalla. Un soldato inglese alza le mani, ha perduto il suo elmetto. Un calcio nel ventre, un secondo colpo col calcio del fucile... appaiono dei volti. Barcelona e io picchiamo alla cieca. Dei colpi sordi, inciampiamo in corpi insanguinati, dilaniati... indietreggiano, prima lentamente, incerti, poi buttano via caschi, armi, maschere antigas, e corrono verso il mare dove i feriti stanno annegando. Perché ci battiamo così? Per la patria, per il Führer, per l'onore, per le decorazioni, per l'avanzamento? Mai. Per istinto, per la paura di perdere una vita preziosa. Ogni minuto è un inferno; si abbandona un istante un compagno, ci si volta, non è più che un magma di carne e di sangue. Con disperazione ci sbattiamo la testa contro un muro d'acciaio, diventiamo un blocco di cinismo, ci piazziamo dietro la mitragliatrice e uccidiamo, solo per uccidere. Porta, che pensa costantemente a nutrirsi, arriva con un sacco pieno di scatole. Petit-Frère si interessa immediatamente dei denti d'oro, fruga nelle bocche dei cadaveri nonostante le recriminazioni del Vecchio che parla di consiglio di guerra. Sfiniti ci gettiamo sul piancito del rifugio, e Porta apre di furia
7 le scatole. È grasso per fucile. Quattro altre scatole, sempre grasso per fucile! Porta deve aver saccheggiato un deposito di armi, ma il legionario ha un'idea: lega quattro scatole insieme a una bomba a mano, il tutto fissato a uno spezzone di fosforo. « Fenomenale! » grida Gregor. « Domani i giornali parleranno di una nuova bomba! » L'attacco riprende... le mitragliatrici sono roventi. Barcelona manovra il grosso mortaio con i suoi guanti di acciaio a brandelli. Tra una bomba e l'altra, quasi nessuna sosta. Il nemico cammina in un pantano di sangue, e sotto il sole la sabbia bianca prende un colore rosso bruno, quasi ferruginoso. Lontano sul mare, ancora delle navi, una foresta di alberi. Dei battelli anfibi saltano sulle onde, e sull'acqua galleggiano tronconi di membra umane, l'acciaio fa crepitare le onde. Ah! Credono di aver distrutto tutta la resistenza. Ma l'attacco continua... Nuove ondate d'assalto seguono a ondate d'assalto. Un'intera armata si dirige verso la costa di Normandia, e se dovesse fallire ci vorranno degli anni per organizzare una seconda simile impresa. Deliranti per la sete, beviamo acqua del raffreddamento delle mitragliatrici. Puzza. Il sudore ci brucia la pelle... Indifferenti, guardiamo un uomo bruciare in una fiamma chiara e azzurra; è un nuovo tipo di bomba del nemico e sappiamo che contiene fosforo, s'infiamma a contatto con l'aria. Colpi di fischietto... Ordine di andare avanti! Vediamo dei moribondi aggrapparsi ai soldati che corrono, supplicando aiuto. Li calpestiamo con furore. Siamo alla controffensiva. Le granate volano in aria, esplodono, uccidono. Avanti, avanti! Gli uomini corrono come robot, mentre l'artiglieria della marina bombarda a tappeto senza tregua, indistintamente, nemici e amici. Ancora navi, sempre navi che vengono avanti. I pontoni si abbassano, la fanteria si butta sulla spiaggia; ma è formata di reclute, ha fatto solo manovre di addestramento, e per i più è il
8 battesimo del fuoco; questi giovani senza alcuna esperienza del fronte corrono proprio davanti alle mitragliatrici. Noi lentamente indietreggiamo. Degli inglesi ansanti ci arrivano addosso, proprio davanti ai nostri lanciafiamme, e cadono sul ripido pendio gessoso. Il fuoco dell'artiglieria li segue come un tappeto mobile; il Blockhaus è un cumulo di rovine, ci infiliamo nelle crepe del cemento esploso. La spiaggia ora è deserta. È il momento delle bombe a mano. Ci appiattiamo contro il suolo pieno di solchi, sventrato, che aderisce ai nostri corpi e li protegge contro i tiri radenti che schizzano intorno sibilando. Siamo ancora esseri viventi? No, non siamo che morti che si muovono, corrono, uccidono. È inutile cercare di saperne di più. Dovrebbero vederci adesso quelli del partito, questi guerrieri di Norimberga così splendidi nelle parate, questi borghesi tranquilli: metalli lucidi, trombe, bandiere al vento... Eccoci qui come bestie, in divise a brandelli, sanguinanti, esperti di omicidio. Un singhiozzo profondo mi scuote tutto; mordo il calcio del fucile, urlo, chiamo mia madre, la mia donna; gli uomini chiamano sempre il nome di una donna quando i nervi li abbandonano. È la vertigine del fronte, Dio come la conosco bene! Scappare, andarmene di qui, chi pensa più al consiglio di guerra, Torgau e tutte le loro merde... Scappare, scappare! Un ginocchio preme brutalmente sulla mia schiena, una mano ruvida mi passa sui capelli. Devo aver perduto il mio elmetto. Una barba ruvida strofina la mia guancia. Quel grosso babbeo di Petit-Frère mi parla lentamente per cercar di calmarmi. « Respira a fondo, vecchio, respira, vedrai che passa. In fondo non è poi così tremendo. Un po' di guerra, ecco, e non siamo ancora morti, via! » Ma non riesco a dominarmi, è inutile, i miei nervi cedono, in fondo ho già resistito molto e poi succede a tutti. Un'altra volta sarà il turno di Porta, poi di Petit-Frère e anche del legionario, cui è già successo una o due volte; e lui sono quasi quattordici
9 anni che fa la guerra, Petit-Frère mi asciuga il viso con lo straccio dei fucili e mi spinge in fondo alle crepe del cemento; mi infila una sigaretta in bocca, dà un calcio rabbioso alla mitragliatrice... Vedo il Vecchio che si arrampica per venire da noi. « Qualche cosa che non va? Respira forte e rimani un po' fermo lì. Il prossimo attacco tarderà ancora qualche minuto. » Mi appiccica un lungo cerotto alla ferita sulla fronte. Mi danno l'elmetto di un morto; anche se non servirà molto, almeno mi protegge gli occhi. Continuo a singhiozzare, ma sento che la sigaretta comincia a far effetto. Non sono più solo; ho quello che in fondo è la cosa più preziosa per una povera bestia del fronte, dei veri . amici. Mi strapperebbero da un inferno di fuoco senza nemmeno pensare a se stessi, sono sicuro, dividerebbero con me l'ultimo pezzo di pane. È l'unica cosa bella della guerra questa amicizia veramente sacra che soltanto chi è stato per giorni interi in una buca puzzolente di polvere da sparo può conoscere. A poco a poco mi calmo. Questa volta è passata, ma può tornare, e torna senza che si possa prevedere, improvvisamente. Il Vecchio propone una partita a carte. La schiena appoggiata al cemento, cominciamo una partita che naturalmente mi lasciano vincere, poi improvvisamente scoppiamo a ridere. Senza ragione. In fondo è come correr dietro a un gatto! Potrebbe essere molto peggio. Giorno J + I = giorno « dopo ». Il contatto col nemico per il momento è interrotto e le perdite sono terribili. Non c'è un villaggio che non sia completamente distrutto. Porta naturalmente non pensa che a trovare qualche cosa da mangiare, potrebbe mangiare una mucca intera senza fiatare. Lungo, magro, ossuto, mangia sempre: lungo, magro, ossuto, si mette in piedi, fa un grosso rutto, alza una gamba e fa un peto rumorosissimo, e gli basta vederci mangiare per farsi venir fame immediatamente. Ha sempre fame, nessuno capisce perché. Questa volta ha avu-
10 to più fortuna in una razzia di scatole di conserva. Basta grasso da fucile, abbiamo carne in scatola d'Argentina. Una vera festa! Cuciniamo dentro un elmetto, al fuoco di tavolette di mèta trovate da Petit-Frère. Come è piacevole questo piccolo fuoco sotto l'elmetto. Non sentiamo nemmeno più le bombe. Arriva il maggiore Hinka. Mangiamo con lui nel medesimo elmetto, lecchiamo anche il cucchiaio. Porta rimescola con la baionetta, condisce con un po' del suo pacchetto di sale. PetitFrère ha trovato anche del rum che mettiamo sulla carne. Un pasto splendido! Sono di guardia vicino alla mitragliatrice, ma la nebbia che sembra venire dai crateri spalancati dalle bombe copre come una coltre il paesaggio sconvolto. Dei proiettili traccianti e dei razzi solcano continuamente il cielo buio. I miei compagni dormono, raggomitolati come cuccioli. Sono solo, ho freddo, scende una pioggia lieve, si alza il vento... Mi avvolgo nel pastrano, sollevo il collo alto, caccio le orecchie sotto l'orlo dell'elmetto, ma la pioggia mi entra ugualmente nella schiena. Guardo il caricatore. Il nastro è sistemato perfettamente? I proiettili sono tutti nell'ordine esatto? Ne va della nostra vita se all'attacco la mitragliatrice dovesse incepparsi. Dal fronte nemico sento arrivare strani rumori metallici... Che stiano preparando qualcosa? Cerco di svegliarmi del tutto ma la testa mi gira... Guarda un dente di leone giallo! Certo è l'unico fiore sopravvissuto per chilometri tutt'intorno. Proprio così, anche un fiore a volte riesce a cavarsela. Come era questa campagna prima della guerra? Un prato immenso e dolce, certo, cosparso di mucche. Ma nulla di vivo è rimasto, e quelli che vi abitavano, torneranno? Povera Francia! A nord l'artiglieria comincia a crepitare. Il cielo diventa rosso vivo. È dalla parte di Caen dove stanno sbarcando gli americani, e deve essere dura. Verso sud lavorano le batterie, e seguo con gli occhi la traiettoria luminosa dei razzi. Dove vanno a cadere non resta più nulla. Porta parla mentre dorme, sogna di
11 mangiare, naturalmente. Il legionario si alza, va un momento in un angolo del rifugio, rumore d'acqua, torna e si rimette a dormire al caldo, fra Gregor e Petit-Frère che mugugna qualche cosa mezzo addormentato. Gregor comincia a russare. Io comincio a sognare. Sono vicino al locale delle caldaie di un rimorchiatore, ho quindici anni. Mi tornano alla mente le strade di Copenaghen. Era in una notte simile a questa che avevano preso Alex. Ci avevano assalito all'improvviso quei farabutti, specialisti nella caccia ai giovani disoccupati che vanno in cerca di un po' di caldo, vicino a un rimorchiatore. Ricordo, avevo dato un calcio all'inguine di uno di loro, poi tutti e due ci eravamo avviati allegri verso la Havnegade dicendoci quanto violentemente detestavamo la polizia. Ma la sera dopo avevo atteso a lungo Alex davanti alle cucine del ristorante Wivel, vicino alla stazione. Un cuoco altero distribuiva i resti delle abbondanti tavolate ai vagabondi affamati. Il mio amico Alex non venne, non l'ho più rivisto. L'avevano preso in una retata insieme a uno stupido svedese (che cosa era venuto a fare a Copenaghen?) e lo avevano spedito nello Jutland, in un centro di addestramento. Se la cavò diverse volte, fino a quel giorno che ebbe la sua fotografia sui giornali, con una bella camicia aperta sul collo. Si vedevano brillare i suoi capelli biondi, era il giorno in cui naufragò con il rimorchiatore Odin che colò a picco, e mi ricordo che quel giorno piansi. Alex era stato il mio amico di sempre, avevamo fatto le scuole insieme, dall'asilo fino alla scuola di Nyboder. Passo una mano sulla mia mitragliatrice che è qui, vicina e minacciosa; tasto il lungo nastro di proiettili. Basta togliere la sicura e semina immediatamente la morte. Dio, come odio la loro ripugnante democrazia, con le sue menzogne, le sue tirate politiche! Facile dare consigli quando si hanno i piedi al caldo. 275.000 disoccupati nella sola Copenaghen. Perché in fondo non ammazzarli tutti? L'ultimo Natale a Copenaghen ricordo che camminavo lungo le strade deserte, guazzando in mezzo
12 alla neve semisciolta. L'albero di Natale, proprio in mezzo alla Radhuspladsen, faceva oscillare appena le sue luci. È là che avevo incontrato un altro disgraziato come me, e avevamo pisciato tutti e due su quell'albero di Natale così fiero di se stesso. Quell'imbecille mi aveva proposto di fare un colpo con lui, ma avevo rifiutato. Si può anche pisciare insieme, ma non c'è ragione di finire in una cloaca. Ricordo come se fosse oggi. Scendo solo lungo la Vesterbrogade. Tutte le finestre sono illuminate. Buon Natale, buon Natale! Tutti si dicono « buon Natale », ma provate a chiedere a qualcuno un pezzo di tacchino e vi fanno volare giù dalle scale! Si sentono tutti in pace con la loro coscienza, comunque, non è forse la vigilia di Natale? Tra poco siederanno a tavola per il cenone e l'indomani, appesantiti, saranno di pessimo umore. Ma urrah ugualmente, tutto rientra nell'ordine delle cose, la luce brilla a tutte le finestre. Il giorno dopo sul tardi incontro Paul. Tutta la gente sta affrettandosi verso i cinema, oggi vengono proiettati nuovi film. Molti film di guerra e uno sulla morte di Al Capone. Un bel film, sanguinoso quanto basta e che conclude questa lunga giornata di Natale. Paul e io ci sediamo in un bar vicino al mercato di Vesterbrogade, davanti a una tazza di caffè e a un croissant in due. Eravamo così vicini al commissariato che non potevamo non sentirci protetti. « Che ne diresti di un lavoro? » mi dice Paul, « un lavoro pagato ogni venerdì? » « Non prendermi in giro. » « Non scherzo mai su queste cose, io. È un indirizzo in Germania dove pare ci sia del lavoro. Mancano di braccia, credo, e si prendono la briga di addestrarci. Un'officina di utensileria, un salario discreto. Nel giro di un anno siamo ricchi. » Lavoro, lavoro, conosco bene io queste storie, ma avrei fatto non so più che cosa per avere un po' di denaro. Per concludere, ci buttano fuori dal bar; una conversazione troppo lunga per un
13 croissant in due. « Porco! » gridiamo al cameriere. Un grosso vigile tutto brillante da capo a piedi nella sua uniforme ci ferma. « Avete voglia di farvi imbarcare? Andare, circolare! » Gli do un calcio nelle tibie e scappiamo via veloci ridendo, mentre lui si piega in due dal dolore. Ma deve essere proprio stata quella porzione di cibo data a un altro mentre si faceva la coda davanti alla cucina Wivel, che mi fa improvvisamente decidere. Quindici giorni dopo, Paul e io arriviamo a Berlino, viaggiando clandestinamente su un treno merci. Poco dopo Paul viene ucciso da una benna di cenere rovente che stavamo facendo uscire da un altoforno, e io mi arruolo nell'esercito. Per la prima volta dopo tanti anni, ho un letto tutto per me e tre pasti al giorno. In confronto agli altiforni, il servizio militare mi pare un gioco. Le mie mani bruciacchiate guariscono, le unghie ricrescono, l'abbronzatura del sole della Slesia mi rende quasi bello: per la prima volta in vita mia, riesco a raggiungere il mio peso normale, i miei denti guasti vengono curati a spese dell'esercito. Mi viene data una bella uniforme e lenzuola pulite una volta alla settimana. Mi sento improvvisamente un essere umano, sono quasi allegro, la baldanza del mio passo ne è la prova. Ho una piccola amica che mi ama, il 7° cavalleria diventa la mia famiglia, la mia prima vera casa. Dopo tutto esisto per qualcuno! Viene la guerra. Lasciamo la caserma e tutto improvvisamente si disgrega. Breslavia sparisce e vengono le strade sfondate della Polonia. La democrazia comincia di nuovo a farsi beffe di noi, e voi continuate a crederci, cretini! Torniamo a non essere più degli uomini. Fin quando riusciamo a camminare, a combattere, siamo ancora utili, ma nessuno ci dà più lenzuola pulite. Sporchi, pidocchiosi, le uniformi grigio-verde diventano incolori. Il reggimento è anonimo. Camminare, camminare! Sotto la pioggia, il sole, la neve, in mezzo alla polvere.
14 Stagni melmosi per calmare la sete, scarpe sfondate rabberciate con degli stracci, la libera uscita in mezzo a gente che ti odia. Niente più la piccola amica che ti ama, ci sono troppi soldati e i civili diventano i padroni. Che ci rimane ancora? Tre cose sicure. Una tomba solitaria lungo una strada, con un elmetto arrugginito che la indica, l'invalidità, o una lenta morte nei campi di prigionia, questo calvario dove l'animale umano vale meno di un maiale. Lo sprazzo di luce accecante di un razzo interrompe il mio strano sogno. Mi butto dietro una parete cadente del rifugio, gli altri d'istinto sono già in piedi, già pronti a combattere. Che succede nella terra di nessuno? Tolgo la sicura alla mitragliatrice; il Vecchio afferra la sua pistola lanciarazzi, la terra intorno si illumina di una luce violenta. Tendiamo l'orecchio... Rumore di motori pesanti, mitragliatrici sparse crepitano. « Carri! » bisbiglia nervoso Gregor Martin. « Vengono », mormora Porta. La manica vuota del maggiore Hinka oscilla lievemente al vento. Fissiamo le granate sulla bocca dei fucili. Il Vecchio lancia un secondo razzo... Nulla. Ma il nostro istinto non sbaglia. Sentiamo la presenza del nemico. Stiamo tutti in guardia. Silenzio. Spiamo nel buio... Scricchiolio di cingoli... Arrivano... Il Vecchio rimette in tasca la pistola lanciarazzi e prepariamo le bombe anticarro. Carri... un esercito di carri armati! L'aria trema al rumore dei motori, le catene sferragliano con il loro stridore infernale. Eccoli... Sembrano una colonna di draghi pronti a divorare una grossa preda. Li vediamo profilarsi sulla cresta della scogliera. Mitragliatrici pesanti a tiro rapido... un lungo fragore. Sotto il loro fuoco incrociato, strisciamo avanti nella terra di nessuno per piazzare il cannone Pak, 1 mentre gli artiglieri dei carri si danno da fare intorno a un luogo 75 mm. Un rombo enorme, 1
Cannone anticarro. (N.d.T.)
15 una lingua di fuoco rosso vivo, un boato come di un tuono... La granata colpisce un Churchill proprio sotto la torretta, e quello che fino a un secondo fa era un mostro di acciaio diventa una prigione di fuoco. Ancora carri! Un Cromwell è a cinquanta metri. Petit-Frère imbraccia il suo fucile mitragliatore e mira con calma; sputa il mozzicone di sigaretta, stringe le dita sul grilletto, chiude l'occhio sinistro come sempre, si morde la lingua. Preso! L'equipaggio brucia. Ora passa a un altro. Il legionario gli porge il lanciarazzi e tutti e due vi ficcano una doppia carica. È formalmente proibito, un vero suicidio, ma loro se ne infischiano. Quei disgraziati del fronte migliorano le armi ma nessuno dice loro mai grazie. Uguale scena: Petit-Frère chiude l'occhio sinistro, tira... colpisce il segno. I carri si fermano, le fiammate sono altissime, ma dietro arrivano ancora altri carri. Quanti sono? Il cannone Pak è distrutto, l'artiglieria nemica rade al suolo tutto, la morte si nasconde dietro ogni pietra, membra umane volano in aria, il soffio dell'onda esplosiva ci asfissia... Mi appiattisco sul terreno, lo graffio con le unghie. Dolce terra sporca, nostra sola amica! Come capisco adesso quando viene chiamata terra madre. Ogni nostro nervo urla di terrore. A qualche metro da noi, un fante inglese si appiattisce al suolo come me. Uccidilo! Il pensiero viene rapido come un lampo. Tutti e due abbiamo appena passato i vent'anni, abbiamo provato a vivere? No, non sappiamo che una sola cosa: uccidere per non essere uccisi. Ho in mano una granata, conosco bene la dura legge della guerra, so che il tipo con l'elmetto davanti a me ha il mio identico pensiero: lanciare la granata per primo per salvare la sua pelle... Strappo l'anello coi denti. Conto: uno, due, tre, quattro... la granata sibila. Ha lanciato anche lui la sua nel medesimo istante. Due detonazioni simultanee. Abbiamo tutti e due esperienza, sappiamo tutti e due che dobbiamo trovarci il più lontano possibile dal luogo dell'esplosione. Arrivo alla mi-
16 tragliatrice e gli sparo addosso tutto il nastro. Una seconda bomba a mano colpisce il mio elmetto, la testa sembra mi stia per scoppiare, una specie di furore pazzo mi prende. No, non voglio morire in una spiaggia fangosa di Francia. Addosso all'inglese! Lo colpisco col calcio del fucile, e lui mi carica di calci disperati. Lo colpisco ancora con la mia vanghetta, perde l'elmetto e un filo di sangue gli cola dalla bocca, al posto della fronte ha una larga ferita aperta. Casco a terra sfinito. Lui sta rantolando. La mia furia si trasforma in terrore... perché non muore? Ho una ferita alla gamba, ma continuo a sorvegliare il moribondo mentre mi medico in qualche modo. Che abbia ancora forza per uccidermi? Mi sta guardando e respira con enorme fatica. Se i suoi compagni mi trovano qui, sono finito; d'altra parte ci siamo battuti, tutto è secondo le regole della guerra. Sangue e bava escono insieme dalla sua bocca; gli butto la mia borraccia. « Drink, it is jor you. » Perché non beve? Forse aspetta che io gliela avvicini alle labbra per darmi una coltellata? Si muove... Esco dalla buca e corro dietro alla mia mitragliatrice senza pensare al rischio delle bombe, guardo, ma l'inglese non si muove più. Dietro un Churchill che sta bruciando, il piccolo legionario, chino, spara con la sua LMG 1 delle brevi raffiche, mentre Petit-Frère, a fianco di un Cromwell in fiamme, sembra quasi un diavolo, illuminato in modo grottesco dall'acciaio rovente. L'attacco nemico è interrotto, per il momento, e il sole ci scalda dolcemente. Porta divora rumorosamente la sua quinta scatola di carne. Barcelona fa girare una bottiglia di gin. Il Vecchio mischia le carte e dietro a noi Formigny arde. I bombardieri pesanti Wellington rombano sopra Caen, e il fumo degli incendi si leva altissimo. La terra trema sotto i nostri piedi. Porta ha trovato in una jeep abbandonata un vecchio gram1
Mitragliatrice leggera. (N.d.T.)
17 mofono e dei dischi. Una musica sfrenata fino a sera, quando vediamo avvicinarsi dei soldati che sembrano disarmati. Sventolano una bandiera con la croce rossa e i loro elmetti hanno il medesimo segno a croce. Il Vecchio si precipita su Petit-Frère già pronto a sparare. « Ma non vedi che raccolgono i loro feriti e non toccano i nostri? » grida il gigante furioso. « Il primo che spara lo stendo, capito? Lasciate le vostre armi dove sono», grugnisce il Vecchio. « Ma vai a sistemarti nell'esercito della Salvezza, diventerai generale! » sghignazza Porta sputando in direzione di lui. Quasi tutti i barellieri se ne sono andati con la loro bandiera, quando improvvisamente un tenente dei granatieri manda un urlo e cade nel fango della trincea. È il proiettile di un partigiano, questi assassini odiati dai combattenti, e lo colpisce sulla fronte, tra gli occhi. In un baleno tre mitragliatrici si mettono a sparare insieme. Gli ultimi barellieri si buttano a terra. « Hanno cominciato loro! » grida Petit-Frère furioso. « L'avevo detto che bisognava ucciderli subito tutti! » Un lungo selvaggio grido di guerra : « Allah el Akbar! Avanti, avanti! » Il legionario si lancia di corsa e noi dietro a lui, come tante volte nelle steppe gelate in Russia o sulle pendici di Montecassino. Pieni di odio uccidiamo, uccidiamo, continuiamo a uccidere. I barellieri, i feriti che stavano portando via, tutto viene annientato. Il nemico non ha riparo, salvo qualche rifugio di fortuna. Tutto è distrutto. Ma all'attacco segue un contrattacco. Ancora morti, dappertutto morti. Alla sezione 91 nessuna tregua per il nemico.
18 Porta maneggiava la radio cercando di captare la BBC di Londra, ma le interferenze rendevano difficile l'ascolto. « Ti rendi conto che rischi la testa se ti beccano? » disse Heide. «.Non riesco a capire perché vi ostinate ad ascoltare queste storie. Gli inglesi mentono esattamente come quelli di Adolfo. » Colpi di gong sordi e angosciosi: « Qui Londra, qui Londra. BBC per la Francia... » Ignoriamo che la Resistenza francese è in ascolto con estrema tensione, così come l'ufficiale di guardia addetto alle comunicazioni radio e il tenente Meyer del PC 1 della XV armata. « Chiediamo tutta la vostra attenzione. Trasmettiamo dei messaggi personali: ‘I singhiozzi lunghi dei violini d'autunno...' » È il primo verso della Canzone d'Autunno di Verlaine, il messaggio che era atteso da settimane. Viene immediatamente riferito al governatore militare in Francia, ai comandanti in Olanda e in Belgio. Inutile. Si deve prendere sul serio una poesia sull'autunno? È ridicolo. « Idioti! » grida Hitler. Lo stato maggiore della XV armata ascolta perplesso queste parole misteriose. « Qui Londra, qui Londra. Proseguono i messaggi personali: ‘I fiori sono di un rosso cupo', ripeto: ‘I fiori sono di un rosso cupo'. » È il segnale che riguarda il distretto di Normandia. « Continuo: 'Hélène sposa Joe. Hélène sposa Joe'. » È il segnale per tutta la regione di Coen. Immediatamente tutti i ponti saltano, le strade anche, le linee telefoniche vengono sabotate. Alla sede della XV armata nessuno pensa nemmeno lontanamente che vi sia qualche cosa di veramente serio. « Ci capite qualche cosa, Meyer? » chiede inquieto il generale Von Salmuth. Negli ultimi tre giorni radio Londra è stata silenziosa e ora lo speaker è diventato inesauribile. 1
Posto di comando. (N.d.T.)
19 «Continuiamo con i messaggi: ‘I dadi sono gettati', ripeto, ‘I dadi sono gettati'. » Alcune sentinelle tedesche ignare vengono pugnalate, i loro cadaveri spariscono senza lasciare alcuna traccia nelle paludi e nei fossati intorno. « 'Jean pensa a Rita’, ripeto, 'Jean pensa a Rita.' » Lo speaker parla molto lentamente, con una lunga pausa dopo ogni parola. « Lo sentite quel cretino? » grugnisce Porta irritato. «Jean pensa a Rita, sempre fesserie questo maledetto microfono. Jean pensa a Rita. Li conoscete voi questi due tipi? » « È un codice », spiega Heide che sa sempre tutto. « Ho lavorato anch'io alla radio. Si trasmettevano sempre queste frasi. » « 'La domenica i bambini s'impazientiscono per nulla', ripeto, 'La domenica i bambini s'impazientiscono per nulla.' » È il messaggio per i partigiani che aspettano l'arrivo dei paracadutisti in Normandia. « Qui Londra. Fra un'ora trasmetteremo altri messaggi. »
20 CAPITOLO II
L'ULTIMA ORA Avvolgiamo i morti in un telo prima di seppellirli, e vicino a ciascuno dei corpi poniamo una bottiglia di birra vuota con i documenti personali. Presto o tardi ci sarà bisogno di cimiteri per gli eroi, con grandi monumenti di granito e lunghe file di croci coi nomi incisi su piastrine. Ecco la ragione della bottiglia; bisogna sapere chi si disseppellisce da un fosso o da un campo di patate. I cimiteri degli eroi sono necessari. Che cosa mostrare domani alle giovani reclute? Guarda! Ecco i nostri eroi. Sotto questa croce riposa il fante Paul Schultze, un coraggioso, cui una bomba ha stroncato le gambe, ma ha continuato a combattere contro il nemico che voleva annientare il suo avamposto. Il fante Schultze ha salvato il suo reggimento, poi è morto fra le braccia del suo comandante, l'inno nazionale sulle labbra. Bisogna che ognuno di questi nomi scritti su ogni croce sia esatto, altrimenti quali atti eroici avremo sottomano quando la sconfìtta sarà dimenticata? Ma ci sono dei morti' che non hanno il segno, perché abbiamo avuto più morti che bottiglie. Eppure Dio sa quanto si beve! Nel pomeriggio, mezz'ora di riposo dopo le sepolture, poi operazione di sminamento. È il compito che detestiamo di più, perché la vita può essere così maledettamente breve per chi cerca mine! Il progresso, anche lui ci si è messo: ci sono mine magnetiche che esplodono all'avvicinarsi del più piccolo frammento di metallo. Così dobbiamo eliminare qualsiasi oggetto di questo tipo, perfino i bottoni che sostituiamo con schegge di legno. Non avendo stivali di gomma avvolgiamo gli scarponi con pezzi di tela, ma il nostro gruppo ha avuto fortuna: Porta ha trovato un paio di sopra-
21 scarpe gialle americane di caucciù, un tesoro senza prezzo su cui vegliamo come se fosse d'oro puro; è molto più che oro, è la nostra vita. Impossibile contare sull'apparecchio localizzatore di mine che sibila senza sosta. Segnala il più piccolo pezzo di metallo e questo ci irrita e ci rende negligenti, la peggiore delle cose. Quando si lavora intorno alle mine, tre cose sono importantissime : prudenza, diffidenza e molta attenzione. Dove si crede non vi sia pericolo, la trappola vi spia. Proprio Rommel ha inventato questi nuovi congegni, e sono veramente diabolici. Apriamo una porta e questa ci esplode addosso. Una corda per stendere la biancheria, con una fila di mollette appese come una bella famiglia di rondini, è talmente innocente! Ci intralcia, la scostiamo, e la terra si spacca in un enorme cratere. La porta di un forno non chiude bene, una cosa che irrita molto le persone ordinate: la premiamo e tutto intorno scompare. Di traverso sul sentiero un carretto senza ruote: lo buttate da un lato. È l'ultimo gesto della vostra vita. Un quadro appeso storto nasconde un detonatore di mezza tonnellata di esplosivo. Camminiamo sopra un filo invisibile: dieci bombe scoppiano in un albero a cinquanta metri e annientano tutta la compagnia. Con le mine abbinate, le P2, le esplosioni avvengono a catena. Altre devono essere neutralizzate con un colpo di fucile; e infine ci sono mine con il detonatore fatto di vetro sottilissimo, che devono essere smontate pezzo per pezzo... Il lavoro di sminamento rende pazzi. Procediamo passo passo, tastando la terra con diffidenza, molto lentamente. Ogni dieci minuti viene sostituito l'uomo di testa, così uno solo rischia di saltare. Gli altri camminano con estrema prudenza sulle orme del primo, a una certa distanza, ma proprio quando sembra che tutto sia regolare, l'uomo di testa si polverizza con un grido in un lampo folgorante. Il localizzatore di mine sibila... ci fermiamo tutti. L'uomo di testa fa oscillare l'apparecchio avanti e indietro per centrare il punto, si
22 acquatta, striscia con la prudenza di un serpente. Non è che una scheggia di metallo, la punta di una granata. È sempre la stessa storia. Ci si infuria e si finisce per credere che non ci siano mine e che il prigioniero che ha fornito queste indicazioni è un bugiardo. Così procediamo più in fretta mandando all'inferno tutti gli ufficiali del servizio informazioni. Esplosione mostruosa. L'uomo di testa è saltato in aria, dunque il prigioniero non era un bugiardo e il servizio informazioni è efficientissimo. Bravi! Era una mina T per carri: quando una mina di questo tipo esplode non resta più nulla intorno. Con una mina S si perdono solo le gambe, e questo è il minore dei mali, perché ora fanno delle belle protesi, e se non si è troppo stupidi si può entrare nella scuola sottufficiali. Ci sono molti sottufficiali con la protesi, all'addestramento delle reclute. Ci si impegna per trentasei anni, ma con un po' di fortuna si può diventare marescialli di stato maggiore in quindici o diciotto anni. Poi ci si ritira a sessantacinque anni con una buona pensione. Dunque una mina, in fondo, non è la peggiore delle cose, e non fa certo paura a un veterano del fronte. Vuol dire « basta con la guerra! » Sappiamo per amara esperienza che tutto si paga, e la « carne da cannone » darebbe volentieri le due gambe per sfuggire alla prima linea. Un braccio invece, non vale nulla. Il maggiore Hinka è al fronte da tre anni pur senza il braccio sinistro; con le gambe la cosa è diversa, ma bisogna perderle tutte e due. Fra i carristi ce ne sono molti con una sola gamba. In questo momento sono io l'uomo di testa. Una zolla d'erba mi insospettisce, la tocco... non aderisce al suolo. Infilo la mano e sento del metallo. Porta e il legionario che camminano dietro di me si fermano... quelli di sinistra, immediatamente muti, non mi abbandonano un secondo con gli occhi. Fra un istante potrei essere polverizzato. Mi lascio scivolare sul terreno, premo l'orecchio sulla zolla d'erba... Si sente un tic-tac? È una mina magnetica o una mina a scoppio ritardato? Il sudore mi invade tutto, eppure batto i
23 denti. La mina in questo momento tace, ma non è morta... furba come l'inferno. Un cobra è un animale domestico al confronto. Le punte delle mie dita hanno antenne invisibili. Sento al tatto la cupola arrotondata e il piccolo, molto piccolo tubetto di vetro. È una mina T normale. Vecchia mia, non te ne voglio, sii gentile, non offenderti. Attento, Sven! Non trattarla brutalmente. È fragile e delicata, la maledetta! Ricordati bene quello che hai imparato. Nulla di avventato, mai. Vediamo... due dita sotto il coperchio, due giri a sinistra... lentamente, molto lentamente... se si rompe il tubo di vetro sono fottuto. Speriamo che non vi siano dei fili, dei fili traditori che collegano altre mine, tutto può essere, quelli che posano le mine hanno tanta fantasia! Due giri, è fatta... due millimetri in alto, tre giri a destra... non si stacca. Che vuol dire, perdio? Un nuovo modello? Dio, come vorrei scappare! Se lo facessi, ecco il consiglio di guerra, vigliaccheria davanti al nemico, condanna a morte, ma forse la guerra potrebbe essere finita prima che il consiglio di guerra abbia avuto il tempo di decidere. Dovrei cercare di sollevarla, senza prima avere smontato il detonatore? È pericoloso, terribilmente pericoloso. Che devo fare? Questa orribile cosa rimane come incollata al terreno. Un solo movimento falso e il tubo si rompe, l'acido ne esce, addio Sven! Annuso una strana insidia... Che sia calda? Forse è una mina a batteria? Faccio scivolare sotto la mano sinistra, la destra ferma sopra la sfera. Strappo l'erba coi denti. In momenti come questo si invidiano le scimmie che possono adoperare i piedi. Perché non addestrarle allo sminamento, furbe come sono? Strano che nessuno ci abbia ancora pensato. L'esercito si serve dei piccioni, dei cani, dei cavalli e dei maiali; i maiali ci servivano in Polonia: li si spingeva nei campi minati e tutto saltava, ma non abbiamo continuato, sono troppo preziosi i maiali e anche i cani. Ora si preferisce l'uomo, il materiale meno caro che esista, « culi a buon mercato », come dice Porta. Lentamente, molto lentamente l'attiro verso di me... Dio, co-
24 me è pesante. È una sciocchezza servirmi anche della mano sinistra che non ha quasi forza. Eccola, finalmente! Mi guarda minacciosa, con la sua piccola ghiera di vetro: è il suo occhio, il suo orecchio, il suo cervello. Se osassi darle un calcio e mandarla al diavolo! Ma non oso nemmeno insultarla: così le parlo dolcemente... Quando sarò riuscito a disinnescarla le farò uno di quei maneggi che non sembrerà nemmeno più una mina. Chiamo gli altri. Porta e il legionario mi vengono vicino. Porta è un genio in fatto di meccanica senza aver mai studiato nulla, ma queste cose gli piacciono. « Imbecille! Hai girato in senso inverso! Non vedi che non è un passo di vite francese? » Tasta la ghiera. « Buttami una chiave inglese! » grida a Petit-Frère. La chiave arriva e Porta studia a fondo l'oggetto misterioso. « Dai, chiudi la ghiera, se non lo fai ne avrai pieno il sedere quando arriveremo davanti a san Pietro! » Il legionario fischia nervoso, si asciuga le palme delle mani sul fondo dei pantaloni. « Ecco, la tengo! » Afferra la chiave. « Attenti alle vostre orecchie, voialtri. È facile che la nostra amica qui faccia un po' di rumore ». Si mette a cantare sommesso: Cara, cosa diventeremo noi due? Saremo tristi o felici? Trionfante, mi mostra il tubetto di vetro, lo rompe fra le dita, poi sorridendo torna verso gli altri, la mina sotto il braccio. «Non mi riesce di togliere il tubetto! Prova un po' tu! » grida buttando la mina a Gregor che caccia un urlo. Porta si tiene la pancia dal ridere: « Il signore ha forse un po' paura? » « Buco del culo, farabutto, porco! » urla Gregor, prendendo a
25 calci la mina. « Basta con le sciocchezze », ammonisce il Vecchio. « Abbiamo già sei morti. » « E con ciò? » sghignazza Porta. « Dobbiamo metterci subito la cravatta nera? » Tocca a lui ora prendere il posto di testa: « Passami i preservativi per i piedi! » Mi tolgo le soprascarpe di gomma americane e gliele passo. Non ha fatto che pochi metri e lo vediamo chinarsi e farci un segno. Il legionario e io ci guardiamo. Porta ha trovato una mina a filo e bisogna essere in due per disinnescarla. Il legionario alza le spalle e si fa avanti lui; se tutto va bene, il mio turno sarà la prossima volta. I due strisciano sul terreno seguendo il filo. Prima si poteva tagliarlo, questo maledetto filo, ma ora hanno pensato bene di unirlo a un secondo filo di rame. Se lo si sfiora con un qualsiasi oggetto di metallo il circuito si chiude e addio sezione. Questa nuova mina è sospesa a un albero e collegata a tre granate da 105. Una vera trappola mortale! Prima di scoprire questa novità del filo di rame, abbiamo perduto molti compagni. Si erano dimenticati di unire le istruzioni per l'uso! « Vieni qui, imbecille! » mi grida Porta. « Dove credi di essere, in un salotto? » Devo portare gli arnesi per smontare il detonatore. Sembra una cosa semplice, ma molti sono saltati in aria nel farlo. Non si sa mai! Potrebbero aver inventato ancora qualche cosa di inedito. Porta, arrampicato sull'albero, sfiora i quattro fili maledetti. Mettiamo a terra per prima la mina T. È di quelle a matita. Il detonatore non è più grande di un pacchetto di sigarette, ma vi giuro, è più che sufficiente. Su una delle granate un buontempone ha scritto: « Go to hell damned Krauts». (Andate all'inferno, maledetti tedeschi.) Firmato: Isaac. Giusto, nessun Isacco può avere anche una sola ragione per amarci!
26 Un momento di tregua. Ci sediamo, fumiamo una sigaretta perentoriamente proibita, ma che cosa importa? Ne abbiamo tutti così bisogno! « Come mi piacerebbe avere qui Adolfo a fare questo lavoro! » dice Porta, sorridendo con aria sadica. « Basterebbe una piccola mezz'ora. » Questa buffonata idiota ci affascina. Ma subito ci raggiungono gli altri, gli ordini del tenente Brandt, nostro nuovo comandante di compagnia. Brandt è con noi dall'inizio, ci ha lasciato solo per brevi periodi di addestramento in vari corsi. Noi veterani lo consideriamo un compagno cui si dà del tu e lo chiamiamo per nome. Si chiama Claus. Un vero ufficiale del fronte, senza distintivi, senza decorazioni. Solo il suo berretto sbiadito con un sottile filetto d'argento indica il suo grado. « Dio, se finalmente fosse finita! » brontola fra i denti Claus. « Si diventa pazzi con questo giochetto! » « Un gioco da non fare più quando saremo tornati a casa », dice Porta. Porta dice sempre « quando » e mai « se »; è uno stato d'animo molto curioso e tipico nei soldati del fronte: non credono mai che possa venire il loro turno. Quante volte abbiamo scavato una fossa comune prima di andare all'attacco, l'abbiamo ricoperta di fieno, abbiamo preparato le croci di legno, ma mai abbiamo pensato di poter essere noi stessi un giorno sepolti. Sentiamo il fischio acuto della granata da mortaio, poi il rumore sordo dell'impatto... ci voltiamo, e il nostro compagno più vicino non c'è più. Un carro nemico spunta rombando, vomitando fiamme dal suo lungo cannone. Un'esplosione enorme da spaccare i timpani! Metà della sezione è polverizzata. Esperienza quotidiana, ma non pensiamo mai di essere noi stessi le vittime. La nostra fiducia nella vita è assolutamente invincibile, anche quando diamo il braccio alla morte. Porta ha trovato tre scatole di ananas in un carro americano e si abboffa. « Ragazzi, quando tornerò a Bornholmstrasse com-
27 prerò tonnellate di ananas. Li adoro! » Eccoci a sognare del dopoguerra. Parliamo molto di quello che succederà alla fine della guerra. Ma uno solo tra noi sa esattamente quello che vuole; è il sottufficiale Heide. Ha deciso di arruolarsi di nuovo per diventare ufficiale, e ogni giorno studia dieci pagine del manuale militare, a memoria, con ostinazione, in qualsiasi posto si trovi! Noi lo prendiamo in giro, ma sappiamo benissimo che ha ragione. Troppo a lungo siamo stati soldati per riuscire ad adattarci alla vita civile, ma nessuno di noi osa confessarlo. Il Vecchio sostiene che solo i contadini potranno ritornare a una vita normale, e forse non ha torto. Sono talmente diversi da noi cittadini; un melo in fiore li affascina; e molti hanno disertato per averne visto uno in primavera. Un mattino, al momento dell'appello, ricordiamo che ci è stato letto un ordine del giorno: gli uomini della Feldgendarmerie hanno acciuffato il disertore e il consiglio di guerra non può capire nulla di meli in fiore. Il mattino dopo, all'alba, dodici colpi di fucile risuonavano nel cortile della prigione. Da ormai dieci ore di orologio siamo all'operazione di sminamento, in una tensione di nervi che nessuno può immaginare. Dieci ore nelle braccia della morte senza un attimo di tregua. È quasi finita. Abbiamo terminato da poco la posa dei nastri bianchi che permetteranno ai granatieri e ai carri di passare. Sto lavorando a un palo da conficcare nel terreno, quando improvvisamente una sensazione strana mi prende. Alzo gli occhi... i miei compagni sono come impietriti... tutti i loro sguardi sono puntati sul tenente Brandt che è in piedi, un po' più lontano di noi, le gambe divaricate, le braccia che oscillano lungo i fianchi... Dio santo, mi viene la pelle d'oca! Claus è sopra una mina che al minimo movimento può esplodere. Capisce che per lui è finita, tutti noi vediamo distintamente i fili. I più vicini arretrano lentissimamente, passo per passo. La mina deve essere collegata ad altre, lo si vede dai fili. Un uomo vuole buttarsi avanti, è Petit-Frère, ma viene trattenuto brutal-
28 mente; anche Barcelona tenta di strisciare verso Claus. Ma noi lo fermiamo, è abbastanza un morto! « Mettiti in ginocchio, cerca di ingannarla! » grida Porta. « Come? » « Saltando, è l'unica cosa possibile. » Il tenente è livido. Cerchiamo una fiala di morfina e i pacchetti di medicazione; se ne esce vivo ne avrà bisogno subito. Ma il legionario prende la rivoltella; in ogni caso Claus non soffrirà a lungo. Chiamatelo pure omicidio se vi piace: Da sei anni non ci siamo mai lasciati. Sei anni sono molti per un soldato del fronte, soprattutto in un reggimento di carri, dove la media della sopravvivenza è di novanta giorni al massimo... E poi per una cosa così stupida come una mina! Una mina a filò! Anche un bambino sarebbe riuscito a scoprirla, ma è inutile, è sempre così: a furia di logorarsi i nervi con queste maledette porcherie, si ha anche un solo momento di disattenzione, e questo è il pericolo più grave quando si lavora intorno alle mine. Da quanto tempo siamo qui? Secondi, minuti, ore, anni? Il tempo è come immobile. Aspettiamo la morte che aspetta anch'essa con uguale pazienza una preda sicura. Il tenente alza la mano e ci saluta, poi lentamente, molto lentamente piega le ginocchia e si prepara a saltare. Ha deciso di tentare, di cercare di ingannare la mina. Metto le mani alle orecchie per non sentire quel rintocco di morte. Claus è accucciato, non ha ancora la forza di decidersi. Fino a quando è in piedi sopra la mina si sente ancora vivo, ma se salta... una probabilità su mille! Lo guardiamo tutti, come ipnotizzati. Lui mette la palma delle mani per terra poi si rialza. « Buttatemi degli indumenti! » Dieci giacche volano verso di lui, ma tre sole lo raggiungono. Petit-Frère vorrebbe ancora lanciarsi in suo aiuto ma Porta lo colpisce col manico di un badile. Ce n'è abbastanza di un morto! Claus se ne è accorto.
29 « Grazie, Petit-Frère! » gli grida. « Banditi, farabutti, vigliacchi! » urla Petit-Frère quando torna in sé. Ci vogliono quattro uomini per trattenerlo; il legionario preme il suo revolver sulla fronte del gigante, che gli morde una mano così profondamente da farlo urlare di dolore. Il tenente si avvolge negli indumenti, ma se lo scoppio lo dilanierà sarà inutile. Ci saluta di nuovo... si è deciso. Gli bisbiglio: « Salta! » A un tratto, lontano, sentiamo suonare delle campane, delle felici scampanate che festeggiano la liberazione della Normandia. Il vento ci porta il loro suono. Tutto è dimenticato, le rovine, l'inferno dello sbarco; nelle strade i soldati americani ballano con le ragazze francesi. « Viva la Francia! Viva gli americani! Morte ai tedeschi! Morte! » Il tenente Brandt salta. Una fiammata accecante, un rumore spaventoso... Tutti corriamo lì. Ha perduto le gambe, una è lì accanto, l'altra non c'è più, e tutto il suo corpo è dilaniato, ma Claus non ha perduto conoscenza. Affondiamo l'ago della siringa nel suo corpo palpitante; Porta e io gli mettiamo un laccio emostatico intorno alle cosce. L'uniforme è a brandelli e uno strano odore ne esce, un miscuglio di stoffa e di carne bruciata. Claus urla, i dolori cominciano, conosciamo bene tutto ciò. « Morfina! » urla Petit-Frère percuotendo l'infermiere. « Che cosa sei qui a fare? Che aspetti, pezzo di cretino? » « Non ne ho più! » « Fai il mercato nero, disgraziato! » Il gigante lo investe buttandoglisi addosso, mentre quello tenta di difendersi furiosamente. Petit-Frère lo butta per terra, lo perquisisce, sparpaglia il contenuto della cassetta del pronto soccorso, calpesta aghi, siringhe. È come un folle pericoloso, nessuno di noi osa avvicinarglisi! Non c'è più morfina! Prende in mano la rivoltella, la sop-
30 pesa poi la butta lontano. L'infermiere suggerisce una trasfusione. Venti braccia si tendono, ma bisogna controllare i gruppi sanguigni e Petit-Frère diventa ancora più furioso quando rifiutano il suo sangue. Impossibile fargli capire che non è del gruppo richiesto. « Farabutti, cretini! Il sangue è sangue! » grida. « Ne ho cento litri, sono il più forte di tutti! » Lentamente il tenente viene meno. « Non deve morire », piange Petit-Frère disperato. « La guerra è finita, tieni Claus, ti farà bene! » E gli infila una sigaretta tra le labbra che stanno diventando azzurre. Tutto intorno le campane rispondono ad altre campane. Suonano a distesa per la liberazione della Normandia, suonano per la morte del tenente che portiamo sulle spalle. Muto, PetitFrère cammina davanti a tutti e dietro di lui Porta suona sulla sua armonica « Il viaggio dei cigni selvatici », una canzone che piaceva tanto a Claus. Così senza guardare nessuno, il viso irrigidito, passiamo per Turqueville, portando sulle spalle il corpo del nostro compagno, del nostro tenente morto.
31 Il tenente russo Koranin, del 439° battaglione est, in perlustrazione con la sua compagnia di tartari, trovò un giorno in un mezzo da sbarco, accanto ai corpi di tre ufficiali americani, delle borse piene di documenti. Il russo si affrettò a portarle al suo comandante e tutti e due si recarono subito dal generale Marcks, comandante dell84° corpo d'armata. Il generale ne intuì immediatamente l'importanza enorme e si mise in contatto con la VII armata. Gli risero in faccia. « Che cosa stava inventando? » Marcks, furibondo, si buttò di nuovo ad esaminare i documenti; anche il suo aiutante di campo non ebbe la minima esitazione: tutto era perfettamente autentico. I due avvertirono immediatamente il servizio di sicurezza che nel fare lo spoglio dei documenti credette di sognare. Il comandante dell '84° corpo d'armata chiamò il feldmaresciallo von Rundstedt, e lo avvertì di possedere i piani segreti degli alleati relativi all'invasione della Normandia. Era la prova che lo sbarco recente costituiva veramente il preludio di quell'invasione che sì aspettava da quattro anni. « Che imbecillità », urlò von Rundstedt sbattendo il ricevitore, e rimase ostinatamente della sua idea. I piani non potevano essere che un trucco molto grossolano, come del resto questo primo sbarco! Una semplice finta. « Esonerate il generale Marcks dal suo comando », ordinò von Rundstedt al suo capo di stato maggiore. « È un sognatore, non mi sento di lasciarlo al comando di un'armata! »
32 CAPITOLO III
LA COLLINA DEL GOLGOTA È notte, raggiungiamo quota 112 seguendo la strada in tre colonne. La nebbia vagante si dispone in lunghe fasce bianche, una vera nebbia del mare del Nord, ghiacciata. La testa della compagnia scompare, inghiottita dalla foschia, mentre Porta racconta una delle sue interminabili storie di ragazze. Il Vecchio cammina avanti, le gambe arcuate, la schiena curva, la pila in bocca e l'elmetto appeso alla canna del fucile, la bustina nera dei carristi piantata in cima alla testa. Il Vecchio è il comandante della nostra sezione, maresciallo Willy Beier, con gli stivali da fante troppo grandi per lui. Non somiglia per nulla a un soldato, ma è il miglior capo sezione che ci sia; sono molti giorni che non si rade e la nebbia colora di argento la sua barba. Camminiamo nel mezzo di qualche cosa che fino a una settimana fa doveva essere un grande bosco. Ora non sono che tronchi spezzati, automezzi bruciati, membra umane. « Deve essere stata una faccenda seria », commenta PetitFrère. « Mortai pesanti », risponde Porta. « Un nuovo tipo di granata », spiega Heide, sempre al corrente di tutto, « scioglie istantaneamente ogni indumento, poi il corpo brucia ». Dappertutto corpi carbonizzati. Nella cavità di un tronco un corpo nudo senza gambe. Petit-Frère dà un calcio a una testa ancora con l'elmetto; il legionario ha un brivido. « È già qualche cosa vedere almeno la sua testa che ride in mezzo alla strada. » « Quel genio che ha scovato questa invenzione deve essere
33 stato cuoco prima », medita Gregor Martin ad alta voce. « Prima vi spella e poi vi arrostisce; guardate questo qui! » « Basta! » protesta il Vecchio. Un boato seguito da un'esplosione... Istintivamente ci troviamo già a terra. « Mettetevi distanziati. Spegnete le sigarette. Compagnia, attenti! Correte! » Una coltre di fuoco scaturisce improvvisamente sibilando e va verso il cielo. Batterie Do. Batterie di razzi a dodici cannoni. Corriamo in colonna per uno, lungo muretti di pietra ai lati della strada. I tiratori cambiano posizione dopo ogni salva, i loro trattori marciano a fortissima velocità trainando ì lanciarazzi. « Più presto, più presto! » grida il Vecchio. « Fra un secondo sono su di noi! » È vero, sentiamo già il sibilo. Un muro di fuoco si alza fino al cielo. Grida, morti, feriti. Da un riparo viene fuori un tenente di artiglieria, osservatore di prima linea. È coperto di fango e sanguina per una ferita al viso. « Chi comanda questa banda di cretini? » Il tenente Lòwe, nostro nuovo comandante di compagnia, freme. « Chi chiamate cretini? » « Ma la vostra compagnia, evidentemente! Non vedete che attirate il fuoco nemico? » Protetti da un muro seguiamo la discussione con interesse. « Un calcio nel culo è tutto quello che si merita questo qui! » dice Porta ad alta voce. «I vostri uomini insultano un ufficiale, non vedete che sono tenente? » « Un tenente cretino! » gli risponde Lòwe, in coro con tutta la compagnia. « Farò rapporto! » La batteria Do è in posizione a qualche centinaio di metri, dall'altro lato della strada. Uhii... sibilo di razzi. Un ombrello di
34 fuoco rende la notte più chiara del giorno. Atterriti ci schiacciamo gli uni contro gli altri, premendoci al muro. Più nessuno parla, davanti a questo mare di fuoco che si forma dall'altra parte della strada. « Gli americani non badano a spese! » ringhia Petit-Frère. « In colonna per uno, dietro di me! » ordina il tenente Lòwe. Dietro di noi si scatena l'inferno. Uno scoppio dilania l'ufficiale di artiglieria. Come tutto è sempre casuale... Se non si fosse messo a discutere con noi sarebbe vivo. Mi ricordo, un giorno ci trovavamo sotto un gruppo di alberi con dei soldati del genio; pioveva, i rami gocciolavano e Porta a un certo momento ne ebbe abbastanza di quella doccia. Seguito dal nostro gruppo, si alzò e se ne andò. Non avevamo fatto cinquanta metri che udimmo un'esplosione: l'albero e i soldati del genio, tutto era improvvisamente scomparso. Un'altra volta entrammo in una casa abbandonata per fare una partita a carte con gli uomini della sezione anticarro. Porta a un tratto si accorge di due fili tesi a terra; butta le carte e segue i fili, noi dietro di lui. Il tempo di fare cento metri e l'abitazione salta in aria. Il caso! Un secondo ancora nel punto segnato dal destino e sarebbe stata la fine. Stiamo ora rilevando una compagnia di SS appartenente alla divisione Hitler-Jugend, dodicesima divisione Panzergrenadieren. Nessuno di loro ha ancora diciotto anni, ma in tre giorni questi ragazzini silenziosi sono diventati dei veterani. Metà della loro compagnia è già caduta in combattimento. Senza una parola imballano le loro cose e portano via tutto, anche i bossoli vuoti. Noi li guardiamo scuotendo la testa . « Che disciplina! » dice Heide pieno di ammirazione. « Che soldati, avete visto? Tutti gli ufficiali avevano la croce di ferro di prima classe! Dove arriverei io come capogruppo con ragazzi come loro! » « A una morte da eroe », risponde laconicamente Porta. Ma Heide, soggiogato, segue con gli occhi questi poveri ra-
35 gazzi che si allontanano in colonna per due, lungo la collina cosparsa di bombe. Ogni particolare del loro equipaggiamento è regolamentare; il collo verde cupo marcato SS esce dalla tuta mimetizzata, in modo che non vi sia alcun dubbio sulla loro identità. « Su, vai con loro », propone Porta « Non ti tratteniamo, maniaco della guerra. » Heide non si offende, lui sogna sempre. Si vede già ufficiale e si accarezza il collo dove sente già la croce di cavaliere; non si offende nemmeno quando Petit-Frère gli tende una croce di legno. «Prendila, va' là, almeno questa sei sicuro di averla! » Comincia a piovere, e l'acqua cola nella schiena dal casco. Che clima in questo paese! Nebbia, pioggia, vento, fango dappertutto. Noi stessi sembriamo statue di fango; l'argilla rossa si attacca dappertutto, alle armi e a tutti i rifornimenti. Poco prima dell'alba sferrano l'attacco, ma i nemici non sanno che le SS sono state dislocate, così li lasciamo avvicinare il più possibile. Una regola di fuoco, che essi non conoscono e che noi stessi abbiamo imparato sul fronte russo. Li falciamo tutti a qualche metro dalla nostra posizione. Sembra siano canadesi, questi canadesi così crudeli che noi detestiamo. Dei veri sadici: attaccano i prigionieri ai carri con il filo spinato, il colpo alla nuca è moneta corrente, non ci si deve attendere pietà da loro. Ora arrivano dei Gordon Highlanders, ma a questi non vogliamo male. Porta accende una sigaretta mentre noi andiamo a raccogliere tre dei "loro feriti che sono impigliati nei primi reticolati; quei poveretti pensano che andiamo per liquidarli e tremano di terrore. Sempre questa maledetta propaganda bugiarda! I giornalisti sarebbero da fucilare! Tutta la giornata trascorre in un fuoco continuo. È il « Warspite » che bombarda Caen, i suoi colpi sembrano locomotive lanciate in cielo. « Mi auguro che non ci mandino là », dice Porta indicando la direzione di Caen. « Vi ricordate quel giorno a Kiev che scappavamo da una latrina all'altra, con i russi alle calcagna? Dete-
36 sto le città! » « Non è vero », dice Petit-Frère, « a Roma ci siamo divertiti. Peccato solo che non mi abbiano fatto cardinale! » Una mitragliatrice nemica crepita. Un volo di proiettili traccianti si abbatte sulla posizione e l'elmetto di Barcelona, falciato netto, rotola in fondo alla trincea. « Assassini! Farabutti! Venite avanti se avete il coraggio, merde di scozzesi! » Stendiamo un impermeabile sul fondo fangoso; degli zaini come tavolo e il Vecchio mischia le carte. Di colpo dimentichiamo tutto; i piccoli occhi porcini di Porta luccicano furbi sotto le sopracciglia. Si caccia sulla fronte la sua tuba gialla, il vecchio cilindro ammaccato e pieno di forature, di cui una data dalla Romania. Heide, sempre sospettoso, nasconde le sue carte con la mano, ma ha ragione, gli occhi di Porta sono dei veri raggi X, Vediamo dall'espressione di Gregor che è sul punto di annunciare ventuno. Petit-Frère appoggia i piedi nudi sulla custodia di una maschera antigas e li muove beato. Puzzano, da quanto tempo non vedono più acqua e sapone? Il gigante faticosamente conta sulle dita: ventuno o diciassette? « Hai fatto quattordici? » sghignazza Porta che ha seguito con i suoi occhi penetranti il lavorio delle dita. « Hombre! » dice Barcelona, che non riesce ad aprir bocca senza parlare spagnolo. Nella sua tasca gonfia ha un'arancia disseccata (una mascotte), e non fa che sognare le sue arance di Valenza, è un'idea fissa. Conclusa la mano, il legionario raccoglie tutto e la cicatrice sul suo viso diventa rossa di gioia. È ben raro che lo si veda ridere, questo soldato a vita. Furioso, il Vecchio butta le sue carte e una presa di tabacco cade sul fondo della trincea. Il Vecchio, il maresciallo Willie Beier, falegname berlinese, somiglia molto al « Kat » di Erich Remarque. È lui che ci ha insegnato a riconoscere le bombe a orecchio, esattamente come faceva « Kat » nella sua sezione;
37 insegnava come mettersi al riparo dietro un piccolo monticello di terra o mostrava come rintanarsi in un terreno piatto senza sollevare le spalle. Se non ci fossero stati uomini come il Vecchio o « Kat », Dio sa quante perdite avremmo avuto! Tipi come lui valgono quanto un generale. In momenti difficili, quando un generale avrebbe abbandonato la posizione con tutto lo stato maggiore, il Vecchio avrebbe stretto un po' fra i denti la sua pipa, e in dieci minuti la sezione sarebbe stata salva. Quante cose insegnava agli ufficiali usciti freschi freschi dalla scuola di guerra di Potsdam, che arrivavano al fronte senza la minima esperienza del fuoco. Non dimenticheremo mai l'SS ObersturmFührer, che avevano mandato alla nostra sezione per punizione. In meno di mezz'ora aveva perduto tutta la compagnia che i russi avevano accerchiato in silenzio. L'ObersturmFührer se l'era cavata, ma se non era passato al consiglio di guerra lo doveva al maggiore Hinka; divenne poi un ottimo allievo del Vecchio. In seguito ci fu la storia del medico di stato maggiore che sosteneva che avremmo vinto la guerra perché eravamo i migliori. « Dottore », gli aveva detto il Vecchio, « non sono sempre i migliori che vincono ». Tirava lunghe boccate di fumo, come sempre quando qualche cosa lo ossessionava. . « E le nuove armi, secondo te, quando le avremo? » « Delle armi eccezionali le abbiamo da molto tempo. » Ci indicava col dito. « Ecco, guardate l'Obergefreiter Porta col suo collo da cicogna e le sue gambe storte, Petit-Frère tutto muscoli e cervello piccolissimo, Sven coi suoi occhi mezzo rovinati, Barcelona coi suoi piedi piatti, Gregor che ha solo la metà del naso, e il nostro maggiore Hinka che è monco. Sono questi soldati che impediscono al nemico di vincere, non le armi. » Due giorni dopo il medico di stato maggiore si uccise; la verità era stata troppo dura per lui. Allarme...! Eccoli! In gruppo, con uniformi kaki ed elmetti
38 piatti. Saltano sopra i reticolati, ci innaffiano di bombe, tirano con l'arma appoggiata al fianco; le baionette brillano in cima ai fucili, il fuoco di sbarramento a ventaglio distrugge tutto davanti a loro. Bisogna espugnare quota 112. Ordine del generale Montgomery che è furibondo, che vuole Caen, e subito, anche se questo dovesse costare tutta la divisione scozzese. Bisogna prendere quota 112, la collina del Golgota. In testa gli scozzesi, dietro e ai fianchi i mezzi blindati. Gregor Martin è al suo mortaio da 81 mm che lavora come una mitragliatrice. Ha perduto l'elmetto e il sudore gli cola sul volto nero di fumo scavandovi solchi più chiari. Il maggiore Hinka con la sua manica vuota che oscilla al vento è alla mitragliatrice pesante e spara raffiche micidiali contro le ondate dei fanti. Non dice una sola parola. La sua bocca è una sottile fessura, il suo grande cappotto di pelle grigia è rosso di fango e di argilla. Un maresciallo di sanità lo segue. Petit-Frère prepara due granate per volta e ognuna scoppia esattamente al momento in cui tocca il suolo. Non vi può essere errore, Petit-Frère è un esperto di bombe a mano. La mia mitragliatrice invece s'inceppa; un proiettile si è messo di traverso nel caricatore. Questo maledetto modello 34. Sempre seccature. Tolgo di furia una baionetta dal fodero e picchio alla cieca sul proiettile. « Ma no », grida Porta, « non così! » In un istante grazie a lui la mitragliatrice è riparata. Ma nel frattempo il nemico si è avvicinato ancora. Così bello, in un certo senso, da vedere! Del viola, del giallo, del verde, del rosso... ma così pericoloso! Urlano parole incomprensibili, così forte da spaccarsi le corde vocali, rimangono impigliati nei reticolati come crocifissi. Ancora degli altri in kaki: Montgomery vuole Caen. Gli equipaggi delle autoblinde bruciano con i loro mezzi; un odore asfissiante di carne bruciata avvolge la collina del Golgota, ma Montgomery non sente i gemiti dei moribondi. Bisogna prendere Caen, su, che aspettate? Riescono a raggiungere la sezione vicina a noi, si battono al
39 coltello, alla baionetta, con il calcio del fucile nel cunicolo stretto della trincea dove a stento si passa in due. Un vero massacro. Se la sezione cede, è il nostro turno. « A fondo! » comanda Hinka. Barcelona spara su tutto senza più distinguere amici o nemici, e i soldati in uniforme grigia o in kaki cadono insieme sotto il fuoco tedesco. C'è ancora posto per il sentimento? È la collina del Golgota. Da un rifugio vicino spunta una bandiera bianca; una maglia di lana sulla punta di un fucile. Vediamo una squadra di canadesi penetrare nella trincea, spingere fuori i soldati in uniforme grigia. Li fanno allineare davanti alla trincea, le mani congiunte dietro la nuca, un ordine secco, un sergente alza la mitragliatrice e abbatte tutta la fila. Li vediamo prendere a calci i corpi ripiegati su se stessi. « Farabutti! » urla il legionario. « Adesso gli insegnamo noi che cosa è la guerra! » Fa un segno a Porta e a Petit-Frère. Breve conciliabolo. Porta afferra la camicia di un morto, l'attacca alla punta del fucile, striscia nella no man's land proprio vicino a dei canadesi rintanati nel cratere di una bomba. Il legionario e Petit-Frère lo seguono con i lanciafiamme, Porta agita la camicia bianca. « Yes comrades! » Il canadese si alza con un sorriso di trionfo. « Come on, come on, venite che ci occupiamo anche di voi », e accarezza il suo Thompson MPI. Il sangue freddo di Porta è impressionante; prepara la sua bomba a mano nella tasca, cammina lentamente, e a qualche metro dalla fossa si butta per terra e lancia la bomba proprio ai piedi del canadese. Nel medesimo istante il lanciafiamme di Petit-Frère schizza su tutto il gruppo che è rimasto attonito. Il sergente urla, i fucili mitragliatori crepitano, tutto il gruppo è liquidato. « Ben fatto », mormora il legionario tornando alla posizione. Ma ecco ancora i carri... una formazione serrata. I Churchill e
40 i Cromwell schiantano la nostra prima linea. Si avvicinano... La Pak tuona, ma alcuni dei nostri sbandano e scappano tra i lazzi degli inglesi che chini seguono i loro mezzi blindati. « Goliaths », grida il maggiore Hinka. Sono dei minicarri radiocomandati, ciascuno dei quali contiene cento chili di esplosivo. Buttiamo avanti centoquaranta di questi piccoli congegni sul terreno sventrato. Stupore dei fanti inglesi che non hanno mai visto nulla di simile! « È l'arma segreta dei nazi? » gridano gli uomini sghignazzando. Un'esplosione. I primi Cromwell saltano in aria, ma il nemico crede ancora che siano i cannoni anticarro a sparare e non capisce il pericolo di questi ridicoli piccoli mezzi. Due Goliaths con aria innocente si fermano davanti a una compagnia, uno è un po' inclinato, il secondo è rovesciato del tutto. Hanno l'aria di non poter proseguire in un terreno così accidentato. Vediamo i fanti strisciare verso queste strane cose, fotografarle, prender coraggio e toccarle ridendo! Qualcuno dà loro un calcio e provoca un urlo di un ufficiale che salta dentro la trincea. Lui deve sapere vagamente che cosa possono essere! Un caporale si siede trionfante sulla pericolosa bomba radioguidata, fa il clown, canta « Tipperary »... Barcelona preme il congegno di scatto. Un geyser di fuoco si alza fino al cielo proiettando membra umane tutt'intorno. « Cretini! » grugnisce il legionario. « Non sanno ancora che bisogna tagliare la corda quando ci si trova davanti a qualche cosa che non si conosce! » Settanta carri bruciano in un fumo denso e nero, corpi carbonizzati penzolano fuori dalle torrette, ma l'attacco continua con nuove riserve. Facciamo venire avanti due batterie da 88 mm. e una compagnia di lanciafiamme della 12° divisione SS. È un inferno in cui s'inabissa, urlante, la fanteria nemica. I carri sono come sfere di metallo fuso, e questo dura da diciotto ore, senza tregua, con perdite terribili da tutte e due le parti.
41 Al limite delle forze ci gettiamo per terra, ma Heide ha trovato per fortuna del whisky e, anche se sa un po' d'alluminio, Dio come è buono! Per il legionario suona l'ora della preghiera, e lo vediamo inginocchiarsi verso la Mecca.
42 Molti francesi sconosciuti, membri della Resistenza, hanno aiutato le forze di liberazione, e nessuno saprà mai ì nomi di quanti sono caduti davanti al plotone di esecuzione tedesco. Un giorno Londra chiese al capo della Resistenza di Coen, ingegnere Meslin, delle informazioni sulle fortificazioni costiere tedesche, senza pensare minimamente al rischio che tale missione comportava. Meslin si prese la testa fra le mani: come fare? Ogni via che portava alla costa era strettamente sorvegliata, e chiunque si addentrasse senza regolare permesso in quel settore veniva immediatamente fucilato. Questa missione sembrava irrealizzabile. Anche chiedendo di lavorare nell'organizzazione Todt, non si sarebbe potuto vedere che una parte irrisoria del litorale, e sarebbero occorsi migliaia di agenti segreti per poter combinare una carta di centosessanta chilometri di spiaggia. Ma qui intervenne la fortuna. Uno dei membri del gruppo dei partigiani, René Duchez, imbianchino di professione, soprannominato « Sangue Freddo», passeggiava una mattina nelle vie di Coen, pensando come realizzare questa impresa... Davanti alla prefettura, un manifesto lo colpì. L'organizzazione Todt cercava un imbianchino qualificato. Duchez si diresse verso la sede della Todt dove una sentinella lo respinse nudamente; Duchez insiste fino a quando arrivò un ufficiale che conosceva qualche parola di francese. L'imbianchino chiese di parlare con un ufficiale. « È molto importante », assicurò. Lo fecero entrare nell'ufficio dell'ispettore per l'edilìzia civile, dove gli venne comunicato che la sua offerta di lavoro avrebbe avuto risposta entro otto giorni. Otto giorni, Duchez sapeva benissimo che cosa volevano dire: il tempo per la Gestapo di fare le sue indagini. Otto giorni dopo, all'ora stabilita, si presentò alla sede della Todt, e mentre mostrava i suoi campioni di colorì all'ispettore per l'edilizia civile, entrò nell'ufficio un ingegnere dell'organizzazione. « Heil Hitler! » disse, buttando sulla scrivania un rotolo di piante topografiche.
43 « Non vedete che sono occupato? » grugnì l'ispettore. L'ingegnere uscì e il tedesco sfogliò le piante sotto lo sguardo falsamente distratto di Duchez, che non credeva ai propri occhi. Erano proprio le piante del Vallo Atlantico, del tratto di costa tra Honfleur e Cherbourg. Duchez aveva il cuore in gola. L'ispettore, irritato, buttò da parte il rotolo e si immerse nei campionari di colori e di carta da parati, ma la sua attenzione fu di nuovo sviata dall'arrivo di un ufficiale arrogante che lo pregò dì seguirlo nell'ufficio accanto. Duchez, emozionatissimo, rimase solo davanti ai piani. Si trattava di non perdere un minuto. Si guardò intorno disperatamente, alla ricerca di un nascondiglio, e lo sguardo gli cadde su un grande ritratto di Hitler appeso al muro, dietro la scrivania. Nessuno avrebbe cercato lì! Febbrilmente afferrò le carte e le ficcò dietro il quadro. Quasi nello stesso istante il tedesco rientrò. « Idioti! Tutto sulle mie spalle! Dei mascalzoni hanno messo dello zucchero nel cemento. E io che ci posso fare? Che si impicchino! Bene, diamo uno sguardo ai vostri campionari. » Si misero d'accordo sull'imbiancatura degli uffici: lunedì mattina alle otto. L'imbianchino si congedò con un vistoso saluto nazista che fece sorridere di compiacimento il calvo ispettore. Era un venerdì pomeriggio. Il weekend fu un inferno per Duchez. A ogni momento credeva di veder arrivare la Gestapo: non potevano non aver cercato i piani e sospettato per prima cosa il francese, impossibile che fosse altrimenti! Dunque impossibile dormire. Mentre sua moglie che ignorava tutto delle sue attività dormiva tranquilla, l'angoscia opprimeva Duchez. La paura lo rendeva quasi folle. Malediceva il suo gesto e gli inglesi, questi inglesi tranquilli che non sapevano nulla della Gestapo! Dei passi pesanti... Una pattuglia di gendarmi armati di mitra... Lina torcia illumina tutta la casa... Ma la pattuglia prosegue. Duchez bevve fino a ubriacarsi, esasperato, distrutto dal terrore. Non sarebbe stato meglio sparire? La Gestapo sarebbe venuta, questo era certo.
44 Ma la Gestapo non venne. Il lunedì mattina prese un tonico e si presentò al lavoro coi suoi barattoli dì vernice e la carta da parati sotto il braccio. Fischiando entrò nell'edificio della Todt, si fece perquisire dalla sentinella e si mise a lavorare sotto lo sguardo stupito degli impiegati. Nessuno sapeva niente del lavoro, l'ispettore era stato sostituito. Finalmente si trovò un altro funzionario che si ricordava vagamente della cosa. « Fate quel che volete! » gridò irritatissimo, « e non seccatemi! lo mi occupo di artiglieria pesante e di rifugi antiaerei! » / primi due giorni Duchez lavorò cantando come un fringuello, ma solo la sera del terzo giorno scostò con molta precauzione il quadro. Fu sul punto dì urlare di paura. I piani erano sempre al loro posto, e questo significava la tortura e la morte. Neil'uscire, li infilò nei rotoli di carta da parati, mise tutto tra due barattoli di colla, ma sulla porta dell'edificio era livido. La sentinella lo fermò, palpò le sue tasche, perquisì la sua borsa. « Va bene », grugnì il tedesco. Duchez aveva fatto solo pochi passi quando si sentì richiamare. « E in quei secchi? » « Della colla per la tappezzeria, sergente. » La SS mescolò col pennello la colla lattiginosa e la annusò sospettoso. « Non si sa mai, con voialtri! » Duchez inforcò la bicicletta e si precipitò al Café des Touristes (il quartier Generale della Resistenza), dove consegnò le piante topografiche al capitano Girard. Questi le portò a Parigi e le diede al comandante Touny il cui quartier generale era vicino a quello dei tedeschi, al 72 dell'avenue des Champs-Èlisées. Touny credette di sognare vedendo quello che il compagno gli aveva portato e venendo a sapere dell'eroismo di Duchez. « È il colpo più bello dall'inizio della guerra, e metterà la Gestapo in crisi! Che Dio ci protegga! Non andrà liscia, ma ne vale la pena! »
45 CAPITOLO IV
ACQUARTIERAMENTO La piccola Volkswagen anfibia e tozza sobbalza davanti alle prime case del paese, Gregor frena con grande stridio di gomme. Mitra in pugno, frughiamo con gli occhi molto attentamente tutte le case grigie e tristi intorno; al minimo sospetto spariamo, siamo come animali da preda che stanno cacciando. Tutti ci spiano. Il silenzio opprimente sembra una pesante coltre nera. Porta è il primo a scendere dalla macchina, seguito dal Vecchio e da me; Gregor resta al volante, il mitra appoggiato al parabrezza, il dito sul grilletto. Se si aprirà una finestra farà fuoco immediatamente. La strada un po' infossata serpeggia tra i piccoli giardini e gli orti devastati, attraversa il villaggio e si disperde nei campi. È un villaggio che non è segnato sulle carte dello stato maggiore; a trenta chilometri nessuno ne conosce l'esistenza. L'arma sempre in pugno, ci avviamo verso le case più vicine sapendo per esperienza che gli abitanti protestano sempre per questi continui ordini di alloggiamento. Pazienza! Abbiamo quest'incarico, e se tutto non è pronto prima dell'arrivo del battaglione, gli ufficiali se la prendono con noi. A passi felpati la vita del villaggio silenziosamente riprende, le porte si socchiudono, occhi curiosi ci guardano. Andiamo di porta in porta predisponendo il numero degli uomini che verranno alloggiati. Che paese fortunato! Non una sola bomba vi è caduta. D'un tratto una bambina corre verso di noi e butta le braccia al collo del Vecchio. « Papà! Sei tornato! » Lacrime le colano lungo le guance. « Ero sicura che saresti tornato! »
46 Lo abbraccia stretto senza accorgersi che urta con la fronte contro l'orlo tagliente dell'elmetto. « Hélène! » chiama dall'interno della casa una voce dura di donna. « Che c'è? » « È papà! Papà è tornato, vieni qui subito, nonna! » Una donna alta dal volto cupo, i capelli tirati dietro i lineamenti ossuti, appare sulla soglia. « No, vieni dentro, non è papà! » « Ma sì nonna, questa volta è proprio lui! » Con inutile durezza la donna prende per mano la bambina e la spinge in casa. Il vestito di lutto molto povero, con un collo alto, sottolinea ancora di più il pallore del viso. « Perdonate, la bambina è un po' straniata. Suo padre è morto davanti a Liegi nel '40, ma lei lo crede sempre vivo; sua madre è stata uccisa da uno Stukas mentre camminava lungo una strada. » « Sono costretto a fare l'alloggiamento, signora », risponde con timidezza il Vecchio. « la sezione, 3° gruppo, lo segno a gesso sulla porta. » Nella casa vicina una coppia ci offre del vino; la donna porta un abito grigio di seta fuori moda e ci guarda attraverso un occhialetto. Le stanze sanno di naftalina. I nostri ospiti riempiono i bicchieri con gesto servile dandoci il benvenuto e guardando le nostre uniformi nere dei reggimenti corazzati, segnate al collo con la testa di morto. « Ah, siete della Gestapo? » chiede l'uomo con aria untuosa. « Bene, possiamo dirvi che in questo paese succedono delle cose ben strane. Brulica di partigiani comunisti tutta la zona e ci procurano un sacco di fastidi. » Indica attraverso la finestra la casa vicina. « Guardate là, dove vedete quel muro scuro, cinque dei vostri vi sono stati assassinati. » Un uomo in tuta di operaio arriva pedalando su una vecchia bicicletta, con un pollo sgozzato sul manubrio. « Quello è Jacques, fratello di uno dei gendarmi del paese,
47 anche lui nella Resistenza, naturalmente, un bandito legato a tutti i crimini della regione. Badate anche a Pierre, il Brigadiere; se saprete prenderlo vi dirà delle cose molto interessanti. » La donna approva con gli occhi pieni di gioia vendicativa. Io scrivo sulla porta « la sezione, 4° gruppo». « Sporche spie! » mormora Porta. « Ne devono succedere delle belle in questo paese. » « Occupati degli affari tuoi, dobbiamo organizzare gli alloggiamenti e basta, noi! » risponde secco il Vecchio. Poco più lontano incrociamo il brigadiere, con il suo chepì sbiadito in testa e un camiciotto di tela. « Heil Hitler! » grida, verde di paura. Si mette sull'attenti, in zoccoli, un fusto di calvados sotto il braccio. Evidentemente siamo attesi. Entriamo. Nuovo giro di bicchieri; il brigadiere beve alla salute della Germania, mostra le fotografie di famiglia, parla, parla, un fiotto ininterrotto di parole, ride senza ragione delle storie che racconta, ci dà delle manate sulle spalle, muore di terrore. « I soldati tedeschi sono i migliori del mondo! Vincerete la guerra. La guerra è stata scatenata dagli ebrei. » Tira fuori di tasca una lista di nomi. « Ecco quelli che ho già arrestati, era ora che si ripulisse il paese dagli ebrei! Non hanno mai portato altro che grane, a cominciare dal capitano Dreyfus. » « Veramente quello era innocente », insinua il Vecchio, « un errore giudiziario. » « Peggio per lui », continua il brigadiere, ostinato. « In ogni caso era uno sporco ebreo. » Porta esasperato mette una mano sopra il suo mitra. « Dimmi un po', amico, ci hanno riferito che sei nella Resistenza e che in questo paese succedono molte cose strane, è vero? » « Chi è quel disgraziato che vi ha detto una cosa simile? » grida l'uomo sussultando. « Ho sempre obbedito alle autorità e sono amico del comandante della zona. »
48 « Se n'è andato il comandante », sorride Porta, « ma quando avremo lasciato il paese ti consiglio di andare a dire due paroline a quelli della casa davanti, non devono avere molta simpatia per te, mi sembra ». « Ma se la moglie è mia cugina! » « Ragione di più. » « 2ª sezione, 1 ° gruppo », segno col gesso sul battente della porta. A questo piaceranno ancora di più i tedeschi quando avrà conosciuto Petit-Frère! Ci dà delle manate sulle spalle, ci fa grandi auguri, e appena lasciamo la casa lo vediamo bere a canna il suo calvados. « Quasi quasi se la faceva addosso dalla paura », commenta Porta. « Il classico eroe di cartapesta. Tutti mascalzoni qui. » « Basta, che si lavino i loro panni in famiglia », fa il Vecchio. « Chi vince ha sempre ragione. » Nella casa seguente, accoglienza gelida di un vecchio contadino. Sul suo petto la croce di guerra. Perquisiamo la casa e i suoi occhi ci seguono pieni d'odio. Che miracolo, una vasca da bagno! Bisogna riempirla coi secchi ma è sempre una vasca. « Qui ci mettiamo un pezzo grosso », consiglia Porta. « Quei tipi lì si lavano il sedere! » Consenso del Vecchio che destina la casa al maggiore. La porta sbatte dietro di noi. Il sindaco, un ometto con i baffi ispidi, ci accoglie troppo bene, e naturalmente ci informa subito di essere membro del partito. « Dagli lo Hauptfeldwebel Hoffmann », sghignazza Porta, « così darà le dimissioni dal partito ». In alto, verso la curva della strada, vediamo una casa un po' appartata che sembra abbandonata. Impossibile farsi aprire. Rinunciamo e proseguiamo altrove la caccia agli alloggiamenti. Nel tardo pomeriggio arriva rumorosamente il battaglione; naturalmente tutti si lamentano della propria destinazione, salvo
49 Petit-Frère, molto soddisfatto perché trova una cantina ben fornita. « Vado ad aiutarlo », ride Porta, scomparendo in una scaletta ripida. Me ne vado solo verso la casa lontana, quella appena prima della curva; salto una siepe: qui tutto sa di pace, il giardino è pieno di fiori, un secchio arrugginito dondola sopra un vecchio pozzo seminascosto da rampicanti. « Che volete? » Impugno la rivoltella, è un riflesso automatico; ma la voce viene da una macchia, e intravedo tra due alberi un'amaca nella quale è distesa una giovane donna di circa venticinque anni. Lontano rimbombano voci rauche di comando. Due occhi a mandorla mi guardano con curiosità. « Che cercate, signore? » « Credevo la casa abbandonata. Siamo acquartierati nel villaggio. » La giovane donna scende dall'amaca; il suo vestito ricorda una tunica cinese con gli spacchi che mostrano lunghe gambe dorate. Avevo dimenticato che una donna potesse essere così ben vestita, senza ricordarmi un ospedale. « Stavo andando a farmi un caffè, ne volete una tazza? » « Abitate qui? » Domanda idiota, ma non trovo nient'altro da dire. « Sì, ma abito anche a Parigi. La conoscete? » « Non ancora, ma penso che verrà pure il momento. Siete sposata? » Ha un sorriso amaro: « Mio marito è in Indocina o in un campo di concentramento giapponese. Non ho sue notizie da tre anni. Essere dietro una mitragliatrice o dietro un filo spinato, quale altra alternativa esiste oggi per un uomo? » Ha ragione. Un momento maledetto questo. Ogni giorno, le famiglie dei due fronti ricevono lettere respinte e marcate col timbro « Disperso ». Non c'è che aspettare. Molti aspettano tut-
50 ta la vita, altri non hanno questa pazienza. « Credete che la guerra finirà presto? » Alzo le spalle. Certo che lo credo, sono anni che lo credo. Dall'inizio. « Qui è splendido, si riesce a dimenticare la guerra, ma io ho paura. Domani torno a Parigi. Mi sento più sicura, nella folla si è anonimi. Pensate che Parigi sarà dichiarata città aperta come Roma? » Io non so, non sapevo nemmeno che Roma fosse città aperta, non ci dicono mai niente. Un soldato deve soltanto obbedire. Le sue mani sono belle e curate e sfiorano la mia mentre i suoi occhi mi sorridono, poi mi toglie gli occhiali neri, ma la luce mi fa talmente male agli occhi che la giovane donna, confusa, mi rende gli occhiali. « Scusate, credevo fossero occhiali da sole, per rendervi più interessante. » Rido con disprezzo. « Per tre mesi sono stato cieco, con la tentazione di suicidarmi. Una granata al fosforo, un giorno che sono saltato fuori da un carro in fiamme. La luce continua a farmi male. Ci sono in Germania un milione di ciechi di guerra, ma io non ho il diritto al bastone bianco dei ciechi perché non lo sono del tutto. » « Quanto tempo rimarrete qui? » « Non lo so, qualche ora o qualche giorno, un soldato non sa mai niente. » « Dove abitate, in Germania? » « In una caserma, a Padeborn, ma prima vivevo in Danimarca. » « Non siete tedesco? » « Sì, adesso lo sono, altrimenti non mi avrebbero accettato nell'esercito. Gli stranieri sono reclutati dalla Waffen SS, la Legione Straniera tedesca. » « Come siete entrato nell'esercito? » « Volontario. Cercavo un lavoro. Il libro di Remarque, All'O-
51 vest niente di nuovo, è stato il mio vangelo quando ero ragazzino, mi ha fatto amare il soldato tedesco. » «Credevo fosse un libro antimilitarista.» « Forse, ma ha avuto l'effetto contrario su milioni di giovani. Descriveva il cameratismo, la solidarietà, tutto quello che noi sogniamo, insomma. In Danimarca l'esercito è piccolo, non conoscevo nessuno e lì i soldati sono disprezzati; la gente sputava apertamente contro gli ufficiali e la polizia non li difendeva nemmeno dalle violenze del popolo. » « È per questo che i danesi si sono arresi subito nel '40? » « Che cosa potevano fare i danesi contro la più grande forza militare di tutta Europa? Lo stesso esercito francese non ha saputo resistere. » « Ma la Francia non ha cessato di combattere. Noi continuiamo la guerra con gli inglesi! Gli inglesi non ci abbandonano! » Scoppiai a ridere. « Devo proprio dirvi per chi si batte l'Inghilterra? Vi hanno già abbandonati nel '40. A Dunkerque il vostro Gamelin ha sacrificato i francesi per loro. L'Inghilterra si batte per se stessa e basta; nessuna nazione combatte per un 'altra. non siate ingenua fino a questo punto. » « Perché non disertate? Voi vi battete per una causa perduta. Entrate nella Resistenza, qui vi aiuteranno. » « No, sono un soldato; se diserto abbandono i miei compagni che contano su di me come io conto su loro. Si diserta solo in un momento di follia. Siamo cinque compagni in un carro, il quintetto della morte. Sappiamo che la guerra è perduta, lo sappiamo da molto tempo, molto prima che gli uomini politici l'abbiano compreso, ma il cameratismo ci fa continuare. Rileggete il libro di Remarque. Anche loro sapevano che la guerra del loro impero era perduta, eppure sono rimasti fedeli all'amicizia, la sola cosa che ci resta perché temiamo più la pace che la guerra, temiamo il ritorno alla solitudine. Difficile capirlo
52 quando non si è soli. » « Io sono sola », dice accarezzandomi la mano. Oso abbracciarla. La terra trema, una lucertola scappa, è una colonna di carri pesanti che passa e il calore dei tubi di scappamento arriva fino a noi. La mano nella mano, entriamo nella casa per preparare il caffè, un caffè meraviglioso. Dove diavolo è riuscita a trovarlo di questi tempi? « Ma voi in fondo chi siete? » Mi si avvinghia. I nostri abiti scivolano sul pavimento e io rido con stanchezza mostrandole la mia giacca macchiata di grasso. « Vedi, una macchina per ammazzare o per distruggere. Ho imparato soltanto questo e nient'altro. » « Se tu potessi scegliere, che cosa saresti? » « È difficile dirlo. Sono stato soldato troppo a lungo, sono abituato agli ordini urlati; non posso vivere che con degli ordini e una disciplina. Ci hanno dominato per tanto tempo che ormai siamo come schiavi. » Il tempo per noi si annulla; il caffè rovesciato cola sulla tavola, del caffè brasiliano così raro! Ma noi dimentichiamo tutto, e soprattutto il mondo che è intorno. Improvvisamente sentiamo dei passi veloci, dei motori rombano, le finestre vibrano. Bussano alla porta insistentemente. Ci alziamo di furia dal divano e lei mi butta la giacca. È Porta che entra come un uragano. « Allora! Ti si cerca dappertutto, che cosa fai, imbecille? Stanno arrivando gli americani! Leviamo le tende e subito! Signora, ai vostri ordini. » Si toglie con un gesto largo la sua tuba gialla e il suo unico dente appare in un sorriso. « Il signore è stato all'altezza? » Petit-Frère entra ubriaco fradicio. Scuote la caffettiera rovesciata. « Peccato è vuota. » Lecca il fondo delle tazze. « Mercato nero », dice brevemente. « La signora mi darebbe l'indirizzo? » Il suo occhio acuto avvolge tutta la stanza. « Non ci sarebbe qualche cosa che può servirci, qui dentro? Vedi di vestirti il più presto possibile, siamo gli ultimi e il Guercio se
53 ne è già andato furibondo. Ha cacciato fuori dal letto il tenente Schmidt con la proibizione di considerarsi un ferito. Il Feldwebel Mann, della 2ª sezione, si è impiccato e l'Ober-gefreiter Gert ha tagliato la corda. Un cretino. I gendarmi lo riacciufferanno nel giro di due ore. Avevo quasi pensato che anche tu avessi levato le tende. Meno male. Venti uomini sono alle tue calcagna con i mitra. » Questo torrente di parole sembra inesauribile; ma la giovane donna mi abbraccia. « Resta con me », bisbiglia. « È una pazzia andare proprio ora. Resta, Sven, ti nascondo io! » Scoppia in singhiozzi. Scuoto la testa; i sogni non possono mai diventare realtà. « Perché piagnucola? » chiede Porta pulendosi le orecchie con un cucchiaino. « Ha tutto quello che vuole, una casa, del pane, del caffè, e allora? Andiamo, signora, asciugatevi gli occhi, i liberatori stanno arrivando, non manca poi molto. » « Andatevene via tutti! » grida la donna uscendo di corsa. « Sempre un po' matte le donne », commenta Porta, « deve essere a dieta da un bel po' questa qui, ha bisogno di un uomo; ma se fossi in lei non metterei sotto il piumino nessuno prima che abbia scucito i sol-doni; diventerebbe ricca subito». Tutta la compagnia è già allineata nel mezzo della piazza e mi riesce impossibile scivolare nei ranghi senza farmi vedere. « Credete che la guerra aspetti proprio voi? » mi urla il Guercio furente. « Stava tubando con una pollastrina », sussurra estatico Porta. « Tre giorni di arresto », conferma il Guercio. « nei ranghi, e non fatevi più vedere! » « Urrah! » sentiamo. È Petit-Frère che arriva con aria vaga. « Urrah, viva il Guercio! » « Banda di indisciplinati! » grugnisce il Guercio. « Oberleutnant Lòwe, avanti e scattare! » Il grosso maggior generale sale in macchina e sparisce in una
54 nuvola di polvere. Lòwe raddrizza il suo berretto: « Maledetto ubriacone! » urla a Petit-Frère che ha un singhiozzo e sorride come un beota. « Faccio umilmente il mio rapporto: l'Obergefreiter Wolfgang Ewald Creutzfeldt è ubriaco come una vacca. » Lòwe alza le spalle. « Compagnia a destra, destr, sguardo avanti diritto. » Per un istante osserva l'ordine della compagnia, poi centottanta uomini si buttano in disordine verso i carri; apriamo le torrette, ma fatichiamo maledettamente a cacciarvi dentro PetitFrère, che alla fine piomba sul piancito di acciaio, abbraccia la culatta del cannone e si mette a russare. Segnale di avviare i motori. Un tuono enorme rimbomba, sono i venticinque motori dei Tiger che si mettono in moto, ma improvvisamente mi sento preso dalla nostalgia di un mondo che non ho mai conosciuto, di una casa accogliente e di una donna raffinata. « Carri, marsc! » comanda il Vecchio. « Direzione autostrada, preparate i pezzi con le granate esplosive, controllate l'apparecchiatura elettrica. » Con apatia premo automaticamente tutti gli innumerevoli bottoni, il motore elettrico ronza regolarmente. Il lungo cannone brandeggia, il 503 che ci precede solleva un turbine di polvere e scava la strada catramata con i cingoli che sferragliano. Febbrilmente premo gli occhi contro l'oculare di gomma del cannocchiale. Purché gli altri non si accorgano del mio turbamento, mi farebbero passare un inferno! Perché mai ero andato in quella casa? Mi guardo intorno in questo piccolo spazio puzzolente di olio di motore, di sudore e di metallo surriscaldato. Basta con i sogni, Sven, altrimenti diventi pazzo. Petit-Frère si china su di me, puzza maledettamente di alcool e i suoi occhi sono iniettati di sangue, la testa di morto brilla sul risvolto della sua divisa. Rutta. « È stato formidabile eh? »
55 « Piantala! » Ma alla svolta della strada vedo Jacqueline vicino alla siepe, che muove la mano in un gesto di saluto. Dimentichiamo Jacqueline! A un tratto un grido del Vecchio. « Torretta sulle ore due! Settecento metri, carro nemico. » L'apparecchiatura elettrica segnala, il lungo cannone brandeggia, è un falso allarme, non è che un relitto incendiato a bordo del quale vediamo due cadaveri carbonizzati. Viene notte, una notte illuminata da una luna pallida come un'ombra. Al nostro passaggio le case vibrano fino alle fondamenta, la gente si sveglia, degli occhi spauriti appaiono ai vetri delle finestre. I Tiger occupano tutta la larghezza della strada e un lampione, spaccato in due come un fiammifero, piomba su una casa facendo saltare una vetrata. Fiammate lunghe un metro escono dal tubo di scappamento. Tre battaglioni di carri pesanti corrono nella notte verso le linee inglesi. Che brutta sorpresa per quei soldati! Una casa ostruisce il cammino; i carri di testa la schiacciano sotto i loro cingoli. Sentiamo l'urlo di un bambino. « O mort viens donc », canticchia il legionario dietro il suo periscopio. « Non avresti qualche cosa di forte? » chiede Petit-Frère a Porta. Porta gli tende una bottiglia arraffata a un ufficiale pagatore all'intendenza: è dell'alcool di Haderslev, il migliore schnaps del mondo, il solo che non attacca in gola. Le bottiglie erano state requisite per un comandante di divisione, ma sfortunatamente per lui Porta era arrivato per primo; diceva di aver fiutato quell'alcool addirittura dalla strada! Petit-Frère ne trangugia un'enorme sorsata, fa un rutto, sputa attraverso l'oblò evidentemente controvento e tutto gli ritorna in faccia, bestemmia, si asciuga con uno straccio sporco, mentre gli enormi motori ronfano nella notte. I cingoli sferragliano con un rumore di morte; uno di questi si
56 spezza e stacca di netto la testa a un tenente che in quel momento stava guardando fuori. Tutta la torretta è inondata di sangue. Avanti! Avanti! Ai lati della strada camion incendiati, relitti di carri armati, cadaveri carbonizzati sospesi alle torrette. Tutta una colonna di fanteria giace là, falciata in un campo. « Guarnizioni », constata placidamente Porta. « Mi domando se trasmettono ancora alla radio il canto dei carristi. » Barcelona canticchia a mezza voce questa canzone del 1940, senza chiedersi se il testo è sempre attuale: Oltre la Mosa, la Schelda, il Rena, i carri entrano a Francoforte, gli ussari neri del grande Führer hanno invaso la Francia d'assalto, i cingoli sferragliano, i motori rombano, i carri corrono sulla terra di Francia... Una risata enorme. « Siete diventati un po' tocchi? » È la voce rauca di Heide nel microfono della radio che abbiamo dimenticata inserita. Risate di scherno scoppiano negli altri carri. La fiera marcia si è tramutata in un ridicolo ritornello grottesco. D'un tratto davanti a noi una colonna strana di persone... sono dei prigionieri? No, vediamo delle suore coperte di polvere correre per raccogliere insieme una orda di persone che gridano in maniera selvaggia: sono i pazzi che hanno evacuato dal manicomio di Caen. Uno di loro esce dal gruppo e si butta ridendo sotto i cingoli dei nostri carri, gli altri battono le mani, saltano come belve, tanto che le povere monache alzano le braccia disperate. Improvvisamente un uomo con la divisa di un ospizio viene diritto davanti a noi.
57 « Stop! » grida il Vecchio, senza pensare che la radio è sempre inserita. « Per l'amor del cielo, stop! » Tre battaglioni l'hanno sentito e la lunga colonna dei Tiger si ferma; i motori girano in folle, ma una macchina arriva a piena velocità facendo stridere la ghiaia nella brusca frenata. In piedi col pastrano aperto vediamo il Guercio furibondo agitare un bastone. « Chi ha dato quest'ordine? Chi è quel cretino da consiglio di guerra? Autoblindo, avanti! » I cingoli sferragliano; un Tiger passa proprio in mezzo alla colonna dei pazzi, l'autista perde per un momento il controllo delle sue settantadue tonnellate e il colosso si ferma di traverso sulla strada; una vecchia suora si butta contro il portello di acciaio, pesta furiosamente coi pugni. « Assassini, assassini! » La macchina del Guercio frena bruscamente. Il maggior generale guarda il massacro senza nemmeno vedere la suora che picchia sul portello del carro. « Quest'imbecille non sa guidare, venga spedito alle cucine. E voi », dice al tenente che spunta dalla torretta, « a rapporto alla sezione disciplinare quando saremo a destinazione. Autoblindo, avanti, e anche se il diavolo in persona si presenta a braccetto di Gesù Cristo, sfasciate tutto. Avanti, cani, volete vivere. in eterno? » Contemporaneamente una lunga fila di macchine della Croce Rossa tenta di superarci, ma i grossi camion si impantanano. Nonostante le proteste dei loro equipaggi li buttiamo nel fosso ai lati della strada. Spazio per i Tiger! Un tenente di fanteria arriva di corsa seguito da un ufficiale della Feldgendarmerie, la cui piastrina a lunetta brilla nel buio; punta la sua pistola: « Sabotaggio, siete in arresto! Chi è quel cretino che comanda qui? » L'uomo ha l'aria sicura, quelli della Feldgendarmerie sono i despoti della vita e della morte, tutti montati dai consigli di
58 guerra. Ai loro occhi anche un colonnello non ha autorità. « Chi si permette di fermare i miei Tiger? Voi? » urla il Guercio. Il maggior generale Mercedes, con il bastone e la benda nera, si impone con tutta la sua altezza davanti ai due uomini. Spinge via con un colpo di bastone l'ufficiale della Feldgendarmerie. « Siete impazzito? Se non sparite immediatamente do l'ordine di farvi impiccare all'albero più vicino. Credete che la guerra possa fermarsi per voi, forse? Autoblindo, avanti! » Poco più avanti una nuova colonna di fanteria ci ostruisce la strada. Sono uomini senza più armi, sbandati, folli di terrore, che si precipitano contro i nostri carri. Essi inquadrano (se così si può dire) dei prigionieri americani e inglesi in divise kaki stracciate. Tutti i popoli d'Europa formano questa colonna «tedesca»: russi, ucraini, cosacchi kirghisi, bosniaci della divisione musulmana, ungheresi delle unità dei Carpazi, sudeti, sassoni, bavaresi, alsaziani, polacchi, italiani... tutta questa gente, alla rinfusa, cerca una sola cosa: scappare! « Bell'esercito! » dice Porta. « Mi piacerebbe che Adolfo fosse qui a vedere! » Ci indica dei paracadutisti. « Anche i ragazzi di Hermann! Staremo perdendo la guerra, per caso? » Ma ecco che arriva al galoppo un'unità di cavalleria; gli uomini si spiegano in un immenso ventaglio e sciabolano con tutta la loro forza i fuggiaschi. Riconosciamo i loro colletti rossi : sono i cosacchi del generale Vlassov specialisti di rastrellamenti, e si divertono anche! In piedi sulle staffe volano, briglia contro briglia, la schiuma alle narici dei loro piccoli cavalli tarchiati. Risuonano in russo ordini rauchi, le sciabole luccicano; in un lampo hanno bloccato l'orda e ora ridono, fieri. È un lavoro su misura per questi uomini della steppa. I cavalli sono tutti in sudore, i cavalieri smontano di sella e agitano le sciabole, delle sciabole senza elsa, un po' ricurve. Noi guardiamo i corpi a terra insanguinati. Dei cosacchi nell'esercito tedesco, agli ordini di un
59 generale russo, uccidono dei soldati tedeschi con le loro sciabole russe! Tutto è follia. Per chi si battono questi, in fondo? Non un'ombra di pietà. Un maggiore della Feldgendarmerie si frega le mani e dà una manata sulle spalle di un capitano russo. I cavalli si abbeverano al ruscello con lunghe sorsate e gli uomini si buttano a terra per bere insieme ai loro cavalli. In un reggimento di cosacchi, l'uomo e il cavallo sono una sola cosa. La sciabola al fianco vengono verso di noi, i loro occhi neri scintillano di gioia, la stella rossa brilla sui loro colbacchi di pelo. Al collo la croce con l'aquila. « Salute, gospodin », ride un caporale tarchiato che puzza di vodka. Porta la sciabola di traverso sul ventre; grandi spalline russe ornano la sua uniforme tedesca, un grande cinturone bianco regge la fondina della rivoltella; in mano la nagaika, la frusta cosacca, con la correggia arrotolata. Tende la mano con gesto amichevole « Che cosa ne pensate? Questo ricorda le repressioni di Nicolaiev nel 1938. I minatori di Nicolaiev erano dei duri, avevano sconfitto la polizia con bastoni di legno, ma non l'avevano spuntata. Mandarono noi da Zaporogie, dove eravamo in addestramento con l'armatura calmucca. » « Tovarisc », dà una manata sulla spalla di Porta. « Nessuno ti ha mai predetto il futuro, gospodin? » gli chiede Porta con aria sorniona. « Io sono un grande mago, vedo il passato e il futuro. Dammi la zampa, tovarisc. » Esitante il cosacco gli tende il palmo della mano, agitando con l'altra la piccola frusta arrotolata. « Hai paura, per caso? » « Paura? » dice il russo con disprezzo. « Che cos'è? Ma non è sempre bello conoscere il destino. » « Vediamo un po'. » L'espressione di Porta diventa meditativa. « Sei stato caporale al servizio dello zio Giuseppe Stalin. Allora avevi un berretto con la visiera e una stella rossa e ti sei fermato un po' alla guarnigione di Maikov. »
60 « Santa Madre di Kazan, sei veramente un mago! » Altri cosacchi fanno crocchio, e la paura è palese nei loro occhi. Un vecchio sergente con la barba bianca si fa il segno della croce. « Vero anche che la nonna del diavolo era anche peggio, ma questo ghermanski è un diavolo », mormora. Porta dà un colpetto sulla mano del russo. « Niente di bello, gospodin tovarisc! Vedo una strada dissestata, della polvere, niente maciorka, niente acqua, una lunga colonna... Dio quanto è lunga! Tutti gli uomini portano le insegne di Vlassov. Immagino che tu sia abbastanza coraggioso per ascoltare la verità, tovarisc. Vedo dei generali americani e russi seduti davanti a un grande tavolo che bevono whisky e vodka e fumano grossi sigari. Firmano dei documenti, si stringono la mano. Ah! Vedo ancora... Adolfo è morto, lo zio Ivan si fa rimandare tutti i suoi cosacchi per evitare che scappino all'estero. Il Piccolo Padre vuole avervi tutti sotto le sue ali! Tovarisc, conosci Dalstroj? 1 Bene, imparerai a conoscerlo e anche la nagajka. Oh! Vedo molto lontano una forca con un capestro tutto nuovo, ma tu hai la fortuna di sfuggirle. In ogni caso stai certo di una cosa, compagno, finirai i tuoi giorni come woenna plenny. »2 Il cosacco strappa via la mano e fa un salto indietro. « Il diavolo ti porti la peste, e che tu possa bruciare nella pentola puzzolente di Satana! » grida. Petit-Frère che stava ad ascoltare afferra il russo e lo solleva da terra come fosse un cucciolo. « Porco di un russo, fila, e vedi di parlare in un altro modo! O puoi contare su di me per avviarti sulla strada di Dalstroj! E a colpi di frusta, tovarìsc. » Il cosacco si mette a bestemmiare come un temporale, e sap1 2
Campo di deportazione in Siberia. (N.d.A.) Prigioniero di guerra. (N.d.A.)
61 piamo che non esiste altro essere umano che conosca tante parole quante un russo per bestemmiare e maledire. Nella violenza della sua collera dimentica perfino dove si trova. « Viva la rivoluzione! Viva Stalin! Morte ai barbari tedeschi », urla. « Bisognava pensarci prima », sghignazza Porta. « Hai puntato sul cavallo sbagliato, tovarìsc. » L'uomo si lascia sfuggire un'oscenità, monta a cavallo e passando davanti a noi abbozza un gesto minaccioso con la sciabola. « Brutti sogni e torture vi colpiscano! » dice con occhi luccicanti di odio. « Morirete di sete sotto il sole, sporchi calmucchi! » Il reggimento di cosacchi scompare e il tenente Lòwe, nervosissimo, si avvicina al nostro carro. « Obergefreiter Porta, non permetto che vi prendiate gioco degli alleati volontari! Uno dei loro dannati capi è andato a lamentarsi con il comandante. » Porta, senza nemmeno alzarsi, batte i tacchi. « Signor tenente, quel rospo delle paludi è venuto a farsi predire l'avvenire. Gli ho detto la verità, ecco tutto, quel merdoso finirà nel Dalstroj dello zio Giuseppe! » « Basta, Porta, forse ci finirete anche voi. » « È molto probabile, signor tenente. Lo zio Giuseppe dovrà rinnovare i quadri quando sarà finita la guerra. » Il tenente Lòwe si allontana con aria cupa e un silenzio pesante cade su di noi. Una civetta ulula su un albero; passa la notte; la nebbia dell'alba si alza, e noi prepariamo il caffè rischiando per un pelo di far incendiare il carro. Le gavette di metallo bruciano le labbra, ma Porta è riuscito a rubare all'intendenza un grosso barattolo di marmellata di barbabietole. Com'è buona sul grosso pane dell'esercito! Ci stringiamo l'uno contro l'altro. Come ci sentiamo bene, siamo insieme. Alla notte segue un giorno grigio. Rumore di voci. Arrivano i
62 granatieri, di pessimo umore, mentre una batteria antiaerea della Flak si mette in posizione; Porta commenta con disprezzo che non avrebbe mai potuto colpire una squadriglia di bombardieri a cinque metri da terra! Il tenente Lòwe dà il segnale. « Autoblindo, avanti! » Il pesante Tiger vibra sotto l'impulso dei suoi due enormi motori che Porta spinge al massimo senza ragione. Due caccia passano sopra le nostre teste, sganciano le loro bombe di cinquanta chili sui margini della strada e scompaiono senza alcun danno, nonostante il tiro feroce della Flak. Nuovo attacco! I Tiger si mettono in formazione. Eccoci di nuovo soli, abbandonati, ridiventati assassini. Dietro ad ogni piccolo sasso, a ogni cespuglio, a ogni piega del terreno la morte spia, sotto forma di carri armati, di bazooka, di cannoni, di mine magnetiche. Il periscopio ci svela i nascondigli del nemico. Per un soldato di fanteria un attacco massiccio di carri armati è la più atroce delle esperienze, l'osservatorio nemico ci ha avvistati da tempo, piovono già le granate, ma noi avanziamo a quaranta chilometri all'ora, e i lunghi cannoni brandeggiano. Tutto è pronto. « Chiudete le torrette », comanda il Vecchio. Blocchiamo gli sportelli. « Torretta sulle ore due. Distanza settecento. Pak mimetizzato. » Delle linee e dei quadrati danzano davanti ai miei occhi. Il Vecchio mi picchia sulla spalla. « Hai il bersaglio? » Non vedo che cespugli e rovine. « Idiota, quel rumore in basso, là, a sinistra. » La fiammata di un cannone rivela il piazzamento della batteria, una granata ci manca di poco. Con la velocità di un fulmine punto, le cifre sfilano davanti ai miei occhi: seicentocinquanta... i punti si congiungono, il quadrante si illumina. « Presto! » dice nervosamente il Vecchio.
63 Tiro. Lo spostamento d'aria ci colpisce come un pugno, il bossolo rovente cade sul piancito di acciaio. Il cannone è pronto una seconda volta. Abbiamo distrutto il cannone Pak: metallo e lembi di carne. Tutto salta; il resto è schiacciato sotto gli enormi cingoli. « Torretta sulle ore due. Distanza cinquecento. Fuoco avanti dritto. » Il motore ronza, la torretta vira, li riconosco immediatamente, sono dei Churchill facili da individuare con il loro lungo corpo e la torretta bassa. Ce ne sono sei che procedono vicini... dei debuttanti. Ci fermiamo. I loro equipaggi senza esperienza di fuoco tirano in movimento, ma bisogna essere rapidi; un carro fermo è un bersaglio facilissimo. Petit-Frère apre uno dei quadri di controllo per vedere « quando salterà per aria ». « Tirate dunque, cretini! » sbraita. « Ce ne sono ancora di ostacoli prima di arrivare a Berlino! » « Chiudi la torretta! » grida il Vecchio furioso. « Lascia perdere, e ricordati che sono Obergefreiter, la spina dorsale dell'esercito. » Il Vecchio si gira verso di me: «Comincia dall'ultimo, poi vira e schianta il primo, ma muoviti, tira! » Il lungo cannone rincula. Una lingua di fuoco... Preso! L'ultimo carro si capovolge. « Mica male! » grida Petit-Frère. « Non conoscete ancora i berlinesi! » La torretta vira. Prima ancora che si sia fermata, tiro : il primo Churchill è proiettato fuori di strada. « Cambiare posizione. » Porta cambia velocità, arretra, entra in una piega del terreno. Io ho i tre ultimi Churchill inquadrati nel periscopio; ne fermo uno nel quadro, tiro... la granata fila come una cometa, e colpisce il solo punto invulnerabile del Churchill; la cupola della torretta. Devono aver preso una fifa spaventosa. Ma aprono la tor-
64 retta, l'equipaggio esce... Heide li falcia con la mitragliatrice, nello stesso istante in cui due granate ci raggiungono; per fortuna il tiro è troppo corto; ce la caviamo con un rumore d'inferno. Petit-Frère è sbattuto in fondo alla torretta. « Che cagnara! Credevo di essere morto, questo genere di guerra è un po' pericoloso! » Si rialza sudato, prende un'altra granata nello scomparto munizioni. Tengo un altro Churchill inquadrato nel congegno di puntamento. La lunga granata fila via, ma il carro resta sul posto. L'abbiamo mancato? No, ne esce un sottile fumo bianco. Tratteniamo il respiro dimenticandoci persino di cambiare posizione. Una fiammata verticale che sale verso il cielo, una esplosione spaventosa, lastre di metallo di una tonnellata volano come fossero fuscelli. Il quinto carro brucia: il suo comandante, torcia umana compressa fra il metallo, urla come un forsennato. « Autoblindo, avanti! » comanda il Vecchio, « Posizione vicino ai ruderi. Torretta sulle ore due. Distanza trecento. Carro nemico, fuoco! » Il cannone tuona, il sesto Churchill è preso, e Petit-Frère vuole uscire subito per dipingere i sei anelli della vittoria sulla nostra torretta. Collera furiosa del Vecchio, ma è inutile, PetitFrère non imparerà mai la disciplina; Porta e lui battono tutti i record della insubordinazione, hanno fatto venire la pelle d'oca a molti ufficiali di stato maggiore. Ecco che proprio dietro di noi le batterie Do entrano in azione; siamo sotto un ombrello di fuoco, la nostra fanteria cade, il nemico spazza quota 109 e la fanteria canadese si batte furiosamente. Va snidata buca per buca. In mancanza di meglio, un sergente ci scaglia delle pietre; la mitragliatrice lo uccide, poi ci viene incontro un gruppo che viene schiacciato sotto i nostri cingoli. E alla fine torna il silenzio. I carri si fermano. Non si sente altro rumore che il crepitio delle fiamme. Tossendo, con i polmoni doloranti, usciamo dalla prigione d'acciaio e Porta, con il
65 volto nero di fumo, corre verso una casa distrutta e ne esce con le braccia cariche di barattoli di birra. Senza nemmeno prender fiato ne beve due di seguito, e i suoi occhi luccicano come palline bianche nel volto nero di fumo. « Ce n'è una cantina piena! La loro birra della vittoria, e vi giuro che è una meraviglia, fa un gran bene! » Petit-Frère lancia un grido e sparisce tra le rovine, ritorna con dieci scatole che apriamo con la baionetta, camminando e cantando canzoni sconce. Si dimentica tutto, anche la guerra, anche le case che bruciano davanti a noi. Ma improvvisamente una mitragliatrice crepita e torniamo bruscamente alla realtà. « Porci! » grida Petit-Frère, mentre Heide strappa la sicura di una bomba a mano e la scaglia verso il bersaglio. Un'uniforme kaki si alza in fiamme e cade sotto le raffiche. Sentendoci improvvisamente molto infelici, guardiamo la birra che scappa fuori dai barattoli bucati. È questa la guerra.
66 I partigiani di Caen ricevettero un giorno l'ordine di eliminare il capo della Milizia, Lucien Brière, che lavorava a stretto contatto con la polizia tedesca ed era amico personale del capo della Gestapo, il commissario Helmuth Bernhard. Brière era stato il responsabile di un gran numero di esecuzioni di cittadini francesi. Il lattoniere Arsene fu incaricato di compiere la missione. Insieme a tre compagni, riuscì a penetrare nella casa di Brière, in via Fossés-du-Chàteau, vi buttò diverse bombe, ma l'attentato fallì. I congiurati furono costretti a fuggire e a loro insaputa l'abitazione dì Brière venne affidata alla sorveglianza della Waffen SS. Arsene decise di agire da solo, pedinando Brière quando usciva di casa. Il giorno prestabilito, Arsene si appostò in mezzo alla strada per colpire di fronte l'uomo più odiato di Caen. Non voleva essere scambiato per un volgare assassino. Brière intuì il pericolo, ma fu troppo tardi; tentò di ritornare sui propri passi, ma Arsene che gli camminava appena dietro lo costrinse a voltarsi, e con il suo parabellum lo colpì alla testa due volte. Da tutte le finestre della strada, gli abitanti avevano seguito la macabra scena. Con incredibile calma, Arsene si tolse di tasca una macchina fotografica, scattò una foto del cadavere, perché quei benedetti signori di Londra dubitavano qualche volta dell'esecuzione dei loro ordini. Poi sparì. Quando tre giorni dopo sì svolsero ì funerali alla chiesa di SaintJean, la Gestapo si rese conto di quale vulcano era tutta la città. La folla che ingombrava le strade applaudì all'apparizione del feretro e intonò la Marsigliese.
67 CAPITOLO V
NELLO STILE DI HEMINGWAY In Normandia non esiste un fronte vero e proprio. Quando si parte in ricognizione, per ore non ci si imbatte nell'ombra di un nemico; si attraversano interi villaggi dove gli abitanti sanno solo vagamente che una guerra tremenda si svolge vicino a loro. A un incrocio succede spesso di doversi fermare per lasciar passare due auto americane, anche loro in ricognizione. Gli occupanti ci salutano, scambiando evidentemente il nostro Puma a quattro ruote motrici per uno dei loro carri. Quando con molte precauzioni entriamo in Montaudin, è quasi notte. La piccola città sembra morta. « Guarda, una bettola! » dice Porta tutto contento. « Andiamo a vedere se ci danno una minestra, ho una tale fame che non so più cosa mangerei! » Parcheggiamo la pesante autoblindo in mezzo alla piazza, esattamente come un pullman di turisti in tempo di pace, poi sfiniti, polverosi, di pessimo umore, usciamo stiracchiando le braccia. Sbadigli enormi. Siamo in ricognizione esattamente da due giorni. « Dio, come sono stanco! » sospira Heide. « Questo maledetto diesel fa diventare pazzi. Dov'è che potremmo stare un po' meglio? Dietro le linee, ma quali? » Il Vecchio si gratta la nuca e si strofina la punta del naso. « Sentite una cosa, lasciate le bustine nel carro, è l'unica cosa che può farci identificare. Dopo tutto la nostra tuta mimetizzata somiglia a quella degli altri, e non si sa mai dove si va a cascare. » « Io tengo il mio bravo nagan in tasca », decide Pe-tit-Frère, con in mano il pesante revolver da commissario russo. « Se ve-
68 do uno che mi sembra dubbio, gli schiaffo una pallottola russa nel sedere! » Tutti ci riempiamo le tasche di bombe a mano grosse come uova, cacciamo le rivoltelle nelle tasche dei camiciotti della divisa, poi, col mitra carico, il legionario spalanca con un calcio la porta dell'osteria. Il locale, illuminato da una sola lampada molto debole, sembra deserto. « Salve! Ci sono dei clienti! » Heide, molto teso, ci indica la sagoma gigantesca di un soldato americano addormentato con le braccia abbandonate sul piano del bar; una bottiglia vuota e dei bicchieri rotti sul pavimento: l'uomo deve essere ubriaco fradicio. « Un amerloque! » bisbiglia Heide. « Filiamo, ho paura che siamo dietro le linee americane. » « Cretino! » grugnisce Porta succhiandosi il suo unico dente. « E perché quel tipo lì non potrebbe avere sbagliato indirizzo atterrando dietro il fronte di Adolfo? Me ne frego! Anche se fosse Eisenhower voglio una bouillabaisse e subito. Petit-Frère, vai a dare una ripulita al locale, voglio mangiare in pace. » Petit-Frère si rimbocca le maniche, prende dai suoi gambali una bomba a mano: « Pronto. Faccio saltare il quartier generale se si fa vedere ». « Padrone! » grida il legionario. Un uomo di mezza età con l'aria assonnata, in vestaglia bisunta, scende pesantemente la scala. « Ancora americani! » grugnisce, « pare che piovano! » « Padrone, perdonate il disturbo », dice educatamente il legionario, « non potremmo avere una bouillabaisse? Se non avete personale possiamo darvi una mano ». Stupore. « Siete francesi allora? Vi avevo presi per americani. » « Sì, siamo della 2ª divisione corazzata diretta a Parigi. I miei compagni sono tedeschi della Legione Straniera. »
69 « Urrah! » urla l'oste, e fa i gradini a quattro a quattro, impigliandosi coi piedi nella vestaglia. « Viva la Francia! Viva i francesi! Scendete tutti! » « Si direbbe che è Natale », sussurra Petit-Frère. Delle bottiglie polverose appaiono come per incanto. L'americano ubriaco si sveglia e ci guarda con aria assente; i grossi baffi sembrano il pelo di un gatto bagnato, la divisa è piena di macchie di liquore. « Hello boys! » balbetta. « Avete whisky? » Ripiomba in una pozza di cognac, si mette a russare. « Ubriaco come una vacca », interviene l'oste, « hanno bevuto tutta la notte lui e due suoi compagni. Sono arrivati ieri mattina e sono diretti sicuramente a Parigi. Gli altri se ne sono andati circa due ore fa su una jeep, ma questo qui è rotolato sotto il tavolo. » « Non ce ne sono altri per caso? » chiede prudentemente il legionario. « No, è rimasto solo e mi hanno vuotato un'intera cassa di whisky. » L'americano socchiude un occhio, ci guarda, si drizza improvvisamente in piedi. È pressappoco dell'altezza di Petit-Frère. Barcollando si dirige verso il banco, batte il pugno e urla: « Whisky, damned daggers! » Poi, con passo malsicuro, si avvicina a Barcelona. « La tua faccia non mi piace, amico », gli dice spingendolo per una spalla. « Mi fai pensare a un Kraut. Hai del whisky? » Ripiomba per terra, ride come un ebete, si mette a canticchiare My old Kentucky Home, battendo il tempo con una bottiglia vuota. Il padrone dell'osteria scuote la testa. « Completamente andato. È un corrispondente di guerra. Ieri ha sfasciato la sua macchina da scrivere dicendo che la maledetta non conosceva l'ortografia. » « Have a drink, boys! » grida il gigante yankee sbattendo delle bottiglie vuote contro la parete.
70 Fa l'occhiolino con aria sorniona al Vecchio. « Soldato, portami a Parigi. Evidentemente non sai chi sono io. » Ha un singhiozzo. « Ma questo non ti riguarda. Dimmi, è difficile morire? » continua farneticando. Scuote la testa, risponde a se stesso: « No, non deve essere assolutamente difficile, in ogni caso molto più facile che vivere». Si volta verso PetitFrère: « Tu, grand'uomo, arrivi fino al cielo quasi, sporgiti un momento verso la terra e dammi qualche cosa di forte ». Altro singhiozzo. « Ti piacerebbe eh, grand'uomo, sapere dov'è? È un segreto, top secret, ma tu sei amico mio e io te lo dico. Scommetto tre contro uno che vieni dall'Alabama, sembri proprio un buon vecchio mangiatore di negri. Terzo raggio, a sinistra della vetrata, dietro il bar. Zitto! » Petit-Frère sussulta, si infila dietro il bar e ne viene fuori con le braccia cariche di bottiglie. « Un angolino benedetto! » L'oste, seguito dalla ragazza di cucina e da Porta, scompare per preparare la bouillabaisse. Mostra delle scatole di aragosta. « Veramente appartengono agli americani, ma non importa. Prendono anche loro tutto quello che trovano qui dentro. Vedi, amico, sono quattro anni che li aspettiamo come il santissimo sacramento, finalmente arrivano, e sai che hanno fatto? Hanno bevuto fino all'ultima bottiglia tutto il mio calvados da nozze! » Un urlo arriva dalla stanza vicina insieme al rumore di vetri rotti. « Cristo! » L'oste prende da un armadio uno sfollagente di gomma. « Tutti uguali i soldati, ma adesso glielo insegno io! » Corre nella sala sempre seguito da Porta. Sono Petit-Frère e Heide che si picchiano furiosamente rotolando sul pavimento, in mezzo agli applausi di Barcelona e dell'americano. Due colpi di sfollagente a ciascuno, giusto fra gli occhi, sono sufficienti per riportare la pace. Un metodo sicuro che si adopera da un po' di tempo. Porta annuisce. « Bel lavoro amico, volatilizzati quando Petit-Frère torna in
71 sé. Se scopre che sei stato tu che gliele hai suonate, va a finire male. » Sparisce in cucina, si mette in testa un gran cappello da cuoco, e un grembiule da cucina sull'uniforme già un po' bizzarra. « Parli tedesco, amico? Io non me la cavo tanto bene col francese. » « Come? » dice l'oste sospettoso. « Da quanto tempo sei nella Legione? » « Non molto, e lì si parlano tutte le lingue. » « Ah! bene », sospira di sollievo. «Si dice proprio così della Legione Straniera. Ce ne sono molti di tedeschi? » « Un mucchio », conferma Porta. « Non si riesce nemmeno a sputare da tanti che ce ne sono. » « Strano tempo il nostro. » « Allora vediamo un po' la bouillabaisse. Pomodori, carote, hai della cipolla? » L'oste gliene porge una manciata. « Timo e lauro anche, poi prezzemolo e limone », aggiunge Porta che si mette a cantare a squarciagola: Hazadnak renduletlenul légy hive oh magyar! Bolcsod ez s majdan sirod is, mely apol es eltakar. « Che cos'è ancora questa lingua incomprensibile? » « La canzone magiara della mietitura, amico. La bouillabaisse non viene buona se non si coglie il prezzemolo al chiaro di luna cantando questa canzone. Laggiù, vanno pazzi per la bouillabaisse, passando per l'Ungheria, mi sono fatto dare la ricetta. » L'albergatore si lascia cadere su una panca. « Mio Dio! » borbotta, « non ci capisco più niente, ma se ne vedono talmente tante di questi tempi! » Porta prende una testa d'aglio: « Basta. Questo tipo di zuppa è una cosa seria, e solo gli stu-
72 pidi risparmiano il vino bianco. Qui ce ne vogliono almeno due bottiglie ». L'albergatore annuisce con aria grave e tende a Porta un piatto di cozze. « Ancora una dozzina », comanda Porta, « e un bel po' di scatole di aragosta. Poi tutto quello che c'è di altro tipo di pesce, salvo l'aringa affumicata naturalmente», aggiunge ficcando il naso nella pentola che bolle. « Ma niente pane qui dentro, è un cibo troppo modesto per dei liberatori. » Il padrone scoppia a ridere. « Ma lo zafferano e il ranuncolo sono indispensabili e forse anche un velo di rum. Questo veramente non c'entra nella ricetta, ma una cosa buona non può che migliorarne un'altra già buona », dice rovesciandone una mezza bottiglia nella zuppa. Le cameriere ridono e l'albergatore vuota del tutto la bottiglia di rum. Porta lecca il collo del recipiente. « Dà calore e purifica il fegato. Bene, e adesso occhio all'orologio; quindici minuti, non uno di più né uno di meno. » Quando Porta e l'oste arrivano con l'immensa zuppiera, sono urli di gioia. « È la più bella avventura della mia vita! » ride lo americano. « Ho ben capito chi siete voi, amici, vi ho spiati! » Tutti impallidiscono, Heide mette la mano alla pistola. « Eravate sul punto di farmela, ma a me non la si fa. » Senza immaginare che la sua vita è legata a un filo, piglia in mano un pezzo di aragosta e lo contempla con aria concentrata. Porta, imperturbabile, si rimpinza; lui e l'oste conoscono bene la maniera di sbrogliare le situazioni diffìcili. « Tutto si può aggiustare con i tipi un po' montati e un paio di pistole, sia qui sia a Washington, amico. Ti faccio vedere subito come. » Prende la sua pesante P38, caccia indietro sulla nuca la sua tuba gialla. L'albergatore diventa livido e un silenzio assoluto piomba sul locale. Due colpi partono verso il soffitto.
73 « Imbecille! » protesta il padrone. « Non vorrai mica ammazzare me! » « È solo un saggio. » « Vi ho spiati », continua l'americano con l'ostinazione incosciente dell'ubriaco. « Sei nero, yankee, nero come il letame. » « D'accordo, ma vi ho spiati ugualmente. Tu non sei altro che il culo di un grand'uomo », dice con improvvisa energia, « e poi non sapete bere il whisky, donnette ». « Donnette noi? » ruggisce Petit-Frère che si sta svegliando e agita i grossi pugni. Diventa pericoloso. Porta afferra un bastone di legno e lo colpisce con forza alla nuca. Mentre lo legano, l'americano abbraccia Porta. « Bel colpo, amico », si rivolge a una cameriera, « non vedi che siamo a secco? Vai di sopra a prendere un fusto in camera mia ». Dopo due minuti la ragazza è di ritorno con un fusto di quattordici litri. L'americano attacca direttamente la bocca al collo del recipiente, ma non è così facile bere a canna da un recipiente simile. Tutto il whisky gli cola sul mento. Rutti rumorosi. Poi il fusto passa a Porta. Tutto quanto è impestato di liquore. Il Vecchio si avvicina a una finestra per vomitare e con delicatezza spinge indietro le tendine nere. Al diavolo la guerra! Si beve e si mangia, si mangia da non poterne più servendoci col cucchiaio direttamente dalla marmitta fumante, mentre Porta infila una mano sotto la gonna di una cameriera. « Dio santissimo, non ha le mutande! » « Alla salute di tutti i Kraut morti! » sbraita lo yankee. « Come on boys. » Un urlo bestiale lo interrompe, è Petit-Frère che riprende conoscenza. « Vigliacchi, porci, assassini dei vostri compagni! » Uno dei lacci si spezza e riesce a liberare un braccio. « Aspettate soltan-
74 to che riesca ad abbrancarvi! » L'immenso americano si alza a fatica, asciuga il whisky che gli cola dai baffi e fa la sola cosa sensata che c'era da fare; solleva il fusto fino alla bocca di Petit-Frère. La festa continua. « Vado a liberare Parigi », singhiozza lo yankee, « beviamo tutti alla salute di questa dannata città ». Barcelona vomita sulla schiena dell'oste, troppo ubriaco anche lui per accorgersene. Solleviamo la testa di Heide dalla marmitta proprio nel momento in cui sta per annegarvi dentro. Porta lo fa adoperando delle mollette e l'americano ride, ride e diventa paonazzo. « Andate a Parigi, voi? » « Hai mai sentito di un viaggio in Francia che non passi per Parigi? » « Portate anche me! Uno skòl per il bar del Ritz, e guai se quegli sporchi Kraut me lo distruggono. Che sfascino pure tutta l'Europa ma non il bar del Ritz! Chi sa se il mio amico Jean è ancora lì! » Barcolla, si lascia cadere sul banco, fìssa con aria ebete un bicchière rotto. « Dio, che sete! » « Va' a prendere una bottiglia di cognac. » Porta gli tende del rum e del whisky, rovesciano tutto dentro un grosso vaso rotto e mescolano con un attizzatoio. L'orrendo miscuglio è come un pugno nello stomaco. « Brucio! » geme Petit-Frère, mentre l'albergatore rotola dietro il bar. « Vendimi il tuo revolver », propone Porta all'americano. « Non posso amico, è un ricordo di uno 'spaghetti' morto », ride e singhiozza. « E tu non avresti per caso una jeep da vendermi? » « No, ma ho un carro armato », risponde Porta, « è posteggiato qui nella piazza ». « Ma sei pazzo? Il vigile ti affibia subito una multa, stai sicuro. Vieni, andiamo a spostarlo. » Lo Yankee prende Porta sotto
75 braccio. « Toh! » nota dopo una lunga riflessione davanti alla nostra autoblindo. « Perché hai una croce di Kraut segnata sopra? » Porta fissa concentrato la croce uncinata, facendosi vento con la sua tuba gialla. « Un cretino, che ha voluto farci uno scherzo di pessimo gusto », risponde con disapprovazione. « Pro... proibito », balbetta l'americano, « bisogna trovare subito della vernice bianca ». L'albergatore ha della vernice. I due ubriachi cancellano con cura la croce nera poi si siedono sul marciapiede a contemplare il loro lavoro. « Dunque, siamo intesi », dice l'americano con voce nasale, « tu mi porti a Parigi col tuo autobus. Io devo assolutamente mandare il mio pezzo al giornale. Ho in mente un titolo stupendo! » Traccia con la mano delle lettere nell'aria e scandisce con compunzione: « Un corrispondente di guerra e il conducente di un carro armato liberano Parigi. Un milione di Kraut si arrendono. Sai fare delle foto, amico? » « Come no? » annuisce Porta. « Allora prendiamo tanti bei marescialli Kraut e li mettiamo tutti in fila davanti al bar del Ritz, li fotografiamo e poi li pigliamo a calci nel sedere, tra un bicchiere e l'altro. Vieni amico, andiamo! » Ma appena è in piedi, il corrispondente di guerra ripiomba per terra come un sacco. Quel miscuglio di alcool è veramente difficile da digerire. Ne approfittiamo per salire con fatica nel carro. Tutto gira come una ruota, Porta canta a squarciagola; ci sentiamo tutti abbastanza male e i sobbalzi del carro aumentano ancora il disagio. Improvvisamente vediamo Heide piegarsi in due con un gemito e diventare terreo in volto. « Che c'è adesso? » domanda Porta.
76 « Deve essere quel maledetto alcool americano », bisbiglia Heide che si mette a vomitare sulla radio e sul quadro di bordo. Il fetore è tale che diventiamo tutti intrattabili, litighiamo, ma Heide intanto si rotola sul piancito tenendosi il ventre. « Che stia davvero male? » dice Porta esitante. « Fermate i motori », comanda il Vecchio, « cominciamo a vedere che cosa ha ». Ci fermiamo sotto un gruppo di alberi molto folti e con mille difficoltà riusciamo a estrarre Heide che urla. « Uccidetelo », dice Petit-Frère, « è molto più semplice, si è sempre divertito, del resto, quest'imbecille, a rivoltarmi in su le dita dei piedi! » Il Vecchio lo scosta brusco, sveste Heide e gli tasta il ventre. « Appendicite », dice secco. « Bisogna operarlo d'urgenza altrimenti muore, e il solo posto dove possano operarlo è dagli americani. Che ne dite? » « Rischiare una fucilata nella nuca per lui! » grida Porta con orrore. « Questo mai. Me ne frego della sua appendicite. » Il legionario scuote la testa: « Sei proprio ingenuo se credi che i compagni qui di fronte abbiano voglia di operarlo. Lo ammazzano subito e noi con lui. È così la guerra. Io sono del parere di Petit-Frère ». Porta accende una sigaretta anestetica e la infila nelle labbra violette di Heide, Petit-Frère tocca il suo nagan, il Vecchio si strofina il naso come sempre quando riflette. Heide delira. Sentiamo la parola : « Dio ». « Un po' tardi per pensarci », commenta Porta. Il Vecchio si decide. « Sfilate fuori l'antenna », dice, « cerchiamo di metterci in contatto con la nostra unità più vicina; dove sarà, maledizione? In questo sporco paese non lo si sa mai! » Il legionario si infila la cuffia e manovra la radio. « Hallo, hallo! Qui Betty Grable. » Non va, proviamo da un'altra parte. « Qui Hella 27, abbiamo bisogno di un medico e subito. » An-
77 che loro non sono i nostri. La radio sibila e emette un incomprensibile magma di parole inglesi e tedesche. Il legionario continua a più riprese, finalmente sente una voce che parla tedesco. « Qui Gatto selvaggio 133. Siamo in ascolto. » «Abbiamo bisogno di un chirurgo», spiega rapidamente il legionario. « Restate in contatto. Dove siete? » « Ti riguarda? » bestemmia il legionario. « Credi che ci teniamo a una visitina di quelli di fronte? » L'interlocutore dall'altra parte si mette a ridere: «Bene. Ecco un medico all'apparecchio. Buona fortuna, amico». Un'altra voce tedesca: « Qui il dottor Eiken dello stato maggiore. Perché pensate che sia un'appendicite? » Il legionario gli fornisce qualche particolare che lo convince. « Bene, allora seguite attentamente le mie istruzioni, non abbiate timore. Lavatevi le mani con alcool, spennellate di iodio il paziente e legatelo molto bene. Davanti alla costernazione di Petit-Frère, Porta si sente in dovere di lavare col whisky il ventre di Heide. « Disinfettate gli strumenti della cassetta del pronto soccorso con dell'alcool. Ne avete? Nella cassetta ce ne deve essere un litro. » « Ce n'era », mormora piano Barcelona, « ma non ce n'è più quando si ha sete ». « Preparate dei tamponi di ovatta per arrestare il flusso del sangue dalla ferita. » La voce spiega accuratamente il posto esatto dove il Vecchio deve fare l'incisione. « Di sbieco, verso il basso, premendo, ma non troppo. Il bisturi deve essere tenuto in mano con delicatezza. L'incisione non deve essere più lunga di dieci centimetri. » Il sangue sprizza fuori da sotto il bisturi mentre Heide, che non avevamo potuto narcotizzare, urla. « Sanguina molto, dottore », mormora il legionario che segue
78 l'operazione. « È naturale, in ogni caso fate quello che vi dico. Divaricate con delle pinze la pelle ai due lati, in modo che ' l'incisione rimanga aperta. Incidete più profondamente ma non troppo; bisogna fare molta attenzione a non forare l'intestino. Se vedete troppo sangue, detergetelo con i tamponi di ovatta e aspiratelo con l'apparecchio di gomma che si trova nella cassetta. Avete individuato la appendice? Non è più grande di un dito ed è un po' ricurva. » « Sì, dottore. » Il Vecchio suda a grosse gocce. Heide che deve soffrire terribilmente continua a urlare. Petit-Frère tiene gli occhi chiusi dalla nausea. « Fatelo tacere », dice il Vecchio, « altrimenti non ce la faccio ». Petit-Frère viene avanti con il suo pugno enorme. « Perdonami, Julius, è un favore da amico, non ha niente a che fare con un pugno. » Due colpi bastano e Heide tace. « Abbiamo narcotizzato il paziente, dottore. » « Con che cosa? » « Un KO. » Segue un breve silenzio. « Com'è il polso? » « Rapido. » « Uno di voi lo tenga sempre sotto controllo. Nessun timore, non lasciatevi prendere dall'orgasmo. Com'è l'appendice? » Pieni di curiosità ci sporgiamo al di sopra della schiena del Vecchio e contempliamo il ventre aperto di Heide. « Molto grossa e rossa. » « Prendete ora lo strumento chirurgico lungo e ricurvo. Trattenete con due dita l'intestino, tagliate, fate attenzione che non esca del siero. Non siate nervosi. Tagliate l'estremità inferiore e trattenete bene l'intestino. Spennellate bene con alcool. Ferma-
79 te ora l'estremità interna con le pinze, troverete delle piccole pinze nella cassetta rossa. Mantenete chiusa la ferita con queste. Infilate l'ago curvo con il refe che troverete sempre nella cassetta. Dopo che l'ago è passato, annodate i due capi del refe; fate in questo modo sei punti. Finito? » Il Vecchio che continua a sudare annuisce. « Bene, ora cospargete abbondantemente di sulfamidici e fasciate il paziente, immagino che sappiate farlo. Fermatevi per almeno due ore, è necessario che il malato possa stare tranquillo, e richiamatemi sulla stessa lunghezza d'onda se dovesse intervenire qualche complicazione. Io resto in ascolto, ma voi chiudete il contatto perchè il nemico non s'interessi troppo a voi, poi cercate di riguadagnare le linee tedesche, perché il malato possa essere ricoverato al più presto in ospedale. Buona fortuna, ma vedete di non narcotizzarlo più! » Il legionario chiude il circuito e fa rientrare l'antenna. La rete mimetica viene stesa sopra il carro e lo rende quasi invisibile; le armi sono sempre pronte. Heide riprende lentamente conoscenza, pallido come un morto, il polso appena percettibile. « Muoio! » geme. « Mi dispiace, ma proprio no. Resti qui ancora un pò,' giusto per essere impiccato. Toh, guarda il tuo pezzo di trippa! » « Attenzione », bisbiglia Barcelona, « carri armati ». Una jeep, seguita da una colonna di autocarri pesanti zeppi di soldati americani di fanteria, appare sulla strada. Li guardiamo atterriti. Una granata viene introdotta nel cannone pronto a far fuoco. Nel medesimo istante tre Jabo passano così rasente agli alberi che riusciamo a vedere perfettamente i razzi agganciati sotto il loro ventre. « Se quelli lì ci vedono, tanti saluti a tutti! » Per un'ora il destino ci accorda una certa tranquillità, poi vediamo un seconda colonna: in testa due Sherman, di cui vediamo distintamente il distintivo con le stelle bianche. Il loro equipaggio fuori dalla torretta fino alla cintola, canta e ride senza
80 sospettare la presenza così vicina di un grosso Puma che con un solo colpo può annientarlo. « E se li facessimo fuori? » propone Petit-Frère. « Quei tipi lì devono avere di sicuro tanti bei denti di oro in bocca. » « Ma non vedi quanti sono? » risponde Porta grattandosi la testa. « Ci sistemano subito. Nessuno ci regalerebbe l'oro dei suoi denti, te lo dico io. » Petit-Frère, deluso, guarda allontanarsi la colonna. Ma adesso è necessario sistemare Heide. Togliamo il sedile davanti e trasportiamo l'operato con molte difficoltà attraverso la torretta, nell'interno del carro. Heide geme da spaccare il cuore. « Basta adesso, non sei più malato », lo rimprovera Porta, « te l'abbiamo tirato via tutto il marcio! » Prendiamo le strade secondarie che gli americani evitano come misura di sicurezza, e nel corso della notte arriviamo e ci presentiamo al reggimento, Heide viene immediatamente ricoverato all'ambulanza da campo. Credete che ci abbiano fatto i complimenti? Assolutamente no. Ci viene fatta una sfuriata da un medico capo perché la nostra cassetta di pronto soccorso non era regolamentare. Negligenza durante il servizio, quattro ore di esercizi per punizione. Petit-Frère ci spiega con cura come gli sarebbe piaciuto operare il medico capo, e la sua idea ha un gran successo.
81 Il partigiano Robineau, di Port-en-Bassin, era stato arrestato dalla Feldgendarmerìe, che gli faceva subire il trattamento speciale riservato ai sospetti. Gli vennero spezzate le braccia in diversi punti, gli verme imposto di leccare gli sputi; finalmente confessò che il suo capo era il dottor Sustendal di Luc-sur-Mer. Il dottore cominciò naturalmente col negare, cosa che riempì di gioia il piccolo zoppo segretario della polizia segreta del fronte. Si beava di veder negare le persone che arrestava! Dopo aver picchiato, preso a calci, sputato sulla loro vittima, questi cani alla fine si stancarono e decisero di mettere a confronto il dottore con il giovane Robineau. « Perdonatemi, dottore, ho confessato tutto », disse il giovane piangendo, « non ne potevo più. » Anche Sustendal confessò: era l'agente di collegamento del servizio di informazioni francese a Londra. Poco dopo Robineau s'impiccò alla porta della sua cella.
82 CAPITOLO VI
UNA MITRAGLIATRICE PERDUTA La nostra sezione di combattimento con l'Oberleutnant Lowe si insedia all'ingresso del villaggio, in una casa abitata da una coppia di coniugi anziani. Questi non avevano ancora ben capito che cosa fosse la guerra. Durante tutta l'occupazione avevano alloggiato un maggiore tedesco, ufficiale della vecchia guardia che aveva continuato a credere di servire il suo imperatore. Prima di partire, l'ufficiale aveva dato un pranzo d'addio ai notabili del posto, e nessuno aveva ancora dimenticato il maggiore, conte von Holzendorf, aristocratico fino alla punta delle dita, che parlava di Hitler chiamandolo « quel caporale di Boemia ». Questa immagine così perfetta dell'ufficiale tedesco era ancora frésca e i signori Chaumont accolsero con la più grande cortesia il tenente Lòwe, guardando con sorpresa appena velata la sua uniforme polverosa e i suoi stivali sporchi. Era anche lui un ufficiale prussiano? Lowe salutò appena e dichiarò requisita la casa. « Signori », protestò il signor Chaumont allibito, « posso vedere il vostro ordine di requisizione? » Il tenente rimase a bocca aperta, mentre la signora Chaumont osservava con disapprovazione la tuba gialla di Porta; ma quando poi arrivò Petit-Frère coi cavi telefonici sul braccio e la bombetta grigia di traverso, la misura fu colma. Heide, ritornato dall'ospedale, srotolò rumorosamente i cavi sul pavimento. La centrale telefonica venne installata in cucina. « Non accetto la vostra intrusione in casa mia », protestò il padrone di casa. « Il conte non avrebbe mai agito in questo modo, e io me ne lamenterò in alto loco. »
83 « Se fossi in voi », disse Lòwe alzando le spalle, « scriverei una lettera a von Rundstedt e un'altra a Eisenhower. » Ma l'installazione di una mitragliatrice sul tetto della casa rese il signor Chaumont quasi folle. « Ho una gran voglia di regolare i conti con questo rimbambito», grugnì Petit-Frère. Il tenente lo zittì, quando improvvisamente si precipitò in casa Gregor Martin senza fiato, e cascò sfinito su una sedia. « Grosse colonne di fanteria nemica arrivano in gruppo. » Il tenente afferrò il cannocchiale: « Mio Dio! Bisogna prevenire immediatamente il reggimento. Dov'è Holzer? È possibile che non ci sia mai quando si ha bisogno di lui? » Petit-Frère alzò l'indice: « So io dove si è cacciata quell'anitra zoppa, signor tenente. Vado subito a cercarlo». Cinque minuti dopo fu di ritorno, solo, ma carico di dieci litri di calvados. « Holzer ha tagliato la corda un momento prima che io arrivassi, ma la signorina era furiosa. » Grande scoppio di risa. « Holzer, quel porco, le ha portato via le mutande. Segnalo al signor tenente che fa collezione di queste cose. Ha riferito anche lei che si lamenterà, esattamente come il nostro padrone di casa. » « Feldwebel Beier », lo interruppe Lòwe irritato, « vi incaricherete della compagnia e manterrete la posizione costi quel che costi. Barcelona e Sven, venite con me. È necessario avvisare il reggimento ». Dietro l'Oberleutnant, corriamo attraverso la campagna, presi di mira da proiettili traccianti e granate che fanno schizzare via la terra tutt'intorno. Lo stato maggiore era insediato in un castello e la prima persona che vediamo è l'ufficiale d'ordinanza beatamente disteso su un divano malandato, con in mano una bottiglia di champagne mezzo vuota.
84 « Siate il benvenuto, tenente Lòwe, non avete per caso del ghiaccio? Impossibile trovarne, ed è molto spiacevole per lo champagne, ma questo luogo è così bello », dice l'ufficiale visibilmente sbronzo. « Avete visto i tendaggi? Questi francesi hanno un gusto! Io ho sempre amato la Francia. » Indica col dito i miei stivali col risvolto. « Da quando i carristi si permettono di usare gli stivali da maresciallo del Reich? E questo avrebbe l'aria di essere un Fahnenjunker! Come mai autorizzate questo genere di cose, tenente? E la disciplina? Dio sa che cosa accadrà del grande esercito germanico! Fahnenjunker, a rapporto da me alla fine della guerra, e mi incaricherò personalmente che siate punito. » « Dov'è il maggiore? » chiede secco Lòwe. Nello stesso istante arriva in maniche di camicia e short il maggiore Hinka. Anche lui ha una bottiglia di champagne in mano. « Novità, Lowe? » « E come », grugnisce Lowe furioso, e mostra una cartina spiegazzata che indica la posizione. « Gli inglesi attaccano in forze, mi occorre almeno un battaglione di riserva, altrimenti tutto il reggimento è in pericolo. » « Tout passe, tout lasse, tout casse », canticchia il piccolo ufficiale di ordinanza, stappando un'altra bottiglia di champagne. « Ha dei bei nervi, questo qui », dice Lowe sempre più irritato. Il maggiore Hinka si china sulla carta, accende un sigaro profumato, riflette qualche minuto. « Mantenete la posizione con la vostra compagnia. Trinceratevi davanti alla collina; abbiamo visto di peggio di un reggimento di inglesi, e compiacetevi che non sia un reggimento di russi. Allora sì che ci sarebbe da cantare! » Il sigaro rifiuta ostinatamente di rimanere acceso, e il piccolo ufficiale di ordinanza dà in una risata stupida. Lowe si morde le labbra dalla rabbia.
85 « Chiedo ugualmente una sezione di carri a sostegno, signor maggiore. » Hinka lo guarda con aria pensosa. « Oberleutnant, la fama della vostra sagacia è arrivata fino al comando di divisione. Mi chiedo se non potreste prendere il comando di tutto il reggimento, e questo mi andrebbe benissimo perché potrei approfittarne per andare finalmente in pensione a Colonia. » Il giovane tenente arrossisce. « Ma fino a nuovo ordine », prosegue ironicamente il maggiore Hinka, « credo vi convenga tenere in serbo la vostra scienza strategica per quando arriverete alla scuola di guerra. Concentratevi sul comando della 5ª compagnia ed eseguite i miei ordini; io mi occuperò del resto, e sarà meglio per tutti ». Lòwe si mette sull'attenti: « Bene, signor maggiore ». « Bene, molto bene, Lòwe. Vi confesso che i miei nervi non vanno tanto meglio di quanto vada la guerra. Abbiamo ancora un gran bell'esercito, ma purtroppo manchiamo di tutto. La sola cosa ancora intatta è l'alto comando della Wehrmacht. Dunque, voi mantenete la posizione qui. Alle 21 e 15 il reggimento stacca o, se preferite il termine, taglia la corda. Non c'è altra scelta. Riformiamo di nuovo le righe a quindici chilometri a ovest. » Mostra un punto sulla carta topografica. « Alle 22 e 30 staccate anche voi a vostra volta, coperti da una sezione, la migliore, quella del Feldwebel Beier. Fate saltare il ponte. Se cade intatto nelle mani del nemico sarete deferiti al consiglio di guerra, intesi? » « Sì, signor maggiore », borbotta fra i denti Lòwe, che pensa per suo conto: « Verranno sacrificati i migliori ». Come se avesse intuito il pensiero del tenente, Hinka posa una mano sulla spalla del giovane ufficiale. « Niente cameratismo mal riposto. Sono in gioco il reggimento, la divisione, e forse anche tutto il settore. Non potete preoc-
86 cuparvi di una sola sezione, come io stesso non ho il diritto di preoccuparmi di una sola compagnia. » Il piccolo ufficiale d'ordinanza ha uno scoppio di risa. « Siate orgoglioso, tenente, la riconoscenza della patria vi è assicurata, come dice il Führer. » Questa volta Lowe perde il suo sangue freddo. « Capitano », gli dice fuori di sé, « mi auguro di poter dare un giorno l'ordine a Petit-Frère di strangolarvi ». Il piccolo ufficiale sorride indifferente e lancia la bottiglia vuota fuori dalla finestra. Il maggiore Hinka regola il suo orologio su quello di Lòwe. « Buona fortuna, fate del vostro meglio, la sorte della divisione è nelle vostre mani. » Non appena siamo usciti, il piccolo ufficiale si alza dal suo divano. « Peccato! La 5ª compagnia, una splendida compagnia. Mi chiedo se avrà capito che sarà sacrificata. » « Il vostro cinismo comincia a infastidirmi », grugnisce il maggiore Hinka. « È una difesa, comandante. La mia famiglia ha sacrificato tutto alla grande Germania: quindici persone non sono poi niente, non credete? E io non so che cosa incidere sulla nostra pietra tombale, un'aquila o una croce di ferro? Non sono molto credente anche se ho avuto tre preti in famiglia, uno dei quali era per di più il cappellano militare, e quel Gott mit uns non mi piace affatto. » « Ho altro da fare che occuparmi della vostra tomba », grugnisce cupamente Hinka. Una pioggia sottile, deprimente, un'acquerugiola normanna molto fitta comincia a cadere. La sezione si piazza alla porta di Noyers, e passiamo la notte con le orecchie tese. Sentiamo distintamente che dall'altra parte delle linee stanno scavando. « Lascia pure che vengano », sghignazza Petit-Frère che tiene sempre a portata di mano il suo carico di bombe a mano. Acca-
87 rezza il suo fucile mitragliatore e mi tocca con garbo con una granata. « Tu vedi di mantenere la mira all'altezza delle loro pance. Del grano ben seminato, come si legge nel regolamento. » Non rispondo, sono il miglior mitragliere di tutta la compagnia e c'è soltanto Petit-Frère che può insegnarmi qualcosa. Esamino il caricatore e la sicura del mio mitragliatore: un mitragliatore va curato come un bambino. Tre reclute lavorano al caricamento nel fondo della fossa scavata dai traditori. Abbiamo ancora molte munizioni e inseriamo i proiettili nei nastri. Disteso sulla schiena Petit-Frère sta guardando con molto interesse un combattimento di caccia nel cielo. « Chissà che impressione si prova a fare quelle giravolte, deve essere stupendo. Quando hanno finito, quelli vanno a dormire in un letto vero, non come noi della fanteria che stiamo qui dentro a sguazzare. Se la guerra continua mi faccio trasferire in aviazione. » Uno dei caccia cade in fiamme ed esplode al suolo. « Quello al suo letto non ci arriva », dico io, secco. « Anche morire carbonizzati in un carro deve essere bestiale, però; preferirei che mi cavassero il cervello. Ricordi quello che è stato bruciato vivo alla sede della Ghepeù a Kiev? Un'idea del generale Zepp Dietrich, queste SS ne hanno avute mica male. Se è vero quello che si dice nei volantini di propaganda, che saranno processati tutti, allora preferisco non essere SS. » Si dà una manata alla tasca della giacca. « Ci penseranno quelli che troveranno i nostri libretti di riconoscimento. Bisognerebbe farne stampare un mucchio, ci si farebbe un bel guadagno, per farsi retrocedere a volontà. Non credo rimarranno molti ufficiali quando la guerra sarà perduta. Una fortuna, sai, che tu sia rimasto al grado di Fahnenjunker, te la caverai per una giustezza. Non hai notato che Barcelona ha già ' perduto ' la sua croce spagnola? » Grosse risate. « Vedrai che non ci sarà una sola persona che avrà sentito parlare di Adolfo. »
88 Arrivano all'alba, proprio all'ora del caffè, un caffè che Porta fa scaldare su un piccolo fuoco mimetizzato e che profuma a un chilometro. Petit-Frère dirà più tardi che gli scozzesi avevano attaccato proprio per il profumo di quel caffè brasiliano. Avanzavano come fossero alle manovre, esattamente così, correndo dieci metri, poi buttandosi a terra, rialzandosi d'un balzo, dieci metri ancora, poi giù di nuovo. Molto bello, ma in guerra completamente idiota. « Delle reclute! » sghignazza Gregor Martin, piazzando la sua mitragliatrice pesante. « Bersaglio facile. » « Attento! » lo previene Heide. « Non possono essere così stupidi da buttarci contro un reggimento di ragazzini. Scommetto che hanno qualche cosa nella manica. » Con il pollice destro faccio scattare la sicura, impugno con forza il calcio del fucile; appoggio i piedi contro un sasso, è indispensabile con una 42; la rapidità del tiro è tale che è impossibile reggere l'arma se il tiratore non è ben saldo. Gli scozzesi sono a 200 metri, ecco le mine sepolte nella notte che esplodono. Non sentiamo più gli urrah ma le grida dei feriti. La prima ondata è arrestata; le mine, bisogna rifletterci sopra, quando una fila di mine salta ci si sente un po' a disagio! « Avanti! Avanti! » gridano gli ufficiali. Petit-Frère mi indica un ufficiale in kilt, che porta la sciabola all'altezza della cintura. Annuisco e rettifico il tiro. Questo imbecille sarà il primo; si vede immediatamente che non ha nessuna esperienza. Aspetto che arrivino a meno di cinquanta metri... il mio dito si appoggia sulla sicura. Ma ecco che mi succede una cosa più forte di me: come tocco la sicura divento teso, il mio dito si' paralizza, mi resiste... la paura mi esce da tutti i pori, so già che la mia prima salva sarà troppo corta! Petit-Frère mi dà un calcio furibondo. « Ti decidi a tirare, cretino? » Ho il panico, un panico impossibile da soffocare che mi prende sempre alla prima salva. Il mio indice sembra diventato di
89 legno. La terra schizza via due metri avanti all'ondata di assalto. « Troppo corto! » urla Petit-Frère. Il tenente Lòwe ci piomba addosso e mi colpisce la schiena con il calcio della pistola. « Siete pazzo? Cercate di dominarvi o c'è il consiglio di guerra. » Hanno attraversato il campo minato, i primi sono a cento metri... fra un secondo cominceranno a piovere le bombe a mano. L'occhio malato mi brucia... premo il calcio del fucile contro la spalla, vedo le gambe che corrono; tendo tutti i muscoli. Il mitragliatore crepita, i corpi cadono come birilli. È finita. Sono ritornato il tiratore scelto, faccio corpo con l'arma che tengo all'altezza del fianco. Seconda salva. Lowe mi appoggia una mano sulla spalla. Ha capito. Il panico è passato! Tac, tac, tac, è il mio mitragliatore a tiro rapido; altri mitragliatori rispondono, le ondate di fanteria falciate si buttano a terra. Petit-Frère mi passa nastri su nastri; l'arma diventa rovente. Abbassare il calcio, estrarre la canna rovente, inserire quella di ricambio, il mitragliatore continua a crepitare. La paura è svanita. Una lieve pioggia raffredda l'arma, il vapore bianco sibila. Questo assalto è arrestato. Non sanno ancora che bisogna adoperare l'artiglieria per stroncare un nido di mitragliatrici? Io tiro, tiro, come al campo di Munster per il grande torneo delle mitragliatrici. Per terra dei morti, dei morti, quanti morti? Sono più ostinati dei russi, ma prima di vederli di nuovo abbiamo un'ora di pace. Come mai non fanno venire i caccia bombardieri Jabo? Allora sarebbe troppo facile. Che siano in cerca di decorazioni, per caso? All'ora H rompiamo il contatto in silenzio; se ci sentono li abbiamo addosso, e ritirarsi è già una cosa abbastanza difficile. Si è praticamente senza difesa. Al ponte i guastatori ci aspettano impazienti: delle vecchie volpi che hanno la pelle dura. « Siete gli ultimi? » chiede un Oberfeldwebel, Quando il ponte sarà saltato lui potrà andarsene, il suo com-
90 pito sarà finito, e di noi lui se ne infischia. La sola cosa che conta è il ponte. In alto, nella strada infossata, si nasconde la loro auto anfibia col motore al minimo: l'autista al volante fuma un grosso sigaro. Tutti i soldati detestano i guastatori. Ci mimetizziamo dietro gli alberi, e l'Oberfeldwebel dà un colpo d'occhio inquisitore in giro. « Fatto, si chiude. » Fischia con due dita, i suoi uomini si buttano indietro, si appoggia a fondo su una leva di comando. Esplosione tonante. Il ponte si volatilizza, l'acqua sprizza precipitosamente, l'auto anfibia scompare velocemente. « Adesso i nostri amici hanno capito », dice il legionario, « fra cinque minuti al massimo li avremo qui ». Non sbaglia. Già sull'altra riva appaiono delle uniformi kaki; i più coraggiosi si gettano in acqua e attraversano il fiume prima che la mitragliatrice sia piazzata in posizione. Petit-Frère strappa coi denti la capsula di una bomba a mano e la manda in pieno, con un colpo da maestro, in mezzo al gruppo che sta sulla riva. Sentiamo degli urli. « Indietro! » comanda il Vecchio. « Caricate tutto e filate! » Nella strada infossata aspettano due automezzi che partono prima ancora che noi li abbiamo raggiunti. « Farabutti! Ci piantano qui! » Ma ecco dei caccia bombardieri. I proiettili sibilano, gli autocarri s'incendiano al centro della strada, i loro occupanti trasformati in torce si rotolano per terra, e noi ci buttiamo avanti per metterli al riparo dal secondo attacco aereo. « Indietro! Indietro! » grida Lòwe. « Lasciate i feriti dove stanno, i Tommies se ne incaricheranno loro. » Prendiamo posizione in un villaggio bombardato. Non c'è niente di più adatto delle rovine; qui nessun muro può più cadere e seppellirci in sotterranei profondi, niente può più incendiarsi, tutto quello che poteva bruciare è bruciato, ma un odore dolciastro ci prende alla gola, e poi ci sono le mosche... delle
91 grosse mosche rimpinzate di carne putrefatta, delle mosche che sono veramente il simbolo della morte. Da un mucchio di calcinacci Porta estrae il cadavere quasi decomposto di un bambino e lo butta lontano. Nel volo una gamba si stacca, e un cane affamato che ringhia furiosamente gli si butta sopra. Questo spettacolo mette il Vecchio fuori di sé, e per un'ora non rivolge la parola a Porta. Il Vecchio non si è mai potuto abituare a veder soffrire i bambini, e questo, in fondo, aveva finito di soffrire. Nel pomeriggio, il corriere postale: una grossa busta per Barcelona, che riceve i documenti del suo divorzio. Gli viene comunicato che la moglie ha ottenuto la tutela dei figli. « Infedeltà, alcoolismo », legge Heide sopra le sue spalle. Porta scuote la testa: « Non è che sia proprio esattamente il contrario, ma se questa è la ragione per un divorzio, allora potrebbero far 'divorziare tutto l'esercito! » « Il diritto di patria potestà sui figli verrà esercitato dalla moglie, il marito essendo stato riconosciuto incapace di allevarli », legge Heide a voce alta. « Questo veramente è troppo. Hai ricevuto piombo perfino nel cervello, sei Feldwebel, hai combattuto dall'Ebro fino a Stalingrado, e non sei riconosciuto degno di allevare dei piccoli tedeschi! » « La colpa è delle licenze », spiega Barcelona triste, « si arriva e ci si illude che quindici giorni siano cento anni. Tutti vi invitano a bere. Ci si vanta, ci si monta, si caccia la baionetta nel sangue di un pollo affermando che è un generale russo. I civili adorano ascoltare queste storie. E poi si ha l'aria del duro, e in più c'è la birra. Si va a letto con donne sposate », agita le braccia, « è un altro mondo insomma. Poi all'alba si arriva neri dalla moglie che vi aspetta con i bigodini in testa. E allora improvvisamente ci sembra un mostro repellente, allora le si dà anche una sberla e la si strapazza per avere dell'altra birra. Poi non se ne
92 può più, basta coi civili, e prima della fine della licenza si va dal comandante della legione per far timbrare i documenti. Non si ha che un solo pensiero, rientrare alla compagnia! » È così, Barcelona ha ragione. La guerra è durata troppo, nessuno vuole saperne di noi e nessuno ci capisce. « È vero », conferma il legionario. « Tu immagini una vita tranquilla dopo la guerra. Figurati, rinunciaci subito. Per conto mio dovresti venire con me a trovare le ragazze di Sidi-BelAbbès; la Repubblica Francese è molto accogliente. » Un lungo ululato che mette al vivo i nervi... tutti scompariamo in rifugi improvvisati. La terra si solleva verso il cielo come un muro. Sbarramento. E questo dura due ore, due ore di follia, poi tace, bruscamente come è incominciato. Il cielo è nero di polvere e di fumo. Attenti! Si allentano le capsule delle bombe a mano, si piazzano le mitragliatrici. Eccoli! Otto Churchill vengono avanti verso le rovine del villaggio, seguiti dalla fanteria con la baionetta. Le rovine sono stritolate dalle ruote dei carri. Vedo Barcelona e Gregor prendere in mano il fucile; Barcelona si mette in ginocchio, piazza il lanciarazzi sulla spalla, mira tranquillamente il Churchill più vicino, preme il grilletto... Colpo esatto. Il carro è sventrato. Gregor mira l'angolo della torretta e l'equipaggio viene ucciso dal soffio dell'esplosione. Heide salta su un Churchill fermo e freddamente piazza una granata magnetica sopra la torretta, poi si butta indietro al riparo in una buca, mentre noi lo copriamo con le mitragliatrici. Esplosione tremenda. Tutto salta. Gli altri Churchill fanno una mezza sterzata, mentre la fanteria si rintana, ma la fuga dei carri mette Petit-Frère fuori di sé. Si preparava a farne saltare uno, e scaglia la sua manciata di bombe a mano con rabbia. Sette galloni ornano la sua manica, decorazioni per corpo a corpo; un altro carro, e sarebbe stato lo scudo d'oro, una decorazione molto rara. Ha distrutto ventinove carri a colpi di granate e di bottiglie Molotov, e di solito non si sopravvive al terzo. Ma
93 Petit-Frère porta al collo un amuleto, la pelle di un gatto che aveva ammazzato e mangiato a Varsavia; è convinto che questo lo renda invulnerabile. Nuovo attacco degli inglesi che sono ben decisi a passare. In un baleno, tre delle nostre postazioni sono distrutte. Ma PetitFrère ha una montagna di granate accanto a sé, e la nostra mitragliatrice è mimetizzata così bene che nessuno può individuarla. « Lasciali venire molto vicini », bisbiglia il legionario, « così avremo tutto il mucchio in un colpo solo. » « Vieni, dolce morte, vieni », canticchia, come sempre, la canzone della Legione. Il nemico avanza... i soldati hanno sulla manica uno scudo rosso con una marmotta; è uno dei reggimenti più famosi del generale Montgomery, il 9° granatieri della guardia. « Calma, calma », bisbiglia il legionario, « aspetta che siano ancora più vicini. Questi piscioni si accorgeranno che cos'è la vera guerra ». Nello stesso momento un gruppo di nostri lanciatori di granate si arrende. « Bisognerebbe farli fuori », grugnisce il legionario. Gli inglesi, che si sentono sicuri, scherzano e passeggiano nelle rovine. Noi spiamo... Non un solo lieve rumore. Petit-Frère ha unito le sue granate a due a due, la bocca della mitragliatrice si intravede appena nella fessura di un muro. Sentiamo le grida allegre di vittoria. « Questi dannati Kraut hanno tagliato la corda! » Premo il calcio contro la spalla, il mio dito si avvicina al grilletto; Petit-Frère tiene fra i denti la sicura di una granata. Distanza trenta metri. « Fuoco! » comanda il legionario. Fuoco d'inferno. Le due 42 crepitano insieme, le granate sibilano. Cambio nastro dieci volte. Il tempo si ferma. La prima cassa di bombe a mano è vuotata; nuovo nastro di proiettili.
94 Tutto va liscio per il momento, ma se la mitragliatrice s'inceppa siamo perduti, il nemico si è messo al riparo e ci spara addosso. Davanti a noi moltissimi cadaveri, quelli delle reclute. I soli che riescono a sfuggire a un attacco sono i veterani, duri da cuocere come noi. Non c'è più tempo per il perdono. Il rinculo delle armi ci fa dolorare la spalla, metto la mia bustina fra l'arma e la spalla ma non serve gran che. Il fumo della polvere da sparo mi fa bruciare gli occhi, la sete mi fa diventare pazzo, le munizioni filano via senza sosta. Un istante di tregua, un istante minaccioso che plana sulle rovine. Il momento si prolunga. Riposo di un'ora. Ma ecco i caccia che spargono il napalm sui muri, poi l'artiglieria, poi di nuovo i carri. Petit-Frère afferra una mina T, salta su un Churchill, manca il suo colpo. La mina ricade senza danno per il carro che manovra in cerchio su se stesso; dei proiettili traccianti piovono su Petit-Frère. Con un balzo, il gigante monta sulla parte posteriore del carro... è impazzito, è un suicidio! È in piedi sopra l'apertura della torretta, scarica il suo mitra nell'interno del mezzo corazzato, salta di nuovo giù, lancia con mano esperta le sue bombe nel boccaporto. Il pesante Churchill gira sul suo asse, schiaccia dei soldati inglesi, sradica degli alberi, sale una scarpata e si capovolge. Il carburante prende fuoco e schizza tutto intorno. Per un istante si arresta, i cingoli girano a vuoto, poi esplode con un fragore enorme. « Indietro! » urla il tenente Lòwe che ha il viso pieno di sangue. In piccoli gruppi la compagnia cerca di retrocedere. Tiro col fucile mitragliatore appoggiato al fianco, dimenticandomi che non si può farlo con una 42 e per poco non ammazzo Barcelona e Porta. Il rinculo mi butta a terra, lascio andare il mitragliatore che spara da solo tutto il nastro, devo cercare di mettermi al riparo dalla mia arma! Ma un proiettile sfiora la coscia di Petit-Frère che dà un urlo! Dà un calcio alla mia arma, diventa furioso, mi lancia addosso una bomba a mano.
95 « Farabutto, assassino dei compagni! Sabotatore! » urla. È un folle che estrae il suo nagan e tira su di me. Non si scherza più con questo energumeno, quando il furore si impadronisce di lui. Mi metto carponi, ma lui prende il mio fucile mitragliatore e me lo butta addosso... Cado. È sopra di me, sento il suo respiro, mi vuole uccidere! Con uno sforzo sovrumano riesco a rialzarmi, incespico in una buca, precipito da una scarpata, e mi vedo davanti un Churchill fermo di fianco a due inglesi che sono a terra feriti. Dietro di me Petit-Frère. Pazzo di terrore impugno la rivoltella e sparo... i miei due colpi vanno a finire in alto! Salto in un fosso e il fango mi si incolla addosso, ma il terrore decuplica le mie forze. Dietro di me, il gigante è rimasto impigliato in una siepe, sento degli ordini urlati dal tenente ma sono indifferente a tutto! Nemmeno un generale riuscirebbe a fermarmi. Mi giro, mi caixio in un cespuglio, gli occhi mi bruciano, vedo doppio... mi sento perduto! Davanti a me degli inglesi vengono avanti in ordine sparso, ma paragonati a Petit-Frère non mi sembrano pericolosi. Dov'è? Mi sta forse spiando da dietro un albero? Prego che una granata lo riduca in poltiglia, e mi viene in mente quella volta che gli ho fracassato in testa uno sgabello di ferro. Mi ha cercato per cinque giorni in tutta Paderborn, urlando furioso persino davanti alle sentinelle del 15° cavalleria. Qualcuno ha dovuto farsi fare la dentiera, quella volta... È lì, lo vedo sulla strada con in mano il suo pesante lanciafiamme. Quando si sente attaccato, quest'uomo primitivo diventa una pantera. Ripiombo nel fossato, ne esco mezzo soffocato, lo vedo sparire alla svolta della strada. Nel medesimo istante arrivano il tenente e i miei compagni. « Vi spedisco al consiglio di guerra! » Gli altri mi lanciano sguardi pieni di odio. Sono solo, circondato da nemici. « Signor tenente, Petit-Frère voleva ammazzarmi! » « Che lo faccia pure! » urla Lòwe.
96 « E dov'è la mitragliatrice? » domanda Heide sornione. « Dov'è la vostra arma? » ripete Lòwe con le palpebre serrate. « È andata perduta, signor tenente. » « Perduta? Dovete immediatamente ritrovarla, anche se fosse sul tavolo del generale Montgomery! » « Cretino! » sibila Barcelona fuori di sé. « C'è mancato poco che non ammazzassi tutta la compagnia, con la tua maniera idiota di sparare! » Porta sputa con disgusto verso di me. Ma ecco che l'attacco riprende, le granate fischiano, rami strappati volano in aria; i miei compagni scappano correndo, mi lasciano solo. Delle voci inglesi! Il mio terrore è al limite. Mi butto in un fosso e mi passano così vicini che sento l'odore del cuoio nuovo dei loro stivali. Se mi prendono so già che cosa mi aspetta, una pallottola nella nuca. Dopo qualche metro di uno sfibrante strisciare sono di nuovo vicino al Churchill. Uno dei due inglesi feriti è morto, l'altro mi guarda. Ho paura, che vuole da me? Estraggo il coltello. Avrà la forza di tirare su di me, questo qui? « Da bere! » geme. Un sottile filo di sangue gli cola sul mento. Allungo la mano senza pensare che tengo il coltello, e lui si ritrae atterrito. Butto lontano il coltello, gli asciugo il sangue che cola dalla bocca, gli mostro il pacchetto del pronto soccorso per fargli capire che voglio aiutarlo. Gli taglio l'uniforme addosso. Brutta ferita: scoppio di obice o di granata, in ogni caso, se vivrà, non sarà più un uomo. Il mio pronto soccorso non basta, così mi tolgo la camicia e la riduco in piccole strisce. « Acqua! » supplica di nuovo. Gli sollevo la testa e gli avvicino alle labbra la mia borraccia. Non dovrebbe bere, un ferito al ventre non deve mai bere, ogni soldato lo sa, ma sta morendo, perché farlo soffrire? Ho ancora una mezza scatola di cioccolato, del cioccolato narcotico, e
97 gliene metto in bocca qualche pezzetto. Sorride. Chi va là? È una sezione inglese... Gli metto una mano sulla bocca; se grida sono perduto. Poi, quando sono passati, gli chiedo scusa, e lui accenna con la testa, ha capito benissimo. Un fiotto di sangue gli esce dal naso. « Autoambulanza! » geme. Gli do ancora da bere e lui mi fa segno di prendere il suo libretto personale: caporale Brown, magazziniere, sposato, tre figli, venticinque anni. Ho paura, ma gli faccio una lieve carezza. « Te la caverai, amico, aspetta. » Gli metto vicino la fiaschetta e il resto del cioccolato. Devo trovare la mia mitragliatrice, capisci? L'ho perduta. Una mitragliatrice è più preziosa di un soldato. Gli sistemo un astuccio di maschera antigas dietro la testa, conficco il suo fucile in terra, con un elmetto infilato sulla canna, aiuterà gli infermieri a trovarlo più presto. Nel suo libretto personale, ha una fotografia di sua moglie e dei suoi bambini, gliela metto in mano. Così non sarà proprio solo a morire. Un ululato stridente... Tre caccia passano a volo radente. Appena sono spariti mi arrampico sulla scarpata, e ritrovo la mia mitragliatrice, in mezzo alle rovine; ma méntre mi chino per raccogliere l'arma, due inglesi mi saltano addosso. Alla scuola di addestramento mi avevano insegnato il corpo a corpo: mi rannicchio tutto, do un calcio nell'inguine di uno dei due, di taglio con la mano appioppo un colpo alla gola dell'altro. Per mia fortuna non sono veterani, ma reclute. La mitragliatrice sulla spalla, scappo, arrrivo al carro... James Brown è morto; la fotografia in mano, il cioccolato di fianco a lui. Una salva sibila vicino alle mie orecchie, i proiettili rimbalzano sul metallo del mezzo corazzato. Vedo degli inglesi al comando di un gigantesco sergente scendere dalla scarpata di corsa... « Kill the damned Kraut! » Nervosamente ripiego il supporto della mitragliatrice, riesco a
98 srotolare il nastro dei proiettili, carico, tiro... il sergente cade, precipita lungo il pendio, come era successo a me, e il suo corpo va a finire contro il carro. Gli altri si fermano, poi spariscono. Piegato in due, corro verso lo stagno, mi impantano di nuovo nell'acqua. I proiettili mi fischiano intorno, uno mi colpisce a uno stivale, ma riesco a buttarmi dietro un paracarro e piazzo la mitragliatrice. Se mi prendono mi ammazzano, e ho poche munizioni; due nastri in tasca, tre bombe a mano; coi denti svito la capsula di una di queste. « Venite, diavoli! » È un grido folle che mi esce di bocca mentre lancio la bomba. Un inglese l'afferra al volo, ma prima che riesca a rilanciarmela gli scoppia fra le mani e gli dilania un braccio. Lo sento urlare mentre si raggomitola su se stesso. Un'altra bomba a mano... tiro sbagliato; rotola vicino a un uomo, poi esplode. Ho liquidato tre inglesi, gli altri sono spariti. Corro, arrivo alla svolta della strada... mi fermo come pietrificato. Degli occhi folli di paura mi guardano, una mano tiene una ciotola mezzo piena, una barba dove sono appiccicati pezzi di spaghetti... un ometto bruno con un turbante grigio: è un gurka, uno di quelli che vi tagliano le orecchie. Per istinto lo colpisco rapido con un colpo di taglio della mano, lo si impara colpendo dei sacchi di sabbia. Cade all'indietro, ma afferra il suo grosso kriss. O lui o io. Gli do un calcio nelventre, gli piombo addosso, gli schiaccio una mano con lo scarpone chiodato, lo mordo alla gola. Siamo due belve che si battono a morte, due specialisti di tutte le finezze dell'assassinio. Tiene il kriss nella mano sinistra, colpisce in direzione della mia testa, con un calcio mi butta indietro. Come un caprone, gli rientro dentro a testa bassa, il kriss gli salta di mano... un calcio all'inguine, lo afferro per le orecchie, gli sbatto la nuca contro una pietra; grida delle parole che non capisco, le mie mani sono rosse di sangue, i suoi piedi si muovono convulsi, il suo volto non è che una massa sanguinante e io, svuotato di forze, mi ac-
99 cascio di fianco a lui. Il suo corpo morente sussulta, ma sono folle di paura, lo spio, poi gli affondo il coltello nel petto. Riprendo la mitragliatrice. Devo scappare... scappare! Un rumore di cingoli! Il rumore diventa più forte. Arrivano proprio verso di me! Con un balzo mi butto in un fosso pieno d'acqua, sento il calore dei motori che mi superano... Continuo a fuggire. Dei campi, delle aie, ancora dei campi, e tardi nella notte raggiungo una sezione di guastatori tedeschi; il loro comandante mi ingiuria : « Mascalzone! Hai perduto la tua sezione, vero? Nessuno ci crederà, vi conosco voialtri, scansafatiche, buoni solo per il consiglio di guerra! » « 27° Panzer SBV, 5a compagnia, signor comandante», gli dico mettendomi sull'attenti, il mitragliatore sulla spalla, secondo il regolamento. « Spero che la tua compagnia ti accoglierà come deve, vigliacco! Se ti rivedo, ti faccio impiccare. Fila! » La compagnia è a quattro chilometri a ovest, in un villaggio. La raggiungo, mi presento al tenente Lòwe che sta discutendo con l’Hauptfeldwebel Hoffmann. « Signor tenente, il Fahnenjunker Hassel di ritorno con la MG 42 perduta. Nulla da segnalare. » Lòwe mormora delle parole incomprensibili, poi mi dice con aria distratta: « Andate! » « Toh, chi arriva! » dice Petit-Frère, di ottimo umore. « Sono contento di non esser riuscito a metterti le mani addosso, assassino; ma posso aspettare. In questo momento sono occupato. » « Che hai fatto in tutto questo tempo? » mi chiede il Vecchio. Che cosa dovrei dirgli? Non ne ricaverei che sarcasmi. Vado a pulire la mia mitragliatrice, ma Porta mi dà una gomitata con aria furba: « Com'era la ragazza? Devi darmi il suo indirizzo ». Fischio a più riprese. « 5ª compagnia, avanti, marciare, marciare! » grida il tenente
100 Lòwe impaziente. « Andiamo, razza di tartarughe! » Batte i tacchi: « Compagnia a destra, destri Attenti a sinistri » Il tenente fa dietro front, la mano alla benda che gli avvolge la testa. « Signor maggiore, la 5ª compagnia pronta, in assetto per la marcia. Perdite: un ufficiale, tre sottufficiali, sessanta uomini di truppa. Inviati alle ambulanze: un sottufficiale, quattordici uomini di truppa. Quattro dispersi; una MG perduta e ritrovata. » Hinka, indifferente, saluta, due dita sulla bustina. « Grazie, tenente. » Lentamente ci passa in rivista, esamina attentamente ciascuno di noi, si ferma davanti a me, « Che aspetto avete? Vedete di mettere ordine nella vostra uniforme e mostratemi la mitragliatrice. Aprite! Togliete il caricatore. » Per fortuna l'arma è in buono stato. « Lowe, segnate quest'uomo: tre ore di esercizi di punizione quando saremo a riposo. » Lòwe annuisce in silenzio e fa un cenno al Haupfeldwebel Hoffmann. « Mezzo soldato! » grugnisce Hoffmann annotando il mio nome sul suo taccuino. « Mi occupo io di te, adesso! » Con lo sguardo diritto davanti a me, mi dico che in fondo non mi aspettavo niente di diverso. « Fucile in spalla, colonna in marcia, sinistra, sinistr. » Gli stivali battono a tempo sul terreno bagnato. « Cantare! Una compagnia tedesca non marcia senza cantare. » Sono il serratila di destra, e sono io che devo cominciare, ma per due volte stono. Weit ist der Weg zuriick iris Heimatland So weit, so weit! Die Wolken. ziehen dahin daher Sie ziehen wohl tibers Meer Der Mensch lebt nur einmal
101 Urtd dami nicht mehr...
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Come sono stanco! Sono stanco da morire! Ma canto come gli altri. Un canto in marcia, anche se uno non ne può più, non deve essere allegro?
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Lungo è il cammino, per il focolare, / così lungo, così lungo! / Le nuvole passano e ripassano / ci portano verso il mare. / E l'uomo non ha diritto che a una vita / una sola, poi tutto è finito...
102 Al nord, ed sud, all'est, all'ovest, il soldato tedesco muore della morte dell'eroe, e le madri tedesche portano il lutto con fierezza, se bisogna credere al giornale Vòlkischer Beobachter. La storia si ripete: la gioventù tedesca muore sempre gridando qualche cosa: Viva l'imperatore, viva la patria, Heil Hitler. Gli uomini cadono al suono di tamburi e di trombe, e nessuna madre, nessuna sposa, nessuna sorella piange i suoi eroi. Non è degno della donna tedesca: si porta il lutto con fierezza. Chi ha mai sentito parlare di ustioni da fosforo, di gambe amputate, di crani scoperchiati, di ventri dilaniati, di occhi strappati? Un pazzo, un disfattista, un traditore. Nessun eroe muore così. Non lo si legge in nessun libro di storia. Delle uniformi abbaglianti, dei giovani coraggiosi che marciano cantando, dei petti costellati di decorazioni, delle bandiere che sventolano, delle musiche militari, e migliaia di madri che si drappeggiano nel lutto piene di fierezza-Solo i bugiardi parlano del bestiame umano che si torce nel fango delle trincee, dei moribondi che chiamano la madre, cercando di trattenere gli intestini nei ventri dilaniati, dì uomini che maledicono i responsabili, quelli che li mandano sotto la pioggia di fuoco e di acciaio. È questa la guerra, lo so. Io stesso sono stato un soldato con l'uniforme grigia del fante tedesco.
103 CAPITOLO VII
SI SCOPRE UN DEPOSITO AMERICANO Una colonna disordinata si snoda lungo i margini della strada per più di un chilometro, quando vediamo passare a forte velocità delle automobili molto cariche. « C'è gente che ha fretta di tornare a casa, gli eroi ne hanno abbastanza, a quel che vedo! » ghigna Porta. Tre carri armati leggeri precedono due grosse Mercedes e gli occupanti (degli ufficiali di stato maggiore e donne dall'aria stupidamente superba) ci guardano con inutile indulgenza. La Feldgendarmerie è di scorta con le sue motociclette pesanti. « Tenete la destra! » urlano le guardie agitando furiosamente i dischi di circolazione. Evidentemente non sgombriamo la strada abbastanza rapidamente. Due Horsch dai guidoni scintillanti ci coprono di polvere superandoci. Delle telefoniste dall'ina spaurita ci fanno dei gesti amichevoli. « Schifosi », grugnisce Heide, « i guerrieri delle retrovie se ne vanno con le loro ragazze». Raggiungiamo una colonna che ci precede sul ciglio della strada. Sono dei feriti, senza una gamba o ciechi. Tutto il personale di un'ambulanza da campo se ne è andato, lasciando questi grandi invalidi ad arrangiarsi da soli. Non hanno nemmeno più paura questi disgraziati, sono certi che verranno liquidati quando arriverà il nemico. I ciechi portano i loro compagni amputati, si offrono vicendevolmente le proprie gambe e i propri occhi. Per dei chilometri questa miserabile colonna si trascina sulla strada; le automobili dello stato maggiore la superano a piena velocità e i loro occupanti, uomini e donne voltano
104 la testa pudicamente. L'Oberleutnant Lòwe bestemmia; poi si decide improvvisamente e si pianta nel mezzo della strada proprio davanti a una lunga fila di automobili militari di lusso. La fila rallenta, un ufficiale di stato maggiore si sporge da un finestrino e lo minaccia di consiglio di guerra, mentre un maggiore della Feldgendarmerie armato fino ai denti, sputa ai piedi del tenente puntandogli contro il mitra. « Una parola di più, abbrutito del fronte, e sei morto! » L'ufficiale di stato maggiore sghignazza, e in una nuvola di polvere le automobili di lusso e le motociclette della Feldgendarmerie scompaiono. Lòwe guarda un cadavere nudo che giace nel fosso. « Feldwebel Beier », comanda, « piazzate i vostri uomini ai due lati della strada, la mitragliatrice un po' più avanti. Sergente Kalb, voi vi incaricherete dei bazooka. Feldwebel Blom, piazzatevi in mezzo alla strada e fermate quei porci. Chi si rifiuta, lo liquidate». « Ma questo è il giorno più bello della mia vita! » esclama Porta. « Finalmente andiamo a caccia di fagiani dorati e di pollastre. » Vediamo il legionario buttare ai piedi del tenente un cadavere; non c'è dubbio, era uno dei ciechi della colonna avanti a noi che era stato travolto da una macchina, e il suo compagno senza una gamba giace non lontano con il cranio aperto. Stridio di gomme; una Horsch grigia frena di schianto davanti a Barcelona e un tenente colonnello salta a terra : « Che vi prende? Osate fermare la mia macchina, non vedete che porto un guidone di stato maggiore? » Il tenente Lòwe si fa avanti, il mitra puntato sul petto dell'ufficiale. « Ho ricevuto l'ordine di ricostituire la mia unità con tutto il personale possibile, senza alcuna discriminazione di grado. Bisogna trasportare questi feriti alla ambulanza da campo, la vo-
105 stra macchina può contenere dieci persone. I bagagli vanno scaricati, le tre signore proseguiranno a piedi. Io prendo l'autista come aiuto scaricatore. Sapete guidare, immagino. In caso contrario voi verrete con noi e l'autista trasporterà i feriti. » « Siete diventato pazzo? » « Scaricate subito tutto! » grida Lòwe a Petit-Frère e a Porta, che non stanno più nella pelle dalla gioia. Le tre donne scendono dalla macchina, ma l'ufficiale prende la pistola e mette la pallottola in canna. « Siete stufo di stare al mondo, per caso? » domanda Lòwe ironico. «Vi ricordo il regolamento: in base agli ordini del Führer, il comandante di una sezione di combattimento è arbitro assoluto nel suo settore. Riponete la vostra arma o vi farò impiccare a quell'albero. » Facciamo salire dieci ciechi sulla macchina. « Il signor colonnello preferisce guidare lui stesso o fare un po' di tiri con noi? » Senza una parola il tenente colonnello si siede al volante. « Per buona regola », continua Lòwe, « segnalo al signor colonnello che ho preso nota del numero di targa della vettura, e controllerò in seguito se i feriti saranno stati portati regolarmente all'ambulanza da campo». La grossa Horsch scatta. « Grazie a Dio che siete qui, tenente », dice un Feldwebel di fanteria, « questi porci ci mettono sotto se non si è abbastanza rapidi a uscire di strada. Un generale, con quattro donne sulla sua macchina, ci ha chiamati letame del fronte! » « Gliela faccio vedere io, adesso », grugnisce Lòwe sempre più cupo. Nuova colonna che si ferma davanti a Barcelona. Questa volta è un ufficiale dell'intendenza, i pugni serrati e urlante di furore. « Vuotate le macchine! Fate uscire tutti! » comanda il tenente. L'ordine viene eseguito immediatamente. Vediamo scaricare
106 sulla strada molte bottiglie di liquore e della biancheria; il grosso ufficiale, fuori di sé, balbetta, grida contrordini, ma Lòwe fa un cenno a Petit-Frère che si avvicina, col suo grosso nagan contro la coscia e in mano la MPI di Kalashnikov. Il gigante si caccia sulla nuca la bombetta grigia, e senza dire una parola solleva da terra il grosso ufficiale come avrebbe fatto con un cucciolo. « Osi mettere le mani su un ufficiale tedesco? » ruggisce quello mezzo strangolato. « A ognuno il suo momento », sghignazza Petit-Frère. « Fila! Altrimenti te lo facciamo noi il consiglio di guerra. » L'ufficiale se la cava con il naso rotto e qualche dente di meno, ma ha capito che è la sua vita in gioco e non i suoi bagagli. « A chi tocca adesso? » grida Petit-Frère tutto raggiante, mentre arrivano due motociclette che cercano di aprirsi un passaggio in mezzo alla colonna che ingombra la strada. « Circolare, circolare! » urla un Feldwebel della Feldgendarmerie. Le placche lucide di queste canaglie brillano e mandano lampi. Segue una Mercedes con grandi guidoni di una Kommandantur locale. Barcelona è costretto a fare un salto indietro. « Fuoco! » urla Lòwe. Tiro. I proiettili colpiscono la macchina che frena bruscamente. Sul sedile posteriore è seduto con imponenza un maggior generale con tutte le cuciture dorate, con un'elegante giacca canadese e i galloni rossi di seta. Nessuno di noi ha mai visto una cosa simile. Lentamente scende dalla sua Mercedes, aiutato da due Feldwebel ossequienti. Sistema con gesto voluto il suo monocolo, gli stivali lucidissimi fatti su misura sono splendenti come i suoi galloni. Fa un cenno di protezione a Lòwe. « Venite qui, tenente. Forse voi non sapete con chi state parlando. » Lòwe fa il saluto militare portando due dita alla fronte bendata.
107 « Signor generale, il comandante del gruppo di combattimento Lòwe chiede al signor generale di prendere a bordo dei feriti e trasportarli all'ambulanza più vicina. » « E io vi ordino di sparire, tenente, non ho nessuna intenzione di farmi sporcare la macchina da questo letame di trincea. Il trasporto dei feriti è cosa che riguarda il servizio di sanità. Sto raggiungendo la mia divisione, e ho cose più importanti da assolvere che non di occuparmi di questa gente. » « Quale divisione, signor generale? » « Non vi riguarda, lasciatemi passare o do immediatamente l'ordine di tirare su di voi. » « Signor generale, trasportate i feriti sì o no? » Il generale riflette un secondo, socchiude gli occhi, poi fa un cenno al suo Feldwebel che arma il suo mitra. Io armo il mio. Nello stesso istante arriva una camionetta militare aperta e vediamo di fianco all'autista un generale di brigata delle SS alto e sottile, con una uniforme sbiadita, senza alcun distintivo al collo della divisa. Lo riconosciamo subito per il comandante della 12ª divisione carri Panzer Meyer, il più giovane generale dell'esercito tedesco. « Che succede? » L'Oberleutnant Lòwe mette rapidamente al corrente il nuovo venuto della situazione. « Rifiuta di trasportare i feriti? » La mascella ossuta e sporca del generale della 12ª divisione carri Panzer Meyer si contrae dalla rabbia. « Sì, il generale non vuole sporcare la sua macchina con questo letame di trincea. » « Ha paura delle pulci! » interviene Petit-Frère. Il generale delle SS guarda il gigante di traverso, nota la bombetta grigia non regolamentare e il grande nagan russo dei commissari della NKVD. « Vi rifiutate di prendere a bordo i feriti, signor generale? » « La mia divisione è in linea », risponde l'altro impallidendo, «
108 questo idiota di tenente mi ha fatto ritardare già di un quarto d'ora ». « Quale divisione? » « La 21ª Panzer. » « Strano. Arrivo proprio ora dal generale Beyerling che comanda la 21ª Panzer Division. Ho l'impressione che questa sia piuttosto una fuga davanti al nemico. » « Siete pazzo? » ruggisce il generale. « Vi permettete di accusarmi di diserzione? Non sapete chi sono! » Panzer Meyer alza le spalle e fa un segno a Lòwe: « Liquidatelo ». La zampa sporca di Petit-Frère piomba sulla spalla del generale. « Venite con me, uccello dorato! » L'uomo urla, si dibatte, mentre il gigante lo spinge vicino a un palo telegrafico e lo lega con la sua cintura. « È un assassinio! » urla il condannato. « Aiuto! Assassini! Ascoltatemi... Assassini, assassini! » grida ancora prima di cadere sotto la breve raffica dell'MPI russo. Petit-Frère non si dimentica mai del colpo di grazia, poi guarda i gendarmi del generale con interesse: « E voi, ho reso l'idea? Volete scendere dai vostri ronzini e dare una mano ai feriti? » I gendarmi si precipitano. « Dio, che buon cuore! » ride Porta. Venticinque grandi invalidi vengono fatti salire sulle macchine; quando l'ultimo è stato caricato, Panzer Meyer dà la mano a Lòwe, sale sulla camionetta e scompare. ' Ma un'altra cosa ancora. Una motocicletta piomba su di noi, s'impenna... è il portaordini della compagnia Werner Krum. « Ordine del reggimento! » recita Krum tutto d'un fiato. « Dei Churchill sono stati segnalati. Bisogna mantenere la posizione fino all'ultimo uomo e all'ultima cartuccia. Il comando del reggimento si trova presso Chaumont. »
109 Il tenente Lòwe sistema la sua benda e risponde qualche cosa di incomprensibile. « 2ª sezione, in colonna per uno dietro di me », comanda il Vecchio buttandosi il mitra sulla spalla. Arriviamo a un villaggio di poche case. Sotto un tetto di stoppie che scende molto basso vediamo delle sagome inzuppate di pioggia. Un granatiere tedesco fraternizza con un soldato di fanteria americano, tutti e due sono al riparo di un telone da tenda. « Hello boys! » ci chiama l'americano. « Vi saluto con tutto il cuore. Vi amo più dei francesi. Ho cercato di spiegar loro che appartenevo ai liberatori ma mi hanno detto merde. Se non si parla francese qui si è dei nemici. Prima della prossima guerra bisogna che io impari il francese! » Dall'altro lato della strada vediamo un tedesco morto. Quanti anni poteva avere? Appena sedici forse. La sua uniforme sa ancora di magazzino, i suoi stivali sono di un cuoio incolore, non ha avuto nemmeno il tempo di tingerli. Ecco ancora campi di barbabietole e di cavolfiori, la terra è meravigliosamente dolce. Subito dobbiamo metterci a scavare. Due SS che si sono aggiunti a noi si danno da fare intorno a una grossa pentola che hanno trovato in una macchina abbandonata; è piena di strane bacche e ha il coperchio completamente ermetico. « Siete diventati matti? » protesta Heide che sa sempre tutto. « Se questa scatola salta, tanti saluti a tutti, capite? » « Peuh! » risponde uno dei due SS. « Non hai sete? Sono due giorni che cerchiamo di farci uno sciroppo, ma abbiamo sempre dovuto filar via. Ieri eravamo ancora otto, oggi siamo rimasti in due. » Seduti in cerchio guardiamo perplessi la pentola. Heide è andato a mettersi al riparo dietro un camion. « Che cosa state cuocendo? » « Del sambuco con un po' di zucchero », risponde quello che ha arrangiato con le sue mani questo strano tipo di pentola.
110 « E questo termometro? » chiede Petit-Frère curioso. « Se passa il trattino rosso è pericoloso », spiega l'SS con aria indifferente. «Ma vai a quel paese! È passato da un bel po'!» grida il gigante buttandosi a terra sul fondo della buca. « Può essere. D'altra parte questa volta bisogna muoversi, gli amici non tarderanno a farsi vedere. » La pentola bolle in pieno, la pioggia è cessata; tendiamo le nostre gavette e l'umore migliora alquanto; due sagome conciate in modo curioso arrivano di corsa attraverso il campo di barbabietole. « Toh! » ride Petit-Frère, « ecco un po' di liberatori! Devono aver sentito l'odore del sugo ». « Bisogna catturarli », comanda il Vecchio. « Tu parla pure! » dice Porta, « io non lavoro dopo il coprifuoco». Senza sospettare nulla, i due soldati arrivano fino a noi che li aspettiamo invisibili, e saltano dentro la trincea. « Benvenuti in caserma », dice Porta sorridendo. « Arrivate giusto per il pranzo. » Sono due americani, un soldato semplice e un caporale. Il meno che si possa dire è che rimangono stupefatti. « Notizie da New York? » domanda Petit-Frère. « Come sta Eisenhower? » « Che ve ne frega? » grida il caporale ancora stordito. « Quasi niente », ride Porta. « Vi lasciamo la gioia di vincere la guerra, ve lo giuro. » «Ci avevano detto che la zona era libera!» « Mai credere ai fagiani dorati. Sono tutti bugiardi. Servitevi, prego », aggiunge Porta facendo il gran signore e mostrando il bizzarro ragù. « I vostri amici sono lontano di qui, spero », insinua prudentemente Heide. « Non parlatemi di quei merdosi! » fa il caporale. « Noi due
111 siamo della Georgia, e ci hanno cacciati insieme a dei newyorkesi, tutti dei gran cretini. Vieni a trovarci dopo la guerra, amico. » Per due ore non facciamo che bere e mangiare in un'atmosfera che si scalda sempre di più. « E voi, dove stavate andando? » chiede Porta agli americani. « Ci siamo persi. Eravamo in ricognizione, e quando siamo tornati a quel dannato paese, la compagnia aveva tagliato la corda. Allora abbiamo preso di traverso ai campi, e siamo arrivati su una strada che somigliava come una gemella a quella che avevamo appena lasciata. Tutte le strade sono uguali in questo paese fottuto! E le siepi, quelle poi vi fanno diventare pazzi. Impossibile orientarsi! Dio, che spavento, quando vi abbiamo visti! Ci avevano detto che non facevate prigionieri. » « Ci dicono la stessa cosa di voi », ritorce Barcelona, « ed è vero che molti si prendono un colpo nella nuca. Un giorno abbiamo trovato un Churchill con un tedesco legato alla torretta con del filo spinato. Potete ben immaginare che cosa abbiano fatto di quell'equipaggio! » « Sì, queste cose succedono », dice il caporale, « ma è anche vero che ci sono gli innocenti che pagano per tutti gli altri». Qualcuno viene verso di noi... è il tenente Lowe. Veloce, Porta spinge i due prigionieri in fondo alla buca. Se Lowe li vede li spedisce al servizio informazioni. Il Vecchio si alza, e con aria candida va davanti al tenente: « Nulla da segnalare ». « Installatevi nel paese », comanda Lowe. « Una sola mitragliatrice è sufficiente come avamposto, non credo possa venire un secondo attacco nemico per questa notte. » Improvvisamente lo vediamo annusare l'aria. « Che cos'è che puzza in questa maniera? Lo sapete che è assolutamente proibito cucinare con alcool. » L'SS si alza e tende la sua gavetta al tenente. « Sciroppo di sambuco, signor tenente, volete provarne un po-
112 '? » Lowe sospettoso fiuta la gavetta. « Ma è un orrore! Starete da cani se lo bevete! » Guarda attento tutti quanti. « E siete già completamente ubriachi! Seconda sezione, presentate le armi», urla furioso. Usciamo dalla buca ridendo e sostenendoci a vicenda; Gregor è completamente ubriaco e non riesce a stare in piedi. « Se vi vede, filate! » bisbiglia Porta ai due americani. « Noi tireremo in aria. » « Ubriaconi! » urla il tenente furioso, « non si può lasciarvi soli mezz'ora. Se fossero arrivati gli inglesi che cosa avreste fatto, imbecilli? » « Sparato », balbetta Petit-Frère. « Basta Creutzfeldt! E ancora peggio, se fosse comparso il maggiore Hinka che cosa gli avreste detto? » « Skòl. » Con un salto il tenente è su di lui; un po' stordito Petit-Frère lascia cadere il fucile. « A terra », urla Lòwe, « a terra, cane impertinente ». Petit-Frère cade come un masso. « Avanti, strisciate! » comanda Lòwe che trema di furore. Petit-Frère cerca di strisciare, ma gli scappa un peto colossale. « Questo porco scoreggia davanti al suo ufficiale », ruggisce il tenente. « Feldwebel Beier, vi rendo responsabile di questa banda di cretini; fate fare sei giri di corsa a tutti nel campo di barbabietole. » Porta si era discretamente eclissato, ma appena il tenente fuori di sé se ne è andato, sbuca da dietro una casa con un banjo e una fisarmonica. « Ho trovato un'orchestra completa! » « Piantala, ti si sente a chilometri di distanza », protesta il Vecchio. « Preferisco dirvi subito che vi siete guadagnati tre giorni di prigione, quando arriveremo a riposo. » « Me ne frego, è guerra di meno. »
113 « Sono severi però, da voi », constata il caporale americano accordando il banjo, mentre Barcelona prende la fisarmonica, Porta tira fuori il suo flauto e Petit-Frère la sua armonica a bocca. « Andiamo ragazzi », comanda Porta. « ' I tre gigli '. Uno... due..: tre... Drei Lilien, drei Lilien, Die pflanzt'ich auf mein Grab... » 1 Lontano, risponde una batteria di razzi. Seguiamo con gli occhi le code delle comete che vanno a cadere su Caen. Vediamo i lampi di esplosioni terribili, ma Porta col suo flauto balla intorno alla buca come Pan nella notte di mezza estate. Gli americani sono felici, Barcelona cade in una pozza di acqua putrida, l'SS Winther rimane impigliato nella porta del pollaio e viene liberato dal soldato americano che fa crollare tutta la tettoia. Si fa festa. Arriva di nuovo il tenente, gli occhi sbarrati, ma noi balliamo tutti. « Degli americani! » mormora sconvolto, vedendo passare il caporale che pizzica il banjo. Improvvisamente tutto cambia... la notte cade, appaiono dei fantasmi, delle mitragliatrici crepitano nelle rovine intorno. Gli inglesi. Il soldato americano cade pesantemente bagnandosi nel suo sangue, io salto sopra il suo corpo per mettermi al riparo dietro i tavolati del pollaio. Esplodono delle granate, luccicano delle baionette. Grida selvagge, ci battiamo all'arma bianca, col coltello. Riesco finalmente a piazzare la. mitragliatrice, ma Winther è preso in pieno da una granata, efee esplode, e non rimane che una testa staccata dal corpo. Una pallottola attraversa il polmone di Barcelo1
Questi tre gigli, questi tre gigli, / li pianterò sulla mia tomba... (N.d.T.)
114 na e Gregor lo trascina al riparo. « Tira! » mi urla Petit-Frère. La mitragliatrice crepita in direzione degli inglesi che si credevano ormai vittoriosi. Ci ritiriamo lungo le siepi, queste infami siepi che adesso benediciamo, ci nascondiamo nelle rovine. Barcelona è ferito, bisogna trasportarlo d'urgenza all'ambulanza da campo, gli diamo tutto quello che abbiamo, soldi e sigarette, ma lui singhiozza, non vuole lasciarci. « Non potete mandarmi via », piange. « Rudolph è quasi dottore, può guarirmi lui. » L'infermiere Rudolph gli fa un'iniezione di morfina e il tenente gli batte una mano sulla spalla. « Andiamo, coraggio, Barcelona, fra tre settimane sei ancora qui. Non è grave se non viene l'infezione. » « Tenetemi qui! » Lòwe scuote la testa e gli regala il suo accendisigari d'oro: « Su, buona fortuna, vecchio Blom. » Lo avvolgiamo in un»mantello e mettiamo sopra un impermeabile; gli poniamo il suo fucile mitragliatore sulle ginocchia; la motocarrozzetta parte mentre noi gli facciamo grandi gesti di addio. « A rapporto per le perdite », comanda Lòwe. I capi sezióne fanno l'appello dei loro uomini, poi redigono il rapporto per il comandante di compagnia. Un uomo viene mandato al reggimento. « Che cos'è successo del caporale americano? » « Un liberatore l'ha sistemato. Si era messo a correre nel campo e io ho cercato di proteggerlo con la mitragliatrice; purtroppo è cascato su un maledetto isolano. Ma l'ho poi beccato io, l'inglese, ha fatto almeno tre capriole. » « Erano dei tipi simpatici quei due, poveretti », dice Gregor. « Adesso puoi anche buttarlo via il loro indirizzo. » « La guerra è così », dice il legionario alzando le spalle. Nuova raffica. Il binocolo di Porta gli salta via dalle mani e lui
115 sta a guardare lo strumento che il proiettile ha spaccato in due. Un centimetro più in là e non avrebbe avuto più faccia. Ecco il nemico che viene avanti da due direzioni verso di noi... scappiamo, è l'unica cosa da fare, ma io sono impacciato dalla mitragliatrice... sono proprio dietro di me; una bomba a mano rotola davanti ai miei piedi, le do un calcio, esplode addosso a due soldati in kaki. Scappiamo, scappiamo. Raggruppamento dietro la collina; il tenente Lòwe è fuori di sé, è convinto che stavamo dormendo. Nel suo furore parla di consiglio di guerra. « Fate come volete », risponde il legionario indignato. « Perché non scrivete addirittura a Adolfo? » « Vi rendete conto che state parlando a un ufficiale? » grida il tenente. Il legionario, sordo a qualsiasi appello, gira i tacchi. Verso l'alba Petit-Frère, carico di due casse di marmellata, rientra. « Perché siete filati via? » grida da lontano. « Gli americani hanno tagliato la corda anche loro; sono solo riusciti a fregare un lanciafiamme francese. Ho avuto tutto il campo per me! Trentun denti d'oro! Un sergente aveva tutta la dentiera, brillava che mi bruciavano gli occhi! » « Si divide », dice Porta, guardando con desiderio i due sacchetti di tela. « Vai a farti benedire », sorride il gigante, e si abbottona con cura la tuta mimetizzata. Ma arriva un ordine: la 2ª sezione deve andare in ricognizione a nord-est, verso la foresta di Ceris. Il reggimento vuole sapere se il bosco è occupato. Sudiamo sotto il sole che picchia, ma il Vecchio non ammette la più breve sosta, bisogna prima arrivare al bosco. Giriamo dalla parte di Balleroy. Il Vecchio si arresta improvvisamente e alza una mano... Una mezza dozzina di uomini in kaki lavorano in mezzo a centinaia di bidoni di benzina e a montagne di bombe. Ci vedono da lontano e fanno grandi gesti di saluto.
116 « Dio santo! » bisbiglia il Vecchio, « ci hanno presi per commilitoni. » È tutto un villaggio di lamiera ondulata: quattro grossi autocarri a rimorchio stanno scaricando munizioni; siamo cascati in un deposito gigantesco. « Quanta ce ne sarà? » mormora Porta quasi spaventato. «Se si spara qui, tutta la bottega salta, c'è rifornimento per diverse armate. » « Nascondi il fucile, imbecille! » ordina il Vecchio a PetitFrère che stava togliendo la sicura al suo nagan. « Hello boys! Avete dei ricordini da vendere? Cento dollari per una croce di ferro. » Heide si fa avanti: « Ti interessa una croce di cavaliere? Centocinquanta ». « Okay », sghignazza l'americano. Arriva di corsa e si ferma di botto, pietrificato. Ha finalmente capito chi siamo! Grida, ma il legionario gli è già sopra come una tigre e gli pianta il coltello nella schiena. Gli altri non hanno notato nulla per il momento. Muti come serpenti strisciamo verso il gruppo, bisogna evitare che diano l'allarme. Dei salti da pantera... li strangoliamo. Dopo la Russia ne abbiamo l'abitudine. Il resto del commando sta pranzando a due lunghe tavolate. Ci mettiamo in testa le bustine dei morti. « Vieni, dolce morte, vieni! » canticchia il legionario. Una pioggia di granate... gli uomini si afflosciano, il naso dentro le gavette; ecco un gruppo che esce dalla doccia, con un asciugamano intorno ai fianchi. Anche loro ci prendono per compatrioti e il mitra di Heide li falcia. « Fermi tutti adesso! » comanda il Vecchio. « Se accendiamo solo un fiammifero saltiamo tutti! » « Guardate, ragazzi, whisky, centinaia di bottiglie! » grida Petit-Frère. « Proibito nel modo più assoluto di toccarle », ordina il Vecchio.
117 Troppo tardi. Porta si ingozza di whisky, le baionette sventrano casse di ananas e di marmellata, si mangia con le mani. « Champagne! » grida Gregor folle di gioia. Saltano i tappi. Alcool e champagne scorrono. Riempiamo un'enorme pentola di un po' di tutto: carne in scatola, polpette, patate, lardo, uova... un pasto per Gargantua. « Dio, essere in un esercito simile! » sogna Porta. Il Vecchio sbraita indignato. Petit-Frère si è messo addosso una uniforme americana, un tappo di champagne lo colpisce alla nuca. « Sei morto, sei morto! » grida Heide che balla con una bottiglia vuota in mano. « Venite a mangiare! » comanda Porta con un cappello da cuoco in testa. Serabra un grande sogno bacchico. « Io declino ogni responsabilità », dice il Vecchio con aria desolata. « Saccheggio e ammutinamento. Vi siete ribellati al vostro capo sezione, armi in pugno. » Batte la mano con aria minacciosa sul suo taccuino. « Tutto è notato qui, vi avverto. » « Me ne frego », risponde Porta. « Io pianto Adolfo per il signor Eisenhower. Finito di mangiare, gli mandiamo Petit-Frère come parlamentare. » Tutto sembra irreale. Heide prende un grosso recipiente di cognac e apre il tappo in modo che l'alcool gli coli direttamente in bocca; ci divertiamo, ci divertiamo di cose idiote; arrampicarsi sugli alberi, sospendersi ai rami, accendere un bidone di benzina e saltare attraverso le fiamme. Petit-Frère prende fuoco. Ci precipitiamo sull'estintore e in un attimo ecco che sembra un pupazzo di neve. Porta prepara dei cocktail folli: rum, cognac, whisky, uova, zucchero. Il risultato è sorprendente, le urla di quest'orgia si sentono in tutto il bosco. A un tratto sentiamo una voce nota. « Questa volta la misura è colma! » ruggisce il tenente che compare in mezzo a noi. « Feldwebel Beier, venite qui imme-
118 diatamente! » Ma il Vecchio non ce la fa ad alzarsi, è sdraiato sulla schiena con due granate in mano. « Parla più piano, amico, disturbi gli uccellini. » « Benvenuto, capo. » Petit-Frère porge il tremendo cocktail al suo superiore. « Una goccia? » « Ubriaconi! » grida il tenente respingendo la gavetta con un gesto brusco. Il liquore schizza fuori e li bagna entrambi. « Tu non diventerai mai qualche cosa di buono, capo », ritorce Petit-Frère con aria molto concentrata, e si appoggia al tenente per non caBere; tutti e due cascano per terra. « Non vi siete fatto male al culo, capo? » continua con aria contrita. Lowe è in piedi per primo, dà un calcio al gigante che gli afferra uno stivale, così che tutti e due sono di nuovo per terra in un groviglio di braccia e di gambe. «Ecco che finalmente gli ufficiali si mescolano alla truppa », balbetta Heide. « Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa il consiglio di guerra. » « Lo saprete molto presto, razza di canaglie! » urla Lòwe estraendo la pistola che Petit-Frère gli fa saltar via dalle mani, tra grandi scoppi di risate. « Capo, che diavolo! Non vorrai certo ammazzare questo buon vecchio di Petit-Frère! Non bere se non lo sai portare. » Si perforano le latte di rum. Nemmeno un maresciallo avrebbe potuto far nulla. La 3ª sezione bombarda la 4ª con uova. Il tenente disperato ispeziona la strada con terrore: ogni istante potrebbe comparire il maggiore Hinka con tutto il reggimento. Che scandalo! Un comandante di compagnia prussiano e tutta la sua sezione ubriachi fradici, dietro le linee nemiche. Un comandante di compagnia incapace di tenere in pugno i suoi uomini! Sempre più nervoso, Lòwe non sente arrivare Petit-Frère che gli batte una mano sulla spalla. « Eccoti qui, capo, ti stiamo cercando dappertutto. Ti crede-
119 vamo morto. » Il regolamento proibisce formalmente di mettere le mani su un superiore. Fuori di sé, il tenente appioppa un diretto al gigante. « Me le dai, capo? Male. Se lo riferisco a Hinka, finisci a Torgau. Io ci sono arrivato vicino. » Vediamo il tenente metter la mano alla pistola, ma egli stesso sa bene di essere impotente. Porta, arrampicato sul suo bulldozer, perde il controllo della guida e riesce a fermarlo solo quando metà del baraccamento è già demolito. « Ci costerà la testa », esclama il tenente, e con disperazione picchia i pugni contro un tronco d'albero. « Ma no, ma no », balbetta Porta buttandogli un uovo. « Innanzi tutto non siamo più ai tuoi ordini, abbiamo cambiato padrone. » Si piega in due dal ridere. « Faresti meglio a tagliare la corda, specie di prussiano, prima che ti facciamo prigioniero. Capitano! » urla a Petit-Frère, « ci sono dei Kraut nel campo, vieni a vedere, capitano! » Improvvisamente, da un baraccamento vicino, sprizza un geyser di fiamme. « Saltiamo in aria! » grida una voce. Fuga precipitosa di tutti. Venti minuti di tuoni. La esplosione si deve sentire da Berlino. Gli alberi sradicati si abbattono a terra. Porta, come Diogene, si è nascosto in una botte; ne esce sorridendo e dice al tenente: « Sei il miglior Oberleutnant di tutto l'impero di Adolfo. Ti amo! » Lòwe gli dà uno sguardo omicida. « Perché sei offeso, capo? » riprende Porta toccandogli la spalla dolcemente. « Sei un eroe, hai salvato la 5ª compagnia. Se tu non fossi arrivato, avremmo tagliato la corda tutti. » È da credere che il tenente Lòwe non abbia fatto alcun rapporto dal momento che la storia non ebbe stranamente nessun seguito.
120 Nella sede della Gestapo in Averme Foch, il commissario Helmuth Bernhard, sezione IV/2A, stava interrogando il giornalista Pierre Brossolette. Molti interrogatori avevano già avuto luogo dopo che Brossolette era stato arrestato su una spiaggia di Normandia, dove avrebbe dovuto portare il piano d'insurrezione di Parigi. La Gestapo sapeva tutto, mancavano solo i nomi dei congiurati, e si trattava di far parlare il giornalista con tutti i mezzi possibili. Il commissario Helmuth Bernhard non aveva l'abitudine di picchiare; lo considerava un metodo riservato agli idioti. Lui ne conosceva altri molto più raffinati. Pierre Brossolette non poteva già più camminare; tutte e due le gambe spezzate, si trascinava come poteva, e le sue facoltà di resistere erano logorate. Presto o tardi, sapeva bene che sarebbero riusciti a farlo parlare. Un attimo di distrazione dei suoi carnefici, e si buttò dalla finestra, ma due piani più sotto una terrazza lo fermò. Gli uomini della Gestapo si precipitarono dalle scale giusto in tempo per vedere il prigioniero scavalcare il parapetto della terrazza. Tutto era avvenuto in un attimo. Ora un corpo giaceva morto sul selciato dell'Avenue Foch. Brossolette non avrebbe più parlato. . Quella stessa sera vennero fucilati otto ostaggi.
121 CAPITOLO VIII
IL GENERALE VON CHOLTITZ DA HIMMLER Il ReichsFührer delle SS Heinrich Himmler aveva insediato il suo quàrtier generale in un castello non lontano da Salisburgo. Delle SS alte e asciutte montavano una guardia molto severa intorno all'edificio; erano soldati della divisione speciale SS di Himmler, la 3ª sezione SS Panzer della divisione Totenkopf, la sola divisione SS che non portava i caratteri runici sui distintivi al collo, bensì una testa di morto ricamata. Questa divisione esisteva solo da dieci anni, e quattro comandanti erano già spariti senza lasciar traccia. Non piacevano a Himmler. Hitler detestava la divisione Totenkopf che riceveva ordini soltanto da Himmler. Tre grosse automobili di lusso con le insegne di generale sostavano davanti alla grande porta del castello, mentre un generale di fanteria saliva lentamente i gradini. Un SS SturmbannFührer lo accolse e gli prese la borsa dei documenti. « Vogliate scusarmi, signor generale », disse sorridendo l'ufficiale delle SS, « ma sono le nuove istruzioni dopo il 20 luglio. Lo stesso maresciallo del Reich si comporta così quando viene qui ». « Volete anche la mia pistola? » disse il nuovo arrivato. « Non la vostra, signor generale! » Il visitatore viene introdotto nel grande ufficio del ReichsFührer, e i due uomini si fanno il saluto militare, divenuto d'obbligo per tutto l'esercito dopo il 20 luglio. « ReichsFührer, il generale di fanteria Dietrich von Choltitz a rapporto, in base agli ordini del comandante in capo del fronte
122 occidentale. » Himmler si alza per dare la mano al generale. « Siate il benvenuto, mio caro Choltitz. Posso farvi le congratulazioni per la vostra nomina? Magnifica carriera! Da tenente colonnello a generale in tre anni, i nostri ufficiali delle SS non hanno questo ritmo. Come va a Parigi? Riuscite a governarli questi francesi? » « Ci riesco », borbotta il generale. Himmler lo piglia familiarmente sotto braccio. « Lo so. Un ricordo di Rotterdam? » gli chiede, indicando la croce che sta al collo di von Choltitz. « Infatti, ReichsFührer. » « 18 maggio 1940», dice Himmler sorridendo. La sua stupefacente memoria era famosa. Mostra il suo ufficio sovraccarico di incartamenti. « Da quando mi occupo degli Interni, sono sommerso di lavoro; siamo circondati da traditori. Che ne pensate di questo? » dice porgendogli un documento che il generale legge in silenzio, senza muovere un solo muscolo del volto. Polizia segreta, direzione della polizia di Stato. Berlino, Gestapo IV-2-a-37 44 G. Al ReichsFührer SS. QG Ersatz Heer. In nome del popolo tedesco, si dichiara: La signora Elfriede Scholtz nata Remarque ha tenuto per molti mesi dei discorsi disfattisti. Era necessario sopprimere il Führer, i nostri soldati erano solo carne da cannone, eccetera, in breve una propaganda fanatica che la disonora per sempre. Ella deve essere punita con la morte. L'accusatrice, sua padrona di casa, aggiunge che la signora Elfriede Scholtz non ha mai creduto nella vittoria tedesca, e glielo ha detto personalmente a più riprese. La signora Scholtz è stata molto influenzata dalla
123 celebre opera del fratello All'ovest niente di nuovo, ma questo non è in ogni caso un'attenuante, ed ella stessa confessa di non aver più visto il fratello da tredici anni. Ella ha agito da traditrice ben consapevole, da agente disfattista, e noi chiediamo per lei la pena di morte. Dovrà inoltre sostenere le spese processuali. Firmato: Dr. Freisler, Dr. Schulze-Weckert « La forca è una morte troppo dolce per questo genere di persone», dichiara Himmler. Il generale scuote la testa in silenzio, mentre il Reichs-Führer ripone con cura un altro documento che si guarda bene dal mostrare al suo ospite: è la lista ultrasegreta degli orologi, dei braccialetti, delle penne stilografiche, degli orologi per ciechi e dei cronometri raccolti nei campi di deportazione. Egli riattacca subito: « Generale, come il Führer vi ha già spiegato alla Wolfsschanze, egli desidera che Parigi sia rasa al suolo. Vi ho chiesto pertanto di venire perché mi spieghiate come mai quest'ordine non è stato ancora messo in esecuzione. I miei agenti mi riferiscono che la vita si svolge normalmente a Parigi, salvo qualche piccolo episodio dovuto alla Resistenza ». « ReichsFührer, manco di uomini e di armi. I mortai pesanti non sono arrivati, nessuno sa dove si trovino, e dato che la gittata dei nostri è troppo corta, sono costretto a installarli nell'interno della città. Non ho nemmeno ricevuto le unità che mi erano state assegnate. » « Riceverete tutto quello che vi è necessario », afferma Himmler. « Sto appunto ricostituendo due reggimenti Do muniti di batterie di razzi anticarro. Thor e Gamma sono in viaggio; ho dato ordine a Model perché vi sia inviato un reggimento di carri ZBV; sono dei duri, ve lo assicuro, faranno qualsiasi cosa. Conto su di voi al cento per cento, Choltitz, e ci sono pochi ufficiali superiori coi quali posso usare questo linguaggio. Spero di vedervi presto in uniforme di ObergruppenFührer delle SS. »
124 Al pranzo, Choltitz viene messo alla destra di Himmler. L'argenteria antica proviene direttamente dalla corte rumena, ma il pasto è frugale. Vengono pelate a tavola delle patate bollite, e le facce degli ufficiali presenti mostrano chiaramente che il menu non è gradito. Himmler decide lui stesso quali degli ospiti devono cambiare i piatti. Un grosso generale di cavalleria maledice fra sé il giorno in cui era stato prelevato dalle mense di Danimarca per aver l'onore di sedere a tavola con Himmler. Un maggiore toglie di tasca un sigaro che annusa con piacere, ma lo sguardo del padrone di casa glielo fa subito riporre. Himmler ha orrore dell'odore di tabacco. Il caffè, un surrogato, viene servito in piedi in un'altra sala; una tazza ciascuno e solo i privilegiati hanno diritto a un bicchierino di cognac. Il Reichsfu-hrer fa un cenno a due generali addetti alla lotta contro i partigiani. « OberFührer Strauch, ho saputo che avete graziato molti di questi banditi, ed è la seconda volta che date prova di debolezza dopo la vostra destinazione in Jugoslavia. » « ReichsFührer, si trattava di sei donne e due ragazzini di dodici anni! » « Mio caro Strauch, non possiamo assolutamente permetterci della sensibilità morbosa! Se voi sospettate che un neonato lavora contro di noi, dovete torcergli il collo! Quanti prigionieri avete a Belgrado? » L'OberFührer SS impallidisce al sorriso storto del suo terribile ospite. « Duemilanovecentootto in prigione, ReichsFührer. » « Siete male informato su quello che succede nel vostro settore; ve ne sono tremiladuecentodiciotto. I vostri tribunali speciali trattano cinquanta casi al giorno, è troppo poco. Se mancate di giudici, trovatene altri. Non è necessario che siano giuristi, vero Choltitz? Se vogliamo vincere la guerra, la durezza è indispensabile. È in gioco la nostra stessa esistenza. Gli alleati non saranno certo pietosi, non l'hanno mai nascosto. » Una volta rientrati nella grande sala di riunione, un ufficiale
125 d'ordinanza spiega sulla tavola una grande mappa di Parigi. « Secondo gli esperti del genio, la città può essere paralizzata interamente, mentre vengono fatti saltare i ponti », dichiara Himmler. « Abbiamo trovato un vecchio rapporto dove si parla di depositi di esplosivi dimenticati da tempo. Ne abbiamo già individuato qualcuno e questo ci sarà di grande aiuto, ma bisogna prima di ogni cosa e nel modo più sicuro schiacciare la Resistenza. Dopo gli ebrei, il popolo francese è il nostro nemico peggiore; lo è da secoli. A Parigi, sappiamo di due organizzazioni della Resistenza: la prima, comunista, è diretta da un sognatore che veste una falsa divisa, e i miei agenti hanno avuto modo di incontrarlo in diverse occasioni. È l'organizzazione più pericolosa. L'altra è diretta da un gruppo di intellettuali che si appella a quel Charles de Gaulle condannato a morte. Bisogna portare queste due organizzazioni a lottare l'una contro l'altra, cosa che i nostri camerati rossi », Himmler ha un sorriso sardonico, « cercano ardentemente di fare. Non possono soffrire gli intellettuali. Adopereremo quindi i comunisti per un certo tempo, poi li faremo impiccare». « Che cosa mi date, come unità? » domanda Choltitz, interrompendo questo fiume di parole. «Vi do la 19ª SS Panzerdivision Letland, e la 20ª SS Panzerdivision Estland, che sono per il momento in Danimarca. Inoltre potrete contare su due reggimenti di Feldgendarmerie di Polonia, e sulla 35ª SS Polizei Grenadier Division. I miei esperti hanno calcolato che occorreranno dodici giorni per minare tutta la città. Per realizzare questo compito avrete il 912° battaglione guastatori e il 27° Panzer Regiment ZBV. Vi basta, Choltitz? » « Sì, se le unità promesse mi arrivano, altrimenti il mio compito è impossibile. » « Generale, due volte nel corso di questa guerra avete realizzato imprese che sembravano impossibili: Rotterdam e Sebastopoli. Il comandante in capo olandese non era un novellino,
126 ma voi, Choltitz, tenente colonnello allora sconosciuto, lo avete dominato. Se non foste riuscito a mantenere la strada MonsterL'Aia, Wotan sa che cosa sarebbe successo! » Von Choltitz volta discretamente il capo e prende un calmante. Nel maggio del 1940 von Choltitz comandava, nelle paludi olandesi, il 16° reggimento fanteria, 3° battaglione, con i suoi JU 52, aerei da trasporto. Prese inoltre il comando della 2ª Luftland Division, e inizio il combattimento nella regione di Woolhaven e di Rotterdam. Le strade e i ponti della linea ferroviaria che portava a Rotterdam furono subito presi; ogni metro costò torrenti di sangue: il sessantasette per cento degli ufficiali caddero. Quando, dopo cinque giorni terribili, il combattimento ebbe fine, il settantacinque per cento della divisione olandese era fuori combattimento, ma il generale Lehmann non voleva sentir parlare di resa. Gli vennero date tre ore per una capitolazione senza condizioni, messaggio al quale il colonnello Scharroo non rispose. Non voleva vedere la sua regina cadere nelle mani dei tedeschi. A questo punto venne deciso il bombardamento di Rotterdam. Duemilaquattrocento bombe esplosive e incendiarie furono fatte cadere sulla città, cosa che costò la vita a tremila civili. Erano esattamente le 15.05. Ma con le baionette in canna, dei soldati olandesi sorsero dalle fiamme, resistenza inattesa di un eroismo incredibile. Un giovane tenente di fanteria, gravemente ferito, riuscì a uccidere l'ultimo del gruppo assalitore; una recluta di diciotto anni, con un lanciafiamme liquidò tutta una sezione tedesca; dei carri olandesi si fecero avanti di traverso nella strada che il fumo degli incendi oscurava completamente, e i paracadutisti nemici cadevano gli uni sugli altri. I tedeschi furono presi dal panico, l'attacco si stava sfaldando. Si vide allora il tenente colonnello von Choltitz, i cui ufficiali erano tutti caduti, buttarsi nella battaglia e obbligare un soldato a piazzare una mitragliatrice. Metro per metro egli trascinò il suo gruppo di combattimento; lui stesso, con un pugno di bombe a mano,
127 liquidò un nido di mitragliatrici piazzato in una cantina. Due ore dopo il bombardamento, il generale Lehmann capitolò « per evitare ulteriore spargimento di sangue ». Alle diciassette attraverso la radio, l'esercito ricevette l'ordine di cessare il fuoco, e esattamente alla stessa ora il colonnello Scharroo si arrendeva sul Willemsbruc-ke al tenente colonnello von Choltitz. Quest'ultimo fu glaciale. Dopo qualche parola, l'olandese tese la mano al vincitore, una mano che non fu presa: un ufficiale che si arrende non è un ufficiale. Alla testa del suo gruppo di combattimento, von Chol-titz entrò in Rotterdam, e ricevette la resa senza condizioni della città. Fu il primo governatore di Rotterdam, un governatore duro e freddo. Il 18 maggio 1940 ricevette dalle mani stesse di Hitler la croce di cavaliere. Altri compiti urgenti attendevano l'ufficiale che si era segnalato con tanto scalpore. In prima linea della 2ª divisione di fanteria, il suo vecchio reggimento di Ol-denburg andò all'assalto di Krim e non si fermò che davanti ai formidabili cannoni di Sebastopoli, ma il capo del Grande Reich conosceva l'uomo che aveva messo alla testa delle sue truppe d'assalto. Diede al vincitore di Rotterdam i mezzi più potenti del mondo: il mortaio da 60 cm Thor, che pesava più di centoventi tonnellate, e il mortaio da 43 cm Gamma, che pesava centoquaranta tonnellate; in più tutta la batteria da cinquantacinque tonnellate, con cannoni da 80 cm Dora. Prima ancora che il combattimento fosse cominciato, Hitler, sulla grande carta topografica del suo ufficio spostò la bandierina rossa per ben marcare che Sebastopoli, la fortezza più potente del mondo, era caduta. Von Choltitz prese la fortezza e la città di Sebastopoli dopo un bombardamento che non aveva avuto l'uguale nella storia. Il generale delle SS Zepp Dietrich domandò l'onore di prendere la fortezza e ordinò l'assalto all'arma bianca. La sua divisione, la 1* Panzerdivision Lah, lo seguì ciecamente, e il novantacinque per cento dei suoi uomini
128 cadde. Quando vi entrò, Sebastopoli non era che un cumulo di rovine fumanti; la fortezza accoglieva solo un mucchio di cadaveri, gli artiglieri della marina russa. In due giorni, ottocentomila granate di grosso calibro erano cadute sulla città. Von Choltitz ricevette personalmente le congratulazioni del Führer. La radio tedesca acclamava il suo nome in tutti gli angoli dell'universo. Himmler gli offrì un grado elevato nelle SS, ma von Choltitz era prussiano e preferiva l'esercito. Himmler dissimulò il suo rancore. La carriera di Choltitz evocava la corsa di una cometa, superava quella di Rommel. Himmler annusa sempre il suo cognac. Non porta alcuna arma su di sé; oggi non ha da temere attentati. Nell'incartamento è già pronta la nomina del generale al grado di ObergruppenFührer delle Waffen SS, ricompensa che seguirà alla distruzione di Parigi. « Choltitz, forse avete dei dubbi sulla vittoria finale? Non abbiate timore. Ci ha fatto ritardare il sabotaggio della Norvegia. Si tratta di resistere ancora due anni, lo possiamo, e allora li butteremo in mare, questi angloamericani. L'invasione della Normandia è il loro ultimo sussulto, e hanno dato fondo a tutte le loro riserve per realizzarla. Ma nell'attesa bisogna essere duri, Choltitz, non possiamo più permetterci nessuna umanità. La distruzione di Parigi sarà la dimostrazione della nostra potenza. » Il generale von Choltitz, respira profondamente. « ReichsFührer, Parigi non è né Rotterdam né Sebastopoli. Un grido di indignazione si leverà dai quattro angoli del mondo, e guai a noi se perdiamo la guerra! » Himmler ha un sorriso satanico. « Nerone suonava la lira mentre Roma bruciava. Si parla sempre di lui. Fra mille anni si parlerà ancora di voi e di me; noi supereremo Attila e Cesare! E se contro tutte le previsioni dovessimo esser vinti, allora finiremo in bellezza. Il mondo avrà la pelle d'oca soltanto a pronunciare il vostro nome. »
129 Von Choltitz porta una mano al suo alto colletto prussiano e inghiotte un'altra compressa calmante. « E se le autoblindo di Patton arrivano a Parigi prima che io possa eseguire gli ordini? » « Se è alla vostra famiglia che pensate, generale, vi garantisco la sua sicurezza. Rimanete in contatto con Model e Hausser. Von Rundstedt è ormai un rudere. Quanto a Speidel, ha già un piede a Gemersheim. 1 » « Come? Il generale Speidel! » esclama von Choltitz. Himmler ride dolcemente e si frega le mani ben turate. « I miei agenti sanno tutto, ma noi colpiremo solo quando sarà il momento. I traditori ci sono noti, e vi giuro che saranno appesi alti e corti ai ganci della macelleria di Plòtzensee! » Von Choltitz, cupo, accende un'altra sigaretta. Fuma senza sosta, rendendo sempre più nervoso il suo ospite il cui orrore per il tabacco è patologico. « Potete contare su di me. L'ordine sarà eseguito non appena riceverò le truppe ,e le armi promessemi, ma oggi non avrei neanche di che difendere l'Hotel Meurice. Mi viene comunicato infatti che è in arrivo un reggimento di carri pesanti, il 27° ZBV, ma non ha nemmeno un carro per compagnia; inoltre manca la metà dei suoi effettivi. In tutto e per tutto ha sette carri Panther, di cui è meglio non parlare dato lo stato in cui si trovano, e due Tiger, più una riserva di munizioni per venti minuti di combattimento. Gli equipaggi sono comuni combattenti. Non ho alcun desiderio di essere impiccato come criminale a Plòtzensee, ma non garantisco l'esecuzione dell'ordine se non ricevo l'armamento promesso. » Himmler annuisce col capo: « Avrete quello che vi occorre ». Poi i due uomini si chinano sulla mappa e progettano la distruzione dell'immensa città. 1
Prigione militare di Coblenza. (N.d.A.)
130 * * * In tutto il Grande Reich suonano i telefoni. Nello Jutland, dove staziona la 9ª SS Panzer Grenadier Division Letland viene dato il segnale di adunata. Centinaia di veicoli pesanti escono dal campo militare Boris. A Flensburg e a Neumunster vengono raggruppati seicento mezzi corazzati di tutti i tipi. In una notte il genio costruisce le piste. I capi fanno fretta ai loro uomini. Niente era stato previsto per la partenza delle divisioni blindate. Imbottigliamento mostruoso... lo Jutland diventa un enorme campo militare. Nello stesso momento, la 20ª SS Panzer Grenadier Division Estland che sta, secondo gli ordini, raggiungendo lo Jutland, riceve l'ordine di tornare indietro. Il comandante, ObergruppenFührer Wengler, ha un mezzo infarto. « Chi è quel cretino », urla l'uomo al buio e sotto la pioggia, « che ha dato quest'ordine? Come si può far fare dietro front a una divisione su un terreno simile? » « Il ReichsFührer delle SS », risponde sorridendo un ufficiale di collegamento, con la mantellina di cuoio nero e la pesante motocicletta grondanti di pioggia. Il comandante Wengler sputa disgustato. « Ordine ai comandanti di reggimento; tutti dietro front in direzione Neumunster. Destinazione sconosciuta. In marcia. » Gli ufficiali corrono tutti verso i rispettivi settori. Wengler sputa di nuovo. È uno dei più duri comandanti di mezzi corazzati di Germania, non ama che il fronte e detesta le guarnigioni. Confusione pazzesca. Autocarri si rovesciano, autoblindo si fermano in panne di traverso sulla strada. Sabotaggio! si grida a squarciagola. Lentamente la enorme colonna si mette in movimento verso sud, ma all'incrocio Haderslev-Tònder le cose si mettono veramente male. Un Oberstabszahlmeister ignaro arriva con la sua colonna di munizioni
131 destinata alle batterie costiere dello Jutland. Il suo camion si trova immobilizzato tra due Panzer che cigolano e si scontrano. « Sabotaggio! » Senza alcun processo, si spinge il poveretto contro un albero e lo si fucila immediatamente; ha sicuramente sbagliato direzione. Di colpo la colonna di munizioni destinata alle batterie pesanti della costa è spedita a una divisione di fanteria di riserva in Fionia. Tre settimane più tardi si è stupefatti di non poter inserire dei proiettili di 210 mm nei cannoni da campagna da 105 mm e l'artiglieria di marina appostata sulle scogliere si diverte moltissimo nel prendere in mano granate da 105 mm al posto di quelle da 210 mm richieste. « Sabotaggio! » gridano tutti gli stati maggiori. « Ancora la Resistenza! » urla un colonnello facendosi apoplettico. Qualche disgraziato ostaggio viene fucilato. Bisogna che qualcuno paghi per tutti. All'alba la testa della 20ª divisione corazzata entra in Neumunster. Qui la sorpresa raggiunge il colmo. Sui binari si trovavano solo dodici vecchi vagoni merci francesi. Contemporaneamente tutte le strade sono bloccate dalla 19a divisione carri, e qualcuno aveva mandato dallo Jutland orientale la 233ª Panzer Division di riserva. Era stato vuotato perfino il campo di prigionieri a Snder Omme. Su chilometri di strada, tutto stride, tutto sferraglia. « Sabotaggio! » annunciano i dispacci al ReichsFührer delle SS. Ordini brevi raggiungono il BrigadenFührer Bovensippen, a Copenaghen. Vengono riempiti alcuni camion di ostaggi. Il piccolo BrigadenFührer sa esattamente che cosa si deve fare per calmare Berlino. Lo stato maggiore dello Jutland e quello della Fionia non fanno molto di diverso. Quanto agli ufficiali responsabili della stazione di Neumunster, vengono fucilati sul posto. In una buona metà dell'Europa si cercano dei vagoni per trasportare due divisioni corazzate: quattordicimila veicoli aspettano, pronti per il combattimento.
132 Da tre settimane, un ragazzino di dodici anni, condannato a morte, aspetta nella prigione di Fresnes. Aveva rubato la pistola di un soldato tedesco, all'angolo del boulevard Saint-Michel con place de la Sorbonne. La madre del bambino, disperata, aveva mosso cielo e terra per farlo graziare; era arrivata fino all'ufficiale di collegamento del comandante del Grand Paris, e il dottor Schwanz presentò lui stesso la cosa al generale von Choltìtz. « Non annoiatemi con queste sciocchezze », gridò il generale respingendo la pratica. « Ho cose molto più importanti da risolvere. Rinviate il caso al consiglio di guerra che si occuperà della questione. » Il giorno dopo, un bambino di dodici anni venne fucilato a Vincennes. Nessun generale diventa famoso per aver salvato dall'esecuzione un ragazzino. Lo si diventa invece se si riesce a convincere ì posteri che avete salvato una città dalla distruzione.
133 CAPITOLO IX
SI PUÒ SALVARE PARIGI? Ben catechizzato, il generale von Choltitz tornò a Parigi. L'atmosfera diventava sempre più cupa. Il numero delle diserzioni cresceva in maniera catastrofica. In una sola notte, quarantuno condanne a morte di partigiani vennero firmate, e i fucili crepitarono nei cortili delle prigioni, cominciando dai comunisti. Un mattino all'alba, due ufficiali del fronte si presentano al comandante del Grand Paris; uno è un maggior generale cieco di un occhio, con l'uniforme nera dei mezzi corazzati, il secondo un giovane capitano dei guastatori, esperto nella posa delle mine. Tutti e due sono specialisti nella distruzione di città e nei combattimenti sulle strade. Alla porta dell'ufficio, un grande cartello: «Rigorosamente proibito l'ingresso». È la fine di Parigi che vi si prepara. Nel medesimo momento, una riunione non meno importante e segreta si svolge in un appartamento dell'ave-nue Victor Hugo. Lo Hauptmann Bauer, uno degli ufficiali dell'ammiraglio Canaris, mette al corrente un diplomatico soprannominato « Farin » di quello che si sta preparando. « Signor 'Farin' », dichiara l'ufficiale con voce sorda, « se non succede qualche cosa d'imprevisto, la città verrà fatta saltare. Bisogna assolutamente che voi cerchiate di incontrarvi con il generale von Choltitz ». Il diplomatico asciuga il sudore che gli imperla la fronte e vuota uno dopo l'altro due bicchieri di cognac. « Chi è questo generale di fanteria? Non ne ho mai sentito parlare. » « Come? Non avete mai sentito parlare di Rotterdam e di Se-
134 bastopoli? Sono state opera di von Choltitz. È uno specialista nella distruzione delle città; appartiene alla stessa scuola del feldmaresciallo Model: obbedienza cieca. Dategli un'ascia e ditegli di tagliarsi la mano destra, lo farà. » « E che cosa si dice alla Bendlerstrasse? » chiede angosciato il diplomatico. Gli occhi dell'ufficiale dell'Abwehr luccicano dietro gli occhiali scuri. « Non si dice più gran che, dato che la maggior parte è appesa ai ganci della macelleria di Plòtzensee, e se non siamo estremamente prudenti, lo saremo anche noi fra non molto. È arrivato un reggimento di carri armati ZBV che è accantonato alla caserma Prince-Eugène e a Versailles. È sotto il comando di un maggior generale due volte degradato, la cui moglie è rinchiusa come ostaggio nella prigione di Moabitt. Il generale ha il diritto di visitarla ogni tre mesi, e farebbe qualsiasi cosa per quella disgraziata che occupa la cella 412. » « Servirebbe a qualche cosa andare da lui? » « Sì, se volete essere fucilato sul posto. Il generale Mercedes vi prenderà immediatamente per un agente provocatore della Gestapo. Qualche mese fa era pronto ad arrestare il Papa! Appartiene alla divisione carri più dura del mondo: il 27° Panzer Regiment. Notate bene che abbiamo due reggimenti di carri armati che portano lo stesso numero; il regolare è un reggimento fratello del 2° Panzer Regiment di Paderborn, ma tutti e due vengono da Sennelager. Se il 27° ZBV arriva a Berlino, l'ammiraglio Canaris filerà al galoppo senza nemmeno avvertire i suoi. I nostri reggimenti di carri sono ora tagliati in due, in modo che sembrano raddoppiati. Il Führer ama le grosse cifre! Il 27° ZBV è composto di sei battaglioni al comando di un maggior generale; ciascuno degli uomini che ne fanno parte è stato graziato di parecchi anni di fortezza, e voi potete ben immaginare che cosa combineranno, scatenati nelle strade di Parigi! » Il diplomatico si versa un altro cognac.
135 « Sì, molto sangue. Se potessimo almeno far alzare delle barricate dalla polizia unita a quelli della Resistenza! » Indica il vigile che misura a grandi passi il marciapiede. « Questi tipi sono il nocciolo del corpo dei sottufficiali francesi; essi costituiscono una vera difesa per la città. » « Temo che non sia esattamente questo che cerca Hitler », obietta Bauer pensieroso. « Un battaglione della brigata Dirlewanger è in viaggio per Parigi, e credo di sapere che se ne vogliono servire come agente provocatore. È composto unicamente di pericolosi pregiudicati. A mio parere, non si può salvare la capitale che in due maniere; da una parte sperare che von Choltitz non riceva l'armamento che ha richiesto, dall'altra cercando di affrettare al massimo l'arrivo dei mezzi corazzati americani nella città. » « Preferirei essere a Londra e non qui, in questo momento », dice « Farin ». L'ufficiale ha un breve riso asciutto. « Lo credo bene. Anche in Germania succedono cose orribili. Il mio capo, l'ammiraglio Canaris, ha bruciato tutti i suoi incartamenti. Sapete chi è stato nominato Oberfehlshaber del fronte occidentale? Il feldmaresciallo Walter Model, che annusa il tradimento a cento chilometri. Credo che Hitler stesso lo tema. Ha saputo.un giorno che la cantina di Rundstedt conteneva sessanta casse di champagne: cinque minuti dopo tutte le bottiglie erano in pezzi. Il suo cuscino è Mein Kampf. Choltitz e lui non sono degli uomini, sono dei veri robot militari. » Il diplomatico si alza, prende borsa e cappello. « Vado a presentare i miei omaggi al comandante del Grand Paris. Forse potremmo anche fargli paura. In un caso o nell'altro bisognerà procurarci un documento che possa essere compromettente per lui se dovesse cadere nelle mani di Model. » « Buona fortuna! Resto in contatto con voi con il solito sistema, a meno che non venga arrestato anch'io! Mi scuso di non poter uscire insieme a voi, ma anche i lampioni hanno occhi in
136 questi giorni. »
137 Nella Stalingrado che è diventata ora la Normandia, cinquantamila uomini sono, stati fatti prigionieri, quarantamila sono caduti. Del 27° Panzer Regiment, l'ottanta per cento degli effettivi sono caduti; quello che rimane viene mandato a Parigi per motivi sconosciuti. Con un senso di piacere appena velato, il feldmaresciallo Gert von Rundstedt informa il gran quartier generale che un milione ottocentomila anglosassoni già sbarcati si battono contro duecentomila tedeschi. Ogni divisione corazzata non dispone che di cinque o dieci carri; i reggimenti si sono così assottigliati che sono praticamente delle compagnie. La situazione è disperata. Il vecchio Rundstedt che non perde mai la calma è fuori di sé e stringe nella mano il ricevitore del telefono quasi a stritolarlo. « Bisogna finirla, e subito, maledetti cretini! È la sola cosa sensata da fare. Dovreste andare tutti in manicomio! » Sbatte per terra il telefono che si rompe, e abbottona con furore il suo cappotto di fanteria privo di nastrini, anche se è l'uomo più decorato di Germania. Il feldmaresciallo von Rundstedt non porta le decorazioni se non per ordine superiore. Si caccia sulla testa il berretto alto e saluta i suoi ufficiali. « Arrivederci, signori, domani avrete senza dubbio un nuovo capo, o io non conosco abbastanza bene quel 'caporale di Boemia'! »
138 CAPITOLO X
LA SALA DI GUARDIA DELL'HOTEL MEURICE Due civili in pastrano di cuoio e cappello di feltro calcato sugli occhi, tengono compagnia al capo della guardia dell'Hotel Meurice. Due uomini insolenti, con i piedi sulla tavola che fotografano tutti quelli che passano con i loro occhi penetranti. « Heinrich, come ci si stufa qui dentro! » dice uno dei due. « Si stava meglio a Lemberg. In Polonia era molto più divertente. Ti ricordi quando abbiamo raccattato Tamara a Brest-Litovsk? Che ragazza! Mi ha fatto una certa impressione ammazzarla. Una semplice ragazza di sala che comandava tutto un battaglione di partigiani! Uccidere con le sue mani due nostri generali! Quella era una donna, e a mio parere fu idiota ammazzarla. A Mosca sono più in gamba. Quei tipi lì li mandano al lavaggio del cervello, così li ricuperali Se perdiamo questa guerra del diavolo Cambio pad une; la stella rossa mi andrebbe abbastanza bene, in fondo il loro programma è come il nostro e il mio istinto non sbaglia mai; è per questo che sono ancora qui. Io ero con Dirlewanger, sai, e anche a Katyn. » « Dovresti tacere », risponde l'altro. « A Katyn erano i rossi, non noi; adesso il lavoro è Parigi. » Si volta verso il capo della guardia, un Oberfeldwebel d'artiglieria. « Ti ricordo, fratello, che qui tutte le conversazioni sono ultrasegrete. » L'uomo alza le spalle. Conosce da molto tempo il proverbio giapponese: «Non vedere niente, non sentire niente, non dire niente », al quale aggiunge « non pensare ». È la prima condizione per sopravvivere in tempi come questi. Un tiro di sbarramento su terreno piatto sarebbe stato molto meno pericoloso della compagnia di questi due tipi della Gestapo. L'Oberfel-
139 dwebel guarda l'orologio. Grazie a Dio, il cambio della guardia sta per arrivare! Era sicuro che non avrebbe mancato di stupire i due gangster, quel cambio della guardia! L'Oberfeldwebel prepara il suo rapporto. Che sfortuna essere nato in Germania giusto in tempo per la guerra! Dortmund e i suoi dintorni gli bastavano largamente come spazio vitale; quando potrà tornare a Dortmund? La porta si apre bruscamente. Ah! Ecco il cambio della guardia. Sono dodici soldati carristi che invadono la sala come una tromba d'aria. « Saluti alla bottega! » grida il primo. « Obergefreiter Porta. » Dopo di lui entra Petit-Frère che si siede sul tavolo, senza la minima preoccupazione della disciplina. « Allora, re degli imboscati », dice ridendo, « puoi suonare al tuo padrone e dirgli che siamo qui! » « Che diavolo! » brontola l'Oberfeldwebel. « Bestia cornuta, non vedi che sei in una sala di guardia prussiana? » « Ma vai a pisciare sulla luna! » risponde Porta senza complimenti. « Piantala! » grida una voce imperiosa. I nuovi arrivati, per un attimo sorpresi, riconoscono gli uomini della Gestapo, ma Porta si rimette subito. « Chi sono quei due lì? » chiede al capo della sala di guardia. « Non li conosco. » « Allora fuori, agnellini miei. Niente civili in un locale militare, a meno che non siano detenuti. O forse lo siete? » « Obergef reiter, sono UntersturmFührer! » abbaia Peter. « Che cosa vuoi che me ne freghi? Io sono Oberge-freiter, e per ventiquattr'ore faccio la guardia qui al padrone del Grand Paris. Dunque, tagliate la corda, ragazzi. » « Polizia segreta », annuncia Heinrich mostrando i documenti. « Va bene, va bene », sghignazza Porta senza nemmeno dare un'occhiata alla tessera, « ma il regolamento non è cambiato, se
140 non sbaglio. Dunque basta con tutte queste chiacchiere. La sala di guardia è per la guardia. Voi due non siete dei nostri». « Forse noi siamo qui per farti spedire dentro », dice Heinrich. « È possibile ma mi stupirebbe. » Porta cava di tasca un bracciale bianco marcato con le lettere ZBV. « Hai sentito parlare di noi, per caso? » I due della polizia si guardano. « Be'! Questo cambia tutto », mormora Peter. « Che diavolo fate voi qui? » « Domandalo al tuo padrone se sei curioso di saperlo. » La porta si apre di nuovo, lasciando passare Barcelona Blom che esibisce per l'occasione il suo distintivo d'argento di tiratore scelto. Batte i tacchi davanti all'Oberfeldwebel. « Feldwebel Blom, 27° Panzer, 5ª compagnia. A rapporto per il cambio di guardia come capo della guardia con dodici uomini, tre sottufficiali, due mitragliatrici, dieci mitra, cento bombe a mano. » L'Oberfeldwebel restituisce il saluto. « Oberfeldwebel Steinmacher, 109° reggimento d'artiglieria, 2ª batteria, cede la guardia per il QG del Grand Paris. Munizioni sotto sigilli: diecimila cartucce di fanteria, un SMG. Nulla da segnalare. » Barcelona si mette in posizione di riposo e fa un sorriso torvo. « Nulla da segnalare? » dice con voce acida. « E con che diritto questi due civili sono qui? Questo è un cesso pubblico o una sala di guardia prussiana? » Questa volta l'Oberfeldwebel perde la calma. « Liberissimo di prenderli a calci nel culo, camerata, dato che io taglio la corda con i miei nove uomini. Ne ho piene le tasche di questa baracca! » Si pianta l'elmetto sul cranio ed esce con aria irritata, mentre Barcelona spolvera accuratamente la sedia prima di sedersi al suo posto. Notiamo subito lo sguardo inquisitore con il quale
141 fissa il sunnominato Peter, il quale dopo qualche minuto si sente a disagio. « Vieni, Heinrich, andiamo a casa », mormora ficcandosi il feltro grigio fino alle orecchie e abbottonandosi il pastrano, nonostante il caldo, fino all'ultimo bottone. Con l'istinto che li caratterizza, Porta e Petit-Frère si avvicinano adagio alla porta. Barcelona fischia fra i denti e fa un gran sorriso. « Ma. non è possibile! Il buon vecchio senor Gomez! Ma è uh secolo che non ci si vede! Bisogna dire che la tua nuova pelle non ti sta poi tanto male! » Sempre più a disagio, i due tipi della Gestapo si dirigono verso la porta che è sbarrata da due piedi giganteschi. Porta caccia indietro il berretto, si gratta la zazzera rossiccia e con il pollice mostra Barcelona. « Non vedi che hai ritrovato un amico? Aspetta un po', fratello. » « Esigo di poter passare! » grida Peter. Sa che gli urli sono di solito la miglior arma dei sottufficiali. « Niente questo tono con noi », dice Porta sorridendo. « Non ti trovi bene qui? » « Devo... » domanda già Petit-Frère, maneggiando il suo grosso coltello. «22 giugno 1938, Rambla de las Flores a Barcelona », riprende Barcelona. « Dopo ci hai offerto un bicchiere nel tuo bell'appartamento al Ritz; sono cose che non si dimenticano, ma a quell'epoca andavi in giro in abito civile. Dove sono andate le tue stelle rosse? » « Sei pazzo, Feldwebel! Io sono UntersturmFührer della polizia segreta di Stato. » « Certo, certo, compagno Gomez, ma non lo eri quando ci siamo incontrati sulla Rambla di Barcelona. Eri commissario, o capitano, o maggiore commissario. Hombre. E ci hai fatto un bel discorso! »
142 Barcelona guarda il soffitto con aria sognante. « 'Camerati, si tratta di resistere, io sono qui per aiutarvi. Non vi abbandoneremo mai! Alle barricate!' Purtroppo la stessa sera tu tagliavi la corda coi tuoi compagni e le tue stelle rosse, e sul bastimento cenavi con quel generale russo che aveva una sfilza di nomi... sai chi voglio dire... Malinowsky, o Manolito, se preferisci. Allora, su, un po' di memoria! » « È la tua che è terribile », dice Peter, togliendosi il cappello e lasciandosi cadere su una sedia. « Sì, mi ricordo, e anche che tiratore eri. Tiri ancora così bene con la pistola? » Petit-Frère, come un muro di granito, protegge sempre la porta, e noi stiamo a sentire con le orecchie tese. Un tipo della Gestapo che era stato commissario presso i rossi di Spagna? Sempre più interessante. « Mio Dio, sì, e ho anche fatto dei progressi. Se di sopra non ci fossero dei generali che sono tipi un po' sensibili, ti darei una dimostrazione. Posso rasarti a zero con una pallottola. » « Bravo, ma oggi ce ne freghiamo di quegli sporchi spagnoli, non è vero? Fino a che è andato tutto bene ci siamo ben battuti noi due, ma perché avrei dovuto farmi bucare la pelle per loro? Sai che cosa rischiavo se la Falange ci avesse pizzicati? » « Semplicemente dodici pallottole, e credo che ci sia ancora qualcuno che vorrebbe dirti una parolina. Ma dimmi ancora qualche cosa che mi piacerebbe sapere. Sei tu che hai tagliato la gola a Conchita? Paco è diventato pazzo quando l'abbiamo trovata nel vicolo dietro Ronda de San Pedro. » « Era una puttana », grugnisce Peter, « e in più una spia ». « Allora perché non l'hai portata davanti al tribunale di Calle Layetana? » grida Barcelona, prendendo l'uomo alla gola. Non lo avevamo mai visto così, quel Feldwebel che andava in giro con un'arancia nella tasca. « L'hai assassinata, sì, e Paco mi ha fatto giurare di ammazzarti se ti avessi incontrato ancora. Sai che quello che hai fatto a Calle Layetana, riempie oggi tre grosse cartelle? Vai a vedere, se non ci credi. »
143 « Avevo ricevuto un ordine. » « Lo sappiamo bene. Ma tu hai ucciso Conchita perché si rifiutava di venire a letto con te. » « Basta, Blom, una memoria troppo buona può diventare anche pericolosa. Sono molto amico dell'ObergruppenFührer Bergers, e ho fatto grosse cose in Polonia e in Ucraina, ma sono ultrasegrete, ragazzo mio. Ci sono magari delle sciocchezze che vanno dimenticate, ma deve essere successo anche a te, compagno. Ricordati anche tu dell'affare di Stiges! Eri nelle montagne, dietro quella fabbrica di cemento, e hanno detto che si sentivano urlare i preti fino a Castelldefels. Anche tu non potevi restartene in Spagna; su, cambia padrone e vieni da noi. Il pastrano di cuoio e il cappello floscio non ti starebbero male, sai. » Barcelona si mette a ridere e si dà una manata al cinturone. « Grazie, per il momento preferisco la divisa dello esercito a quella della Gestapo. » « Attenti! » grida improvvisamente Petit-Frère, mettendosi rigido come un manico di scopa. Un piccolo capitano dei guastatori molto elegante entra nella sala. Gli alamari neri del genio fanno risaltare i galloni d'argento. Tutti si mettono sull'attenti. Dal piccolo capitano emana più autorità che da dieci generali; la custodia gialla della sua pistola è aperta, sul suo petto la croce d'oro. Un volto aguzzo e duro. Una mano guantata allaccia i due ultimi bottoni del camiciotto di Barcelona. « Strana tenuta, Feldwebel. » L'insegna dei lanciafiamme spicca sulla manica sinistra; sulla giacca il grande distintivo dei guastatori fregiato di due granate incrociate. Un duro che ha sposato la guerra. « Signor capitano », scandisce ad alta voce Barcelona, « comandante di guardia Feldwebel Blom, 2° reggimento carristi, 5a compagnia, con l'ordine di montare la guardia al comandante del Grand Paris. Un Feldwebel, tre sottufficiali, dodici uomini.
144 Due civili da interrogare sono nella sala di guardia ». I due poliziotti inghiottono saliva e tacciono. L'ufficiale li ha impressionati come noi. « Nulla da segnalare », continua Barcelona, « tutto è regolare». Il piccolo capitano fotografa la scena con uno sguardo; noi aspettiamo il comando « Rompete le righe! » ma questo non arriva. « L'interrogatorio dei due civili è terminato? » « Sì, signor capitano. » « Vanno trattenuti? » « No, signor capitano. » « Allora che cosa fanno qui? Filate », ordina, voltandosi verso i due che scompaiono a tempo di record. « Feldwebel », sibila ancora il piccolo ufficiale, « che non vi veda assolutamente più in tenuta non regolamentare. Annunciatemi all'ufficiale di ordinanza: capitano dei guastatori Ebersbach, compagnia 914, posatori mine». Qualche secondo dopo, un tenente arriva di corsa. « Signor capitano, il generale vi aspetta. » Tutti e due scompaiono con nostro grande sollievo, e nel medesimo istante una testa si fa vedere con molta precauzione: è Peter seguito da Heinrich. « Quel culo d'ingegnere ha tagliato la corda? Heinrich vi porta una bottiglia di cognac, dono della cucina. » « Un regalo? Bene, evviva! » La bottiglia fa il giro, mentre uno di noi sta di sentinella alla porta: sono cinque anni di Torgau se si è colti con una bottiglia di alcoolici in una sala di guardia. Heinrich si lascia andare sulla sedia e appoggia i piedi sul banco, come nei film americani di gangster. Era affascinato dagli americani, e pur detestando il chewing-gum passava il suo tempo a masticarlo, facendo andare in bestia il suo capo della Gestapo.
145 « Quel capitano deve essere un pezzo grosso », dice Barcelona. « Sa Dio perché ci hanno cacciati qui », grugnisce Porta. « In questa maledetta baracca non si parla che di esplosivi. » « È proprio strano », conferma Peter. « Quando ero a Katyn... » « Piantala! » grida Heinrich. « Sei peggio di una colica. » « Toh! » dice Barcelona con aria innocente, « eri a Katyn, signor Kahn? » Peter incrocia le braccia scoprendo i suoi revolver da spalla. Porta si affretta a farne sparire uno. « Facciamo un cambio, amico? Ho una Glisenti. » « Fai vedere. » L'affare era corretto, ma Peter non sapeva che era molto difficile trovare proiettili adatti a uno dei migliori revolver del mondo. « Allora Katyn? » insiste Barcelona. « Va bene », interviene Heinrich, « e adesso si fila ». Si apre ancora la porta e Julius Heide, in uniforme perfetta in tutti i particolari, fa un ingresso sfavillante. « Chi è questo fantasma? » chiede Peter. « Il regolamento ambulante. Ogni mattina mette sull'attenti fino all'ultimo pelo del suo culo. » Heide guarda i due pastrani di cuoio, non ha nessun dubbio sull'identità dei possessori, ma si accorge anche della bottiglia di cognac. « Barcelona, lo sai che questo costa un biglietto di andata per Torgau? Il nuovo comandante è un mio amico, eravamo insieme a Rotterdam, perché voi naturalmente non sapete, pezzi di idioti, che ho cominciato come caporale dei paracadutisti. » « Sei un buco di culo e basta », dichiara Porta. Il sottufficiale Julius Heide guarda fisso Porta, e in quel momento nessuno di noi dubita che diventerà un giorno tenente colonnello dell'esercito tedesco. Quel giovane Julius non aveva
146 conosciuto che la guerra! « Obergefreiter Porta, siamo, beninteso, dei camerati, ma questo non significa che io non pensi sia mio dovere, in seguito, mandarti al consiglio di guerra! » Si volta come se intuisse un pericolo alle sue spalle, e vede infatti la faccia allegra di PetitFrère e le sue braccia di gorilla pronte alla lotta. « Che ti prende? La vita ti pesa, Petit-Frère? Prova a mettere le mani su un sottufficiale dell'esercito prussiano, miserabile Obergefreiter! Non dimenticare che cosa sei: merda! Noi sopravviveremo a questa guerra, ma tu certamente no. Il giorno in cui ti vedrò penzolare da una buona corda di canapa prenderò una sbronza indimenticabile! » Il sorriso di Petit-Frère diventa sempre più largo. Più rapido di un fulmine, l'enorme piede del gigante fa saltar via la pistola di Heide, e le sue mani di scaricatore si chiudono intorno al collo del sottufficiale. « Una bella coppia di amici! » ride Heinrich. « Che dici adesso, magnaccia? » « Lasciami andare », balbetta Heide, « mi strozzi! » « Lascia andare quella merda », ordina Porta. « Il giorno che lo ammazzano sarà una cosa ben fatta. » « Una bella coppia di amici! » ride Heinrich. Delle proteste vibrate accolgono il cambio della guardia. Il piccolo legionario fa notare seccamente che è in ritardo di un quarto d'ora.
147 Sanguinante e con le ossa rotte, il paracadutista Robert Piper fu portato alla Feldgendarmerie della rue Saint-Amand. «Avete dodici ore per farlo parlare!» gridò l'Oberleutnant Brunher. Dodici ore! L'SS UntersturmFührer Steinbauer, agente della Gestapo, scoppiò a ridere. Ma in dodici ore si riesce a far parlare una città! Con un colpo d'occhio, calcolò le capacità del paracadutista; quel tipo non avrebbe resistito più di mezz'ora. In tre ore si riusciva a far confessare anche i più duri. Il primo collasso cominciava a farsi sentire dopo venti minuti, poi si continuava con l'acqua ghiacciata. Dopo quel trattamento tutte le donne erano stroncate; il paziente diventava come un pezzo dì carne insensibile, ma qualche volta succedeva che il cervello rimanesse ancora lucido. Si poteva anche usare la frusta, ma non era bello per chi doveva adoperarla. Un tubo d'acqua ad alta pressione andava molto meglio: c'erano i calci nel ventre, ma era rischioso, la vittima poteva morirne. Dodici ore! Un gioco da ragazzi. L'UntersturmFührer incominciò a lavorare il paracadutista che crollò in ventisette minuti, dal momento in cui era stato portato dalla rue de Saussaies. Trentun nomi e altrettanti indirizzi, così nel giro di otto ore il comando della lotta contro i partigiani arrestò trentotto persone. Il comandante del Grand Paris firmò trentotto condanne a morte.
148 CAPITOLO XI
UN'EVASIONE DALLA PRIGIONE DI FRESNES La caserma Prince-Eugène a Parigi ricordava un nido di vespe: grida, urli, comandi rauchi, tutto sembrava girare freneticamente; ma in realtà questa strana babilonia apparente era regolata da un ordine rigoroso; dappertutto vegliavano occhi penetranti e le mitragliatrici che sonnecchiavano al sole erano sempre pronte a sparare. Oggi, nel sole d'estate, la caserma sembra morta, l'asfalto riflette il calore; in un angolo lontano rullano dei tamburi e fa eco la musica del reggimento. Pochi hanno voglia di andare allo spaccio questa mattina, salvo Porta, Petit-Frère e Gregor, che trovavano sempre un pretesto per andare a giocare ai dadi con l'Unterfeldwebel Brandt, obeso e sudato capo cantiniere. PetitFrère si era procurato un recipiente per munizioni rotto, perpetuamente in viaggio per essere riparato, Porta un apparecchio di ottica sempre difettoso e Gregor Martin due pistole avvolte in una tela unta di grasso. Queste vecchie volpi praticavano la regola d'oro del militare: rispondere alle domande indiscrete in maniera rigorosamente esatta, e con questo tutto filava a meraviglia. Si esercitava al sole una compagnia di reclute, ai comandi urlati di un sottufficiale convinto che più si urla più le cose hanno l'aria di andar bene. Il servizio non era assolutamente pesante, salvo il plotone di esecuzione ogni tre giorni, ma questo non ci faceva più effetto. Che differenza può esserci tra ammazzare un uomo legato a un palo o farlo bruciare in un carro? « È la guerra », dice instancabilmente il legionario.
149 Nel pomeriggio, montiamo la guardia al tribunale del consiglio di guerra dove si fa la coda come per entrare al cinema. Alcuni degli arrestati ci chiedono da fumare e Porta tende a un prigioniero mezzo pacchetto. « Niente sigarette a quel porco », grida un ometto dello SD, « ha ammazzato uno dei nostri, quello ». Facendo finta di non aver sentito, Porta gli avvicina un fiammifero. È quasi un bambino. « Il tuo turno è per domani », dice l'uomo dello SD. Il tipo alza le spalle indifferente. « Fai il duro, adesso », lo previene Gregor Martin, « ma vedremo se lo farai ancora domani ». « Va' al diavolo! » borbotta il ragazzo. « E no, caro! Manda al diavolo piuttosto i tuoi amici di Mosca. Che ti è saltato in mente di mischiarti a quei farabutti? » « Sono comunista e lotto per la libertà dei lavoratori! » « Certo, certo », risponde Porta calmo, « e domani sarai morto ma avrai il tuo nome su una bella targa di marmo, sarà un bel guadagno. Intanto loro continueranno a prendere a calci nel culo i lavoratori. Credi che la condizione del popolo sia migliore a Mosca? Sbagli, compagno, peccato che tu non possa farvi un viaggetto, cambieresti subito le tue idee sulla libertà con un paio di colpi nella nuca ». « È meglio dai nazisti, forse? » « No, non dico questo, ma in Francia voi state meglio. Potete anche litigare con una guardia; ma prova a farlo a Mosca. » « Io lotto contro il fascismo. » « Lo sappiamo. Ma il guaio è che non ne cavi niente. Hai ucciso un tale che prima della guerra era un operaio come te, ti rendi conto che è un'idiozia? Noi lo facciamo rischiando la nostra pelle al fronte, tu sei un civile e spari nella schiena. Tutto perché la cosa ti diverte più di un'altra, è così. Giocate alla guerra. Non è molto eroico. » « È un combattente per la libertà », interviene il legionario, «
150 solo non si rende conto che è male adoperato. Gli ordini di Radio Londra, ecco dove vi portano ». « Mi batto per la Francia, come è dovere di tutti i francesi. » « È vero », continua il legionario, « ma non come francotiratore. Le divise pullulano in questo momento, non avevi che da scegliere. Anche quella di Ivan. I tedeschi, se vuoi, ti portano gratis dietro le linee di Ivan come spia, ma è molto meno divertente che a Parigi ». « Di che cosa mi accusano? » interviene un disgraziato in uniforme di ferroviere francese. « Io non ho fatto niente! » « Non c'è nulla di peggio di questo, amico », ride Porta. « E mi raccomando, non andare a dirglielo così », lo avverte Gregor, « non c'è posto per gli innocenti nel mondo di oggi. Confessa qualsiasi cosa o ti fucilano. Dove saremmo oggi se la giustizia sbagliasse? » « Ma che cosa posso confessare? Io non ho fatto niente! » Una guardia dello SD dà il consiglio più giusto. « Senti, soprattutto non parlare mai di armi. Se sono di cattivo umore ti costa la vita. No. Hai urtato per sbaglio contro la testa di un soldato che stava dormendo, è per questo che lui non si è presentato in servizio. In ogni caso, se trovano qualche altra accusa, allora tu vedi di esasperarli, fai l'imbecille, cerca di aver l'aria completamente idiota, ti beccherai poco. » « Il mio gruppo ha rubato un vagone », interviene un altro prigioniero. « Se questo può aiutarti servitene, ma loro faranno delle verifiche, sono troppo ordinati nella loro merda, è il difetto principale dei tedeschi. » « Ma che cosa state dicendo? » interviene l'uomo dello SD. « Per delle verifiche ci vogliono le prove, e come verificare se non ci sono? » Il povero ferroviere prende coraggio, il suo bel faccione di contadino è più sereno. Finalmente ha trovato degli amici. « Parla di mercato nero », gli consiglia Porta, « sei stato imbrogliato e non ti hanno lasciato nemmeno un prosciutto ranci-
151 do ». « Ero solo! » dice ingenuamente il ferroviere. « Ma certo, idiota! Se non eri solo ti terranno dentro fino a quando marcisci, per farti confessare chi erano i tuoi complici. » Dieci minuti dopo il ferroviere esce raggiante. « Mi hanno creduto! Tre mesi per mercato nero! » Il pover'uomo piange di gioia. Nello stesso momento un enorme tipo dello SD prende il comunista per il petto. « Tu, compagno rosso, ti impiccherei volentieri con le mie mani. Odio i rossi! Hanno assassinato mio padre, nel '33! » « Piantala! Siamo noi di guardia. » « Odio i rossi », riprende Tuomo dello SD ignorando gli sforzi concilianti del Vecchio. « Li cerco giorno e notte! » Ora è il turno del giovane comunista. Lo SD gli batte sulla spalla. « Sei ebreo, ragazzo mio? » « Sì, sono ebreo. » « Mi sembrava, infatti. Un'aria di famiglia. Ti strapperanno gli occhi e io starei a guardare volentieri. Muoviti », dice spingendolo verso la porta, « abbiamo fretta». Il processo dura mezz'ora. Condanna a morte senza possibilità di appello. « Vedi, fai meno il duro adesso », dice Porta al prigioniero nella vettura cellulare che li riporta a Fresnes. « Perché diavolo ti ci sei immischiato? Credi per caso che le persone come te riusciranno ad abbreviare la guerra di mezz'ora? Sarebbe troppo stupido! » Mentre la macchina attraversa il ponte Saint-Michel, il ragazzo ha un breve smarrimento. « Quanti anni hai? » domanda il Vecchio con molta compassione. « Diciotto anni domani. » « Allora è una sculacciata che avresti dovuto prendere, e do-
152 vevano rimandarti subito da tua madre », dichiara Porta. « Siamo noi che montiamo la guardia domani? » chiede il Vecchio con aria meditativa. Heide accenna di sì con la testa. « Sì, ventiquattr'ore a romperci le scatole. » Improvvisamente capisce che cosa intende il Vecchio. « Ascolta, Vecchio, non immischiarti, evitiamo le grane, per favore. » Il Vecchio non risponde. Si stropiccia il naso come sempre quando pensa. Lentamente la macchina entra nella prigione; il prigioniero viene rimesso in cella, noi gli diamo una pacca sulle spalle per consolarlo. « Non si fraternizza! » grida lo Hauptfeldwebel. « Giù le mani, sacco di lardo! » Alle 18 montiamo la guardia al blocco 4. In una prigione è il momento in cui tutti hanno molto da fare; bisogna accompagnare i detenuti ai gabinetti e portar loro da mangiare. Lo Hauptfeldwebel passa l'ispezione, abbassa le leve dei campanelli d'allarme; le chiavi girano rielle serrature, le porte si chiudono. Un lavoro da pazzi. Mi appoggio al grande cancello che chiude il passaggio in fondo al corridoio della prigione, munito di almeno dieci dispositivi di allarme. Barcelona gioca a carte nella cella dei tre condannati a morte che per salvare la pelle erano andati volontari come uomini-siluri. I disgraziati credevano di poter essere graziati, ma noi eravamo meglio informati. Tutti i giovani hitleriani fanno la coda per entrare nella formazione degli uomini-siluri. Mentre i disertori spiegavano che durante le pericolose spedizioni contro le navi nemiche era facile essere presi prigionieri, Barcelona distratto non sente i quattro colpi di fischietto che annunciano l'arrivo di un nuovo furgone. Soffoco una bestemmia. Stanno arrestando tutta Parigi? « Blocco 4 », dico irritato. « Cella 409. Nuovo arrivo », abbaia il sottufficiale. Un uomo in uniforme di ufficiale sale velocemente i gradini. Lo riconosco con stupore. È uno dei giudici del consiglio di
153 guerra, tra i più odiati di tutta Parigi! Barcelona, finalmente sveglio, sporge la testa attraverso la porta della cella e riconosce anche lui il nuovo prigioniero. Fischia di ammirazione, si pianta in cima alla scala, i pollici infilati nel cinturone, e aspetta che l'uomo sia arrivato in alto. « Scendete! » comanda con un sorriso torvo. Il sottufficiale ride. È un gioco da prigione vecchio come il mondo: quando il prigioniero è arrivato in alto, gli si comanda di scendere, poi di risalire, e così di seguito sempre più rapidamente. A tutti i piani i sottufficiali sono corsi a guardare. Approfittando della confusione generale, Petit-Frère forza la porta dell'ufficio dello Hauptfeldwebel, e Porta firma il permesso di uscita del giovane ebreo per un interrogatorio supplementare alle 19. Come esperti di furto con scasso, non ce n'erano di più abili, e come falsario il talento di Porta confinava col genio. Lo Hauptfeldwebel avrebbe creduto sicuramente di aver firmato lui stesso l'ordine di uscita. Porta si sdraia nella poltrona e mette i piedi sulla scrivania lucida. « Sto pensando di diventare Hauptfeldwebel. In fondo si sta bene in un ufficio come questo. » Barcelona, sulle spine, si guarda intorno e diventa rosso di rabbia vedendo Petit-Frère steso sul largo divano. « Veramente non hai più nervi di una vacca! » « Non quando faccio il mio dovere, Feldwebel. Mi hai dato l'ordine di aprire questa porta e l'ho aperta. L'obbedienza è questa. » « Un giorno o l'altro obbedirai alla forca », predice Barcelona con aria sinistra. « Nessuna voglia di impicciarmi in storie simili », aggiunge, archiviando con cura il falso biglietto di uscita. Secondo la loro abitudine Porta e Petit-Frère fanno scomparire minuziosamente tutte le impronte digitali, e senza farsi vedere da Barcelona, Petit-Frère si mette in tasca una manciata di sigari; con aria di intesa sorride a Porta, richiude la porta e fa scivolare una scheggia di fiammifero nella serratura.
154 « Che stai facendo? » domanda Barcelona stupito. « E questo sarebbe un Feldwebel ! Impara, buco del culo, che una sola volta in vita mia ho aperto una porta senza avere esaminato prima la serratura. Mi è costato nove mesi di prigione. Quel cretino vi aveva messo un pezzetto di fiammifero dentro. Immagina come sto attento adesso. E ora lo frego, lo Hauptfeldwebel. Non conosce ancora l'Obergefreiter Wolfgang Creutzfeld di Amburgo, Altona. Se domani, tornando nella sua tana, non avesse trovato il suo pezzetto di fiammifero, ci sarebbe stato un bel casino qui dentro, ma per il momento può incollare il suo grosso sedere alla poltrona e dormire fin che vuole. » « Sei straordinario! » esclama Barcelona pieno di ammirazione. Nel frattempo Porta e io entriamo nella cella del giovane ebreo e gli diamo un cappotto. Lui si alza in piedi smarrito. « Calma, calma », dice Porta, « lasci l'azienda! » « Mi sparerete un colpo nella schiena! » « Soffiati il naso, imbecille, svegliati! Non capisci che veniamo ad aiutarti? Se voialtri, partigiani da due soldi, non avete del piombo nel cervello, allora vinceranno quelli di Adolfo. E adesso cerca di capire bene: la porta è aperta, quando noi saremo usciti prendi il corridoio, fai fìnta di andare ai cessi, invece scendi dalla scala senza fare rumore e veloce. Se per caso viene qualcuno, tu torni ai cessi e fai finta di non capire niente. Fin qui hai capito? Quando sei arrivato al pianterreno, esci dalla porta piccola di sinistra. Fuori ti nascondi negli altri cessi, e nell'attimo in cui i proiettori sono spenti ti spicci e corri verso il muro di cinta. Hai esattamente due minuti di tempo. Se la pace non è stata firmata nel frattempo, il proiettore si riaccende, e viene il turno delle sentinelle; due pattuglie. Ti mescoli a quelli, e per il resto se la sbroglino loro! Ma ti prevengo: se sei preso ti si fa fuori. Nessuna voglia di farci bucare la pelle per te. » Nervosi, torniamo nella sala di guardia e il ragazzo fila nel corridoio; si ferma un istante davanti alle scale, ascolta, poi
155 scende senza fare rumore, apre dolcemente il primo pesante cancello, dà un'occhiata inquieta intorno. Il cancello cigola appena e fa impallidire Barcelona. « Sacramento, se adesso arriva l'ufficiale! » « E allora mettiti a pregare », sghignazza Porta grattandosi la zazzera rossiccia. Al posto di guardia il Vecchio accenna un gesto per indicare che la via è libera; il ragazzo è uscito. Rapidamente mettiamo il catenaccio alle porte per crearci un alibi, e a un tratto tutti i proiettori si spengono. Questo era il compito di Gregor Martin, il quale insieme a un sottufficiale che non sospettava di nulla aveva trovato la maniera, come per caso, di maneggiare i fusibili. Naturalmente non ce la sapeva fare. Sfuriata del sottufficiale e grande gioia di Gregor che sbatte per terra le valvole. Il sottufficiale gesticola furioso. « E allora arrangiati da solo », grida Gregor rientrando al posto di guardia. La luce ritorna, ma nessuno ha visto la sagoma che si appiattiva a trecento metri di distanza contro il muro alto sei metri. Il ragazzo non riusciva ancora a capire. Era incomprensibile! Aspettarsi di essere fucilato il giorno dopo e vedersi sulla via della libertà... era un sogno troppo bello. Passi pesanti, ticchettio di armi, il fascio di luce cruda gira tutt'intorno, si ferma, sale lungo il muro illuminando una fila di finestre, molto oltre la prigione. Due occhi acuti spiano dietro la mitragliatrice. Qualcuno fischia piano piano nel recinto del cortile: è una canzone francese che il ragazzo conosce. Gli elmetti luccicano nel buio, gli odiati elmetti tedeschi. Anche il volto di un santo diventerebbe minaccioso sotto quell'elmetto. La doppia guardia passa... il ragazzo scivola in mezzo ai soldati. Lentamente la nuova guardia continua il giro lungo il muro, e il fascio di luce si proietta sulla pattuglia condotta da Barcelona e da Gunther Soest. Gunther bestemmia dalla tensione; è la seconda volta che fa
156 questo colpo, e dopo il primo aveva giurato a se stesso che non l'avrebbe più ripetuto. A fare un favore non si è mai ripagati! Per otto anni Gunther Soest era stato conducente di carri armati; ne aveva visti bruciare trentasette sotto i suoi occhi, e lui stesso almeno nove volte aveva rischiato di bruciare dentro la sua autoblindo. Ma alla decima il destino non fallisce; l'olio infiammato aveva trasformato il suo viso nella maschera di una mummia. Sette mesi in una vasca d'acqua e si era riusciti a strapparlo alla morte, ma la morte gli si era stampata per sempre sui lineamenti. Le mani come artigli incartapecoriti, una fidanzata che era scappata atterrita al vederlo, ed ecco che quella sera rischiava ancora una volta la vita. E per un ebreo, per giunta comunista, che magari avrebbe riso un giorno davanti a quella sua faccia! Questo volto, nelle parate militari, non lo facevano vedere, gli eroi non diventano mai così. Dopo la guerra, che cosa avrebbe fatto Gunther per vivere? Forse si sarebbe fatto assumere in un circo? Prima era stato bello e tutte le ragazze gli giravano intorno, ma all'ultima licenza sua madre aveva avuto un esaurimento nervoso e le sue due sorelle non erano riuscite a nascondere il loro orrore! Gunther era stato soltanto due giorni a casa, poi aveva passato il resto della licenza nel convalescenziario dell'esercito, a Tols. Là almeno molti gli rassomigliavano, molti compagni che avevano avuto il medesimo destino. Era stato loro proibito di andare in città, non era una buona propaganda, ma per quale ragione sarebbero dovuti andare in città? Al solo vederli tutti voltavano la testa. Quale ragazza avrebbe baciato una bocca simile? Un buco circondato di carne azzurra? Gunther sapeva che facevano le plastiche al viso, ma costava troppo. Se la Germania vinceva la guerra, forse l'esercito gli avrebbe regalato un nuovo volto, ed era per questo che ancora si batteva... La pattuglia si fermò dove il muro formava un angolo. Dall'altra parte del muro, cadde una corda.
157 « Salta il muro quando il proiettore sarà passato », disse il legionario. « Hai trenta secondi; ecco una carta d'identità, ma è meglio se non te ne servi. » Si schiacciano contro il muro, nascondendo il ragazzo all'inesorabile occhio del proiettore. « Attraversa Parigi al galoppo; fra due ore è giorno. Va' alla chiesa del Sacro Cuore, a Montmartre, terzo confessionale, e di' che hai rubato dei fiori in un cimitero. Il padre ti chiederà quali e devi rispondergli miosotis. Lui saprà che cosa fare. » « Un prete! » mormora il giovane comunista. « Se preferisci la Gestapo », ridacchia il legionario. « Voialtri ebrei non andreste molto lontano se della gente come noi non vi desse una mano! Quello che succederà dopo lo vedrai. Andiamo, fila! » « Grazie, compagno », bisbiglia il ragazzo. Il fascio di luce passa. « Arrampicati! » sibila il legionario, mentre Gunther gli dà un colpo con la spalla, ma il ragazzo è agile come uno scoiattolo. In basso Gunther e il legionario armano i loro mitra. « Se sbaglia lo ammazziamo », borbotta il legionario facendo scattare la sicura. Il fascio di luce ritorna... il legionario appoggia il mitra contro la spalla: al minimo smarrimento del ragazzo sparerà trentadue pallottole sul corpo abbarbicato al muro. « Ci dev'essere! Io sparo! » grugnisce Gunther molto nervoso. Ma quando la luce passa, sul muro non c'è nessuno. Il legionario abbassa il mitra, rimette la sicura e si butta con indifferenza l'arma dietro la spalla. Il Vecchio sarà contento. Era sua questa idea idiota. Gunther resta un istante immobile e soppesa l'arma con aria quasi delusa. « In ogni caso », dice, « non ne valeva la pena ». « Verranno altre occasioni », fa il legionario consolante. La pattuglia continua. Mezz'ora dopo viene fatto il cambio della guardia. In tutta la prigione si ripete:
158 « Nulla da segnalare ».
159 Il capo del commando dei cacciatori 103, colonnello Relling, aveva la mano particolarmente felice. Uno dei suoi grandi successi era stato l'arresto del capo della Resistenza, il colonnello Touny, e dell'ufficiale del servizio segreto inglese in Francia, Yeo-Thomas. La cattura di questi due uomini aveva avuto come conseguenza una valanga di arresti in tutta la Francia. Arrestato Touny, il generale de Jussieu prende il comando della Resistenza. È un duello di crudeltà, di mancanza di scrupoli, di brutalità, tra il colonnello tedesco e il generale francese. Una ondata di terrore si abbatte su tutto il paese: partigiani pugnalati, colonne di approvvigionamenti distrutte, sentinelle assassinate, binari ferroviari fatti saltare. Delle sezioni militari molto disciplinate, al comando di ufficiali francesi, attaccano a Bourg-en-Bresse, in pieno giorno, la sede della Gestapo, e uccidono con un colpo alla nuca tutti i funzionari. A questo si aggiungono i criminali; furti, delitti e rapine, imprese di banditi ricercati sia dai tedeschi sia dai francesi. Più tardi si dirà che si trattava di disertori tedeschi, di spagnoli rossi, di fuggiaschi della V armata italiana. Quando questi gangster venivano presi li si fucilava sul posto senza processo, e i loro corpi venivano buttati nell'immondezzaio.
160 CAPITOLO XII
DA » VESTE ROUGE « A MONTMARTRE « È nascosto a Malakoff », spiega Veste Rouge. « Per catturarlo non ci sono problemi, ma portarlo fin qui! Al solo pensiero mi viene la diarrea, eppure deve essere possibile, in fondo. » « Tutto è possibile », dichiara Porta perentoriamente. Barcelona pensa a un trasporto in autocarro, con un falso foglio di via, ma l'idea è respinta. «Per me», dice Porta, «non c'è che un modo: trasporto da Malakoff a Montmartre a piedi, come una truppa di combattimento ». « Ma sei matto! » esclama Heide. « Se le guardie ci mettono le mani sopra... » Si passa una mano sulla gola. « Paragrafo speciale 114. No, è troppo stupido. » Il Vecchio si gratta dietro l'orecchio con la pipa: « Julius ha ragione, sarebbe idiota ». Veste Rouge si alza per accogliere dei clienti; un grande grembiule bianco gli avvolge i fianchi; i capelli (un vero e proprio mucchio di fieno) fanno una cosa sola con la barba ispida. Sopra il maglione col collo alto si è messo un cardigan rosso scuro, e canticchia Sous les ponts de Paris muovendo il corpo grasso, lucido di unto. Prende in mano il mento di una bella ragazza, socchiude le palpebre, ne afferra un'altra, fa un giro di valzer, la lascia andare sulle ginocchia di Petit-Frère. Il bistrot, con i suoi banchi stretti e le vecchie tavole usate dal tempo sa di rivoluzione, di mercato nero, di delatori, e Porta si sente nel suo elemento. D'istinto (l'istinto di chi vive nelle grandi città), ha trovato il suo collega parigino. Veste Rouge viene da noi, portato dall'odore del grasso che
161 arriva dalla cucina. Due cameriere fanno passare i piatti colmi lungo la tavola; molto vino e mol-. ta birra : l'ospitalità di Veste Rouge è famosa. « Quante storie per niente! » dice Petit-Frère infastidito. « È facile come la luna : lo prendiamo, lo addormentiamo, lo carichiamo. È tutto. » « Hanno armi? » domanda Porta. « Se non le avessero sarebbero degli imbecilli », risponde il padrone del locale. « Allora è tutto molto semplice. Facciamo fuori tutti quelli che si faranno vedere. » « Taci, perdio », grugnisce Heide mettendo una mano sulla gola di Petit-Frère. « Ma sei proprio un cretino! Abbiamo avuto già abbastanza grane dopo la storia dell'evasione. E non è finita! Sono ben contento di non esserci stato dentro! La Gestapo passa la città con l'aspirapolvere per sapere chi ha aiutato il prigioniero. Uno appena un po' furbo capirebbe subito che cosa è successo. » « Lo Hauptfeldwebel non si è ancora rimesso dallo sgomento! » ride Porta, « altrimenti non avrebbe svelato il suo pensiero quando Lòwe e lui ci hanno interrogati. Il sottufficiale ci ha aiutati senza saperlo. E dire che ha giurato di aver visto quell'ebreo, nel trasporto del pomeriggio! Era impossibile, perché in quel momento era con me ai cessi a giocare ai dadi. Ne segue, ragazzi, che il prigioniero non è scomparso mentre era da noi ma durante il trasporto o quando era nell'antro della Gestapo. E notate bene che sono le SS che si occupano della questione, ed esse, come sapete, detestano lo SD ». « Dite quel che volete », borbotta Heide senza nascondere la sua inquietudine, « a me tutta questa storia non piace affatto. Un tipo scompare quattordici ore prima della sua esecuzione, l'affare viene chiuso, e perché allora ritornano a fare interrogatori? Ci deve essere qualche cosa di brutto, sotto ». « Che cosa ne hai fatto? » scoppia a ridere Porta, rivolgendosi
162 a Veste Rouge. « Tn cucina », e fa un gesto col pollice teso sopra la spalla. « Qui? » ruggisce Heide. « Ma allora siamo al completo! Se lo trovano mentre siamo qui, io lo faccio fuori. Tu ci pensi, se saranno capaci di farlo parlare? Forse a voi la forca dice qualche cosa, a me no, non voglio rischiare la mia carriera per un ebreo! » « Piantala! » grida Petit-Frère agitando il pugno. « Jean! » chiama Veste Rouge dalla porta della cucina. Il ragazzo appare inquadrato nella porta. « Siediti lì. » Ci serriamo sulla stretta panca. Degli occhiali, un berretto da lavapiatti, dei baffi ispidi rendevano il nostro ex prigioniero quasi comico. Un'aria da stupido del villaggio accentuata da pantaloni troppo corti. Heide si spinge indietro : « E io vi dico che andrà male! » « Dove sono andati a finire gli altri? » domanda Porta guardando l'orologio. « Perché sono andati da una ragazza? » « Calmati », dice Barcelona, « il legionario conosce Parigi e Gunther li accompagna. La sua sola faccia è un lasciapassare. Nessuno oserebbe pigliarsela con Gunther ». Veste Rouge si alza. I clienti reclamano le sue canzoni. Porta stacca dal muro un violino, salta sulla tavola, accarezza lo strumento e gli parla. Il silenzio diventa completo. Tutti guardano questo soldato dai capelli rossi, con la bocca allegra e un solo dente. À Paris quand le jour se lève À Paris dans chaque faubourg À vingt ans on fait des rèves, Tout est couleur d'amour. 1 Veste Rouge canta. Un valzer, poi un tango. Si dimentica la guerra, l'odio anche, tutti si dimentica quando Porta canta e 1
A Parigi quando si fa giorno / a Parigi in ogni quartiere/a vent'anni si fanno sogni / tutto ha il colore dell'amore. (N.d.T.)
163 suona. Anche Jeahnette, la grassissi-ma cuoca negra che grida sempre, si ferma col piatto in mano. Sappiamo che è in collegamento con molte reti della Resistenza, che hanno già cercato di liquidarla, ma Saucisson Noir se l'è sempre cavata. Porta canta e una ragazza lo accompagna con la fisarmonica e vanno d'accordo, la figlia di Montmartre in vestiti dimessi e questo soldato anonimo in uniforme sbiadita. « Il porco! » borbotta Saucisson Noir, « che cosa è venuto a fare qui! Adesso ci mettiamo anche a cercare i boches simpatici! » La porta si apre con un calcio. Luccicano i distintivi e il cuoio della Feldgendarmerie; vediamo entrare dei volti angolosi con occhi cattivi, dei mitra che luccicano come gli elmetti di acciaio. L'atmosfera muta in un istante. Saucisson Noir sparisce in cucina, come una valanga di grasso molle; aiutata febbrilmente da Jean si rimette a maneggiare le sue pentole. Il capo della pattuglia, uno Stabsfeldwebel, una morte vestita di muscoli, ci fissa, chiude le labbra sottili e tende l'indice verso Porta. « Lasciapassare; sull'attenti, Obergefreiter, non sapete riconoscere i gradi dell'esercito tedesco? » È più alto di Porta di tutta la testa e tre volte più grosso. Gli vediamo girare e rigirare il permesso notturno. « Con chi siete, Obergefreiter? » Porta ci indica, rigidi e tesi nel nostro angolo. Senza una parola tendiamo i nostri documenti. La tuba e la bombetta di Porta e di Petit-Frère si erano volatilizzate. Un gesto solo e siamo a posto, sono bestiacce che conosciamo bene, lo Stabsfeldwebel Malowski e la sua unità di caccia 809. Da quattro anni perquisiscono tutti i bi-strots, i bordelli e i bar di Parigi e non sono rientrati una sola notte senza preda; lo testimonia la croce di ferro del loro comandante. Sono tre gendarmi francesi che controllano i civili, e anche una donna che è nel gabinetto deve aprire per mostrare i documenti. Questo spettacolo lascia il gendarme perfettamente
164 indifferente, ha fatto dieci anni nella Legione. La cucina. Perquisiscono Saucisson Noir, uno sguardo alla pentola che bolle, poi salgono al primo piano. Jean non li interessa minimamente. Guardano sotto i letti, le grosse dita rozze tastano le tende, i piumini, le canne dei mitra frugano tra i vestiti negli armadi. Non dimenticano neanche la dispensa in cortile. Fra un'ora la pattuglia avrà finito il suo compito, deve tornare a mani vuote? È impossibile. Lo Stabsfeldwebel ha fiutato qualcosa. Veste Rouge gli porge un Pernod, ma egli lo rifiuta con gesto brusco. I suoi uomini aspettano silenziosi. Toglie di tasca delle fotografie e guarda con attenzione improvvisa dei giovani che bevono in un angolo. Si avvicina rapido a un ragazzo in abito grigio sgualcito. « Deutsche Feldpolizei. Ausweis, bitte. » (Gendarmeria tedesca, carta d'identità, prego.) Tre uomini guardano attentamente i documenti del giovane. « Falsa », constata lo Stabsfeldwebel. « Sono tre mesi che ti cerchiamo. Questa sera impari come trattiamo i disertori. Chi l'ha aiutato? » « Io », dice una ragazza ben vestita. « Quella è pazza! » bisbiglia Petit-Frère. Malowski si gira verso di noi e ci guarda di nuovo, mentre Barcelona dà un'occhiata a Petit-Frère. In questo momento il minimo incidente può provocare le conseguenze più gravi, ma è proprio quello che lo Stabsfeldwebel cerca. Mentre vengono messe le manette al giovane e alla ragazza, la perquisizione ricomincia e Veste Rouge è sempre più a disagio. L'istinto dello Stabsfeldwebel gli dice che c'è ancora qualcosa, e poi egli detesta i soldati del fronte. Porci indisciplinati. La settimana scorsa non ha forse arrestato un Oberleut-nant decorato con la croce di ferro? Le mani sul cinturone, viene verso di noi. Ma qualcuno entra nella sala. Non ha volto. Dov'era il naso c'è un pezzo di tela nera, occhi senza sopracciglia, la pelle incar-
165 tapecorita. Al collo la croce di cavaliere, la nuca è sostenuta da un collare di cuoio. Quella che dovrebbe essere la bocca si apre. « Non salutate, Stabsfeldwebel? » Malowski impallidisce. Un soldato con un volto simile e decorato della croce di cavaliere può permettersi tutto. Se prende la pistola e vi uccide con il pretesto che è stato insultato, nessuno avrà il minimo dubbio. Malowski si mette sull'attenti e porta lentamente la mano alla visiera. « Signor Fahnenjunker: Feldgendarmerie, pattuglia 809. In servizio secondo gli ordini nel XVIII dipartimento. Scoperto un disertore con la donna che l'ha aiutato. Al comando di pattuglia lo Stabsfeldwebel della Feldgendarmerie Malowski. » « Grazie, Stabsfeldwebel. Avete finito, penso! » La morte vivente saluta con due dita alla bustina. Le sue gambe dal ginocchio in giù sono delle protesi, ma ci se ne accorge appena; ci sono volute settimane di energia sovrumana per riprendere a camminare, il braccio sinistro è fatto di quattro uncini di acciaio. Gunther cerca la morte, tutti lo sanno. Gli è stato proposto di diventare ufficiale nelle Waffen SS, ma non vuole abbandonare gli ussari. Il reggimento è la sua vita, e salvo noi che siamo i suoi amici, tutti tremano davanti a lui. Silenzio nel bistrot fumoso. Saucisson Noir è terrea. Questa apparizione non può essere che il diavolo dell'inferno e riaffiora tutta la superstizione della sua razza. Gunther infila una sigaretta nella bocca senza labbra, ma la stella rossa sul portasigarette d'oro non sfugge agli occhi di Malowski. Gunther glielo porge con ostentazione voluta: una falce e un martello di smalto rosso spiccano sotto la stella, sul fondo d'oro. « È questo oggetto che vi interessa tanto, Stabsfeldwebel? Pensate, è un ricordo di Stalingrado. Trecentomila tedeschi vi sono caduti, non vi dice niente? » Malowski inghiotte la saliva senza aprire bocca. « Il ReichsFührer delle SS teneva molto che glielo cedessi. » L'occhio sinistro del fantasma improvvisamente
166 ha un lampo: « Se avete finito, andatevene immediatamente! » Uscita rapida delle guardie. Saucisson Noir che non riesce a staccare gli occhi da Gunther, vedendolo avvicinarsi scappa in cucina e si chiude a chiave. La Gestapo, la Feldgendarmerie, tutti questi cani si sapeva che cosa erano, ma quest'uomo senza faccia viene sicuramente dal vodù. 1 « Gesù Cristo, santa Vergine, proteggetemi! » « Che cosa succede ancora? » chiede Jean inquieto. « C'è il diavolo in persona di là, il diavolo, ti dico. Non ha naso, soltanto gli occhi... due occhi che bruciano. La polizia è scappata via con i due prigionieri. » « Ha sparato? » « No, li ha guardati soltanto con quegli occhi tremendi. » « Hai recitato bene, Gunther », dice il legionario che ora sorride. « Quei cani se la sono fatta addosso dalla paura! » Gunther alza le spalle e la fisarmonica riprende a suonare un'aria allegra. Parmi la joule un amour se pose Sur une àme de vingt ans Pour elle tout se métamorphose Tout est couleur de printemps. 2 Dimentichiamo di nuovo le piastre a mezzaluna e gli elmetti d'acciaio. Il diavolo è in mezzo a noi e ci protegge. Gunther beve; dimentica il suo volto bruciato, porta via la ragazza a Heide, una ragazza vestita di giallo che chiude gli occhi per non vedere quella maschera di mummia, e non sa che nonostante la protesi Gunther balla meravigliosamente. Veste Rouge versa da bere, tutti diventano amici; Petit-Frère si rimette i pantaloni mime1 2
Culto diffuso fra i negri delle Antille. (N.d.T.) Tra la folla un amore si posa / sopra un'anima di ventanni/per essa tutto si trasforma / tutto ha il colore della primavera. (N.d.T.)
167 tizzati, ride e pizzica le ragazze. «Viva la Francia!» grida Porta,felice. Gunther è ubriaco, la ragazza ride nelle sue braccia. Lontano sentiamo degli spari. Niente di nuovo, è la guerra. Ancora una volta la porta si apre, ma non è la Feldgendarmerie, è Jacqueline, la giovane donna che avevo incontrato in Normandia nel giardino pieno di fiori, quella che mi aveva offerto il caffè. Da quando ero a Parigi andavo a trovarla segretamente tutti i giorni, ma è la prima volta che le ho dato appuntamento qui, e me ne pento subito. Porta l'ha riconosciuta immediatamente. Tranquilla Jacqueline si avvicina a noi, il vestito di mussola verde la rende ancora più pallida. « Toh! Hai ritrovato la tua pollastrella di Normandia? » domanda Porta secco. « Liquidala ti dico, è innamorata, e le donne innamorate sono pericolose. » « Ti riguarda? » « Se parla ci riguarda tutti », interviene Heide che mi prende al collo con gli occhi cattivi. « Tu e la tua donna francese, andate a letto dove volete ma non qui. » Mi spinge indietro, mette la mano sul calcio della pistola. « Porta ha ragione, è pericolosa. Guarda che te lo dico, se la vedo una seconda volta, vi faccio passare la voglia a tutti e due! » « Che succede? » interviene Gunther. Heide gli bisbiglia qualche cosa all'orecchio e vedo Gunther guardare attentamente Jacqueline in tutta la sua bellezza. I miei compagni mi fissano, il legionario cupo si pulisce i denti con il suo coltello moresco. « Ma che c'è, dunque? » mi chiede Jacqueline. « Sei ben strano oggi. » Mi scuso e le spiego che è stata una sciocchezza averla fatta venire lì. Parigi è diventata pericolosa. Al minimo sospetto si è liquidati e le spie sono dappertutto. Prendiamo un altro appuntamento, ma non più in quel locale. Jacqueline capisce e scompare veloce nella strada senza luce.
168 Lentamente il bistrot si svuota, siamo soli finalmente e svolgiamo sulla tavola una grande mappa di Parigi. « Evidentemente non di qui », indica Porta, « e poi tenete conto che è molto pesante. Come facciamo a passare il ponte? Tutti i ponti sono sorvegliati, e se facciamo tutto il giro la guerra rischia di finire prima che noi si arrivi di nuovo a Montmartre». « E se lo trasportassimo in pieno giorno? » suggerisce Veste Rouge. « Si riesce meglio a nascondersi in mezzo alla gente, e nessuno ci fa caso. I boches stanno sempre trasportando qualcosa. » « No », interviene Barcelona. « Se tutto il gruppo chiede la libera uscita si insospettiscono. Hoffmann è un gran cretino, deficiente come un'ostrica, ma non ancora scemo del tutto, purtroppo. Per il permesso della notte mi arrangio io, ma lasciare la caserma tutti insieme durante il servizio è impossibile. Ve la immaginate la cagnara! Ieri è arrivato tutto un battaglione di guastatori SS, e oggi uno dei commando più bestiali di quelle maledette guardie. » Porta muove un dito sporco sulla pianta stesa sul tavolo. « Andremo questa sera a prenderlo. Prevedere troppo è il difetto dei prussiani e non va bene. Otto giorni dopo la fine della prima guerra ci si stava già occupando di quella seguente, e vedete bene con quale risultato! Quando il nostro amico avrà avuto quello che gli tocca, lo si carica e via! Ho falsificato due timbri della Gestapo, dei timbri rossi con la scritta 'Segretissimo'. Questo dovrebbe tappare la bocca anche al più curioso. » « E se si mettono a sparare? » domanda il Vecchio inquieto. « Se incocciamo una pattuglia di SD? Si mette male, ve lo dico io, quelle bestie non si lasciano impressionare. Saremo noi o loro, e se uno solo di loro riesce a venire fuori, allora avremo le autoblindo sul sedere dopo cinque minuti. » « Non c'è che da portarsi dietro quel bel fucilino », suggerisce Petit-Frère sempre bellicoso.
169 « Questa è bella, ti ci vedi tu a sparare in strada col fucile? Ci prenderebbero per comunisti della Resistenza. » Il legionario alza le spalle. « Basta, vedremo che succederà a tempo e a luogo. Intesi, facciamo il colpo domani sera. »
170 Il primo appare alla finestra e si sporge con precauzione nel vuoto. Un colpo parte. L'uomo fa un salto mortale e si schianta sull'asfalto; poi viene il turno del secondo: guarda nella notte, comincia a scendere come un gatto lungo la grondaia. Un secondo colpo parte. Il corpo cade come una pietra con meno eleganza del primo. Il terzo salta attraverso la finestra, a testa in giù e lo sentiamo gridare durante la caduta; un rumore sordo sul marciapiede. L'incendio divampa bene. Da tutte le finestre escono fiamme, salvo in alto, da due finestre ancora intatte. Molte figure vi appaiono insieme. Due soltanto nel medesimo istante, mentre crepitano i mitra. Abbandoniamo il nostro nascondiglio senza aspettare la fine di questa esecuzione dovuta alla Gestapo; un rifugio di partigiani che avevano ucciso quattordici uomini dello SD. Contemporaneamente l'autista e la guardia della grossa auto della polizia tedesca in sosta nella strada vengono strangolati ai loro posti. Tutto questo avveniva a Parigi, una notte di agosto 1944.
171 CAPITOLO XIII
PASSEGGIATA NOTTURNA ATTRAVERSO PARIGI La notte è buia come inchiostro e fatichiamo a riconoscere la strada. Nessuno è d'accordo sulla via da prendere, e Porta stufo ci precede, trattandoci naturalmente da culi da non frequentare. Il quartiere Malakoff sembra morto; due gatti in calore che sembrano i soli esseri viventi attraversano la strada con la coda alzata, con una dignità quasi imbarazzante; due uomini della Feldgendarmerie passano in bicicletta e ci guardano male. Petit-Frère grugnisce. « Sta' zitto! » ordina il Vecchio. Petit-Frère si limita a mandare ai gendarmi uno sguardo omicida. « Se quei due cretini tornano, io li ammazzo », insiste. Raggiungiamo Porta all'angolo della rue Bérenger con la rue du Nord. « Sai dove siamo, sì o no? » domanda Gregor allegro. « Abbiamo guardato tutte le porte, si assomigliano come gocce d'acqua. Spero che almeno tu sappia dove si è infilato quest'imbecille! » Porta si ferma, dà un'occhiata circolare intorno. « Non deve essere lontano. Dunque, noi siamo arrivati di qui. Ne hanno fucilato uno lì, riconosco il bistrot, vai a vedere se ci sono ancora le tracce dei proiettili sul muro! Ma guarda se non è una cretineria tutto questo buio! Come se gli Amerloques non sapessero dove si trova Parigi. Con tutto il tempo che è qui questo borgo, nasconderlo non è facile! » « Ce n'è una quantità di tracce di colpi! » grida Gregor dall'al-
172 tra parte della strada. Porta riflette; toglie di tasca la vecchia scatola di tabacco, e come un aristocratico del diciottesimo secolo fiuta una presa con aria grave. « Basta con le cretinerie! » mugugna il Vecchio. « Comincio ad averne piene le tasche! » Porta lo guarda attraverso il monocolo incrinato. « Mylord, nessuno vi trattiene. Per quello che ne so, non siete stato invitato. » « Andate al diavolo tutti quanti! » protesta il Vecchio furioso. Porta scompare sotto una porta molto bassa. « Tremo di paura! » mormora Barcelona. « Se non fossi venuto! Bisogna sempre cacciarci in qualche cosa di imbecille! » Si sentono dei tacchi alti sul marciapiede. Porta si mette un dito alle labbra, pulisce il suo monocolo, corre sulla strada. « Torno subito! Semplice colpo d'occhio sulle donne del quartiere! » « Il grande inseguitore di gonne! » grugnisce il Vecchio, mentre Porta torna tutto beato. « La vedo domani davanti al cinema di piazza Clichy. » Chiude il pugno e irrigidisce l'avambraccio, gesto conosciuto in tutto il mondo. « Non avrebbe un'amica per caso? » domanda Fetit-Frère con aria golosa. « Famose le parigine, dicono. » Il Vecchio e Heide sono seduti su un carretto. « Allora, arriva? » sospirano. « Sì, signori », dice Porta. « È quello che diceva il vecchio padre Moltke, prima di ogni operazione militare. Dunque, la situazione è la seguente: l'avanguardia del gruppo di combattimento Porta è in contatto col nemico. Abbiamo assicurati le spalle e i fianchi. Io... » indica se stesso, « ho vinto la cavalleria leggera durante una breve ricognizione. Allora, avanti! La guardia è in rotta! » Toglie di tasca una torcia elettrica, schiaccia il naso contro il
173 vetro di una tettoia, ci indica qualche cosa. « Non è magnifico? » dice ridendo. « Signore! » sospira Gregor. « Ma può diventare così grosso? Deve averci messo dei secoli. Bene, andiamo. Da dove si entra? » Petit-Frère tira fuori un martello enorme. « Io adesso gli faccio il lavoretto. Giusto fra i due occhi, così non se lo dimentica più. » « Calma, calma », interviene il Vecchio. « non può esserci nessuno che sorveglia qui ». La porta della tettoia cigola da svegliare tutto Malakoff. Un gatto miagola. Tendiamo l'orecchio... Ma no, non c'è che notte e silenzio. Ci infiliamo tutti con precauzione sotto la tettoia, Petit-Frère in testa, il martello in mano. A un tratto un rumore enorme, come se migliaia di secchi di alluminio rotolassero da una scala. Grida e bestemmie. Si accende la pila... viene fuori Petit-Frère coperto dalla testa ai piedi di una mistura orrenda. « Se lo becco, quel culo che ha messo qui questa tinozza! » Dà un calcio furibondo al secchio che fa un rumore da apocalisse. Il legionario corre sulla strada con la pistola in pugno... Rumore di stivali. « Wer da? Wer da? » 1 urla una voce dall'accento sassone. « Un sassone », ruggisce Petit-Frère. « Arriva proprio giusto. Aspetta un momento! » Due soldati armati di carabina volano sul selciato lasciando solo un elmetto di acciaio e un colletto strappato come traccia della loro presenza. Petit-Frère, inondato da una melma appiccicosa, sta diventando pericoloso. Porta è preso da un riso convulso. Il gigante raccatta il martello e dà un'occhiata attraverso il vetro della tettoia. « A me, adesso! Ma guardatelo! Dorme! Forse crede che la 1
Chi va là? (N.d.T.)
174 guerra è finita! » Lampo del martello nella penombra... Un urlo selvaggio! Tutti tagliano la corda. Io mi appiattisco dietro il sottoscala. Ma le grida acutissime continuano. Barcelona e Heide scappano in strada. Il legionario salta su un muretto, si mette in posizione di tiro, il mitra in mano. Le grida acute si alternano con le bestemmie di Petit-Frère... ma ecco degli stivali pesanti che arrivano a passo di carica: sono due guastatori e un sottufficiale. « Ladri! » grida il sottufficiale. « Mani in alto! » Gli avvenimenti precipitano. Il sottufficiale sparisce Dio sa dove. Richiami, grida di dolore, bestemmie... Uno dei guastatori cerca di scappare. « Aiuto, aiuto! Assassini! » Una carabina vola e lo prende alla nuca. Cade. Un colpo parte e va in aria. Porta scoppia a ridere. « Che banda di piscioni! Disturbare della gente tranquilla », bofonchia Petit-Frère seduto su una scrofa enorme che sembra morta. Dà una grattatina all'animale dietro alle orecchie. « Coraggiosa ragazza, ti sei battuta bene. » « Quanta purea di patate con tutto questo lardo! » sogna Porta che comincia a blaterare sul suo piatto preferito. Ma bisogna muoversi. Con mille difficoltà e molti litigi, riusciamo a trascinare l'animale sulla strada. « Tieni un po' meglio la zampa! » mi dice Porta aggressivo. « Il mio generale avrebbe dovuto vederci! » dice Gre-gor e ride talmente che quasi piange. « Vi ho raccontato di quella volta che io e il generale... » « Sappiamo, sappiamo, e poi per il momento abbiamo cose più importanti da fare, e subito anche. Bisogna trasportare questo benedetto maiale, ragazzi, un bel peso! » Tre di noi riescono a sollevare la scrofa e la issano sulle spalle. Partenza a passo cadenzato. Un operaio con la borsa a tracolla ci incrocia e ci guarda perplesso. Porta gli regala una pistola
175 e un pacchetto di sigarette. L'uomo si mette a ridere e mostra il pugno chiuso. « Fronte rosso! » « Se vuoi, franzoso! Io, Joseph Porta, Obergefreiter dell'esercito di Adolfo e amico personale del tuo grande zio di Mosca. » Si riparte, pare che vada abbastanza bene. Ma vicino alla porta di Vanves il maiale vacilla, ci sfugge dalle mani e va a cascare proprio davanti alle ruote di una camionetta militare. Un capitano salta giù dalla macchina: «Che cos'è questo?» domanda dando un calcio al maiale. Gunther salva la situazione. Si mette sull'attenti. « Signor capitano, sottufficiale Gunther Soest del servizio nettezza urbana. Stiamo sbarazzandoci di questa carogna di animale che i francesi hanno gettato in mezzo alla strada per ostacolare la circolazione delle pattuglie tedesche. » Di questo servizio, il capitano veramente non aveva mai sentito parlare, ma forse era una novità. Due giorni prima aveva incontrato un reparto di pulitori della Senna. E perché no delle strade, allora? « Tiratelo da parte! Ho fretta », ordina. Ci affrettiamo a obbedire e la passeggiata continua. Camminiamo, camminiamo, a forza di camminare arriviamo finalmente in una grande piazza, dove comincia il boulevard Saint-Michel; cominciamo a essere stanchi, tutti grondiamo sudore, litighiamo per niente e il Vecchio dichiara che vuol tornare in caserma. Ma vediamo due poliziotti francesi in sosta vicino alla grande fontana con le biciclette in mano. Uno dei due si avvicina; la fondina della pistola è aperta e ha perfettamente il diritto di interpellare un soldato tedesco. Il legionario accende una sigaretta e si avvicina con un'aria ciondolante. « Buona sera, signor agente. » Il poliziotto nota subito la croce di guerra francese sul petto del legionario. « Che cosa è questo? » dice indicando l'animale.
176 « Mercato nero confiscato. » Il suo collega è rimasto un po' indietro ma ha la pistola in pugno. Porta e Heide si allontanano e s'infilano in un albergo malfamato, dove il portiere sonnolento, che sta bevendo un Pernod dietro il banco, li nota appena. In una camera vicina, un negro canta in congolese. Il portiere con un gesto da ubriaco, dà uno spintone a Heide. « Taglia la corda, maledetto boche! » Porta ride, ma il portiere è già per terra, mentre Heide, che la parola boche rende furioso, si strofina la mano e spacca il telefono con un calcio. Nella strada intanto gli avvenimenti sono precipitati. Il legionario chiede un fiammifero, e in un baleno il poliziotto è per terra e la sua bicicletta fila via lungo la strada. Il collega arriva con la pistola puntata. Prima ancora di sapere che cosa gli succede si trova in fondo a un tombino di fognatura, e Porta ridendo gli chiude sopra la griglia. Ci precipitiamo sulle due biciclette, le attacchiamo insieme, posiamo le due carabine di traverso; ecco una barella perfetta per il gigantesco maiale. Adesso va molto meglio! Si è quasi costretti a correre per seguire l'equipaggio! Davanti al Lussemburgo, due territoriali ci guardano con indifferenza totale; dopo tre anni che sono lì, più niente che li sorprenda, e soprattutto niente storie! Rue des Ercoles. Una camionetta zeppa di gendarmi tedeschi, col motore in prima, si avvicina lentamente. « Facce da sberle, ragazzi, io me ne vado ». Mormora il Vecchio. « Qui si mette male. » Ci nascondiamo nel buio e la macchina si ferma allo angolo della strada. Un mitra crepita lontano, è la guerra notturna che semina il terrore a Parigi. Colpevole o no, la gente è arrestata nel suo letto, dei soldati tedeschi sono trovati assassinati in fondo a vicoli bui, un ragazzino di dieci anni, legato col filo spinato, è abbattuto con un colpo alla nuca; sulla sua schiena un'insegna: la falce e il martello. La mattina dopo, nel medesimo po-
177 sto, due cadaveri di territoriali tedeschi; a uno dei due hanno strappato gli occhi. È l'inizio del terrore che segna la liberazione di Parigi: Gestapo, raffiche, lagrime, colpi d'arma da fuoco. Il diavolo si diverte, la violenza risponde alla violenza. Un'orribile forma di guerra, e sono sempre i deboli che pagano per tutti. La sinistra macchina passa, ma abbiamo fatto pochi passi che ne appare un'altra. « Cercano qualche cosa », mormora Porta, « nessuna fortuna questa sera ». « Avreste dovuto lasciarmi ammazzare quei due gendarmi », dice Petit-Frère, « devono aver dato l'allarme. » Cacciamo l'animale sotto una volta e prendiamo una strada obliqua per arrivare al ponte. Fra due ore verrà l'alba e questa idea non affascina certo Heide. « Fifone! » dice Porta. « Abbiamo tutto il tempo! Siamo liberi fino alla una. » « Non penserai certo di trasportarlo in pieno giorno! In questi momenti la gente ucciderebbe anche per un uovo. Avremmo le autoblindo dietro il culo, se vedono che si tratta di un maiale! » Il ponte sembra libero, ma tornando indietro per prendere il carico troviamo una vecchia in contemplazione davanti all'immensa carcassa. « Gesù Maria! » grida vedendoci. « Signore, signore, abbiate pietà di me, mio marito ha disertato durante l'altra guerra! Non ha mai sparato contro un tedesco. Siamo dei veri francesi. » Porta ostenta un'aria minacciosa, agita un indice vendicativo e la donna diventa livida. Porta urla, pensando che più urla più lei capisce il suo strano sabir. 1 « Tu sai, signora, io capo! Porco mio amico! Capito? Se no, morte, subito! » e gira su se stesso simulando una raffica di mi1
Lingua mista di arabo, di francese, d'italiano e di spagnolo, parlata nei porti del Mediterraneo. (N.d.T.)
178 tra. Il legionario non si può trattenere dal ridere. « Dove hai imparato il francese? » « Da solo », risponde con fierezza Porta. « Le invasioni germaniche non permettono di ignorare le lingue. » La vecchia singhiozza. « Fila! » termina Porta. « Ma tu morta se parli. » La donna sta per andarsene quando due giovani escono dall'ombra; due tipi con le mani nelle tasche, segno 2 170 dei tempi. Il pollice di Porta è già sulla sicura della pistola, nelle mani di Petit-Frère il filo di acciaio. « Buona sera, signori », dice il legionario sorridente, « dove andate? » « A prendere aria. Proibito? » « Durante il coprifuoco, sì. » Dei passi solidi e chiodati. L'acciaio delle armi risuona... Sono i cacciatori d'uomini nelle vie deserte. Ci schiacciamo contro la porta. Se ci trovano qui con la nostra selvaggina, non c'è scelta: o loro o noi. Il legionario preme la canna della sua arma sotto il braccio e senza esitare manderà le trentadue pallottole nel ventre del primo che si farà vedere. Otto uomini. Elmetti brillanti, piastrine sinistre, il mitra sotto il braccio pronto a tirare. In testa un Ober-feldwebel, uno di quelli che dorme male se la sua ronda notturna non ha fatto almeno due cadaveri. La pattuglia passa, mentre Porta accarezza il collo del maiale. « Stanno andando a caccia di pezzi grossi. » Il legionario si volta verso i due civili e nota le loro P38, le pistole dell'esercito tedesco. « Le avete comprate in un negozio di giocattoli? » « Le abbiamo trovate. »
179 « Ma certo. Siete sicuri che non ve le ha portate Babbo Natale? È talmente di moda in questo momento! » « Va' al diavolo! Credo che non hai nessuna voglia di svegliarti alla Gestapo, vero? Abbiamo visto bene le vostre facce quando è passata la pattuglia. » Il legionario colpisce l'uomo col dorso della mano. « Guarda che non ne avrai per molto, se continui su questo tono. » « Io comincio », decide Petit-Frère, agitando il suo nodo scorsoio. « Stavo proprio prendendoci la mano. » « Spedisci questi mascalzoni e filiamo. Basta », dice Gunther. Il secondo civile che non aveva aperto bocca si avvicina. « Non prendetevela, amici, siamo tutti sotto la stessa bandiera. » Parla tedesco con l'accento di Amburgo! « Quello che state facendo è pericoloso, può costarvi la testa. Nemmeno la nostra del resto è tanto sicura. Ho disertato, mi chiamo Karl, lui Fernand, e vi assicuro che è proprio per un caso che vi abbiamo incontrati. » « Disertore! » Il legionario ha un sorriso cattivo. « Un disertore con uno della Resistenza! » interrompe Heide, che viene avanti con il mitra puntato. « Schifoso! I nostri quattro compagni dell'altro giorno sono stati stesi con una P38. Detesto i disertori, sporchi vigliacchi! » « Noi non abbiamo tirato sui vostri, lo giuro. Io ho una ragazza da queste parti, e ne avevo fin sopra i capelli di gridare 'Heil'. » Il legionario alza le spalle. « Se vi lasciamo filare, che garanzia ci date che non chiamerete le guardie? » « Vuoi scherzare, rischiare la mia pelle per un maiale? » « Me ne frego io, ma fate attenzione alla vecchia invece, quando le sarà passata la paura andrà in giro a chiacchierare. Parigi è piena di spie. La vita di una persona non vale una lira,
180 avreste dovuto ammazzarla. » La vecchia si stava già allontanando lungo il muro. « Aspetta un momento », la richiama il legionario, « cominciamo a trovarti simpatica ». « Fa la portinaia, non ha niente da fare fuori di casa, è la pettegola più schifosa di tutto il quartiere. È molto che pensiamo di farla fuori. » « Gesù Maria! » La vecchia casca in ginocchio davanti ai soldati. Il legionario continua : « Se dici una sola parola domani sei morta. Li vedi questi qui davanti? Se ne incaricheranno loro, è gente decisa, ti avverto ». La donna piange da spaccare il cuore. Sua madre aveva ragione, Parigi non è il posto per gente come si deve, sarebbe tornata in campagna. « Basta! » dice il legionario. « Attenta alla lingua. Sei sorvegliata. Fila! » La vecchia rientra a casa atterrita e i due tipi in abito civile ci accompagnano per un pezzo di strada. « Non ce la farete mai », dice il francese, « soprattutto con queste due biciclette. Come diavolo farete a passare la Senna? Non c'è neanche un ponte che non sia sorvegliato ». Infatti il piccolo ponte di Notre Dame ha due poliziotti armati che scrutano dall'altra parte. « E adesso? » dice il Vecchio. Dietro di noi sentiamo il motore di una Kùbel. « Fate sparire questo maledetto maiale! » mormora Gunther. Con un movimento rapido facciamo passare l'animale sopra la siepe del giardino pubblico di Saint-Julien-le-Pauvre. Un grido! Il maiale è cascato su due barboni che scappano urlando in un vicolo. Era la prima voita nella loro vita che erano svegliati da una manna caduta dal cielo, e corrono a raccontarlo in una bettola di puttane e di altri barboni.
181 « Bisognerebbe avvisare la Gestapo », dice un tizio. « Hai ragione, Maurice », approva una vecchia prostituta. « I boches pagano bene per ogni servizio, non sono avari come i francesi. » L'individuo abbottona sulla giacca un pastrano blu rubato a un marinaio tedesco morto, ma questo particolare l'ha dimenticato, e sarà quello che gli costerà la vita. « Dove vai? » gli grida il padrone della bettola. Nessuno sa che è un disertore dei cacciatori alpini nel 1917. Dopo vent'anni vive ancora con documenti falsi e non ci tiene affatto a vedere anche solo l'ombra della polizia. Con un pugno sbatte l'uomo sul suo sedile, ma quello gli scappa dalle mani e corre fuori. A due passi dalla metrò di Saint-Michel è ferma una Kùbel. Due giovani in uniforme grigio perla carica di distintivi neri, saltano fuori dall'auto. « Dove corri a quest'ora, amico? » L'uomo si ferma, guarda i cinturoni, legge senza capire il motto terribile: MEINE EHRE HEISST TREUE. 1 Alza gli occhi, vede altri due occhi di un blu fanciullesco, delle bustine poggiate sull'orecchio, delle teste di morto ricamate sopra un'aquila. Una mano con un guanto nero è tesa. « Ausweis? » Non ha documenti. Li ha venduti per comprarsi dell'assenzio. Delle dita veloci lo perquisiscono. Un Unter-scharFührer scende a sua volta dalla macchina. Le spalline nere sull'uniforme grigia fanno pensare ai russi. È la morte nella persona di un uomo di ventotto anni. L'UnterscharFührer Schramm, da che fu picchiato da un comunista quando aveva quattordici anni, colleziona cadaveri. Due volte è stato degradato per arresto irregolare, ma se ne infischia. Sa che la guerra è perduta, ma guai a chi osa dirlo. È un fanatico dell'ObergruppenFührer Heydrich. È arrivato da qual1
Il mio onore si chiama fedeltà. (N.d.T.)
182 che giorno con il suo commando dalla Polonia e vuole riavere i suoi galloni di HauptscharFührer. Sa bene che ritorneranno sulla sua divisa, perché si ha bisogno di uomini risoluti come lui. Hugo Schramm non è particolarmente cattivo, somiglia a quei legionari romani che con totale indifferenza misero in croce un partigiano ebreo. Spinge indietro i due compagni e con la mano guantata di nero palpa il cappotto blu. « Dove l'hai trovato, questo? » « Da un amico all'Hotel Meurice. » Schramm afferra con violenza il collo del cappotto, strappa la fodera e scopre un'etichetta di juta: Marine-Zeugamt. Kiel. UBoot-Commando 3. « Spogliatore di cadaveri! Portatelo via! » È la condanna a morte di un miserabile delatore annegato nell'assenzio. « Vieni, amico. » Uno degli uomini dello SD afferra il giovane per il braccio. È raro incontrare un assassino cattivo. L'UnterscharFührer risale in macchina, accende pigramente una sigaretta e si china sulla lista delle informazioni. Ha già dimenticato tutto. Nel vano di una porta buia un uomo dello SD inclina un po' la testa del prigioniero. « Non sentirai niente », gli dice con tono consolante, appoggiando la canna della P38 nel cavo della nuca. Uno sguardo circolare nella strada. Un solo colpo. Il corpo rotola nel rigagnolo e del sangue caldo cola nel tombino. Gli uomini dello SD appuntano sul cadavere un cartello con la scritta : « Delatore », poi la caccia all'uomo continua. Otto giorni dopo Schramm ha riavuto il suo grado, e tutte le notti va col suo commando nelle strade di Parigi, ma è un uomo ben curioso: integerrimo, detesta l'alcool, non tocca la carne, e quando va a trovare una prostituta non ci va come cliente ma come funzionario del Sicherheit Dienst. È una meccanica inesorabile, ma il suo istinto non fallisce. Tornando a noi, questa volta è Petit-Frère che salva la situa-
183 zione. Dove è andato a scovare questo feretro che in fondo a una scala aspettava il suo cliente? « Questa è troppo bella », sghignazza Heide. Cacciamo il maiale dentro la bara, mitra puntati verso terra, facce da circostanza. Passiamo lentamente il ponte, il feretro sulle spalle e i gendarmi che rispettosamente si mettono sull'attenti. Parigi ora si sta svegliando. Una simpatia generale ci accompagna e Porta ne approfitta per singhiozzare. Finalmente Montmartre! Saucisson Noir ci sta spiando ma la vista della bara la spaventa, improvvisamente Porta si ferma. « Dimmi un po' », domanda al Vecchio, « come si chiamava... ma sì che lo sai... quel maiale degli dèi del Nord? » Il Vecchio lo guarda con l'aria di non capire. « Ma sì, è vero! » insiste Barcelona. « Odino aveva un maiale. Come si chiamava? » La domanda è idiota, ma fa il giro del gruppo. « Era di Odino, di Freya o di Thor, e come si chiamava quel benedetto maiale della mitologia del Nord? » La domanda si allarga sulla piazza di Tertre. « Come si chiamava dunque questo porco essere mitologico? » « Aspettate, vado a telefonare alla prefettura di polizia », ride il legionario. Come risposta, una lunga bestemmia chiude la telefonata, ma il funzionario si volta ai suoi colleghi. « Era un cretino che telefonava per sapere il nome di un porco celebre. Lo sai tu? » « Certo », risponde l'altro, « si chiama Adolfo. » Heide pone la stessa domanda alla Feldgendarmerie. Altra bestemmia seguita da una serie di minacce, ma lo slancio è dato. Come si chiamava il maiale di Odino? La domanda corre nelle strade. E mentre ce ne andiamo, una pattuglia ci ferma in piazza Clichy, e per una volta non sono i nostri documenti che li interessano. « Camerata, non sapreste per caso come si chiamava il maiale
184 di Odino? » « È quello che vorremmo sapere anche noi », dice Heide. La prima domanda che ci viene fatta rientrando nella caserma Prince-Eugène non è assolutamente quella che ci aspettiamo: perché siete in ritardo di mezz'ora? « C'è uno di voi, pezzi di cretini, che sappia il nome del maiale di Thor? » No. Nessuno lo sa. Ci sbattono fuori e ci minacciano le sanzioni più dure. Come si chiamava il maiale di Odino?
185 Un giorno la Feldgendarmerie arrestò due ragazzini che erano stati trovati in possesso di due pistole tedesche. Il più giovane aveva tredici anni, l'altro quindici. Il maggiore Schneider, data l'età dei due accusati, non osa obbedire agli ordini formali del consiglio di guerra e si mette direttamente in contatto con il generale von Choltitz. « Per quale ragione mi disturbate, maggiore? » risponde il generale. « Sono abbastanza adulti per saper leggere le disposizioni. Obbedite agli ordini, maggiore. » I due ragazzini vengono fucilati al monte Valérien.
186 CAPITOLO XIV
LA GESTAPO CAPITOLA La notizia di diffonde come l'incendio in un bosco nel mese di agosto: la Gestapo è in caserma. Una Mercedes nera con quattro persone a bordo, un furgone cellulare verde e di seguito ancora due DKW asmatiche per la cattiva benzina. È il momento del rancio. Petit-Frère sputa il suo boccone e scompare per nascondere i suoi tre sacchetti di denti d'oro in un cespuglio di rose dell'Hauptfeldwebel Hoffmann. Attività generale e frenetica. Nessuno ha più il minimo appetito. Nelle cucine si lavora a calibrare le bilance; tre sguatteri francesi si volatilizzano. Il maggiore Hinka sparisce dal quartier generale occidentale; il suo ufficiale d'ordinanza è preso da un eccesso di febbre ma nessuno riesce a trovare il medico che cinque minuti prima era al suo posto. Vengono radunate le truppe. Moloc vuole il suo sacrificio. Gregor suda di paura. « Che merda! Ma che cosa vogliono da noi, questi qui? » Quando vediamo il Vecchio scomparire nella bocca del drago, ci affrettiamo a seguirlo per dargli una mano. « Cristo, ho una fifa! Capitano sempre delle rotture di scatole nelle retrovie! » Il grande refettorio sembra un alveare. Sulla pedana dove ci sono ancora delle corone multicolori (ricordo della festa Kraft durch Freude che aveva avuto luogo tre giorni prima) vediamo otto civili. Civili veramente è dire troppo; i cappelli con la tesa calata sugli occhi, i pastrani di cuoio grigio scuro rigonfi sul fianco parlano chiaro. L'uniforme della Gestapo. Nel centro, un
187 ometto rubicondo e panciuto. Il distintivo del partito grande come il palmo di una mano, spicca sul risvolto della divisa. Tutti si pigiano in fondo alla sala, mentre quelli sul palco li guardano. Nel centro, una fila di sedie vuote con la spalliera alta; è in queste che si siedono normalmente gli ufficiali di stato maggiore durante le riunioni importanti. Porta sfacciatamente si dirige proprio verso quelle, seguito da tutta la 2ª sezione. Il rubicondo diventa ancora più rosso. Nel silenzio generale, beve, tutti lo sentono inghiottire, poi si presenta. « Kriminalobersecretar Schluckebier della Gestapo. » Breve pausa. « Sono qui per esservi di aiuto. La Gestapo è dalla vostra parte, temuta solo da chi ha cattiva coscienza. » Cerca di dare al viso un'espressione terribile, scruta con gli occhi neri la grande sala gremita, dove sono pigiate due compagnie di forze da combattimento, poi torna ad essere il classico contadino bonaccione della Westfalia. « Quelli che sono a posto con la loro coscienza non hanno niente da temere, camerati, e la Gestapo li saluta. Sono la colonna vertebrale del Reich. Alziamoci e cantiamo insieme il nostro inno nazionale. » L'uomo batte il tempo sulla caraffa dell'acqua, raggiante, poi riprende: « È successo però qualche cosa di molto increscioso. Dei sabotatori hanno macchiato il vostro onore, insudiciato le vostre bandiere spiegate ». Ci guardiamo con l'aria di non capire. Le nostre bandiere? I piccoli occhi neri mandano lampi, e il poliziotto toglie di tasca un taccuino. « Sapete bene che il mercato nero è punito dal codice criminale, e con le pene più severe. » Alza il taccuino come una fiaccola di libertà, si porta la mano alla gola con gesto molto esplicito. « Il mercato nero è la piaga della nuova Europa, la quinta colonna ebrea ne è la responsabile, ma noi la vinceremo! Soltanto quei porci ebrei fanno il mercato nero. »
188 Porci... Varsavia 1939. Un formicaio umano si accalca intorno a merci di tutti i tipi messe in vendita dai nuovi poveri. Intorno non si vedono che strade sfondate, buche piene di fango, catapecchie coperte con teloni, bambini che litigano per un pezzo di pane, soldati di tutte le armi. Un gruppo di ufficiali delle SS era arrivato in uniformi impeccabili grigio perla, collo grigio scuro, cravatta immacolata, berretto rigido con la testa di morto. Toccavano tutta la merce esposta, e se non andava loro a genio la buttavano semplicemente per terra nel fango. Si fermavano davanti a una catapecchia; sotto la tettoia una ragazza con uno scialle in testa aveva appoggiato una tavola sopra due fusti di benzina e su questa della biancheria femminile. Una delle SS sceglie quello che c'è di meglio, sorride soddisfatta. La ragazza accenna una cifra. « Come! » dice l'ufficiale stupefatto. « Non ti basta di essere tollerata in questa piazza, ebrea, vuoi anche essere pagata? » Alza il frustino e la colpisce al viso che comincia a sanguinare. Immediatamente un muro vivente lo circonda, un muro di uniformi grige. L'uomo fissa i volti duri dei soldati silenziosi, si batte col frustino gli stivali e si rivolge a uno Stabsfeldwebel nei cui occhi l'odio è palese. « Desiderate qualcosa, Stabsfeldwebel? » « Niente, HauptsturmFührer. » « Mi pareva, infatti... » Gli ufficiali delle SS sghignazzano, cacciano indietro i seccatori, continuano la loro lenta passeggiata, pagano quello che vogliono a colpi di frusta. Varsavia 1939. E ora Parigi 1944. L'ometto rubicondo ci fissa: « La Gestapo è qui per aiutarvi contro gli avvoltoi del mercato nero ». Vuota la caraffa, rutta, ripone la custodia della sua pistola sotto il cappotto di cuoio. « Sono spariti dieci sacchi di caffè », grida, « questo caffè è venduto al mercato nero attraverso il ghetto nazionale; la Gestapo ne è al corrente. Niente può essere tenuto nascosto alla Gestapo. Dove è questo caffè?
189 »
La 2ª sezione si sente particolarmente parte in causa. Tutti ci guardano. Il Vecchio strappa il suo taccuino, Heide schiaccia la sigaretta con la mano sudata, Gunther fissa il soffitto, Barcelona cincischia un bottone della sua divisa, Petit-Frère guarda intensamente uno dei suoi stivali, Gregor muove le mascelle. Soltanto Porta ha un'aria divertita e guarda con aperta insolenza l'ometto rubicondo, in un duello silenzioso. « Come volete! » grida l'uomo distogliendo gli occhi. « Passiamo al secondo punto. Tre giorni fa, un camion di coperte è sparito mentre stazionava nel cortile della seconda compagnia. Dove sono andate a finire queste coperte? Aspetto una risposta. » Tutti aspettano. Passa un quarto d'ora. Silenzio di morte. « Farabutti! » urla il poliziotto. « Ma state attenti! È finita l'indisciplina del fronte! Non si prende in giro la Gestapo! Riflettete bene, pezzi di cretini! Credete che la Gestapo abbia la minima considerazione per due disgraziate compagnie? Starete a vedere che cosa ne faremo di voi! » Dietro di lui cenni di approvazione. L'ometto schiuma di rabbia, picchia sulla tavola, agita la pistola. Improvvisamente Porta si alza. « Signor Kriminalrat », in un colpo solo Porta gli fa fare un avanzamento di sette gradi. « Avete detto che la Gestapo vuole aiutarci? » Ringhio di risposta. « Umilmente segnalo », riprende con il suo più bel sorriso berlinese, « che ho una piccola lamentela da formulare. Veniamo trattati molto male». Tutta la sala ascolta. Porta toglie da uno stivale un grosso fascicolo. I più vicini riescono a vedere che è il regolamento dell'Intendenza. « Da quattro mesi non riceviamo la nostra razione di zucche-
190 ro : due grammi e un quarto a testa. » Porta picchia a più riprese una mano sul documento. « Il furiere! » Due cappelli grigi flosci vanno a cercare il furiere. « Questi soldati dicono di non aver ricevuto la loro razione di zucchero; è esatto? » Il furiere alza le spalle. « Sì », dice con indifferenza totale. « Il reggimento non riceve zucchero dall'Intendenza da quattro mesi. » Trionfo dell'ometto rubicondo. « La protesta è respinta! Lo zucchero non è indispensabile in guerra e non ha niente a che vedere con la vittoria finale. » « Signor Kriminalrat », riprende dolcemente Porta, « l'Obergefreiter Porta desidera presentare un nuovo reclamo ». Questa volta la sala comincia ad agitarsi. « Basta! » urla il poliziotto. Porta si siede. « No, non voi, gli altri. Che c'è ancora? » « Segnalo al signor Kriminalrat, che passo sopra lo zucchero, ma il pane è importante in guerra? » « Sì », l'uomo si asciuga la fronte, « il pane è importante ». « Allora », dice Porta sfogliando il suo libretto, « noi siamo stati derubati. In nove mesi, la 5ª compagnia è stata defraudata di ben settecentododici chili, diciassette grammi e cinquantacinque di pane di guerra. Questo fatto è stato controllato ben quattro volte su una bilancia decimale ». « Decimale! » borbotta il rubicondo sempre più nervoso. « Una bilancia è una bilancia. » « Veniamo derubati di molto pane », continua Porta imperterrito. « Succedono cose molto spiacevoli in questo quinto anno di guerra, e bisogna che la gente onesta apra bene gli occhi. » Il rubicondo getta uno sguardo di brace verso il furiere che alza le spalle. « Le cifre dell'Òbergefreiter sono esatte. »
191 Due cappelli di feltro flosci si dirigono verso lo Stabszahlmeister Rabe. Il sergente maggiore, in un bagno di sudore, si giustifica in qualche modo, esponendo delle lunghe liste di cifre e il rubicondo detesta le cifre. « Per supplire a queste detrazioni », spiega il sergente maggiore sudando vistosamente, « gli uomini ricevono ogni tanto delle razioni supplementari di pane. Una razione di questo tipo è stata distribuita tre giorni fa ». Guarda Porta, sperando che il soldato abbia un minimo di soggezione per il suo grado. « È esatto? » abbaia il rubicondo guardando tutti e nessuno. « Vero! » risponde l'Hauptfeldwebel Hoffmann e riceve una strizzata d'occhio riconoscente dal sergente maggiore. Quella sera, tutti riceveranno una razione supplementare di pane e di altri viveri, mentre l'Obergefreiter Porta e i suoi compagni non l'avranno. « Lamentela respinta. » « Signor Kriminalrat », continua ostinato Porta, « passiamo sopra anche al fatto del pane ». Rivolge al sergente maggiore uno sguardo di simpatia. « Segnalo però che da due anni non ricevo il rimborso per gli scarponi. Mi sono lamentato diverse volte di persona e l'ultima volta mi hanno mandato via in malo modo. I soldati del Führer devono essere trattati così? Tutti coloro che si procurano personalmente le proprie calzature hanno diritto al rimborso. Queste mi appartengono. Non mi sono state fornite dall'esercito. » Il rubicondo fissa gli stivali di Porta. Non aveva mai visto niente di simile! Non erano stati fatti certamente nel Terzo Reich. Hoffmann sorride finalmente. Questa volta Porta non la spunterà. Si è dato da solo la zappa sui piedi. Rimborso per le scarpe? E chi ne aveva mai sentito parlare? « Dove avete letto di avere diritto a tale rimborso? » Porta allegro si gratta la testa e toglie dagli stivali un secondo fascicolo.
192 « Segnalo umilmente. Ecco: foglio di servizio dell'esercito 12.365/IV paragrafo A, ottava riga. 'Tutti i soldati, sottufficiali e ufficiali che si procurano direttamente le calzature, devono ricevere la somma di dodici pfennigs al giorno, che vengono loro concessi a condizione che paghino loro stessi la manutenzione delle suddette al reggimento per una questione di ordine.' » Sorride ancora. « Questa nota di servizio è firmata dall'intendente generale dei depositi di approvvigionamento dell'esercito. » Gli uomini della Gestapo schiumano. Che il diavolo se lo porti quel maledetto Obergefreiter! Si parte da una semplice questione di caffè e si è presi dentro in questa melma. Come si fa a uscirne adesso? Gli occhi diventano di fuoco. « Da quanto tempo vi rifornite personalmente di scarpe? » « Da molto », risponde Porta raggiante, « moltissimo tempo. Ormai mi spettano diciassette Reichsmarks e ventiquattro pfennigs ». Guarda l'orologio alla parete. « Tra un'ora la compagnia mi dovrà accreditare altri dodici pfennigs. » « Questa poi è grossa! » urla Hoffmann che si domina a stento. « È da consiglio di guerra; mi chiedo che ne penserebbe il comandante del Grand Paris. » « Perfettamente d'accordo con l'Hauptfeldwebel », risponde Porta assentendo. « Purtroppo questa faccenda non è di competenza di nessun tribunale militare. È di competenza diretta del Reich, a Berlino. » « Porta! » ruggisce Hoffmann. « Obergefreiter Porta! Vi ordino di finirla, prima che io faccia qualche cosa che voi tutti poi rimpiangereste. La mia pazienza è al limite. È l'esercito che parla, non più la Gestapo. » Il rubicondo beve. Che anarchia! Un'apocalisse. Il III Reich si prepara un ben duro destino se possono accadere simili cose. L'esercito che parla! Cose da pazzi! Beve un altro bicchiere d'acqua. « Piscerà fino a morire! » sussurra Petit-Frère. Hoffmann si ferma un secondo per respirare e Porta imperturbabile ripren-
193 de: « Secondo il regolamento militare, Herr Hauptfeldwebel, è espressamente vietato a un superiore minacciare un inferiore di grado, mentre quest'ultimo espone delle lamentele. Se in seguito, alla luce delle indagini, viene constatato che si tratta di menzogne, il reclamante viene rinviato al tribunale di guerra. Regolamento pagina quarantuno, riga terza, firmato dal tenente colonnello dello stato maggiore generale Reibert. E un tenente colonnello, che ha libero accesso allo stato maggiore, sa che cosa firma ». Il poliziotto è del medesimo parere. Stato maggiore generale! Come dire le profondità del mare! Andiamo adagio, per carità, sono affari di Adolfo. Stato maggiore generale... Hoffmann diventa verde e stringe nervosamente il berretto. Un largo sorriso illumina la faccia del tenente Lowe. In questo momento Lòwe adora Porta. Il rubicondo diventa sempre più dolce. Questo Ober-gefreiter dei mezzi corazzati conosce il regolamento e Adolfo stesso non ha forse detto: « Il diritto è per i piccoli come per i grandi »? Dopo tutto questo Hoffmann non è che un agente del giudaismo, e quanto a Porta non ha certo l'aria di tremare davanti allo stato maggiore. « Porta », chiede amabilmente l'uomo della Gestapo. « Avete mandato la fattura all'Intendenza del reggimento? » « Naturalmente! » dichiara Porta con la sua enorme faccia tosta. « Mente! Mente come parla! » urla Hoffmann. « Questo porco non è nemmeno capace di fare la sua firma, e queste scarpe con cui vuole derubare lo Stato sono rubate, naturalmente! Ma questo deve finire! Sono quattro anni che sorveglio questo mascalzone! È lui che ha rubato il caffè e il camion di coperte. È uno scroccone inveterato, un malato di mente, una macchia per l'onore della nostra civiltà! Arrestatelo! Cacciatelo dall'esercito tedesco! » Il tenente Lòwe scoppia in un'enorme risata, e gli fanno eco il
194 capitano Gickel, comandante della la compagnia, e tutta la sala. Porta sorride e batte i tacchi ben tre volte di seguito. « Signor Kriminalrat, sono qui ai vostri ordini per respingere le inverosimili accuse del mio superiore. Abbiamo moltissimi testimoni », afferma il rossiccio indicando con un largo gesto tutta la sala. « Creutzfeldt! » grida Hoffmann, buttandosi disperatamente verso Petit-Frère, che aveva sempre giudicato un gran tonto. « Non mentire a me, tuo superiore : osi dichiarare sotto giuramento che questo sciagurato non ha rubato le scarpe di cui va tanto fiero? Le ha prese a un americano morto, e spogliare i cadaveri è una cosa molto grave. » « A rapporto, Hauptfeldwebel, l'Obergefreiter Creutzfeldt Wolfgang Ewald dichiara di non sapere nulla di questa storia di cadaveri spogliati. Porta ha acquistato quattro paia di stivali dal sergente maggiore del 177° reggimento fanteria, il giorno che hanno incendiato il deposito. » « Menzogna! Giuramento falso! » geme Hoffmann. Con perfetta calma, Porta esibisce una fattura quietanzata firmata dallo Stabszahlmeister Bauser, del 177° reggimento fanteria. Il rubicondo tamburella sul tavolo e beve un ennesimo bicchiere d'acqua. « Obergefreiter Porta, avete detto diciassette Reichsmarks e ventiquattro pfennigs a vostro credito, 5ª compagnia. » « Fra cinque minuti, trenta pfennigs », corregge Porta. « Non è per essere pignoli, ma il diritto è il diritto. » Il rubicondo annuisce, con uno sguardo torvo in direzione di Hoffmann. « Hauptfeldwebel, vedete di accreditare questa somma al più presto. Meglio liquidare questa vertenza prima che vada oltre. » « Può averli anche subito! » grugnisce Hoffmann buttando il denaro a Porta. L'uomo della Gestapo comincia a interessarsi al rossiccio.
195 C'era un certo stile Krupp in questo Obergefreiter, e davanti a questi tipi il giudaismo internazionale capitola. « Non avete più lamentele da formulare, Obergefreiter? » « Veramente ne avrei ancora qualcuna, ma non posso rubare il tempo prezioso al signor Kriminalrat, proprio ora che siamo giunti alla guerra totale. » « L'avrà la sua guerra totale, questo maledetto merdoso », mormora Hoffmann. « Non mi conosce ancora del tutto, ma dovrà imparare che cos'è la disciplina. Mi ha fatto perdere la certezza nella vittoria finale questo benedetto tipo di Obergefreiter, ma la vedrà in ogni caso. » L'uomo della Gestapo beve ancora un bicchiere d'acqua molto lentamente, sperando almeno ora di poter tornare sulla storia del caffè. Dieci sacchi! Una fortuna! Per un attimo egli dubita veramente che Porta li abbia rubati, ma sembra un ragazzo così rozzamente furbo che si può anche mettere la storia a tacere se accetta di cedergliene la metà. Cinque sacchi di caffè rendono sopportabile anche un quinto anno di guerra. « Sono addolorato di dover ritornare sulla prima questione; Porta. Dicono che siete stato proprio voi a rubare il caffè. » Porta scuote la testa con aria triste: « Se ne dicono tante in questi tempi! L'interpellato non sa nulla a proposito del caffè. E del resto non ne beve ». Nel medesimo istante si alza il Feldwebel Winkelmann, capo del deposito del sergente maggiore, fino a quel momento anima dannata di Hoffmann per tutti gli affari loschi. « Permettetemi di intervenire, signor Oberinspektor, arrivo ora dal deposito dove ho fatto il controllo dei sacchi di caffè, Il loro numero è rigorosamente esatto. » « Come? » balbetta il poliziotto. All'inferno tutto l'esercito tedesco! Winkelmann rimane impassibile. « Dichiaro di aver trovato i dieci sacchi di caffè dietro i sacchi d'orzo iugoslavo. La colpa è degli uomini addetti al deposito.
196 Disordine e mancanza di coscienza, ma due di loro sono già stati aggregati a una compagnia di prima linea che parte domani mattina. » « Allora non manca più niente? » Il rubicondo è allibito. Ma questa gliela dovranno pagare però. Non dovevano portarglieli via! Cinque sacchi gli venivano di diritto. Maledetti banditi! « Tu menti, fetente », grida Hoffmann. « Non li abbiamo contati insieme? Via, Winkelmann, non fare il farabutto anche tu! » I due cappelli di feltro, il rubicondo, Hoffmann, il sergente maggiore e il Feldwebel Winkelmann si dirigono in processione al deposito del reggimento. Diciassette sacchi di caffè brasiliano con i sigilli dell'esercito sono lì ben allineati in fila. Viene annusato il contenuto, è proprio caffè. Viene vuotato a caso un sacco, è proprio caffè. Come ha fatto Winkelmann a risolvere la faccenda? Dieci sacchi di caffè non si possono appendere agli alberi. Forse lavora con Porta? Ma no, Porta non si fiderebbe mai di un tipo come lui! E allora che cosa è accaduto? Winkelmann ha una faccia trionfante mentre Hoffmann si dà da fare con la sua pistola. « Sfortunatamente per te, Feldwebel addetto al deposito, ho in mano il tuo falso rapporto. Mi chiedo che cosa ne penserà il feldmaresciallo Model. » « Rapporto? » sorride Winkelmann. « Hai in mano un pezzo di carta senza nessuna firma. » « Il tuo nome però c'è! » « È vero, Claus, ma sei tu che ce l'hai messo. Non hai detto tu stesso che se gli si teneva bordone sarebbe finita che Porta ti avrebbe dato delle grane? » Il rubicondo dà una manata al suo cappello. « Falso rapporto, mossa la Gestapo senza ragione, falsificazione di firma. Paragrafo 309 del regolamento disciplinare. Molto grave. »
197 Uno dei suoi fa già tintinnare le manette, e discutendo, il piccolo gruppo ritorna nella sala. Hoffmann con aria torva tace; cova qualche cosa. Mai, fino a oggi, nessuno l'ha visto capitolare. Porta, quella canaglia! Questo re del mercato nero. In ventitré anni di servizio, lo Hauptfeldwebel non ricorda di aver mai detestato tanto un individuo! Era come quel maledetto cane del capitano Gerke, il bulldog Tulle che dava sempre delle zampate sugli stivali di Hoffmann. Ma che cosa può fare un Feldwebel contro il cane di un ufficiale? Disgraziatamente per lui, Tulle non conosceva l'esercito polacco, e saltò in aria per colpa di una bomba a mano ben lanciata. Da quel famoso giorno, Hoffmann non sopportava che si parlasse male dei polacchi. Quanto al capitano Gerke, morì della morte degli eroi nel ghetto di Varsavia; il proiettile che aveva ricevuto nella nuca aveva fatto nascere qualche voce. Era un 9 mm P08, ma questo tipo di proiettile poteva anche essere stato sottratto all'esercito tedesco dai partigiani. L'ufficiale con le sue stellette d'oro sulla spallina fu seppellito gloriosamente con Tulle al suo fianco, quando improvvisamente si scoprì che possedeva un quarto di sangue ebreo. Sicuramente un agente segreto! I resti ebrei del capitano e del suo cane che si era permesso di alzare la zampa sugli stivali di un prussiano, andarono a finire in una fossa comune polacca, e Hoffmann quando ci pensa ride ancora. Tutti quegli ufficiali e i loro maledetti cani. Si alza. « Obersekretàr, l'Hauptfeldwebel Hoffmann chiede sia aperta un'indagine sulla 5ª compagnia del 27° reggimento carri ZBV, e in particolare sulla 2ª sezione, gruppo primo. Scopo: alto tradimento, sabotaggio degli ordini, macchia all'onore militare, disfattismo, connivenza con il nemico. » Gelo generale. L'uomo della Gestapo inghiotte due bicchieri d'acqua di colpo. Il sorriso del tenente Lòwe si gela. Tutti sapevano a che cosa alludeva Hoffmann, un affare che poteva veramente costare la testa. Era successo in Normandia in un giorno di sole. Due Tiger avevano avuto un guasto proprio davanti
198 alle posizioni nemiche, e un colonnello di stato maggiore aveva dato l'ordine che si andasse immediatamente a soccorrerli. II tenente, che sapeva benissimo quante vite sarebbe costata l'operazione, rifiutò nettamente. Tra i due ufficiali nacque un violento litigio, che finì solo quando una bomba a mano vagante dilaniò il colonnello di stato maggiore. Ma Porta ebbe l'impudenza di sghignazzare davanti al corpo dell'ufficiale e ciò gli valse uno schiaffo del tenente Lòwe. La storia si diffuse e arrivò alle orecchie di Hoffmann, che fu molto soddisfatto. Doppia grave colpa: un ufficiale aveva colpito un subalterno e sabotato l'ordine di un superiore. Questo sembra essere il trionfo dell'Hauptfeldwebel. Sono tre anni che aspetta questo momento, e oggi il colpo si rivela particolarmente ben diretto. L'uomo della Gestapo apparteneva alla classe dei sottufficiali e non poteva provare alcuna simpatia per gli ufficiali, soprattutto per quelli del fronte. Il rubicondo infatti si illumina, si sente su terreno solido, intravede il suo avanzamento. Evidentemente questo non è di sua pertinenza, compete alla polizia militare, ma decide di cavarsela poi lui con quella gente. Si rialza e si calca il cappello sulla fronte. « Signor tenente, avete voi sì o no alzato la mano su un subalterno? » Il tenente Lòwe è di un pallore mortale; sa bene che questa sera stessa la prigione potrà chiudersi dietro di lui. « Lo avete colpito sì o no? » « Sì », dice con voce rauca. L'uomo della Gestapo lo avrebbe abbracciato. Il destino è in cammino per lui e per venti minuti esce dalla sua bocca un torrente di basse ingiurie e di precise minacce. Improvvisamente tace. Porta si è alzato. « Signor Kriminalrat », dice Porta in un tono servile, « tutto quello che dite è il buon senso in persona. Gli ufficiali sono dei farabutti e meritano di essere impiccati ».
199 Il poliziotto si sente fremere. Forse non avrebbe dovuto andare così oltre. Poteva essere molto pericoloso. Intanto Porta batte con teatralità una mano sul suo cinturone dove è scritto il motto Gott mit uns. « Solo Dio è con la truppa*, non c'è realmente limite a quello che si permettono gli ufficiali nei riguardi dei soldati. Il Führer non ne sa evidentemente nulla, ma voi, signor Kriminalrat, glielo direte, almeno lo spero. » Il tenente Lòwe non crede alle sue orecchie. Fino a quel momento aveva considerato Porta se non proprio come un amico, almeno come uno che non era suo nemico. Quanto a Hoffmann, questo non aveva senso. Un alleato in Porta? Impossibile. La sua vecchia esperienza di sottufficiale non gli permette di crederlo. Porta continua a sorridere. « Segnalo al signor Kriminalrat, che sono stato sì picchiato dai miei superiori », si tocca accuratamente il naso, « tuttavia in questo caso particolare dichiaro che sarebbe più opportuno che la cosa non avesse seguito. Tutto è sistemato da tempo. La questione è già stata messa a verbale e archiviata da un mio amico del Ge.G. d.S.u.A. » « Che state dicendo, camerata? » balbetta il poliziotto stupefatto. « Ge.G.d.S.u.A. », ripete Porta d'un fiato. Il rubicondo prende una tale paura che il sudore gli cola sul viso scarlatto di contadino della Westfalia nato per camminare nei campi. Tutti conoscevamo il significato di queste misteriose lettere cabalistiche: Geheimes Gericht der Soldaten und Arbeiter. (Giustizia segreta dei soldati e dei lavoratori.) A questo tribunale qualsiasi lavoratore o soldato semplice poteva rivolgersi. Venivano emesse sentenze molto dure ma giuste, e non si poteva emettere che una sola sentenza, poi i giudici venivano sostituiti. Non erano giuristi, erano dei civili scelti per il loro buon senso e per la loro integrità e di cui nessuno conosceva i nomi prima dell'istanza. Venivano estratti a sorte a porte chiuse e provenivano direttamente dalle diverse federazioni
200 dei lavoratori e dai ranghi dei soldati semplici. Questo tribunale era temuto da tutti e dalla Gestapo stessa. Il rubicondo, sconfitto, scuote la testa. Poteva essere un bluff, ma se veramente la questione veniva portata davanti a quel tribunale? Era decisamente opportuno uscirne; capiva di avere parlato anche troppo. L'uomo guarda Porta con aria come pensosa, si asciuga il sudore e caccia tutti i documenti alla rinfusa in una borsa col marchio dell'esercito del Reich. Raddrizza il suo cappello e beve ancora un paio di bicchieri d'acqua. « Bene », gracchia, « archivio la questione. » Uno sguardo minaccioso verso Hoffmann. « La prossima volta che credete opportuno chiamare la Gestapo, vedete di rifletterci bene prima, in caso contrario sarete costretto a fare una piccola passeggiata con noi. Ma non pensate che questo incidente sia chiuso. La Gestapo controlla tutto, anche il tribunale dei lavoratori. » Parole imprudenti, si sarebbe strappato la lingua. « Filate! » urla. « Andate al diavolo! Sparite tutti! » La sala si svuota a tempo di record, il poliziotto si avvicina a Porta. « Chi conosci alle Geheimes Gericht, compagno? » dice prendendolo sotto braccio. « Segretissimo », risponde Porta sorridendo, « un buon patriota non parla mai ». « Basta con le commedie, adesso siamo tra noi. Andiamo a bere una birra. » L'Unterfeldwebel Braun responsabile della cantina, Porta e il poliziotto si siedono intorno a un tavolo. « Ho parecchi amici in quel tribunale », dice il rubicondo con aria misteriosa, « li conosci per caso? » « Se è così un giorno o l'altro ci vediamo di nuovo », risponde Porta con finta innocenza. Un giro di birra e poi un secondo. Si fraternizza. « Vorresti venire con noi? » gli propone il rubicondo. « Non ho tempo, ho degli affari. »
201 « Caffè? » chiede l'altro affabile. Porta sorride: « Perché no? È molto richiesto in questo momento ». « Parliamo chiaro, amico. Dove hai nascosto il caffè? Avrei della clientela che paga molto bene. » « Non capisco niente di quello che dici, ma per una altra volta, chi sarebbero questi clienti? » « Metà e metà e facciamo l'affare. » « Tu sogni! Ti do al massimo il dieci. » « No, il venti e l'affare è fatto. Clienti che nemmeno te li immagini. » « Diciassette, neanche un pelo di più. » « Non essere volgare! Guarda che io posso avere il caffè e te insieme, ragazzo mio! » Senza dire una parola, Porta si allaccia il cinturone e fa per andarsene. « Via, calmati, amico, dovresti capire quando scherzo! » « La famiglia Porta è famosa per il suo senso dell'umorismo. Mio nonno era clown al circo Kranz e faceva sbellicare tutti con le sue battute, mettendosi nel sedere una trottola colorata di bianco rosso e nero. Molto patriota come vedi. » Il poliziotto ha un sorriso forzato. Se questo non è il più grossolano insulto ai colori nazionali, allora che cos'è? « Io ti posso dire », fa sottovoce, « che l'attendente pancione del comandante del Grand Paris cerca del caffè, e non per lui! Per il gran capo». « E tu credi che io sia così cretino da andare dal generale e mettergli sotto il naso un sacco di caffè? » « Che scoperta! Né io né tu glielo possiamo portare al Meurice. Ce ne sono troppi che fanno il doppio gioco lì intorno. Agenti del giudaismo internazionale. Tutti da fucilare al momento giusto. La durezza, dura come l'acciaio Krupp, è il mio motto. Dunque abbiamo detto il diciassette. Affare fatto. » Escono sottobraccio.
202 La sera stessa la vendita è conclusa con l'attendente del generale von Choltitz, non senza una verifica scrupolosa di Porta sull'autenticità dei biglietti di banca. Tutti vanno a bere un bicchiere nelle cucine del Meurice. « Sei colto, tu? » chiede improvvisamente Porta all'uomo della Gestapo. « Naturale! » Indica il suo distintivo a due stelle. « Se credi che ce lo diano senza un minimo di cultura! » « Allora dimmi, come si chiamava il maiale di Odino? » « Diavolo! È la quarta volta che mi fanno questa domanda oggi! Ma perché ce l'avete tanto con questo maiale? »
203 I poliziotti del campo di transito La Rotonde, vicino a Beaune, erano gente che conosceva la pietà. Uno di loro, l'Unterscharjùhrer Kurt Reimling, capiva bene l'angoscia dei prigionieri. « Uccìdetemi con i miei figli », aveva supplicato una madre ebrea che volevano separare dai suoi tre bambini molto piccoli. E Reimling era stato così generoso da cominciare dai bambini, perché la madre potesse constatare che non avevano sofferto. Era un vero esperto del colpo alla nuca. Delle SS affermavano che le loro vittime li ringraziavano per il riguardo usato nei loro confronti. Questo almeno era quello che diceva l'OberscharFührer Cari Neubourg del campo di Drancy. La sua bontà era arrivata fino ad autorizzare tutti i membri dì un famiglia ebrea ad accendere le candele del Sabbat e a celebrare il Kaddish (cerimonia per i morti) prima di obbligarli a impiccarsi vicendevolmente fino all'ultimo. Il permesso di accendere le candele avrebbe potuto costargli almeno tre giorni di carcere al buio e la perdita di possibilità di avanzamento per sei mesi. Tutto ciò non era generoso?
204 CAPITOLO XV
UNA SERATA QUALUNQUE DURANTE LA LIBERAZIONE DI PARIGI L'Hauptfeldwebel Hoffmann stava appoggiato al muro della caserma Prince-Eugène e rimuginava cupo come riuscire a vendicarsi. Dio, come odiava quel Porta! Sapeva perfettamente adesso come erano stati ritrovati i famosi sacchi di caffè; il Feldwebel Winkelmann ne aveva semplicemente chiesti in prestito altri al furiere del reggimento di sicurezza. Si scambiavano i sacchi reciprocamente per arrivare al numero giusto. Più facile di così! Ma Hoffmann sorvegliava tutto e contava sull'incidente. L'avrebbe vista allora, quella banda di canaglie! Sputò il suo disprezzo e la sua bile su un cane che stava dormendo lì vicino, uno sporco bastardo addormentato proprio in mezzo a una caserma prussiana! Apparteneva alla 3a compagnia, una compagnia di bestioni indisciplinati che permettevano a un cane di ron-fare durante le ore di servizio! Niente di straordinario che la guerra andasse a rotoli, se i caporali stessi se ne infischiavano dei regolamenti! Hoffmann abbozza una carezza al cane che fila via; conosce la musica, lui! « Letame di un cane, non obbedire a un Hauptfeldwebel! » Ma tanto lui non perde niente ad aspettare. Stava pensando seriamente di farsi trasferire. Secondo alcune voci, mancavano degli Hauptfeldwebel adatti nella prigione militare di Germersheim, che doveva essere piena da scoppiare. Questo pensiero lo rende quasi allegro. Rientra nel suo ufficio per redigere la domanda, prende in mano una riga per misurare
205 bene il margine del foglio: di tre dita a sinistra. In una caserma prussiana si sa scrivere una domanda come prescrive il regolamento. Tre colpi all'uscio. Entrano Porta e Petit-Frère, battono i tacchi e alzano il braccio nel saluto nazista. « Signor Hauptfeldwebel, l'Obergefreiter Porta e lo Obergefreiter Creutzfeldt si presentano. Sono stati destinati a un servizio speciale. Chiedono un permesso di uscita fino a domani a mezzogiorno. » Hoffmann si alza. « È già la quarta volta che venite a raccontarmi questa balla! Adesso esigo di sapere esattamente in che cosa consiste questo servizio speciale. Non prendetemi per cretino, specie di farabutti! » « Riferisco al signor Hauptfeldwebel che è cosa ultrasegreta », risponde impassibile Porta. « Non rompetemi le scatole con i vostri segreti! » « Capito, signor Hauptfeldwebel, lo faremo sapere al colonnello. » « Porta... » Hoffmann sta per scoppiare, « non avete sentito mai parlare della famosa gatta che va al lardo? » « Mai, signor Hauptfeldwebel. » « E allora lo saprete presto! » urla. « Non vorrete farmi credere che il colonnello ha mandato due mascalzoni della vostra specie per domandare a me un permesso fino a domani a mezzogiorno. L'aiutante del reggimento non poteva darveli lui i permessi? Immagino che non abbiano ancora venduto i loro timbri. » « Segnalo al mio Hauptfeldwebel che tutto è in vendita in questo momento. » « Giusto! E io vi vendo a Torgau, al colonnello Remlinger! E subito! Tutto per la vostra buona salute. Avete mai sentito nominare il colonnello? » « Riferisco al signor Hauptfeldwebel che conosco molto bene il colonnello Remlinger di Torgau. »
206 Furioso, Hoffmann firma ugualmente i due permessi di uscita, li butta per terra, dà un calcio alla sedia che vola dall'altra parte dell'ufficio finendo sulla testa del segretario che protesta furibondo. « Piantatela! » urla Hoffmann, « e voi, Porta, tenetevelo per detto. Andrò personalmente dal comandante per smascherare le vostre bugie. Torgau è aperta per voi! » Picchia sopra un'incartamento voluminoso. « Tutto quello che c'è qui dentro concerne voi e vedremo che cosa ne dirà il consiglio di guerra. Vi sorveglio da molto tempo, ma adesso la commedia è finita. La storia dell'altro giorno con la Gestapo non ve la porterete in paradiso, e andrete con il vostro tribunale segreto a Torgau, parola di Hoffmann, specie di farabutto! » « Segnalo al signor Hauptfeldwebel che farò rapporto al mio amico del Geheimes Gericht. » « Uscite! » grida Hoffmann. « Uscite immediatamente se non volete che succeda una disgrazia! » Porta e Petit-Frère battono i tacchi e l'uscio con tanta violenza che il gesso dell'intonaco cade in sottile polvere addosso all'Hauptfeldwebel furente. I quattro segretari, per dieci minuti rimangono attaccati alle loro sedie sotto un torrente di ingiurie, finché lo Hauptfeldwebel, non potendone più, va nelle cantine ad annegare la sua rabbia in un whisky. Disgraziatamente, guardando dalla finestra, vede proprio Porta e Petit-Frère che lasciano allegramente la caserma con due grosse valigie... Il telefono! Hoffmann si precipita al telefono. Bisogna perquisire le valigie! Ma proprio non ha fortuna; per quattro volte gli danno un numero sbagliato, e quando ottiene il posto di guardia, i due compari sono spariti. Porta ci aveva dato appuntamento da Veste Rouge. Il denaro del maiale era molto, ma purtroppo, la vita a Parigi è molto cara, e non riceviamo nessun soprassoldo di prima linea. Per fortuna nuovi affari si delineano, che frutteranno molto: traffico d'armi. Questo, tramite un agente segreto che fa il proprio gio-
207 co, chiamato Le Rat, che si occupa di lanci col paracadute. Il deposito era in una fabbrica dietro la Gare du Nord. Ci si pigia in un vecchio tassì francese a gas, arriviamo e troviamo le armi ben ripartite su tre ripiani. « Accidenti, tutte di ottima qualità. Vengono diritte da Churchill! » Improvvisamente la porta si apre. Spuntano tre tipi dall'aria seria, la mano nella tasca destra, lo sguardo fisso alle armi. « Paracadute? » chiedono a Rat. « Giù le zampe, se ci tenete a stare al mondo », li previene Porta. « Capito? » « Minacce? Ma queste sono armi rubate. Sapete che cosa succede quando si rubano delle armi? » « Puoi anche provare a toccarne una », risponde Porta amabile. « Su, provaci », dice una voce. Era Gunther che si era messo in mezzo alla porta con il mitragliatore russo in mano. « Su, vacci vicino, imbecille! » Il legionario prende in mano una Colt e scuote la testa pietoso. « Riuscito poco bene il vostro colpo, avreste dovuto restare dove eravate. Veri novellini. Bene, parliamo chiaro, adesso. Volete comprare questi giocattoli? Siamo qui proprio per questo ma pochi conti, avete soldi con voi? » Il più giovane dei tre accenna di no con la testa. « Niente con noi, ma appena fuori uno di voi può venire a prenderli. » « Ma certo! E perché no tutti insieme? Una bella festa e invitiamo anche la polizia, vero? Per chi ci prendete, imbecilli? Uno di voi va a prendere i soldi, e al primo scherzo i due che rimangono qui sono sistemati. Senza dire di quello che succede a qualcuno dei vostri se viene. » « Dopo tutto queste armi non sono vostre. » « Tue forse? Basta con le chiacchiere. Questo che vedi è l'e-
208 sercito tedesco e possiamo fucilarvi anche subito, soltanto per quello che avete in tasca. Perché per il porto d'armi ripassate dopo, vero, carini? » « Va bene, abbiamo sbagliato. Facciamo come se fosse un semplice mercato nero. Se avessimo saputo di trovare dei duri come voi, non saremmo venuti. Parliamo d'affari, allora. Quanto viene la merce? » « I duri cominciano a sciogliersi! » ride Porta. « Mille bigliettoni al pezzo. » « Come? » protesta il francese. « Ma a questo prezzo le troviamo dappertutto! » Il legionario lo frena con un gesto e ordina : « Impiccateli tutti e tre e cacciateli nei cessi. Li troveranno a fine guerra ». « Vai piano, vai piano, camerata, ce l'abbiamo il denaro! Dieci Sten, mille bombe a mano ciascuno e dieci pistole, vi va? » « Se hai i soldi, sì. Noi aspettiamo. » Il più giovane dei tre va verso la porta dove urta contro Gunther che lo spinge indietro con il mitra. « Tu no. » Indica uno degli altri. « Vacci tu; fra quanto tempo sei qui, andando veloce? » « Un quarto d'ora. » « Allora muoviti e torna fra dieci minuti. Solo, naturalmente. Capito? Guarda che anche se arrivi insieme a tutto un corpo d'armata, non avrai una sola possibilità di cavartela. » Porta mostra una P2 e maneggia una matita esplosiva. « Se tieni alla tua pelle stai attento, molto attento, altrimenti... » Petit-Frère intanto stava annodando un laccio intorno al collo degli altri due e li legava a due seggiole in un angolo. Bastava il più piccolo colpo alla sedia e sarebbero rimasti strangolati. Nove minuti dopo il ragazzo è già di ritorno, con una borsa piena di biglietti di banca che fanno illuminare di gioia gli occhi di Porta. « Adoro il money! »
209 I due ostaggi vengono liberati, poi i francesi si mettono a scegliere le varie armi. Sono evidentemente degli intenditori. L'atmosfera si rasserena. Birra e nuovo appuntamento, dato che sono interessati ad altre cose: bombe a mano, soprattutto bombe a mano. Quanto al mezzo di trasporto hanno un vecchio triciclo cigolante. Sopra le armi viene messa una vecchia sedia sgangherata e un cartello : « Stracci. Acquistiamo bottiglie usate». Mezz'ora dopo anche noi filiamo con il resto del bottino su un vecchio camion francese con la insegna WL (Wermacht Luftwaffe). Mitra pronti a sparare. Se ci bloccano bisognerà dare battaglia. Un'auto anfibia con a bordo quattro guardie ci segue per un pezzo, poi ci sorpassa lentamente. Porta attraversa la place de l'Opera, si infila fra due mezzi corazzati del reggimento di sicurezza, che sembra così ci facciano la scorta fino all'altezza della prefettura di polizia, ma all'ultimo momento si accorge che il ponte Saint-Michel è sbarrato. Brulica di guardie. Veniamo chiamati da una pattuglia. « Trasporto speciale! » grida Gregor, che per una volta tanto non dice bugie. Dietro Notre-Dame il ponte sembra libero, e noi ci avviamo senza notare una Kiibel posteggiata un po' più in su, dietro un carretto a mano. Saltiamo giù dal camion. Sguardo circolare... Saliamo gli scalini a quattro a quattro. Porta sorride, picchia alla porta. « Chi va là? » « Adolfo e la sua polizia segreta. Aprite o facciamo saltare la porta. » La porta si apre lentamente... Davanti a noi un Feldwebel della Feldgendarmerie, con la terribile placca a mezza luna. « Guarda! Guarda! Polizia segreta! Bella sorpresa, vero? » « Proprio così », sghignazza Porta. « Mani in alto! » Appoggia la canna del mitra sul petto del Feldwebel. « E spicciati, bebé, la tua testolina è in pericolo. »
210 Il Feldwebel alza le mani senza fretta. « Guarda che ti costa la testa, amico. » « Non preoccuparti, vieni. » Invadiamo il locale. Porta colpisce violentemente allo stomaco l'uomo che geme. Il rossiccio sa esattamente come bisogna colpire. Tutta la stanza è piena di una luce violenta e cruda, per terra vediamo una cassa di munizioni e un mucchio di fucili messi alla rinfusa, sui quali è chinato un uomo, un uomo dal feltro grigio che riconosciamo immediatamente. In fondo alla stanza, coi volti contro la parete, quattro prigionieri sorvegliati da una guardia; nella sala da pranzo vicina un altro Feldwebel seduto con un mitra in mano beve tranquillamente birra. Un grido soffocato. Ha visto il suo collega con le mani in alto. Il feltro grigio si volta e rimane di sasso. « Mani in alto! » L'uomo dal feltro obbedisce immediatamente, il gendarme un po' meno. Ma vedendo un coltello conficcarsi nella parete proprio vicinissimo alla sua testa, scatta' subito. « Si cambiano i posti! » comanda Porta. « Faccia al muro voi, e attenti alla vostra pelle se vi girate. » I quattro prigionieri civili che erano stati liberati per una specie di miracolo, non capiscono nulla. Tutto è durato due minuti. « Ci sono altre guardie, giù in strada? » chiede Porta. « Probabile. » « Vado a vedere », dice Gregor, fiero del suo ruolo. Gunther prende una sedia, toglie la sicura alla sua pistola, ne fascia la canna per renderla silenziosa. Un uomo pericoloso Gunther; dopo la sua ferita uccide per niente, alla minima provocazione. « Che fate qui? » domanda Porta ai tre poliziotti girati verso il muro. « Venuti ad arrestarci », risponde uno degli ex prigionieri sorridendo. È un piccolo francese scuro di pelle. « Eravamo buoni per una bella scarica di mitra, come immaginate. »
211 « Promettono tante di quelle cose in questo momento », ride Gunther. « Dimmi, Gestapo, ti piace molto il tuo bel cappello, vero? Ma a che cosa ti serve adesso? E prima di tutto, chi ti dà il permesso di tenertelo in testa? » Petit-Frère glielo fa saltar via con un colpo di mitra, e schiaccia il naso del poliziotto contro il muro. « Merda coperta di stracci, perdi sangue poverino? » Il suo naso ha una leggera ferita. « La pagherete », grugnisce il gendarme. « E cara, anche, sono io che ve lo dico. » « Sei bravo a parlare, tu. Coraggioso anche. Un pezzo d'uomo coraggioso. Decisamente Parigi brulica di questi vermi. Che ne facciamo? » chiede Petit-Frère a Porta, togliendo di tasca il suo cappio d'acciaio. « Un momento. Prima bisogna sapere come sono riusciti a trovare questo posto», dice il piccolo francese scuro di pelle. « Non è stato un caso. Ci aspettavano. » « Bene, lo vediamo subito », dice Gunther, sferrando un pugno violento al Gestapo. « Come ti chiami? » « Breuer. Max. Kriminalobersecretàr. » Gunther sorride gelido. « Allora parla subito, piccolo Max. Conosciamo bene i metodi. » Petit-Frère porta un secchio d'acqua, afferra l'uomo mettendolo a testa in giù come si farebbe con una bambola, lo immerge nell'acqua sollevandolo giusto solo per farlo respirare. Il poliziotto soffoca... si torce. Petit-Frère lo butta per terra. « Il Gestapo sviene. » L'uomo torna in sé, vomita, si sporca tutto, ci guarda con gli occhi iniettati di sangue. Il francese si china su di lui. « Come hai fatto a trovarci? » Calcio nel ventre. La vittima si piega in due, il calcio è stato un po' troppo forte.
212 « Idioti! » urla il legionario. « Non si fa così. Lo ammazzate. » La sua eterna cicca alle labbra, versa dell'acqua fredda sulla testa dell'uomo. « Va meglio? Mi senti? » Il poliziotto annuisce. « Chi ti ha indicato il nascondiglio? » continua il legionario. « Ti conviene parlare perché preferisco evitare i metodi brutali, ma se ci tieni, conosco dei piccoli giochetti che stupiranno anche te. Ripeto: come hai fatto a trovare questo posto? » Silenzio. Il legionario avvicina lentamente la punta della sigaretta accesa alla narice del Gestapo che Petit-Frère tiene fermo con la sua mano di ferro. Urlo. Odore di peli bruciati. Il legionario sorride. « Andrà meglio la prossima volta, amico. » « Ha dei denti d'oro? » chiede Porta. Con un gesto rapido e molto abile, il legionario spezza un dito all'uomo che urla ancora e crolla per terra. Petit-Frère gli preme sulla mano il suo scarpone chiodato, lentamente, accentuando a poco a poco la pressione. L'uomo urla sempre. Il legionario fa un segno e il gigante ritira il piede. « Allora, signor Breuer? » In un mormorio spento sentiamo un nome, un indirizzo non lontano di qui. Un nome di donna. « La conoscete? » chiede il legionario al francese. « Certo! È un'amica di Jacques! Te l'avevamo detto di non fidarti di lei », gridano gli altri due al nominato Jacques. « Il tipo deve essere il suo amico tedesco! Lo dubitavamo che frequentasse i tedeschi! Avevamo ragione. Adesso capisco tante cose strane! » Uno dei gendarmi si mette a sghignazzare. « Hai il coraggio di ridere? » dice Petit-Frère che gli afferra la testa per i capelli e lo colpisce alla nuca col dorso della mano. La testa gira su se stessa come quella d'un burattino. « Basta! » comanda il Vecchio. « Ne ho abbastanza! Non ne
213 voglio più sapere di queste porcherie! » « D'altra parte non si può lasciar correre ormai! » grida Porta. « In un'ora è tutto fatto! Pensa se vorranno vendicarsi, perdio! » « Ma non siamo degli assassini! » risponde il Vecchio. « E che cosa siamo allora? » sghignazza Porta. « Dei santi forse? » Il Vecchio sbatte la porta e scende di corsa le scale. A un segno del legionario gli andiamo dietro, lasciamo soli con i prigionieri Gunther, il legionario, e gli ex prigionieri francesi. Siamo appena scesi in strada che ci arriva l'eco di un colpo di pistola come soffocato. Ci ritroviamo poi tutti in un bar del boulevard Saint-Michel per definire la questione delle armi, e Porta si ficca in tasca con soddisfazione non dissimulata un bel pacco di banconote. « Che ne avete fatto di quei tipi? » Gunther e il francese si guardano. « Allora? » Gunther alza le spalle: « Li abbiamo cacciati in un armadio a muro. Ci resteranno fino alla fine della guerra. A meno che non li scoprano prima ». « Non ne posso più », dice il Vecchio. « E io anche », decide Heide. Evidentemente i loro motivi di insofferenza avevano origini diverse: il Vecchio agiva per onestà, il secondo per paura; temeva per la sua carriera. « Fate come volete », dice Porta con indifferenza. « Qui non si costringe nessuno. In meno si è, più è grossa la torta da dividere. Se altri hanno voglia di seguirvi lo dicano subito. » Salutiamo i tre francesi, che cadono sotto una raffica di mitra mezz'ora dopo, all'angolo della rue Malar con la rue de l'Université. I colpi venivano da una Mercedes grigia dalla targa sbiadita e illeggibile che veniva velocissima dal quai d'Orsay. Si sparava su tutti. Erano i nuovi metodi del nuovo commando del
214 terrore che passava all'azione. Ancora qualche ora ed era il BrigadenFührer Grunholz dello SD che cadeva sotto colpi anonimi in boulevard Haussmann. « Rientriamo per vedere come sta Hoffmann », propone Porta con un sorriso goloso. « Se restiamo fuori troppo, crederà semplicemente che la pace è stata firmata. » Io lascio i miei compagni e vado verso l'avenue Kléber dove mi aspetta Jacqueline, la giovane donna di Normandia. La trovo triste. « Che follia questi omicidi! » mi dice con molta malinconia. « Tutti tremano di paura. La morte è dappertutto. Nessuno più ha ormai del rispetto per nessuno. » « Sarà presto finita », le dico per quietarla, « le truppe tedesche si ritirano dappertutto, e anche qui tutto lo stato maggiore sta facendo i bagagli ». Le racconto la nostra storia del mercato nero e la crudeltà di Gunther che le fa scuotere la testa con orrore. « Vendete armi che dovranno servire contro i vostri compagni. Assassinate per denaro. Ma gli uomini sono diventati folli? » Tace, mi serve un whisky, va in bagno a mettersi un kimono giapponese, poi mi porta su un vassoio un pranzo freddo. « I tuoi compatrioti hanno sparato su un invalido, oggi, in strada », dice guardandomi con stanchezza. Che devo risponderle? Si uccide tanto in Europa. « I tuoi compagni non hanno simpatia per me », continua, « credi che mi uccideranno? Mi detestano, l'ho visto nei loro occhi da Veste Rouge». « Perché dovrebbero ucciderti? » Jacqueline alza le sopracciglia: « Perché tu sei innamorato e le persone innamorate sono pericolose ». Guardo pensieroso il suo corpo sottile sotto la seta dorata. I suoi occhi sono un po' velati come da una leggera ubriachezza.
215 Si stende sul divano, allunga le gambe e spinge indietro il vassoio. « Diciamoci addio », fa sorridendo. Jacqueline mi abbraccia e io la strìngo contro di me. « Ti amo, Sven, capisci. Ti amo. Mi hanno minacciata perché venivi qui. » « Chi ti ha minacciata? » Mette un dito sulle mie labbra: « Non pensiamoci questa sera », risponde stringendosi ancora più a me. Le mie mani scivolano lungo il suo corpo. Le sfilo il kimono e lascio che le mie labbra vaghino sulla sua pelle bruna. Freme: « Caro! Se tu fossi francese! Detesto i tedeschi. E tu detesti i francesi? » « Non odio nessuno. » Quando torniamo in noi è venuta notte. Jacqueline cerca le sigarette ma il suo pacchetto è vuoto. « Non ci sono più sigarette? » « Vado a prenderne, si troveranno pure al mercato nero da qualche parte. » « Intanto io preparo il caffè », dice allegra, correndo nuda in cucina. Il mercato nero lo si trova sempre. Compro le sigarette e torno in avenue Kléber; sul portone mi imbatto in due giovani che guardano inquieti la mia uniforme nera. Corrono via lungo la strada deserta, ma non faccio loro attenzione, troppo preso dal desiderio di tornare da Jacqueline. Faccio i gradini a quattro a quattro e suono; mi accorgo che la porta è socchiusa. Strana cosa. Anche Jacqueline doveva aspettarmi con impazienza. Avevo il permesso per la notte, una lunga notte meravigliosa e domani la guerra poteva essere finita! « Cara! Ho cinque pacchetti di sigarette comprate da un ragazzo. »
216 Silenzio. Un odore di caffè. A terra una sagoma stranamente ripiegata su se stessa. « Jacqueline! » Mi chino su di lei. Sento qualche cosa di appiccicoso sulle mie mani. Accendo la luce. Da un'orecchia all'altra la sua gola è una sola immensa piaga, i suoi occhi vitrei guardano la lampada, un biglietto è stato posato sul suo petto: COLLABO Bevo d'un fiato la bottiglia di liquore piena a metà, allaccio la bandoliera che sostiene le due pesanti pistole e controllo se sono cariche. Chi ha ucciso Jacqueline si raccomandi a Dio se lo trovo. Dolcemente richiudo la porta dietro di me; entro dalla portinaia e la prendo per il collo. « Chi è stato qui poco fa? » « Nessuno, signor soldato, non è venuto nessuno. » La respingo con violenza e lei trema di paura. Tutta Parigi trema. Nell'avenue Kléber deserta sta passeggiando avanti e indietro un agente di polizia. *
*
*
La stessa notte, lontano di lì, comincia la liberazione di Parigi. Un bambino torna a casa. È tardi e si affretta; ma il film era così divertente! Sta ancora ridendo, mentre corre per non farsi sgridare dal padre che attraverso la finestra vede chino su un libro alla debole luce di una lucerna. Non c'è più elettricità. « Papà! » È il suo migliore amico. « Scusa se sono in ritardo, ma ho talmente riso! » Chiacchiera allegramente e racconta tutto, mentre suo padre prepara il pranzo e di tanto in tanto gli accarezza la testa. Due uova e un po' di latte per il bambino, una rarità. « Ho due pezzi di pane tedesco, pane nero e un po' di budino.
217 Ti basta? » « Certo! Non ho già quasi più fame! Sai, papà, il mio amico Jean, quello che ha il papà nella Resistenza? Lui sa tutto. Dice che se si ha molta fame, bisogna bere molta acqua e masticare della carta, così la fame passa. » Il padre guarda il bambino che sta mangiando. Da due giorni anche lui non mangia. Che almeno il bambino abbia tutto quello di cui ha bisogno... Non può passare ormai molto prima che arrivino gli americani. Dicono che due divisioni sono già alle porte di Parigi. « Avete molto da lavorare in fabbrica? È tutto tornato normale dopo il sabotaggio? » « Sì, ma quante perquisizioni! E alla fine purtroppo ci sono stati venti morti! Ero appena uscito dal reparto disegnatori che tutto è saltato per aria. » « A te non succederà niente, sai, papà, me lo dice sempre un altro mio amico, Raoul. Suo padre è sopravvissuto a quattro sabotaggi e in uno c'erano stati più di cento morti. Ieri hanno ucciso un delatore al boulevard Mich. Due in bicicletta che sono arrivati a tutta velocità. Lo spione ha fatto quattro capriole e loro sono filati via. Raoul dice che erano dei ragazzini della nostra età, ma oggi il professore ci ha fatto un discorso. Ha detto: 'Voi, ragazzini, dovete subito tornare direttamente a casa e non immischiarvi mai in nulla'. Tutti i professori hanno paura dei boches, ma tu no! Io sono il solo in classe che ha un papà con la croce di guerra con le tre palme. Ti immagini, vero, come sono fiero? Sai un'altra cosa? Parigi è piena di ussari, in questi giorni, e poi sembra che gli americani stiano arrivando. Me l'ha detto Raoul. I boches hanno una paura blu. Domenica, un bistrot è saltato in aria e sono morti una quantità di boches. C'era sangue dappertutto, sangue tedesco. Papà, domani voglio spazzolare la tua divisa, fra poco arriveranno gli americani con migliaia di carri armati! » « Sì, fra poco... ma è stata lunga, figlio, molto lunga. Vieni,
218 andiamo a dormire adesso. » Il caldo di questo mese d'agosto è terribile. Già mezzo addormentato, il bambino sente che suo padre spegne la luce e va in camera sua. Improvvisamente una esplosione. Un lampo accecante! Si sente buttato giù dal letto. Polvere e fiamme... Il bimbo urla, si dibatte sotto i calcinacci e i vetri rotti. Grida disperato. Suo padre viene estratto dalle macerie: una massa sanguinante su cui lui si butta, colpendo con le manine rosse di sangue l'asfalto. Lo portano via, gli fanno un'iniezione, le suore si occupano di lui. Che cosa è successo? Dicono che si è vista arrivare una macchina che si è fermata un istante e qualcuno ha gettato qualcosa. Altri dicono che erano due civili usciti dal buio. A chi bisogna credere? Il bambino rimane solo al mondo e ha appena dodici anni. I carri armati della vittoria sono arrivati troppo tardi. Hanno assassinato suo padre, ma chi è stato? I tedeschi? I francesi? L'uomo era un traditore ucciso senza processo o un innocente caduto sotto le bombe dei terroristi? Nessuno lo sa. È una notte qualsiasi durante la liberazione. *
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In un altro luogo, la stessa notte. La porta del bar Simon si apre con un calcio. Entrano tre uomini, si guardano intorno, il più giovane alza il mitra in direzione di una giovane donna seduta al banco con un soldato tedesco. Lei riesce appena a mandare un grido, poi cade a terra insieme allo sgabello alto del bar. Il soldato tedesco cade sopra di lei. Il padrone del bar è colpito da un proiettile e trascina con sé nella caduta tutta una fila di bottiglie. L'odore del Pernod si mescola a quello del sangue caldo. Uno degli uomini appunta con uno spillo un cartello sul petto della giovane donna: COLLABO
219 Escono camminando all'indietro, il loro volto è duro, spariscono di corsa. Arriva la polizia. Si discute, si parla, si grida, poi si fa silenzio. È il terrore che continua a rinnovarsi. Due uomini in pastrano di cuoio e cappello di feltro si chinano sul soldato morto, gli vuotano le tasche, gli tolgono la piastrina di riconoscimento, prendono la borsa della donna e vi frugano con mani nervose. Ma il pacchetto dei soldi è infilato nelle sue calze. Il cartello appuntato sul suo petto provoca un sorriso di disprezzo dei due che si voltano verso un Feldwebel della Feldgendarmerie: « Ripulite tutto e chiudete il locale. Niente di importante da segnalare». Altrove la stessa notte. « È al suo sesto Pernod », si lamenta il vecchio cameriere col suo collega più giovane. « È completamente ubriaco! E io che speravo di tornare a casa presto. Due volte alla settimana si riduce così quel porco, dopo la morte di sua moglie. » « Che cosa vuoi farci, è il nostro mestiere », risponde il giovane. « Potrebbe anche andarsene però! Anche mia moglie è malata, e non riesco a trovare le medicine. Sai che cosa mi ha detto il farmacista? 'Chiedetele ai boches, da molto tempo noi non ne abbiamo più, le portano via tutte loro'. Va bene che fra poco sarà finita, ma a che cosa mi serve se mia moglie muore prima? » « Cameriere! » chiama il cliente. « Un doppio. » Bestemmiando, il vecchio cameriere prepara un ennesimo bicchiere. Il giovane, con l'incoscienza classica della sua età scoppia a ridere. « Te l'ha fatta! » « Se almeno lo ammazzassero per sbaglio quando esce di qui! Ho sentito dire che ha tentato di uccidersi quando la sua. vec-
220 chia è morta. Purtroppo ha fatto cilecca. Adesso tenta a furia di bere. Ecco il doppio! » dice al cliente in tono furioso. « Poi si chiude. È già un po' che è cominciato il coprifuoco. » « Non importa, amico, ho il lasciapassare; posso star fuori quanto voglio e so che potete farlo anche voi. » Il vecchio cameriere butta letteralmente in faccia all'odioso cliente il doppio Pernod. « Vai a casa », dice il giovane, « mi arrangio da solo. Ho qui qualche pillola, tieni, dalle a tua moglie, pare che vadano bene per tutto. Me le ha date un disertore ». « Non sarà per caso un veleno? C'è da aspettarsi di tutto da questi farabutti! » « Come sei sospettoso! » ride il giovane. « È la rabbia che ti fa parlare così. Non preoccuparti, ci si può fidare dei disertori. Non possono vendere che a noi, e la loro merce è sempre buona. Sai che Alice ne ha tre a casa sua? Come faccia a cavarsela, vai a capirlo! Ha almeno trent'anni più di loro! Temperamento di ferro. » Il vecchio si veste lentamente e guarda il suo ombrello. « Se almeno i liberatori si sbrigassero un po'! Il mio ombrello non ne può più. Chi avrebbe pensato che sarebbero mancati anche gli ombrelli? D'altra parte non se ne può fare a meno! Tn ogni caso grazie per le pillole. Non sta niente bene, e quello che mi preoccupa di più è ohe non è stata mai malata. » Esce camminando col tipico passo del vecchio. Finalmente è quasi arrivato! Col pensiero altrove passa davanti a un portone buio nel quale si nascondono due giovani. Il vecchio ha un grido soffocato. È bastato un solo colpo di pistola. « Bravo! L'hai preso! » dice uno dei due. Si chinano sul corpo che è per metà disteso sul marciapiede e per metà sulla carreggiata, lo girano verso di loro. « Merda! Non è lui! » « Che dici? Ma se sono i suoi vestiti e il suo ombrello! Torna a casa cosi tutte le sere! »
221 « Ma no, non è lui! È inutile. Questo non l'ho mai visto. Abbiamo sbagliato, filiamo! » I due scantonano, scappano. Ma improvvisamente li colpisce, in pieno negli occhi la luce di una grossa torcia elettrica... Le piastrine a mezza luna delle SS brillano minacciose. Sono subito a terra, le braccia dietro la schiena, le manette ai polsi. Si sentono risate crudeli, lunghi stivali neri li spingono avanti a calci. Lo Stabss-charFührer Brandt, dello SD Rollcommando, li guarda ridendo. « In giro con la pistola, i ragazzi! Forza, sbrigatevi! » Li buttano in fondo a una camionetta e la pattuglia continua il giro. È una notte qualsiasi a Parigi, durante la liberazione.
222 Il soldato Bruno Witt aveva molti amici a Parigi, ma in quel giorno rovente di agosto dove poteva trovarli? Inseguito da una folla urlante, corre nel Faubourg-du-Temple. In testa al gruppo degli inseguitori è una giovane donna, Yvanne Dubois, partigiana da venti-quattr'ore che fino a un momento prima entrava tranquillamente all'Hotel Majestic dai suoi amici dello SD. Oggi è una vera patriota. Il soldato, inciampa e cade. In un istante la sua uniforme grigia è fatta a brandelli e due coraggiose madri di famiglia si disputano la sua bustina. Yvonne Dubois trafigge con una forbice la gola del soldato che urla, immerge la mano nel sangue; non faceva così una vera partigiana? « Ho ammazzato uno della Gestapo! » grida come impazzita. Dall'altra parte della strada, una folla scorta due donne nude che portano dipinte sul petto delle grandi croci uncinate. Le costringono a sedersi e le radono a zero mentre la gente intorno approva e grida. Erano venuti fuori tutti alla luce del sole, tutti quelli che ascoltavano la radio clandestina, e insieme le madri di famiglia che avevano avuto per amanti dei soldati tedeschi, i negozianti autori di denunce all'Hotel Meurice contro clienti astiosi e le portinaie che avevano fatto arrestare un inquilino sospetto perché usciva di notte... Su un carretto trascinato dalla folla, un uomo mezzo nudo con un cartello attaccato al collo: COLLABO Una cittadina eroica vuota dalla finestra il suo vaso da notte sul collaborazionista, ma purtroppo il contenuto va a cadere su un eroe tutto nuovo che porta con fierezza un bracciale FFI. « Libertà! » gridano tutti. Tutti cercano dì superarsi in gare di patriottismo. Tutti hanno uccìso dei tedeschi, milioni di tedeschi, di quegli orribili tedeschi che hanno combattuto contro quei buoni russi! Le fisarmoniche strìdono, i banjo battono il tempo, le forbici
223 tosano le donne. Tutti sono felici. La democrazia è ritornata. « Ho salvato Parigi », dichiara il generale von Choltitz al generale americano che lo interroga. « Ho sabotato l'ordine del Führer appena ho capito che era diventato pazzo. » « Ho salvato tre ebrei », dice l'ufficiale della Gestapo Will Rochner. « Ho conosciuto un colonnello che ha partecipato all'attentato del 20 luglio», dice l'ufficiale NSF tenente Schmaltz, « e non l'ho denunciato alle autorità tedesche come sarebbe stato mio dovere». Tutti avevano obbedito agli ordini. Tutto era colpa di Hitler e di Himmler.
224 CAPITOLO XVI
SABOTAGGIO DEGLI ORDINI Mezzanotte passata. Nell'ufficio del generale Mercedes gli ufficiali sono riuniti a consiglio. Sono tutti in uniforme di campagna, mitra in spalla; Mercedes, chino su una carta topografica militare, impartisce ordini. Il gruppo di combattimento deve lasciare Parigi e passare la frontiera a Strasburgo, il 2° battaglione in testa come misura di sicurezza. « Bisogna tener conto dei colpi di mano della Resistenza francese, signori, fate molta attenzione! Combattono con tutti i mezzi e senza indulgenze. L'ordine è di raggrupparsi al più presto, niente ci deve far ritardare. Ci mettiamo in marcia in gruppi autonomi e passiamo sotto gli ordini diretti dell'OKW. » Mercedes sistema la benda nera sull'occhio e in quel momento squilla il telefono. L'aiutante di campo stacca il ricevitore e lo porge al generale. « È il comandante del Grand Paris, signor generale, sembra molto nervoso. » Mercedes prende il ricevitore : « Maggiore generale Mercedes, Clara 27 ZBV ». « Qui Choltitz. Che fate, Mercedes? Mi dicono che state facendo i bagagli. Mi auguro che questa voce sia falsa! » « Signor generale, entro due ore il mio gruppo di combattimento con tutto il materiale deve aver lasciato Parigi. » « Non pensateci nemmeno, Mercedes! Come vostro superiore vi ordino di rimanere dove siete con tutti i vostri mezzi e tutti gli uomini, senza alcuna eccezione. » « Sono dolente, signor generale, ma non sono più ai vostri ordini. Ho ricevuto dal generale Model in persona l'ordine di lasciare Parigi entro due ore con tutto il mio materiale. »
225 Il comandante del Grand Paris respira a stento. « Intendete dire con munizioni, esplosivi e carri? » « Sì, signor generale. Con le munizioni e la benzina. Per quanto riguarda i carri, ne ho soltanto nove. » Mercedes sorride amaro. « Voi ignorate senza dubbio che sono al comando di un corpo di autoblindo che non ha autoblindo. Rientriamo per riformare i ranghi e per prendere in forza quattrocento carri armati che escono ora dalle officine. Fra un mese ci rivedrete a Parigi, e ho soltanto quindici giorni per addestrare i miei uomini ai nuovi mezzi corazzati. Ma voi conoscete bene il feldmaresciallo. Per lui gli uomini si fanno soltanto al fronte e non nelle caserme. » « Generale Mercedes, vi proibisco di lasciare Parigi fino a nuovo ordine, sotto la mia responsabilità. Annullo gli ordini del generale Model e mi metto immediatamente in contatto con il gran quartier generale. » « Signor generale, se non ricevo un contrordine dal generale Model in persona, entro due ore lascio la città. » « Sono io che comando qui».urla Choltitz disperato. « Il vostro gruppo di mezzi corazzati mi è stato inviato direttamente dal ReichsFührer delle SS. Se contravvenite ai miei ordini, vi mando davanti al tribunale di guerra. Lo capite, Mercedes? Se lasciate Parigi è sabotaggio agli ordini del Führer. Senza gruppo di combattimento non sono in grado di contenere nemmeno per venti-quattr'ore questa dannata Resistenza. I miei soldati vengono uccisi in pieno giorno! Se vengo a sapere che uno solo dei vostri mezzi corazzati è uscito dalla caserma, mando un rapporto all'OKW e al presidente del tribunale del Reich, generale Heitz! » Mercedes guarda con aria pensosa i suoi ufficiali pronti per la partenza. « Signor generale, voi farete quello che crederete meglio, ma io ho deciso di obbedire agli ordini del feldmaresciallo Model. » « Se lasciate Parigi sabotate gli ordini del Führer! » urla Chol-
226 titz fuori di sé. Mercedes allontana il ricevitore, riattacca e si volta verso i suoi ufficiali. « In marcia, signori! Per l'ultima volta, qualsiasi persona dovesse intralciare la nostra strada, dovrà essere liquidata. Partiamo immediatamente! » Proprio nel momento in cui lascia l'ufficio il telefono suona di nuovo. « Signor generale », dice l'aiutante di campo, « all'apparecchio l'OKW. » « Generale, vi ordino di lasciare i vostri nove mezzi corazzati, ma senza gli equipaggi. Non posso fare di più per il comandante del Grand Paris, e voi risponderete personalmente della esecuzione dei miei ordini. » Mercedes guarda il telefono, poi si decide improvvisamente e strappa il filo di contatto dal muro. Batte sulla spalla del suo aiutante di campo. « Filiamo, prima che vengano altri ordini. I sederi di quei signori del Grand Paris sembra che si aspettino proprio di essere presi a calci! » Abbottona il suo grande cappotto di cuoio e scende le scale rapidamente, con una sola arma nella mano, un bastone. La caserma sembra un formicaio. Gli automezzi pesanti escono uno per volta, un gruppo esplorante del reggimento sta mettendosi in marcia per collegarsi con i nuovi carri da combattimento. Porta ne approfitta per eclissarsi, e con Petit-Frère si presenta al sergente maggiore che, quando se li vede davanti, ha quasi un infarto. « Che volete, voi due? » « Signor Stabsintendant, l'Obergefreiter Porta e lo Obergefreiter Creutzfeldt, della 5a compagnia, si offrono come aiuti per il carico degli approvvigionamenti. » Al sergente maggiore cade il sigaro di bocca e un torrente enorme di bestemmie e di maledizioni si rovescia sui due che si ritirano dignitosamente, accompagnati dagli sputi del loro superiore fuori di sé. Si rifugiano da un amico di Porta, l'infermie-
227 re Obergefreiter Ludwig della sala isolamento, e attraverso un foro praticato nel pannello della porta guardano con nostalgia i soldati che sgomberano il reparto approvvigionamento. « Ne hanno però della roba! » bisbiglia Petit-Frère, «carne, lardo, casse di cioccolato...» «E caffè e cognac», continua Ludwig, «guardate quel grassone là con una cassa sulle spalle, chi sa che cosa c'è dentro! » « Il diavolo lo sa », Porta si gratta il sedere, « ma di sicuro roba da mangiare. Andiamo a vedere come si può farcela con quello lì del lardo». « Guarda che può costarti la testa », lo previene l'infermiere. « Neanche una settimana fa hanno fucilato due artiglieri per una cassa di tabacco. » « Sei proprio un cretino! » sghignazza Porta. « Altrimenti faresti un altro mestiere invece di star qui a infilare dei sigari nel sedere della gente. » Alza un dito. « Il soldato che non deruba l'Intendenza non è un vero soldato. La sua educazione non è completa, e un soldato che passa davanti a un deposito di approvvigionamenti senza approvvigionarsi è un debole di spirito buono solo per la camera a gas. » Toglie di tasca una bomba a mano, scivola nel cortile attraverso uno degli sfiatatoi della cantina e si nasconde dietro un mucchio di casse. Coi denti stacca la sicura alla bomba e la butta sopra alcuni bidoni di benzina che saltano per aria con un rumore enorme. I soldati che stanno lavorando lì intorno scappano in tutte le direzioni; Porta rapido si arrampica su un camion, passa cinque casse ai suoi compagni che le portano di corsa alla sala infermeria. Ma tutta la caserma ormai è in pieno subbuglio. Una sentinella innervosita tira su una povera recluta, dei gruppi di soldati si battono fra loro, si parla di un attacco degli FFI... Bilancio di quattro morti e sedici feriti. In mezzo alla confusione generale Porta e Petit-Frère erano riusciti a trasportare le casse fino alla 5a compagnia. « Dio santissimo! » grida il Vecchio vedendoli arrivare. « Ma
228 state diventando dei veri gangster! Buttare una bomba a mano nel mezzo di una caserma per rubare è semplicemente un crimine e merita la fucilazione! » « Sei troppo onesto, tu », replica Porta, aprendo tranquillamente una scatola di sardine. « Quando la patria ci ruba la nostra giovinezza, possiamo bene derubarla un pò! Tieni », dice tendendogli una grossa sardina, « un po' di vitamine per un eroe stanco. E tu devi proprio esserlo». In colonna serrata il reggimento attraversa Parigi e arriva alla porta di Orléans. Tutta la città è in fermento. Si spara contro i tedeschi che partono. Da un abbaino parte un colpo che ferisce gravemente un sottufficiale. Subito molti dei nostri circondano la casa, la invadono e scendono con due ragazzi armati di una vecchia carabina tedesca. Non c'è il minimo dubbio: sono loro i franchi tiratori. Singhiozzando di terrore vengono fatti salire sui nostri autocarri, in attesa delle decisioni del generale Mercedes che si mostra particolarmente inflessibile: nonostante la loro età saranno fucilati appena saremo fuori di Parigi. Il sottufficiale che avevano ferito muore una ora dopo con i due ragazzi atterriti che non lo abbandonano un istante con gli occhi. Porta indica loro col pollice il morto. « Forse adesso siete guariti dalla voglia di giocare alla guerriglia! » dice e appioppa a ciascuno un pesante schiaffo. Ma il mattino dopo i due ragazzini sono scomparsi misteriosamente. Il maggiore Hinka, al colmo del furore, fa chiamare immediatamente quello che a buona ragione sospetta, vale a dire Porta. Durante una tappa in un bosco li aveva accompagnati un po' lontano, e Heide riferisce di averlo visto ritornare solo. Gunther e Gregor invece giurano di non averli mai abbandonati un momento. Più tardi veniamo a sapere che Porta li aveva fatti scappare, non prima di aver dato loro la più bella punizione della loro vita. « Ascoltate qui la mia scatolina! » grida Barcelona, che aveva
229 scovato chissà dove una radio. Una voce inglese. Siamo tutti attentissimi. Barcelona annota la lunghezza d'onda: si è collegato con il comando della 3ª divisione blindata americana. « Hello yankees! » urla nel microfono. « Come va? Vi trattano bene? » « Buon giorno, Fritz, che fai di bello? » risponde una voce in un tedesco eccellente. Dall'altra parte è un americano di origine tedesca. « Tu, non sai per caso come si chiama il famoso maiale di Odino? » domanda ridendo Barcelona. « Aspetta un momento, abbiamo qui uno che ha abitato qualche mese in Norvegia, vado a chiederglielo. Rimani in contatto. » Un momento di silenzio, poi la voce nella radio riprende: « Fritz, l'abbiamo trovato il nome del tuo maiale. Se giurate che vi arrendete presto te lo diciamo! » « Ti do la mia parola. Stiamo proprio andando a convincere Adolfo. Dimmi subito il nome del maiale, amico! » « Brosse d'Or, e non era di Odino ma di Freya. » Questa informazione vale bene una vittoria! Ci mettiamo in collegamento con tutte le nostre unità. « Il maiale si chiamava Spazzola d'Oro! » « Non è vero », risponde Wolf, guardiano del parco macchine. « Si chiamava Saerimner ed era proprio il maiale di Odino. » Segue una discussione appassionata. La 3ª divisione americana autoblindo tiene per Spazzola d'Oro, anche perché Saerimner sembra loro un nome di risonanza nazista. Intanto noi proseguiamo e passiamo il Reno sotto una pioggia fittissima. Intorno a noi rovine fumanti, città morte in un'atmosfera sinistra dove gli abitanti vivono come topi. Bambini affamati corrono lungo la colonna mendicando del pane. Su tutto il paese stagna un odore di incendio. Il 25 agosto, alla radio, captiamo una stazione clandestina : «
230 La 28ª divisione corazzata del generale Ledere è entrata questa mattina a Parigi. I tedeschi hanno capitolato; in questo momento tutte le campane della città suonano a distesa; la gioia della popolazione è delirante. I tedeschi che si mostrano in giro vengono fucilati, i guardiani delle prigioni di Fresnes sono stati abbattuti dai loro ex prigionieri; le donne che hanno fraternizzato con le truppe d'occupazione sono rasate a zero, spogliate e dipinte con grandi croci uncinate. Il comandante del Grand Paris, generale von Choltitz, è sotto sorveglianza delle truppe americane. Tutta la città è illuminata. Viva la Francia! » Porta si picchia sulle cosce. « Vedete! Non è riuscito a farsi mandare i petardi per far saltare in aria Parigi, e adesso sta diventando il salvatore della città. I pezzi grossi riescono sempre a cascare in piedi! »
FINE