HELEN NIELSEN L'OMICIDIO È CONTAGIOSO (Darkest Hour, 1969) 1 Alle cinque di quel lunedi pomeriggio, il sole si era ridot...
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HELEN NIELSEN L'OMICIDIO È CONTAGIOSO (Darkest Hour, 1969) 1 Alle cinque di quel lunedi pomeriggio, il sole si era ridotto a un disco pallido nella cortina di foschia che univa l'oceano al cielo; Monte Monterey se ne stava alla finestra, in un albergo che si affacciava sulla Pacific Coast Highway, a Santa Monica. Di là poteva vedere il tramonto, il mare, la strada e, soprattutto, l'ingresso al parcheggio dell'albergo. Aspettava un'automobile; non ne conosceva né la marca né il modello, ma sapeva che sarebbe stata un'auto di grossa cilindrata e tale da dare nell'occhio, perché guidata da uno che correva per strade poco battute e a velocità pazzesche. Monterey era di corporatura asciutta e ,si serviva del suo corpo come un musicista del suo strumento. Con l'aiuto di un paio di rialzi nelle scarpe di camoscio nero sfiorava il metro e ottanta, e, a cinquantasei anni, pesava esattamente come a ventisei. Sfoggiava un'abbronzatura compatta da club salutista e i capelli neri e folti, appena spruzzati di grigio, erano impeccabilmente pettinati. Aveva gli occhi neri, vellutati e i lineamenti incredibilmente regolari, grazie alla chirurgia plastica. Soltanto alcune cicatrici, appena visibili, intaccavano l'illusione dell'eterna giovinezza. Viveva della propria attrattiva fisica, di fascino e di espedienti, talvolta se la passava bene e talvolta orribilmente, ma la vita non era mai monotona e contava di condurre quell'esistenza eccitante per molti anni ancora, se colui che attendeva fosse arrivato. In caso contrario, Monterey aveva un piano di riserva. Alle cinque e dieci guardò l'orologio da polso; era rimasto poco tempo. Si allontanò dalla finestra e controllò rapidamente un mazzetto di prenotazioni aeree che si trovava sulla scrivania. Ormai erano inutili. Se qualcosa era andato storto e Max Berlin era stato informato di dove lui si trovava, per prima cosa avrebbe fatto bloccare l'aeroporto. Monterey trovò la guida telefonica e chiamò una piccola agenzia di autonoleggio che si trovava nelle vicinanze. «Mi chiamo Montgomery e alloggio al Palms Hotel» disse. «Quanto mi costerebbe una buona berlina per una settimana?... No, non una Cadillac. Una Ford andrebbe benissimo, ma non portatemela all'albergo: se decido di prenderla, la ritiro io entro un'ora.» La prima mossa del piano di riserva era fatta. Monterey non si era reso
conto di quanto gli tremasse la mano fin quando cercò di posare il ricevitore sul supporto. Paura. Era sempre là, in agguato. Ne aveva gettato il seme Max Berlin, un anno prima, sul ponte di un motoscafo d'alto mare, al largo della California meridionale. Si era scoperto che un membro dell'equipaggio era in realtà un agente della finanza, e il modo com'era morto - una lenta agonia martoriata dal sole e dalla salsedine - era servito non tanto a soddisfare il sadismo di Max Berlin quanto a imprimere nella mente di ogni marinaio ciò che poteva capitargli se avesse tentato di tradire. Da quel giorno una sensazione di orrore gelido si era insinuata nel più profondo della mente di Monterey, che non sarebbe stato più libero finché non avesse abbattuto quella barriera di paura. Monterey posò il ricevitore e diede un'occhiata al portafoglio; oltre a duemila dollari in contanti, conteneva uno dei due beni che ancora gli permettevano di muoversi: una patente internazionale a nome di Martin Montgomery. L'altro suo tesoro era un pacchetto, nella valigia, che poteva essere il passaporto per la libertà o per la morte. Un discreto bussare alla porta lo mise sul chi vive. Tese l'orecchio: «Sam?» chiese. «Sam Goddard?» La risposta fu un altro colpo e un rozzo: «Fattorino. Avete chiesto una carta stradale per la stanza 212...» Monterey si rilassò e andò ad aprire. Il fattorino era un ometto sulla sessantina che lo squadrò. «Ehi, ma non siete... quel tale, l'attore?» chiese. Poi si rispose da solo. «No, è impossibile, credo che sia morto.» «Sono sicuro che è morto, quindi non posso essere quel tale, naturalmente» disse Monterey. Prese la carta e chiuse la porta prima che la conversazione si facesse imbarazzante. Erano trascorsi almeno vent'anni da quando un fattorino aveva riconosciuto Monte Monterey negli Stati Uniti. I bei tempi erano lontanissimi: i tempi delle Rolls con autista, delle palazzine in stile mediterraneo, delle feste da mille e una notte e delle ammiratrici isteriche. Monterey non era mai stato un grande divo; aveva fatto una cinquantina di film commerciali, per lo più, ma era vissuto in quell'epoca favolosa e ne aveva goduto la maggior parte dei benefici marginali. La lunga parabola discendente era stata ritardata da una breve reviviscenza della sua attività a Mexico City e in Sud America (l'essere bilingue ha i suoi vantaggi), ma anche quel periodo si era ormai concluso e l'ultima cosa che desiderava era proprio l'essere riconosciuto. Monterey spiegò la carta e si allontanò dalla porta, consultando di nuovo l'orologio: le cinque e mezzo. Era troppo tardi per l'appuntamento: qualcosa doveva essere andato
storto. Accese il televisore; gli occorrevano le notizie sul tempo e sulle condizioni delle strade. Se Goddard non arrivava, doveva ritirare quella berlina all'agenzia e muoversi in fretta. Ormai era sicuro che Max Berlin sapeva di essere stato preso per il bavero. "... nel primo pomeriggio di oggi, sulla Pacific Coast Highway, a nord di Oceanside, ha perso la vita Samuel Stevens Goddard, figura di primo piano sulla scena locale per due decenni. Vedovo da quindici anni, Goddard non lascia eredi. Il suo unico figlio, il tenente Samuel Stevens Goddard jr., restò ucciso nel corso di un'azione in Corea, nel 1953. Un anno dopo, per evitare la bancarotta, Goddard vendette il suo giornale e si ritirò in una piccola fattoria nei pressi di San Diego. La sua auto, una macchina sportiva straniera, è evidentemente uscita di strada a causa della fitta nebbia che ha gravato tutto il giorno sulla fascia costiera... Torniamo ora alle notizie locali..." La carta sfuggì dalle dita di Monterey. E di nuovo tornò l'ondata di paura, gelida come la nebbia che non aveva provocato la morte di Sam Goddard perché Sam conosceva ogni curva di quella strada: avrebbe potuto andare fino a Santa Monica, a occhi bendati! Il notiziario non aveva più importanza; quando Monterey fu in grado di reagire, spense il televisore, e il movimento ruppe l'incanto. Raccolse la carta, l'infilò in una tasca della giacca e andò all'armadio. Indossò un impermeabile bianco e prese una valigetta nera, poi controllò la stanza con un'occhiata circolare. Non aveva dimenticato nulla. Ma forse aveva già aspettato troppo. Col nome di Martin Montgomery e denaro liquido in tasca, Monterey non ebbe alcuna difficoltà a ritirare la Ford e, venti minuti dopo che era uscito dal Palms Hotel, correva già verso sud. Lasciata alle spalle la città, prese a est, verso il deserto. Il traffico era diminuito. Poteva rilassarsi un tantino e tentare di immaginare ciò che era successo a Sam Goddard e alla sua automobile sportiva. Sam non era destinato a morire nel proprio letto, a meno che non ci fosse anche la sua adorata Vera; tuttavia erano trascorsi nove anni dall'ultima volta che l'aveva visto, rammentò Monterey, e forse Vera era già uscita dalla sua vita. Vera Raymond. Raramente Monterey vedeva le donne, se
non come potenziali vittime del sottile ricatto di Max Berlin, ma per un solo istante se la vide fotografata davanti agli occhi: una donna snella e piena di vita, con i capelli scuri e gli occhi grandi, blu. Non bella, ma semplice e genuina. La segretaria ideale, la ragazza che conosceva tutte le VIP, le Persone Veramente Importanti... che si teneva nell'ombra mentre la moglie di Sam Goddard stava alla ribalta. E Sam non l'aveva mai sposata. Quei due avevano avuto una relazione profonda che non era stata né squallida né illusoria. Cosa rara in un mondo come quello del cinema. Ventiquattr'ore prima, Sam Goddard era vivo: aveva risposto al terzo squillo del telefono. "Sam Goddard?" aveva chiesto Monterey. "Si, sono Sam Goddard." "Ricordi un mediocre attore a nome Monte Monterey?" "Si, perdinci!" strepitò Sam. "Riconoscerei ovunque il tuo impeccabile accento, Monte! Dove sei e come stai a quattrini? Tu sei sempre a un estremo o all'altro." "In questo momento valgo un milione di dollari per una certa persona, ma farò un prezzo di favore al giornalista che fa al caso mio. Diecimila dollari in contanti e un appuntamento con il miglior penalista che conosci." "Chi hai ammazzato?" "Non lo so. Vai al Balboa Hotel di San Diego e chiedi del dottor Kwan. Non lo troverai perché probabilmente sarà già all'obitorio, ma avrai per le mani un colpo coi fiocchi, se t'interessi ancora a queste cose. Poi, se vuoi il seguito, vieni domani pomeriggio alle tre al Palms Hotel di Santa Monica e chiedi di Martin Montgomery. Ti darò tutto il materiale e le prove." Sam aveva ancora i riflessi pronti. "Aspetta! Dove diavolo sei? Se ti trovi davvero nei guai, sarà peggio se scappi." "Non questa volta, Sam" aveva risposto Monterey, e aveva riappeso. Monterey gettò un'occhiata all'orologio del cruscotto e fu sorpreso di scoprire che guidava da appena due ore. Era esausto; lo stimolo alla fuga provocato dal notiziario si andava affievolendo; si sentiva debole e con il cervello vuoto. La Ford sbandò pericolosamente; ne riprese il controllo e si guardò attorno per orizzontarsi. Ormai era completamente buio, ma Monterey ebbe la sensazione di trovarsi in un luogo familiare, e contemporaneamente provò un profondo desiderio di essere a casa. Da ventiquattf'ore stava fuggendo da un morto, e ora anche Sam Goddard era morto. Impossibile andare più lontani.
Monterey infilò il primo svincolo d'uscita percorrendo quindi un fitto intrico di strade che poco a poco gli ridivennero familiari. La sua intuizione era stata esatta: la strada conduceva diritta al Seville Inn. Era un albergo elegante, romantico e adesso un tantino ridicolo, con le visite dei turisti alla vecchia cappella spagnola e alle cripte, organizzate con criteri commerciali, ma era l'ultimo posto in cui ci si potesse aspettare che un assassino si rifugiasse per sfuggire alla vendetta. Monterey lasciò la Ford nel posteggio e si portò la valigetta fino al banco; chiese una stanza all'ultimo piano e rifiutò l'aiuto di un facchino: conosceva la strada. Un vecchio ascensore asmatico lo portò al quarto piano che era deserto, come aveva immaginato. I turisti preferivano le stanze ai piani inferiori che costavano meno e dalle quali si accedeva più facilmente alla piscina e ai parcheggi. Dall'ascensore, un breve corridoio portava a un patio che aveva come tetto le stelle e come pareti gli appartamenti lussuosi occupati dagli ospiti famosi di un tempo ormai lontano. La stanza di Monterey si apriva sul patio, proprio di fronte ad una scala a chiocciola che scendeva al livello dei negozi al pianterreno. Questi adesso erano chiusi, e la scala bloccata da un cancelletto di ferro battuto munito di lucchetto. Monterey apri una porta di legno massiccio e accese le luci in quella che doveva essere l'unica stanza occupata di quell'ala. Ondate di ricordi gli si affacciarono alla mente. Certi luoghi sono come musei: non cambiano mai col passare degli anni. La stanza era di una semplicità monastica: pareti a calce, soffitto alto, a volta, camino aperto e pochissimi mobili in stile spagnolo. Sul fondo della stanza una portafinestra si apriva su un balconcino. Di là, la vista era sempre la stessa. Quello era l'unico posto ,del mondo dove il tempo si era fermato. Tutto era esattamente come la sera del matrimonio di Joe. Il soldato scelto Joe Morales compiva ventidue anni proprio quel giorno; sua moglie, Juanita, era bella come la Vergine di Guadalupe. Si erano sposati nella cappellina sottostante e poi erano saliti in quella stanza per l'unica settimana di felicità che avrebbero conosciuto prima che Joe riprendesse il servizio nelle Filippine. Era l'ottobre 1941. L'attività di Monterey andava bene e la settimana al Saville Inn era stato il suo regalo di nozze all'unico fratello. Joe però non era più tornato. Joe. Morales aveva avuto una morte orribile. Era stato fatto prigioniero nei primi mesi del conflitto, ma dopo la guerra un suo compagno d'armi riferì che neppure la brutalità di un campo di prigionia giapponese era riuscita a fiaccare la sua volontà di lottare. I due primi tentativi di fuga erano
finiti con la cattura e un pestaggio punitivo; al terzo tentativo si era tuffato in mare dirigendosi a nuoto verso un'altra isola. Dato l'allarme, una lancia a motore giapponese l'aveva inseguito. Era una bella giornata di sole e gli inseguitori si divertivano ai patetici sforzi di Joe per sfuggire alla barca. Lo incitavano, giocavano con lui come un pescatore d'alto mare con una preda all'amo e infine, quando Joe fu allo stremo delle forze, lo issarono a bordo e tornarono al campo. Joe Morales non fu più picchiato. Lo appesero ad asciugare al sole cocente legato a una rozza croce. Al tramonto tutti i prigionieri furono chiamati ad assistere al suo castigo. Senza preparazione, senza anestesia per alleviare il dolore, gli furono troncate le braccia e le gambe. Quindi Joe, ancora vivo e urlante, venne gettato in mare. Joe Morales, ventiquattr'anni. Eroe. Morto da un pezzo. Era un bel po' di tempo che Monterey non si permetteva di riesumare quel ricordo, e ora gli dava un certo sollievo. Fra l'altro giustificava, in un certo senso, ciò che Monterey aveva fatto al dottor Kwan a San Diego. Tutti i conti tornano. Un attimo, un impulso, e ogni pezzo del mosaico andava al suo posto. Ora, Monterey comprendeva persino il motivo del suo ritorno a La Verde. Era più che trovarsi a casa: era perché a La Verde viveva Whitey Sanders, e Whitey significava vita nuova. Prese l'elenco telefonico sullo scrittoio; probabilmente non c'era il numero dell'abitazione di Whitey, ma quello d'ufficio senz'altro. Di tutti i ragazzi ambiziosi che avevano lasciato le piantagioni di aranci per fare quattrini in fretta agli studi cinematografici, Whitey era stato il più in gamba. Aveva abbandonato presto la carriera di attore, aveva fatto l'impresario per qualche anno, poi si era dedicato ai beni immobili. Ormai doveva valere un paio di milioni, e Whitey non dimenticava mai un amico. Operava in vari campi: beni immobili, motel, night club. Quando vide una mezza pagina che reclamizzava le delizie del Gateway Motel, Bar e Grill di Whitey Sanders, Monterey posò l'elenco e chiese una comunicazione al centralino dell'albergo. A quell'ora il bar era il posto più sicuro in cui cercare il vecchio amico. Rispose un'energica voce maschile. «Qui Alex Lacey, il direttore... il signor Sanders? No, in questo momento non c'è. Sta arrivando in volo da Tucson con il suo aereo. Lo aspettiamo per lo spettacolo di mezzanotte.» «Ci sarò» promise Monterey. «A quale nome devo riservare il tavolo?» «Non mi serve un tavolo. Potete dire al signor Sanders che lo aspetterò
al bar. Credo che mi riconoscerà: mi chiamo Monterey, Monte Monterey.» Interruppe la comunicazione e richiamò il centralino dell'albergo. «Vorrei la sveglia alle undici e mezzo» disse. «Di questa sera.» «Alle undici e mezzo? Ma mancano soltanto due ore, signore.» Era una voce femminile, giovane e fresca. «Dormo in fretta» rispose Monterey «e ho un appuntamento importante. Alle undici e mezzo.» Era fatta. Monterey si senti improvvisamente svuotato di ogni energia e quasi stordito dal sollievo. Lasciò cadere il ricevitore sulla forcella. Sam Goddard era morto. Max Berlin avrebbe rintracciato rapidamente l'uccisore del dottor Kwan risalendo al suo ultimo contatto, ma Whitey Sanders era vivo e influente. Whitey poteva mettere in azione la magia che avrebbe trasformato il pacchetto nella valigia di Monterey in un passaporto per la libertà chiamato prova fondamentale, e anche Max Berlin non poteva toccare un teste che era protetto dagli agenti federali. Esausto, Monterey si lasciò cadere sul letto, le braccia spalancate. «Joe... fratellino, va tutto bene» mormorò e sprofondò in un sonno di piombo. 2 Trenta minuti dopo la mezzanotte un giovanotto smilzo con i capelli biondo chiaro e una camicia di seta bianca alla Byron puntò il suo strumento verso l'alone di luce del faretto sopra di lui e si abbandonò a un dialogo appassionato con la sua tromba d'argento. Era un momento da ricordare. Seduta da sola a un tavolo fuori del cerchio di luce, Hannah Lee sollevò una mano leggermente anchilosata, ma ancora bella e si asciugò una lacrima. In un mondo di angoscia e frustrazioni un giovane aveva trovato se stesso. Avrebbe sudato e spasimato; avrebbe conosciuto il trionfo e il tormento, ma aveva l'arte nel sangue e lo sapeva. Hannah Lee, che aveva avuto quattro mariti e troppi amanti per poterli ricordare, non aveva figli, ma nell'istante in cui il silenzio che era seguito all'ultima nota esplose in un applauso entusiastico, fu madre, guida e matriarca. Ancora sorprendentemente bella a sessant'anni e passa, ancora snella e attiva nonostante zoppicasse leggermente, ultima testimonianza fisica di un incidente che aveva troncato la sua carriera teatrale trentacinque anni prima, Hannah Lee era senz'altro la cliente abituale più suggestiva del Gateway Bar. Portava un abito aderente e disadorno, lungo fino alla caviglia, aperto su ciascun lato fino alla coscia, una cappa di visone fino a terra
e una tiara di smeraldi che sprigionava preziosi riflessi tra i suoi capelli ancora castano-ramati. Tuttavia, Hannah Lee, non aveva percorso più di cento chilometri solo per far colpo. Era venuta per assistere alla prima esibizione di Buddy Jenks, che a soli vent'anni era improvvisamente diventato un dio. La mano destra di Hannah strinse la testina d'oro del suo bastone di ebano un tempo usato per necessità e ora soltanto per l'effetto drammatico, ma lei non si mosse. Il giovane in camicia bianca la scorse immediatamente e Hannah Lee sorrise mentre il giovanotto si avvicinava, come ipnotizzato. «Zia Hannah? Sei zia Hannah, vero? Sono andato bene? Ho fatto colpo?» Hannah si protese in avanti e lo baciò sulla fronte. «Sono proprio "zia" Hannah» disse. «Sei stato formidabile; ci hai presi in pugno tutti. Adesso siediti e offrimi un Drambuie.» «Che ne diresti dello champagne?» suggerì invece Buddy Jenks. «D'accordo, champagne; per me però una sola coppa. Ho un medico idiota che continua a ripetere che non devo sovraffaticare il cuore. Ridicolo! L'ho avuto spezzato tante volte che fa acqua come un colabrodo, ma ho appena cominciato a vivere... Buddy... ti chiami così, no?» «Infatti. Firmo gli assegni A. Howard Jenks, ma va benissimo se mi chiami Buddy.» Fece un cenno al cameriere e ordinò lo champagne, mentre Hannah ingiungeva a se stessa di non dirgli che aveva assistito alla sua nascita e gli aveva fatto il primo bagnetto quando i suoi genitori l'avevano portato a casa dall'ospedale. I particolari che le madri e le pseudozie rammentano in occasione di riunioni importanti sono raramente graditi ai giovani d'ambo i sessi. Ora che i convenevoli erano terminati, Buddy pareva perplesso. «Sei sola» osservò. «E tu sei deluso» ribatté lei. «Be', non proprio, ma quando ho ricevuto il telegramma che diceva che saresti venuta al mio debutto, pensavo che forse ti avrebbe accompagnato Simon Drake. Ho sentito dire che è molto in gamba.» «È in gamba, anche come avvocato e come amico. Ma si trova a San Francisco.» «Sei venuta da sola?» L'inconsapevole brutalità del giovanotto dava un'intonazione incredula a ogni sua parola. «Non sono una carretta» ribatté seccamente Hannah. «Ecco il cameriere con il nostro champagne. Per me fino all'orlo, per cortesia.
Posso berne solo una coppa, ma nessuno mi ha detto quanto ce ne deve stare.» «Mettilo sul mio conto, Alex» disse Buddy. «Omaggio del locale» mormorò il cameriere, che non era un cameriere, ma il maitre. «Oh, grazie.» Alex si allontanò e i giovani occhi curiosi del giovanotto si appuntarono nuovamente su Hannah. «È vero che tanto tempo fa sei stata azzoppata con una fucilata da uno dei tuoi spasimanti?» domandò. «Santo cielo, al giorno d'oggi maturate in fretta, eh?» commentò Hannah. «Ma poi non è vero. Era una pistola... una Luger, se ricordo bene. Era uno di quegli orribili tipi teutonici con un eccessivo senso della tragedia. Non voltare mai la schiena a un teutone, Buddy: non hanno il senso dell'umorismo. Adesso però basta con il mio brutto passato. Beviamo al tuo brillante avvenire. A Buddy Jenks e alla sua magica tromba.» Hannah portò il bicchiere alle labbra, e cosi facendo, lo sguardo le corse all'ingresso del bar; vuotò la coppa senza staccarla dalle labbra. Due uomini conversavano sulla soglia. Uno era il maitre, Alex: l'altro era un'immagine a grandezza naturale dei tempi passati riportati alla vita. Hannah posò bruscamente la coppa vuota e bisbigliò con voce agitata: «Buddy Jenks, invitami a ballare.» Quella era la notte delle sorprese per Buddy. «Adesso?» bisbigliò a sua volta. L'orchestra suonava un ritmo selvaggio, e la pista ribolliva di corpi che si divincolavano freneticamente. «Non la definirei esattamente la nostra canzone, ma non ti darò fastidio» lo rassicurò Hannah. «Andiamo.» Mentre si confondevano con la marea di gente, Hannah vide Monte Monterey fare un passo avanti, cercando di farsi strada verso di loro. «Hannah!» gridò «Hannah Lee!» Nel guizzare delle luci psichedeliche, scorse il viso di Monterey, duro e ansioso. Poi le luci cambiarono e lui sparì. Qualche istante dopo quell'agonia di suoni terminò e Hannah tornò al tavolo con Buddy. Monte non si vedeva da nessuna parte. Il giovanotto tentò goffamente un complimento: «Però, sei una brava ballerina, considerando... voglio dire...» Hannah gli strizzò l'occhio. «So che cosa vuoi dire, e hai perfettamente ragione. La sfaticata che abbiamo appena fatta è peggio di un quarto d'ora nella mia palestra a The Mansion. Per di più dovrei essere a letto. Speravo di vedere Whitey Sanders prima di andarmene.»
«Conosci Whitey?» «Da anni. Dov'è? Il tipo che hai chiamato Alex mi ha detto che sarebbe stato qui a mezzanotte.» «Ha dovuto rimandare la partenza. Maltempo sulle montagne o roba del genere. Non lo aspettiamo prima di domani.» «In questo caso è meglio che torni a casa. È una bella scarrozzata...» «Sei venuta in macchina?» s'incuriosì Buddy. «Guidi quella Rolls rossa che ti è stata donata da un maragià? Me ne ha parlato la mamma.» Hannah scrollò la testa. «Tua madre si è confusa, era un lord inglese che versò solo l'anticipo. Adesso, se vuoi accompagnarmi al parcheggio, me ne vado.» Buddy la scortò fino alla porta dove il maitre dagli occhi piccoli e attenti sostava nel suo atteggiamento impenetrabile. «Ringraziate il signor Sanders per lo champagne e ditegli che lo aspetto sempre per una partita a poker quando vorrà fare una capatina a Marina Beach» disse Hannah. Alex annui e le aprì la porta. Un inserviente portò all'ingresso la Rolls del 1926, ancora perfetta come il giorno in cui Hannah aveva pagato al venditore quanto ancora gli era dovuto. Buddy l'aiutò a salire e immediatamente Hannah passò in secondo piano nella sua attenzione. La Rolls era leggendaria, Hannah Lee era leggendaria e Simon. Drake era colui che aveva ridato a entrambe nuova vita. Era stato Simon, il giovane e brillante avvocato scapolo che aveva conosciuto presto il successo, a scoprire una vetusta dimora vittoriana sulle alture di Marina Beach, con il cartello "In Vendita" sul cancello in ferro battuto. Incuriosito, si era fermato per sapere qualcosa della vecchia casa e con sua delizia aveva fatto una seconda scoperta: Hannah Lee, una famosa stella internazionale dell'epoca di Zigfield, che viveva isolata tra le rovine di un passato splendore. Simon aveva acquistato la casa, nota a Marina Beach come The Mansion, e le aveva ridato il dovuto lustro, a patto che Hannah Lee vi restasse come una via di mezzo tra la Regina Madre e la compagna al tavolo da poker. Lei fungeva da padrona di casa ai ricevimenti di Simon ed era la confidente dei suoi momenti neri. Il ripristino della Rolls era stato il dono finale di Simon; l'esterno della vettura aveva riavuto il color rosso originale, l'interno era in raso nero, con il cruscotto di cuoio nero. Non un particolare sfuggì allo sguardo ammirato di Buddy Jenks. I clienti che avevano cenato avevano già lasciato il Gateway, e quelli che assistevano allo spettacolo non se ne sarebbero andati prima di un paio d'ore. Il parcheggio era deserto.
Con un ultimo saluto, Buddy si ritrasse mentre Hannah metteva in moto la Rolls. Da lì alla strada vi erano circa duecento metri, senza alcun ostacolo visibile e la vista di Hannah era eccellente. Con la coda dell'occhio scorse una cosa grossa e nera che si muoveva diagonalmente verso di lei uscendo dall'oscurità. Un attimo dopo, udì il grido di Buddy. «I fari! Accendete i fari, maledetto idiota!» Hannah schiacciò a fondo il freno, ma era troppo tardi. La cosa in movimento era una berlina nera che sembrava essere sfuggita al controllo del guidatore. Appena prima dell'urto, Hannah ebbe la fuggevole visione di un viso dietro il volante. Un attimo dopo la parte anteriore della berlina cozzò contro il nobile cofano della Rolls e Monte Monterey schizzò fuori dalla macchina nel fascio di luce dei fari. Pareva in stato di shock. Restò un attimo a braccia spalancate come ad arrestare un movimento già bloccato; le sue labbra formavano parole che Hannah tentava invano di afferrare da dietro il parabrezza. «Hannah, ho bisogno di te...» A un tratto balzò in avanti e si aggrappò alla fiancata della Rolls, schiacciandosi contro il finestrino aperto. «Hannah, ti prego, ascolta.» S'interruppe. Guardò oltre di lei, verso il fondo del parcheggio: scosse lentamente la testa quindi, sempre scuotendola, cominciò ad arretrare. Nell'oscurità si levò improvviso l'urlo di una sirena e un faro inquadrò Monterey. Questi non tentò più di parlare. Piegato in due, girò sui tacchi, sfrecciò nel fascio di luce dei fari della Rolls e sparì nella strada buia al di là del parcheggio. Hannah senti gridare e vide Buddy Jenks precipitarsi verso di lei come un paladino, appena prima che qualcuno la facesse scendere con gentilezza dalla Rolls. Un gigantesco poliziotto con casco le stava di fronte. «Tutto bene, signora?» «È stata tutta colpa di quel tizio sulla Ford» s'intromise Buddy. «Ho visto tutto: non aveva i fari accesi.» «L'ho chiesto alla signora» lo rimbeccò l'agente. «State bene? Potete dirmi quello che è successo?» Alla mente di Hannah si presentò la sequenza degli avvenimenti: Monterey che la riconosceva al bar e cercava di avvicinarla; non riuscendovi, aveva lasciato il bar. Fuori doveva aver visto la famosa Rolls, e aveva atteso che Hannah uscisse. Invece, il custode del parcheggio le aveva portato l'auto e Hannah stava per allontanarsi. Monterey non poteva far altro che
gettarsi contro la Rolls e fermarla, giacché nella sua vita stava accadendo qualcosa di terribile e aveva bisogno di aiuto. L'agente aspettava una risposta. Hannah lo guardò con occhi vitrei e soffocò graziosamente un singhiozzo con la mano. «Mi rincresce proprio, signor agente» disse lentamente «ma sono troppo sbronza per aver visto qualcosa.» 3 Alle due del mattino, reduce da una festa, Simon Drake stava tornando in auto verso il centro. Era rilassato e un tantino su di giri. Giunto alla Del Webb Towerhouse, sistemò la sua Jaguar nel parcheggio ed entrò nel vestibolo. Gli riferirono di una telefonata importante da La Verde; con preghiera di richiamare con urgenza. Aveva tutta l'aria di una scocciatura, e così, Simon Drake chiese la chiave della sua stanza e salì in ascensore. La cameriera era passata a preparare il letto per la notte e chiudere le tende. Molto bene. Simon accese la luce nella stanza da bagno, pregustando una doccia rapida, un bel sonno e una colazione calda. Si fermò un attimo davanti allo specchio, sciogliendosi il nodo della cravatta. Il successo era arrivato in fretta, e lui doveva sempre ricordare a se stesso chi c'era realmente in quella giacca di gran taglio e in quella camicia pieghettata: c'era Simon Drake, che aveva lavorato di giorno come meccanico in un garage e di notte aveva studiato legge e programmi d'investimenti, finché aveva conseguito la laurea e aveva lasciato la cassetta degli attrezzi per la borsa professionale. Fisicamente non era male, confidò all'immagine nello specchio: soltanto una spruzzatina di grigio alle tempie e gli occhi ancora vigili dopo quattro giorni di lotta per portare a buon fine i termini dell'accordo di divorzio di Brad Merton e le successive otto ore di baldoria nel nuovo appartamento da scapolo di Brad. Togliendosi la giacca da sera, Simon si accigliò: lo stomaco poteva essere meno prominente: s'imponeva un po' d'esercizio fisico in quella camera di tortura che Hannah chiamava la sua palestra. Gettò la giacca sulla sedia e vide il promemoria consegnatogli dal portiere volteggiare a terra. Chiamare La Verde. Recuperò il foglietto e chiese la comunicazione, domandandosi sonnacchiosamente chi mai potesse conoscere in quella zona senza pretese. Lo seppe subito. «Polizia di La Verde» disse una voce maschile. Simon si svegliò di colpo. «Qui è Simon Drake. Mi è stato detto di
chiamare...» «Simon Drake? Dio sia ringraziato! Ehi, signora, c'è il vostro avvocato al telefono. Adesso la smetterete di minacciare di rivolgervi alla Lega per i Diritti Civili?» «Hannah» domandò Simon «che ci fai a La Verde?» Fatta eccezione per la sua fidanzata, Wanda Call, che aveva salvato dall'accusa di assassinio quando il suo giovane marito era stato trovato morto nel loro appartamento da sposini, Hannah Lee era l'unico vero amore di Simon. Indipendente e schietta, era la personificazione dell'eterno femminino. «Sono nella gabbia degli ubriachi.» rispose Hannah «ma non voglio collaborare: vogliono riprendermi mentre cammino sulla riga di gesso e sciocchezze simili; compresi gli esami del sangue, dell'alito e dell'urina. E io non permetto che il mio corpo deponga contro di me. È mio diritto costituzionale chiedere di parlare con il mio avvocato.» Se quel diritto costituzionale non fosse esistito, Hannah avrebbe scatenato una rivoluzione per ottenerlo, rifletté Simon. «Sei sbronza?» s'informò. «No.» «Allora perché sei nella gabbia degli ubriachi?» «Perché ho detto al poliziotto che ero ubriaca, quando è successo l'incidente.» «Incidente? Quale incidente?» «Oh, smettila di farmi sciupare spiccioli e vieni a tirarmi fuori da questo pasticcio.» Tornò in linea la voce maschile, appartenente, come Simon apprese poi, al sergente Glenn Quentin. «Signor Drake, fate come vi dice la signora, vi prego. Io dovrei essere un tutore dell'ordine!» Ecco sfumati la doccia, il sonno e la colazione. Non appena Simon si fu accertato che Hannah non aveva riportato alcuna lesione, telefonò all'aeroporto e noleggiò un aereo per La Verde. La Verde. L'aereo affittato da Simon a San Francisco si posò dolcemente sul piccolo campo d'atterraggio privato che non godeva di alcun servizio di autobus o di tassì per il collegamento con la città. Simon aveva però convocato anticipatamente un'auto con autista, che gli si fece incontro nella scaletta. L'edificio del Tribunale sorgeva in fondo a un viale che attraversava il
quartiere commerciale. Simon disse all'autista di attendere ed entrò. Trovò Hannah seduta su una panca nella stanza delle immatricolazioni, con una tazza di caffè bollente in mano e un'espressione di profondo disprezzo per i due agenti seduti allo scrittoio. Vedendo Simon, fece scivolare la tazza verso l'estremità della panca e si alzò. «Adesso posso uscire da questa galera» disse allegramente, battendo il bastone sul pavimento. «Simon, paga a quell'uomo la multa o quel che è, e portami a far colazione. Muoio di fame.» Non era tanto semplice: La Verde aveva adottate norme severissime sull'ubriachezza e Hannah aveva ammesso la propria colpa. Per di più vi era stato un incidente, i cui particolari Simon apprese dal sergente Quentin, una persona garbata dalla pazienza infinita. La Rolls, venne a sapere, era nella rimessa della polizia, con una brutta ammaccatura sul parafango e altri danni di minor conto. La macchina responsabile dell'ammaccatura era stata sequestrata in attesa dell'arresto del guidatore che era fuggito. Apparteneva a un'agenzia di autonoleggio, che la sera precedente l'aveva consegnata a un certo signor M. Montgomery. Scrutando il viso di Hannah, che non lasciava capire come si fosse cacciata in quell'assurda situazione, Simon credette di indovinare qualcosa. «Dov'è questo Montgomery?» chiese. «Non l'abbiamo ancora rintracciato» ammise Quentin. «Abbiamo appena verificato il nome presso l'agenzia di noleggio, una ventina di minuti fa.» «Allora ha provocato l'incidente e poi se l'è filata» osservò Simon. «È quanto dice il testimone oculare. La signora Lee sostiene che era troppo sbronza per vedere ciò che accadeva e rifiuta di subire gli esami di rito. La legge è la legge, signor Drake, anche in un posticino fuor di mano come La Verde.» «E scappare dal luogo dell'incidente è una violazione della legge» ribatté Simon. «Anche in un posticino come La Verde. Se fossi in voi mi preoccuperei più di sapere perché il signor Montgomery è scappato, che non appurare quanti, di troppo, ne ha bevuti la signora Lee.» «Forse era confuso... in stato di shock.» «Magari lo è anche la signora Lee. E infatti, se il suo dottore sapesse che ha trascorso tutta la notte in un posto di polizia, senza nemmeno un medico al suo fianco, dopo aver avuto un incidente...» Simon fece una pausa carica di significato. «Non ritengo scorretto chiedere che la mia cliente sia affidata alla mia custodia finché l'altra parte venga rintracciata e la questione portata dinanzi al giudice.»
Il sergente era un tipo suscettibile, ma non al punto di essere un temerario, sicché parve lieto di rilasciare Hannah, che aveva evidentemente subito e sofferto abbastanza per una sera. Lasciato l'edificio, Simon pose una domanda a Hannah. «Quanto hai bevuto?» «Una coppa di champagne.» «Allora non eri sbronza; perché hai affermato il contrario?» «È una storia lunga. Ho una fame del diavolo, Simon. Non dirò una parola di più finché non mi offrirai qualcosa degna del mio palato.» La limousine noleggiata li portò in un ristorante aperto tutta la notte; non appena Hannah ebbe davanti un piatto di uova strapazzate e una teiera fumante cominciò a narrare i particolari del viaggio per assistere al debutto professionale di Buddy Jenks. «È terribilmente bravo, Simon. Ancora un po' spaurito e da limare qua e là, ma davvero bravo.» «Ora che hai sistemato il futuro di Buddy Jenks, ti ripeto la domanda: perché hai detto alla polizia che eri ubriaca?» «Perché volevo essere arrestata.» «Perché?» «Perché quando quell'auto ha investito la mia Rolls, non è stato per caso, ma volutamente, e io avevo una paura folle.» Hannah era una donna di grande spirito, ma quello non era uno dei suoi momenti migliori. A un tratto parve stanchissima; la mano le tremò nel sollevare la tazza di tè. Poi recuperò di colpo il proprio equilibrio. «Sai perché la Rolls è stata investita?» domandò Simon. «No.» «Sai chi guidava l'auto?» «Si: il suo vero nome non è M. Montgomery, ma Monte Monterey. L'avevo visto nel bar poco prima che Buddy terminasse il suo ultimo spettacolo, e ho costretto Buddy a ballare con me per sfuggirgli.» «Monterey...» Simon rifletteva. «È un nome che mi suona familiare. Era un attore, vero?» «Così si diceva. Monterey non ha mai girato film importanti; tutta roba di serie B; è rimasto in qualche modo sulla breccia fino all'inizio degli anni quaranta, poi è sparito senza lasciar traccia. Sentii dire che era andato in Sud America. Probabilmente vi fu costretto: doveva quattrini a tutta la costa occidentale. Quando l'ho visto stasera, il mio primo pensiero è stato che volesse chiedermi un prestito.» «E il secondo pensiero?»
Hannah rifletté. «In quel momento non ho pensato ad altro. Poi, quando mi è venuto deliberatamente addosso, è saltato giù dalla sua auto ed è corso verso di me, be', ho creduto che fosse uscito di senno. Aveva l'aria stravolta, Simon, proprio stravolta.» «Sbronzo?» suggerì l'avvocato. «No, o per lo meno questa è l'impressione che ho avuto. Gli ubriachi non mi hanno mai spaventato. Ho pensato soltanto che dovevo allontanarmi da lui e chiamarti qui.» «Se avessi saputo che stavi combinando questo scherzetto, non ti avrei mai permesso di venire» la rimproverò Simon. «Lo so; per questo non te l'ho detto.» «E tuttavia sei venuta. Ti sei sentita ringalluzzita dal luminoso futuro di Buddy Jenks perché in realtà non sei mai scesa dal palcoscenico dopo che assegnarono il tuo camerino a Baby le Roy, e poi hai visto un voltò nella folla che assomigliava a Monte Monterey. Da quanti anni non lo vedevi, Hannah? Almeno venti, giusto? Dev'essere cambiato parecchio.» Hannah era molto tranquilla. Si concentrò sulla tazza di tè poi guardò in viso Simon. «Non sono una vecchia rimbambita» affermò. «Ho visto Monte Monterey ed era proprio lui; non è cambiato molto. Succede a tanta gente. Alcuni hanno cura di sé e non gli si affloscia la linea dello stomaco... né il cervello.» «Toccato» riconobbe Simon. «E adesso che facciamo? Torniamo dal sergente Quentin e gli diciamo di cercare Monte Monterey anziché un tale a nome Montgomery?» «Dirglielo? Lascia che se la sbrighi da solo. Per quanto mi riguarda, me ne infischio anche se non trovano il guidatore di quell'auto. In questo momento non desidero altro che un bagno bollente e dieci ore di sonno ininterrotto.» «Al Gateway Motel di Whitey Sanders?» suggerì Simon. «No! Sono arrabbiata con Whitey perché non è arrivato ieri sera come aveva promesso. Questa storia non sarebbe successa se mi fossi messa a rispolverare ricordi con lui. Simon, pensavo... ecco quale potrebbe essere il nascondiglio di Monte: da Whitey! È stato suo agente quando le cose andavano bene. A quei tempi, Whitey era generoso come uno sciacallo: ecco perché adesso è tanto ricco da poter dare una mano a qualcuno. Potresti dare un'occhiata da lui. Prima che la polizia lo acciuffi, vorrei proprio sapere da Monte perché mi è venuto addosso.» «Forse qualche segreto?»
«Ricatto, vuoi dire? Simon, mi lusinghi. Ormai mi son fatta la pelle dura. No, il fatto è che mi vengono i brividi quando ripenso a come Monte mi ha guardato, ieri sera. I visi rivelano i sentimenti, e l'espressione di Monte non era esattamente affettuosa. Ne sono rimasta veramente scossa.» Hannah non mentiva, e questo era come dire che la rocca di Gibilterra si era spaccata in due. Aveva bisogno di dieci ore di sonno. Simon le lasciò finire il tè; nel frattempo si diresse alla cabina telefonica vicino alla cassa. Prenotò una stanza al vecchio Seville Inn, poi cercò il numero di Whitey Sanders. Hannah poteva bluffare negli affari o barare spudoratamente a poker, ma non era né pazza né lavorava di fantasia per attirare l'attenzione degli altri. Se Hannah diceva che era scossa, era scossa, e Simon voleva sapere perché. Uscito dalla cabina, si fermò alla cassa per pagare la colazione di Hannah e prendere un giornale del mattino; Hannah lo raggiunse là. «Guarda nella pagina degli spettacoli se c'è una critica del debutto di Buddy» lo pregò. «Qui non siamo a New York» sbottò Simon. Diede un'occhiata alla prima pagina prima di ficcare il giornale nella tasca dell'impermeabile: c'era una piccola fotografia di Sam Goddard e due colonne sull'incidente che gli era costato la vita. Anche quel nome faceva parte del passato di Hannah, ma, in quel momento, non pareva importante. Quando la berlina depositò Simon e Hannah al Seville Inn, il grande vestibolo era deserto. Simon si avvicinò al banco delle prenotazioni e cercò di attirare l'attenzione di una biondissima adolescente dall'aspetto di chi ha donato troppo sangue alla Croce Rossa. Si sarebbe ripresa, ma non finché l'uomo in abito di tweed la inchiodava con il suo sguardo inquisitore. «Credo di essere l'ultima persona che l'ha visto vivo» stava dicendo la biondissima. «Ero di turno quando è entrato...» «La seconda volta?» l'interruppe Abito di Tweed. «La seconda volta... si. Ho attaccato a mezzanotte. Erano circa le due quando è tornato. Adesso che ci penso, sembrava ubriaco... o malato.» «Ha detto qualcosa?» «Si: ha detto che non dovevo telefonargli né mandare su nessuno. "Sono a pezzi" ha detto, e ne aveva tutta l'aria.» «Poi è salito da solo nella sua stanza? Voglio dire, non l'ha accompagnato un fattorino o un portiere?» «No, è salito da solo. Accidenti, vorrei aver mandato Sam insieme a lui, ma non sapevo...»
Fu allora che la porta di servizio si aprì e due robusti giovanotti in camice bianco fecero per spingere una barella nel vestibolo. Abito di Tweed li aggredì rabbiosamente. «Non qui dentro!» strepitò. «Passate dall'Orange Street Arcade. Il direttore non vuole che girino barelle per il vestibolo principale.» Vedendo i due giovanotti esitare, Abito di Tweed interruppe il suo interrogatorio e mostrò loro la strada. Simon ne approfittò per richiamare l'attenzione della bionda e ricordarle la prenotazione di Hannah. Ma la signorina Hawks, così diceva la targhetta sul banco, fece un sorriso sbiadito. «Scusate, non mi sono accorta che eravate entrati. C'è stato un incidente.» «Mortale?» s'informò Simon. Non si può sfuggire a una domanda diretta. «Sì. È orribile, ma non vogliamo allarmare la clientela. Ieri sera uno degli ospiti si è ubriacato ed è caduto nella tromba delle scale dal quarto piano. Il suo corpo è stato trovato qualche minuto fa da un commerciante che veniva ad aprire il suo negozio, nel porticato. Mi vengono i brividi quando penso che forse è rimasto là tutta la notte. I cancelli del porticato si chiudono alle sei del pomeriggio e nessuno usa la scala...» La signorina Hawks s'interruppe bruscamente. «Non dovrei dirvi queste cose» si scusò «ma mi devo sfogare. Povero signor Montgomery...» «Montgomery?» ripeté Hannah. «Si chiamava cosi?» La bionda ritrovò di colpo il controllo. «Lo conoscevate?» «No» interloquì in fretta Simon. «La signora è soltanto curiosa, e questo non è il momento per la curiosità.» Firmò il registro e ritirò la chiave dalla signorina Hawks prima che Hannah facesse altri passi falsi, poi l'accompagnò nella sua stanza, dove i muri erano spessi e le porte solide. «Tu resti qui» ordinò. «So che muori dalla voglia di vedere che cosa è stato raccolto dall'impiantito del porticato, ma potrebbe non essere un bello spettacolo. Piglia un sonnifero e dimentica tutto. Ci penserò io a indagare.» Fortunatamente, Hannah era troppo stanca per protestare, ma non troppo per pensare. «Simon» disse, mentre l'avvocato si avviava alla porta «se Montgomery è Monte Monterey e se è morto, adesso posso dare un nome all'espressione del suo viso, ieri sera. Era panico, Simon, panico allo stato puro.» 4
Simon lasciò Hannah al sicuro, chiusa nella stanza al secondo piano e scese con l'ascensore nel vestibolo, la cui signorile opulenza non lasciava trapelare alcun segno della tragedia avvenuta. S'incamminò sui folti tappeti verso l'uscita del patio, alla volta di Orange Street. Là fuori si trovava un'ambulanza, con le portiere posteriori aperte e pronte ad accogliere l'inanimato passeggero sulla barella. Simon si precipitò mentre l'uomo con l'abito di tweed si avvicinava all'ambulanza; scorgendo l'avvocato, l'altro si mise tra lui e la barella, e tirò fuori di tasca un distintivo e una tessera. Era il tenente Job Rickey, tarchiato, biondiccio e di poche parole. «Se siete del giornale, avrete notizie al General Hospital» disse. «Non all'Obitorio?» insinuò Simon. Rickey sospirò e ficcò di nuovo in tasca le proprie credenziali. «Adesso ricordo: eravate al banco delle prenotazioni. Va bene, così sapete che è morto.» «Posso vedere il corpo?» «Perché?» «Potrei essere in grado di identificarlo.» «Non occorre: il morto è un certo Montgomery, un ospite dell'albergo.» «Lo stesso Montgomery che la Sezione Traffico ricerca per esser fuggito subito dopo un incidente?» domandò Simon. La cosa era nuova per Rickey; l'avvocato sfruttò la situazione a suo vantaggio. «Mi chiamo Simon Drake e sono avvocato. Rappresento la signora Hannah Lee, la cui automobile è stata investita ieri sera da un tale a nome Montgomery, nel parcheggio del Gateway Bar. La signora è stata affidata alla mia custodia fino all'interrogatorio formale quindi, come vedete, ho un legittimo interesse per quell'uomo sotto la coperta.» «Conoscete Montgomery?» chiese Rickey. «No, ma ne ho una descrizione particolareggiata.» Rickey voleva sbarazzarsi di quella spiacevole incombenza prima che si aprissero i negozi, ma era ansioso quanto Simon di identificare il cadavere. Si fece da parte e tirò giù un lembo della coperta. Simon trasalì. La morte aveva cancellato dal viso dell'uomo i colori naturali, e l'abbronzatura artificiale aveva preso una sfumatura terrea nella luce del mattino. Non era tuttavia il colorito che l'aveva colpito, quanto l'impressione che il tempo andasse a ritroso. Il lato più vicino a lui del viso del cadavere non aveva subito lesioni, e quello era il volto di un uomo di venticinque o trent'anni: la linea del naso perfetta, le orecchie aderenti ai capelli ben curati, le so-
pracciglia avvezze a inarcarsi, provocanti. Ogni lineamento gli era familiare e la memoria tornò a un passato in cui Monte Monterey, immenso sullo schermo, cavalcava verso il tramonto mentre il motivo musicale si gonfiava in un crescendo trionfale. Hannah non si era sbagliata: quello era il Monte Monterey che ricordava. Soltanto facendosi più vicino, Simon notò le eloquenti cicatrici. Il lato opposto del viso di Monterey somigliava invece a qualcosa che avesse avuto uno scontro con un tritacarne. Rickey si schiarì la voce e ricoprì il cadavere. «Allora?» «È Montgomery. Credete che sia una morte accidentale o un suicidio?» Il tenente fece un cenno e gli infermieri caricarono la barella sull'ambulanza. «Chiedetelo al giudice» rispose. «Io faccio solo il lavoro di presa e consegna.» Le porte dell'ambulanza si chiusero e qualche minuto dopo, senza sirene, il veicolo imboccò la Orange Street. Una faccenda pulita e senza trambusto, che non turbasse l'attività dei negozi. Simon voleva tornare da Hannah per confermarle l'identità del morto, ma il tenente Rickey era ancora fermo vicino a lui e un'auto della polizia stava accostando al marciapiede. «Avvocato Drake» disse il tenente «credo che dobbiate fare un salto con me al posto di polizia.» Il ritorno di Simon negli uffici giudiziari di La Verde fu meno suggestivo della prima visita: Hannah dava sempre colore a qualsiasi scena, ma Hannah ora riposava al Seville Inn e parecchie persone, indifferenti al mezzo profilo martoriato di Monte Monterey, costituivano le "dramatis personae" del secondo spettacolo. Il tenente Rickey non sprecò tempo e si mise subito in contatto col collega Quentin e, quando dal portafoglio del morto saltò fuori una ricevuta per il noleggio della Ford nera e una patente internazionale a nome di Martin Montgomery, l'accusa di essere fuggito dopo aver provocato un incidente che aveva coinvolto Hannah e una vecchia Rolls fu subito chiarita. Il tribunale di La Verde non era il Pentagono. Nessuno parve interessarsi a Simon quando questi entrò baldanzosamente nell'anticamera dell'obitorio e osservò il coscienzioso impiegato che elencava gli effetti personali trovati addosso a Monterey. Un orologio da polso extrapiatto (valore almeno un migliaio di dollari, calcolò Simon), un portasigarette placcato in oro con l'incisione "O AMOROSO"; un portafoglio di pelle nera contenente
circa tre dollari in spiccioli, cinque centesimi messicani e una banconota da cento cruzeiro brasiliani. Un gemello da polso, in ebano; una medaglia d'argento con S. Cristoforo attaccata alla catena delle chiavi; una chiave del Seville Inn, camera 464; una fede nuziale da uomo di oro liscio, con l'incisione JO a JIM. 24-10-41. Simon studiò attentamente l'anello poi lo posò sulla scrivania. Nessun documento, a parte la patente e la ricevuta dell'agenzia di autonoleggio di Santa Monica. L'impiegato aveva vuotato le tasche dell'abito del morto e non aveva trovato nulla che potesse stabilirne l'esatta identità. Prese poi la catenella delle chiavi e aprì la valigetta che era stata mandata dal Seville Inn. Conteneva i soliti oggetti: spazzole, cosmetici da uomo (di marca costosa), biancheria, calzini, quattro camicie bianche, due maglioni italiani, un paio di calzoncini da bagno bianchi, una mezza dozzina di cravatte di seta e un astuccio di pelle nera contenente un paio di gemelli di diamanti di almeno mezzo carato ciascuno. L'abito era confezionato a mano, ma non portava etichetta. L'impermeabile, al quale ora l'impiegato rivolgeva la sua attenzione, veniva da un negozio esclusivo di San Diego; dalle tasche usci un accendino d'oro, analogo al portasigarette, senza incisioni, e anche una scatoletta contenente un paio di lenti a contatto, oltre a un paio di occhiali scuri da guida con un vetro fracassato e la montatura contorta. L'impermeabile non presentava strappi né macchie. La giacca dell'abito mostrava invece larghe chiazze di sangue e puzzava di whisky. «C'era una bottiglia, da mezza pinta, rotta, nella tasca sinistra» spiegò l'impiegato. «Non toccate; il tessuto è pieno di schegge di vetro.» «Scozzese o bourbon?» volle sapere Simon. «Spiritoso!» commentò l'altro. Sfilò dalla tasca interna della giacca del morto un piccolo taccuino nero contenente parecchi numeri telefonici, come ebbe modo di vedere l'avvocato. L'ultimo oggetto elencato fu un paio di scarpe di camoscio nero con dei rialzi all'interno e con entrambe le suole sporche d'olio. Simon aveva visto quanto era possibile, e c'era qualcos'altro da fare mentre aspettava il referto del medico legale. Per una ragione ignota, ubriaco o sobrio, l'uomo identificato come Montgomery, aveva mandato la sua auto a sbattere contro la Rolls di Hannah, e ciò significava che vi erano dei danni da riparare. La rimessa della polizia si trovava a pochi passi dall'ala della prigione nel vecchio palazzo di giustizia. Sia la Rolls sia la Ford noleggiata erano state sequestrate, e la Ford era quella che aveva riportato senz'altro i mag-
giori danni. Il paraurti anteriore si era infilato nel cofano, il radiatore si era staccato e la testa dei cilindri era incrinata. Una grossa chiazza d'olio scuriva il pavimento del garage sotto la macchina; Simon ricordò le macchie sulle suole di Monterey e notò un altro particolare. L'interno dell'auto era pulito, fatta eccezione per una striscia di carta che faceva capolino tra il cuscino e lo schienale del sedile. Aprì la portiera e recuperò una carta stradale ripiegata: era sfuggita alla polizia. La copertina portava l'annuncio pubblicitario di una banca e il timbro "Omaggio del Palms Hotel, Santa Monica". Simon se la fece scivolare in tasca e dedicò la sua attenzione alla Rolls. Questa aveva una brutta ammaccatura al parafango anteriore sinistro e il vetro di un faro era rotto; il motore però rispondeva, e Simon decise di riportare lui stesso la macchina a Marina Beach. Avrebbe mandato Hannah a casa, il più presto possibile, con la berlina. Era solo questione di tempo prima che qualche prova stabilisse la vera identità del morto e non voleva che Hannah venisse coinvolta nel clamore che ne sarebbe seguito. Qualsiasi cosa avesse provocato il volo nel vuoto di Monterey, non era il modo giusto per uscire di scena. Per rimuovere la Rolls ci voleva però un'autorizzazione, e questo voleva dire tornare nell'ufficio del tenente Rickey per attendere l'arrivo della serie completa di fotografie del fatto, necessarie prima di poter toccare qualsiasi cosa. Non ci fu molto da aspettare. Il fotografo della polizia si chiamava Dick Holman; era bravo nel suo mestiere e lo sapeva. Tirò fuori una serie di foto in carta lucida tanto completa da soddisfare anche le esigenze più pignole di Rickey, poi, con una specie di macabro compiacimento, aggiunse al mucchio alcune immagini del cadavere. La prima di esse era un primo piano del lato sfracellato del viso. Soltanto il fattore sorpresa poteva scuotere una vecchia volpe del mestiere come Rickey; Holman ne spiò la reazione e ridacchiò, quando venne. «Non è bello a vedersi, eh? Adesso guardate quella successiva.» Il contrasto delle due foto era notevole: il lato destro del volto, intatto, colpiva di più nella foto che non sul cadavere. Holman si protese in avanti, le braccia puntellate sulla scrivania. «Be', che cosa vedete?» chiese briosamente. Rickey si accigliò: «Questa faccia mi è nota.» «Lo credo bene! Questo è il Bel Cavaliere, il Principe dei Peones. È Monte Monterey, vanto della Scuola Superiore di La Verde, anno 1925.» Un buon ascoltatore poteva sempre cogliere particolari interessanti. «Monterey era nativo di La Verde?» domandò Simon..
«Cosi dice l'archivio del giornale. Io non ho una memoria fotografica per i visi. Non appena ho puntato la macchina su questo, ho sentito che lo conoscevo. Sissignore, Monte Monterey è nato in una piantagione di agrumi appena fuori quelli che una volta erano i confini della città. Suo padre era un raccoglitore messicano di aranci a nome Morales. Il nostro eroe, Monte, fu battezzato Manuel Morales...» «Va bene, conserva le notizie per far colpo sulla tua amichetta» borbottò Rickey. «Amichette» lo corresse Holman. «Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere sapere chi è veramente il tizio steso sul tavolo dell'obitorio.» Per Simon, adesso, era importante portare via Hannah da La Verde prima che la notizia scoppiasse e qualcuno, magari Dick Holman, si rendesse conto che era coetanea di Monterey e poteva benissimo averlo riconosciuto. Sarebbe stato imbarazzante cercare di spiegare come mai il suo avvocato non avesse identificato correttamente il cadavere. Le campane della vecchia cappella suonavano le undici, quando Simon fece ritorno al Seville Inn. Adesso c'era più movimento e il ristorante era aperto. L'atmosfera era tranquilla e serena; un mondo di bella gente che faceva tante belle cose, proprio come nei pieghevoli pubblicitari. Una nuova ragazza aveva preso posto al banco della reception: occhi verdi e vivaci, capelli color tiziano. Simon la guardò e si sentì più giovane di dieci anni. La targhetta davanti a lei diceva: "Penny". «Signorina Penny di Rame?» rifletté Simon ad alta voce. «Signorina Penny Regalato?» Lei arricciò il nasino. «Un penny risparmiato è un penny guadagnato» osservò. «Magnifico! E come posso risparmiarvi?» Gli occhi della ragazza smisero di ridere. Inforcò un paio di occhiali montati in nero e lo scrutò attentamente. Era persino più carina, con gli occhiali. «Adesso sembrate una maestrina» disse Simon. «La mia materia preferita è la chimica, e la vostra?» «Storia... personale. Desiderate una stanza?» «Ce l'ho già: due-undici.» Le fece vedere la chiave. «E non ditemi che avrei dovuto lasciarla al banco perché lo so. Per quante ore siete di turno?» «Troppe» rispose la ragazza «e poi vado diritta a casa.» «Non parlo di oggi, ma di ieri sera.» Mentre Simon parlava, la ragazza scorreva il registro che aveva davanti
a sé. La vide irrigidirsi. Fu come ricevere una formidabile scossa elettrica. «Non siete di qui» disse. «Siete un giornalista di Los Angeles?» «No, un amico dei tribunali. Non state a spremervi le meningi, non ne vale la pena. Ditemi piuttosto fino a che punto era ubriaco Martin Montgomery quando è arrivato, ieri sera.» «Ma non era...» «Allora eravate in servizio?» «Sì, il mio turno regolare va dalle quattro a mezzanotte. Sono qui soltanto perché la mia collega del mattino è ammalata. Però il signor Montgomery non era affatto ubriaco quando gli ho parlato; era soltanto stanco. Non appena è salito nella sua stanza, ha telefonato giù chiedendomi di svegliarlo alle ventitré e trenta perché aveva un appuntamento.» «L'avete visto uscire alle ventitré e trenta?» «Minuto più minuto meno, signor Drake. Devo chiamare il due-undici e avvertire che state salendo?» Simon ricordava chiaramente di aver firmato "Hannah Lee" e si chiese se il tenente Rickey fosse andato in giro a bisbigliare nomi, o se la vivace signorina Penny fosse un'appassionata di delitti e tribunali. Decise di non far domande. «No» rispose «salgo per gettarmi nel vortice della passione con la mia amante e non voglio essere disturbato.» Simon si allontanò dal banco con l'irritante certezza che la ragazza non era affatto gelosa. Che vergogna! Era molto carina e questo gli rammentò che aveva scordato di telefonare a Wanda, che si trovava a New York per le prove di una commedia. Wanda era troppo poco sicura di sé per imbarcarsi in un secondo matrimonio senza prima curare le ferite del suo ego. L'offerta di partecipare a uno spettacolo a Broadway era arrivata a puntino e Simon era accomodante. La separazione gli dava il tempo di adattarsi all'imminente perdita del suo lungamente difeso celibato. Entrò nell'ascensore e schiacciò il pulsante del quarto piano. Avrebbe chiamato Wanda, più tardi. L'ascensore salì rapido al corridoio che si apriva in una specie di patio tra gli appartamenti di lusso. Il cielo azzurro e limpido faceva da sfondo alle torri spagnole che si ergevano fiere sulle volgari botteghe sottostanti. Guardando giù, Simon poteva vedere i giardini e le cime degli alberi da una parte e dall'altra il cortile a mosaico della cappella. Dovette cercare la stanza 464 e la trovò a pochi passi dalla scala a spirale che scendeva verso
il punto in cui era stato trovato il cadavere. Fiancheggiata da una grata di ferro e chiusa all'uso pubblico da un cancello col lucchetto, la scala era inaccessibile a chiunque non avesse intenzioni suicide o non fosse ubriaco fradicio. In basso, un pesante telone trattenuto da un paio di cavalietti nascondeva le mattonelle macchiate di sangue nel punto in cui era piombato Monterey. Simon tornò alla stanza 464. Si avvicinò alla porta con la chiave della stanza di Hannah; c'era sempre la vaga speranza che si adattasse anche a quella serratura. Ci stava lavorando quando una voce alle sue spalle pose termine all'operazione. «Credo che questa chiave universale andrà molto meglio» disse la signorina Penny. Simon sospirò e si allontanò dalla porta. «Mi avete seguito» la rimproverò. «Non siete stato molto accorto: vi ho visto entrare nell'ascensore diretto al secondo piano, ma l'indicatore si è fermato sul quarto.» «È la mia curiosità» si giustificò Simon. «Io la chiamerei morbosità. Volete davvero entrare?» Aveva veramente una chiave universale in mano, e sembrava che non scherzasse. Era molto ' più attraente, senza un banco davanti a precludere la vista di alcuni punti interessanti della sua anatomia. «Come mai non c'è un poliziotto di guardia?» chiese Simon. «Perché dovrebbe esserci? Che io sappia, non ci sono indagini in corso e la direzione non vuole certo attirare l'attenzione sulla camera di un suicida: ci troveremmo sulle braccia un appartamento inaffittabile.» Parlando, la signorina Penny aveva aperto la porta. Nell'immensa stanza le tende erano ancora chiuse, ma non mostrava di essere stata occupata di recente. Tutti gli oggetti personali di Monterey erano al posto di polizia. «Contento?» chiese Penny. Simon rifletteva. «Manca qualcosa» disse. La stanza era arredata magnificamente: letto grandissimo, toeletta, agrippina e tavolini, scrittoio... «Dov'è la sedia dello scrittoio?» domandò Simon. «Oh... la stanno pulendo. Ha il sedile coperto di stoffa e c'era una macchia di olio.» «Olio?» Simon scrutò il tappeto. Era grigio, a pelo lungo, ed era stato pulito di recente, ma si notavano ancora alcune tracce d'olio. «Le suole di Montgomery erano sporche d'olio» disse. «Chissà perché è montato sulla
sedia.» Sul soffitto non c'erano stucchi, né nascondigli, né lampadari centrali. Simon aprì l'armadio: lo scaffale era facilmente accessibile e Monterey aveva i rialzi nelle scarpe. Trovò uno sgabello per le valigie che aveva pressappoco l'altezza della sedia e vi salì. Sopra il letto c'era una fila di finestrelle che si aprivano su una parte del tetto dentellato, ma erano solidamente chiuse e irraggiungibili anche con l'aiuto del trespolo per le valigie. Simon scese e se lo portò in bagno, dove non c'erano né armadi né ripiani di altezza fuori del normale. Davanti alla stanza da bagno si stendeva un balconcino che guardava sul cortile di servizio. Simon posò di nuovo lo sgabello e vi montò. «Finirete per cadere!» gridò la signorina Penny. Simon guardò giù. La ringhiera gli arrivava alle caviglie e il volo avrebbe appiattito i connotati di chiunque. «Vorrei sapere perché Montgomery non ha fatto il salto da qui.» Rifletté, e, in quel momento, lo sgabello cedette sotto di lui. Si aggrappò disperatamente con una mano all'intelaiatura della finestra poi, con un guizzo, trovò con l'altra la grondaia di rame e restò cosi, a braccia spalancate, con i piedi penzoloni appena dentro il bordo della ringhiera, finché la signorina Penny riusci a muoversi e allontanò lo sgabello, lasciandogli il posto per toccar terra sul balconcino. Si trovò a pochi centimetri da lei, morbida e femminile. «Adesso, signore, smettetela di mimare la scena del suicidio e uscite di qui prima che si debba chiamare un'altra ambulanza. Non avrei dovuto nemmeno farvi entrare in questa stanza.» «Perché l'avete fatto?» «Non lo so... oh sì, che lo so: ho visto il nome di Hannah Lee sul registro e sapevo che Simon Drake è il suo avvocato.» «Il suo schiavo» corresse Simon. «Continuate.» «Tutto qui; vi ho visto alla TV quando difendevate Wanda Call, e volevo vedervi in carne e ossa.» «Delusa?» «Non posso rispondere conoscendovi da così poco tempo, e poi devo tornare al banco.» Penny raccolse lo sgabello rotto e si avviò alla porta; Simon capì l'antifona e la seguì fuori della stanza. «Un'ultima domanda» insistette. «Avete detto di aver ricevuto la telefonata di Montgomery, ieri notte, quando chiese di essere svegliato alle un-
dici e trenta. Vi disse dove sarebbe andato a quell'ora?» «No, e non gliel'ho chiesto. La discrezione, avvocato Drake, è il requisito più importante per lavorare in un albergo.» Chiuse a chiave la porta, provò la maniglia, poi mosse verso l'ascensore. Peccato. Con quel po' po' di attaccamento al dovere, probabilmente era la ragazza del direttore. 5 Hannah teneva banco nella stanza 211. Seduta in poltrona davanti al caminetto spento, un servizio d'argento sul tavolinetto di fronte a lei, si era ripresa magnificamente e il sonno era dimenticato. Quando aveva un pubblico, difficilmente Hannah sbagliava una battuta. Aprendo la porta, Simon se la trovò davanti affiancata da due maschi prestanti di età diversissima. Quello appoggiato al camino, che torceva nervosamente una catenella delle chiavi, era vergognosamente giovane e snello. Portava pantaloni di velluto azzurro a coste, e una maglietta bianca che gli stava più stretta della pelle. La massa di capelli lunghi ben pettinati e la sua stessa vibrante presenza potevano significare soltanto che quello era Buddy Jenks dalla tromba magica. L'altro era un gigante di circa due metri, segaligno e maturo. La sua pelle scura e lucida faceva un netto contrasto con i capelli bianchissimi tagliati a spazzola. Le sopracciglia erano bianche, i denti bianchi, i pantaloni e la giacca bianchi. Indossava stivaletti neri e dava l'impressione di dormire, se mai lo faceva, in posizione verticale. Simon si chiuse la porta alle spalle. «Sono Simon Drake» disse «e voi siete Whitey Sanders e Buddy Jenks.» «Simon» disse Hannah «vuoi una tazza di caffè? È caldo.» «Dopo. Adesso vorrei parlare con Sanders: ho appena visto il cadavere di un uomo che conosceva.» Sanders accettò la tazza che Hannah gli porgeva, senza staccare gli occhi da quelli di Simon. «Monterey» disse. «Me l'ha detto Hannah; ieri sera ha cercato di raggiungermi al club.» «Come lo sapete?» «Me l'ha detto il barista quando sono arrivato un paio d'ore fa: mi ha detto che Hannah era in città e io ho setacciato tutti gli alberghi per trovarla. Buddy mi ha raccontato l'incidente nel parcheggio. Strano, eh?» «Sapete perché Monterey si è ucciso?»
«Non ne ho idea... a meno che non fosse per questioni di denaro. Conduceva normalmente una vita troppo dispendiosa per le sue possibilità. L'avrei aiutato; non c'era bisogno di perdere la testa perché avevo qualche ora di ritardo.» «Non era una questione di denaro» disse Simon. «Monterey disponeva di quasi duemila dollari, i suoi abiti erano confezionati a mano e aveva parecchi oggetti personali piuttosto costosi: gemelli da polso, portasigarette, eccetera.» «Duemila dollari erano spiccioli per Monterey, a quanto ricordo» commentò Sanders. «Potevano bastare appena per il week-end.» «Questo accadeva ai bei tempi: Monterey non lavorava più da anni.» «Non nel cinema, ma faceva degli investimenti; la maggior parte dei suoi guadagni l'aveva fatta prima del colpetto della tassa sul reddito. Ricordi il periodo anteguerra, Hannah?» «Ricordo tutto del periodo anteguerra» rispose Hannah, asciutta «ma sono andata ugualmente in rovina, e lo stesso è stato per Monterey. Aveva esaurito ogni fonte di credito a Hollywood prima di lasciare la zona. A che cosa miri, Simon?» «Hai un occhio infallibile. Hai detto che ieri sera Monterey sembrava in preda al panico; che correva tutto spaventato. Il suicidio è un atto disperato: lo commette un uomo che non può più correre.» I gelidi occhi di Whitey Sanders lo fissarono di sopra l'orlo della tazza. «Volete insinuare che Monterey non si è ucciso?» «Io non insinuo mai; so soltanto che ieri sera, quando ha investito la Rolls di Hannah con un'auto a noleggio, era perfettamente vivo. È saltato giù, si è appeso alla Rolls poi, chissà perché, è scappato. Questa mattina l'hanno trovato ai piedi di una scala di quattro piani.» «Che cos'è Monterey per voi?» sbottò Sanders. «Niente, ma Hannah è la mia dilettissima amica e la miglior giocatrice di poker a ovest di Las Vegas. Se ci sono dei pasticci in aria, non voglio che ci resti immischiata. Monterey era sposato?» «Come diamine potrei saperlo?» «So come vanno queste cose, ragazzi» intervenne Hannah «e Monty non era tipo da matrimonio.» «Aveva... gusti particolari?» «Oh, che orrore, no! Ti avrebbe sfidato a un duello alla sciabola se ti avesse sentito dire una cosa del genere: la sua virilità latina si sarebbe ribellata. No, era normale, solo che non era tagliato per fare il casalingo.»
«Allora perché aveva un anello nuziale?» Simon non accennò all'incisione e osservò la smorfia sorpresa di Hannah e il modo come Sanders inarcava di colpo le sopracciglia. Un attimo prima che Hannah aprisse bocca, riprese: «E perché ha affittato un'auto a Santa Monica, si è fatto tutto il viaggio fino a La Verde e poi ha chiesto di essere svegliato alle undici e trenta di sera perché aveva un appuntamento? Non mi diverto a tormentarvi: sto cercando di vedere le cose come le vedrà il giudice istruttore quando inizierà l'inchiesta sulla morte di Monte Monterey.» Whitey Sanders posò la tazza e andò al telefono. «Alex? Mi occorre una risposta semplice a una domanda semplice: a che ora hai ricevuto la telefonata di Monterey, ieri sera?... Prima delle dieci... Bene, poi ha fissato per me l'appuntamento alle undici e mezzo, al bar?... Benissimo. Va bene, Alex, grazie.» Sanders abbassò il ricevitore e si rivolse a Simon. «Questo spiega la storia dell'appuntamento» disse. «E non avete idea di che cosa si trattasse?» «Se non era per soldi... no. Non vedevo Monte da un sacco di anni e non sapevo che fosse nel Paese, e men che meno a La Verde, finché non ho parlato con Alex, stamani. Come posso sapere perché è tornato?» «Forse per morire» suggerì Buddy. Era un ragazzo educato e silenzioso, attentissimo a tutto ciò che si diceva. Le sue parole sorpresero tutti, cosicché posò la tazza vuota sulla mensola e spiegò: «Come un elefante. Voglio dire, se un tale ha deciso di morire, può darsi che torni a casa per farlo, quasi inconsciamente... mi sono spiegato?» «Credo che l'ipotesi di Buddy sia centrata» disse Sanders. «A ogni modo, come voi stesso, Drake, avete suggerito, il giudice e l'inchiesta scioglieranno l'enigma. Mi preoccuperò che Monte abbia un bel funerale. Non era religioso, ma credo che gli farebbe piacere. Non so quanti membri della sua famiglia siano ancora vivi: ha perso un fratello in guerra, ma credo che avesse anche parecchie sorelle. Una era una vera bellezza. Per un po' tentò la via di Hollywood insieme a Monte, poi si fece furba e si sposò benissimo: è morta parecchi anni fa. Ricorderai suo marito, Hannah... Sam Goddard, era proprietario di un giornale. Un figlio di... in gamba. Credo che si sia ritirato...» Simon prese di tasca un giornale quasi dimenticato. «Ci sono delle critiche?» chiese Buddy. Simon non rispose. Lo spiegò e lo porse a Sanders.
«È questo Sam Goddard?» chiese. Nessuno apri bocca per parecchi minuti. Sanders impallidì mortalmente. «Sam è morto» disse con voce rauca. «È rimasto ucciso quando la sua auto è volata fuori strada nella nebbia, ieri.» Corse con un dito lungo la colonna. «Ecco qui: "Là moglie di Goddard, l'ex-attrice Lola Morales, è morta quindici anni fa"... Santo cielo, si ricordano ancora che era un'attrice. Aveva fatto qualche particina nei primi western di Monte, poi incontrò Sam a una festa negli studi e se ne innamorò pazzamente. Lui era un donnaiolo tremendo, a quei tempi, e Lola in fondo era una verginella di diciott'anni scappata dal convento. Fu un vero matrimonio d'amore. Lola morì giovane e ancora bella.» Sanders tacque e restituì il giornale a Simon. «Una coincidenza» disse «una stranissima coincidenza. Be', che facciamo, Buddy? Torniamo al Motel? Devi riposare prima della prova; stasera devi essere in forma. Dopo il tuo lancio di ieri sera sarà corsa la voce e non sapremo dove mettere la gente.» Sanders si rivolse ad Hannah. «Hannah, davvero non posso ospitarti per qualche giorno?» «Hannah se ne va» intervenne Simon. «La spedisco a casa con una berlina, e io guido la Rolls.» Parlò in tono che non ammetteva repliche ma, mentre accompagnava fuori Sander e Buddy, Hannah s'impadronì del giornale e non lo mollò finché non ebbe letto fino all'ultima parola l'annunzio della morte di Sam. «Chissà se Monte l'ha saputo prima di morire» disse. «Erano tanto amici che la morte di Sam avrebbe potuto deciderlo a uccidersi?» Hannah sapeva come andavano certe cose. Quindici anni di semi invalidità le avevano dato il tempo (non le occorrevano incentivi) di raccogliere tutti i pettegolezzi locali, che aveva ordinatamente archiviato nella propria mente. «No, non credo» rispose. «Sono quindici anni che Lola è morta, e dopo il matrimonio Sam non frequentò molto Monte. Nella vecchia Hollywood c'erano più caste che in India... e ci sono ancora. Quando Lola sposò un editore di giornali, entrò automaticamente in un altro ambiente... più su. Non che Sam fosse ricco, lo divenne più tardi. Lei era una bella ragazza; Whitey ha ragione, ma non è stata il grande amore di Sam. Potrei raccontarti tutta la storia.» «Me la racconterai, ma non adesso» le ingiunse Simon. Riuscì a farla uscire dall'albergo e salire in macchina senza attirare l'at-
tenzione, poi tornò nella sua stanza. Hannah poteva dormire durante il tragitto, ma lui non chiudeva occhio da ventiquattr'ore. Dormì un paio d'ore poi si svegliò bruscamente. Il referto dell'autopsia. Decise di tentare il colpo e chiamò al telefono il Gateway Bar. Whitey Sanders non era lì. Gli diedero un numero privato che lo metteva in comunicazione con la piscina del villino personale di Sanders, nel recinto del motel. Whitey riconobbe la sua voce. «Venite qui a farvi una nuotata. L'acqua è una meraviglia e il panorama ancor meglio.» Simon sentiva risate femminili e tonfi nell'acqua, sullo sfondo. «Mi tentate, ma devo tornare a The Mansion. Volevo chiedervi un favore.» «Un aereo in prestito?» «No. Torno indietro con la Rolls di Hannah. Ciò che desidero è una copia del referto del medico legale, quando avranno finito di affettare il corpo di Monterey. Ho la sensazione che abbiate qualche maniglia tra le alte sfere.» «Può darsi. Avete forse appreso qualcosa che io non so?» «No.» rispose Simon «mi son solo ricordato che Monte aveva una bottiglia di whisky rotta nella tasca della giacca, e un po' se n'era versato sui vestiti. Vorrei sapere quanto ne aveva in corpo.» Per alcuni secondi udì soltanto il respiro di Whitey Sanders nel microfono. «Va bene» disse infine questi. «Ci penserò io. Guidate con prudenza.» La signorina Penny non era al banco, quando Simon pagò il conto. Uno snello gentiluomo stempiato con un sorriso da Rotary Club officiava alla cassa. «Tanto per curiosità» chiese Simon «come si chiama di nome la signorina Penny? O forse è un segreto d'ufficio?» Il sorriso indugiò sull'assegno del legale, approvò, e rispose: «Bonnie, avvocato Drake.» Bonnie. Suonava bene. Simon uscì dalla grande porta a vetri e si avviò lentamente verso il porticato dei negozi per dare un'ultima occhiata alla scena del suicidio. Le botteghe di souvenir e di abiti erano aperte e i turisti, in vena di compere, camminavano sul pavimento a mosaico, ignari che poche ore prima un uomo era morto col viso schiacciato su quelle mattonelle. Nessuno oltre a Simon Drake s'interessava a quel metro quadrato in fondo al pozzo della scala. Quasi nessuno. Simon era in piedi, solo, al centro della tromba circolare delle scale e ascoltava distrattamente la musica diffusa in sordina, cercando di risolvere un enigma nella propria mente. Quindi, quasi automaticamente, alzò lo
sguardo sulla scala a spirale che non veniva mai usata per via del cancello in cima. E lassù c'era un uomo. Pareva molto alto e se ne stava in piedi vicino alla ringhiera che stringeva con una mano. Portava scarpe nere, un abito nero e cappello nero con l'ala ampia e rigida, alla spagnola. Il suo viso era in ombra e i lineamenti indistinti, ma restò immobile. Un guizzo di luce. La figura si mosse appena e il sole fece brillare un anello che aveva al dito. Una folata di vento spazzò il porticato alzando polvere e Simon si volse un attimo per pulirsi un occhio. Quando guardò di nuovo in su, l'uomo era sparito. All'ora delle streghe, e con la fervida immaginazione di Hannah, Simon avrebbe potuto crederlo un fantasma, ma era pieno pomeriggio e lui credeva molto di più ai fatti concreti che agli spiriti. Lasciò l'albergo e si avviò verso gli uffici giudiziari. Il tenente Rickey lo aspettava con l'autorizzazione di prelevare la Rolls. «Guidate con prudenza» disse. Era la seconda volta che Simon riceveva quel consiglio. Simpatico avere tanta gente che si preoccupasse per lui. Portò fuori la Rolls dal garage e parti in direzione della costa. Era uno splendido pomeriggio: il classico tempo da turisti, senza una nuvola all'orizzonte. Simon stava convincendosi che Hannah aveva drammatizzato l'incidente al parcheggio e che non c'era nessun mistero sotto l'improvvisa morte di Monte Monterey, quando percepì uno strano, fastidioso rumore sotto il cofano dell'auto. Ascoltare il motore era una faccenda automatica quando guidava la Rolls di Hannah, a maggior ragione dopo l'incidente. Di solito, a cofano chiuso, era necessario uno stetoscopio per sentire qualcosa. Quello che si udiva adesso era un rumore metallico. Simon fermò nel primo spiazzo laterale e scese dall'auto. Sollevò il cofano e trovò un piccolo contenitore di piombo con un congegno a orologeria legato al carburatore. Non si sentiva portato alla ricerca scientifica e non perse tempo a esaminare l'oggetto. Lo strappò e lo gettò il più lontano possibile dalla carreggiata. L'esplosione che seguì l'istante dopo spogliò delle foglie due aranci. 6 Simon infilò l'uscita dall'autostrada a Marina Beach, fermò la Rolls davanti al Jack's Lock Shop sulla Ocean Street e ordinò due serrature elettriche, quindi usò il telefono di Jack per chiamare un allevamento di cani da guardia nella zona industriale vicina: chiese che mandassero un cane adde-
strato a The Mansion prima del tramonto, poi tornò all'auto. Attraversò i nuovi quartieri della periferia diretto alla parte più vecchia della città, chiamata The Heights, che The Mansion dominava dall'alto, nel suo rinnovato splendore. La grande casa bianca era circondata da prati ben curati e da un'alta cancellata di ferro battuto. I due ingressi, quello anteriore e quello posteriore, non erano mai stati chiusi, e le due serrature elettriche avrebbero mutato la situazione. Il cane da guardia era una protezione in più che sarebbe stato difficile spiegare ad Hannah. Simon la trovò nella sua palestra, al vogatore. Scorgendo l'amico, Hannah si alzò. «Come mai ci hai messo tanto? Ti sei messo con quella biondina del Seville?» Nulla sfuggiva ad Hannah. «Non ho avuto tanta fortuna» rispose Simon «era fuori servizio, quando sono uscito.» «Allora sarà meglio che chiami Wanda: ha telefonato due volte da quando sono tornata a casa. Guai con il regista.» «Wanda dovrà aspettare.» Avvolse un pesante asciugamano intorno alle spalle di Hannah e l'accompagnò nello studiolo. Aveva bisogno di bere; si versò un doppio whisky e l'ingollò d'un fiato. L'attrice lo studiava attentamente. «C'è qualcosa che ti turba e che non mi hai detto.» «Sono arrivato tardi perché qualcuno ha messo una bomba sotto il cofano della Rolls» spiegò Simon con calma. Hannah trattenne il respiro. «No, non è successo niente. Ho sentito il rumore e l'ho buttata nell'aranceto di non so chi. Però avresti potuto esserci stata tu al volante della Rolls se non ti avessi mandato a casa con la limousine. Se hai ragione nel dire che ieri sera Monterey era terrorizzato, chiunque lo seguisse deve averlo visto avvicinarsi alla tua auto. Poi è scappato, e questo prova che aveva paura della polizia o di qualcuno che lui aveva visto e tu no. Ovviamente c'era qualcosa che Monterey voleva dirti o darti.» «E tu credi che il tipo che ha messo la bomba nella mia auto pensasse che Monte era riuscito nel suo intento?» Tutt'a un tratto la verità la colpì con la forza di un whisky a stomaco vuoto. «Dio mio» bisbigliò «qualcuno ha tentato di uccidermi!» Il peggio era passato. Adesso, Hannah avrebbe accettato il cane da guardia e le serrature ai cancelli, senza troppe proteste. «Monterey beveva molto?» s'informò Simon.
«No, ed è questo l'aspetto più strano della sua morte. La ragazza dell'albergo, stamattina, diceva che si era ubriacato ed era caduto oltre la ringhiera. Monte era molto orgoglioso della sua prestanza e non si faceva mai sostituire dalle controfigure per le parti pericolose. Seguiva una dieta ed era una specie di maniaco dei cibi sani. Beveva vino ai pasti perché aiuta la digestione, e qualche volta un paio di cocktail, ma non ha mai ecceduto nel bere.» «Ma questa è roba di molti anni fa» obiettò Simon. «Monterey invecchiava e il suo corpo aveva bisogno di una spintarella. Può darsi che avesse cominciato a bere negli ultimi tempi.» Hannah parve non udirlo. «Simon, non sarà una storia di gangster? La bomba nell'auto, voglio dire. Che cosa può avere avuto in comune Monte con dei gangster?» Era senz'altro una storia di gangster, ma partendo da Monterey non sarebbero approdati a nulla. Simon decise di tentare un'altra strada. «Come andò la faccenda del grande amore di Sam Goddard? Volevi raccontarmela.» Il nuovo argomento parve gradito ad Hannah. «Sam sposò Lola per amore, come ha detto Whitey, ma mentre Lola era più che soddisfatta della sua vita mondana, Sam nutriva altre ambizioni. Per un certo periodo sognò la carriera di governatore, ma a quei tempi eravamo più puritani, o forse più ipocriti. Dissero a Sam che la sua lunga relazione con la segretaria era troppo scoperta. Non che Lola avesse da ridire: era una brava ragazza cattolica e accettava l'uomo per quello che è, ma Sam se la prese. Non voleva il governatorato senza di lei, e credo che non ci sarebbe neppure riuscito. Subì una sconfitta clamorosa, ma non soltanto per via di Vera...» «Vera?» «Vera Raymond, l'altra donna.» «Che ne è stato di lei? È ancora viva?» Hannah rifletté: «A quanto ne so io, sì. Restò con Sam quando il suo mondo crollò: perse la moglie, il figlio, la carriera politica e il giornale: gli restò soltanto la terra. Hai ancora quel giornale con l'annuncio di morte di Sam? Nomina anche Vera? No, figuriamoci. Comunque se Vera è ancora viva sarà ai funerali, puoi scommetterci.» Squillò il telefono e rispose Simon. Era l'uomo del cane da guardia che chiedeva indicazioni per arrivare a The Mansion. Simon gliele diede, poi chiamò il direttore del Marina Beach Tribune. Il giornale aveva pubblicato un breve necrologio di Sam Goddard e aveva le informazioni che occorre-
vano. Il funerale si sarebbe svolto alle due pomeridiane dell'indomani, in un piccolo centro residenziale isolato, chiamato Enchanto-by-the-Sea, e si sarebbe mosso dall'impresa Willows. Enchanto-by-the-Sea avrebbe dovuto essere un angolo di paradiso secondo i progetti di qualcuno che voleva fare soldi in fretta per ritirarsi a Las Vegas, ma qualcosa era andata storta, ed Enchanto incantava solo se vista da molto lontano, perché era un mucchio di case, con l'intonaco che cadeva a pezzi, abitata da gente che non poteva permettersi il lusso di vivere nelle più ricche città costiere a nord e a sud. Vista da vicino, Enchanto aveva il fascino di una divetta da quattro soldi senza agente. Quando Simon fermò la sua XK-E nera davanti all'impresa funebre, vide soltanto tre auto parcheggiate vicine: una limousine nera di Willwo, un'enorme Cadillac blu e una Ford coupé vecchia di cinque anni con una tessera della stampa sul parabrezza. Tre auto non erano molte per dare l'addio a un personaggio come Sam Goddard, ma l'avviso sulla porta della cappella diceva che il funerale era in forma privata e Simon si preparava ad aspettare nel patio, quandp la porta della cappella si aprì e, con sua grande sorpresa, Whitey Sanders gli fece cenno di entrare. «Vi ho visto arrivare, Drake» bisbigliò. «Siete stato gentile a venire. La funzione comincia adesso.» La cappella era ben illuminata e Simon individuò, senza difficoltà, Vera Raymond. Era una donna snella sul finire della quarantina; indossava un abito blu marino a maglia, con un berrettino abbastanza piccolo da mostrare dei fili grigi nei capelli bruni cortissimi. Aveva lineamenti fini e ben cesellati e portava occhiali scuri che probabilmente servivano a nascondere gli occhi arrossati. Per alcuni momenti Simon fu tanto intento a osservare la donna che quasi non notò la terza persona presente. Era un uomo sulla sessantina dall'aria vagamente sofferente, magro e con le spalle curve. Soltanto le sue dita tradivano la tensione, stringevano nervosamente l'ala del cappello, a cupola bassa, come se fosse stata la barriera che lo divideva da un tuffo nell'eternità. La funzione funebre fu semplicissima e molto breve, ma nulla può rendere allegro un funerale, e Simon si sentì sollevato quando furono pronunciate le ultime parole della benedizione e la cassa con la salma di Sam fu avviata al crematorio. Simon uscì per primo e fu mentre cercava in tasca le sigarette che notò la presenza di una quarta automobile: una Cougar verde scuro con la targa sporca. Due uomini, con gli occhiali da sole, erano seduti all'interno. Diede
un'occhiata alla tabella fissata alla porta della cappella e vide che non erano in programma altri funerali, poi sentì parlare Vera Raymond e dimenticò i due sconosciuti. La voce della donna era morbida e un tantino roca. «Charley Leem!» la sentì dire. L'intonazione rivelava qualcosa di più della sorpresa. C'era un sottofondo di smarrimento, come se fosse stupita dalla decadenza fisica dell'uomo che le stava davanti. Vera Raymond si riprese però subito. «Siete stato gentile a venire. È passato tanto tempo.» Simon si rimise in tasca le sigarette e tese le orecchie. Vide Vera Raymond stringere le mani di Charley Leem, il quale lasciò cadere immediatamente il cappello e dovette chinarsi a raccoglierlo. «Ho letto la notizia in telescrivente quando sono entrato nella stanza dei cronisti» disse. «Mi sembrava impossibile che Sam se ne fosse andato cosi. Avevamo fatto un buon giornale ai bei tempi, eh, signorina Raymond?» «Davvero, Charley» rispose la donna in tono quasi troppo enfatico «e la maggior parte del merito era vostra. Che cosa avete fatto di bello in tutti questi anni?» «Oh, lavoro sempre nel nostro campo. Mi sono trovato un posticino in un quotidiano di San Diego. Non è come allora, ma non c'è malaccio. Oh, a proposito, stasera sono di servizio, devo andare.» Simon cominciava a sentirsi come un ospite indesiderato, quando Charley Leem si allontanò strascicando i piedi verso la Ford e Whitey Sanders lo presentò alla vedova non del tutto legale di Sam Goddard. La stretta di mano di Vera Raymond era esitante: probabilmente si stava chiedendo perché Simon si trovasse là. «L'avvocato Drake è un ottimo amico di Hannah Lee» disse Sanders. «Ieri era a La Verde.» Questo voleva dire che Whitey aveva parlato a Vera della morte di Monterey. «Capisco» annui Vera. «Hannah voleva venire» disse Simon «ma ieri ha già avuto troppe emozioni. Sentite, perché non ce ne andiamo da qualche parte a bere qualcosa, magari un caffè?» «Con piacere» accettò Vera Raymond. Whitey Sanders consultò l'orologio e scosse la testa. «Verrei anch'io, ma ho promesso a Buddy di essere là quando comincia a suonare stasera. La prima serata è stata tremenda, e poi la faccenda di Monterey l'ha scosso più di quanto lui stesso non pensi. Per accompagnare a casa Vera...» «Ci penso io... se la signorina Raymond si fida» l'interruppe Drake.
Whitey Sanders gli lanciò un'occhiata penetrante. «Oggi ho la mia auto» soggiunse Simon. Non ricevette alcun cenno di risposta. Qualcuno a La Verde aveva sistemato una bomba nella Rolls di Hannah e due persone gli avevano consigliato di guidare con prudenza: una di queste era Whitey Sanders. Però non aveva avuto alcuna reazione; così, Simon lasciò cadere la cosa. Sanders colse un segno di assenso di Vera e partì con la Cadillac. Restavano così i due uomini seduti in una Cougar. Erano ancora là quando Simon guidò la Jaguar fuori dall'area di parcheggio con la compagna di Sam Goddard seduta accanto a lui. Seguendo le indicazioni di Vera, alla quale aveva chiesto dove si trovava il più vicino locale che fosse tranquillo e rispettabile, Simon si trovò poco dopo davanti a una grossa cassetta delle lettere attaccata all'angolo di una staccionata dipinta di bianco con il cancello aperto sul vialetto. "Sam's Place" era scritto sulla cassetta e Vera gli fece cenno di svoltare dentro. Il vialetto conduceva a una casa di stile rustico in legno dipinto di bianco con una veranda a vetri immersa tra le rose e le buganvillee. Simon fermò e spense il motore. «Voi avete detto "magari anche un caffè"» gli ricordò Vera. Era una donna in gamba. Il sole era ancora alto e le rose in pieno rigoglio. Sarebbe stato molto più duro tornare in una casa vuota dopo il calar del sole. 7 Dalla veranda passarono in un grande soggiorno arredato con tanto cuoio e legno e un gigantesco camino. Vera si tolse il cappellino e passò direttamente in cucina. Qualche istante dopo Simon udì entrare in funzione il macina caffè e cominciò a invidiare il defunto Sam Goddard. La sua compagna era intelligente, raffinata e capace di fare un vero caffè. Aveva diviso con lui la buona e la cattiva sorte. Chissà perché Sam non l'aveva sposata. Vera tornò col caffè, posò il vassoio sul tavolino e invitò Simon a sedersi. L'aroma della bevanda era squisito come si aspettava. «Whitey Sanders vi ha detto della morte di Monterey?» le chiese Simon. «Si: ieri sera, quando ha telefonato. Mi ha chiesto per quand'era fissato il funerale di Sam e se poteva fare qualcosa; poi mi ha detto della morte di Monterey: un incidente o forse un suicidio.»
Vera Raymond prese la sua tazza di caffè e bevve a lungo: le sue mani non tremavano, ma doveva usarle entrambe. «E Sam?» domandò Simon. Vera abbassò lentamente la tazza. «Che cosa volete dire?» «Il funerale non è stato un tantino precipitoso? Hanno fatto l'autopsia?» «Io... credo di sì. Ero troppo sconvolta per pensare a queste cose. È rimasto ucciso quando la sua Porsche è volata fuori dall'autostrada nella nebbia.» «Non mi ero accorto che fosse tanto fitta lunedì pomeriggio, ma veramente io ero a San Francisco.» «A quel che ho sentito, qui era fittissima, e poi Sam era stanco. Aveva passato la notte in bianco. Non avrei dovuto lasciarlo andare, ma quando Sam annusava una storia interessante sembrava un giornalista alle prime armi.» «Vi aveva detto su che cosa stava lavorando?» «No, ma c'ero abituata. Sam era un uomo tanto in gamba, ma anche un tantino superstizioso. Credeva che portasse sfortuna lasciarsi sfuggire qualcosa prima che la storia saltasse fuori.» «Ma Sam non si occupava più di giornalismo.» Vera sorrise: era un sorriso pallido e malinconico, ma costituiva già un miglioramento rispetto alla tensione di prima. «Non ha mai potuto abbandonare completamente il giornalismo. Ha fatto il giornalista indipendente per gli ultimi otto o dieci anni. Ne ricavava poco, ma ne era orgoglioso e poi restava nel giro.» «Credevo che Sam possedesse parecchia terra.» «Un tempo. Poco per volta ha venduto tutto, tranne questa casa. Lola, la moglie di Sam, era un tipo costoso, e Sam sentiva di doverle garantire un alto tenore di vita. Era un tipo di uomo che sta diventando raro, avvocato: aveva il senso della responsabilità.» «È per questo che non ha mai divorziato da Lola?» «In parte, ma soprattutto per via della religione di lei e di Steve, suo figlio.» «Ma Steve è morto da un pezzo.» «Già, e anche Lola. So che cosa state pensando, avvocato Drake. Perché Sam non ha sposato Vera Raymond? Be', vi dirò io perché. Perché il Sam Goddard che s'innamorò di Vera Raymond era una persona importante, ma quando restò libero non aveva più il becco di un quattrino. Mi procurai una licenza di agente immobiliare e misi su un ufficio a Enchanto. Be', avete
visto Enchanto. Quando l'autostrada la tagliò fuori, cominciò ad andarmi male. Quello che voglio dirvi è che ce la vedemmo brutta per un certo periodo, e Sam non voleva sposarmi in quelle condizioni. Poi, Sam credette di aver trovato la strada giusta: avrebbe scritto la storia bomba o il racconto che gli avrebbe restituito il suo orgoglio, cosi avrebbe potuto chiedermi di sposarlo. Io lo sapevo, e lui sapeva che io lo sapevo: era inutile parlarne. Questo è l'unico motivo per cui lo lasciai andare dopo che era stato fuori tutta la notte precedente. Era cosi eccitato... cosi entusiasta. Dovevo lasciargli seguire la sua pista.» «Quale pista?» chiese Simon. «Vi ho già detto che non lo so. So solo che Sam ricevette una telefonata, la sera in cui mori. Era da San Diego. Lo sentii ripetere il nome di un albergo di laggiù: il Balboa. Poi scrisse qualche indicazione sul blocco degli appunti, ma non li ho letti. Lo sentii chiedere da dove chiamava quella persona, e disse: "Se sei nei guai, è peggio se scappi."» Simon decise di cambiare argomento. «Vi dispiacerebbe lasciarmi vedere lo studio di Sam? Non è curiosità morbosa: ricordo il giornale di Sam e Hannah mi ha parlato tanto di lui.» Erano le parole giuste e Vera parve contenta di avere qualcosa da fare. Lo condusse nella stanza sulla veranda: un locale zeppo di libri, carte e ritagli di articoli appesi alle pareti. Una grande scrivania era posta davanti alla finestra che guardava sul mare e un paio di schedari metallici erano appoggiati a una parete. Una porticina stretta si apriva su uno sgabuzzino senza finestre che era stato ricavato da un angolo del locale. «La camera oscura di Sam» spiegò Vera. «Qualche volta faceva dei reportage fotografici per conto suo.» Nella macchina per scrivere elettrica sulla scrivania non c'erano fogli, ma Sam doveva aver lavorato nella camera oscura. Simon prese un rotolo di pellicola impressionata e la alzò controluce. I fotogrammi erano troppo piccoli per cogliere i particolari ed erano stati scattati con pochissima luce. Di primo mattino, concluse Simon. Erano tutte fotografie dell'esterno di un edificio di parecchi piani, e in ogni fotogramma si vedeva una finestra con un balcone in ferro battuto. Una seconda pellicola impressionata confondeva ancor di più le idee. Era stata scattata a un'ora ancor più mattutina, quando il contrasto tra l'esterno e la finestra illuminata era più forte, e sembrava che ci fosse qualcuno seduto o penzoloni dalla ringhiera. «Sapete come si fa un ingrandimento?» chiese Simon a Vera. «Non credo. Io usavo la macchina fotografica soltanto per scattare le fo-
to delle proprietà che trattavamo, e ci pensava sempre Sam a svilupparle. Che cosa vedete?» «È ciò che non vedo che mi lascia perplesso. Guardate la prima pellicola: che cosa vi sembra?» Vera Raymond inforcò gli occhiali con la montatura nera che aveva tirato fuori di tasca e alzò la pellicola controluce. «È un grosso edificio. Dev'essere una casa d'abitazione o un ospedale.» «Del posto?» «Santo cielo, no. Non abbiamo niente di queste dimensioni a Enchanto. Guardate: in questo fotogramma si vede un giardino o una parte di un giardino.» «Non potrebbe essere un albergo?» Vera si mostrava interessata, ed era un bene. Se Simon fosse riuscito a interessarla alla storia di Sam, avere qualcosa a cui pensare l'avrebbe aiutata a non ripiegarsi sui ricordi. «Diamo un'occhiata nella camera oscura» suggerì Simon. «Vorrei un ingrandimento di quest'altra pellicola.» Entrarono nella camera oscura e accesero la luce. Era evidente che Sam vi aveva lavorato prima di partire per il suo ultimo viaggio in auto. Il liquido per lo sviluppo era ancora nelle bacinelle e alcuni spezzoni di pellicola e numerosi ingrandimenti erano appesi a un filo ad asciugare. Sam aveva avuto la stessa curiosità di Simon. Le foto scattate di notte erano state ingrandite e in ciascuna di esse si vedeva più chiaramente l'oggetto scuro sulla ringhiera. «Mio Dio!» esclamò Vera Raymond. «Ma è un uomo... e sembra morto. Avvocato Drake...» «È entrato qualcuno nella camera oscura dopo la morte di Sam?» chiese Simon. «Sono sicura di no.» «Neppure la polizia o Whitey Sanders?» «No. La polizia mi ha avvertito per telefono e io sono andata all'obitorio dove l'ambulanza aveva portato il corpo di Sam. Whitey non ha neppure messo piede qui. Che cosa credete che significhino queste foto?» «Non so... La storia di Sam, immagino.» «Un morto?» «Un morto.» «Ma chi è, e perché è morto?» Simon non rispose. In fondo al bancone di sviluppo trovò una pila di fo-
to in carta lucida che Sam non aveva mai scattato. Erano scene di vecchi film nelle quali si vedeva un baldo giovane dall'aria romantica che saltava o scalava un muro. Riprese a distanza e primi piani di Monte Monterey al culmine della sua parabola. «Che cosa sono quelle foto?» domandò Vera. Era troppo tardi per nasconderle; Simon lasciò che le guardasse da sé. «Monte? Oh, certo, Sam aveva un'intera collezione di pose di Monte e qualcuna di Lola. Sapete, avvocato Drake, è strano... Sam pensava a Monte e ora Monte è morto...» Si tolse gli occhiali e se li rimise in tasca, poi prese a tormentarsi i bottoni della giacca. «Forse non dovrei parlarne, ma in questi ultimi anni Sam s'interessava di spiritismo...» «No» l'interruppe Simon bruscamente «si tratta di una semplice coincidenza. Non lasciate correre la vostra fantasia. Si tratta soltanto della storia che Sam aveva per le mani, e forse voi e io riusciremo a terminarla. Intanto permettetemi di prendere queste pellicole... potrebbero essermi utili.» Staccò gli ingrandimenti dal filo al quale erano appesi, poi riprese: «Mi spiace fare la figura dell'ospite scorretto, ma non pensavo al caffè, quando ho parlato di bere qualcosa. Perché non ce ne andiamo a mangiare una bistecca da qualche parte?» Era un goffo tentativo di darle un po' di conforto, e Simon senti che non avrebbe funzionato. Lasciarono la camera oscura e attraversarono lo studio di Sam, dove tutto era rimasto come se lui fosse uscito per andare a comprare le sigarette. Giunti nel soggiorno, Vera Raymond si fermò. Era quasi il tramonto e l'aria si stava rinfrescando. Vera accese il fuoco già pronto nel caminetto e subito Simon comprese che non sarebbe uscita di casa. «Potremmo farci mandare qualcosa da mangiare» tentò ancora. La donna scrollò la testa. «Ho tanta roba in casa e nel bar c'è il bourbon, se lo desiderate. Siete stato davvero molto gentile a venire, avvocato Drake. Portate i miei saluti ad Hannah, ringraziatela per i fiori e grazie anche per i vostri.» Era il commiato più gentile che Simon avesse mai ricevuto, e non vi si oppose. Quanto restava del giorno del funerale di Sam apparteneva alla donna che l'aveva amato. Lui era di troppo. 8 Vera Raymond aveva ragione a proposito della nebbia. Saliva dal mare
nel tardo pomeriggio e si stendeva come un pesante baldacchino sulla piccola baia Enchanto-by-the-Sea. Portava con sé un crepuscolo precoce e Simon aveva già acceso i fari quando raggiunse un locale lungo la strada, il Rocky Point, a circa trenta chilometri a sud di Enchanto. Simon scelse un tavolo accanto alla finestra che si apriva sull'oceano e ordinò uno scotch e una bistecca poco cotta. Mentre il cuoco metteva la carne alla griglia Simon si portò lo scotch nella cabina telefonica da dove chiamò Hannah. «Simon, meno male che hai chiamato. Quella specie di belva che hai preso per proteggere la proprietà non vuol lasciare uscire Chester nella veranda posteriore.» «Fa benissimo, perché Chester deve stare con te mentre io sono fuori.» Chester era un negro, ex-pugile universitario che Hannah aveva trovato all'ufficio di collocamento di Marina Beach un giorno che vi era andata a cercare un cuoco. Chester non sapeva cucinare altro che gli spaghetti, esclusi dalla dieta di Hannah, ma poteva farle comodo in palestra, e Hannah era ancora tanto femminile, e quindi tanto vanitosa, da preferire una bella figura a una buona cucina. «Quando torni?» domandò Hannah. «Stasera no.» «Perché no?» Non poteva spiegarglielo più di quanto non potesse parlare dell'uomo con il cappello a tesa larga che aveva visto in cima alla tromba delle scale da cui Monterey era precipitato. «Ho incontrato un amico di Sam Goddard al suo funerale» riprese Simon «un certo Leem.» «Charley Leem!» esclamò Hannah. «È ancora vivo, quel vecchio ricattatore?» «Lo conosci anche tu?» «Ma certo. Teneva una rubrica di pettegolezzi su un giornale di Sam nei giorni in cui la gente poteva leggersi la sua razione quotidiana di porcherie.» «Perché l'hai chiamato ricattatore?» «Perché lo era. Capisci, chiunque contasse o credesse di contare qualcosa a Hollywood, voleva vedere il suo nome in quella colonna. Offrivano ogni ben di Dio in cambio di poche righe, e Charley si beccava la sua parte. Poi uno sciopero dei giornali sospese l'affare per qualche tempo e Charley si mise lavorare per la pubblicità di una casa cinematografica. Che fa adesso?»
«Ha detto di lavorare in un giornale di San Diego, ma non sembrava che se la passasse troppo bene... Hannah, Whitey Sanders era al funerale di Sam.» «L'immaginavo: Whitey ha un fortissimo complesso paterno. Gli è rimasto da quando faceva lo agente. Come sta Vera Raymond?» «Si sente sola» rispose Simon, poi salutò Hannah. Quando Simon pensava a Vera Raymond gli passava l'appetito, così smise di pensare a lei, divorò la bistecca, due tazze di caffè e lasciò il ristorante che si sentiva decisamente meglio. Cominciava a piovigginare; tolse l'impermeabile dal portabagagli prima di risalire in macchina e proseguire verso sud. La Strada della morte. Vera aveva ragione. Quando la nebbia gravava sulla grande arteria, la morte era in agguato a ogni curva. Settantadue ore prima, in una notte cosi, la Porsche di Sam Goddard aveva percorso la stessa strada per una faccenda che gli aveva fruttato la pellicola che ora si trovava nella tasca di Simon. Il pomeriggio successivo la piccola macchina sportiva aveva ripercorso lo stesso tragitto verso nord e aveva concluso il suo viaggio in un burrone, ridotta a un ammasso di ferraglia. Probabilmente non erano trascorse più di diciotto ore tra i due viaggi e Simon si dirigeva verso San Diego proprio per scoprire che cos'era accaduto in quell'intervallo di tempo. Sapeva qual era il punto di partenza della vicenda: l'Hotel Balboa. La città emerse improvvisamente dalla pioggia come un palcoscenico vivacemente illuminato attraverso un velo di fumò. Appena gli fu possibile, Simon lasciò l'autostrada e cercò un telefono pubblico. Chiamò il Balboa e uno zelante impiegato lo informò sulle possibilità di sistemazione. «Avete un cortile?» chiese Simon. «Vorrei una stanza interna, che guardi sul cortile.» L'impiegato l'assicurò che il Balboa aveva infatti un cortile e Simon prenotò una stanza. Venti minuti dopo la Jaguar arrivava davanti all'albergo. Era un edificio a sette piani evidentemente rimodernato per restare all'altezza della situazione, ma conservava ancora i segni di un'antica eleganza. Il corpo dell'albergo era disposto su tre lati del cortile e dal primo piano in su ogni stanza aveva un'ampia finestra con una balconata in ferro battuto. La supposizione di Drake era esatta. Le foto di Sam Goddard potevano essere state scattate in quel cortile. Era mercoledì sera e Simon vide solo due ottuagenari incartapecoriti, af-
fondati nelle soffici poltrone del salotto. Pagò in anticipo e fece una prima manovra d'assaggio. «Quest'albergo mi è stato raccomandato da un amico. Credo che abbia preso una stanza qui domenica scorsa. Forse c'è ancora, il signor Sam Goddard?» Fortuna che non più di una dozzina di persone che conoscevano Sam Goddard si erano prese la briga di leggere il necrologio e fortuna ancor maggiore che l'impiegato non fosse tra queste: non mostrò alcuna reazione e consultò il registro. «Goddard?» ripeté. «No, non ricordo questo nome e non c'è nemmeno sul registro.» Simon gli scoccò un sorriso da public relation. «Devo essermi confuso con le date. A proposito della stanza: ne avete una abbastanza alta da salvarmi dai rumori del traffico?» «Il sesto piano vi va bene, signor Drake?» «Perfetto. Dov'è la biblioteca pubblica più vicina?» «Provate a quella centrale: tre isolati a sinistra uscendo di qui.» Simon ringraziò l'impiegato e prese la chiave. Diede un'occhiata all'orologio: erano solo le otto e un quarto. Sam Goddard non aveva alloggiato al Balboa, però aveva scattato delle fotografie nel cortile di quell'albergo, se Simon non aveva preso un granchio nell'identificarlo. Avrebbe impiegato pochi minuti per raggiungere la biblioteca pubblica, e la raccolta dei giornali di San Diego poteva fornirgli un indizio su ciò che stava cercando. La biblioteca era grande e ben organizzata. Dopo aver detto ciò che desiderava, Simon fu indirizzato alla stanza nella quale i numeri più recenti dei giornali erano ben allineati negli scaffali. Il campanello che annunciava la chiusura suonò prima che Drake potesse leggere ciò che cercava in una pagina interna del giornale, su una sola colonna: "Misteriosa uccisione di uno studente in un albergo. Le autorità locali sono impegnate nelle indagini su uno strano e brutale assassinio avvenuto al Balboa Hotel. La vittima, N.B. Kwan, di 26 anni, studente straniero dell'Università di La Jolla, in California, è stato trovato nelle prime ore di questa mattina sul balcone della sua stanza di quel centrale albergo. Kwan era stato selvaggiamente percosso e quindi impalato, vivo, si suppone, su uno spuntone di ferro del parapetto. Le tracce di lotta nella stanza, senza che sia stato sottratto nulla, lasciano supporre che si tratti di una vendetta.
Il signor Kwan, che aveva preso alloggio all'albergo soltanto il giorno prima, non aveva ricevuto visite, secondo l'impiegato James Frame. Questi ha riferito all'agente L. Prinz della polizia di San Diego che Kwan non voleva essere disturbato durante la preparazione di una tesi. La salma è stata trasportata all'obitorio, in attesa di svolgere indagini." Poiché il campanello non era riuscito a stanare i clienti abituali, una cortese bibliotecaria ordinò che si spegnessero gradualmente le luci, cosa di cui Simon approfittò per strappare senza rimorsi l'articoletto dalla pagina, prima di riporre il giornale nello scaffale. "Se sei nei guai sarà peggio se scappi..." Quel frammento della conversazione telefonica di Sam Goddard udito e riferito da Vera Raymond continuava a ronzargli in testa mentre usciva. Sam Goddard, concluse la mente quadrata di Simon Drake, aveva corso il rischio di un'imputazione per complicità in un reato per correr dietro a qualcosa che doveva esser molto più grosso di quanto il trafiletto su Kwan lasciasse supporre. Erano le nove e cinque quando Simon Drake raggiunse il drugstore a due isolati dal Balboa. Comprò uno spazzolino da denti, dentifricio, rasoio e un giornale della sera, poi si trattenne a consultare la guida telefonica. Non vi figurava nessun Charles Leem, e neppure un C. Leem. Poteva darsi che l'ex-dipendente di Sam Goddard avesse un numero che non compariva sull'elenco, ma non che non avesse il telefono. Leem era il tramite logico per avere altre informazioni sul delitto all'albergo, ma domani è sempre un altro giorno, e Simon tornò in albergo pregustando una rapida doccia e un buon sonno. Passando davanti al bar, senti suonare un pianista che doveva nutrire una profonda ammirazione per Jimmy Rowles e decise di fare un salto dentro. Quando i suoi occhi si furono abituati alla semioscurità del locale, Simon comprese perché aveva trovato tanta quiete al suo arrivo. Era stagione morta. Un gruppetto di quattro persone erano sedute vicino al piano e due clienti occupavano una nicchia. Simon sedette su uno sgabello al banco, ordinò uno scotch con ghiaccio e tentò di parlare di rugby con un barista dalle spalle larghe che si rivelò un attore shakespeariano che faceva quel lavoro in attesa dell'inverno. Non capiva niente di rugby, ma fiutò subito il poliziotto quando Simon accennò al defunto Kwan. S'irrigidì di colpo.
«Spiacente, signore, non ho mai visto quella persona.» «Non è mai venuto qui per un bicchierino?» «Era venuto per scrivere una tesi. A quanto mi hanno detto, continuavano a mandargli in camera bricchi di tè dalla cucina. Fate il bis, signore?» Simon rispose affermativamente e stava bevendo già il secondo scotch quando vide due ombre lasciare la nicchia. La più alta, sicuramente una figura maschile, scomparve dietro la porta che portava all'atrio; la seconda, che doveva essere una donna attraente, avvolta in qualcosa che la scopriva più di quanto la vestisse, si avvicinò al bar e si appollaiò sullo sgabello vicino a quello di Simon. «Che cosa state bevendo?» gli domandò senza preamboli. «Old Rarity» rispose Simon. «Anche per me, Angus» ordinò la ragazza al barista. «Con piacere, e poi non ho mai conosciuto un barista che si chiamasse Angus.» «Io mi chiamo Eve» disse la ragazza. «Me l'immaginavo.» «Di solito non faccio queste cose» gli confidò la ragazza con un breve sorriso «ma mi viene la pelle d'oca al pensiero di salire in camera da sola.» Angus stava arrivando con il bicchiere della ragazza e ne intese le ultime parole. «Cambiate stanza.» «L'ho cambiata. Mi hanno messa al tre-sei-sette, esattamente tre piani sotto dov'è successo quel fatto. E la pelle d'oca mi viene lo stesso. Continuo a pensare che se domenica sera non avessi preso quel sonnifero, avrei potuto sentire i rumori della lotta e chiamare il portiere. Avrei potuto salvare la vita di quel povero limoncino.» «Limoncino?» ripeté Simon. Eve buttò giù il suo scotch come una spugna secca. «Si chiamava Kwan» spiegò. «Avevo la stanza accanto alla sua e non sapevo che fosse successo qualcosa finché non ho visto pullulare di poliziotti il balcone del limoncino. Intanto quel poveretto è morto e io me ne sento responsabile.» «È stato il fato. Kismet» disse Simon. La ragazza gli rivolse uno sguardo ironico. «Questa è una sciocchezza» protestò. «Che cosa succederebbe se tutti ci voltassimo dall'altra parte e ci lavassimo le mani come Pompeo Pilato?» «Immagino vi riferiate a Ponzio Pilato» mormorò l'avvocato.
«È quello che ho detto.» Angus versò un altro scotch a Simon ed entrambi guardarono la ragazza che tirava fuori dalla borsetta un paio di biglietti per pagare. Simon aveva perso la nozione del tempo durante quella conversazione elevata, ma ora un gruppetto di giovanotti energici dall'espressione aggressiva si stava avvicinando agli strumenti. Per sfuggire alla minaccia, Drake finì di bere e scivolò giù dallo sgabello. «Dove andate?» chiese Eve. «Nella mia stanza a coricarmi.» «Che stanza avete e a quale piano?» Simon pescò la chiave nella tasca della giacca e la guardò nella mezza luce del bar. «Sei-uno-sette» rispose. «Ma allora siete vicinissimo al sei-sei-sette, la stanza della morte.» «Non sono superstizioso, e ormai sono cresciutello.» «Me ne sono accorta» confermò Eve con voce rauca. «Perché non fate un salto da me a bere l'ultimo bicchierino? Il fatto è che mi viene la pelle d'oca...» «Provate con una bottiglia di acqua calda» suggerì l'avvocato. Lasciò la ragazza a rimpiangere lo scotch che gli aveva offerto e si avviò agli ascensori. La coppia decrepita se n'era andata e l'impiegato era occupato: non alzò nemmeno gli occhi quando Simon gli passò davanti. Sarebbe stato un giochetto per chiunque raggiungere la camera di Kwan, se ne conosceva il numero. Simon entrò in ascensore e sali al sesto piano; aprì la porta e attraversò la stanza senza accendere la luce per uscire sul balcone. Passò le mani sul bordo della ringhiera: c'erano due supporti aguzzi a circa due metri e mezzo l'uno dall'altro, che dovevano servire per la tenda durante i mesi estivi: ciascuno di essi terminava con una punta di lancia ornamentale. Al tatto la punta non sembrava aguzza, ma un corpo spinto e lanciato contro un ostacolo del genere vi sarebbe rimasto sicuramente infilzato come una patata su una forchetta. Simon fece una smorfia e rientrò. Chiuse la tenda e accese la luce. Aveva un gran sonno e si spogliò in fretta pensando alla pelle d'oca di Eve e alla possibilità di fare qualcosa al riguardo se avesse dovuto trattenersi ancora un giorno a San Diego per la sua indagine. Dopo tutto non era ancora sposato con Wanda, non ancora... Simon fu destato dal suono petulante degli strumenti del complesso jazz che riusciva a giungere fin lassù. Si alzò per assicurarsi che la finestra fosse ben chiusa e quando si voltò per tornare a letto la tenda restò scostata quel tanto che bastava per permettere a un raggio di luce di arrivare fino
alla porta che si apriva sul corridoio. Un suono più stridente si sovrappose all'imperversare dell'orchestra: una chiave stava girando nella serratura; la maniglia cominciò ad abbassarsi lentamente. Simon reagì con prontezza: infilò un altro cuscino sotto le coperte che tirò poi su. Ormai la porta cominciava a socchiudersi. Si nascose dietro di essa e attese. Nel riquadro di luce comparve un'ombra sottile ed esitante. Simon si rilassò: non era un assassino armato, ma la bella Eve avvolta in una vaporosa mini-camicia. L'avvocato stava per aprir bocca quando la ragazza fece una cosa strana: non si avvicinò al letto, ma si limitò a gettargli un'occhiata prima di dirigersi verso i pantaloni e la giacca appesi a una sedia. Prima ispezionò le tasche dei pantaloni, li mise da parte con gesto sdegnoso, poi prese la giacca nella cui tasca interna trovò un portafoglio di spessore tale da soddisfare il suo tocco sensibile. Le sue dita stavano carezzando amorosamente un mazzetto di banconote da dieci dollari quando Simon le si avvicinò alle spalle e le somministrò uno sculaccione nella zona meridionale della mini-camicia di chiffon. Prima che Eve potesse cacciare uno strillo, l'avvocato le chiuse la bocca con l'altra mano. «Tirchia» le bisbigliò all'orecchio. «Prendete i vostri due dollari e andatevene prima che chiami il piedipiatti dell'albergo. La ragazza emise un suono soffocato e gli morsicò una mano costringendolo a lasciarla andare. Le allungò un altro sculaccione, ma ormai era fuori tiro. Eve lo guardava con un'aria di sbigottito orrore.» «Siete un imbroglione! Dovevate essere a letto.» «Quello è il mio gemello. Riprendete i vostri due dollari.» Eve sfilò in fretta due biglietti da un dollaro dal portafoglio; poi glielo restituì protestando: «Ma non sono venuta per questo!» «Lo credo bene! E adesso, a nanna e fuori dai piedi!» Questa volta, lo sculaccione parti con la rincorsa. Eve lanciò uno strillo e balzò nel corridoio. Simon chiuse in fretta la porta e mise il catenaccio. Ora anche il complesso jazz taceva: dovevano essere le due passate. S'infilò di nuovo nel letto chiedendosi da dove gli venisse quell'improvviso attacco di pelle d'oca... 9 Il mattino successivo, Simon fece colazione sul terrazzino con il giornale della sera prima davanti. Non si accennava più a N.B. Kwan. Un assassinio inspiegabile senza una componente sessuale non poteva sperare di restare a
lungo in prima pagina. Si versò un'altra tazza di caffè e mise da parte il giornale. Controllando i numeri delle porte sul corridoio, Simon era riuscito a identificare con esattezza il balcone al sesto piano dov'era stato trovato il cadavere. Ora, alla luce del giorno, notò un particolare che doveva aver colpito Sam Goddard quando aveva scattato quelle foto dal cortile. Una tenda, sostenuta da una grata in ferro battuto, sormontava l'entrata dal cortile dell'albergo. Una persona agile e allenata avrebbe potuto facilmente scalare la grata e trovare parecchi appigli sui tubi dell'acqua che salivano fino al tetto dell'edificio. Dunque era possibile raggiungere e lasciare la stanza 667 senza passare dal vestibolo e neppure dai corridoi. Un'azione del genere doveva aver spinto Sam Goddard a tirar fuori le vecchie foto di scena di Monte Monterey, in azione, e una volta giunto a quella conclusione Simon era quasi certo dell'identità del misterioso personaggio che aveva telefonato a Sam la sera della domenica. L'uomo che Sam conosceva e del quale aveva riconosciuto la voce, l'uomo al quale aveva consigliato di non fuggire, doveva essere Monte Monterey. Adesso, Monte era morto, Sam pure e tutto ciò che Simon doveva fare per capire perché Hannah aveva letto il terrore sul viso di Monterey e perché qualcuno aveva sentito la necessità di ficcare una bomba nella Rolls, era trovare la pista della storia scottante che Sam seguiva quando la sua Porsche era volata fuori strada. L'unico indizio che Simon aveva in mano era la pellicola di Sam. Entrò in camera dove i pantaloni e la giacca erano ancora appoggiati alla sedia e tirò fuori il portafoglio dalla tasca interna. Lo frugò in ogni angolo, ma alla fine dovette convincersi che il rullino era sparito, evidentemente per mano di Eve, quando aveva preso i due dollari. Simon sollevò il ricevitore e chiese al centralino di esser messo in comunicazione con la camera 367. «Mi rincresce, signore, la signorina del 367 è partita.» «Quando?» «Stanotte. Ha fatto chiamare un tassi alle due e mezzo: doveva prendere un aereo.» Simon posò il ricevitore. Così, Eve se l'era squagliata in fretta e furia, come se avesse portato a termine una missione, quale a esempio accertare perché Simon Drake aveva preso alloggio al Balboa Hotel. L'avvocato si senti improvvisamente assalito da uno strano disagio. Chiamò l'ufficio personale del quotidiano che stava leggendo e chiese di Charles Leem; gli risposero che al giornale non c'era nessuno con quel nome. Si rivolse poi all'ufficio informazioni dal quale ottenne l'elenco di tutto ciò che veniva stampato in città e nelle immediate vicinanze. Mezz'o-
ra dopo sapeva che Charles Leem aveva mentito a Vera Raymond: non lavorava per nessun giornale. Il contrassegno della stampa sulla sua vecchia auto e la storia che aveva raccontato erano probabilmente un modo come un altro per nascondere la misera fine di una carriera, e questo toglieva di mano a Simon un'altra carta. Simon decise di fare una visitina all'obitorio, dove apprese che la salma di Kwan era stata richiesta da un congiunto, un certo James Wong, di El Centro, che l'aveva fatta affidare a una piccola impresa di pompe funebri di quella località, Griffin e figli. Il signor Griffin era un ometto scialbo e cortese che ricordava bene Kwan, e probabilmente non se lo sarebbe mai scordato. «È stato un lavoraccio» spiegò. «Kwan era stato picchiato selvaggiamente, specialmente alla testa e alle spalle.» «Con un corpo contundente?» «Ba', direi di no. Pugni, manrovesci, colpi di karaté piuttosto. E poi aveva quella ferita alla schiena.» «Dove era stato infilzato sul ferro appuntito del balcone.» «Esatto.» «Ma quello non si vedeva, nella bara.» «Non si è neppure parlato di bare e di cerimonie funebri. Il corpo è stato cremato dopo una preghiera in cappella. Il dottor Wong disse che Kwan era ateo e aborriva le barbare cerimonie funebri. Barbare... ba'!» «Era presente soltanto il dottor Wong?» «No, c'era un altro signore con lui, un occidentale. Mi pare che il dottor Wong lo chiamasse Berlin. Dottor Berlin.» «Medico?» «Non saprei. Che Wong invece fosse medico lo so perché mi fece vedere i suoi documenti quando mi diede un assegno per le spese. Io ero un tantino esitante perché era su una banca fuori città, ed è stato allora che il dottor Berlin si spazienti e pagò tutto in contanti. Wong non voleva, ma Berlin pagò lo stesso; devo dire che aveva l'aria di uno che non trova niente di strano nel portarsi a spasso grosse somme di denaro. Medico della gente bene, direi. Bell'uomo, e poi avreste dovuto vedere i suoi vestiti, il taglio, il genere. Era un tipo alto, magro, biondissimo. Indossava un abito nero di quelli che costano un occhio, scarpe e cravatta nera e all'anulare aveva uno zaffiro grosso come una nocciola; in testa portava uno di quei cappelli spagnoli neri, piatti, a tesa larga e rigida.»
Simon ringraziò il signor Griffin e se ne andò per riflettere in pace. Era impossibile sbagliare: la descrizione del dottor Berlin collimava con quella della figura che aveva visto ferma in penombra in cima alle scale dell'albergo, nel punto da cui era precipitato Monterey. Tre morti violente erano collegate fra loro da un sia pur tenue legame. A Enchanto-by-the-Sea si fermò davanti a un fiorista: era il giorno successivo ai funerali di Sam Goddard e Vera Raymond doveva cominciare a soffrire realmente la solitudine. Entrando nel negozio, notò una Cougar verde scura ferma a fianco dell'edificio, con due uomini sul sedile anteriore. Il guidatore aveva un maglione da ciclista e la barba castana e il suo compagno era nascosto dietro una scheda di pronostici delle corse ippiche. Entrambi somigliavano straordinariamente ai due tizi con la stessa automobile che si era trattenuta nel parcheggio davanti alla cappella durante il funerale di Sam Goddard. Simon li studiò mentre si accendeva una sigaretta: l'uomo barbuto sbadigliò e l'altro continuò a leggere. Parevano del tutto indifferenti alla sua presenza; Simon si decise allora a entrare dal fiorista e a ordinare due dozzine di rose rosse da consegnare a Vera Raymond con un bigliettino: "Se volete parlare con un amico chiamate il 655-8055 e chiedete di Simon". Era il numero di The Mansion che non figurava sull'elenco. Forse il biglietto non avrebbe cambiato granché dell'esistenza fattasi improvvisamente vuota di Vera, ma poteva darsi che il solo fatto di sentirsi ricordata l'avrebbe in qualche modo aiutata. Quando risalì in macchina non c'era più la Cougar nei paraggi e il resto del viaggio di ritorno a Marina Beach si svolse senza incidenti, a parte la curiosità irrefrenabile sul punto in cui la Porsche di Sam Goddard aveva deciso di staccarsi dalla terraferma. Quando infine Simon raggiunse The Mansion, alta su Marina Beach, trovò che Chester aveva stabilito con il cane da guardia rapporti di reciproca tolleranza che gli permise di aprire il cancello e di richiuderlo alle spalle dell'avvocato, col quale proseguì in macchina fino alla villa. «Dov'è Hannah?» «Sta facendo il bagno.» La stanza da bagno di Hannah era una sala in stile hollíwoodiano-assirobabilonese, tappezzata in velluto rosa e oro, nella profumata nebbia della quale Simon si immerse con precauzione. «Hannah, sei lì?» «Dammi l'accappatoio, è vicino a te, sulla sedia» gli rispose lei. Poco dopo, la donna emergeva dalla fragrante nuvola avvolta nell'accap-
patoio di spugna dorata e mentre si strofinava i capelli per asciugarli, alzò gli occhi su Simon con aria di attesa. «Com'è andata? Voglio dire il funerale, naturalmente.» «Semplice» rispose Simon. «Semplice e dignitoso. Avevi ragione: Vera Raymond era il vero amore di Sam Goddard. È una donna molto in gamba.» «Che altro è successo? Che cosa hai fatto a San Diego?» «Mi sono fatto derubare.» Hannah volle sapere tutto dall'inizio, e questo significò parlare della camera oscura di Sam Goddard e del fatto che aveva scoperto il cadavere di Kwan ancora prima che la polizia di San Diego ne fosse messa al corrente. «E chi è questo Kwan?» chiese Hannah. «È un enigma» ammise Simon. «È tutto un enigma. Vedi, ci sono stati tre funerali in una settimana: tre morti violente avvenute in un probabile arco di tempo di trenta ore. La prima, quella di Kwan, è sicuramente omicidio. Quelle di Goddard e di Monterey sono state ufficialmente definite accidentali, a quanto ne so io. Il problema è che le tre morti sono collegate tra loro. Adesso ti faccio un po' il quadro della situazione: Kwan viene percosso a morte all'Hotel Balboa e infilzato su uno spuntone di ferro per buona misura. Sam Goddard riceve una telefonata nella sua abitazione, a seguito della quale si reca in auto a San Diego. Torna alle ore piccole, con alcune fotografie del morto e lascia gli ingrandimenti appesi nella camera oscura, assieme ad alcune vecchie foto di scena di Monterey che ha tirato fuori dal proprio archivio. Nel pomeriggio del giorno successivo alla morte di Kwan, Goddard prende l'autostrada del Pacifico in direzione nord, l'auto esce di strada e lui muore. Entro le dodici ore successive muore anche Monterey. Uno, due e tre. Domanda: chi ha telefonato a Sam Goddard?» Hannah si stava spazzolando energicamente i riccioli umidi. «Qualcuno che sapeva che Kwan era morto su quel balcone al Balboa.» «E chi conosceva Sam Goddard tanto bene da fornirgli l'informazione? Sam disse a chi lo chiamava: "se ti trovi nei guai sarà peggio se scappi". Lo ha riferito Vera Raymond.» «Tu pensi che sia stato Monterey a chiamare Sam?» «Sì.» «Ed è stato Monterey a uccidere Kwan?» «Può darsi.» «E poi si è ucciso. Già, sarebbe proprio la parte adatta a Monte. Il gesto drammatico... il tuffo nel vuoto.» Hannah posò la spazzola e si alzò. Era
l'unica donna al mondo che avesse un aspetto regale anche avvolta nell'accappatoio. «Hannah» riprese Simon «non ti ho parlato della persona che mi ha alleggerito le tasche. Era una ragazza di nome Eve che ho conosciuto al Balboa. Mi ha offerto da bere e mi ha invitato nella sua stanza.» «Ci sei andato?» «No, sono salito nella mia. Lei si è procurata una chiave universale. ed è entrata quando dormivo. L'ho beccata che stava frugando nel mio portafoglio. Le ho restituito quanto aveva speso per me, ma a quanto pare si è presa la pellicola sviluppata di Sam Goddard.» «E poi se l'è squagliata» indovinò Hannah. «Già.» «Be'» sospirò Hannah «non c'è altro da fare che aspettare. Vedrai che si farà viva per sapere quanto vale per te quel che ti ha rubato. Adesso esci, per favore: voglio vestirmi per la cena, anche se tu non ne hai voglia.» Simon andò a telefonare a Jack Keith, che aveva un'agenzia privata di investigazioni a New York. Voleva qualche informazione su N.B. Kwan e Keith poteva darsi da fare per procurarle senza rivelare il nome del suo cliente, il che era un bel vantaggio per chi aveva trattenuto prove importanti, quel tanto che bastava per farle cadere in mano ad altri. A cena, Simon raccontò ad Hannah della sua giornata a San Diego, senza destare grande sensazione ma, quando riferì del dottor Berlin, Hannah si lasciò sfuggire un'esclamazione: «Max Berlin! Gli abiti, il cappello, i capelli biondi. Aspetta che ti faccio vedere l'ultimo numero di Chic. Chester!» Prese il bastone e lo batté energicamente a terra. Quando Chester comparve, Hannah lo mandò nella sua stanza a prendere il lussuoso periodico in carta lucida che era uno dei suoi svaghi minori. L'ultimo numero portava un servizio di tre pagine sul nuovo beniamino delle case di cura e di bellezza: Max Berlin, dottore in chirurgia plastica. «Non è affascinante?» tubò Hannah. «Guarda questi zigomi pronunciati e questi occhi incassati. E quell'onda nei capelli!» «Mi sa che se li schiarisca» brontolò Simon. «E allora? È elegante. Il nostro tempo esige eleganza: nasconde tante cose. Il padre di Max Berlin era un notissimo chirurgo tedesco prima della seconda guerra mondiale; Max andò in Brasile con suo padre dopo la guerra, poi il padre morì e lui cominciò a lavorare in un campo molto più redditizio: chirurgia plastica, istituti di bellezza. Il più grande è nei pressi di Buenos Aires.»
«O Amoroso» rifletté Simon ad alta voce. «Come hai detto?» «Era inciso sul portasigarette di Monterey: l'ho visto alla stazione di polizia di La Verde. È portoghese, e in Brasile si parla in portoghese... Aspetta, fammi vedere quella foto.» Hannah aveva voltato pagina. Ciò che interessava tanto Simon era una fotografia in bianco e nero: Berlin in un abito nero aderente, ritratto sullo sfondo di un muro a calce di un biancore drammatico. Portava un cappello ad ala dura e stringeva un cigarillo nella mano sinistra, mettendo così in mostra l'enorme zaffiro all'anulare. Nella memoria di Simon si accese un lampo: quello era sicuramente l'uomo che aveva visto a La Verde. Hannah, che si estasiava tanto su Max Berlin, non sapeva nulla della figura in cima alle scale al Seville Inn. Non si rendeva conto del perché la sua eccitante scoperta lasciasse Simon così cupo. «Naturalmente, Berlin non è il suo vero nome» riprese. «Leggi l'articolo: dicono che suo padre era un aristocratico.» «Che odiava Hitler e i nazisti» soggiunse Simon ironicamente. Poi lo chiamarono al telefono... e la voce che udì gli fece dimenticare per un momento Max Berlin. Era Eve. «Avvocato Drake, ho preso qualcosa nel vostro portafoglio che forse vorreste riavere. Siete di umore più trattabile, stasera?» Hannah aveva ragione. Era un ricatto. 10 Il telefono aveva un cordone lunghissimo e Simon lo portò nella stanzetta da bagno dietro il bar dove poteva parlare fuori portata delle attente orecchie di Hannah. «Da chi avete avuto questo numero?» «Dal registro del Balboa» rispose Eve. «Carino da parte loro fornirvi l'informazione.» «E chi me l'ha fornita? Ci ho gettato un'occhiata quando ho preso la chiave della vostra stanza, la notte scorsa. Il portiere di notte è cieco e sordo. E adesso rispondete a una domandina. Quando avete scattato quelle foto del mio defunto vicino?» La voce della ragazza era roca e confusa. Doveva aver bevuto parecchio. «Non le ho scattate io» rispose Simon.
La risata di Eve suonò come un grido di trionfo. «Però ci ho azzeccato! Lo ammettete.» «Non ammetto un bel niente. Da dove chiamate? Da San Diego?» «Oh, sono molto più vicina. Sono in un piccolo motel sull'autostrada poco a sud di Marina Beach. C'è un cartello fuori: Motel Six, perché si beccano soltanto sei dollari per questa lercia tana. Ma va bene per far affari, avvocato Drake, e per dormire o per qualsiasi altra cosa si abbia in mente.» «E voi che cosa avete in mente?» chiese Simon. «Quanto mi pagherete per quelle fotografie?» «Quanto?» «Be'... diciamo diecimila dollari. In contanti, tesoro, e stasera.» «Impossibile. Dove vado a trovarli diecimila dollari, stasera? Le banche aprono domattina alle dieci.» «Lo so, ma terrò voi come pegno fino a domani. Mi dovete qualche riguardo per avermi trattato a quel modo a San Diego.» A Simon occorreva tempo, molto tempo. Era sicuro che la ragazza avesse la bottiglia a portata di mano, e con un po' di fortuna, tra poco sarebbe stata addormentata e fuori combattimento per ore. «Adesso non posso muovermi. Magari più tardi.» «Non più tardi!» farfugliò. «Ho ancora monetine, avvocato Simon Drake, e con questo coso si può telefonare dappertutto, anche ai piedipiatti di San Diego. So chi siete: un avvocatone, so che potete procurarvi la grana e so che posso pestarvi i piedi se non vi date da fare.» «D'accordo, più tardi. Ditemi come vi fate chiamare adesso e il numero del villino.» «Villino 118» rispose Eve «e potete sempre chiamarmi Eve.» «Siete sola?» «Lo sapete bene!» replicò Eve, e riappese. Simon tornò nel soggiorno. Hannah si era sistemata comodamente davanti al tavolino da gioco e Chester portò dentro un carrello con il caffè, una bottiglia di Drambuie e due bicchierini minuscoli. Poi se ne andò e Hannah versò due tazze di caffè con aria pensierosa. Moriva dalla voglia di chiedere a Simon chi gli aveva telefonato e il fatto che lui non glielo dicesse spontaneamente acuiva la sua curiosità. La mano le tremava leggermente, mentre porgeva la tazza al compagno. Simon prese la tazza, chiedendosi se quel tremito fosse dovuto alla delusione o a un po' di artrite. «Simon, pensavo a quella bomba nella Rolls» disse Hannah. «Credo che ci siamo agitati troppo. Magari ce l'ha piazzata uno di quei teppisti che ho
visto portar dentro mentre ti aspettavo, lunedì sera.» «Nella rimessa della polizia?» ironizzò Simon. «Non c'erano poliziotti nella rimessa.» «Ma una bomba non è un petardo, Hannah. Ci si può rimettere la pelle.» «Lo so, ma i giovani d'oggi sono così. Imitano sempre la generazione più vecchia. Credi che tutti quei ragazzi che vedono in TV la guerra vera si accontentino d'infilare nei calamai le trecce delle ragazze? Mi devi 178 dollari che hai perso a poker. Magari stasera cominci la rimonta.» Il sorriso di Hannah sopra l'orlo della tazza era largo e coraggioso, ma la sua mano tremava ancora, e non per l'artrite, ma per la paura. «Che cosa dovrei fare, secondo te?» domandò Simon. «Scordare la faccenda di Monterey e Sam Goddard e N.B. Kwan?» «Perché no?» ribatté Hannah. «A San Diego c'è una polizia che funziona magnificamente, Sam riposa in pace... e probabilmente anche Monterey. Laviamocene le mani finché siamo in tempo. Dopotutto tu sei arrivato a La Verde per un caso di ubriachezza e mi hai liberato su cauzione abbastanza facilmente.» «Non su cauzione, ma in base alle tue ammissioni.» «D'accordo, sei tu l'esperto di questioni legali. Credo anche che non avremo più fastidi per l'incidente. Monte urtò la mia auto con la sua. Ho un testimone.» Gli argomenti di Hannah erano solidi, ma non era da lei evitare i guai e aspettarsi che lo facesse anche lui. Simon finì di bere il caffè e posò la tazza, poi prese la rivista con l'articolo sul favoloso Max Berlin e si avviò alla porta. «Scusami, Hannah, ma ho qualcosa da fare. Fai giocare qualche mano a Chester» disse uscendo. Sali in camera e gettò sul letto la rivista aperta, dalla quale lesse qualche brano mentre si cambiava indossando un maglione nero col collo alto e un paio di mocassini di cuoio. Ci sarebbe stato freddo e umido sulla litoranea e non poteva fare aspettare troppo Eve. Il servizio su Max Berlin era scritto in uno spigliato stile femminile che avrebbe fatto raddoppiare gli affari di tutte le camere di tortura per donna di Max Berlin, ma svelava poco o nulla del personaggio lasciandolo avvolto in un fascinoso alone di mistero. Negli occhi di Berlin si leggeva invece la storia di un uomo che camminava sull'orlo di un baratro e restava in vita con mezzi noti a lui soltanto. Simon ricordò ciò che doveva fare. Sollevò il ricevitore e chiamò il Gateway Bar di La Verde. Gli rispose una voce leggermente nasale, in tono sbrigativo.
«Gateway Bar. Parla Alex Lacey, il direttore.» «Voglio parlare con Whitey Sanders.» «Mi dispiace, ma il signor Sanders è occupato.» «Sono Simon Drake. Ho fretta e il signor Sanders aspetta la mia telefonata.» Non era vero. Sanders avrebbe dovuto inviare il referto dell'autopsia, ma la mancanza delle foto del cadavere impalato di Kwan rendeva ancor più urgente l'informazione. Lacey aveva un raffreddore di testa; Simon lo sentiva respirare con il naso, nel microfono. «Sono sicuro che il signor Sanders non si trova qui» insistette «ma vi metto in comunicazione col camerino del signor Jenks.» Simon attese ancora finché la voce giovane e vivace di Buddy Jenks lo apostrofò con un: «Ehilà! Chi vuole Buddy Jenks?» «Volevo soltanto parlare con Whitey. Aveva promesso di procurarsi il referto del perito settore sulla morte di Monterey. Vi ha detto niente al riguardo?» «Referto del perito settore? No, non me ne ha parlato, ma i giornali scrivono che Monterey si è rotto l'osso del collo nella caduta.» La notizia non rispondeva alla domanda di Simon. «Dov'è Whitey?» chiese ancora. «Non lo so. Dovrebbe essere qui, ma non è ancora tornato dal funerale di Monterey. Perché volete il referto del medico legale?» «Scordatevene» rispose Simon. «Come dite?» «Richiamo più tardi.» «Ah, va bene.» Buddy interruppe la comunicazione, e Simon stava per posare il ricevitore, ma un respiro nasale e subito dopo uno scatto gli rivelarono che Alex Lacey aveva smesso in quel momento di ascoltare la telefonata. Andava tutto a rovescio. Simon gettò un'occhiata all'orologio. Erano quasi le dieci, ma Eve avrebbe dovuto aspettare ancora un po'. Formò il numero di Manhattan dell'appartamento di Wanda. Rispose al terzo squillo. «Sei sola?» «Simon!» esclamò festosamente la giovane donna. «Dove sei stato? Stai bene, tesoro?» «Benissimo. Sono rimasto bloccato a San Francisco per il divorzio dei Morton e non ho avuto il tempo di telefonarti. Come va lo spettacolo?»
«Magnificamente. Siamo quasi pronti alla prima. Sono piena di paura a ogni prova. Il regista dice che è di buon auspicio. Simon...» La sua voce s'incrinò bruscamente, smentendo le parole appena pronunciate. Era esausta e terrorizzata. Una sola parola di Simon sarebbe bastata a farle mandare a monte tutto, per tornare di corsa a Marina Beach, ma così non si sarebbe risolto nulla. Ne avevano discusso a lungo prima che andasse a est. Era uscita psicologicamente troppo malconcia dal suo primo matrimonio per non recarne qualche cicatrice. Doveva riacquistare il proprio equilibrio e la propria sicurezza prima di tentare, per la seconda volta, di trovare la felicità. «Andrà benissimo» la rassicurò Simon. «Quando si alzerà il sipario ti sentirai perfettamente a tuo agio.» «» Ti manco? Simon sospirò: «Sono seduto sul bordo del letto. Sembra largo mezzo chilometro ed è il posto più malinconico del mondo.» «Ti manca soltanto questo?» «Non è abbastanza?» Wanda rise sommessamente. «Ti ho mai detto che sei terribilmente caro?» Si augurarono la buona notte, poi Simon depose il ricevitore e indossò l'impermeabile. Pochi minuti di colloquio con Wanda gli avevano reso più facile affrontare ciò che lo attendeva. Le luci del nuovo insediamento residenziale ammiccavano vivacemente sulle colline buie, quando Simon imboccò la discesa che portava verso il centro della città. Si diresse quindi a sud, per fermarsi poco dopo nei pressi di una piccola birreria accanto al tendone del Motel Six. Conosceva quei paraggi. I proprietari della birreria e del motel erano Bob e Linda Gusik, una coppia per bene che avrebbero mandato via Eve al mattino, se avessero saputo che cosa aveva intenzione di fare. Simon era all'erta e temeva una trappola, perché di solito le donne del genere di Eve non brillano per acume e raramente lavorano da sole. Portò la Jaguar in un angolo in ombra, in fondo al parcheggio, e proseguì a piedi, avviandosi al Motel dal vialetto posteriore. Il rumore della risacca sulle rocce a pochi metri di distanza copriva il suo scalpiccio. Eve non aveva mentito. Un'insegna rossa al neon sull'ingresso principale diceva: "MOTEL SIX «Tutte le stanze a sei dollari fino a quattro ospiti". Era accesa anche la dicitura "Camere libere".» La stanza 118 (non c'erano villini isolati) si trovava all'estremità di un'a-
la del motel, sotto una scala che portava all'unico piano superiore. La porta era socchiusa e nel buio della stanza si vedeva soltanto una lama di luce provenire dalla porta aperta del bagno. Simon bussò con forza, ma era impossibile che lo si sentisse all'interno perché la doccia era aperta al massimo. Sotto i suoi colpi però la porta si aprì del tutto lasciando scorgere una cameretta arredata da un solo letto, un cassettone, un'agrippina di fattura dozzinale. Sul letto, la sovracoperta era stata spostata per appoggiare i cuscini piegati alla testata, di fronte al televisore. Simon era ormai praticamente nella stanza e poiché era poco probabile che Eve intrattenesse gli ospiti sotto la doccia, si sentiva sufficientemente al sicuro. Si chiuse la porta alle spalle e attese che i suoi occhi si abituassero alla penombra; la doccia continuava a scrosciare. Tutto è lecito in amore, in guerra e nel ricatto, così, Simon frugò rapidamente nella borsa e tra gli indumenti di Eve sparsi in giro e non si meravigliò di non trovare le foto del cadavere di Kwan. In fondo, neppure Eve poteva essere tanto sciocca da lasciarle in giro. Rimise a posto ogni cosa, chiuse la borsa e l'appoggiò sul letto dove l'aveva trovata. L'acqua della doccia scorreva ancora. Sul cassettone c'era una bottiglia aperta di whisky e due bicchieri. Uno portava tracce di rossetto arancione sul bordo, l'altro era ancora chiuso nell'involucro di protezione. Un pacchetto aperto di sigarette alla menta si trovava accanto a un portacenere pieno di mozziconi sporchi dello stesso rossetto arancione. Il quadro della situazione era chiaro. Ma la doccia scrosciava ancora. «C'è nessuno?» disse Simon ad alta voce. «Avete compagnia, adesso.» Nessuna risposta. Simon si avvicinò alla porta dello stanzino da bagno e spinse la porta con un piede. Una fitta nube di vapore si alzava dietro la tenda della doccia. «Eve!» gridò Simon. «Ma come fate a respirare qui dentro?» Non era il momento di fare i pudibondi o i cerimoniosi perché l'acqua che pioveva dall'alto era bollente, e chiunque si trovasse là sotto doveva essere lessato. Simon afferrò la tenda e la scostò bruscamente. Attraverso lo spesso muro di vapore riuscì a scorgere i rubinetti che chiuse con una rapida mossa. Eve era seduta a terra, con le spalle appoggiate alla parete di mattonelle di fronte ai rubinetti, le braccia abbandonate lungo i fianchi, una gamba tesa in avanti e l'altra piegata al ginocchio. Non era nuda. Indossava la mini-camicia che Simon conosceva bene e un soffice giacchino da notte zuppo d'acqua. Una pantofolina dorata era ancora infilata sul suo piede sinistro, mentre l'altra era scivolata sul foro di scarico, co-
sicché Eve sedeva in due o tre centimetri d'acqua bollente. Non si muoveva. Teneva il capo piegato sul petto e quando Simon l'afferrò per una ciocca di capelli bagnati sollevandole il viso, capi subito come stavano le cose. Qualcuno aveva spezzato il collo della ragazza. Eve era morta. Qualche istante dopo il cervello di Simon ricominciò a funzionare. A nessuna donna salterebbe in mente di mettersi sotto la doccia in camicia da notte e pantofole. Anche se Eve si era scolata quasi tutta la bottiglia di whisky dopo la telefonata e si era infilata nello stanzino in preda ai fumi dell'alcool, il primo scroscio di acqua bollente avrebbe dovuto farla schizzar fuori. Simon cominciò ad avvertire una sensazione di disagio. Strappò un pezzo di carta dal rotolo e cancellò le proprie impronte dai rubinetti e dalla tenda della doccia. Non era un medico legale, ma aveva l'impressione che Eve si fosse rotta il collo dopo essere entrata nella doccia esattamente come Kwan si era picchiato da solo e poi si era gettato sullo spuntone metallico del balcone della sua stanza. Eve Necchi, così si chiamava la ragazza secondo i documenti che aveva trovato nella borsa. Non doveva avere più di venticinque anni e non era affatto male. Era un brutto modo di morire, anche per una ricattatrice, e c'era qualcosa di osceno in quel suo scomposto abbandono sul pavimento della doccia. Benché gli ripugnasse farlo, Simon riapri i rubinetti e chiuse la tenda, gettò la carta nel cestino e tornò nella camera da letto. Tirò fuori il fazzoletto e strofinò accuratamente la borsa di plastica e il suo contenuto. I bicchieri e la bottiglia sul cassettone non li aveva toccati, le porte erano a posto: quella del bagno l'aveva aperta col piede e a quella d'ingresso aveva bussato con le nocche. Via via che l'agitazione si quietava, affioravano gli aspetti più razionali del suo problema personale. Cercò con gli occhi il telefono, ma al Motel Six non ce n'era uno in ogni stanza, soltanto la cabina del telefono davanti all'ufficio del direttore. Occorreva un telefono. La morte di Eve avrebbe potuto essere accidentale, ma le probabilità erano molto remote, e più tempo trascorreva, più difficile sarebbe stato per la polizia catturare l'assassino. E la cattura dell'assassino, rifletté Simon, gli avrebbe risparmiato un sacco di scarpinate e il mantenimento del cane da guardia per Hannah. Aprì la porta e sbirciò fuori. In giro non c'era anima viva. Lasciò la porta del 118 aperta come l'aveva trovata e tornò di corsa alla Jaguar, Pochi minuti dopo correva sulla autostrada in direzione sud. Dopo circa tre chilometri si fermò alla cabina telefonica di una stazione di servizio chiusa per telefonare al tenente Franzen, della polizia di Marina Beach.
Simon appoggiò un fazzoletto sul microfono e fece la buon'azione del giorno. «C'è una donna morta nella stanza 118 del Motel Six.» 11 Simon riparti con la sua XK-E in direzione sud e non mollò l'acceleratore fino alla deviazione per Enchanto-by-the-Sea che portava alla casa di Sam. Era tardi, ma Simon non si sorprese vedendo le finestre illuminate. Ci sarebbe voluto del tempo prima che Vera Raymond ritrovasse un ritmo di vita regolare. Diede due accelerate prima di fermarsi sul vialetto e Vera doveva averlo sentito perché stava già aprendo la porta mentre lui saliva le scale. Si vedeva che aveva cercato di dormire perché indossava una vestaglia scozzese sopra un pigiama blu e i piedi quasi le scomparivano in un paio di pantofole di daino che probabilmente erano appartenute a Sam. «Grazie per i fiori» disse. «E il vostro numero di telefono lo tengo da parte per quando le ombre delle pareti cominceranno a farmi paura.» In casa, il televisore era acceso e Vera abbassò il volume. «Non è che guardi o ascolti i programmi notturni, ma fa sempre piacere avere qualcuno vicino, anche se sono soltanto film.» «Non mi dispiacerebbe bere qualcosa» suggerì Simon. «Ma certo!» rise Vera. «E io che me ne sto qui impalata. Sedetevi dove volete, Simon; va bene un bourbon?» «Perfetto.» La donna prese l'impermeabile di Drake e lo gettò su una sedia, poi si diede da fare a un piccolo bar portatile. «Ghiaccio?» «Sì, e bevete con me, vi farà bene.» Quando si furono sistemati entrambi sul divano davanti al caminetto, col bicchiere in mano, Simon chiese a Vera di pensare ancora alla sera in cui Sam aveva ricevuto la telefonata dopo la quale era saltato in macchina per raggiungere San Diego. Poiché non voleva spaventarla, diede alle sue domande un tono discorsivo, come se intendesse soltanto proseguire il discorso sul colpo giornalistico di Sam, rimasto in sospeso. Voleva che Vera ripescasse dalla memoria un nome, una frase, qualsiasi cosa potesse collegare senza incertezza la telefonata a Monterey. Vera si sforzò invano di essergli d'aiuto. Simon accennò allora a Kwan per osservare le reazioni della donna, ma questa scrollò la testa.
«Sam non ne ha mai parlato in mia presenza. Chi è questo Kwan?» «Neppure io lo so con precisione» ammise Simon. «Di sicuro so soltanto che è stato ucciso la notte di domenica al Balboa Hotel di San Diego, e che quelle foto scattate da Sam erano di Kwan. Ecco che cosa ha fatto Sam quella notte a San Diego, Vera.» La donna rifletté con calma sulla notizia: aveva una mente lucida e agile. «Allora era questo il colpo grosso di Sam.» «Pare di sì.» «Che cosa dice di Kwan, la polizia?» «Non dice niente, o meglio, io non ho fatto domande dirette e nessuno mi ha regalato indiscrezioni. Kwan è morto, cremato e probabilmente ritornato agli avi. Il suo nome non ha mai fatto notizia e lui è già dimenticato.» «Ma la polizia non chiude mai un caso, vero? Cioè non lo chiude finché non è veramente finito. Vorrei poter finire la storia di Sam per lui.» «Forse potete farlo... indirettamente. Che cosa sapete dell'attività di Monte Monterey dopo che ha smesso di girare film? Per esempio, da quanto tempo non lo vedevate?» Vera teneva il bicchiere con le due mani e lo faceva ruotare delicatamente. Guardò un attimo le silenziose figure muoversi sullo schermo del televisore, poi domandò: «Credete che sia stato Monte Monterey a chiamare Sam la sera di domenica, vero?» «E voi no?» «Volevo non pensarci, ma credo che abbiate ragione. Sam può aver riconosciuto la voce di Monte e sarebbe certamente andato a San Diego, se lui glielo avesse chiesto. In fondo, Sam è stato cognato di Monte per parecchi anni. Sì, se Monte si fosse trovato nei guai, avrebbe chiamato Sam. Ma non sono in grado di dirvi nulla sulla sua attività negli ultimi... dodici anni o giù di li. L'ho visto l'ultima volta al funerale di Lola, nell'aprile del '53, e la sua carriera era già finita, allora. L'anno successivo, mi pare, si trasferì a Città del Messico, e in seguito deve aver viaggiato parecchio. Un anno ricevemmo da lui una cartolina per Natale da Città del Messico, l'anno dopo da Buenos Aires. Non ne giunsero più per un certo periodo, poi ne arrivò una da Parigi. Come vedete, Monte si spostava molto. Non ci ha mai scritto lettere, solo cartoline, e dopo quella da Parigi, non avemmo più sue notizie.» «Ricordate qualcosa della famiglia di Monte?» Sorpreso, Simon vide Vera scoppiare in una risata sincera e squillante.
«I Morales? Oh, erano fantastici! Monte era il maggiore e per questo era il capo della tribù. Lola era la seconda. Era una ragazza splendida che Monte custodiva come un fidanzato geloso finché Sam la sposò e se la portò via. C'erano altre due sorelle, ma non ricordo molto di loro. A quel tempo mi interessava più Sam. Immagino che si siano sposate e che abbiano messo al mondo una nidiata di bambini.» «Non c'era anche un fratello?» «Certo, Joseph, l'ultimo. Era tanto caro, Simon, e che bel giovanotto! Se avesse fatto del cinema, Monte al suo confronto sarebbe parso Dracula a cavallo. Joe invece andò sotto le armi poco prima di Pearl Harbour e morì nel sud del Pacifico in un'azione all'inizio della guerra.» «Ma si era già sposato, no?» «Infatti, fu un bellissimo matrimonio; pagò tutto Monte, Joe non aveva un centesimo oltre la sua paga di soldato, ma le nozze furono celebrate nella cappella del Seville Inn e gli sposi trascorsero la luna di miele in un appartamento nuziale...» Vera s'interruppe bruscamente. «Strano» rifletté ad alta voce. «È lo stesso albergo dove è morto Monte. Me ne ha parlato ieri Whitey, e io ricordavo quella scala a chiocciola, ma non ho associato tra loro le due cose. Lola fece scattare qualche foto di Joe e Juanita in piedi contro la ringhiera. Deve averle Sam da qualche parte. Erano tanto giovani e innamorati...» «JO a JM, 24.10.41» mormorò Simon. «Che cosa?» «Erano incise all'interno di un anello nuziale rinvenuto sul cadavere di Monte.» «L'anello di Joe? Strano, ho sempre creduto che il suo corpo non fosse stato recuperato dall'oceano. Forse, Monte sapeva qualcosa che non ha mai detto né a Lola né a Sam: dopo la morte di Joe si era isolato; quella sciagura l'aveva reso duro e distante.» Vera fu scossa da un brivido. Il fuoco era caldo e c'era ancora un dito di liquore nel bicchiere, ma nel suo cuore era scesa una sensazione di gelo che non sarebbe mai più svanita del tutto. «Non direi di no a un altro goccio» la riscosse prontamente Simon. Questa richiesta dava qualcosa da fare a Vera, che parve sollevata. Versò ancora da bere mentre Simon aggiungeva altra legna al fuoco, poi si sedette nuovamente sul divano con un'espressione preoccupata. «C'è una cosa che mi lascia perplessa, Simon Drake. Siete un uomo indaffarato e di successo: perché vi interessa tanto la morte di Sam?»
Era andata dritta allo scopo. Non aveva chiesto perché si interessava alla morte di Monte, o a quella del misterioso Kwan. Erano i funerali di Sam quelli cui aveva assistito, ed era la pista di Sam quella che cercava di seguire. Simon prese il bicchiere dalle sue mani e si strinse nelle spalle, cercando di assumere un'aria indifferente per non turbarla. «Sam Goddard era un tipo interessante, e a me piace la storia contemporanea.» Vera non si lasciò distrarre. «Diciamolo a chiare lettere: siete un avvocato di grido e il vostro tempo vale molto denaro.» «Infatti, ed è per questo che sono qui. Potrei sciupare tempo prezioso a studiare la chiamata in giudizio di una società, ma la fortuna mi ha baciato in fronte molto presto. Dieci anni fa vinsi una causa di brevetto per un mio amico che aveva pochi quattrini e una scoperta brillante e mi feci pagare con delle azioni. Cosa credete che sia successo?» «Che siete diventato ricco sfondato?» «Poco meno. Ho incassato abbastanza da comprare quella vecchia casa vittoriana, a Marina Beach, e con essa l'insostituibile Hannah Lee e ne ho ancora abbastanza per non stare con la lingua penzoloni fino alla fine dei miei giorni. In altri termini, Vera, lavoro quando un caso mi attira, o quando c'è dentro qualcuno che mi va a genio. Se voglio stare qui seduto a bere e a chiacchierare con voi tutta la notte, posso farlo.» Vera parve soddisfatta della risposta e se ne stette tranquilla a sorseggiare il suo drink mentre Simon le raccontava delle foto che gli erano state rubate al Balboa Hotel. Accennò soltanto di sfuggita a Eve e a dove l'aveva trovata neppure un'ora prima, ma Vera afferrò subito il nocciolo della questione. «La ragazza che ve le ha prese sapeva perfettamente che avevano un peso notevole.» «Occupava la stanza accanto a quella di Kwan la notte in cui fu ucciso.» «Perché?» «Sarebbe interessante saperlo» ammise Simon. «Se fosse vivo, Sam lavorerebbe proprio su questo punto... questo e su ciò che stava alle spalle di Kwan.» «Avete mai sentito nominare un certo Max Berlin?» chiese Simon. Vera inarcò le sopracciglia. «Max Berlin?» ripeté. «Che cosa vi ha fatto pensare a un tizio tanto sgradevole?» «È proprio un tipo cosi?» Vera sorrise. «Oh, era Sam che lo chiamava in questo modo. Sam chia-
mava tizi sgradevoli tutti quelli che non gli piacevano. Veramente non conosceva Berlin, e forse era proprio questo che gli bruciava. Sam ne sentì parlare poco dopo che Berlin aveva aperto uno dei suoi istituti appena al di là della frontiera, e gli venne l'idea di fare un ritratto giornalistico di Max Berlin. L'istituto è soprattutto per le signore, ma organizzano anche delle settimane per gli uomini, così, Sam vi si recò armato della macchina fotografica e di quella per scrivere. Avrebbe dovuto trattenersi due settimane, invece tornò dopo tre giorni. Non mi disse mai ciò che era successo, così suppongo che gli abbiano detto un bel no. Mi confidò soltanto che voleva dare un'impronta maschile al servizio, mentre quel posto era pieno di tipi strani, e lasciò perdere tutto. Sam conosceva i suoi limiti. C'entra anche Berlin in questo pasticcio?» «Ha pagato i funerali di Kwan» rispose Simon. «Santo cielo, forse Sam non scherzava. Ecco perché ha lasciato perdere la faccenda. Sam era un uomo retto, checché se ne dica. So quello che state pensando: lo capisco da come arricciate il naso. Avrete sentito dire che Sam ha fatto i quattrini comprando per quattro soldi la terra ai giapponesi residenti qui. È vero, Sam si arricchì con quella terra. Tanta gente si arricchì. Tanta gente si arricchì ancora di più con la guerra, ma non molti si sentirono le mani sporche come Sam, perché lui era un idealista, e l'acquisto di quella terra gli fece perdere la sua verginità, per così dire, gli aprì davanti la via dei compromessi con la sua coscienza. Pochi anni dopo, quando Sam lottava per stare a galla, quelli che più l'avevano criticato, profittarono del suo stato di bisogno e gli comprarono tutto per un piatto di lenticchie. Lo definirono "un buon affare".» Simon ebbe un sorriso affettuoso. «Non avete mai smesso di voler bene a Sam, vero?» La mano di Vera si strinse attorno al bicchiere, mentre le nocche le diventavano bianche. Simon prese il bicchiere e lo posò sul tavolino. La donna non protestò, si chiuse il viso tra le mani e si abbandonò all'indietro contro lo schienale del divano. Aveva il viso e le spalle in ombra, ma Simon avvertiva il quieto sussultare del suo corpo mentre singhiozzava. Finalmente, Vera dava libero sfogo al suo dolore e Simon le diede qualche minuto di tempo per liberarsi dalla tensione emotiva, poi tornò a sedersi accanto a lei. «Ecco, adesso basta: bevete questo.» Le porse il bicchiere che aveva appena riempito e Vera lo accettò grata come un bambino che prenda un bicchiere d'acqua dopo una lunga corsa.
Simon voleva che bevesse abbastanza da rilassarsi completamente, perché nessuno può tirare avanti indefinitamente con un peso tale sul cuore. La donna finì di bere; le tolse di mano il bicchiere e la costrinse con dolcezza ad appoggiare il capo sulla sua spalla, carezzandole lentamente i capelli mentre il fuoco nel caminetto gettava ombre guizzanti sui muri. Il liquore e il tepore della stanza fecero ben presto effetto. Vera si addormentò serenamente, forse per la prima volta dopo la morte di Sam. Simon le sistemò un cuscino del divano sotto la testa e la coprì con una coperta a quadri che aveva trovato vicino al camino. Poi prese la giacca e stava per andarsene quando si accorse che la porta della stanza da lavoro di Sam era aperta. Accese la luce ed entrò. Tutto era rimasto come l'aveva visto l'ultima volta. Esaminò senza fretta e con maggior cura lo scrittoio: penne, matite, fermagli, tutto era perfettamente in ordine. Simon aprì il cassetto che aveva le chiavi nella serratura e ne tirò fuori una scatola rettangolare di cartone blu con la scritta "Smith & Wesson, Springfield, Massachusetts". Su un lato minore della scatola c'era la descrizione del contenuto: "Modello numero 36, 2 canne, calcio R", seguita da un numero di serie. La scatola era troppo leggera per contenere una pistola, ma dentro c'era qualcosa. Erano otto pallottole calibro 38 speciale e uno scovolino metallico per pulire la canna della pistola. Nient'altro. Simon richiuse la scatola e la rimise nel cassetto, dopo aver ricopiato la descrizione della pistola e il numero di serie su un foglietto del taccuino di Sam. Avrebbe chiesto in seguito a Vera se Sam aveva l'abitudine di portare la pistola e se le autorità l'avevano trovata. Simon passò nella camera oscura. Vera non doveva aver messo piede neppure là dentro. Le foto in carta lucida di Monterey erano ancora sparse sul tavolo assieme a parte di quelle scattate da Sam a San Diego, e a Simon non piacque l'idea che quel materiale restasse in giro. Raccolse tutto ciò che trovò sul tavolino e i negativi ancora appesi ad asciugare e portò tutto all'alto schedario verde di metallo che si trovava all'altro lato della stanza. Sam non l'aveva chiuso a chiave e c'era un cassetto aperto con il cartellino "Monterey, Monte". Lo schedario era a chiave unica: se un cassetto era aperto, anche gli altri erano accessibili. Simon decise di fare un tentativo: Sam Goddard era stato un uomo troppo metodico per strappare tutto il materiale che poteva aver raccolto per l'articolo su Berlin. Apri il primo cassetto e sfogliò alla B finché trovò Berlin Max. La cartelletta era zeppa di foto. Ce n'erano parecchie dell'istituto stesso, interni ed esterni, e poi piscine, palestre, tipo pieghevole pubblicitario. E ce n'erano anche altre, di
minor effetto, perché gente col viso avvolto nelle bende non può guardare l'uccellino. Alcuni volti erano confusi, come se Sam avesse scattato le foto col teleobiettivo. Dopo cinque di quelle istantanee, la macchina fotografica si era rivolta nuovamente alla piscina, dove un gruppo di sei uomini in calzoncini da bagno erano seduti intorno a un tavolo sotto l'ombrellone. Due di quegli uomini avevano un aspetto familiare. Il successivo gruppo di foto erano ingrandimenti delle singole persone: tra queste, Monte Monterey era perfettamente riconoscibile, e lo stesso Max Berlin. Simon era eccitato: c'era una chiave che si adattava alla porta chiusa del tempo. Monterey e Max Berlin si conoscevano. Le rimanenti quattro foto erano ugualmente interessanti. Uno era asiatico: poteva essere Kwan? Un altro aveva un'aria vagamente familiare. Simon gli aggiunse mentalmente un pullover col collo arrotolato e l'uomo cominciò ad assomigliare a un tale che guidava una Cougar verde scuro. Le ultime due foto erano parse a Sam Goddard abbastanza interessanti da fargliene stampare gli ingrandimenti. Un viso era quadrato, piatto e ottuso, con sopracciglia marcate e pochi capelli, mentre l'altro aveva un che di femminile che doveva aver fatto colpo in gioventù, ma che ora mostrava segni di appesantimento anche nella linea delle labbra carnose. Gli occhi erano nascosti dietro occhiali da sole, come quelli di Berlin. L'uomo dai lineamenti grossolani sedeva a occhi chiusi contro il sole. Non c'erano appunti sul servizio che Sam aveva deciso in seguito di non scrivere. Ma quelle foto richiedevano un ulteriore esame: Simon prese tutto l'incartamento di Berlin e chiuse lo schedario. Vera non si sarebbe mai accorta che mancavano le foto. Dormiva profondamente quando Simon tornò nel soggiorno, aggiustò la legna nel camino e spense il televisore. Erano quasi le tre del mattino quando scorse nella nebbia l'ammiccante insegna rossa del "Motel Six". Delle altre luci rosse ammiccavano vicino a essa, e una apparteneva alla berlina ufficiale del tenente Franzen. Simon non si fermò, tanto si trattava soltanto delle ultime operazioni; il furgone funebre era già arrivato e ripartito. 12 Prima ancora che Simon si alzasse, il mattino successivo, la notizia dell'assassinio di Eve Necchi era su tutte le bocche di Marina Beach. Chester, avido lettore di cronaca nera, la portò a Simon insieme alla colazione e
questi ascoltò, seduto a gambe incrociate sul letto, il racconto di ciò che non era accaduto al Motel Six. «Stanotte hanno ucciso una donna nel motel dei Gusik. La polizia l'ha trovata nello stanzino della doccia, nuda e violentata. L'assassino ha telefonato alla polizia e ha raccontato quel che aveva fatto con un'impudenza spaventosa. In un caso come questo, voi siete avvocato e dovreste saperlo, la donna è stata violentata prima o dopo la morte?» Le domande di Chester dovevano essere prese sul serio: di solito non era cosi loquace. «Quando hanno trovato il corpo?» chiese Simon. «Verso l'una di stanotte.» Simon gettò un'occhiata al suo orologio. «Adesso sono quasi le sette e mezzo» sbadigliò «e supponendo che Franzen sia riuscito a far uscire il medico legale di notte, il che è improbabile, di certo avrà dato soltanto l'autorizzazione a trasportare il cadavere all'obitorio. Per completare gli esami autoptici ci vorranno ore e ce ne vorranno ancor di più prima che vengano resi noti i risultati. Come puoi essere tanto sicuro che la vittima è stata violentata?» Chester era evidentemente deluso. «Ma l'assassino ha chiamato i poliziotti...» protestò. «Ha confessato?» «Be', no... ha detto che c'era una donna morta al motel.» «Come può affermare la polizia che si trattava dell'assassino? Un tizio qualsiasi può aver trovato il cadavere ed essere stato preso dal panico, o forse ha visto commettere il delitto.» Ma ormai la sicurezza di Chester era crollata e la sua mattina era rovinata. Simon lo guardò ritirarsi con aria mesta. Chester, in fondo, non era che uno dei tanti abitanti di Marina Beach, cittadina degli Stati Uniti in cui qualsiasi scandaluccio e scandalone sarebbe stato il benvenuto a movimentare un po' l'atmosfera. E se la gente di Marina Beach aveva già deciso che Eve Necchi era stata trovata nuda e violentata, sarebbe stata una faticaccia scalzare la certezza che chi aveva telefonato a Peter Franzen era l'assassino. Poi c'era anche l'inquietante possibilità che Franzen identificasse la voce. Simon scese dal letto, fece due piegamenti, entrò nella doccia. Fece girare il rubinetto e restò lì col braccio teso, a fissare la parete di mattonelle, finché lo riscosse la voce di Hannah. «Era la fanciulla di San Diego che ti ha telefonato ieri sera?» «Sì, si chiama Eve Necchi... si "chiamava" Eve Necchi.»
«Voleva quattrini?» «Diecimila dollari.» «L'hai fatta fuori?» «No, ma ho trovato il suo cadavere. Non era nuda e non credo che l'avessero violentata: le avevano rotto l'osso del collo. E le foto di Kwan non erano nella sua stanza.» «Forse non le aveva con sé.» «Può darsi. Buon per me che Franzen non sa niente delle foto.» «Ma l'assassino sì... e può sospettare che ci siano da qualche parte altre fotografie ancor più pericolose... magari una scattata proprio nel momento dell'uccisione di Kwan.» «Ecco perché Eve è stata uccisa» disse Simon ad alta voce. «Non ha detto dov'erano, e non l'ha detto perché non lo sapeva.» Hannah non chiese spiegazioni: era abituata a sentire Simon che parlava da solo. Il tenente della squadra investigativa, Peter Otto Franzen, sedeva nel suo ufficio nell'ala ovest del nuovo municipio di Marina Beach e pensava a Simon Drake. Franzen era tranquillo e l'attività di Drake a Marina Beach l'aveva sempre lasciato perplesso. Tanto per cominciare, un avvocato della sua levatura, si stabiliva di solito in città: Drake aveva uno studio a Los Angeles, ma ci stava di rado. Anche la sua compagna a The Mansion era una perenne fonte di pettegolezzi, eppure Simon era fidanzato con un'attrice, una certa Wanda qualcosa. Guidava una veloce auto sportiva straniera, aveva il brevetto di pilota e teneva un piccolo motoscafo al porticciolo. Era cordiale e schietto e personalmente piaceva a Franzen, ma nonostante la sua modernità Marina Beach era sempre un piccolo centro e la gente chiacchierava. E avrebbe chiacchierato ancor di più se avesse saputo la ragione per la quale Franzen formò il numero telefonico (fuori elenco) di Simon. All'apparecchio rispose Simon e Franzen poté udire sullo sfondo uno scroscio d'acqua. «Pronto» disse l'avvocato. «Vi ho fatto uscire dalla vasca da bagno?» «Dalla doccia, ma tanto avevo finito.» «Bene. Sono Peter Franzen. Volevo sapere se potete fare un salto qui per scambiar due chiacchiere, stamattina, se non vi è di troppo distubo.» «Niente affatto» rispose Simon. «Sarò li tra mezz'ora.»
Esattamente ventinove minuti dopo, Simon entrava nell'ufficio di Franzen e si sedeva su una di quelle sedie di tubi cromati e pelle che i contribuenti non si possono permettere. Mentre si scambiavano i convenevoli, Franzen aprì il primo cassetto della scrivania e tirò fuori una cartelletta. L'apri e Simon vide che conteneva la copertina di una guida telefonica locale. «Sono sicuro che a quest'ora saprete tutto dell'assassinio, quattro o cinque versioni, almeno.» «Mi piacerebbe sentire la vostra» disse Simon. «Io non ho una versione, ma soltanto dei fatti. Ero qui nel mio ufficio, a tarda sera, quando ha squillato il telefono. Una voce maschile che sembrava parlasse attraverso una mascherina, mi ha detto che c'era una donna morta al Motel Six. Non mi ha detto il nome e ha riappeso prima che potessi localizzare la telefonata. Ho telefonato subito a Gusik e gli ho chiesto che cosa succedeva da lui. Non ne sapeva niente, ma poi mi è venuto incontro nel cortile del motel e insieme abbiamo scoperto il cadavere. Era una donna: aveva il collo spezzato e profonde escoriazioni al viso e al capo. Era stata assassinata.» Simon non aveva notato le escoriazioni, ma questo non voleva dire che Franzen mentiva. Eve aveva i capelli sul viso e la pelle arrossata dall'acqua bollente. Franzen continuò: «Dai documenti rinvenuti nella borsetta ho saputo che la vittima si chiamava Eve Necchi, di San Diego. Su ogni documento d'identità figurava un indirizzo diverso: doveva viaggiare parecchio. Finora nessuno ha richiesto la salma.» «Età? Razza?» chiese Simon. «Età, ventinove anni; razza bianca. Non doveva essere affatto male e vestiva con proprietà. Lo strano è che non aveva un'auto e che alla stazione degli autobus nessuno ricorda di averla trasportata là da San Diego. Si è presentata alle diciannove e trenta al motel, senza bagaglio, soltanto con una borsa da viaggio. Ha detto a Gusik che si sarebbe incontrata col marito, reduce dal Vietnam, il quale le avrebbe comprato dei nuovi abiti per la seconda luna di miele. Gusik ci ha creduto: il suo motel è un posticino economico dove i soldati possono permettersi di portare le mogli.» «Forse il soldato ha cambiato idea sulla seconda luna di miele.» «Quale soldato? Alla stazione degli autobus non ricordano neppure un veterano del Vietnam. Abbiamo trovato delle istantanee nella borsetta della donna: lei e un sergente dei Marines, ma risalgono al 1959, e poi nessu-
na donna sposata a un Marine commetterebbe l'errore di chiamarlo soldato... Di che genere è la vostra conoscenza con i Gusik? Avete mai alloggiato al motel?» Simon tirò fuori un pacchetto di sigarette, ne prese una e se la fece rotolare tra le dita. «Può darsi» ammise. «Quando avevo gli operai in casa ho alloggiato in quasi tutti i motel di Marina.» Era inutile tentare d'indovinare se era stato visto al Motel Six, e Franzen stava giocando al gatto e al topo servendosi di quanto aveva in mano. Il tenente sospirò: «Va bene, tanto vale che vediate che cosa c'è qui dentro e che mi diciate che cosa significa.» Voltò la copertina della guida telefonica e la spinse verso Simon. Qualcuno vi aveva scritto sopra, di traverso: "Simon Drake 655-8055". Il trattino superiore dell'ultimo 5 era interrotto come se la matita si fosse rotta o fosse rimasta senza mina. La calligrafia era larga, tutta a svolazzi, con un circoletto sulla "i" al posto del puntino. Franzen osservò Simon mentre questi studiava la calligrafia, poi tese una mano e si riprese la copertina: sotto c'era la schedina di registrazione del motel. Era compilata col nome e l'indirizzo di Eve Necchi: le "i" avevano dei circoletti al posto dei puntini e la "S" di San Diego era uguale alla "S" di Simon sulla copertina. «Suppongo che sia la calligrafia di Eve Necchi» disse Simon, indicando la scheda. «Esatto.» «Ma non siete altrettanto sicuro dell'altra annotazione.» «Non l'ho fatta vedere a un perito calligrafo, se è questo che intendete. È stata trovata nella cabina telefonica davanti alla direzione del motel. Eve Necchi vi ha telefonato, ieri sera?» «Non ho mai sentito il nome di Eve Necchi fino a stamattina» rispose Simon. Tecnicamente era vero, ma Franzen non ne sembrava convinto. «Voi avete un numero telefonico che non figura nell'elenco» riattaccò. «Si, ma qualche volta lo dico in giro, e la gente mi telefona.» «Per fissare appuntamenti ai motel?» Simon scoppiò a ridere. «Ora conoscete il mio segreto: Hannah Lee nutre un'insana gelosia verso le donne più giovani. Non mi permette di portarle a casa, e visto che io sono un baldo e vigoroso figlio d'America...» Peter Franzen era un bravo ragazzo che si faceva in quattro per essere gentile, ma questa volta si fece scarlatto, mentre le labbra gli si sbiancavano per la collera.
«Dannazione, Drake, sto cercando di farvi un favore. Ho trovato io stesso questa copertina e me la sono tenuta perché volevo che lo sapeste prima che Duane ci mettesse le mani sopra. Vi odia ferocemente per ciò che gli avete fatto nella vostra ultima causa, e sarebbe più che felice di farvi lo sgambetto con qualsiasi mezzo.» «State sottraendo delle prove al Procuratore Distrettuale» osservò Simon «e Duane Thompson non è uno che sta agli scherzi. Non vi pare di rischiare un po' troppo?» «Tutti abbiamo bisogno di un amico, prima o poi.» «Già, e voi preferite me a Thompson, come amico. Non posso biasimarvi.» Simon si chinò sulla scrivania e studiò di nuovo quella calligrafia; era sicuro che il suo nome sulla copertina della guida telefonica era stato scritto da Eve, ma non sapeva perché. La ragazza conosceva già a memoria il suo numero, ma anche se Franzen fosse riuscito a provare che la scrittura era di Eve, non avrebbe potuto dimostrare che lei aveva effettivamente chiamato Simon e che lui stesso le aveva dato il proprio numero. La faccenda non presentava aspetti preoccupanti, a meno che Franzen non avesse qualche altro asso nella manica. «E mi avete chiamato quaggiù soltanto per questo?» bofonchiò Simon. Il colloquio parve terminare quando Franzen rimise la cartelletta nel cassetto della scrivania e accompagnò Simon alla porta. «Vi offro un caffè» disse uscendo, ma il corridoio era pieno di gente e due persone in particolare fecero svanire la speranza di un rapido ristoro. La prima era Duane Thompson, il fotogenico Procuratore Distrettuale che la gelosia professionale raggelava sempre quando si trovava di fronte a Simon, e l'altra persona che stava parlando con Thompson, era un uomo alto e robusto in jeans bianchi e maglione da pescatore, il cui viso rubicondo si aprì in un sorriso cordiale quando scorse l'avvocato. Quell'uomo si chiamava Bob Gusik. «Lieto di vederti» tuonò Gusik. «Questa si chiama fortuna! Sapete, Thompson, sono tre mesi che non lo vedo, e stamane lo trovo qui. Simon, mi occorre un avvocato.» «Perché?» «Non hai sentito che cosa è successo al mio motel stanotte? Un assassinio.» «Ho sentito, ma non l'hai uccisa tu la donna, immagino.» «Cribbio, certo che no, ma non voglio farmi perseguire per negligenza o qualcosa del genere. Fai un salto da me, quando vuoi, per schiarirmi le idee sulla mia posizione.»
L'espressione aperta di Bob Gusik corrispondeva alle sue parole. Thompson aveva ritrovato il sorriso professionale e Franzen si cercava in tasca gli spiccioli per il caffè. Bob Gusik aveva appena stabilito senza possibilità di dubbio che Simon Drake non si vedeva dalle parti del suo motel da tre mesi, e nessuno pareva sorpreso o deluso. Simon si sentì enormemente sollevato: grazie a quell'incontro, non c'era altro che un nome scarabocchiato sulla copertina di una guida telefonica. Simon bevve una tazza di caffè con Franzen al bar degli uffici giudiziari, poi riprese l'auto e scese alla spiaggia. C'era un belvedere appena a sud dell'abitato, con un piccolo parcheggio e alcuni gradini di cemento che portavano a una striscia di sabbia tra due scogliere. La giornata era fredda e l'aria aveva un sentore di pioggia imminente. Simon lasciò la macchina vicino alla rete di protezione, alzò il bavero dell'impermeabile e scese i gradini a due a due. Aveva percorso sì e no cento metri quando sentì gridare dalla piazzuola del parcheggio. Accanto alla sua Jaguar si era fermata una Cadillac color bronzo e un giovanotto coi capelli rossi e un impermeabile bianco che gli sbatteva sulle gambe a ogni passo stava scendendo di corsa verso la spiaggia. «Simon! Simon Drake, aspettami!» Era Jack Keith. «Ho telefonato a The Mansion e Hannah mi ha detto che eri stato convocato negli uffici della polizia. Mi sa che ti trovi nei guai. Che cosa è successo?» «Un omicidio.» «Ho saputo. È una spiaggia privata o posso venire con te?» «Sei mio ospite.» Si misero a passeggiare insieme e Jack Keith fece il suo rapporto. «N.B. Kwan» attaccò. «Mi affidi sempre lavoretti semplici, eh? Kwan è stato infilzato su un balcone del Balboa Hotel, a San Diego. Ma tu lo sapevi quando mi hai chiamato. Da dove devo cominciare?» «Dall'inizio, e vai avanti finché ti sembra di aver detto qualcosa d'interessante.» «Assomigli ad Hannah ogni giorno di più, nel modo di parlare. D'accordo. Mi sono documentato su Kwan, all'università. Specializzato in scienze, ottimo studente, nessuna cattiva abitudine, niente donne. Viveva come un monaco e lavorava come un cane. Nato a Hong Kong nel 1942, da padre cinese e madre inglese. N.B. stava per Norman Bryce, quindi bisogna concludere che ebbe il sopravvento il lato materno. Passaporto inglese e non chiedermi dove ho grattato la fotografia.»
Era una foto piccola, formato tessera di Kwan. Simon la confrontò mentalmente con quella in gruppo sottratta dall'archivio di Sam Goddard. Identiche. «Un passo indietro» pregò Simon. «Niente donne?» «So cosa stai pensando. La morte è sopravvenuta in seguito a feroci percosse, ma non sembra ci siano moventi sessuali. In circoli non ufficiali si dice che si è trattato di un delitto per vendetta.» «Perché?» «Non si sa. Non ti ho detto che mi hai rifilato una bella gatta da pelare? La legge ha steso una cortina di silenzio e la stampa non se ne occupa più. Sento puzza di federali.» «F.B.I.?» «Anche. Gli abiti di Kwan sono stati confiscati, insieme a ciò che aveva indosso e al contenuto della valigia. Aveva l'abitudine di ritirarsi periodicamente in alberghi e motel per certe relazioni scritte. Un vero lupo solitario.» «Questo basterebbe già a metterlo in cattiva luce presso la nostra società di allegroni. Chi ha gli effetti personali di Kwan?» «Lo ignoro. Il mio informatore sa soltanto che ogni cosa è stata esaminata con tutti i mezzi a disposizione dei laboratori della polizia e che sono stati prelevati campioni delle sostanze rinvenute in fondo alle sue tasche.» «Marijuana?» «Qualcosa di più forte, credo. I federali non si muovono per un pivello che fuma un po' d'erba. Qualcuno ha comprato un abito nuovo a Kwan per il funerale.» «Non è stato seppellito.» «Lo so, sono al corrente della tua visita all'impresa di pompe funebri. Ma dimmi, Simon, com'è che ti trovi coinvolto in questo affare? Chi è il cliente?» «Potrei essere io» rispose pensieroso l'avvocato. «Ne parleremo più tardi. Piuttosto, che cosa sai di Max Berlin?» Evidentemente, Simon era l'unica persona che non leggesse "Chic", oppure Keith aveva già svolto un sacco di lavoro. «Nessuno "sa" qualcosa di Berlin» rispose Keith «ma tanti vorrebbero sapere. Una rinomanza ammantata di mistero, specie se è dubbia, non fa altro che rendere più attraente un uomo come Berlin. Si è fatto una fortuna grazie alla vanità femminile. Si dice che fornisca ai clienti dei suoi istituti altri servizi oltre quelli reclamizzati.»
«Dimagrimento, rilassamento e sesso» commentò Simon. «Suona invitante, come slogan.» «Se fosse quotata in borsa comprerei delle azioni della società. Berlin non ha precedenti penali, almeno sotto questo nome. Viaggia tranquillamente per tutto il mondo e ha un tenore di vita molto elevato. Anche Kwan non ha precedenti, e neppure il sedicente cognato, quel tale dottor Wong di El Centro. Certo che se Berlin è implicato nell'assassinio di Kwan, bisogna dire che ha dei nervi di acciaio: è andato a prelevare la salma sapendo benissimo che avrebbe potuto esser visto e riconosciuto.» «Forse non era preoccupato perché sapeva che l'assassino di Kwan era già morto» obiettò Simon, il quale continuò riferendo a Keith della chiamata urgente di Hannah, dopo l'arresto per ubriachezza e del successivo volo del defunto Monte Monterey. Parlò anche del funerale di Sam Goddard e delle foto rinvenute nella sua camera oscura. Gli occhi di Keith brillavano di eccitazione. «Molto interessante!» esclamò. «Il cadavere di Kwan fu scoperto solo lunedi mattina, quando la cameriera si mise a urlare sul balcone della camera accanto. La stanza che stava rassettando era di una certa Miss Potter di San Diego: il suo padrone di casa le stava facendo verniciare l'appartamento e lei non poteva sopportare l'odore di vernice fresca. Non udì nulla della colluttazione nella stanza vicina perché aveva preso un sonnifero; per lo meno questo è quanto disse al cronista di un quotidiano.» «Eve Potter» ripeté Simon. «Io so qualcosa che non ha detto al cronista. Aveva anche un altro nome: Eve Necchi.» 13 Simon si voltò di scatto verso Keith che stava ancora digerendo l'ultima informazione. «Necchi» ripeté l'avvocato. «Ho capito.» «Sei andato a controllare se l'appartamento di Eve Potter era stato davvero riverniciato?» «Naturalmente no. Io dovevo occuparmi di Kwan, non della ragazza della porta accanto. Che cosa c'è sotto l'assassinio della Necchi? Era drogata?» «No, un'ubriacona, ma non era questo il motivo della sua venuta a Marina Beach. Voleva ricattare una persona, e la vittima predestinata era il sot-
toscritto.» «Tu? Già, hai detto che potevi essere tu il "cliente". Che cosa aveva in mano contro di te?» «Niente se non un mediocre equivoco d'identità. In effetti sapeva qualcosa dell'assassinio di Kwan e adesso anche quella tenue traccia è sparita. Jack, continua a lavorare su Kwan; vedi se riesci a trovare un legame tra lui, Berlin e Monterey. Non voglio dirti ciò che ho appreso io perché potrebbe influenzare il tuo modo di procedere, ma credo che sia una faccenda alquanto complicata, e c'è qualcuno pronto a fare carte false perché rimanga insoluta.» In un punto dove le rocce offrivano riparo dal vento, Keith tirò fuori la pipa e la borsa del tabacco, caricò la pipa e l'accese usando un antiquato fiammifero controvento. Cosi facendo, l'impermeabile gli si aprì davanti e Simon scorse la pistola che il giovane portava al fianco e, per associazione d'idee, gli venne in mente che la pistola di Sam Goddard era sparita. Quando la pipa cominciò a tirare, Keith se la tolse di bocca e commentò: «Berlin, Kwan e Monterey, un triangolo interessante.» «Diciamo un quadrato» lo corresse Simon. «Un certo Sam Goddard stava viaggiando verso Santa Monica, dove Monte Monterey lo attendeva al Palms Hotel, e non chiedermi come faccio a saperlo perché non c'è tempo per un resoconto completo, quando la sua auto sbandò sulla litoranea a causa della nebbia e volò in un burrone. Puoi trovare l'annuncio mortuario sui giornali di martedì: vai alla biblioteca pubblica.» «Cause accidentali?» «Ufficialmente.» «Sono cose che succedono, Simon: mi sa che stai diventando troppo sospettoso.» «Forse hai ragione» ammise Simon. Keith alzò un dito in cenno di saluto e risalì la scaletta di cemento per raggiungere la sua auto, e Drake lo imitò poco dopo. Aveva ancora in tasca il foglietto preso dalla scrivania di Sam Goddard, con il numero di matricola e la descrizione della pistola. Raggiunse il telefono più vicino e chiamò Vera Raymond. La voce della donna era ferma e serena. Un buon pianto e una notte di sonno fanno miracoli in qualsiasi situazione. Le chiese in tono indifferente se Sam possedesse una pistola e ricevendo una risposta affermativa, la pregò di controllare se fosse al suo solito posto e le dette il tempo di andare a vedere. Quando riprese il ricevitore la voce di Vera era turbata: la pistola era sparita. No, non aveva visto
Sam prenderla partendo per Santa Monica il lunedì, ma questo non significava che non l'avesse presa. Gli effetti personali di Sam le erano stati restituiti dalla polizia di Enchanto, la quale però non aveva accennato al rinvenimento di un'arma tra i rottami dell'auto. «Forse l'aveva venduta» suggerì Simon. «Direi di no, perché proprio una settimana fa aveva parlato di insegnarmi a usarla: era preoccupato per l'ondata di teppismo che dilaga nelle città della costa. Diceva che se la legge non riusciva a proteggere la gente, i singoli dovevano arrangiarsi da soli. Non credete che abbia portato la pistola a pulire o a riparare?» «C'è un negozio di armi a Enchanto?» «C'è un buon negozio di articoli sportivi: si chiama Smitty's.» «M'informerò là» concluse Simon. Le notizie correvano più lentamente sulla strada di Enchanto che a Marina Beach: Vera non aveva accennato all'assassinio del motel e questo significava che non ne aveva sentito parlare, o che non lo collegava a Simon, e a lui andava bene così. Salutò Vera e telefonò al negozio di Smitty's. Non fu necessario descrivergli la pistola di Sam; gliel'aveva venduta Smitty stesso cinque anni prima. «Era una bell'arma... no, dopo la vendita non l'ho più vista. Sam è venuto qui circa una settimana fa per comprare una scatola di proiettili: voleva tirare un po' per tenersi in esercizio. Se ci fosse stato qualcosa che non andava alla pistola me l'avrebbe detto. Ma perché v'interessa?» «Perché la pistola è sparita» rispose Simon. «Sparita? Ma non bisognerebbe denunciare la cosa alla polizia?» «Infatti è quello che mi preoccuperò di fare.» A Simon piaceva guardare negli occhi i poliziotti, quando parlava con loro. Uscì dalla cabina telefonica e risali in macchina diretto a Enchantoby-the-Sea. Nella cittadina non c'era obitorio. Tutte le vittime di incidenti e omicidi venivano portate all'Impresa Willows, poiché questa possedeva l'unica autoambulanza della città. I poliziotti però avevano compilato un elenco degli effetti personali di Sam Goddard e la pistola non vi figurava. Simon forni il numero di serie della Smith & Wesson. «Potreste avvertire la pattuglia stradale di frugare la zona dell'incidente» suggerì. «Credo che Goddard portasse con sé la pistola: forse è volata fuori al momento dell'urto. Immagino non vorrete che la trovi qualche ragazzino e ci faccia il tirassegno su un agente.» Simon non dovette sprecare troppo fiato: lasciò il posto di polizia con la
netta impressione che sul luogo dell'incidente ogni singolo sasso sarebbe stato accuratamente rivoltato. Raggiunse il Graybar Garage, dove, a quanto gli avevano detto, i resti della Porsche attendevano il loro destino. «La carrozzeria è partita» annunciò laconicamente Graybar «ma il motore è in ottimo stato. Non so a chi appartengano questi rottami, ma se sono della signorina Raymond chiedetele che cosa ne vuole. Il motore mi farebbe comodo per una specie di carriola che sto costruendo per mio fratello.» «Come mai l'auto è tutta rovinata solo sul fianco destro?» chiese Simon. «Credo che abbia strisciato contro qualcosa. C'è una rete metallica che divide le corsie nel punto in cui la macchina è stata trovata. Penso che Goddard ci abbia sbattuto contro un paio di volte nella nebbia, prima di saltare la banchina. Sam era in gamba, ma guidava come un pazzo. La portiera si è spalancata e lui è volato fuori a capofitto. Non usava mai la cintura di sicurezza che gli avevo montato sull'auto.» «Morte istantanea?» domandò Simon. «Sentite, io sono meccanico, non medico. Ho visto qualcuno tirar fuori la pelle da un incidente del genere, ma si vede che era giunta l'ora di Goddard.» Simon non fece commenti. Diede un'occhiata all'interno della Porsche e trovò una carta stradale della California comprendente anche una parte del Messico, qualche chiave inglese, un cacciavite e una lampadina tascabile che non si accendeva. Graybar gli assicurò che nell'auto non c'erano pistole e gli consigliò di denunciarne la sparizione. «Con tutti i teppisti e i delinquenti che ci sono in giro, bisogna stare attenti che non si trovino in mano una pistola carica.» "Già, perché non ci avevo pensato?" mormorò tra sé Simon. La meta successiva era l'impresa di pompe funebri Willows. Trovò il padrone di umore gioviale; nessun funerale era previsto per la settimana, cosi ebbe il tempo di rammentare in quali condizioni si trovava il corpo di Sam Goddard quand'era stato portato da lui. «Però badate bene che non sono un inquirente, e la perizia l'ha fatta il dottor Moore, di Dover Point. Comunque posso dirvi che cosa rilevò: Goddard volò giù nel burrone insieme alla Porsche, ma non fino in fondo: il suo corpo è stato trovato a circa sei metri dai rottami, dove c'è una parete di roccia. È stato fortunato perché dev'essere morto sul colpo. Aveva qualche costola rotta e parecchie contusioni, ma è stato il colpo alla testa a ucciderlo. Dev'essere rimasto secco. A ogni modo questo è quanto disse il dottor Moore alla signorina Raymond, e non è certo il tipo che indora la
pillola.» «Un colpo alla testa» rimuginò Simon. «E se anziché urtare lui contro la roccia, fosse stata la roccia a urtare lui, la ferita sarebbe stata identica?» La domanda lasciò interdetto Willows. «È possibile...» rispose lentamente «è possibile, se è stato colpito da vicino e con forza. Ma è un'ipotesi assurda. Un automobilista ha visto l'incidente e ha avvisato la polizia.» «» Questa è nuova! «esclamò Simon sorpreso.» E chi era l'automobilista? «Non chiedetelo a me, ma alla pattuglia stradale: sono loro che hanno ricevuto la chiamata.» Era un suggerimento ragionevole e Simon decise di provvedere non appena gli fosse stato possibile. Lasciò l'impresa Willows e imboccò la litoranea seguendo il percorso sul quale Sam aveva trovato la morte. Non c'era nebbia a ostacolare il viaggio: solo il cielo plumbeo che pareva fondersi con l'argento increspato del mare. Simon viaggiava a velocità moderata cercando di comportarsi come avrebbe fatto Sam nella nebbia fitta e raggiunse ben presto il tratto di strada le cui careggiate erano divise da una rete metallica tanto tesa che la Porsche poteva benissimo averci rimbalzato contro senza riportare notevoli danni. Non sapeva con esattezza dove si fosse verificato l'incidente, ma quando vide un'autopattuglia bianca e nera e un gruppo di motociclette ferme sul margine della strada, decise di fermarsi dietro di esse. La polizia di Enchanto non aveva perso tempo. Simon scivolò fuori dalla Jaguar e si avvicinò. Al momento era visibile soltanto un rappresentante della legge: un agente in uniforme che stava metodicamente inalando un liquido nelle narici guardando giù nel burrone. Simon seguì il suo sguardo: tre altri agenti stavano frugandone il fondo roccioso dove alcuni arbusti strappati e un alberello con un ramo spezzato mostravano di essere stati danneggiati di recente. «Perso qualcuno?» s'informò Simon. L'agente tolse la boccetta dal naso e spostò lo sguardo su Drake. «Può darsi» rispose. «Sono un avvocato...» cominciò Simon. «Spiacente, non ci sono feriti.» «... ed ero amico di Sam Goddard» completò Simon. «Per curiosità, è qui che hanno trovato il cadavere?» L'agente portò la boccetta all'altra narice e aspirò. «È qui» confermò. Drake diede un'occhiata al tratto di strada che aveva appena percorso. Non c'erano curve né dossi e non si poteva scorgere il burrone in un gior-
nata serena... e meno che mai in mezzo alla nebbia. Forse l'informazione di Willows era campata in aria. Decise di fare il finto tonto. «Era una giornata di nebbia» disse. «Come avete fatto a trovare l'auto sfasciata se non sapevate dove cercare?» L'agente abboccò all'amo. «Non l'abbiamo trovata. Abbiamo ricevuto la segnalazione di un automobilista che aveva visto l'auto fare il volo. Si era fermato e aveva cercato di raggiungere i rottami, ma poi ha avuto paura di restare intrappolato a sua volta e ha raggiunto una stazione di servizio con il telefono, a circa tre chilometri.» «Una bella fortuna» ammise Simon. «Chi era l'automobilista? Uno di Enchanto?» «Non lo sappiamo: non ci ha detto il nome. Ha telefonato e ha detto che c'era un auto nel burrone tre chilometri a sud dell'incrocio di Sampson Road. Sono venuto qui io stesso, e il benzinaio mi ha detto che quel tizio era ripartito verso nord subito dopo averci chiamato.» «Strano che non si sia interessato dell'incidente.» «Forse non era un avvocato» ribatté seccamente il poliziotto. «Voi invece lo siete e dovreste sapere che i cittadini non s'impicciano volentieri di incidenti. È già tanto che ci abbia avvertiti. Ehi, laggiù, avete trovato qualcosa?» L'agente si avvicinò all'orlo della forra e seguì con lo sguardo uno dei suoi colleghi che tirava fuori qualcosa dalla fessura tra due massi. L'oggetto brillò un attimo al sole poi volò sul fondo quando si rivelò per un barattolo di birra vuoto. Il poliziotto sul ciglio della strada avvitò il tappo della boccetta e guardò sospettosamente Simon. «Che tipo di avvocato siete? Assicurazioni?» «Può darsi.» «Be', se volete davvero interrogare quell'automobilista potete trovarlo per nostro conto. Il padrone della stazione di servizio ha detto che guidava una Cougar verde scuro, ma non ha visto la targa. Gli è parso che ci fosse un'altra persona, o forse due sull'auto, che forse era nera anziché verde scuro, e che forse non era una Cougar ma una Barracuda o una T-Bird. Non vorreste prendere il mio posto, signore?» «Credo proprio di no» rispose Simon. La ricerca nella gola era ripresa, ma a lui interessava più il margine esterno della strada: non era asfaltato, era disseminato di pietre grosse abbastanza da rompere il cranio più resistente. Simon diede un calcio a una di esse e la guardò rotolare per pochi metri, poi notò un piccolo oggetto che brillava nella polvere e si chinò a
raccogliere un bossolo di pistola. Lo girò e lesse sul fondo: 38 speciale. «Trovato qualcosa?» chiese l'agente. «Soltanto un tappo di bottiglia» menti Drake «ma vi farò una profezia, e prendetela per ciò che vale: non credo che troverete la pistola di Goddard, laggiù.» 14 L'assassinio di Eve Necchi richiamò giornalisti e squadre della TV a Marina Beach, e Duane Thompson, cogliendo l'occasione di dare maggior lustro alla sua immagine pubblica, occupò buona parte del telegiornale serale. Fu raffinato, suadente e amabile: il sorridente Procuratore Distrettuale di Marina Beach che sogna il seggio di governatore. Simon spense la TV. Hannah, seduta accanto a lui in salotto, pareva affascinata dallo schermo spento. «Continua a sorridere come un beota» osservò. «E, tanto per cambiare, le sue conclusioni sono sbagliate.» «Vuoi dire che non si è trattato di un delitto passionale?» «Già. Probabilmente Thompson avrà fatto ricercare quel marine...» «Quale marine?» «Uno fotografato in atteggiamento tenero con Eve Necchi, nel 1959. Avrebbe dovuto chiedere a Franzen, prima di fare quell'affermazione sul delitto passionale. Qualsiasi poliziotto con un briciolo di esperienza gli avrebbe detto che Eve non è stata uccisa da qualcuno che l'aveva amata. Il cadavere è stato cacciato nella doccia in atteggiamento deliberatamente volgare. Uno che avesse amato la ragazza, anche se l'avesse uccisa accecato dall'odio, ne avrebbe lasciato il corpo in un'altra posizione.» «Allora può essere stata opera di un maniaco omicida.» «No, l'assassino ha agito freddamente: sapeva quello che faceva, chi stava uccidendo e perché.» «Perché?» s'incuriosì Hannah. «Tiro a indovinare, ma secondo me quando Eve mi ha sfilato quelle foto dal portafoglio, deve aver capito che cos'erano e si è spaventata. Ha lasciato l'albergo circa mezz'ora dopo essere uscita dalla mia stanza. Sono convinto che si è incontrata con qualcuno, col quale ha discusso la cosa, poi lei ha deciso di venire qui e di attirarmi in quel motel.» «Per ricattarti?» «Secondo quanto ha detto, si. Forse era solo un sondaggio per scoprire
quanto sapevo dell'assassinio di Kwan. È soprattutto il movente dell'assassinio di Eve, che mi lascia perplesso. Era il tipo che si può liquidare senza rimorsi, e forse è stata uccisa per implicare me.» Hannah seguiva attentamente il ragionamento di Simon. «Continua» lo sollecitò. «D'accordo. Questo è tutto quanto so. Eve mi ha telefonato la notte scorsa dalla cabina davanti alla direzione del motel: aveva scritto il mio nome e il mio numero sulla copertina dell'elenco telefonico. Perché, non lo so.» «Forse temeva di dimenticarlo, e l'ha scritto per controllare. Talvolta lo faccio anch'io.» «Va bene, accettiamo questa ipotesi. Ora però Franzen ha in mano quella copertina. Ha detto che non l'avrebbe mostrata a Thompson, ma se Thompson ne scopre l'esistenza e risale a Eve, e ricollega la presenza di Eve al Balboa proprio la notte in cui vi alloggiai io... no, aspetta, c'è un punto a mio favore: la ragazza si era registrata come Eve Potter.» Simon si alzò e sgombrò il tavolino, poi andò in camera sua e ne tornò con il mazzetto di fotografie che aveva preso nella camera oscura di Goddard e la copia di "Chic", e li depose sul tavolino. Hannah si protese per vedere meglio; era interessata, ma pensava ancora all'assassinio di Eve. «Non ti hanno visto al motel la notte scorsa, vero?» «Credo di no; Gusik, no di sicuro. Suppongo che Franzen me l'avrebbe detto se avesse avuto un testimone oculare o qualcos'altro contro di me, oltre alla copertina della guida telefonica, ma può anche darsi che non giocasse con tutte le carte scoperte.» «Quanto tempo ci metterà Duane Thompson a capire che Eve Necchi e Eve Potter sono la stessa persona?» «Conoscendo il nostro amico, un sacco di tempo. Se però Franzen decidesse di prendere le redini della partita e di condurre un'indagine per conto suo, mi troverei nei guai.» «Allora non hai molto tempo a disposizione per trovare l'assassino, no?» Era un circolo chiuso: iniziava a San Diego con un eurasiatico a nome Kwan che prendeva abitualmente alloggio per brevi periodi in alberghi e motel per fare degli studi particolari. Ma come mai sceglieva una stanza d'albergo con il balcone che s'affacciava su un bar, dove l'orchestra faceva un tal fracasso da mandare a pallino la concentrazione? Alla Mission Bay c'erano motel che potevano offrire silenzio e isolamento tali da far contento Robinson Crusoe. C'era un motivo evidente che poteva essere o no quello giusto: il Balboa Hotel era situato in centro e facilmente raggiungibile
con i mezzi pubblici. Avrebbe potuto essere un punto di ritrovo. Simon lasciò senza risposta la domanda di Hannah e aprì "Chic" all'articolo su Max Berlin, poi prese la foto del gruppo dell'archivio di Goddard e la posò accanto a una delle foto di Berlin. «Le ho prese nella camera oscura di Sam Goddard» spiegò ad Hannah. «Vedi nessuno che conosci?» Hannah inforcò le lenti bifocali e si chinò più vicino al tavolo. «Max Berlin» disse lentamente. «Dove è stata scattata?» «Nel suo "istituto", appena oltre il confine meridionale.» «E c'è anche Monte! Che cosa credi... Hai capito! Quel vecchio sornione si sottoponeva ai trattamenti di bellezza: ecco perché manteneva intatto il suo bel profilo!» Frugò tra le fotografie e tirò fuori gli ingrandimenti di due degli uomini del gruppo e due primi piani dei visi avvolti nelle bende. «E fanno anche operazioni chirurgiche» commentò. «Tipo stiramento del viso?» «Oh, ha un nome più distinto! Non vedi, l'articolo dice che il padre di Berlin era chirurgo in Germania.» «Tu credi a tutto ciò che leggi?» «Perché non credere a questo? Il piccolo Max, o quale che sia il suo vero nome, ha seguito le orme del paparino, ma è stato più furbo di lui: ha commercializzato la sua abilità.» «Così abbiamo sott'occhio un altro aspetto dell'attività dell'istituto» disse Simon. «Vera Raymond mi ha detto che Sam aveva pensato di scrivere un servizio su Max Berlin, e poi non ne aveva fatto più niente. Forse era una patata che scottava troppo per maneggiarla. Perché credi che abbia raccolto questi primi piani e questi ingrandimenti?» «Che siano "prima" e "dopo" la cura?» suggerì Hannah. «Può darsi: ma qual è il "prima" e quale il "dopo" la cura?» Hannah esaminò di nuovo le foto. Nessuno degli uomini ritratti era una bellezza: quello coi lineamenti pesanti sembrava un gorilla e quello più guardabile aveva un aspetto flaccido e fatuo. In confronto all'abbronzatura di Berlin erano entrambi pallidi. «Se la foto in gruppo non è di prima della cura dovrebbero farsi restituire i quattrini» osservò Hannah. «È proprio ciò che stavo pensando: se le cose stanno cosi, Sam non ha scattato altre foto in seguito, e noi non sappiamo che faccia abbiano adesso quei tizi.» «Oh, dovrebbero essere riconoscibili, a meno che tu non pensi alla chirurgia plastica invece che allo stiramento del viso.»
«Infatti.» «Ma perché?» «Chi altro vedi nel gruppo fotografico?» «Un asiatico.» «È N.B. Kwan.» «Kwan? L'uomo assassinato al Balboa?» «Proprio lui. Questo allarga il campo delle ipotesi, no?» «Interessante» annui Hannah. «Credi che Monte sapesse che Sam aveva scattato quelle foto?» «Non sono in grado di dirlo.» «Ma due delle persone fotografate sono morte, adesso, e anche Sam Goddard è morto. Simon, sei sicuro che si sia trattato di un incidente?» «A questo punto non sono più sicuro di nulla; certo è che non sarà facile provare il contrario. Il corpo è stato cremato. So che Sam stava viaggiando verso Santa Monica quando avvenne l'incidente, perché questo è ciò che ha detto Vera, e io ho trovato nell'auto noleggiata da Monterey una carta dell'autostrada, che gli era stata offerta dal Palms Hotel di Santa Monica. Credo che possiamo supporre che Goddard avesse un appuntamento con Monterey, e che dovessero parlare di quel tale infilzato sul parapetto del balcone, fotografato da Sam.» «Il Palms!» esclamò Hannah. «È ancora aperto? Immagino che l'avranno rimodernato, come tutto il resto. Era un posticino allegro tanti, tanti anni fa.» «Allora è un nome che Monterey doveva ricordare... come ricordava il Seville Inn.» Hannah si era fatta pensierosa. «Simon, c'è una cosa che non capisco: se Monte aveva ucciso Kwan (e se l'ha fatto doveva essere accecato dalla collera, perché Monte non era il tipo dell'omicida) e poi ne ha parlato a Sam, perché non è andato addirittura a casa sua? Enchanto è sulla strada di Santa Monica.» «Se aveva ucciso un uomo che era coinvolto in un'attività criminosa, un uomo la cui morte poteva scatenare la vendetta, doveva aver troppa fretta di scappare per fermarsi da qualche parte. A parte questo, aveva in tasca la ricevuta per il noleggio di un'auto della Able Rentals di Santa Monica, e questo starebbe a indicare che non ha percorso la litoranea. Probabilmente è scappato subito dopo aver telefonato a Sam. Usa la tua immaginazione, Hannah: pensa in che stato di sovreccitazione doveva trovarsi uno che avesse appena ucciso Kwan in quel modo barbaro. Mi pare che possiamo
prendere a prestito l'espressione roboante di Duane Thompson e chiamarlo un delitto passionale. Non so in quale pasticcio avesse le mani Kwan, ma credo che facesse ben più che i compitini, in quella stanza d'albergo. E di qualsiasi cosa si trattasse, c'era dentro anche Monterey.» «E Max Berlin?» «Anche lui, a quanto pare. Tu hai delle espressioni particolarmente azzeccate, Hannah. Ricordi che mi dicesti che Monterey era in preda al panico? In questa foto è rilassato; che impressione ti fa?» «Mi sembra stanco» sentenziò lei. «Ma sta riposando vicino alla piscina.» «Eppure ha l'aria stanca, tesa: ecco il termine adatto. È tutto tranne che rilassato, Simon.» «E Kwan? Che cosa leggi sul suo viso?» «Intelligenza, sicurezza. Si, lui è disteso. Gli altri due... potremmo chiamarli Rosenkrantz e Guildenstern...» Hannah prese la fotografia e studiò attentamente i due uomini «...hanno l'aria soddisfatta di sé: hanno ingoiato il canarino con penne e tutto e l'hanno trovato squisito. Non mi piacciono per niente. Non sono attori, sembrano piuttosto gangster.» «Pensi ancora a quella bomba, eh? Be', adesso dimmi che cosa vedi sul viso di Max Berlin.» Hannah impiegò parecchi minuti a esaminare tutte le foto di Max Berlin. Era un tipo fuori del comune, prestante, dominatore e aristocratico. «Ha dei tratti delicati, ma non è femmineo, anzi, è molto mascolino. Un tipo duro. Doveva esserlo, per sopravvivere.» «L'articolo dice che non si è mai sposato.» «Lo credo bene! Non capisci che tutte le mogli annoiate e insoddisfatte di uomini d'affari gli si buttano addosso e lui se la spassa un mondo a respingerle in malo modo? I tipi come lui hanno una grossa pecca: non sanno dare amore se non conquistano. Secoli fa avrebbe adorato una regina da lontano, amoreggiato con una danzatrice... e poi avrebbe finito per fondare un ordine monastico. Cento anni fa...» «E trent'anni fa?» Hannah tacque. Ascoltava gli echi del passato: il tonfo cadenzato degli stivali sul selciato; le giovani voci che cantavano marce travolgenti che si trasformavano in acclamazioni isteriche: "Sieg Heil! Sieg Heil!" La voce della follia. Con un brivido, Hannah respinse la rivista. «Mio Dio, hai ragione» disse con voce rauca «trent'anni fa quel bel teutone poteva essere uno della Hitler Jugend.» Il viso di Max Berlin tradiva
la crudeltà, l'orgoglio, e il suo sorriso sardonico sembrava voler dire che aveva risolto l'enigma della vita, scoprendone il ridicolo meccanismo. Hannah aveva ragione: quell'uomo era un tipo duro. «Kwan era nato a Hong Kong» osservò Simon. «Un posto incantevole: ci sono stata durante la mia seconda luna di miele.» «Non credo che il quartiere di Kwan fosse tanto incantevole. Gli agenti federali indagano sulla sua morte. Keith pensa che abbiano trovato qualcosa nei suoi abiti: probabilmente eroina.» «Ti avevo detto che quella bomba nella mia auto era roba di gangster!» «Ma perché? Sei sicura che Monterey non ti abbia detto qualcosa? Che non abbia accennato a un nome o a una località?» «Simon, giuro che ti ho riferito tutto ciò che ricordavo.» «O forse ha tentato di darti qualcosa? Aveva niente in mano?» «Come faccio a saperlo? Ho visto soltanto quella terribile espressione che aveva sul viso.» «Dev'essere così: stanno cercando qualcosa» mormorò Simon. «Kwan si trovava in albergo per incontrare qualcuno e ricevere una consegna, ed è stato percosso e assassinato. Max Berlin è sceso dal suo piedistallo quanto bastava per riconoscere la salma e pagare le esequie. La stanza di Monterey al Seville Inn è stata frugata e sul balcone si è trovata la sedia con un'impronta di olio sul cuscino. Servendosi di quella, un uomo agile poteva arrivare alla grondaia.» «Per nascondere qualcosa?» domandò Hannah. «O per cercarla... No, forse hai ragione tu. Potrebbe esser stato Monterey a mettere quella sedia sul balcone. Se è cosi, se ha messo qualcosa sulla grondaia, è ancora là. Hannah, hai detto bene: non ho molto tempo a disposizione per acciuffare l'assassino di Eve Necchi.» Raccolse le foto di Sam Goddard e le ripose nella cartelletta. Con due dei soggetti e il fotografo passati a miglior vita, quell'istantanea di gruppo stava già diventando un pezzo da amatore. Simon telefonò poi al Palms Hotel di Santa Monica e chiese se Martin Montgomery era stato ospite dell'albergo la settimana precedente. Il direttore si tenne sulle sue e volle sapere se il signor Drake lavorasse per la polizia. «Il signor Drake lavora per la Continental Pacific Insurance» rispose Simon. Le parole magiche sortirono il risultato sperato: effettivamente il signor Montgomery aveva preso alloggio al Palms domenica sera, e il lunedi mattina era partito senza preavviso, senza pagare il conto e portandosi via il bagaglio, sicché qualcuno
doveva ancora all'albergo dodici dollari. «È quanto volevo sapere» disse Simon. «Mandate il conto alla Continental Pacific: pagheremo non appena la pratica sarà definita.» Si affrettò a posare il ricevitore prima che il direttore dell'albergo si rendesse conto che le probabilità di quella definizione erano di una su un milione, poi lo risollevò per chiamare la Able Rentals di Santa Monica. Fu sufficiente nominare Martin Montgomery e tenere il ricevitore a trenta centimetri dall'orecchio. «Assicurazioni!» ringhiò l'autonoleggiatore. «Ho fatto ritirare dal mio agente di La Verde la Ford noleggiata da quel tizio: è inservibile! Il radiatore, il paraurti, i fari, persino la tappezzeria sono rovinati.» «Che cosa è successo alla tappezzeria?» «È stata massacrata! Una Ford nuova di zecca con meno di quindicimila chilometri e quel disgraziato mi va a tagliuzzare la tappezzeria come se fosse un salame! Non mi meraviglia affatto che si sia gettato dal quarto piano: era pazzo!» 15 «Vandalismo.» Il tenente Job Rickey, seduto dietro la sua scrivania al posto di polizia di La Verde spiegò il tagliuzzamento della tappezzeria della Ford, noleggiata da Monterey, con quell'unica parola priva di fantasia. Quel termine avrebbe fatto la sua figura su una denuncia di danni, ma Simon non era un agente assicurativo: era un avvocato ficcanaso che voleva sapere come mai un'auto potesse essere danneggiata mentre si trovava custodita nella rimessa della polizia. «Abbiamo trovato il lucchetto scassinato» spiegò Rickey. «L'interno della Ford non era conciato così la prima volta che ho visitato la rimessa» ribatté Simon. «Ho aperto la portiera e ho guardato dentro: c'era soltanto una cartina stradale omaggio del Palms Hotel di Santa Monica.» «E voi ve la siete presa!» strepitò Rickey. «Questo si chiama sottrazione di prove, avvocato Drake.» «Prove di che? Monterey non si è forse suicidato?» Rickey parve imbarazzato, e si mise a rovistare nel primo cassetto della scrivania. Simon rammentò che Keith sospettava che le indagini sulla morte di Kwan fossero passate in mano ai federali e si chiese se conoscessero
l'esistenza di quel gruppo che Sam aveva fotografato all'istituto messicano di Max Berlin. Rickey smise di frugare nel cassetto e tirò fuori un incartamento: l'apri e lo fece scivolare verso Simon. «Qui c'è la copia della perizia necroscopica che volevate, e non mi è piaciuto affatto il rabbuffo di Whitey Sanders: ci gioco insieme a golf, ma non sono il suo lacché.» «State diventando suscettibile» osservò Simon. «È stata rilevata la presenza di alcool nel sangue di Monterey?» «Troverete tutto nel rapporto. In parole povere, la risposta è negativa: non si è rilevata la presenza di alcool nel sangue di Monterey. È morto per le lesioni multiple riportate nella caduta, e aveva cessato di vivere da più di due ore quando il suo corpo è stato raccolto dall'autolettiga, alle sette del mattino. Lo so perché c'ero anch'io. La rigidità cadaverica era già in atto. Il rigor mortis comincia dalle due alle sei ore dopo la morte, avvocato Drake, ed è condizionato da un sacco di fattori. Sappiamo che Monterey rientrò al Seville Inn poco prima delle due del mattino, prese la chiave e sali in camera sua; sappiamo quindi che è morto tra le due e le quattro e mezzo, ma è probabile che l'ora del decesso sia più vicina alle due e mezzo che alle quattro e mezzo.» «Non potete stabilire con maggiore approssimazione l'ora del decesso?» domandò Simon. «Non sapete leggere, avvocato Drake?» ribatté Rickey. Simon piegò i fogli del referto e se li mise in tasca. Forse avrebbe avuto bisogno di un dizionario-medico per decifrare i termini più squisitamente tecnici del referto, ma al suo udito fine non era sfuggito il turbamento di Rickey. «Allora è evidente che Monterey non è caduto dalla ringhiera delle scale in preda ai fumi dell'alcool.» «Parrebbe di no.» «E che non era al verde o sofferente di un male incurabile.» «Direi di no, stando al referto.» «Però portava addosso una bottiglia di whisky che è andata in frantumi nella caduta. Voi dovete aver visto la bottiglia, tenente: il sigillo era stato rotto?» Rickey era imbarazzato. «Sì» ammise «ma forse non significa nulla. Magari erano giorni che Monterey si portava in tasca quella bottiglia.» «E se vi dicessi che Monterey non beveva whisky?» «Vi risponderei che i turisti ne portano sempre con sé una bottiglia
quando fanno viaggi lunghi, specialmente in zone montagnose o desertiche, per il caso che serva.» «Giusto» ammise Simon. «Non si sa mai quando si può incontrare un serpente.» Simon arrivò in Jaguar al Gateway Bar, nel quale provava il giovane Buddy Jenks e il suo complesso. Buddy, in tenuta sportiva, suonava senza badare alla turba di adolescenti che si divoravano con gli occhi il loro nuovo idolo. Anche Simon fu come affascinato dal magico suono della sua tromba, finché non si sentì trapanare il cranio dallo sguardo di un tizio con i pantaloni da sera e un maglione nero. Si voltò e gli chiese dove potesse trovare Whitey Sanders. «Avete un appuntamento?» «Non occorre: sono amico di famiglia.» «Il signor Sanders non ha famiglia, e io sono il direttore del locale» puntualizzò l'uomo. «Mi chiamo Alex Lacey. Se desiderate fissare un appuntamento...» «Voglio vedere il signor Sanders» insistette Simon. «Non ho molto tempo; il mio nome è Simon Drake.» Simon comprese di essere stato riconosciuto dal lampo negli occhi di Lacey, il quale sprizzava cordialità quanta può sprizzarne un manichino. Alle sue spalle, un breve corridoio portava a un ufficio la cui porta aperta lasciava scorgere una scrivania e un telefono. Simon si mosse in quella direzione, ma Lacey gli sbarrò il passo. «Il signor Sanders non è in ufficio.» Questa volta Drake notò nella sua voce un'inflessione nasale e ricordò l'inclinazione di Lacey a intercettare le telefonate. «Dove?...» cominciò. «Potreste provare alla piscina dietro il motel» consigliò il direttore. «Il signor Sanders ha un villino là; solitamente ci sono ospiti, la domenica.» «Faccio un salto là; intanto voi pigliate il telefono e avvertite il signor Sanders che lo sto raggiungendo.» L'abbronzatissimo Whitey Sanders, che indossava soltanto un paio di calzoncini da bagno bianchi, era comodamente disteso in una poltroncina accanto alla piscina, con un bicchiere in mano e il telefono su un tavolino accanto. Era circondato da un nugolo di splendide ragazze in bikini. Con un rapido calcolo, Simon giudicò che la più vecchia di loro doveva toccare sì e no i ventun'anni.
«Salve, venite qui a godervi il panorama» lo salutò Sanders. Simon si avvicinò, scrutando quell'harem acquatico. «Ce n'è per tutti i gusti, ma io sono tradizionalista: preferisco le bionde» commentò sorridendo. «Bene. Sedetevi qui e lustratevi gli occhi. O forse preferite farvi una nuotata? Nel villino alle vostre spalle ci sono dei costumi a disposizione. Come sta Hannah?» Era facile capire come avesse fatto Whitey Sanders a raggiungere un così rapido successo. Era in grado di parlare contemporaneamente di svariati argomenti, di ricordare nomi, di essere affascinante e di non lasciarsi sfuggire nulla di bocca. «Hannah è abbastanza su di morale... considerando che qualcuno ha ficcato una bomba nella Rolls il giorno che l'ho portata a casa.» Studiava il viso di Whitey che rimase perfettamente immobile, ma non poteva vedere i suoi occhi, nascosti dagli occhiali da sole. «Perché?» chiese Sanders. «È ciò che mi chiedo anch'io.» «Che ne pensa la polizia?» «La polizia non ne sa niente perché la bomba l'ho scoperta io. La polizia però sa che qualcuno ha tagliuzzato la tappezzeria della Ford noleggiata da Monterey per venire qui da Santa Monica. Rickey lo definisce vandalismo. Voi come lo chiamereste?» Whitey gli lanciò un'occhiata. «Posso ordinarvi qualcosa da bere al bar? lo ho smesso di bere liquori da parecchi anni, ma non è detto che voi dobbiate imitarmi.» «No, grazie.» «Neppure una bibita?» «Neppure quella.» Whitey pescò dal secchiello termico che aveva vicino un barattolo di coca-cola, lo forò e bevve a garganella per parecchi secondi. Quando Simon credeva ormai che Whitey avrebbe lasciato cadere l'argomento, questi riprese: «Voi siete convinto che Monte sia stato fatto volar giù, vero?» «E chi avrebbe potuto farlo?» domandò a sua volta Simon. «La persona per fuggire la quale Monterey aveva noleggiato l'auto. Abbiamo un regolare servizio di autobus che passano da La Verde, sapete, con aria condizionata e compartimento panoramico; abbiamo anche un volo giornaliero di una compagnia di linea. A Monte non piaceva guidare: aveva avuto un incidente d'auto circa trent'anni fa; uno di quegli sconquas-
si in cui chiunque, salvo un attore, sarebbe rimasto secco. In seguito, si limitò a cavalcare e a scalare balconi.» Simon trasalì. «Avete detto balconi?» «Monte non voleva controfigure.» Al Balboa Hotel di San Diego c'erano dei balconi, ma Whitey non poteva essere al corrente di quell'omicidio perché Vera non aveva lasciato entrare nessuno nella camera oscura di Sam, dopo la sua morte. Drake cominciava ad avere i nervi tesi. Whitey aveva usato quella parole per caso, senza sottintesi. «Avete avuto il referto del medico legale?» chiese Whitey. «Sì, e non c'era alcool nel sangue di Monterey.» «Dunque pensate che la bottiglia di whisky gliel'abbiano messa addosso per far credere che era sbronzo, quando è volato nella tromba delle scale.» «Credete?» fece Simon. Era interessante ascoltare Whitey Sanders che traduceva in parole i suoi stessi pensieri, e voleva sentire qualcos'altro. Si appoggiò allo schienale della poltroncina per guardare le ragazze che si divertivano nella piscina privata; quando cominciava a rilassarsi ne notò una molto carina che non gli era sconosciuta. Si chiamava Bonnie Penny e non si trovava nel luogo giusto. Simon trovò la cosa più interessante della conversazione di Whitey. Si alzò. «Ho deciso di accettare la vostra offerta dei calzoncini da bagno. Dove posso trovarli?» «Ingresso principale, la prima porta a destra» gli spiegò Whitey. «Sono in una cassettiera.» Simon trovò un costume che si adattava alla sua circonferenza di vita non esattamente da cultore dell'esercizio fisico, lo infilò e si affrettò a tornar fuori. Bonnie, in bikini arancione, era appena uscita dall'acqua sul lato opposto della piscina, ed era troppo intenta a scuotere i capelli per notarlo. Simon si tuffò e attraversò tutta la vasca in immersione; quando tirò fuori la testa, si trovò proprio davanti agli occhi le gambe della ragazza. La tentazione fu troppo forte: l'afferrò per le caviglie e la trascinò in acqua. Bonnie cacciò uno strillo, sputacchiò, poi riconoscendolo, scoppiò a ridere. La risata suonò forse un tantino falsa, ma Bonnie Penny era addetta alle pubbliche relazioni di un albergo e una buona impiegata non è fuori servizio neppure la domenica. «Mi riconoscete anche senza vestiti?» domandò Simon, tenendosi pigramente a galla.
«A quanto pare è lo stesso per voi» rispose la ragazza. «Che cosa fate da queste parti?» «Ho attraversato la vasca per chiedervi la stessa cosa.» «Io sono sempre qui la domenica. Al Seville Inn sono una semplice impiegata. Vi sfido fino all'altra sponda.» Bonnie nuotava come un pesce, e la breve gara terminò con la sua vittoria schiacciante. La ragazza sali la scaletta e condusse Simon verso due sedie a sdraio di plastica gialla sulle quali erano appoggiati degli enormi asciugamani di spugna morbida, omaggio del Gateway Motel. Bonnie ne prese uno e si diede a strofinare il torace di Simon. «Non è meraviglioso essere vivi?» trillò. «L'acqua, il calore del sole, persino gli asciugamani hanno un buon odore. Trovate che mi comporto come un animaletto?» «Siete meravigliosamente giovane e non c'è nulla di male nel vostro comportamento» la rassicurò Simon. Dove avete conosciuto Whitey Sanders? Bonnie arricciò il naso. «Sapete mantenere un segreto?» «No.» «Allora non vi dirò che Whitey è il mio capo.» «È proprietario anche del Seville Inn?» «Già; per la verità dev'essere il proprietario di circa il quaranta per cento di La Verde, ma qui nessuno se ne preoccupa perché è un ragazzo tanto a posto...» «Generoso?» Bonnie aveva smesso di annusare l'asciugamani usato per strofinare il petto di Simon e si era seduta, stendendosi pigramente la spugna sulle gambe. «Che fine fanno queste nuotate settimanali quando Whitey se ne va da qualche parte... a Tucson, per esempio?» «Non fanno nessuna fine. Veniamo qui ugualmente.» «Senza contropartita?» Bonnie smise di asciugarsi le gambe e lo fissò. Vi fu un attimo di silenzio diffidente, poi la ragazza domandò: «Che cosa vi passa per la testa, Simon Drake? Pensate ch'io sia la ragazza di Whitey Sanders?» «Non lo siete?» «No, non adesso, almeno. Sono liberissima.» Nel silenzio che seguì si diffusero le note argentee della tromba di Buddy; il viso di Bonnie s'illuminò. «Questo è Buddy!» esclamò. «Non è divino? Oh, è unico!»
Simon comprese tutt'a un tratto che la ragazza aveva una cotta per Buddy. Rammentò la risata femminile nel camerino di Buddy, che aveva udito la sera in cui stava cercando di mettersi in contatto con Whitey, e al tempo stesso gli tornò alla mente l'impressione che gli aveva fatto Bonnie quel giorno al Seville, quand'era salito nella camera di Monterey: che fosse la ragazza del direttore. Diede un'occhiata alla piscina e vide Whitey in piedi sull'orlo della vasca che osservava le nuotatrici. Era venuto il momento di esser seri. «La stanza 464 del Seville è libera?» chiese a bruciapelo alla ragazza. Bonnie scese dalle nuvole. «Non vorrete avere quella stanza!» protestò. «Perché no? Dovrò pur dormire da qualche parte, e quella camera gode di una bella vista.» «Ma... è morboso. Sapete bene che ci ha dormito Monterey!» «Siete andata al suo funerale?» «No, perché avrei dovuto?» «Whitey ci è andato.» «Vi ho già detto che non sono la sua...» Bonnie non terminò la frase. Simon le aveva appoggiato una mano sulla gamba ancora bagnata, premendo leggermente, e seguiva il suo sguardo spostarsi rapido verso Whitey che stava ancora scrutando le bagnanti. Simon ebbe un breve sorriso. Dopo tutto, la prima impressione poteva essere quella giusta. «Ho capito, siete liberissima. E adesso ditemi: leggete "Chic"?» «State facendo un sondaggio d'opinioni?» «In un certo senso sì. Avete letto l'ultimo numero con il servizio su Max Berlin?» Bonnie scoppiò a ridere. «Oh... quello!» «Che cosa volete dire?» «Be', che è tutta pubblicità, no? Se conoscete le persone giuste, potete far stampare qualsiasi cosa dovunque.» «Bene, stabilito che sapete chi è Max Berlin, posso chiedervi se l'avete mai visto al Seville Inn?» Bonnie non mutò espressione, ma Drake sentì contrarsi i muscoli della coscia sotto la sua mano. «Non vedo perché dovrebbe interessarvi.» «Allora l'avete visto?» «Non ho detto questo. Cambiate argomento così in fretta che non date alla gente il tempo di pensare. Non so neppure perché...» Bonnie s'interruppe perché l'atmosfera si era improvvisamente raggelata. Simon alzò gli occhi insieme alla ragazza e videro entrambi Buddy, che aveva smesso di
provare senza che loro se ne accorgessero, il quale li fissava con un'espressione di orgoglio maschile ferito, cincischiando una sigaretta tra le dita. «Nessuno ha un fiammifero?» Simon tolse la mano dalla gamba della ragazza per alleggerire la tensione. «Mi spiace, non li porto mai quando nuoto» disse. «Fumare sott'acqua fa male ai polmoni.» Adesso Buddy sembrava un ragazzino, con quell'aria imbronciata. «Lo chiederò ad Alex» si rassegnò, ma non si mosse da dietro la sedia di Bonnie. Simon si piegò sulla ragazza, le bisbigliò all'orecchio "Ammaliatrice di liceali", poi si tuffò. Nuotò fino al lato opposto prima di voltarsi: Bonnie e Buddy erano già spariti nel tramonto come nella dissolvenza finale di un film, mentre Whitey, solo, fissava l'acqua azzurrina della piscina. 16 Era di turno la pallida signorina Hawks quando Simon arrivò al Seville Inn con la sua valigetta ventiquattr'ore e chiese la stanza 464. L'impiegata non batté ciglio. «Mi rincresce, signor Drake, ma quella stanza è occupata.» «Vedo che mi ricordate» disse Simon. «Mi fa piacere... oppure vi ha telefonato qualcuno per avvertirvi che arrivavo?» La signorina Hawks non arrossì: forse non aveva neppure abbastanza sangue in circolo. «Non capisco che cosa vogliate dire. Vi ho riconosciuto e basta.» «E la camera 462?» «È stata trasformata in ripostiglio parecchi anni fa. Posso darvi la 468, nella stessa ala, ma più vicino all'ascensore.» «Ottimo» dichiarò Simon. «Salgo da solo: conosco la strada.» La stanza era identica a quella occupata da Monterey, soltanto che la sua disposizione interna era invertita e i colori più chiari. Un minuscolo balconcino si apriva in fondo alla stanza. Simon aprì la finestra e si sporse per cercare di localizzare il balcone della stanza 464, ma senza risultato. Era troppo presto per contare le finestre illuminate, così rientrò e si riposò finché calò l'oscurità. Quando vide le luci del patio riflesse nelle finestre che davano sulla terrazza si alzò e chiuse le tende di pesante broccato, poi accese la luce e uscì sulla terrazza, tirandosi dietro il battente. Come aveva sperato, un filo di luce trapelava dalle tende, e questo significava che sarebbe avvenuto lo
stesso per la stanza 464, se ci fosse stato qualcuno. Arrivò fino alla porta finestra di quella camera: era tutto buio e le tende aperte. Scrutò dentro e distinse appena i mobili e il letto accuratamente rifatto. La camera pareva vuota. Drake rientrò nella propria stanza e fece chiamare il 464 dal centralino; poco dopo gli dissero che non rispondeva nessuno. Esattamente come voleva. Apri la valigetta e tirò fuori un paio di scarpette di tela con la suola di gomma, un pesante pullover nero e una lampada tascabile: le scarpette di gomma gli servivano per muoversi più agilmente e la lampada tascabile per cercare ciò che Monterey aveva preso a Kwan e che era tanto importante da provocare la morte di altre persone. L'altra volta, l'austera presenza di Bonnie Penny gli aveva impedito di frugare a fondo, e poi lui stesso non aveva saputo prevedere la reazione a catena che la morte di Monterey avrebbe scatenato. Tirò fuori dalla valigetta anche una strisciohna di celluloide e un rotolo di corda attaccato a un robusto gancio. Così attrezzato, Simon tornò alla stanza 464 e forzò la serratura della porta-finestra con il pezzo di celluloide. Le stanze all'ultimo piano erano le più care, per questo, Simon non si meravigliò di trovare ancora deserta la terrazza. A ogni buon conto, appena entrato richiuse le tende, poi accese la lampada tascabile e si guardò intorno. La stanza non era stata occupata di recente: i portacenere erano puliti e le bustine di fiammiferi intatte; la sedia col rivestimento di stoffa sporco era stata sostituita. Simon controllò accuratamente i condotti d'aerazione, lo scarico dell'acqua in bagno, il caminetto e guardò sotto il materasso. Tastò il tappeto in cerca di gonfiori sospetti e infine, ormai sicuro che Monterey non aveva lasciato nulla nella stanza, prese la sedia dello scrittoio e uscì sul balconcino posteriore. Visto di notte, sembrava molto più alto. Le auto in sosta nella stradina che passava dietro l'albergo sembravano giocattoli a molla. Delle finestre che Simon riusciva a scorgere, nessuna era illuminata, poteva quindi muoversi senza destare sospetti. Appoggiò lo schienale della sedia alla parete esterna e montò in piedi sul sedile. La sedia era più alta e più robusta di un trespolo per le valigie e gli permetteva di raggiungere agevolmente la grondaia. Monterey, che aveva sempre girato personalmente le scene più pericolose dei suoi film, si era forse issato sul tetto aggrappandosi alla grondaia, ma Simon aveva bisogno anche della fune. Intascò la torcia elettrica e lanciò l'uncino sul bordo del tetto di tegole; ne saggiò la resistenza: teneva bene. Trovato un appoggio per i piedi, si issò lentamente sul tetto, tirò fuori la torcia elettrica e ne fece correre intorno il raggio. Non sapeva
esattamente che cosa stesse cercando, ma doveva essere un oggetto piccolo, qualcosa che Monterey avesse potuto portare addosso o nascondere in valigia: droga, libri contabili, o magari un'arma: cose che sarebbero state facilmente individuabili perché il loro posto non era sulla grondaia. Simon arrivò carponi fino al lato opposto del tetto, sempre frugandosi intorno con lo sguardo, poi tornò al punto di partenza. Non trovò nulla. Era più che deludente: era umiliante. Sapeva che Monterey aveva aperto la porta-finestra e spostato la sedia sul balcone, perché sia questa sia le scarpe di Monterey erano sporche di olio. Ma perché mettere la sedia sul balcone se non per raggiungere il tetto, e perché raggiungere il tetto se non per nascondervi qualcosa? Simon spense la lampada e l'infilò nella tasca posteriore dei calzoni, poi si sporse verso il basso e stava aggrappandosi allo stipite superiore della finestra aperta per saltar giù sulla sedia, quando si accorse che questa era sparita. Qualcuno l'aveva rimossa. Simon staccò le mani dallo stipite e si rannicchiò sul tetto. Se fosse stata una cameriera avrebbe acceso la luce e chiuso la finestra perché la notte era fredda; inoltre si sarebbe mossa nella stanza senza paura di farsi sentire, ma non era stata una cameriera a togliere la sedia dal balcone. Ridiscendere nella stanza era facile: bastava che si aggrappasse al telaio della finestra e saltasse giù, ma ora che Simon capiva perché Monterey aveva usato la sedia, rientrare nella stanza era una pazzia. La finestra era stata la via di scampo di Monterey da una stanza sorvegliata dal tipo di assassino metodico che aveva cacciato il corpo di Eve Necchi sotto la doccia al Motel Six. Niente era stato nascosto nella grondaia, per il semplice motivo che Monterey era passato di là per scappare. Simon si guardò attorno: l'unica via di accesso alla terrazza era una stretta scala d'acciaio all'estremità destra dell'edificio. Drake liberò l'uncino e raccolse la fune in mano, pronto a servirsene come arma. Sulla terrazza non si vedeva anima viva, ma questo non escludeva la presenza di un comitato di benvenuto sotto lo spiovente. Simon raggiunse la scala d'acciaio e scese. Da quell'estremità della terrazza poteva vedere la ringhiera intorno alla scala da cui era precipitato Monterey, a circa sette metri dal punto in cui si trovava e dove anche Monterey doveva essersi fermato per scrutare, come ora scrutava lui, nell'oscurità, cercando un segno di vita. Si mosse lungo la parete dell'edificio in direzione della sua stanza, ma le rientranze delle porte erano passaggi pericolosi, e Simon si fermò a meditare prima di raggiungere il primo di essi. Quella che stava giocando era una partita senza
esclusione di colpi: la bomba nella Rolls Royce ne era una prova. Svolse un altro tratto di fune e lo lanciò verso il punto in cui, secondo i suoi calcoli, doveva esserci la porta... e il gancio fece presa, non sul legno ma su carne umana. La sinistra di Simon scattò avanti e abbrancò una gola coperta di lana: un pullover col colletto arrotolato. Guildenstern o Rosenkrantz che fosse, era troppo occupato a strapparsi l'uncino dallo stomaco per lottare, mentre Simon lo mandava a sbattere contro la ringhiera della scala. «Chi siete? Chi vi ha detto che ero qui?» Erano domande più che legittime, ma prima che Simon ottenesse una risposta, un braccio sbucò dall'ombra alle sue spalle e solo per un pelo non lo colpi alla testa con il calcio di una pistola. Simon afferrò il braccio con entrambe le mani e lo fece battere con violenza contro il parapetto. L'arma cadde sui gradini piastrellati, poi rimbalzò nella tromba delle scale, lasciando partire un colpo che rimbombò fragorosamente. L'attimo di disorientamento che seguì bastò a Simon per lanciarsi come un fulmine verso l'ascensore, che l'ineffabile coppia aveva lasciato aperto: con un briciolo di fortuna poteva arrivare giù prima che i due aggressori si riprendessero e recuperassero la pistola. Se fosse stata quella di Sam Goddard, avrebbe avuto un bel ricordino da portare al posto di polizia di Enchanto. Purtroppo però la sua buona stella si stava spegnendo: la porta dell'ascensore si aprì su un vestibolo zeppo di turisti... che si muovevano ad andatura turistica. Simon si fece strada a gomitate e si precipitò verso il porticato. A quell'ora tutti i negozi erano chiusi, ma le vetrine erano ancora illuminate, e il punto in cui Monterey si era schiantato al suolo era chiaramente visibile. La pistola era sparita. Simon alzò gli occhi e vide che il cancello al quarto piano della scala era aperto: i due furfanti erano scesi di là per raccogliere la pistola. Restava però la pallottola, e qui Simon ebbe l'ultimo colpo di fortuna: un vaso di ceramica davanti alla bottega del fioraio era incrinato e bucato su un lato. Simon s'inginocchiò e con le dita tirò fuori dal terriccio una pallottola calibro 38 che se faceva il paio con il bossolo trovato sulla scena dell'incidente di Sam Goddard, poteva identificare benissimo i tizi che avevano segnalato l'incidente alla polizia. Faceva bene al cuore sapere che Rosenkrantz e Guildenstern erano animati da tanto spirito civico. Simon non rimise più piede nella sua stanza. Trovò nel vestibolo un facchino e gli disse che era stato richiamato a Marina Beach. «La mia roba è su in camera: qui c'è la chiave. Andatemela a prendere mentre io pago il conto.» Il centralino chiamò la rimessa per far portare davanti all'ingresso
principale l'auto di Simon, mentre questi assicurava la signorina Hawks che l'ospitalità del Seville Inn non aveva lasciato a desiderare in nulla. Non gli pareva cortese farle notare che aveva mentito a proposito della stanza 464: la signorina Hawks obbediva agli ordini. «C'è una cosa che potete ancora fare per me. Volete controllare se il signor Montgomery non depositò nulla in cassaforte la notte in cui prese alloggio qui?» «Non ha fatto nulla del genere» rispose la ragazza. «Ero di turno io...» «Non quando è arrivato» le rammentò Simon, con un sorriso accattivante. «Siate buona» insistette «sono un amico di famiglia: è gente che ha un attaccamento sentimentale per vecchi libretti di banca macchiati di lacrime e polizze assicurative.» Era un modo di procedere tutt'altro che ortodosso, ma la signorina Hawks, senza sapere perché, si tolse gli occhiali ed entrò nell'ufficio. Qualche istante dopo tornò dietro il banco con un'espressione di doloroso disappunto: la cassaforte era vuota. Evidentemente la ragazza sentiva la cosa come un insuccesso personale. Il cervello di Simon però stava già lavorando in un'altra direzione. «Voi avete detto al tenente Rickey che Monterey rientrò in albergo poco prima delle due di notte. Come potete essere cosi precisa sull'ora?» La Hawks fece un sorriso esangue. «Lo so perché Kenny Salsh stava ancora suonando all'Old Seville Bar. Organo elettrico. Termina soltanto alle due.» «Quanto dista da qui il Gateway Bar?» chiese Simon. «Quanto dista? Non capisco...» «Monterey lasciò il Gateway verso le due e mezzo. Allora, che distanza c'è?» «Non lo so esattamente. Posso darvi una cartina della città.» «Questa è l'offerta più sensata che abbia avuto in tutta la sera.» Simon prese la cartina e quando il facchino scese con la valigia usci e raggiunse con la Jaguar il Gateway Bar, fermandosi lontano dal parcheggio. A quell'ora il locale era affollatissimo, soprattutto per via di Buddy Jenks. Nel quarto d'ora che Simon trascorse fermo al suo posto d'osservazione, vide passare due volte l'autopattuglia della polizia. Questo dava una spiegazione logica del pronto arrivo dell'agente Quentin sul luogo dell'incidente di Hannah; a parte questo, un'auto della polizia avrebbe spaventato a morte Monterey, se avesse ucciso Kwan a San Diego, quanto la presenza di coloro che volevano liquidarlo. Simon riaccese il motore e si avviò lentamente. Monterey era scappato verso il centro della città e con ogni pro-
babilità, aveva svoltato nella prima strada che gli era capitata davanti per evitare un'arteria molto illuminata. Anche Simon svoltò nella prima traversa e la segui finché non vide in una laterale un autobus del servizio cittadino partire dalla fermata: era semivuoto e il cartello diceva che andava all'aeroporto. Simon fermò l'auto, attraversò la strada e raggiunse la piccola tettoia metallica e la casella con l'orario giornaliero. L'ultimo autobus partiva da quell'angolo alle due e trentasei del mattino. Simon intascò l'orario e riprese la strada di Marina Beach. Aveva fatto un buon lavoro, quella notte. 17 Jack Keith arrivò a The Mansion all'ora della prima colazione. Giunse dal vialetto con la Caddy color bronzo e Rover seduto sul sedile posteriore che gli teneva una zampa su ciascuna spalla. Fermò davanti alla porta posteriore, diede qualche colpetto affettuoso sulla testa del cane, poi entrò in cucina, dove Simon e Chester stavano guardando Hannah che preparava una sua specialità. «Io ci so fare con i cani da guardia» spiegò. «Sentono l'odore del poliziotto e sanno che sono dalla loro parte.» Chester aggiunse un altro coperto a tavola e Simon mise il caffè sul fuoco, aspettando che Keith facesse il suo rapporto, mentre Hannah si ritirava. Questi cominciò infatti con una semplice dichiarazione: «Eve Potter, nata Necchi, viveva in un bugigattolo da settantacinque dollari al mese che non faceva rinfrescare da tre anni; l'ho saputo direttamente dal padrone di casa.» «Allora non è per il motivo che mi disse che occupava la stanza accanto a quella di Kwan.» «Evidentemente. Il padrone di casa non si è meravigliato della faccenda dell'albergo: Eve dormiva fuori molto spesso. Di solito usciva da sola, di tanto in tanto con uomini che non erano mai gli stessi, tranne uno: una persona anziana che il padrone di casa credeva essere il padre o uno zio di Eve, finché non li sorprese in atteggiamento intimo. Questo tizio anziano lavorava in un giornale o qualcosa del genere, e portava Eve a teatri e concerti, in tutti i posti per i quali riusciva ad avere i biglietti. Ho trovato queste matrici nell'appartamento.» Keith tirò fuori di tasca un paio di mezzi cartoncini e li lasciò cadere sul tavolo. Erano per una rappresentazione alla Sherwood Hall di La Jolla, tre
settimane prima dell'assassinio di Kwan. «E ce l'ha portata il vecchio?» chiese Simon. «Esatto. Il padrone di casa mi ha detto che non lo vedeva da parecchie settimane, ma quella sera andò a prendere Eve e partirono insieme su una Ford con la tessera della stampa sul parabrezza. Non ricorda se Eve sia tornata o meno a casa. Ho trovato anche un passaporto nel cassetto della sua toeletta. È scaduto l'anno scorso, ma dimostra che Eve ha soggiornato per un certo periodo a Hong Kong, nell'aprile dello scorso anno. Kwan non lasciò Hong Kong per venire negli Stati Uniti che nell'agosto dello stesso anno.» Il caffè era pronto; Simon riempì due tazze e lasciò che Keith continuasse il rapporto. «Tornando a Eve» riprese Keith «la vediamo ottenere un divorzio senza opposizione dal caporale Orley Potter nel giugno del 1965. Questa è la data della sentenza definitiva in California, il che significa che Eve aveva iniziato le pratiche un anno prima. Aveva vissuto con Potter in Corea e in Vietnam prima che scoppiasse la guerra. A quanto pare, stava tornando a casa per ottenere il divorzio quando si fermò a Hong Kong.» «Hong Kong è un porto importantissimo» obiettò Simon. «Un sacco di persone passarono di là nel 1964.» «Ma soltanto due, a quanto ne sappiamo, si trovavano contemporaneamente al Balboa Hotel domenica notte. Supponiamo che Eve si trovasse a corto di quattrini a Hong Kong, e che un giovane e simpatico euroasiatico, che parlava un inglese impeccabile, le offrisse la possibilità di pagarsi il viaggio di ritorno in cambio di un piccolo favore, come quello di portare un pacchetto di contrabbando a qualcuno che si trovava a San Diego... Questo potrebbe essere il nesso con Kwan.» «Aspetta un momento» interloquì Simon. «Io ti avevo chiesto di trovare il legame tra Kwan, Berlin e Monterey.» «Ci sto arrivando. Kwan venne a La Jolla, no? E Eve Necchi assistette a un concerto alla Sherwood Hall tre settimane prima dell'uccisione di Kwan. Se era lui il contatto per le spedizioni, via San Diego, Eve Necchi avrebbe potuto essere un controllo su Kwan.» «Un controllo di Berlin?» «A questo punto, scegli tu: Berlin, un'organizzazione privata, o magari il Dipartimento del Tesoro. Quel tizio anziano...» «Charley Leem!» esclamò Simon. «Chi?»
«Un redattore del vecchio quotidiano di Sam Goddard. Leem era al funerale di Goddard. Abbiamo la chiave, Jack: Charley viaggiava su una Ford con la tessera della stampa sul parabrezza. Può aver condotto Eve al motel, giovedì. Adesso però non lavora per nessun giornale di San Diego, almeno non sotto il suo nome: ho controllato. Ha detto di avere un appartamento che domina la baia. Ehi, forse Vera sa dove abita!...» Simon si alzò e andò al telefono. Era ancora presto, ma Vera non sembrava il tipo che indugia a letto; infatti la voce che gli rispose al terzo squillo era fresca e senza fiato. «Ero fuori a potare le rose. Qui il tempo è bellissimo, stamattina. Dove vi eravate nascosto? Ho cercato di raggiungervi ieri e anche l'altra sera, ma il domestico mi ha detto che eravate via.» «Infatti. C'è qualcosa che non va?» «Non lo so; è qualcosa che non posso dirvi al telefono. Devo mostrarvela.» «D'accordo. Appena mi libero di uno scroccone che ho in cucina, arrivo. Aspettate un attimo, vi ho telefonato per chiedervi se sapete dove abita Charley Leem.» La voce di Vera aveva un suono meravigliato. «Charley? Non posso dirvelo perché non lo so. Non potete cercarlo al giornale?» «Quale giornale?» «Santo cielo, non ne ho idea. Non vi sono di molto aiuto, eh? Ma perché volete trovare Charley?» «Ve lo dirò quando sarò da voi tra circa...» Simon lanciò un'occhiata all'orologio «tra ...un'ora.» Riappese e riferì a Jack le parole di Vera. «Leem non figura nell'elenco telefonico di San Diego e non lavora in nessun giornale della zona» spiegò. «Già. Ma se è un giornalista è anche iscritto all'Ordine e paga la quota sociale, no? Cercherò di pescarlo.» Simon lasciò tornare Keith al suo lavoro. Uscendo, questi raccolse il giornale del mattino davanti alla porta, lo spiegò e lo porse a Simon, senza una parola. Faceva spicco, in prima pagina, una foto di dimensioni notevoli di un giovanotto dall'aria stupefatta in divisa dei marine e di Duane Thompson che lo sovrastava col ghigno trionfante del pescatore con la sua preda più grossa. Il sergente Orley Potter era stato fermato nei pressi di Camp Pendleton per rispondere ad alcune domande. Simon non perse tempo a leggere l'alibi del sergente, ma era bello sapere che il giovanotto era
stato promosso. Ciò che non era altrettanto bello era sapere che Duane Thompson si stava avvicinando al momento in cui avrebbe trovato al Balboa Hotel un punto di riferimento per il cadavere del Motel Six. All'arrivo di Simon, Vera Raymond, che faceva molto "pollice verde" in un paio di jeans sbiaditi e camicetta di cotone a quadri vivaci, stava lavorando nel roseto. Lasciò cadere le cesoie su una seggiolina e si sfilò i guanti da giardinaggio. «Puntualissimo. Assomigliate a Sam Goddard, in questo.» «Lo prendo come un complimento» rispose Simon. «Che cos'è che volevate mostrarmi?» Il sorriso di Vera si spense, lasciandola pallida e vulnerabile. «Dovete entrare in casa.» Passarono dalla porta posteriore e attraversarono il soggiorno, dove un cuscino e qualche coperta sul divano vicino al fuoco dicevano dove Vera trascorreva le sue notti solitarie, giungendo quindi all'ufficio di Sam. Vera si fermò sulla soglia. «Anzitutto devo spiegarvi che dal giorno del funerale sono uscita per la prima volta ieri sera: sono andata a una riunione dell'ufficio immobiliare a Enchanto. Non ho ascoltato una parola di quanto dicevano, ma in questi giorni io ho bisogno soprattutto di una presenza umana. Poco dopo però mi sono innervosita e me ne sono andata. Il bar del posto era chiuso, così sono andata in macchina fino a San Clemente, ho bevuto un caffè, ho ingannato il tempo finché ho sentito che potevo sopportare di tornare a casa. E ho trovato questo.» Vera apri la porta e fece entrare Simon nell'ufficio. Questi dapprima non notò nulla, poi girò intorno alla scrivania e trovò tutti i cassetti aperti e il contenuto rovesciato a terra. Vera non aprì bocca. Gli lasciò continuare la sua ispezione nella camera oscura, dove tutte le foto appese ad asciugare erano state sparpagliate in giro; lo schedario era aperto, con le cartelle ammonticchiate in cima al mobile o buttate a terra. Poteva sembrare un gesto di vandalismo, ma in realtà era stata una perquisizione minuziosissima. Simon si voltò a guardare Vera e questa gli fece la domanda che anche i suoi occhi esprimevano con incredulità. «Perché?» «Non ne sono sicuro al cento per cento, ma credo che qualcuno abbia cercato una cartelletta che ho preso l'ultima volta che sono stato qui.» «Voi? Non lo sapevo. Che cosa c'era dentro?»
«Ritratti di famiglia. No, questo non è il momento di fare il furbo. Ho preso le foto scattate da Sam all'istituto di Max Berlin, oltre il confine.» Vera era perplessa. «Non sapevo che avesse scattato delle foto. Di chi erano?» «Di persone che non avrebbero dovuto conoscersi tra loro, e invece si conoscevano. Vera, siete sicura che nessuno sia entrato in questa stanza, fino al momento in cui abbiamo trovato quelle pellicole?» «Vi ho già risposto prima: nessuno è venuto qui.» «No, naturalmente no» disse quasi tra sé Simon. «Non poteva avvenire che dopo la morte di Eve.» Adesso Vera non capiva davvero più niente. «Eve?» ripeté. «Eve chi?» «Ve lo spiegherò quando avrò più tempo. Avete chiamato la polizia per questa incursione?» «No, prima volevo vedere voi.» «Benissimo. Allora, perché non rimettete tutto in ordine e non ne parlate con nessuno? Andate sempre alle riunioni di quell'ufficio immobiliare?» «Di solito sì: così ho sempre qualcosa da fare.» «Lasciate una luce accesa in casa?» «Sì: dovrebbe tener lontani i ladri.» «Non da una casa come questa. Da quassù non potete vedere la strada, ma c'è una sola via per uscire dalla proprietà, e cioè dal cancello. Di notte o in una giornata nebbiosa nessuno avrebbe notato un'auto ferma in un angolo riparato.» Vera era una donna sveglia cui non sfuggiva nessun particolare. «Una giornata nebbiosa» ripeté. «Voi pensate che qualcuno stesse spiando Sam quando uscì dal cancello.» «Non ne sono proprio certo.» «Invece lo siete. Non occorre che lo nascondiate, Simon: ci ho pensato anch'io. Se sapete qualcosa, se avete una prova che la morte di Sam non è stata accidentale, non tenetemi all'oscuro. Potrei impazzire se Sam è stato assassinato, e la collera è un modo di scaricare il dolore.» Simon rifletté un attimo, poi si decise. «La polizia ha trovato la pistola di Sam?» «Non ho saputo nulla.» «Né penso che lo saprete. Mi avete detto che Sam vi stava insegnando come usare l'arma: dove vi esercitavate?» «Sam aveva preparato una specie di poligono dietro il garage.» «Posso vederlo?»
In quel momento, Vera aveva le idee alquanto confuse, ma era tanto interessata alla questione che acconsentì subito. Condusse Simon dietro il garage, dove Sam aveva inchiodato un bersaglio a una staccionata. Drake vide a terra numerosi bossoli e ne raccolse uno per confrontarlo con quello che già aveva. Tornato nella camera oscura, li esaminò con l'aiuto della lente a molti ingrandimenti che Sam usava per le sue foto e, al lume della sua esperienza, giudicò che i segni dei bossoli erano sufficientemente uguali per ritenerli provenienti dalla pistola di Sam. Vera seguì attentamente l'operazione. «Uno l'ho trovato sulla banchina della strada vicino al punto in cui Sam è volato giù. Se il colpo viene dalla sua pistola, significa che Sam è stato spinto fuori strada e che ha sparato un colpo prima di cadere nel burrone. Questa pallottola l'ho tirata fuori da un vaso da fiori nel cortile dove venne rinvenuto il cadavere di Monterey. Per mia fortuna qualche medico legale non ha dovuto tirarla fuori dalla mia pancia.» «Quand'è successo?» «Ieri sera. Sam aveva altre pistole? Niente che possa tornar utile nel caso ritornino quei delinquenti?» «Lo credete possibile?» «Non lo so. Quando siete tornata a casa ieri sera?» «Verso le dieci.» «Allora devono essere venuti qui subito dopo avermi aggredito al Seville Inn.» «Ma che cosa cercano... e chi sono?» Ormai Simon sapeva abbastanza chiaramente che cosa rispondere alla seconda domanda di Vera, ma era la prima che lo lasciava perplesso. Aveva appena cominciato a raccontarle del suo incontro con Rosenkrantz e Guildenstern, quando squillò il campanello della porta: Simon intascò i bossoli e il proiettile, mentre Vera andava ad aprire. Tornò quasi subito con una busta intestata del Seville Inn. Era stata spedita dall'ufficio postale di La Verde il martedì mattina e recapitata per errore a Escondido, e recava l'indirizzo di Vera Raymond, scritto a mano. Conteneva una cartolina postale e una piccola chiave piatta. Vera diede un'occhiata alla cartolina e la voltò dalla parte della corrispondenza: non una parola. La donna era troppo sbalordita per fare commenti. «Fatemela vedere» pregò Simon. Prese la cartolina e ne studiò attentamente l'illustrazione: si trattava della foto a colori di un piccolo, moderno aeroporto con la scritta "Saluti da La
Verde" in alto. Sul retro si leggeva una brevissima descrizione stampata della città; il messaggio non scritto era perfettamente chiaro. Simon restituì la cartolina a Vera e le prese di mano la piccola chiave piatta. «Questa la prendo io e voi dimenticate di averla mai vista. Riconoscete la calligrafia sulla busta?» Era una calligrafia svolazzante che aveva qualcosa di familiare. Sia Vera sia Simon ricordavano lo svolazzo col quale Monte Monterey firmava le sue foto pubblicitarie. Sulla chiavetta era inciso il numero 28. «È la chiave di una cassetta di deposito» spiegò Simon «e la cassetta si trova all'aeroporto di La Verde. E adesso dimenticate che ve l'ho detto.» «Che cosa c'è nella cassetta?» domandò Vera. «Non lo so: qualsiasi cosa sia, ha provocato due, e forse tre o quattro morti. Scordatevi anche questo.» «Ma se era tanto importante» protestò la donna «perché Monte non ha scritto qualcosa sulla cartolina?» La risposta era ovvia. «Perché non ne ha avuto il tempo» ribatté Simon. 18 L'autobus che percorreva Orange Street e La Verde andava all'aeroporto, rammentò Simon mentre intascava la cartolina e la chiavetta. Cercò di riassumere a grandi linee ciò che doveva essere accaduto in una parte dell'ultima notte di Monte Monterey. Aveva tentato in tutti i modi di avvicinare Hannah al Gateway Bar, non ci era riuscito ed era fuggito verso Orange Street. L'orario indicava che l'ultimo autobus passava in quella zona dopo le due e trenta; era quindi possibilissimo che Monte fosse riuscito a prenderlo e fosse arrivato all'aeroporto passando davanti al Seville Inn. Perché? Perché la persona che più desiderava vedere, Whitey Sanders, doveva arrivare da Tucson da un momento all'altro, e l'aeroporto era il posto più logico per incontrarlo. «Però, Monte non ha visto Whitey» obiettò Vera «altrimenti lui ce l'avrebbe detto, no?» «Suppongo. Ma potrebbe essere accaduto qualcosa prima dell'atterraggio di Sanders che indusse Monterey a precipitarsi nuovamente all'albergo. La chiave ci dice che depositò qualcosa nella cassetta numero 28 della sala d'attesa dell'aeroporto di La Verde. L'ha spedita a voi perché doveva aver
appreso che Sam era morto, lasciando solo voi. E questo è molto interessante.» «Conoscevo appena Monte.» «Intendevo proprio questo: Monterey ha mandato la chiave a voi perché non si fidava di nessuna delle persone che conosceva. Vera, vi ho chiesto di non avvertire la polizia di quanto hanno combinato nello studio di Sam, ma non sono più tanto sicuro di far bene. Avete un'amica in città che possa stare con voi per qualche giorno?» «Qui non ci sono fantasmi» si schernì quietamente la donna «e io non ho paura.» «Neanch'io ho paura dei fantasmi, ma voi avete visto le foto di Sam, sapete com'è morto Kwan. Non abbiamo a che fare con dei gentiluomini, e quelli potrebbero decidere di tornare a fare due chiacchiere con voi.» Vera era coraggiosa, ma non sconsiderata. «Maren Moddy mi aveva chiesto di andare a stare con lei non appena seppe dell'incidente» disse. «Maren è il mio superiore diretto nell'ufficio immobiliare dove mi ero impiegata.» «Dove abita?» «A Enchanto. Posso darle una voce...» «Fatelo, cosi vi lascio là andando a casa.» Simon però non tornò a casa. Depositò Vera, munita di valigetta, davanti a un elegante villino bianco, poi puntò con la sua Jaguar verso l'entroterra, diretto a La Verde. Giunse all'aeroporto di quella cittadina verso la metà del pomeriggio. Non ebbe alcuna difficoltà a trovare le cassette-deposito d'acciaio, appena fuori del bar. Stava cercando in tasca la chiavetta allorché l'altoparlante trasmise un messaggio: "L'avvocato Simon Drake è pregato di presentarsi all'ufficio informazioni, l'avvocato Simon Drake è pregato..." Allarmato, Simon si allontanò in fretta dalle cassette. L'ufficio informazioni era a circa venti passi dall'ingresso principale e dava nell'occhio come un elefante in una camera da letto. Se Rosenkrantz e Guildenstern si trovavano da quelle parti, Drake sarebbe stato un soggetto perfetto per la loro primitiva terapia di gruppo. La dolce beltà dietro il banco delle informazioni fu invece tutta sorrisi e fascino e domandò se l'avvocato Drake sarebbe stato così gentile da salire alla sala d'aspetto delle V.I.P., al piano superiore, su invito del signor Whitey Sanders. Simon alzò gli occhi nella direzione indicatagli dal ditino ben curato dell'incantevole giovane e vide Whitey, bizzarramente abbigliato con camicia da sera pieghettata e panta-
loni neri, che gli faceva dei cenni dal pianerottolo soprastante. Simon sali i gradini a due a due e, quando arrivò in cima, Sanders gli mise un braccio intorno alle spalle e lo condusse nel sancta sanctorum delle persone importanti che solcano i cieli. Whitey si avvicinò al bar e prese una coca-cola dalle mani del barista prima che questi la versasse in un bicchiere ambrato che presentava varie stratificazioni. «Voi che cosa bevete?» chiese a Simon. «Mi andrebbe uno scotch... Dov'è la cascata?» Non c'era nessuna cascata. Ciò che l'orecchio di Simon aveva captato era l'educato scroscio di una doccia filiforme. Whitey aveva buttato giù d'un colpo la coca e stava cercando la giacca in un armadietto con lo sportello rivestito di noce. «Vi ho visto arrivare in macchina e mi sono stupito. Come mai all'aeroporto?» Ho qualche piccola incombenza legale da sistemare. Sono venuto per assicurarmi che Hannah sia del tutto a posto per quell'incidente del parcheggio. «Avete in mente qualcosa?» Simon aveva parecchie cose in mente. Non si sentiva più scorrere l'acqua, la porta del locale delle docce poteva aprirsi da un momento all'altro e lui non sapeva quale genere di compagnia avesse ispirato l'elegante abbigliamento di Whitey. Non ci voleva davvero un terzo incomodo ad ascoltare; Simon parlò in fretta: «Quando ci siamo incontrati, martedì mattina, eravamo troppo turbati dalla morte di Monterey per badare ai particolari. Ho avuto l'impressione che aveste raggiunto La Verde soltanto in mattinata, mentre eravate atteso prima di mezzanotte. Che cosa vi aveva fatto tardare?» «Il maltempo.» «Non ci credo. Io stesso sono giunto in volo da San Francisco nelle prime ore di martedì e il tempo era bello.» «Non a Tucson.» «Posso controllare il vostro giornale di volo?» «Fate pure.» Whitey Sanders era irritato. «Dannazione, Drake, che cosa sono tutte queste domande? Io detesto gli avvocati: pago ad alcuni di loro piccoli patrimoni perché mi tengano lontani i loro colleghi. Va bene, se è tanto importante vi dirò a che ora sono arrivato martedì: era esattamente l'una e venti al mio precisissimo orologio. Ero tanto stanco che sono andato difilato al mio bungalow al motel e non ho visto Alex fino a pochi minuti prima di venire al Seville, per vedere Hannah. Lì ho saputo della mor-
te di Monte. Siete soddisfatto?» «Al vostro arrivo avete visto qualcuno all'aeroporto?» insistette Simon. «Naturalmente: il personale di terra, l'addetto alla torre di controllo... Il bar era chiuso, ma mi pare che un portiere stesse facendo pulizia nell'ingresso, e poi dovevano esserci un paio di guardie di servizio da qualche parte. Se proprio volete saperlo, non badavo a queste cose: avevo qualcuno con me.» «Ah!» fu lo scarno commento di Simon. «Già, ah. Si dà il caso che non fosse una donna. Ho portato a La Verde una persona che è interessata all'acquisto di terreni. Sono ancora un agente immobiliare, io, e lavoro ancora per vivere.» Parlando, Whitey guardava la porta del locale delle docce; appena questa si aprì, le ultime ore di vita di Monterey, ancora avvolte nel mistero, si fecero chiare e limpide come le goccioline d'acqua che brillavano sui biondi capelli germanici e scivolavano giù dalle spalle uniformemente abbronzate dalla lampada a quarzo. La foto di "Chic" aveva preso vita. Max Berlin, completamente nudo, era in piedi sulla soglia con un asciugamano in mano. Non mostrò alcun imbarazzo. Dominava la scena e lo sapeva. «Mi era parso di sentire delle voci» disse gaiamente. «Ehi, Sanders, quella doccia è una cosa veramente fantastica!» Sfoggiava l'accento di Oxford. Alzò l'asciugamano e cominciò a strofinarsi il petto, senza abbandonare con gli occhi il viso di Simon. La luce che pioveva dall'alto strappava mille riflessi all'enorme zaffiro che portava al dito. L'identificazione era completa: arrogante, sicuro di sé e freddo: cosi era l'uomo che Simon aveva visto in cima alla scala al Seville Inn. Sembrava più basso senza il cappello e l'abito nero. Probabilmente portava dei rialzi nei tacchi delle scarpe. Simon diede un'occhiata a Whitey. «È il vostro passeggero?» chiese. «Proprio lui: Max Berlin. Ha trascorso la settimana scorsa al mio ranch. Oggi abbiamo ispezionato dall'alto un terreno che sto tentando di vendergli e stasera interveniamo a una cena a Palms Springs. Volete venire con noi, Drake?» «Mi rincresce, ma sono già impegnato.» «Drake...» ripeté Berlin. «Ma naturalmente: Simon Drake!» Fece una risata fanciullesca. «Sapete, siete famoso, avvocato Drake. Vi ho riconosciuto immediatamente. State lavorando a un altro caso di omicidio? Un'altra bella signora è stata accusata di aver fatto fuori il marito?»
Berlin si stava divertendo un po'. Era perfettamente al corrente di quanto era accaduto al Seville Inn la sera precedente e sapeva che Simon sapeva che lui sapeva. Gettò a terra l'asciugamano e si avvicinò all'armadietto. «Vediamo se il mio abito da sera è stato mandato davvero qui, Sanders. Sì, è tutto a posto.» Cominciò a vestirsi con calma, indossando una camicia dai colori orripilanti. Intanto chiedeva con aria innocente: «Forse disturbo una conversazione privata? Posso vestirmi di là nelle docce.» «Voi potete confermare le mie parole» disse Sanders. «Eravate con me quando siamo atterrati martedì mattina. C'era qualcuno in giro oltre al personale di servizio?» «Qualcuno? Volete dire qualcuno in generale o una persona in particolare?» «Chiedetelo a Drake. Mi sta facendo l'interrogatorio senza stabilire se si riferisce al regno animale, vegetale o minerale.» «Oh, sono sicuro che si riferisce al regno animale» osservò Berlin. «Homo sapiens... O forse cherchez la femme? Spiacente, ma non posso aiutarvi, Drake. Ho osservato attentamente l'attrezzatura, quando siamo atterrati. È eccellente, per un campo così piccolo; poi Sanders mi ha detto di aver venduto lui alla città il terreno per l'aeroporto, e questo rende la cosa ancor più interessante. Non ho visto però nessuno celarsi nell'ombra o in attesa ai cancelli. Avrei dovuto vedere qualcuno?» La chiave della cassetta numero 28 era ancora nella tasca di Simon. Se non fosse stato così, forse Berlin avrebbe potuto confondergli le idee, ma parecchie persone erano morte a causa di quel qualcosa che la chiave non permetteva a Berlin di avere, e Simon non aveva alcuna intenzione di raggiungerle. «Credo che abbiate risposto alla domanda» disse, rivolgendosi a Berlin. «Non dovevate vedere nessuno perché non c'era nessuno.» Il quadro si andava delineando con maggior chiarezza: Monterey era andato all'aeroporto in cerca di Whitey, si era informato e aveva appreso che il suo aereo stava per atterrare. Attraverso la grande vetrata della sala d'aspetto aveva visto l'aereo atterrare e discenderne due uomini: Whitey Sanders accompagnato da una persona che poteva terrorizzare Monte al punto da spingerlo a ficcare in una cassetta di deposito la prova che voleva consegnare a Sam Goddard, e a lasciare l'edificio prima che i due potessero scorgerlo. L'emozione di quegli istanti doveva esser stata tremenda. Nessuna meraviglia quindi che fosse tornato al Seville tanto scosso da far credere al portiere che fosse ubriaco. Nel frattempo, Max Berlin aveva infilato i calzoni e le scarpe da sera.
Simon aveva indovinato: portava dei rialzi. «Ho il tempo di fare una telefonata?» chiese Berlin a Whitey. «Stamane ho dimenticato di chiamare il mio agente di borsa: magari sono rimasto senza un soldo.» Entrambi scoppiarono in una risata, ma Drake sapeva a chi voleva telefonare Berlin. Bisognava informare i giannizzeri: "Simon Drake è all'aeroporto di La Verde. Sta seguendo una pista. Beccatelo e tirategli fuori ciò che sa". Whitey consultò l'orologio. «Ci vorranno dieci minuti per trainare fuori l'aereo» disse. «Al bar c'è una linea esterna.» Max Berlin s'allontanò e Simon buttò giù l'ultimo scotch. «Dove avete pescato quel riccone?» «A Tucson. Cerca una zona isolata per un altro istituto. L'ho convinto che la California gli offre maggiori possibilità.» «Che cosa sapete di lui?» «Mi basta sapere che i suoi assegni non vengono protestati. È sfuggito ai crucchi e gli è andata bene: più che sufficiente per me.» «Forse non è precisamente sfuggito ai crucchi» insinuò Simon. Whitey restò un attimo interdetto, ma si riprese subito. «Sentite, Drake: io vendo terreni. La Corte Suprema dice che non posso fare discriminazioni e io eseguo. A parte questo, anche ammettendo che Berlin sia stato un nazista, sono cose di trent'anni fa o forse più. Bisogna dimenticare.» «Non certe cose» replicò Simon «a meno che non si voglia tornare a dondolarci dagli alberi...» Non poté continuare perché Max Berlin era ricomparso, con un sorriso radioso. «Tutto a posto» annunciò. «Sono pronto. Davvero non volete venire, Drake? Il mio ospite mi ha promesso una serata memorabile, con belle donne, danze e vini...» «Mi sciuperei la linea» rispose Simon. «Vi inviterò in uno dei miei istituti. I miei specialisti possono occuparsi del vostro grasso superfluo.» «E se fossi stanco della mia faccia? I vostri specialisti potrebbero cambiarmela?» Berlin si controllava perfettamente, e la sua reazione fu quasi impercettibile. «Chirurgia estetica? Sì, si potrebbe. Ho degli esperti che...» «No, alludevo a qualcosa di molto particolare: il tocco Berlin. Vostro padre non era forse un chirurgo plastico? E voi non siete stato suo allievo?» Questa volta, Simon aveva fatto centro. «Lui operava a un livello superiore» reagì Berlin. «Mio padre metteva la sua abilità al servizio di eroi,
avvocato Drake. Restituiva il viso a uomini che lo avevano perso in battaglia. Eroi. Soldati. Non uomini politici, non nazisti. Soltanto giovani che erano stati coinvolti nel massacro. Ma perché un uomo coi vostri lineamenti dovrebbe cambiarli? Avete dei guai con una donna? Ci sarà senz'altro un altro modo di squagliarvela senza complicazioni.» Whitey era impaziente; consultò ancora l'orologio. «Si fa tardi e ho idea che Drake ci stia prendendo in giro. Guardate, stanno portando fuori il mio aereo.» «Non vi trattengo più; buon divertimento.» Simon non attese di salutarli: aveva già sprecato troppo tempo per Berlin. La chiave della cassetta 28 era ancora nella sua tasca e le possibilità di accedere al contenuto diminuivano a ogni minuto di ritardo. Lasciò la sala delle V.I.P. e si precipitò al pianterreno. Al riparo di una grossa pianta in vaso, guardò Berlin e Sanders raggiungere l'aereo di quest'ultimo e salire a bordo. Mentre seguiva con lo sguardo l'aereo che si avviava alla pista di decollo passando davanti al parcheggio delle auto, notò una Cougar verde scuro che s'infilava in un posto vuoto vicino alla sua Jaguar. Troppo tardi: i sicari di Berlin erano già arrivati. Al bar ordinò un caffè e in attesa che si raffreddasse telefonò a Jack Keith. Questi non era in ufficio, ma l'investigatore aveva il telefono sull'auto e la segretaria promise che lo avrebbe avvertito immediatamente che Simon lo attendeva all'aeroporto di La Verde. Stava terminando una fetta di torta e la quarta tazza di caffè quando vide Keith, col solito impermeabile che gli sbatteva sugli stivaletti, attraversare la sala d'attesa. Drake si alzò in piedi e gesticolò per attirare la sua attenzione; Keith lo scorse e lo raggiunse al bar. «Sei stato fortunato» esordi Jack. «Tornavo da San Diego e mi trovavo proprio nei pressi di La Verde. Ho un sacco di cose da raccontarti: ho trovato Charley Leem.» «Vivo?» «Vivo e con una fifa blu addosso. Sta in una camera ammobiliata nella parte vecchia di San Diego. Non è più un giornalista: è un ubriacone. Stava ciucciando alla bottiglia quando sono arrivato, ed è ovvio il bisogno che aveva di tirarsi su, quando pensi che la notte in cui Eve morì, lui era seduto nella sua vecchia Ford, nel parcheggio di Gusik. Ti ha visto arrivare e scendere dall'auto, e allora è scappato a razzo verso sud. Motivo: era stato lui a installare Eve al tuo albergo con uno squallido progettino di ricatto per il quale tu eri la vittima designata. Visto che la cosa andava per le lun-
ghe, Leem tornò nella camera della ragazza per sapere qualcosa, e la trovò morta. Era appena risalito in macchina quando ti vide arrivare, e questo voleva dire che tu non c'entravi con l'omicidio. Ubriacone o no, Leem sa fare due più due. Restavano in ballo solo la persona o le persone che si erano sbarazzate di Monterey e di Goddard.» «Quindi Leem pensa che siano stati assassinati.» «Ne è convinto, e per ottimi motivi. Charley Leem era la persona che accompagnò Eve Necchi alla Sherwood Hall tre settimane prima della morte di Kwan. La ragazza vide Kwan seduto con la gente "bene" e lo indicò a Leem, dicendo che lo aveva conosciuto quando non era tanto superbo. Dopo il concerto, la ragazza tentò di attaccar bottone con Kwan, ma si vide trattare con estrema freddezza, e questo la mandò fuori dai gangheri. Trascorse la notte con Leem e gli raccontò di aver conosciuto l'eurasiatico in un'agenzia di viaggi a Hong Kong. Le mancava qualche dollaro per il biglietto di ritorno e lui l'aveva aiutata. Aveva avuto il biglietto gratis e cento dollari americani in contanti. Doveva soltanto nascondere alcuni diamanti nella sua valigetta dei cosmetici. Al suo arrivo negli Stati Uniti, Eve li spedì a un numero di cassetta postale a San Diego, e tutto finì lì. Per Leem però, questo segnò la nascita di un'idea luminosa. Era ancora un cronista a caccia di notizie e aveva un bisogno disperato di quattrini. Indagò sul conto di Kwan e apprese che questi era un genietto della chimica, e anche che si allontanava periodicamente dall'università per dei viaggi di studio. Quando Kwan prenotò la camera al Balboa Hotel, Leem fu svelto a fissare la stanza accanto per Eve. Installò dei microfoni nella camera di Kwan e un registratore in quella di Eve.» «Santo cielo!» esclamò Simon. «Aspetta. Eve beveva volentieri ed era incline a sentirsi troppo sola dopo il tramonto. Resistette tre giorni in quella camera poi, la sera della morte di Kwan, ruppe l'astinenza e indugiò nel bar del Balboa fino all'ora della chiusura. Era sbronza, quando salì in camera, e seppe della morte di Kwan soltanto l'indomani mattina, allorché la cameriera salì per le pulizie e schizzò fuori sul balcone urlando.» "Frattanto, Leem s'innervosiva sempre più e passeggiava davanti all'albergo, una notte dopo l'altra. Il sabato sera ebbe una grossa sorpresa: vide il suo capo di un tempo, Sam Goddard, entrare nel giardino del Balboa poco dopo mezzanotte. Il suo primo impulso fu quello di avvicinarglisi, ma a quanto pare Goddard, nonostante le sue scarse finanze, teneva molto alle apparenze e aveva una bella auto. Leem invece era e si sentiva piuttosto
scalcagnato. Tornò nella sua camera ammobiliata ed è là che Eve lo chiamò al mattino. Voleva andarsene immediatamente dall'albergo, ma Charley la convinse a restare nella speranza che potesse raccogliere qualche informazione interessante sull'assassinio. "Leem intervenne al funerale di Sam e ti vide; la sera stessa, mentre stava ancora sorvegliando l'albergo, ti vide entrare. Telefonò a Eve nella sua stanza, le disse chi eri e le suggerì di attaccar bottone nel bar perché un avvocato così in gamba poteva saper qualcosa di Kwan. Il resto della storia lo conosci. Eve tentò il colpo a titolo personale e si fece beccare con le mani nel tuo portafoglio; lei però per sicurezza aveva preso la pellicola. Quando la mostrò a Leem, questi decise di combinare l'affare. Charley dice che il fatto che tu avessi quelle negative, era come un invito a venderti le informazioni che aveva sul conto di Kwan." «Dov'è adesso Leem?» domandò Simon, preoccupato. «L'ho sistemato in un posto sicuro. Che intenzioni hai?» Drake tirò fuori di tasca la chiave della cassetta e la mostrò a Keith. Gli raccontò della lettera a Vera e poi del suo incontro con Whitey Sanders e Max Berlin. Quindi indicò dall'ampio finestrone gli occupanti della Cougar verde scuro. «Il problema è prendere ciò che Monterey ha messo nella cassetta e filarsela. Naturalmente non potrei farlo con la mia auto. Spero che tu porti sempre con te la pistola.» «Certo, e poi c'è anche un fucile con la canna mozza nel sedile posteriore della Cadillac. Che piano hai?» «Ho avuto il tempo di pensarci su mentre ti aspettavo. Sul retro della cucina c'è un ingresso di servizio. Tu sorvegli l'ingresso principale mentre io apro la cassetta; quando vedi che mi dirigo verso la cucina, esci e porta la tua auto alla porta secondaria. Con un po' di fortuna ci saremo già allontanati prima che gli uomini di Berlin si rendano conto che non sono andato a prendere l'auto. Tentiamo la sortita adesso, mentre c'è ancora movimento nella sala d'aspetto.» Simon pagò il conto lasciando un'abbondante mancia alla cameriera, mentre Keith attraversava il vestibolo diretto all'ingresso principale. Là si fermò e si accese una sigaretta, nell'atteggiamento di chi attenda un aereo. Simon intanto si avvicinava con passo calmo alle cassette e apriva la numero 28. Dentro c'era un involto delle dimensioni di un volumetto di poesie: scuotendolo non produceva alcun rumore e pesava circa mezzo chilo. La carta da pacco marrone era legata con un grosso spago, ma non portava
né nome né indirizzo, né messaggi di alcun genere. Simon infilò il pacchetto sotto il braccio e chiuse la cassetta poi, senza voltarsi a guardare Keith, tornò nel bar e filò verso la cucina. Qualche istante dopo si trovava nel vialetto di servizio e la Cadillac di Jack si fermava accanto a lui con la portiera aperta. Mentre s'incanalavano nel traffico, Simon guardò indietro: nessuno li seguiva. «Fruga nella tasca della portiera destra» disse Keith. Simon frugò dove gli aveva detto Keith e tirò fuori un'automatica a canna corta. «Tienila» continuò Keith. «È carica e ha la sicura.» «Non giro mai armato» protestò Simon. «Lo so. Tu credi di potertela sempre cavare a chiacchiere, ma un giorno ti troverai con le spalle al muro, senza telefono né Jack Keith che ti cava le castagne dal fuoco.» 19 Sotto la direzione di Hannah, il salone di The Mansion era stato trasformato in sala di proiezione, completa di velluti rossi e maschere drammatiche ai lati del sipario. Tramite vecchie amicizie che lavoravano in quel campo, Hannah riusciva a procurarsi copie di film quasi contemporaneamente al loro lancio. Per questa particolare occasione però, si era servita delle sue conoscenze per avere numerosi e vecchi classici di Monterey uno dei quali "A Nord di Rio" stava avvicinandosi, in quel momento, alla sua prevedibile conclusione. Protagonisti di "A Nord di Rio" erano Monte Monterey e il suo fenomenale cavallo, Diablo. «I suoi film erano tutti uguali» osservò Hannah, mentre il sipario si chiudeva lentamente. «In tutti gli anni che ha lavorato, Monte non ha fatto altro che mostrarsi nelle migliori inquadrature, sorridere a trentadue denti e trionfare sul cattivo.» «Anche il cavallo non mi pareva male» commentò Keith con tutta serietà. Simon e Keith erano rientrati in tempo per vedere l'ultima parte del film. Hannah non interrompeva mai la proiezione per nessun motivo. «Ha sempre impersonato l'eroe» prosegui Hannah «e l'eroe era sempre puro e vittorioso. Rispecchiava i tempi: eravamo tutti giovani e puri; non potevamo mai perdere né scendere a compromessi. Ora, quello che vorrei capire è come mai questo classico idolo delle folle sia potuto diventare un
brutale assassino che ha impalato un uomo ancora vivo su uno spuntone di ferro.» «Vorresti forse insinuare che Monte non ha ucciso Kwan?» sbuffò Simon. «No, non arrivo a questo punto. Sostengo semplicemente che la faccenda non è assolutamente in carattere col personaggio. Se Monte avesse infilzato Kwan con un fioretto o l'avesse affrontato con una pistola in mano nel vestibolo del Balboa Hotel avrei potuto capire l'omicidio. Kwan però non è stato soltanto ucciso: è stato massacrato. E per compiere un atto del genere ci vuole una buona dose di brutalità.» «O di frustrazione?» suggeri Simon. «O di spirito di vendetta?» soggiunse Keith. Poiché i drappi di velluto rosso che continuava a fissare non le offrivano una risposta, Hannah lasciò perdere le sue speculazioni e si fece raccontare da Simon i fatti svoltisi nel pomeriggio. Gli occhi le brillarono di eccitazione quando Drake accennò all'incontro con Max Berlin. «Oh, che emozione! Avrei voluto esserci anch'io. È dinamico come appare nelle foto? È... scattante?» «È magrolino e ha una cicatrice... appendicite, credo... Ho avuto l'impressione che la sua abbronzatura non fosse naturale.» «Oh, ma non volevo dir questo. Ma già, tu sei un uomo e non puoi capire certe cose. Whitey dove ha conosciuto Berlin?» «A Tucson, a quanto pare. Berlin gli ha detto che cercava il posto per un nuovo istituto. Sistema ottimo per farsi portare in aereo a La Verde, no? Adesso però devo assolutamente vedere che cosa c'è nel pacchetto che Keith mi ha aiutato a ricuperare da una cassetta all'aeroporto di La Verde. Dopo torneremo a Max Berlin.» Simon prese un temperino e tagliò lo spago, poi svolse la carta e sotto ne trovò una seconda: era la prima pagina di un vecchio quotidiano di San Diego con la fotografia di un soldato che perdeva sangue a fiotti dal punto in cui, prima che calpestasse una mina Viet-Cong, aveva la gamba destra. Il giornale non sembrava necessario. Simon lo aprì e tirò fuori il contenuto del pacchetto impermeabile pieno di polvere bianca. Simon aprì il pacchetto, annusò la sostanza e ne assaggiò una puntina con la lingua. «Eroina?» chiese Keith. «No, e non so che cosa sia.» «Fammi sentire.» Anche Keith assaggiò il contenuto del sacchetto, e anche il suo responso fu negativo. «Guarda il taccuino» consigliò a Simon.
«La spiegazione può essere lì dentro.» Le annotazioni del taccuino, del tipo comunemente in uso tra gli studenti, erano compilate con una calligrafia elegante e assolutamente incomprensibile. Si trattava evidentemente di scrittura in codice, disseminata di simboli chimici. «Dev'essere opera di Kwan» disse Simon. «Anche la polvere può essere opera di Kwan» soggiunse Hannah. «È possibile, ma ci deve essere una spiegazione da qualche parte. Perché Monterey dovrebbe aver messo questa roba nella cassetta, spedendo poi la chiave a Vera, se non è importante? A meno che non fosse sicuro che lei avrebbe consegnato tutto alla polizia...» «Cosa che tu non vuoi fare» commentò Keith. «Credo di no.» «Io credo di sì, invece. Oggi ho visto il tenente Franzen al Balboa. Ha dato un'occhiata ài registro degli ospiti, poi è andato nel bar a parlare con un tale a nome Angus. Non sono stato a origliare, ma non mi stupirei se da un momento all'altro ti arrivasse una convocazione del tenente. Lascia che ti becchi con quella roba in mano e Duane Thompson ti farà radiare dall'albo.» «Così, Franzen sa che ho conosciuto Eve Necchi a San Diego» rifletté Simon ad alta voce. «E visto che è un buon poliziotto, avrà già collegato la sua morte a quella di Kwan. Jack, ragazzo mio, capisco il tuo punto di vista. Agli occhi della polizia, la mia posizione è un tantino delicata, vero? E non abbiamo armi per batterci... o forse si? Hannah, concentrati e tirami fuori qualcosa d'intelligente.» «Su chi?» «Su Whitey Sanders, tanto per cominciare. Riesci a vedere Whitey come assassino?» «Santo cielo, no! Whitey era uno che lavorava a commissione, prima di diventare ricco sfondato. Non ha bisogno di arrivare al delitto. Ma perché ti occupi di Whitey? Tu stesso hai detto che stava tentando di vendere dei terreni.» «Qualcuno ha pur detto a Berlin dove trovare Monterey. Chi l'ha visto a La Verde prima che morisse? Tu, Buddy Jenks...» «Non vorrai coinvolgere in questo pasticcio anche quel ragazzino!» «Hannah cara, ho visto dei ragazzini dall'aspetto più dolce e innocente del tuo Buddy che erano più velenosi dei serpenti. Che cosa sai di Buddy oltre al fatto che suona divinamente la tromba? Potrebbe fumare ma-
rijuana, imbottirsi di LSD o punzecchiarsi con l'eroina. Al momento è legato a Bonnie Penny, la bellezza del Seville Inn la quale, se ben ricordo, vide Monterey all'albergo alcune ore prima che lui si recasse al Gateway.» «Quindi saremmo in tre» concluse Hannah. «In quattro, se consideri Alex Lacey, che tira su col naso mentre ascolta le conversazioni telefoniche altrui.» «E dove metti Vera Raymond?» obiettò Hannah. «Hai soltanto la sua parola a garantirti che non sa chi telefonò a Sam la notte in cui Kwan fu ucciso, o che non sa quale sia stato l'argomento della telefonata. E Vera era al corrente che Sam il giorno successivo sarebbe andato a Santa Monica. Forse conosceva il motivo del viaggio e per questo, Monte mandò il pacchetto a lei.» Simon restò in silenzio. Al di sopra di tutte le possibili illazioni, restava il fatto che qualcuno aveva segnalato a Max Berlin la presenza di Monterey a La Verde, decidendo così la sua morte. Il grosso enigma era costituito dal taccuino. Simon sfogliò ancora le pagine in cerca di una chiave che ne chiarisse il contenuto e Jack Keith, che non aveva aperto bocca durante il dialogo di Hannah con Simon, si schiari la voce. «Il vecchio, Charley Leem, mi ha raccontato una storia raccapricciante. Forse sono soltanto chiacchiere, ma sta di fatto che Leem frequenta il porto e conosceva Berlin di fama molto prima che diventasse quello che è. Berlin è proprietario di uno yacht che tiene all'ancora in porto. Qualche tempo fa un membro dell'equipaggio cadde fuori bordo al largo della costa di Baja. Ufficialmente il cadavere non venne mai ritrovato. Era un giovane studente universitario a nome Delaney, che si stava specializzando in chimica.» «Ancora chimica!» esclamò Hannah. «Secondo Leem, il giovanotto aveva scoperto qualcosa di più potente, e più micidiale, dell'LSD. Il lavoro sullo yacht era un'occupazione estiva, ma si dice che per Delaney era un modo per avvicinare Berlin. Be', ho controllato la storia dell'uomo caduto fuori bordo ed è vera, ma le voci dicono anche che la Guardia Costiera ricuperò il corpo, o meglio, quanto ne era rimasto dopo che i pesci ne avevano fatto scempio. Leem giura di aver parlato con uno degli uomini che issarono la salma a bordo del guardacoste: il marinaio gli disse che il corpo non era stato mutilato solo dai pesci. La lingua, ad esempio, era stata mozzata da un professionista, come se a bordo dello yacht ci fosse stato qualcuno che sapeva usare il bisturi da esperto.
Se Leem non farnetica, bisogna concludere che abbiamo a che fare con gente per la quale impalare un uomo è un gioco da ragazzi.» «La tattica del terrore» mormorò Hannah. «Simon, ti avevo ben detto che Berlin aveva una faccia sinistra.» «O forse le comari del porto hanno un'immaginazione da sadici» ribatté Simon. «Per quale motivo Leem crede che la Guardia Costiera non abbia riferito di aver trovato il corpo di Delaney, se la notizia è vera?» chiese a Keith. «Ti avevo detto che a un certo punto le indagini su Kwan si erano arenate. Forse Delaney era un agente federale.» «E Kwan?» «Ne so quanto te. Che cosa cercava di comunicare Monterey a Vera Raymond? Trova la risposta e saprai quale posto occupava Kwan in questa faccenda. Fammi dare un'occhiata al taccuino.» Keith lo tolse di mano a Simon e lo scorse in fretta; arrivato alla copertina posteriore esclamò: «Ehi, qui in fondo ci sono dei nomi... quattro, cinque, sei nomi!» «Fai vedere.» Keith aveva ragione. La stessa mano accurata che aveva scritto i misteriosi geroglifici del testo, aveva elencato sei nomi sulla faccia interna della copertina posteriore: Van Brut, Wessler, Malvern, Robles, Severing e Di Miro. Sei nomi e nessuna spiegazione. Due di essi tuttavia parevano spiccare sugli altri. «Mi sembra di ricordare qualcosa di Severing e di Di Miro. Vado un momento nel mio studio a dare un'occhiata.» Lasciarono tutti la sala di proiezione e scesero con l'ascensore. Prima di muoversi, Hannah aveva chiamato Chester al telefono interno, chiedendogli di servire il caffè nello studio. Chester entrò col vassoio proprio mentre Simon era arrivato alla lettera "D" dell'archivio. «Daniels, Denver contro Denver... oh, quello sì che è stato un divorzio tutto pepe! Dockmier, Duncan... aspetta un momento, che cosa ho detto un istante fa?» «Qualcosa su un divorzio tutto pepe» lo informò Chester. «Un divorzio» mormorò Simon. «Ci sono! Gli accordi per il divorzio Merton. C'erano trecento azioni della Farmaceutica Severing e Di Miro. Merton disse: "Puoi prenderti la Rolls, la casa di città e la coppia di afgani, ma tieni giù le zampe dalle mie Severing e Di Miro!". Al ricevimento dopo la sentenza, Brad ci rideva su. Era ubriaco e forse parlava troppo, ma mi lasciò capire che presto le azioni avrebbero perso ogni valore perché la società era sottoposta a indagini da parte delle autorità federali sotto l'accusa di aver imposto i prezzi di medicinali e del chinino.» Simon tacque e anche
gli altri non fecero commenti. Dopo pochi secondi, Drake prese il sacchetto di polvere bianca e lo gettò a Chester. «Cosa credi che sia questa roba?» Chester non seppe cosa dire e si strinse nelle spalle. «Vai ancora a fare il surf con quel tecnico di laboratorio della Dow?» chiese Simon. «Si, da quando ha rifiutato di lavorare sul napalm... se è di Ray Larkin che state parlando.» «Proprio di lui. Chiedigli di analizzare questa sostanza. Se è ciò che penso, sapremo perché Monterey perse il lume degli occhi al punto da infilzare Kwan come un tordo... Parlami ancora di suo fratello Joe, Hannah. Monte gli voleva bene? Era importante per lui?» «Era la luce del sole» rispose Hannah. «E mori nella giungla, chissà come. Magari come il ragazzo nell'illustrazione di prima pagina del giornale in cui era avvolto il pacchetto. Chester, prega il tuo amico di fare un lavoretto veloce.» «D'accordo.» Chester prese il pacchetto e uscì. Non occorreva dirgli che l'analisi della polverina era una faccenda confidenziale. Era un ragazzo sveglio e in gamba, tranne che in cucina. «Come se la passava Monterey?» riprese Simon, rivolto ad Hannah. «Bene.» «Aveva un tenore di vita dispendioso?» «Naturalmente.» «Gli sarebbe costato parecchio rinunciarvi, no?» «Credo che ne sarebbe morto.» «Cosi andò in Sud America a girare film. Deve aver conosciuto Max Berlin laggiù, e credo che lavorasse per lui. Suppongo che la definizione ufficiale sia "pubbliche relazioni". Forse si era piegato a parecchie porcheriole; lo facciamo tutti, ma ciascuno di noi arriva soltanto fino a un certo punto... Che cosa sai della malaria?» «So che è sgradevole.» «È una delle malattie che uccidono più gente. Nella seconda guerra mondiale ci procurò parecchi fastidi nel teatro bellico del Pacifico, il chinino scarseggiava perché gran parte della produzione veniva proprio dai territori nei quali si combatteva. Gli scienziati scoprirono un surrogato migliore del chinino, ma nel Vietnam non ha funzionato. La malattia si aggrava e la cura perde efficacia. Contemporaneamente il chinino ha avuto aumenti di prezzi astronomici e una commissione d'inchiesta del Senato
degli Stati Uniti ha accertato che un cartello internazionale si è accaparrato il mercato del chinino.» «Gente per bene» commentò Keith. «E profitti lauti: chiedilo alla ex-moglie di Merton. Lei non ne conoscerà i dettagli, naturalmente. È sempre rischioso indagare troppo da vicino sulla fonte dei profitti, specialmente in tempo di guerra. La gente "su" lo sa e non ci mette bocca.» «E tu pensi che Monterey ce l'abbia messa?» «Una volta di troppo. Leem che cosa ne dice?» «Te l'ho detto: è terrorizzato» rispose Keith. «Ho il sospetto che abbia registrato qualcosa della quale non vuol parlare; altrimenti perché avrebbe macchinato quel piano per invischiare te? Ho parlato di ricatto, no? Be', forse cercava di ricattare l'uso del tuo cervello. Il registratore era installato nella stanza di Eve ed era in funzione. Lei avrebbe potuto dormire e il registratore marciare se preparato prima, perché non credo che Leem avrebbe affidato alcunché di meccanico nelle mani di quella donna. Forse il vecchio ne sa abbastanza da capire qualcosa di quanto c'è in questo taccuino.» «Dov'è adesso Leem?» «Nel mio appartamento a Beverly Hills, con un paio di bottiglie per compagnia. Non preoccuparti: ha troppa paura per squagliarsela.» «Perché non andiamo a trovarlo?» Jack Keith aveva finito di bere il caffè: si voltò per posare la tazza sullo schedario di Simon, trovandosi così di fronte alla finestra, e vide un paio di fari sormontati da un faretto rosso rotante venir su dal vialetto. «Temo che non possiamo andare a trovarlo perché è arrivata la legge» annunciò. Era un po' troppo presto. Simon fece per nascondere il taccuino tra le pratiche, poi cambiò idea e lo consegnò ad Hannah. «Sta' attenta: è molto importante.» «Sarebbe a dire?» chiese Hannah. «Max Berlin è troppo furbo per andare in giro ad ammazzare personalmente la gente. Anche se scopriamo chi gli disse che Monterey era andato a La Verde; anche se acciuffiamo l'assassino materiale di Eve Necchi, di Monterey e di Goddard, non avremo in mano Berlin. Qualsiasi cosa succeda nei prossimi minuti, non far vedere questo taccuino. Non ho nessuna voglia di fare un regalo a Duane Thompson.» Chester era uscito e, quando suonò il campanello, andò ad aprire Simon. L'auto della polizia di Marina Beach era ferma accanto alla Cadillac di
Keith, a motore e faretto rosso spenti. In piedi sulla soglia il tenente Franzen si stava pulendo gli occhiali con un fazzolettino di carta. «C'è nebbia» disse. «Avrei bisogno del tergicristallo per questi. Posso entrare?» La domanda era una mera formalità perché era già entrato. Si mise con cura gli occhiali e smise di sorridere. Tirò fuori di tasca due cartoncini e li porse a Simon: erano due schede di registrazione dell'Hotel Balboa, a nome di Simon Drake e di Eve Potter. «Il cognome da ragazza di Eve Potter era Necchi» sottolineò. «Lo so» rispose Simon. «Lo credo bene! Drake, a che gioco state giocando? Vi ho fatto una leale offerta di collaborazione, ma non posso tener nascosta a Thompson una prova di questo calibro. Mi farei silurare. Avete preso alloggio al Balboa contemporaneamente alla donna che è stata uccisa al Motel Six, ma c'è di più: avete bevuto con lei al bar...» «Lei ha bevuto con me» lo corresse Simon. «E ha persino offerto. Sono sicuro che il barista ve l'ha detto perché sono cose che si notano.» «Era la prima volta che vedevate quella donna, Eve Potter?» «Si, ma non è stata l'ultima. Dopo è salita nella mia stanza e ha tentato di derubarmi. Le ho restituito i quattrini che aveva speso per pagarmi da bere e l'ho buttata fuori. Al mattino l'impiegato mi ha detto che se n'era andata nel cuore della notte. Dovevo averla spaventata.» «Com'è finito il vostro numero telefonico segreto sulla copertina della guida telefonica nella cabina di Gusik?» «Non ne ho idea.» «Forse parlate nel sonno.» Simon fece scivolare la mano nella tasca della giacca. Era gonfia perchè portava ancora la pistola datagli da Keith. «Vi ho detto che ho buttato Eve Potter fuori dalla mia stanza» ripeté. «Dopo non l'ho più vista. Avrebbe potuto dire che non l'aveva più vista viva, ma non c'era motivo di regalare informazioni a Franzen.» Il tenente restò impassibile. «Non vi credo; sarebbe bene che mi diceste tutto ciò che avete fatto e dove siete stato nella notte dell'uccisione di Eve Potter.» «Sono rimasto a casa» rispose Simon. «Ho telefonato alla mia fidanzata, Wanda Cali, a New York. Potete controllare.» «Lo farò; cos'altro?» «Ho cenato con la signorina Lee, poi abbiamo giocato a poker e lei mi
ha battuto. Mi batte sempre.» Franzen guardò Hannah. Il taccuino era sparito, e lei annuì vigorosamente: «Simon dice la verità. È rimasto qui con me tutta la notte.» «Fin quando avete giocato a poker?» «Non badiamo mai all'ora» rispose Hannah. «Io soffro d'insonnia. Abbiamo giocato fino alle prime luci dell'alba.» Fino a quel momento, Franzen aveva creduto a ogni parola di Hannah; la sua voce aveva un'intonazione autoritaria che non lasciava adito a dubbi. Ma quando l'attrice disse che avevano giocato fino alle prime luci dell'alba, tutto il castello crollò. Simon apri bocca per fermarla: troppo tardi. Franzen si stava leccando dalle labbra le penne del canarino. «La lealtà è una magnifica dote, signorina Lee, ma temo che adesso abbiate preso una cantonata. Ho la dichiarazione di una cameriera del turno di notte al ristorante di Denny, che conosce Simon Drake di vista. Ha detto che Drake si è fermato là pochi minuti prima delle tre, quella notte, e che ha ordinato una bistecca al sangue per un cane. Immagino fosse quello che mi ha inseguito sul vialetto pochi minuti fa. Come vedete, Drake non è rimasto in casa tutta la notte ed era vicino al luogo del delitto pressappoco nell'ora in cui veniva portato via il cadavere. Drake, devo chiedervi di venire con me in Centrale per vedere di chiarire questo pasticcio. Thompson è scontento. Il sergente Potter si trovava sicuramente nel suo alloggio a El Toro quando sua moglie morì e ci sono sei testimoni oculari a confermarlo.» «Fatemi parlare con Thompson per telefono» suggerì Simon. «Non potete: è andato a un'assemblea a Fresno e tornerà tra due giorni.» «E voi credete che me ne stia buono buono in una cella della Centrale di polizia finché non torna Thompson?» Forse l'idea non dispiaceva affatto a Franzen. Non era un tipo vendicativo, ma i suoi sentimenti erano stati feriti dalla menzogna di Simon, che lo aveva anche messo in una posizione delicata. Simon lo capiva, ma non poteva perdere due giorni di tempo in quel momento. Le sue dita si chiusero sul calcio della pistola che estrasse dalla tasca. Hannah, sbalordita, esclamò: «Simon, una pistola! Non sapevo che tu fossi un pacifista!» Il tenente Franzen non si lasciò impressionare. «Posate quel dannato cannone, prima di spararvi sui piedi.» Simon però non sparò: alzò il braccio e sganciò una botta con il calcio dell'arma sulla tempia del poliziotto; un colpo non troppo violento, calco-
lato per stordirlo e sbilanciarlo. Franzen arretrò barcollando e Simon si lanciò verso la porta; corse alla Cadillac di Keith; le chiavi non erano nel cruscotto. Frugò in fretta sotto il tappetino e trovò quelle di riserva. Partì a razzo, incurante degli strepiti di Jack. Aveva appena colpito un tenente della polizia col calcio di una pistola che non aveva il permesso di portare e rubato l'auto di un investigatore privato. Non ci sono limiti a ciò che può fare un uomo per attirare l'attenzione del prossimo. 20 Simon aveva dalla sua il vantaggio della sorpresa e poi conosceva come le sue tasche tutte le strade di Marina Beach. Scelse il percorso meno frequentato in direzione di Beverly Hills e vi giunse due ore dopo l'impari duello con Franzen. Sistemata la Cadillac nella rimessa sotterranea, Simon sali nell'appartamento di Jack Keith, una mansarda che dominava la città addormentata. La stanza era buia. Sullo sfondo della finestra si stagliava la figura di un uomo che si voltò verso la porta mentre Drake se la chiudeva alle spalle. «Perché diavolo ci hai messo tanto tempo?» lo aggredì Jack Keith. «Come hai fatto a liberarti di Franzen?» chiese di rimando Simon. «Facile: ho collaborato. Gli ho detto che lavoravi troppo e che il medico ti aveva avvertito che rischiavi un collasso nervoso. Hannah mi ha dato corda e tra tutt'e due l'abbiamo convinto che non appena ti avessimo trovato ti avremmo portato di corsa da un dottore. Franzen mi ha persino prestato la macchina per venire a casa.» «Hai lasciato sola Hannah?» «Ha Rover, e poi Chester è tornato mentre io me ne andavo. Tu però corri un bel rischio, amico. La legge ti ha messo gli occhi addosso e la stampa sarà informata prima di domattina. Perché quel gesto di forza? Franzen non ha niente sul tuo conto, ma questo modo d'agire ti mette in una brutta luce.» Simon attraversò la stanza e gettò a Keith le chiavi che aveva trovato sull'auto. «Chi ha il taccuino?» chiese. «L'ho portato con me. Hannah era sicura che saresti venuto qui perché c'è anche Leem.» «Dov'è?» «In camera: dorme come un bambino che ha fatto il bagno nel rum. Non mi sembri affatto giù di corda: non ti secca che la tua immacolata reputa-
zione vada al diavolo?» «No, ma spero che secchi a Max Berlin. Pensaci un attimo, Jack. Io sono il classico maschione americano che ha trascorso la notte nello stesso albergo di una gentildonna nota per le sue prestazioni... amatorie. Come fa a essere sicuro Berlin che non abbiamo fatto amicizia? O che io non sono dentro fino al collo in questa faccenda, tanto da non poter reggere a un'indagine approfondita su un delitto? Mi sono messo da solo nelle peste per un buon motivo: adesso sono uno che potrebbe avere ottime ragioni per venire a un accordo.» «Per il taccuino ~ concluse Keith.» «E per la polverina bianca. Un tipo come Berlin tiene uniti i suoi accoliti con la tecnica del terrore: il caso Delaney ce lo conferma. Non ucciderebbe personalmente se non come misura disciplinare. Credo che Eve sia stata uccisa da Rosenkrantz e Guildenstern e mi gioco la testa che Berlin vorrà barattarli con ciò che ho preso nella cassetta di deposito all'aeroporto. Berlin è sicuro del fatto suo: per questo accompagnò il suo giannizzero quando andò a reclamare la salma di Kwan. Sa che non è stato lui a uccidere Kwan, quindi non si preoccupa. I suoi tirapiedi sanno anche che la morte di Sam Goddard è stata ritenuta accidentale, così usano tranquillamente la pistola di Sam. Non devo far altro che pescare uno di loro con la Smith & Wesson in mano e riconsegnarla alla polizia di Enchanto. Quella pistola è il genere di prova che può entrare in un'aula di tribunale. Può non essere determinante, ma avrebbe un notevole peso.» «Rischi di lasciarci la pelle.» «Me ne sono accorto ieri notte al Seville Inn» ammise Simon. «Quanto pensi che io possa restare al sicuro qui?» «Dove hai lasciato la mia auto?» «Nella rimessa sotterranea.» «Non va: sarà meglio che la polizia la trovi a una trentina di chilometri da qui. La porterò via. Con un po' di fortuna potrai restare qui finché l'amico di Chester avrà completato l'analisi.» «Dove posso dormire?» «Fai due passi a destra e siediti: ti troverai su un divano che è a tua disposizione finché vorrai. Quando esco chiudo a chiave e stacco il telefono. Vuoi una coperta?» Simon non rispose: dormiva già. Una spirale di suoni, ora teneri e sommessi, ora squillanti, destò Simon.
Una tromba. Si stiracchiò sul divano come un gatto e apri gli occhi. Era mattino: dalle finestre si vedeva soltanto nebbia grigiastra e, isolata com'era dal resto del mondo, la mansarda di Keith avrebbe potuto essere in cima all'Everest. Simon si aggrappò allo schienale del divano e si mise a sedere. Adesso poteva vedere il colossale apparato stereofonico che trasmetteva il concerto per tromba. Vicino a esso si trovava Jack Keith, avvolto nell'accappatoio e con i capelli ancora bagnati. Gli fece una smorfia allegra. «Cinque ore di sonno bastano per un adulto» sentenziò. «Nel frigorifero c'è del succo d'arancia e il caffè è quasi pronto. Come vuoi le uova?» «Quando sei tornato?» chiese Simon. «Un paio d'ore fa: ho strappato a Leem un po' di posto sul letto per dormire, ma ero troppo eccitato. Ti va il nuovo disco?» «Mi sembra di conoscere la tromba.» «È Buddy Jenks; l'ho appena comprato perché l'avevo sentito per radio in taxi, mentre tornavo dall'aeroporto internazionale.» «E che ci facevi, all'aeroporto internazionale?» s'informò Simon. «Quando ti sei coricato mi è venuta un'idea fantastica: ho portato la mia macchina all'aeroporto, poi ho preso un taxi e ho raccontato all'autista tutti i particolari della mia battuta di pesca nelle acque messicane. Lascia che Franzen si scervelli per scoprire dove ti sei rintanato, dopo aver preso il volo dall'aeroporto internazionale. Tornando al disco, pare che Whitey Sanders sia un grosso azionista della casa discografica.» «Così il biondo Buddy di Hannah diventerà l'idolo degli adolescenti.» «Se lo merita. Ma anche tu stai diventando famoso, Simon. L'amico che mi ha dato il disco diceva che il giornale radio delle cinque ha fornito i tuoi connotati. Probabilmente la tua foto comparirà sui giornali del pomeriggio.» «Spero che sia ben riuscita.» Simon si passò una mano sul viso. Aveva un barbone impresentabile. «C'è modo di radersi, in casa tua?» «Infila il corridoio, prima porta a sinistra. Il rasoio elettrico è nell'armadietto dei medicinali; io intanto strapazzo le uova.» Simon uscì dalla stanza da bagno dopo essersi rasato, lavato e appropriato di un altro accappatoio di Keith. Seguì il profumo di caffè e si trovò in una minuscola cucinetta: Jack stava versando il caffè e Charley Leem contemplava tristemente la tazza fumante che aveva davanti. All'ingresso di Simon, Leem sussultò e cominciò a tremare. «Dicevate che qui sarei stato al sicuro» piagnucolò, rivolto a Keith e fissando Simon con gli occhi arrossati.
«E infatti siete al sicuro. Immagino ricordiate Simon Drake, la persona che volevate ricattare.» «È una menzogna! Volevo soltanto parlare di affari.» «Che genere di affari?» volle sapere Drake. Leem afferrò con mano incerta la tazza di caffè e inghiotti in fretta qualche sorso; trasalì involontariamente al sapore di quello stimolante nuovo per lui e posò la tazza. «Avevo una pellicola presa da Eve nel vostro portafoglio: adesso però è sparita.» «Chi l'ha presa?» Leem assunse un'aria riservata. «Forse voi. Vi ho visto entrare nel parcheggio vicino al motel dove vi aspettava Eve; vi ho visto andare verso il motel, ma non uscirne, perché ero partito a tutta velocità verso San Diego.» «Perché non siete andato a raccontarlo alla polizia?» «Nessuno mi ha fatto domande; se mi interrogheranno lo dirò.» Simon si sedette su uno sgabello e prese la forchetta. «Charley Leem non farebbe una cosa simile; non l'incorruttibile Charley Leem.» «Nessuno è incorruttibile» ribatté Leem. «Se le tentazioni non avranno ragione di voi, ci penserà il tempo. Io sono stato schiacciato da tutt'e due. Sarò franco con voi, Drake: avevo sistemato Eve in quel motel dicendole di servirsi di quei negativi per attirarvi là, ma non avevamo intenzione di ricattarvi. Volevamo il consiglio di un buon avvocato.» «Io ho anche un ufficio» gli rammentò Simon. «Ma noi non avevamo quattrini, e dovevamo tutelare i nostri interessi in qualche altro modo.» Era il momento di tentare una mossa. «Quanto credete di poter ottenere per la registrazione dell'assassinio di Kwan?» gli chiese a bruciapelo. Leem alzò gli occhi di scatto, sbalordito. «Quale registrazione? Di che cosa state parlando?» Il metodo migliore per convincere un uomo spaventato come Charley Leem era quello di creare una fonte più immediata di paura. Simon si fece addosso al vecchio e lo afferrò per il colletto. Sotto la maschera arrogante, non era altro che un povero imbelle che se l'era spassata troppo e troppo presto. Era minato nel corpo e nello spirito e nei suoi occhi ardeva soltanto l'istinto di conservazione, più forte di ogni altra cosa. Ispirandosi alle supposizioni di Keith, Simon riprese: «Non so quale
congegno abbiate piazzato nella stanza di Kwan al Balboa Hotel, ma so che non vi aspettavate un delitto e dubito che abbiate portato via il registratore dopo che venne scoperto il cadavere di Kwan. Faceste restare Eve all'albergo per avere la possibilità di entrare ancora in quella stanza, ma quando ci riusciste il registratore era sparito. Se l'avesse preso la polizia l'avreste saputo; questo significa che Berlin fece entrare qualcuno nella stanza e scoprì che era controllata. Le stesse informazioni scovate da Keith sul conto di Eve Necchi erano accessibili a chiunque altro, e la traccia risale a voi, Leem. Ecco perché avete paura: qualcuno ha fatto tacere per sempre Eve mentre voi aspettavate me e adesso temete di essere il prossimo della lista. Se adesso volete ancora il mio consiglio di avvocato, ve lo darò gratis: potete consegnarmi la registrazione e aiutarmi ad assicurare alla giustizia gli assassini di Sam Goddard. Dopo di che potrete vendere la storia e fare tutti gli affari che vorrete.» La reazione di Leem fu quasi istantanea. «Anche Sam è stato ucciso?» balbettò. «Lo sapete maledettamente bene. La sua pistola è sparita e due notti fa stavano per farmi la pelle proprio con quella. Ho la pallottola per dimostrarlo.» Simon mollò il colletto di Leem e il vecchio crollò a sedere. Era terribilmente scosso. Si fece piccolo come uno che è stato picchiato e che teme altri colpi. Guardò Keith con le labbra tremanti. «Avevo un soprabito, quando mi avete portato qui ieri. Dov'è?» «Voi di qui non uscite» gli rese noto Keith. «Lo so, ma ho bisogno del soprabito. Ha la fodera attaccata con una cerniera lampo e la registrazione è in una scatola assicurata alla fodera sotto il braccio destro. Potete farcela ascoltare con quel vostro apparecchio.» Quelle poche parole parvero aver esaurito ogni energia di Leem. Restò seduto e immobile mentre Keith prendeva il nastro, poi tutti e tre rimasero in silenzio mentre si svolgeva l'azione che Eve Necchi si era persa perché occupata a stringere nuove amicizie al bar del Balboa. La registrazione della morte di N.B. Kwan durava poco più di tre minuti. Cominciò con alcuni colpetti alla porta. La porta si aprì. "Monterey: Il dottor Kwan? Kwan: Sì? Monterey: Mi chiamo Montgomery. Sono venuto per la merce. Kwan: Oh, già, vi riconosco. Entrate e chiudete la porta. La roba è
nella mia borsa. Monterey: È più leggera del solito. Kwan: Ma vale più del solito. Dove sono i miei quattrini? Monterey: Sono nella vostra cassetta di sicurezza alla banca di La Jolla, come sempre. Tutto qui? Kwan: No, prendete questo taccuino e stateci attento: vale più del pacchetto. Monterey: Lo so. Ho incontrato Max Berlin e Di Miro nel Messico, qualche settimana fa, e mi hanno fatto entrare nell'affare. C'era anche Van Brut: si era fatto fare qualcosa alla faccia, come pure Di Miro; loro vanno a sud. Kwan: Non mi meraviglia. Di Miro scotta; anche Severing è sotto tiro, ma lui se la caverà più facilmente. Ci penserà Robles. Quanto ha depositato Berlin nella mia cassetta? Monterey: Centomila dollari. Kwan: Sarebbe dovuto essere il doppio: questa roba lo renderà milionario. Ma io non sono avido; sono giovane e mi piace vivere. Monterey: (a bassa voce) Anche a Joe piaceva. Kwan: Chi? Monterey: Qualcuno che non conoscete. Un ragazzo: un soldato americano. Kwan: Che cosa avete? Mi sembrate un po' strano. Monterey: Non ho assolutamente niente. Mentre aspettavo stasera, pensavo a Joe e a tutti i giovani in Vietnam che potrebbero vivere se avessero questa roba. Giovani. E anche ragazze. Ragazze come La Juanita di Joe e i bambini come quelli che loro non hanno mai avuto. Siete corrotto, Kwan. Siete schifosamente corrotto. Kwan: Non fatemi la predica, Montgomery. Ho visto gli appunti di Berlin sul vostro conto: siete sceso dal cavallo bianco quando avete smesso di fare il cinema. Quanto a quei dannati militari non ci perdo certo il sonno: li ho visti in azione quand'ero bambino. Che crepino tutti!" Quelle parole furono pressoché le ultime del dialogo. Vennero poi dei tonfi e delle grida laceranti. Kwan urlava: "Lasciatemi andare, idiota! Mi ucciderete!" E Monterey: "Questa scena si recita cosi... come io ho scritto il copione." I rumori si affievolivano mentre i due contendenti si allontanavano verso il balcone, poi si udì un terribile urlo che fece vibrare l'alto-
parlante. Passi frettolosi che uscivano dalla stanza. La porta che sbatteva e un gemito angoscioso sullo sfondo finché Keith fermò il registratore. «È una prova» disse Keith. «La voce si può confrontare con la colonna sonora dei vecchi film di Monterey.» «Già, è una prova» ammise Simon «ma dopo la morte di Monterey non abbiamo in mano nulla da portare in tribunale.» «Berlin?» «Di lui si parla soltanto. Non abbiamo prove a suffragare la nostra tesi, e a quest'ora, probabilmente, non ci sarà più nulla nella cassetta di sicurezza di Kwan. Dov'è il taccuino? Adesso comincia ad avere un significato.» Keith consegnò il taccuino a Drake, il quale rivolse immediatamente la sua attenzione ai nomi scritti sul dietro della copertina. «Robles e Malvern. Avrei dovuto riconoscerne i nomi, ieri sera. Sono avvocati specialisti in diritto internazionale. Van Brut era il cliente di una causa di trust, l'anno scorso. Un affare di prezzi imposti e di cartello dei medicinali. C'entra anche Wessler. Credo sia tutta una storia di spie che rubano formule chimiche. Una solida industria farmaceutica spende milioni per sfornare un prodotto che compare sul mercato prima ancora che la ditta creatrice ne predisponga la confezione. Monterey ha detto che Van Brut e Di Miro si erano fatti fare qualcosa alla faccia: potrebbero essere i due con il viso avvolto nelle bende che Sam Goddard trovò tanto interessanti da fotografarli. Questo sta a indicare che anche lui seguiva la pista dei medicinali. Non credo che avesse lasciato cadere la faccenda; anzi, quando vide Monterey, probabilmente decise di andare fino in fondo. Monte era il fratello di sua moglie: i vecchi legami sono duri a morire.» «Allora il testo cifrato del taccuino è una formula che Kwan voleva passare a Berlin» concluse Keith. «Ma che cos'è la merce?» «Probabilmente non era affatto merce» rispose Simon. «Kwan l'ha chiamata così perché di solito consegnava merce di contrabbando: probabilmente eroina. Peccato che Monterey abbia parlato cosi poco, ma trattava qualcosa che toccava un suo punto sensibile. Joe era suo fratello: l'eroe di guerra morto oltremare. La polvere è un medicinale: un antibiotico. Qual è il problema sanitario più grosso nell'Asia Orientale?» «La malaria» rispose Keith. «Esatto. Si sono trovati alle prese con una forma virulenta che resiste a tutte le cure. E c'è in corso un'indagine senatoriale sull'aumento vertiginoso del prezzo del chinino.» «Profitti di guerra» osservò Keith amaramente. «Comincio a capire per-
ché Monterey risalì sul suo cavallo bianco.» «Anch'io: suo fratello era troppo importante per lui. Monte doveva essersi messo una specie di paraocchi mentale per la maggior parte del tempo in cui lavorò per Berlin, ma un uomo non può scendere in basso oltre un certo punto.» «Avrebbe dovuto rivolgersi alla polizia.» «Dopo aver perso il controllo di sé e ucciso un uomo? Non credo pensasse di aver commesso un delitto: lo vedeva più come l'esecuzione di qualcuno che la legge non poteva raggiungere. Per un essere come Berlin ci sono sempre un Robles e un Malvern, e lui li adopera per proteggere tutti coloro che lavorano nella sua organizzazione. Non Monterey però, perché stava tralignando, cosicché Monterey si rivolse a Sam Goddard, forse dopo averlo visto all'istituto di Max Berlin. Probabilmente non lo sapremo mai.» Simon si rivolse a Leem, che era rimasto in silenzio durante tutta la trasmissione della registrazione e. ora seguiva il dialogo tra Drake e Keith con l'interesse spasmodico di chi spera in un appiglio per salvarsi la pelle. «Quanto tempo dopo la morte di Kwan vi accorgeste di ciò che era registrato sul nastro?» Leem si leccò nervosamente le labbra. «Poche ore dopo che era stato scoperto il cadavere» rispose. «Eve mi chiamò non appena la cameriera urlò che avevano assassinato un uomo. Era in preda al panico, e io le dissi di tenere i nervi a posto e chiamarmi quando fosse stato portato via il cadavere. Sapevo che la direzione dell'albergo avrebbe cercato di fare le cose in sordina in modo da non turbare gli ospiti. Quando Eve mi ritelefonò andai al Balboa e ritirai il registratore. Feci passare il nastro quel tanto che bastava per rendermi conto che avevamo in mano qualcosa d'interessante, quindi chiesi alla ragazza di rimanere in albergo. Poi portai l'apparecchio a casa mia e ascoltai tutta la registrazione.» «Quindi poche ore prima Monterey era ancora vivo.» «Sì.» «E anche Sam Goddard. Vecchio idiota, non capite che avreste potuto salvare le loro vite, se foste andato alla polizia? Che intenzioni avevate?... Ricattare Monterey? Dev'esser stato un bel colpo per voi quando apprendeste che era morto.» «Fu peggio quando seppi che Sam Goddard era morto» mormorò Leem. «Immaginai che l'organizzazione alla quale Monterey e Kwan appartenevano avesse liquidato Monterey. Soltanto un boy-scout può pensare d'im-
mischiarsi in quel genere di controversie e io sono troppo vecchio per fare il boy-scout. Avevo visto però Sam nel cortile del Balboa. La sua morte mi scosse profondamente. Non mi sembrava possibile che si fosse infognato in una porcheria simile, a meno che non stesse preparando un colpo giornalistico, perché Sam aveva dei principi. Andai al funerale per vedere chi si sarebbe presentato. Voi, Drake, eravate l'unica persona estranea; avevo sentito parlare di voi: avvocato di grido con una clientela selezionata. Volevo prendere contatto per cercare di sapere chi rappresentavate; cercavo anche di sapere a chi quella registrazione avrebbe potuto nuocere più di quanto potesse nuocere a me. E questo non è ricatto, amico. È una forma di assicurazione.» Leem si leccò nuovamente le labbra. «Su un punto avete ragione» si rivolse nuovamente a Simon. «La morte di Eve mi terrorizzò. Sapevo che non l'avevate uccisa voi e questo significava che l'organizzazione era arrivata a Eve, e forse dopo sarebbe toccato a me. La registrazione scotta troppo perché la maneggi da solo: sono contento che l'abbiate ascoltata voi due. Anche questa è una specie di assicurazione.» «Porterò il nastro in un laboratorio che conosco io per incidere separatamente le voci» si offrì Keith. «La prossima mossa toccherà a te, Simon.» Il telefono squillò; rispose Jack. Era da parte di Franzen. «Hanno trovato la mia àuto all'aeroporto internazionale» riferì. «Duane Thompson teme che tu abbia lasciato il Paese.» «Perfetto! Da Los Angeles si può raggiungere qualsiasi angolo del globo. La ricerca lo terrà impegnato fino alle elezioni di primavera. Il tuo telefono è sotto controllo?» «L'ultima volta che l'ho esaminato non lo era.» «Allora lo uso.» Drake chiamò Whitey Sanders al Gateway Bar di La Verde. Riconobbe la voce di Alex Lacey che lo informò seccamente che il signor Sanders era ancora a Palm Springs. «Dev'essere una festa coi fiocchi» commentò Simon. «Come dite?» «Niente. Fatemi parlare con Buddy Jenks.» La comunicazione venne passata all'abitazione di Buddy, che rispose con voce allegra. «Buddy, sono Simon Drake. Vorrei che trasmetteste un messaggio a Whitey, non appena arriva. Ditegli che ho preso possesso dei restanti beni di Monterey.» «Messaggio cifrato» bofonchiò Buddy.
«Promettete di dirglielo?» Buddy promise e riappese e Simon attese il secondo scatto prima di chiudere a sua volta la comunicazione. Quando si voltò, vide che Keith lo fissava, preoccupato. «L'altro telefono poteva essere controllato» disse «e in questo caso saresti nei guai.» «Conto proprio su questo» ribatté Simon. 21 Quella notte era senza nebbia. Visto dal cielo, l'aeroporto di La Verde sembrava una vivida chiazza fluorescente sul fondo della conca nera che era la valle. Simon scese di quota col suo Beechcraft a nolo e localizzò la Jaguar dove l'aveva lasciata; non c'era segno della Cougar verde né dei giannizzeri di Berlin. Simon volò in circolo sul campo finché la torre di controllo gli diede il permesso di atterrare, quindi si posò dolcemente sulla pista. La sala d'aspetto era vuota e al bar sostavano soltanto i dipendenti dell'aeroporto, i quali non gli badarono neppure quando attraversò la sala diretto alla sua auto. Parti subito in direzione del Gateway Bar. Le buone notizie viaggiano in fretta e Buddy Jenks aveva già un seguito di appassionati le cui automobili avevano intasato il parcheggio. All'interno del locale l'esibizione di Buddy aveva ipnotizzato la folla. Nessuno aveva occhi e orecchie se non per il trombettista. Nessuno notò Simon, tranne Lacey, la cui espressione scostante sembrava esserglisi incollata sul viso. «Dov'è il principale?» chiese Simon. «Il signor Sanders non è venuto, stasera: credo che sia nel suo bungalow.» «Chiamatelo e ditegli che sono qui. Mi troverà al bar.» Non attese obiezioni e si mosse tra i tavoli, raggiungendo il bar. Scelse un posto da cui poteva vedere l'ingresso nel salone, ordinò un whisky e si dispose ad attendere. Bonnie Penny, inguainata in un abito a lustrini rosa, lo raggiunse poco dopo. Non era allegra né sorridente e sulla guancia sinistra aveva un brutto segno rosso. I suoi occhi erano ancora umidi di lacrime che non erano certamente di isterica ammirazione per Buddy Jenks. «Avvocato Drake» attaccò subito Bonnie «perché non ve ne andate di qui? Siete nei guai.» «Chi vi ha picchiato?»
«Nessuno.» «Mentite: i pomoli delle porte non arrivano a quell'altezza.» «Va bene, ho fatto baruffa con Buddy.» «Non vi credo: in questo periodo è troppo felice per picchiare una donna. Vi ha mandato Whitey?» «No. Ero con Buddy quando avete telefonato oggi pomeriggio e lui mi ha riferito le vostre parole.» «Che cosa sapete dell'assassinio di Monterey?» «Assassinio?» «Risparmiatevi le scene di meraviglia. Voi capiste che qualcosa non quadrava la mattina in cui venne trovato il cadavere. Mi seguiste nella sua stanza senza perdere un attimo di tempo e non mi lasciaste solo un istante.» «Era mio dovere!» «Credo che siate andata un po' al di là del vostro dovere. E poi sapevate di quella macchia d'olio sulla sedia. Chi ordinò di farla portar via? Anche quello rientrava tra i vostri doveri?» Bonnie sembrava in stato di shock e Simon non era sicuro che l'avesse realmente udito. La ragazza lanciò parecchie occhiate nervose verso la zona centrale del locale, poi fissò il suo sguardo intenso su Simon. «Non possiamo parlare qui: a Buddy non piace il brusio delle voci mentre suona. Proprio dietro di voi c'è la porta che dà sul cortile di servizio. Andiamo là fuori.» Simon fece scivolare la mano in tasca: l'automatica di Keith gli dava una certa fiducia. Prese gentilmente per un braccio la ragazza e si fece precedere. Il cortile di servizio era vuoto e il vialetto di accesso inondato di luce, ma le grondaie della costruzione proiettavano una fascia d'ombra sulla soglia che proteggeva da chi volesse vedere senza esser visto. Simon si trattenne nella zona d'ombra. «E adesso ditemi di che calibro sono i guai in cui mi trovo, e perché abbiamo dovuto venire qui fuori per parlarne.» Bonnie non rispose; il suo viso era seminascosto, ma si vedeva ugualmente che aveva gli occhi colmi di lacrime. Drake le sfiorò una spalla e la ragazza cominciò a tremare. «Non volevo farlo, ma ci sono stata costretta per via di Buddy. Hanno minacciato di fargli del male se non vi avessi portato qui.» «Hanno minacciato? Chi? Di che cosa state parlando?» Simon afferrò anche l'altra spalla di Bonnie nel momento in cui il suo viso veniva inondato di luce. Si voltò di scatto e per un attimo rimase abbagliato da due
grossi fari che andavano avvicinandosi alla porta. La tromba di Buddy all'interno del locale e il pulsare incessante dell'impianto di condizionamento coprirono il rombo della grossa Cougar che si arrestava davanti a loro. Al volante c'era il tipo con il maglione da ciclista; la portiera posteriore si spalancò e ne scese l'ometto che giorni prima nascondeva il viso dietro il bollettino delle corse, il quale puntò una pistola a canna corta contro il petto di Simon. «Avanti, salite in macchina» ordinò. Simon tirò Bonnie dietro di sé. «Tutt'e due» intimò l'uomo. «Non occorre che venga anche la ragazza» protestò Simon. «Ho detto tutt'e due.» Con la corta canna della pistola fece cenno a Bonnie di salire. I lineamenti pesanti di Rosenkrantz si erano distesi in una specie di sorriso osceno che rammentò a Simon l'atteggiamento scomposto del cadavere di Eve Necchi nella doccia del Motel Six. Certa gente ha un senso dell'umorismo da far accapponare la pelle. La canna della pistola si mosse ancora e nell'istante in cui non era puntata contro il petto di Simon, questi infilò la mano in tasca e impugnò l'automatica: fece fuoco da poco più di un metro e mezzo e la pallottola squarciò lo stomaco di Guildenstern, proiettandolo contro la berlina. Rimase là un istante, con un'espressione sbigottita in viso, poi abbassò gli occhi, vide il proprio sangue colare sull'asfalto e si mise a urlare: «Otto! Otto!» La Cougar parti con uno scatto rabbioso: Otto non aveva alcuna intenzione di aspettare il secondo colpo; schiacciò l'acceleratore e il ferito non ebbe più nulla che lo sostenesse. Barcollò indietro, poi raccolse le proprie forze e rimase un attimo in piedi, ondeggiando e gridando istericamente quanto inutilmente: «Otto! Otto, aspettami!» Poi, in un ultimo barlume di coscienza, si ricordò della pistola che stringeva ancora in pugno. Simon vide le sue dita contrarsi sul grilletto e si irrigidì aspettando lo sparo, ma nel momento in cui faceva fuoco, l'uomo cadde per rimanere immobile sul vialetto, gli occhi spalancati e stupiti. Bonnie singhiozzava istericamente alle spalle di Simon. «È morto!» urlava. Drake s'inginocchiò per un controllo che sapeva superfluo: l'uomo era decisamente morto. Vagamente conscio di un'improvvisa fitta di dolore alla gamba sinistra, Simon si rivolse a Bonnie e le chiese, indicando una bassa costruzione a breve distanza dal vialetto.
«Se quella baracca ha una porta, apritela. Devo far sparire il cadavere, prima che l'altro abbia il tempo di fare il giro e tornare qui.» Bonnie era in stato di shock e reagì come un automa ben programmato. Mentre apriva la porta della baracca, Simon afferrò per le caviglie Guildenstern e lo trascinò oltre il vialetto. Alla luce di una lampada di sicurezza accesa nel locale riuscì a nascondere il cadavere accanto al gruppo refrigerante, a una certa distanza dalla porta. Lo lasciò supino, con una mano sulla ferita e l'altra che stringeva ancora la pistola: una Smith & Wesson eoi calcio di legno. Simon non aveva il tempo di controllare il numero di matricola, ma era certo che si trattasse dell'arma di Sam Goddard. Bonnie si era trattenuta sul vialetto, troppo spaventata per piangere quando Simon usci dalla baracca. Mosse le labbra a vuoto per qualche istante e infine riuscì a mormorare: «Devo dire a Buddy...» «Non dovete dire un bel nulla a Buddy» reagì Simon. «Non corre alcun pericolo: è me che vogliono. Cribbio, sono tutto sporco di sangue. Dov'è il villino di Buddy? Devo lavarmi.» «Vicino alla piscina, ho la chiave» balbettò Bonnie. «Andiamo!» Non c'era il tempo di tornare alla Jaguar. La ragazza si avviò a passo svelto sul prato e Simon la seguì arrancando sulla gamba che ora aveva cominciato a pulsare. Arrivati al villino, la ragazza aprì e Simon sgusciò dentro. Sbatté la porta dietro di sé e si guardò la gamba da cui il sangue continuava a sgorgare abbondantemente, macchiando la costosa moquette. «Siete ferito» gemette Bonnie. «Ce la fate ad arrivare in bagno?» Simon si mosse senza rispondere. In bagno si sfilò i calzoni e constatò i danni: la pallottola aveva colpito di striscio la coscia sinistra, producendo una ferita non grave, che però perdeva molto sangue. Bonnie, dopo aver frugato nell'armadietto dei medicinali di Buddy, gli annunciò che c'era una scatola di cerotti, ma niente garza né tintura di jodio. «Non preoccupatevi: laverò la ferita con un colluttorio e quanto alla fascia andrà benissimo un guanto da bagno del nostro Whitey. Si fa così... vedete?» Strappò la spugna in diverse strisce e le annodò l'una all'altra, ottenendo così un rudimentale legaccio col quale frenò l'emorragia; quindi, dopo una rapida doccia, coprì la ferita col cerotto più largo che trovò e usò un altro guanto da bagno per fare un bendaggio protettivo. Intanto, Bonnie aveva trovato nell'armadio di Buddy un vecchio paio di calzoni di flanella e un morbido maglione italiano che faceva rassomigliare Simon a un esule di Via Veneto.
«Se la ferita non si riapre siete a posto» disse la ragazza. «Ho trovato del brandy; non so se ne avete bisogno quanto me...» «Di più» sorrise Simon. Bonnie versò due dita di brandy in due bicchieri da acqua; Simon bevve e sentì che le idee gli si schiarivano. Tirò fuori dalla giacca la pistola, i documenti personali, poi prese dalla tasca interna una busta che poteva tranquillamente tenere nella tasca posteriore dei calzoni di Buddy. La giacca non poteva più indossarla per via del buco della pallottola e tutte quelle del giovane trombettista gli andavano strette di spalle; riuscì finalmente a trovare un giubbotto sportivo di velluto a coste. Bonnie lo guardò mentre controllava il caricatore della pistola e si versò una seconda dose di brandy. «Vi rendete conto» disse con voce sorda «che soltanto pochi minuti fa avete ucciso un uomo, con quella cosa?» «Ed è anche stato un bel colpo» confermò Simon. «Altrimenti non so se avreste potuto incontrare Buddy dopo lo spettacolo, come se nulla fosse accaduto. È davvero lui che vi fa palpitare, incantevole signorina Penny, o è al principale che volete arrivare, con la vecchia tecnica della gelosia?» La ragazza arrossi. Era molto più carina così, che terrea in viso com'era stata l'ultima mezz'ora. «Non so di che cosa stiate parlando» protestò. Superato lo spavento stava ritrovando la sua abituale sicurezza. «Dopo quanto è successo non credo che parliate così soltanto perché volete conoscermi meglio.» «Invece sì» ribatté Simon. «Voglio sapere se siete il tipo che ascolterebbe la chiamata di un cliente dall'albergo al Gateway Bar per chiedere di Whitey Sanders, dicendo di chiamarsi Monte Monterey.» «Sbaglio, o volete sapere se ho ascoltato quella telefonata?» «Esattamente.» «È importante?» «Molto. Se voi passaste la telefonata di Montgomery e poi faceste cenno della sua identità a qualcuno in albergo, sono ancora in alto mare. Se invece voi non parlaste con nessuno del nuovo ospite al quarto piano, allora so chi è il responsabile di quanto è appena accaduto.» «Va bene» cedette Bonnie. «Passai la comunicazione e sentii l'ospite dell'albergo chiedere del signor Sanders. Non feci caso al nome Monterey finché non lessi sui giornali del suo suicidio, ma il giorno successivo parlai con il signor Sanders e gli dissi della telefonata. Lo feci soltanto perché pensavo che dovesse sapere che il morto aveva tentato di mettersi in comunicazione con lui. Sanders mi ringraziò e disse che non dovevo preoc-
cuparmi di nulla.» «Accennò al fatto che aveva portato con sé Max Berlin da Tucson?» Bonnie ebbe un attimo di esitazione. «Si» disse infine. «Probabilmente lo fece perché pensava che l'avessi visto in giro. Non era così, ma compresi che Max Berlin era ospite del signor Sanders al ranch e che voleva visitare l'albergo (saprete certo che è monumento storico) in incognito. Noi ci adoperiamo sempre perché i nostri ospiti e visitatori godano della massima tranquillità.» «Quando avvenne questa conversazione?» «Il mattino in cui venne scoperto il suicidio. Il signor Sanders venne nel mio appartamentino, senza sapere che ero già informata di quella brutta faccenda. È tutto quanto posso dirvi, avvocato Drake, oltre al fatto che i due tizi che hanno tentato di prelevarci sono venuti nel camerino di Buddy dieci minuti prima dello spettacolo, e gli hanno chiesto a che ora vi aspettava. Lui ha risposto che non vi aspettava affatto e quello che guidava l'auto ha tentato di colpirlo. Mi sono intromessa io e finalmente Buddy è riuscito a convincerli che diceva la verità; allora mi hanno costretto a restare in sala mentre Buddy suonava, per attendere il vostro arrivo, e quello che avete ucciso è rimasto con me. Quando vi abbiamo visto entrare, mi ha ordinato di attirarvi fuori, se non volevo che Otto se la prendesse con Buddy. Il resto lo sapete... Ma che cos'è tutta questa storia? Perché avete detto per telefono a Buddy che avevate preso possesso delle restanti proprietà di Monterey? Non ha capito un accidente di cosa intendeste.» «Allora ve l'ha detto.» «Ero con lui quando avete telefonato: non poteva fare diversamente.» «Uno di voi due ne ha parlato con altri?» «No. Il messaggio era destinato al signor Sanders, ma oggi non si è visto.» «Bene. Se siete sicura che né voi né Buddy avete detto a qualcuno della mia telefonata, parte del mistero è risolta.» «Parte? Oh, capisco: c'è anche altra gente che ascolta le telefonate.» «Siete una ragazza sveglia. E ora, se siete in gamba quanto credo, raggiungerete Buddy e gli starete appiccicata alle costole. E soprattutto non parlate del cadavere nella baracca, mi raccomando. Ricordate soltanto che si è trattato di legittima difesa. Il morto ha parecchi delitti sulla coscienza, se questo può tranquillizzarvi. Ci avrebbe uccisi tutt'e due tanto per divertirsi, se non gli fosse stato ordinato di consegnarmi vivo. Adesso andatevene.»
«Voi che cosa farete?» «Vi guarderò uscire. Assicuratevi di non essere seguita, poi sparite. Non vi dico dove andrò perché penso che voi e Buddy possiate fare della bella musica assieme, non appena avrete scordato i milioni di Whitey. Voglio che abbiate una vita lunga e meravigliosa.» Il secondo brandy aveva dato un po' di carica a Bonnie. Simon gettò il proprio vestito in fondo all'armadio di Buddy, spense la luce e apri la porta d'ingresso. Guardò Bonnie puntare decisa verso il Gateway Bar, poi si avviò zoppicando verso l'atrio del motel. Non aveva paura di essere fermato dalla polizia: era infatti partito senza difficoltà dall'aeroporto di Santa Monica e anche all'atterraggio a La Verde non aveva avuto fastidi di sorta. Ciò che invece lo preoccupava era il ritorno della grossa berlina verde, guidata da un uomo cui era stato ordinato di prelevare Simon Drake, e che poteva rimetterci le penne se avesse fallito la missione. L'atrio vivacemente illuminato era vuoto. Simon, cercando un telefono pubblico, passò davanti al televisore a colori che era acceso e gli lanciò un'occhiata. L'annunciatore giovane, aitante e troppo truccato non lo interessava, ma quando la scena cambiò e sul piccolo schermo comparve una favolosa bionda con occhiali neri, minigonna e stivali, si fermò affascinato. Una mezza dozzina di giornalisti la inseguivano in un aeroporto. La splendida creatura sorrideva, salutava con la mano, chinava la testa e non apriva bocca, mentre l'annunciatore spiegava che Wanda Call, la protagonista di "The Soft Touch", che sarebbe apparso presto sulle scene di Hollywood, era stata interrogata dai giornalisti all'aeroporto Kennedy. "La signorina Wanda Call, fidanzata dell'avvocato Simon Drake, noto alle cronache mondane e ricercato dalla polizia per essere interrogato in merito al brutale assassinio di una ragazza di vita, avvenuto in una città della costa californiana, ha rifiutato di commentare le voci secondo le quali starebbe per raggiungere Drake. Benché sia riuscita a sfuggire ai giornalisti al momento del decollo, si ritiene che l'attrice sia salita a bordo di un aereo diretto a Los Angeles." Wanda sparì dallo schermo e l'annunciatore si dedicò ad altre notizie. Simon si diresse all'uscita più vicina: avvicinarsi al banco del portiere dopo quella trasmissione sarebbe stato un rischio troppo grosso. Simon tornò sui suoi passi, nell'oscurità, e si fermò un attimo per orientarsi. Aveva lasciato la sua Jaguar nel cortile di servizio davanti alla cucina del Gateway Bar, quindi, percorrendo il vialetto che girava intorno al complesso del motel, l'avrebbe ritrovata. Camminava lentamente, non per
passare inosservato, ma perché la ferita alla coscia gli doleva sempre di più. Aveva percorso una trentina di metri quando avvistò una cabina telefonica isolata: vi entrò e chiamò The Mansion. Rispose la robusta voce baritonale di Chester. «Chester» disse Simon «può darsi che il telefono a casa sia controllato, ma non importa: chiamo da una cabina pubblica.» «Dove siete?» «Non ci pensare. Hai il risultato dell'analisi chimica?» «Non ci crederete...» attaccò Chester. «Oh, sì che ci credo; custodiscila bene. E adesso, fammi parlare con Wanda.» «Ma non volete sapere il referto?» «Non al telefono. Voglio parlare con la mia ragazza.» «La vostra ragazza non è qui.» «Dov'è?» Drake udì uno scatto sulla linea; un segugio di Thompson? No, era Hannah che s'immetteva sulla derivazione. «È quello che stiamo cercando di scoprire» disse Hannah. «Avevo già visto quella telecronaca e avevo mandato Chester all'aeroporto internazionale con la Rolls. L'hanno consegnata questo pomeriggio: riparata proprio a regola d'arte...» «Lascia perdere la Rolls» l'interruppe Simon. «Che cosa è successo all'aeroporto?» «Nulla. Chester non è riuscito a trovare Wanda. Era sulla lista passeggeri di un volo della American Airlines atteso per le cinque e cinquanta di stasera, ma Wanda non era sull'aereo e nessuno ricorda di averla vista salire a New York.» «Forse i giornalisti l'hanno spaventata.» «Tu sottovaluti il talento di un'attrice» sbuffò Hannah. «Probabilmente ha montato tutta la storia come diversivo per allontanare la polizia dalle tue tracce.» «Oppure per farsi pubblicità» mormorò Simon. «Ma è ridicolo. Se era la pubblicità che voleva, avrebbe portato a termine il viaggio e all'aeroporto internazionale di Los Angeles avrebbe ripetuto la scena. A parte questo, quella ragazza ti ama, Simon.» «Ho già sentito questo ritornello» intervenne Chester. «Non ascoltarlo» ruggì Hannah. «Da quando ha cominciato ad andare all'università non ha più buoni sentimenti. Wanda è assolutamente fedele...
Simon, perché diavolo hai colpito Franzen, ieri sera? Non sai che porta gli occhiali?» «Hannah, togliti di mezzo» le ingiunse Simon. «Voglio parlare con Chester... Chester, mettiti in contatto con Jack Keith e digli di controllare vita, morte e miracoli di Alex Lacey. Poi telefona a Franzen e consigliagli di mandare qualche agente a La Verde a guardare in una baracca poco distante dal Gateway Bar. Se si sbrigano, troveranno un cadavere con in mano una pistola che apparteneva a Sam Goddard.» «Un morto!» gridò Hannah. «Qualcuno che conosco?» «Spero di no... e lascia libera la linea! Hai capito tutto quello che ho detto, Chester?» «Sicuro; ma, Simon, a proposito di quell'analisi...» «Ti ho detto che può aspettare. Adesso riappendo perché non posso restare più qui. Chiama subito Franzen: voglio che metta le mani su quella pistola. Datti da fare!» Interruppe la comunicazione e fece per uscire dalla cabina, ma l'immagine di Wanda alla televisione era troppo viva nella sua mente. Forse Hannah aveva ragione: tutta la manovra avrebbe potuto essere un diversivo, e magari Wanda, in quel momento, se ne stava tranquillamente nel suo letto a New York. Valeva la pena di fare un'altra telefonata. Chiamò il centralino e chiese la comunicazione con New York. Sentì il telefono di Wanda che cominciava a squillare poi, mentre cambiava posizione nell'angusta cabina, scorse una berlina che si stava fermando a circa tre metri di distanza. Una Cougar verde scuro. D'istinto, Simon aprì con un piede la porta della cabina per spegnere automaticamente la luce. La Cougar si arrestò del tutto e ne scese il guidatore: un uomo gigantesco, dai lineamenti pesanti, con un maglione dal colletto arrotolato. Stava cercando in tasca delle monetine quando Simon sbatté il ricevitore sul gancio: con un po' di fortuna forse avrebbe avuto il tempo di uscire dalla cabina e scivolare nell'ombra prima che l'uomo alzasse gli occhi. Ma la razione di fortuna di Simon si era esaurita mezz'ora prima, quando l'ultima pallottola di un moribondo l'aveva colpito alla gamba. Si mosse troppo in fretta. Avvertì una violenta ondata di dolore e cadde in avanti; tese le mani per attutire la caduta e le appoggiò involontariamente su quel largo paio di spalle. Quando alzò gli occhi, la faccia rincagnata del sicario di Max Berlin si contorse in una smorfia di sorpresa. Per un istante rimasero immobili come una coppia di grotteschi danzatori in attesa che inizi la musica, poi il pugno destro di Rosenkrantz si abbatté sulla mandibola di Simon. Il ballo era finito.
22 Il riprendere conoscenza pieni di dolori, presenta almeno un aspetto positivo: la meravigliosa consapevolezza di essere ancora vivi. Simon avvertì prima di tutto la lama rovente che gli frugava nella coscia ferita, poi, via via che riprendeva contatto con il proprio corpo, sentì dolergli varie altre ammaccature; inoltre aveva in bocca un forte sapore di etere e aveva una leggera nausea. Simon aprì gli occhi e guardò in giro: giaceva su un letto con una massiccia testiera intagliata e aveva addosso un raffinato pigiama di seta bianca. Qualcuno gli aveva espertamente fasciato la ferita, ma la stanza in cui si trovava non era decisamente d'ospedale. Le pareti e il soffitto a volta erano bianchi, ma i mobili erano spagnoli, di mogano riccamente scolpito, e la luce che inondava la stanza veniva da un'ampia porta a vetri che si apriva su un patio di mattonelle rosse adorno di piante subtropicali. Udendo dei suoni d'acqua, si levò a sedere sul letto e guardò oltre il patio. Vide una grande piscina azzurra che sembrava ricavata nella roccia che la incorniciava; intorno a essa, undici (le contò esattamente) giovani donne in bikini, in atteggiamenti estremamente rilassati. Simon si strofinò ruvidamente la mandibola gonfia per avvertire quel dolore rassicurante. Era troppo giovane per il Valhalla. Si guardò il polso: aveva ancora l'orologio e le lancette segnavano le nove e dieci. La luce del giorno gli diceva che era mattino, e le piante nel patio gli dicevano che doveva trovarsi in qualche posto lungo il Tropico del Cancro. Drake rivolse quindi la sua attenzione alla stanza: conteneva un enorme cassettone intagliato a mano sul quale pendeva uno specchio con cornice molto elaborata. Sul ripiano del mobile si trovava un portacenere di ceramica azzurra e un telefono. L'apparecchio richiamava alla mente l'idea del contatto col mondo esterno e Simon gettò una gamba giù dal letto per saggiare la propria forza. Era più debole di quanto non credesse. Aggrappandosi alla testiera del letto per sorreggersi, scopri il cordone del campanello; lo tirò e attese. Oltre alla porta che si apriva sul patio, ve n'erano altre due nella stanza: una, semiaperta, conduceva in bagno; l'altra, un capolavoro di mogano scolpito, era quella sulla quale Simon appuntò lo sguardo. Pochi istanti dopo udì uno schiocco secco di tacchi sulle mattonelle. La porta si aprì ed entrò Max Berlin. Indossava pantaloni di velluto a coste, stivali e una camicia sbottonata fino alla cintola. Stringeva in mano un frustino di cuoio intrecciato che si
batteva nervosamente sulla caviglia. «Dunque vi siete svegliato» disse, come se fossero stati all'inizio di uno spettacolo. «Benvenuto in Messico. Vi ho scelto questa stanza perché così potrete ammirare il panorama. Fa parte della terapia: l'attesa accelera la guarigione. La vita vale la pena di essere vissuta, non è vero?» «Non riesco a immaginare un'alternativa migliore.» «Neppure io. Lustratevi gli occhi, Drake. Se vedrete qualcosa che vi piacerebbe avere, si può provvedere. Le mie ospiti sono sane, ricche e a caccia di avventure.» «Generoso da parte vostra» ammise Simon «ma io preferirei la colazione.» «Naturalmente!» Berlin marciò sul telefono e impartì l'ordine: «Un menù per l'avvocato Drake.» «E un bricco di caffè nero» suggerì Simon. «E un bricco di caffè nero» trasmise Berlin. «Nient'altro?» «Un doppio brandy.» «Anche un doppio brandy. De'sa prisa!» Berlin posò il ricevitore. Era come a Natale: chiedi e ricevi; il cliente ha sempre ragione. Doveva esserci sotto un trucco. «Per che ora è fissata l'esecuzione?» s'informò Simon. Max Berlin scoppiò in una risata. «Sapete perdere, avvocato Drake... finora. Ammiro il vostro spirito.» «Dov'è Otto?» «Non c'è. L'ho incaricato di un'altra missione. Devo scusarmi per lui: aveva ricevuto l'ordine di trovarvi e di portarvi qui senza far uso della violenza, ma lui ci sguazza, nella violenza. Gli fa lo stesso effetto che deve fare a voi guardare quelle belle figliole vicino alla piscina, mi capite?» «E l'amico di Otto?» «Penso che parliate di Garcia: è morto.» «Lo so.» «Sì, ma non ve ne faccio una colpa. Garcia non mi è mai piaciuto: l'aveva pescato Otto a Buenos Aires e io tolleravo la loro amicizia perché ai bei tempi, Otto era l'ordinanza di mio padre, in Germania. Non ha né intelligenza né stile, ma è fedele e possiede un grande coraggio fisico. Ci è stato molto utile in passato, ma i tempi cambiano; temo che l'utilità di Otto stia per terminare. Dovrò sbarazzarmi anche di lui.» «Sarei stato lieto di farvi questo favore.» «Ne sono certo, avvocato Drake. Ma non l'avete fatto e non lo farete.
Adesso metterete da parte la pistola e userete il cervello, perché questo è la vostra arma migliore. È la ragione per la quale ho trovato questa carta nella tasca della vostra giacca.» Max Berlin aveva tirato fuori dal taschino della camicia un foglietto: quello che Simon aveva strappato dal taccuino di Monterey. «Adesso si gioca al ribasso, Drake, e io detto le condizioni.» «Deve valere parecchio» osservò Simon. «Quattro uomini e una donna sono morti per questo foglietto.» «Non per mano mia. Monterey ha ucciso Kwan, quell'idiota, quel cowboy appiedato! Non avrei mai immaginato che avesse il fegato... E poi cosa credeva di farsene della formula? Non aveva contatti. Avrebbe dovuto comunque tornare a trattare con me.» «Forse non li voleva, i contatti.» «Siete pazzo! Certo che li voleva! La formula ottenuta da Kwan vale milioni, ma solo se uno ha possibilità produttive...» «Come Severing e Di Miro?» «Diciamo pure così. Tornando a Monterey, credo che fosse impazzito. Uccise Kwan sapendo perfettamente che l'avremmo ritrovato se non fosse tornato qui all'istituto. Ho una documentazione completa su tutti coloro che lavorano con me. C'era una sola persona che avrebbe potuto aiutare Monterey.» «Sam Goddard.» «Esatto. Sam Goddard venne qui sotto falso nome, qualche tempo fa. Ci accorgemmo tutt'a un tratto che eravamo troppo occupati e annullammo la sua prenotazione. Quando Monterey non tornò alla base, mandai Otto e Garcia a interrogare Goddard.» «A ucciderlo, volete dire.» «No! Come poteva essermi utile morto? Li mandai proprio a interrogarlo, ma Goddard era armato. Otto spinse la sua auto fuori strada perché era troppo rischioso tentare l'inseguimento nella nebbia. Goddard saltò giù dalla macchina e cominciò a sparare, e Otto, reagendo da essere primitivo qual è, raccolse una pietra e l'uccise. Non restava altro da fare che inscenare un incidente e cercare Monterey altrove.» «A La Verde» suggerì Simon. «E proprio a La Verde accadde quello che accadde; ma una volta ancora non fu assassinio. Monterey riconobbe Otto e Garcia quando andarono a prenderlo e si gettò dalle scale per non farsi interrogare. Fu Garcia che ebbe l'idea di ficcargli in tasca una bottiglia di whisky, romperla sul pavi-
mento e lasciare il corpo alla polizia.» «Chi ebbe l'idea di mettere una bomba nella Rolls di Hannah?» Berlin s'incupì in viso. «Otto e Garcia... quegli idioti» ringhiò. «Li avevo spediti a La Verde perché mi sembrava logico che Monterey si recasse là: ci era nato. Ci aveva conosciuto anche Whitey Sanders, e dopo la morte di Goddard, forse si sarebbe rivolto a lui. I miei uomini lo seguirono al Gateway Bar, ma lui li vide e lasciò il club. Attese in auto che Hannah Lee uscisse e investì la Rolls nel tentativo di sbarazzarsi di Otto e Garcia. In seguito, dopo la sua morte all'albergo, i miei uomini frugarono la sua stanza e non trovarono il pacchetto. Conclusero che Monterey l'aveva lasciato nel relitto della macchina, che era chiuso nella rimessa della polizia. Garcia riuscì a penetrarvi...» «E tagliuzzò la tappezzeria della Ford...» «... cercando il pacchetto. Il guardiano notturno arrivò prima che potessero cercare nella Rolls, perché era possibile che Monterey avesse passato il malloppo alla signorina Lee, subito dopo l'incidente. Quando chiedeste alla polizia di consegnare a voi la Rolls, Otto era disperato. Senza consultarmi, preparò una piccola bomba e riuscì a infilarla sotto il cofano, mentre l'auto si trovava davanti alla Centrale di polizia. Avrebbe dovuto provocare un incidente che vi trattenesse finché Otto e Garcia fossero arrivati sul posto.» «Una piccola bomba! C'era esplosivo sufficiente a distruggere l'auto e chi ci stava dentro!» sottolineò Drake. «L'ho saputo: per questo ho chiamato idioti i miei uomini. L'esplosione li fece scappare. Quella è roba da specialisti, e Otto non è un chimico.» «Però avrei potuto restare ucciso: un cadavere in più per i vostri ragazzi. E poi Eve Potter è stata assassinata.» «Perché occupava la stanza accanto a quella di Kwan: pensai che forse ce l'aveva piazzata Monterey. Quando Otto la interrogò le sue risposte furono inaccettabili e allora lui perse la testa.» «I ragazzi sono sempre ragazzi» commentò Simon senza allegria. «Eve Potter non aveva risposte da dare. Stava soltanto imbastendo una truffa da poco.» «Allora non è stata una gran perdita, no? Ma dimentico che siete sospettato di complicità nella sua morte. Mi sento generoso: vi offro Otto in cambio del taccuino e del campione. Otto sta per andare in vacanza: stasera sarà coinvolto in una rissa al Hi-Ho Bar di Ensenada. Verrà accoltellato
a morte e nella sua stanza sarà rinvenuta una lettera scritta con una perfetta imitazione della sua calligrafia, e completa di errori di grammatica, nella quale confesserà l'assassinio di Eve Potter e quello del proprio amico Garcia. Voi ne uscirete candido come un giglio e rimarrete nelle buone grazie del vostro ambizioso Procuratore Distrettuale.» Pareva che Max Berlin sapesse tutto di tutti. Era un genio dell'organizzazione, con una tendenza alla teatralità e l'istinto del buon padrone di casa. Seduto sul bordo del letto, Simon guardava le giovani bellezze che si divertivano in piscina, pensando a ciò che Max Berlin gli aveva insinuato nella mente: l'alternativa alla collaborazione era qualcosa di tanto orribile che Monterey aveva preferito la morte alla cattura. Poiché Simon non rispondeva, Berlin soggiunse: «C'è un particolare che m'incuriosisce: come avete avuto la formula?» «Dalla posta. Monterey mi aveva spedito la chiave di una cassetta di deposito all'aeroporto di La Verde.» «Caspita! Ma perché spedirvela per posta?» «Perché aveva visto poco prima Hannah Lee e doveva aver saputo che Hannah viveva con me.» Era una menzogna, ma metteva al sicuro Vera Raymond. «Hannah non sa niente di questa roba e anche se lo sapesse non capirebbe. La chimica non è il suo forte.» «E voi?» «lo ho dell'immaginazione. Qualsiasi cosa valga un milione di dollari è più preziosa della confessione di Otto. Duane Thompson non ha indizi a mio carico che io non possa scrollarmi di dosso.» «Ma io ce l'ho, Drake.» Qualcuno aveva bussato alla porta e Max Berlin aprì. Era una graziosa fanciulla messicana che spingeva un carrello sul quale si trovava un servizio da caffè d'argento, un bicchiere pieno a metà di brandy profumato, un menù stampato e un giornale. Simon lo prese subito: era il "La Verde Daily Chronicle" e l'articolo di testa trattava della scoperta da parte della polizia di un uomo assassinato in una costruzione sussidiaria del Gateway Bar di Whitey Sanders. Simon scorse in fretta il testo: "... Sparato a bruciapelo... pallottola calibro 22... l'uomo stringeva in mano una Smith & Wesson che aveva sparato da poco...". Trattenne un sorriso di trionfo. La polizia aveva la pistola di Sam Goddard. Un punto per Simon Drake. Voltò pagina per leggere il seguito e il suo sorriso si spense di colpo. Un altro titolo, sotto una foto di Wanda, diceva: "Attrice di New York scomparsa da due giorni".
«Due giorni!» esclamò Simon. Gettò un'occhiata alla data del giornale: corrispondeva. Guardò Berlin e lo vide rigirarsi lentamente tra le dita un oggetto piccolo e scintillante. Accorgendosi che aveva attirato l'attenzione di Simon, Max Berlin gettò l'oggetto sul letto e Drake lo prese. Era un anellino d'oro con un diamante quadrato; all'interno recava l'incisione: "A W.C. da S.D. Per sempre". Era l'anello di fidanzamento che aveva dato a Wanda prima che lei partisse per New York. Ora Berlin sorrideva. «Dov'è?» gridò Simon. «Maledizione, che cosa avete fatto alla mia ragazza?» Scese dal letto e si lanciò su Berlin, dimentico della gamba ferita e dei vari dolori sparsi per tutto il corpo. Barcollò in avanti andando a sbattere contro il carrello e per un pelo non fece cadere tutto a terra. Ricadde a sedere sul letto. «State attento» lo ammonì Berlin «il caffè si può rifare, ma il brandy viene dalla mia riserva privata.» «Dov'è Wanda?» «Al sicuro e illesa, come voi stesso potrete appurare presto. Aspettate qualche minuto...» Berlin si avvicinò al telefono e sollevò il ricevitore. «Avete ancora libera quella linea per New York? Bene. Passatemi adesso la comunicazione. Attendo.» Si rivolse a Simon: «Non voglio correre rischi col servizio telefonico. Il Messico è una terra affascinante, ma il fascino si paga con l'inefficienza. E voi dovete evitare questi slanci passionali. Se la pallottola che ho estratto dalla vostra gamba ci fosse rimasta dentro ancora un po' o se l'operazione fosse stata condotta da mani meno esperte, avreste potuto restare zoppo tutta la vita.» Quindi non si era trattato di una ferita superficiale, e questo spiegava il giorno saltato nel calendario di Simon. «Era una pallottola calibro 38. La polizia ha la pistola e a quest'ora saprà che era registrata a nome di Sam Goddard. Che effetto fa al vostro "gioco al ribasso"?» Berlin era irritato. La mancanza di cura per i particolari lo seccava più della lentezza del servizio telefonico. «Nessuno» rispose. «Ho già organizzato tutto per liberarmi di Otto; la sua lettera vi scarica da ogni responsabilità, Drake: non avrete più problemi con la polizia di La Verde. Un momento... credo che sia arrivata la comunicazione... Si?... Bene, mettetela in linea. Drake...» Simon afferrò il ricevitore e ascoltò la voce di Wanda. «Sei tu, Simon? Ma caro, che razza di commedia hai messo in piedi?»
«Stai bene?» chiese a sua volta Simon. «Certo che sto bene, però fumo di rabbia. Non è che mi secchi molto se hai fatto vestire un tizio da agente dell'aeroporto e mi hai fatto portar via da lui in macchina, con la scusa che mi avrebbe condotta con più celerità al mio aereo; ma almeno potevi avvertirmi! Simon, di' qualcosa!» Simon decise di non correggere la versione del rapimento data da Wanda: non voleva che si spaventasse. «Scusami, ma non potevo permettere che mi rompessi le uova nel paniere portandomi la polizia fin sulla porta di casa.» «Ma dov'è la tua porta di casa? Dove sei?» «Non te lo posso dire. La linea potrebbe essere controllata.» «Allora ordina a questa specie di spaventapasseri che mi sorveglia di portarmi a casa. Stasera ho una prova alle otto e se non ci vado mi ammazzano.» «Ci andrai» promise Simon. «Prova alle otto. Stasera, senza fallo.» «E tu?» «Fidati di me, piccola, eh?» «D'accordo, ma quando ti vedrò?...» Simon restituì il ricevitore a Berlin che lo posò delicatamente: «Vi siete comportato saggiamente e sono sicuro che stasera la signorina Call farà la sua prova se mi darete il taccuino e il campione senza inutili e sconsiderati eroismi.» Il cadavere di un giovanotto a nome Delaney era stato trovato con la lingua mozza. Max Berlin era un esperto chirurgo. Simon sentì un sapore amaro e metallico in bocca, e per di più non aveva la forza di fare due passi senza cadere. Doveva salvare Wanda nell'unico modo che conosceva. Si abbandonò sul letto e si coprì gli occhi con un braccio. Non voleva guardare Berlin mentre cedeva. «Perché non avete continuato a mungere ricche e distinte sgualdrine?» «La giovinezza non dura in eterno» rispose Berlin. «A parte questo, uno si stufa degli intrighi d'alcova.» «E gli alti ufficiali nazisti che hanno bisogno di cambiarsi i connotati diminuiscono di numero. Ma ci sono sempre speculatori che sentono la necessità di migrare verso paesi dove non vigono accordi per l'estradizione; peccato che il Messico non sia tra questi.» «Lo so, Drake. Avevate forse intenzione di farmi estradare sotto qualche accusa? Non occorre. Domani pomeriggio mi incontrerò con Sanders a La Verde; comprerò quel terreno da lui.»
«Se Monterey non si fosse gettato dalle scale al Seville, sarebbe stato ucciso su vostro ordine.» «È vero.» «E i vostri uomini hanno liquidato Sam Goddard e Eve Potter.» «Vero anche questo. Dov'è il pacchetto che Monterey ritirò da Kwan?» «Che cos'è, Berlin? Il rimedio per la malaria? Eh, già, un terribile flagello e migliaia di innocenti che soffriranno e moriranno per il vostro profitto. Il Führer sarebbe fiero di voi.» «Bel discorso, Drake, ma siamo entrambi troppo disincantati per i predicozzi. Quante migliaia di innocenti morirono a Hiroshima? Quante migliaia di innocenti stanno morendo su entrambi i fronti in Vietnam, mentre migliaia di altre persone ne traggono profitto? Ho perso le illusioni molto presto: l'uomo non cambia che in peggio. A questo mondo si può manovrare o essere manovrati, e poiché ho già fatto quest'ultima esperienza, ho deciso di fare la prima. Posso concedervi poco tempo per riflettere. Se preferite restare solo...» Berlin si avviò alla porta. Sempre tenendo un braccio sugli occhi, Simon lo chiamò: «Aspettate!» «Sì?» «C'è un tale a Beverly Hills: un investigatore privato che si chiama Jack Keith. Mostrategli l'anello e ditegli che deve portare Wanda alla prova, stasera.» Queste parole furono sufficienti. Berlin lasciò la stanza e Simon sentì la chiave girare nella serratura. Si voltò verso il muro, tremante d'umiliazione, poi strinse a pugno la mano destra e cominciò ad agitarla in aria. Il dolore gli percorse il braccio come una scarica elettrica, ma a ogni movimento il braccio riprendeva forza e il dolore diminuiva. Rotolò sull'altro fianco, finché toccò coi piedi le mattonelle fredde. Prima appoggiare la gamba destra, la più forte. Alzarsi lentamente, spostare a poco a poco il peso del corpo. Dolore, violento, acuto. Un goccio del brandy della riserva privata di Berlin. Schiarisce le idee. Tentare la porta: sì, è ancora chiusa a chiave. Quella a vetri... chiusa anche quella. Un giramento di testa. Per tirarsi su ci vuole il caffè, ma ormai è freddo. C'è il telefono. «Che ne dite di portare un altro bricco di caffè e un piatto di uova al prosciutto in questa stanza?» chiese Drake. «Bueno, senor Drake» rispose una voce morbida. «Come volete le uova, senor?» «Appena cotte. E vorrei anche dell'altro brandy.»
«Pronto, señor Drake.» Magnifico, proprio come alla vigilia dell'esecuzione. Simon fece parecchie volte il giro della stanza per rinvigorire la gamba, poi andò in bagno. Quel viso irsuto che lo fissava dallo specchio pareva proprio uno straccio. Aprì l'armadietto dei medicinali e trovò un rasoio elettrico e uno spazzolino da denti. Quando tornò in camera, Simon trovò il carrello della colazione rifornito di quanto aveva chiesto e si gettò sul cibo come un affamato. Forza, doveva riprendere forza. Bevve soltanto metà del brandy; quindi, dopo aver fatto altri due giri della stanza, si gettò sul letto e si addormentò profondamente. Si svegliò alcune ore più tardi al rumore della pesante porta di mogano che si apriva e si chiudeva. Era mezzogiorno passato e regnava un pesante silenzio. Mancava qualcosa: il carrello della colazione, e c'era qualcosa in più: i suoi indumenti, appoggiati con cura sullo schienale di una sedia. Simon si rimise in piedi per saggiare la gamba. Il dolore era diminuito, ma era aumentato l'indolenzimento. Si avvicinò alla sedia ed esaminò tutto ciò che vi era stato posato: il maglione e il giubbotto sportivo che aveva preso dall'armadio di Buddy, le scarpe, le mutande e un paio di calzoni nuovi di zecca. Evidentemente i pantaloni di flanella di Buddy erano stati sacrificati al bisturi del medico. Si vesti e controllò il contenuto delle tasche: portafoglio, denaro e documenti di riconoscimento erano a posto. Consultò l'orologio: quasi le tre. Tentò di nuovo la pesante porta intagliata e la trovò aperta. Fini di bere il brandy e usci. Si trovò in un ampio corridoio col pavimento di mattonelle rosse e le pareti di "adobe" bianco. Lungo di esse, altre porte intagliate si aprivano su altre stanze e più oltre vi erano i locali con le scritte: "Sauna", "Palestra", "Massaggi", "Bagni medicinali". In fondo al corridoio, davanti a una scala che saliva al piano superiore, si leggeva: "Ospedale - Vietato l'ingresso". Un altro corridoio sbucava in un immenso patio, nel quale un gruppo di pazienti più in carne prendeva il sole intorno a una piscina meno esotica dell'altra. Al di là di essa, un viale largo si snodava tortuoso verso un cancello aperto. Gli inservienti erano facilmente riconoscibili dal candore delle loro uniformi. Nessuno di essi parve badargli quando Simon passò. L'attenzione di un sorvegliante del cancello fu richiamata dal rombo di un motore proprio mentre Drake, obbedendo in modo diverso allo stesso stimolo, si gettava dietro un cespuglio. Era la grossa Cougar verde con Otto al volante. L'auto rallentò e Otto annunciò a gran voce al guardiano che andava a pescare; questi, sorridendo, gli fece cenno di proseguire e quando Simon
varcò con passo calmo il cancello non alzò nemmeno gli occhi a guardarlo. Era stato tanto facile da sembrare quasi impossibile. Una strada non asfaltata e molto battuta dal traffico si stendeva davanti a lui e Simon si avviò alla massima velocità consentitagli dalla sua gamba. Era a una certa distanza dall'istituto quando il rombo di una macchina che sopraggiungeva alle sue spalle lo fece schizzare sul bordo della carreggiata. L'auto lo superò a tutta birra, in una nube di polvere gialla, poi piantò una gran frenata e fece marcia indietro. Era una grossa Buick scoperta con entrambi i sedili affollati di giovani femmine schiamazzanti. «Ehi, americano, volete un passaggio?» La portiera posteriore si spalancò e le gambe generosamente foderate di grasso si contorsero per far posto sul sedile a Simon. «C'è un solo villaggio nel raggio di trenta chilometri, quindi è inutile che vi domandi dove andate» disse la ragazza che guidava. «Salite. Mi chiamo Angie, e voi, come vi chiamate?» «Simon.» «Bene. Che cosa vi è capitato alla gamba, Simon? Uno strappo muscolare durante la trottata mattutina? Il direttore delle attività di gruppo è un negriero. Che ne pensate del menù? Una goccia di questo, un grammo di quello... Sapete dove stiamo andando? Prima in pasticceria, poi alla birreria.» «Ve ne pentirete quando salirete sulla bilancia, domattina» l'ammoni Simon. «Ci penserò domattina. Ho perso otto chili in due settimane e ho una fame che mangerei i cactus. E per di più paghiamo duecento dollari la settimana per farci torturare!» Durante il tragitto, Simon rifletté che il lato positivo dell'andare in città con un branco di femmine è che non occorre parlare, perché ci pensano loro a non farti aprir bocca. Dopo cinque minuti raggiunsero la strada principale e puntarono a ovest, scendendo lentamente verso una valletta verde dove il campanile di una chiesa rossiccia indicava il luogo in cui si stendeva l'abitato. Angie parcheggiò l'auto davanti alla pasticceria che aveva cinque o sei tavolini sparsi nel patio di mattoni e Simon prese congedo dalla cacciatrice di calorie. Gli sembrava ancora strano che Berlin non avesse fatto nulla per impedirgli di lasciare l'istituto. La restituzione degli abiti era un segnale che il baratto era stato fatto, o qualcosa era andata storta e si sarebbero ancora serviti di lui? Il luogo in cui si trovava era un tipico piccolo centro di fron-
tiera; a nord, la strada maestra s'arrampicava per una collina in cima alla quale, a una dozzina circa di isolati di distanza, una bandiera sventolava sul tetto di un edificio quadrato di cemento. Stelle e strisce. Casa e libertà. Simon si strofinò la gamba. Avrebbe potuto farcela, ma sarebbe stata una marcia lenta, dolorosa e allo scoperto. Si diresse zoppicando verso un tassì. L'autista alzò pigramente gli occhi quando Simon toccò la maniglia della portiera posteriore. «Questo tassì è occupato, señor» disse. «Da chi?» s'informò Simon. «Touristas.» «Quali turisti?» «Qué hora est?» Simon guardò l'orologio. «Le tre e venticinque.» «Alle tre e mezzo vengono i turisti. Questo tassì è occupato.» «Non vi credo: chi vi ha ordinato di rispondermi così?» L'autista gettò un'occhiata poco distante, sulla strada. Un poliziotto in uniforme cachi e la pistola d'ordinanza sul fianco aveva smesso di sorvegliare un gruppo di scolaretti che attraversava la strada e seguiva attentamente il dialogo presso il tassì. Teneva una mano mollemente appoggiata al fianco, poco sopra la fondina della pistola. Era ovvio che Max Berlin conosceva il primo requisito indispensabile per la riuscita di un affare in territorio straniero: comprarsi i notabili del luogo. «C'è un autobus?» chiese Simon al tassista. «Sì, señor. Tutte le mattine alle dieci. I biglietti si comprano all'albergo.» Simon non poteva aspettare fino al mattino, ma entrò ugualmente nell'albergo; chiese al portiere di un telefono pubblico e fu gentilmente informato che si potevano fare soltanto chiamate locali perché una bufera di vento aveva danneggiato le linee per gli Estados Unidos. Era una menzogna: la telefonata di Berlin per New York era passata senza difficoltà; Simon però si rendeva conto che una discussione si sarebbe conclusa con l'arrivo del poliziotto e con una passeggiata fino alle carceri, nelle quali l'attesa sarebbe stata più lunga e meno comoda. Tornò fuori senza ribattere; voleva riflettere sulla strategia di Berlin. Era indubbio che fosse un sadico, ma doveva esserci qualcosa di più della soddisfazione personale sotto quella finta indifferenza. Simon tornò sulla piazza e guardò di nuovo la bandiera che sventolava sulla collina. Costituiva un polo d'attrazione e una sfida, e Berlin doveva rendersene conto. Simon non aveva voglia di rive-
dere Angie e le sue compagne, così scantonò, e proprio in quel momento scorse due giganteschi autotreni argentei avvicinarsi al crocevia principale. Uno imboccò la strada di Ensenada in direzione ovest, l'altro scalò la marcia e attaccò la salita verso il confine. Contemporaneamente, una giardinetta blu con la targa della California e un'antenna radio di lunghezza fuori dal comune scendeva dalla zona di confine. Si fermò davanti alla Buick convertibile delle ragazze e ne scese una donna con gli occhiali scuri e un gran cappello di paglia: una turista. Non sembrava affatto grassa e c'era la speranza che avesse fatto un salto oltre il confine per comprare ricordini o profumi esenti da imposte, o magari per contrabbandare liquori in California. In questo caso, sarebbe tornata presto al di là della sbarra e nella parte posteriore della giardinetta c'era un sacco di spazio. Un suonatore indigeno con una piccola arpa messicana si era installato nel patio e strimpellava un canto popolare ora triste ora allegro che concluse con un inchino mentre Simon si stava avvicinando. Angie diede il via agli applausi e a un lancio di monetine che cadevano ai piedi del suonatore; Simon soffocò un'esclamazione quando la turista con il cappello di paglia si voltò per guardare la scena. Vera Raymond. Lei lo riconobbe immediatamente e con lo sguardo gli ingiunse il silenzio. «Suona "Estrellita"» trillò Angie. «Mi farà piangere, mi fa sempre piangere, ma suonala ugualmente.» Drake guardò Vera aprire la borsetta e cercare una moneta. Mentre l'arpista accordava il suo strumento, la donna tirò fuori un quarto di dollaro d'argento e lo gettò deliberatamente oltre il suonatore, in modo che rotolasse ai piedi di Simon. Questi si chinò a raccoglierlo, poi si avvicinò a Vera. «Avete superato il bersaglio» disse. «Riprovateci.» «Grazie, va tutto bene» rispose lei. Tese la mano per riavere la moneta e Simon vide qualcosa luccicare al sole. Le appoggiò il quarto di dollaro sul palmo e prese l'anello di Wanda. «Va tutto bene» ripeté Vera. «Magnifico.» Simon intascò l'anello e si allontanò in fretta. Non poteva chiederle come fosse arrivata in quel posto o come avesse avuto l'anello, e non poteva più correre il rischio di nascondersi sulla giardinetta, ma sapeva che Jack Keith aveva portato a termine lo scambio e che Wanda era salva. Ora poteva muoversi. 23
Il percorso fino al posto di frontiera sulla collina era pur sempre lungo, ma Simon pensò che avrebbe potuto non farlo da solo. Le strade si andavano affollando di scolari e il poco traffico del piccolo centro era bloccato. I messicani amano i loro bambini; Max Berlin poteva corrompere i funzionari pubblici e mantenere un compare all'albergo, ma nemmeno lui avrebbe osato mettere in pericolo la vita di un bambino. Ce n'era dappertutto. Simon si mescolò ad essi e appoggiò le mani sulle spalle di due ragazzini sui dieci anni che camminavano sotto lo sguardo attento del poliziotto. Una mossa falsa, una minima infrazione... e avrebbe potuto trovarsi in prigione e isolato per giorni. I ragazzini erano la sua guardia del corpo. «Scommetto che non sapete dirmi che nome è scritto sulla targa di bronzo nella plaza» disse Drake. «Quanto scommettete?» chiese il primo maschietto. «Cinquanta cents.» «Facciamo un dollaro.» «D'accordo, un dollaro.» «Allora pagate: è il nome del Presidente Lopez Morales.» «Giusto!» strillò l'altro. «Adesso tirate fuori i soldi.» Avevano già superato un isolato lungo la salita, lasciandosi dietro il poliziotto e il traffico. Forse, uscire dalla cittadina sarebbe stato facile come squagliarsela dall'istituto di Max Berlin. «Mi dovete un dollaro» gli ricordò il primo scolaro. «Pago, pago!» rise Simon. Staccò le mani dalle spalle dei ragazzini e perse per un attimo l'equilibrio mentre si cercava in tasca il portafoglio. «Che cosa avete a quella gamba?» «Mi sono fatto male.» «Come?» Se fosse riuscito a rendere la storia della ferita abbastanza avvincente per i suoi giovani interlocutori, forse l'avrebbero accompagnato per un altro isolato. Trattenne il denaro in mano per impegnare la loro attenzione. «Mi sono fatto male andando in moto» rispose infine. «Di che marca è?» «È una Hornet BSA.» In realtà era Chester che aveva una BSA, ma non era quello il momento per simili sottigliezze. «Avete corso su una pista di terra?» «Altrimenti come mi sarei ferito?» Simon mollò il dollaro e tenne affascinato il suo uditorio fino al crocicchio successivo. Quando i due ragazzini lo lasciarono, si voltò a guardar
giù dalla collina per vedere se lo inseguivano: nella strada di fronte alla plaza stava succedendo qualcosa. La giardinetta blu aveva tentato una svolta a U staccandosi dal marciapiede e aveva bloccato un altro autotreno color argento. Il conducente di questo suonava a distesa il clacson e il poliziotto stava fendendo la folla di bambini agitando le braccia e gridando ordini contrastanti. Se Vera Raymond aveva voluto creare un diversivo ci era riuscita in pieno. Simon inspirò profondamente stringendo i denti per il dolore alla gamba e continuò la marcia in salita. Soltanto quando raggiunse il posto di confine si voltò nuovamente a guardare indietro e constatò che la situazione era leggermente migliorata rispetto a prima. La giardinetta avanzava lentamente tra la calca e l'autotreno stava cercando di superarla mentre entrambi procedevano verso la collina. Simon si rivolse alla guardia confinaria che gli sorrise mentre esaminava i suoi documenti. Era libero. Continuò a camminare. La giardinetta avrebbe raggiunto il posto di frontiera entro pochi minuti e Simon, per l'ipotesi che la mano di Berlin arrivasse anche là, voleva far apparire come un fatto accidentale la sua richiesta di un passaggio. Alla prima curva la strada si allargava e Drake si voltò ancora una volta: ciò che vide lo lasciò di stucco. L'ultima volta che aveva controllato la situazione, l'auto precedeva l'autotreno e logicamente avrebbe dovuto arrivare per prima. Invece la giardinetta non si vedeva e l'autotreno era alla sbarra di confine, col motore acceso, mentre la guardia esaminava i documenti di carico. Lo guardò restituire i fogli all'autista e fargli cenno di proseguire. La gigantesca motrice e il rimorchio ripartirono a velocità sostenuta; poco dopo Simon intese il sibilo dei freni ad aria e l'automezzo gli si fermò accanto. L'autista era un giovane colosso in camiciola con una selva di capelli scuri e stringeva tra i denti un grosso sigaro nero. Apri la portiera della motrice e fece un cenno a Simon. «Saltate su» disse. «Per i prossimi tredici chilometri non ci sono altro che dossi e curve.» Non era precisamente il passaggio che aveva sperato; guardò indietro verso il confine, ma non scorse neppure la giardinetta. Se qualcosa era andata storta e le donne di casa erano nei guai con la legge, sarebbe stato più utile libero negli Stati Uniti che in fondo a una cella di provincia. «Grazie» disse, e salì. L'enorme veicolo riprese la marcia. Il conducente non aveva mentito: superata la prima curva, la strada stretta cominciava a salire a serpentina. Nonostante la pendenza l'autotreno prendeva velocità; Simon get-
tò un'occhiata nello specchietto retrovisore e vide il rimorchio che sbandava violentemente alle spalle della motrice: era troppo leggero per tenere la strada a quell'andatura. Un improvviso guizzo di paura acui i suoi sensi. Ecco perché l'autotreno aveva superato la giardinetta in salita: era vuoto. «Dovete aver preso la patente a Tijuana» brontolò Simon. L'autista si rannicchiò sul volante, sghignazzando. «Tredici chilometri» disse senza togliere il sigaro dai denti. «Se vi perdete da queste parti, o cadete in un burrone, lo sapranno soltanto le poiane. Hombre, mi sembra che la portiera dalla vostra parte non sia ben chiusa...» Simon aveva avuto troppo tardi l'intuizione del pericolo. L'autista di protese dalla sua parte, passandogli davanti, e diede un colpo alla maniglia della portiera, che si spalancò mentre lui dava una violenta sterzata verso destra. Il corpo di Simon scivolò verso l'apertura, ma riuscì ad aggrapparsi con entrambe le mani al telaio della portiera, puntando energicamente i piedi per non farsi proiettare fuori. Stavano ancora salendo a rotta di collo. Ora la strada formava un angolo acuto e il conducente spinse la motrice verso il limite esterno della careggiata per mandare Simon a sbattere contro la parete rocciosa. Lo salvò la portiera aperta, che assorbì l'urto tanto violento da scardinarla e farla volare sulla strada dietro di loro. Simon, che si preparava ad affrontare la curva successiva, urlò quando il sigaro acceso gli affondò sul dorso di una mano. Quello era il commiato tipico di Max Berlin, e chissà che qualcuno non trovasse, un giorno o l'altro, uno scheletro calcinato in fondo a una gola sassosa. L'autotreno incontrò una breve discesa e prese velocità per la curva successiva; questa volta, Simon era certo, una di quelle braccia pelose gli avrebbe dato una spinta per assicurarsi che volasse giù. Drake spostò le mani e ritrasse le gambe contro il corpo. Ebbe il tempo di sferrare una pedata: una botta violenta con entrambi i piedi contro il volante, mentre cominciava a girare a destra. Sentì scricchiolare sotto i tacchi le dita del conducente e il veicolo deviò verso la parete di roccia sul lato opposto della strada. Il gigante frenò di colpo e si aggrappò al volante, mentre la motrice subiva una brusca oscillazione. Simon sentì il metallo del telaio della portiera penetrargli nelle mani mentre allontanava i piedi dal volante e si gettava di lato all'interno della cabina. Il conducente ringhiò una bestemmia e riuscì ad arrestare l'autotreno ai piedi della discesa. A pochi passi da loro la strada era bloccata da una grossa berlina posta di traverso su entrambe le corsie. Una Cadillac. Simon schizzò fuori dalla cabina prima che il suo ospite potesse reagire e Jack Keith, il fucile da caccia puntato, sbucò fuori dal riparo di un macigno e intimò:
«Fuori di là, con le mani in alto... immediatamente!» Si avvicinò all'autotreno e spalancò la portiera. Il conducente, sempre col sigaro penzoloni dalle labbra, venne giù e alzò le braccia. «Simon» disse poi Keith «muoviti e apri il rimorchio; non abbiamo tempo da perdere.» Il tono era imperioso. Simon zoppicò fino ai portelloni del rimorchio e li apri. Era un guscio vuoto che stava per diventare una cella singola: il fucile di Keith spinse l'uomo in quella direzione. «Dentro» ordinò. «Come hai fatto a trovarmi?» domandò Simon. «Facile: avevi noleggiato un aereo col quale ti eri recato a La Verde, ma il tuo aereo non ha più lasciato il campo, mentre il Bonanza di Whitey Sanders è decollato poco dopo che tu avevi lasciato Bonnie Penny al Gateway. Ho spremuto Whitey e lui ha ammesso di averlo prestato a Max Berlin... Aspetta, fruga l'autista prima che salga sul rimorchio. Che cos'ha addosso?» Aveva un coltello a serramanico e una Luger carica. Simon passò il coltello a Keith e trattenne la Luger; Max Berlin non gli aveva restituito l'automatica di Keith: il baratto gli sembrava onesto. «Bene, fallo salire e chiudi. Dobbiamo far muovere questo bestione. Berlin ha un campo d'atterraggio a circa due chilometri dall'istituto. A quest'ora il poliziotto del villaggio sta passando parola che l'autotreno ha superato il confine. Vedrai che da un momento all'altro faranno un voletto da queste parti per assicurarsi che tutto vada bene.» «Non hai ancora risposto alla mia domanda» insistette Simon. «Come hai saputo che mi trovavo su questa strada?» «Guarda dietro di te.» La giardinetta era appena comparsa sulla scena, e si fermava a pochi passi dai tre uomini. Vera Raymond teneva in mano un piccolo microfono. Lo posò e scese dall'auto, e Simon comprese il perché della lunga antenna: la donna si era mantenuta costantemente in contatto radio con Keith. Doveva aver ricevuto l'anello da lui, dopo che Jack aveva pattuito il rilascio di Wanda. Keith le fece cenno di risalire in macchina. «Andate avanti!» gridò. «Non posso, se non togliete di mezzo la Cadillac.» «Va bene, adesso la sposto.» Keith stava per muoversi, ma Simon lo fermò. «Tu guidi l'autotreno e io prendo la Cadillac in prestito.» «Non fare l'idiota» protestò Keith. Non puoi tornare all'istituto, adesso: ti sparerebbero a vista. E in ogni caso è già tutto finito. Berlin ha avuto il
taccuino e la formula in cambio di Wanda, e chiunque l'abbia pagato per ottenerlo, ormai è a cavallo. Dimentica questa storia. «Dimenticare!» aveva parlato Vera. Pallidissima, camminava rigidamente verso di loro, tenendo gli occhi fissi sul conducente dell'autotreno. A un tratto allungò il braccio per agguantare la Luger con una mossa cosi fulminea che Simon ebbe appena il tempo di ritrarre la mano. La tensione di Vera doveva sfogarsi in qualche modo, e l'autista era il surrogato di Berlin. «Dimenticare che Sam è stato assassinato?» gridò ancora. «No, Vera» intervenne Drake. «Quest'uomo deve salire sul rimorchio: quello che ha ucciso Sam è morto.» Non nutriva il minimo dubbio che se Vera avesse avuto in mano la pistola avrebbe fatto fuori il conducente dell'autotreno, e nemmeno questi ne dubitava, infatti balzò in fretta sul rimorchio e Simon chiuse il portellone. «Tornate alla giardinetta» ordinò «e andatevene.» Vera pareva non udirlo: l'espressione dei suoi occhi faceva paura. «Vi prego» insistette Simon. Lentamente, come muovendosi in stato di sonnambulismo, la donna si voltò e si diresse verso la giardinetta. Simon si rivolse a Keith: «Uno degli uomini che ha ucciso Goddard è morto» spiegò «ma l'altro è ancora vivo, almeno per qualche ora, e ci vorrà appunto qualche ora prima che Berlin sappia ciò che è successo qui. È giusto il tempo che mi occorre.» Ora però, Keith aveva notato la gamba di Simon, che zoppicava in modo ancor più marcato per via del disperato attacco all'autista dell'autotreno. «Sei ferito!» esclamò Jack. «Sopravviverò. Guiderai l'autotreno fin dove troverai un mezzo per rientrare a casa, e lì lo abbandonerai. Se Berlin vuol riavere il suo giannizzero può mandare una pattuglia. E non immischiare la polizia nella faccenda... non ancora. Voglio prendere l'amico vivo e farlo parlare, e non mi va che arrivi Duane Thompson a rovinare il finale.» Simon non attese che Keith muovesse obiezioni e zoppicando si diresse alla Cadillac. Partì a tutta velocità. Un avvocato trascorre soltanto una minima parte della propria vita nelle aule dei tribunali; il grosso delle sue energie è impegnato nel lavoro di ricerca e di pubbliche relazioni. Indovinare in anticipo le mosse di Otto significava proiettarsi nella sua mente e cercare di indovinare che cosa avrebbe fatto trovandosi in vacanza. Otto non doveva essere un tipo complicato: aveva detto al guardiano dell'istituto che andava a pescare, e probabilmente era proprio ciò che intendeva fare. Simon puntò decisamente
verso il molo dei pescatori, sempre con la speranza di localizzare la Cougar verde scuro. La trovò un'ora dopo, nel parcheggio dell'Harbor Hotel. Era una costruzione tipo motel, in cui ogni stanza aveva un proprio balcone. Un premurosissimo direttore lo informò che Otto aveva la stanza 27, al secondo piano. Simon salì in silenzio, stringendo il calcio della Luger nella tasca destra della giacca. Ormai era calata la sera e dalle tende della finestra di Otto filtrava la luce. Drake restò un attimo in ascolto alia porta e non udì alcun rumore; fece per aprire, ma la porta cedette. La stanzetta conteneva un letto matrimoniale, una poltrona sudicia e un comò. Un impermeabile nero pendeva da un attaccapanni e sul pavimento c'era una borsa di tela aperta, ma nella stanza non c'era nessuno. Otto era venuto e andato, e inesplicabilmente aveva lasciato la porta aperta. Simon rivolse la sua attenzione al comò, sul quale un pacchetto di sigarette vuoto era appallottolato in un portacenere pulito. C'era anche una penna a sfera e un foglietto a righe attaccato con un fermaglio ad alcuni ritagli di giornale. I ritagli riguardavano tutti l'assassinio di Eve Potter e il foglietto era fatto di una irregolare calligrafia tedesca. Simon si sforzò di tradurre: "Rendo questa confessione per alleviare la mia coscienza. Non posso più vivere con il rimorso di ciò che ho fatto..." Magniloquente, teutonico e patetico. Max Berlin in persona doveva aver concepito il testo. Qualcuno era entrato nella stanza di Otto e aveva preparato la messinscena del suo falso suicidio, e questo significava che un'altra persona attendeva il ritorno di Otto. Simon uscì di nuovo sul balcone. Ora l'oscurità rendeva più spiccati i contrasti di luci e ombre nel parcheggio dell'albergo. Simon era in attesa da almeno cinque minuti quando scorse la sagoma massiccia di Otto che si avvicinava: aveva un pacchetto sotto il braccio e leccava ingordamente un gelato enorme. Mentre raggiungeva la Cougar, un uomo più piccolo di lui, che si spostava senza far il minimo rumore, gli mosse dietro. Otto non se ne accorse. Aprì la portiera dell'auto, strappò la carta dell'involto e ne tirò fuori due pacchetti di sigarette, quindi si accinse a richiudere la portiera. Simon si sporse dal balcone: «Otto! Attento alle spalle!» gridò. Otto si voltò di scatto e Simon, che stava precipitandosi giù dalle scale, vide lampeggiare la lama di un coltello. Quando arrivò nel parcheggio i due uomini lottavano avvinghiati. Afferrò il mancato assassino per le spalle e sentì il tintinnio del coltello che cadeva a terra. «Picchialo, Otto, picchialo!» Un pugno violentissimo colpì la mandibola dell'aggressore, che si
afflosciò contro la spalla di Simon. Con la mano libera questi spianò la Luger, puntandola alla testa di Otto. «Apri il portabagagli.» Il tedesco obbedì. «Senti» riprese Drake. «Questo è un uomo di Max Berlin, mandato qui per ucciderti. Mettilo nel portabagagli e chiudilo a chiave.» Otto aveva un baffo di cioccolato e uno squarcio sanguinante al braccio destro. Inebetito dallo shock, non capiva altro che la presenza della Luger; l'obbedienza era la chiave di volta della sua struttura psichica, e la pistola significava autorità. Richiuso l'aggressore nel baule dell'auto, Simon fece risalire Otto in camera e gli fece leggere la sua confessione. «Ma io non ho scritto questo!» ruggì Otto. «Chi ha scritto questo? Voi avete scritto questo?» «Leggo a malapena il tedesco, figuriamoci se so scriverlo» rispose Simon. «E questa roba è stata scritta proprio da un tedesco. Credo che sia opera di Max Berlin in persona. Non ha più bisogno di te, Otto: me l'ha detto oggi. Ormai è diventato una persona importante e non vuole nulla che gli ricordi i vecchi tempi. Guardati quella ferita sul braccio; immagina se avessero trovato il tuo cadavere su questo letto, con i polsi tagliati e la lettera e i ritagli di giornale sul comò. Vediamo cosa dice il resto della "confessione". Questo non è il nome di Garcia? Che cosa dice di Garcia e di La Verde?» «Dice che sono stato io a uccidere Garcia» strepitò Otto. «Io non ho sparato a Garcia. Siete stato voi!» «Voi però avete ucciso Eve Potter.» «No, non da solo, e poi non è stata mia l'idea. Garcia mi disse: "Ammazzala, altrimenti parla". Me lo disse Garcia di uccidere la donna.» «Chi fece fuori Sam Goddard?» «Garcia! Goddard gli aveva sparato, allora Garcia prese una pietra...» «Lascia perdere. Otto, sono un avvocato e non ti racconto storie: adesso l'unica cosa che puoi fare è tornare con me a Marina Beach e dire tutto al Procuratore Distrettuale. Andrai in galera, ma credo di poterti promettere che non sarai condannato a morte... se collaborerai con le autorità e racconterai tutto ciò che sai di Max Berlin. Non può raggiungerti in prigione, e tu almeno salverai la pelle.» Otto cadde a sedere sul letto e si portò le mani al viso; le sue spalle sussultavano. Dopo qualche istante, Simon si rese conto che Otto stava piangendo.
24 L'ultimo giorno dell'istruttoria contro Otto Schneider per l'assassinio di Eve Necchi Potter, comparve Simon come testimone per l'accusa. Benché la prospettiva di collaborare con Duane Thompson gli fosse altamente sgradevole, la più ampia prospettiva di smascherare l'organizzazione di Max Berlin ebbe la meglio sul disgusto. Berlin aveva però incaricato il suo genio legale numero due di difendere Otto. "Difendere" per modo di dire. Il vero scopo dell'assistenza legale fornita a Otto da Berlin era quello di farlo incriminare, processare e condannare al più presto e senza tanto scalpore, proteggendo quanto più possibile gli interessi di Berlin. Nonostante le proteste di un giovane avvocato a nome Drager (socio non ufficiale di Malvern e Robles) la lettera d'addio trovata nella stanza di Otto all'Harbor Hotel venne ammessa come prova. La difesa ricorse a tre costosi periti calligrafi per dimostrare che la calligrafia non era quella di Otto Schneider, e Duane Thompson si avvalse di un altro perito di uguale fama per dimostrare il contrario. La difesa sostenne che Otto aveva un nemico il quale aveva cercato di scaricare sulle spalle del suo patrocinato la responsabilità di quel delitto e indicò il vero colpevole nell'uomo che aveva aggredito Otto nel parcheggio dell'Harbor Hotel. Questi, un certo Martin Lukas, che era stato trasferito a tempo debito nel carcere della contea di Marina Beach per il processo, era stato trovato cadavere nella sua cella, ucciso da un'eccessiva dose di eroina. Il tenente Franzen portò la notizia a Simon la sera in cui era stato rinvenuto il cadavere. «Qualcuno è riuscito ad arrivare fino a lui dopo che era stato rinchiuso in cella» commentò il poliziotto e Simon aggiunse mentalmente un altro morto all'elenco delle vittime di Max Berlin. Senza Lukas, la lettera di addio di Otto restava come prova, ma non era un elemento decisivo. La testimonianza di Simon ebbe maggior peso. Fu suddivisa in tre parti: il racconto dell'incontro con Eve al Bar del Balboa (che Drager tentò di sfruttare a vantaggio della difesa stabilendo la "disponibilità" della vittima); la telefonata che Simon aveva ricevuto dalla donna la notte della sua morte, il successivo rinvenimento del cadavere e l'incontro di Simon col tenente Franzen avvenuto subito dopo; infine il racconto degli eventi che si erano conclusi con la morte di Garcia. Bonnie Penny testimoniò per prima, inquadrando la scena, e Simon forni tutti i particolari. Era ancora in attesa di comparire davanti al giudice per l'istruttoria preli-
minare sulla morte di Garcia, che si sarebbe tenuta a La Verde. Ammise spontaneamente di aver sparato il colpo che aveva ucciso Garcia. «Siete sicuro che ci fosse Otto Schneider alla guida dell'automobile da cui il morto, Luis Garcia, scese minacciando voi e la signorina Penny con una pistola?» chiese Duane Thompson. «Sicurissimo» rispose Simon. «Garcia poi non si limitò a minacciare: sparò anche un colpo.» «Ed eravate inoltre dell'opinione che l'imputato fosse in effetti un sicario?» «Era più che un'opinione» dichiarò Simon, senza dare il tempo a Drager per un'eventuale obiezione. «Appena quarantott'ore prima della sparatoria al Gateway Bar, gli stessi due uomini mi avevano aggredito al Seville Inn. Garcia mi colpì con il calcio della pistola che poi lasciò cadere, facendone partire un colpo. Recuperai il proiettile e lo confrontai col bossolo di una pistola registrata a nome di Sam Goddard, che era rimasto ucciso in un presunto incidente automobilistico circa una settimana prima. Goddard aveva la pistola con sé, quando usci di casa il giorno in cui mori, ma l'arma non fu trovata né addosso a lui né nell'auto. Trovai un bossolo sul luogo dell'incidente...» Drager era già schizzato in piedi per protestare, e il giudice fu costretto ad ammettere che la testimonianza non era pertinente all'omicidio su cui si stava indagando, ma Simon era riuscito a tirare in ballo la questione. «Garcia aveva in mano la stessa pistola, una Smith & Wesson 38, quando fummo aggrediti fuori del Gateway Bar» protestò a sua volta. «Non era logico ch'io pensassi che voleva ucciderci? Gli chiesi di portare via me e di lasciar stare la signorina Penny; al suo rifiuto, sparai. Fu legittima difesa. Otto Schneider era al volante della berlina, e quando feci fuoco, lui ripartì, abbandonando Garcia che lo chiamava.» Thompson prese l'arma di Sam Goddard dal tavolo degli oggetti prodotti in giudizio e la mostrò a Drake: «È questa la pistola che avete appena descritto, avvocato Drake?» Simon tentò di concentrare la propria attenzione sull'arma, ma non riusciva a vedere altro che la tragica espressione del volto di Vera Raymond. Wanda era appena giunta in volo dalla Costa Orientale; non aveva ancora potuto parlare con lei e ora non riusciva a godere la gioia della sua presenza perché gli occhi di Vera dominavano la stanza, e continuavano a fissare la pistola di Sam. «Sì, è questa.» «Ma Garcia fu ucciso con un'automatica calibro 22. Avete un'arma di
questo tipo?» La domanda non era pertinente, ma Thompson non aveva potuto resistere alla tentazione di sferrargli un colpo basso. «No!» sbottò Simon. «Quella pistola mi era stata data da una persona che sapeva come mi trovassi in pericolo. Non ebbi il tempo di denunciarla alla polizia più di quanto ne ebbe Eve Necchi Potter per protestare quando Otto Schneider entrò nella sua stanza al Motel Six. Mi rincresce!» La difesa mosse ancora un'obiezione e il giudice batté il martelletto, ma la giuria si era convinta che l'accusato era un omicida su commissione. Quando la successiva deposizione dell'addetto a una stazione di servizio, aperta tutta la notte, accertò la presenza della Cougar verde scuro a meno di due chilometri dalla scena del delitto, poco prima della morte di Eve, le prove furono sufficienti a formulare l'imputazione di omicidio premeditato. Consigliato dal suo difensore, Otto si dichiarò colpevole con l'attenuante del parziale vizio di mente. Cosi restarono tutti contenti, in particolare Duane Thompson il quale, avendo scoperto che era più fotogenico se ripreso da sinistra anziché di fronte, si era comportato di conseguenza quando aveva affrontato le telecamere. Dopo, Simon e Wanda seguirono il servizio televisivo sul caso. «Magnifico!» esclamò Simon, quando l'annunciatore passò a un altro argomento. «Duane Thompson ha vinto ancora! Adesso non gli resta da fare che una dichiarazione sulla politica estera, qualcosa che riempia la bocca e non significhi nulla: è in corsa per il governatorato.» Wanda ridacchiò e si stirò sul letto come una gattina. Si era vestita da qualche ora, se un paio di pantaloncini da spiaggia e un corpino di velluto rosa si possono definire "vestito". Simon invece era appena riuscito a infilarsi i calzoncini da palestra quando era stato attirato dalla ricostruzione televisiva del dramma appena conclusosi. La sua deposizione era terminata alle undici del giorno precedente. Wanda, che l'aspettava fuori del Tribunale, l'aveva rapito subito con la Jaguar per portarlo in un albergo tranquillo sulla spiaggia. Si era fuori stagione e il loro rifugio era pressoché deserto: il luogo ideale per distendersi e rinnovare una vecchia conoscenza. Ora, però, Wanda aveva deciso che dovevano passeggiare sulla spiaggia nella luce del tramonto, prima di vestirsi e uscire per cena, e questo nonostante l'albergo disponesse di un eccellente servizio di ristorante in camera. Anche Simon però aveva un piano: se la trasmissione si protraeva ancora un po', sarebbe stato troppo tardi per uscire, e allora si sarebbe affidato alle
proprie doti d'improvvisazione. Wanda si era fatta seria in volto. «Simon» chiese «perché hai continuato a parlare di Sam Goddard nella tua deposizione?» «Perché anche Sam è stato assassinato.» «Ma non c'entrava niente con il processo. Ieri ero seduta a fianco di Vera Raymond: non perdeva una parola di quanto si diceva ed era in uno stato da far pietà; io stessa avvertivo la sua tensione. Sarebbe meglio che cercasse di dimenticare.» «Ci vorrà del tempo. Vera è una di quelle donne che tengono duro finché sono sotto pressione e crollano quando tutto è finito. Avresti dovuto vedere la sua reazione quando Jack Keith suggerì la stessa cosa, poche settimane fa, al confine. È amareggiata perché non si apre nessun procedimento per la morte di Sam. Ho consegnato bossoli e proiettili a Franzen: anche lui è convinto che si tratti di omicidio, ma non ci saranno incriminazioni. Il difensore di Otto ha spinto il suo cliente a dichiararsi colpevole; avrà un processo rapido e il verdetto sarà automatico. So che Max Berlin preferirebbe veder morto Otto, ma per adesso è impossibile. Potrà sempre farlo ammazzare dopo che sarà stato incarcerato.» «Simon!» «Sono cose che capitano, tesoro, non è il caso di prendersela. La morte di Otto non è una gran perdita per nessuno, tranne che per l'F.B.I., che vorrebbe spremergli la verità. Sanno tutto delle operazioni illegali di Berlin, ma, senza prove, non possono agire.» «E non le hanno per causa mia.» «Wanda, per amor del cielo, non farti venire il complesso di colpa, adesso! Berlin ha vinto questa mano... niente di più. Prima o poi farà uno scivolone...» Un lampo d'ispirazione si accese negli occhi di Wanda. «Potresti scrivere un libro su Berlin. Nessuno dà più querela per diffamazione, a meno che non si tratti di una montatura pubblicitaria. Potresti usare uno pseudonimo per Berlin...» «Qualcosa come Max Peking? Megalomane sotto falso nome. Wanda, tesoro, non capisci che qualsiasi denuncia di Berlin a quel livello triplicherebbe i suoi affari? Le signore accorrerebbero a frotte ai suoi istituti. No, la verità è dura, ma sta di fatto che Berlin è libero come l'aria. Tra parentesi, poi l'ha comperato, quel terreno di Whitey Sanders.» «L'agente immobiliare di La Verde amico di Hannah? Ma non sa chi è Berlin?»
«Whitey sa che una vendita è una vendita. Non fare quella faccia sbigottita. Whitey è pulito: ha buttato fuori Alex Lacey quando ha saputo che era un tirapiedi di Berlin e che l'aveva informato della presenza di Monterey a La Verde. Berlin gli troverà un successore, se ne avrà bisogno. Ma erano le note personali di Monterey che avevano creato la necessità di un contatto a La Verde. Dopo la morte di Monterey forse non ci sarà alcuna sostituzione.» «Io però continuo a non capire perché non si può fare nulla. Hai la registrazione della voce di Monterey...» «Che fa asserzioni che non possono essere suffragate da una deposizione perché lui è morto. Persino i bossoli sono inutili, adesso: la pistola di Sam è stata rubata durante l'istruttoria preliminare.» «Berlin?» «Uno dei suoi uomini, suppongo. Non credo che Thompson farebbe uno scherzetto del genere per evitare ulteriori indagini. Però mi dispiace per Vera, che sta peggio di tutti. Sai, cara, quella donna mi ha fatto riflettere. È rimasta a fianco di Sam tutti questi anni e l'ha aiutato a credere fino all'ultimo che avrebbe fatto il colpo più sensazionale della sua carriera, e che sarebbe tornato a galla finanziariamente. Be', il colpo l'ha fatto, ma sarà Charley Leem a sfruttarlo. Quella si che è una donna!» «Io ne conosco un'altra» insinuò Wanda. «Anch'io. Non mi hai ancora detto com'è andata la commedia.» «Ha fatto fiasco la prima settimana.» «Ce ne sarà un'altra che non farà fiasco. Intanto...» Se la tirò vicino sul letto e le cercò le labbra. Wanda era tenera e ardente, e per qualche istante l'ignobile mondo di Max Berlin scomparve. La vita ritrovava il suo equilibrio e si rinnovava. Finché una persona ne amava un'altra, non era troppo tardi. Poi, a un tratto, Simon respinse bruscamente Wanda e si rizzò a sedere sul letto. «Ehi, tesoro, deciditi!» protestò la ragazza. Simon le posò una mano sulla bocca. Sullo schermo televisivo una commentatrice stava parlando di un eccezionale evento mondano che sarebbe iniziato di lì a poco nel salone delle feste del Seville Inn, nella vicina località di La Verde: la posa della prima pietra del nuovo istituto di Max Berlin. La telecamera inquadrò il palco sul quale stava salendo la nuova sensazionale scoperta musicale, Buddy Jenks, con l'orchestra del Gateway Bar, poi continuò la carrellata sul locale nel quale giungevano gli ospiti per
la serata di gala, tra i quali c'era Bonnie Penny che stringeva la mano a Whitey Sanders, pur covando con gli occhi Buddy. La telecamera si spostò ancora e inquadrò per un attimo un viso senza ombra di sorriso. Tesa e risoluta, Vera Raymond era andata alla festa. Simon schizzò giù dal letto. «Dove sono i miei pantaloni? La mia camicia? Il telefono?» Trovò il telefono mentre Wanda rintracciava i suoi vestiti, poi chiamò The Mansion e parlò con Hannah. «Stai guardando il telegiornale della sera?» «Con la mia pressione sanguigna?» s'indignò Hannah. «Il dottore me l'ha proibito.» «Max Berlin dà un grande ricevimento per celebrare la posa della prima pietra del suo nuovo istituto. Lo trasmettono per televisione.» «Oh, lo sapevo: abbiamo ricevuto gli inviti.» «Benissimo: prendili e fatti accompagnare in volata da Chester al Seville Inn. Ci vediamo là.» «Dove sei adesso?» «Non importa; ciò che conta è che Vera Raymond si trova al Seville: l'ho appena vista in televisione.» «È terribile!» «Potrebbe diventar ancor più terribile. I suoi nervi stanno per cedere e non può sopportare un'odiosa esibizione di questo tipo. Se tu e Chester arrivate prima di noi, cercate di trovarla e di portarla via prima che incontri Berlin. Non credo che riesca a controllarsi... non ancora.» «Partiamo immediatamente» lo rassicurò Hannah. Cinque minuti dopo la telefonata, Simon e Wanda filavano già verso La Verde sulla Jaguar. Nessuno dei due aveva voglia di parlare; soltanto dopo un po', Wanda ruppe il silenzio: «Non voglio aspettare tanto tempo come Vera Raymond, tesoro. Quando questa storia sarà finita andremo a Las Vegas e ci sposeremo.» «D'accordo.» La Rolls rossa era nel parcheggio dell'albergo, quando Simon e Wanda arrivarono. Chester andò loro incontro all'entrata principale. «Hannah è andata nella sala delle feste, al secondo piano. La sfilata di modelli è appena terminata e Max Berlin si sta accingendo a tenere una conferenza stampa.» «Avete trovato Vera?» l'interruppe Simon.
«Non ancora: con questa folla...» «Se non l'avete ancora trovata, perché perdiamo tempo? Andiamo!» Chester li precedette di corsa e chiamò l'ascensore. Salirono in silenzio, poi le portine si aprirono su un brusio di risate e di voci allegre che si spensero non appena la tromba di Buddy attaccò una marcetta jazz. Max Berlin, elegantissimo in una giacca da sera di broccato bianco e pantaloni neri, avanzò verso una pedana sopraelevata, davanti a uno schieramento di telecamere e di cronisti. Rispose alla pioggia di domande con la giusta dose di modestia e di umorismo. Berlin possedeva un fascino magnetico che rendeva quasi inaccettabile l'idea della sua vera personalità. La mano di Wanda si contrasse sulla spalla di Simon. Una donna di mezz'età, piccola ed eretta, era uscita dal gruppo dei cronisti per rivolgersi a Berlin con voce chiara e tranquilla: «Signor Berlin, sono Vera Raymond, del "Los Angeles Chronicle"» Il sorriso professionale di Berlin non si spense, ma lui si volse verso la donna come se fosse stata l'unica persona presente. Sapeva, doveva saperlo, perché conosceva la storia di Sam Goddard, che il "Chronicle" era defunto da anni, sapeva anche, poiché quello era l'esile filo al quale era sempre stata attaccata la sua vita, che esiste un mondo di legge e di ordine, e che gli uomini migliori non violano certe norme di condotta, se non sotto pressioni intollerabili, perché l'uomo civile non può vivere con l'anarchia dentro di sé più di quanto la società non possa vivere con l'anarchia per le strade. La pressione si era fatta intollerabile per Vera Raymond. Berlin lo comprese e il suo sorriso sparì. «No, vi prego, non fatelo» disse indistintamente. Vera Raymond aveva sottratto la pistola di Sam Goddard dall'aula del Tribunale. Conteneva cinque pallottole. Fece fuoco cinque volte da distanza ravvicinata, ma una sola pallottola sarebbe stata sufficiente. Max Berlin era già morto prima di toccare terra. Vi fu una pausa di profondo silenzio, poi la folla cominciò a ritrarsi lentamente, lasciando Vera immobile e sola come mai prima. Con la coda dell'occhio, Simon scorse Hannah che gli si avvicinava fendendo la calca silenziosa e sbigottita. Spinse Wanda verso di lei. «Va' a casa con Hannah e Chester» le ordinò. «Las Vegas può aspettare; adesso devo restare qui.» La sua espressione doveva essere decisa perché Wanda non protestò e quando Simon si mosse, la folla si apri davanti a lui come le acque del Mar Rosso. Vera, ancora in stato di choc, lo vide avvicinarsi e nei suoi occhi spuntarono le prime lacrime.
Simon le mosse incontro tendendole le mani. FINE