ALFRED E. VAN VOGT L'OCCHIO DELL'INFINITO (The Cronicler, 1946) 1. Deposizione di Thomas Barron, resa alla giurìa incari...
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ALFRED E. VAN VOGT L'OCCHIO DELL'INFINITO (The Cronicler, 1946) 1. Deposizione di Thomas Barron, resa alla giurìa incaricata di accertare le circostanze della morte di Michael Slade: Mi chiamo Thomas Barron. Per nove anni sono stato socio dell'Agenzia Finanziaria Slade & Barron. In questo tempo, non ho mai pensato che Michael Slade non fosse normale. Era un uomo dotato di forte personalità, e l'ho sempre giudicato superiore alla media. Dopo l'incidente che fece precipitare gli eventi, l'ho visto non più d'una dozzina di volte; quegli incontri erano quasi sempre collegati alla cessione della sua quota di azioni della nostra società. Non mi ha mai fatto cenno, neppure vagamente, a qualche pericolo che lo minacciasse, o a qualcosa di negativo nei propri riguardi. Non ho la minima idea di quanto possa essergli accaduto. Lo scontro era appena avvenuto, e la sua auto si era ribaltata. Slade era disteso sulla schiena, e la sua mente era confusa. L'unica cosa di cui si rendesse conto, era che aveva perso gli occhiali. Dalla fronte, qualcosa di caldo gli colava sull'occhio sinistro. Quando tentò di eliminare il fastidio pulendosi la fronte con la mano, si accorse con sorpresa che si trattava di sangue. Riuscì lo stesso a sorridere, e si rivolse a sua moglie che in quel momento stava faticosamente cercando di rialzarsi. Le disse: «Beh, almeno non siamo morti. Non so che cosa è successo. Forse si è bloccato lo sterzo». S'interruppe. Il volto di Miriam era abbastanza vicino al suo perché lui riuscisse a vedere, anche senza occhiali, che la moglie lo stava fissando con una strana espressione, mista di apprensione e d'orrore. «Michael, la tua fronte... proprio lì, in quel punto più tenero! Sanguini, sei ferito, e... Michael, è un occhio!» Lo stordimento di Slade aumentò. Con un movimento automatico, si girò verso lo specchietto retrovisore, facendolo ruotare in modo da potervisi vedere. La pelle della sua fronte era come lacerata, in un punto a circa due centimetri dall'attaccatura dei capelli. Il lembo inferiore della ferita scen-
deva di circa quattro centimetri. Nello squarcio, era chiaramente visibile un terzo occhio. Le sue palpebre erano chiuse da un sottile velo di una sostanza membranosa, ma bruscamente si rese conto che l'occhio stava pulsando, e che in trasparenza percepiva una vaga sensazione di luce. L'occhio cominciò a dolergli. Un nostro concittadino ha tre occhi. Un incidente d'auto, che ieri ha causato la rottura di uno strato di pelle della fronte di Michael Slade, ha rivelato che il giovane uomo d'affari possiede tre occhi. Il signor Slade, intervistato all'ospedale dove è stato condotto da un automobilista di passaggio, ci è sembrato abbastanza su di morale, ma non ha saputo offrire alcuna spiegazione circa la presenza del terzo occhio. «Ho sempre avuto quel punto più tenero, sulla fronte», ha detto. «Quest'occhio sembra un'appendice del tutto inutile, comunque. Non riesco a immaginare il motivo per cui la Natura lo abbia messo nella mia fronte.» Ha ammesso che, molto probabilmente, si sottoporrà a un'operazione di plastica, per ricoprire l'occhio e suturare la ferita. «La gente», ha detto, «va al circo, quando vuole vedere i fenomeni viventi. In tutti gli altri casi, non ha alcun desiderio di vederli.» La scoperta di un uomo con tre occhi nella nostra cittadina ha prodotto una certa eccitazione nei circoli scientifici locali. All'istituto Tecnico, il professor Arthur Trainor, insegnante di biologia, ha avanzato l'ipotesi che possa trattarsi di una mutazione, oppure che il terzo occhio fosse un tempo comune a tutti gli esseri umani, e che perciò il caso di Slade potrebbe essere una regressione. Secondo il professor Trainor, però, la seconda ipotesi parrebbe confutata dal fatto che due occhi sono sempre stata la norma, in tutto il regno animale. Naturalmente, ha aggiunto il professore, è sempre esistita la ghiandola conosciuta con il nome di occhio pineale. Il dottor Joseph McIver, oculista, ha affermato che sarebbe un esperimento di vivissimo interesse tentare di riportare tutti e tre gli occhi a una vista perfetta. Ha ammesso che l'impresa sarebbe difficile, poiché il terzo occhio del signor Slade riesce a malapena a percepire la luce, e anche perché i famosi sistemi di educazione della vista esistenti attualmente faticano già a riportare alla normalità due occhi imperfetti, e a farli lavorare perfettamente. «A ogni modo», ha concluso il dottor McIver, «il cervello umano è una
macchina strana e prodigiosa. Quando è rilassato, tutto è in perfetto equilibrio ma, quando è in stato di tensione, per qualsiasi motivo, cominciano i disturbi agli occhi, alle orecchie, allo stomaco, e ad altri organi.» Il nostro cronista ha tentato di intervistare la signora Slade, ma non è riuscito a rintracciarla. Deposizione della signora Slade davanti alla giurìa: Mi chiamo Miriam Leona Crenshaw. Sono stata la moglie di Michael Slade. Ho divorziato, e ora posso servirmi legalmente del mio cognome da nubile. Ho conosciuto Michael Slade circa sei anni fa, e non ho mai nutrito alcun sospetto sul fatto che egli non fosse un individuo perfettamente normale. Ho visto mio marito solo due volte, dopo l'incidente automobilistico che ha rivelato la sua anormalità. La prima volta è stato per supplicarlo di cambiare idea circa la sua decisione di tenere visibili tutti e tre gli occhi. Ma lui era rimasto profondamente colpito dal commento di un oculista locale, apparso sulla stampa, a proposito della possibilità di riuscire a recuperare la vista per tutti e tre gli occhi. E pensava che ormai la pubblicità intorno all'avvenimento era stata così vasta, che qualsiasi tentativo di nasconderlo si sarebbe rivelato inutile. Questa decisione è stata l'unica ragione della nostra separazione, ed è stato per firmare i documenti di separazione che l'ho visto per la seconda volta dopo l'incidente. Non so nulla, in particolare, degli eventi successivi. Non ho neppure visto il cadavere. Dopo che mi avevano descritto le condizioni nelle quali era stato trovato, non ho voluto vederlo. Slade era seduto in attesa dell'oculista, e stava guardando i cartelli. Il sole illuminava il cartello più vicino, ma Slade era in ombra, comodamente disteso su una sedia a sdraio. Rilassamento completo... era quello il segreto. Solo che, dopo quasi tre mesi di tentativi e di applicazioni di quello che lui trovava sui libri, i progressi erano stati relativamente piccoli. Si udirono dei passi sulla ghiaia del vialetto. Slade sollevò lo sguardo per osservare, con curiosità, lo specialista. Il dottor McIver era un uomo alto, dai capelli grigi, di cinquantacinque anni o poco più; Slade, senza occhiali, riusciva a vedere solo questo.
Il dottore disse: «Il suo uomo mi ha detto che l'avrei trovata qui». Non aspettò risposta, ma rimase calmo, apparentemente a proprio agio, accanto alla sdraio di Slade, guardando, nel prato, i tre cartelli situati rispettivamente, a un metro e mezzo, tre metri, e sei metri dal punto in cui si trovava Slade. «Bene», disse. «Vedo che conosce già i princìpi di rieducazione della vista. Vorrei che un altro miliardo di persone, tutte le persone del mondo anzi, si rendessero conto della fortuna che hanno, con una lampada da diecimila candele sospesa nel cielo a rischiarare i loro giardini. Io credo», confidò, «che, prima di morire, mi convertirò al culto degli adoratori del sole!» Slade scoprì di trovare simpatico quell'uomo. Era stato un po' dubbioso, quando aveva telefonato al dottor McIver, in quanto era riluttante a interpellare qualcuno, anche se si trattava di uno specialista, perché si occupasse del suo problema. Ma poi i suoi dubbi cominciarono a dissolversi. Spiegò il suo caso. Dopo circa tre mesi, il suo terzo occhio riusciva a distinguere la linea dei tre metri, a trenta centimetri di distanza, a ogni passo indietro la sua visione peggiorava, sproporzionatamente rispetto alla distanza. A novanta centimetri riusciva appena a distinguere la C da vedere a sessanta metri. «In altre parole», disse il dottor McIver, «la questione è soprattutto mentale, ora. La sua mente sopprime delle immagini che le sono familiari, e lei può essere ragionevolmente sicuro che le sopprime perché è stata abituata a farlo.» Si voltò, e cominciò ad aprire la sua borsa. «Vediamo», disse fiducioso, «se riusciamo a convincerla ad arrendersi.» Slade sentì che tutto il suo corpo e la sua mente si rilassavano, di fronte alla splendida sicurezza dello specialista. Era quello di cui aveva bisogno. Ormai da molto tempo, dentro di lui si erano accumulate certamente delle tensioni. Inconsciamente, doveva essere stato scosso e umiliato dalla lentezza dei suoi progressi. «Prima qualche domanda», disse il dottor McIver, alzandosi, con un retinoscopio in mano. «Ha letto tutti i giorni della stampa a caratteri piccoli? Riesce a far "oscillare" le lettere? Ha abituato gli occhi alla luce solare diretta? Bene. Cominciamo con l'occhio destro, senza premere con la mano.» Slade riuscì a leggere, a sei metri di distanza, la riga che avrebbe dovuto
essere visibile a quindici metri. Si rendeva conto del fatto che McIver era in piedi, a due metri e mezzo da lui, ed era intento a studiargli l'occhio attraverso il retinoscopio. L'oculista, alla fine, annuì. «Vista dell'occhio destro 20/50. Astigmatismo di due diottrie.» Poi aggiunse: «Si esercita a osservare il domino?». Slade annuì. Fino a un certo punto, aveva realizzato dei progressi considerevoli nel controllare lo squilibrio muscolare che provocava l'astigmatismo che colpiva tutti e tre i suoi occhi. «Vediamo ora l'occhio sinistro», disse il dottor McIver. E, qualche minuto dopo: «Vista 20/70, astigmatismo di tre diottrie. Occhio centrale, vista 3/200, astigmatismo di undici diottrie. Adesso provi a premere l'occhio con la mano». Questo esercizio produsse dei lunghi squarci di visione soddisfacente: 20/20 negli occhi sinistro e destro, e un fuggevole momento di 5/70 di vista nell'occhio centrale. «Penso che dovremmo cominciare con il tentativo per ottenere una migliore illusione di nero», disse il dottor McIver. «Vedrà degli oggetti che parranno neri alla sua immaginazione, ma erroneamente.» Cercò nella sua borsa, e ne estrasse diversi oggetti neri. Slade riconobbe un taglio di pelo nero, un altro pezzo di cotone nero, uno di lana nera, una scatola di cartone nera, della seta nera, un pezzo di metallo nero, un ornamento d'ebano intagliato a mano, e un certo numero di altri oggetti neri, familiari, che comprendevano una penna a sfera nera, una cravatta, e un libriccino con la copertina pure nera. «Li guardi bene», disse McIver. «La mente non è in grado di ricordare una particolare sfumatura di nero per più di pochi secondi. Prema forte l'occhio, e sposti la sua immaginazione da uno all'altro di questi oggetti.» Dopo mezz'ora. Slade era riuscito a migliorare notevolmente la vista di ciascun occhio. Riusciva a vedere con il terzo occhio, la grande C a sei metri di distanza, e la R e la B, sotto di essa, erano due macchie riconoscibili. Ma una vista perfetta era ancora una cosa molto, molto lontana. «Prema forte», ripeté il dottor McIver. Questa volta continuò a parlare sommessamente, mentre Slade chiudeva gli occhi. «Il nero è nero, nero. Non c'è nero all'infuori del nero. Il nero, il puro, perfetto nero, è nero, nero.» Erano parole senza senso, guidate da un disegno logico. Slade si accorse di sorridere, mentre visualizzava il nero dei diversi pezzi che McIver gli aveva messo sulle ginocchia.
Nero, pensò, dove sei, nero? Accadde così semplicemente. Nero, un nero più nero di una notte illune, senza stelle, il nero dell'inchiostro da stampa, un nero così nero da oscurare tutto ciò che di nero la mente umana aveva saputo concepire. Il nero assoluto. Aprì il suo occhio centrale, e vide la decima riga del cartello posto a sei metri. Batté le palpebre, ma l'immagine rimase, nitida e perfetta. Sorpreso, aprì anche gli altri due occhi. E, anche in questo caso, la visione non fu offuscata o distorta. Aveva 20/10 di vista in tutti e tre gli occhi. Si guardò intorno, nel giardino. E si accorse di vedere! Dapprima, la palizzata, le altre ville, i cartelli e tutti gli arbusti e cespugli, rimasero come una componente della scena. Era come guardare due quadri, uno sovrapposto all'altro, era come captare due immagini provenienti da due diverse paia d'occhi. Ma immagini che si riferivano a scene diverse. La scena familiare — il suo giardino e la collina a destra, e i tetti delle case dei vicini, che racchiudevano il suo orizzonte — aveva l'effetto di confondere l'altra scena del tutto sconosciuta. Gradualmente, però, i contorni di quest'ultima riuscirono a filtrare nel suo campo visivo. Alla sua sinistra, dove le case scendevano lungo le pendici di un grande avvallamento naturale, si stendeva un'immensa distesa paludosa, nella quale crescevano piante lucide, colorate. Alla sua destra, dove la collina aveva sempre nascosto il panorama, si vedevano dozzine di caverne, nelle cui nere aperture ardevano dei fuochi. Il fumo che proveniva dai quei fuochi si sollevava pigramente in grandi volute bianche e grigie, e aumentava la foschia che celava già in parte le ville di Morton e Gladwander, che dominavano la collina. Quelle immagini sbiadivano, sbiadivano sempre di più e, in quel momento, Slade si accorse che la collina nella quale si aprivano le nere caverne era, misteriosamente, più alta e più impervia della collina sulla quale sorgevano le case. C'era un vasto terrazzo naturale che passava davanti alle caverne. E fu su quel terrapieno che egli notò, d'un tratto, qualcosa d'altro. Degli esseri umani! Si muovevano qua e là, alcuni curvi su enormi paioli sospesi sui fuochi, altri intenti a gettare legna nei fuochi, altri ancora che sparivano nelle buie cavità naturali, per poi riemergerne poco dopo. Non erano molti, e quasi tutti avevano i lunghi capelli caratteristici delle donne,
oppure erano piccoli e parevano bambini. Il loro abbigliamento primitivo — chiaramente visibile, anche a quella distanza — rendeva innaturale la loro presenza, dava loro un aspetto fuori della realtà. Slade rimase dov'era. Aveva provato l'impulso di alzarsi, e lo provava ancora, ma era troppo presto per reagire, o anche solo per capire. Infine, ricordò che tutto quello stava accadendo grazie al miglioramento della sua vista; e questo ragionamento fu seguito da un altro pensiero: in nome della ragione, che cosa gli stava accadendo? Era ancora troppo confuso quel senso di sorpresa, quel vago impulso, e inoltre c'era sempre la scena delle caverne, che gradualmente diventava più nitida, e si sovrapponeva con forza sempre maggiore alla realtà che aveva conosciuto. Le case, con i loro giardini, erano soltanto delle immagini nebulose, tremolanti come miraggi che svanivano, come forme intraviste attraverso una nebbia fittissima. Per la prima volta Slade si rese conto che i suoi occhi, fino a quel momento, avevano tentato di assorbire entrambe le scene, ma che ora la tensione si stava allentando, e la seconda scena attirava con sempre maggiore forza la sua attenzione. La paralisi che lo aveva pervaso scomparve, e si alzò in piedi, quasi meccanicamente. Notò, con interesse crescente che, là dove terminava la palude, iniziava una prateria ondulata, chiazzata qua e là dalle macchie luminose di cespugli dai fiori giganteschi, mentre in lontananza sorgevano degli alberi che apparivano sorprendentemente alti. Tutto era chiaro, nitido e luminoso, come solo una giornata d'estate, dal sole vivido nel cielo, avrebbe potuto renderlo. Una scena splendida, lussereggiante, selvaggia, che appariva appena sfiorata dall'uomo... un intero mondo che si schiudeva davanti a lui. Era come una landa incantata, ed egli non riuscì a distogliere lo sguardo da quella scena, affascinato. Infine, con una mescolanza di meraviglia e di gioia, si voltò a guardare verso l'altro orizzonte... e, in quello stesso istante, la ragazza doveva essere uscita dalla protezione dell'albero che si trovava là. Era alta e snella. Doveva avere deciso di fare una nuotata nel torrente che si gettava gorgogliando nella palude, a pochi metri di distanza perché, a parte una cintura d'argento esclusivamente ornamentale, non indossava nulla. Aveva tre occhi, e tutti e tre quegli occhi parvero osservare e valutare Slade con sorpresa, ma senza la minima ombra di imbarazzo. C'era un'altra
cosa, nel suo atteggiamento, che appariva meno affascinante del suo aspetto, e la rendeva, anzi, vagamente detestabile. Si trattava dell'aria dominatrice di una donna abituata a pensare solo a se stessa. Slade ebbe il tempo di capire che doveva essere meno giovane di quanto sembrava. Gli occhi della donna si stavano socchiudendo. Poi parlò: poche parole scandite con una voce di contralto che pareva avere le note di un violino, parole incomprensibili, ma pronunciate in tono aspro e offensivo. Quindi cominciò a svanire. Gli alberi, la grande palude, la collina parzialmente visibile alla sua sinistra, stavano ora impallidendo rapidamente, perdendo di concretezza e sostanza. Una casa apparve attraverso il corpo della donna e, tutt'intorno, la terra che conosceva da anni ricominciò a prendere forma. Improvvisamente ci fu il giardino, e lui si trovò in piedi accanto alla sedia a sdraio. C'era il dottor McIver, che voltava le spalle a Slade, e guardava dietro l'angolo della casa. L'oculista si voltò, e il suo volto si rischiarò, alla vista di Slade. «Dov'è andato?», domandò. «Le ho voltato la schiena per un momento, e lei è sparito senza dire una parola.» Slade non gli rispose immediatamente, aveva un dolore intollerabile negli occhi, che gli bruciavano come fuoco. Il dolore continuò e aumentò ancora. Deposizione del dottor McIver davanti alla giuria: Ho avuto contatti personali con Michael Slade per un periodo di circa due mesi e mezzo. Per un'ora al giorno, l'ho assistito nel suo tentativo di rieducazione della vista. È stato un procedimento lento e, dopo un'apparente guarigione verificatasi il primo giorno, ha avuto un peggioramento insolitamente grave. Quando gli ho chiesto se aveva notato degli effetti particolari, durante il breve periodo di vista normale, ha esitato a lungo, e poi si è limitato a scuotere il capo. Alla fine del periodo di dieci settimane, il suo terzo occhio aveva una vista di appena 10/400. Allora Slade ha deciso di andare per un po' di tempo, in vacanza, nella sua tenuta di campagna di Canonville, nella speranza che gli ambienti conosciuti durante l'infanzia avessero il potere di far rilassare la sua tensione, permettendo così alla cura di avere effetto. Da quanto mi è stato detto, credo di capire che abbia fatto ritorno a ca-
sa sua, successivamente, ma io non l'ho più rivisto fino al momento in cui sono stato chiamato a vedere il suo cadavere, praticamente irriconoscibile, all'obitorio. 2. Faceva molto freddo, il primo giorno trascorso alla fattoria. Un sottile vento di settembre soffiava sui pascoli, quando Slade vi prese alloggio, sistemando all'intorno i suoi cartelli. Guardò verso il sole, che era già basso sulla linea dell'orizzonte, perché era arrivato tardi alla fattoria. Sospirò: il giorno era ormai al termine. Eppure, doveva essere quello il giorno. Dentro di lui quell'idea era forte, incoercibile. Era ancora convinto, quel pomeriggio, che sarebbe riuscito facilmente a rievocare dal suo passato i giorni d'incanto trascorsi, nella sua infanzia, alla fattoria. Si ripeté che il giorno doveva essere quello: domani, se oggi avesse fallito, dubbi e incertezze si sarebbero di nuovo impadroniti di lui. Poi, in un angolo della sua mente, c'era sempre quel senso di inquietudine, quel vago timore legato al ricordo dei cavernicoli. Il pensiero di potersi trovare a portata di lancio di una tribù primitiva, gli dava una certa sensazione di riluttanza. Una pietra avrebbe potuto colpirlo senza che lui se ne accorgesse. Nella vasta prateria dove si trovava ora, invece, era diverso. Non era molto probabile che nei paraggi potessero trovarsi abitanti di quel mondo, certamente semideserto. Se la mente vuol vedere una cosa, pensò Slade, e questa esiste, può vederla. Perciò, lui stava cercando di ricreare quelle condizioni particolari grazie alle quali, sperava, la sua mente avrebbe di nuovo provato il desiderio di vedere. Strinse con forza gli occhi, e provò a guardare il cartello con il solo occhio centrale. Alla distanza di sei metri, riuscì a vedere la grande C. La R e la B, che si trovavano subito sotto, erano un'unica macchia confusa. L'altra riga, con le lettere T, P, F, era nulla più che un grigiore indistinto. Non poteva certo dire di aver migliorato molto. Cercò di nuovo di aguzzare la vista. Il globo oculare, secondo i teorici della rieducazione della vista, era un organo rotondo, che si allungava per la visione a breve distanza, e si schiacciava per la visione a lunga distanza. Alcuni studiosi erano disposti ad ammettere la possibilità che i muscoli delle ciglia potessero, inoltre, cambiare entro un certo limite la forma della
lente. Ma, qualunque fosse la spiegazione che si celava dietro la realtà — e la realtà era che il sistema funzionava — se i muscoli erano tesi innaturalmente, la vista era pessima. Il fatto che quei muscoli fossero controllati dall'immaginazione, una parte della mente difficile da rieducare, rendeva il problema ancor più complicato, per una persona che avesse portato per molto tempo gli occhiali, o avesse dei disturbi agli occhi. La soluzione, pensò Slade, è in me. Mi sono liberato di tutto l'astigmatismo nell'occhio destro e nell'occhio sinistro, eppure il mio occhio centrale continua a essere astigmatico, a volte fin quasi al limite della cecità. Il suo problema era un problema della mente. Il suo occhio aveva dimostrato di essere capace normalmente. Circa un'ora prima del tramonto, il suo cervello rifiutava ancora di funzionare per quanto riguardava il suo terzo occhio. Forse, pensò Slade, se andassi nei diversi punti dei quali ho dei ricordi d'infanzia più vividi, potrei trovare l'atmosfera e... Prima di tutto, il torrente sulle cui rive si era nascosto tante volte tra i cespugli, osservando le automobili che viaggiavano veloci verso le loro remote e meravigliose destinazioni. L'erba era alta e folta là dove un tempo l'aveva schiacciata con il suo corpo di bambino. S'inginocchiò sull'erba, e respirò il profumo penetrante della natura. Appoggiò il viso su quel tappeto fresco, fragrante, morbido, e giacque immobile, accorgendosi della stanchezza che lo pervadeva, e del peso degli sforzi prolungati che aveva compiuto nei mesi passati. Sono uno stupido? Un pazzo? si domandò. Ho rinunciato a mia moglie, ho rotto i ponti con tutti i miei amici, solo per seguire una fantasia, un'illusione? E lui aveva visto realmente quell'altro mondo, o era stata un'illusione fantastica, creata dalla sua mente durante un radicale riadattamento organico? La sua depressione aumentò. Il sole tramontò, e il crepuscolo stava già lasciando il passo alle tenebre della notte, quando s'incamminò nuovamente lungo la riva del torrente, voltando le spalle all'erba e all'acqua, e dirigendosi verso la fattoria. Nel buio, era difficile trovare il sentiero, e così si mise ad attraversare il pascolo, incespicando, a volte, nell'erba folta che cresceva più alta in certi punti. Riusciva a scorgere la luce della finestra della fattoria, ma gli pareva più lontana di quanto ricordasse. Nell'accorgersi di questo, fu pervaso da
una iniziale sensazione di allarme, ma fu solo dopo altri cinque minuti che una paura più concreta discese sopra di lui. La palizzata! Avrebbe dovuto raggiungere la palizzata già da molto tempo. La luce pareva trovarsi a poche centinaia di metri, ormai, quando si arrestò bruscamente. Lentamente, Slade scivolò a sedere sull'erba. Deglutì, e poi pensò: È ridicolo. Non può trattarsi che di un'illusione. Ma provava un senso di vuoto alla bocca dello stomaco, mentre cercava di penetrare con lo sguardo l'oscurità fittissima che lo circondava. Non c'era la luna, e dovevano esserci delle nubi dense nel cielo, perché non si vedeva neppure una stella. La luce, ormai vicina, ardeva nebulosa, ma vivida. Non riusciva, però, a illuminare l'edificio dal quale usciva. Slade fissò la luce, pervaso da un senso di crescente meraviglia, mentre la sua tensione si allentava di fronte al pensiero che probabilmente sarebbe stato facile ritornare sulla Terra. Dopotutto, lui era arrivato là semplicemente pensandoci. Avrebbe quindi potuto tornare indietro senza troppa fatica. Allora si alzò in piedi, e cominciò a camminare verso la luce. Man mano che questa si avvicinava, l'impressione che provenisse dal vano di una porta si fece più forte. Confusamente, riuscì a distinguere qualcosa... e vide che la porta era incastonata in una superficie curva di metallo che si alzava fino a sparire nel buio. Il metallo era opaco, cupo, e si confondeva nell'oscurità senza permettere di intuire neppure vagamente la forma dell'intera costruzione. Giunto a circa trenta metri dall'entrata, Slade esitò. Era ancora più affascinato di prima dal mistero, ma il suo desiderio di investigare si andava affievolendo. Non in quel momento, almeno, in quella notte tenebrosa, e su di un piano di esistenza totalmente alieno. Avrebbe fatto bene ad aspettare fino al mattino, eppure, aveva l'inquieta convinzione del fatto che, prima dell'alba, le tensioni avrebbero ripreso il sopravvento, nella sua mente. Mi basterebbe bussare alla porta, pensò. Dare un'occhiata dentro, e poi, sparire di nuovo nell'oscurità. La porta era di metallo, e così solida che le sue nocche produssero soltanto un suono lieve. Aveva delle monete d'argento in tasca, e le usò: rimbalzarono sul metallo, producendo un tintinnio sonoro. Istantaneamente, si ritrasse nell'ombra e aspettò. Il silenzio si fece terribile, intollerabile, come una cappa che scendeva su
di lui per soffocarlo. Una notte tenebrosa e silenziosa, in una landa primitiva abitata da cavernicoli e... E da che altro? Quella non era una residenza per cavernicoli. Era possibile che lui fosse giunto su un piano della Terra completamente diverso da quello nel quale aveva visto la ragazza nuda? Si ritrasse ancor più nell'ombra, allontanandosi dalla sorgente luminosa. Incespicò, e cadde all'indietro. Rialzandosi faticosamente, dopo aver appoggiato a terra un ginocchio, cercò a tentoni l'oggetto sul quale era inciampato. Metallo. Questo gli diede un brivido di autentico interesse. Cautamente, premette il bottone della sua torcia elettrica, ma lo strumento non si illuminò. Slade imprecò, sommessamente, e cercò di tirare a sé l'oggetto metallico che si trovava sul terreno. Ecco il guaio. Era nel terreno. Ed era piantato saldamente. Pareva una ruota collegata a una scatola metallica, anche se non poteva esserne sicuro. Stava ancora toccando l'inesplicabile oggetto, tirando e spingendo alternativamente, e procedendo per tentativi, quando cominciò a piovere. La pioggia lo indusse a cercare riparo sotto i più vicini arbusti, ma aumentò d'intensità, fino a quando dai rami sovrastanti non cominciò a scendere un vero torrente d'acqua sul suo corpo intirizzito. Slade accettò il suo destino, e ritornò verso la porta. Cercò di muovere la maniglia, e spinse. La porta si aprì immediatamente. L'interno era vivamente illuminato: si trattava di un lungo, ampio corridoio, di metallo lucido. A circa trenta metri di distanza, l'enorme corridoio terminava in un altro corridoio laterale. C'erano tre porte, su ogni lato del corridoio. Slade tentò di aprire le porte, una dopo l'altra. La prima dava su una stanza lunga e stretta, che era un unico, splendido specchio azzurro. Almeno, sembrava uno specchio. Poi si accorse che stelle sfolgoravano scintillanti, nelle profondità azzurre. Slade chiuse subito la porta. Non che avesse paura, ma la sua mente aveva esitato, incapace di interpretare ciò che stava vedendo. La sua comprensione di quel mondo era ancora troppo precaria perché si sottoponesse a simili, incomprensibili misteri. Attraversò il corridoio, per tentare con la prima porta alla sua sinistra. La porta si aprì, mostrando una sala lunga e stretta, piena per metà di casse ammonticchiate, piene di generi vari. Alcune erano aperte, e il loro conte-
nuto era sparso sul pavimento. Davanti ai suoi occhi scintillavano degli strumenti, e una quantità incomprensibile di oggetti complicati, di tutte le misure. Alcune delle casse erano state appoggiate da un lato, apparentemente senza alcun criterio logico, come se chi aveva frugato nella stanza avesse cercato un pezzo particolare. Slade chiuse anche quella porta, perplesso, senza provare alcuna sensazione pericolosa, questa volta. Un deposito era una cosa riconoscibile, e la sua mente l'accettava senza aver bisogno d'identificare anche ciò che si trovava nelle casse. Le due porte centrali rivelavano degli ambienti analoghi. Macchine massicce torreggiavano fino a tre quarti delle pareti. Malgrado le dimensioni, Slade riconobbe le macchine per quello che erano. Per più di un anno tutti i giornali e le riviste degli Stati Uniti avevano mostrato dei disegni e delle foto dei motori atomici costruiti all'Università di Chicago, per alimentare dei razzi spaziali. Il disegno era leggermente diverso, ma l'aspetto generale era inconfondibile. Slade si affrettò a chiudere le porte, una dopo l'altra. E rimase fermo nel corridoio, del tutto insoddisfatto della situazione. Un'astronave posata su una brughiera solitaria in un piano d'esistenza alieno illuminata vividamente all'interno, e una luce solitaria all'esterno, come un faro nella notte, lasciato per attirare i viandanti come lui, offrendo un momentaneo riparo dalle tenebre: poteva essere vero tutto quello? Slade ne dubitava, e provò, d'un tratto, la fredda sensazione di essere entrato, con la forza di volontà, in un incubo, e che tra pochi istanti si sarebbe svegliato nel suo letto, sudato, inquieto e tremante. Ma gli istanti passarono, e non ci fu risveglio. Gradualmente, la sua mente accettò il silenzio, il breve momento di panico sbiadì, e allora provò ad aprire la quinta porta. Questa si aprì sull'oscurità. Slade si ritrasse subito. I suoi occhi si abituarono alle ombre, e così, dopo pochi secondi, poté scorgere la figura. Era appoggiata alla parete più buia, e lo fissava attentamente, con tre occhi che scintillavano luminosi nel riflesso vago del corridoio. Slade ne ebbe una visione fuggevole, e la sua mente, subito dopo, rifiutò di accettare quello che vedeva. Istantaneamente, l'astronave e la luce svanirono. Lui cadde per circa un metro su un pendio erboso. A mezzo miglio di distanza, vide brillare una luce giallastra. Poco dopo scoprì che si trattava della fattoria. Era ritornato sulla Terra. Slade rimase nella fattoria, in preda all'indecisione. La vista di tutti e tre
i suoi occhi era peggiorata notevolmente questa volta, e inoltre si sentiva terribilmente scosso. Non poteva trattarsi della stessa donna, si disse. In piedi là, nell'oscurità di un corridoio di un'antica, apparentemente abbandonata astronave, sembrava la stessa giovane donna... che lo aveva spiato. Eppure, la somiglianza con la giovane cavernicola nuda era balzata così evidente, alla sua mente, che immediatamente si sentì sottoposto a una tensione anormale. La sua mente dimostrava di averla riconosciuta, con la stessa velocità con cui aveva respinto la logica della sua presenza. La domanda era semplice. Doveva continuare le sue esercitazioni per la vista? Per un mese intero, camminò inquieto, passeggiando lungo tutto il terreno della fattoria, incapace di prendere una decisione. E la ragione principale della sua indecisione era la comprensione del fatto che il suo ritorno al mondo delle persone con due occhi non era stato assolutamente necessario. La vista normale era il prodotto di molti fattori di equilibrio, non solo mentali, ma anche fisici. Dei muscoli indeboliti dagli occhiali, o dal disuso, mancavano della resistenza necessaria a resistere agli impulsi della mente, che erano terribilmente rapidi. Appropriatamente rinforzati, quei muscoli avrebbero potuto sopportare delle emozioni più violente di quelle che lui aveva sperimentato. Una donna demoniaca, pensò. In agguato nell'ombra di un'astronave fantasma in una landa spettrale. Non era più sicuro di voler tornare su quell'altro piano di esistenza... di volersi mettere nelle mani di una donna che sapeva della sua presenza, e che cercava di adescarlo. Dopo un mese, la prima neve imbiancò le colline. Ancora indeciso, Slade ritornò in città. Testimonianza del professor Gray: Mi chiamo Ernest Gray, e sono Professore di Lingue. Qualche tempo fa... non ricordo la data esatta... ho ricevuto una visita di Michael Slade. Apparentemente, lui aveva trascorso un certo periodo nella sua fattoria e, ritornando nella sua casa di città, aveva scoperto che, durante la sua assenza, una donna con tre occhi aveva visitato la sua casa. Da quanto il signor Slade mi disse, mi è sembrato di capire che il suo domestico avesse fatto entrare in casa la donna: apparentemente, si trattava di una donna dalla personalità spiccata e dominatrìce... e le ha per-
messo di rimanere per cinque giorni, come ospite. Alla fine di questo periodo, il giorno prima del ritorno del signor Slade, la donna è partita, lasciando nella casa una decina di dischi e una lettera. Il signor Slade mi ha mostrato la lettera. Benché essa debba essere mostrata alla giuria, come prova separata, penso di includerla nella mia testimonianza, per chiarire quanto sto affermando. La lettera era così concepita: Caro signor Slade, Desidero che lei usi i dischi per imparare la lingua di Naze. La registrazione chiave si dissolverà entro un periodo di due settimane dal momento della prima esecuzione, ma per tutto questo periodo dovrebbe aiutarla ad acquistare una completa padronanza del Nazia. La situazione di Naze è estremamente semplice, come scoprirà da solo, ma anche estremamente pericolosa. Ecco cosa dovrà fare. Non appena avrà imparato la lingua, vada in macchina fino alla pianura che si trova due miglia a Ovest della città di Smailes, e parcheggi l'automobile accanto a un granaio abbandonato, che sorge a qualche centinaio di metri dalla strada; faccia questo alla mezzanotte di qualsiasi notte vorrà scegliere. Ogni volta che si avventurerà a Naze, si guardi da Geean e dai Cacciatori della città. Leear Quando il signor Slade mi ha portato i dischi, il disco principale era già mancante della registrazione ma, dopo aver ascoltato quelli rimasti, sono in grado di dire, con piena cognizione di causa, che il linguaggio in oggetto è un codice, probabilmente una creazione della gente con tre occhi, per effettuare delle comunicazioni segrete tra di loro. Presumo, ora che è apparsa una donna con tre occhi, che nel mondo esistano diversi mostri di questo tipo. La mia prima reazione è stata che il nome, Naze, potesse avere qualche collegamento con il Partito Nazista, ma la pronuncia della parola, così come è fornita dai dischi, è completamente diversa, e somiglia moltissimo a neis, con una s molto prolungata. Disgraziatamente, la registrazione-chiave è andata distrutta. Senza questa chiave, è impossibile tradurre una lingua che, in ultima analisi, non è altro che il prodotto dell'immaginazione di un gruppo di neurotici con tre occhi.
Mi dicono che il cadavere del signor Slade è stato trovato vicino alla città di Smailes, a circa un miglio dal vecchio granaio del quale si parlò nella lettera della donna di nome Leear. Ma non so niente di questi particolari, e personalmente non ho visto il cadavere. 3. Per un po', Slade non si mosse dal volante. Soltanto all'approssimarsi della mezzanotte uscì dall'auto per andare a esaminare il granaio alla luce di una torcia elettrica. L'interno era completamente vuoto, senza alcuna attrezzatura, e incrostato di sudiciume, come aveva già notato nel pomeriggio, quando vi si era recato per una prima, rapida esplorazione. I campi si allargavano nel buio, oltre la portata della sua torcia. Nel cielo, a Est, si librava una falce di luna, e le stelle brillavano di luce pallida; la luminosità non era sufficiente a fargli vedere il paesaggio all'intorno. Guardò l'orologio. Sul quadrante, lesse le 11 e 35. Presagendo che l'ora era vicina, provò un'emozione foltissima. Tra cinque minuti — pensò — lei sarebbe venuta. Non poteva impedirsi di provare un certo timore. Ancora una volta, si pentì d'essere venuto. Si disse che era stato uno sciocco, davvero uno sciocco, ad avventurarsi in quel luogo solitario, a spingersi fino in quella fattoria abbandonata dove, se avesse gridato aiuto, non avrebbe suscitato altro che qualche eco beffarda fra le colline che circondavano la pianura. Certo, aveva portato una pistola: ma sapeva che prima di usarla avrebbe esitato. Si scosse. Era stata una mossa astuta, da parte della donna chiamata Leear, quella di non fornirgli una data precisa per il suo arrivo. Una notte qualsiasi, a mezzonotte, aveva detto. Aveva certo capito che questo avrebbe fatto colpo sulla mente dell'unico uomo con tre occhi sulla Terra. Se avesse precisato non soltanto il luogo, ma anche il giorno, probabilmente lui avrebbe deciso di non farsi vedere. Ma a quell'appuntamento così indefinito aveva vinto le sue resistenze. Ogni giorno che era passato da allora gli aveva portato il medesimo problema: sarebbe andato, quella notte? Oppure no? Ogni giorno, i pro e i contro, con tutte le loro sfumature emotive, avevano tormentato la sua mente e il suo corpo, trasformandoli in campi di battaglia. E, alla fine, aveva deciso che quella donna non gli avrebbe insegnato la lingua di Naze per fargli del male proprio la notte in cui lui si fosse presentato all'appuntamento.
La donna era interessata a lui. Ciò che voleva era tutt'altro discorso, ma, essendo ciò che lui era, e cioè un uomo con tre occhi, non poteva fare a meno, a sua volta, d'interessarsi a lei. Se parlandole, quella notte, lui avesse potuto ottenere delle informazioni, il rischio sarebbe stato più che giustificato. Comunque, nel bene o nel male, ora lui era là. Slade infilò in tasca la torcia elettrica, e osservò di nuovo il quadrante luminescente del suo orologio. Ancora una volta, ma assai più sottilmente, l'emozione lo paralizzò. Era mezzonotte esatta. Il silenzio era intenso, quasi palpabile. Lui aveva spento i fari dell'auto. Ora, improvvisamente, temette di aver commesso un errore. Le luci avrebbero dovuto rimanere accese. Fece per ritornare all'auto, ma si fermò. Cosa gli succedeva? Non era quello il momento più adatto per lasciare il riparo offerto dal granaio. Indietreggiò lentamente, fino a quando il suo corpo non toccò il muro. Rimase là, immobile, accarezzando la sua pistola. Aspettò. Il suono che gli giunse quasi subito non era neppure un suono, in realtà. L'aria, che era stata immobile e quieta, d'un tratto era mutata, si era fatta lievemente mossa. Ma la brezza non era normale. Veniva dall'alto. Dall'alto! Con un sussulto, Slade sollevò lo sguardo. Ma non vide niente. Nessun movimento era visibile sullo sfondo scuro, blu-notte, del cielo. Provò un senso di tensione, un brivido pungente, un senso dell'ignoto più intenso di qualsiasi cosa lui avesse mai sperimentato, e poi... «La cosa veramente importante, Michael Slade», disse la voce familiare, armoniosa di Leear, che usciva dall'aria in un punto che si trovava quasi esattamente al di sopra del suo capo, «è che lei rimanga vivo, durante le prossime ventiquattro ore, durante le quali si troverà nella città di Naze. Sia prudente, accorto, e non faccia delle ammissioni inutili su quello che sa o che non sa. Buona fortuna.» Ci fu un lampo di luce abbagliante, da un punto che si trovava quattro metri più in alto. Slade batté le palpebre, e impugnò la pistola. Poi rimase immobile, teso, e si guardò intorno, come un animale in trappola. Il granaio era scomparso insieme alla sua automobile e al campo. Si trovava sulla strada di una città. Degli edifici torreggiavano cupamente tutt'intorno a lui: sagome alte, torri e guglie che salivano verso una foschia di luce violetta, che celava in parte il cielo notturno, più in alto. La luce si stendeva, come una grande cupola ricurva, da un'altissima audace guglia,
che sorgeva in lontananza. Con un solo sguardo, Slade assorbì tutti quei particolari. E, mentre guardava, comprese ciò che gli era accaduto. Era stato trasportato nella città di Naze. Dapprima la strada gli parve deserta, e il silenzio assoluto. Ma poi, rapidamente, i suoi sensi cominciarono ad abituarsi. Udì un suono debole, vago, come se qualcuno avesse bisbigliato qualcosa a qualcun altro. Lontano, lungo la strada, una figura indistinta, poco più di un'ombra, attraversò rapidissima la strada, e svanì nelle tenebre, accanto a una torre. Slade capì, con un acuto senso di disagio, che la sua posizione, là, al centro della strada, lo metteva in netto svantaggio. Cominciò a muoversi silenziosamente verso il marciapiede alla sua destra. Il selciato era diseguale: per due volte incespicò, e per poco non cadde. L'oscurità ancora più fitta che si apriva sotto un albero lo avvolse e, aveva appena raggiunto quella macchia d'ombra, quando udì un grido acuto, umano, a circa cinquanta metri di distanza da lui. Il suono era lacerante. Con un movimento spasmodico, Slade si gettò al suolo, sollevando contemporaneamente la pistola. Rimase là, perfettamente immobile. Aspettò. Il suo cervello impiegò qualche istante, prima di riprendere a funzionare normalmente. E passarono altri lunghi secondi, prima che potesse individuare la direzione di quella che, ora, era diventata una lotta rumorosa. Gridi, mugolii e urla soffocate, giungevano dall'oscurità. Tutti quei suoni terminarono bruscamente, e a essi seguì uno strano silenzio. Era come se i contendenti fossero esausti per la lotta, e stessero riposando. Oppure... cosa molto probabile... stavano silenziosamente, e avidamente, frugando la loro vittima. La mente di Slade ebbe così il tempo di rimettersi al passo con i suoi riflessi. Il suo primo pensiero fu di sbalordimento, sorpresa. In che cosa si era imbattuto? Rimase immobile stringendo la pistola e, dopo un momento, gli arrivò il secondo pensiero: Così questa è la città di Naze. Brevemente, allora, si sentì sopraffatto. Pensò: Come ha potuto farlo lei? Come è riuscita a trasportarmi qui? Ricordava che c'era stato un lampo di luce. E istantaneamente lui si era trovato a Naze. La donna doveva essersi servita degli stessi mezzi meccanici usati per trasferirsi sul piano della Terra. Doveva trattarsi di uno strumento, la cui
luce influenzava in qualche modo i centri visivi dietro ciascun occhio. Apparentemente, non c'erano altre spiegazioni logiche, e quella constatazione, con l'ulteriore esempio dell'astronave, indicava una scienza estremamente progredita, che comprendeva una totale comprensione del sistema nervoso umano. La domanda era: l'effetto della luce sarebbe stato permanente? O si sarebbe esaurito? Il suo pensiero fu interrotto da un grido di collera. «Dacci la nostra parte di sangue, sporco...» Le parole erano state gridate nella lingua di Naze, e Slade le capì tutte, a eccezione dell'ultima. Fu quella comprensione facile, istantanea, che lo emozionò per un momento. Poi nella sua mente penetrò anche il significato. Sangue. Una parte di sangue. Nel suo nascondiglio, Slade pensò per un momento di non avere capito bene. Il dubbio cessò nel momento in cui un'altra voce, ancora più infuriata, gridò: «Quel ladro ha un contenitore doppio. Ha avuto il doppio di sangue, rispetto a noi». Una terza voce, evidentemente quella dell'accusato, gridò: «È una menzogna». L'uomo dovette accorgersi del fatto che la sua negazione non sarebbe stata accettata. Dei passi si avvicinarono di corsa, lungo la strada. Un uomo alto, che respirava affannosamente, passò davanti a Slade, correndo. Dietro di lui, vicinissimi, arrivarono altri quattro uomini, tutti più piccoli del primo. Passarono correndo accanto al punto in cui Slade era nascosto, forme vaghe, simili a forme umane, che svanirono rapidamente nella notte. Per circa un minuto egli poté udire il rumore dell'inseguimento poi, a un certo punto, si udì una violenta imprecazione. Il suono svanì, com'era svanita la visione. Ci fu silenzio. Slade non si mosse. Si rendeva conto, ora, di ciò che aveva visto e udito. Un morto, prosciugato di tutto il sangue, doveva giacere sulla strada a poche centinaia di metri da lì. Si rendeva conto che... Naze, di notte, era una città di Vampiri. Passò un minuto, e poi due. E nella mente di Slade si formò un pensiero: Ma che cosa ci sto a fare io, qui? Per quale motivo sono qui? Ricordò quello che gli aveva detto la donna, Leear, un attimo prima che il lampo esplodesse sopra di lui.
«La cosa veramente importante, Michael Slade, è che lei rimanga vivo durante le prossime ventiquattro ore, durante le quali si troverà nella città di Naze.» Ventiquattro ore! Slade rabbrividì. La donna si aspettava forse che lui restasse a Naze, per un giorno e una notte, senza altre istruzioni, all'infuori di quella di sopravvivere? Senza alcuno scopo, senza alcun luogo ove andare, niente, all'infuori di... quello! Se almeno ci fossero state delle luci, nella strada. Ma non se ne vedevano, in nessuna direzione. Non che l'oscurità fosse totale. Un chiarore alieno aleggiava cupo intorno a lui, qualcosa di totalmente diverso dal chiarore stellare che illuminava le città della Terra, di notte. Il cielo aveva un pallido riverbero dove la nebbia violacea scendeva dalla torre centrale, e si vedevano delle luci balenanti, provenienti da finestre che erano strette fessure, e si aprivano nelle mura di almeno una decina di torri, intorno a lui. Sì, l'oscurità non era totale, e in un certo senso questo avrebbe potuto essere un vantaggio, per lui. Era chiaro, apparentemente, che non poteva rimanersene rannicchiato a terra, là dov'era adesso. E l'oscurità avrebbe offerto una buona protezione, a un inquieto esploratore di una città sconosciuta. Si alzò in piedi, e stava per uscire dall'ombra più fitta dell'albero, quando una donna lo chiamò, sommessamente, dall'altra parte della strada. «Signor Slade.» Slade s'immobilizzò, raggelato. Poi si voltò per metà. E quindi capì di essere stato chiamato per nome. Il sollievo enorme che provò in quell'istante lo lasciò estremamente debole e scosso. «Qui!», bisbigliò raucamente. «Sono qui!» La donna attraversò rapidamente la strada. «Mi dispiace essere in ritardo», mormorò, ansiosamente. «Ma ci sono tanti Cercatori di Sangue nelle strade. Mi segua.» I suoi tre occhi lo fissarono, scintillanti nel pallido riverbero violetto della nebbia. Poi si voltò, e s'incamminò rapidamente lungo la strada. Fu solo nell'istante in cui Slade, obbediente, cominciò a seguirla, che si rese conto, con immensa sorpresa, che quella donna non era Leear. Veloci e silenziosi, Slade e la sua misteriosa guida si addentrarono sempre più nei meandri della città. Salirono una delle scale più buie che Slade avesse mai visto, poi si fermarono davanti a una porta. La ragazza bussò, con colpi precisi, misurati.
Tre volte piano, due più in fretta, e poi un'altra volta dopo una breve pausa. L'attesa fu lunga. Mentre aspettavano, la ragazza disse: «Signor Slade, noi tutti desideriamo ringraziarla per la sua venuta... per i rischi che sta correndo. Faremo del nostro meglio, per farle conoscere Naze nella maniera appropriata. Speriamo che questa volta l'astronave sia in grado di distruggere la città». «Ah!», mormorò Slade. L'esclamazione avrebbe potuto tradirlo, ma all'ultimo istante la sua mente si rese conto del pericolo che avrebbe corso, manifestando la sua sorpresa. Così il suono fu un bisbiglio sommesso, incomprensibile. Si udì lo scatto di una serratura. La porta si aprì di una stretta fessura. Sul pianerottolo apparve una luce vivida. La luce rivelò una donna grassa e pesante, che si dirigeva lentamente, faticosamente, verso una sedia. Quando fu entrato, Slade si guardò intorno. La stanza era lunga e ampia. Date le sue dimensioni, era arredata con una semplicità che pareva quasi povera. C'erano tre divani e due poltrone, dei tavolini, dei tavoli, delle sedie, e dei tappeti. Le tende sarebbero state adatte, un tempo, al gusto della sua ex moglie, Miriam. Un tempo? Sì, tantissimo tempo prima, decise Slade, dopo una seconda occhiata. Quelle tende, apparentemente, dovevano essere state costose una volta. Ma ora erano così vecchie e così malridotte, da apparire fuori luogo. Slade permise che la sua mente stanca isolasse sullo sfondo l'ambiente che lo circondava. Attraversò la stanza, e sedette su una sedia, di fronte alla vecchia; ma i suoi occhi guardarono la ragazza. La ragazza che si era fermata a pochi passi da lui, stava in piedi, e gli sorrideva. Si trattava di una giovane donna snella, dalla carnagione olivastra, e aveva un sorriso orgoglioso. Slade disse: «Devo ringraziarla io, per il rischio che lei ha corso». La ragazza scosse il capo, e sorrise ancora. «Immagino che vorrà andare a letto, ora. Ma prima, desidero presentarle Caldra, la Pianificatrice. Caldra, questo è Slade dell'astronave.» Eccola là la frase, definitiva, inequivocabile. Dell'astronave. Lui, Michael Slade! Leear, certamente, dava per scontate troppe cose. La vecchia lo stava guardando con occhi strani, apparentemente torpidi. L'impressione generale di lentezza, in quella figura, era così netta, che Slade la scrutò attentamente per la prima volta. Gli occhi della vecchia erano del colore del piombo, e il suo volto era assolutamente privo di colore, di
un pallore innaturale. Livida, apparentemente priva di vitalità, lei lo stava fissando. E gli disse, con voce spenta, e lenta: «Signor Slade, è un piacere conoscerla». Non era un piacere per Slade, però. Dovette compiere uno sforzo, per controllare l'espressione di disgusto, di avversione, che minacciava di apparirgli sul volto. Già una volta, al massimo due, in tutta la sua vita, una persona lo aveva colpito a quel modo, ma nessuno di quei casi era stato così intenso... perché la sensazione spiacevole che gli provocava la visione di quella donna era irripetibile. Metabolismo lento, pensò, forse un cattivo funzionamento della tiroide. Questa spiegazione allentò un poco la sensazione spiacevole, e rese quella presenza meno repellente, per lui. Liberò la sua mente. Ricordò in quale modo la vecchia era stata chiamata dalla ragazza: Caldra, la Pianificatrice. Si rilassò lentamente, e concesse mentalmente alla ragazza un certo credito, per quella definizione. Probabilmente, Caldra era abilissima nel preparare i piani. I cervelli lenti potevano essere estremamente accurati e precisi. Il suo interesse cominciò a diminuire. La tensione dell'esperienza vissuta pesava su di lui, in quel momento... un peso che si abbatteva ora in tutta la sua intensità. Quando aveva vent'anni, era stato un frequentatore di locali notturni, e amava rimanere sveglio fino all'alba. A trent'anni aveva cominciato ad andare a letto alle dieci precise, provocando il disgusto di Miriam. La mezzanotte, solitamente, lo trovava assonnato, incapace di reggersi in piedi. E adesso erano... diede un'occhiata all'orologio... sì, mancavano cinque minuti all'una. Lanciò uno sguardo alla ragazza, e disse: «Sì, ho proprio bisogno di un letto». Mentre la ragazza lo guidava verso la porta che dava su un corridoio, la donna più anziana borbottò: «Le cose si stanno delineando. Ben presto, l'ora della decisione sarà su di noi». Nell'istante in cui Slade varcò la soglia, la vecchia aggiunse qualcosa, con una voce che serbava il vago tremolio di una risata. Le parole gli parvero: «Non avvicinarti troppo a lui, Amor. L'ho percepito anch'io». Quelle parole parevano prive di significato. Ma, mentre la ragazza apriva la porta della sua camera daletto, notò con sorpresa che lei aveva le guance rosse. La donna però disse soltanto: «Qui lei è ragionevolmente al sicuro. Noi che crediamo nella distruzione di Naze, formiamo un gruppo numeroso, e questo è il nostro rifugio, nella
città». Malgrado la stanchezza, una crescente eccitazione impedì a Slade di addormentarsi. Era troppo teso ed eccitato per afferrare pienamente la situazione. I pensieri che si erano formati nella sua mente erano stati, semplicemente, le prime reazioni agli stimoli esterni. Ma ora, a letto, mentre si rilassava lentamente, la fantastica, improbabile grandiosità della situazione nella quale si trovava, si faceva luce gradualmente dentro di lui. Era a Naze. Fuori delle pareti di quell'edificio si stendeva una fantastica città di un altro piano di esistenza. E l'indomani avrebbe visto quella città in tutta la sua strana, aliena dimensione. L'indomani! Si addormentò. 4. Sotto il sole sfolgorante del mattino, Naze offriva uno spettacolo squallido. Slade camminava, con Amor al fianco, lungo una strada ampia. Una città povera, triste, pensava deluso. E antica, antichissima! Tanto da non averne l'idea. L'aveva già capito la notte precedente, che l'antichità di Naze era incommensurabile, come la sua decadenza. Ma non aveva misurato appieno l'entità dei disastri che aveva dovuto sopportare la città. Tutti gli edifici che vedeva sembravano avere un età che sfidava l'immaginazione. Mille, duemila anni dovevano essere trascorsi da quando erano stati costruiti. Per centinaia di migliaia di giorni, e altrettante notti, la città aveva vissuto. Le sue strade, i suoi marciapiedi, avevano sostenuto il peso della vita d'ogni giorno. Anche i materiali da costruzione più robusti non potevano non logorarsi, dopo un tempo così immenso. E lo erano, logori e consunti. I marciapiedi erano ormai ridotti a strisce uniformi di terriccio, interrotti soltanto qua e là da frammenti di lastre dure e regolari, che un tempo ne avevano formato la pavimentazione. Le strade erano in condizioni di poco migliori, ma anche in esse affioravano larghe zone di terra e polvere, ed erano solcate da vaste screpolature, prodotte dalle pressioni gravate su di loro. In giro non si vedevano veicoli di alcun genere, ma soltanto persone: i veicoli, evidentemente, avevano smesso di funzionare per semplice vecchiaia, già da chissà quanto tempo. Che cosa era successo? Che cosa poteva essere successo? C'era stata, e
c'era ancora, naturalmente, la guerra fra la Nave e la città... ma perché? Stava rivolgendosi alla ragazza per chiedere qualcosa al riguardo, quando gli venne in mente, all'improvviso, che di certo non sarebbe stato saggio mostrare la propria ignoranza. Leear lo aveva avvertito di non fare alcuna ammissione. La città che lo circondava, come i ruderi di una civiltà antichissima, gli toglieva una parte della sua ansia febbrile. In nessun altro luogo aveva mai visto tanta gente per le strade di una metropoli. Con una differenza. Quella gente non andava da nessuna parte. Uomini e donne sedevano sui marciapiedi, sulle strade, e sui gradini delle case. Apparentemente, non prestavano alcuna attenzione a coloro che passavano accanto a loro. Sedevano fissando il nulla, con espressione vaga. Era orribile vedere quelle espressioni vacue. Un mendicante si mise a seguire Slade. Gli tese una ciotola di metallo: «Poche gocce del tuo sangue, signore», gemette. «Ti taglierò la gola, se non me le darai». La frusta di Amor guizzò veloce nell'aria, e colpì in pieno viso quella creatura. Il colpo aprì una ferita sul volto dell'uomo, e dalla ferita cominciò a colare del sangue. «Bevi il tuo, di sangue!», disse seccamante la ragazza. Era visibilmente arrossita, notò Slade, e il suo volto era sconvolto da un odio quasi innaturale. «Questi animali», disse lei, con voce bassa, roca, «percorrono le strade di notte, riuniti in bande, e attaccano chiunque si trovi in giro. Ma, naturalmente», aggiunse, dopo una breve pausa, «lei sa già tutto, di questo.» Slade non fece commenti. Certo, lui sapeva dell'esistenza delle bande notturne, ma quello che non sapeva avrebbe comodamente riempito un intero libro. Quella realtà che continuava distolse la sua mente dai problemi personali più immediati. Le strade erano brulicanti di persone che non avevano niente da fare; e sempre, delle dita tiravano le maniche di Slade, e delle voci avide imploravano, singhiozzando: «Il tuo sangue è forte, signore. Dammene un poco, altrimenti...». Spesso, molto spesso, era il volto di una donna che lo fissava, avido, implorante e minaccioso. Slade taceva. Era così inorridito che la voce gli sarebbe uscita dalla bocca solo a fatica. Si guardò intorno, e vide strade su strade ribollenti di straccioni e mendicanti, vere e proprie sanguisughe umane con un unico
desiderio; e per la prima volta vide, in tutta la sua vita, fino a quali abissi di totale depravazione poteva scadere l'animale uomo. La città non doveva continuare a esistere. Adesso era chiaro il motivo per cui Leear lo aveva indotto a penetrare a Naze. Lei aveva voluto fargli vedere la città, e certo aveva pensato che la realtà avrebbe posto fine a ogni dubbio, nella sua mente. I dubbi, a esempio, relativi ai motivi di quelle condizioni incommensurabilmente orribili... senza dubbio dovute alla guerra tra l'astronave e la città. Comprendere le origini di quella pestilenza immonda era un fatto secondario. Quell'immonda pestilenza doveva essere cancellata. Lui non aveva dubbi, tanto era grande il suo orrore. Si sentiva sconvolto, nauseato da un senso di orrore indescrivibile. Questo, pensò, si verificava giorno dopo giorno, anno dopo anno, da secoli. Non doveva essere così. La ragazza stava intanto parlando: «Per qualche tempo, credevamo che, se fossimo riusciti a togliere loro le ciotole chimiche, avremmo potuto arrestare questa sete di sangue. Ma...». S'interruppe, poi si strinse nelle spalle e? «Naturalmente, lei sa tutto. Se non in casi rarissimi, la depravazione scende fino a toccare abissi innominabili; è difficile che qualcuno se ne liberi.» Non c'era nulla da rispondere, a quelle parole. Era facile capire che il fatto di non sapere «tutto» sarebbe stato un grosso impedimento, per la sua comprensione dei particolari di quell'inferno indescrivibile. Però, in realtà, lui non aveva bisogno di conoscere i particolari; quell'inferno che lo circondava era sufficiente. Doveva distruggerlo! Annientarlo! Doveva aiutare l'astronave, se gli fosse stato possibile, doveva aiutare i componenti di quella cospirazione. Ma il suo compito principale era quello di distruggere Naze. Si calmò, e cercò di analizzare le parole della ragazza. Ciotole chimiche! Allora non si trattava di sangue puro, ma di una sostanza chimica nel metallo della ciotola, che rendeva quell'orrore così inebriante, così attraente, come la più seducente delle droghe. La rimozione delle ciotole, apparentemente, aveva incanalato la perversione in qualcosa di assai peggiore. Che cosa? Beh, in teoria, lui avrebbe dovuto saperlo. Slade sorrise stancamente. «Torniamo indietro», disse. «Per oggi ne ho avuto abbastanza.» La prima parte del pranzo fu consumata in silenzio. Slade mangiò, pen-
sando alla città, all'astronave, ai cavernicoli, e alla sua parte nella vicenda. In un certo senso, ora conosceva gli elementi essenziali della situazione. Aveva visto l'astronave, e stava vedendo la città. La domanda era una sola. Che cosa avrebbe dovuto fare? Si rese improvvisamente conto del fatto che Caldra stava per parlare. La donna stava posando la forchetta sul tavolo. Quel movimento, da solo, richiese diversi secondi. Poi lei sollevò il capo. A Slade parve che gli occhi della vecchia impiegassero un tempo innaturalmente lungo per mettere a fuoco la sua immagine. Il passo successivo fu ancor più prolungato. Lei aprì la bocca, rimase immobile riflettendo sulla prima frase, e finalmente cominciò ad articolare le sillabe. Impiegando un periodo che parve più lungo di quanto non fosse in realtà, la donna disse: «Stanotte attaccheremo il palazzo di Geean. Le nostre forze assicurano che possono farvi raggiungere il quarantesimo livello, come d'accordo. L'apparato richiesto da Leear è già là, pronto a farvi uscire dalla finestra, in modo che possiate puntare il vostro disgregatore contro i comandi della barriera. Senza dubbio, avete visto anche voi, quando siete uscito stamattina, che essi si trovano all'incirca al novantesimo livello. Noi presumiamo, naturalmente, che l'astronave attaccherà nel momento stesso in cui la barriera sarà caduta». Molto tempo prima che le sue parole lente e misurate fossero terminate, Slade aveva capito la loro importanza. Rimase immobile, con gli occhi socchiusi, sorpreso. Quella notte! Ma era ridicolo. Non potevano attendersi da lui un'azione così alla ventura. La sua opinione su Leear diminuì di milioni di miglia. Cos'era un disgregatore, poi? Certamente, non potevano aspettarsi che lui imparasse a usare un meccanismo complicatissimo nel cuore di una battaglia. La sua costernazione raggiunse poi il culmine, quando Caldra tacque e lo guardò con aria di attesa. Notò che anche Amor lo stava fissando, in ansiosa attesa. Slade socchiuse le labbra, e poi le richiuse, quando un altro pensiero, una comprensione assai più vasta, lo colpì. La comprensione del fatto che, con quelle parole, gli era stato fornito un immenso, inestimabile quantitativo d'informazioni. Si trattava di implicazioni, ma la loro importanza era indiscutibile. La nebbia violacea che lui aveva visto la notte prima, la nebbia irradiata dalla torre centrale, quel titanico grattacielo... e che, ricordò improvvisa-
mente, era stato vagamente visibile anche al mattino sotto forma di una nebbiolina confusa... quella era la barriera. Ma che genere di barriera? Apparentemente, una barriera sufficientemente forte da tenere a distanza l'astronave. Una barriera composta di energie più potenti di quelle conosciute sulla Terra. Ma questo significava che la città era assediata, e... a giudicare dal suo decadimento, l'assedio si protraeva da centinaia di anni. La mente di Slade si preparò al passo successivo. «Questo», si disse, «è ridicolo. Come farebbero a sopravvivere? Dove si procurerebbero il cibo? È possibile che vivano l'uno del sangue degli altri.» Guardò il piatto, ma rimaneva ben poco, su di esso. Quello che restava sembrava della verdura, o un ortaggio, benché fosse coperto da una salsa, o da una mostarda, che nascondeva i particolari. Sollevò lo sguardo, con una domanda sulla natura del cibo che già gli saliva alle labbra... e si rese conto che non era il momento propizio per fare domande. Se doveva scongiurare un disastro, avrebbe fatto bene a dire qualcosa, subito. Prima che lui potesse parlare, però, Amor disse: «Un audace attacco di sorpresa, e...», sorrise, con un'eccitazione rabbiosa, selvaggia, «tutto sarà finito!». Per un momento, il gioco di emozioni che apparve sul suo viso trattenne l'attenzione di Slade. Anche lei era una creatura pericolosa, micidiale, quell'alta ragazza che andava in giro armata di una frusta, a causa dei Vampiri di Naze. Era la vecchia storia dell'adattamento all'ambiente naturale. La mente era forgiata dal clima fisico nel quale si trovava, e a sua volta forgiava il corpo, l'espressione del volto, e acuiva le capacità dei sensi. Per la prima volta pensò che, se lui decideva di rimanere su quel piano della Terra, sarebbe stato quello il tipo di ragazza che, prima o poi, avrebbe sposato. La guardò con interesse, disposto a proseguire lungo quella linea di ragionamento. E poi, ancora una volta, si accorse che la sua mente lottava per sfuggire all'unico vero problema immediato, quello dell'attacco. Si affrettò a dire: «Mi dispiace dirvi che l'astronave non sarà qui, stanotte». Amor balzò in piedi, spalancando gli occhi. «Ma... tutti i nostri piani!», esclamò. Pareva sopraffatta. Si mise a sedere. Accanto a lei, Caldra emerse dal suo apparente sopore, e mostrò che le parole di Slade avevano finalmente raggiunto la soglia della sua consapevolezza.
«Non ci sarà l'astronave!» Slade disse: «L'astronave doveva inviarmi un segnale, stamattina». Gli pareva di sudare, ma si trattava di una sensazione mentale, non fisica. Proseguì: «Il segnale non c'era stato». Non era una cattiva improvvisazione, pensò. Si calmò, malgrado il problema fondamentale rimanesse ancora insoluto. Guardò Amor dirigersi verso la porta. La ragazza si fermò, sulla soglia. «Dovrò rimandare l'attacco.» La porta si chiuse rumorosamente dietro di lei, e poi, dopo un istante, ci fu silenzio. Poiché Amor non era ancora tornata, Caldra e Slade cenarono insieme, soli, poco prima del tramonto. Amor rientrò in casa tardi. Si lasciò cadere sulla sedia, e cominciò a mangiare distrattamente il cibo che Caldra le aveva messo davanti, sul tavolo. Diverse volte, Slade notò che la ragazza lo stava fissando, con gli occhi socchiusi, e con evidente perplessità. E c'era qualcosa d'altro. Non riuscì a decidere esattamente di che cosa si trattava. Slade decise di non lasciarsi turbare da quel fatto, e si spostò, fino a raggiungere la grande finestra della stanza. Si accorse che Amor si era portata accanto a lui, dopo qualche tempo, ma la ragazza non disse niente; e così anche lui tacque. Dalla finestra, si mise a osservare il panorama di Naze. Di Naze in ombra, avvolta dal nero mantello della notte. Vista dalla finestra della guglia la città stava affondando quietamente nel buio. Pareva quasi scivolare nell'oscurità che veniva strisciando da Oriente. Slade continuò a guardare. Alla fine, a parte il riverbero delle luci e la quasi invisibile barriera, l'oscurità fu completa. Cominciò a pensare. Senza dubbio, la sua era la più strana avventura mai verificatasi in tutta la storia del sistema nervoso umano. Nato ai piedi delle colline degli Stati Uniti, a Occidente, allevato in una fattoria, aveva conosciuto un rapido successo come agente di cambio in una piccola città occidentale. E ora... si trovava là, a Naze! In quella cupa, nera città condannata, di un pianeta la cui civiltà versava in un momento di estremo pericolo. Eppure, non si trattava di un mondo alieno; semplicemente, di un altro piano di esistenza, rivelato al suo cervello e al suo corpo a causa del fatto che lui aveva tre occhi, invece che due. Il brivido di eccitazione che provò era collegato alla presenza della sua compagna. In piedi, accanto a lui, quella donna sembrava giovane e forte,
e probabilmente non era ancora promessa a nessun uomo. Era possibile. Ne era sicuro. L'idea stessa del matrimonio era quasi priva di significato, nelle attuali condizioni della città. Era passato del tempo, dall'ultima volta in cui aveva dedicato una seria considerazione al problema delle donne. Ora, ne era facile preda. Durante tutto il pomeriggio, aveva pensato ad Amor in maniera possessiva, e la precedente idea... cioè il fatto che, se lui fosse rimasto, avrebbe dovuto sposare una ragazza di quel mondo... aveva preso forma. Era possibile che, in quel piano di esistenza, ci fossero delle donne più attraenti di lei, ma erano certamente lontane. «Amor», disse Slade. Nessuna risposta. «Amor, cosa pensa di fare, dopo?» La ragazza si riscosse. «Vivrò in una caverna, naturalmente. È quello che dovremo fare tutti.» Slade esitò, strappato dalla sua linea di azione, per quelle parole e per ciò che esse implicavano... «quello che dovremo fare tutti!» Perché? Prima di quel momento, non aveva neppure lontanamente supposto che Amor e i membri del suo gruppo accettassero la prospettiva di un'esistenza primitiva. Ricordò che, in un certo senso, lui stava cercando di conquistare quella ragazza. «Amor.» «Slade.» Apparentemente, lei non lo aveva udito, perché il suo tono non era una risposta, e non mostrava alcuna percezione del fatto che lui aveva parlato. Slade disse: «Che c'è?». «Le sembrerà una cosa terribile, ma un tempo sono stata anch'io una bevitrice di sangue.» Pareva una confessione futile. All'inizio non evocò alcuna immagine; le parole stesse, però, la rendevano inquietante. «E così anche Caldra. E tutti gli altri. Non credo di esagerare. Non c'è mai stato niente di simile.» Un'immagine cominciò a formarsi. E dei pensieri. Slade si umettò le labbra improvvisamente secche, sentendosi disgustato. Eppure, non aveva ancora idea di quali fossero le intenzioni della ragazza.
«Per me è stato più facile smettere», disse la ragazza, «e non ricadere in seguito nel vizio... fino a oggi... fino a ieri notte. Slade.» La sua voce era sommessa. «Slade, lei ha un sangue forte. L'ho sentito per tutto il giorno.» Bruscamente, egli capì quali erano le intenzioni della ragazza. Pensò agli uomini e alle donne che lei aveva frustato nelle strade, al mattino. In maniera contorta, quei colpi erano stati diretti contro gli stesi desideri della ragazza. «Non può immaginare», stava dicendo Amor, «che scossa sia stata, per me e per Caldra, quando ha dichiarato che l'attacco non sarebbe avvenuto stanotte. Significava che lei sarebbe rimasto qui, almeno per un altro giorno. Slade, non è stato onesto. Leear conosce fin troppo bene la nostra situazione.» La repulsione era ancora aumentata. Slade pensò che, tra un momento, la nausea lo avrebbe sommerso. Disse, a bassa voce: «Lei vuole un poco del mio sangue». «Solo un poco.» Il tono di lei aveva una lievissima traccia di supplica. Sufficiente però a rendere vivida l'immagine della ragazza, che tendeva la sua ciotola, mendicando per la strada. Slade sentì aumentare la nausea. Poi pensò che non aveva il diritto di fare dei commenti. Ma lui aveva superato, emotivamente, lo stadio del senso comune. Quella era la ragazza alla quale aveva pensato di fare una proposta di matrimonio. Disse, seccamente: «E proprio lei ha frustato quella gente, stamattina». Nell'oscurità della stanza, sentì il respiro soffocato della ragazza. Ci fu un lungo silenzio. Poi lei si voltò, e il suo corpo fu una sagoma snella, scura, che scomparve nel corridoio, verso la sua camera da letto. E così iniziò una notte che sarebbe stata assai lunga. 5. Diverse ore dopo, Slade non era ancora riuscito ad addormentarsi. Era stato troppo severo con una persona che gli piaceva, e il pensiero lo angustiava. Amor lo aveva salvato da morte sicura, lo aveva aiutato. In fondo, avrebbe potuto anche regalarle un po' del suo sangue. Fra tutti gli abitanti di quella città fantastica, soltanto lei e il suo gruppo avevano cercato di lottare con coraggio e vigore contro quella sete morbosa che aveva annientato
l'anima di Naze. Doveva essere stata una lotta talmente terribile, che anche gli Dèi non potevano non provare pietà. Lui, invece, di pietà non ne aveva avuta. Lui Michael Slade, l'uomo dalla morale adamantina, lo spirito perfetto, non aveva esitato a scagliare la prima pietra, senza pensare al dolore che avrebbe provocato. Ma la spiegazione vera, in realtà, era anche più squallida, radicata com'era nei suoi desideri carnali. E, poi, era possibile che il suo sangue fosse davvero più forte, almeno per individui sensibili a una cosa del genere. Il mattino dopo — decise — avrebbe concesso ad Amor e Caldra una mezza tazza del proprio sangue. Dopo di che, avrebbe cercato un modo per andarsene da quella città. Anche per tornare sulla Terra, se fosse stato possibile: ma in primo luogo avrebbe dovuto andarsene da Naze. La mezzanotte era già passata, perciò era chiaro che il periodo di ventiquattr'ore, di cui aveva parlato Leear, non lo aveva riportato automaticamente nei pressi della sua automobile e dalle città di Smailes. Ma allora, se non significava nulla, perché lei aveva menzionato quel limite di ventiquattr'ore? Ponendosi questa domanda, si assopì. E si risvegliò di colpo, cosciente all'improvviso che nella stanza c'era qualcuno. Rimase a giacere senza muoversi minimamente, teso, cercando di penetrare l'oscurità. La paura che incombeva su di lui era l'antica paura di un uomo solo in una terra ostile, che avvertiva una presenza sconosciuta nel buio. I suoi occhi riuscirono a cogliere un movimento, contro la parete più scura, una figura che era poco meno di un'ombra. Una donna. Amor. L'identificazione gli diede un senso di compassione. Povera ragazza! Che fame mortale doveva essere quel desiderio di sangue. In maniera confusa, egli aveva avuto, in fondo alla mente, la vaga intenzione di usare una tazza, per assaggiare un poco del proprio sangue. Ma la sua venuta, in quelle circostanze così disperate, annullò quell'intenzione, almeno per il momento. Lui era solo un normale essere umano. Non poteva permettersi di lasciarsi incatenare da una droga così potente. Stando sul letto, fece un sforzo per mettersi a sedere, ma non ci riuscì. Era legato saldamente, con delle cinghie. Rimase disteso, provando per la prima volta un senso di fastidio. Sì, poteva provare compassione per lei, ma la donna stava usando delle maniere alquanto deprecabili. Socchiuse le labbra, per pronunciare qualche osservazione feroce, ma poi non disse niente. Ricordò che la ragazza era in preda alla disperazione.
Che si prendesse pure il suo sangue. Non avrebbe detto una sola parola. Al mattino, avrebbe finto che nulla fosse accaduto. Quella decisione gli diede una temporanea soddisfazione. Nell'oscurità, il vago movimento continuò. La ragazza, apparentemente, non aveva fretta. Proprio quando l'impazienza di Slade raggiungeva il culmine, un sottile raggio luminoso fu puntato contro il suo braccio sinistro. Quasi simultaneamente, apparve una mano. Stringeva una siringa che infilò con estrema destrezza nella vena più grossa visibile. Slade osservò, interessato, mentre il suo sangue veniva risucchiato rapidamente nel corpo trasparente dello strumento. I secondi passarono, e l'ago continuava a succhiargli il sangue. Slade pensò che quanto gli stava accadendo poteva sembrare allucinante... per lui, un terrestre solo in un mondo sconosciuto, il cui sangue veniva succhiato da una bella Vampira, nell'oscurità segreta, mortale, della notte. L'immagine sbiadì con il passare dei secondi, troppi? Slade disse, gentilmente: «Non pensa che sia abbastanza?». Per diversi secondi, dopo che le sue parole ebbero spezzato il silenzio, la siringa rimase stabile, ferma, e non ci fu alcun suono. Finalmente, la mano che stringeva la siringa trasalì visibilmente, per la sorpresa. Fu l'intervallo tra le sue parole e la reazione che diede a Slade la prima traccia di comprensione della verità. Il suo sguardo si fissò per la prima volta sulla mano che stringeva la siringa. Era difficile vederla bene, nel riflesso di quel sottile raggio di luce. Ma era visibile. E riconoscibile. Era una mano di donna. Slade sospirò, fissandola. Ecco un'altra prova del fatto che la mente creava le proprie illusioni. Lui, che aveva sperimentato così spesso quella realtà, lui, la cui stessa presenza nell'universo degli uomini con tre occhi era la prova vivente dell'importanza della mente sulla materia, continuava a essere ingannato. La sua mente era balzata alla conclusione più naturale, e cioè che fosse stata Amor a entrare nella sua stanza. Quando la mano era stata rivelata dalla luce, pochi minuti prima, non aveva notato niente di strano. Ora sì, invece. Era una mano di donna, certo, ma piuttosto grinzosa, e consumata. Una mano da vecchia. Era un enigma, un vero enigma, capire in qual modo si fosse confuso. Era la misteriosa Caldra, Caldra la Pianificatrice, Caldra che, apparentemente, stava rompendo quella notte la sua astinenza dal sangue. Slade
capì di essere testimone, e protagonista, di una tragedia personale. Una donna, il cui smodato desiderio di sangue l'aveva un tempo quasi distrutta, ricominciava ora a bere sangue. Si accorse che la siringa veniva estratta dalla sua vena. La luce si spense. Una pausa. Il rumore di un liquido che veniva versato in un contenitore giunse subito dopo. Poi, ancora silenzio. Slade immaginò che in quel momento la mano si stava sollevando verso le labbra avide, reggendo la ciotola. La dimensione temporale di quella sua visione era perfetta. Nel momento in cui immaginò che la mano raggiungesse le labbra, si udì, quasi impercettibile, il suono di qualcuno che beveva. Quel suono procurò un lieve senso di nausea a Slade. Insieme a esso, sentì una violenta, intensa compassione. L'emozione impallidì, quando delle dita toccarono il suo letto. Pensò, inquieto: Ne vuole ancora? Ma, questa volta, furono le cinghie ad allentarsi, a eliminare la costrizione intorno al suo petto e alle sue braccia. Dei passi attutiti si allontanarono verso la porta, che si chiuse sommessamente. Scese il silenzio. Dopo un po' di tempo, Slade si addormentò. Quando si vegliò, una enorme zampa era premuta sulla sua bocca, e una bestia, grossa come un orso, ma, stranamente, dai lineamenti felini, torreggiava su di lui. Il suo corpo enorme, forte e peloso, era illuminato da una luce che proveniva da alcune lampade tenute da uomini in uniforme. Altri uomini in uniforme stavano stringendo le braccia e le gambe di Slade. E, con un senso di orrore, egli riuscì a vedere molti altri uomini in uniforme nel corridoio, fuori della camera da letto, la cui porta era aperta. La enorme zampa dell'animale si sollevò dal suo viso. Slade provò un'orribile sensazione di vuoto. Amor! Che era accaduto ad Amor? Poi si sentì sollevare, trasportare. C'era la luce accesa nella camera di soggiorno. Caldra vi giaceva riversa al suolo con un pugnale conficcato nella schiena sino all'elsa. Slade ricordò con subitanea angoscia Amor: che ne era stato della ragazza? Probabilmente, fu quel pensiero a provocare il passaggio. Sotto di lui, il pavimento si dissolse, come se fosse stato fatto di nebbia. Cadde per circa quattro metri e mezzo, e si abbatté pesantemente al suolo. Giacque immobile, stordito dal colpo, per più di un minuto, prima che la comprensione sopraggiungesse. Si rialzò lentamente, graffiandosi le mani sull'erba secca e tagliente del
campo che circondava il vecchio granaio. A circa due miglia, a Ovest, si vedevano brillare le luci di Smailes che rischiaravano il cielo notturno. Slade si alzò in piedi, e si diresse verso il granaio, verso il punto nel quale aveva lasciato la sua automobile. La trovò ancora là, silenziosa e buia. Aspettò per qualche minuto, ma non notò alcun segno della presenza di Leear. Malgrado la terribile stanchezza, e le conseguenze della caduta, guidò l'auto per tutto il resto della notte, e per una buona parte del mattino dopo. Erano le undici, quando imboccò il vialetto di casa sua. C'era una lettera, nella casetta della posta, una lettera vergata nella familiare calligrafia decisa, quasi maschile, di Leear. Slade la guardò, corrugando la fronte, poi aprì la busta. Lesse quanto vi era scritto: Caro Michael Slade, Ora lei sa. Ha visto Naze. Probabilmente, si sarà domandato per quale motivo non è accaduto nulla, al termine esatto del periodo di ventiquattro ore. Non poteva accadere nulla, fino a quando quel periodo non fosse terminato, e successivamente era necessario che lei ricevesse uno shock sufficientemente intenso. Lo shock, naturalmente, si è verificato quando una delle donne è entrata nella sua stanza, e ha tentato di ottenere un poco del suo sangue. È certo deplorevole che si sia creata una situazione simile, non c'era altra alternativa. È altrettanto deplorevole il fatto che io abbia dovuto lasciar credere al gruppo di Naze che ci sarebbe stato un attacco. Loro non hanno alcuna idea del tipo d'uomo contro cui stanno lottando. Contro l'immortale Geean, qualsiasi loro piano sarebbe automaticamente condannato al fallimento. La loro incapacità di comprendere la natura e la forza del nemico è dimostrata dal fatto che hanno accettato, senza obiezioni né dubbi, il concetto secondo il quale la barriera avrebbe potuto essere distrutta da un attacco, compiuto con un disintegratore, su una sporgenza al novantesimo piano della torre centrale di Geean. Il disintegratore non esiste, e la protuberanza della torre è un radiatore. Geean non sarà mai sconfitto, se non da un attacco portato nel cuore della sua fortezza. Questo attacco non può essere effettuato senza il suo aiuto, e questa volta lei dovrà venire da solo, poiché lo strumento che ho usato vicino al granaio ha degli effetti solo temporanei. Non aspetti troppo a lungo. Leear
Durante il giorno, si limitò a leggere e a restare entro i confini del suo giardino. Di notte, con il cappello calato sopra il terzo occhio e la testa seminascosta dal colletto del soprabito, camminò per le strade ghiacciate. Lentamente, l'agitazione cominciò ad abbandonarlo, e il suo atteggiamento verso ciò che era accaduto si fece cupamente sarcastico. «Io non sono fatto come gli eroi», decise. «E non ho alcun desiderio di rimanere ucciso nella guerra tra Naze e l'astronave.» Avrebbe fatto bene ad abituarsi all'idea di rimanere su quella Terra che era poi la sua. Questa parziale decisione gli rese possibile l'altrimenti difficile impresa di considerare la lettera di Leear da un punto di vista meno emotivo di quello provato nel momento della prima lettura. La rilettura, dopo tre settimane, fu ancor più interessante di quanto avesse previsto, ora che le sue labbra non si serravano così rabbiosamente, al pensiero della crudele determinazione con la quale Leear lo aveva fatto precipitare nel cuore di Naze, e poi, con la sua astuzia e i suoi stratagemmi, aveva provocato la morte di Amor e di Caldra. Fondamentalmente, la lettera era assai meno irritante di quanto avesse giudicato la prima volta. E mancava certamente del tono imperioso che si sarebbe aspettato da lei. Inoltre, la sincera ammissione secondo la quale l'aiuto di Slade era necessario, mitigava enormemente la sua collera. Fu vagamente compiaciuto, inoltre, nel notare che lei lo aveva in qualche modo sottovalutato. La sua analisi circa il tipo di shock che avrebbe potuto rispedirlo sulla Terra era stata errata. La venuta di Caldra durante la notte, per succhiargli il sangue, non aveva colpito il suo sistema nervoso. E c'era voluta la vista del suo cadavere, nonché l'immagine mentale di Amor uccisa allo stesso modo, per sconvolgerlo a sufficienza tanto da provocare il passaggio. Dopo tre settimane, si sentiva immune agli shock. Caldra e Amor cominciarono a sembrargli un po' irreali, come i ricordi di un sogno. Slade capì che era riuscito a uscire in gran parte da uno stato mentale pericoloso, quando riuscì a pensare ad Amor giudicando ironicamente il proprio impulso di chiederle di sposarlo. Non provava disprezzo per le emozioni che avevano provocato quelle idee. Si trattava di emozioni tipicamente umane e, in fondo, sarebbe stata una buona idea risposarsi... però sulla Terra, sul suo piano di esistenza. Doveva riprendere le vecchie relazioni, ritornare alla normale esistenza
terrestre. Era più facile deciderlo che farlo, però. Una notte, mentre stava ancora riflettendo sui passi più adatti da compiere per riavvicinarsi a Miriam, incontrò due vecchi amici. I due gli fecero un breve cenno, poi passarono oltre affrettando il passo, e si fermarono solo quando lui si voltò, e li chiamò. La conversazione che ne seguì fu uno dei tanti momenti orribili, penosi e imbarazzanti, che a volte capitano; ma Slade era un tipo pervicace. Gli pareva, nella sua ostinazione che, se doveva vivere sulla Terra, era necessario per lui avere anche degli amici, e una moglie. Quelli erano gli elementi tipici di un'esistenza sana, e lui era abbastanza saggio per non tentare di vivere senza di essi. Slade non trovò gradevole la conversazione, non più di quanto la trovassero sgradevole gli altri due uomini. Furono tutti, in rapida successione, visibilmente a disagio, impazienti, reticenti, troppo scherzosi, poi silenziosi, e infine se ne andarono in fretta, dicendo soltanto: «Felici di averti visto, Mike, ma adesso dobbiamo scappare: siamo già in ritardo a un appuntamento. Ci vediamo». Slade ritornò a casa, con le labbra curvate in un sorriso ironico, ma lungo la sua spina dorsale si era diffuso un senso di gelo. Aveva saputo, tra le altre cose, che Miriam aveva da alcuni mesi un «nuovo» amico, e c'era qualcosa di stranamente definitivo, in quella scoperta. Come se la sua ultima via di scampo si stesse chiudendo inesorabilmente. Non si arrese con tanta facilità. Telefonò a Miriam, il giorno dopo, e ancora il giorno seguente, e tutti i giorni della settimana successiva. Ogni volta, la cameriera della donna disse: «Chi parla?». E poi: «La signorina Crenshaw non desidera parlare con lei». Slade le scrisse allora una lettera, dichiarando: «Dopotutto, posso farmi coprire l'occhio con un trapianto della pelle». Fece seguire alla lettera una visita personale. Ma Miriam si trovava «fuori». Era una cosa definitiva. In particolare, quando un poliziotto si presentò a casa sua il giorno dopo, e gli chiese di interrompere la «persecuzione» della sua ex consorte. Il poliziotto apparve notevolmente colpito dalla bellezza e dall'opulenza della villa, ma era comunque un uomo che stava eseguendo il proprio dovere. «Abbiamo ricevuto una denuncia. Dovremo agire, se questa persecuzione continuerà. Capisce?» Slade aveva capito. Il suo piccolo sogno era svanito.
Deposizione di Wilfred Stanton: Sono stato assunto come domestico da Michael Slade circa cinque anni fa. Sono rimasto con lui, con una sola, breve interruzione per una vacanza, per tutto l'anno scorso. Il mio datore di lavoro è stato assente da casa diverse volte, durante questo periodo. Dopo ogni sua assenza, pareva notevolmente turbato, ma non mi ha mai confidato nulla. Prima della sua ultima partenza, ho notato in lui una nuova aria determinata, come se avesse finalmente preso una decisione su qualcosa, dopo una lunga incertezza. Ha comperato una seconda pistola, uguale a quella che già possedeva, e una enorme quantità di munizioni per entrambe le armi. Ha acquistato anche altre cose, ma non ho visto il contenuto dei pacchi che sono arrivati a domicilio. Leggeva quasi continuamente, in quel periodo. Ricordo che un libro trattava di metallurgia, un altro era un volume di fisica, mentre un terzo parlava dei nuovi razzi spaziali. Per tutto il resto del tempo, se ne stava seduto in giardino, occupato con i suoi cartelli per la rieducazione della vista. Quegli esercizi erano insoliti, perché lui indossava una tuta da caccia fatta di materiale impermeabile, appositamente preparata dietro sue istruzioni. Inoltre, portava con sé le due pistole, un coltello da caccia, e una borsa piena di munizioni. Anche le tasche della tuta parevano gonfie, ma non so che cosa contenessero. Il signor Slade si rendeva conto del fatto che io mi accorgevo della singolarità del suo comportamento, e pareva divertito per la mia apprensione. Un giorno, mi disse di non allarmarmi se se ne fosse andato senza avvertirmi. Il giorno dopo questo avvertimento, quando sono andato a chiamarlo per il pranzo, non l'ho più trovato. La sua scomparsa era insolita, perché la sedia e i cartelli si trovavano nelle esatte condizioni in cui lui li aveva lasciati; particolarmente insolita, poi, perché c'era uno strato di neve, sul terreno, e sulla neve fresca avrebbero dovuto essere visibili, verosimilmente, le sue impronte, fino al vialetto d'uscita. Ma non ho visto, in quella circostanza, nessuna impronta che indicasse il suo passaggio. Posso aggiungere soltanto che non sono rimasto sorpreso quando il cadavere del signor Slade è stato scoperto, la settimana scorsa, a duecento miglia da qui. Evidentemente lui si attendeva che accadesse qualcosa. Ed è accaduto.
6. Questa volta, il passaggio fu immediato, come lo scatto dell'obiettivo di una macchina fotografica. Sentì che i suoi occhi si mettevano a fuoco, poi la casa scomparve, quindi... Pioveva: una pioggia non fredda, ma molto fitta. L'acqua cadeva sulla superficie della palude presso le caverne, in una miriade di gocce inclinate dal vento, che affondavano nella distesa torbida come milioni di minuscole lame. Quel sipario liquido sembrava rendere il panorama ancora più selvaggio, ancora più barbaro. Verde di una vegetazione lussureggiante, pareva primitivo, e il verde era ovunque, splendido e affascinante. Mentre aveva cominciato a pensare a come fosse possibile averesu un piano d'esistenza la neve e su un altro, sotto lo stesso sole, la pioggia a dirotto, Slade sentì un rivolo d'acqua, non fredda, infilarsi sotto il colletto della sua tuta impermeabile. Non provò fastidio, ma quel fatto distolse la sua mente dalle meditazioni sul perché della pioggia. D'istinto, si rifugiò sotto la chioma d'un albero lì vicino, e da quell'incerto riparo (l'acqua sembrava scorrere dalle foglie con intensità ancora maggiore) guardò nella direzione delle grotte e della terrazza naturale che si apriva davanti a esse. Sentì svanire una parte dell'eccitazione. La collina sembrava del tutto disabitata. I fuochi erano spenti, e non c'erano esseri umani in vista. Di certo, era una conseguenza della pioggia: la gente doveva essere tutta al riparo, dentro le caverne. Siccome non voleva mettersi a scalare la collina per raggiungere la terrazza di roccia prima che i cavernicoli lo avessero avvistato — qualche freccia o qualche sasso avrebbe potuto partire d'impulso, se lui li avesse colti alla sprovvista — il suo problema era quello di trovare un riparo. Si costruì una rozza capanna di rami secchi, coprendola con rami e foglie. Poi rimosse un pesante strato di foglie gialle, umide, e scoprì, con sorpresa, che il suolo sotto le foglie era relativamente asciutto. Dormì per tutto il pomeriggio e per buona parte della sera. Durante la notte, rimase sveglio per molto tempo. Un istante prima di addormentarsi di nuovo, pensò d'un tratto: Dovrò svegliarmi prima di loro. Quando aprì gli occhi, il sole splendeva in un cielo di un azzurro terso, fantastico. E numerosi uomini con tre occhi erano inginocchiati intorno al-
l'apertura del suo ricovero. Dietro di essi, c'erano altri uomini e, sullo sfondo, più lontano, c'erano donne e bambini. Lentamente, molto lentamente, Slade si mise a sedere. Scostò il suo riparo, capovolgendo la precaria costruzione, e si alzò in piedi, ma anche quello fu un movimento automatico. Gli venne un pensiero angoscioso... e cioè che la tensione all'interno della sua mente, e nei suoi muscoli, probabilmente avrebbe prodotto delle tensioni sufficienti a farlo precipitare nuovamente negli Stati Uniti. Ma non accadde nulla. La gente, la palude, e la collina delle caverne, rimasero davanti ai suoi occhi, solidamente, sicuramente. Era legato a quel piano di esistenza come se vi fosse nato. Fu solo quando questo pensiero si fu formato dentro di lui, che si accorse come nessuno degli uomini fosse armato. Il sollievo che provò fu enorme, come la prima emozione del risveglio. Prima che potesse parlare, uno degli uomini, quello più vicino a lui, gli disse, gentilmente: «Attento. Non sei ancora completamente stabile». L'uomo sollevò il braccio, e posò la mano sull'occhio centrale di Slade. Il movimento fu troppo inatteso, perché Slade potesse pensare di resistere. La reazione ritardata, quando finalmente venne, mancò di convinzione. Slade fece per indietreggiare, ma poi, rendendosi conto del significato di ciò che stava accadendo, s'immobilizzò del tutto, attonito. Quella gente sapeva che lui non apparteneva a quel piano di esistenza. E sapeva il perché. Il pensiero successivo giunse subito dopo il primo: Gli abitatori delle caverne non erano dei primitivi. Era un'idea troppo grande, perché lui potesse afferrarla completamente in un solo istante, in particolare quando l'uomo che gli aveva toccato la fronte fece un passo indietro, e gli disse, sorridendo: «Credo che adesso andrà tutto bene». Slade non aveva notato la voce dell'uomo, prima. Ora ci fece caso. Era calma e melodiosa, senza alcuna asprezza, e le parole erano pronunciate con tanta fluidità che parevano una composizione musicale eseguita da un maestro. Anche questo fatto trattenne l'attenzione della sua mente solo per pochi istanti. Si guardò intorno, guardò gli uomini e le donne che lo circondavano, e il senso di sollievo crebbe rapidamente in lui. Tutti erano sorridenti, amichevoli; avevano un aspetto sano e intelligente, e mostravano le caratteristiche di una razza altamente sviluppata, sia mentalmente che fisicamente. Slade ricordò per un momento i degenerati bevitori di sangue della
città di Naze, e comprese, al di là di ogni dubbio, che qualunque fosse il motivo fondamentale del mortale assedio della città da parte dell'astronave di Leear, quegli abitatori delle caverne, dall'aria pulita e normale, erano una prova in favore dell'astronave e dei suoi intenti. Si rese conto che, era venuto per lui, il momento di dire qualcosa. «Grazie. Sono un amico. Mi chiamo Michael Slade.» L'uomo alto, dagli occhi d'aquila, che aveva già parlato, disse: «Io mi chiamo Danbar». Si strinsero la mano. Questo venne fatto con tanta semplicità, con tanta cordialità, che Slade non poté essere sicuro, né allora né in seguito, se il gesto di stringersi la mano fosse un'usanza comune di quel popolo... o se Danbar avesse risposto, istantaneamente e senza alcuna esitazione, alle usanze di uno straniero. Quando le loro mani si separarono, Slade notò per la prima volta che l'uomo era di qualche centimetro più alto di lui, e aveva un aspetto forte, incredibilmente forte. Aveva un volto magro e bello. A parte l'occhio in più, sarebbe stato un uomo molto bello, in qualsiasi gruppo di esseri umani con due occhi. Apparentemente, sembrava avere trent'anni. Sorrise, poi prese per il braccio Slade, e lo guidò verso un altro uomo, un altro individuo splendido, che aveva osservato l'incontro in silenzio. Danbar indicò l'altro. «Malenkens», disse. Il modo in cui pronunciò il nome indicava che si trattava di un nome importante e famoso, e, guardando l'uomo, Slade capì senza ombra di dubbio che veniva presentato a uno dei capi di quella gente. Anche con Malenkens la stretta di mano fu calorosa, ma il sorriso dell'uomo fu più duro, più distaccato. Danbar continuò: «Gli altri potrai conoscerli dopo. Adesso, ritorniamo sul terrazzo, per fare colazione». Il contatto fu stabilito così, con grande semplicità. Il sentiero che serpeggiava fino alle caverne era fatto di gradini di cemento fiancheggiati da cespugli ornamentali. Un marciapiede di cemento scorreva per l'intera lunghezza della terrazzatura, con sentieri più piccoli, sempre di cemento, che conducevano all'interno delle caverne. Tra i diversi marciapiedi dell'erba verde, vellutata, cresceva armoniosamente, formando disegni regolari che potevano essere soltanto opera di abilissimi giardinieri.
Slade, fermandosi davanti alla prima caverna, guardò all'interno, e vide un ambiente che era quanto di meno primitivo avesse mai osservato... e si adattava perfettamente a quei bizzarri cavernicoli, che erano tutto, meno che dei selvaggi. Il pavimento era di cemento, ma coperto da soffici tappeti. Le pareti e il soffitto erano colorati e rivestiti, sopra una base di cemento. Le sedie, i tavoli e i letti che gli riuscì di vedere, erano di legno non verniciato, ma di fattura perfetta, e il legno era liscio, lavorato meravigliosamente. Il risultato nell'insieme era sorprendentemente moderno, quasi futuristico. Danbar toccò il braccio di Slade, e gli fece cenno di seguire Malenkens, che stava procedendo lungo la terrazzatura. Camminando, Slade si guardò intorno, senza parere, cercando di vedere Leear. Non rimase troppo sorpreso, quando non riuscì a individuarla, ma non accettò neppure la sua assenza come definitiva. Lei era già stata là una volta. Non c'era alcun motivo per cui non avrebbe dovuto ritornare. E, inoltre, la ragazza doveva ben sapere che sarebbe stato quello il punto d'entrata di Slade nel mondo degli uomini con tre occhi. Malenkens si fermò, e parlò per la prima volta. «Qui», indicò con una mano. La caverna era, nell'insieme, il perfetto duplicato di quella vista da Slade durante la breve sosta di poco prima. I tre uomini si sedettero sulle comode sedie che si trovavano all'interno, e Malenkens parlò di nuovo. «Slade», disse. «Abbiamo valutato la tua situazione, dal momento del tuo risveglio e, a mio giudizio, ci vorranno circa sei anni prima che tu possa riadattare il ritmo della tua vita al nostro gruppo. Questo tenendo conto della tua resistenza dovuta alla mancanza di addestramento, e del fatto che, probabilmente, ti occorreranno diversi mesi per aiutare Leear a distruggere la barriera di Naze e Geean. Naturalmente, dando per scontato il fatto che tu non rimanga ucciso, o ferito gravemente.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Non sto tentando di allarmarti. Sto semplicemente esponendo i fatti così come li vedo io. Ora, continuerà Danbar». Danbar non si mosse, ma rimase seduto sulla sua sedia. Guardò Slade, con aria visibilmente pensierosa. «Ti sarai chiesto», disse, «a che cosa stesse riferendosi Malenkens. Osserva.» E svanì. Per un intero minuto, Slade rimase immobile dov'era. Nella sua mente
non si formarono dei pensieri particolari, benché ricordasse che, quando Leear era stata nell'aria sopra di lui, nel vecchio granaio, non era stato capace di vederla contro lo sfondo delle stelle. Così, anche lei doveva essere stata invisibile. Alla fine del minuto, pensò che forse si aspettavano che lui facesse qualcosa. Si alzò in piedi, si curvò sopra la sedia di Danbar, e mosse goffamente il braccio nello spazio occupato dall'uomo quando vi era stato seduto. Non ci fu alcuna resistenza al movimento del braccio. Si voltò a guardare Malenkens, ma l'uomo non lo guardò. Slade sedette di nuovo, questa volta pesantemente, scosso da un leggero tremito. Non c'era alcun motivo per cui Danbar, essendosi reso invisibile, non avrebbe potuto alzarsi in piedi, e camminare in tutta tranquillità fino all'entrata della caverna, o forse l'uomo era in piedi, accanto alla sua sedia, intento a osservare le reazioni del suo ospite. Non c'era alcun motivo per cui Danbar non avrebbe dovuto fare una di queste cose, ma Slade ebbe la sensazione, stranamente deprimente, che Danbar non avesse fatto nulla del genere, e che fosse ancora seduto sulla sedia. Primitivi, pensò Slade. E io credevo che fossero dei primitivi. Quelle persone avevano scoperto i segreti più riposti del sistema nervoso umano. Erano così progrediti, rispetto ai loro cugini con due occhi, che un confronto pareva quasi ridicolo. Oppure, un momento... che cosa aveva detto Malenkens?... «... Ci vorranno circa sei anni prima che tu possa riadattare il ritmo della tua vita al nostro gruppo...» Una eccitazione febbrile cominciò a impadronirsi di Slade. Quelle parole volevano forse significare che, alla fine di un periodo di sei anni, anche lui avrebbe potuto rendersi invisibile a volontà? Oppure il loro significato era?... Slade respinse quel pensiero, relegandolo nella parte più profonda della sua mente. Si costrinse quindi ad appoggiarsi allo schienale della sedia, e socchiuse le labbra per parlare con Malenkens, poi le richiuse. L'uomo stava guardando dall'altra parte. I minuti scorrevano, lentamente, ma non c'era alcun segno di Danbar. La sua assenza cominciava a essere inquietante. Per la seconda volta, il cervello di Slade prese in considerazione la possibilità che essi si aspettassero da lui qualcosa. Si alzò di nuovo in piedi, irresoluto. Preso da un impulso subitaneo, si sedette sulla sedia di Danbar. Quella situazione non durò a lungo. Dentro di lui, si formò il pensiero che non sarebbe stato molto divertente se l'uomo
avesse deciso di materializzarsi su quella stessa sedia. Slade camminò fino all'entrata della caverna, pensando che, forse, Danbar si trovava là fuori. Il grande terrazzo naturale era un vero e proprio alveare di attività: i fuochi ardevano vividi, le donne stavano mescolando i cibi che cuocevano nelle pentole, e bambini correvano e facevano rumore, occupati nei loro giochi. Ma di Danbar non c'era traccia alcuna. Slade rimase immobile per qualche istante, e il suo sguardo spaziò fino ai confini della grande palude. Lo spettacolo era splendido, al di là di ogni possibile immaginazione. L'acqua scintillava sotto il sole, ed era tutto un succedersi di macchie di vegetazione, di fiori e di arbusti d'acqua. Lontano, molto lontano, scorse un rapido volo d'uccelli, e pensò con un brivido: uccelli con tre occhi! In lontananza, oltre la palude, i grandi alberi torreggiavano, svettando ad altezze incredibili, mentre ancora più lontano poté vedere la foschia purpurea sulle prime pendici delle colline. Tutt'intorno, a perdita d'occhio, il paesaggio era colorato dal verde brillante di un'estate perenne. Slade ritornò nella caverna, scosso da un tremito d'eccitazione. In quale meraviglioso piano della Terra si era ritrovato! Certamente non avrebbe provato mai più il desiderio di tornare nel luogo dal quale era venuto. C'era, naturalmente, il problema di Naze... Questo riportò Slade alla realtà e quella consapevolezza lo fece trasalire. Vide che Danbar non si era ancora materializzato. Allora pensò: Invisibilità? Se dovessi immaginare un metodo per rendermi invisibile, sapendo quello che ora so sulla vista, tenterai di disturbare, in qualche modo, i centri di visione di quelli che mi stanno guardando. Una visione perfetta è possibile solo quando la mente è completamente rilassata. Perciò, dovrei cercare di sottoporre, in qualche modo, la loro mente a una tensione. Questa razionalizzazione gli creò un improvviso pensiero, di sorpresa. Beh, era naturale. Ci si aspettava da lui un'azione: doveva fare qualcosa. Respirò lentamente, profondamente, e, espirando, allentò la tensione di tutti i suoi muscoli. L'oculista, il dottor McIver, aveva sempre detto che il corpo umano era in grado di rilassarsi completamente con un solo respiro. In quell'istante, Slade dimostrò la veridicità delle parole dello specialista. Mentre stava per respirare profondamente per la seconda volta, Danbar gli apparve sulla sua sedia. L'uomo guardò Slade con aria sinceramente compiaciuta.
«Molto bene, amico mio. Speravo che tu riuscissi a trovare da solo la soluzione.» Quindi proseguì in tono serio: «Hai sperimentato tu stesso una delle verità fondamentale del sistema nervoso umano. Nel corso dei prossimi mesi, ti verranno insegnati i segreti più tutelati dell'arte di rilassarsi, un rilassamento così completo che, in ultima analisi, non esistono limiti al controllo che potrà essere esercitato sopra di esso. Ma ora...». Si alzò in piedi, sorridendo. «Ora», disse, «portiamo fuori le nostre sedie, e facciamo colazione.» Slade seguì i due uomini all'esterno, sotto i raggi brillanti del sole. 7. Si trovava con quella gente ormai da trentadue giorni. Del tutto rilassato, Slade era disteso su un poggio che dominava la palude. Da lì, poteva vedere le caverne, a circa un chilometro di distanza. La giornata era splendida. Al mattino aveva piovuto un po', ma ora il cielo era terso e azzurro. Il panorama che gli si apriva davanti era simile a un giardino, con l'erba di un verde incredibile e i cespugli disseminati qua e là che ancora scintillavano per le gocce di pioggia tuttora aggrappate a ogni foglia, ogni gemma, ogni stelo, ogni ramo. Il mondo che lo circondava pareva come sempre meraviglioso: ma Slade provava un sottile senso di insoddisfazione. Io sono un uomo attivo, pensò. I miei nervi sono scossi dall'ansia di fare qualcosa. Ma, a turbare la sua serenità, c'era anche un ricordo. Quel singolare congegno di metallo che aveva trovato presso la fattoria, semisepolto nel terreno, la notte in cui aveva intravvisto Leear seminascosta nell'ombra di un'astronave antichissima... Sarebbe stato interessante andare a prenderlo — pensava — per studiarlo a fondo. Rimase disteso. Il mese appena trascorso, ammise, era stato in qualche modo emozionante. Il controllo totale del corpo, il rilassamento totale, era come un mondo interiore pieno di sempre nuove scoperte. L'insegnamento era partito dai muscoli: istruzioni teoriche, ed esercizi pratici. Esercizi? Come definizione, non era del tutto esatta per descrivere quello che stava facendo. Slade questo lo aveva compreso subito: ma continuava a utilizzare quel termine, vista l'assoluta mancanza di una parola migliore. «Esercizi» suggerivano l'idea di un'attività fisica, ma gli esercizi di rilassamento erano inalazioni ed espirazioni durante le quali si doveva compie-
re il minimo sforzo possibile. Erano lunghi minuti di distensione totale, su cuscini disposti accuratamente, mentre la mente si concentrava quietamente su certi muscoli, e sempre, il messaggio inviato dal suo cervello era: «Distenditi, distenditi, distenditi. Allenta, allenta, allenta. Rilassati, rilassati, rilassati». Gradualmente, con il trascorrere delle settimane, aveva appreso i princìpi filosofici fondamentali di quella nuova dottrina. Una posizione corretta, e un'estrema cura nella respirazione. Quando quelle due cose mancavano, o erano imperfette, da sole producevano delle ripercussioni di tensione che colpivano l'intero corpo. La tensione faceva diventare la vista e l'udito imperfetti. La tensione era responsabile della facilità con la quale un corpo cedeva alla stanchezza, così come era responsabile della mancanza di forza, del desiderio e dell'assuefazione alla droga. La tensione agiva sui reni, facendo loro produrre un fluido che, entrando nel sangue, causava la pressione alta, la malinconia, e un atteggiamento negativo verso la vita. La tensione mutava sottilmente il contenuto acido dei succhi gastrici. La tensione era letteralmente, il demonio del sistema nervoso, ma liberarsene costituiva soltanto il primo passo, preliminare verso un sufficiente controllo del proprio corpo. La seconda fase era la normalizzazione dei nervi. Ciascun nervo, individualmente e collettivamente, era capace di un'azione positiva o negativa. Poteva inviare un impulso al cervello, seguendo una strada diversa da quella naturale. Probabilmente, solo il cinque per cento degli impulsi nervosi di una persona normale giungevano al cervello seguendo la via più diretta. Era vero, naturalmente, che molti giri viziosi venivano usati quasi continuamente, ma non si poteva giustificare una cattiva abitudine spiegando che questa si ripeteva all'infinito, in particolare quando i risultati, accumulandosi, producevano le tare mentali, la vecchiaia precoce, e una continua confusione mentale. Il novantacinque per cento residuo di energia nervosa mal guidata doveva essere reincanalato lungo percorsi diretti, e questo era possibile concentrandosi sui percorsi-chiave. In ogni caso, era necessario un addestramento accurato. Come nel caso del rilassamento dei muscoli, non bastava cercare un ambiente riposante, e cercare di distendersi. Dovevano essere fatte delle cose ben definite. I muscoli, rilassati regolarmente secondo un preciso sistema, alla fine rimanevano rilassati. I nervi, ai quali veniva ordinato ripetutamente di stabilire un canale diretto, visualizzando chiaramente un'immagine di quel canale, alla fine seguivano le istruzioni e il percorso deside-
rato. Il controllo dei nervi portava alla terza fase, la fase molecolare, sulla quale, quando Slade aveva espresso la sua curiosità, Danbar aveva risposto soltanto: «Vedrai, vedrai». Comodamente sdraiato lassù, sul poggio che dominava la palude, Slade pensava di conoscere a sufficienza gli esercizi di rilassamento muscolare, per poterli eseguire per breve tempo senza la presenza costante di un istruttore. Avrebbe potuto raggiungere la zona sulla Terra in cui lui sapeva che esisteva la sua fattoria, e trovare la macchina sepolta nel terreno, in quel luogo. Si alzò in piedi, pervaso da un'improvvisa determinazione. Lo chiederò a Danbar o a Malenkens, pensò. Danbar, al quale Slade rivolse la domanda dopo gli esercizi serali, apparve vagamente turbato. Poi lanciò uno sguardo interrogativo a Malenkens. Fu quest'ultimo a dire: «Leear ci aveva avvertiti che saresti stato irrequieto». Fece una pausa, e corrugò la fronte. Poi guardò Slade, tenendo gli occhi socchiusi. «Ho deciso di essere sincero con te, Slade. Ti stiamo addestrando per aiutare Leear nella sua guerra contro Naze. Non devi pensare che noi facciamo parte del suo piano. Noi, semplicemente, esercitiamo su di lei certi controlli. Potresti domandarti il significato di queste parole, così te le spiegherò.» «L'intenzione di Leear», proseguì, «è quella di farti penetrare nuovamente nella città di Naze. Non abbiamo il potere di impedirglielo, né, in effetti, ne abbiamo il desiderio. In un modo o nell'altro, Geean deve essere ucciso, e il popolo di Naze deve essere liberato. Secondo Leear, soltanto tu sei in grado di fare questo: lei però non ci hai mai spiegato in quale modo. Noi ci siamo limitati a ritardare i suoi piani, fino a quando non ti fosse stata impartita almeno un'istruzione preliminare, circa il nostro meraviglioso sistema.» Quindi terminò con estrema calma: «Credo che tu sarei d'accordo sul fatto che, in queste circostanze, non saresti saggio a immischiarti in questioni marginali di minore importanza». Slade rimase scosso. E, più ci pensava, più si sentiva scosso. Era strano, ma, benché non avesse dimenticato neppure per un minuto Leear e Naze... l'incredibile Naze... in qualche modo quel luogo, dolcissimo mese di esistenza pastorale, aveva offuscato le potenzialità più tenebrose e negative della sua memoria.
E ora, la situazione era là, davanti a lui, formulata in termini chiari e inequivocabili. Nella sua vita passata, egli era stato noto per aver sempre considerato i fatti con brutale onestà, e i suoi paragoni avevano spesso sorpreso i suoi soci d'affari. Adesso, finalmente, considerava la sua posizione attuale allo stesso modo. Il paragone che venne evocato nella sua mente fu quello di un maiale che veniva ingrassato per essere poi condotto al macello. Trascorse la notte dormendo a intervalli, svegliandosi di quando in quando, e sempre in preda a una terribile collera. Al mattino, aveva preso una decisione. Così Malenkens e gli altri erano riusciti soltanto a persuadere Leear, con difficoltà, a ritardare il momento in cui lui sarebbe stato scaraventato nel cuore della crisi. Ebbene, non importava. Non le era debitore di niente, se non, forse, di un pugno sul naso, per essere stata indirettamente responsabile della morte di Amor e di Caldra. Poiché lei intendeva servirsi di lui senza neppure chiedergli il suo consenso, lo scopo di Slade poteva essere soltanto quello di impedirle di immischiarlo in una situazione così pericolosa. Questa determinazione gli procurò una considerevole soddisfazione, fino al mattino, quando pensò che forse non sarebbe stato così facile impedire le macchinazioni della donna. Il guaio era che lui sapeva così poco, così disperatamente poco... Non aveva la sia pur minima idea dei mezzi che potevano essere a disposizione di quelle persone che conoscevano i più riposti segreti del sistema nervoso umano, e inoltre possedevano un'astronave piena di strani strumenti, uno dei quali, almeno, era capace di trasmettere degli oggetti materiali da quel piano di esistenza a un altro. Le nuove possibilità lo calmarono. Avrebbe dovuto usare tutte le sue risorse, per impedirle di riportarlo a Naze. E la collera sarebbe stata un'alleata troppo pericolosa, se lui avesse voluto raggiungere quello scopo. All'ora di colazione uscì dalla sua caverna, si sedette accanto a Malenkens, e disse: «Credo che sia venuto il momento di sapere qualcosa sulla storia della guerra tra l'astronave e la città». Malenkens rispose: «Vedo che hai riflettuto su quello che ti ho detto ieri sera». Slade aspettò e Malenkens proseguì. «Non sono pentito di avertelo detto, ma non posso dirti altro. Abbiamo promesso a Leear di lasciare a lei il compito di spiegarti ogni cosa.»
«Allora, dimmi», disse rabbiosamente Slade, «chi è Leear?» «È una delle Cinture d'Argento.» «Una delle che cosa?» Malenkens aveva una espressione grave. «I piani che lei ha su di te potrebbero non realizzarsi, se ti dicessi di più. Devi aspettare. Posso solo dirti questo: se riuscirai a sopravvivere alla distruzione di Naze, tutto l'universo sarà in tuo potere.» Per qualche tempo, questo fece tacere Slade. Venendo da Malenkens, si trattava di qualcosa di enorme. Quelle parole gli riportarono il primo senso di esaltazione, di ebbrezza, che aveva conosciuto al pensiero della grandiosità dell'avventura nella quale il destino lo aveva fatto precipitare. Quel senso di esultanza fu breve. L'incredibile grandiosità della ricompensa suggerita dalle parole di Malenkens suggeriva anche l'idea di una compensazione, e questa compensazione era un sacrificio altrettanto grande. Slade s'irrigidì, lentamente. Non gli piaceva l'idea di comportarsi in maniera ostile con quella gente amichevole, ma era il momento di chiarire la sua posizione, senza possibilità di equivoci. E lo fece, proprio come aveva già deciso. Nessuna cooperazione con Leear, fino a quando lui non fosse stato pronto, e disponibile. Era ridicolo che lei presumesse che un uomo si gettasse alla cieca in una situazione, e non solo una volta, ma sistematicamente, sapendo solo che doveva fare del suo meglio, e ogni volta senza avere nient'altro che un'idea approssimativa della situazione nella quale stava per gettarsi. Lui per primo rifiutava di aver qualsiasi cosa a che fare con un piano simile. E, se mai avesse accettato di collaborare, lo avrebbe fatto solo con piena conoscenza di causa, e tenendo gli occhi bene aperti. «Dovrai uccidere un uomo», disse Malenkens, e il suo tono di voce era stranamente secco. «Non hai mai ucciso un essere umano. Leear è convinta che tu non riesca a commettere un omicidio a sangue freddo, e che solo sotto la tensione prodotta da un pericolo immediato e violento, tu possa riuscire a uccidere. Questa è la sua ferma opinione e, dopo averti osservato per un intero periodo lunare, sono d'accordo con lei.» «Grazie», disse Slade seccamente. «Continuo a non essere interessato.» Finì il pasto in silenzio. Era incerto sulla sua posizione nei confronti di quella gente, ma decise, alla fine, che quanto era accaduto non era una rottura definitiva. Sarebbe rimasto, almeno per un po' di tempo, e avrebbe fatto i suoi piani in base a una valutazione accurata della situazione e una riflessione approfondita. Era inutile andarsene senza saperne di più, senza
un vero motivo. Partecipò agli esercizi di rilassamento mattutino, come al solito. Durante il secondo mese, il ritmo della sua vita parve più rapido a Slade. Si accorse del motivo di questo fenomeno. Era più vigile, più attento, ansioso di apprendere ogni cosa. Teneva d'occhio gli uomini, e dormiva con la pistola sotto il cuscino. Verso la fine del mese, pensò che nessuno, in tutta la tribù, aveva visto in azione la sua pistola. E forse sarebbe stata una buona idea sparare una delle sue preziose pallottole, usandola come una specie di deterrente. Rifletté sull'opportunità di effettuare quell'azione, perché anche una sola pallottola avrebbe potuto essere essenziale in un futuro momento di crisi. Eppure, gli pareva chiaro che Leear non lo avrebbe mai portato a Naze contro la sua volontà, a meno che i componenti della tribù non lo avessero preso prigioniero con la forza, consegnandolo alla donna. Fu un mese di molte scoperte. Si era chiesto più volte quale fosse la forma di vita animale dominante su quel piano di esistenza, e anzi, se esistesse qualche forma di vita animale. «Esiste», gli assicurò Malenkens, con uno strano sorriso. «Dipende tutto dal fatto se gli animali decidono di scoprire quali sono le tue reazioni alla loro vista.» Queste parole gli parvero senza senso, ma per un periodo di quattro settimane, riuscì ad avere delle visioni fuggevoli. E, finalmente, una volta, la visione gli rivelò che era l'animale a guardare lui. C'era una piccola creatura nera, troppo rapida perché una chiara immagine della sua forma si formasse nella retina: una bestia lunga, sottile, chiazzata, troppo magra per essere molto forte e simile a un cane, trotterellò con aria sdegnosa nei cespugli, dopo aver osservato Slade con espressione altera. C'era anche un animale simile a un cavallo, che lo guardò incuriosito per diversi secondi, e quindi se ne andò galoppando e sbuffando. E poi, finalmente, ci fu un incontro davvero sconvolgente con un altro animale. Slade stava camminando in una valle erbosa dove non esistevano sentieri, una valle vicina a quella ove si trovavano le caverne, quando si guardò alle spalle, casualmente, e vide un animale più grosso di lui, che lo stava seguendo pigramente, a non più di dieci metri di distanza. L'animale aveva una testa dai tratti simili a quelli di un orso e di un felino, e il suo corpo era alto e slanciato, e di un colore bruno grigiastro. Era lo stesso tipo di animale che si era curvato su di lui quella notte,
nell'appartamento di Caldra e di Amor. Slade provò un brivido intenso, simile a un brivido di paura, e impugnò subito la sua pistola. I denti dell'animale scintillavano come pugnali, mentre si scoprivano in un ringhio. La bestia alzò le enormi zampe, poi si voltò, e si tuffò nella boscaglia. Si trattava di un nith, gli disse Danbar, ma tacque quando Slade gli descrisse ciò che era accaduto nell'appartamento di Naze. Più tardi, Slade lo vide discutere animatamente con Malenkens. I due uomini smisero di parlare non appena Slade si avvicinò, e così lui ebbe la certezza che l'oggetto della discussione lo riguardasse molto da vicino. Fu sorprendente quell'improvvisa scoperta di essere oggetto di una discussione. Sottolineava l'instabilità, la natura insoddisfatta della sua posizione, e rendeva necessaria un'immediata dimostrazione dei poteri delle sue armi, o almeno, così gli parve. Aveva pensato a lungo al metodo migliore di fornire quella dimostrazione, e alla fine gli parve di averlo trovato. Un uccello. Per due mesi, aveva osservato molti uccelli dalle piume grigie svolazzare tra gli alberi, tutt'intorno alla palude. Quegli uccelli erano molto cauti. Lui poteva impiegare un'ora per avvicinarsi strisciando a un branco e poi, un attimo prima che fosse giunto a una distanza sufficiente per vederli bene, quelli volavano via, verso qualche remota destinazione. Gradualmente, il suo desiderio di vedere da vicino una creatura alata con tre occhi era diventato quasi un ossessione. Gli pareva che ora, se avesse potuto sparare dal terrazzo roccioso, sarebbe riuscito, letteralmente, a prendere due piccioni con una sola fava. Il mattino dopo, portò fuori dalla sua caverna una sedia, posò sulle ginocchia una delle sue pistole, e si sedette, osservando la boscaglia sottostante. Dopo dieci minuti, notò che molte persone lo guardavano, con apparente indifferenza. Pochi minuti dopo questa scoperta, Danbar prese una sedia, e sedette accanto a lui. «Che cosa ti induce a credere», domandò, «che la tua arma potrà funzionare, su questo piano di esistenza?» «Sarebbe a dire?», esclamò Slade. Dopo un momento, questa possibilità lo colpì con la forza di un maglio. Prese accuratamente la mira, osservando il lontano stormo di uccelli. Si preparò, e poi indugiò per un momento, per dire: «Questa pistola produce un rumore fortissimo, quindi preparati». Poi tirò il grilletto.
Click! L'arma fece uno scatto a vuoto e lasciò a Slade la gelida sensazione di essere nudo e indifeso. Il sole era caldo come sempre, ma per due interi mesi le sue pistole gli aveva infuso fiducia e coraggio. Avevano sollevato il suo spirito, ogni volta che aveva pensato alla estrema facilità con cui i numerosi cavernicoli avrebbero potuto sopraffarlo e consegnarlo a Leear. E ora, quello scudo era crollato. Per un momento, Slade rimase seduto, completamente immobile, poi tirò l'espulsore, rigirò tra le dita la cartuccia, e cominciò a estrarne il proiettile. Versò la polvere da sparo sul vialetto di cemento, facendo un mucchietto nero, e poi camminò fino al fuoco più vicino dal quale prese un ramo acceso. Accostò la fiamma alla polvere che bruciò con un lieve crepitio, come cartone. Accanto a lui, Danbar disse: «La combinazione chimica dovrebbe essere leggermente diversa. Senza dubbio, deve essere possibile farla funzionare». Slade non aveva alcuna intenzione di aspettare, per scoprire la verità. La sua protezione era svanita. Senza dire una parola, entrò nella sua caverna, prese la seconda pistola, infilò nella tasche gli oggetti che aveva portato dalla Terra... e ritornò all'esterno. Danbar si alzò e lo seguì. «Ci lasci, Slade?» Slade domandò: «Dov'è Malenkens?». «Se ne è andato via.» Fu questa la seconda grande sorpresa. «Via! Dove?» Vide che Danbar lo fissava con aria strana. «Malenkens non è uno di noi, Slade. Ci fa visita, di quando in quando. Lui è una... una delle Cinture d'Argento.» Slade tacque. Capiva quello che era accaduto. Lui era stato consegnato a un membro della gerarchia di Leear. Per la prima volta, capì fino a qual punto Malenkens lo aveva seguito passo passo, durante tutta la sua permanenza tra quella gente. Danbar stava ancora parlando: «Non giudicarci con troppa severità Slade, per quello che potrà accadere. Nessuno di noi, qui, è riuscito a raggiungere più della fase molecolare del controllo del corpo. Siamo impotenti, in questa lotta tra la città e l'astronave, e, fino a quando esisterà la città, non potremo mai raggiungere lo stadio ultimo del perfetto controllo di noi stessi.
È un fattore di disturbo. La sua esistenza impedisce la formazione di certi ritmi fondamentali. L'idea stessa che persone come noi siano prigioniere dietro quella barriera, impossibilitate per sempre a fuggire — e lo scopo principale della barriera è di mantenere quella gente sotto il controllo di Geean — pesa sul nostro spirito e ci rende impossibile comprendere pienamente le nostre potenzialità. E il risultato è che anche noi siamo nelle mani di Geean». Slade ebbe l'impressione di essere di fronte a delle scuse. Quelle parole però diminuirono la sua collera. «Grazie», disse. «Per tutti voi delle caverne io provo solo amicizia.» Danbar gli augurò: «Che la fortuna ti accompagni, amico mio». Ci volle più di un'ora, prima che il grande terrazzo naturale e le caverne sparissero in lontananza. 8. Il panorama si era fatto selvaggio. Slade non vide mai alcun animale terrestre, ma vide e ascoltò il verso di centinaia di uccelli tra i cespugli e sugli alberi. Erano uccelli molto diversi da quelli che si trovavano nei dintorni delle grotte: meno timidi, meno prudenti. Spesso passava accanto a loro, senza che quelli si sentissero minimamente disturbati dalla sua presenza. Verso sera raccolse un lungo bastone, e abbatté due volatili simili a piccioni, che erano appollaiati sul ramo più basso di un albero. Così, finalmente, ebbe tra le mani i primi uccelli con tre occhi. Subito dopo il tramonto, dinanzi a un fuoco che ardeva vivace lanciando la sua sfida al buio che si infittiva, mangiò un «piccione» arrostito su un lungo spiedo di legno, e un po' di frutta appena colta; tutt'intorno, sentiva stridere gli uccelli notturni. Dopo aver mangiato, cominciò a pensare alle creature con due occhi, a quelle con tre, e ai differenti mondi in cui vivevano. Probabilmente, derivavano da una ascendenza comune. Avevano comuni antenati. Era difficile che, altrimenti, la forma umana avesse potuto replicarsi in modo così preciso. In un passato remotissimo, alcune creature del mondo con due occhi dovevano averne sviluppato un terzo, trasferendosi così automaticamente, e forse senza neppure rendersene conto, nell'universo parallelo. Forse, come per la vista e i sensi, la spiegazione risaliva alle radici stesse del concetto di realtà. Quello che per la mente non esiste, viene ignorato
dai sensi. E poi, in qualche modo incomprensibile, l'oggetto o gli oggetti cessavano di avere interscambi con il fisico nella sua totalità. Non era certo un'idea nuova. Ma quel vecchio modo di dire inglese, che esprimeva l'incertezza del reale, «Il gatto dorme forse sotto la stufa, quando io non ci sono», non prendeva in considerazione le certezze della mente umana, ossia la convinzione assoluta che il gatto ci fosse, sia che l'osservatore fosse presente oppure no. I ciechi acquisivano le loro certezze grazie al tatto, all'olfatto e all'udito. Era solo la mente a contare. Mentre la notte consumava le sue ore avvicinandosi al nuovo giorno, Slade cominciò a pensare, negli inquieti periodi di veglia tra un breve sonno e un altro, alle pistole che non sparavano. Era un pensiero che gli sarebbe venuto ancora in mente più volte, nei giorni seguenti. Riuscì quasi a modificare i suoi piani... quasi, ma non del tutto. Aveva avuto l'intenzione di procurarsi quel congegno metallico per poi dirigersi a Sud, uscendo così completamente dal territorio di Naze e Leear. Era una parte che non aveva nulla di eroico, quella che si proponeva di assumere, e l'idea stessa lo metteva un po' sulla difensiva, facendolo vergognare di se stesso. Eccomi, pensò, preso nell'avventura più strana e misteriosa che mai essere umano abbia vissuto, ma voglio essere prudente. C'erano degli uomini, lo sapeva bene, che non avrebbero esitato neppure un minuto ad affrontare alla cieca quella situazione. Quegli uomini sarebbero stati in marcia per Naze, in quello stesso momento, decisi a uccidere Geean, ad attaccarlo nella sua alta torre centrale. Nascosto nelle tenebre notturne, d'un tratto Slade s'irrigidì. Era inutile cercare di ingannare se stesso: l'audacia non era fatta per lui. La cosa più importante era un'altra: non doveva permettere alla prudenza di farlo partire verso Sud senza quell'oggetto di metallo. Sì, trovandolo, forse avrebbe potuto scoprire che si trattava di una cosa priva di valore. Ma era un indizio, e chissà, forse avrebbe potuto essere ancora in perfette condizioni di funzionamento. Non poteva andarsene senza esserselo procurato. I boschi erano quieti, le valli lunghe, le colline, gradualmente, più alte e ripide. Un grande continente vergine si stendeva ai suoi piedi, ma la cosa più sorprendente per lui, fu la strana familiarità che provava nei confronti della strada da seguire. C'era una lieve differenza, nella profondità dei canjon e nell'altezza delle colline. Le grandi paludi, gli alberi e le foreste di alberi di basso fusto e di
arbusti, erano completamente differenti. Ma i contorni generali erano gli stessi. E lui aveva percorso moltissime volte il tragitto di cento miglia che portava alla sua fattoria... così spesso, che non smarrì la strada neppure per un momento. Era una sensazione magnifica. Giunse finalmente il sesto mattino di viaggio sulla lunga pianura circondata dalle colline, alla fine della quale... sul piano della Terra... avrebbe dovuto raggiungere la fattoria. Con estrema cautela, usando ogni possibile riparo, si avvicinò nel punto in cui si era trovata l'astronave, quella notte. Già da molto lontano, vide che non c'era, ma non per questo si fece meno prudente. Dieci minuti dopo avere raggiunto la zona, trovò la macchina. Usò un massiccio ramo che aveva raccolto lungo la strada, come una sbarra per estrarre l'oggetto dal terreno; ma quello era sepolto in profondità, e gli ci volle molta fatica e venti minuti di lavoro, per liberarlo. Finalmente venne fuori dal terreno, e mostrò la sua forma. Era una specie di cassa, con una ruota attaccata a un'estremità. Non era piccola, ma sorprendentemente leggera. Una leggerezza che solo il magnesio puro, o perfino il litio, avrebbero permesso di raggiungere; ma niente altro. Giudicò che il peso della cassa e della ruota, sommati, non dovevano superare le trenta libbre. L'oggetto scintillava cupamente sotto i raggi del sole, lucido, immacolato, per nulla corroso o sporcato dalla lunga sepoltura nel terreno. Slade, comunque, non lo esaminò immediatamente. Trasportò l'oggetto con sé per tutto il giorno, prima su una spalla, poi sull'altra. Circa un'ora prima del crepuscolo, raggiunse un torrente gorgogliante, e decise di trascorrere là la notte. Era una posizione abbastanza esposta, ma lui era stanco, e la foresta più vicina sembrava essere a molte miglia di distanza. Consumò la cena in fretta poi, pervaso da una fortissima curiosità, si curvò sopra la strana macchina. L'energia atomica e quella magnetica, gli aveva detto una volta Malenkens, erano le fonti di energia dell'antica Naze. «Naturalmente», aveva aggiunto l'uomo, «qui agiscono in maniera lievemente diversa da come agiscono nel luogo dal quale tu vieni.» Dopo l'esperienza delle pistole, Slade era perfettamente in grado di apprezzare questa differenza. Malgrado ciò, decise che era preferibile che quella macchina fosse mossa dall'energia magnetica. Studiò attentamente il meccanismo. Fu la ruota a renderlo maggiormente perplesso. Solo una ruota. E poi...
così grande! La cassa metallica, nella quale spariva l'asse della ruota, era grande soltanto un mezzo metro cubo. La ruota aveva un diametro di circa un metro e usciva, curva e grande, dall'asse, come un fiore dai lunghi petali, per formare una specie di tazza. Era abbastanza grande da apparire come una piccola cornucopia. «Uhm», mormorò Slade, perplesso. Forse non era giusto pensare ad essa come a una ruota solo perché ruotava facilmente sul suo asse. Eppure, sembrava proprio una ruota. La fece girare. Quella girò facilmente, poi si fermò. Non accadde altro. Allora osservò attentamente la cassa, alla ricerca di qualche comando, di qualche strumento. In un certo senso, quella ricerca l'aveva già fatta prima. Questa volta, però, fu estremamente metodico e accurato. Ma non accadde nulla. Notò tre punti più lucidi, su uno dei già lucidi lati della macchina. Sembravano delle tacche, praticate nella sostanza durissima che componeva la cassa. Ma non si trattava di tacche. Le sue dita non trovarono la minima depressione del metallo. Perplesso, Slade osservò quei punti più lucidi. Li avvicinò agli occhi. Scintillavano, pensò. Chissà come... Qualcosa si diresse contro i suoi occhi. Slade indietreggiò bruscamente, lasciando cadere la macchina. La macchina non cadde. Galleggiò nell'aria, a pochi centimetri dal suo viso, con la ruota in alto e i tre punti lucidi che parevano dei minuscoli fuochi ardenti, diretti contro i suoi occhi. Chiuse gli occhi, poi batté rapidamente le palpebre. I punti brillanti si vedevano anche attraverso le palpebre chiuse. Preso dal panico, Slade spinse con forza la cassa. La macchina scivolò nell'aria per oltre trenta metri, poi si fermò. I tre punti luminosi riversarono del fuoco verso i suoi occhi, luminosissimi, come se fossero ancora stati a pochi centimetri di distanza. La maggiore distanza non produceva alcuna differenza. Slade avanzò verso la macchina. Doveva girarla dall'altra parte, altrimenti quell'oggetto gli avrebbe distrutto la vista. La prese con mani che tremavano, e la capovolse. La macchina girò, obbediente. E il suo spaventoso contatto con i suoi occhi si interruppe, mentre scendeva dolcemente verso il suolo. Slade la nascose tra gli arbusti, sulla riva del torrente. Poi, ancora scosso da quella
paurosa esperienza, si distese sull'erba folta della riva. Fu solo a poco a poco che si accorse di come non fosse accaduto nulla di realmente dannoso. La sua vista era ottima, come sempre. I suoi occhi provavano un senso di riposo, di rilassamento. Dormì un sonno profondo, senza sogni, che durò per tutta la notte. Quando aprì gli occhi, stava spuntando il sole. Si mise subito all'opera, raccogliendo frutta dagli alberi vicini e, aveva appena finito di mangiare, quando un sibilo attutito lacerò l'aria, in un punto vicino a lui. Slade spiccò un balzo che lo portò a mezzo metro di distanza, nel momento stesso in cui qualcosa colpiva l'erba, nel punto esatto in cui si trovava prima. 9. Giratosi di scatto, fissò l'oggetto. Si trattava di una specie di laccio, fatto d'una fune dall'apparenza metallica. Si torceva, aprendosi e chiudendosi; poi si tese, mentre Slade lo fissava ancora stupito. I due capi rientrarono in una scatoletta di metallo. Prima che avesse modo di esaminarlo meglio, si udì un altro sibilo. Un secondo laccio gli sfiorò la spalla: aveva fatto appena in tempo a spostarsi, con un rapido salto di lato. Rimbalzando, l'oggetto andò quasi a colpire il tronco di un albero vicino. «Ma che diavolo...», imprecò Slade, nascondendosi precipitosamente dietro un cespuglio. Mentre si chinava dietro le fronde, altri due lacci avevano colpito il terreno, e si stavano torcendo e richiudendosi. Slade si guardò intorno... e vide da dove venivano. Oggetti volanti! Erano troppo in alto per distinguerli bene. Sembrava che avessero delle zampe, ma non ali. Riuscì a cogliere un lampo prima rosso, poi d'un argento accecante, quindi verdastro, e vide anche delle braccia simili a quelle umane che si aggrappavano a qualcosa di rilucente sopra di esse. Si rese conto che erano gli oggetti lucenti a volare, e appesi a essi c'erano delle creature. A intervalli regolari, con un movimento non del tutto distinguibile a causa della distanza, una di quelle creature lanciava un laccio sibilante verso la testa di Slade. Un brivido di terrore gli corse lungo la schiena. Chi erano quegli esseri? Con una sensazione di paura, mescolata a uno strano fascino, ricordò un nome contenuto nella lettera di quella donna, Leear: i Cacciatori della Cit-
tà. I Cacciatori, intanto, si mantenevano lontani. Calcolò a occhio, che dovessero essere a mille metri di altezza. Pensò alle sue pistole: ma, anche se avessero funzionato, sarebbero state inutili, a quella distanza. Si guardò intorno freneticamente, cercando una via di scampo. Ma la foresta più vicina si trovava a circa dieci miglia dietro di lui. Però c'erano gli arbusti, c'erano i cespugli, e non c'era alcun motivo per perdere le speranze, perlomeno fino a quando non fosse stato preso davvero. Cinque lacci balzarono nell'aria intorno a lui mentre osservava la scena e quel pensiero si formava nella sua mente. Cominciò a raccoglierli freneticamente. Probabilmente, i Cacciatori dovevano essere abituati a recuperarli, e non dovevano averne molti. Si nascose dietro un altro cespuglio. Dal suo riparo, guardò intorno a sé, verso l'orizzonte, contando le creature. Una, due... sette. Slade pensò, nervosamente: Se riuscissi a tenerle a bada, fino a sera... Uno sguardo in direzione del sole gli mostrò che non si era affatto spostato... perlomeno apparentemente... dalla posizione di prima. Era basso, sull'orizzonte orientale. La sera e l'oscurità, erano ancora lontane. Slade strinse le labbra. Quindi si calmò; o almeno in parte. La determinazione gli diede una forza rinnovata. Avanti! Non c'era alcun motivo per cui, con un po' di coraggio, non avrebbe potuto farcela... fino a raggiungere quella lontana foresta. Corse rapidamente verso un altro cespuglio, e, nello stesso momento, un laccio giunse sibilando dal cielo, lo circondò, e quindi lo colpì alle spalle. Poi si posò sul suo braccio, stringendosi con una forza irresistibile. Slade cercò di raggiungere il coltello che portava appeso al fianco, ma la stretta intorno al suo braccio era troppo forte. Cercò di tirare quel filo malefico, ma incespicò su un sasso e cadde, rotolando più volte su se stesso. Il laccio pareva fatto d'acciaio. Affondò nella sua carne con una forza che lo fece gemere di dolore. Doveva esserci la possibilità di aprirlo... doveva esistere un congegno, qualcosa... Fece uno sforzo disperato per muovere le dita, ma il laccio lo stringeva con troppa forza. Dibattendosi, Slade riuscì a cogliere un movimento nel cielo, vicino a lui. Era difficile vedere, attraverso il velo di lacrime di dolore che gli offuscava lo sguardo. Ma riuscì a battere le palpebre, per far ca-
dere le lacrime e, dopo un momento, vide chiaramente i Cacciatori vestiti d'argento. Erano a cento metri di distanza, e si stavano avvicinando rapidamente. Allora smise di dibattersi, comprendendo che la lotta era inutile. I sette Cacciatori della Città si lasciarono cadere dai loro apparecchi volanti a circa sei metri di distanza. Slade li osservò brevemente, chiedendosi se Geean fosse tra loro. Pareva improbabile. Rapidamente, dimenticò gli uomini. Furono quegli strumenti volanti color del sangue ad attirare tutta la sua attenzione: rimasero sospesi nell'aria per un buon minuto, sopra gli uomini e poi, come palloni sgonfiati lentamente, scesero al suolo. Un uomo portava un apparecchio volante in più, probabilmente di riserva. Ogni apparecchio era un oggetto che pareva di vetro, dalle incrostazioni rossicce, del diametro di circa dieci centimetri e lungo circa un metro. Portava attaccata una striscia di una sostanza che pareva cuoio e, all'estremità di quella striscia, c'erano alcune prese, evidentemente per i passeggeri. Non c'era altro. Nessun macchinario, nessuna apparente fonte di energia... Slade provò il desiderio di esaminare più da vicino l'oggetto. Riuscì a dominare quel desiderio... anche perché, per la prima volta, aveva visto bene gli uomini. Il giorno in cui aveva visto i soldati di Geean nell'appartamento di Caldra e di Amor, non aveva avuto il tempo materiale per osservarli bene. Ma adesso poteva farlo con tutta tranquillità. Avevano tutti dei volti vigili, attenti, dall'aria viziosa, dissoluta, ed erano estremamente pallidi. Si curvarono su di lui, e uno sorrise, ironicamente. Un altro disse qualcosa, e ci fu una immediata risata generale che, quando terminò, lasciò di nuovo quei volti vigili e attenti. Slade non riuscì a capire le parole. Slade sentì che gli toglievano le pistole e gli altri oggetti che aveva nelle tasche. Ogni pezzo venne attentamente esaminato e poi infilato in una borsa, che pareva di tela. Prima che la perquisizione fosse terminata, uno degli uomini toccò rapidamente il laccio. La stretta si allentò immediatamente, e il laccio si sollevò rapidamente nell'aria. Tutto si svolse rapidamente, dopo. Mentre Slade si alzava in piedi, e si massaggiava le braccia e i fianchi, un altro uomo gli prese le mani, e le guidò fino a impugnare le prese dell'apparecchio volante di riserva; poi indicò un terzo uomo, che stava già facendo decollare il suo apparecchio volante. «Guardalo», ordinò.
Mentre Slade guardava, il terzo uomo cominciò a muovere la sbarra davanti a lui, con un movimento lento, ritmico. E simultaneamente, con destrezza, spiccò un salto in alto. La sbarra che pareva di vetro s'irrigidì, si raddrizzò, e si puntò, come una freccia incoccata nell'arco. Cominciò a salire, con l'uomo appeso alle prese... mentre quello che si trovava accanto a Slade diceva seccamente: «Ora tocca a te». Slade si aspettava che la sbarra cadesse rovinosamente sopra di lui; e nello stesso tempo, paradossalmente, si aspettò che le sue mani venissero quasi strappate, per la forza della tensione, nel momento in cui la sbarra avesse «fatto presa» nell'aria. Ma non accadde niente di simile. Tutt'altro. La sbarra non cadde. Non ci fu alcuno strattone, non ci fu alcun senso di trazione. Qualcosa, una corrente, una... sensazione di leggerezza. .. saturò il suo corpo. E fu quella corrente e non la macchina a sollevarlo nell'aria. Si sentì sollevare come una foglia portata dal vento, come un uccello che si librava nel cielo. Forte come il metallo, il congegno volante si muoveva nell'aria, sopra di lui. Ma si trattava solo di un catalizzatore, che influenzava il suo corpo, e non lo trasportava. Il suo corpo volava con la macchina, apparteneva alla macchina, era la macchina. Le due cose diventarono una sola. Ricordò che le sbarre erano cadute al suolo, pochi minuti prima, non appena i Cacciatori le avevano lasciate andare, e capì che né le sbarre, né gli uomini, potevano volare senza quella perfetta comunione. Una grande forza fondamentale saldava, in perfetta unione, il suo sistema nervoso e la macchina. E il peso della gravità non aveva più effetto su di lui. Era come la macchina fornita di ruota, ricordò, trasalendo. Si voltò a guardare nella direzione in cui aveva nascosto il congegno, ma non era visibile dall'alto. Il sollievo che provò in seguito, era mescolato a un senso di meraviglia. Quali incredibili segreti del sistema nervoso erano stati scoperti da quella gente... segreti sia naturali che meccanici? Vide che gli altri sei Cacciatori stavano salendo verso di lui. Gli si raggrupparono intorno, come uno stormo d'uccelli, tenendosi aggrappati senza alcun sforzo alle loro sbarre. E, in qualche modo, il movimento delle loro macchine diventò la direzione e la velocità della sua. Fu come se il suo apparecchio volante fosse guidato da una corrente empatica di natura sconosciuta, proveniente dalle altre macchine. Volarono sopra l'immensa pianura, e sopra un'interminabile distesa di
paludi, attraversando ampie valli e sorvolando foreste verdeggianti. Slade notò che gli apparecchi volanti tendevano a rimanere vicini alla superficie. Neppure una volta i Cacciatori tentarono di salire a una quota più alta. Si muovevano intorno agli alberi, attraverso i boschi, non sopra di essi. Evitavano le montagne torreggianti, incappucciate di neve, che sorgevano ai loro lati. Come un fiume, essi scorrevano lungo la rotta più facile e, alla fine, Slade decise che l'energia motrice doveva derivare dalle correnti magnetiche della Terra. Nient'altro, alla luce di quanto lui sapeva, poteva spiegare la facilità e la semplicità del loro volo, e quel tipo di trasporto. In un lasso di tempo sorprendentemente breve, il gruppo di uomini volanti arrivò in vista di una città fatta di torri e guglie sfavillanti. Slade la fissò spalancando gli occhi, perché era completamente dissimile, dall'esterno, da come era stata all'interno. Aveva un'ampiezza di circa quattro miglia, e sorgeva all'imboccatura di un'ampia valle. Non riusciva a distinguere la ; lunghezza: gli apparecchi volavano a quota troppo bassa, mentre la città sorgeva su un altopiano. Le sue torri e i suoi tetti scintillavano, nell'ardente chiarore del sole che saliva verso lo zenit. La sua conformazione, ora, era chiaramente visibile. L'intera città saliva verso la torre centrale di Geean, che sorgeva come una colonna immensa, dando l'impressione di sfiorare il cielo. L'altezza di quella colonna pareva maggiore di quanto egli ricordasse. Rivaleggiava con i vicini picchi bianchi delle montagne e, dalla sua sommità d'argento, un chiarore nebuloso, violaceo, si diffondeva come un velario, coprendo l'intera città. Il colore era sorprendentemente chiaro, visto da quell'angolazione. Era una nebbia di luce che si curvava, scendendo fino a toccare l'erba, a un miglio di distanza dai confini della città, in ogni direzione. Gli apparecchi volanti si fermarono davanti alla barriera. Ma solo per un momento. Dalla torre lontana apparve un segnale lampeggiante, e gli apparecchi ripresero ad avanzare, attraversando la barriera come se fosse stata di vera nebbia. Sfiorarono i tetti delle case più basse, descrissero veloci circoli per aggirare le guglie e le torri, e poi cominciarono a scendere. Arrivarono a sei, e poi a tre metri dal suolo. Un uomo allora si avvicinò, e toccò una delle prese della macchina di Slade. «Lascia andare», ordinò seccamente. «Salta giù.» Slade lo guardò, sorpreso, e senza comprendere. Quel volto astioso così vicino al suo, era chiaramente ostile. «Salta!»
Slade guardò in basso. Una strada ricoperta di ciottoli stava sotto di lui, esitò, poi lasciò andare le prese. L'istantaneo ritorno del peso fu come un brivido in tutto il suo sistema nervoso. Cadde al suolo, con forza maggiore di quanto avrebbe voluto. Rotolò per un paio di volte, e poi si alzò in piedi. Gli apparecchi volanti, con i Cacciatori, stavano già scomparendo dietro una guglia vicina. Improvvisamente, era rimasto solo. Testimonianza di John Alden, agricoltore: Sono abituato ad alzarmi tutte le mattine alle cinque precise. Il giorno 19 mi sono alzato all'ora solita, ed ero già uscito per lavorare, quando ho osservato quello che mi è parso uno spettacolo molto strano. Una donna e un grosso animale, che sembrava un orso, stavano camminando in direzione Ovest, attraverso il mio campo. Dato che spesso gli orsi sono pericolosi, sono stato assalito dal timore che la donna non sapesse di essere seguita da un animale così grosso e terribile. Così mi sono messo a correre per andare a prendere il fucile ma, benché sia rimasto in casa solo per un minuto, e benché nessuno avrebbe potuto nascondersi nelle vicinanze in un periodo così breve, quando sono uscito dalla casa, non c'era più alcun segno né della donna, né dell'orso. Erano scomparsi, alla lettera... o almeno così mi è parso. Fu solo dopo mezzogiorno, in quello stesso giorno, che il corpo sfracellato di Michael Slade è stato scoperto nella valle fra le colline a due miglia di distanza da casa mia. Secondo il dottore, era morto circa mezz'ora prima della scoperta del cadavere. Così è molto probabile che la sua morte non abbia alcuna connessione con la donna e con l'orso che ho visto qualche ora prima. Comunque, ho denunciato l'incidente, per quello che potrà valere, allo scopo di chiarire un po' il mistero dell'uomo con tre occhi. A parte quanto già detto, non avevo mai visto Michael Slade, fino a quando il suo cadavere non è stato portato nella mia fattoria dal dottore. C'è un'altra cosa: quando i poliziotti di Smailes e io abbiamo esaminato le tracce delle donna e dell'animale, abbiamo scoperto che queste terminavano bruscamente nel bel mezzo del campo. Non saprei proprio fornire nessuna spiegazione su questo fatto. 10.
Camminava a passi lenti, esaminando fra sé la propria situazione. Non aveva più le pistole, anche se servivano a poco, ma il suo coltello era ancora nel fodero. I Cacciatori della Città gli avevano lasciato anche il fazzoletto, una scatoletta di ami da pesca e una confezione di fiale di morfina, che aveva portato con sé nella possibilità di subire un incidente grave. D'improvviso, fu distolto dai suoi pensieri dalla scoperta che la strada secondaria in cui era caduto non era deserta come pensava. Da un vicolo laterale, una vecchia uscì correndo verso di lui e gridò con voce impastata: «Sangue! Sangue! Altrimenti ti ucciderò, stanotte». Slade l'allontanò da sé con una spinta, pensando: Perché lo avevano lasciato andar via? Che cosa si aspettavano che avrebbe fatto? Forse che lui... Ma certo! Geean pensava che lui fosse al corrente della congiura ordita dai suoi avversari, e si aspettava che, una volta libero, lo avrebbe condotto dai suoi presunti complici! Rise fra sé. Il ragionamento di Geean — se davvero era quello — era abbastanza sensato: ma c'era un difetto di fondo. Geean aveva torto, se pensava che Slade ne sapesse qualcosa più di lui del complotto. Ma per ora la cosa non aveva importanza. Il suo problema principale, prima del calar della notte, era quello di trovare la casa che un tempo avevano occupato Amor e Caldra. E, dato che Geean già la conosceva, per cercarla non aveva bisogno di usare particolare prudenza. Nella sua situazione presente, due cose erano certe: non poteva fuggire da Naze, e Geean avrebbe potuto arrestarlo in qualsiasi momento, se avesse voluto. Il sole era ancora alto nel cielo, quando arrivò nella parte della città occupata dai membri della cospirazione. Riconobbe una strada, poi un'altra, quindi si accorse di essere ormai vicino all'appartamento. Mentre affrettava il passo, ansioso, la voce familiare di una giovane donna piagnucolò: «Il tuo sangue, signore». Slade stava per proseguire, quando un'esclamazione sfuggì dalle labbra della ragazza. Allora lui si girò di scatto, e la fissò, attonito. Il volto di lei si stava già irrigidendo, per la sorpresa dell'incontro. «Beh», disse la donna, con una smorfia di disprezzo, «guarda un po' se questo non è l'uomo che avrebbe dovuto distruggere Naze.» «Amor!» Poi ricordò Geean, e ricordò anche che i suoi movimenti, probabilmente, venivano osservati. «Presto!», mormorò. «Andiamo nell'appartamento di Caldra. Lì ti darò un po' di sangue. Ma adesso... schiaffeg-
giami, come se fossi infuriata contro di me.» Lei lo fece con estrema sollecitudine. La sua mano si sollevò rapidissima, e lo schiaffeggiò con violenza su una guancia. Poi si allontanò, barcollando, e Slade andò avanti, rendendosi conto per la prima volta delle implicazioni di ciò che era accaduto. Amor... nelle strade. Provò, per un istante, un acuto senso di degradazione. Poi un senso di collera nei confronti di Leear. Era lei la responsabile di tutto quello. Si domandò cupamente, se la ragazza era andata all'appuntamento nell'appartamento. Era già arrivata là, prima di lui. Gli aprì la porta, e cominciò a parlare nel momento stesso in cui lui varcò la soglia. Parlò e parlò, con una rapidità folle. Era rossa in viso, e aveva gli occhi spalancati e fissi. Le mani le tremavano, e pareva sull'orlo di una crisi isterica. Era sfuggita alla morte la notte in cui Caldra era stata uccisa, perché non si era trovata nell'appartamento. Aveva passato la notte da una sua amica. «Temevo che sarei entrata nella tua camera, se fossi rimasta.» Il tono febbrile con cui vennero pronunciate quelle parole ricordò a Slade la situazione. Si alzò in piedi, e andò nella camera da letto della ragazza. La siringa e la tazza si trovavano sul tavolo, accanto al suo letto. Pensò, nauseato: Ecco a quali abissali profondità può sprofondare quello che, orgogliosamente, noi chiamiamo Homo Superior! Portò la siringa in cucina, mise a bollire dell'acqua sulla bizzarra stufa a energia, e poi sterilizzò l'ago della siringa. Quindi infilò l'ago, con destrezza, in una vena del suo braccio sinistro. Il sangue salì, scuro e denso, nella siringa trasparente. Quando questa fu piena, versò il liquido nella tazza. Il liquido sfrigolò lievemente, quando toccò il metallo, ma non ci furono altre reazioni. Con mani ferma, posò la tazza sul tavolo, accanto alla ragazza. La ragazza si passò la lingua sulle labbra, ma non guardò la tazza. Il suo viso era immobile, il corpo rigido. I suoi occhi fissavano con fermezza il pavimento. Disse, in tono monotono: «Perché sei tornato nella città?». Cominciava a ragionare. Era un buon segno. Slade iniziò a parlare. Fu completamente sincero, anche se molto sintetico. Quando ebbe finito, gli occhi di Amor scintillavano. La donna si alzò in piedi: d'un tratto, era enormemente eccitata. «Ci siamo», disse lei. «Ci siamo!» Lo guardò con gli occhi spalancati.
«Non capisci? Non sei qui per caso. Tutti sono terribilmente astuti, ma determinati. Geean si è lasciato prendere in trappola. Perché? Perché qui si sente al sicuro, dietro la sua Cintura d'Argento, ma è disperatamente ansioso di scoprire in qual modo Leear pensa di usarti per distruggerlo. E, con audacia sfrenata, è disposto a correre dei rischi adesso, per poter sapere come proteggersi in futuro.» Aveva cominciato a camminare su e giù per la stanza, sempre parlando. In quel momento si fermò proprio di fronte a Slade. Disse, con voce appassionata: «Va' direttamente da lui. Questo lo potrà sconcertare. Lui si aspetta che tu faccia qualcosa: si aspetta che qualcuno ti dica di fare qualcosa. Benissimo, te lo dirò io. Leear ha detto che solo tu puoi uccidere Geean: questo significa che nulla può accadere a meno che tu non sia presente. Questo significa inoltre che, nelle attuali circostanze, dovrai andare a cercare Geean. Non potrai evitarlo, a lungo andare. È impossibile uscire da Naze se non si ricorre e Leear. E puoi essere certo che Leear ti terrà qui fino a quando non avrai fatto quello che lei desidera da te. Inoltre, prima o poi, Geean ti farà condurre al suo cospetto in ogni caso, e... Ecco!». Si interruppe, e corse verso il tavolo. Quindi tornò indietro, rapidamente, reggendo la tazza di sangue. Gliela porse, e disse, in tono febbrile: «Bevine un sorso. Ti darà coraggio. L'effetto non durerà più di un'ora». Slade prese la tazza, incuriosito. Si sentiva sopraffatto. Aveva sempre avuto l'intenzione di assaggiare quella sostanza, anche se l'idea di bere il proprio sangue era semplicemente disgustosa. Tuttavia, non intendeva farsi spingere tanto presto nelle mani di Geean. Il suo impulso era quello di temporeggiare. Sollevò la tazza, portandola alle labbra, ed esitò. Poi ne bevve un piccolo sorso... «Entri qui», disse l'ufficiale della torre, in tono insolente. «Se Sua Eccellenza Geean deciderà di parlare con lei, glielo farà sapere.» La porta quindi di chiuse, con un tonfo sordo, minaccioso. Slade barcollò, mentre avanzava di qualche passo verso il centro della stanza. Il senso di piacere estatico, quasi intollerabile, che era esploso in tutto il suo sistema nervoso, pochi istanti dopo avere bevuto il sangue, adesso era scomparso. Rimaneva solo il confuso ricordo di folli sogni ebbri di piacere, e l'inizio di una tempestosa, violenta collera. Quella piccola sgualdrina, pensò, quella ingannatrice di Amor. Sapeva quello che sarebbe accaduto.
Era stato una specie di stato ipnotico, che lo aveva spinto, senza che lui opponesse resistenza, attraverso un nebuloso dedalo di strade, sulle ali di un'eccitazione gioiosa, fino alla torre di Geean. I bevitori di sangue dovevano impartire degli ordini ai propri cervelli, un attimo prima di bere la sostanza. L'ordine della ragazza era stato di andare da Geean, e lui ora era là. Ancora stordito, Slade si guardò intorno. C'era un letto in un angolo, e una grande finestra che occupava quasi completamente la parete opposta. Slade guardò fuori dalla finestra, tremando, e batté le palpebre. Stava guardando in basso, e c'era un abisso vertiginoso, sotto di lui. Giudicò di essere a un'altezza di almeno settanta piani, e si stava sporgendo per verificare l'altezza, quando nel suo cervello esplose la consapevolezza di essere in grado di sporgersi. Non c'erano vetri in quella finestra. Indietreggiò verso il centro della stanza, scosso dalla sua condizione mentale, che gli aveva permesso, anche solo per un momento, di non capire che la finestra sarebbe stata pericolosa. Meglio sdraiarsi sul letto, si disse nervosamente. Sognò quel tipo di sogno che giunge insieme agli effetti postumi di chi ha ingerito una droga. Nel sogno, il suo corpo volava da una finestra aperta, e precipitava per settanta piani fino a sfracellarsi sul pavimento, in basso. Si svegliò tremando, e poi s'irrigidì. Un nith stava in piedi accanto al suo letto, e la sua lunga testa possente era curva sopra di lui. I suoi tre occhi lo fissavano, come laghi di luce innaturale. Si accorse del fatto che lui era sveglio, ma non tentò neppure di scostarsi dal letto. Gli disse: «Chi ti ha detto di venire qui?». E rimase là, immobile, in attesa. Confusione. Il cervello di Slade era pronto praticamente a tutto, ma non a una parola, non a una frase. La sorpresa fu troppo grande, per una normale reazione. Sorpresa completamente fuori guardia, la sua mente sospese temporaneamente tutte le sue funzioni. Non fu divertente. Il suo metabolismo venne colpito dal fenomeno. Il suo corpo fu attraversato da un fiotto di energia nervosa priva di controllo. Provò un senso di nausea, seguito dall'incapacità di eseguire certi normali movimenti muscolari che automaticamente allentavano la tensione, come inghiottire e battere le palpebre. Il sangue parve congelarsi dietro i suoi occhi, e la vista gli si offuscò.
Provò l'acutissima convinzione, non un pensiero, non un timore, di stare per precipitare nuovamente nell'altro piano di esistenza, nell'altra Terra. Il terrore ingigantì, diventò così mostruoso, che finalmente il primo pensiero fu in grado di formarsi nel suo cervello. Il suo sogno... sarebbe precipitato per settanta piani, se fosse stato strappato da quel piano di esistenza. L'immagine della caduta per poco non pietrificò la sua mente. Ma i secondi passarono, e non accadde nulla. La sua fiducia ritornò. La testa, per metà d'orso, per metà felina, del nith, era a meno di trenta centimetri dal suo viso, quando disse: «Qual è il piano per distruggere Geean?». C'erano diverse cose, in quelle parole, che per poco non offuscarono nuovamente il cervello di Slade. Non si trattava di parole. Non si udiva alcun suono. La creatura stava comunicando con il pensiero. Si trattava di telepatia mentale. Slade giacque immobile, cercando disperatamente di comprendere le implicazioni relative a un animale che possedeva un sistema di comunicazione migliore di quello umano. Ricordò gli animali selvaggi che lo avevano spiato, e la vigilanza, la prudenza degli uccelli vicino alle caverne. Era possibile che tutti quegli animali fossero stati in grado di leggere nel pensiero? Quel pensiero terminò. Il nith stava ringhiando minacciosamente. Un'enorme zampa si sollevò. Qual è il piano? Con un solo movimento sincronizzato, Slade si lanciò verso il lato opposto del letto, e afferrò il suo coltello. In preda alla paura cadde dal letto. Poi si alzò subito in piedi, con il coltello pronto, e indietreggiò verso la parete più vicina. «Attento», disse. «Posso affondare questo coltello nel tuo corpo.» In seguito Slade non ricordò chiaramente quello che era accaduto dopo quelle parole. Era voltato letteralmente rispetto alla finestra, quando un secondo nith entrò nella stanza, uscendo dall'aria a settanta piani di altezza dal suolo. Il nith aveva un'arma trasparente, larga non più di trenta centimetri, che lanciò un raggio rossastro, pallido, verso il primo nith. Probabilmente l'animale morì istantaneamente, ma ci volle più di un minuto prima che il raggio disintegrasse totalmente quell'enorme corpo. Il nuovo arrivato guardò Slade, e gli rivolse un pensiero carico d'urgenza. «Era un traditore. Abbiamo aspettato pazientemente che Leear ci in-
viasse l'ordine di ucciderlo. Ma ora, non c'è tempo da perdere! Ma prima, sarà meglio che io mi liberi di questo...» Slade non capì la parola che il nith aveva usato per descrivere l'arma. Guardò l'animale, che, con destrezza, apriva in due lo strumento. All'interno, c'era un congegno semplicissimo, costruito intorno a un a linguetta libera di metallo. La zampa del nith strinse il piccolo oggetto. «Presto», disse, «metti questo in tasca. Così.» Slade non ebbe alcuna possibilità di decidere data la situazione. L'animale avanzò verso di lui: prima che potesse decidere se opporre resistenza o meno, il nith infilò la linguetta metallica nella tasca sinistra della giacca dell'uomo. Slade osservò l'animale che nascondeva sotto il letto le due sezioni residue dell'arma. Poi il nith si alzò di scatto. «Stanno venendo a prenderti», disse, nervosamente. «Ricorda: la vittoria non è ancora stata raggiunta. Ciò che abbiamo fatto fino a questo momento, avremmo potuto farlo già molti anni fa.» Questa è la crisi. A quel punto la porta si aprì, e una mezza dozzina di soldati entrò nella stanza. Senza dire una parola, essi guidarono Slade in un lungo corridoio male illuminato, e lo scortarono fino a un ascensore. Il nith li seguì. L'ascensore salì di altri dieci piani. Un altro corridoio, e poi furono davanti a una porta, che si aprì mostrando uno spazioso appartamento. Un uomo alto, dal fisico d'atleta, stava in piedi davanti a una finestra priva di vetri, intento a guardare fuori. Indossava gli abiti lucenti e argentei dei Cacciatori di Naze e, fino a quando non si voltò, Slade non lo riconobbe: non provò neppure un vago senso di familiarità. Fu quello che rese ancor più terribile lo shock del riconoscimento. Geean era Malenkens. 11. Per Slade era stato un giorno di paura e di emozioni. Si accorse che l'uomo lo stava fissando con un sorriso ironico sulle labbra, e fu il disprezzo evidente in quel sorriso a scuoterlo dall'inerzia e dallo stato confusionale in cui era precipitato. Un fuoco d'artificio di pensieri gli esplose nella mente, e improvvisamente si rese conto della situazione generale. Comprendeva, adesso, le scuse di Danbar. Quella notte, nella casa di Caldra, il nith di Geean
doveva avergli letto nella mente, e sulla base delle informazioni ottenute, Geean aveva deciso di rimanere in attesa del suo arrivo, fra gli abitanti delle caverne. Lì, non aveva avuto bisogno di alcun interrogatorio: Slade stesso gli aveva raccontato, con tutti i particolari, quello che era accaduto. Non riusciva a immaginare quali tremende minacce avesse usato, per ridurre al silenzio uomini come Danbar. Il sorriso dell'altro si fece ancora più sprezzante. «Hai ragione», disse. «È andata proprio così.» Quelle parole, che sembravano un riflesso preciso dei suoi pensieri, lasciarono Slade stupefatto. Fissò il nith, e la mente dell'animale entrò subito in contatto con la sua. «Ovviamente, sto fornendo a Geean una versione addomesticata dei tuoi veri pensieri. Il nith traditore gli serviva proprio per sondare le menti altrui. Doveva avere qualcuno capace di leggere nel pensiero, e io sono stato scelto per sostituire il morto a causa della mia notevole somiglianza con lui. Ma ora preparati. Devi stare in guardia.» L'animale proseguì, senza dissimulare l'ansia e l'urgenza. «Geean non è sicuro di sé come sembra. Teme molto Leear, e si sono già verificati degli eventi che gli hanno fatto capire che la crisi è ormai in atto. Se qualche cosa dovesse spaventarlo improvvisamente, ti ucciderebbe senza aspettare un istante. Perciò devi tenerti pronto ad agire nel momento stesso in cui riceverai il mio ordine mentale.» «Ma che cosa dovrei fare?» Non ci fu alcuna risposta a quel pensiero, formulato con tanta intensità. Slade si passò la lingua sulle labbra aride, quando comprese di essere completamente coinvolto in una situazione i cui sviluppi gli venivano rivelati minuto per minuto. Pensò: Devo convincere Geean, persuaderlo che io non costituisco un pericolo, per lui. Prima che potesse parlare, Geean disse: «Slade, in questo momento tu sei ancora vivo perché io sono indeciso. Una donna...», la sua voce si fece rabbiosa, «una donna che si chiama Leear, la sola altra Cintura d'Argento immortale, ha affermato di poterti usare per uccidermi. Io potrei ucciderti subito, eliminandoti del tutto, ma Leear senza dubbio potrebbe tirar fuori un'altra persona come te per minacciarmi, e la prossima volta forse non riuscirei a scoprirla in tempo. È questo il momento in cui dovrò correre un rischio calcolato. Tu sei l'unico che ne
trae vantaggio, allo stato attuale. Slade, devo scoprire qual è il suo piano. Per me, nessun'altra cosa al mondo è altrettanto importante». Era una scena convincente. Il volto di Geean era cambiato, mentre lui pronunciava queste parole. Un'ansia visibile lo animava. L'uomo era affascinato, completamente affascinato dalla minaccia che gli si presentava. Lui, che era immortale, d'un tratto si sentiva minacciato, e la cosa più sorprendente doveva essere l'indeterminazione, la mancanza di particolari circa quella minaccia totale, ancor più terribile perché vaga e oscura. Probabilmente dovevano essere passati molti secoli, dall'ultima volta in cui Geean era stato così interessato ed eccitato da qualcosa. I pensieri di Slade in quel momento terminarono, perché Geean stava proseguendo, con voce più dura, e con un atteggiamento più deciso: «Slade, per me è chiaro, ormai, che tu sei soltanto una pedina involontaria, in tutta questa faccenda, ma io non posso farci niente. Tu sei qui, e lo scontro è iniziato, malgrado tutti gli avvertimenti che ho dato a Leear. In questo momento — e indubbiamente si tratta di opera di Leear — un fuoco atomico sta infuriando al quarantesimo piano della torre. Non ci vorrà molto prima che arrivi quassù». Di colpo, l'attenzione di Slade fu sviata. Rimase immobile, come paralizzato. Un fuoco atomico! Beh, quello significa che la torre sarebbe stata distrutta da qualche incredibile reazione a catena, e che la barriera sarebbe caduta per sempre. Naze era condannata. Mentalmente, provò a raffigurarsi quel fuoco, quell'incendio incredibile. Cominciò a tremare. Gli altri, indubbiamente, erano in grado di fuggire, ma lui? La voce implacabile di Geean proseguì: «Leear ha sempre avuto la possibilità di dare inizio a una reazione atomica incontrollabile come questa, tra le macchine della barriera, ma molto tempo fa...», il suo tono si fece remoto, «moltissimo tempo fa, l'ho avvertita che, se mai avesse osato farlo, io avrei ucciso ogni essere umano esistente sul pianeta». I suoi occhi, freddi come il ghiaccio, fissarono Slade. Il cambiamento dell'uomo stordì completamente Slade. All'inizio, c'era stato in lui qualcosa dell'aspetto rigido, ma benevolo, di Malenkens. Adesso però tutto questo era scomparso. Il suo volto era trasformato: era simile a una maschera, così crudele da impaurire e far inorridire Slade. Nello spazio di pochi minuti, il Dottor Jekyll era diventato Mister Hyde. Geean proseguì, con voce spietata, terribile: «Leear ha sempre saputo che, se avesse distrutto la barriera, io avrei di-
strutto la razza. Ora ha fatto la sua scelta. E così sia!». Le parole erano talmente cariche di significato, talmente definitive, che il loro senso non penetrò immediatamente nel cervello di Slade. L'uomo stava pensando allo spettacolo del cambiamento di Geean... Sembrava un uomo che, di fronte ai suoi occhi, avesse bevuto fino ad abbrutirsi, fino a trasformarsi in un maiale grufolante; sembrava la visione improvvisa, forzata, di una fogna; come se qualcuno lo avesse costretto, brutalmente, ad assistere a uno spettacolo osceno. Slade rabbrividì, disgustato, e poi, bruscamente, la sua attenzione per quei fattori fisici passò. In un solo, breve istante, il titanico significato globale delle parole dell'uomo penetrò nella sua mente. Si sentì paralizzato, e poi, ancora più di prima, si convinse della necessità di far credere a Geean... di persuaderlo che Michael Slade non avrebbe fatto nulla per danneggiarlo. Aprì le labbra per parlare... e le richiuse subito. Alle spalle di Geean, una forma stava entrando dalla finestra. Era una figura di donna, momentaneamente nebulosa, priva di sostanza. Il nith doveva avere avvertito Geean, perché questi si voltò, riuscendo a sorridere... un sorriso che era poco più di una smorfia. Ma quel sorriso diventò una smorfia di disprezzo quando Leear entrò nella stanza. Slade la guardò attentamente. Capì che probabilmente la sua vita era sospesa a un filo, in equilibrio tra quei due personaggi. Ora che Leear era arrivata, Geean doveva prepararsi alla necessità di uccidere rapidamente l'unico uomo che, in teoria, avrebbe potuto ucciderlo. Il pensiero ansioso del nith penetrò subito nella mente di Slade. «Rilassati, uomo, per il tuo bene, e per il nostro. Certamente tu possiedi un'esperienza sufficiente sulla natura del sistema nervoso, da capire che un essere umano teso e non rilassato si trova in una posizione di tremendo svantaggio. Quindi calmati, e affronta la situazione.» Rilassarsi! Slade si aggrappò a quella speranza. Ora rilassarsi, per lui, non doveva essere tanto difficile. La speranza si fece più profonda, più completa. Che beffa favolosa e terribile era, per Geean, la presenza di quel nith! Slade guardò l'animale, pervaso da un senso di meraviglia e di curiosità. Stava là, accovacciato al suolo, simile a un gigantesco incrocio tra un orso e un gatto, e leggeva i pensieri di tutti, fornendo a ogni persona una versione censurata di quello che vedeva. E Geean credeva... stava là: freddo e sicuro; e credeva... che quello fosse il suo nith.
Se era davvero impossibile ucciderlo, allora quell'illusione non aveva alcun significato. Ma se Leear possedeva davvero il modo per ucciderlo, se esisteva un punto debole nella corazza di Geean, allora quel presuntuoso aveva commesso il più fatale errore della sua carriera. Slade sospirò lentamente, profondamente, ed espirò... un lungo respiro. Il rilassamento completo fu così immediato, così facile, che quasi lo sorprese. In piedi nella stanza, per la prima volta poté guardare con attenzione e con calma, Leear. Era una Leear diversa da come la ricordava nei precedenti, fuggevoli incontri. L'aveva vista nuda, vicino alla palude, ed era stata poco più di un'ombra, all'interno dell'astronave. Chissà come, lui aveva dato per scontato il fatto che lei indossasse gli abiti semplici e pratici degli abitatori delle caverne. Ma era stato un errore. Di fronte a lui non c'era un'abitatrice delle caverne. I suoi capelli erano meravigliosi, acconciati perfettamente, quasi incredibili nella loro compostezza. E scintillavano, parevano brillare di una fiamma propria. Indossava un abito di seta che pareva nuovissimo. E doveva essere stato fatto per lei. Nascondeva e mostrava la sua figura, con un gusto raffinato. Anche il suo atteggiamento dominatore era addolcito, perché rivolse un fuggevole sorriso a Slade, ma poi, quando si mise di fronte a Geean, il sorriso svanì. Se aveva avuto l'intenzione di parlare, non aveva agito con sufficiente prontezza. Fu Geean a rompere il silenzio. «Tutta agghindata con l'abito nuziale», sbuffò, ironico. Cominciò a ridere. Fu una risata forte, offensiva. Alla fine s'interruppe, e si rivolse sorridendo a Slade. «Sarai interessato a sapere, amico mio, che tu costituisci l'ultima speranza di questa zitella di diecimila anni. È un po' difficile spiegarlo, ma gli abitanti delle caverne, a causa del loro tipo di addestramento del sistema nervoso, ricevono un influsso negativo dalle emanazioni di una donna che trae il controllo nervoso e l'energia da mezzi meccanici. Perciò, lei non può trovare un marito tra loro. Questo lascia soltanto i miei bevitori di sangue, là fuori...», indicò con un cenno della mano la finestra, «e te.» Il suo sorriso si accentuò. «Per motivi morali, lei non prova alcun interesse per un uomo che abbia acquisito l'abitudine di bere sangue, e questo, naturalmente, restringe ulteriormente il campo di scelta, lasciando soltanto te. Divertente, no?» Il sorriso svanì. Improvvisamente irato, l'uomo si rivolse a Leear. «E tu, mia cara», disse, irosamente, «forse sarai interessata a sapere che Slade è dalla mia parte, non dalla tua. Il nith mi ha appena informato del
fatto che lui è disperatamente ansioso di convincermi di un solo fatto... e cioè, che io non ho nulla da temere da parte sua. Dato che il nith mi informerà, se e quando lui cambierà idea, io mi trovo in una posizione unica, per trattare.» Geean non capiva. Era sorprendente, quasi incredibile vederlo là, in piedi, sicuro, pronto a credere a tutto ciò che il nith gli diceva. Non che il nith avesse mentito, sulle intenzioni e sui desideri di Slade, ma il fatto che egli gli fornisse, con calma e freddezza, dei dati reali e precisi, sottolineava, in modo completo, quanto Geean fosse alla mercé dell'animale, per ottenere informazioni. Per il suo bene, Geean doveva sperare di essere davvero immortale. Altrimenti, la sorpresa sarebbe stata tremenda, per lui. «Noi desideriamo mostrarti», giunse il pensiero del nith, «se Geean ce lo permetterà, cosa si nasconde dietro questa lotta tra l'astronave e la città. È per questo che gli ho rivelato la tua determinazione di non ucciderlo.» Il nith proseguì, rapidamente. «Si tratterà solo di un rinvio. Non puoi sfuggire alla necessità di scegliere tra i due mondi che si combattono qui, tra le due persone che sono in piedi davanti a te. Posso dirti questo: quando verrà il momento, la tua scelta sarà libera, ma solo nel senso in cui tutto, in questo universo, è libero. Ma ora, dobbiamo convincere Geean a lasciarti ascoltare una breve storia di Naze.» Geean era più che disposto. Parve anzi, sinceramente divertito. «Così, la situazione si riduce, in realtà, a convincere Slade a fare qualcosa. Credo che sia meglio avvertirti che, in questo momento, sono io quello che ha maggiori possibilità di convincerlo. Ricordavo adesso alcune cose che lui mi ha detto, a proposito del suo paese. Solo pochi anni fa, hanno lanciato delle bombe atomiche sulle più importanti città di uno stato loro nemico. L'analogia con il nostro caso è molto interessante, e gli auspici sono così negativi, per te, che ti suggerirei semplicemente di aprire la tua mente al nith, in modo da finire al più presto possibile l'intera faccenda. Voglio sapere soltanto una cosa: come pensavi di usare Slade per uccidermi?» Sorrise. «Non puoi dirlo? Benissimo, andiamo avanti, allora. Per me è sempre divertente ascoltare i resoconti di avvenimenti ai quali ho partecipato.»
Rapidamente, si avvicinò a un divano, e sedette. Quindi si mise ad aspettare. Leear si rivolse a Slade. «Devo fare presto», gli disse. Poi gli raccontò una storia, e non si trattò di una storia molto lunga. Ma era il quadro della fine di una civiltà che aveva raggiunto la perfezione meccanica. Gli abitanti immortali di Naze erano invulnerabili, in virtù delle loro Cinture d'Argento che davano loro il pieno controllo sul sistema nervoso. C'erano delle macchine per ogni scopo, e tutte operavano in base allo stesso principio... il controllo del sistema nervoso umano, per mezzo di energie inorganiche. Con il lento trascorrere degli anni, la perfezione stessa cominciò ad assumere i contorni di una minaccia. Venne scoperto che gli individui cominciavano a ricorrere al suicidio con sempre maggiore frequenza. La noia si posò, come una immensa cappa tenebrosa, su quell'assoluto trionfo della civiltà materialistica e, con il passare di ogni giorno, nuovi uomini e nuove donne cercavano riposo e ristoro nella morte volontaria. Cominciò a diventare una tendenza di massa. All'inizio, il pianeta era stato molto popolato, quasi sovraffollato. Alla fine, un manipolo di pochi milioni di abitanti rimase ad abitare diciotto città. Fu in questa situazione di stallo che le nuove scoperte sul sistema nervoso umano proiettarono una luce completamente diversa sul futuro dell'uomo. Vennero eseguiti degli esperimenti su animali e uccelli. In un periodo sorprendentemente breve, diverse specie riuscirono ad acquisire la facoltà di leggere nel pensiero, una cosa che l'uomo, con tutte le sue macchine, non era mai riuscito a realizzare. Gli animali avevano reagito meravigliosamente anche sotto molti altri aspetti, e così venne indetto un plebiscito, e venne deciso, a stragrande maggioranza, di rinunciare all'immortalità artificiale, e dare una possibilità di riuscita a quella nuova, prodigiosa scienza. A questo punto, Leear fece una pausa, e osservò Slade con aria grave. «Non potevano esserci mezze misure. La scelta era fra tutto e niente; non potevano essere permesse delle scelte volontarie, non potevano essere permesse eccezioni. Le nuove scoperte dimostravano che l'uomo, nella sua semplicità primitiva, aveva seguito la strada sbagliata della civiltà, e che ora doveva ripercorrere la strada percorsa, e ricominciare dall'inizio. Doveva tornare indietro, e allontanarsi dagli Dèi materialistici che egli aveva seguito per tanto tempo; doveva allontanarsi dalle sue città, e dalle sue macchine. Tu stesso hai visto cosa sono in grado di fare uomini come
Danbar, e Danbar ha raggiunto solo una parte della terza fase di controllo, quella molecolare. La fase finale, o elettronica, che è impossibile da raggiungere fino a quando la città di Naze continuerà a resistere, va al di là di qualsiasi cosa che l'uomo abbia mai immaginato, o sognato. Con le nostre cinture meccaniche, le nostre Cinture d'Argento, abbiamo avuto solo delle fugaci, frammentarie visioni, che hanno eccitato la nostra immaginazione, e ci hanno lasciato nella mente un senso di rimpianto e di vuoto... ma questo è tutto. Gli uomini saranno come Dèi, quasi onnipotenti, e naturalmente immortali. Capisci? Naturalmente immortali! Nel tuo mondo e nel mio, molto tempo fa, migliaia di generazioni di esseri umani sono perite, senza che ciò fosse necessario. Tutti quegli esseri umani avevano già, nei loro corpi, il potere che supera tutti gli altri poteri, l'innata capacità di realizzare ogni desiderio.» L'immagine aveva cominciato a formarsi nella mente di Slade, mentre Leear parlava. L'esistenza degli abitanti delle caverne era così spiegata. I pezzi del rompicapo si stavano unendo, lentamente e gradualmente, formando un disegno assai più comprensibile di quell'altro piano di esistenza; e lui ebbe la visione abbagliante dell'obiettivo della donna. Leear stava proseguendo, rapidamente. «Pensa alla tua esperienza», disse, in tono appassionato. «Tu sei venuto da un piano di esistenza in un altro, perché la tua mente, d'un tratto, ha accettato una nuova realtà. E c'è un altro paragone che ti mostra come le apparenze possano essere totalmente sbagliate. La luce. Il popolo dei due occhi deve avere una definizione della luce materialistica, che la definisce come qualcosa di esterno.» Lo fissò con aria così ansiosa che Slade annuì, e lei spiegò, in breve, le teorie sulla luce... quella delle onde, e quella dei corpuscoli. «La luce», esclamò Leear, in un tono di trionfo, «è una percezione del reagente, non un'attività dell'agente. Là fuori, nello spazio, c'è un grande corpo celeste che noi conosciamo come il sole. Noi, e ogni oggetto che si trova nella stanza, organico o inorganico, ci rendiamo conto della presenza di quel sole. Tutti reagiamo alla sua presenza, proprio come esso reagisce alla nostra. Ma non ci manda calore, né luce, niente. La consapevolezza, la percezione, sono dentro di noi, dentro le molecole di questo tavolo e di quella sedia. Per noi, quella percezione si manifesta come tale, e la chiamiamo luce. Ora, vedi, puoi capire perché l'uomo primitivo, senza nessun aiuto, può avere seguito la strada sbagliata. Non aveva alcun modo per
comprendere la reale natura del mondo in cui viveva.» Slade non avrebbe immaginato di comprendere ciò che lei intendeva dire. E invece capiva. Solo pochi mesi prima, aveva assistito a una conferenza di un discepolo di Einstein. E, sia pure in maniera distorta, questa era la più recente teoria del famoso scienziato sulla natura della luce. Ma lui aveva dimenticato tutto, o quasi. Cercava di riportare ogni cosa alla mente, quando, casualmente, lanciò un'occhiata a Geean. Questo lo riportò bruscamente a un genere di realtà completamente diverso. Disse: «Qual è la funzione di Geean, in tutto questo?». Geean disse, seccamente: «Anch'io stavo per fare la stessa domanda». Leear tacque per un momento. Poi aggiunse, a bassa voce: «Ci fu un'opposizione, come è logico, al grande progetto. Tutte le Cinture d'Argento erano state distrutte, a eccezione della mia e di quella del mio compagno; noi eravamo stati sorteggiati per comporre l'equipaggio dell'astronave che tu hai visto, per sorvegliare lo svolgimento dell'esperimento, per registrare tutte le sue fasi, e...». Si interruppe. «Ci fu un'opposizione», disse poi freddamente. «Una piccola minoranza egoista, guidata da Geean...» S'interruppe ancora una volta. Questa volta Geean rise, ma la sua risata terminò bruscamente. Disse, in un tono gelido: «Non avevano idea di quanto fossi deciso ad arrivare fino in fondo». In quel momento, il suo volto tradì una parte della spietata decisione che aveva adottato allora, e la sua voce diventò più fredda, più imperiosa: «I miei uomini attaccheranno una notte le diciassette città, e le annienteranno servendosi di bombe atomiche. Grazie a uno stratagemma, ci impadronimmo della Cintura del compagno di Leear e lo uccidemmo. Si tratta della Cintura che io indosso questo momento. Avevamo anche deciso di annientare l'astronave, ma, per puro caso, Leear l'aveva fatta uscire dalla rimessa in cui era stata ospitata». Il suo respiro si fece più rapido, al pensiero di quella che doveva essere stata l'emozione più violenta della sua lunga vita spietata. I suoi occhi erano socchiusi, e il suo corpo pareva teso e pronto a scattare. «Leear attaccò le nostre fabbriche a Naze. Quando riuscimmo ad alzare la barriera, lei aveva distrutto ogni futura possibilità di produrre nuove cinture.» Geean si strinse nelle spalle, poi sollevò il capo, lentamente. Si guardò
intorno, con aria di sfida. «Basta così», disse. «Non riesco a immaginare in quale modo uno straniero, un uomo giunto da poco in questo mondo, possa eccitarsi troppo per un fatto accaduto più di mille anni or sono... tanto da rischiare la vita, per vendicare un torto che lui non ha subito.» Così, rapidamente, la conversazione ritornò alla situazione del momento. 12. Era passato troppo tempo, pensò Slade. Troppi secoli erano trascorsi da quell'immane delitto. Eppure, malgrado quell'immenso intervallo, l'orrore di quegli eventi lontani pareva prolungarsi attraverso i secoli, e giungere fino a lui. Il problema, infatti, era ancora lì. Lì, in quella stessa stanza. Dopo un millennio, la lotta per il predominio fra la Città e la Nave, durava ancora! Un'entità collettiva, l'astronave, stava per distruggere l'altra entità collettiva, Naze. Ma Geean sarebbe sopravvissuto e, per questo solo fatto, avrebbe conservato il suo potere di vita e di morte sul popolo indifeso di quel piano dell'essere. La vita è centrata sull'individuo. Un uomo deve sopravvivere. «Ti sbagli», gli giunse il pensiero del nith. «La vita si identifica con la specie. L'individuo deve esser pronto a sacrificarsi.» Per Slade, era un concetto troppo esoterico. Si accorse che Geean aveva ripreso a parlare, rivolto a lui. «Il mio animale telepatico», diceva, «mi ha riferito costantemente i tuoi pensieri. Mi fa piacere constatare che consideri gli argomenti di Leear come pura e semplice metafisica, priva di realtà. Forse, dopotutto», proseguì, «noi due siamo molti più affini mentalmente di quanto sospettassi. Il nith mi ha anche riferito le argomentazioni che ti stai preparando a offrirmi per convincermi della opportunità di mantenerti in vita. A dire il vero, non mi era mai venuto in mente che la tua possibilità di trasferirti a piacimento sul tuo piano di esistenza potesse essere di qualche utilità per i miei scopi. Ma ora comincio a pensare che potresti tornarmi utile.» Slade, che non aveva neppure pensato a un solo argomento, per salvarsi, guardò il nith, attonito. Era sorprendente notare in qual modo l'animale aveva usato abilmente un'arma psicologica, per salvargli la vita. «Ti avevo detto», pensò il nith, nella sua mente, «che, quando fosse venuto il momento, la tua scelta sarebbe stata libera, del tutto libera. Lui ha
deciso che, se non si verificherà alcuna crisi, ti lascerà vivere.» Il pensiero di Slade era cupo. «Ma come farò a ritornare a livello del suolo?» «Questa», rispose il nith, «è la logica conseguenza di quanto ti ho detto prima. Nessuna scelta, in questo universo, è assolutamente libera. Puoi schierarti dalla nostra parte, o puoi accordarti con Geean.» Così, la situazione era questa. Loro pensavano di costringerlo ad accettare un rischio, per evitarne un altro. E, pensandoci, lui si rendeva conto che non si trattava di un ragionamento sbagliato. Slade pensò, rabbiosamente: «.Cosa devo fare?». «Geean deve morire. E tu solo puoi ucciderlo.» «L'ho già sentito dire più volte.» Spazientito, Slade aggiunse: «Voglio sapere...». S'interruppe. Per settimane e settimane, lui aveva saputo che cosa ci si aspettava da lui. Lo aveva saputo, in fondo a un angolo scuro della mente, e a volte aveva esaminato quel fatto in maniera più razionale, ma sempre irreale, come se si fosse trattato di un problema a lui estraneo. Era completamente diverso pensare, improvvisamente: «Questo è il momento». Lui, che non aveva mai ucciso un uomo, ora doveva uccidere Geean. Come? «Nella tasca sinistra hai uno strumento. Voltati, lentamente, fino a quando il tuo fianco sinistro non sarà rivolto verso Geean. Infila in tasca la mano, senza dare nell'occhio, e premi il pulsante che troverai alla sommità dello strumento. Quello strumento ha ormai avuto il tempo d'integrarsi con il tuo sistema nervoso, su questo piano d'esistenza. Quando tu premerai il bottone, lo strumento trasmetterà a Geean, in maniera estremamente concentrata, la tua attuale instabilità. Egli verrà istantaneamente proiettato nel piano di esistenza delle creature con due occhi, e precipiterà al suolo da un'altezza di ottanta piani. Proprio come le tue pistole non hanno funzionato, quando sei giunto qui, così la sua Cintura d'Argento non servirà a nulla, in quell'altro piano di esistenza.» Slade sentì le sue guance bruciare. Si accorse, vagamente, che Leear e Geean stavano discutendo aspramente, ma la sua mente non riusciva a concentrarsi su di loro. Fare una cosa simile, stava pensando. A chiunque. Ricordò il terrore che aveva provato, al pensiero di una caduta di quel genere. E, improvvisamente, fu pervaso da un senso di orrore. «Un momento. Se io sono coinvolto in questo processo di trasferimento,
da un piano all'altro, cadrò anch'io.» «No, invece.» Ma lui non credeva a quel diniego. Con infinito orrore, riuscì a visualizzare l'intero quadro. Ecco qual era stato il motivo di tutti quei discorsi sul sacrificio dell'individuo a favore della razza. Mentalmente, vide il corpo di Geean — e il suo — precipitare da un'altezza incredibile, per andare a sfracellarsi sul terreno. E, stranamente, questo creò una strana affinità, tra lui e Geean. «Giuro», pensò il nith, «che tu non morrai.» Il nith era disperato. «Ci costringi a usare dei metodi estremi. Leear ha deciso che oggi qualcuno dovrà morire... o lei, o Geean. Se non ucciderai Geean, egli manterrà la sua minaccia di distruggere ogni essere umano esistente sul pianeta. Capisci tu stesso che Leear non può permettere una cosa simile. Così, la scelta tocca a te. Ciò che farai determinerà, finalmente, se la popolazione di questo pianeta dovrà diventare schiava di Geean, o se avrà l'opportunità di realizzare le potenzialità insite nell'animo umano.» Slade pensò, esitante: «Vuoi dire che Leear si ucciderà?». Il nith era ironico. «Per favore non preoccuparti di Leear. Preoccuparsi di lei sarebbe una caratteristica morale, diciamo pure, una caratteristica razziale concentrata sull'identità di un singolo individuo. È qualcosa che esiste esclusivamente nella tua mente: e non ha alcuna realtà esterna. Che importanza ha, se questa donna, e tutto ciò che lei rappresenta, muoiono, a patto che tu sopravviva?» Ormai, il nith doveva avere perduto ogni speranza di convincerlo in tempo. Doveva anche avere proiettato il suo pensiero verso la donna, perché lei si voltò, mentre Geean la fissava, con occhi stretti e minacciosi. «Se non uscirai immediatamente», disse Geean, «dovrò rivedere la mia decisione di non uccidere Slade.» Poi lei si voltò e disse a Slade: «Per favore, amico mio, pensa alle generazioni che hanno vissuto imprigionate in questa città. Pensa ad Amor, pensa...». La donna s'interruppe. «Mi costringi», dichiarò, «all'estremo sacrificio.» Le sue mani si mossero all'altezza della vita, e sparirono sotto la blusa. Riapparvero immediatamente stringendo una sottile cintura che lanciò rab-
biosamente. Fu come un lampo di metallo, quando cadde sul tappeto. «La tua Cintura d'Argento.» Fu Geean a gridare quelle parole, con voce stridula. In tutta la sua vita, Slade non aveva mai udito un simile grido, fatto allo stesso tempo di trionfo e d'incredulità. L'uomo si fece avanti, quasi incespicando, e afferrò la Cintura. I suoi occhi parevano velati, il suo volto irradiava una gioia immensa, incredibile. Si mise a correre verso la parete, alla sinistra di Slade. Nell'angolo, c'era un congegno conico. Con dita tremanti, Geean infilò la Cintura nell'oggetto. La Cintura arse, mandando un bagliore rossastro, e si disintegrò completamente. Lentamente, allora, l'uomo parve recuperare la ragione. Si riscosse. Guardò Leear, poi Slade, e il suo volto mostrò una crescente comprensione dell'immensità della sua vittoria. «Ah», disse, in tono estatico. «Finalmente sono in grado di decidere quello che realmente...» Slade non seppe mai che cosa sarebbe stato in grado di decidere Geean. Era scosso, spaventosamente scosso. In realtà, la supplica di Leear, quando aveva menzionato il nome di Amor, lo aveva convinto. Il ricordo della degradazione di Amor aveva portato alla sua mente un'immagine vivida della popolazione della città, tenuta schiacciata e prigioniera di quel demoniaco tiranno. Si era voltato, meccanicamente, per seguire i movimenti dell'uomo. Aveva la mano in tasca, e il suo fianco sinistro era rivolto a Geean. Stava pensando che, in alcune circostanze, la libera scelta di un uomo doveva comprendere la possibilità della morte personale. Con una lieve pressione, premette il pulsante che attivava il congegno che il nith gli aveva messo in tasca. Deposizione del tenente Jim Murphy davanti alla giuria incaricata di accertare le circostanze della morte di Michael Slade: Quando il cadavere di Michael Slade venne scoperto la settimana scorsa nelle colline vicino alla città di Smailes, fui inviato sulla scena del decesso. Fu dietro mia richiesta che l'udienza preliminare venne trasferita nella città di residenza di Slade, dove vivevano quasi tutti i testimoni. A proposito dei testimoni, desidero dire che tutti, senza eccezione, hanno avuto molti dubbi, nell'identificare il cadavere come quello di Michael Slade, quando il corpo è stato loro mostrato per la prima volta. Più tardi,
sul banco dei testimoni, sono stati assai più positivi, avendo apparentemente risolto i dubbi primitivi in base alla considerazione che il morto aveva tre occhi. Perciò non poteva trattarsi che di Michael Slade. Uno dei motivi per cui sono andato a Smailes è stato quello di compiere qualche tentativo per scoprire dove fosse stato Michael Slade durante gli ultimi mesi. Ho una notevole abilità nel rintracciare le persone scomparse, ma i miei consueti metodi non hanno dato alcun risultato. Mentre il tempo trascorso dalla morte del signor Slade è ancora relativamente breve, sono pronto a dichiarare che ogni ulteriore ricerca porterà solo ad accertare il seguente fatto: Michael Slade è uscito dal giardino di casa sua, in questa città, diversi mesi fa, e il suo corpo è stato scoperto, la settimana scorsa, nelle vicinanze della città di Smailes. Non esiste alcuna traccia di ciò che egli ha fatto, e dei luoghi che ha frequentato, in questo intervallo. 13. Salirono verso la cima della torre, inseguiti dal ronzio minaccioso e dal crepitare delle fiamme dell'incendio. Slade era fortemente preoccupato dalla direzione che avevano scelto per fuggire. Come sarebbero potuti discendere, con le fiamme che bloccavano la strada verso i piani inferiori? E se il fuoco avesse distrutto le pareti, facendo crollare al suolo tutta la parte superiore della torre? Forse, Leear e il nith avevano la possibilità di uscire dalle finestre con la stessa facilità con cui vi erano entrati. Ma lei scosse la testa quando Slade le chiese se sarebbe stata quella la loro via di fuga. Si era fermata accanto a una finestra. «Siamo arrivati qui servendoci della mia cintura d'Argento», gli spiegò. «Speravo di trovare uno dei posti dove vengono custodite le macchine volanti. Se non riusciremo a trovarlo, la nostra speranza sei tu.» «Io?», fece Slade, stupefatto. Leear disse: «Sei in grado di visualizzare con la mente la macchina che hai nascosto tra i cespugli, vicino al luogo in cui sei stato catturato dai Cacciatori della Città?». Slade le lanciò un'occhiata sbalordita. Dunque, sapeva anche questo. Poi rispose: «Penso di sì».
Lei insistette. «Compresi i tre punti luminosi?» Slade annuì, mentre cominciava a ricordare le capacità della macchina. «Allora, non perdiamo altro tempo», disse Leear. «Quella macchina ha una velocità massima non molto elevata, che non supera le duecento miglia orarie. Ci vorranno diversi minuti, prima che arrivi qui.» Slade la fissò, e inghiottì, ansiosamente. Ma andò insieme a lei vicino alla finestra, chiuse gli occhi, e cercò di visualizzare la macchina con la ruota e i punti luminosi. Il ricordo fu dapprima nebbioso, ma poi l'immagine si formò nella sua mente, nitida e chiara. Accanto a lui, Leear disse, sommessamente: «Batti le palpebra, lentamente, e non sforzarti di trattenere a lungo l'immagine. Lascia che impallidisca, e che poi riappaia, lentamente. In un certo senso, tutto questo non ha molta importanza perché, nei prossimi sei anni, tu e io dovremo imparare i metodi naturali». Questo lo colpì. L'idea si formò nel suo cervello e lo strappò dalla sua concentrazione. Si raffigurò, come avrebbe potuto essere tra sei anni... ma fu la voce gentile, quasi ipnotica, di Leear, che lo riportò alla situazione presente. «Trattieni l'immagine», si affrettò a dire lei. «Trattieni l'immagine! Cadrà al suolo, in caso contrario, e non c'è tempo da perdere. Da un momento all'altro, i meccanismi di controllo della barriera saranno raggiunti, e allora la barriera cadrà. Dopo, anche il materiale resistentissimo di cui è fatta la torre non potrà resistere a lungo.» Le sue parole diedero nuova forza a Slade. In fondo alla sua mente, c'era il ricordo di quello che aveva detto Geean, sugli abiti nuziali. Un'ombra di preoccupazione s'insinuò nella sua mente. Perché, in fondo, un uomo non poteva sposare una donna più vecchia di lui di diecimila anni. Amor, sì. I suoi difetti erano umani, normali, perdonabili. Aveva la sensazione che la ragazza avrebbe accettato di diventare la sua compagna. E, certamente, lui gliel'avrebbe domandato. Era così preso dall'immagine mentale della macchina, che non notò affatto la breve scena che si stava svolgendo accanto a lui. Il nith aveva informato Leear dei pensieri di Slade. La donna esitò, poi i suoi lineamenti cominciarono a cambiare. Il suo volto stava assumendo una somiglianza sorprendente con il volto di Amor, quasi un imperioso pensiero del nith arrestò il processo. «Non essere stupida», disse il nith freddamente. «In questo momento, lui
non potrà accettare con calma l'idea che tu eri Amor. Tu hai assunto quel ruolo, per dargli un'immagine accettabile di una ragazza di Naze, in modo da far leva sui suoi sentimenti. Lui sarebbe rimasto sconvolto dalla personalità di una vera bevitrice di sangue. In questo momento, potrebbe incolparti della morte di Caldra, anche se tu eri andata via, aspettandoti che Caldra tentasse di prendergli del sangue, facendolo così precipitare nuovamente nel suo piano di esistenza per lo spavento. «C'è un'altra cosa», proseguì il nith. «Ho notato, nella tua mente, che tu sei stata responsabile del fatto che egli è nato come un mutante con tre occhi, in un mondo dove dominavano i due occhi. Non dirgli neanche questo, almeno per ora. Lascia che scopra solo più tardi che sei tu che hai controllato la sua vita, da quando era in fase embrionale. Lasciagli scoprire più tardi, fino a qual punto tu possa essere una vera donna...» La donna esitava. Bruscamente, ridiventò Leear. Vide il tremolio nell'aria. Allora lanciò un grido, molto femminile. «La barriera!», esclamò. «È caduta.» Le sue parole furono come un segnale. Ci fu un lampo di luce metallica, in lontananza. La macchina fornita di ruota entrò dalla finestra aperta, e si fermò di fronte agli occhi di Slade. «Prima il nith», disse Leèar, in tono urgente. «Poi io, e poi tu. Non aver paura. È rapida.» Per poco, non fu abbastanza rapida. L'ultima volta che lui se la portò agli occhi, il ruggito delle fiamme era un tuono orrendo, nelle sue orecchie. Si arrampicò nella ruota a forma di calice, spinse con forza... e rimase appeso, disperatamente. Il sole era uno splendore dorato, proprio sopra di lui. C'era una gran folla, in basso, ma quando Slade si avvicinò al suolo, non riuscì a scorgere alcuna traccia di Leear, né del nith. Una donna alta, snella e giovane, sollevò le braccia, agitandole verso di lui, e con sorpresa Slade riconobbe Amor. Le gridò qualcosa, e lei agitò le braccia, freneticamente. Poi finalmente, scese nel cuore di una città che già stava prendendo coscienza del proprio destino. Verdetto della giuria incaricata di accertare gli eventi connessi con la morte di Michael Slade: All'unanimità, questa Giuria ha deciso che non esiste alcun ragionevole dubbio sul fatto che il cadavere su cui è stata condotta l'inchiesta sia quel-
lo di Michael Slade. Gli abiti insoliti che lo rivestivano non costituiscono una circostanza particolarmente rilevante. Questa Giuria, di conseguenza, afferma che Michael Slade è morto in seguito a una caduta da grande altezza, con ogni probabilità da un aeroplano in volo. Nel corso dell'inchiesta, non è emersa alcuna circostanza che faccia presumere atti criminosi, né alcuna prova di omicidio. FINE