Terry Brooks. IL VIAGGIO DELLA "JERLE SHANNARA". L'ULTIMA MAGIA.
Traduzione di Riccardo Valla. Copyright 2002 by Terry ...
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Terry Brooks. IL VIAGGIO DELLA "JERLE SHANNARA". L'ULTIMA MAGIA.
Traduzione di Riccardo Valla. Copyright 2002 by Terry Brooks. This translation published by arrangement with the Ballantine Publishing Group, a Division of Random House Inc. Copyright 2002 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano. Titolo dell'opera originale: (The Voyage of the Jerle Shannara. Book Three. Morgawr". Prima edizione: Novembre 2002. Seconda edizione: Dicembre 2002.
"A Owen Lock per la consulenza editoriale, l'amicizia e l'incoraggiamento che non mi ha mai fatto mancare quando ne ho avuto bisogno".
1. La figura uscì dall'ombra dell'alcova con una tale rapidità che Sen Dunsidan le fu quasi addosso prima di accorgersi della sua presenza. Il corridoio che portava alla camera da letto era buio e le poche lucerne appese alle pareti proiettavano solo incerti aloni di luce giallastra. Il chiarore delle fiammelle non gli fu di alcun aiuto e il ministro della Difesa non ebbe la possibilità né di fuggire né di difendersi. «Una parola, per cortesia, ministro.» L'intruso era nascosto dal mantello, la testa coperta dal cappuccio. A Sen Dunsidan fece venire in mente la Strega di Ilse, ma fu subito certo che non si trattava di lei. Era un uomo, non una donna: la sua altezza e la sua mole non gli permettevano di essere altro, e il tono della voce era aspro e mascolino. La minuta e flessuosa Strega dalla voce calma e musicale era lontana. Si era presentata a lui la settimana precedente, prima di partire sulla "Black Moclips" per seguire il druido Walker e i suoi compagni fino a una misteriosa destinazione. Tuttavia l'intruso, ammantato e incappucciato nella stessa maniera, era comparso proprio come lei, di notte e senza farsi annunciare. Il ministro si chiese subito che legame ci fosse tra i due. Nascondendo la sorpresa e la paura che gli opprimeva il petto, Sen Dunsidan annuì. «Dove preferisci condividere con me quella parola?» chiese. «La tua camera andrà bene.» Il ministro della Difesa era un uomo robusto, di alta statura e nel pieno della virilità, ciò nonostante si sentiva in condizioni di inferiorità rispetto al nuovo venuto. Non si trattava solo dell'altezza: il suo disagio era anche dovuto alla sensazione di potere che si irradiava da quell'uomo. L'intruso trasudava una forza e una sicurezza che di solito non si incontravano nei comuni mortali. Sen Dunsidan non gli chiese come fosse riuscito a superare il muro di cinta attentamente pattugliato. Non gli chiese come fosse riuscito a salire senza problemi fino all'ultimo piano del suo alloggio. Erano domande oziose. Si limitò ad accettare il fatto che l'intruso era capace di questo e probabilmente di molto altro, e fece quello che gli veniva suggerito. Passò davanti a lui con una sorta di inchino rispettoso, aprì la porta della stanza e fece segno all'uomo di entrare.
Anche all'interno ardevano alcune lucerne, ma l'illuminazione era poco più forte che nel corridoio, e l'uomo si portò subito in una zona d'ombra. «Siedi, ministro, e ti dirò cosa voglio.» Sen Dunsidan si accomodò su una sedia dall'alto schienale e accavallò le gambe con tranquillità. Aveva superato la paura e la sorpresa del primo momento. Se l'altro avesse voluto fargli del male, non si sarebbe preoccupato di presentarsi al suo cospetto. Voleva qualcosa dal ministro della Difesa della Federazione, perciò non aveva motivo di preoccuparsi. Almeno per ora. Le cose potevano cambiare se non avesse fornito le risposte cercate dal misterioso visitatore. Ma Sen Dunsidan era un maestro nell'arte di dire agli altri quello che sì aspettavano di sentire. «Una birra fresca?» chiese all'uomo. «Prendila tu» rispose la figura incappucciata. Sen Dunsidan ebbe un attimo di esitazione, sorpreso dall'insistenza nella voce dell'altro. Poi si alzò e raggiunse il tavolino accanto al letto dov'erano posati il secchiello del ghiaccio contenente la brocca della birra e alcuni boccali. Mentre versava la birra, tenne gli occhi fissi sul recipiente. I lunghi capelli chiari, che portava sciolti sulle spalle tranne sopra l'orecchio, dove erano acconciati in treccioline come voleva la moda del momento, gli nascondevano il viso. Non gli piaceva quello che stava succedendo. Aveva appena ripreso fiducia in sé, ma già subentravano i dubbi. Meglio fare attenzione con quell'uomo, usare la mano leggera, si disse. Tornò alla sedia e si accomodò di nuovo, sorseggiando la birra. Si voltò nella direzione in cui aveva visto nascondersi l'altro, una presenza pressoché indistinguibile nella penombra. «Ho un favore da chiederti» disse a bassa voce l'intruso. Sen Dunsidan annuì e sollevò la mano per invitarlo a parlare. L'uomo si avvicinò un poco. «Ti avverto, ministro. Non pensare di tenermi buono con qualche promessa che non intendi mantenere. Non sono venuto fin qui per perdere tempo con gli sciocchi che pensano di potermi accontentare con vuote parole. Se mi accorgerò che mi inganni, ti ucciderò e la cosa finirà lì. E' chiaro?» Sen Dunsidan fece un profondo respiro per tranquillizzarsi. «Chiaro.» Per qualche istante, l'intruso non disse altro, poi si portò nella zona illuminata. «lo sono il Morgawr. Sono il maestro della Strega di Ilse.» «Ali.» Il ministro della Difesa annuì. Non si era sbagliato quando gli era parso che il loro modo di comparire fosse identico. La figura incappucciata si avvicinò ancora un po'. «Tu e io stiamo per diventare soci, ministro. Un nuovo accordo, per sostituire quello che hai stretto con la mia allieva, Lei non avrà più bisogno di te. Non verrà più a farti visita. Ma ci verrò io. Spesso.» «Lei lo sa?» chiese Sen Dunsidan, a bassa voce. «Lei sa molto meno di quello che crede» rispose il Morgawr, con voce cupa. «Ha deciso di tradirmi, e sarà punita per la sua infedeltà. Le infliggerò il castigo che merita quando la troverò. La cosa non ti riguarda, a parte il fatto di sapere che non la rivedrai mai più. Per tutti questi anni sono stato io la forza dietro di lei. Ero io a darle il potere di stringere alleanze come quella che condivideva con te. Ma lei ha abusato della mia fiducia e ha così perso la mia protezione. Non ha più alcuna utilità per me.» Sen Dunsidan bevve un lungo sorso di birra e posò il boccale. «Mi perdonerai se rimango scettico. Non conosco te, ma conosco lei. So cosa è capace di fare. So cosa succede a coloro che la tradiscono, e non voglio diventare uno di loro.» «Forse faresti meglio ad avere paura di me» rispose il Morgawr. «Ci sono io adesso davanti a te.» «Può darsi. Ma la Signora Nera ha la capacità di saltare fuori quando meno te l'aspetti. Portami la sua testa, e sarò più che lieto di stringere un nuovo accordo con te.» La figura ammantata rise piano. «Ben detto, ministro. Hai dato una risposta diplomatica a una domanda difficile. Ma ritengo che tu debba riflettere meglio. Guardami.» Spostò il cappuccio per rivelare la propria faccia. Era il viso della Strega di Ilse, giovane, liscio e minaccioso. Sen Dunsidan trasalì a dispetto di se stesso. Poi la faccia della giovane cambiò,
luccicando come se fosse un miraggio, e divenne quella dello stesso Sen Dunsidan, spigolosa e dura, con occhi azzurri penetranti, lunghi capelli chiari e un sorriso che pareva pronto a promettere qualunque cosa. «Noi due ci assomigliamo molto, ministro» commentò il Morgawr. La faccia cambiò di nuovo. Un'altra prese il suo posto. Era di un uomo più giovane, ma Sen Dunsidan non l'aveva mai vista. Una faccia indefinibile, anonima, priva di connotati particolari o interessanti. «E' la mia vera faccia, ministro? Adesso mi sono davvero rivelato a te?» Il Morgawr fece una pausa. «O sono così?» La faccia tremolò e cambiò fino a divenire qualcosa di mostruoso, un muso di rettile con il naso piatto e due fessure per occhi. Una faccia segnata dal tempo, coperta di scaglie grigie e ruvide, la bocca larga e senza labbra che si apriva per mostrare file di denti appuntiti. Gli occhi velenosi, pieni di odio, brillavano di un fuoco verde. L'intruso sollevò di nuovo il cappuccio e la sua faccia scomparve nell'ombra. Sen Dunsidan sedeva immobile. Aveva perfettamente capito il messaggio. Quell'uomo possedeva una magia potentissima. Come minimo, poteva cambiare forma, ma di sicuro era capace di fare molto di più. Era un uomo che amava dare prova del proprio potere, come anche Sen Dunsidan, e certamente avrebbe usato quel potere nel modo che gli fosse parso più utile, «Ho detto che ci assomigliamo» sussurrò l'intruso. «Entrambi sembriamo una cosa mentre in realtà siamo tutt'altro. Io ti conosco. Conosco te come conosco me stesso. Faresti qualsiasi cosa per accrescere il tuo potere nella gerarchia della Federazione. Tu ti concedi piaceri proibiti agli altri uomini. Desideri quello che non puoi avere e trami per procurartelo. Sorridi e fingi amicizia quando in realtà sei il serpente temuto dai tuoi avversari.» Sen Dunsidan continuò a sorridere, da politico consumato. Cosa voleva da lui quella creatura? «Ti dico questo non per farti montare in collera, ministro, ma per evitare che tu ti sbagli sulle mie intenzioni. Sono qui per aiutarti a realizzare le tue ambizioni, in cambio dell'aiuto che puoi dare a me. Desidero seguire la Strega di Ilse nel suo viaggio. Desidero essere presente quando lotterà contro il druido, come di sicuro succederà. Desidero trovarla quando si sarà impadronita della magia che cerca, perché intendo portargliela via, e poi toglierle la vita. Ma per ottenere tutto questo, mi occorrono una flotta di navi volanti e gli uomini per equipaggiarla.» Sen Dunsidan lo guardò incredulo. «Quello che mi chiedi è impossibile.» «Niente è impossibile, ministro.» Le vesti nere frusciarono debolmente mentre l'intruso attraversava la stanza. «Quello che voglio io è forse più impossibile di quello che vuoi tu?» Il ministro della Difesa ebbe un attimo di esitazione. «E cosa sarebbe?» «La carica di primo ministro. Prendere il comando della Federazione una volta per tutte. Dominare la Federazione e di conseguenza le Quattro Terre.» Molti pensieri si rincorrevano nella mente di Sen Dunsidan, ma tutti si riducevano a uno solo: l'intruso aveva ragione. Sen Dunsidan avrebbe fatto qualunque cosa per diventare primo ministro e comandare il Consiglio della Federazione. Perfino la Strega di Ilse aveva saputo di questa sua ambizione, anche se non l'aveva mai detto in quel modo, con parole che suggerivano come la meta potesse essere vicina. «Anche questo mi sembra impossibile» rispose con prudenza. «Non capisci bene quello che ti dico» replicò l'intruso. «Ti sto spiegando perché risulterò un alleato migliore della piccola Strega. Chi c'è fra te e la tua meta? Il primo ministro, che gode di ottima salute. Occuperà quella carica per anni, prima di ritirarsi E poi c'è il suo successore designato, il ministro del Tesoro Jaren Arken. E' più giovane di te e altrettanto forte e spietato. Aspira a essere ministro della Difesa no? Vorrebbe avere la tua posizione nel Consiglio.» Nell'udire quelle parole, Sen Dunsidan si sentì prendere da una gelida collera. Erano vere, naturalmente, dalla prima all'ultima. Arken era il suo peggior nemico, un uomo infido e sfuggente come un serpente, un rettile a sangue freddo, dalla testa ai piedi. Sen Dunsidan avrebbe voluto vederlo morto, ma non aveva ancora trovato il -modo di eliminarlo. Aveva chiesto aiuto alla Strega
di Ilse, ma anche se aveva accettato di fargli in cambio altri favori, lei si era sempre rifiutata di uccidere per lui. «Qual è la tua offerta, Morgawr?» chiese il ministro senza mezzi termini, stanco di quel gioco. «Solo questo. Prima di domani notte, gli uomini che ti intralciano il cammino saranno morti. Né colpa né sospetto cadranno su di te. La posizione che desideri sarà tua. Nessuno ti ostacolerà. Nessuno metterà in dubbio il tuo diritto di essere a capo della Federazione. Ecco cosa posso fare per te. In cambio devi fare quello che ti ho chiesto: darmi le navi e gli equipaggi. Un ministro della Difesa può farlo, soprattutto se sta per diventare primo ministro.» La voce del Morgawr si ridusse a un bisbiglio. «Accetta l'accordo che ti offro, così potremo aiutarci a vicenda non solo ora, ma anche in futuro se sarà necessario.» Sen Dunsidan rifletté a lungo sulla richiesta. Bramava essere primo ministro. Era disposto a tutto per quella carica. Ma non si fidava del Morgawr, una creatura non del tutto umana, in possesso di una magia in grado di uccidere un uomo prima ancora che capisse cosa stava succedendo. Non era convinto fino in fondo che fosse saggio accettare la richiesta del Morgawr. Aveva paura della Strega di Ilse: poteva confessarlo a se stesso, anche se non l'avrebbe mai ammesso con altri. Se l'avesse ostacolata e lei se ne fosse accorta, gli avrebbe dato la caccia fino a ucciderlo. D'altro canto, se il Morgawr intendeva distruggerla come aveva detto, allora Sen Dunsidan avrebbe fatto bene a rivedere le sue posizioni. L'uovo oggi, come si era soliti dire, era meglio della gallina domani. Se gli era possibile aprirsi la strada per la carica di primo ministro, la cosa valeva qualsiasi rischio. «Che tipo di navi ti occorre?» chiese con calma. «E quante?» «Accetti l'accordo, ministro? Sì o no. Niente ambiguità, niente condizioni. O sì, o no.» Sen Dunsidan aveva ancora qualche remora, ma non poteva rinunciare a una simile occasione di fare carriera. Tuttavia, quando pronunciò la parola che doveva decidere del suo destino, ebbe l'impressione di sputare fuoco: «Sì». Il Morgawr si mosse come una notte liquida, scivolando ai margini delle ombre mentre attraversava la camera. «D'accordo» disse, «Tornerò domani sera dopo il tramonto per riferirti cosa ti chiedo in cambio.» Poi attraversò la porta e sparì. Sen Dunsidan dormì male, quella notte, assillato da incubi e da insonnia, oppresso dalla consapevolezza di essersi venduto a un prezzo ancora da determinare e che poteva risultare troppo alto. Eppure, nei momenti di veglia in mezzo ai brevi crolli in un sonno inquieto, riflettendo sull'enormità di quanto poteva succedere, non riusciva a fare a meno di sentirsi eccitato. Nessun prezzo era troppo alto, se si trattava di diventare primo ministro. Qualche nave e pochi uomini, entrambe cose di cui gli importava poco, non erano niente al confronto. In realtà, per ottenere il comando della Federazione, avrebbe pagato un prezzo ancora più alto. A dirla tutta, avrebbe pagato qualsiasi prezzo. Eppure, c'era ancora il rischio di un inganno. Poteva essere una chimera evocata per controllare se era disposto a spezzare l'alleanza con la Strega. Quando però si destò e cominciò a vestirsi per raggiungere la sala del Consiglio, gli venne riferito che il primo ministro era mancato. Era andato a dormire e non si era più svegliato. Il suo cuore si era fermato durante il sonno. Strano, viste la buona salute e l'età relativamente giovane, ma la vita riserva sempre qualche sorpresa. A quella notizia, Sen Dunsidan provò un senso di piacere e di trepidazione: osò credere che l'impensabile potesse realizzarsi, che la parola del Morgawr fosse più affidabile di quanto non avesse sperato. "Primo ministro Sen Dunsidan" continuò a ripetersi, nel profondo del cuore, dove celava i segreti più oscuri. Arrivò nella sala del Consiglio e solo allora venne a sapere che anche Jaren Arken era morto. Il ministro del Tesoro, non appena avuta la notizia della morte del primo ministro, era corso via di casa, ansioso di occupare il posto del morto, e, del tutto preso da quel pensiero, non aveva guardato
dove metteva i piedi, era ruzzolato giù per gli scalini e aveva battuto la testa contro le statue di pietra in fondo alla scala. Quando i servitori l'avevano raggiunto, non c'era più niente da fare. Sen Dunsidan accolse la notizia con flemma: ormai non si sorprendeva di nulla. Era soltanto compiaciuto ed eccitato. Assunse un'espressione debitamente afflitta e rispose con diplomazia a tutti coloro che lo avvicinarono. E si fecero avanti in molti, ora che gli altri membri del Consiglio si rivolgevano a lui. Passò la giornata a organizzare solenni funerali e orazioni funebri, a parlare a tutti del suo dolore e della grande sciagura che aveva colpito la nazione, e a consolidare il suo potere. Due uomini tanto importanti e attivi erano morti a così breve distanza. Era necessario trovare un uomo forte, che colmasse il vuoto. Si offerse come candidato e promise di fare del suo meglio per coloro che l'avessero appoggiato. Al calar della notte, la gente non parlava più dei morti: parlava di lui. Dopo il tramonto, Sen Dunsidan sedette a lungo nelle proprie stanze, in attesa, chiedendosi cosa sarebbe successo al ritorno del Morgawr. Non c'erano dubbi che sarebbe tornato, dopo aver rispettato la sua parte dell'accordo. Meno certo era quello che gli avrebbe chiesto. Non l'avrebbe minacciato, ma la minaccia era implicita. Se era in grado di eliminare così facilmente un primo ministro e un ministro del Tesoro, non avrebbe incontrato difficoltà a sbarazzarsi di un recalcitrante ministro della Difesa. Sen Dunsidan c'era ormai dentro fino al collo, impossibile tirarsi indietro. Tutt'al più poteva cercare di ridurre il prezzo che il Morgawr gli avrebbe chiesto. Era quasi mezzanotte quando l'incappucciato apparve, scivolando silenzioso nella stanza attraverso la porta, un concentrato di vesti nere e di minacce. A quel punto Sen Dunsidan aveva bevuto vari boccali di birra e se ne stava pentendo. «Impaziente, ministro?» chiese il Morgawr sottovoce, infilandosi subito nell'ombra. «Pensavi che non sarei venuto?» «Non dubitavo affatto del tuo arrivo. Cosa vuoi?» «Quanta fretta! Neppure il tempo per un grazie? Ti ho fatto primo ministro. Manca solo il voto del Consiglio, una formalità burocratica. Quando ci sarà il voto?» «Tra un giorno o due. Benissimo, hai fatto la tua parte. Qual è la mia?» «Navi da guerra, ministro. Capaci di fare un lungo viaggio e di affrontare una battaglia all'arrivo. Navi che possano trasportare uomini e mezzi per ottenere quel risultato e riportare poi indietro i tesori che mi aspetto di trovare.» Sen Dunsidan scosse la testa, perplesso. «Sono navi difficili da trovare» disse. «Tutte quelle che abbiamo sono impegnate sul Prekkendor. Se dovessi portarne via... diciamo... dieci o dodici...» «Una ventina si avvicina di più a quello che ho in mente» lo interruppe il Morgawr. Una ventina? Il ministro della Difesa rimase senza fiato. «Circa venti, allora. Ma l'assenza di tante navi dal fronte verrà notata. Ci saranno domande. Come potrò spiegarla?» «Stai per diventare primo ministro. Non devi spiegare nulla.» Nella voce aspra del Morgawr era comparso un tono d'impazienza. «Prendile ai Corsari, se le tue non bastano.» Sen Dunsidan bevve in fretta un sorso della birra che avrebbe fatto meglio a non bere. «I Corsari sono neutrali, in questa guerra. Sono mercenari, ma neutrali. Se confisco le loro navi, si rifiuteranno di costruirne altre.» «Non ho parlato di confisca. Rubale, poi da' la colpa a qualcuno.» «E gli equipaggi?» chiese il ministro. «Che tipo di uomini ti occorre? Devo "rubare" anche quelli?» «Reclutali dalle prigioni. Uomini che abbiano viaggiato sulle navi e combattuto. Elfi, Uomini della Frontiera, Corsari, quello che trovi. Forniscimene un numero sufficiente a equipaggiare le navi. Ma non aspettarti che te li porti indietro. Una volta usati, conto di buttarli via. Non serviranno più a nulla.» A Sen Dunsidan si rizzarono i capelli. Duecento uomini, gettati via come scarpe vecchie. Danneggiati, consumati, non più adatti all'uso. Cosa significava? Sentì l'improvviso bisogno di lasciare la stanza, di fuggire così lontano da non ricordare più da dove veniva.
«Mi occorrerà del tempo per preparare tutto, forse una settimana.» Cercò di mantenere la voce ferma. «La sparizione di una ventina di navi verrà notata. Gli uomini usciti dalla prigione lasceranno tracce. Devo pensare al modo migliore di farlo. Te ne occorrono proprio così tante per la tua impresa?» Il Morgawr lo fissò. «Non riesci a fare quello che ti chiedo senza contrattare. Perché? Ti ho forse chiesto come fare per eliminare gli uomini che ti impedivano di diventare primo ministro?» Sen Dunsidan capì di essersi spinto troppo avanti. «No, naturalmente no. Solo che io...» «Consegnami gli uomini questa notte» lo interruppe il Morgawr. «Ma mi occorre tempo.» «Li hai nella tua prigione, qui in città. Falli rilasciare subito.» «Ci sono delle regole per il rilascio dei prigionieri.» «Infrangile.» Sen Dunsidan aveva l'impressione di essere finito nelle sabbie mobili e di affondare in fretta. Ma non vedeva il modo di salvarsi. «Consegnami i miei equipaggi questa notte, ministro» disse l'altro, in un soffio. «Fallo tu, di persona. Una prova di fiducia, per dimostrarmi che i miei sforzi per eliminare gli uomini che ti intralciavano il cammino sono stati giustificati. Assicurami che il tuo impegno nel nostro accordo è più che una vuota parola.» «Ma io ...» Il Morgawr uscì con incredibile rapidità dall'ombra e afferrò il ministro per la camicia. «Penso che tu abbia bisogno di una dimostrazione» gli disse. «Un esempio di quello che succede a chi vuole contrattare con me.» Con una mano che sembrava di ferro, sollevò Sen Dunsidan, il quale fu costretto ad alzarsi sulla punta dei piedi. «Stai tremando, ministro» commentò. «Sono finalmente riuscito ad avere la tua attenzione?» Sen Dunsidan si limitò a muovere con energia la testa in segno d'assenso. Era così spaventato che non osava parlare. «Bene. Adesso vieni con me.» Sen Dunsidan respirava affannosamente quando il Morgawr lo lasciò e fece un passo indietro. «Dove?» Il suo interlocutore gli passò davanti, aprì la porta e si girò a guardarlo, dall'oscurità del cappuccio. «Nella prigione, ministro, a prendere i miei uomini.»
2. Il Morgawr e Sen Dunsidan lasciarono l'abitazione del ministro, oltrepassarono il cancello del complesso di edifici governativi e uscirono nella notte. Nessuna delle guardie o dei servitori che incontrarono rivolse loro la parola. Nessuno mostrò di vederli. "Magia" pensò Sen Dunsidan, disperato. Soffocò l'impulso di gridare chiedendo aiuto, perché sapeva che non ne avrebbe trovato. Una pazzia. Ma lui aveva fatto la sua scelta. Mentre attraversavano le strade buie e vuote della città, il ministro della Difesa raccolse i pezzi del suo orgoglio, un frammento alla volta. Se voleva sopravvivere a quella notte, doveva fare qualcosa di più di quanto aveva fatto fino a quel momento. Il Morgawr lo giudicava già un debole e uno sciocco; se l'avesse giudicato anche inutile, l'avrebbe eliminato in un istante. Prese a camminare a lunghi passi e a respirare a fondo, ritmicamente, per chiamare a raccolta tutto il suo coraggio e la sua determinazione. "Ricorda chi sei" si ripeteva. "Ricorda qual è la posta." Accanto a lui, il Morgawr camminava senza guardarlo, senza rivolgergli la parola, senza mai dare l'impressione di avere un sia pur minimo interesse per lui. La prigione era situata in fondo ai baraccamenti dell'esercito della Federazione, a ridosso delle acque tumultuose del Rappahalladran. Era una tenebrosa e formidabile successione di torri e mura di pietra sconnessa. Strette feritoie servivano da finestre e i parapetti dei muri di cinta erano irti di
lunghe lance di ferro. Come ministro della Difesa, Sen Dunsidan faceva regolari visite alla prigione e conosceva tutto ciò che la riguardava. Nessuno era mai evaso. Di tanto in tanto qualche carcerato riusciva ad arrivare fino al fiume, convinto di poter raggiungere a nuoto la riva opposta e poi di dileguarsi nella foresta. Nessuno c'era mai riuscito. Le correnti erano forti e traditrici, presto o tardi i corpi venivano spinti a riva dalle onde e appesi alle mura, dove gli altri prigionieri potevano vederli. Quando erano ormai vicini, Sen Dunsidan trovò il coraggio di avvicinarsi di nuovo al Morgawr. «Che intendi fare, una volta che saremo dentro?» chiese, cercando di mantenere la voce ferma. «Devo sapere cosa dire, se non vorrai essere costretto a ipnotizzare l'intera guarnigione.» Il Morgawr rise piano. «Torni a riprendere la vecchia baldanza, eh, ministro? Benissimo. Voglio una stanza dove parlare con il mio futuro equipaggio. Devi farmi portare gli uomini uno a uno, cominciando da un comandante o da qualche altra persona autorevole. E voglio che tu sia presente e assista a quello che faccio.» Sen Dunsidan annuì e cercò di non pensare al possibile significato di quelle parole. «La prossima volta, ministro, pensaci due volte prima di fare una promessa che non intendi mantenere» sibilò il Morgawr con voce dura e tagliente. «Non ho molta pazienza con i bugiardi e gli sciocchi. Tu non mi sembri né l'uno né l'altro, ma sei abile a trasformarti in ciò che ti fa comodo, quando tratti con e' li altri, vero?» Sen Dunsidan non rispose. Non aveva nulla da dire. Fra concentrato su quello che avrebbe dovuto fare una volta entrato nella prigione. Là avrebbe padroneggiato meglio la situazione, si sarebbe trovato su un terreno familiare. Là avrebbe potuto dimostrare la sua utilità a quella pericolosa creatura. Gli uomini di guardia al cancello riconobbero subito Sen Dunsidan e fecero entrare entrambi senza fare domande. Scattarono sull'attenti nelle loro consunte uniformi di cuoio, e aprirono le pesanti porte. L'interno puzzava di umido, di marcio e di escrementi umani: un odore acre e soffocante. Sen Dunsidan chiese all'ufficiale di turno di avere a disposizione una specifica stanza per gli interrogatori, una che conosceva bene, lontana dalle altre e sepolta in profondità nelle viscere della prigione, Un carceriere li accompagnò per un lungo corridoio fino alla stanza da lui richiesta, una grande camera con le pareti che stillavano umidità e le pietre del pavimento sconnesse. Al centro c'era un lungo tavolo con catene e morse di ferro, accanto a una parete c'era una lunga rastrelliera di legno con strumenti di tortura. La stanza era illuminata da una sola lampada a olio. «Aspettami qui» disse Sen Dunsidan al Morgawr. «Devo convincere gli uomini adatti a venire da te.» «Comincia con uno» ordinò il Morgawr, ritirandosi nell'ombra. Sen Dunsidan esitò per un istante, poi uscì assieme al carceriere. Questi era un uomo curvo e zoppicante, che aveva passato al fronte sette ferme di cinque anni, un soldato dell'esercito della Federazione per tutta la vita. Era ferito nel corpo e nell'anima, dopo essere sopravvissuto ad atrocità capaci di far perdere la ragione a uomini meno resistenti di lui. Non aprì bocca, ma sapeva cosa stava per succedere e pareva indifferente. Sen Dunsidan se n'era servito, a volte, per interrogare qualche prigioniero recalcitrante. L'uomo era abile nell'infliggere dolore e nell'ignorare le suppliche dei torturati. Lo era almeno quanto era capace di tacere. Stranamente, il ministro non aveva mai saputo il suo nome. Là tutti lo chiamavano "Carceriere", come se il suo compito fosse sufficiente a definirlo. Percorsero alcuni corridoi e raggiunsero l'ala dove erano situate le celle collettive. Nelle più grandi erano tenuti i prigionieri catturati sul Prekkendor. Alcuni sarebbero stati riscattati o scambiati con soldati della Federazione prigionieri dei Liberi, altri sarebbero morti lì. Sen Dunsidan indicò al carceriere la cella in cui si trovavano coloro che erano imprigionati da più tempo. «Apri.» L'uomo aprì la porta senza proferir parola.
Sen Dunsidan prese una torcia infilata in i-in anello della parete. «Chiudi la porta dietro di me» gli ordinò. «Non aprire finché non ti dirò che sono pronto a uscire.» Poi entrò senza mostrare paura. La stanza era grande, umida, e puzzava per la presenza di troppi occupanti e la poca igiene. Una decina di teste si voltò verso l'ingresso. Altrettanti uomini si misero a sedere sui pagliericci sudici. Qualcuno si mosse per alzarsi. La maggior parte continuò a dormire. «Sveglia!» esclamò il ministro. Sollevò la torcia per farsi riconoscere, poi la infilò in un anello vicino alla porta. Gli uomini si alzarono, brontolando e scambiandosi sussurri. Attese che fossero tutti svegli: un branco di straccioni con gli occhi spenti e la faccia devastata. Alcuni di loro erano lì da quasi tre anni. Molti avevano perso la speranza di uscire. Nel silenzio della stanza si sentiva solo il fruscio dei loro piedi, a testimonianza della loro impotenza. «Voi mi conoscete» disse il ministro. «Con molti di voi ho parlato. Siete qui da parecchio tempo. Troppo. Adesso intendo offrire a tutti la possibilità di uscire. Non dovrete più combattere al fronte. Non tornerete a casa, almeno per qualche tempo, ma uscirete da queste mura e sarete di nuovo su una nave. La proposta vi interessa?» L'uomo che, come sapeva, era il portavoce del gruppo, fece un passo avanti. «Che intenzioni hai?» gli chiese. Si chiamava Darish Venn, era un uomo della Frontiera e aveva comandato una nave dei Liberi nella guerra sul Prekkendor. Si era distinto molte volte in combattimento, ma infine la sua nave era stata abbattuta e lui era stato catturato. Gli altri lo rispettavano e si fidavano di lui. Come ufficiale più alto in grado, aveva diviso i compagni in gruppi e assegnato loro incarichi minimi: piccole cose per chi era in libertà, ma importanti per chi era incarcerato là. «Comandante» lo salutò Sen Dunsidan, con un cenno del capo «Ho bisogno di uomini disposti a viaggiare fino all'altra sponda dello Spartiacque Azzurro. Un viaggio lungo, che costerà la vita ad alcuni. Una missione pericolosa, non lo nego. Non ho marinai da inviare, né i fondi per assumere mercenari tra i Corsari. Ma la Federazione non ha bisogno di voi. Coloro che accetteranno di partire alle condizioni che offro saranno accompagnati da soldati della Federazione perciò saranno garantite un po' di protezione e di disciplina. Ma soprattutto uscirete di qui e non vi tornerete più. Il viaggio potrà durare un anno, forse due. Sarete padroni della vostra nave a patto che portiate a termine la missione.» «Perché ci fai questa offerta adesso, dopo tanto tempo?» chiese Darish Venn. «Questo non posso dirvelo.» «Perché dovremmo fidarci di te?» chiese un altro, senza mezzi termini. «Perché no? Che importanza può avere questo particolare, se vi fa uscire di qui? Se volessi danneggiarvi, potrei farlo con grande facilità. A me servono alcuni marinai che vogliano compiere un viaggio. Voi volete la libertà. Lo scambio mi pare equo, per entrambi.» «Potremmo prenderti prigioniero e avere in cambio la libertà senza dover stringere alcun accordo con te!» obiettò l'uomo, in tono minaccioso. Sen Dunsidan annuì. «Vero. Ma quali sarebbero le conseguenze? Pensate che sia entrato qui e mi sia esposto a rischi senza nessuna protezione?» I prigionieri bisbigliarono animatamente tra loro. Sen Dunsidan li guardò senza battere ciglio. Si era già esposto a rischi peggiori di quello, e non aveva paura di loro. Il Morgawr e quello che avrebbe potuto fargli nel caso di insuccesso lo spaventavano molto di più. «Ci vuoi tutti?» chiese Darish Venn. «Tutti coloro che accettano di venire. Chi non accetta rimane qui. A voi la scelta.» S'interruppe per qualche istante, come per riflettere. Poi sollevò la testa leonina e annuì tra sé. «Posso fare un patto con te, comandante» disse infine. «Se vuoi, ti mostrerò la mappa del luogo in cui intendiamo recarci. Se sei d'accordo, sei arruolato e puoi raggiungere la tua nave. Se non accetti, torni qui e riferisci agli altri.»
L'uomo della Frontiera annuì. Forse era troppo stanco e intorpidito dalla prigionia per riflettere con lucidità sulla proposta, o forse non vedeva l'ora di uscire. «D'accordo,vengo.» Sen Dunsidan batte alla porta e il carceriere la aprì. Il ministro fece segno al comandante di precederlo e uscì dopo di lui dalla cella. Il carceriere chiuse la porta e Sen Dunsidan udì il rumore dei passi di coloro che, dall'interno, correvano alla porta per ascoltare. «Qui in fondo al corridoio, comandante» disse a voce alta il ministro, perché gli altri carcerati potessero udirlo. «E facciamoci portare anche un boccale di birra.» Percorsero i corridoi diretti alla stanza dove li attendeva il Morgawr, e nel silenzio del carcere si udì solo l'eco dei loro passi. Nessuno parlò. Sen Dunsidan lanciò un'occhiata all'uomo della Frontiera. Era alto di statura, con spalle robuste, ma il carcere l'aveva smagrito e gli aveva curvato la schiena. Il viso era affilato, la pelle pallida incrostata di sporcizia e coperta di piaghe. I Liberi avevano cercato varie volte di farselo restituire, ma la Federazione conosceva bene il valore dei buoni comandanti delle navi volanti e preferiva tenerlo in una cella, lontano dai campi di battaglia. Quando giunsero alla stanza dove li attendeva il Morgawr, Sen Dunsidan aprì la porta a Venn, fece segno al carceriere di aspettare fuori e al comandante di entrare e si chiuse la porta alle spalle. Venn si guardò attorno, soffermò gli occhi sugli strumenti di tortura e le catene, poi rivolse al ministro un'occhiata interrogativa. «Che cosa significa?» chiese. Sen Dunsidan si limitò ad alzare le spalle e a rivolgergli un sorriso disarmante.
Fece un passo indietro e liberò Venn. «Fatto. Adesso è nostro» disse «e possiamo farne quello che vogliamo. E' un morto che cammina, e non possiede più una volontà propria. Farà tutto quello che gli verrà detto. Conserva la sua abilità e la sua esperienza, ma non ha più la volontà di pensare da solo. Un utile strumento, ministro. Dagli un'occhiata.» Con riluttanza, Sen Dunsidan fece come gli veniva detto. Non era un invito, era un ordine. Osservò lo sguardo assente e senza vita, e la sua repulsione si trasformò in orrore quando vide gli occhi perdere colore e diventare bianchi e lattiginosi. Girò con cautela attorno al tavolo per cercare le ferite lasciate dalla mano del Morgawr sul cranio dell'uomo, quando vi era penetrata. Con suo stupore, non ne vide. Il cranio non era danneggiato. Pareva che non fosse successo niente. «Mettilo alla prova, ministro» disse il Morgawr, ridendo. «Digli di fare qualcosa.» Sen Dunsidan riuscì a controllarsi a fatica. «Alzati» ordinò a Darish Venn, con una voce che non gli sembrava più la sua. L'uomo della Frontiera si alzò. Non guardò Sen Dunsidan e non diede segno di capire cos'era successo. I suoi occhi rimasero assenti e morti, la faccia priva di qualsiasi espressione. «E' solo il primo» mormorò il Morgawr, che adesso sembrava ansioso, impaziente. «Abbiamo davanti una lunga notte. Va', e portamene un altro. Ho già fame di una nuova anima! Svelto! Portamene sei, ma falli entrare uno alla volta. Sbrigati!» Il ministro uscì senza fiatare. La visione della mano scagliosa e fumante, umida di materia cerebrale, si era scolpita nella sua mente e non se ne sarebbe più andata. Portò altri uomini nella stanza, quella notte, così tanti da perderne il conto. Li accompagnò a piccoli gruppi e li fece entrare uno alla volta. Fu costretto ad assistere mentre il loro corpo veniva violato e la loro mente distrutta. Assistette senza alzare un dito per aiutarli, mentre venivano cambiati da uomini in gusci vuoti. Era strano, ma dopo Darish Venn, non riuscì più a ricordare le loro facce. Erano tutti una sola persona per lui. Erano tutti identici. Quando la stanza divenne troppo affollata, il Morgawr gli ordinò di farli uscire e di affidarli al carceriere perché li portasse in una stanza più grande. L'uomo li portò via senza fare commenti, senza neppure guardarli. Ma una volta, dopo la prima cinquantina di uomini, la sua faccia coperta di cicatrici e i suoi occhi duri guardarono Sen Dunsidan con un'espressione che gli fece salire le lacrime agli occhi. Uno sguardo di condanna e di accusa, colmo di orrore e disperazione, e soprattutto di un furore implacabile. "Tutto questo è profondamente sbagliato" diceva quell'occhiata. "Va al di là dell'immaginabile. E' pazzia." Ma anche il carceriere non fece nulla. Due complici di un crimine inconcepibile. Due silenziosi testimoni di una mostruosa malvagità. Sen Dunsidan aiutò il Morgawr a distruggere tutti quegli uomini, uomini che andarono incontro al loro destino senza potersi difendere, ingannati dalle false promesse e dalle occhiate rassicuranti di un politicante. Non seppe mai come riuscì ad arrivare alla fine della notte. Non seppe mai come riuscì a sopravvivere all'orrore che provò. Ogni volta che la mano del Morgawr fuoriusciva umida e gocciolante di una vita umana, ogni volta che un altro di quegli orribili banchetti era terminato, il ministro della Difesa avrebbe voluto fuggire nella notte, urlando tutto il suo sdegno. Ma la presenza della morte era così soverchiante da superare ogni altra considerazione, in quelle ore terribili, e lo paralizzava. Mentre il Morgawr banchettava, Sen Dunsidan guardava e non riusciva neppure a distogliere gli occhi. Alla fine, il Morgawr fu sazio. «Per ora, basta» mormorò, ebbro di vite rubate. «Domani sera, ministro, finiremo il lavoro.» Si alzò e si allontanò, portando con sé nella notte i morti viventi, ombre mosse dal vento. L'alba si affacciò all'orizzonte, il giorno spuntò, ma Sen Dunsidan non lo vide. Si chiuse nelle sue stanze e non ne uscì. Giacque disteso e cercò di cancellare la visione della mano del Morgawr. Cercò di dormire, ma gli si accapponava la pelle al minimo suono di una voce umana. Qualcuno s'informò sulla sua salute, qualcuno lo avvertì che avevano bisogno di lui in Consiglio. Il voto per
l'elezione del primo ministro era imminente e volevano rassicurazioni. Ma a Sen Dunsidan non importava più. Rimpiangeva di essersi messo in quella posizione. Avrebbe voluto essere morto. Al tramonto, lo era il carceriere. Nonostante la vita dura che aveva condotto e la saldezza della sua mente, non riuscì a sopportare quello che aveva visto. Approfittando di un momento in cui non c'era nessuno, scese nelle profondità della prigione e si impiccò in una cella vuota. Si era davvero ucciso? Sen Dunsidan non poté esserne certo. Forse era un assassinio mascherato da suicidio. Forse il Morgawr non voleva che il carceriere rimanesse in vita. E forse il prossimo sarebbe stato lui stesso. Ma cosa poteva fare per salvarsi? Il Morgawr tornò a mezzanotte, e ancora una volta Sen Dunsidan lo seguì fino alla prigione. Questa volta il ministro congedò il nuovo carceriere e si fece carico di persona di tutto il lavoro. Ormai era cieco e sordo a tutto, abituato alle grida, alla mano umida e fumante, ai gemiti inorriditi degli uomini e all'aria soddisfatta del Morgawr. Non faceva più parte di quegli eventi, la sua mente era altrove, in un posto lontano, e qualunque cosa succedesse laggiù, in quel luogo e quella notte, non significava nulla per lui. All'alba sarebbe finito tutto, e Sen Dunsidan sarebbe stato un altro uomo, in una vita diversa. Avrebbe superato ciò che aveva fatto in quella e ricominciato da zero. Si sarebbe ricostruito un'esistenza in modo da cancellare i torti che aveva fatto e le atrocità cui aveva assistito. Non era impossibile. Era quello che facevano i soldati quando tornavano a casa dalla guerra. Era il modo in cui un uomo riesce a sopravvivere all'imperdonabile. Più di duecentocinquanta uomini entrarono in quella stanza e abbandonarono la vita che avevano conosciuto fino a quel momento. Scomparvero dalla faccia della terra come se fossero divenuti fumo. Il Morgawr li trasformò in cose morte che camminavano ancora, in creature che avevano perso ogni senso di identità e ogni scopo nella vita. Li cambiò in qualcosa di inferiore perfino ai cani, e loro non se ne accorsero neppure. Ne fece l'equipaggio delle sue navi e li portò via per sempre. Tutti, dal primo all'ultimo. Sen Dunsidan non ne rivide neppure uno. Nel giro di pochi giorni si, procurò le navi volanti che il Morgawr gli aveva chiesto e gliele consegnò per adempiere alla sua parte del patto. Una settimana più tardi il Morgawr era sparito dalla sua vita, partito alla ricerca della Strega di Ilse e della sua vendetta. A Sen Dunsidan non importava nulla. Si augurò che si distruggessero a vicenda, sperò di non dover mai più rivedere nessuno dei due. Ma le visioni assillanti e terribili si rifiutarono di lasciarlo. Non riuscì a liberarsene. Non riuscì a vincerne l'orrore. Lo assillavano nel sonno e quando era sveglio. Non erano mai lontane da lui, non erano mai fuori vista. Per settimane Sen Dunsidan non dormì, non ebbe un momento di pace. Divenne primo ministro della Federazione, ma perse l'anima.
3. A parecchi mesi e a parecchie migliaia di miglia dalla costa del continente di Parkasia, la flotta di navi volanti messa insieme da Sen Dunsidan e posta al comando del Morgawr, con i suoi Mwellret e i suoi morti viventi, si materializzò dalla nebbia e puntò sulla "Jerle Shannara". Fermo accanto al parapetto, Redden Alt Mer vide lo sciame di chiglie scure e di vele riempire l'orizzonte orientale come gli anelli di una catena che cercava di serrarsi attorno a loro. «Leviamo le ancore!» gridò il comandante dei Corsari a Spanner Frew, e sollevò un'ultima volta il cannocchiale per controllare quello che aveva visto. «Ma non è pronta!» protestò il burbero maestro d'ascia. «Più pronta di così non potrà mai essere. Da' l'ordine!» Passò in rassegna le navi che si avvicinavano. Né insegne né bandiere. Navi senza alcun segno di riconoscimento in una terra dove fino a poche settimane prima non se n'era mai vista una. Erano nemici, ma di chi? Doveva presumere il peggio, doveva pensare che quelle navi dessero la caccia a loro. La Strega di Ilse si era forse fatta accompagnare da altri, oltre che dalla "Black Moclips"? Da navi che fino a quel momento erano rimaste al largo, in attesa che la Strega le chiamasse?
Spanner Frew gridava all'equipaggio perché affrettasse le manovre. Con Furl Hawken morto e Rue Meridian partita per l'entroterra, non c'era un comandante in seconda, ma nessuno gli fece perdere tempo con domande, Anche gli uomini avevano visto le navi. Tutti corsero alle funi e agli argani. Venne levata l'ancora e la "Jerle Shannara" riacquistò la libertà. I Corsari legarono in posizione i tubi radianti e fecero salire le vele-luce fino alla punta degli alberi perché prendessero il vento e la luce, Redden Alt Mer si guardò attorno, anche se già sapeva quello che avrebbe trovato. L'equipaggio era costituito di otto persone, compresi Spanner e lui. Non sufficienti per una nave come la "Jerle Shannara", tanto meno per combattere contro una ventina di navi nemiche. Dovevano scappare, e il più in fretta possibile. Diede l'esempio correndo per primo alla garitta del pilota, e i suoi pesanti stivali echeggiarono sul ponte di legno. «Scoprite i cristalli!» gridò a Britt Rill e Jethen Amenades mentre passava davanti a loro. «Ma non quelli di prua! Solo quelli di poppa e di maestra!» A prua, nella valvola di Parse di tribordo non c'era nemmeno un cristallo di diapso funzionante, e per evitare che la spinta fosse asimmetrica era costretto a chiudere anche quella di babordo. Questo riduceva di un terzo la potenza della nave, ma la "Jerle Shannara" era abbastanza veloce anche a due terzi della potenza. Correva verso l'albero principale e le armi, e Spanner Frew gli si affiancò, anch'egli correndo rumorosamente. «Chi sono?» chiese. «Non lo so, Barbanera, ma non penso che siano amici.» Aprì le quattro valvole di Parse disponibili e diede potenza ai cristalli. La "Jerle Shannara" si mosse con uno scatto brusco e cominciò a salire, mentre la luce ambientale intercettata dalle vele-luce si trasformava in energia. Ma non abbastanza in fretta per riuscire a fuggire, si accorse subito il comandante. Le navi attaccanti erano ormai quasi sopra di loro. Un bizzarro assortimento, navi di tutte le forme, nessuna riconoscibile se non per la loro generica sagoma. Una mescolanza di navi dei Corsari e degli Elfi. Da dove arrivavano? Vedeva gli equipaggi muoversi sui ponti, adagio e senza l'agitazione che lui conosceva bene. La calma prima della battaglia. Po Kelles, in sella a Niciannon, volò accanto alla garitta. Il grande Roc virò così vicino che Redden Alt Mer vide i riflessi bluastri delle penne. «Comandante!» gridò il Cavaliere del Wing Hove, indicando un punto alle loro spalle. Non indicava le navi, ma una miriade di puntini scuri apparsi in mezzo a esse, più piccoli e più veloci... averle da guerra, che combattevano assieme alle navi nemiche, proteggendo i loro fianchi e guidandole! Erano già davanti alle navi e puntavano veloci contro la "Jerle Shannara". «Via di qui!» gridò Big Red a Po Kelles. «Va' nell'entroterra e trova Little Red! Avvertila di quello che sta succedendo!» Il cavaliere e il suo Roc cambiarono subito direzione e si allontanarono in fretta, prendendo quota e dirigendosi verso la nebbia per poi scomparire al suo interno. Per sfuggire alle averle, un Roc doveva affidarsi alla quota e alla distanza. Se la distanza era breve, le averle erano superiori. Per fortuna in questo caso erano ancora lontane e Niciannon aumentava il distacco da loro. Il cavaliere conosceva la direzione e non avrebbe avuto difficoltà a riunirsi a Hunter Predd e Rue Meridian. Il pericolo adesso lo correva la "Jerle Shannara". Con i suoi artigli, un'averla poteva lacerare una vela. E gli uccelli avrebbero presto tentato di farlo. Alt Mer impugnò i comandi. Averle alleate a navi da guerra. Come poteva essere? Chi controllava quegli uccelli? Ma conosceva già la risposta. Occorreva la magia per farsi obbedire dalle averle in quel modo. Qualcuno, o qualcosa, a bordo di quelle navi, possedeva una simile magia. La Strega di Ilse? si chiese. Ritornata dall'entroterra, dove era andata a cercare gli altri? Non c'era il tempo di farsi domande. «Barbanera!» gridò a Spanner Frew. «Disponi gli uomini ai due lati, ai posti di combattimento. Usate archi e frecce per allontanare quelle averle!» Con le mani sui comandi, guardò le navi da guerra e gli uccelli che si avvicinavano, troppo vicini per tentare la fuga. Non poteva salire a una quota superiore o aggirarli abbastanza in fretta da
mettere una buona distanza tra loro e la "Jerle Shannara". Non aveva scelta. Al primo passaggio avrebbe dovuto infilarsi in mezzo a loro. «Tenetevi forte!» gridò a Spanner Frew e agli uomini. Poi le navi più vicine furono sopra di lui, uscendo veloci dalla foschia, enormi e scure nell'incerta luce dell'alba. Redden Alt Mer si era già trovato in condizioni analoghe e sapeva cosa fare. Non cercò di evitare la collisione. Al contrario, la cercò, ma dirigendosi verso la nave più piccola dello schieramento. I tubi radianti ronzavano mentre incanalavano la luce verso i cristalli di diapso che la trasformavano in energia: un rumore acuto e metallico. La nave rispose con uno scatto quando lui inclinò leggermente la chiglia e passò in mezzo alle vele e agli alberi della nave avversaria, tranciandoli di netto e mandando a picco la nave. Le averle giravano attorno alla "Jerle Shannara", ma a distanza ravvicinata non potevano attaccare in più di due alla volta e gli arcieri le colpivano con mortale precisione, ferendole e scatenando strida rabbiose. «Viro a tribordo!» gridò Big Red per avvertire i suoi quando vide una seconda nave che cercava di accostarsi. Mentre l'equipaggio sì teneva agli appigli, virò disponendosi con gli arieti contro la nuova minaccia. La "Jerle Shannara" sobbalzò mentre le valvole di Parse emettevano nuove scariche di luce convertita e puntò contro la nave nemica, colpendone il ponte e strappando pezzi del parapetto come se fossero legna da ardere. Redden Alt Mer ebbe solo pochi istanti per guardare l'equipaggio nemico. Ai comandi c'era un mwellret, curvo nella garitta di pilotaggio per reggere l'impatto. Gridava e gesticolava per incitare i suoi uomini, ma la loro risposta era stranamente lenta e meccanica, pareva che fossero appena usciti da un sonno profondo o che avessero bisogno di ordini più precisi per entrare in azione, Alt Mer guardò in faccia coloro che erano voltati dalla sua parte e scorse i loro sguardi vuoti, l'assenza di ogni emozione. Gli occhi che lo fissavano erano bianchi come i ciottoli levigati dal mare. «Per tutte le Ombre!» mormorò il comandante dei Corsari. Erano gli occhi dei morti, ma quegli uomini si muovevano ancora. Per un momento, rimase così stupefatto da perdere la concentrazione. Nella sua vita aveva visto molte cose strane, però mai morti che camminavano. Né aveva mai pensato di poterne vedere. Eppure, adesso erano davanti a lui. «Spanner!» gridò al costruttore. Anche Spanner Frew li aveva visti: guardò Redden Alt Mer e scosse la testa come un orso rabbioso. La "Jerle Shannara" era già lontana dalla seconda nave e si stava innalzando al di sopra delle altre. Alt Mer eseguì un'ampia virata e la diresse verso l'entroterra, via dalla mischia. Le navi nemiche si affrettarono a darle la caccia, puntando contro di essa da tutte le direzioni, ma la loro formazione era troppo allargata e lontana perché potessero convergere efficacemente su di lui. Come erano riuscite a trovarlo? si chiese il comandante corsaro. Per un attimo pensò alla possibilità di essere stato tradito da uno dei suoi, ma si affrettò a scacciare l'idea. Li avevano trovati con la magia, probabilmente. Se colui che comandava quella flotta era capace di ridurre in schiavitù le averle e di far camminare i morti, poteva scovare con grande facilità un gruppo di Corsari. Forse si era servito delle averle per rintracciarli. O si era servita, se quella flotta costituiva il ritorno della Strega di Ilse. Imprecò contro la propria ignoranza, contro la Strega e una decina di altri elementi imponderabili e diresse la nave verso le montagne. Presto avrebbe dovuto fare rotta a sud per non perdere l'orientamento. Non poteva fidarsi di seguire la rotta più breve. Rischiava di perdersi e di non riuscire più a trovare Little Red e gli altri. Non poteva permettere che ciò accadesse, abbandonandoli così ai morti viventi che li inseguivano. Un secco "bang!" sovrastò il rumore del vento. Uno dei tubi radianti di maestra si era staccato e frustava tutto il ponte con movimenti che facevano pensare agli attacchi di un serpente. I Corsari, ancora accucciati ai loro posti di combattimento, si appiattirono contro la murata per proteggersi. Spanner Frew corse dietro l'albero maestro per non essere colpito dal tubo, che finì contro un tubo della vela-luce di poppa e lo strappò.
La nave perse subito assetto e velocità: era già indebolita dall'assenza dei cristalli di prua, e adesso le venivano a mancare anche i due cristalli di una fiancata. Se non avessero fissato in fretta il tubo, la nave si sarebbe girata tornando verso le navi nemiche, e tutti loro sarebbero caduti in mano ai morti viventi. Redden Alt Mer rivide i loro occhi lattiginosi e vuoti, privi di umanità, inconsapevoli del mondo che li circondava. Senza fermarsi a riflettere, tolse potenza al tubo di maestra e spinse avanti tutta la leva di babordo. O la "Jerle Shannara" avrebbe retto per il tempo sufficiente a permettergli di fare la riparazione, o sarebbe precipitata al suolo. «Barbanera!» gridò a Spanner Frew. «Prendi i comandi!» Il costruttore salì nella garitta e prese il suo posto. Senza dare spiegazioni, Redden Alt Mer uscì di corsa dalla cabina e raggiunse l'albero di maestra. Provava un senso di esaltazione, come se nulla di quanto intendeva fare fosse troppo ardito. "Proprio così", si disse. Il vento gli soffiava contro, gli fischiava negli orecchi e gli agitava i capelli rossi e le sciarpe multicolori. Sentiva la nave ondeggiare sotto i suoi piedi, lottare per mantenersi in assetto, per non cadere a picco. Era impressionato da tanta resistenza. La "Jerle Shannara" aveva perso tre cristalli e si sarebbe già dovuta schiantare a terra. Un'altra nave non avrebbe resistito tanto. Alla sua sinistra, i due tubi impigliati sbatacchiavano e si torcevano uno contro l'altro, minacciando di staccarsi: il solo modo di raggiungerli era dall'alto, calandosi lungo le cime di manovra dei pennoni. Alt Mer si lanciò una rapida occhiata alle spalle. Approfittando dei loro guai, gli inseguitori avevano guadagnato terreno. Le averle erano quasi su di loro. «Tenetele lontano!» gridò ai Corsari accucciati nelle loro postazioni, ma le sue parole si persero nel vento. Si arrampicò sull'albero servendosi dei pioli di ferro piantati nel legno e stando il più possibile a ridosso del legno robusto per non essere spazzato via dalle raffiche di vento. La sua tenuta di volo di cuoio lo proteggeva, ma il vento era feroce, scendeva dai ghiacciai verso la costa in sferzanti folate gelide. Alt Mer non guardò dietro di sé o verso i tubi. I pericoli li conosceva e per il momento non poteva fare nulla. Se i tubi si fossero sciolti prima che lui fosse riuscito a raggiungerli, avrebbero potuto colpirlo e tagliarlo in due. Se le averle si fossero avvicinate, avrebbero potuto strapparlo dall'albero e portarlo via. Nessuna delle due ipotesi gli piaceva. Qualcosa saettò ai margini del suo campo visivo, poi scomparve. Il movimento si ripeté. Frecce. Le navi nemiche erano abbastanza vicine e gli equipaggi avevano impugnato gli archi lunghi. Ma forse i Mwellret e i morti viventi non erano molto abili con le armi. Forse la fortuna che tante volte l'aveva aiutato in passato l'avrebbe salvato anche ora. Gli rimanevano solo i "forse". Infine raggiunse la cima dell'albero e cominciò a spostarsi lungo il pennone per arrivare al punto in cui il tubo traditore era legato. Le mani con cui si teneva al legno erano ormai insensibili, il vento gelido gli toglieva le forze. Sotto di lui, gli uomini scrutavano il cielo per scagliare frecce contro le averle in avvicinamento e per controllare lui. Vide l'ansia sulle loro facce. "Bene" pensò. Il loro interesse per la sua salvezza lo rallegrava. Un'averla piombò su di lui dall'alto, lanciando strida feroci, e cercò di afferrarlo per le spalle. Gli artigli lacerarono il cuoio della tenuta di volo e quando gli si piantarono nella pelle, lui sentì un dolore bruciante. Si gettò di lato, ma le gambe persero la presa sul pennone e lui si trovò a dondolare nell'aria appeso per le mani. La vela si gonfiò contro il suo corpo come un pallone e Alt Mer si abbandonò su di essa, riprendendo fiato. Mentre era avvolto dalla vela, un'altra averla gli passò davanti, ma non riuscì ad avvicinarsi a sufficienza e dovette volare via lanciando strida di frustrazione. "Non devi fermarti" disse a se stesso, mentre la stanchezza e il dolore gli offuscavano i sensi. "Continua!" Risalì sul pennone e raggiunse l'estremità, poi si lasciò scivolare lungo il tubo radiante di maestra fino al punto in cui si era annodato con quello di poppa e lentamente, lavorando con i piedi, lo
liberò. Infine, sfinito e dolorante, gridò agli uomini di aiutarlo. Due di loro uscirono dalle postazioni, in pochi istanti gli furono al fianco, presero i tubi e, senza badare alle averle che cercavano di afferrarli e alla pioggia di frecce degli inseguitori, riuscirono a riagganciarli alle valvole da cui si erano staccati. Redden Alt Mer crollò sul ponte. La schiena gli bruciava per le ferite ed era bagnata di sangue. «Basta eroismi, comandante» gli disse Britt Rill, comparso all'improvviso accanto a lui. Lo prese per un braccio e lo aiutò ad alzarsi «Adesso vieni sottocoperta.» Alt Mer avrebbe voluto obiettare, ma aveva la gola talmente secca da non poter parlare. Peggio ancora, le forze l'avevano abbandonato. Nonostante l'aiuto di Rill, riusciva a malapena a stare in piedi. Guardò il suo compagno e annuì. Aveva fatto quello che poteva. Il resto spettava alla nave, ed era disposto a puntare su di essa in qualsiasi corsa. Quando giunsero sottocoperta, Britt Ríll lo aiutò a sfilarsi la tenuta di volo e gli lavò le ferite. «Sono profonde?» gli chiese Alt Mer, a capo chino, i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani strette tra loro. Tutti i muscoli gli facevano male. «Mi ha lacerato i muscoli?» «Niente di grave, comandante» rispose l'altro. «Solo qualche taglio profondo, che ti darà l'occasione di raccontare delle belle storie ai nipotini, se mai ne avrai.» «Poco probabile.» «Meglio così per tutti, direi.» Ríll gli spalmò l'unguento sulle ferite, gliele fasciò, gli diede da bere un sorso di birra forte dalla fiaschetta che teneva alla cintura e lasciò a lui la decisione su che cosa fare. «Gli altri avranno bisogno di me» concluse il corsaro uscendo dalla cabina. "E anche di me" pensò Alt Mer. Ma non si mosse subito. Per alcuni minuti rimase seduto sulla cuccetta, ad ascoltare il fischio del vento fuori dell'oblò, a sentire il movimento della nave sotto di lui. Dall'inclinazione e dal rollio capiva che si stava comportando come doveva, che i cristalli le davano una potenza sufficiente a tenerla in volo. Tuttavia la battaglia non era ancora finita: un inseguitore dotato di poteri magici capaci di comandare le averle e di creare i morti viventi non si sarebbe arreso con facilità. Qualche minuto più tardi, dopo essersi infilato la giubba di volo strappata, fece ritorno sul ponte. Quando uscì dal boccaporto venne subito colpito dal vento. Si guardò attorno, per accertarsi della posizione della nave, poi raggiunse la garitta del pilota e si fermò accanto a Spanner Frew. Lieto di lasciare i comandi al massiccio costruttore, non gli chiese di ridargli il posto. Invece, rimase a lungo a guardare dietro di loro, per osservare le macchie nere che li inseguivano ma che cominciavano a svanire nella distanza. Anche le averle parevano avere rinunciato all'inseguimento. Spanner Frew gli lanciò una lunga occhiata per valutare le sue condizioni, ma non disse nulla. L'espressione del suo comandante non incoraggiava la conversazione. Alt Mer studiò il cielo attorno a loro. Era grigio e nebbioso, e a settentrione era ancora più scuro, annunciava pioggia. Avanzavano in direzione dei ghiacciai che dovevano superare per raggiungere Rue Meridian e gli altri, e ai foro fianchi e davanti si alzavano monti altissimi. Poi scorse i punti scuri, davanti a loro e a tribordo, dove la costa formava una serie di fiordi. «Barbanera!» gridò all'orecchio del costruttore, prendendolo per la spalla e indicandogli quella direzione. Anche Spanner Frew li vide. Piano piano, i puntini iniziarono a prendere forma, si cominciarono a scorgere vele e ali. «Di nuovo quelle navi!» brontolò l'omone, con una punta di incredulità nella voce. «E ci sono anche le averle, se la vista non m'inganna. Come hanno fatto ad aggirarci?» «Le averle conoscono questa costa e le sue montagne meglio di noi!» rispose Alt Mer. Dovette gridare per farsi sentire in mezzo al vento. «Hanno trovato il modo di tagliarci la strada. Se manteniamo questa rotta ci prenderanno. Dobbiamo rifugiarci nell'entroterra, e in fretta.» Il suo compagno si guardò attorno, osservò le montagne avvolte nella nebbia. «Se voliamo là in mezzo con questa nebbia, finiamo a pezzi.»
Alt Mer lo fissò negli occhi. «Non abbiamo scelta. Dammi i comandi. Va' a prua e segnalami tutto ciò che mi può servire. Usa solo le mani, le voci potrebbero tradirci. Fa' del tuo meglio per tenerci lontano dalle rocce.» Gli uomini avevano riparato i danni ed eliminato i rottami. Adesso erano fermi accanto ai parapetti. Mentre passava davanti a loro, Spanner Frew diede gli ordini e li avvertì delle intenzioni del comandante. Nessuno replicò. Tutti erano cresciuti nella tradizione dei Corsari che insegnava a dare fiducia a coloro che erano fortunati. E nessuno era più fortunato di Redden Alt Mer. Se gliel'avesse ordinato, si sarebbero lanciati in una tempesta di fiamme con una nave incendiata. Il comandante respirò a fondo e guardò ancora una volta le sagome davanti e dietro di sé. Troppe per pensare di sfuggire o di combattere. Virò a babordo in direzione del banco di nebbia e lasciò che la nave mantenesse la velocità finché non furono immersi nella foschia, poi rallentò e osservò i vapori che si addensavano e svanivano, i tentacoli bianchi che si avvolgevano attorno alle rocce scure. Se avessero colpito una montagna a quell'altezza, con quella nebbia e privi di un terzo della loro potenza, per loro sarebbe stata la fine. Ma le averle non potevano individuarli e gli inseguitori avrebbero avuto i loro stessi problemi. Una volta entrata nella nebbia, circondata da montagne dalle quali non giungeva alcun suono, la "Jerle Shannara" scivolava nell'aria come un uccello, nel silenzio assoluto. Tutt'attorno le montagne sembravano librarsi nell'aria, masse scure che comparivano e scomparivano come miraggi. Alt Mer guardò per qualche tempo la bussola, poi la mise nel cassetto. Doveva navigare a vista e in base al suo istinto, e sperare di ritrovare la rotta una volta che la nebbia si fosse dissolta. Ammesso che si dissolvesse. Forse si protendeva anche nell'entroterra, al di là delle montagne. Se era così, erano perduti perché non avrebbero più avuto una rotta da seguire. Riusciva a malapena a distinguere Spanner Frew in piedi a prua. Il massiccio corsaro si sporgeva dal parapetto e scrutava gli strati di nebbia che scorrevano l'uno sull'altro. Di tanto in tanto alzava una mano per fare un segnale - a sinistra, a destra, rallenta - e Redden Alt Mer azionava i comandi come gli veniva indicato. Il vento soffiava a raffiche, interrompendosi bruscamente quando passavano accanto a una parete a strapiombo o quando si scontrava con correnti opposte. La nebbia vorticava fra le cime, vuota e indifferente. Solo la "Jerle Shannara" ne disturbava il tessuto etereo. Ritornò la pioggia, un addensarsi di nubi scure che presto si trasformarono in un torrente d'acqua. Inghiottì la nave e il suo equipaggio, infradiciandoli, avvolgendoli nel buio, impadronendosi di loro come fa il mare con una nave che affonda. Alt Mer, che aveva superato piogge peggiori, cercò di non pensare al modo in cui la pioggia distorceva le forme e gli spazi, dando l'impressione di ostacoli dove non ce n'erano, suggerendo la presenza di passaggi dove c'erano solo pareti di roccia. Si affidava al suo istinto più che ai sensi. Per tutta la vita aveva fatto il marinaio e conosceva bene gli scherzi che l'acqua e il vento potevano giocare ai sensi dell'uomo. Dietro di loro, la nebbia e l'oscurità si chiudevano come una barriera. Non si scorgeva traccia dei loro inseguitori: solo nebbia e montagne, pioggia e qualche tratto di cielo. Più tardi Spanner Frew raggiunse Alt Mer nella garitta di pilotaggio. Non c'era alcun motivo di rimanere a prua. Il mondo attorno a loro era scomparso. Il costruttore guardò Redden Alt Mer e gli rivolse un sorriso grintoso. Il comandante corsaro glielo restituì. Nessuno dei due aveva bisogno di parole. La "Jerle Shannara" continuò a navigare nella nebbia.
4. Quando il potere della Spada di Shannara s'impadronì di lei, la Strega di Ilse sentì il calore e la luce lasciare il posto a una gelida oscurità, mentre lo strano formicolio cedeva al torpore e il presente al passato. Fino all'istante prima si trovava nelle profondità delle catacombe di Castledown, sola con il suo nemico, il druido Walker, e circondata dalle macerie di un'epoca precedente. L'istante successivo era penetrata così in profondità in se stessa da perdere la cognizione di dove si trovava.
In un batter d'occhio si era trasformata da una creatura di carne e ossa in qualcosa di incorporeo come i pensieri che la portavano via. Ebbe un solo istante per chiedersi cosa le stava succedendo: era già successo. Avanzava da sola nell'oscurità, ma nello stesso tempo era consapevole della presenza di Walker accanto a lei, non in una forma riconoscibile, e neppure nella sua figura completa, ma come un'ombra, un alone che la seguiva al pari dei suoi capelli scuri e fluenti. Sentiva la sua pulsazione nel talismano a cui stava afferrata come a un'ancora di salvezza. Era solo una presenza nell'etere, ma era con lei e la guardava. Quando uscì dall'oscurità, sì trovò in un altro luogo e in un altro tempo. Li riconobbe subito. Era nella casa dove abitava da bambina. Aveva pensato di non rivederla mai più, ma adesso era davanti a lei, esattamente come la ricordava dall'infanzia, avvolta nelle ombre dell'alba che si avvicinava, ammantata nel silenzio e nel pericolo. Sentiva l'aria fresca del primo mattino e il profumo frizzante dei cespugli di lillà. Riconobbe subito il momento. Era tornata al giorno in cui i genitori e il fratello erano morti e lei era stata rapita. Assistette ancora una volta agli avvenimenti di quel mattino, ma ora li vedeva da un punto all'esterno di se stessa, come se la protagonista fosse un'altra persona. Anche ora, il vecchio cane venne ucciso quando uscì a controllare. Anche ora, le forme avvolte nel mantello scuro scivolarono sotto le sue finestre nella debole luce che precedeva l'alba dirigendosi verso la porta principale della casa. Anche ora, lei fuggì, e anche ora, fu una fuga inutile. Nascose il fratello nella cantina e cercò di evitare il destino dei genitori, ma le forme ammantate la stavano aspettando. Vide che la catturavano mentre la sua casa bruciava in una nube di fumo rossiccio. Vide che la legavano e la portavano via, inerme e priva di sensi, in direzione dell'est, dove il chiarore del sole si faceva sempre più intenso. Era tutto come lo ricordava, eppure era diverso. Vide che, mentre era legata e imbavagliata in una radura e aveva una benda sugli occhi, era circondata da forme scure riunite per consultarsi. Ma qualcosa non quadrava. Non avevano l'aspetto dei cambiatori di forma che, a quanto lei sapeva, l'avevano catturata. E non c'era traccia del druido Walker. L'aveva davvero visto passare davanti alle finestre come ricordava? Non le pareva. Dov'era il druido? Come rispondendo alla domanda, dagli alberi che circondavano la radura uscì un figura alta, scura e incappucciata come i suoi rapitori. Aveva l'aspetto di un druido, tutt'uno con la notte che stava per finire, una promessa della morte che si avvicinava. Rivolse un gesto ai rapitori, chiamandoli vicino a sé, disse alcune parole che lei non poté udire e si fece da parte. In fretta, i rapitori si misero in posizione d'attacco e iniziarono a combattere tra loro. Ma la lotta non aveva nulla di brutale o di violento, era solo una sorta di esercizio. Di tanto in tanto, uno di loro si fermava per dare un'occhiata a lei, come per misurare l'effetto di quella recita. La forma avvolta nel mantello li lasciò continuare per qualche tempo, in attesa, poi all'improvviso la afferrò e fuggì con lei in mezzo agli alberi lasciandosi alle spalle la bizzarra scena. Mentre correva, Grianne riuscì a scorgere il braccio di colui che la teneva. Era scaglioso e maculato come quello di un rettile. L'improvvisa comprensione le diede le vertigini. "No!" Fu portata nella profondità del bosco, fino a una radura tranquilla, e là fu posata a terra. Grianne vide l'uomo rivelarle la sua identità e non era il druido, come lei ormai sapeva, bensì il Morgawr. "Traditore!" La parola risuonò dentro di lei. "Bugiardo!" Naturalmente, era molto di più. Era al di là di qualsiasi possibile descrizione, al di là di qualsiasi dimensione umana. Era un mostro. Grianne seppe che quanto vedeva era la verità. Lo capì d'istinto, anche se la sua mente cercava ancora di negarlo. Le immagini evocate dalla Spada di Shannara non potevano mentire, se lo sentiva nelle ossa, e tutto ciò che vedeva era perfettamente sensato. Perché non se n'era mai accorta prima? Perché si era lasciata ingannare con tanta facilità? Perché all'epoca aveva solo sei anni, fu costretta a dirsi. Non era che una bambina.
Era assediata da emozioni che la dilaniavano come lupi affamati e si sarebbe messa a gridare per la collera e la disperazione, se fosse stata in grado di farlo. Ma non poteva dare voce a ciò che provava. Poteva solo assistere. La magia della spada non permetteva altro. Udì il Morgawr che le parlava, parole dolci, convincenti e false. Vide se stessa accettare pian piano le bugie, credere a ciò che quella creatura affermava, che il colpevole era il druido con le sue macchinazioni. Vide che la faceva salire sulla sua averla e la faceva poi scendere nella sua tana sotterranea della Malaterra. Grianne vide se stessa chiudere la porta della propria prigione, vittima consenziente, pedina in una partita che solo ora, per la prima volta, cominciava a capire. Vide se stessa iniziare urta nuova vita: una bambina guidata verso il male da un odio inestinguibile. Capì che da quel momento non sarebbe più stata la stessa, incapace di impedire il compiersi di quel destino. Le immagini continuarono, rivelandole la verità che le era stata tenuta nascosta per tutti quegli anni. Vide un cambiatore di forma frugare nelle rovine fumanti della casa e recuperare suo fratello, ancora vivo. Lo vide portare il bambino fino a una fortezza isolata, Paranor. Vide che lo affidava al druido Walker, il quale a sua volta lo portava nell'Altopiano di Leah per consegnarlo a un uomo dall'aspetto gentile e a sua moglie, che avevano già alcuni figli e un debito da pagare. Vide il fratello crescere in quella famiglia e il suo viso di bambino cambiare nel corso degli anni, i suoi lineamenti divenire via via riconoscibili. Avrebbe voluto gridare o perfino piangere quando comprese che stava osservando il ragazzo venuto con Walker in quella terra lontana, il ragazzo che l'aveva affrontata dicendole di essere Bek. Impossibile sbagliare. Era il ragazzo cui non aveva voluto credere, cui aveva dato la caccia con il caullo e che aveva quasi ucciso, Bek, il fratello che aveva creduto morto nell'incendio... Non riuscì a terminare quel filo di pensieri. Aveva solo la forza di affrontarli. Non aveva il tempo di riflettere, di accettare quello che vedeva. Altre immagini apparvero rapide, un'ondata, e la travolsero, opprimendole il petto e togliendole il respiro. Ora le immagini mostravano la sua vita come allieva del Morgawr, i severi insegnamenti che il suo maestro le impartiva, la sua autodisciplina e la decisione con cui si dedicava al compito di distruggere Walker. Vide se stessa diventare una giovane donna, ma senza la libertà di vita e di spirito godute da Bek. Vide invece se stessa cambiare e divenire qualcosa di simile al Morgawr, differente da lui solo all'esterno perché lei aveva la pelle e lui le scaglie. Dentro era piena d'odio e spietata come lui, aveva accettato le velenose possibilità della propria magia con l'ardore del Morgawr e con la stessa crudele determinazione. Vide se stessa imparare a usare la magia come arma. Rivide i particolari della sua lunga, tenebrosa carriera. Vide se stessa ferire e uccidere coloro che le intralciavano il cammino, distruggere quanti osavano affrontarla. Vide se stessa privarli della speranza e del coraggio e ridurli in schiavitù. Vide se stessa spegnere vite soltanto perché la cosa serviva ai suoi scopi. L'Addershag era morta per permetterle di guadagnare un ascendente su Ryer Ord Star. La sua spia nella casa del guaritore di Bracken Clell era morta perché non potesse rivelare il collegamento con lei. Il re degli Elfi Allardon Elessedil era morto perché il viaggio progettato dal druido Walker non avesse l'appoggio degli Elfi. E ce n'erano altri, così numerosi che lei presto ne perse il conto. Di molti non avrebbe neppure saputo dire il nome. Li vide comparire come fantasmi usciti dal passato e morire di nuovo. Uccisi da lei o per suo ordine, non c'era differenza. Oppure, se non morivano, avevano l'aspetto di persone che avrebbero preferito morire. Sentì la loro paura, la disperazione e l'impotenza e il terrore e il dolore. Sentì sulla pelle la loro sofferenza. Colei che era la Strega di Ilse, che non aveva mai provato emozioni, che si era fatta un vanto di allontanare da sé i sentimenti, cominciò a lacerarsi come un vecchio vestito indossato per troppo tempo. "Basta!" implorò dentro di sé. "Ti supplico!" Le immagini cambiarono di nuovo e adesso le mostrarono non le sue azioni, bensì le loro conseguenze. Per un padre che aveva ucciso, una madre e i suoi figli finivano con il morire di fame
per strada; per una figlia che aveva corrotto per servirsene, un fratello prendeva una brutta strada e si rovinava; per una vita spenta, altre due vite piombavano nella miseria. Non era finita. Un comandante dei Liberi distrutto da lei nel corpo e nello spirito faceva mancare alla nazione il suo appoggio e la indeboliva per anni. La figlia di un politico finito in un intrigo tra due fazioni era stata rapita per impedirle di dire quello che sapeva e porre fine alla contesa. In altre terre venivano rapiti bambini per indebolire i genitori, schiacciarli sotto il peso del dolore e farli cadere in mano ai suoi agenti. Le tribù degli Gnomi, private dei loro territori sacri da lei che li aveva fatti assegnare al Morgawr, avevano dato la colpa ai Nani, e da allora i due popoli erano diventati nemici. Come i cerchi che si allargano dal punto in cui una pietra cade in acqua, gli effetti delle sue azioni rapaci ed egoiste si allargavano ben al di là dell'impatto iniziale. Per tutto il tempo sentì la presenza del Morgawr che la osservava da lontano, una presenza silenziosa, che assaporava i risultati dei suoi tradimenti, delle bugie e degli inganni. La guidava tenendola al guinzaglio come un cagnolino. Sfruttava la sua rabbia e la sua frustrazione e non le permetteva mai di dimenticare chi era il suo nemico. Così, ogni volta che commetteva uno dei suoi crimini, lei lo commetteva come anticipazione della distruzione del druido. Ma ora, nel vedere il suo passato liberato dalle finzioni ed esposto alla luce, non riusciva a capire come avesse fatto a lasciarsi ingannare così. Nessuna delle sue azioni aveva mai raggiunto lo scopo che il Morgawr le aveva dato. Nessuna era giustificabile. Tutte erano state grottesche simulazioni. L'armatura di inganni in cui era racchiusa si spezzò sotto il profluvio d'immagini e per la prima volta si vide per quello che era. Un mostro repellente. Quanto di peggio si potesse immaginare, una creatura che aveva sacrificato la propria umanità nella falsa convinzione che fosse inutile. Per divenire quel mostro, aveva sacrificato ogni aspetto della bambina di un tempo. La cosa peggiore era quello che aveva fatto a Bek. Non si era limitata a tradirlo quando l'aveva dato per morto nell'incendio. Si era rifiutata di accettare le sue parole, quando le aveva rivelato la sua identità. Aveva cercato di eliminarlo. Gli aveva dato la caccia e per poco non l'aveva ucciso. L'aveva preso prigioniero, portato fino alla "Black Moclips" e consegnato a Cree Bega. L'aveva abbandonato. Una seconda volta. Nel silenzio imposto dalla magia della Spada di Shannara che si andava esaurendo, le immagini scomparvero, e Grianne si trovò sola con le sue verità, nude e taglienti come rasoi. Walker era ancora presente, la osservava mentre era costretta ad accettare se stessa. Lei lo sentiva come un peso opprimente, ma non riusciva a toglierselo di dosso. Lottò per liberarsi dall'intrico di inganni, tradimenti e colpe che la avviluppava come una rete. Cercò di vincere il buio soffocante della sua vita, ma non ci riuscì. Era in trappola come le sue vittime. Le immagini ricominciarono, ma non resse alla loro vista. Precipitando nel caleidoscopio delle sue innominabili azioni, non concepiva che ci potesse essere per lei un perdono. Le sembrava di non avere neppure il diritto di chiederlo. Si sentiva priva di speranza e lontana dalla grazia. Alla fine, ritrovata la voce, gridò tutta la sua disperazione e l'odio contro se stessa. Quel grido furioso fece scattare la sua magia: nera, veloce, sicura. Venne ad aiutarla e si scontrò con la magia della Spada di Shannara, producendo una deflagrazione dentro di lei. Grianne sentì esplodere in sé un turbine di immagini e di emozioni, poi ogni cosa rotolò in un vuoto senza fondo, e la sua mente venne risucchiata in una sconfinata nube di ombre. Bek Ohmsford s'irrigidì nell'udire il grido. «Hai sentito?» chiese a Truls Rohk. Era una domanda superflua. Nessuno avrebbe potuto ignorarlo. Ormai erano scesi a una grande profondità nelle catacombe di Castledown, alla ricerca di Walker. Erano entrati dalle rovine della città dove le porte, un tempo mascherate e invisibili, erano tutte aperte. A proteggerle non c'erano più i fili di fuoco e i granchi meccanici. Nella città non rimaneva alcun segno di vita. Il regno di Antrax era un cimitero di scheletri metallici e di macchine morte. Truls Rohk, nascosto nel mantello e nel cappuccio anche in quelle catacombe, si guardò attorno con cautela, mentre l'eco dell'urlo svaniva.
«Qualcuno è ancora vivo, qui.» «Una donna» disse Bek. Il cambiatore di forma brontolò: «Non esserne troppo certo». Con la sua magia, cantando a bassa voce, Bek saggiò l'aria e lesse le linee di magia. Grianne era passata di lì poco prima. La sua presenza era inconfondibile. Bek e Truls Rohk la seguivano nella speranza che lei seguisse Walker. L'una portava all'altro. Se fossero stati abbastanza veloci, avrebbero potuto raggiungerli in tempo tutt'e due. Ma fino a quel momento non erano sicuri che qualcuno fosse sopravvissuto. Lungo i corridoi non avevano trovato segni di vita. Bek riprese il cammino, passandosi nervosamente la mano tra ì capelli. «E' andata da questa parte.» Truls Rohk lo seguì. «Dicevi di avere un piano per quando l'avremmo trovata» disse, «Dobbiamo catturarla» spiegò Bek. «Prenderla viva.» «Grandi ambizioni, ragazzo. E pensi di potermi spiegare anche il modo?» Bek non rispose subito, per riflettere sulla spiegazione che doveva dargli. Con Truls era meglio evitare le complicazioni. Il cambiatore di forma era già prevenuto contro i suoi piani e dubitava che potessero funzionare. Pensava solo a come uccidere Grianne prima che la Strega riuscisse a uccidere lui. L'unica cosa che lo tratteneva era l'appassionata preghiera di Bek di darle una possibilità di salvezza. «Non può danneggiarci se non usa la magia» disse piano, senza guardare il compagno. Scelse con cura la strada in mezzo ai tubi e ai calcinacci che si erano staccati dal soffitto a causa di una devastante esplosione e di un terremoto che si erano sentiti fino in superficie. «Non può usare la magia se non si serve della voce. Se le impediamo di parlare, di cantare, di emettere qualsiasi suono, possiamo catturarla.» Truls Rohk continuò a scivolare come un enorme gatto in mezzo alle macchie di ombra e di luce. «Possiamo ottenere lo stesso risultato uccidendola» obiettò. «Rinuncia a questo piano, ragazzo. Non tornerà a essere la sorella che hai perso. Non accetterà di essere quello che è.» «Se io riesco a distrarla, tu puoi portarti alle sue spalle» continuò Bek, ignorando l'obiezione. «Le tappi la bocca con le mani e le blocchi la voce. Puoi riuscirci, se facciamo in modo che non si accorga della tua presenza. Penso che sia possibile. Lei sarà occupata a cercare il druido e ad ascoltare me. Non penserà a te.» «Tu sogni» rispose Truls Rohk, che non pareva convinto. «Se il piano fallisce, non avremo una seconda possibilità. Né tu né io.» Qualcosa di pesante piombò sul pavimento davanti a loro, accrescendo la quantità di rovine già presenti. Dalle tubazioni rotte uscivano soffi di vapore, strani odori si raccoglievano nelle nicchie e fluivano dalle crepe nelle pareti. Nelle catacombe, ogni corridoio sembrava esattamente uguale all'altro. Era un labirinto, e se non avessero avuto la scia di Grianne da seguire, da tempo si sarebbero persi. Bek cercò di parlare con calma. «E' quello che vuole Walker» disse. Guardò la sagoma scura del cambiatore di forma. «Sai che è così.» «Quello che vuole il druido non lo sa nessuno. E non è detto che abbia sempre ragione. Finora non ci ha aiutato molto.» «Ed è per questo che l'hai accompagnato» disse piano Bek. «E che l'hai seguito tante volte in passato. Giusto?» Truls Rohk non disse nulla, tornò a chiudersi in se stesso, ombra più scura in mezzo alle altre, più presenza che sostanza, così impalpabile da dare l'impressione che potesse scomparire in un batter d'occhio. Davanti a loro, la galleria si allargò. Là i danni erano più gravi di quelli che avevano incontrato fino allora. Interi pezzi di soffitto e di parete erano crollati. Sul pavimento c'erano mucchi di schegge di vetro e ammassi di metallo contorto. Le lampade senza fiamma continuavano a illuminare i corridoi, ma la loro luce riusciva a malapena a vincere la fitta oscurità. Una stanza enorme e cavernosa, alla fine del corridoio, conteneva due grandi cilindri di metallo, disseminati di crepe come frutti marci. Dalle fratture usciva un sibilo di vapore, simile a sangue da
una ferita. Le estremità di alcuni fili spezzati crepitavano producendo esplosioni di scintille. Da impalcature di ferro strappate ai loro ancoraggi giungevano lunghi cigolii che sembravano grida di dolore. «Là» disse Bek, a bassa voce, toccando il mantello del cambiatore di forma. «Eccola.» Non si udiva alcun suono, non si scorgeva alcun movimento, non c'era nessun segno che qualcosa di vivo li attendesse in mezzo a quella distruzione. Truls Rohk si immobilizzò per un istante, tendendo l'orecchio. Poi riprese il cammino, questa volta per primo, senza fidarsi di Bek, per poter decidere la soluzione migliore in una situazione che poteva essere mortale. Il ragazzo lo seguì senza proferir parola, sapendo di non avere più il controllo e augurandosi di poter intervenire nel modo che riteneva giusto. Il silenzio fu spezzato da un sibilo improvviso, accompagnato da una serie di scoppi e crepitii. A Bek quei suoni fecero pensare a un animale che masticava le ossa di una carcassa. Quando si addentrarono nella sala, Truls Rohk si portò subito nell'ombra accanto a un muro e fece segno a Bek di stare indietro. Il giovane, non volendo perdere il contatto, indietreggiò di un passo, non di più. Appiattendosi contro la parete, cercò di udire qualche altro suono in mezzo a quei rumori meccanici. Poi il cambiatore di forma entrò in una zona in ombra e scomparve. Bek capì subito che voleva raggiungere Grianne prima di lui. Si lanciò di corsa dietro il compagno, atterrito all'idea di avere perso l'ultima possibilità di salvare la sorella. Superò a balzi un mucchio di macerie all'ingresso della stanza e si fermò. La stanza era piena di macerie, frammenti di metallo e di vetro, macchine distrutte, granchi meccanici fracassati. Grianne era inginocchiata nel centro accanto a Walker, che giaceva sul terreno. La testa di lei era sollevata, il suo viso terreo era illuminato a tratti dalle scintille che giungevano da un groviglio di fili spezzati. Aveva gli occhi aperti e rivolti verso il soffitto, ma dava l'impressione di non vedere nulla. Nelle mani stringeva l'impugnatura della Spada di Shannara, appoggiata di punta contro il metallo liscio del pavimento. Le sue mani erano sporche di sangue, così come l'impugnatura e la lama. Aveva sangue sulla veste, e anche la veste di Walker era macchiata. Il sangue era fluito sul pavimento, dove aveva formato una pozza, e alcuni sottili rigagnoli correvano qua e là per la sala, aggirando i rottami. Bek guardò la scena inorridito. Non poté fare a meno di pensare che Walker era morto e Grianne l'aveva ucciso. Di fianco a lui balenò nel buio il riflesso di una lama, e un'ombra più scura delle altre avanzò in silenzio. Truls Rohk era giunto alla medesima conclusione di Bek.
5. Abbracciati come due bambini spaventati, Ahren Elessedil e Ryer Ord Star si facevano strada lungo i corridoi silenziosi di Castledown invasi dalla polvere, diretti alle rovine della città, sopra di loro. La veggente singhiozzava senza riuscire a fermarsi, con la testa piegata sulla spalla del principe e stretta a lui come se avesse paura di perderlo. Il distacco da Walker le aveva tolto ogni desiderio di vivere e anche se Ahren, mentre camminavano, continuava a rassicurarla e cercava di riportarla in sé, sembrava non sentirlo. Pareva che staccandosi dal druido avesse lasciato a lui la propria anima. La sola indicazione che fosse ancora presente era il modo in cui trasaliva quando cadeva un pezzo d'intonaco o qualcosa esplodeva nei corridoi bui che attraversavano. «Va tutto bene, Ryer» continuava a ripeterle Ahren, anche se era ormai chiaro che quelle parole non avevano significato per lei. Dopo gli avvenimenti delle ultime ore, il principe degli Elfi era confuso e indeciso. L'eccitazione che aveva provato sotto l'effetto delle Pietre Magiche si era ormai spenta e lui si era di nuovo calmato, non era più acceso dal fuoco della collera. Aveva messo al sicuro le Pietre nella tunica, in attesa del momento di usarle di nuovo. Una parte di lui pregustava quel momento, un'altra si
augurava che non fosse mai più necessario. Averle trovate, essere riuscito a evocare la loro magia e aver usato il fuoco azzurro per distruggere le odiose macchine che avevano ucciso tanti suoi compagni e amici della "Jerle Shannara" lo assolveva dai suoi errori, gli dava un senso di adempimento. Si sentiva rinnovato dentro, come se fosse sopravvissuto a un rito di passaggio. Quando era partito per quel viaggio era poco più di un ragazzo, adesso era un uomo. Le prove che aveva dovuto superare per riprendere le Pietre gli avevano dato una nuova identità, una nuova fiducia in sé. L'esperienza era stata orribile, ma l'aveva reso più forte. Questo però non lo consolava della morte di Walker e non gli infondeva molto ottimismo per il futuro. Quando l'avevano lasciato, Walker era di sicuro vicino alla morte. Neppure un druido poteva sopravvivere a ferite simili. Poteva resistere per qualche minuto ancora, ma non c'erano speranze. Perciò ora il gruppo della "Jerle Shannara", o quanto ne rimaneva, doveva proseguire senza di lui. Ma verso dove? E per quale motivo? Walker stesso aveva detto che con la morte di Antrax le conoscenze contenute nei libri di magia erano andate perdute. Quando aveva distrutto la macchina, il druido aveva compiuto una scelta il cui prezzo era il recupero delle conoscenze che erano venuti a cercare. Era l'ammissione di un fallimento. Il riconoscimento che il viaggio era stato inutile. Eppure, il principe degli Elfì continuava ad avere l'impressione che la realtà fosse diversa, che in quanto si era svolto nei sotterranei di Castledown ci fosse qualcosa di più di quello che appariva ovvio. Si chiese cosa fosse successo agli altri. Bek era ancora vivo quando Ryer Ord Star aveva lasciato la Strega di Ilse ed era tornata tra le rovine alla ricerca di Walker. Anche la Cacciatrice degli Elfi Kreshen era sfuggita all'attacco dei servitori meccanici di Antrax. Potevano esserci altri superstiti. Come trovarli? Ahren sapeva di doverli trovare, perché senza un equipaggio e una nave non avrebbero potuto andarsene. E perché la Strega di Ilse e i suoi Mwellret davano loro la caccia. Aveva una possibilità di cercare aiuto: le Pietre Magiche, le pietre della chiaroveggenza, gli avrebbero permesso di raggiungere gli altri. Usando la magia, però, avrebbe rivelato alla Strega la sua presenza. Le avrebbe detto il punto esatto in cui si trovava e lei sarebbe venuta subito a cercarlo. Non poteva permettere che questo accadesse. Non pensò neppure per un istante di riuscire a fronteggiarla, nemmeno con l'aiuto delle Pietre. In quel momento, la sua arma migliore era la segretezza, anche se temeva che non fosse sufficiente. Era già da alcune ore nei corridoi, perso nei suoi pensieri, quando si accorse che Ryer Ord Star aveva smesso di piangere. La guardò sorpreso, ma la veggente continuava a premere contro la sua spalla la faccia nascosta dietro i lunghi capelli chiari. Pensò che forse cercava di vincere il dolore e che era meglio non disturbarla. Invece, si guardò attorno per cercare qualche indicazione che gli permettesse di capire se erano vicini alla superficie. Nel corridoio che percorrevano c'erano meno rottami, come se le esplosioni si fossero concentrate ai livelli più bassi. L'aria sembrava più fresca, e Ahren pensò che ormai l'uscita doveva essere vicina. La sua supposizione era giusta. Dopo pochi minuti trovarono due battenti di metallo che pendevano dai cardini, chinarono la testa per passare sotto l'architrave inclinato e furono all'aperto. Erano usciti dalla torre in cui Walker era scomparso alcuni giorni prima, al centro del mortale labirinto dove i loro compagni erano stati fatti a pezzi. Era ancora notte, ma il chiarore che sì propagava all'orizzonte annunciava l'approssimarsi dell'alba. In alto, nel cielo senza nuvole, brillavano la luna e le stelle. Ahren si fermò davanti all'ingresso della torre e si guardò attorno con cautela. Osservò i muretti metallici del labirinto, i mucchi di granchi metallici immobili, le armi abbandonate. Più avanti si allargavano le rovine della città, un guazzabuglio di edifici diroccati. Da quella desolazione non giungeva alcun rumore. Pareva che loro due fossero le sole creature viventi rimaste al mondo. Ma non doveva lasciarsi ingannare. I Mwellret erano ancora nella zona e li stavano cercando. Doveva essere molto cauto. Senza staccarsi da Ryer, si piegò e le accostò la bocca a un orecchio. «Mi senti?» le chiese. Lei trasalì. Poi annuì lentamente.
«Dobbiamo cercare gli altri» le disse. «Bek, Kreshen e Quentin. Ma non dobbiamo fare rumore. I Mwellret e la Strega di Ilse ci danno la caccia. Almeno, è quanto dobbiamo pensare. Non possiamo permettere loro di catturarci. Dobbiamo allontanarci da queste rovine e rifugiarci tra gli alberi. In fretta. Ce la fai ad aiutarmi?» «Non avremmo dovuto abbandonarlo» rispose la giovane, a voce così bassa che lui riuscì a malapena a sentirla. Gli strinse con maggior forza il braccio. «Dovevamo rimanere con lui.» «No, Ryer» rispose il principe. «E' stato lui a ordinarci di andare. Ci ha detto che non potevamo fare altro per lui. Ci ha detto di cercare gli altri. Ricordi?» Lei scosse la testa. «Non ha importanza. Dovevamo restare. Era in punto di morte.» «Se non faremo quello che ci ha chiesto, se ci lasceremo catturare o uccidere, tradiremo la sua fiducia. La sua morte sarebbe una perdita ancora più grave.» Parlò a bassa voce, ma in tono deciso. «Non è quello che si aspetta da noi. Non è per questo che ci ha mandato via.» «Io l'ho tradito» singhiozzò Ryer. «Ciascuno di noi ha tradito qualcun altro, in qualche momento di questo viaggio.» Sollevò la faccia di Ryer Ord Star in modo che lo guardasse negli occhi. «Non muore per qualcosa che abbiamo fatto o che non siamo stati capaci di fare. Muore perché ha scelto di sacrificare la sua vita per distruggere Antrax. E stato lui a scegliere.» Respirò a fondo per calmarsi. «Ascoltami. Adesso il miglior modo di servirlo consiste nel rispettare i suoi ultimi desideri. Non so cosa prevedesse per noi, cosa Pensava che succedesse, una volta sparito lui. Non so che risultato abbiamo ottenuto. Ma la sola cosa che possiamo fare è uscire di qui e tornare nelle Quattro Terre.» Ryer Ord Star aggrottò la fronte nell'udire il suo tono severo, poi abbassò la testa. «Non posso vivere senza di lui, Ahren. Non voglio.» D'impulso, il principe degli Elfi le accarezzò i capelli. «Mi ha detto che lo rivedrai. Te l'ha promesso. Forse dovresti dargli la possibilità di mantenere la promessa.» S'interruppe, poi si chinò su di lei e le baciò la fronte. «Hai detto che non puoi sopravvivere senza di lui. Se la cosa può comportare qualche differenza per te, non penso di poter restare in vita senza il tuo aiuto. Non sarei arrivato fin qui se non fosse stato per te. Non abbandonarmi adesso.» Appoggiò la guancia contro la tempia della giovane e la abbracciò, in attesa di una risposta. Passò molto tempo, ma alla fine lei si staccò e gli appoggiò le mani sulle guance. «Va bene» disse piano, con un sorriso triste. «Non ti lascerò.» Si alzarono e uscirono dalle ombre della torre nera per addentrarsi nel labirinto e poi nelle rovine. Camminavano tenendosi nell'ombra, senza affrettarsi e facendo numerose soste per tendere l'orecchio, alla ricerca di qualche suono che li avvertisse del pericolo. Ahren procedeva in testa, stringendo la mano di Ryer Ord Star perché il legame tra loro gli dava una strana forza. Non aveva mentito quando le aveva detto di avere ancora bisogno di lei. Anche se aveva recuperato le Pietre Magiche e vinto la sua battaglia contro i granchi meccanici, era ancora insicuro. Non era più un bambino, ma era inesperto. Doveva imparare parecchie lezioni, e molte sarebbero state assai dure. Non voleva affrontarle da solo. Avere Ryer al fianco gli dava una sicurezza che non sarebbe riuscito a spiegare ma che non poteva ignorare. In parte pensava di capire i propri stati d'animo. Ciò che provava per la ragazza non era molto diverso dall'amore. Quel sentimento era cresciuto lentamente, e solo adesso Ahren cominciava a riconoscerlo. Non sapeva a che cosa avrebbe portato e neppure se sarebbe durato per un altro giorno. Ma in un mondo tumultuoso e caotico, in mezzo a mostri e a tremendi pericoli, era rassicurante averla con sé, chiederle consiglio, anche solo stringerle la mano. Da lei traeva una forza che era insieme potente e misteriosa, non magica, bensì spirituale. Forse si trattava del semplice fatto di non essere del tutto solo, di avere un'altra persona con cui condividere quello che succedeva. O forse era un legame simbolico, come quello fra la vita e la morte. Camminarono a lungo in mezzo alle rovine senza udire o vedere nulla e nessuno. Si dirigevano a sud, verso la baia dove erano sbarcati dalla "Jerle Shannara". Adesso la nave era nelle mani della Strega di Ilse, naturalmente, a meno che non fosse successo qualcosa, come era possibile. Le cose
cambiavano in fretta, in quella terra, senza preavviso. Forse questa volta sarebbero cambiate in modo da favorire il gruppo di Walker invece di quello della Strega. All'improvviso Ryer Ord Star si fermò e prese a tremare. Ahren si girò subito verso di lei. La giovane aveva lo sguardo fisso nel vuoto, come se guardasse qualcosa che Ahren non poteva vedere, e sul suo viso si leggeva una tale disperazione che subito il principe scrutò i dintorni per trovarne la causa. «E' morto, Ahren» disse lei, in un sussurro pieno di sofferenza. Poi cadde a terra, piangendo. Lo teneva ancora per mano, e Ahren s'inginocchiò accanto a lei e l'abbracciò stretta. «Forse adesso è in pace» disse, chiedendosi se la cosa fosse possibile per Walker Boh. «L'ho visto» rispose lei. «In una visione, proprio in questo momento. L'ho visto mentre veniva preso da un'ombra e portato fino a una luce verde che illuminava un lago sotterraneo. Non era solo. Sulla riva c'erano tre persone. Una era Bek, la seconda era avvolta in un mantello e non l'ho riconosciuta. La terza era la Strega di Ilse.» «La Strega di Ilse era con Bek?» Ryer gli strinse la mano. «Sì, ma non faceva niente di minaccioso. Non lo vedeva neppure. Era fisicamente presente, ma nello stesso tempo non c'era. Sembrava smarrita. No, non è giusto! Più che smarrita, sembrava stordita. Ma non è tutto, Ahren. La visione è cambiata e lei stringeva Bek, il quale l'abbracciava a sua volta. Ma erano altrove, nel futuro penso. Non so come spiegarlo, ma erano la stessa persona. Erano uniti.» Ahren cercò di capire quelle parole. «Un solo corpo e una sola faccia? La stessa persona in quel senso?» Ryer scosse la testa. «Non avevano quell'aspetto, ma il senso era quello. t successo qualcosa che li ha uniti. Ma l'unione è spirituale, non solo fisica. E tanto dolore. Non so chi lo provasse, chi lo causasse. forse tutt'e due. Ma correva lungo il collegamento tra loro e serviva per scatenare qualcosa di diverso, qualcosa che sarebbe successo in seguito. Ma io non l'ho visto, non mi è stato permesso.» Ahren rifletté. «Be', forse è legato al fatto che sono fratello e sorella. Forse era questo il collegamento che hai sentito. Forse la Strega di Ilse ha scoperto la verità e ciò ha causato il dolore che hai percepito.» Ryer sgranò gli occhi. «Non saprei.» «Pensi che Bek e la Strega siano nei sotterranei con Walker?» Lei scosse la testa. «Non lo so.» «Dobbiamo tornare indietro a cercarli?» Lei lo guardo terrorizzata. Non c'era modo di saperlo, naturalmente. Era una visione, e le visioni rischiavano di mettere su una strada sbagliata e di essere interpretate in modo erroneo. Rivelavano verità, ma non in modo chiaro e comprensibile. Era la loro natura, Ryer Ord Star vedeva il futuro meglio delle altre veggenti, ma neanche lei poteva lanciare più di uno sguardo, e quello che vedeva poteva avere significati diversi dalle apparenze. All'improvviso, anche ad Ahren parve impensabile tornare nei sotterranei quale che fosse la ragione per farlo, e abbandonò l'idea. Invece si alzarono e proseguirono. Frustrato e preoccupato per le parole della veggente, Ahren si augurò che le sue prossime visioni sarebbero state più utili. Per esempio, trovare la soluzione del loro attuale problema: l'uscita dalla città. In quel momento, le visioni che riguardavano altre persone in altri luoghi e altri tempi non parevano molto utili. Era un atteggiamento egoistico, e se ne vergognò subito, ma non poté evitare di pensarci. Proseguirono verso la foresta. Presto sarebbe sorto il sole. Se prima di allora non avessero raggiunto la protezione degli alberi, si sarebbero trovati nei guai. Potevano nascondersi fra le rovine degli edifici, ma se fossero stati scoperti non avrebbero avuto vie di fuga. Se invece avessero continuato a camminare nella luce del giorno, allo scoperto, sarebbero stati visibili. Ahren non sapeva se la sua decisione, a quel punto, poteva comportare qualche differenza, dato che non sapevano dove andare
e non avevano un piano per salvarsi. Sapeva solo di dover evitare la Strega di Ilse e i suoi Mwellret. O forse solo questi ultimi, se la visione di Ryer era davvero profetica. Era possibile che Bek avesse preso prigioniera la Strega o avesse trovato qualche modo per sottometterla? Il ragazzo aveva la magia, dopotutto, e così potente da distruggere i granchi meccanici. Era anche sufficiente a sopraffare la Strega? Ahren rimpianse di non sapere con esattezza cosa stava succedendo. Ma era un rimpianto che lo accompagnava fin dall'inizio del viaggio. Erano vicini ai margini della foresta quando udì un rumore davanti a loro. Era leggero e furtivo, il tipo di rumore fatto da una persona che non vuole farsi scoprire. Ahren si accucciò e fece abbassare anche Ryer. Erano dietro una parete, nell'oscurità, non facilmente visibili. Però la luce stava aumentando e non potevano rimanere lì per sempre. Fece segno alla veggente di tacere e seguirlo, poi si alzò e riprese il cammino, ma molto più adagio. Poco più tardi il rumore si ripeté: un grattare di cuoio stilla pietra, questa volta molto più vicino. Ahren tornò subito ad appiattirsi contro il muro, nell'oscurità. Un mwellret uscì dall'ombra e attraversò la strada allo scoperto, davanti a loro. Impossibile sbagliarsi sulle sue intenzioni: in una mano teneva un'ascia da guerra e alla cintura aveva una corta spada. Cercava qualcuno, Forse non loro, pensò Ahren, ma se li avesse visti li avrebbe catturati lo stesso. Attese che il rettile se ne andasse, poi riprese il cammino. Forse avrebbero potuto aggirarlo. Forse non ce n'erano altri. Ma quando svoltò a sinistra, per allontanarsi dal primo, ne scorse un secondo, che veniva proprio nella loro direzione. Ahren si affrettò a rifugiarsi dentro un edificio in rovina e senza tetto, poi guidò Ryer verso un'altra uscita. Si fece strada con cautela in mezzo a pile di macerie, ma i suoi stivali, schiacciando qualche calcinaccio, producevano leggeri rumori che non riusciva a evitare. Una volta fuori, sgattaiolò, tenendosi accucciato, fino all'edificio vicino, seguito da Ryer, e si rifugiò al suo interno. Se avesse potuto nascondersi per un tempo sufficiente, si augurava, sarebbe riuscito a fuggire. Uscito di nuovo, si fermò e si guardò attorno. Non scorse nulla di familiare. A una certa distanza vedeva il profilo degli alberi, ma non aveva idea della direzione in cui si stava muovendo o della posizione dei Mwellret. Tese l'orecchio per cogliere i loro rumori, ma non udì nulla. «C'è qualcuno dietro di noi» gli sussurrò Ryer. Ahren riprese il cammino in direzione degli alberi, sperando di raggiungerli in tempo. Il cielo diventava sempre più chiaro, il sole spuntava ormai all'orizzonte, le rovine erano immerse in una pericolosa combinazione di luci e ombre che poteva facilmente ingannare la vista. Ad Ahren parve di udire un brontolio, a breve distanza da loro, e si chiese se fossero stati scoperti. Forse gli conveniva usare le Pietre Magiche, anche se avrebbero rivelato la sua posizione. Ma quella magia non gli sarebbe servita contro i Mwellret o altre creature non motivate dalla magia. E non avrebbe agito se Ahren non fosse stato minacciato fisicamente. Portò la mano libera all'impugnatura del coltello, la sola arma rimastagli, ma esitò a estrarlo. Si stava chiedendo cosa fare, quando un movimento alla sua destra lo indusse ad arrestarsi. Si appiattì di nuovo contro un muro, con Ryer, e trattenne il respiro mentre una forma avvolta nel mantello compariva in mezzo agli edifici. Non riuscì a capire chi fosse, e nemmeno se fosse un essere umano o un mwellret. Ryer si schiacciava contro di lui a tal punto da fargli sentire sulla pelle il suo respiro. Lui le strinse la mano, anche se non provava affatto la sicurezza che voleva comunicarle. Poi la forma ammantata scomparve. Ahren riprese a respirare e ad avanzare. Gli alberi non erano lontani. Al di là delle rovine, a un solo centinaio di iarde di distanza, riusciva già a distinguere i rami e le foglie alla prima luce del mattino. Mentre girava attorno all'angolo di un muro parzialmente crollato, si voltò a guardare Ryer, per assicurarsi che stesse bene. Mentre la guardava, l'espressione della giovane passò dalla cautela al terrore cieco. Ahren si affrettò a guardarsi alle spalle, ma fu troppo lento. Ci fu un movimento improvviso.
Poi tutto divenne nero.
6. Quando vide Truls Rohk dirigersi verso sua sorella, Bek Ohmsford non perse tempo a valutare le conseguenze delle proprie azioni. Sapeva solo che se non fosse intervenuto, il cambiatore di forma l'avrebbe uccisa. Non contava più nulla quello che Truls gli aveva promesso poco prima, in un momento di razionalità, lontano dalla carneficina che avevano davanti. Quando il cambiatore di forma l'aveva vista inginocchiata accanto a Walker caduto, la Spada di Shannara in mano e sangue dappertutto, la promessa era stata rinnegata. Se Bek sì fosse lasciato travolgere dalle emozioni, forse avrebbe reagito come Truls. Ma aveva visto sulla faccia della sorella un'espressione incomprensibile. Grianne guardava verso l'alto, ma non vedeva nulla. Teneva fra le mani la Spada di Shannara, ma non come un'arma usata da poco. E certo non si sarebbe affidata a quel talismano per togliere la vita al druido. Si sarebbe servita della propria magia, il canto magico, e se l'avesse fatto non ci sarebbe stato tutto quel sangue. Non appena si fu ripreso dallo shock iniziale, Bek capì che dietro ciò che vedeva c'era ben di più di quanto indicavano le apparenze. Ma Truls Rohk era alle spalle di Grianne e non poteva vederla in faccia. Non che la cosa avesse importanza, perché Truls non condivideva i sentimenti di Bek. Per lui, la Strega di Ilse era soltanto un pericoloso nemico e non avrebbe esitato a fermarla al minimo sospetto che potesse colpirli. Così Bek lo attaccò. Lo fece per un riflesso nato dalla disperazione, per trattenerlo senza fargli del male. Truls Rohk, però, era troppo forte, e nel fare appello al canto magico, Bek non poteva impiegare mezze misure. Aveva scoperto da pochi mesi di essere dotato di quel potere e non lo padroneggiava ancora, non come Grianne. Poteva solo augurarsi che sortisse l'effetto da lui voluto. Lanciò la magia sotto forma di una fitta rete che avvolse Truls Rohk e lo fece ruzzolare in mezzo alle macerie. Il cambiatore di forma finì a terra, ma un istante più tardi fu di nuovo in piedi e si liberò, rivelando tutta la sua mole scura e minacciosa. Puntò innanzi a sé il lungo coltello e tentò di nuovo di assalire Grianne. Sapendo quanto Truls fosse forte, Bek aveva dato per scontato che il primo tentativo di fermarlo sarebbe fallito. Perciò inviò una seconda ondata di magia, una parete di suono che sollevò di peso il cambiatore di forma e lo fece volare indietro, Bek gli lanciò un grido di avvertimento, ma ebbe l'impressione che Truls non lo udisse, tanto era deciso a colpire Grianne. Ma fu Bek a raggiungerla per primo: cadde in ginocchio e la abbracciò proteggendola. Lei non si mosse. Non reagì in alcun modo. «Non farle del male» disse, voltandosi verso Truls Rohk. In quel momento, qualcosa lo colpì con una tale forza da staccarlo da Grianne e farlo finire contro i resti di un granchio metallico. Con la testa che gli girava, cercò di rialzarsi. «Truls...» ansimò, guardando disperato Grianne. Il cambiatore di forma era chino su di lei: un'ombra minacciosa, con il pugnale puntato contro la sua gola scoperta, «Non hai ancora l'esperienza per queste cose, ragazzo» disse con ira. «Non ancora. Ma riesci a essere ugualmente un fastidio, te lo concedo. No, non cercare di alzarti, resta dove sei.» Poi tacque per qualche istante, teso e pronto, mentre si chinava verso la sorella di Bek. Infine abbassò il coltello. «Che cos'ha?» chiese. «E' in una sorta di "trance".» Bek si alzò in piedi, nonostante l'avvertimento, e perse l'equilibrio. Aveva ancora le vertigini per il pugno di Truls. «Dovevi proprio colpirmi così forte?» si lamentò. «Certo, per ricordarti il rischio che corri nell'usare la magia contro di me.» Si voltò a guardarlo. «Cosa pensavi di fare?» Bek scosse la testa. «Volevo che non le facessi male. Pensavo che volessi ucciderla non appena hai visto Walker. Credevo che non potessi vederla in faccia, che non potessi capire che non è più una minaccia. E' stata una reazione istintiva.»
Truls Rohk brontolò: «La prossima volta, pensaci bene prima di colpire». S'infilò l'arma sotto il mantello. «Toglile la spada dalle mani e vediamo cosa fa,» Truls era già chino sul druido, cercava un segno di vita in mezzo ai suoi vestiti fradici di sangue. Bek s'inginocchiò davanti a Grianne, che aveva ancora lo sguardo assente, e le tolse di mano con cautela la Spada di Shannara. Le dita si aprirono senza offrire resistenza, e il ragazzo prese tra le mani il talismano prima che cadesse a terra. Lei non mostrò di averlo riconosciuto, non batté ciglio. Bek posò a terra la spada e abbassò le braccia di Grianne. Lei lo lasciò fare senza reagire in alcun modo. Sembrava che fosse fatta di morbida creta. «Non si accorge di quello che le succede» spiegò a bassa voce. «Il druido è ancora vivo» annunciò Truls Rohk. «Ma non gli resta molto.» Accomodò meglio quel corpo martoriato e si strappò dai vestiti qualche striscia di tela per cercare di fermare il flusso di sangue dalle ferite visibili. Bek lo guardava impotente, sconvolto dalla dimensione del danno. Le ferite del druido sembravano più interne che esterne. Aveva lacerazioni sul petto e sullo stomaco, ma sanguinava dalla bocca, dagli orecchi, dal naso e perfino dagli occhi. Pareva avere riportato gravi danni a tutti gli organi. Poi, all'improvviso, gli occhi penetranti si aprirono e si fissarono su Bek. Il ragazzo rimase così stupefatto che trattenne il fiato e si limitò a guardare il druido. «Dov'è lei?» sussurrò Walker, con una voce appesantita dal dolore e dal sangue. Bek non ebbe bisogno di chiedere di chi parlasse. «E' accanto a noi. Ma pare non rendersi conto della nostra presenza e di quello che succede.» «E' paralizzata dal potere della spada. E' stata presa dal panico e ha usato la magia per proteggersi. Inutile. La spada è troppo forte. Anche per lei.» «Walker» disse piano Truls Rohk, piegandosi su di lui. «Cosa dobbiamo fare?» Il viso livido del druido si girò leggermente e gli occhi scuri si fissarono sul cambiatore di forma. «Portamiiiiiiii viiiiiiiia di quiiiiiiii» gli disse. «Va' dove ti dico. Non fermarti finché non arrivi.» «Ma le tue ferite...» «Per le mie ferite non si può fare nulla» rispose il druido, in tono duro. «Non c'è più molto tempo, cambiatore di forma. Non per me. Fa' come ti dico. Antrax è stato distrutto. Castledown è morta. Il tesoro che siano venuti a cercare, i libri e il loro contenuto, è perduto.» Fissò il ragazzo. «Bek, porta tua sorella con te. Prendila per mano. Lei ti seguirà.» Bek lanciò un'occhiata a Grianne, poi di nuovo a Walker. «Ma se ti spostiamo...». «Druido, morrai se ti porteremo via di qui!» disse con ira Truls Rohk. «Non sono venuto fin qui per seppellirti!» Il druido lo guardò con espressione enigmatica. «Le scelte di vita e di morte non sempre spettano a noi, Truls. Fa' come ti dico.» Truls Rohk prese tra le braccia il druido, piano piano e con delicatezza, cercando di non riaprirgli le ferite. Mentre veniva sollevato, Walker non fece parola; ripiegò la testa sul petto e abbassò il braccio sullo stomaco. Bek si legò sulla schiena la Spada di Shannara, poi prese per mano Grianne e la fece alzare. Lei lo seguì senza fare opposizione e si lasciò condurre via. Uscirono dalla sala distrutta e tornarono nel corridoio da cui erano giunti, ma al primo bivio Walker li guidò in una direzione diversa. Bek vide la testa bruna del druido muoversi lentamente e udì la sua voce stanca mormorare istruzioni. La sua veste stracciata pendeva fino a terra e lasciava una scia di sangue sul pavimento. Mentre s'inoltravano nelle catacombe, Bek guardava di tanto in tanto Grianne, ma lei non si voltò mai verso di lui. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé e camminava come una sonnambula. li ragazzo era allarmato nel vederla così, più di quando lei gli dava la caccia. Gli pareva che fosse soltanto un guscio, che la persona vivente di un tempo se ne fosse andata. Il loro percorso era rallentato di tanto in tanto da mucchi di pietre e di metallo contorto che bloccavano il passaggio. Una volta, Truls fu costretto a posare a terra il druido per spostare una lastra di metallo contorto che ostruiva il corridoio. Bek vide Walker chiudere gli occhi per vincere la stanchezza e il dolore, lo vide rabbrividire quando fu di nuovo sollevato, stringersi con la mano lo
stomaco come per tenere insieme i lembi di qualche ferita. Non riusciva a capire come potesse essere ancora vivo dopo avere perso tutto quel sangue. Aveva già visto dei feriti, ma nessuno che fosse sopravvissuto con lacerazioni così gravi. Truls Rohk era furibondo. «Druido, è una cosa assurda!» protestò a un certo punto, fermandosi in preda all'ira e alla frustrazione. «Lascia che cerchi di aiutarti!» «Il modo migliore per aiutarmi è quello di proseguire» rispose debolmente Walker. «Va', adesso, c'è ancora un po' di strada da fare.» Camminarono a lungo per giungere infine in un'ampia caverna sotterranea che non pareva una parte di Castledown, ma della terra stessa. Era una grotta naturale, le sue pareti di roccia non erano state toccate da macchine o da strumenti metallici, e il soffitto era irto di stalattiti che lasciavano gocciolare con cadenza regolare acqua e minerali nel silenzio pieno di echi. La scarsa luce proveniva da lampade senza fiamma poste all'ingresso della caverna e da una leggera fosforescenza irradiata dalla roccia stessa. Era impossibile scorgere il fondo della caverna, ma si capiva che doveva essere molto lontano. Al centro della caverna c'era un vasto lago, nero come l'inchiostro e liscio come il vetro. «Portami in riva all'acqua» ordinò Walker. Attraversarono il pavimento irregolare della caverna, cosparso di frammenti di roccia e scivoloso per l'umidità. Si scorgevano scure macchie di muschio, dalle fessure tra le pietre spuntavano piccole felci. Il fatto che qualcosa potesse crescere laggiù, lontano dal sole, non mancò di stupire Bek. Strinse la mano di Grianne per rassicurarla, una risposta automatica nel vedersi circondato dall'oscurità e dalla solitudine. La guardò per vedere se se n'era accorta, ma la giovane donna continuava a fissare dinanzi a sé. Giunti in riva all'acqua si fermarono. Seguendo le istruzioni di Walker, Truls Rohk s'inginocchiò per posarlo a terra, tenendolo in modo che appoggiasse la testa e le spalle sulle sue braccia. Bek fu colpito dal contrasto tra una creatura che non era intera, ma fatta di pezzi tenuti insieme da una sorta di fumosa foschia, e il druido. Ripensò al giorno in cui aveva conosciuto Walker nell'Altopiano di Leah. A quell'epoca il druido gli era parso forte e indomabile, come se nulla potesse cambiarlo. Adesso era ferito e impotente, perdeva il sangue e la vita in una terra lontana. A quel pensiero, Bek sentì che gli spuntavano le lacrime: la sua risposta alla severa constatazione dell'avvicinarsi della morte. Non sapeva cosa fare, avrebbe voluto aiutare Walker, guarire le sue ferite, ridargli l'aspetto del loro primo incontro, tanti mesi prima. Avrebbe voluto ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto per lui, ma riusciva solo a tenere la mano della sorella e ad aspettare gli eventi. «Sono arrivato» disse Walker a bassa voce, tossendo sangue e fremendo per il dolore causato dal movimento. Truls Rohk gli pulì il sangue con una manica. «Non puoi abbandonarmi così, druido. Non te lo permetterò. Abbiamo troppe cose da fare, tu e io.» «Abbiamo fatto tutto quello che ci era permesso fare, cambiatore di forma» rispose Walker, con un sorriso straordinariamente caldo. - Adesso dobbiamo andare ciascuno per la propria strada. Tu dovrai trovare le tue avventure, vivere i tuoi guai.» L'altro brontolò: «Improbabile che possa fare il lavoro bene come te. Le partite complesse sono sempre state la tua specialità, non la mia». Bek s'inginocchiò accanto a loro e fece inginocchiare anche Grianne. Lei si lasciò guidare da lui e non parve rendersi conto della sua presenza. Truls Rohk si scostò subito dalla Strega. «Questa mia vita è terminata» disse Walker. «Ho fatto quello che potevo e devo accontentarmi. Assicuratevi, al vostro ritorno, che Kylen Elessedil mantenga la promessa del padre. Il fratello vi aiuterà. Ahren è più forte di quello che pensate. Adesso ha le Pietre Magiche, ma non saranno le Pietre a fare la differenza. Sarà lui. Ricordatevene. Ricordate anche perché abbiamo fatto questo viaggio. Ciò che abbiamo trovato qui, ciò che abbiamo recuperato, ci appartiene.»
Truls Rohk sbuffò. «Dici una sciocchezza, druido. Di che cosa parli? Non riportiamo indietro niente! Non abbiamo recuperato niente! Le Pietre Magiche? Non sono mai state nostre! E la magia che cercavamo? Dove sono i libri che la contenevano?» Walker scosse la testa. «La magia contenuta nei libri, la magia di cui ho parlato ad Allardon Elessedil e a suo figlio Kylen, non è mai stata la vera ragione di questo viaggio.» «E cos'era, allora?» chiese Truls Rohk, irritato. «Dobbiamo giocare agli indovinelli per tutta la notte, druido? Cosa siamo venuti a fare, qui? Dillo! Tutto ciò che abbiamo fatto è stato inutile? Dacci almeno una speranza! Adesso, finché c'è tempo! Non credo che te ne rimanga molto. Stai per...» Non riuscì a terminare la frase, il dolore gli bloccò la parola. «Morire?» Walker la disse per lui. «Non c'è niente da nascondere, Truls. La morte mi libererà dalle promesse e dalle responsabilità che mi tengono incatenato da tempi immemorabili. E comunque, è solo una parola.» «Allora dilla. Non ho più voglia di parlare.» Walker sollevò la mano e lo prese per il mantello. Con stupore, Bek vide che il cambiatore di forma non si ritraeva. «Ascoltami. Prima che giungessi in questa terra, prima che decidessi di intraprendere questo viaggio, mi sono recato a evocare l'ombra di Allanon al Perno dell'Ade. Ho parlato con lui, gli ho chiesto cosa potevo aspettarmi, se avessi seguito la mappa del naufrago. Mi ha detto che di tutte le mete da me cercate, sarei riuscito a realizzarne soltanto una. Per molto tempo, Truls, ho pensato che si riferisse al recupero dei libri del Mondo Antico. Ho pensato che quello fosse il mio compito, lo scopo del viaggio. Ma non lo era.» Serrò le dita sul mantello del cambiatore di forma. «Ho commesso l'errore di voler cambiare il futuro nel modo da me voluto. Mi sbagliavo. La vita non lo permette a nessuno, nemmeno a un druido. Vediamo delle possibilità, niente di più. Il futuro è una mappa tracciata sulla sabbia e le onde possono cancellarla in un momento. Così è stato. Tutti i nostri sforzi per raggiungere questa terra, tutti i nostri sacrifici, avevano come scopo una cosa che non avevamo mai preso in considerazione.» S'interruppe per riprendere fiato. Il suo respiro era debole e stentato, lo sforzo di parlare era troppo grande. «Allora, perché siamo qui?» chiese Truls Rohk con impazienza, irritato da quelle parole. «Perché, druido?» «Per lei» sussurrò Walker, indicando Grianne. Il cambiatore di forma rimase talmente stupito da non trovare, in un primo momento, nessuna risposta. Pareva che l'ira lo avesse lasciato dei tutto. «Siamo venuti per Grianne?» chiese Bek sorpreso, temendo di non avere capito. «La cosa vi sarà chiara quando sarete di nuovo a casa» sussurrò Walker. Le sue parole erano quasi impercettibili, nonostante il profondo silenzio della caverna. «Adesso è affidata a te, Bek. E' sotto la tua responsabilità. Tua sorella è tornata a essere come la volevi tu. Riportala nelle Quattro Terre. Fa' quello che devi, ma conducila a casa.» «Tutto ciò è assurdo!» esclamò Truls Rohk, di nuovo infuriato. «Quella donna è il nostro nemico!» «Dammi la tua parola, Bek» disse Walker, senza staccare gli occhi dal ragazzo. Bek annuì. «Ti do la mia parola.» Walker continuò a fissarlo ancora per un istante, poi guardò il cambiatore di forma. «E anche la tua, Truls.» Per un momento, Bek pensò che non l'avrebbe fatto. Il cambiatore di forma non disse nulla, si limitò a fissare in silenzio il druido. La tensione che si irradiava dalla sua forma scura era palpabile, ma Truls Rohk si rifiutava di rivelare il proprio pensiero. Walker continuava a stringere il mantello del cambiatore di forma. «La tua parola» sussurrò di nuovo. «Fidati di me, dammi la tua parola.» Truls Rohk emise un sibilo di fastidio e di disperazione. «E va bene. Ti do la mia parola.»
«Prendetevi cura di lei come vi prendete cura l'uno dell'altro» proseguì il druido, fissando di nuovo Bek. «Non sarà sempre come ora. Un giorno si riprenderà. Ma fino a quel momento vi dovrete prendere cura di lei. Dovrete proteggerla dai pericoli.» «Come possiamo fare per aiutarla a svegliarsi?» insistette Bek. Il druido trasse un lungo, rauco respiro. «Dev'essere lei stessa a farlo, Bek. La Spada di Shannara le ha rivelato la verità sulla sua vita, sulle bugie che le sono state dette e sulle strade sbagliate che ha imboccato. E' stata costretta ad accettare quello che è divenuta e ciò che ha fatto. E' appena uscita dall'adolescenza, ma ha già commesso tante azioni orrende quante se ne possono commettere in una vita intera. Ha molte cose da farsi perdonare, pur tenendo presente il modo in cui è stata ingannata dal Morgawr. La responsabilità di trovare il perdono spetta a lei. Quando riuscirà ad accettarlo, si riprenderà.» «E se non si riprendesse?» chiese Truls Rohk. «Può darsi, druido, che sia ormai al di là di qualsiasi perdono, non solo da parte degli altri, ma anche di se stessa. E' un mostro perfino in questo mondo.» Bek gli lanciò un'occhiataccia. Pensava che non avrebbe mai cambiato idea su Grianne. Per lui sarebbe sempre stata la Strega di Ilse e la sua nemica. Il druido ebbe un accesso di tosse, poi si riprese. «E' umana... come te» rispose a bassa voce. «Qualcuno ti ha definito un mostro, ma si sbagliava. Per lei è lo stesso. Può ancora redimersi. Ma è lei a doverlo fare, e nessun altro. A te spetta fare in modo che abbia la possibilità di compiere questo cambiamento.» Ebbe un altro accesso di tosse, ancor più cavernosa. Il suo respiro era così affaticato da dare l'impressione che soffocasse nel proprio sangue. Una sorta di gorgoglio veniva dal profondo del suo petto, dai polmoni che si riempivano. Però riuscì ancora a rizzarsi a sedere e a staccarsi dalle braccia di Truls Rohk. Gli fece segno di spostarsi. «Lasciatemi. Prendete Grianne e tornate all'ingresso della caverna. Quando me ne sarò andato, seguite fino in fondo il corridoio a sinistra e raggiungerete la superficie. Cercate gli altri che sono ancora vivi... i Corsari, Ahren Elessedil, Ryer Ord Star, Quentin Leah, forse. E un paio d'altri, se hanno avuto fortuna. Poi andate a casa. Non fermatevi qui. Antrax è finito. Il Vecchio Mondo è tornato per sempre nel passato. Ciò che importa è il Nuovo Mondo, le Quattro Terre.» Ma Truls Rohk non si mosse. «Non ti lascerò solo. Non chiedermelo.» Walker abbassò la testa, e i capelli neri gli caddero davanti alla faccia, nascondendola. «Non sarò solo, Truls. Adesso va'.» Truls Rohk esitò, poi si alzò lentamente in piedi. Bek si alzò a sua volta, prese per mano Grianne e fece alzare anche lei. Per un momento nessuno si mosse, poi il cambiatore di forma si allontanò da Walker senza proferire parola e ripercorse la caverna per raggiungere l'ingresso. Bek lo seguì in silenzio, portando con sé Grianne e girandosi per guardare Walker. Il druido era disteso in riva al lago sotterraneo, le vesti nere fradice di sangue; solo il leggero alzarsi e abbassarsi delle spalle rivelava che era ancora vivo. Bek sentì il desiderio quasi incontrollabile di tornare da lui, ma sapeva che sarebbe stato inutile. Il druido aveva fatto la sua scelta. All'ingresso della caverna, Truls Rohk lanciò un'occhiata a Bek, poi si fermò di scatto e indicò il lago. «Giochi di druido, ragazzo» disse. «Guarda cosa succede adesso!» Bek si voltò. Il centro del lago ribolliva e vorticava, e dalle sue profondità si irradiava una maligna luce verde. Una figura spettrale ne uscì e rimase sospesa nell'aria. Quando alzò la testa, sotto il cappuccio si scorse la faccia: una faccia dalla pelle scura e dalla barba nera, una faccia che Bek riconobbe all'istante, anche se non l'aveva mai vista prima. «Allanon» mormorò. Walker Boh sognava il proprio passato. Non sentiva più il dolore, ma era così esausto da non capire dove si trovasse. Il suo senso del tempo era svanito, gli pareva che il passato fosse reale come il presente. Riviveva il giorno in cui era divenuto un druido, in un passato così lontano che ormai tutti coloro che vivevano all'epoca erano morti da decenni. Non aveva mai voluto entrare nell'ordine, non si era mai fidato dei Druidi. Era vissuto da solo per moltissimi anni, evitando la sua eredità
Ohmsford e i contatti con gli altri componenti della famiglia. C'era voluta la perdita di un braccio per fargli accettare il suo destino, per convincerlo che il marchio di sangue con cui Allanon aveva segnato la fronte del suo antenato Brin Ohmsford, trecento anni prima, riguardava lui. Tutte cose accadute molto tempo prima. Tutto era ormai così lontano. Vide la luce verde salire dalle profondità del lago sotterraneo, rompere con schegge luminose la superficie delle acque. La vide allargarsi, poi diventare sempre più luminosa all'aprirsi di un sentiero che giungeva dai mondi inferi. Era un 1 esperienza irreale., dolce, e divenne una parte del suo sogno. Quando la figura avvolta nel mantello comparve sulla scia di luce color smeraldo, la riconobbe subito, d'istinto, così come d'istinto sapeva di essere vicino alla morte. La guardò con stanchezza, pronto ad abbracciare ciò che stava per succedere, a lasciar cadere le catene della sua vita. Aveva portato il fardello dell'incarico finché ne era stato capace. Aveva fatto come meglio aveva potuto. I rimpianti erano solo passeggeri. Ciò che aveva fatto non era ancora chiaro a coloro che l'avevano accompagnato, ma col tempo avrebbero capito. E alcuni l'avrebbero seguito, altri si sarebbero incamminati per strade diverse. In ogni caso, la loro scelta non dipendeva da lui. La figura avvolta nel mantello attraversò la superficie del lago fino al punto dove giaceva Walker e gli tese la mano. Il druido sollevò di riflesso il braccio, in risposta. Il viso scuro di Allanon lo fissò, lo sguardo penetrante si incrociò con il suo. In quegli occhi c'era approvazione, c'era una promessa di pace. Walker sorrise. Davanti a Bek e a Truls che osservavano, l'ombra raggiunse Walker. La luce verde illuminava le loro forme scure, le tagliava come un rasoio, le feriva con lame color smeraldo. Si levò un sibilo, ma era lieve e distante, il respiro di un uomo morente. L'ombra si chinò a prendere Walker, con forza e decisione. Walker sollevò la mano, forse per allontanarla, forse per darle il benvenuto: difficile dirlo. Comunque, non fece alcuna differenza. L'ombra lo prese tra le braccia e lo cullò come un bambino. Poi insieme si ritirarono pian piano sul lago, scivolando sull'aria, illuminati da schegge luminose che si raccoglievano attorno a loro come lucciole. Quando entrambi furono racchiusi in un alone di luce verde, il chiarore li coprì completamente e scomparvero nel centro luccicante del lago, finché non rimase altro che una leggera increspatura delle acque scure. In pochi istanti anche quella sparì e la caverna tornò immobile e vuota. Bek si accorse di piangere. Quante speranze il druido era riuscito a realizzare nella sua vita? Ben poche di quelle che l'avevano condotto fin lì. O di quelle per cui aveva lottato prima della partenza. Con lui moriva l'ultimo del suo ordine, un reietto e forse un fallito. Questo pensiero rattristò il ragazzo più di quanto avrebbe creduto. «E' finita» mormorò. La risposta di Truls Rohk lo sorprese: «No, ragazzo. E' appena iniziata. Aspetta e vedrai». Bek lo guardò, ma il cambiatore di forma si rifiutò di aggiungere altro. Per qualche secondo rimasero ancora fermi a osservare il lago, incapaci di allontanarsi. Era come se si aspettassero che accadesse qualcosa. Avevano l'impressione che mancasse l'ultimo atto. Ma non successe nulla, e alla fine si avviarono lungo i corridoi di Castledown per fare ritorno al mondo superiore.
7. Rue Meridian passò in volo a bordo della "Black Moclips" le ultime ore della notte e quelle che precedono l'alba prima di mettersi alla ricerca delle rovine di Castledown. Avrebbe iniziato anche con la sola aurora, ma non voleva accingersi a un'impresa così complicata prima di poter vedere bene cosa stava facendo. Le navi volanti erano macchine complesse e pilotarne una da sola, anche servendosi dei controlli a distanza situati nella garitta del pilota, non era facile. Il solo mantenerla in
aria richiedeva tutta la sua concentrazione. Per distinguere qualcosa nell'oscurità si sarebbe dovuta portare fino al parapetto, fuori della garitta e lontano dai comandi. Ma in quel modo la nave non sarebbe durata a lungo. Aveva Hunter Predd ad aiutarla, ma il Cavaliere del Wing Hove non era un marinaio e non conosceva granché del funzionamento delle navi. Poteva assumersi qualche piccolo incarico, ma non certo un lavoro importante come quello necessario nel caso che qualcosa fosse andato storto. Inoltre, doveva rimanere in sella a Ossidiana, se volevano trovare i loro compagni. Gli occhi del Roc erano più acuti di quelli umani: era abituato a cercare le persone disperse. Per ora il gigantesco uccello si manteneva a distanza fissa dalla nave, le girava attorno mentre attendeva che il padrone si riunisse a lui. «Nessuna possibilità di convincere il comandante della Federazione o qualche suo marinaio ad aiutarci, suppongo» disse Hunter Predd, in tono dubbioso. Lei scosse la testa. «Non intende fare nulla che contrasti con i suoi ordini, e questo comprende il fornirci aiuto.» Si ravviò un ciuffo dei lunghi capelli rossi. «Devi capire. Aden Kett è un soldato dalla testa ai piedi, abituato a eseguire gli ordini e ad accettare la gerarchia del comando. Non è una cattiva persona, ha solo delle idee sbagliate.» Non avevano udito rumori provenire dall'equipaggio della Federazione imprigionato sottocoperta. Due volte lei aveva mandato il Cavaliere del Wing Hove a controllare, ed entrambe le volte Hunter le aveva riferito che dalla cabina giungevano solo conversazioni a bassa voce, a malapena udibili. A quanto pareva, l'equipaggio aveva deciso che per il momento era meglio aspettare. Rue Meridian era più che soddisfatta di quella decisione. Comunque, avrebbe preferito disporre di un aiuto. Non appena fosse sorto il sole, intendeva mandare Hunter e Ossidiana alla ricerca di Walker, Bek e gli altri. Li avrebbero trovati prima di lei. Se li avessero avvistati, avrebbe potuto avvicinarsi con la "Black Moclips" e raccoglierli. Il rischio per la nave era minimo. Di giorno, dalla sicurezza dell'aria, Rue Meridian poteva vedere fino a parecchie miglia di distanza. Era improbabile che qualcuno arrivasse così vicino da costituire una minaccia, soprattutto ora che la sola nave nemica era in mano sua. Naturalmente era possibile che la Strega avesse a disposizione altre armi capaci di colpire perfino una nave in volo. La Strega era in qualche punto in mezzo alle rovine, a caccia di Walker, e potevano avere la sfortuna di incontrarla nel corso della ricerca. Rue Meridian sperava che Ossidiana riuscisse a individuare la Strega prima che le arrivassero così vicino da correre dei rischi. E si augurava di trovare Bek o Walker o qualcuno degli altri superstiti prima della Strega. Sbadigliò e piegò le dita senza lasciare le leve. Era sveglia da ventiquattr'ore e cominciava a sentire la stanchezza. Le ferite, benché fasciate strette nella tuta di volo, pulsavano dolorosamente e aveva gli occhi pesanti per la mancanza di sonno. Ma non c'era nessuno che potesse sostituirla ai comandi, perciò era inutile rimuginare su ciò che le mancava. Forse avrebbe avuto fortuna e trovato Bek alle prime luci del giorno. Bek era in grado di pilotare la "Black Moclips". Big Red gliel'aveva insegnato abbastanza bene. Con Bek ai comandi, poteva dormire qualche ora. Per pochi istanti pensò al ragazzo. No, non era un ragazzo, si affrettò a correggersi. Bek non lo era più, almeno nelle cose importanti: era giovane, ma già adulto quanto a esperienze di vita. Era certamente più maturo di quegli imbecilli della Federazione che era stata costretta a sopportare sul Prekkendor. Era intelligente e spiritoso, e trasmetteva una genuina sincerità. Ripensò alle loro conversazioni, durante il volo dalle Quattro Terre, e le tornarono in mente gli scherzi e le risate, i racconti e le confidenze che si erano scambiati. Suo fratello e Hawk erano stupiti, non capivano cosa lei trovasse in lui. Ma l'amicizia tra lei e Bek era diversa da quelle cui era abituata: nasceva dalla somiglianza tra le loro personalità. Sentiva di potersi fidare di lui. Sentiva di potergli dire qualsiasi cosa. Scosse la testa e sorrise. Bek la metteva a suo agio, e non le capitava con molti uomini. Non la spingeva a essere diversa da ciò che era. Non le chiedeva nulla. Non tentava di mettersi in competizione con lei, non cercava di impressionarla. Era un po' intimorito da lei, ma c'era abituata. L'importante era che questo non interferisse con la loro amicizia.
Si chiese dove fosse, cosa gli fosse successo. Era caduto nelle mani dei Mwellret e della Strega di Ilse, era stato portato a bordo della "Black Moclips" e imprigionato, poi qualcuno l'aveva salvato. Chi? Aveva davvero perso la voce, come le aveva detto Aden Kett, o fingeva? Era indispettita dalla propria ignoranza. Aveva molte domande e non poteva ottenere le risposte senza prima trovarlo. Non le piaceva pensare che in quel momento gli davano la caccia, ma Bek era pieno di risorse, capace di farsi strada in mezzo a pericoli che avrebbero sopraffatto altri uomini. Sarebbe riuscito a cavarsela finché lei non l'avesse trovato. Hawk l'avrebbe presa in giro, se fosse stato presente. "E' solo un ragazzino" le avrebbe detto, senza le precisazioni fatte da lei poco prima. "Non è neppure uno di noi, un corsaro." La cosa non aveva importanza, almeno per lei: l'importante era che Bek fosse suo amico, e lei poteva ammettere con se stessa, anche se non l'avrebbe detto a nessun altro, di non averne molti. Cercò di allontanare quei pensieri e tornò al suo compito. Le prime deboli scie di luce stavano già comparendo a est, si facevano strada attraverso i varchi nelle montagne. Nel giro di un'ora, avrebbe iniziato la ricerca e con un po' di fortuna, prima di sera avrebbero potuto lasciare quel luogo. Hunter Predd, che era assente da qualche minuto, le comparve accanto. «Ho dato una rapida occhiata sottocoperta. Non succede niente. Alcuni dormono, nessuno tenta di uscire. Ma la situazione non mi piace.» «Neanche a me.» Cambiò posizione perché aveva i crampi. «Forse Big Red ci raggiungerà in giornata.» «Forse.» Il cavaliere guardò verso est. «Il cielo comincia a rischiararsi. Dovrei iniziare la ricerca. Ce la fai, da sola?» Lei annuì. «Troviamoli, cavaliere. Tutti coloro che abbiamo fatto sbarcare. Bek è ancora vivo, ed è vivo anche colui che l'ha salvato dai Mwellret. Questo lo sappiamo. Forse si è salvato qualcun altro. Qualunque cosa sia successa, non possiamo abbandonarli.» Hunter Predd annuì. «E non li abbandoneremo.» Scese dalla garitta e raggiunse il parapetto. Fece alcuni segnali nel buio, poi si calò oltre la fiancata con una scaletta di corda. Qualche momento più tardi, Rue Meridian lo vide volare via, in sella a Ossidiana, con un cenno di saluto prima di sparire nell'oscurità. Lo si scorgeva a malapena nelle tenebre che si stavano diradando. Rue pilotò la "Black Moclips" dietro di lui. Lasciò la regione delle colline boscose e si diresse verso le rovine, con la nave che ondeggiava dolcemente nel vento. Guardo sotto di sé, per vedere se riusciva a scorgere qualcosa. Tutto era piatto e grigio. Il giorno non era ancora abbastanza chiaro perché sì potesse scorgere una persona. Ma, anche con la luce, temeva di non a-vere molta fortuna. Per il salvataggio dei suoi compagni sbarcati dalla "Jerle Shannara" avrebbe dovuto affidarsi al cavaliere e al suo Roc. "Speriamo di non deluderli" si augurò. "Almeno questa volta." Respirò a fondo e girò la schiena al vento. Hunter Predd si staccò dal parapetto della nave e scese lungo la scaletta di corda. Subito scorse la sagoma di Ossidiana che si avvicinava nell'oscurità. Il Roc si portò sotto di lui, poi salì in modo che il cavaliere potesse sistemarsi sul suo dorso. Quando si fu seduto sulla sella, Hunter Predd si afferrò al pomo, lasciò la scala e con un colpo di ginocchia ordinò al Roc di staccarsi dalla nave. L'alba era un debole chiarore grigio a est, ma la luce cominciava già a lambire il paesaggio. Giunto in prossimità della città, cominciò a distinguere le rovine degli edifici e le strade piene di macerie, vuote e silenziose. Ossidiana riusciva a vedere un numero di particolari assai superiore, ma la ricerca non sarebbe stata facile. Rue Meridian pensava che bastasse sorvolare le rovine per trovare tutti i sopravvissuti, ma Castledown era enorme, miglia e miglia di edifici, ed era assai probabile che non sarebbero riusciti a scoprirne i segreti. Le persone che cercavano dovevano trovare il modo di farsi vedere, se non volevano essere individuate per puro caso. Ma perché questo succedesse, dovevano tenere d'occhio il cielo in continuazione per avvistare il Roc. Erano passate quasi due settimane da quando la "Jerle Shannara" aveva lasciato sulla riva del lago il druido e i suoi
compagni ed era tornata indietro. Dopo tanti giorni, potevano avere perso ogni speranza. Potevano avere smesso di guardare il cielo. Potevano essere morti. Inutile pensarci, naturalmente. Hunter Predd era venuto con la ragazza dei Corsari a cercare i superstiti, perciò era ozioso immaginare ostacoli prima ancora di avere iniziato. Dopotutto, Ossidiana aveva trovato oggetti più piccoli di un uomo in distese molto più grandi e accidentate. Le possibilità c'erano, avrebbe solo dovuto approfittarne. Mentre il sole sorgeva, volò in cerchi sempre più grandi, e per tutto il tempo cercò un movimento sul terreno, una cosa fuori luogo, l'indizio di una presenza estranea. Mentre cercava, ripensò alla sua decisione di prendere parte a quel viaggio e si chiese se non avrebbe fatto meglio a starsene a casa. Non solo per il fatto che l'avventura sì era messa così male, ma perché gli pareva che la missione non avesse prodotto grandi risultati, in cambio di tanti sforzi. Se avessero scoperto che Walker era morto, seguire la mappa del naufrago si sarebbe rivelato inutile. Peggio ancora, molte persone sarebbero morte per niente. I Cavalieri del Wing Hove preferivano sempre evitare di intervenire nelle vicende altrui, vivere la loro vita e non interessarsi di quella degli altri. Per prendere parte a quel viaggio aveva dovuto venire a un compromesso, e adesso doveva fare uno sforzo per mantenere l'impegno. Il buonsenso gli suggeriva di girarsi e tornare a casa, perché col passare del tempo cresceva il rischio di non poterlo più fare. Senza dubbio i Corsari dovevano pensarla come lui. Corsari e Cavalieri del Wing Hove erano simili, nomadi per scelta, mercenari per professione. La loro fedeltà poteva essere comprata, ma non permettevano che questo interferisse con il buonsenso. Naturalmente, però, non avrebbe abbandonato i compagni rimasti a terra, nonostante i rischi, se c'era qualche possibilità che fossero ancora vivi. Non riusciva a evitare quei pensieri, anche se non comportavano alcuna differenza per gli impegni che si era assunto. E se avessi fatto questo? E se fosse successo quest'altro? Pure e semplici divagazioni: il tipo di passatempo cui si indulge quando si passa molto tempo da soli e si cerca di non pensare ai pericoli. Ma era solo un gioco. Il sole si levò sopra l'orizzonte, la luce del giorno irruppe sulla terra, ma le rovine rimasero vuote e silenziose come prima. Hunter Predd si voltò a guardare la "Black Moclips", dove si scorgeva la figurina solitaria di Rue Meridian nella garitta del pilota. La donna era pericolosamente stanca e Hunter non sapeva se sarebbe riuscita a tenere in volo la nave ancora per molto. Rubare la nave alla Strega di Ilse era stata una buona idea, ma se Rue Meridian non avesse ricevuto aiuto, la conquista sarebbe divenuta un pericolo. Ora come ora, Hunter Predd non sapeva da dove potesse giungere quell'aiuto. L'avrebbe aiutata lui stesso se ne fosse stato in grado, ma non sapeva quasi nulla di navi volanti. La sola cosa che poteva fare era portarla via dalla nave se la situazione fosse volta al peggio. Scorse qualcosa di strano ai margini delle rovine e si abbassò per vedere meglio. Scoprì parecchi cadaveri, ma non erano quelli dei suoi compagni della "Jerle Shannara" e non appartenevano neppure alle popolazioni a lui note. Quella gente aveva la pelle color del rame e i capelli rossi, e i loro abiti somigliavano a quelli degli Gnomi. Non aveva mai visto persone del genere, ma parevano appartenere alla stessa tribù e di conseguenza doveva essere una popolazione del luogo. Cosa li avesse uccisi era un mistero: pareva che fossero stati fatti a pezzi da qualche creatura incredibilmente forte. Granchi meccanici, forse. Volò per qualche altro minuto sui corpi immobili sperando di scoprire qualcosa che lo aiutasse a capire l'accaduto. Forse gli conveniva scendere a terra per accertare se qualcuno della "Jerle Shannara" aveva partecipato allo scontro, ma alla fine decise di non farlo. L'informazione non gli sarebbe servita a molto, a meno che non decidesse di seguire a piedi eventuali tracce, ma era troppo pericoloso. Si guardò alle spalle per controllare dov'era la "Black Moclips", e vide che si librava nell'aria a varie centinaia di piedi da lui. Fece segno a Rue Meridian di avvicinarsi per dare un'occhiata, poi riprese il suo volo sopra le rovine. La giovane donna poteva decidere cosa fare. Lui avrebbe proseguito. Se non fosse successo altro, sarebbe tornato più tardi. Aveva appena ripreso a sorvolare le rovine della città, quando vide qualcuno giungere in volo da nordest. Anche Ossidiana lo scorse e lanciò un acuto grido di riconoscimento,
Era Po Kelles, in sella a Niciannon. Rue Meridian aveva appena portato la "Black Moclips" sul gruppo di cadaveri ai margini delle rovine e si chiedeva cosa fosse successo quando guardò in direzione di Hunter Predd e vide il secondo Cavaliere del Wing Hove. Sapeva che doveva essere Po Kelles, e sentì rafforzarsi la speranza dell'arrivo del fratello a bordo della "Jerle Shannara". Con due navi volanti, avrebbero avuto molte più probabilità di trovare Bek e gli altri. Forse avrebbe potuto chiamare un paio di Corsari per affidare loro la nave e in tal modo dormire per qualche ora. Vide i due cavalieri continuare la ricognizione in coppia e comunicare fra loro a gesti. Senza cambiare rotta, guardò verso la costa, in cerca di qualche segno dell'altra nave, ma non vide nulla, e tornò a osservare i due cavalieri. La discussione fra loro si era fatta animata e Rue Meridian cominciò a provare una leggera inquietudine. Anche se era lontana, il loro modo di comunicare non le parve quello abituale. "Hai un'immaginazione troppo accesa" si disse. Poi Hunter Predd si staccò dal compagno e tornò dove lei attendeva, fece un giro attorno alla nave e si portò sotto la poppa. Afferrò la scaletta che aveva lasciato poco prima e risalì sul ponte, poi rivolse un segnale a Ossidiana. Il Roc si portò all'altezza della cabina e volò a fianco della nave. Rue Meridian attese mentre l'elfo la raggiungeva di corsa. Anche se la luce era ancora debole, vide che il cavaliere era agitato. In tono preoccupato, Hunter Predd le disse: «Tuo fratello e gli altri stanno volando da questa parte, ma sono inseguiti. All'alba di ieri mattina è comparsa dal mare una flotta di navi nemiche. La "Jerle Shannara" è riuscita a malapena a distaccare gli inseguitori. Da allora vola in questa direzione e cerca di far perdere le proprie tracce. Ma per quanto sia veloce, non riesce a sfuggire loro. L'hanno inseguita lungo le montagne, fin nell'interno, anche dopo che ha cambiato rotta, e fra non molto saranno qui». Navi nemiche? Così lontano dalle Quattro Terre? A Rue Meridian occorse qualche istante per assorbire la notizia. «Chi sono?» chiese infine. Hunter Predd scosse la testa. «Non lo sappiamo. Non hanno bandiere e gli uomini dell'equipaggio sembrano morti che camminano. Fanno il loro lavoro, ma paiono incapaci di vedere. Po Kelles li ha potuti osservare bene ieri pomeriggio, quando i Corsari si sono fermati per riposare, convinti di essere sfuggiti loro. Meno di un'ora dopo, le navi sono riapparse. Quelli che ha visto erano uomini, ma non si comportavano come tali. Parevano macchine. Non sembravano nemmeno vivi. Erano rigidi e avevano lo sguardo vuoto, non vedevano nulla. Una cosa però era certa: sapevano dove dirigersi, e non avevano bisogno di una mappa per trovarci.» Rue Meridian guardò il mattino sempre più chiaro e le rovine, e sentì svanire le sue speranze di continuare la ricerca. «A che distanza sono?» domandò. «A meno di mezz'ora. Dobbiamo andare via di qui. Se ti raggiungono mentre sei sulla "Black Moclips", non avrai scampo.» Rue lo fissò per qualche istante senza parlare, mentre la collera e la frustrazione salivano in lei. Capiva la necessità di fuggire, ma non le piaceva essere costretta a fare qualcosa. L'istinto la spingeva a fermarsi e lottare, non a fuggire. Non voleva abbandonare coloro che cercava, lasciarli a un destino incerto, nelle mani non solo dei Mwellret e della Strega di Ilse, ma anche di quella nuova minaccia. Quanto potevano resistere, lasciati a se stessi? Quanto tempo sarebbe dovuto passare, prima che potesse tornare ad aiutarli? «Quante sono?» chiese. Il Cavaliere del Wing Hove scosse la testa. «Più di venti navi. Troppe, Little Red, per pensare di affrontarle.» Il cavaliere aveva ragione, naturalmente. Su tutto. Dovevano sospendere la ricerca e fuggire prima che i nuovi arrivati li vedessero. Ma lei continuava a pensare che Bek e gli altri erano laggiù, almeno alcuni di loro, e avevano bisogno di aiuto. Non riusciva a rinunciare alla speranza che bastasse soltanto un po' più di tempo. Pochi minuti potevano essere sufficienti.
«Di' a Po Kelles di stare di guardia» gli ordinò. «Possiamo fare ancora qualche breve ricerca prima di andare via.» Hunter la fissò stupefatto. Rue sapeva di non potergli dare ordini, e si chiese se fosse il caso di farglielo notare. Ma Rue sapeva anche che lui capiva cosa provava. «Il tempo sta cambiando, Little Red» le disse piano, indicando il cielo. Era vero. Da est giungevano nubi scure, spinte dai venti della costa, e parevano minacciose anche da lontano. Rue Meridian sì stupì di non averle viste. Solo ora notò che l'aria si era raffreddata. Un fronte freddo stava avanzando verso di loro, e portava con sé una tempesta. Lei lo fissò. «Proviamo, cavaliere. Finché ci è possibile. Abbiamo questo debito nei loro confronti.» Hunter Predd sapeva a chi si riferisse. Le rivolse un cenno d'assenso. «Benissimo» le rispose. «Ma fa' attenzione.» Scese dalla garitta e corse lungo il ponte per poi calarsi dalla poppa. Ossidiana era al suo posto e pochi secondi dopo stavano già volando verso Po Kelles. Rue Meridian diresse la nave alla volta delle rovine e riprese a scrutare in mezzo alle macerie. Poi, all'improvviso, con stupore, si rammentò del fatto che guidava una nave nemica e che i suoi compagni a terra non sapevano chi c'era a bordo. Invece di uscire dai loro nascondigli per rivelarsi, si sarebbero nascosti meglio. Perché non le era venuto in mente? Se ci avesse pensato, avrebbe trovato un modo per farsi riconoscere. Ormai era troppo tardi. Forse la presenza dei Cavalieri del Wing Hove li avrebbe rassicurati facendo capire loro che non era la Strega di Ilse. Forse avrebbero capito cosa intendeva fare. "Ancora qualche minuto" continuava a dire a se stessa. "Solo pochi minuti..." Quei minuti passarono, e ne passarono altri, ma non vide traccia della presenza di qualcuno. Le nubi giunsero a coprire il sole, e l'aria divenne così fredda da farla rabbrividire nonostante il pesante mantello che si era stretta addosso. Il paesaggio era pieno di ombre e ogni cosa sembrava identica all'altra. Rue stava ancora cercando, senza arrendersi, quando Hunter Predd si portò a prua della nave e le rivolse grandi gesti per indicarle qualcosa dietro di lei. Rue Meridian si girò e le vide. Una ventina di navi si erano materializzate dalla foschia, simili a macchioline nere sull'orizzonte. Una di esse si trascinava dietro tutte le altre, ed era quella cui davano la caccia: dalla forma, riconobbe la "Jerle Shannara". Po Kelles stava già dirigendo Niciannon da quella parte e Hunter Predd gridava a Rue Meridian di virare a est e puntare verso le montagne. Con un'ultima occhiata in basso, fece come le veniva detto. La "Black Moclips" sobbalzò per la forte spinta data dai cristalli di diapso, ma in pochi istanti la nave si stabilizzò e riprese velocità. Rue Meridian udì le grida e le imprecazioni dei marinai imprigionati, ma non aveva tempo per loro. Avevano scelto, e volenti o nolenti dovevano sopportare quello che la sorte offriva. «Silenzio!» gridò, rivolta non tanto agli uomini quanto al vento che le fischiava all'orecchio, tagliente e minaccioso. A piena velocità, spinta dalla collera, pronta a lottare come a fuggire, volò verso le montagne.
8. Nelle sonnolente, gelide ore prima dell'alba, Quentin Leah seppellì Ard Patrinell e Kreshen. Non aveva attrezzi con cui scavare una fossa, così li calò nel pozzo del wronk e li coprì di pietre. Gli occorse molto tempo per trovare le pietre nell'oscurità e poi trasportarle, a volte per tratti molto lunghi, fino al foro. Il pozzo era grande e difficile da riempire, ma lui continuò a portare pietre, anche quando ebbe tutti i muscoli indolenziti. Una volta finito, s'inginocchiò accanto al rozzo tumulo e salutò i suoi amici, parlando come se fossero ancora vivi; augurò loro la pace, sperando che fossero insieme, e disse che sentiva la loro mancanza. Un'esploratrice e un capitano della Guardia Reale, nati sotto una cattiva stella in tutti i sensi della frase: forse erano finalmente uniti nel luogo dove si trovavano adesso, qualunque fosse. Cercò di pensare al Patrinell che aveva conosciuto prima della sua trasformazione: un guerriero dall'abilità insuperabile, un uomo coraggioso e leale. Non sapeva cosa ci fosse dopo la morte, ma si
augurava che fosse migliore della vita, un luogo dove si potevano recuperare le occasioni mancate e i sogni perduti. Non pianse, ormai aveva esaurito le lacrime. Ma si sentiva svuotato di ogni emozione, perduto, e questo distacco dal mondo era talmente grande da minacciare di annullarlo. Quando si alzò, dopo aver terminato il suo compito, era ormai l'alba. Riprese la Spada di Leah dal punto dove l'aveva lasciata cadere alla fine della battaglia. La superficie lucida e grigia della lama non mostrava alcun segno della lotta, tranne qualche macchia di sangue e qualche grumo di terra. La ripulì con cura, riflettendo su quanto gli era successo. Gli pareva che la spada l'avesse tradito. Nonostante tutte le sue proprietà magiche, nonostante tutte le leggende che accompagnavano la sua lunga storia, non gli era stata molto utile in quella terra straniera. Non era stata sufficiente a salvare Kreshen o Ard Patrinell. Non gli aveva permesso nemmeno di proteggere Bek, come aveva giurato. Il fatto di essere vivo grazie alla spada non gli era di grande consolazione. Gli pareva che la sua vita fosse stata comprata al prezzo di altre. Non riteneva di meritarlo. Si sentiva morto dentro e pensava di non potersi mai più liberare da quella sensazione. Infilò di nuovo la spada nel fodero e se la rimise sulla schiena. Il sole superava in quel momento l'orizzonte e doveva decidere cosa fare. Il suo primo dovere era trovare Bek, ma per farlo doveva lasciare la protezione della foresta e tornare nelle rovine di Castledown. Questo però l'avrebbe portato a un nuovo scontro con i granchi meccanici e i wronk e non sapeva se sarebbe stato in grado di affrontarli ancora. Sapeva solo di volersi allontanare da quel luogo di morte e di dolore. Così si rimise in cammino, mentre le ombre attorno a lui indietreggiavano fra gli alberi e la luce del sole filtrava attraverso l'intrico del fogliame, riempiendo di chiazze di luce il suolo della foresta. Scese dalle colline che attorniavano Castledown e tornò alla pianura che aveva abbandonato quando era fuggito dal wronk di Ard Patrinell, due giorni prima. In qualche modo, camminare lo faceva sentire meglio. Il peso che sentiva sul cuore non si alleggerì, ma il senso di perdita di scopo e di direzione scomparve mentre rifletteva sul da farsi. Era inutile aggirarsi senza meta. Il suo compito, nonostante le difficoltà, rimaneva il salvataggio di Bek. Era stato lui a insistere perché il cugino prendesse parte alla spedizione. Anche se non fosse riuscito a compiere altro, almeno doveva assicurarsi che Bek tornasse a casa sano e salvo. Pensava che fosse ancora vivo, pur sapendo che molti loro compagni erano morti. Questa convinzione derivava dal fatto che Kreshen era stata con suo cugino prima che lui la incontrasse e dal fatto che in cuor suo, dove a volte l'istinto diceva verità che gli occhi non riuscivano a vedere, sentiva che niente era cambiato da allora. Ma questo non significava che Bek non fosse nei guai e non avesse bisogno di aiuto, e non intendeva abbandonarlo. Una parte di lui capiva che la sua determinazione nasceva dalla necessità di afferrarsi a qualche punto fermo per salvarsi. Sapeva che se non avesse trovato un appiglio, la disperazione l'avrebbe sopraffatto, gli avrebbe impedito di muoversi. Se si fosse abbandonato a quei sentimenti, sarebbe stato perduto. Invece muoversi, in una direzione qualsiasi, darsi uno scopo, gli impediva di precipitare nell'abisso. Non si soffermò a calcolare le probabilità di trovare Bek, da solo e senza magie da impiegare a quello scopo, ma le difficoltà non contavano se riusciva a conservare la ragione. Era a poca distanza dalle rovine quando scorse una nave che volava davanti a lui, lontana e minuscola sulla linea dell'orizzonte. Ne fu così sorpreso che per un momento si fermò dove si trovava e la fissò incredulo. Era troppo lontana per riconoscerla, ma pensò subito che fosse la "Jerle Shannara" venuta a cercare i membri della compagnia. All'idea sentì rinascere le speranze e si diresse subito verso la nave. Ma pochi istanti più tardi la nave finì in un enorme banco di nubi che veniva da est e si perse alla vista. Era fermo in una radura e cercava di scorgere di nuovo la nave volante, quando si sentì chiamare: «Highlander! Aspettami!». Si voltò stupito cercando di identificare la voce e la direzione da cui giungeva. Stava ancora guardandosi attorno quando Panax uscì dagli alberi alle sue spalle.
«Dov'eri finito, Quentin Leah?» gli chiese il nano, senza fiato e rosso in faccia per la corsa. «Vi abbiamo cercati per tutto il giorno e la notte! E' stato un puro caso se ti ho visto adesso!» Raggiunse Quentin e gli strinse la mano con calore. «Lieto di vederti, Highlander. Mi sembri ridotto a uno straccio, se posso dirlo senza offesa. Stai bene?» «Sto bene» rispose Quentin, anche se non era vero. «Chi altri mi cerca, Panax?» «Io e Kian. Obat e alcuni dei suoi Rindge. Il wronk li ha ridotti a mal partito. Ha ucciso gli uomini della sua tribù, ha distrutto il villaggio, tutti i loro beni. Coloro che non sono morti si sono rifugiati sui monti. Fino a ieri pensavano di ricostruire il villaggio e continuare come prima, ma non è possibile. Non torneranno più indietro. La situazione è cambiata.» S'interruppe bruscamente e scrutò l'espressione di Quentin: vi lesse qualcosa che non aveva visto prima. «Dov'è Kreshen?» chiese. Quentin scosse la testa. «Morta. E anche Ard Patrinell. Si sono uccisi a vicenda.» Le mani gli tremavano. Non riusciva a fermarle. Abbassò gli occhi, confuso. «Gli abbiamo teso una trappola, io e Kreshen» spiegò. «Ci siamo nascosti nel bosco, vicino a un pozzo, e ci siamo fatti scoprire dal wronk, per farlo cadere. Abbiamo usato un trucco per attirarlo, e il wronk è caduto nel pozzo, ma è riuscito a venir fuori, e Kreshen...» La voce gli venne meno. Incapace di proseguire, riprese a piangere come un bambino che racconta un incubo. Panax gli prese le mani e continuò a stringerle finché il tremito non cessò. «Mi sembra che neanche tu te la sia cavata senza danni» commentò. «Sono certo che hai fatto il possibile per salvarli tutt'e due. Non chiedere troppo a te stesso, Highlander. Neppure la magia può darci sempre le risposte che cerchiamo. Forse anche il druido ha scoperto la stessa cosa, dovunque egli sia. A volte dobbiamo accettare i nostri limiti. Ci sono cose che non possiamo evitare, e la morte è una di quelle.» Lasciò le mani di Quentin e lo prese per le spalle. «Mi dispiace per Kreshen e Ard Patrinell, mi dispiace davvero. Penso che abbiano lottato duramente per rimanere in vita, Highlander, ma l'hai fatto anche tu. Ora, per rispetto verso di loro e verso te stesso, devi fare in modo che tutto questo abbia uno scopo.» Nel guardare gli occhi castani del nano, Quentin si sentì tornare in sé e ritrovò la sua determinazione. Ricordò il viso di Kreshen negli ultimi istanti della sua vita, la fierezza con cui aveva affrontato la morte. Panax aveva ragione. Crollare adesso, cedere alla tristezza, equivaleva a tradire tutte le cose per cui lei aveva lottato. «Hai ragione» rispose. Panax annuì e fece un passo indietro. «Bene. C'è bisogno della tua forza, Quentin Leah. I Rindge sono usciti in esplorazione ancor prima dell'alba e sono andati nelle rovine. Castledown è piena di granchi meccanici, ma nessuno di essi è funzionante. I fili di fuoco sono spenti. A quanto pare, Antrax è morto.» Quentin lo fissò senza capire. «Meglio così, potresti dire, ma guarda laggiù» continuò il nano, indicando un banco di nubi in arrivo, una grande parete scura che occupava l'intero orizzonte. «Quello che sta per giungere è un grande cambiamento del mondo, secondo i Rindge. Dice una loro leggenda che se Antrax verrà distrutto, il mondo tornerà quello che era una volta. Ricordi come i Rindge insistessero nel ripetere che Antrax controllava il clima? Prima di Antrax, questa terra era coperta di neve e di ghiacci, gelida e inospitale. E' divenuta temperata e abitabile solo dopo che Antrax ha cambiato il clima, millenni fa. Adesso torna com'era. Senti com'è tagliente l'aria?» Quentin non se n'era accorto fino a quel momento, ma Panax aveva ragione. L'aria diventava sempre più fredda, anche se il sole cominciava a innalzarsi sull'orizzonte. Era un'aria che faceva pensare all'inverno. «Obat e i suoi vogliono andare al di là delle montagne, nell'interno della Parkasia» continuò il nano. «Là il clima è migliore e il territorio più sicuro. Se non troveremo in fretta la maniera di allontanarci, penso che faremmo bene ad andare con loro.»
Solo in quel momento Quentin si rammentò della nave. «Poco fa, ho visto la "Jerle Shannara"» disse in tono concitato, indicando la direzione in cui la nave era sparita. «L'ho vista per pochi istanti, da quella parte. Quando mi hai trovato, mi ero fermato a cercarla, e poi l'ho persa tra quelle nubi.» Tutt'e due scrutarono il banco di nubi senza vedere nulla. Poi Panax si schiarì la gola e disse: «Non voglio dubitare delle tue parole, ma sei sicuro che non fosse la "Black Moclips"?». Quella possibilità non era venuta in mente a Quentin. Nel suo desiderio che fosse la "Jerle Shannara", non si era soffermato a pensare che potesse essere la nave nemica. Si era dimenticato della sua esistenza. Scosse lentamente la testa. «No, non ne sono sicuro.» Il nano annuì. «Niente di male. Ma dobbiamo fare attenzione. La Strega e i suoi Mwellret sono ancora da queste parti.» «E Bek e gli altri?» chiese Quentin. Panax aggrottò la fronte. «Ancora nessuna traccia. Non so se riusciremo a trovarli, Highlander. Gli uomini di Obat non vogliono ancora entrare nelle rovine. Dicono che è un luogo di morte anche adesso che Antrax è finito e che granchi e fili di fuoco non funzionano più. Dicono che il luogo è maledetto. Per loro, niente è cambiato. Ho cercato di convincerli a venire con me questa mattina, ma dopo aver visto quanto era successo, sono tornati sulle colline ad attendere.» Scosse la testa e concluse: «Non so dare loro torto, ma questo non ci aiuta molto». Quentin lo affrontò. «Non intendo abbandonare Bek. Sono stanco di scappare e di veder morire la gente senza poter fare nulla.» Il nano annuì. «Continueremo a cercarli, Highlander. Finché potremo, continueremo a cercarli. Ma non farti illusioni.» «Bek è vivo» insistette Quentin. Il nano non replicò, il suo viso segnato dal tempo rimase impassibile e mascherò i suoi pensieri. Poi il suo sguardo si spostò per fissare qualcosa e anche l'Highlander sì voltò a guardare. Una fila di puntini neri era comparsa all'orizzonte, parallela al fronte della tempesta, e si stagliava sul cielo del mattino. «Navi volanti» disse Panax, a bassa voce e con ira. Le macchioline scure divennero sempre più grandi e presero forma. Quentin non riusciva a immaginare da dove potessero giungere tante navi, tutte insieme, in apparenza comparse dal nulla. Di chi erano? Lanciò un'occhiata a Panax, ma il nano era confuso quanto lui. «Guarda» gli disse il nano, indicando un altro punto. La nave avvistata da Quentin era uscita dalle nubi e attraversava rapida il cielo, in direzione delle montagne. Impossibile sbagliare, questa volta. Era la "Black Moclips". Sulle labbra dell'Highlander si spense il grido d'aiuto che stava per lanciare, e mentre la nave sì allontanava, rimase perfettamente immobile. Ora notarono che cercava di raggiungere un'altra nave, più lontana, riconoscibile dai tre alberi come la "Jerle Shannara". La Strega di Ilse e i suoi Mwellret inseguivano i Corsari, e le navi appena comparse le inseguivano tutt'e due. «Ma cosa succede?» chiese Quentin, rivolgendo la domanda anche a se stesso e non solo a Panax. Un attimo più tardi, la flotta inseguitrice si divise in due gruppi, uno dei quali seguì la "Jerle Shannara" e la "Black Moclips", mentre l'altro si diresse verso le rovine di Castledown. Il secondo gruppo era il più piccolo, ma era guidato dalla nave più grande. Tutte in fila, le navi sorvolarono le rovine preparandosi a scendere. «Penso che sia meglio non stare così all'aperto» disse Panax, dopo qualche istante. In fretta, si portarono sotto la copertura degli alberi, poi risalirono sulle colline finché non trovarono un punto elevato da cui osservare ciò che stava succedendo. Non occorse loro molto tempo per capire che avevano preso la decisione giusta. Dalle navi, che si tenevano a una quota di una decina di piedi, vennero calate scale di corda e ne scese un folto gruppo di Mwellret, che subito si sparse tutt'intorno.
A bordo delle navi, i marinai rimasero al loro posto. Nel loro comportamento c'era qualcosa di strano: stavano immobili come statue, senza muoversi, senza parlare tra loro. Quentin li fissò a lungo, in attesa di qualche reazione, ma non ce ne furono. «Non credo che siano amici» disse Panax, a bassa voce. «Guarda laggiù.» Alla confusione si era aggiunto un nuovo elemento: un gruppo di creature prive di qualsiasi identità riconoscibile. Venivano messe in ceste e poi calate con argani dalla nave più grossa, una dopo l'altra. Avevano l'aspetto di uomini cresciuti in modo sproporzionato, con spalle e braccia massicce, gambe grosse e torso peloso. Camminavano piegati in avanti, sulle quattro zampe come le scimmie del Vecchio Mondo. Ma la loro testa aveva un aspetto da lupo, con il muso stretto e allungato, orecchi appuntiti e occhi gialli. Anche da quella distanza, ì lineamenti erano inconfondibili. «Cosa sono?» chiese Quentin. Le squadre di ricerca si allargarono a ventaglio tra le rovine, ciascuna composta di decine di Mwellret armati e rivestiti di corazza, invasori decisamente ostili. Legate alla catena e incitate a fiutare le tracce, le strane creature quadrupedi venivano usate come cani. Con il muso vicino al terreno, cominciarono a farsi strada in mezzo alle macerie, in direzioni diverse, seguite dai Mwellret. Dalle rovine, non ci fu nessuna reazione di Antrax, non comparvero granchi e non si videro fili di fuoco. A quanto pareva, i Rindge avevano ragione: Antrax era morto. Ma questo pensiero spinse Quentin a pensare ancora di più a Bek. Dagli alberi, qualche istante più tardi, uscì la figura massiccia di Kian, che li raggiunse. Salutò Quentin, ma non proferì parola. «C'è un problema, Highlander» disse Panax, senza guardare il giovane. Quentin annuì. «Ci stanno cercando. E finiranno per trovarci.» «Fin troppo presto, temo.» Il nano si raddrizzò. «Non possiamo stare qui. Dobbiamo andare via.» Quentin Leah osservò le squadre che si addentravano nella città, figurine minuscole come giocattoli. Aveva inteso le parole di Panax, ma non osava rispondere. Panax gli aveva detto che dovevano rinunciare a cercare Bek e mettere la massima distanza tra loro e gli invasori. Sentì qualcosa apparire e morire dentro di lui alla prospettiva di abbandonare di nuovo Bek, ma sapeva che, se fosse rimasto, l'avrebbero trovato. Questo non avrebbe prodotto alcun risultato utile e con ogni probabilità l'avrebbe condotto alla morte. Cercò di riflettere. Forse Bek aveva maggiori risorse di quanto non pensasse. Bek aveva la magia, aveva riferito l'esploratrice. Kreshen gliel'aveva vista usare, ed era una magia capace di fare a pezzi i granchi metallici di Antrax. Il cugino non era del tutto inerme, anzi, forse stava meglio di loro. Magari aveva trovato Walker e adesso erano insieme. Potevano aver lasciato le rovine e avere già raggiunto le montagne. S'interruppe con ira. Continuava a illudersi, cercava di giustificarsi perché abbandonava Bek infrangendo di nuovo la sua promessa. In realtà, era il primo a non credere alle proprie parole. Il cuore non glielo permetteva. «Che facciamo?» chiese alla fine, rassegnato a fare l'unica cosa che aveva giurato di non fare. Panax si grattò la barba. «Andiamo sui monti Aleuthra, dietro di noi, con Obat e i suoi. Poi raggiungeremo l'entroterra della Parkasia. Le navi volavano in quella direzione. Forse riusciremo a raggiungerne una e a fare dei segnali.» Si strinse nelle spalle, stancamente. «Forse riusciremo a rimanere vivi.» Non ingannò Quentin promettendogli che sarebbero tornati a cercare Bek e gli altri, o che avrebbero ripreso la ricerca al più presto, appena possibile. Sapeva che un'ipotesi simile era troppo remota, che forse non sarebbero mai più tornati nelle rovine. Non voleva fare una promessa che era certo di non poter mantenere. Tutto questo non servì a diminuire la vergogna di Quentin per il nuovo tradimento, ma l'onestà era preferibile alle false speranze. "Mi dispiace, Bek" disse a se stesso. «Vengono da questa parte» l'avvertì all'improvviso Kian. Una delle squadre era uscita dalle rovine e aveva trovato i corpi dei Rindge uccisi dal wronk Patrinell due giorni prima. Le creature quadrupedi stavano già fiutando il terreno alla ricerca di
tracce: una testa di lupo si alzò e guardò verso il punto dove loro erano nascosti tra gli alberi, come se ne avvertisse la presenza e li avesse scorti. Senza dire una parola, il nano, l'elfo e l'Highlander si ritirarono tra gli alberi e sparirono. Impiegarono quasi un'ora a raggiungere la radura dove si trovavano Obat e i suoi Rindge, in cima a una delle ultime colline ai piedi dei monti Aleuthra, la catena che, con molte interruzioni, tagliava in diagonale la Parkasia. I Rindge erano laceri e demoralizzati, ma ancora ben organizzati e pronti. Le sentinelle collocate da Obat incontrarono i tre forestieri molto prima che essi raggiungessero il gruppo principale. Gli uomini avevano recuperato le armi e adesso tutti erano in grado di difendersi, ma la maggior parte dei superstiti era costituita di donne e bambini, alcuni ancora in fasce. C'erano almeno cento Rindge, forse duecento, e portavano con sé, dentro fagotti e sacchi di tela, le loro poche cose in previsione del viaggio. Sedevano in terra, nascosti sotto gli alberi, e parlavano tra loro a bassa voce, in attesa. Nella luce irregolare della foresta sembravano spettri dagli occhi incavati e dall'andatura incerta. Obat raggiunse Panax e cominciò a parlargli senza preamboli. Panax lo ascoltò, poi gli rispose nell'antica lingua dei Nani che aveva impiegato con successo fin dal loro primo incontro. Obat ascoltò e scosse la testa in segno di diniego. Panax provò di nuovo, indicando la direzione da cui erano giunti. Quentin capì che riferiva dell'arrivo delle navi volanti e che a Obat non piaceva ciò che il nano gli raccontava. Con aria esasperata, Panax si voltò verso l'Highlander. «Gli ho detto che dobbiamo muoverci in fretta» spiegò «e che devono lasciare qui i bagagli. Sarà già difficile riuscire a fuggire con tutta questa gente, e i bagagli ci rallenterebbero, Ma Obat dice che è tutto ciò che la sua gente possiede e che non lo vogliono lasciare.» Il nano si rivolse a Man. «Torna lungo il sentiero con un paio di Rindge e fa' la guardia.» Senza parlare, l'elfo si voltò, fece segno a un paio di Rindge e scomparve con loro in mezzo agli alberi. Panax riprese a parlare con Obat e cercò di nuovo di convincerlo. Questa volta fece alcuni gesti inconfondibili, per indicare quello che sarebbe successo se i Rindge fossero stati troppo lenti. Era rosso in faccia, furibondo, parlava ad alta voce. Obat lo fissava impassibile. "Stiamo sprecando tempo" pensò Quentin. "Tempo che non abbiamo." «Panax» disse. Il nano si voltò. «Di' loro di prendere i bagagli e partire. Non possiamo perdere altro tempo a discutere di questo. Scopriranno da sé se vale la pena di portare quei pesi. Procedete a un passo sopportabile per le donne e i bambini. Lasciatemi una decina di Rindge. Vedrò cosa posso fare per rallentare gli inseguitori.» Il nano lo guardò per un istante, poi annuì. «D'accordo, Highlander, ma rimango anch'io. Niente discussioni. Come dici tu, non ne abbiamo il tempo.» Parlò in fretta a Obat, che si voltò verso i suoi e cominciò a gridare ordini. I Rindge si riunirono subito, con i loro sacchi in spalla. Guidati da un pugno di uomini armati, si avviarono per uno stretto sentiero, in direzione delle montagne, muovendosi in silenzio e con decisione. Quentin si stupì nel constatare la rapidità con cui si mettevano in marcia. Non c'era esitazione, non c'era confusione, tutti parevano sapere cosa dovevano fare. Forse l'avevano già fatto in precedenza, o forse erano assai più preparati di quanto non supponesse Panax. Pochi secondi più tardi, nella radura rimanevano solo Quentin, Panax e una decina di guerrieri Rindge. Anche Obat aveva deciso di fermarsi. Quentin non sapeva se aveva avuto una buona idea, dato che era chiaramente il capo della tribù e la sua perdita poteva risultare disastrosa. Ma la decisione non spettava a lui, perciò non mosse obiezioni. Si voltò a guardare verso le rovine, chiedendosi quanto tempo rimanesse loro prima che i Mwellret e i loro strani segugi li scoprissero. Forse non sarebbe successo così presto come temeva. C'erano altri odori a distrarli, altre piste da seguire. Potevano sceglierne una che li avrebbe portati in una direzione completamente diversa. Ma non credette a questa possibilità neppure per un minuto. Pensò a tutti gli insuccessi che aveva collezionato in quel viaggio dall'Altopiano di Leah, a tutte le occasioni perdute, alle decisioni sbagliate. Era partito con speranze grandissime. Si era creduto
capace di orientare la sua vita e si era sbagliato. Alla fine, era a malapena riuscito a mantenersi a galla nel mare di confusione che lo circondava. Non riusciva neppure a decidere chi salvare con la magia della sua famosa spada: riusciva solo a salvare coloro che per caso gli stavano vicino, e a volte neppure quelli. I Rindge appartenevano a quelli che gli stavano vicino. Poteva lasciarli e proseguire, perché in fin dei conti non avevano nulla a che vedere con lui, con le ragioni che l'avevano portato nella Parkasia e neppure con la sua promessa a Bek. Tutt'al più erano un impaccio. Se voleva avere qualche possibilità di trovare una delle navi e lasciare quella terra, la velocità poteva essere l'elemento che faceva la differenza. Ma dopo l'insuccesso nel salvare Kreshen e Ard Patrinell e nel trovare Bek, sentiva il bisogno di aiutare qualcuno. I Rindge gliene davano l'occasione e non poteva rifiutarla, Non poteva permettere che qualcun altro patisse per colpa sua. Avrebbe fatto il possibile per coloro che gli stavano vicino. Se il destino gli permetteva di aiutare i Rindge, questo doveva bastargli. Panax gli si avvicinò. «E adesso che facciamo, Quentin? Come impediremo a quelle creature di raggiungere la tribù di Obat?» Anche l'Highlander avrebbe voluto saperlo.
9. Quando Ahren Elessedil riprese conoscenza, era disteso sul fianco, in mezzo alle rovine di Castledown, e davanti agli occhi aveva gli stivali di coloro che l'avevano catturato. Aveva le mani legate dietro la schiena e la testa gli doleva per il colpo ricevuto. Anche senza sapere i particolari, capì subito cos'era successo e cadde nella disperazione. Era incappato in una trappola dei Mwellret, preparata per lui e per Ryer Ord Star che cercavano di avanzare tra le rovine. Come poteva essere stato così cieco? Dopo tutta la fatica fatta per recuperare le Pietre Magiche e uscire da Castledown, come poteva essersi lasciato cogliere così di sorpresa? Non c'era risposta a quelle domande. A rivolgersele poteva solo cadere nell'autocommiserazione, e non c'era nulla da guadagnare da essa. Batté un paio di volte le palpebre e cercò di mettersi a sedere, ma un pesante stivale lo spinse di nuovo a terra e si posò sul suo petto. «Piccolo elfo, sssta' dove sssei» disse una voce sibilante. Ahren alzò gli occhi e vide un massiccio mwellret incombere su di lui e annuire. Lo stivale e il mwellret si allontanarono di alcuni passi, ma gli occhi attenti rimasero fissi su di lui. Riusciva a vedere i rettili fermi tutt'attorno, almeno una decina, pesanti corpi avvolti nel mantello, sullo sfondo della luce del mattino, le teste curve tra le spalle robuste, le voci basse e sibilanti che si scambiavano parole. Nessuno di loro pareva impaziente di fare qualcosa o di andare in qualche posto. Parevano in attesa. Il principe cercò di indovinare. La Strega di Ilse doveva essersi inoltrata nelle rovine. Forse era scesa nei sotterranei alla ricerca di Walker. All'improvviso gli tornò in mente Ryer Ord Star, e dalla sua posizione si guardo attorno come meglio poteva, sforzandosi di trovarla. Infine la vide, seduta in uno spazio aperto, sola e senza nessuno che la piantonasse. La fissò a lungo in attesa che lo notasse, ma lei non guardò mai dalla sua parte. Teneva lo sguardo in basso, la faccia ombreggiata dai lunghi capelli chiari. Forse aveva gli occhi chiusi, non si capiva bene. Non era legata e, a differenza di lui, non era controllata da nessun Mwellret. I rettili non parevano preoccupati da suoi eventuali tentativi di fuga. Qualcosa nella situazione di lei lo preoccupava. Non sembrava affatto prigioniera. Continuò a guardarsi attorno, cercando altri membri della compagnia incappati nella stessa malasorte, ma non ne vide. Solo lui e la veggente. Sì spostò senza farsi notare, per vedere cosa gli era sfuggito, ma intorno a lui c'erano solo Mwellret. Poi alzò gli occhi verso il cielo e vide le navi. Sentì un nodo alla gola. Ce n'erano sei... anzi, otto... che si libravano nell'aria a bassa quota, ai margini delle rovine, scure sullo sfondo chiaro del cielo. Erano abbastanza vicine da permettergli di scorgere l'equipaggio fermo sul ponte, i Mwellret che scendevano dalle scale di corda, le carrucole
che calavano a terra animali che si contorcevano, si divincolavano e grugnivano rumorosamente. Non riuscì a vedere bene quelle creature perché erano controluce, durante la discesa erano coperte dalla nave e non appena toccato terra sparivano in mezzo alle rovine. Non capì che animali fossero. Mwellret e navi volanti. Non riusciva a spiegarselo. Da dove erano arrivati, così all'improvviso? Li aveva portati la Strega di Ilse, tenendoli lontano dalla "Black Moclips", nascosti fino al momento in cui avrebbe avuto bisogno di loro? Cercò di capire, ma non arrivò a nulla. Guardò di nuovo Ryer Ord Star. La veggente non aveva spostato gli occhi, non aveva cambiato posizione, non aveva fatto nulla che dimostrasse che era cosciente. Si chiese se fosse in "trance", nel tentativo di collegarsi con Walker. Ma il druido doveva essere spirato, ormai. Era in punto di morte nella camera di estrazione della magia, aveva perso troppo sangue. Walker si era sacrificato per distruggere Antrax. Ryer doveva sapere di non poterlo più raggiungere. Ma allora, cosa stava facendo? Perché non era legata come lui? Attese le risposte, che la donna si aprisse alla sua chiamata mentale, cercò qualche indizio per capire cosa le fosse, successo, ma fu tutto inutile. Poi, tutt'a un tratto, si ricordò delle Pietre Magiche. Era stupito di averle dimenticate, di non essersi ricordato della sola arma che aveva ancora a disposizione. Forse. Se le era infilate nella tunica quando era fuggito dalle rovine, in una tasca sul fianco: c'erano ancora? Non poteva afferrarle con le mani legate, ma poteva capire se erano ancora al loro posto. I Mwellret l'avevano di sicuro perquisito per cercare armi, non le Pietre. Forse non sapevano nemmeno cos'erano. Si guardò attorno in fretta, ma nessuno badava a lui. Si girò sull'altro fianco, muovendosi adagio, cercando di non richiamare l'attenzione. Poi si mosse sulla dura terra, per sentire la pressione delle Pietre Magiche. Non le trovò, e le sue speranze crollarono. Cambiò posizione, per controllare che non fossero in qualche altro punto, ma non le sentì. Le stava ancora cercando quando udì dei passi pesanti accompagnati da voci aspre e profondi brontolii. Il mwellret che l'aveva spinto a terra si chinò subito su di lui, lo tirò in piedi con uno strattone e lo spinse contro una parete. «Adesssso vedi cosssa ti sssuccede, piccolo elfo» mormorò il rettile, prima di voltarsi dall'altra parte. Ahren lanciò una nuova occhiata a Ryer Ord Star. Anche la giovane era in piedi, sempre da sola, e non lo guardava. Aveva le braccia incrociate attorno al corpo sottile e pareva minuscola e fragile. C'era in lei qualcosa che non capiva, e Ryer Ord Star non voleva farglielo sapere. Un gruppo di Mwellret avanzò fino a loro. Due dei più robusti impugnavano le catene fissate al collare di una delle più spaventevoli creature che Ahren avesse mai visto. L'animale tirava le catene come un grosso cane, e dal fondo della gola gli uscivano sordi brontolii. Il corpo ricurvo era dotato di muscoli impressionanti. Aveva braccia e gambe umane, coperte di ispido pelo nero e munite di artigli, spalle enormi, anch'esse coperte di pelo. Il dorso era così lungo e sinuoso da permettere alla creatura di piegarsi su se stessa, mentre si torceva rabbiosa e cercava di mordere le catene. Aveva testa di lupo, mascelle gigantesche e lunghi denti scuri. Il suo aspetto era quello di una creatura nata non per cacciare, ma per uccidere. Quando vide Ahren, si gettò contro di lui, e l'elfo si appiattì contro il muro, impaurito. Una figura alta e ammantata di nero si fece avanti e bloccò la creatura, che indietreggiò subito, accucciandosi. La figura ammantata si voltò e guardò Ahren, che riuscì a malapena a scorgere il viso del nuovo venuto. Forse un tempo era umano, ma adesso era coperto di scaglie grigie simili a quelle dei Mwellret, piatto e privo di espressione. Gli occhi verdi erano due strette fessure e lo fissavano in modo talmente gelido da fargli dimenticare la paura della creatura-lupo. «Cree Bega» chiamò, senza staccare gli occhi da Ahren. Il mwellret che fino a quel momento aveva sorvegliato il principe si avvicinò subito al nuovo venuto. Pur essendo alto e massiccio, sembrava piccolo rispetto a lui. Tuttavia non mostrò alcun
segno di deferenza nei suoi confronti, non gli rivolse cenni del capo o inchini. Si avvicinò e si fermò, con lo sguardo fisso nel suo. «Cree Bega» ripeté l'altro, con una punta di minaccia nella voce. «Perché questo elfo è ancora vivo?» «E' un Elessssedil. Ha la magia delle Pietre Magiche degli Elfi.» «L'hai visto di persona?» Cree Bega scosse la testa. «Me l'ha detto la veggente.» Ahren ebbe l'impressione che la terra gli si aprisse sotto i piedi. Lanciò una rapida occhiata a Ryer Ord Star, ma la giovane aveva un'espressione assente. «E' l'aiutante della Strega» disse a bassa voce la figura avvolta nel mantello, fissando la veggente. «I sssuoi occhi e i sssuoi orecchi sssulla nave degli Elfi» confermò Cree Bega, guardando Ahren. «Ora non più. Adesssso appartiene a noi. Ssserve noi.» Ahren si rifiutò di credere a quelle parole. Ryer Ord Star non avrebbe mai accettato di servire i loro nemici, dopo tutto quello che aveva fatto per liberarsi della Strega di Ilse. L'aveva giurato. Stupito, guardò Cree Bega e il nuovo venuto allontanarsi da lui per raggiungere la veggente. Piegato su di lei, l'uomo avvolto nel mantello cominciò a parlarle. La voce era troppo debole perché Ahren potesse distinguere le parole, ma Ryer Ord Star annuì e rispose. La conversazione durò solo qualche minuto, ma era chiaro che era stato raggiunto qualche tipo di accordo. Ahren si premette i gomiti contro i fianchi, e li mosse avanti e indietro, facendo forza contro le corde che gli legavano i polsi e cercando nello stesso tempo di determinare se le Pietre Magiche erano davvero sparite. Gli pareva di sì: non c'era traccia della loro presenza. Accanto a lui, la bestia incatenata ringhiò e aprì le mandibole, cercando di sciogliersi. Era tutta muscoli, denti e artigli e dava l'impressione di potersi liberare da un momento all'altro. Ahren s'immobilizzò all'istante e fissò l'animale negli occhi. Con sorpresa notò che erano quasi umani. La figura avvolta nel mantello tornò sui suoi passi e si fermò davanti al principe. «Io sono il Morgawr» disse, con voce bassa e stranamente gentile, come per rassicurare Ahren sulla sua amicizia. «Hai sentito parlare di me?» Ahren annuì. «Come ti chiami?» «Ahren Elessedil» rispose, perché non aveva ragione di nasconderlo. «L'ultimogenito di Allardon Elessedil, vero? Perché tuo fratello non è qui?» «Mio fratello ha voluto mandare me al posto suo. Voleva la presenza di un Elessedil, ma non la sua.» Il Morgawr annuì. «Mi dicono che puoi evocare la magia delle Pietre, quelle che Kael Elessedil ha portato con sé trent'anni fa nel suo viaggio. E' vero?» Ahren annuì e sentì crescere dentro di sé il disappunto. Ryer Ord Star l'aveva tradito. Rimpianse di essersi fidato di lei e di non averla lasciata nelle catacombe di Castledown. «Dove sono adesso le Pietre?» chiese il Morgawr. La domanda stupì talmente Ahren che per un momento rimase a bocca aperta. Aveva dato per scontato che gliele avessero tolte i Mwellret mentre era privo di sensi. Che non gliele avessero tolte? Le aveva ancora con sé? Tuttavia, doveva dare una risposta al Morgawr, perciò disse: «Non ne ho idea». Era la verità. E per lui fu un bene, perché vide che il Morgawr glielo leggeva negli occhi. La strana creatura conosceva le Pietre, ma non sapeva dov'erano. Come poteva essere? Ahren le aveva con sé all'uscita di Castledown. Quando era stato colpito, erano nascoste nella sua tasca. Le aveva forse prese Cree Bega per tenersele? Lui o uno degli altri Mwellret? Avrebbero osato sfidare il loro padrone? Il Morgawr allungò un dito coperto di scaglie e gli toccò la guancia. «Ti lascio la vita perché la veggente mi assicura che userai le Pietre Magiche quando le avrò trovate. La veggente non mi ha mentito, vero?» Ahren respirò a fondo, lottando contro la paura e la collera. «No.»
«Io sono il maestro della Strega di Ilse. Le ho insegnato le mie conoscenze e le ho assicurato la mia protezione. Ma lei mi ha tradito. Ha cercato la magia di Castledown con l'intenzione di tenerla per sé. Perciò sono venuto a eliminarla. Tu e la veggente mi aiuterete a trovarla. La Strega ha molto talento, ma non può sfuggire alla luce delle Pietre Magiche. E non può neppure spezzare il suo collegamento con la veggente. Lei l'ha creato per seguire il druido e la sua nave volante, ora noi ne approfitteremo per seguire lei. Uno di voi mi permetterà di trovare la Strega. Se mi darete il vostro aiuto, vi libererò una volta eliminata la Strega.» Ahren non gli credette neppure per un istante, ma tenne ferma la lingua. Gli occhi penetranti si fissarono su di lui. «Dovresti rallegrarti della mia offerta.» Ahren annuì. Anche se era confuso per la scomparsa delle Pietre Magiche, sapeva quale doveva essere la risposta, «Farò tutto quello che potrò» promise. Il Morgawr staccò il dito dal suo viso. «Bene. La Strega di Ilse è scesa nei sotterranei per cercare il druido. La veggente dice che l'avete lasciato laggiù in fin di vita. Anche l'entità che custodisce queste rovine è in fin di vita, perciò non abbiamo nulla da temere. Voi due ci guiderete là sotto.» Ahren sentì un brivido corrergli per la schiena. Non avrebbe voluto tornare all'interno di Castledown per nulla al mondo, tanto meno per aiutare il Morgawr. Ma sapeva che se avesse rifiutato, quella strana creatura l'avrebbe costretto comunque a scendere, e poi l'avrebbe controllato molto più attentamente. Sempre che non si limitassero a ucciderlo per farla finita con lui. Meglio fare quello che gli veniva chiesto e obbedire al Morgawr. Antrax stava morendo, quando lui e Ryer Ord Star si erano allontanati dal druido, e ormai doveva essere morto come Walker. Che rischi poteva correre, recandosi un'ultima volta nelle catacombe? Tuttavia l'idea continuava a non piacergli. Lanciò un'occhiata a Ryer Ord Star, dall'altra parte della strada, ma la giovane guardava di nuovo in basso, la faccia persa nell'ombra dei lunghi capelli. La veggente aveva già accettato, ovviamente. Nell'allearsi al Morgawr e ai Mwellret aveva promesso di sicuro di aiutarli a trovare la Strega di Ilse. Aveva tutte le ragioni di odiare la Strega, ma non ne aveva nemmeno una di recare danno ad Ahren e al gruppo della "Jerle Shannara". Non capiva che il Morgawr e i Mwellret non meritavano alcuna fiducia, proprio come la Strega? Stentava a credere che si fosse compromessa fino a quel punto. «Liberalo» ordinò il Morgawr a Cree Bega, con un tono di voce che voleva essere rassicurante. Il mwellret tagliò la corda che legava i polsi del principe e Ahren si massaggiò le braccia per riattivare la circolazione. Nel mettersi in ordine i vestiti, cercò un'ultima volta le Pietre, pensando che forse erano scivolate all'interno della tunica. Si passò rapidamente le mani lungo i fianchi, ma non trovò nulla. Le Pietre Magiche erano sparite. Il Morgawr si allontanò, fece segno ad Ahren di seguirlo, indicò a Cree Bega di affiancarsi a Ryer Ord Star e diede istruzioni agli altri Mwellret. Ahren si avviò senza esitare, continuando a massaggiarsi i polsi e pensando già al modo di fuggire. L'avrebbe trovato, promise a se stesso. Non intendeva prendere parte a quelle ricerche per più dello stretto indispensabile. Alla prima occasione, avrebbe lasciato il Morgawr e i suoi rettili e continuato a cercare gli amici scomparsi. Lanciò un'occhiata a Ryer Ord Star, che camminava davanti a lui e continuava a non guardarlo. Fece per raggiungerla, ma il Morgawr gli bloccò subito la strada. «Non pensare che dopo averti liberato non ti controlli» gli disse piano, avvicinandosi. «Al primo tentativo di fuga, dirò al caullo di cercarti.» Indicò l'animale simile a un lupo che era passato in testa al gruppo e tirava così forte le catene da trascinarsi dietro i due Mwellret che lo tenevano. «Niente segreti, niente trucchi, niente stupidaggini, principe degli Elfi» avvertì il Morgawr, nel suo tono tranquillo. «Capito?» Ahren annuì, senza staccare gli occhi dal caullo. Il Morgawr toccò di nuovo la faccia di Ahren, con il gesto carezzevole di prima. «No, non hai ancora capito bene. Ma capirai. Me ne assicurerò di persona.» Si allontanò da lui e Ahren si sfregò la guancia per cancellare la sgradevole sensazione del tocco di quella mano coperta di scaglie. Non aveva idea di come fuggire, ma sapeva una cosa: doveva
trovare un modo a prova di errore, perché avrebbe avuto una sola possibilità. Tuttavia non riusciva a immaginare dove trovare quella possibilità se non fosse riuscito a riavere le Pietre Magiche. Il ricordo delle emozioni provate quando aveva maneggiato la loro magia era troppo forte. Trovarle e usare il loro potere l'aveva trasformato. Si era redento, almeno ai propri occhi, della codardia di cui aveva dato prova durante la battaglia nelle rovine, e nel farlo aveva incominciato a vedere l'uomo che si proponeva di diventare. Aveva dato prova di coraggio e di forza di volontà e non voleva perderli. Ma senza le Pietre Magiche, temeva di non poterli conservare. I suoi occhi si volsero al cielo, dove le navi volanti continuavano a librarsi sullo sfondo dell'orizzonte. A occidente, il cielo era nero e gonfio di nubi che parevano rotolare nella loro direzione. La temperatura scendeva: stava arrivando una tempesta, e si annunciava molto forte. Si addentrarono sempre più in profondità nelle rovine, nella direzione da cui erano giunti. Il caullo e i due Mwellret che lo tenevano aprivano la strada, Ryer Ord Star e il Morgawr li seguivano a poca distanza, sussurrando tra loro come se fossero uniti da una meta comune. Cree Bega spingeva Ahren perché li raggiungesse, perché desse loro l'aiuto che poteva. Il principe degli Elfi lasciò da parte le sue riflessioni e accelerò l'andatura finché non fu alle spalle della veggente, poi seguì i suoi passi, tanto vicino da poterla toccare. "Guardami" pensò. "Di' qualcosa!" Ma lei non si girò. A tutti gli effetti, per la veggente era come se Ahren non esistesse. Il principe non riusciva a sfuggire alla convinzione che lo ignorasse di proposito: provava un senso di colpa così forte per averlo tradito? Pareva che avesse rinnegato tutte le buone intenzioni manifestate dopo averlo incontrato e fosse ridiventata la creatura che era stata al servizio della Strega. Pareva che il suo senso della lealtà fosse morto con Walker. Il giovane principe non riusciva a capire. Poi la veggente indicò qualcosa al Morgawr, in mezzo alle rovine, e mentre il mago si girava a guardare, lei perse l'equilibrio e cadde all'indietro, finendo addosso ad Ahren. Lui la afferrò d'istinto e la tenne in piedi. Senza guardarlo, Ryer Ord Star si raddrizzò e lo allontanò da sé. Tutto avvenne in un paio di secondi, poi ripresero il cammino come prima, Ryer accanto al Morgawr, Cree Bega e ì suoi Mwellret tutt'intorno. Ma in quei pochi istanti, mentre era addosso a lui, Ryer gli aveva sussurrato alcune parole, distinte e inconfondibili: «Fidati di me».
10. A meno di un quarto di miglio di distanza, Bek Ohmsford era accovacciato in un nascondiglio immerso nell'ombra formato dall'unione di due pareti sbrecciate e attendeva che Truls Rohk tornasse. Udiva avvicinarsi i Mwellret e coloro che li accompagnavano, udiva le loro voci e il rumore dei loro stivali: suoni che arrivavano chiari fino a lui nel silenzio del mattino. Aveva già notato le navi che si libravano in lontananza sulle rovine, masse scure e alberi privi di insegne e di bandiere. Aveva visto sbarcare Mwellret e creature simili al caullo usato da sua sorella per dare la caccia a lui e al cambiatore di forma. Sapeva di essere in pericolo. Truls Rohk era andato a guardare cosa stava succedendo. Non era ancora tornato. Bek strinse a sé Grianne e la guardò per assicurarsi che tutto fosse a posto. O, meglio, per assicurarsi che niente fosse cambiato. Era accucciata accanto a lui nell'oscurità, lo sguardo perso nel vuoto. Il suo pallido viso aveva un aspetto spettrale nell'oscurità e i suoi strani occhi azzurri erano vuoti e fissi. Obbediva ai suoi ordini, ma era inconsapevole di ciò che la circondava. Non parlava, non lo guardava e non reagiva a ciò che stava succedendo. Bek non sapeva granché sullo stato di catatonia, non sapeva come liberarla da quella condizione, ma pensava che avesse sofferto un grande dolore emotivo o psicologico e che questa fosse la ragione del suo ripiegamento in se stessa. Avrebbe ripreso conoscenza una volta pronta a farlo, aveva detto Walker. Ma dopo averla osservata per molte ore camminando con lei, cominciava a perdere la fiducia. «Grianne» disse a bassa voce.
Alzò la mano libera e le sfiorò la guancia, facendo scorrere le dita sulla pelle liscia. Lei non reagì. Rimpianse di non poter fare di più. Poteva solo immaginare quanto le fosse costato affrontare la verità su se stessa. La magia della Spada di Shannara aveva sollevato il velo di bugie e di inganni lasciando passare la luce che lei aveva tenuto lontana per tanto tempo. Essere costretti a guardare se stessi, quando si sono commesse tante atrocità, tante azioni terribili e scellerate, doveva essere insopportabile. Non c'era da stupirsi che si fosse ritirata così in profondità dentro se stessa. Ma come aiutarla senza prima lasciare quel luogo? Truls Rohk non condivideva l'idea di aiutarla. Il cambiatore di forma non la giudicava diversa da prima, a parte il fatto che era inerme e per il momento non li minacciava. Ma la vedeva anche come un vulcano addormentato. Una volta che si fosse svegliata, nulla assicurava che non esplodesse di nuovo in un accesso di rabbia omicida. Nulla garantiva che la magia della Spada lo impedisse, nulla assicurava che adesso Grianne fosse diversa da prima. Non avevano alcuna certezza che non tornasse a essere la Strega di Ilse. Anzi, tutto faceva pensare che sarebbe successo proprio questo. Bek aveva deciso di non accennare a quel particolare. Mentre risalivano i corridoi di Castledown per tornare in superficie, non ne aveva parlato. Walker aveva affidato loro un incarico: prendersi cura di Grianne a qualunque prezzo, riportarla a casa, accettare che era importante per qualche ragione a loro sconosciuta. Non contava nulla ciò che pensavano lui o Truls Rohk. Il druido si era fatto promettere di proteggerla e il cambiatore di forma aveva promesso. Che gli piacesse o no, Truls Rohk era adesso legato dalla propria parola. Nonostante questo, Bek aveva preferito evitare l'argomento. Se il druido non era riuscito a convincere Truls Rohk a cambiare idea su Grianne neppure in punto di morte, era assai difficile che potesse riuscirci lui. Almeno, non nell'immediato futuro. Forse col tempo. Per ora doveva trovare il modo di rimanere in vita. Respirò a fondo per riprendere la padronanza di sé e vincere il panico che l'aveva colto a quel pensiero. Erano riusciti a liberarsi da una trappola e adesso si trovavano ad affrontarne un'altra. Antrax, i granchi meccanici e i fili di fuoco non c'erano più, ma dovevano affrontare una flotta di navi nemiche cariche di Mwellret. Che i nuovi venuti fossero in qualche modo alleati di sua sorella era una conclusione inevitabile: era una coincidenza troppo rilevante per pensare che fossero giunti per qualche altro motivo. Cree Bega doveva essersi incontrato con i nuovi venuti e doveva averli avvertiti della presenza di Bek. Perciò adesso cercavano lui e chi l'aveva fatto fuggire dalla "Black Moclips". Se fosse rimasto ancora a lungo in quel nascondiglio, l'avrebbero trovato. Truls Rohk avrebbe fatto bene a sbrigarsi. Come se gli avesse letto nel pensiero, il cambiatore di forma si materializzò davanti a lui, dall'altra parte della strada, e fendette la luce come un fantasma, più nero dell'ombra da cui usciva. Con uno svolazzo dell'ampio mantello che lo nascondeva, si accucciò accanto al ragazzo. «Nuovi guai» spiegò. «Quelle navi sono comandate dal Morgawr. Ha portato Mwellret, caulli e uomini che sembrano marionette. Oltre alle navi che vediamo, almeno un'altra decina è partita all'inseguimento della "Jerle Shannara" e della "Black Moclips".» «La "Black Moclips"?», chiese Bek, confuso. «Non chiederlo a me, ragazzo. Non so cos'è successo a bordo di quella nave dopo la nostra fuga, ma pare che i rettili ne abbiano perso il controllo. Qualcun altro è salito a bordo e se n'è impadronito, portandola via sotto il loro naso. Una buona notizia per noi, forse. Ma non credo che possa fare molta differenza, in questo momento.» All'improvviso, Bek sentì avvicinarsi i rumori degli inseguitori; si costrinse a rimanere calmo. «Allora» chiese «ci stanno dando la caccia, seguono la nostra pista servendosi dei nuovi caulli?» Truls Rohk rise. «Non potresti essere più in errore! Non s'interessano di noi! Cercano la Strega! Il Morgawr sì è convinto che lei vuole tenersi la magia di Castledown, o quanto meno pensa che sia troppo pericolosa e non si fida più di lei. E' venuto a impadronirsi della magia e a eliminare la Strega. Non si rende conto che non c'è nessuna magia di cui impadronirsi, e che la Strega si è già eliminata da sola! Un bello scherzo. Spreca solo il suo tempo, e nemmeno se ne accorge.»
La testa incappucciata si voltò verso Grianne. «Guardala. E' morta come se avesse smesso di respirare. Il druido pensava che lei avesse uno scopo in tutto questo, ma ho l'impressione che fosse già troppo vicino alla morte e che ormai sragionasse. Voleva che da questo viaggio venisse fuori qualcosa di utile, qualcosa che giustificasse le morti e le altre perdite che ci è costato. Ma era solo un desiderio. Quando ha distrutto Antrax, ha distrutto ciò che era venuto a cercare. I libri del Vecchio Mondo sono perduti, e qui non c'è altro!» «Forse siamo incapaci di vederlo» suggerì Bek. Udiva il caullo ringhiare sempre più vicino. «Truls, dobbiamo andar via.» «Certo, ragazzo, dobbiamo andare.» Dall'ombra del cappuccio, due occhi brillarono come pietre dure in mezzo alla nebbia e a frammenti di materia. «Ma non è necessario portare lei.» Indicò Grianne. «Lasciala al Morgawr. Lascia che ne faccia quello che vuole. Non si preoccuperà di noi, se gliela lasceremo. E' lei che vuole.» «No» disse subito Bek. «Se la portiamo con noi, continueranno a inseguirci, al di là dei monti, dovunque andremo, in qualunque nascondiglio. Come ci ha trovato lei, così ci troveranno loro. Presto o tardi. E' una pietra al collo e non abbiamo il dovere di portarla.» «Abbiamo promesso a Walker di proteggerla!» osservò Bek. «Gliel'abbiamo promesso perché potesse morire in pace» sbuffò Truls Rohk. «Ma è stata una promessa insensata e pronunciata solo per quella ragione. Non abbiamo bisogno di lei. Non ci serve a niente e non sarà mai più utile a nessuno. La sua stessa natura l'ha distrutta. Non è tua sorella rinata e tornata a te, non ci sarà un felice ricongiungimento familiare. Pensare a qualcosa di diverso è un'illusione.» Bek scosse la testa. «Io non l'abbandono. Tu fa' quello che vuoi.» Per un istante, Bek pensò che Truls Rohk intendesse seguire il suggerimento. Il cambiatore di forma si immobilizzò come le ombre di una notte senza vento, tutto cupa presenza e minaccia. Bek sentiva la tensione in lui, una sorta di suono che era come la vibrazione della corda di un arco pronta a scoccare. «Continui a creare guai» mormorò Truls Rohk. «Non sei capace di comportarti in maniera razionale?» Bek per poco non scoppiò a ridere a quelle parole, pronunciate con grande serietà ma piene d'ironia. Scosse lentamente la testa. «E' mia sorella, Truls. Non ha nessun altro ad aiutarla.» «Ti deluderà. Le cose non andranno come pensi.» Bek non cedette. «Non credo. Finora, niente è andato come si pensava.» Continuò a fissare il cambiatore di forma mentre i rumori si facevano più vicini. «Possiamo andare, adesso?» Truls Rohk lo fissò per un istante, come per cercare di decidere. Poi sì avvicinò: una figura nera come l'inchiostro anche nel chiarore del mattino. Sollevò Grianne come una bambola di stracci e se la infilò sotto un braccio. «Cerca di non rimanere indietro, ragazzo» disse. «Portare uno di voi è già abbastanza faticoso.» Salì in cima ai resti di un muro e cominciò a muoversi su di esso come un funambolo in una fiera paesana, curvo su se stesso e velocissimo. Bek sentiva ancora il calore della mano della sorella. Guardò per un momento il cambiatore di forma, poi si affrettò a seguirlo. Ahren Elessedil ascoltava con crescente preoccupazione il ringhiare del caullo che guidava più in profondità nelle rovine il gruppo del Morgawr e che diventava sempre più impaziente. Aveva trovato qualcosa, era chiaro, una traccia che avrebbe voluto seguire. I due Mwellret che lo tenevano, però, non l'avevano lasciato andare. Lo stesso Morgawr non prestava molta attenzione all'animale: era concentrato su Ryer Ord Star mentre camminavano vicini, immersi di nuovo in una fitta conversazione. Cosa gli diceva? Il giovane principe era incoraggiato dalle parole che gli aveva bisbigliato, ma guardava con sospetto il suo comportamento. Gli aveva chiesto di fidarsi di lei, ma non aveva fatto nulla per meritarsi quella fiducia, Ahren si era detto che forse voleva portare il
gruppo nella direzione sbagliata, ma Ryer Ord Star stava dirigendosi verso l'ingresso che portava al luogo dove avevano lasciato Walker. A quanto pareva, la veggente aveva deciso di aiutare il Morgawr, e il principe faticava sempre più a convincersi che doveva avere fiducia in lei. Adesso procedevano più in fretta e si avvicinavano all'apertura che conduceva nel sottosuolo. A giudicare dai suoni che giungevano dal caullo, che, il muso abbassato contro il terreno, strattonava le catene, la persona che cercavano era passata di recente da quelle parti. Si chiese per qualche istante se il caullo non avesse fiutato il loro odore, ma in tal caso la bestia sarebbe stata veramente troppo stupida. Dato che il Morgawr cercava la Strega di Ilse, il caullo fiutava di sicuro la sua pista. La Strega poteva essere entrata in Castledown per la stessa strada percorsa da Ahren e Ryer Ord Star, ma non era riuscita a trovarli, nelle catacombe. Entrarono nei sotterranei guardandosi attorno con cautela. Appena dentro si scorgevano cumuli di granchi meccanici immobili. Le lampade senza fiamma ardevano ancora e davano alle pareti un colore giallognolo, ma a ogni buon conto i Mwellret accesero alcune torce. La loro luce tremolante conferiva ai corridoi vuoti un aspetto irreale, pieno di ombre in movimento, mentre il gruppo scendeva all'interno della terra. Varie volte Ahren fu tentato di fuggire, ma la paura e il buonsenso lo trattennero dall'agire d'impulso. Doveva aspettare occasioni migliori, e saperne di più sulle intenzioni di Ryer Ord Star. Doveva anche scoprire dov'erano le Pietre Magiche, e tentare di riprenderle. Fino a quel momento non vi aveva riflettuto, ma adesso era giunto alla conclusione che non sarebbe tornato alle Quattro Terre senza di esse. In quel momento era ambizioso da parte sua pensare di poter tornare a casa, ma non poté farne a meno. Era un modo per non pensare al pericolo che correva. Se non si fosse concentrato su qualcos'altro, il suo vacillante coraggio sarebbe franato del tutto. Camminarono a lungo, percorrendo corridoi nei quali erano passati lui e Ryer Ord Star scendendo nei sotterranei. In lontananza si udiva di tanto in tanto qualche rumore, ma nulla venne a ostacolarli. Antrax e Castledown erano tornati indietro nel tempo per unirsi al resto del Vecchio Mondo, erano morti e perduti. Quando raggiunsero la cavernosa sala dove era annidato il potere di Antrax, la trovarono vuota. Walker era sparito, ma sul pavimento di metallo si scorgevano le macchie scure del suo sangue. Tutta la sala era piena di pezzi di metallo contorto e di cavi metallici strappati, e dai serbatoi colavano liquidi densi. Eccitato dal sangue e dagli odori che aleggiavano nell'aria, il caullo tirava le catene ora da una parte ora dall'altra, ma nella sala non c'era nessuno. Il Morgawr perlustrò l'ambiente esaminando con attenzione ogni cosa, staccandosi dal resto del gruppo. Toccò i granchi, si portò accanto ai due enormi cilindri e infine entrò nella camera di estrazione e vi rimase a lungo, da solo. Ahren osservò tutti coloro che lo accompagnavano, ma soprattutto Ryer Ord Star. La veggente era a pochi passi da lui e fissava nel vuoto, senza mai voltarsi dalla sua parte. Forse si era accorta che il principe la guardava, ma non lo mostrò. Quando ebbe terminato l'esame, il Morgawr uscì dalla sala di estrazione e con uno sbuffo irritato allontanò Cree Bega. Il caullo riprese a fiutare, tirando le catene, e il gruppo ripartì in una direzione diversa. Ahren capì che la Strega di Ilse era stata nella sala. Nessuno gliel'aveva detto, ma il comportamento del Morgawr nell'avviarsi in quella nuova direzione era eloquente. Forse l'avevano mancata per pochi istanti. Si chiese cos'era successo a Walker. Ammesso che la Strega l'avesse trovato, non era abbastanza forte per portarlo via. Ebbe la risposta poco più tardi. Percorsero il labirinto di corridoi pieni di macerie fino a giungere a un'ampia caverna con un lago sotterraneo. Illuminata dalla tenue fosforescenza irradiata dalle rocce, una scia di sangue portava fino in riva all'acqua, dove formava una grossa macchia sulla riva. Poi scompariva. La superficie del lago era liscia e perfettamente immobile. Non si scorgeva traccia di Walker. Il Morgawr fissò per qualche istante la superficie del lago e si avvolse più stretto nel mantello nero. Nessuno cercò di avvicinarsi a lui, nessuno osò parlare.
«Via tutti» disse infine. Si affrettarono a obbedire e Ahren vide le braccia scagliose del Morgawr uscire dal mantello e muoversi rapide, tracciando immagini o simboli nell'aria. Dalle punte delle sue dita usciva una luce verdastra, che lasciava segni di fuoco color dello smeraldo. Nel silenzio della caverna si levò il brusio di un vento fantasma, e dal fondo del lago si alzò un sibilo basso, minaccioso: pareva più un avvertimento che una risposta all'evocazione del Morgawr. Il mago continuò però a lanciare la sua evocazione, mentre il mantello gli sbatteva contro il corpo scuro e nell'acqua si producevano esplosioni improvvise che provocavano altri spruzzi. Cominciarono ad apparire immagini vaghe, ombre proiettate nell'oscurità dalla luce della sua magia. Che comparivano per scomparire subito dopo. Ahren non capì chi o che cosa fossero, non era neppure certo di ciò che gli dicevano i suoi sensi. Una volta gli parve di udire voci, rochi sussurri che si alzavano e ricadevano come gli spruzzi del lago. Una volta fu certo di avere udito un grido. Poi il vento divenne più forte e le torce si spensero. I Mwellret indietreggiarono di qualche passo, raccogliendosi all'ingresso della caverna. Ahren andò con loro. Solo Ryer Ord Star rimase ferma al suo posto, a testa alta, un'espressione fiera sul viso, gli occhi fissi sull'oscurità al di là del lago. Anche lei vedeva qualcosa, pensò Ahren, forse quelle strane immagini, forse qualcosa di completamente diverso. Infine il Morgawr terminò di muovere le mani, il vento e il rumore si smorzarono e il lago tornò immobile. Il mago si allontanò dalla riva e raggiunse i Mwellret fermi accanto all'ingresso della caverna, rivolgendo un cenno alla veggente perché andasse con lui. Obbediente, lei si voltò e lo seguì. «Il druido è morto» li informò, passando accanto a loro. Nel sentir pronunciare quelle parole, la loro realtà colpì Ahren con tutta la sua forza. Rimase senza fiato, e all'improvviso gli parve che le speranze di uscire da quel luogo terribile, di lasciare quel continente selvaggio, venissero bruscamente soffocate. Il Morgawr lo guardava per valutare la sua reazione. «La nostra piccola Strega di Ilse, invece, è ancora viva.» Continuò a fissare minaccioso Ahren. «E' stata qui e poi se n'è andata, e non è sola. E' con quel ragazzo che hai lasciato scappare dalla "Black Moclips", Cree Bega, e insieme a loro c'è qualcun altro, qualcuno a cui non saprei dare un nome.» Fece una pausa. «Tu sapresti darglielo, principe degli Elfi?» Ahren scosse la testa. Non aveva idea di chi fosse con Bek, se non era Kreshen o un altro degli Elfi. Il Morgawr gli si avvicinò e gli toccò la guancia. A quel contatto, l'aria della caverna divenne più fredda, il silenzio si fece più profondo. Ahren s'impose di non muoversi, di allontanare la paura e la repulsione che quel contatto suscitava in lui. Il contatto indugiò per qualche istante e poi si ritrasse come una goccia di sudore che scivoli via. «Hanno trasportato il druido qui, in riva all'acqua, e hanno lasciato che se lo prendessero le ombre dei suoi antenati» disse il Morgawr, con visibile soddisfazione. «E così è stato, a quanto pare. Hanno portato il suo corpo nelle acque di quel lago. Walker non c'è più. I Druidi sono finiti. Dopo tanti anni, sono finiti tutti.» Staccò lo sguardo da Ahren. «Rimane solo la Strega» mormorò, quasi parlando a se stesso. «Tuttavia potrebbe essere meno pericolosa di un tempo. C'è qualcosa di anormale in lei. Lo sento nel modo in cui si muove, nel modo in cui si lascia guidare dagli altri due. Non sembra più lei. Mentre studiavo le tracce del suo passaggio, sembrava che dormisse.» «La Ssstrega finge» commentò Cree Bega. «Cerca di confonderci.» Il Morgawr annuì. «Può darsi. E' astuta. Ma che ragione avrebbe per farlo? Non sa ancora della mia presenza. Non sa che sono venuto a cercarla. Non ha motivo di nascondersi. Eppure è fuggita. Dove?» Per qualche istante, nessuno parlò. Anche il caullo aveva smesso di ringhiare. Accucciato sul pavimento della caverna, la grossa testa abbassata, gli occhi selvaggi ridotti a strette fessure, attendeva gli ordini.
«Forssse è sssulla nave» suggerì Cree Bega. «La "Black Moclips" è in mano ai nostri nemici» rispose il Morgawr. «Cercheranno di evitare la Strega, Cree Bega. Inoltre non ha avuto il tempo di raggiungerli prima che fuggissero da noi. No, è qui attorno, con il ragazzo e con colui che lo accompagna, colui che l'ha salvato sulla nave. E' qui attorno, e non molto lontano.» Si voltò di nuovo di scatto verso Ahren, e questa volta il tono di minaccia della sua voce fu così forte da gelare il ragazzo. «Dove sono le Pietre Magiche, principe degli Elfi?» sussurrò. La domanda colse Ahren di sorpresa. Fissò il Morgawr senza riuscire a parlare. «Poco tempo fa le avevi, vero?» Le parole colpirono il ragazzo come pugni. «Le hai usate in quella sala dove il druido è stato ferito a morte. Tu c'eri e hai cercato di salvarlo. Pensavi che non me ne fossi accorto? Ho sentito subito la magia delle Pietre, ho trovato tracce dei suoi residui nell'odore e nel sapore dell'aria. Dove sono, ragazzo?» «Non lo so» rispose Ahren, incapace di dargli una risposta migliore. Il Morgawr sorrise a Cree Bega. «L'hai perquisito?» «Certo, è ovvio» rispose il mwellret, con una scrollata di spalle. «Il piccolo elfo non le aveva.» «Forse le ha nascoste.» «Non ne ha avuto il tempo. Forssse le ha perssse.» Il Morgawr riflette per qualche istante. «No. Le ha qualcun altro.» Spostò subito lo sguardo su Ryer Ord Star. «La nostra piccola e taciturna veggente?» Cree Bega brontolò: «Ho perquisssito anche lei. Non aveva pietre». «Allora le ha la piccola Strega. O il ragazzo che è con lei.» Fece una pausa e concluse: «Oppure il druido le ha portate con sé nell'altro mondo e nessuno le rivedrà mai più». Non pareva che la cosa lo preoccupasse. Anzi, pareva non dare alcun peso alla perdita. Ahren lo vide lanciare un'ultima occhiata al lago sotterraneo. Poi quegli occhi penetranti tornarono a fissarlo. «Ragazzo, non ho più bisogno di te.» La grotta divenne così immobile da sembrare occupata soltanto da morti. Perfino coloro che assistevano sembravano diventati di pietra. Ahren sentiva il proprio cuore battere all'impazzata, il rantolo del proprio respiro nella gola. «Forse ha ancora una sua utilità» disse all'improvviso la veggente. Tutti si voltarono a guardarla, ma lei fissava il Morgawr. «Il druido ha portato il principe in questo viaggio» spiegò «perché suo fratello, il re, ha insistito, ma anche perché il druido conosceva la sua importanza. L'ho visto in una visione. Un giorno Ahren Elessedil sarà il re degli Elfi,» S'interruppe per qualche istante e infine concluse: «Forse, con il giusto addestramento, potrebbe diventare il tuo re». Ahren non aveva mai saputo niente di simile, e non gli piaceva sentirlo dire ora, soprattutto con i sottintesi che la veggente vi aveva messo. Così grande fu il suo stupore che si limitò a fissarla, senza cercare di nascondere quello che pensava: una somma di emozioni tanto forte che riusciva a trattenerle a fatica. «Fidati di me» gli aveva sussurrato. Ma che motivo aveva per farlo? Il Morgawr parve riflettere su quelle parole, poi annuì. «Possibile.» Fece un gesto vago verso la giovane. «Tu cerchi di dimostrare il tuo merito condividendo quello che sai, piccola veggente. Approvo.» I suoi occhi si posarono di nuovo su Ahren. «Verrai con me. Farai quello che potrai per aiutarmi nella mia ricerca. Insieme seguiremo la piccola Strega. Dovunque vada, noi la troveremo. La ricerca finirà presto, e allora deciderò cosa fare di te.» Guardò Cree Bega. «Portalo con noi.» Poi fece segno al caullo di alzarsi, diede alcuni ordini ai due Mwellret che tenevano le sue catene e li inviò di nuovo nel corridoio. Prese per un braccio Ryer Ord Star e li seguì, ignorando Ahren. Vedendo che il ragazzo non si muoveva, Cree Bega gli diede una manata sul collo che lo mandò, incespicando, dietro il mago. «Il piccolo elfo deve fare come ordinato!» gli disse con malevolenza.
Senza proferir parola, Ahren lo seguì in preda alla collera. Redden Alt Mer si portò a poppa della "Jerle Shannara" per osservare la "Black Moclips". La nave faticava ad allontanarsi dalla tempesta in arrivo, il suo scafo corazzato oscillava e sobbalzava come un grosso tronco preso dalle rapide. La tempesta era una parete nera che giungeva dalla costa: una massa imponente di nubi squarciata da lampi e spinta da venti che soffiavano a più di cinquanta nodi. Little Red faceva del suo meglio per pilotare la nave da sola, ma il compito sarebbe stato difficile anche in condizioni normali. In quelle attuali era impossibile. Anche se avesse raggiunto la relativa sicurezza delle montagne, non era detto che trovasse un rifugio prima della fine della tempesta. Far atterrare una nave nel mezzo di una catena montuosa, tra correnti ascendenti e pareti di roccia, era difficile in qualsiasi caso. In una tempesta del genere sarebbe stato estremamente pericoloso. Dietro la "Black Moclips" c'era almeno una decina di navi nemiche che le davano la caccia. Redden Alt Mer aveva pensato di liberarsene all'avvicinarsi della tempesta, ma si era sbagliato. Fin dal mattino precedente aveva cercato in ogni modo di togliersele di torno, ma nessuno dei suoi espedienti aveva funzionato. Ogni volta che gli era parso di essersele lasciate alle spalle, le navi erano ricomparse dal nulla. Non si aspettava che ci riuscissero. Nessuno avrebbe dovuto trovare con tanta facilità la "Jerle Shannara", men che meno quelle navi, con il loro equipaggio di morti viventi e di Mwellret inesperti di navigazione. Dovevano avere qualche sistema per rintracciarlo, un sistema che non era riuscito a individuare. Era meglio che ci riuscisse presto. Quando erano stati costretti a fuggire, le riparazioni alla "Jerle Shannara" non erano state completate, e il sovraccarico sui cristalli di diapso minacciava di staccare i tubi radianti e riduceva il margine di sicurezza. Inoltre, la manovrabilità della nave era inferiore al dovuto. Anche se la "Jerle Shannara" era la nave più veloce, al minimo guasto gli inseguitori li avrebbero raggiunti prima che si potesse rimediare. Per finire, nessuno aveva dormito per più di un paio d'ore dal momento della brusca partenza e tutti erano esausti. La stanchezza porta a commettere errori, e ne sarebbe bastato uno perché perdessero la nave e la vita. Provò a tirare il tubo radiante di babordo, ne regolò la tensione e tornò a guardare la "Black Moclips". Faticava a navigare e perdeva terreno. I Cavalieri del Wing Hove volavano al suo fianco e rassicuravano Little Red con la loro presenza, ma i due Elfi non le erano di alcun aiuto nella conduzione della nave, Po Kelles era volato fino alla "Jerle Shannara" per riferire ciò che Little Red aveva fatto, e all'inizio Alt Mer si era esaltato. Avevano la nave della Strega oltre alla loro, due possibilità di uscire da quello sventurato continente. Ma l'avvicinarsi dei loro inseguitori e della tempesta l'avevano poi convinto che la sorella aveva addentato un boccone troppo grosso per lei. Senza un equipaggio ad aiutarla, il suo tentativo di pilotare la nave era destinato a fallire presto. Big Red avrebbe voluto mandare un paio dei suoi ad aiutare la sorella, ma non c'era modo di farlo senza fermare le navi. E poi i Corsari erano troppo superstiziosi, quando si trattava di montare in sella ai Roc. Una folata di vento fischiò in modo sinistro in mezzo alle vele, con un suono simile al gemito di un animale ferito. La temperatura continuava a calare. Presto sarebbe caduta la neve sulle montagne, e volare sarebbe divenuto impossibile. Si allontanò dal parapetto per correre alla garitta di pilotaggio, dove Spanner Frew stava al timone, saldo come una roccia. «Le cime reggono?» chiese il costruttore, quando Big Red gli fu accanto. «Per ora, ma non so per quanto. Dobbiamo scendere prima che la tempesta ci raggiunga.» Il vento era così forte da costringerlo a gridare per farsi udire. Si guardò per un istante alle spalle, per osservare la "Black Moclips". «Dovremmo fare qualcosa per Little Red. E' coraggiosa, ma con tutta la sua abilità, non può pilotare la nave da sola.» Spanner Frew lo fissò per un istante, poi tornò a guardare innanzi a sé. «Se riuscissimo a lanciarle una cima, potremmo rimorchiarla.»
«Non con questo vento e con tutte quelle navi che ci inseguono. Verremmo rallentati, anche servendoci dei suoi cristalli.» Il costruttore annuì. «Meglio portarla via dalla nave, allora. Quando la tempesta ci raggiungerà, non riuscirà a mantenerla in volo. Se farà naufragio non saremo in grado di aiutarla.» Redden Alt Mer era già arrivato alla stessa conclusione. Non era neppure sicuro di poter mantenere in volo la "Jerle Shannara". Si gingillò per qualche istante con il pensiero di passare sulla "Black Moclips" e di pilotare quella, dato che era in condizioni migliori. Ma la "Jerle Shannara" era più veloce, più manovrabile, e non voleva rinunciare alle sue qualità, dato che erano proprio quelle che gli permettevano di sfuggire agli inseguitori. In ogni caso erano dubbi oziosi, perché era poco probabile che tutti coloro che erano a bordo della "Jerle Shannara" riuscissero a passare sull'altra nave con un tempo simile. Sporse le labbra, perplesso. Rue si sarebbe infuriata, se le avesse detto di rinunciare alla sua preda. Forse non l'avrebbe fatto, neppure sapendo i rischi che correva. Tornò a guardare la "Black Moclips" e, dietro di essa, le navi nemiche, piccoli punti neri contro la tumultuosa oscurità della tempesta. «Come fanno a seguirci?» chiese con ira a Spanner Frew, incollerito per il fatto che l'impossibile era divenuto realtà. Il costruttore si limitò a scuotere la testa. Big Red sentì aumentare la sua frustrazione. Era già abbastanza doloroso avere perso Walker e tutti coloro che erano sbarcati per andare a esplorare le rovine. Ed era mortificante il fatto di dover tornare in patria a mani vuote... ammesso e non concesso che riuscissero a tornare. Ma soprattutto era intollerabile che quelle navi cariche di spettri li inseguissero come una muta di cani, e trovassero le loro tracce dove non ci sarebbe dovuta essere alcuna traccia del loro passaggio. Non poteva fare nulla per liberarsi degli inseguitori, ma poteva aiutare Little Red. La sorella non era ancora guarita dalle ferite e aveva dormito ancora meno di loro. Doveva essere prossima al collasso, dopo aver pilotato da sola con un vento che soffiava come un demone per strappare la nave dal cielo. Little Red era un ottimo pilota, inferiore soltanto a lui, e come navigatore era ancora più abile. Ma queste doti non erano sufficienti a salvarla dalla tempesta. «Vado a prenderla, Barbanera!» gridò al costruttore. «Riduci di un quarto la velocità e fa' rotta verso quell'apertura nelle montagne davanti a noi.» «Pensi di agganciarti alla "Black Moclips" con un grappino?» gli chiese Spanner Frew. Redden Alt Mer scosse la testa. «Ci vorrebbe troppo tempo. Deve venire lei, mando uno dei cavalieri.» Corse lungo il ponte, gridando all'equipaggio di prendere posizione accanto alle valvole di Parse per controllare le bocchette. Giunto a poppa, frugò in una cassa e prese la bandierina verde che segnalava ai Cavalieri del Wing Hove di accostarsi alla nave. Naturalmente, era necessario che i cavalieri guardassero nella sua direzione. E in una tempesta come quella, poteva darsi che guardassero altrove. Legò la bandierina a una sagola e la fece salire fino in cima all'albero, dove il piccolo pezzo di tela colorata schioccò e sbatte come le colonne di ghiaccio della Macina. Quando girò la testa, vide la "Black Moclips" sobbalzare. Alcuni tubi si erano staccati e una vela-luce era ridotta a brandelli. La nave si manteneva in volo grazie soltanto alla perizia dei pilota e alla fortuna. Mentre osservava, la nave sparì dentro le nubi. I Cavalieri del Wing Hove erano a malapena visibili, ai due lati della nave. I loro inseguitori erano spariti. Redden Alt Mer batté il pugno sul parapetto. Né Hunter Predd né Po Kelles avevano visto la bandierina. «Guardatemi!» gridò, in preda alla frustrazione. Persa nell'ululato del vento, la parola venne portata via dalla tempesta. Mille iarde più indietro, così stanca da essere vicina al collasso, Rue Meridian lottava per non perdere di vista la "Jerle Shannara". Il suo mondo si era ridotto a quell'unica esigenza. Aveva dimenticato tutti i piani per navigare fino alle rovine, trovare Bek e gli altri, cercare di salvare
qualcosa da quel viaggio disastroso. Tutte le sue energie erano concentrate sul puro e semplice mantenersi in volo. Anche se aveva la mente offuscata dalla fatica di azionare i comandi, sapeva di essere in pericolo. La "Jerle Shannara" si allontanava, le navi inseguitrici si avvicinavano. Presto avrebbe perso ogni via di scampo. La "Black Moclips" sobbalzò di nuovo quando fu colpita dai venti che precedevano la tempesta e sbandò. La spiegazione era facile, più difficile era risolvere il problema. Le vele-luce erano rimaste ripiegate nei giorni precedenti e i cristalli non avevano immagazzinato energia. Ora la raccolta di luce era interrotta perché non poteva abbassare le vele con quella tempesta: anzi, non poteva abbassarle da sola, tempesta o no. La limitata energia che rimaneva veniva via via consumata. Avrebbe dovuto controllare le varie valvole di Parse per distribuire la spinta nel modo più efficiente, ma non poteva lasciare i comandi per il tempo necessario. Poteva solo cercare di compiere le manovre dalla cabina del pilota, e anche se la cosa era possibile, le navi non erano fatte per essere condotte da una sola persona. Aveva un equipaggio, ma era chiuso sottocoperta e se l'avesse liberato avrebbe corso il rischio di finire al suo posto. I primi fiocchi di neve le colpirono il viso, e tornò a pensare a quanto fosse scesa la temperatura. L'inverno pareva essere giunto su una terra che da migliaia di anni non era toccata dal gelo. Cercò di ottenere maggiore velocità dai cristalli, costringendosi a provare una differente combinazione delle aperture delle valvole, e sentì la "Black Moclips" sbandare e ruotare nel vento grazie a quegli sforzi. Cercò di allontanare la crescente convinzione che i suoi tentativi fossero inutili. Era così assorta nei propri compiti che non vide Hunter Predd allontanarsi nella foschia verso la "Jerle Shannara". Po Kelles rimase accanto alla nave, ma lei non gli rivolse neppure uno sguardo. Nella sua lotta per mantenere in volo la "Black Moclips", si era dimenticata dei Cavalieri del Wing Hove. Poi Hunter Predd si portò con Ossidiana davanti alla prua per richiamare la sua attenzione. Lei abbassò istintivamente la testa, quindi si voltò a guardare il Roc che si portava all'altezza della cabina di pilotaggio, fin quasi a toccare il parapetto, ondeggiando sotto la forza dell'aria. «Little Red!» la chiamò il cavaliere. In mezzo al fischio del vento, le sue parole erano a malapena udibili. Lei alzò la mano per fargli capire di averlo udito. «Ti porto via dalla nave!» Attese un momento, per essere certo che lei avesse afferrato le parole. «Tuo fratello dice che devi venire con me. E' un ordine!» Irritata per il fatto che il fratello si permettesse di darle un ordine, lei scosse subito la testa. «Non puoi rimanere sulla nave!» le gridò Hunter Predd, avvicinando Ossidiana. «Guarda dietro di te! Ti hanno quasi raggiunta!» Little Red non aveva bisogno di controllare per sapere dov'erano le navi che le davano la caccia. Sapeva che, se si fosse voltata, avrebbe visto le facce inespressive dei morti che le pilotavano. Sapeva che l'avrebbero raggiunta in meno di un'ora, se non fosse successo qualcosa di nuovo. Entro un'ora o l'avrebbero presa o lei avrebbe fatto naufragio. In breve, sapeva che la sua situazione era disperata. Ma non voleva ammetterlo, le era insopportabile. «Little Red!» la chiamò di nuovo il Cavaliere del Wíng Hove. «Mi hai sentito?» Lei lo guardò. Era chino sul collo nero di Ossidiana, si teneva con le braccia e con le gambe ai finimenti e aveva afferrato con le mani le cinghie di sicurezza della nave per restare vicino a lei. Pareva un insetto annidato tra le penne del grande Roc. «Ho capito!» esclamò lei. «Allora vieni via da questa nave, e subito!» Lo disse con un'urgenza che non ammetteva discussioni, un'insistenza sorretta dalla convinzione che Little Red comprendesse la precarietà della sua situazione come la comprendevano il fratello e lui stesso. La fissò dalla sella, infuriato, sfidandola a contraddirlo. Little Red capì cosa pensava: se
non fosse riuscito a convincerla subito, sarebbe stato troppo tardi. La "Jerle Shannara" era già lontana, davanti a loro, e la tempesta stava per colpirli. Poteva fare di testa sua ancora per poco. Attraverso i capelli aggrovigliati dal vento, fissò i comandi della nave. Gocce di umidità si condensavano già sul metallo e sul legno sotto forma di rivoletti. Guardò le proprie mani posate sulle leve e sul timone. Ormai sentiva la "Black Moclips" come una cosa sua. L'aveva portata via ai ladri che le avevano rubato la nave. Se l'era procurata correndo gravi rischi e aveva il diritto di tenersela. Nessuno poteva permettersi di sottrargliela. Ma questo non significava che dovesse esserle fedele fino alla morte. Se avesse dovuto abbandonarla, avrebbe potuto farlo. Se la decisione fosse stata sua. Dopotutto, era solo un manufatto di legno e metallo, non di carne e sangue. Non possedeva né un cuore né una mente. Era solo uno strumento. Guardò di nuovo Hunter Predd e vide che attendeva la sua decisione. Gli fece segno di portarsi a poppa ad aspettarla. L'elfo le rivolse un cenno d'assenso e si staccò dalla fiancata. In fretta, Rue afferrò le cinghie d'arresto e se ne servì per bloccare le leve e il timone, poi corse al boccaporto principale. Si precipitò sottocoperta, prima di riflettere su quanto stava facendo. Stranamente, si sentiva in pace con se stessa. La collera provata poco prima era sparita. La "Black Moclips" era una bella nave, ma era solo una nave e niente di più. Arrivò alla porta della cabina dove aveva chiuso Aden Kett e l'equipaggio della Federazione e picchiò sui pannelli di legno. «Aden, mi senti?» chiese. «Ti sento, Little Red» rispose il comandante. «Vi faccio uscire e vi riconsegno la nave. Fatica a reggere la tempesta e ha bisogno di un equipaggio completo. Non riesco a pilotarla da sola. La nave è mia, ma non voglio distruggerla inutilmente. Così, l'affido a voi. Fate quello che potete. Chiaro?» «Chiaro.» Dal suono della sua voce, Rue Meridian capì che era appoggiato alla porta. «Mi scuserete se non resto a guardare come ve la cavate.» Si asciugò le gocce che le scendevano lungo la fronte. «Potreste fare qualche stupidaggine contro di me e mi dispiacerebbe vedervi scendere così in basso. Perciò, dopo avere aperto la porta, me ne andrò. Pensate di riuscire a vincere i vostri impulsi peggiori e a evitare di corrermi dietro?» Sentì l'uomo ridere. «Correrti dietro? Ne abbiamo abbastanza di te, Little Red. Tutti ci sentiremo meglio, una volta che sarai scesa dalla nave. Tu apri la porta.» Rue Meridian tacque per alcuni istanti, poi si accostò a una delle fessure tra le assi della porta. «Da' retta a me, Aden. Non rimanete qui, dopo che me ne sarò andata. Non cercate di fare la cosa giusta. Scordatevi degli ordini, del senso del dovere e dello spirito dei soldati della Federazione. Prendete la "Black Moclips" e tornate a casa a tutta velocità. Non correte rischi rimanendo qui.» Sentì che il comandante muoveva i piedi sul pavimento, a disagio. «Chi è arrivato? Abbiamo visto le altre navi.» «Non lo so. Non lo sa nessuno, ma non credo che sia consigliabile avvicinarsi. Una decina di navi, forse più, Aden, ma non hanno bandiere, né insegne, né qualcosa di umano a bordo. Solo rettili e uomini simili a morti che camminano. Non so chi li ha mandati, e non voglio saperlo. Ricorda quello che ti dico. Vola via di qui. Lascia questa terra. E un consiglio da amica. Mi hai sentito?» «Ti ho sentito» rispose lui, con calma. Little Red non sapeva che altro dire. «Di' a Donell che mi spiace di averlo colpito così forte.» «Lo sa.» Si allontanò dalla porta e si fermò ancora un istante per dire: «Ci vediamo, Aden». «Ci vediamo, Little Red.» Tirò il chiavistello, poi si voltò e corse alla scaletta senza guardarsi alle spalle. Pochi istanti più tardi era sul ponte e si stupì nel vedere che era già coperto di bianco. Abbassò la testa per proteggersi dal vento pungente e andò a poppa. La scaletta di corda usata da Hunter Predd per raggiungere Ossidiana era ancora al suo posto, abbandonata sul ponte. Little Red lanciò al di là del parapetto l'estremità libera e la vide sparire nella nebbia. Riuscì a malapena a distinguere la sagoma scura del Roc che si portava sotto di lei.
Si girò una sola volta verso la "Black Moclips". «Sei una brava ragazza» disse alla nave. «Cerca di rimanere intera.» Poi sparì nella foschia. Qualche minuto più tardi, Redden Alt Mer corse al parapetto della "Jerle Shannara" e vide la sorella fermarsi mentre saliva la scaletta di corda. Si era staccata dal Roc senza problemi, aveva afferrato saldamente la scala e aveva incominciato a salire. Ma ora si era fermata, aveva abbassato la testa e dondolava nel vento con i capelli che le coprivano il viso, Big Red si chiese se doveva scendere a prenderla. Gli tornò alla mente un episodio della loro infanzia. Red era salito in cima a un vecchio albero e Rue, che allora aveva cinque anni, aveva cercato di seguirlo e si era arrampicata sul tronco usando i rami come scalini. Ma non era ancora abbastanza forte e si era stancata presto. Giunta a metà aveva perso le forze e si era fermata, tenendosi aggrappata ai rami dell'albero come ora faceva con la scala di corda. A quell'epoca Rue era una scocciatura, gli stava sempre alle costole e cercava di fare tutto quello che faceva lui. Red aveva quattro anni di più e s'infastidiva per la sua presenza. Avrebbe potuto lasciarla sull'albero, anzi, ne aveva avuto la tentazione. Invece si era voltato verso di lei e le aveva gridato: «Dài, Rue! Continua a salire! Non smettere! Puoi farcela!». Anche adesso avrebbe potuto gridare le stesse parole a Little Red, alla sorellina che cercava ancora di imitarlo in tutto. Ma proprio quando stava per farlo, lei sollevò la testa, vide il fratello che la osservava e riprese subito a salire. Redden Alt Mer sorrise tra sé. Rue salì senza rallentare, e il fratello la prese per un braccio aiutandola a scavalcare il parapetto e scendere sulla tolda. D'impulso, la strinse in un abbraccio e rimase sorpreso quando lei glielo restituì. La guardò scuotendo la testa. «A volte riesci a spaventarmi» le disse. Vide la sua faccia bagnata, le lesse la stanchezza nello sguardo. «Anzi, quasi sempre.» Lei gli sorrise. «Detto da te, è un complimento.» «Pilotare da soli la "Black Moclips" con un tempo così brutto farebbe tremare chiunque. Avrebbe dovuto spaventare anche te, ma penso che non sia successo.» «Non del tutto.» Sogghignò, con un'espressione da ragazzino discolo, come era dentro di sé. «L'ho portata via alla Strega, fratello grande. Equipaggio e tutto. Mi è stato difficile restituirla. Non volevo distruggerla, però.» «Meglio la nave di te. In ogni caso, non ne abbiamo bisogno. Basta che non ce l'abbia la Strega.» Diede una leggera spinta alla sorella. «Va' sotto, mettiti qualcosa di asciutto.» Lei scosse la testa con ostinazione. «Non ho nessun bisogno di cambiarmi, per ora.» «Rue» replicò lui, con una punta di irritazione nella voce. «Non discutere per queste cose. Polemizzi già sempre per tutto. Va' e basta, sei bagnata fradicia. Hai bisogno di abiti asciutti. Va' a cambiarti.» Rue esitò ancora per un momento, e il fratello temette che volesse insistere. Poi si voltò e scese nelle cabine, lasciando sul ponte una scia d'acqua. Red la guardò scomparire e pensò che, per quanti anni potessero passare, sarebbe sempre stato come quando Rue aveva quattro anni. Lui il fratello maggiore, lei la sorellina che lo imitava. E soprattutto sarebbero stati il miglior amico l'uno dall'altra. Non riusciva a pensare a nulla di più grande. Quando Little Red tornò sul ponte, il vento soffiava così forte da sbatterla contro le murate. Pioggia e nevischio erano cessati, ma l'aria era talmente fredda da gelarle la punta del naso. Si avvolse ben stretta nel mantello, lieta di indossare abiti pesanti e un paio di stivali asciutti, e si fece strada a fatica fino alla garitta di pilotaggio, dove aveva scorto il fratello e Spanner Frew. Davanti a loro l'intero orizzonte era coperto dalle montagne, una successione di vette frastagliate e pareti di roccia che si perdeva in lontananza, coperta dalla foschia. Salì nella garitta e il fratello le disse subito: «Legati con la cintura di sicurezza». Rue obbedì e solo allora notò che tutti i Corsari sul ponte si erano legati. Curvi per resistere al vento, si prendevano cura delle valvole di Parse e delle bocchette di collegamento.
Quando si guardò alle spalle, vide che il mondo era scomparso dentro una fitta coltre di nebbia scura che aveva inghiottito tutte le navi inseguitrici. Big Red guardò in quella direzione. «Sono scomparse qualche tempo fa. Non so se si sono allontanate a causa della tempesta o per inseguire la "Black Moclips". Poco importa, comunque. Se ne sono andate e questo mi basta. Adesso dobbiamo occuparci di cose più importanti.» Spanner Frew gridò un ordine a un corsaro e quello alzò il braccio per confermare di avere capito, poi serro una bocchetta. Big Red aveva fatto issare tutte le vele e la "Jerle Shannara" offriva gli alberi nudi al vento che la squassava come aveva fatto con la "Black Moclips". Rue Meridian vide che i sei tubi radianti erano stati riconfigurati e ora facevano affluire energia alle quattro valvole di Parse rimaste. Anch'essi vibravano sotto la forza del vento e tiravano i cavi di fissaggio per liberarsi. «La nave che ho lasciato era in condizioni migliori» commentò Rue, parlando soprattutto a se stessa. «E lo sarebbe anche questa se non avessimo dovuto partire a tutta velocità per venire a salvarti!» le rispose Big Red. Non era vero, naturalmente, Avrebbero dovuto lasciare in qualsiasi caso il loro nascondiglio per sfuggire alle navi nemiche. Le riparazioni che occorrevano alla "Jerle Shannara" dovevano essere eseguite mentre la nave era ferma, e per terminarle avrebbero dovuto trovare un luogo dove rifugiarsi. «C'è qualche atterraggio in vista?» chiese lei, speranzosa. Spanner Frew rise. «In verticale, intendi dire, o una buona inclinazione ti basta?» Spostò le leve, con movimenti rapidi, ansiosi. «Andiamo con ordine. Vedi quelle montagne davanti a noi, Little Red? Quelle che sembrano una parete compatta? Quelle dove stiamo per schiantarci?» Little Red le vedeva. Coprivano l'intero orizzonte davanti a loro, sbarrando la strada alla nave. Guardò di lato e in basso e per la prima volta notò la quota a cui stavano volando. Varie migliaia di piedi, forse più di cinquemila. Eppure la cima di quei monti era ancora alta al di sopra di loro. «Dieci gradi a dritta, Barbanera» ordinò il fratello. «Così. Verso quel crepaccio.» Rue seguì lo sguardo del fratello e vide un'apertura nella parete rocciosa. Il passaggio era stretto e faceva subito una curva. Poteva terminare contro una parete di roccia, e in tal caso per la "Jerle Shannara" era finita. Ma Redden Alt Mer riusciva a capire meglio di ogni altro la lunghezza di un fiordo. E poi, era fortunato. «Tenetevi» gridò Big Red all'equipaggio. La nave s'infilò nello stretto crepaccio, procedendo contro un capriccioso vento di prua che per poco non li spinse addosso a una parete di roccia. Davanti a loro, l'apertura piegava subito a destra. Spanner Frew ruotò in fretta il timone e diede la massima potenza per mantenere la nave in assetto. Poco più avanti, il passaggio si restringeva ancora di più e piegava a sinistra. Rue sentì rizzarsi i capelli quando le alte pareti verticali si strinsero su di loro come le ganasce di una trappola. Erano così vicine che si potevano contare le sporgenze delle rocce, i nidi degli uccelli e i ciuffi di vegetazione. Non c'era lo spazio occorrente per girare la nave. Se il passaggio fosse terminato bruscamente, la nave non sarebbe riuscita a tornare indietro. «Avanti così» disse Big Red a Spanner Frew. «Adesso rallenta.» Il vento era calato e non li investiva più con la violenza di prima. La "Jerle Shannara" s'inclinò leggermente ai comandi di Spanner Frew e percorse con lentezza l'apertura. Girarono attorno a una sporgenza frastagliata, passando a così poca distanza che Rue, allungando il braccio, avrebbe potuto toccarla. Dinanzi a loro, il canalone si allargò e le montagne si aprirono in un'ampia valle, coperta di foreste. «Siamo passati» disse Rue, con un sospiro di sollievo. «Ma non siamo ancora al sicuro» rispose Big Red, aggrottando la fronte con espressione tesa. «Guarda davanti a noi. Laggiù, la seconda catena di montagne.» Little Red si scostò i capelli dagli occhi e guardò. Nella catena che si stendeva davanti a loro si scorgevano molti passi che permettevano di superarla, ma il movimento delle nubi, sopra di essa,
indicava che i venti erano molto più turbolenti di quelli incontrati fino ad allora. Eppure non c'erano altre direzioni dove andare, se non indietro, ed era impensabile. Spanner Frew guardò Big Red. «Dove andiamo? Verso quel passo a destra, a quota più bassa?» Big Red annuì. «Il vento potrebbe essere meno forte. Buona idea. Ma tieniti a sinistra, per avere spazio di manovra quando saremo raggiunti dal vento laterale.» Attraversarono la valle in mezzo a uno schermo di nebbia, in balia di correnti d'aria che s'impennavano e sgroppavano come cavalli selvaggi. La "Jerle Shannara" sussultava per i colpi, ma teneva la rotta grazie alla mano ferrea di Spanner Frew. Sotto di loro, la foresta era buia e silenziosa, Rue vide per pochi istanti un sottile corso d'acqua che serpeggiava sul fondovalle, ma non scorse traccia di animali o persone. Dalle rupi si lanciavano in volo i falchi, con le teste feroci puntate verso la luce. Dietro di loro, il cielo era interamente oscurato dalla tempesta che si era scatenata sull'altro versante delle montagne. In tutte le altre direzioni, l'orizzonte era coperto dalla foschia. Rue ascoltò il vento fischiare contro le sagole. Quando udiva quel suono, le pareva che la nave cercasse di chiamarla, che volesse dirle qualcosa. Ora provò quella sensazione, e la sua inquietudine aumentò. Giunti all'estremità della valle, puntarono a destra, verso il passo scelto dal fratello e da Spanner Frew, un'apertura in mezzo alle montagne che permetteva di oltrepassare la catena. Di là c'erano altre montagne, senza dubbio, ma forse anche qualche valle isolata. Guardò il cielo e vide che le nubi scivolavano sulle cime come impaurite, spinte da venti che giungevano da nord. Dato che la tempesta era dietro di loro, doveva trattarsi di venti costanti in quella zona, e di conseguenza pericolosi. La "Jerle Shannara" entrò nel varco e subito venne colpita da un vento laterale che la fece sbandare. Spanner Frew la raddrizzò facendola muovere in senso opposto. Davanti a loro comparvero altre cime e altre pareti di roccia che sembravano mani gigantesche levate per intimare loro di fermarsi, ma il canalone serpeggiava in mezzo a quelle rocce ed era abbastanza largo da permettere il passaggio: la nave proseguì. Sotto di loro, il fondo del canalone si alzava sempre di più, a mano a mano che s'inoltravano nella catena di monti. La "Jerle Shannara" fu costretta a prendere quota. Rue Meridian respirò a fondo per allentare la tensione. «Attento, Barbanera» avvertì Big Red. Un attimo più tardi, una forte raffica di vento colpì la nave facendola girare su se stessa per alcuni interminabili istanti, prima che Spanner Frew riuscisse a raddrizzarla. Rue Meridian riprese a respirare. Big Red la guardò e le rivolse uno di quei suoi larghi sorrisi che testimoniavano del suo grande affetto per lei. «Tenetevi», gridò. Attraversarono il canalone come un tappo di sughero trascinato dalle rapide, sbattuti ora da una parte ora dall'altra, faticando ogni volta a mantenere l'assetto. I venti soffiavano contro di loro, poi cessavano per riprendere da un'altra direzione. Una volta vennero spinti con violenza a babordo e per poco non finirono contro una sporgenza rocciosa che, se l'avessero urtata, avrebbe sfasciato lo scafo. Rue si teneva alla ringhiera della garitta di pilotaggio e aveva le nocche bianche per la tensione. Si diceva che quella traversata era assai più rischiosa di quella che li aveva portati dalla costa a Castledown, colonne di ghiaccio della Macina comprese. Da un istante all'altro correvano il rischio di sfracellarsi contro le rocce. Salirono fino a una quota di mille piedi perché il fondo del canalone diveniva sempre più ripido, e Rue sapeva che il fratello sperava di non doversi alzare tanto perché in alto i venti erano più forti e imprevedibili. Ma infine le montagne si aprirono davanti a loro e molto al di sotto videro una vasta foresta, fitta e impenetrabile, interrotta da qualche cima isolata, che si stendeva fino a perdersi nella foschia. Là c'era senza dubbio un punto dove prendere terra per terminare le riparazioni. Rue Meridian aveva appena finito di formulare quel pensiero che il tubo radiante di babordo si staccò dall'albero.
Subito la "Jerle Shannara" perse potenza e cominciò a inclinarsi. Spanner Frew lottò per riportare in alto la prua, ma per farlo avrebbe dovuto avere a disposizione entrambi i tubi di poppa. «Non riesco a raddrizzarla!» esclamò impotente. «La vela maestra!» gridò subito Big Red all'equipaggio. Kelson Riat e un altro corsaro lasciarono all'istante il loro posto e corsero a sciogliere le sagole per abbassare la vela. Senza i tubi di poppa, Big Red intendeva sfruttare le vele per raddrizzare la nave. Ma il vento era imprevedibile, e se avesse investito di fianco la grande vela, avrebbe potuto scagliare la nave contro le pareti di roccia. «Calma, calma ...» disse Big Red a Spanner Frew, mentre il maestro d'ascia lottava per raddrizzare la "Jerle Shannara". Gonfia di vento, frustando l'aria, la vela maestra s'innalzò. Il vento la gonfiò e spinse in avanti la nave, con un forte urto. La "Jerle Shannara" sobbalzò nella stretta del vento e un altro dei tubi si spezzò e cadde. «Maledizione!» imprecò Redden Alt Mer. Nel vedere che Spanner Frew perdeva l'equilibrio e batteva la testa sulla ringhiera, afferrò il timone. Continuavano a perdere quota, ma si avvicinavano allo sbocco del canalone e i fianchi delle montagne, a sinistra e a destra della nave, si stavano allontanando. Se fossero riusciti a rimanere a una quota sufficiente a evitare i massi ammucchiati all'imboccatura del passo, sarebbero sopravvissuti. Anche se di stretta misura. Rue Meridian pregò con tutte le sue forze che la "Jerle Shannara" si alzasse, la implorò in silenzio di raddrizzarsi. Ma la nave non accennava a farlo e il fondo del passo si alzava velocissimo verso di loro. Big Red spinse fino in fondo le leve che davano energia ai cristalli di diapso e tirò indietro quelle che regolavano l'assetto della nave. La "Jerle Shannara" vibrò di nuovo, sobbalzò e si levò un'ultima volta. Attraversarono l'imboccatura del passaggio e si trovarono al di sopra della foresta. Ma mentre uscivano dal canalone, la chiglia grattò contro le rocce, con un orribile rumore di legno spezzato. La "Jerle Shannara" sobbalzò e cominciò a inclinarsi verso la foresta, mille piedi più in basso. Il vento laterale riprese a soffiare di nuovo, con forza improvvisa. La vela maestra schioccò come una bandiera per la rottura di alcune sagole e la nave precipitò. Rue Meridian, che si teneva alla ringhiera e si era anche legata alla cinghia di sicurezza, si dava già per morta. Scendevano ormai senza controllo e gli alberi si avvicinavano a loro a velocità vertiginosa. Big Red, che continuava a cercare di raddrizzare la nave, imprecava, i membri dell'equipaggio scivolavano lungo il ponte. Un cavo di sicurezza si spezzò e Rue vide Lino dei suoi compagni volare al di là del parapetto e sparire. Poi il vento li spinse contro la parete di roccia. Rue vide per un momento la parete avvicinarsi, l'istante successivo sentì un orribile schianto di legno e di metallo. Perse la presa sulla ringhiera e finì contro il pannello di controllo. Sentì un forte dolore al braccio sinistro, i punti si ruppero e le ferite al fianco e alla gamba si riaprirono. La cinghia di sicurezza si spezzò e Rue Meridian finì contro il fratello, che si afferrava con la forza della disperazione alle leve di manovra. Un momento più tardi, tutto si oscurò.
12. Mentre finiva di cambiare le fasciature alle ferite che Little Red aveva sul fianco, Redden Alt Mer continuava a dirsi che la situazione non poteva essere peggiore. Poi Spanner Frew salì nella garitta di pilotaggio e si inginocchiò accanto a lui. «Abbiamo perso tutti i cristalli di scorta attraverso la falla nello scafo» annunciò con aria cupa. «Sono cascati laggiù, da qualche parte.» Il gesto con cui accompagnò quelle parole rese chiaro che "laggiù, da qualche parte" era la giungla sottostante il boscoso precipizio su cui si era infine posata la "Jerle Shannara", una distesa impenetrabile di alberi e liane che si allargava per molte miglia sotto la parete del dirupo.
Alt Mer si voltò a guardare il maestro d'ascia come se avesse parlato in una lingua straniera. «Tutti?» «Erano tutti in una sola cassa. La cassa è scivolata in una falla aperta nella chiglia.» Spanner Frew si toccò un taglio sulla fronte e quando le dita lo sfiorarono fece una smorfia. «Come se mi servisse un altro mal di capo!» «Possiamo volare con quelli che abbiamo?» Il costruttore scosse la testa. «Siamo ridotti a tre. Abbiamo perso il tubo anteriore e il suo cristallo quando siamo atterrati. Quelli che restano ci permettono di volare con il bel tempo, ma non di sollevarci da terra. Se ci provassimo, rotoleremmo al di là della cornice di roccia e andremmo a raggiungere i cristalli in mezzo agli alberi.» Sospirò. «II guaio è che tutto il resto può essere rimediato. Abbiamo le tavole di legno per riparare il fasciame. Abbiamo tubi radianti e bocchette di scorta e un mucchio di vele-luce. Anche gli alberi e i pennoni possono essere riparati, con un po' di lavoro. Ma non possiamo muoverci senza quei cristalli.» Si passò la mano nella barba. «Come sta Little Red?» Redden Alt Mer abbassò lo sguardo sulla sorella. Era ancora priva di sensi. Mentre la curava non aveva cercato di svegliarla, ma intendeva destarla presto per accertarsi che non avesse una commozione cerebrale. Inoltre voleva controllare se aveva lesioni interne. «Si riprenderà alla perfezione» rispose con un sorriso rassicurante. Non ne era affatto certo, ma non voleva dare un'ulteriore preoccupazione a Barbanera. Ne aveva già a sufficienza. «Chi è caduto fuoribordo?» chiese. «Jahnon Pakabbon.» Big Red fece una smorfia. Un ottimo marinaio. Ma tutti erano ottimi marinai, li aveva scelti per quello. Non poteva rinunciare a nessuno, tanto meno accettarne la perdita. Conosceva Jahnon fin da quando erano bambini. Un corsaro calmo e tranquillo, con un vero talento per la meccanica, oltre alle capacità di marinaio. «Va bene.» Big Red si costrinse a non pensarci e a concentrarsi sul problema immediato. «Dobbiamo scendere a prenderlo e intanto cercheremo i cristalli. Scegli due uomini per accompagnarmi, e assicurati di non essere uno di loro: ho bisogno di te per le riparazioni. Non vogliamo rimanere qui più del necessario. Quelle navi con i Mwellret e ì morti viventi verranno presto a cercarci. Non intendo essere qui, quando arriveranno.» Spanner Frew brontolo tra sé, si alzò e scese dalla garitta. La "Jerle Shannara" era inclinata di venti gradi su una cornice di roccia coperta di terra, a un centinaio di iarde dal precipizio. Era caduta su un gruppo di alberi ed era poi scivolata in avanti; il rostro di babordo si era piantato in un mucchio di pietre. Non correva il pericolo di scivolare fino al precipizio, ma era pienamente visibile da chiunque sorvolasse la valle. Dietro di essa, la cornice rocciosa si allungava per un altro centinaio di iarde. Gli alberi avevano attutito la caduta e la "Jerle Shannara" era fortunosamente sopravvissuta all'urto, evitando di precipitare fino alla giungla sottostante, da cui sarebbe stato impossibile farla uscire. Il fatto che non si fosse frantumata in un milione di pezzi testimoniava della robustezza della sua costruzione. Di Spanner Frew si poteva dire tutto, ma non che fosse incapace di costruire navi. Comunque, erano in trappola: non avevano cristalli di diapso a sufficienza per decollare, avevano perso un membro dell'equipaggio, erano inchiodati in una terra sconosciuta. In genere Big Red affrontava con ottimismo anche le situazioni più pericolose, ma in quel caso non era affatto ottimista sulle loro possibilità di uscirne. Guardò in alto, l'orizzonte velato dalle nubi e dalla foschia che coprivano l'intera valle. Si scorgeva solo la distesa verde della giungla e la cima di qualche monte vicino. Questo gli dava la sgradevole impressione di essere intrappolato su un'isola rocciosa, sospesa tra un mare verde e una nebbia grigia. «Spanner!» gridò all'improvviso. Il massiccio maestro d'ascia tornò indietro e lo fissò con aria interrogativa. «Taglia qualche rullo, prepara una carrucola e cerchiamo di portare la nave sotto quegli alberi. Non mi piace rimanere così allo scoperto.»
Il costruttore si allontanò senza fare parola e scomparve al di là della murata. Pochi istanti più tardi gridava ordini agli uomini, insultandoli con il suo vocabolario da cantiere. Red ascoltò per qualche istante, poi scosse la testa. Sentiva la mancanza di Hawk, che sapeva sempre anticipare di qualche istante i suoi ordini. Ma Barbanera era perfettamente all'altezza, anche se non molto diplomatico. Bastava dargli l'ordine e lui eseguiva il lavoro. Redden Alt Mer tornò a occuparsi della sorella. Si chinò su di lei e la scosse piano. Rue gemette e girò la testa dall'altra parte, poi perse di nuovo i sensi. Red la scosse una seconda volta, un po' più forte. «Rue, svegliati.» Lei batté le palpebre e lo fissò. Per un istante non disse nulla. Poi sospirò esausta. «Questa l'ho già vista. Mi sveglio e ti trovo ad aspettare. Sembra un sogno. Ancora vivi, vero?» Lui annuì. «Anche se uno di noi è un po' più acciaccato di prima.» Rue abbassò gli occhi per guardarsi, vide le bende avvolte attorno al suo fianco e alle gambe e i vestiti tagliati da Red per fasciarla. Infine vide la stecca che le teneva fermo il braccio. «In che condizioni sono?» chiese. «Per qualche tempo non potrai volare a salvare nessuno. Ti sei rotta un braccio e parecchie costole. Ti si sono riaperte le ferite sul fianco e sulla coscia. Sei riuscita a conciarti abbastanza male, anche senza l'aiuto di qualche Mwellret.» Lei cominciò a ridere, poi fece una smorfia. «Non farmi ridere, mi fa troppo male.» Sollevò la testa e si guardò attorno, poi si distese di nuovo. «Non siamo in volo, perciò non ho sognato che siamo precipitati. Siamo ancora tutti interi?» «Più o meno. Ci sono danni, ma possono essere riparati. Il problema è che non possiamo volare. Abbiamo perso i cristalli di scorta, sono volati via attraverso una falla. Devo portare una squadra nella valle e trovarli, per poterci allontanare di qui.» Si strinse nelle spalle. «Ringraziamo la nostra buona stella che non sia andata peggio.» «Io la sto già ringraziando di essere ancora viva. Anzi, che siamo ancora vivi tutti.» Si leccò le labbra. «Hai niente da bere che non scorra in un ruscello?» Red le porse un otre di birra e lo tenne sollevato mentre lei beveva. «Senti male in qualche punto che io non posso vedere?» le chiese quando ebbe finito. «Un po' di sincerità non ci farebbe male, ogni tanto.» Lei scosse la testa. «Niente che tu non abbia già curato.» Si asciugò le labbra e fece un profondo sospiro. «Sono molto stanca.» «Allora farai bene a dormire.» Sistemò il pezzo di vela ripiegata su cui le aveva appoggiato la testa come su un cuscino e le rimboccò il mantello sbrindellato attorno alle braccia e alle gambe. «Se succede qualcosa, te lo faccio sapere.» Rue chiuse subito gli occhi, proprio come il fratello sì aspettava, data la robusta pozione soporifera che le aveva messo nella birra. Prese l'otre e lo infilò in un cassetto del quadro di comando, fuori vista ma pronto all'uso se ne avesse avuto ancora bisogno. Ma Rue non si sarebbe svegliata per una dozzina di ore o più, se le aveva somministrato la dose giusta. Abbassò gli occhi su di lei, la sua sorellina, dura come il ferro e così ansiosa di dimostrarlo che se non le avesse dato il sonnifero avrebbe insistito per alzarsi subito. A volte lo confondeva per quel suo volersi mettere sempre alla prova, come se non l'avesse già fatto decine di volte, ma meglio quello, supponeva, che accontentarsi del modo in cui andavano le cose e farsi trasportare dalla corrente. Era sua sorella a stabilire il livello a cui si doveva vivere, e ogni volta cercava di alzarlo. Avrebbe voluto avere con sé altre persone come lei, ma non le avrebbe trovate. Di Little Red ce n'era solo una. Sbadigliò, pensando che un po' di sonno non gli avrebbe fatto male, poi raggiunse il parapetto e guardò Spanner Frew e gli uomini che piazzavano i rulli sotto la nave. La carrucola era già stata sistemata, legata a una vecchia quercia cinquanta iarde più indietro. La fune passava attraverso gli anelli fissati a poppa, poco al di sopra della linea di galleggiamento. «Un altro paio di braccia ci farebbero comodo!» gridò il costruttore, nel vedere Big Red. Spanner Frew era intento a tendere le funi prima di annodarle.
Redden Alt Mer scese dalla nave e raggiunse gli uomini che tenevano il cavo: si erano messi in fila e cominciavano a tirare. Anche dopo essere stata disincagliata dalle rocce e raddrizzata in modo che la chiglia poggiasse sui rulli, la "Jerle Shannara" si rifiutava di muoversi. Alla fine Big Red prese con sé tre uomini e si recò a prua, dove cominciarono a far ondeggiare lo scafo. Dopo molti sforzi e una lunga serie di imprecazioni, la nave cominciò a muoversi. Da quel momento in poi, tutto si svolse molto rapidamente. Tirando le corde, fecero rotolare i rulli sotto la chiglia per una quarantina di iarde e alla fine la nave si trovò quasi del tutto sotto la copertura di alberi e arbusti. Staccate le carrucole e recuperate le funi, Redden Alt Mer ordinò a Kelson Riat e a un alto corsaro, Rucker Bont, di tagliare un bel po' di cespugli e di spargerli sui ponti per mimetizzare la nave. Bastarono pochi minuti per cambiarne l'aspetto quanto bastava per soddisfare il comandante. Con tutte le vele serrate e i ponti coperti dai rami, la "Jerle Shannara" sembrava parte dell'ambiente, un ammasso di rocce coperte di cespugli o un mucchio di rami secchi. «Ottimo lavoro, Barbanera» disse a Spanner Frew. «Ora vediamo cosa puoi fare per quella falla sulla chiglia mentre io vado giù a cercare i cristalli.» Il massiccio costruttore annuì. «Ti ho dato per compagnia Bont e Tian Cross.» Afferrò il braccio del comandante e lo strinse. «Io e Little Red non saremo laggiù a darti una mano, perciò fa' attenzione.» Redden Alt Mer gli rivolse un sorriso da monello e gli diede dei colpetti sulla mano grossa e ruvida. «Come sempre» rispose. I tre uomini scesero in fila lungo la parete, con Big Red in testa a cercare il percorso più favorevole. La discesa non era particolarmente ripida o lunga, ma a mettere un piede in fallo si rischiava una brutta caduta e i tre uomini furono molto prudenti. Usarono cavi di sicurezza nei punti di massima pendenza e rinunciarono a essi nei punti dove le rocce offrivano appigli sicuri. Ormai era metà pomeriggio e la luce caliginosa cominciava a scurire mentre il sole scivolava dietro la barriera di nubi e nebbia. Big Red pensava di non avere più di tre ore prima che facesse troppo buio per proseguire la ricerca. Avrebbe voluto avere più tempo, ma non sempre le cose vanno come si vorrebbe. Bisognava fare di necessità virtù. Se non fossero riusciti oggi, avrebbero ripreso la ricerca l'indomani. La discesa richiese loro quasi un'ora e quando furono in mezzo agli alberi si trovarono immersi nell'oscurità. Il tetto di rami e liane era così intricato che a livello del suolo arrivava solo pochissima luce. Di conseguenza il sottobosco era meno fitto di quanto aveva previsto Big Red e poterono camminare senza molta difficoltà. Presto scoprirono di trovarsi in una foresta pluviale e che la temperatura a livello del suolo era molto più alta rispetto alle montagne. L'aria era umida e pervasa di vapori e odorava di terra e piante. L'ambiente era rigoglioso. Dappertutto crescevano felci, alcune alte e arboree, altre minuscole e fragili. In maggioranza erano verdi, ma molte erano bianche e altre ancora avevano il colore rosso della ruggine. I loro germogli sembravano mani di bambino tese verso la luce. Sul terreno scivolavano grosse limacce che lasciavano scie di bava, appiccicose e luccicanti. Le farfalle volavano lente da una pianta all'altra, simili a macchie aeree di colore, gli uccelli sfrecciavano così veloci fra i rami che l'occhio faticava a seguirli. Di tanto in tanto li si udiva cantare, una mescolanza di richiami che pareva giungere da tutte le direzioni. L'atmosfera era strana e vagamente inquietante, e sentirono subito il cambiamento. Il suono del vento era scomparso. Su tutto si stendeva un silenzio interrotto solo dai richiami degli uccelli e dal ronzio degli insetti. Nel silenzio tra un richiamo e l'altro regnava un senso d'attesa, come se ogni cosa aspettasse il suono o il movimento successivo. I tre uomini avevano l'inconfondibile sensazione di essere osservati da esseri che non vedevano, da occhi che li seguivano ovunque. Dopo avere percorso un tratto di giungla, Big Red si fermò per controllare la direzione sulla bussola. Laggiù era facile perdersi e voleva evitarlo. Aveva solo una vaga idea di dove cercare il corpo di Jahnon e la cassa dei cristalli, perciò si limitò a muoversi in quella generica direzione e a sperare di avere fortuna. Alzò gli occhi e guardò davanti a sé, pensando per un momento alla direzione della sua vita. Anche quella aveva bisogno di una bussola. Si era sempre lasciato portare dagli avvenimenti, ora da una
parte ora dall'altra, come una nave priva di una meta precisa. Visto com'era smarrito in generale, il perdersi in quella giungla non avrebbe dovuto preoccuparlo. Poteva negarlo, ma la situazione non cambiava. La sua vita era sempre stata un'avventura dopo l'altra, fin dove giungevano i suoi ricordi. Rue aveva detto bene, quando aveva parlato della loro vita di mercenari: in genere si erano sempre diretti dove la borsa era più sostanziosa. Quella era la prima volta che accettavano un ingaggio perché pensavano che la posta fosse qualcosa di più del solo denaro. Eppure, cosa c'era di diverso? Continuavano a combattere per salvarsi la vita, ad andare alla deriva come navi senza guida, erano persi nel mondo. Chissà se Little Red pensava ancora che prendere parte a quel viaggio valeva la pena. Forse quel tipo di riflessioni gli veniva suggerito da ciò che era successo alla sorella. Nelle due settimane precedenti era stata ferita due volte, e tutt'e due aveva rischiato la vita. Era già abbastanza riprovevole che Redden Alt Mer rischiasse la propria vita; non avrebbe dovuto rischiare con tanta leggerezza quella della sorella. Certo, era una donna adulta e capace di decidere da sola se accettare o no un rischio. Ma Red sapeva che si affidava a lui, lo seguiva e aveva una fede incrollabile in lui. Era sempre stato così. Che gli piacesse o no, questo lo rendeva responsabile della sicurezza di lei. Forse era giunto il momento di assumersi quella responsabilità. La gente parlava della sua fortuna. Ma per tutti la fortuna finisce, prima o poi. E per lui quel momento si avvicinava. Se non avesse trovato il modo di cambiare la situazione, presto si sarebbe trovato in difficoltà. O, peggio, in difficoltà si sarebbe trovata Rue. Ripresero il cammino facendosi strada in mezzo alla giungla, e dopo duecento iarde Tian Cross scorse la cassa dei cristalli, in una profonda depressione del terreno che essa stessa aveva creato. Si sorpresero nel vedere che era ancora intera, anche se un po' malconcia, perché i chiodi e le robuste fasce metalliche che la tenevano insieme avevano resistito alla caduta dalla nave. Big Red si curvò a esaminarla. La cassa era un cubo di almeno due piedi e mezzo di lato, e pesava circa duecento libbre. Un uomo robusto poteva trasportarla, ma non molto lontano. Pensò di prelevare una parte dei cristalli e infilarseli nei vestiti, ma erano pesanti e l'avrebbero impacciato. Inoltre voleva portarli via tutti, non solo alcuni. Trasportare l'intera cassa avrebbe richiesto più tempo, ma era probabile che durante il lungo viaggio di ritorno dovessero sostituire qualche cristallo. Si alzò, aprì la bussola e controllò la loro posizione. «Comandante» lo chiamò Rucker Bont. Alzò gli occhi e vide che il corsaro indicava un punto davanti a loro. C'era un'apertura nella parete di giungla, un'ampia zona dove mancavano alberi e cespugli e dove una luce grigia filtrava dal tetto di vegetazione. Era una radura, la prima che incontravano. Chiuse il coperchio della bussola e tornò a infilarla nella tunica. In quella radura c'era qualcosa che non quadrava. Si fece strada in mezzo agli alberi e alle liane per raggiungerla, senza più occuparsi dei cristalli. Gli altri due Corsari lo seguirono. Là gli arbusti erano più fitti e occorsero loro vari minuti per arrivare ai margini della radura, dove rallentarono per fermarsi infine di scatto. Nascosti dietro gli alberi, spiarono sorpresi ciò che si offriva al loro sguardo. Un tratto di foresta era stato abbattuto su entrambe le rive di un pigro ruscello che si apriva una via tortuosa nel fitto sottobosco, le acque così lente da dare l'impressione che non si muovessero. Si vedevano alberi abbattuti, erba e cespugli calpestati, e la terra sembrava quella di un campo arato. Lungo tutto il corso del ruscello, fili dove le sue acque sparivano nella foschia, era stato aperto un ampio corridoio. Rucker Bont fischiò piano. «Secondo te, chi ha fatto tutto questo?» chiese. Big Red si strinse nelle spalle. «Una tempesta, forse.» Bont brontolò: «Forse. O forse il vento». S'interruppe per qualche istante. «O forse qualcosa che abita qui ed è più grosso di noi.» Guardandosi attorno con attenzione, Big Red lasciò gli alberi e avanzò nella radura, facendosi strada sul terreno irregolare. Gli altri due attesero un momento, poi lo seguirono. Giunto in mezzo
alla radura, si piegò sulle ginocchia in cerca di tracce, e si augurò di non trovarne. Non ne trovò, infatti, ma la terra era talmente smossa che non poteva essere sicuro di quanto stava osservando. Sollevò la testa. «Qui non vedo niente.» Rucker Bont smosse col piede la terra, lanciò un'occhiata a Tian Cross e poi di nuovo ad Alt Mer. «Volete che dia un'occhiata in giro?» chiese. Big Red guardò il ruscello pieno di detriti e la galleria che si addentrava fra gli alberi. In alcuni punti il danno era così grave che l'intero argine era crollato. Il letto del ruscello era ingombro di rami e tronchi spezzati, di grosse schegge che sporgevano in tutte le direzioni e avevano l'odore di foglie fresche e di legno fatto a pezzi da poco. Ciò che Red vedeva non era opera di una tempesta o di un'inondazione. Il danno era troppo circoscritto, troppo geometrico, troppo regolare. Forse Bont non aveva torto: sembrava il danno provocato da un animale molto grosso, molto forte, molto pericoloso. All'improvviso notò un cambiamento nella foresta e si alzò lentamente. Gli uccelli e le farfalle, così numerosi solo pochi minuti prima, erano spariti e la giungla si era fatta silenziosa. La sua mano corse all'impugnatura della spada. In quel momento vide Jahnon Pakabbon: il suo sguardo venne richiamato sul corpo del compagno caduto nel vuoto come se qualcuno gliel'avesse mostrato. Pakabbon era disteso su un mucchio di pietre e di legna secca, in fondo alla radura, a meno di cinquanta piedi di distanza. Però il suo aspetto non era più quello che aveva da vivo, e la caduta da sola non bastava a giustificare la differenza. La carne era stata strappata dallo scheletro e gli organi interni erano stati asportati. I vestiti pendevano dalle ossa spoglie. Gli occhi erano spariti. La bocca era aperta in un grido senza suono e pareva voler addentare qualcosa. Quasi nello stesso istante, Redden Alt Mer scorse il mostro. Era accovacciato sopra Jahnon, verde e marrone come la giungla che lo occultava. Red non l'avrebbe visto se la luce non si fosse leggermente spostata mentre guardava il corpo di Pakabbon. Stava quasi per dirigersi verso la bestia senza accorgersi della sua presenza. Era così ben mimetizzata che nonostante la sua dimensione - e a giudicare dalla testa doveva essere enorme - era virtualmente invisibile. Redden Alt Mer vedeva soltanto un muso di rettile, piatto, con gli occhi coperti da una membrana trasparente e la pelle a chiazze, che incombeva sul cadavere di Jahnon come un maglio pronto a cadere. Non ebbe la possibilità di avvertire Rucker Bont e Tian Cross. Non ebbe la possibilità di fare alcunché. Si era appena reso conto di ciò che vedeva quando l'animale attaccò. Si catapultò fuori della giungla, uscendo dal suo nascondiglio con un fulmineo movimento delle zampe robuste e muscolose, e serrò tra le mandibole Tian Cross prima che il corsaro capisse cosa stava succedendo. Tian gridò una volta, poi le mascelle si serrarono, i denti acuminati come aghi penetrarono nella carne e il sangue schizzò dappertutto. Era passato molto tempo dall'ultima volta che Redden Alt Mer si era lasciato prendere dal panico, ma ora cadde nel terrore. Forse per la velocità dell'attacco, forse per l'aspetto di lucertola del mostro, tutto coperto di scaglie e coma, enorme al punto da poter alzare la testa stringendo tra le fauci, senza difficoltà, il corpo dilaniato di Tian Cross. Red non aveva mai visto una creatura così crossa muoversi con tanta rapidità. Era uscita dagli alberi tra cui si nascondeva con la prontezza di un serpente. Rivedeva quel movimento, sentiva il terrore scorrergli nelle vene come metallo rovente. Gocce di sangue gli caddero addosso quando la lucertola scosse il corpo del suo compagno come se fosse un giocattolo. Redden Alt Mer si voltò e fuggì nella giungla. Non si fermò a riflettere su quello che faceva. Non pensò nemmeno ad aiutare Tian. Sapeva che era morto, che ormai non si poteva fare nulla per lui, ma non era stato questo a farlo fuggire. Fuggiva perché era terrorizzato, perché se non l'avesse fatto sarebbe morto. Correre era la sola cosa cui riusciva a pensare. All'inizio s'illuse che la creatura non l'avrebbe seguito perché era troppo occupata con la sua preda. Ma pochi secondi più tardi la udì arrivare, udì il rumore dei rami che venivano spezzati, sentì la
terra tremare sotto le zampe massicce. Abbatteva la giungla come una macchina da guerra sfuggita al controllo. Big Red accelerò il passo, anche se gli pareva di correre già al massimo della sua velocità. Sfrecciò in mezzo alla vegetazione finché non si trovò sul terreno aperto, e là giunto cercò di correre ancora più in fretta. Buttò via le armi, ingombranti, inutili contro un simile mostro. Si alleggerì per potersi muovere più rapidamente, ma continuò a sentirsi come se fosse appesantito da catene. Si guardò alle spalle solo una volta. Rucker Bont correva come lui, a pochi passi di distanza, la faccia livida per il terrore come la sua. La lucertola, che avanzava dietro di loro come una macchia confusa verde e marrone, con le fauci spalancate, l'aveva quasi raggiunto. «Comandante!» gridò Bont folle di paura. Alt Mer udì il suo urlo. La lucertola lo fece a pezzi e i rumori della morte del suo amico lo inseguirono mentre correva. Maledizione! Maledizione! Non si guardò alle spalle. Non ne ebbe il coraggio. Riusciva solo a correre e a non pensare ad altro che alla sua paura. La paura lo spingeva, la paura lo dominava. Raggiunse la parete e vi salì a tutta velocità, senza curarsi delle asperità della roccia e della ruvidezza della corda. Non pensava più ai cristalli e al corpo di Jahnon. Non pensava più alla speranza di lasciare al più presto quella valle. I suoi compagni erano rimasti sul terreno, massacrati, nella radura. Aveva gettato via le armi. Ma non riusciva più a pensare, non ne era più in grado. Sentiva soltanto il frenetico, disperato bisogno di fuggire. Non tanto dal mostro che lo inseguiva, quanto da ciò che provava. Paura. Terrore. Se non fosse riuscito a sfuggire loro, se non fosse stato abbastanza veloce, la paura, il terrore l'avrebbero divorato. Raggiunse la cima della rupe dopo un'eternità, mentre la luce del pomeriggio diventava sempre più fioca e la foschia aumentava all'avvicinarsi del crepuscolo. Non si fermò a controllare se era inseguito, e solo quando le robuste mani di Spanner Frew si tesero verso di lui per aiutarlo a superare il bordo del precipizio si accorse del silenzio che lo circondava. Si guardò alle spalle, meravigliato. Dietro di lui non c'era nulla, nessun segno della lucertola, nessuna indicazione dell'accaduto. La giungla si era inghiottita tutto ed era immobile e calma come il mare dopo una tempesta. Spanner Frew lo vide in faccia e aggrottò la fronte. «Cos'è successo? Dove sono gli altri?» Redden Alt Mer lo fissò, incapace di rispondere. «Morti» disse infine. Si guardò le mani e vide che tremavano. Più tardi, dopo il tramonto, quando gli altri dormivano e lui era di nuovo solo, decise di svegliare la sorella per raccontarle quanto aveva fatto. Voleva dirle non solo che non era riuscito a recuperare i cristalli o il corpo di Jahnon Pakabbon, e che gli uomini scesi con lui nella valle erano morti, ma anche che si era lasciato prendere dal panico ed era fuggito. Sarebbe stato il primo passo per riprendersi, per tornare indietro dal luogo buio in cui era finito. Sapeva di non poter più accettare se stesso se non avesse trovato il modo di affrontare l'accaduto. E il primo passo consisteva nel dirlo a Rue: per lei non aveva segreti, le confidava tutto. Non avrebbe avuto esitazioni, si sarebbe presentato nella luce peggiore. Quello che aveva fatto era inconcepibile. Doveva confessarsi a lei e cercare l'assoluzione. Ma quando si alzò per andare da lei e fece per svegliarla, s'immaginò cosa sarebbe successo. Vide la sua faccia cambiare a poco a poco, riflettendo la perdita di orgoglio e di fiducia in lui, e rivelare il disprezzo per le sue azioni. Vide gli occhi della sorella oscurarsi e velarsi per nascondere sentimenti mai provati fino allora, mentre tutto, tra loro, cambiava. Rue, la sorellina che aveva sempre visto in lui il suo modello. Non avrebbe potuto sopportarlo. Immobile nella penombra, studiò la faccia di lei, lasciando passare il momento, e infine si allontanò. Tornò sul ponte e, lontano dalla sentinella che sorvegliava la scura concavità della valle, si appoggiò all'albero di maestra e fissò il cielo notturno, velato dalla nebbia. Attraverso squarci tra le
nubi erano visibili la mezzaluna e qualche costellazione. Osservò il modo in cui le nuvole andavano e venivano, e gli fecero tornare in mente il suo scarso coraggio e la sua indecisione. Dopo qualche tempo si mise a sedere, con la schiena contro il legno ruvido e lo sguardo al cielo. Immobile come l'albero stesso, si perse nella ridda delle amare accuse contro se stesso, finché, quando mancavano molte ore all'alba - e la sua redenzione era ancora più lontana - chiuse gli occhi e scivolò nel sonno.
13. Imprigionato nelle viscere dell'ammiraglia del Morgawr, Ahren Elessedil cercava di sopravvivere alla tempesta che, al di là delle montagne, aveva fatto naufragare la Jerle Shannara". A differenza di Bek, che quando era stato imprigionato nella "Black Moclips" il giorno prima era stato incatenato alla parete, l'avevano lasciato libero di muoversi nella cabina chiusa a chiave. La tempesta li aveva colti mentre volavano a nord verso l'interno della penisola, aveva afferrato la nave come le mani di un gigante, scagliandola lontano dalla rotta, per stancarsi infine del gioco e buttarla via. Con la porta chiusa e la sola finestra della cabina serrata, Ahren vedeva soltanto le pareti della sua prigione, ma percepiva tutta la furia degli elementi. L:aveva sentita scatenarsi sulla nave e giocare con essa, minacciando di ridurla a un mucchio di schegge di legno e frammenti di ferro. Se l'avesse fatto, i suoi guai sarebbero finiti. Nei momenti più cupi, era quasi giunto ad augurarselo. Involontario complice del Morgawr nella sua ricerca della Strega di Ilse, i Mwellret l'avevano portato a bordo dopo avere lasciato le rovine di Castledown e chiuso subito nel suo attuale carcere. Una guardia era stata posta fuori della cabina, ma subito dopo l'inizio della tempesta era scomparsa e non era più tornata. Poco prima che la tempesta scoppiasse gli avevano portato cibo e acqua, scarsi l'uno e l'altra, solo quanto bastava perché non perdesse del tutto le forze. Nessuno aveva tentato di parlare con lui. Dal modo in cui il Morgawr l'aveva lasciato, era chiaro che l'avrebbero fatto uscire solo quando avessero avuto bisogno della sua presenza. O quando avessero deciso di sbarazzarsi di lui. Non si faceva illusioni. Presto o tardi, e nonostante le promesse, quel momento sarebbe giunto. Ryer Ord Star era scomparsa con il mago e il principe degli Elfi non aveva una chiara idea del motivo per cui la veggente si fosse rivoltata contro di lui. Aveva continuato a riflettere su quel particolare anche durante la tempesta, mentre sedeva in un angolo della cabina, appoggiato alla parete fra due grosse centine per evitare di essere scagliato qua e là. Ryer Ord Star aveva accettato di essere lo strumento della Strega di Ilse: non occorreva molta fantasia per pensare che si sarebbe accordata allo stesso modo con il Morgawr, se si fosse trattato di scegliere tra la vita e la morte. Walker non c'era più, ed era stato lui a darle forza, a orientarla. Senza di lui, la giovane donna sembrava più fragile, più minuta, più vulnerabile: un fuscello che rischiava di volare via al primo soffio di vento. Eppure, Ahren l'aveva giudicata sua amica, convinto che avesse chiuso con il passato e non volesse più tornare indietro. Vedersi tradire adesso, vedere rivelata la sua identità, udire il suggerimento dei modi in cui poteva essere utile al suo nemico era insopportabile. Che gli piacesse o no, doveva tenere conto della sgradevole possibilità che Ryer gli avesse mentito per tutto il tempo. Eppure, gli aveva chiaramente mormorato: «Fidati di me». Perché dirglielo se non per fargli sapere che era sempre sua amica? Che tipo di inganno stava architettando la veggente, e contro chi? Ahren aveva riflettuto anche sulle Pietre Magiche. Non riusciva a capire dove fossero finite. A Castledown erano di sicuro in suo possesso, ricordava chiaramente di averle infilate nella tasca della tunica. Non gli pareva di averle perse, non vedeva come sarebbe stato possibile, perciò qualcuno doveva avergliele portate via mentre era privo di sensi. Ma chi? Logicamente, i sospetti cadevano su Ryer Ord Star, ma Cree Bega l'aveva perquisita. E poi, come aveva potuto sottrargliele dopo che i Mwellret li avevano catturati? Rimanevano perciò solo i Mwellret, ma sarebbe occorso un atto di estremo coraggio o di estrema follia per nascondere le Pietre al Morgawr. Ahren non pensava che i Mwellret avrebbero corso un simile rischio.
Stava ancora cercando di far luce in quella confusione quando la tempesta era cessata e la nave era tornata a volare tranquilla nel cielo privo di nuvole. Vide di nuovo la luce del sole attraverso le fessure degli scuri che coprivano la stia finestra, e sentì l'odore pulito e tagliente dell'aria, come sempre dopo una tempesta. Si alzò ed era accanto alla finestra nella speranza di riuscire a vedere qualcosa di più quando la serratura della porta si aprì con urlo scatto. Si voltò e vide entrare un mwellret, muto e privo di espressione, che portava un vassoio con cibo e acqua. Il mwellret si guardò attorno per controllare che nulla fosse fuori posto, depose il vassoio per terra, vicino alla porta, poi indietreggiò, chiuse di nuovo la porta e tirò il catenaccio. Ahren si accorse di avere più fame del previsto. Mangiò e bevve, poi, con sorpresa, sentì giungere dal ponte il rumore di numerosi passi, tra grida e brontolii. La nave cambiò rotta varie volte, con una serie di scossoni. Evidentemente coloro che la governavano erano privi di esperienza o avevano i muscoli rigidi. A parte notare che venivano dalle Terre del Sud, marinai e soldati della Federazione come quelli che combattevano sul Prekkendor, non aveva prestato attenzione all'equipaggio, quando era salito a bordo. Aveva solo cercato di imparare la disposizione dei ponti e dei corridoi che attraversava, pensando che per fuggire ne avrebbe avuto bisogno. Chiuse gli occhi e sospirò. Adesso, quella speranza gli sembrava molto ingenua. Un sobbalzo improvviso lo fece indietreggiare e rovesciò il vassoio, spargendone a terra il contenuto. Un lento cigolio di assi e lo stridore del metallo sotto tensione gli fecero pensare che avessero urtato contro qualcosa di grosso. Finì per terra, mentre la nave si fermava con un altro scossone. Dal ponte gli giunse il rumore di passi concitati. Per un attimo pensò che stessero combattendo, poi i rumori si spensero. Eppure il movimento della nave era cambiato, la navigazione liscia e tranquilla era stata sostituita da un rollio irregolare, come se la nave fosse appoggiata contro qualcosa di assai pesante. Poi la porta della sua prigione si aprì di nuovo ed entrò Cree Bega, accompagnato da altri due Mwellret. Questi ultimi si avvicinarono a lui, lo fecero alzare rudemente in piedi e lo spinsero verso la porta. «Il piccolo elfo viene con noi» ordinò Cree Bega. Lo condussero sul ponte. La luce del sole era così forte che ne fu abbagliato. I due Mwellret lo costrinsero a fermarsi accanto al boccaporto e lui fissò, nel chiarore abbacinante del giorno, un gruppo di figure raccolte in vicinanza della prua. In maggior parte erano Mwellret, ma c'erano anche marinai della Federazione. Questi avevano la bocca aperta, il volto privo di espressione, sembravano in preda a una sorta di stupore, avevano lo sguardo spento. Ahren notò che la nave era ancora in volo: era sospesa nell'aria, a varie centinaia di piedi da una foresta dì un verde brillante. Un'alta catena di monti si stendeva davanti a loro, come la spina dorsale della penisola, e spariva in lontananza, in mezzo alla foschia. Poi vide che erano legati a una seconda nave, che riconobbe all'istante: era la "Black Moclips". «Meglio fare attenzione, adesssso» gli sussurrò all'orecchio Cree Bega. In quel momento, Ahren scorse Ryer Ord Star. La veggente era ferma accanto al Morgawr, in prossimità della prua, e la sua minuscola figura era persa nell'ombra dello stregone. Il Morgawr era curvo su di lei con atteggiamento protettivo, e lei pareva gradire quelle attenzioni, alzava gli occhi verso di lui, si appoggiava a lui come se la sua presenza le desse forza. Sul viso le si leggeva un'espressione di attesa, anche se era mortalmente pallida e sembrava un essere di un altro mondo. Ahren la fissò, aspettando di essere notato, ma lei non guardò mai dalla sua parte. A bordo della "Black Moclips", tutti i marinai della Federazione erano corsi al parapetto e tendevano le corde che univano le due navi. Avevano un'espressione assai preoccupata. Di tanto in tanto il loro sguardo correva ai compagni a bordo della nave del mago, ma lo distoglievano subito. Leggevano nel viso di quei compagni le stesse cose che vi aveva letto Ahren: il vuoto mentale e l'indifferenza. Un paio di uomini era sceso dalla cabina di pilotaggio della "Black Moclips" e si era fatto avanti. Il comandante, riconoscibile dalle insegne sull'uniforme, era un uomo alto e robusto con i capelli scuri
tagliati corti. L'altro, forse il secondo ufficiale, era altrettanto alto, ma sottile come un fil di ferro e aveva la faccia abbronzata e coperta di rughe degli uomini che hanno trascorso tutta la vita sulle navi. L'equipaggio della "Black Moclips" si rivolse ai due ufficiali per farsi rassicurare e quando giunsero al parapetto si strinse attorno a loro per mostrare la fedeltà ai suoi capi. Il Morgawr si avvicinò e parlò con loro per un momento, a voce troppo bassa perché Ahren riuscisse a distinguere le parole, poi il comandante della "Black Moclips" scavalcò la murata e passò sulla nave del Morgawr. «Avvicinati, piccolo elfo» gli ordinò Cree Bega. «Guarda cosssa sssuccede adesssso.» I Mwellret che lo tenevano sospinsero Ahren fino a un punto da cui potesse udire chiaramente. Il principe guardò di nuovo Ryer Ord Star, che era rimasta indietro e si teneva lontana da coloro che erano a prua. Aveva gli occhi chiusi e la faccia sollevata verso il cielo: stava sognando, comprese Ahren. Aveva una visione, ma nessuno se n'era accorto. «E quella donna vi ha presi prigionieri, si è impadronita della vostra nave e poi è fuggita, e tutto col solo aiuto di un Cavaliere del Wing Hove?» chiedeva il Morgawr. Il suo tono di voce era calmo, ma le parole contenevano un'inconfondibile minaccia. «E' una donna formidabile» rispose l'ufficiale della Federazione, incollerito. «Non più della tua padrona, comandante Aden Kett, e tu sei stato un po' troppo precipitoso ad abbandonarla. Al tuo posto, ci avrei pensato su due volte, prima di farlo.» Kett s'irrigidì. Fissava il buco nero nel cappuccio di quella strana creatura ed era chiaramente intimidito dalla presenza cupa, invisibile che si trovava dentro il mantello, dalla sua taglia e dal suo mistero. Capiva che quell'essere aveva qualche rapporto con la Strega di Ilse e questo lo rendeva molto pericoloso. «Ci ho pensato ben più di due volte, ti assicuro» gli rispose. «Eppure l'hai lasciata fuggire e non l'hai inseguita.» «La tempesta ci era addosso. Mi sono preoccupato della salvezza della nave e dell'equipaggio, non di una donna dei Corsari.» "Rue Meridian" pensò subito Ahren. In qualche modo, dopo che la Strega di Ilse era sbarcata, Rue era salita a bordo della Black Moclips e ne aveva preso il controllo. Dov'era adesso? E dov'erano gli altri Corsari? Tutti parevano scomparsi, evaporati nell'aria come Walker. «Quindi adesso avete la nave, però la corsara è sparita.» Il Morgawr parve voler chiudere l'argomento. «Ma dov'è la nostra piccola Strega di Ilse, comandante?» Aden Kett parve non capire. «L'ho già detto. Ha lasciato la nave e non è più tornata.» «E il ragazzo che è scappato, quello che le interessava tanto quando l'ha portato sulla nave, cosa gli è successo?» «Non so nulla del ragazzo. Non so cosa sia successo a tutt'e due. La sola cosa che so è che sono stufo di questo interrogatorio. La mia nave e il mio equipaggio sono agli ordini della Federazione. Non rispondiamo a nessun altro, soprattutto in questo momento.» Una dichiarazione coraggiosa, pensò Ahren. Una dichiarazione sciocca, se quello che il principe pensava del Morgawr era giusto. La Strega di Ilse era pericolosa, ma quella creatura, il suo maestro, lo era doppiamente. Aveva fatto un lungo viaggio per cercarla. Si era impadronito di un'intera flotta della Federazione per raggiungerla. Era circondato da Mwellret, chiaramente al suo comando. Aden Kett era stato assai imprudente. «E adesso hai voglia di tornare a casa, comandante?» gli chiese con calma il Morgawr. «Per riprendere a combattere sul Prekkendor?» Questa volta Aden Kett esitò prima di rispondere, forse perché capiva di avere passato il limite. I Mwellret, notò Ahren, si erano immobilizzati. Sulla loro faccia piatta, da rettili, si coglieva un senso di aspettativa. «Vorrei tornare per fare quello che mi chiederà la Federazione» rispose Kett. «Sono un soldato.» «Un soldato obbedisce al suo superiore, in missione, e tu sei in missione, comandante» disse piano il Morgawr. «Se ti chiedo di aiutarmi a trovare la Strega di Ilse, è tuo dovere farlo.»
Scese un lungo silenzio, poi Aden Kett replicò: «Tu non sei il mio ufficiale superiore. Non hai alcuna autorità su di me. O sulla mia nave e il mio equipaggio. Non so chi sei e come sei arrivato qui servendoti di navi e uomini della Federazione. Ma non mi porti un ordine scritto, perciò non sono obbligato a eseguire i tuoi ordini. Sono venuto a parlarti per usarti una cortesia. La cortesia te l'ho fatta e non ho ulteriori doveri verso di te. Buona fortuna, signor mio». Si voltò per tornare sulla Black Moclips. Fulmineo, il Morgawr fece un passo avanti e la sua grande mano artigliata uscì dal mantello e scattò ad afferrare per il collo lo sfortunato ufficiale della Federazione. Le robuste dita si chiusero sulla gola di Aden Kett, soffocando il suo inutile grido. L'altra mano del Morgawr uscì poi lentamente dal mantello, avvolta in una luce verde, mentre la sua vittima si divincolava senza riuscire a sfuggirgli. Poi, sotto lo sguardo inorridito di Ahren Elessedil, il Morgawr portò alla nuca del suo prigioniero la mano luminosa e la fece penetrare nei capelli, nella pelle, nell'osso, torcendola e rovesciandola come se fosse un cucchiaio. Kett sussultò e lanciò un grido spaventevole, nonostante la stretta sulla gola, poi rabbrividì una sola volta e s'immobilizzò. Il Morgawr ritirò la mano lentamente, con cautela. Il cranio dell'uomo si richiuse, sigillandosi come se nulla fosse successo. La mano del Morgawr non era più luminosa. Era bagnata e ne cadevano gocce di liquidi cerebrali. Il tutto durò pochi istanti. A bordo della Black Moclips, i marinai della Federazione corsero sconvolti al parapetto, ma i Mwellret li fermarono con asce e picche. Spinsero indietro gli inorriditi marinai e sciamarono a bordo della nave, serrandosi su di loro e prendendoti prigionieri. La sola eccezione fu il secondo ufficiale, che esitò solo Un istante, fissò lo sguardo vuoto del suo comandante, privo di vita e di emozioni, spogliato della sua umanità, corse al parapetto e si gettò nel vuoto. Il Morgawr si ripulì le dita di quanto rimaneva del cervello di Aden Kett, spargendone schizzi sul ponte. «Portatemi gli altri» disse ai Mwellret. «Uno alla volta, per poterli gustare con calma.» Incapace di controllarsi, piangendo, Ahren Elessedil si piegò in due e vomitò. «Quesssto sssuccede ai piccoli Elfi che disssobbedissscono» gli disse Cree Bega. «Pensssaci!» Poi fece riportare il ragazzo sottocoperta, nella sua prigione. Intanto a prua, all'ombra dei rostri ricurvi della nave, sola e dimenticata mentre Aden Kett veniva sottomesso, Ryer Ord Star aveva chiuso gli occhi e rimaneva immobile, con la mente svuotata. Walker" chiamò. Non ebbe risposta. Portato fino a lei dal vento, il profumo della foresta le riempiva le nari. Riusciva a immaginare gli alberi, i rami che si allargavano, le foglie che si toccavano come dita, un rifugio e una casa. "Walker." "Sono qui." Al suono della sua voce, Ryer Ord Star sentì la tensione diminuire e scendere in lei la pace che sempre provava quando Walker le era vicino. Anche dopo la morte le era accanto, a difenderla e guidarla. Come le aveva promesso nell'allontanarla da sé a Castledown, era tornato da lei. Non nella vita, ma nei sogni e nelle visioni, una presenza salda e sicura che le avrebbe dato la forza di cui aveva disperatamente bisogno. "Per quanto tempo ancora dovrò rimanere qui?" chiese la giovane donna. Nella sua mente, la voce del druido prese la forma di lui e le parve di averlo accanto come quando era in vita e la guardava cori gentilezza e comprensione. "Per te non è ancora giunto il momento di andartene" le rispose Walker. "Ma ho paura!" "Non devi. Io sono con te e ti proteggerò." Ryer continuò a tenere gli occhi chiusi e il viso sollevato. Sentiva sulla pelle il calore del sole e la frescura del vento, ma vedeva solo Walker. Chiunque la guardasse, e in particolare Ahren che la stava osservando, vedeva in lei una creatura piccola e fragile, in attesa di una sorte nota soltanto a lei. Ma Ryer era pronta ad affrontarla.
Le sue parole, ora, rivelarono cosa le mancava. "Sono troppo sola. Liberami da questo mondo." «Il tuo compito non è finito. Grianne non si è ancora svegliata. Devi darle il tempo di farlo. Deve rimanere libera. Deve sfuggire al Morgawr per il tempo sufficiente a ricordare." "Come farà a ricordare? Come riuscirà a tornare dal luogo dove s'è nascosta per sfuggire alla verità?" Sapeva di Grianne Ohmsford e della Spada di Shannara. Sapeva cos'era successo alla Strega di Ilse nelle catacombe di Castledown. Walker gliel'aveva detto al momento del loro primo incontro, quando lei e Ahren erano stati catturati dai Mwellret. Il druido le aveva spiegato ciò che era successo e ciò che voleva da lei. Ryer era stata così felice di rivederlo, anche se in un'altra forma e in un altro luogo, che avrebbe accettato qualunque sua richiesta. "Tornerà quando troverà il modo di perdonare se stessa" le sussurrò la voce familiare. "Tornerà quando sarà rinata." La veggente non riuscì a capire il significato di quelle parole. Come si potevano perdonare a se stessi cose terribili come quelle commesse dalla Strega di Ilse? Come poteva tornare in sé una persona che era vissuta come lei? "Tu devi ingannare il Morgawr" riprese Walker. "Devi rallentare la sua ricerca. Devi portarlo fuori strada. Nessun altro possiede la capacità o la magia per trovare Grianne. L'unica minaccia, per lei, è il Morgawr. Se la trovasse, tutto sarebbe perduto." A quelle parole Ryer sentì un brivido lungo la schiena. Cosa significava Tutto"? L'intero mondo e tutti coloro che vi abitavano? Era davvero possibile? Il Morgawr aveva un potere tale da compiere qualcosa di simile? Perché la sopravvivenza di Grianne Ohmsford era così importante per fermare quel destino? Come avrebbe potuto cambiare "tutto", anche se fosse riuscita a emergere dalla follia e dalla disperazione? "Cercherai di farlo?" le chiese Walker. "Cercherò" rispose Ryer Ord Star. "Ma devo aiutare Ahren." Per un momento ebbe l'impressione che il druido in carne e ossa la toccasse. Vide la mano di Walker protendersi per stringerle la spalla. Sentì le sue dita chiudersi, calde, robuste, vive. Per la sorpresa le sfuggì un piccolo grido. "Oh, Walker!" "Lascia stare il principe degli Elfi. Fa' come ti ho detto. Non parlargli. Non guardarlo. Non avvicinarti a lui. Continua a fingere, altrimenti tutte le cose per cui mi sono adoperato finiranno in rovina." La veggente annuì, con un sospiro, ancora persa nel contatto della sua mano, della sua carne. Sapeva cosa si aspettava da lei. Sapeva di dover agire da sola e nel miglior modo possibile. Riflette sulla sua scelta delle parole: "Continua a fingere, altrimenti tutte le cose per cui mi sono adoperato finiranno in rovina". Che voleva dire? Quali erano le cose per cui si era adoperato e che ora correvano dei rischi? Perché ci teneva tanto che lei ingannasse il Morgawr? Perché era importante che Grianne Ohmsford riuscisse a fuggire? Poi capì. La comprensione le giunse in un lampo, una verità così ovvia da indurla a chiedersi come le fosse potuta sfuggire. "Ma certo! pensò. "Come potrebbe essere altrimenti?" L'enormità della rivelazione la scosse a tal punto che per qualche istante perse la concentrazione e aprì senza volere gli occhi. Il forte sole la colpì abbagliandola, costringendola a richiudere subito le palpebre. Troppa luce. Troppe verità. La voce di Walker tornò a raggiungerla, in mezzo alla sua confusione e al suo turbamento, come una brezza gentile. "Fa' come ti dico. Un'ultima volta." "Lo farò. Lo prometto. Troverò il modo." Poi Walker sparì e lei rimase sola nell'oscurità della propria mente, con le parole del druido che indugiavano ancora in piccoli echi, la sua presenza ancora tiepida accanto al cuore.
Quando tornò di nuovo in sé, libera della visione, quando aprì di nuovo gli occhi, attenta a proteggerli dalla luce, udì le grida dei marinai della Black Moclips mentre il Morgawr divorava la loro anima.
14. Bek, Truls Rohk e una Grianne ancora priva di volontà autonoma lasciarono le rovine di Castledown poco prima dei Mwellret che li cercavano con i caulli e fuggirono nella foresta circostante. I loro inseguitori erano così vicini che potevano udirli muoversi fra gli alberi, allargandosi a ventaglio come battitori decisi a stanare la preda. La loro vicinanza dava a Bek un senso di impotenza che neppure la rassicurante presenza del cambiatore di forma riusciva a dissipare del tutto. Capì cosa doveva provare un animale braccato dagli uomini e dai loro cani per divertimento, anche se in quanto gli accadeva non c'era niente di divertente. Solo la necessità di muoversi per fuggire riusciva a tenere a bada il panico che provava. Non sarebbero riusciti a fuggire se Truls non si fosse preso la responsabilità di trasportare Grianne. Priva di volontà, la donna non sarebbe riuscita a muoversi con la velocità occorrente per sfuggire ai loro nemici e solo l'inattesa decisione del cambiatore di forma di trasportarla di peso diede loro quella possibilità. Ma anche così, per le prime due ore continuarono a essere assediati da tutti i lati. Ciò che alla fine permise loro di salvarsi fu l'arrivo della stessa tempesta che aveva fatto naufragare la "Jerle Shannara". Giunse dalla costa, sotto forma di una compatta parete di nuvole nere, e quando colpì, inseguiti e inseguitori si erano ormai addentrati nella profondità delle foreste che crescevano sui fianchi dei monti Aleuthra e non ebbero modo di sfuggire alla furia degli elementi. La tempesta li sommerse con un torrente di pioggia e una scarica dopo l'altra di tuoni. I fulmini colpivano gli alberi attorno a loro con accecanti esplosioni di scintille e di fuoco. Bek gridò a Truls che dovevano trovare un riparo, ma lui lo ignorò e proseguì, senza preoccuparsi di guardarsi alle spalle. Bek lo seguì soprattutto perché non aveva altra scelta. Continuarono a sfrecciare in mezzo agli alberi mentre la furia della tempesta si rovesciava su di loro come un'ondata di piena. Quando infine si fermarono, una volta cessata la tempesta, erano bagnati fradici e intirizziti fino alle ossa. La temperatura si era notevolmente ridotta e il verde della foresta aveva preso una sfumatura invernale. Il cielo era ancora scuro e coperto di nuvole, ma alla fine della notte, quando si cominciò a scorgere il chiarore argenteo del nuovo giorno, le nuvole si allontanarono. Il sole era ancora nascosto, ma presto si sarebbe innalzato al di sopra del banco di nubi e avrebbe illuminato la terra. Ansimando, Bek si voltò verso Truls. «Non possiamo tenere questo passo. Almeno, io non ci riesco.» «Mi diventi fiacco, ragazzo?» Il cambiatore di forma rise: una sorta di latrato animale. «Prova a portare in spalla tua sorella e vediamo come te la cavi.» «Pensi che li abbiamo seminati?» chiese Bek il quale, senza bisogno di parole, aveva capito la ragione di quella corsa. «Per ora. Ma presto ritroveranno la pista.» Il cambiatore di forma posò in terra Grianne e la fece sedere su un tronco. Lei rimase dov'era stata messa. Aveva il viso inespressivo e inerte, gli occhi assenti. «Almeno ci siamo procurati qualche minuto di tregua.» Bek guardò Grianne alla ricerca di un segno di riconoscimento, ma non ne trovò. Si sentì schiacciare dal peso dell'incapacità di lei di vivere normalmente, di reagire. Se volevano fuggire, non poteva rimanere in quella condizione. «Che facciamo?» chiese al cambiatore di forma. «Continuiamo a correre.» Bek sentì che Truls Rohk lo fissava dall'ombra del cappuccio. «Che altro possiamo fare?» Bek scosse la testa e non disse nulla. Gli pareva di avere perso il collegamento con il mondo. Si sentiva abbandonato, un orfano costretto a lottare da solo, ma senza alcuna possibilità di difendersi. Adesso che Walker se n'era andato e il gruppo della Jerle Shannara era morto o disperso, il solo scopo che gli fosse rimasto era quello di salvare la sorella. Se si fosse messo a riflettere sulla
propria situazione, cosa che si rifiutava di fare, sarebbe giunto alla conclusione che non avrebbe mai più rivisto la sua casa. «E ora di andare» annunciò Truls Rohk, alzandosi. Bek si alzò a sua volta, «Sono pronto» dichiarò, anche se non era affatto vero. Il cambiatore di forma brontolò, poco convinto, poi riprese Grianne tra le braccia possenti e si avviò. Camminarono per l'intera giornata, passando per luoghi dove il terreno era talmente intriso d'acqua che le loro orme sparivano e il loro odore veniva subito assorbito. Fu la giornata peggiore che Bek avesse mai vissuto. Si fermarono solo il tempo necessario a riprendere fiato, a bere un sorso d'acqua e a mangiare un po' delle scarse provviste che Truls aveva ancora con sé. Non rallentarono il passo, mantenendo un'andatura estenuante. Ma ciò che logorava le energie di Bek erano le circostanze della fuga, l'impressione costante di essere inseguiti, di correre senza una particolare destinazione in mente, di sapere che quanto ci poteva essere di familiare e rassicurante era sparito. Bek tenne duro affidandosi ai ricordi della sua casa, della sua famiglia, della sua vita prima del viaggio, ai ricordi di Quentin e dei genitori adottivi, al mondo dell'Altopiano di Leah, luoghi e giorni così lontani nel tempo e nello spazio da sembrare un sogno. Al calar della notte non udivano più i loro inseguitori. La foresta taceva, dopo la tempesta e in attesa del calar del sole, e la terra aveva ritrovato la pace. Bek e Truls Rohk sedettero in silenzio e mangiarono un po' di carne secca, formaggio e pane duro. Grianne non volle mangiare nulla, anche se Bek cercò varie volte di convincerla. Riuscì solo a farle bere un po' d'acqua, e lei bevve più per riflesso che come risposta ai suoi sforzi. Il giovane temeva che perdesse le forze e morisse se non mangiava qualcosa, ma non sapeva come fare. «Lasciala stare» fu la risposta del cambiatore di forma quando gli chiese la sua opinione. «Mangerà quando sarà pronta.» Bek non insistette. Mangiò con lo sguardo fisso nel buio, chiuso nei propri pensieri. Quando ebbero finito, il cambiatore di forma si alzò e si stiracchiò. «Sistema tua sorella per la notte e dormi. lo torno indietro e controllo se i rettili e i loro cani sono più vicini.» Dopo una pausa aggiunse: «Parlo sul serio, ragazzo. Dormi, lascia perdere l'idea di fare la guardia o di badare a tua sorella o altre cose del genere. Devi riposare, se vuoi restare al passo con me». «Ce la faccio benissimo» ribatté Bek. Truls Rohk rise piano e scomparve fra gli alberi. Si confuse fra i tronchi a tale velocità da sembrare uno spettro. Bek lo fissò per un momento, ancora in collera, poi si accostò alla sorella. Osservò il suo viso pallido e freddo: il viso della Strega di Ilse. Sembrava così giovane, i suoi lineamenti irradiavano l'innocenza di una bambina. Non c'era alcun indizio del mostro che nascondeva. Un senso di disperazione s'insinuò in lui, un dolore lacerante al pensiero di quello che aveva fatto della sua vita, delle terribili azioni commesse, delle vite rovinate. Grianne aveva sempre saputo quello che stava facendo, per quanto fosse male guidata. Aveva accettato il proprio comportamento e trovato il modo di giustificarlo. Aspettarsi che si liberasse del suo passato come un serpente si libera della pelle vecchia pareva ridicolo. Forse Truls Rohk aveva ragione. Non sarebbe mai tornata la bambina di un tempo. Non sarebbe mai ridiventata umana. D'impulso le toccò la guancia e fece scivolare le dita sulla pelle liscia. Non riusciva a ricordare com'era da bambina: l'immagine che ne aveva era puro frutto di immaginazione. Grianne si ricordava di lui, ma anche quel ricordo era frutto di un desiderio e di una speranza incerta. Avevano lo stesso aspetto, di conseguenza la immaginava un po' come una copia di se stesso. Ma era un errore. Pensare a lei come a una propria copia femminile equivaleva a illudersi. Allungò le braccia e la avvicinò delicatamente a sé. Lei lo lasciò fare senza offrire resistenza, si lasciò abbracciare. Bek cercò di immaginare cosa provava, intrappolata nella propria mente e incapace di liberarsi. Chissà se era cosciente della sua condizione? Aveva qualche percezione di quanto le stava succedendo? Premette la guancia contro quella di Grianne e sentì il suo calore. Non capiva perché, destasse in lui sentimenti così forti. La conosceva da poco tempo, era un'estranea e, fino a poco tempo addietro,
una nemica. Eppure l'affetto che provava era sincero, Bek fu costretto ad ammetterlo. Non l'avrebbe abbandonata, neppure a costo della propria vita. Lo sapeva con certezza, così come sapeva che tutto, nella sua vita, sarebbe cambiato. Una parte della responsabilità che sentiva verso la sorella, lo ammetteva, era dovuta al desiderio di sentirsi utile. La sua vita si era allontanata dai sentieri consueti, ma con la sorella, almeno, si sentiva importante. Era il suo difensore, la persona che la proteggeva. Grianne aveva molti nemici ed era più sola di lui. Accettando la propria responsabilità nei confronti della sorella, Bek aveva uno scopo superiore a quello della semplice sopravvivenza. La fece sedere su un piccolo tratto di terra asciutta, sotto i rami di un albero dalla chioma talmente fitta che la pioggia non era penetrata fino al suolo, e la coprì con il mantello. Poi continuò a fissarla a lungo, osservando gli occhi chiusi e i lineamenti regolari, il battito del sangue sulla gola, il petto che si alzava e abbassava a ogni respiro. Sua sorella. Poi si alzò e scrutò nell'oscurità, stanco ma non insonnolito, con la mente che cercava di districarsi nella palude dei dubbi, di decidere come fare per salvare se stesso e Grianne. Truls Rohk avrebbe fatto il possibile, ma Bek sapeva che era un errore affidarsi del tutto al suo enigmatico protettore. L'aveva già fatto in precedenza, ma non era stato sufficiente a salvarlo. Alla fine, come l'avevano avvisato i cambiatori di forma delle montagne, aveva dovuto fare affidamento solo su se stesso, Aveva atteso Grianne, l'aveva affrontata e aveva cambiato il corso della loro vita. Non poteva ancora dire, però, se il cambiamento fosse per il meglio o per il peggio. Supponeva per il meglio. Almeno Grianne non era più la Strega di Ilse, sua nemica e antagonista. Almeno erano insieme lontano dalle rovine e dalla Black Moclips e dai Mwellret. Almeno erano liberi. Si sedette, chiuse gli occhi per riposarli e in pochi istanti si addormentò. Dormì profondamente, a causa sia della stanchezza sia del desiderio di allontanarsi per qualche tempo dal mondo reale. Avvolto nell'oscurità e nel silenzio, gli era facile pensare di essere salvo. Non sapeva quanto tempo fosse passato, al momento del risveglio, ma su ciò che l'aveva svegliato non potevano esserci dubbi. Era una voce che l'aveva destato dai suoi sogni. «Bek.» La voce arrivava chiara e sicura fino a lui. Bek aprì gli occhi. «Bek.» Era Walker. Bek si alzò e si guardò attorno nella radura vuota. Il cielo sopra di lui era limpido e luminoso, pieno di migliaia di stelle, e la loro luce era come un'onda d'argento sul buio della foresta. Si guardò attorno. La sorella dormiva. Truls Rohk non era tornato. Era solo, in un luogo dove gli spettri potevano parlare e le verità rivelarsi, «Bek.» La voce che lo chiamava non proveniva dalla radura, ma da qualche luogo vicino e ne seguì il suono fino a raggiungere gli alberi che la limitavano. Non aveva alcun timore per la sorella, anche se non avrebbe saputo spiegarne la ragione. Forse pensava che Walker non l'avrebbe chiamato se la sorella fosse stata in pericolo. Bastò il suono della voce del druido a dare a Bek un senso di pace che sfidava ogni spiegazione. La voce di un morto che dava pace a un vivo... che cosa strana! Fece pochi passi e si trovò in una radura che aveva al centro un laghetto profondo, circondato di erbacce e coperto di gigli d'acqua, i cui fiori color lavanda si aprivano nella notte. L'odore dell'acqua e della foresta si mescolava a quello della terra, delle foglie marce e della nuova linfa. Qua e là si scorgevano lucciole, simili a minuscole lanterne di segnalazione. Il druido era dall'altra parte del laghetto, e non stava né sulla riva né nell'acqua, ma sospeso a mezz'aria, una figura trasparente di luci e ombre. Aveva la faccia nascosta nel cappuccio, ma Bek lo riconobbe subito. Nessun altro aveva la stessa corporatura e lo stesso atteggiamento. Nella morte come in vita, Walker era speciale. Il druido gli parlò come da un pozzo profondo e vuoto. «Bek, posso restare su questa terra per poco tempo, prima che il Perno dell'Ade mi riprenda. Il tempo si consuma rapido. Ascolta con attenzione, non tornerò più.»
La voce che saliva dal cavernoso rifugio di Walker era chiara e convincente. Aveva la risonanza di un'eco, ma con un tono più cupo. Bek annuì, per indicare che aveva capito, poi aggiunse: «Ti ascolto». «Tua sorella è la mia speranza, Bek. E la mia erede. L'ho affidata a te, ora che non sono più in vita. Deve rimanere libera e al sicuro. Deve avere il tempo di tornare in sé.» Bek avrebbe voluto dire che non era in grado dì sobbarcarsi quella responsabilità, gli mancavano la forza e l'esperienza necessarie. Voleva dire che la persona adatta era Truls Rohk, che lui agiva solo come coscienza del cambiatore di forma, affinché non abbandonasse Grianne. Ma non disse nulla, preferì ascoltare. Walker parve però capire la sua riluttanza. «Tua sorella non ha bisogno di forza fisica, Bek. Ha bisogno della forza del cuore e della mente. Ha bisogno della tua determinazione e dedizione per tornare indietro dal luogo dove si è nascosta.» «Nascosta?» si stupì Bek «Nascosta dietro un muro di diniego, di buio mentale, di silenzio del pensiero. Cerca un modo per accettare quello che ha fatto. L'accettazione viene con il perdono. Il perdono inizierà quando potrà affrontare la più cupa delle sue azioni, quella che giudica più imperdonabile, che la tormenta senza posa. Quando potrà affrontare quell'azione e perdonare se stessa, Grianne tornerà a te.» Bek scosse la testa, pensando a quel poco che conosceva della vita di Grianne. Quale azione poteva essere più cupa di tutte le altre? Ed era possibile che lo fosse? «Quell'azione...» iniziò. «La conosce solo lei. Perché è quella su cui si è fissata. Lei sola sa qual è.» Bek rifletté. «Ma quanto tempo occorrerà perché questo succeda? Quando succederà?» «Ci vorrà del tempo» rispose Walker. "Tempo che non abbiamo" si disse Bek. Tempo che scivolava via, come la notte scivola nel giorno, una certezza di perdita il cui corso non poteva essere invertito, «Ci sarà qualcosa che possiamo fare per aiutarla!» esclamò. «Nulla.» Un senso di disperazione si diffuse nel giovane, che vedeva sparire le speranze. Poteva solo cercare di sottrarre Grianne al Morgawr e ai suoi Mwellret. Continuare a fuggire. Attendere con pazienza. Augurarsi che trovasse il modo di uscire dalla sua prigione. Non era molto. Non era niente. «Truls vuole abbandonarla» disse piano, cercando altre risposte. «E se lo facesse davvero?» «Il destino di Truls non è il tuo. Anche se lui se ne andrà, tu dovrai rimanere.» Bek trattenne il fiato. «Ricorda la tua promessa.» «Non la dimentico, e mia sorella.» S'interruppe per massaggiarsi gli occhi: «C'è una cosa che non capisco. Perché Grianne è così importante per te, Walker? Era la tua nemica. Perché adesso cerchi a tutti i costi di salvarla? Perché dici che è la tua erede e la tua speranza?» La luna illuminò bruscamente la forma d'ombra, facendola vibrare e mutare. Sotto di essa, la superficie del lago tremò leggermente. «Quando si sveglierà, Grianne saprà.» «Ma se non dovesse svegliarsi mai?» chiese Bek. «E se non tornasse indietro dal luogo in cui s'è nascosta dentro di sé?» «Grianne saprà.» La figura d'ombra cominciò a ritirarsi nel buio. «Aspetta, Walker!» gridò Bek, disperato. «Non posso farcela! Non ne ho la capacità o l'esperienza! Come posso arrivare a lei? Non mi ascoltava neppure da sveglia! Non mi dirà nulla!» «Grianne saprà.» «Come può sapere qualcosa se io non posso spiegargliela?» Bek fece qualche passo avanti e si fermò sulla riva del laghetto. Il druido stava già scomparendo. «Qualcuno deve parlarle, Walker!» Ma l'ombra scomparve e Bek rimase solo con la sua confusione. Restò a lungo fermo a fissare il punto dove aveva visto Walker e si ripete nella mente le sue parole, cercando di capirle.
"Grianne saprà." Grianne Ohmsford, sua sorella, la Strega di Ilse, nemico mortale dei Druidi e di Walker, in particolare. "Grianne saprà." Non c'era alcun senso. Eppure, in fondo al cuore, dove quel genere di cose si rivela come l'arcobaleno dopo la tempesta, sapeva che era vero.
15. Quando Bek tornò all'accampa mento, Grianne dormiva ancora e Truls Rohk non c'era. Dalla posizione delle stelle, vide che era passata la mezzanotte, perciò si mise a dormire e non si svegliò finché non sentì sulla spalla la mano del cambiatore di forma. «E' ora di andare» gli disse Truls, a bassa voce, guardando i boschi dietro di loro. «Dove sono?» chiese subito Bek. Il sole non era ancora sorto, il cielo cominciava appena a rischiararsi. «Ancora lontani, ma si avvicinano. Non hanno trovato la nostra pista, ma la troveranno presto.» «I caulli?» «Sì. Mutazioni di esseri umani, catturati e alterati con la magia.» Guardò Bek. «Opera di tua sorella, avrei detto, se non fosse qui con noi. Perciò dev'essere il Morgawr. Chissà dove avrà preso le sue vittime.» Bek si rizzò a sedere di scatto. «Non Quentin e gli altri, vero? Non i Corsari?» Truls Rohk lo prese per un braccio e lo fece alzare in piedi. «Non pensare a queste cose. Pensa a rimanere sempre un passo avanti a loro. Per il momento è una preoccupazione sufficiente.» Si chinò sullo zaino con le provviste e prese una forma di pane. La spezzò e ne diede a Bek. «Se tu fossi come me, non ne avresti bisogno» gli disse, ridendo piano. «Ma naturalmente, se tu fossi come me, non saresti in questo pasticcio.» Bek accettò il pane e lo mangiò. «Grazie per essere rimasto con noi» disse poi al cambiatore dì forma, indicando Grianne che ancora dormiva. Truls Rohk brontolò qualcosa d'incomprensibile. «In questi boschi ci sono branchi di caulli e di Mwellret dappertutto, ce ne sono decine» spiegò. «Ma non danno la caccia soltanto a noi. Ho sentito i rumori di qualcun altro che lottava contro di loro, quando sono andato a esplorare: un grosso gruppo, che si dirige verso le montagne. Non ho avuto il tempo di controllare chi erano. Forse non vale la pena di pensarci, a parte il fatto che serviranno ad allontanare alcuni Mwellret.» Poi gli rivolse un gesto impaziente. «Ma adesso basta. Andiamo.» Sollevò Grianne e ripartirono. Passarono rapidi e silenziosi in mezzo agli alberi, poi raggiunsero un ruscello poco profondo e camminarono nel suo letto per alcune miglia. Pareva che ripetessero quanto avevano fatto meno di una settimana prima. Avevano preso un cammino diverso, ma si trattava degli stessi boschi. Anche ora, cercavano di sfuggire a un cacciatore che possedeva la magia e a una creatura modificata per trovare le loro tracce. Anche questa volta, si allontanavano dalle rovine di Castledown e si dirigevano verso l'entroterra. Anche questa volta, fuggivano senza una meta. Una situazione quasi comica, o meglio patetica, pensò Bek. Nel corso della mattinata, nonostante l'avvertimento di Truls Rohk, cominciò a riflettere sul destino dei suoi compagni. Non sopportava l'idea che fossero stati trasformati in caulli, dopo tutte le sofferenze che avevano già patito. Nella mente gli affiorò l'immagine dì Quentin divenuto un animale ringhiante. Se gli fosse successo, lui l'avrebbe saputo? Bek avrebbe dovuto sentirlo, dato il forte legame tra loro. Ma, d'altro canto, non era Ryer Ord Star, perciò non poteva esserne sicuro. In quel momento non era neppure sicuro che il cugino fosse vivo. Il canto magico era potente, ma non dava la chiaroveggenza. Non sapeva nulla dei suoi compagni, escluso il solo Walker.
Ripensò alla visita ricevuta dall'ombra di Walker. Non ne aveva parlato a Truls Rohk. Non era sicuro della ragione per cui gliel'aveva taciuto, semplicemente non gli era parso necessario dirglielo. Se Walker avesse voluto far sapere a Truls quello che aveva da dire, sarebbe apparso a tutt'e due. Era già difficile trattare con Truls Rohk anche senza dover discutere con lui le enigmatiche affermazioni di Walker. Il druido aveva detto che il destino di Truls non era legato al suo. Viaggiavano insieme e almeno per il momento condividevano una causa comune, ma questo non significava che le cose non potessero cambiare. Dall'inizio di quel viaggio erano cambiate così tante volte che ormai Bek non dava nulla per scontato. Nel messaggio di Walker non c'era nulla che riguardasse Truls Rohk, nulla che gli fosse utile, nulla che potesse cambiare quello che stavano facendo ora. A Bek non piaceva dissimulare, e anche se non si trattava di menzogne, era qualcosa di abbastanza vicino da farlo sentire in colpa. Pensò alla sua attuale situazione, chiedendosi se c'era qualche possibilità che uno dei Cavalieri del Wing Hove li vedesse dal cielo. Improbabile, in quella foresta così fitta ed estesa. Là sotto erano come formiche, invisibili dall'alto. Solo creature terrestri come i caulli potevano scoprire le loro tracce, e questo era proprio ciò che volevano evitare. Rinunciò dunque all'idea di un salvataggio. Era un sogno, lo sapeva, un tentati-vo di afferrarsi a qualunque speranza. Non poteva permettersi la disperazione, doveva affidarsi solo alla determinazione e alla perseveranza. Camminarono per tutto il giorno, fino all'indomani, risalendo le colline ai piedi della catena di monti. I Mwellret e i caulli continuarono a inseguirli, ma pareva che non avessero guadagnato terreno. Di tanto in tanto le navi del Morgawr passavano sopra di loro. Non incontrarono animali o uomini, nessun indizio che qualcuno vivesse in quelle foreste, tranne gli uccelli e gli insetti. Era un'illusione, naturalmente, ma procurò a Bek un tale senso di solitudine da spingerlo a chiedersi se rimanesse davvero qualche speranza per loro. L'aria si era fatta via via più fredda, le cime dei monti erano nascoste dietro nubi cariche di neve. L'eterna estate era finita con la distruzione di Antrax e il clima era sconvolto. La seconda notte, dopo avere provato inutilmente a persuadere Grianne a mangiare, Bek affrontò Truls Rohk. «Ho l'impressione che questa fuga non ci porti a nulla» gli disse. «Serve solo a mantenerci in vita per un giorno in più.» Truls Rohk teneva la testa china, non si scorgeva l'ovale scuro della sua faccia. «E non ti basta, ragazzo?» «Non chiamarmi "ragazzo", Truls. Non mi piace come lo dici.» Il cappuccio si sollevò. «Che hai detto?» Bek non cedette. «Non sono un ragazzino, sono cresciuto. Da come parli, mi fai sentire giovane e stupido, ma non è vero.» Il cambiatore di forma era immobile e Bek temette che una di quelle mani robuste lo afferrasse per la tunica e lo scuotesse fino a fargli battere i denti. «Presto o tardi dovremo smettere di correre» disse Bek, e si costrinse a proseguire: «L'altra volta abbiamo continuato a fuggire e non ha funzionato. Penso che ci occorra un piano migliore. Abbiamo bisogno di una meta», Non ci fu risposta. L'apertura del cappuccio pareva un foro nella terra, capace di inghiottirlo se si fosse avvicinato troppo. «Penso che dovremmo tornare sulle montagne e cercare i cambiatori di forma che vi abitano.» Truls Rohk trattenne il fiato. «Perché?» «Perché forse possono indicarci dove andare, o aiutarci in qualche modo. Parevano amichevoli nei miei confronti, quando si sono mostrati, come se in me vedessero qualcosa che io non avevo visto. Sono stati loro a spingermi ad affrontare Grianne. Penso che potrebbero aiutarci anche questa volta.» «Non ti avevano detto di non tornare?» «Ti hanno salvato la vita» gli ricordò Bek. «Forse sarebbe diverso se tornassimo da loro insieme.»
«Forse no.» Bek s'irritò. «Perché, tu hai un'idea migliore? Dobbiamo salire su quelle montagne e attraversarle senza sapere cosa c'è dall'altra parte? O dobbiamo rimanere in questi boschi finché non avremo più alberi dietro cui nasconderci? Che altro possiamo fare, Truls?» «Abbassa la voce quando parli con me, altrimenti non avrai una seconda possibilità di rivolgere queste domande!» Il cambiatore di forma si alzò e si allontanò. «Ci penserò» disse senza girarsi. «Più tardi.» Forse ci pensò, forse no. Rimase via per tutta la notte, in esplorazione, si disse Bek. Ma l'indomani mattina, chiuso in sé e irraggiungibile, Truls Rohk si rifiutò di parlargli. Ripresero la fuga alle prime luci dell'alba, con il cielo sereno, l'aria fredda e frizzante, la luce pallida e debole. Bek aveva detto a Truls Rohk di non chiamarlo più "ragazzo", ma in realtà si sentiva ancora come un ragazzino. Aveva sopportato prove tremende e terribili rivelazioni su se stesso, e queste esperienze l'avevano cambiato, ma non l'avevano reso più capace di affrontare la vita. Si sentiva ancora esitante e insicuro. Aveva il potere del canto magico e la Spada di Shannara cui affidarsi, ma questo non gli dava un senso di maggiore maturità. Era ancora un ragazzino che fuggiva dalle cose che lo spaventavano, e senza la sorella che aveva bisogno di lui, sarebbe crollato da un pezzo. Il rifiuto di Truls Rohk a discutere con lui contribuiva a renderlo ancora meno sicuro. Bek aveva una mezza convinzione, l'aveva sempre avuta, che la promessa del cambiatore di forma di occuparsi di lui fosse scritta nel vento. Nulla di quanto l'altro diceva o faceva dava l'impressione che attribuisse particolare importanza a quell'impegno, soprattutto ora che Walker era morto. Non avevano fatto altro che fuggire senza risultato e lo sforzo cominciava a irritare Truls Rohk, mentre Bek sentiva aumentare la distanza tra loro. Una volta il cambiatore di forma gli aveva detto che si somigliavano molto. Era passato parecchio tempo da allora e Bek non era più sicuro che Truls Rohk avesse parlato con sincerità. Si era servito di lui per punzecchiare Walker, per continuare la partita in corso tra loro da molti anni. Non pensava che nel suo rapporto con il cambiatore di forma ci fosse altro. Erano pensieri deprimenti, ma Bek era ormai così deluso e preoccupato che quei pensieri si facevano strada con facilità. Se ne pentiva subito, si biasimava per questo, ma avrebbe voluto da Truls Rohk qualcosa di più. Il tipo di rassicurazione e di amicizia che aveva sempre avuto da Quentin. Tuttavia, forse era inutile aspettarselo da lui. Forse non era abbastanza umano per farlo. Camminarono per l'intera mattina senza parlare e senza fermarsi. Era quasi mezzogiorno quando il cambiatore di forma si fermò all'improvviso e sollevò la testa per fiutare l'aria. «C'è qualcosa in arrivo» disse. Indicò davanti a loro, in mezzo agli alberi. Si trovavano in una radura circondata da antichi cedri e abeti in cima a una delle colline da cui si scorgevano le vette dei monti davanti a loro. Non erano lontani dalla zona abitata dai cambiatori di forma e il ragazzo pensò in un primo momento che forse erano quelle creature della montagna, venute a incontrarli. Ma Truls Rohk non pareva pensarla allo stesso modo. «Ci sta inseguendo» continuò con calma, come per dare un senso all'idea. E in verità, non aveva molto senso. Qualunque cosa fosse, era davanti a loro, non alle spalle. Ed era anche sopravvento. Non poteva seguire le loro tracce o il loro odore. «Come può essere?» chiese Bek. Il cambiatore di forma si stava già muovendo e lo guidò tra gli alberi, in una direzione perpendicolare alla precedente, per allontanarsi da ciò che avevano davanti. Attraversarono il bosco, poi entrarono in un ruscello e indietreggiarono per un quarto di miglio nell'acqua prima di risalire sulla riva. Per tutto il tempo, Truls Rohk rimase in silenzio e si concentrò su quello che potevano dirgli i sensi. Quando Bek cercò di parlargli, il cambiatore di forma gli fece segno di tacere. Alla fine si fermarono in cima a un'altura boscosa, dove il cambiatore di forma posò Grianne, si girò verso la via che avevano percorso, poi ruotò adagio a destra, mettendosi parallelo alla loro direzione.
In tono cupo e duro, disse: «Si muove con noi, tenendosi un po' più avanti. Aspetta che ci avviciniamo». Bek si chiedeva chi fosse l'inseguitore. «Chi è, Truls?» chiese. Il cambiatore di forma guardò per qualche istante dinanzi a sé, senza rispondere, poi disse: «Andiamo a vedere». Riprese Grianne e si diresse verso il loro inseguitore. Bek avrebbe voluto dirgli che non gli pareva una buona idea e che avrebbero dovuto allontanarsi. Ma cercare di dire al cambiatore di forma cosa doveva fare in quella situazione sarebbe servito solo a irritarlo. Inoltre, se la creatura che li inseguiva era in grado di scoprirli senza bisogno di fiutare l'odore o di seguire le impronte, non si sarebbe certo lasciata ingannare da un semplice cambio di direzione. Proseguirono per qualche tempo, ascoltando i rumori della foresta. Lentamente quei suoni sparirono. Nel giro di pochi minuti la foresta divenne silenziosa. Truls Rohk rallentò, scivolando senza fare rumore in mezzo agli alberi, fermandosi di tanto in tanto ad ascoltare prima di proseguire. Bek lo imitava, cercando di muoversi in silenzio come lui, di essere altrettanto invisibile. Giunto a una piccola valle dove serpeggiava un fiumiciattolo, il cambiatore di forma si fermò. «Là» disse, indicando un punto in mezzo agli alberi. A tutta prima, Bek scorse solo una parete di tronchi inframmezzati da ciuffi di alte erbe e cespugli. Il punto in cui si trovavano era buio, la luce era schermata da uno spesso soffitto di rami. Un leggero pendio conduceva fino al fiume, in gran parte nascosto dietro gli alberi e l'ombra. L'aria era fredda e immobile, il sole non la riscaldava, il vento non la agitava. Poi Bek vide un'ombra diversa dalle altre, tozza e massiccia, acquattata sotto gli alberi, mimetizzata fra i tronchi scuri. La fissò a lungo, finché la figura non si mosse per cambiare posizione e allora scorse lo scintillio dei suoi occhi gialli. Un momento più tardi, la creatura si staccò dal nascondiglio e avanzò all'aperto. Era massiccia, con le spalle curve e il petto ampio, coperta di ciuffi irsuti di pelo grigio. Aveva testa di lupo, ma trasformata in qualcosa di orribile. Il muso lungo e gli orecchi appuntiti erano da lupo, ma le mandibole erano grosse e larghe e quando le scostò si scorsero due file di, denti lunghi un dito strettamente serrati tra loro. Si muoveva sulle quattro zampe, con un'andatura dondolante. Aveva le zampe anteriori sproporzionate rispetto a quelle posteriori, che erano così corte e tozze da far sembrare l'animale accucciato anche quando era in piedi. Scese nella valle finché non fu quasi al fiume. Là si fermò, sollevò la testa ed emise il più raccapricciante ululato che Bek avesse mai udito, una combinazione di gemito e ringhio che fece piombare la foresta in un silenzio ancora più profondo. «Che cos'è?» sussurrò Bek. Truls Rohk rise piano e rispose ironico: «Il destino di tua sorella, venuto a riprendersela. E' la creatura che ha modificato per inseguirci quando fuggivamo da lei, la cosa da cui mi hanno salvato i cambiatori di forma. Pensavo che fosse morta, ma evidentemente l'hanno messa in libertà fuori dei loro confini. E' un caullo, ma guardalo! E' mutato al di là di quello che lei stessa voleva. E divenuto una creatura ancora più mostruosa. Più grossa e più forte». «E cosa vuole da noi?» Bek lo guardò. «Hai detto che ci segue. Cosa vuole?» «Vuole lei» rispose a bassa voce il cambiatore di forma. «E' venuto per lei. Non vedi come la guarda?» Era vero. I duri occhi gialli non erano fissi su di loro, ma sulla ragazza addormentata: fermi su di lei con una tale concentrazione da non lasciare adito a dubbi sulle sue intenzioni. «E' una vera follia» mormorò Truls, con una leggera meraviglia. «Catturato, mutato, cacciato via e perduto. Cerca solo una cosa. La vendetta, per ciò che gli è stato fatto, per ciò che gli è stato sottratto. Una vita. Un'identità. Chi può dire cosa pensa e prova adesso? Deve averla trovata perché è collegata a lui dalla magia, da una sorta di affinità. Lei l'ha creato, e l'animale rimane legato alla
sua creatrice. Forse sente il battito del suo cuore. O il respiro. Chi può dirlo? Ha sentito la sua presenza ed è venuto.» Il caullo gridò di nuovo, lo stesso gemito acuto. A Bek si accapponò la pelle e lo stomaco gli si strinse in un nodo. Aveva già avuto paura altre volte, in quel viaggio, ma mai come in quel momento. Non poteva dire se fosse l'aspetto del caullo, deforme e irsuto, o il suo grido o la sua semplice esistenza, ma era terrorizzato. «Che facciamo?» chiese, riuscendo a malapena a pronunciare le parole. Truls Rohk sbuffò in tono dì derisione. «Gliela diamo. Lei l'ha fabbricato, che sia lei a subirne le conseguenze.» «Non possiamo farlo, Truls! E' indifesa!» L'altro gli si rivoltò contro. «Potrebbe essere il momento buono per tirar fuori un po' dì razionalità, ragazzo.» Sottolineò la parola. «I nemici che intendono uccidere tua sorella sono così numerosi che non possiamo neppure contarli! Presto o tardi, uno di essi ce la farà. Il solo risultato che otteniamo interferendo ora è quello di rimandare l'inevitabile. Tu pensi di poterla salvare, ma non è vero. E' ora di lasciarla andare. Quando è basta è basta!» Bek scosse la testa. «Non mi piace sentirti dire queste cose.» «E' solo la Strega di Ilse! La sorella cui ti ostini a pensare è morta! Perché sei tanto cocciuto? Bah, io ne ho abbastanza. Fa' quello che ti pare, ma io me ne vado!» Bek respirò a fondo per calmarsi. «Va bene, Vattene. Non mi devi nulla. Non è giusto chiederti di fare più di quello che hai già fatto.» Guardò il caullo, curvo sulla riva del fiume. «Me ne occupo io.» Truls Rohk sbuffò. «Davvero?» «Il canto magico è stato abbastanza forte da fermare i granchi meccanici di Antrax. Può fermare quella creatura.» Si avvicinò al cambiatore di forma. «Dalla a me.» Senza aspettare la risposta di Truls Rohk, gli prese Grianne dalle braccia e si allontanò. «E' mia sorella, Truls. Qualunque cosa tu dica.» Truls Rohk sollevò la testa e lo fissò. «Il canto magico è una magia potente, Bek Ohmsford, ma non ti basta. Non ne hai ancora la padronanza. Tua sorella te l'ha fatto capire. Quella creatura ti sarà alla gola prima che tu decida cosa fare.» Bek lanciò un'occhiata al caullo e si sentì gelare al pensiero di quei denti e di quegli artigli che gli strappavano la carne. Sarebbe finita in fretta, pensò. Il dolore sarebbe durato pochi istanti, poi sarebbe stata la volta di Grianne. «Puoi fare una cosa per me» disse al cambiatore di forma. «Se tu riuscissi ad attirare la sua attenzione, anche solo per un momento, io potrei colpirlo quando non se l'aspetta.» Truls Rohk lo fisso. Bek non riusciva a vedere i suoi occhi all'interno del cappuccio, ma sentiva il peso del suo sguardo, duro e sicuro. Per qualche istante Truls non parlò e si limitò a fissarlo. «Non farlo» disse infine al ragazzo. Bek scosse la testa. «Devo. Lo sai.» «Non riuscirai a sopravvivere.» «Allora potrai fare di mia sorella quello che ti pare.» Lo guardò con aria di sfida. «Non ci sarò io a fermarti.» Scese un altro lungo silenzio. Bek si ravviò un ciuffo di capelli e sentì una goccia di sudore scivolargli lungo la fronte. Aveva caldo nonostante l'aria gelida. Aveva l'impressione di bruciare. Il cambiatore di forma attese ancora un istante, continuando a fissare Bek, poi disse seccamente: «E va bene. Quello che dovevo dire l'ho detto. La decisione di rimanere con lei è tua». Si avviò. «Cercherò di richiamare la sua attenzione. Può darsi che serva, ma ne dubito. Buona fortuna, ragazzo.» Bek lo guardò allontanarsi giù per il pendio, muovendosi con l'eleganza e la precisione di un gatto selvatico. Per quanto fosse deforme, un'aberrazione della natura, era bellissimo a guardarsi. Bek non credeva che intendesse davvero andarsene. Erano stati insieme fin dall'inizio del viaggio, una volta usciti dal Wolfsktaag. Truls Rohk l'aveva salvato tante volte che Bek ne aveva perso il conto, gli
aveva impartito gli insegnamenti occorrenti per capire la sua eredità e il suo destino. Non sempre erano stati d'accordo su tutto, e tra loro c'era sempre stato un certo grado di sfiducia e di dubbio, ma il loro sodalizio aveva funzionato. Era sconvolgente vedere la fine di quell'amicizia. Anche ora che vedeva il cambiatore di forma allontanarsi, Bek stentava a credere che la cosa succedesse per davvero. Sembrava che Truls Rohk, andandosene, portasse con sé qualcosa di Bek. La sua sicurezza. Il suo cuore. "Truls" avrebbe voluto gridare. "Non andare via!" Il caullo si girò per guardare il cambiatore di forma, tendendo i muscoli poderosi. Bek posò a terra Grianne, dietro di sé, prima di voltarsi di nuovo verso il caullo. Quando si fosse lanciato contro di lui, sarebbe stato fulmineo: avrebbe avuto una sola occasione per fermarlo. Non ebbe neppure quella. Prima che potesse prepararsi, il caullo attaccò a con velocità accecante. Attraversò in un lampo il fiume e risalì il pendio, in una confusione di gambe in movimento e di mascelle spalancate. Bek sarebbe morto un attimo più tardi se Truls Rohk non fosse stato ancora più rapido. Fu così veloce da dare l'impressione di essere scomparso da un posto per ricomparire in un altro: intercettò il caullo dal fianco, gli andò contro e lo gettò a terra. Poi fu sulla bestia e la assalì come un animale, ringhiando con tale ferocia che Bek non fu più certo che si trattasse di Truls. Il cambiatore di forma colpì il caullo con armi che Bek non riuscì a vedere, forse nascoste sotto il suo mantello o forse fabbricate a partire dalla massa di ossa appuntite che costituivano il suo corpo. Quale che fosse la natura di quelle armi, parevano efficaci. Pezzi del corpo del caullo volarono nell'aria, il suo sangue schizzò in lunghi spruzzi verde scuro. I due lottatori ruzzolarono lungo il pendio, stretti l'uno all'altro, dimentichi di tutto nella lotta mortale. Bek si riprese quanto bastava per ricordarsi di dover ricorrere al canto magico, ma non riuscì a trovare un modo efficace di usarlo. Cambiatore di forma e caullo erano avvinti così strettamente che non poteva usare la magia senza colpirli tutt'e due. Corse accanto ai due contendenti, spostandosi di qua e di là, alla disperata ricerca di un modo per intervenire e incapace di trovarlo. «Truls!» gridò freneticamente. Dal groviglio dei due lottatori era schizzato uno spruzzo di sangue rosso, il sangue umano del cambiatore di forma, uscito da qualche ferita nascosta dal mantello. Sentì Truls ringhiare per il dolore e la collera, poi lo vide gettarsi contro il caullo con furia rinnovata e inchiodarlo a terra. Il caullo lanciò un urlo che sembrava lo schianto di una lastra metallica, si divincolò e cercò di mordere in un mulinello di artigli e zanne, ma non poté liberarsi. Poi Truls Rohk circondò con le braccia la testa della creatura e gliela tirò indietro, torcendola con violenza. Bek udì i legamenti che si strappavano e le cartilagini che si spezzavano. Il caullo lanciò un urlo così furioso da superare la peggiore tempesta che Bek avesse incontrato, gli uragani che abbattevano finestre e pareti, le trombe d'aria che sradicavano gli alberi. Il caullo inarcò un'ultima volta la schiena nel tentativo di scrollarsi di dosso il cambiatore di forma, poi la sua testa si staccò dal corpo ed esplose. Nel silenzio che seguì, al tempo stesso cacofonico e vuoto, Truls Rohk gettò lontano da sé il corpo del suo nemico, che sussultava ancora. Cadde al suolo, nella foresta, e attorno a esso si allargò una macchia di sangue nerastro. Il cambiatore di forma lo fissò ancora per un momento. Si chinò sul fiume per bere e lavarsi, poi risalì la collina fin dove lo attendeva Bek. Senza fermarsi neppure per un secondo, si chinò e riprese Grianne tra le braccia. «Ho cambiato idea» annunciò con voce roca, ansimante. E riprese il cammino mentre Bek, stupefatto, si affrettava a seguirlo.
16. Con l'avanzare del giorno, mentre lasciavano le colline e si arrampicavano sui primi pendii dei monti, Bek Ohmsford notò con crescente chiarezza due particolari. Il primo fu che erano entrati nel territorio dei cambiatori di forma. Lo sapeva non perché ci fossero pietre di confine o cartelli o altre cose del genere a segnalarlo. Dato che questa volta giungevano da
una direzione diversa, non si trattava neppure di riconoscere ciò che aveva visto la volta precedente. Sapeva dov'era perché sentiva che i cambiatori di forma lo stavano osservando. Sentiva su di sé i loro occhi, Era giorno e il pendio brullo dei monti offriva pochi nascondigli, perciò sembrava che non ci fosse nessuno. Eppure i cambiatori di forma c'erano, e non lontani. Una volta avrebbe potuto mettere in dubbio quella sensazione, ma dopo avere provato qualcosa di analogo meno di una settimana prima, e in modo così forte da riuscire a malapena a respirare perché i cambiatori di forma erano sopra di lui, ormai non ne dubitava più. Il secondo particolare fu che Truls Rohk stava crollando. Al termine della lotta contro il caullo era senza fiato e ferito, ma non pareva correre alcun vero pericolo. Aveva camminato come al solito per molte ore, trasportando Grianne e muovendosi a un passo che Bek faticava a seguire. Ma nelle ultime due ore, con l'avvicinarsi della notte, aveva cominciato a rallentare, poi a barcollare, e il suo passo regolare era diventato un avanzare traballante. «Devo riposare» disse infine Bek, per scoprire cosa stava succedendo. Il cambiatore di forma proseguì per altre cinquanta iarde, poi crollò accanto a un tronco spezzato e riuscì a malapena a posare a terra Grianne prima di lasciarsi cadere accanto a lei. Non le si era mai seduto vicino, prima, ma adesso pareva non avere la forza di allontanarsi. Bek lo raggiunse e fece per prendere l'otre dell'acqua. Truls glielo passò senza alzare gli occhi. Respirava con affanno, e Bek vide come gli sussultavano le spalle nel tentativo di respirare. Il giovane si sedette e mentre beveva vide il cambiatore di forma rabbrividire. Rimasero seduti a lungo senza parlare, guardando la valle sotto di loro e ascoltando il silenzio. «Possiamo accamparci qui» suggerì infine Bek. «Dobbiamo proseguire» rispose Truls Rohk, con una voce roca e incrinata che non sembrava neppure più la sua. «Dobbiamo ancora salire di quota finché c'è luce.» Si voltò verso Bek, e il ragazzo vide solo il buio e il vuoto dentro il cappuccio, e gli parve di fissare un foro che conduceva alle profondità della terra. «Sai dove siamo?» Bek annuì. «Nella regione dei cambiatori di forma.» Un accesso di tosse squassò il corpo di Truls, che si piegò su se stesso per poi raddrizzarsi. «Dobbiamo entrare più in profondità nel loro territorio» continuò. «Così non avranno scelta e dovranno parlare con noi.» «Allora hai deciso di chiedere il loro aiuto?» Truls Rohk non rispose. Un altro violento spasmo lo fece rabbrividire. «Truls, che cos'hai?» chiese Bek, accostandosi. «Va' via!» gli rispose con ira il cambiatore di forma. Bek si scostò. «Che cos'hai?» Per un momento non ebbe risposta. Infine, Truls Rohk disse: «Non lo so. Non mi sento a posto. Il caullo mi ha fatto qualcosa, ma non so cosa. Non mi pareva che quei morsi e quei graffi fossero gravi, ma ho l'impressione che tutto si stia sfaldando». Rise seccamente. «Non sarebbe un bello scherzo, per me, se morissi a causa di tua sorella? Per proteggere la mia nemica? Il druido si divertirebbe molto all'idea, se fosse qui!» Tornò a ridere, una risata fiacca e incerta. Poi si rimise in piedi, sollevò Grianne e riprese il cammino. Proseguirono per un'altra ora. Il pomeriggio lasciò pian piano il posto al crepuscolo, l'aria fresca divenne gelida, pizzicando la faccia di Bek. Le ombre si allungarono sui monti, dita scure protese, e nel cielo apparve la luna, che usciva dalla foschia dell'orizzonte: una mezzaluna già in fase calante. Bek si guardò alle spalle per controllare se erano seguiti, ma con quella luce così scarsa era impossibile capirlo, perciò rinunciò subito. Scrutò tutt'attorno, alla ricerca di coloro che li osservavano, ma non ottenne alcun risultato. Tese l'orecchio, ma intorno a loro il silenzio era assoluto. Raggiunsero un tratto piano su cui cresceva un bosco di conifere e Truls Rohk cadde di nuovo. Questa volta crollò senza preavviso: Grianne gli sfuggì di mano e lui rotolò sul terreno, poi si
fermò, non si mosse più e iniziò ad ansimare in cerca d'aria. Bek corse subito accanto a lui, ma Truls lo allontanò. «Lasciami stare!» gli disse in tono brusco. «Pensa a tua sorella!» Grianne era afflosciata su un fianco, con gli occhi aperti e fissi, ma non pareva ferita. Bek la mise a sedere, le rassettò i vestiti e le tolse dai capelli foglie e rametti prima di tornare da Truls. «Per me è finita» disse il cambiatore di forma con voce rauca. «Va, in mezzo agli alberi e accendi un fuoco per scaldarti. Aspetta che arrivino.» Il fuoco poteva richiamare l'attenzione degli inseguitori, ma Bek sapeva che tutto ormai era affidato ai cambiatori di forma. Nessuno li avrebbe colpiti se quegli spiriti non l'avessero permesso, né i caulli né i Mwellret. Truls Rohk lo sapeva e faceva affidamento su quello. Bek cominciò a raccogliere legna per accendere un fuoco. Solo quando ne ebbe raccolto una certa quantità si rese conto di non avere esca e acciarino. Andò da Truls Rohk per farseli dare, ma il cambiatore di forma era privo di sensi. Bek condusse Grianne nel punto dove aveva raccolto la legna, poi tornò a prendere Truls Rohk, ma era troppo pesante e non riuscì a muoverlo. Anche se gli mancavano molti pezzi, le sue parti umane erano troppo massicce. Bek lo lasciò e sedette vicino a Grianne, accanto all'inutile mucchio di legna. Pensò di usare il canto magico per accendere il fuoco, ma non sapeva come. Perciò rimase seduto, con gli occhi fissi nella notte, sentendosi sempre più solo e disperato. Dov'erano i cambiatori di forma? Scese la notte e l'oscurità si chiuse su di lui. In cielo comparvero le stelle, il silenzio divenne ancora più profondo. Presto il freddo divenne così intenso che cominciò a rabbrividire. Si strinse a Grianne per riscaldarla e si chiese se rischiavano di morire assiderati. Erano a un'alta quota, sulle montagne, e presto la temperatura si sarebbe ulteriormente abbassata. Una volta si alzò, raggiunse il punto dove giaceva Truls Rohk e cercò di svegliarlo. Il cambiatore di forma respirava ed era sveglio, ma non lucido. Il suo corpo irradiava un calore terribile, come se bruciasse di febbre. Sedette con lui per qualche tempo, cercando di pensare a qualcosa da fare. Ma la fisiologia di Truls Rohk era talmente diversa che non sapeva neppure da dove cominciare. Alla fine si limitò a parlargli, a cercare di rassicurarlo, a dargli qualche piccolo conforto. Poi tornò da Grianne e riprese ad attendere. Si addormentò, e quando si svegliò la prima cosa che vide fu il fuoco che scoppiettava allegro davanti a loro. L'aria della notte era adesso tiepida e confortevole. Guardò Grianne, che sedeva accanto a lui, desta, e fissava nella notte. Quando la chiamò per nome, lei non rispose. Bek si guardò attorno e non vide nulla, si alzò e osservò con maggiore attenzione, ma anche ora non vide nulla. Si avviò verso il punto dove aveva lasciato Truls e si fermò bruscamente. Una decina di forme scure gli bloccavano il cammino: forme massicce, sorte davanti a lui come grandi masse di roccia. Quando fece per tornare indietro, altre si avvicinarono da tutte le parti, enormi e minacciose, i lineamenti nascosti dall'oscurità e da una nebbia improvvisa. Bek si fermò dov'era e non si lasciò intimidire. Sapeva cos'erano, li aspettava. Non sapeva perché avessero tardato tanto a comparire. "Perché sei tornato indietro?" gli chiesero. La voce era priva di peso, inconsistente, poco più di un lamento, e veniva da tutt'intorno a lui, non solo da una delle figure. «Il mio amico sta male.» "Il tuo amico sta morendo." Erano parole inattese, pronunciate senza traccia di emozione o di interesse. "No" pensò. "Non è vero. Non può essere." «E' ferito» disse. «Potete aiutarlo?» Le ombre svanivano e riapparivano nella fitta nebbia come creature evocate dalla fantasia. Era la caratteristica eterea dei cambiatori di forma, la loro diversità ultraterrena che sfidava ogni
spiegazione. Parevano così effimeri da rendere irreale tutto ciò che li riguardava, ma Bek ricordava con quanta rapidità potessero trasformarsi in qualcosa di solido e mortale. "Il caullo lo ha avvelenato" risposero. "Le sue zanne e i suoi artigli trasudavano un veleno che è entrato nella sua parte umana e l'ha infettata. Il veleno gli succhia la forza. Quando la sua parte umana morrà, morrà anche la sua metà cambiatore di forma." «E non c'è un antidoto?» chiese Bek, ancora avvolto in una rete di incredulità. «Ne conoscete uno?» "Non c'è cura." Bek si guardò attorno, disperato. «Eppure, devo poter fare qualcosa!» disse infine. «Non posso lasciarlo morire!» Non appena ebbe parlato, comprese di aver detto le parole che i cambiatori di forma aspettavano. Li vide muoversi, sentì il loro brusio pieno di attesa. Anche l'aria divenne diversa. Sulle prime pensò di rimangiarsi le parole, ma non sapeva come fare e, in fondo, non era il suo vero desiderio. "Ti abbiamo detto che i mezzosangue non hanno un loro posto nel mondo. Hai promesso di creare un posto per loro. Saresti disponibile a farlo, ora?" Bek respirò a fondo. «Che cosa mi chiedete?» "Vuoi trovare un posto per il tuo amico? Vuoi dargli la possibilità di vivere?" La voce era fredda e insistente, non le interessava discutere o ragionare, voleva solo una risposta diretta. I cambiatori di forma erano di nuovo immobili, lo circondavano come pietre. Bek non riusciva più a vedere o sentire il fuoco, non ricordava dove fosse. Era avvolto nell'oscurità, chiuso tra quegli spiriti, e la sola parte del mondo che riusciva a distinguere erano le stelle in cielo. «Voglio salvarlo» disse infine. Sentì un mormorio di approvazione e, ancora una volta, di attesa. Era la risposta in cui speravano, ma avrebbe portato a conseguenze che Bek non comprendeva del tutto. "Deve liberarsi della sua pelle umana, abbandonarla per sempre" dissero i cambiatori di forma. "Deve divenire uno di noi, tutto di una natura e niente dell'altra. Se lo farà, il veleno non potrà causargli danni. Vivrà." Liberarsi della pelle umana? Bek non era sicuro di capire, ma non aveva importanza. Non osava rinunciare a un'offerta che poteva costituire la salvezza di Truls. «Cosa devo fare?» chiese. "Darci il permesso di farne uno di noi." Bek si affrettò a scuotere la testa. «Non posso farlo, devo chiedere a lui. Non ho il diritto...» "Non ti può sentire. E' perso nella sua malattia. Morrà prima di poterti dare una risposta. Non c'è tempo. Devi decidere tu per lui." «Perché vi occorre il mio permesso?» chiese Bek, che cominciava ad agitarsi. «Che importanza hanno le mie parole?» Sussurri e movimenti cessarono e la notte divenne immobile. Bek s'irrigidì e trattenne il respiro come se dovesse saltare da un luogo altissimo. "Questa scelta dev'essere fatta da un umano. Noi dobbiamo distruggere la sua parte umana, e la decisione può essere presa solo da te. Hai detto di essere suo amico. Hai detto che avresti dato la vita per lui e che lui avrebbe dato la vita per te. Dobbiamo essere noi a creare il posto per lui? Devi decidere tu." Bek respirava a fatica. «Dovete dirmi che ne sarà di lui. Se vi autorizzerò a farlo, qualunque cosa sia, se vi darò il mio permesso, che ne sarà di Truls Rohk?» Scese un lungo silenzio. "Diverrà uno di noi, una parte di noi." Bek li fissò a bocca aperta. «Che significa?» "Noi siamo una cosa sola. Siamo una comunità. Nessuno di noi è separato dagli altri. Lui si unirebbe a noi." In quel momento, Bek si sentì un ragazzino, un bambino che si era avventurato nel mondo e si era cacciato in un tale guaio da non poter fare ritorno a casa. Chiuse gli occhi e scosse la testa. Non poteva fare una cosa del genere. Gli chiedevano di salvare Truls Rohk, ma allo stesso tempo di cambiarlo in modo irrevocabile. Salvandolo, l'avrebbe trasformato in qualcosa di completamente
diverso: una creatura collettiva, non più una personalità individuale, ma una parte di un tutto. Cos'avrebbe provato Truls? L'avrebbe voluto, per salvarsi la vita? Come poteva Bek saperlo? Era perso in un mare d'incertezza. Sapeva di avere davanti a sé la sola scelta possibile, ma odiava dover essere lui a farla. Truls Rohk non si era mai trovato a proprio agio nel mondo. Per tutta la vita era stato un reietto, con pochi amici, senza casa e famiglia. Era un'aberrazione nata da un accoppiamento proibito, un mostro che non aveva mai avuto un proprio posto. Aveva sempre dovuto lottare per procurarselo. Forse si sarebbe trovato meglio, una volta trasformato in spirito ed entrato a far parte di una famiglia e di un gruppo. Forse sarebbe stato più felice. O forse no. Bek voleva che Truls vivesse, lo voleva con tutte le forze, ma non a un costo troppo elevato. Come si poteva valutare il prezzo? "Cosa decidi?" Bek chiuse gli occhi. La possibilità di vivere valeva qualsiasi prezzo, era troppo preziosa perché vi si rinunciasse. Non sapeva cosa ne sarebbe nato, non era in grado di stabilire cos'avrebbe fatto Truls Rohk, se avesse potuto decidere. Poteva fare per Truls soltanto quello che avrebbe fatto per sé in una situazione analoga. Poteva affidarsi soltanto a ciò che credeva fosse giusto. «Salvatelo» mormorò. I cambiatori di forma si mossero all'istante con uno strano sibilo che divenne un sospiro. La parete di corpi che si era raccolta attorno a Bek si aprì e l'oscurità si diradò rivelando il fuoco ancora acceso davanti alla sorella. "Torna da lei. Siedile accanto e aspetta. Quando giungerà il mattino, prendila e va' sulle montagne. Là troverai ciò che cerchi. Non aver timore per la vostra salvezza. Non preoccuparti di coloro che vi inseguono. Non passeranno." Le forme scure si trasformarono nei mostri irsuti che Bek aveva visto la prima volta, apparizioni da incubo che potevano spezzare una vita con il solo pensiero. Il loro odore ferino lo aggredì. La loro presenza diede ulteriore peso alle promesse di poco prima. "Va', ora." Fece come gli chiedevano, ancora indeciso e incapace di trovare la rassicurazione cercata. Non aveva il coraggio di riflettere su quanto aveva fatto. Non voleva valutare il risultato perché temeva di scoprire qualche particolare trascurato. Tornò al calore del fuoco, si sedette accanto a Grianne, le prese la mano e fissò le fiamme. Non guardò i cambiatori di forma, non cercò di vedere dove andavano o cosa facevano. Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto farlo perché non riusciva a distinguere nulla, nell'oscurità che attorniava il fuoco. Fissò invece Grianne e cercò di convincersi che la sua incolumità valesse tutto quello che era successo, che salvarla non fosse il capriccio di un druido o la falsa speranza di un fratello, ma uno sforzo necessario che avrebbe prodotto qualcosa di molto più importante delle perdite che aveva causato. Dopo qualche tempo si addormentò. I suoi sogni vividi e carichi di emozione correvano lungo tutto l'arco della sua vita. Rivide Quentin intento a fabbricarsi un arco, i capelli rossi sulla fronte e il volto robusto e franco che sorrideva in modo rassicurante. Coran e Liria lo guardavano mentre dormiva e parlavano di lui con orgoglio. Vide passare davanti e sé tutti i suoi compagni della "Jerle Shannara", poi Rue Meridian gli si avvicinò e gli sfiorò il viso con dita fresche che gli tolsero di mente ogni altro pensiero e lasciarono solo la sua immagine. Infine vide Walker che lo guardava dall'alto di un castello, da un luogo che gli sembrava vagamente familiare. Accanto a lui, Truls Rohk si trasformò in una voce senza corpo che lo invitava a essere forte, risoluto, e gli ricordava la loro somiglianza. Era diverso da come Bek lo ricordava e dopo qualche istante capì che adesso Truls non era più un mezzosangue, ma un vero cambiatore di forma. Era tutt'uno con la sua nuova famiglia, la sua comunità, con il mondo che gli aveva dato una nuova vita. Da lui s'irradiava un senso di completezza, pareva che avesse trovato una pace che non aveva mai conosciuto.
Bek osservò uno spazio vuoto, una parete di buio che scendeva dalle parole dell'amico, e la pace che Truls aveva trovato scese anche su di lui. Quando si svegliò era mattino. Dalla cima delle montagne giungeva la luce grigiastra dell'alba che stava per sorgere. Il fuoco si era spento, rimanevano solo braci e mozziconi dì tronco carbonizzati, ma le ceneri erano ancora calde. Accanto a lui, Grianne dormiva, distesa sul terreno. Aveva gli occhi chiusi e il respiro lento e regolare. La fissò per un momento, poi si alzò e andò a cercare Truls Rohk. Si fermò dove aveva lasciato l'amico la notte prima. Di Truls rimanevano solo un mantello e alcune ossa malformate. Bek s'inginocchiò e sollevò il mantello, come se si aspettasse di trovare qualcos'altro. Truls Rohk gli era sempre parso indistruttibile; non riusciva a credere che di lui rimanesse solo quello. Eppure non c'era altro. Sul terreno coperto di brina non si scorgevano neppure le macchie di sangue. Bek si alzò e guardò ancora per qualche istante le ossa e il mantello. Forse la maggior parte di ciò che Truls Rohk era stato, le parti più importanti, si erano mutate in ciò che era adesso. Si chiese se i cambiatori di forma, compreso Truls Rohk, lo stavano guardando. Si chiese se avrebbe mai avuto la certezza di avere agito nella maniera migliore. Tornò accanto al fuoco, svegliò Grianne, la prese per le mani e la fece alzare in piedi. Lei obbedì, il volto privo di espressione, acquiescente come una bambina di pochi mesi. Lui era tutto ciò che le rimaneva, era il suo difensore, come aveva promesso. Non era certo di essere all'altezza, sapeva solo di dover provare, di dover fare il possibile per la salvezza di entrambi. Tenendosi per mano come bambini, ripresero a salire sul monte.
17. Sul monte vicino a quello su cui salivano Bek e Grianne, Quentin Leah stava facendo colazione con pane e formaggio. Vide Kian uscire dagli alberi e avviarsi su per il sentiero, verso di lui. Lo guardò sperando nel meglio. Più in alto, nel boschetto di abeti dove avevano passato la notte, i Rindge di Obat attendevano di conoscere la direzione da prendere, tutti meno lo stesso Obat e Panax, che erano andati avanti in esplorazione sui passi dei monti Aleuthra. Da due giorni erano inseguiti dai Mwellret e dalle loro bestie da caccia e Quentin si augurava di non dover fuggire di nuovo. «Hanno trovato la nostra pista» borbottò Kian con rabbia. Aggrottò la fronte e sedette accanto all'Highlander asciugandosi il sudore. «Stanno arrivando.» Non guardò Quentin. Nessuno lo faceva. Nessuno voleva vedere i suoi occhi da quando l'avevano trovato nelle rovine di Castledown e avevano sentito quello che era successo ad Ard Patrinell. Quentin li capiva. Non si sentiva normale. Tutto gli sembrava fuori posto. Passò al Cacciatore Elfo il pane e il formaggio rimasti e abbassò irritato lo sguardo. Sedevano su un pendio accidentato che pareva una gobba, punteggiato di conifere e rocce frastagliate. C'erano arrivati dopo quarantotto ore di fuga, ore frenetiche in cui avevano cercato di liberarsi degli inseguitori. Ma nessuno dei loro espedienti aveva funzionato e adesso erano privi di risorse. Fin dall'inizio, quando Quentin, Panax, Kian, Obat e una dozzina di Rindge erano rimasti indietro, con l'intenzione di rallentare gli inseguitori, niente era andato per il verso giusto. Erano tutti esperti nella caccia e nel seguire le tracce in zone disabitate, e ciascuno conosceva decine di trucchi per seminare gli inseguitori. Li avevano usati tutti. Avevano iniziato con accorgimenti semplici come creare decine di false piste che avrebbero confuso un cane da caccia per diverse ore, prima che ne venisse a capo. Ma le bestie usate dai Mwellret erano molto più abili dei cani e riuscivano a individuare la pista vera in mezzo a quelle false con una rapidità quasi sovrannaturale: avevano raggiunto il gruppo di Quentin prima che riuscisse a fuggire. Poi i Rindge avevano usato succhi vegetali per creare forti odori che avrebbero confuso le creature, ma neanche quello aveva funzionato. Kian e Panax li avevano portati nei ruscelli e perfino in un fiume, servendosi dell'acqua per nascondere il loro passaggio, ma le bestie dei Mwellret li avevano trovati lo stesso.
Disperato, Obat li aveva attirati in una gola stretta e aveva dato fuoco al bosco, sfruttando un forte vento che aveva spinto l'incendio alle loro spalle, contro i nemici. Il fuoco non aveva solo lo scopo di allontanare gli inseguitori, ma anche di cancellare le loro tracce e l'odore. L'espediente aveva procurato loro alcune ore di vantaggio, ma ancora una volta i Mwellret e le loro bestie li avevano trovati. Infine, presi dalla disperazione, Quentin e i suoi compagni avevano preparato un'imboscata per uccidere le bestie. Avevano colto di sorpresa i rettili, e le frecce e le cerbottane ne avevano uccisi alcuni prima che gli altri riuscissero a mettersi al riparo. Anche gli animali erano stati colpiti, ma nel loro caso i proiettili erano scivolati sul folto pelo e non avevano procurato il danno sperato. Si erano liberati delle frecce come se fossero pungiglioni di api e si erano lanciati con furia stupefacente contro i loro attaccanti. Liberati delle catene, si erano trasformati in un branco di selvaggi assassini. Quentin aveva preso parte a molte cacce, ma non aveva mai visto nulla del genere. Le bestie, almeno otto, si erano lanciate fra i cespugli e le rocce come lupi impazziti, mostri senza voce che somigliavano vagamente a caricature di umani, più grossi e terribili dei lupi grigi che popolavano le Querce Nere, a est di Leah. Non avendo altra scelta, Quentin e i suoi compagni avevano lottato contro i mostri, ma prima di riuscire a difendersi, tre Rindge erano morti e le bestie erano coperte del loro sangue. Sarebbero morti tutti se non ci fosse stata la Spada di Leah, che si era accesa come una torcia, con la magia che scorreva lungo la lama come un fuoco azzurro. Solo allora Quentin aveva compreso che quelle creature nate dalla magia potevano essere uccise soltanto dalla magia. Ne aveva eliminate due in un mulinello di grida e zampe mozzate prima che le altre indietreggiassero, né sconfitte né intimidite, ma attente a non avvicinarsi alla spada e dubbiose se fosse il caso di continuare. Le loro esitazioni avevano permesso a Quentin e ai suoi compagni di fuggire, ma l'uso della spada li aveva segnati. Ora gli inseguitori sapevano che almeno uno di loro possedeva una magia, e questo aveva rafforzato la decisione di proseguire l'inseguimento. Nel cielo erano apparse le navi volanti e altri Mwellret e uomini-lupo erano stati calati dal cielo per unirsi a quelli già presenti. Quentin non sapeva quanti fossero, ma erano più che sufficienti a vincerlo se si fosse fermato di nuovo a combattere. Non era sicuro che i rettili sapessero chi era, ma era chiaro che non intendevano lasciarselo sfuggire. L'inseguimento era durato per tutto quel giorno e il successivo, e i Rindge avevano seguito un sentiero a loro noto che portava sempre più in alto, sui monti Aleuthra, e giungeva poi alle pianure al di là della catena di montagne. Quentin cominciava a chiedersi se la cosa fosse utile. Se gli inseguitori erano tanto decisi, presto o tardi li avrebbero presi, anche oltre i monti. Per fuggire veramente, dovevano trovare una soluzione migliore, e in fretta, perché le donne e i bambini, che costituivano la maggioranza dei fuggiaschi, cominciavano a stancarsi. Lo stesso Quentin era stanco, più nello spirito che nel corpo. Nella lotta contro il wronk di Ard Patrinell aveva perso qualcosa - una parte del fuoco che lo animava in precedenza, un po' di cuore e di decisione - e adesso si sentiva un guscio vuoto, non una persona integra. Con tanti compagni morti e gli altri dispersi, aveva perso di vista il proprio scopo. Aiutava i Rindge perché ne avevano bisogno e perché non sapeva che altro fare. Quel compito gli dava una motivazione, ma non gli restituiva la passione perduta. In quell'avventura aveva perso troppo, non poteva ritrovarla senza un completo cambiamento della sorte. Non pensava che Panax e Kian si sentissero meglio di lui, anche se parevano più resistenti, più abituati all'idea di continuare da soli. Quentin era ancora troppo giovane, impreparato alle perdite subite, che ora lo colpivano duramente. A volte sentiva crollare qualcosa dentro di sé. Rivedeva Kreshen, morente e coperta di sangue, rivedeva la testa di Ard Patrinell, chiusa nel vetro e nel metallo, un attimo prima che la sua spada la spaccasse. E rivedeva Bek, insieme a lui nell'Altopiano, tanto tempo prima.
Era tormentato, esausto e deluso, e sentiva passo dopo passo consumarsi la sua volontà. Piangeva perché non riusciva a nascondere le lacrime e la fragilità. Rabbrividiva in pieno giorno. Quando dormiva aveva incubi di ciò che lo inseguiva, della sorte che lo attendeva. Si svegliava tremando di paura e si riaddormentava sentendo il vuoto dentro di sé, il gelo nel cuore. Ma era la sola risorsa dei suoi compagni, e se ne rendeva dolorosamente conto. Senza la magia della Spada di Leah non avevano difesa contro la magia delle creature che li inseguivano. Quentin era sul punto di crollare, ma non poteva permettersi di cedere. «Che vantaggio abbiamo?» chiese a Kian, dopo un momento. L'elfo si strinse nelle spalle. «I Rindge cercheranno di rallentarli, ma non ci riusciranno. Perciò abbiamo un'ora, o poco più.» Kian terminò il pane e formaggio, bevve un sorso d'acqua dal proprio otre e si alzò. Era coperto di polvere e aveva i vestiti a brandelli, sporchi di sangue. Come Quentin. Erano fuggiaschi e avevano bisogno di un bagno e di sonno, ma era improbabile che li trovassero, almeno nell'immediato futuro. «Faremmo meglio a incamminarci» osservò Kian. Risalirono il sentiero fino al punto dove li attendevano gli uomini del villaggio: servendosi di gesti e delle poche parole Rindge che avevano imparato, misero in cammino la tribù. Erano tutti scoraggiati, non per la stanchezza, ma perché nessuno dei loro espedienti aveva funzionato e perché il tempo passava e la loro situazione peggiorava. Tuttavia continuavano a camminare senza lamentarsi, giovani e vecchi, donne e bambini, aiutandosi a vicenda quando era necessario, un popolo spogliato della terra dove abitava da secoli, spinto da forze su cui non aveva controllo. Mostrarono una risolutezza che sorprese Quentin e lo rincuorò: prese da loro tutta la forza che poteva. Ma non era granché. Stavano salendo da quasi un'ora quando arrivarono di corsa i Rindge di retroguardia. I loro gesti erano inconfondibili. I Mwellret e le bestie si stavano avvicinando. Nello stesso momento, Panax e Obat comparvero dalla direzione opposta. Il nano corse eccitato da Kian e dall'Highlander. «Abbiamo trovato qualcosa che ci sarà utile» disse, guardandoli con gli occhi luccicanti. Si grattò la folta barba. «Più avanti il passo fa un bivio. Uno dei due sentieri porta a uno strapiombo di mille piedi, impossibile da aggirare. L'altro porta a una stretta cornice dove possono passare due persone affiancate, non di più. Poi sale sulla montagna fino a un passo che si affaccia sull'altro versante. E qui c'è per noi una possibilità. Si può arrivare al secondo sentiero salendo più in alto sul monte e tornando poi indietro. C'è un punto, perfetto per noi, da cui si può far cadere una frana che spazzerebbe via tutti coloro che sono sul sentiero. Se riuscissimo a portare i Rindge dall'altra parte del monte prima che i rettili li raggiungano, potremmo seppellire quelle bestie sotto la frana, o almeno bloccarle da questa parte.» «Dov'è quel punto?» chiese subito Kian. «A un'ora di cammino, forse due.» Il Cacciatore degli Elfi scosse la testa. «Non abbiamo così tanto tempo.» «Ce l'abbiamo se io lì fermo» disse Quentin d'impulso. Parlò prima di riflettere. Era un'offerta avventata e pericolosa, ma sapeva, senza bisogno di ulteriori analisi, di avere ragione. Tutti lo fissarono. «Highlander, cosa dici?» chiese Panax, con ira. «Non puoi pensare di...» «Panax, cerchiamo di essere onesti. Quello che li attira è la magia. No, non dirlo, non dirmi che non so di cosa parlo, sappiamo tutt'e due che è la verità. Lo sappiamo tutti. Vogliono la magia, come Antrax e i suoi granchi. Se rimango indietro, posso rallentarli per il tempo che vi occorre per raggiungere il punto da cui darete l'avvio alla frana. Vi procurerò il tempo necessario.» «Ma la frana travolgerà anche te!» ribatté brusco Panax.
Quentin sorrise. Ora che gli uomini-lupo erano così numerosi, non aveva la possibilità di resistere a un attacco prolungato. Se non fosse riuscito a correre più in fretta di loro, e sapeva di non poterlo fare, l'avrebbero raggiunto, spada o non spada. Proponeva ai compagni di sacrificare la vita per salvarli, un baratto cui non doveva pensare, se voleva mantenere il patto. «Resto con te» disse subito Kian, senza cercare di discutere la logica dell'Highlander. «No, Kian. Uno di noi è sufficiente. Inoltre, ho maggiore mobilità se sono da solo. Tu e Panax guidate i Rindge, Questa è la cosa più importante. Io vi raggiungerò.» «Non ce la farai» disse Panax, furioso. «E' una proposta priva di senso!» Quentin rise. «Dovresti vederti in faccia, Panax! Va', adesso. Partite. Più veloci sarete, meno tempo dovrò passare qui.» Kian s'incamminò tetro, prendendo per il gomito Panax. «Vieni, nano.» Panax si lasciò portare via, ma continuò a guardare Quentin. «Non ce n'è bisogno» gli disse. «Vieni con noi. Possiamo farcela.» «Aspettatemi dall'altra parte» li salutò Quentin. Poi i Rindge s'incamminarono lungo il sentiero. Passarono in mezzo alle rocce e in pochi minuti sparirono dietro una sporgenza del monte. Nella valle scese il silenzio. L'Highlander si portò al centro del sentiero e attese che anche gli ultimi rumori sparissero. Poi rifece la strada che aveva percorso. Non gli occorse molto tempo per trovare il punto che cercava. Ricordava il luogo. Uno stretto sentiero in mezzo alle rocce, tortuoso e molto ripido, che permetteva il passaggio di un solo uomo alla volta. Sapeva che se avesse cercato di affrontare i nemici all'aperto, gli uomini-lupo l'avrebbero sopraffatto in pochi secondi. Se invece li avesse bloccati in quella strettoia, avrebbero dovuto affrontarlo uno alla volta. Presto o tardi sarebbero riusciti a passare grazie al semplice numero, o avrebbero trovato il modo di aggirarlo, ma lui non doveva trattenerli all'infinito. Gli bastava procurare ai compagni un po'di tempo. La strettoia era lunga circa otto iarde e nella parte centrale era leggermente più larga. Quentin scelse quel punto per affrontare i nemici. Se fosse stato costretto a indietreggiare, avrebbe potuto fermarsi all'uscita dalla strettoia. Si guardò alle spalle. Sopra di lui, a duecento iarde o poco più, c'erano i massi fra i quali aveva nascosto arco e frecce. Là contava di fermarsi per la resistenza finale. «Mi piacerebbe che mi vedessi, Bek» disse a voce alta. «Potresti trovarlo interessante.» I minuti passarono lentamente, ma ben presto sentì arrivare gli uomini-lupo. Non facevano nulla per nascondere la loro avanzata, le loro intenzioni. Gridi acuti e brontolii punteggiavano il loro ansimare, e il vento portava il loro acre odore animalesco. A una distanza maggiore, ma anch'essi sempre più vicini, c'erano i Mwellret. Quentin sguainò la Spada di Leah e si preparò al combattimento. Quando la prima bestia sporse la testa da dietro una roccia e lo vide, si lanciò contro di lui senza esitare. Quentin si piegò sulle ginocchia e la uccise mentre correva ancora, colpendola con la punta della spada e inchiodandola al suolo. L'animale si agitò e urlò e infine morì mentre la magia lo lacerava. Una seconda bestia e una terza apparvero quasi subito, spingendosi tra loro per arrivare prima. Quentin le colpì sul muso e sugli occhi, facendole indietreggiare. Da dietro di loro giunsero i gridi dei rettili e il ringhiare delle altre bestie, che cercavano invano di farsi strada nel passaggio. Lottò per tutto il tempo che poté nel centro del sentiero, uccidendo due creature e ferendone un'altra prima di ritirarsi. Avrebbe potuto fermarsi ancora, ma temeva che i Mwellret riuscissero ad aggirarlo. Se l'avessero intrappolato nella strettoia, non avrebbe avuto scampo. Sulla prima linea si era procurato tutto il vantaggio possibile, ed era il momento di passare alla seconda linea. Mentre gli uomini-lupo continuavano a ringhiare e a cercare di azzannarlo, indietreggiò lungo il passaggio e si sistemò all'uscita. Uccise la prima delle creature magiche e incastrò la sua carcassa in modo che le altre rimanessero imbottigliate e non potessero passare senza salire sul corpo della compagna.
Inferociti, gli uomini-lupo lacerarono la carcassa con le zanne e gli artigli, facendola a brani e spargendo il suo sangue dappertutto, ma non riuscirono a liberare il passaggio. Quentin lottò selvaggiamente, con disperata determinazione, la magia che gli correva nelle vene come ferro fuso, portando via stanchezza e dolore, buonsenso e dubbi, e lasciando solo le emozioni del momento, una sensazione di potenza che lo stordiva. Nulla poteva fermarlo. Era invincibile. La magia della spada ronzava e crepitava in tutto il suo corpo e Quentin si affidò a essa. Anche quando i Mwellret riuscirono ad aggirarlo, rimase al suo posto, in preda all'euforia della magia e con un solo desiderio: rimanere immerso nel suo potere. Ricacciò il nuovo assalto, poi riprese a lottare contro gli uomini-lupo che cercavano di uscire dalla strettoia, concentrato su chiunque lo minacciasse. Fu necessaria una profonda ferita alla coscia per liberarlo da quell'ebbrezza: finalmente si rese conto del pericolo. Si voltò e fuggì, senza rallentare o guardarsi alle spalle. Riuscì a guadagnare un po' di terreno, quanto bastava per saltare in mezzo alle rocce e recuperare arco e frecce prima che gli inseguitori lo raggiungessero. Era un buon arciere, ma questa abilità era poco utile a così breve distanza dai nemici. Piantò quattro frecce nella testa della prima bestia, che cadde a terra cieca e folle di dolore. Ne colpì altre due, rallentandole in modo da non far passare le successive. Scoccò tutte le frecce che aveva uccidendo anche due Mwellret, poi gettò l'arco e riprese la corsa. Non vi era alcun punto in cui potesse fermarsi e trovare riparo, perciò corse verso la cornice di roccia dove sperava che Panax, Kian e i Rindge lo aspettassero prima di far franare il fianco della montagna. Era una lunga corsa, di circa due miglia, e presto perse il conto del tempo e del luogo, di tutto ciò che esulava dal correre. Ancora infuso della magia della spada, trovò una forza che non sapeva di possedere. Corse così in fretta da distanziare i suoi massicci inseguitori, i quali dovevano arrampicarsi a fatica su rocce che il giovane Highlander scavalcava con un balzo. Forse, ma solo forse, ne sarebbe uscito vivo. «Leah! Leah!» gridò euforico, con gioia selvaggia, senza preoccuparsi di essere udito. «Leah!» Infine i Mwellret lo raggiunsero all'inizio della cornice di roccia costringendolo a girarsi e a lottare. Resistette quanto bastava per farli indietreggiare, poi si avviò di corsa lungo lo stretto sentiero. All'orizzonte vedeva l'intero arco dei monti Aleuthra, con il suo imponente scenario di cime e di valli: sembrava un dipinto, una visione irreale. Gli uomini-lupo lo raggiunsero di nuovo, ma non avevano abbastanza spazio. Due rotolarono lungo il fianco della montagna, ringhiando e cercando dì afferrarsi con gli artigli alle rocce. Quentin lanciò un'occhiata al pendio da cui era giunto: brulicava di uomini-lupo e di Mwellret. Quanti potevano essere? Premuto contro la roccia, si ritirò con tutta la velocità possibile colpendo gli inseguitori più vicini quando giungevano alla sua portata. Era stato graffiato e morso in una decina di punti, e la vibrazione della magia della spada aveva preso un tono acuto, frenetico. Aveva quasi esaurito le forze. Una volta che le avesse esaurite del tutto, anche la magia della Spada di Leah si sarebbe esaurita. «Panax!» gridò freneticamente, cercando di tenere a bada la paura adesso che l'euforia della spada e la luce della sua lama cominciavano ad affievolirsi. Percorse una trentina di iarde con la parete quasi verticale a sinistra e a destra il precipizio, poi sentì Panax che lo chiamava. Non staccò gli occhi dagli inseguitori. Si affollavano sulla cornice di roccia, cercavano ancora di raggiungerlo, con gli occhi pieni di rabbia e di fame, in attesa che abbassasse la guardia. Subito dopo udì un rombo giungere dall'alto, si voltò e fuggì. Ma fu troppo lento. La bestia più vicina era già su di lui e cercava di colpirlo con gli artigli. Quentin ruotò su se stesso e la ricacciò indietro, ma il suo pugnò batté con tale forza sulla parete di roccia da fargli perdere la presa sulla spada. Sbalzata dalla sua mano, l'arma batté sul bordo della cornice e scomparve nell'abisso. Quentin esitò per qualche istante, incapace di credere a quanto era successo, e quella esitazione gli costò ogni possibilità di fuga. Pietre e terra piovvero dall'alto, devastando il fianco della montagna. Quentin cercò di attraversare di corsa la frana, ma era troppo tardi. Era in mezzo alla valanga che
lacerava il monte, colpiva la cornice di roccia e ne staccava pezzi interi. Gli uomini-lupo e i loro padroni scomparvero in un boato, poi un tratto dì sentiero davanti a lui franò e sparì. Quentin si appiattì contro la parete di roccia e si riparò la testa. L'intera montagna sembrava cadergli addosso. Resistette per un momento, addossato alla pietra. Poi la valanga lo strappò dal suo appoggio come se fosse una foglia e lo inghiottì.
18. L'Highlander riprese coscienza in un mare di buio intontimento, sotto un peso schiacciante. Sentiva odore di polvere e di terra e di foglie strappate. A tutta prima non ricordò cosa gli era successo o dove si trovava, e si sentì prendere dal panico. Ma si costrinse a resistere, a essere paziente, ad aspettare che i pensieri gli si chiarissero. Quando ci riuscì, gli tornò in mente la valanga. Ricordò di essere stato spazzato via dalla stretta cornice dì roccia e di essere caduto nel vuoto, in mezzo a una pioggia di terra e di massi. Per qualche istante si era fermato a ridosso di alcuni cespugli, poi anch'essi erano franati assieme al resto della montagna, con un boato che superava qualsiasi tempesta da lui conosciuta. Infine le tenebre si erano chiuse su di lui e tutto era scomparso. Quando i suoi occhi si furono adattati all'oscurità, si rese conto di essere sepolto in un groviglio di rami spezzati e radici. Attraverso piccole aperture in quella sorta di tomba, vide il cielo grigio di nubi in rapido movimento. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasto svenuto. Continuò a guardare il cielo senza muoversi, fissando le nubi e raccogliendo le idee. In base a qualunque criterio, avrebbe dovuto essere morto. Ma i rami e le radici che l'avevano imprigionato l'avevano salvato, racchiudendolo in una gabbia di legno su cui erano rimbalzati i massi che altrimenti l'avrebbero ucciso. Tuttavia non era affatto fuori pericolo. Gli orecchi gli ronzavano e aveva bocca e narici piene di polvere. Ogni osso e ogni muscolo gli dolevano per i colpi ricevuti e al momento non poteva ancora dire se si fosse rotto qualcosa. Quando cercò di muoversi, scoprì di essere inchiodato a terra. Si mise in ascolto, ma il silenzio era assoluto. Non si udiva il minimo brusio, il più piccolo segno di vita: null'altro che il suo respiro rauco. Si chiese se qualcuno sarebbe venuto a salvarlo, ammesso che fosse possibile. Forse non c'era più nessuno. Mezza montagna era crollata e non c'era modo di dire chi fosse stato travolto. Si augurò che Panax e i Rindge si fossero salvati e che i Mwellret e i loro uomini-lupo fossero stati uccisi, ma non poteva esserne certo. Cercò di non pensare ai compagni e si occupò del proprio problema. Si costrinse a rilassarsi, a respirare a fondo, a radunare tutte le sue risorse. Con cautela, provò a flettere pian piano le dita delle mani e dei piedi per essere certo che funzionassero - e funzionavano - poi provò con le mani e le braccia. Incredibilmente, non sembrava avere niente di rotto, anche se tutto il corpo gli doleva. Incoraggiato dal fatto di essere tutto intero, cominciò a cercare il modo di venirne fuori. Nella sua ristretta prigione aveva poco spazio, ma riuscì a sfruttarlo. Con il tempo e la pazienza si liberò prima un braccio, poi l'altro, poi la gamba sinistra, ma quella destra era bloccata sotto un masso. Non era rotta, ma non c'era spazio per muoverla. Per quanto si sforzasse, non riuscì a liberarla. Tornò a stendersi, coperto di sudore. Solo in quel momento si accorse del caldo soffocante, si rese conto di essere come un cadavere, sepolto nella terra e coperto di sassi. Era sporco di polvere impastata con il sudore. Pensò che adesso sapeva cosa significava essere sepolti vivi, e non era un pensiero piacevole. Si contorse fino a mettersi in una posizione un po' diversa, ma lo spazio ristretto e l'immobilità della gamba intrappolata non gli permettevano di combinare molto. "Respira a fondo" si disse. "Sta' calmo." Le prime gocce d'acqua gli caddero sul viso attraverso le aperture della sua prigione e vide che il cielo era scuro. La pioggia cadeva lenta e continua, un dolce ticchettio nel silenzio. Quentin leccò con gratitudine le gocce che gli cadevano sulle labbra.
Poi cercò a lungo di servirsi di un ramo per spostare la pietra che gli bloccava la gamba. Pensava di poterlo usare come leva, ma dalla sua posizione supina non riusciva a far forza in modo adeguato, e inoltre il ramo era troppo lungo. Comunque continuò a tentare finché non fu troppo buio. A quel punto si addormentò, e quando si svegliò era ancora buio, ma la pioggia era cessata ed era tornato il silenzio. Riprese a lavorare con il ramo, ed era mattina quando rinunciò a quel tentativo impossibile. Cominciò a disperarsi. Nessuno sarebbe mai venuto a cercarlo. Se ne avessero avuto l'intenzione, ormai l'avrebbero fatto. Doveva salvarsi da solo, ma come? Tagliandosi la gamba se non c'era altro modo? Il sonno s'impadronì di lui una seconda volta e quando si svegliò il sole splendeva in un limpido cielo azzurro. Non perse tempo a pensare agli aspetti più disperati della sua posizione, pensò solo ad agire. Questa volta usò un bastoncino appuntito per scavare la terra e i sassi sotto la gamba. Se fosse riuscito a toglierli, si diceva, forse avrebbe avuto lo spazio occorrente per liberarsi. Il suo progresso fu molto lento, talvolta ridotto a un sassolino o a una piccola zolla di terra. Dovette iniziare dal ginocchio e procedere verso il basso, facendo attenzione a non smuovere la terra che sosteneva la pietra. Se fosse crollata gli avrebbe spezzato la gamba e a quel punto non sarebbe più riuscito a liberarsi. Lavorò per tutto il giorno, senza badare alla fame e alla sete, al corpo dolorante e al calore della sua gabbia. Aveva fatto troppa strada e sopportato troppo per fare quella morte da sorcio. Non avrebbe mollato. Continuò a ripetersi quelle parole, come una formula magica. Era quasi sera quando riuscì finalmente a liberare la gamba, lasciando sul macigno un bel pezzo dei calzoni e brandelli di pelle. Cominciò subito ad aprirsi un'uscita, scavando in direzione della luce che si affievoliva, dell'aria fresca e della libertà. Non poteva fermarsi a riposare. Il panico tornò a impadronirsi di lui. La notte era scesa, soffice come il velluto, sotto un cielo trapunto di stelle, quando uscì dal mucchio di terra e rocce e fu di nuovo all'aria aperta. Avrebbe voluto piangere di gioia, ma se lo vietò: temeva di non riprendersi più, se fosse crollato. Aveva i nervi scossi da quella prova e non era del tutto lucido. Si guardò attorno, osservando i massi e i tronconi di legno lasciati dalla frana, poi sollevò lo sguardo verso il monte. Alla luce della sera non riuscì a individuare il punto da cui era caduto. Poteva dire solo dov'era: a un'estremità di una valle chiusa tra due alte montagne nel cuore dei monti Aleuthra. Faceva freddo, e si costrinse a scendere fino agli alberi, al di là della frana, dove poteva trovare riparo. Si rifugiò in un bosco di conifere, si lasciò cadere a terra e un istante più tardi era già addormentato. Sognò la Spada di Leah, e si svegliò deciso a recuperarla. Alla luce del giorno poté vedere meglio dov'era e ricostruire l'accaduto. La frana aveva prodotto una larga ferita nella montagna, spogliandola di alberi e cespugli, e aveva trascinato nella caduta anche una vasta area rocciosa, che ora formava un'imponente pila di detriti. Individuò il punto da cui era caduto. Non vide traccia di coloro con cui era fuggito né di coloro che li avevano inseguiti. Cercò cibo e acqua. Trovò un ruscello a poca distanza da dove s'era addormentato, ma non cibo. Neppure la sua esperienza delle foreste riuscì a fargli trovare qualcosa di commestibile a quella quota. Rinunciò e tornò alla frana per cercare la spada, ma non aveva idea di dove potesse essere, perciò trascorse la mattinata ad aggirarsi qua e là in una sorta di stupore. La frana sì stendeva per almeno mezzo miglio e in alcuni punti era profonda centinaia di piedi. Ma Quentin continuò a pensare che essere sopravvissuto era una sorta di miracolo, che quanto gli era successo era impossibile: essere travolto da una frana senza essere schiacciato. Sì ripeté che la sua salvezza doveva significare qualcosa, che non era destinato a morire in quel continente straniero, che il suo destino era di fare ritorno all'Altopiano di Leah. A mezzogiorno il sole ardeva nel cielo e la valle era coperta di vapore. Quentin cominciava ad avere allucinazioni, a vedere movimenti dove non ce n'erano, a udire sussurri, a sentire la presenza di
spettri. Tornò agli alberi per dissetarsi al ruscello, poi si distese a riposare. Si alzò qualche ora più tardi, febbricitante e indolenzito e riprese la ricerca. Questa volta i fantasmi presero una forma riconoscibile. Mentre passava fra le rocce, li trovò ad aspettarlo. Per prima comparve Kreshen, che uscì dagli alberi guarita, con i capelli corti e l'espressione pratica, e lo guardò con aria interrogativa, come per mettere in dubbio ciò che stava facendo. Quentin la chiamò, ma lei non rispose. Lo fissò per un momento, come per valutare la serietà delle sue intenzioni e la sua forza, poi sbiadì nei riflessi del sole del mezzogiorno e svanì tra i labirinti del passato. Dopo di lei comparve Ard Patrinell, che uscì dalla nebbia sotto forma di un wronk corazzato di metallo, trasformato da umano in qualcosa che lo era solo in parte. Fissò Quentin, e con i suoi occhi prigionieri e intrappolati lo supplicò di dargli la libertà anche mentre alzava le armi per farlo a pezzi. Pur sapendo che l'immagine non era reale, Quentin non poté fare a meno di indietreggiare. Le labbra del capitano della Guardia Reale pronunciarono alcune parole, ma dietro lo schermo di cristallo era impossibile udirle, erano prive di significato, incorporee come lo spettro stesso. L'immagine sfarfallò e perse nitidezza. Quentin si piegò sulle ginocchia per difendersi e chiuse gli occhi per chiarirsi la visione e i pensieri. Quando tornò a guardare, Ard Patrinell era sparito. Tutt'e due erano morti, si disse, Kreshen e l'uomo che amava, fantasmi persi nella corrente del tempo che non sarebbero mai tornati, puri ricordi. Si sentì attirare verso di loro, si sentì etereo, già lontano dal mondo. Si stava perdendo nella propria immaginazione, aveva bisogno di riposo, di cibo e di sicurezza, di una possibilità, di una promessa. Non trovò nulla e le sue incespicanti ricerche tra i detriti della frana non servirono a ridargli il talismano. Il pomeriggio volgeva alla sera e il giovane Highlander cominciò a disperare. Ormai pensava che non avrebbe mai trovato la spada. Era una perdita di tempo, avrebbe fatto meglio a lasciare quel posto e proseguire. Ma in che direzione? Aveva qualche altro scopo, adesso che era solo e perduto? C'era qualcosa che ci si aspettava ancora da lui? La sua mente ritornò al passato, all'Altopiano di Leah, dove aveva trascorso una spensierata gioventù a cacciare, a pescare e a esplorare la foresta con Bek. Vedeva davanti a sé la faccia del cugino, incorporea e sospesa nell'aria. Dov'era adesso? Che gli era successo, dopo la battaglia nelle rovine di Castledown? Quando Kreshen l'aveva visto era ancora vivo, ma da allora non aveva sue notizie. "Ma non era uno spettro come l'esploratrice e il suo comandante!" esclamò tra sé Quentin. "Bek era vivo!" Quando si riprese, era inginocchiato in mezzo alle rocce e piangeva con la faccia nascosta tra le mani e le spalle che sussultavano. Quando smise di piangere? Per quanto tempo rimase inginocchiato fra le pietre? Incollerito e pieno di vergogna, si asciugò gli occhi. Basta, mai più lacrime! Quando abbassò la mano per rimettersi in piedi, sotto le dita sentì l'impugnatura della spada. Per un attimo provò un tale stupore che pensò a un'allucinazione. Invece era reale come la pietra su cui era inginocchiato. Si costrinse a guardare in basso, a osservare la spada che giaceva a terra accanto a lui: era sporca di terra e con l'impugnatura graffiata e ammaccata, ma l'incomparabile lama era lucida e priva di segni come il giorno in cui era stata forgiata. Serrò le dita sull'impugnatura e sollevò l'arma per poterla osservare meglio, per essere certo che fosse davvero la Spada di Leah, Impossibile sbagliarsi: era la sua spada, il suo talismano, la rinascita delle sue speranze. Ed era impossibile, naturalmente, che lui la trovasse. Era una probabilità su un milione. Quentin non aveva mai creduto al destino o alla provvidenza, ma non c'erano altre spiegazioni per quel secondo miracolo. «Per tutte le Ombre!» mormorò, rompendo il silenzio del pomeriggio. Prese quel dono come un segno e si alzò. Aveva di nuovo uno scopo. Ostinato e non ancora pronto ad accedere al regno dei morti, si avviò di buon passo. La luce del giorno volse presto al crepuscolo, il sole scivolò dietro i monti e trasformò l'orizzonte in una brillante distesa color porpora, ammantando la valle di lunghe e profonde ombre. Il calore si
attenuò e l'aria divenne sempre più frizzante. L'inatteso abbassamento della temperatura pareva preludere a un'altra tempesta. Quentin incassò la testa fra le spalle mentre usciva dalla valle e iniziava a salire verso l'alto passo montano. Nubi fino a quel momento invisibili comparvero sotto forma di spessi nodi e si raccolsero riempiendo tutto il cielo. Il vento prese maggior forza: dapprima lento e impercettibile, fini. per lasciare il posto a raffiche sempre più gelide e violente. Davanti a lui, dove il passo si restringeva e curvava, l'oscurità era ancora più profonda. Quentin proseguì. Non c'era nessun posto dove accamparsi e fare una breve sosta sarebbe stato inutile. Sul pendio era troppo esposto per riposare. Qualsiasi riparo si trovava dall'altra parte del passo. Aveva bisogno di cibo e acqua, ma non pensava di trovarne fino al mattino. Una coltre di oscurità si era stesa sulla terra, nubi tempestose coprivano il cielo. La neve gelida, spinta dal vento, gli pungeva la faccia. Il vento soffiava giù dai monti prendendo velocità sui pendii brulli e frustando la valle. Cercando di non pensare a quanto cammino gli rimaneva da fare per essere al sicuro, Quentin curvò le spalle e proseguì lottando contro il vento. Quando giunse in cima al passo, il terreno era coperto da uno spesso strato di neve. Quentin si era legato sulla schiena la Spada di Leah servendosi di un pezzo di corda che aveva in tasca e ora aveva le mani libere, Camminava su un terreno irregolare, flagellato dal vento e dalla neve. Era ancora stordito e febbricitante per la mancanza di cibo e dì acqua, e il chiarore della neve e l'oscurità giocavano strani scherzi ai suoi occhi. I fantasmi del suo passato andavano e venivano, gli sussurravano parole prive di senso, gesticolavano in modi che non riusciva a comprendere. Parevano volere qualcosa da lui, ma non riusciva a capire cosa. Forse aspettavano che lasciasse il mondo dei vivi. L'idea sembrava fin troppo plausibile. Se le cose non fossero cambiate, non avrebbero dovuto aspettare molto. Aveva perso il mantello e non aveva nulla per proteggersi dal freddo. Rabbrividiva e temeva di perdere tutto il calore del corpo prima di arrivare a un rifugio. Gli anni passati nell'Altopiano l'avevano irrobustito, ma la sua resistenza aveva un limite. Serrò il più possibile le braccia attorno al corpo, mentre avanzava nella neve e nel vento, cercando di tenere insieme corpo e spirito. In cima al passo trovò qualcuno ad aspettarlo. Dapprima non fu certo della realtà della visione. Era una forma grande e minacciosa, ferma accanto alle rocce, vaga e indistinta nei mulinelli di neve. Aveva sembianze umane, ma braccia e gambe non avevano le proporzioni umane. Apparve all'improvviso quando giunse sulla cima, con un vento che minacciava di strappargli i vestiti dal corpo. Vide la figura muoversi in mezzo a veli di neve, poi sparire. Istintivamente attirato verso di essa, la seguì, affascinato e intimorito insieme. Aveva la spada, si disse, non era inerme. La figura ricomparve, un po'più avanti, attese per un momento il suo arrivo, poi scomparve di nuovo. Quella sorta di nascondino continuò per tutto il passo e lungo l'altro versante della montagna. Là il monte era coperto di conifere e la violenza della tempesta era smorzata dagli alberi. Quentin lasciò la montagna da cui era caduto e iniziò a salire su quella vicina. Il sentiero era stretto e difficile da seguire, ma lo spettro lo guidava. Aveva ormai capito che quello spirito era venuto a mostrargli il cammino e non aveva più alcun timore. Non l'aveva minacciato e non pareva intenzionato a recargli danno. Salì a lungo, muovendosi in mezzo ad alberi giganteschi, attraversando radure coperte di aghi di pino con una spolverata di neve, aggirando massi coperti di muschio. La tempesta era cessata. Cadeva ancora la neve, ma il vento aveva smesso di soffiargli in faccia i fiocchi taglienti e il freddo era meno intenso. Davanti a lui, la figura del suo accompagnatore divenne meglio definita, gli parve quasi riconoscibile. L'aveva già vista, in passato, muoversi nello stesso modo in qualche altra foresta, ma era troppo esausto, non aveva la forza di chiedersi dove. "Non ce la faccio più" si ripeteva. Eppure, un passo dopo l'altro, lo sguardo che andava dal terreno al mulinare candido che aveva davanti, dai propri movimenti a quelli del fantasma, proseguì.
«Aiutami!» gridò a un certo punto, ma non ebbe risposta. "Non ce la faccio più" si ripeteva. E poi: "Ancora un po'". Ma le forze cominciavano a mancargli. Cadde alcune volte, semplicemente perché le ginocchia non lo reggevano. Ogni volta si rialzò senza fermarsi a riposare, perché se si fosse fermato sarebbe morto. Per riposarsi doveva aspettare la luce e il calore del giorno. Non poteva fermarsi adesso. Giunto a una radura davanti a un bosco di cedri, però, rallentò fino a fermarsi. Aveva la strana sensazione di staccarsi dal corpo, di muoversi nella notte come un'ombra. Per lui era finita, poi la figura davanti a lui si trasformò in qualcosa d'altro, e non era più una sola forma ma due, più piccole e meno minacciose. Avanzavano verso di lui da sinistra, tenendosi per mano, e l'Highlander si chiese come potessero venire da quella direzione. Fissò incredulo le due nuove figure, chiedendosi se, fossero reali o qualche nuovo fantasma. Anche le due figure ebbero qualche istante di esitazione, non appena lo videro. Quentin avanzò verso di loro, cercando di distinguerle in mezzo alla cortina di neve, al di là dello spazio, del tempo e delle allucinazioni. Dopo qualche passo gli parve di riconoscerle, e infine ne fu certo. Con voce rauca e incrinata si rivolse allora alla figura più vicina, che lo guardava incredula a occhi sgranati. «Bek!»
19. Il viaggio di Bek Ohmsford nei due giorni precedenti non era stato movimentato come quello di Quentin Leah, ma altrettanto strano. Dopo aver lasciato i cambiatori di forma portando con sé Grianne, si era inoltrato nei monti Aleuthra, accompagnato dall'immagine di "Truls Rohk". Per tutto il primo giorno aveva continuato a rivedere il mantello vuoto e le ossa sparse sul terreno gelato, una visione ossessionante che non riusciva a scacciare. Ricordava il suo difensore da vivo, in apparenza indistruttibile, che metteva a sua disposizione la forza sovrumana e l'incrollabile fiducia. Anche se per gran parte del tempo era stato una presenza invisibile, aveva sempre sorvegliato Bek mantenendo la promessa fatta al druido. Pareva impossibile che fosse davvero morto. Bek se lo ripeteva, ma continuava ad aspettarsi che Truls ricomparisse, come aveva sempre fatto, Se l'aspettava da un momento all'altro. Ogni volta che vedeva un'ombra era convinto di trovare il cambiatore di forma, in attesa del suo arrivo. Il primo giorno era passato così, un sogno in cui Bek camminava accompagnato dalla sorella priva di consapevolezza e dal fantasma dell'amico perduto. Al calar della notte era esausto, perché aveva viaggiato molto senza soste. Non aveva pensato a Grianne, dando per scontato che avrebbe tenuto il suo passo senza opporsi, ma non considerò che non parlava e non avrebbe quindi potuto lamentarsi. All'improvviso gli venne in mente quel particolare e la fece sedere. Le esaminò i piedi, ma non aveva vesciche, e allora cominciò a darle da mangiare. Doveva imboccarla, ma anche così, Grianne non accettò molto cibo. Aveva più sete che fame, tuttavia Bek riuscì a farle mangiare dei pezzetti di formaggio e di pane. Non gli parve diversa dai giorni precedenti, però non poteva sapere che pensieri le corressero per la mente. Le accarezzò la guancia e le baciò la fronte. Lei continuò a fissare luoghi che Bek non poteva vedere. Dopo mangiò a sua volta con appetito un po' di pane e formaggio e bevve un sorso della birra che aveva recuperato dalle provviste di Truls Rohk. Scese la notte, dolce e profonda, e si accesero le stelle. Avvolse la sorella nel mantello e sedette accanto a lei nel silenzio, con un braccio attorno alle sue spalle come a proteggerla, pensando al passato che avevano perduto e al futuro che forse non avrebbero mai condiviso. Non sapeva cosa fare per lei. Continuava a pensare che doveva esserci qualche modo per aiutarla a uscire da quello stato, se solo avesse saputo di che cosa aveva bisogno. Era certo che la risposta all'enigma esisteva, ma non riusciva a trovarla.
Dopo un po' cominciò a cantare a voce bassa, un lieve sussurro, come se temesse di disturbare la notte. Cantò le canzoni che gli avevano cantato Coran e Liria nell'Altopiano di Leah quando era bambino. Sembrava passato molto tempo da allora. Da anni non era più un bambino, e da quando era partito per quel viaggio con Quentin non era più un ragazzo. Tutt'a un tratto gli venne in mente di usare il canto magico. Forse la magia poteva avere effetto su Grianne. Era il loro collegamento più forte, la loro comune eredità. Visto che non riusciva a raggiungerla in altro modo, forse avrebbe potuto con la magia. Non l'aveva mai usata in quel modo, ma dalla storia della famiglia Ohmsford sapeva che altri l'avevano fatto. Bastava trovare una piccola smagliatura nel tessuto della sua catatonia, oltrepassare le sue difese e raggiungere il luogo dove si era nascosta. Se fosse riuscito a penetrare, avrebbe potuto farle sapere che era con lei. Cominciò a cantare di nuovo, una melodia lenta e dolce che doveva tranquillizzarla e consolarla. Confuse se stesso con la notte, come se fosse uno dei suoi suoni, una presenza naturale. Poi, lentamente, il suo canto si fece più insinuante e personale, vi inserì parole: il proprio nome, quello di lei e della loro famiglia. Rievocò ricordi che pensava l'avrebbero fatta sorridere o rimpiangere ciò che aveva perduto. Non usò il nome con cui l'aveva conosciuta, Strega di Ilse, ma Grianne, e usò il nome Bek, e li legò insieme. Fratello e sorella. Una famiglia sola. Per molto tempo, con infinita pazienza, cercò di attirarla a sé, di entrare nella sua mente, sapendo che non sarebbe stato facile, che lei avrebbe opposto resistenza. Ripete sempre le stesse frasi, quelle che secondo lui potevano suscitare in lei una risposta, giocò con il colore e la luce, con i profumi e i sapori, in modo da infondere nella musica le sensazioni del mondo e della vita. "Torna da me" le cantò. "Esci dalle ombre, sarò qui ad aiutarti." Ma non ottenne risultati. Grianne continuò a fissare il fuoco, il suo viso, la notte, e non batté ciglio. Senza vedere il mondo, osservava un luogo vuoto che la proteggeva dalla vita reale/ e non voleva più uscirne. Infine, stanco e frustrato, rinunciò al tentativo, ripromettendosi di riprovare l'indomani. Era convinto di farcela, prima o poi. Si distese al suo fianco e in pochi secondi prese sonno. L'indomani salirono a una quota superiore, arrampicandosi per un sentiero erto e tortuoso, in mezzo a pietre e cespugli radi. Grianne lo seguì acquiescente, ma nei punti più ripidi dovette sollevarla di peso. Era un modo faticoso di procedere, e il cielo si oscurava sempre più a ovest per l'approssimarsi di una tempesta. A un certo punto udì il boato di una frana colossale, proveniente da un punto indeterminato nel cuore delle montagne, e per tutto il pomeriggio una nube di polvere offuscò l'orizzonte a est. Verso sera cominciò a piovere. Si rifugiarono sotto un enorme abete e si stesero su un letto di aghi di pino asciutto e caldo. Con la pioggia, la temperatura si abbassò. Bek avvolse Grianne nel mantello e cantò di nuovo per lei, ma lei continuò a non vederlo, a fissare chissà quali luoghi lontani. Quella notte rimase sveglio a lungo, ad ascoltare il picchiettio leggero della pioggia e a chiedersi cosa fare. Non aveva idea di dove si trovasse, di dove stesse andando. Aveva proseguito nel cammino solo per fiducia, in base alla promessa dei cambiatori di forma che stava avanzando verso qualcosa e non fuggendo da tutto. Ma si sentiva perso, con una sorella inerme e tutti i compagni morti o dispersi. Aveva una sola arma su cui contare, un sostegno cui appoggiarsi, ma non aveva un'idea chiara del modo di usarla. Era così solo che temette di non trovare mai più pace o conforto. Si addormentò esausto. Spuntò un'alba grigia e imbronciata che rifletteva il suo stato d'animo quando si alzò, di malavoglia e depresso, e riprese il cammino. La tempesta che li colse verso mezzogiorno giungeva dalle alte cime a nord e colpì il pendio su cui stavano salendo. In precedenza erano scesi di un migliaio dì piedi perché il sentiero aggirava un crepaccio che si apriva nella montagna. Ma ora, con il vento sempre più forte e gelido, erano di nuovo ad alta quota e non avevano un riparo adatto. Bek affrettò il passo tirando Grianne per un braccio. Non voleva essere colto all'aperto se avesse cominciato a nevicare.
E poco più tardi così avvenne, ma i fiocchi erano grandi e lenti e la strada davanti a lui rimaneva libera. Bek si affrettò verso la foresta che cresceva sotto di loro e la raggiunse proprio quando scoppiò la tormenta. La visibilità si ridusse a pochi passi, gli alberi divennero file di fantasmi che passavano accanto a lui come soldati in marcia. Strinse ancora più forte il polso della sorella, per non rischiare un distacco che poteva essere permanente. La tempesta rinforzò, cosa che Bek non avrebbe creduto possibile. La neve divenne una fitta coltre che si accumulò sul terreno fino a raggiungere un palmo d'altezza, anche nelle radure spazzate dal vento. La visibilità si ridusse ancora e Bek fu costretto a brancolare da un albero all'altro. Cercava un rifugio, ma nel turbinare della neve non riusciva a scorgerne. Poi inciampò e abbandonò la presa sulla mano di Grianne. Un istante più tardi non vide più la sorella, scomparsa nella tormenta, portata via come la sua fiducia all'inizio di quel viaggio. La cercò a tentoni, girandosi prima da una parte e poi dall'altra, ma intorno a sé vide solo la neve. Non riusciva più a trovare Grianne. Preso dal panico, cominciò a girare su se stesso cercando di afferrare i fiocchi di neve, l'aria, le occasioni svanite. Si mise a gridare. Non solo perché aveva perso la sorella o era disperato, ma per dare voce a tutta la frustrazione e alla rabbia represse per settimane. Gridò perché aveva raggiunto il punto di rottura e non gli importava di quello che poteva succedergli. In quel momento un'ombra gli comparve davanti, scura e imponente, che pareva un mostro destato dal sonno e venuto a porre fine alla sua intrusione. Bek indietreggiò terrorizzato, e così facendo la sua mano sfiorò la sorella. La guardò da vicino per assicurarsi che fosse davvero lei, e i suoi occhi vacui lo fissarono senza vederlo. Era inginocchiata nella neve, docile e indifferente. Piangendo dì sollievo, la fece alzare e le prese entrambe le braccia. Poi, pensando che forse non era sufficiente, l'abbracciò. Servendosi del gomito, si asciugò gli occhi e cercò il fantasma che gli aveva tatto ritrovare la sorella. Era davanti a lui e si stava allontanando. Bek lo guardò e colse in lui qualcosa di familiare. Appariva e scompariva ai limiti della zona visibile in mezzo alla neve, pareva aspettarlo. Poi, all'improvviso, il fantasma sollevò il braccio per invitarlo a seguirlo. Senza pensare a quello che faceva, Bek obbedì. Tenendo ben stretto il polso sottile di Grianne, avanzò di nuovo nella tempesta. «Ed è così che ti ho trovato» terminò Bek, passando l'otre a Quentin. La forte birra scaldava già la gola e lo stomaco del cugino. «Non so da quanto eravamo nella tormenta, ma la guida è sempre stata davanti a me, ovviamente intenzionata a portarmi verso un suo obiettivo e tenendomi sulla pista. Non sapevo dove mi stesse conducendo, ma dopo un po' non ci pensai più. Sapevo chi era.» «Truls Rohk» disse il cugino. «E' quello che ho pensato anch'io in un primo momento, ma adesso non ne sono certo. Truls è morto. E' diventato parte della comunità dei cambiatori di forma e non possiede più un'identità separata. Forse volevo credere che fosse lui.» Scosse la testa. «Non penso che importi, però.» Erano rannicchiati in una piccola caverna che si apriva sul fianco della montagna. Bek aveva acceso un fuoco che bruciava emanando poco calore ma con una bella fiamma che illuminava i loro volti. Grianne sedeva di lato e fissava la notte, senza vederla. Di tanto in tanto, Quentin le lanciava un'occhiata, ancora a disagio nel sedere accanto a una persona che aveva cercato con ogni mezzo di ucciderli. Bek guardò il cugino bere un altro sorso di birra. Finalmente l'Highlander cominciava a riprendere un po' di colore. Era pressoché congelato quando si era imbattuto in Bek e Grianne. Bek l'aveva subito avvolto nel proprio mantello e aveva cercato un rifugio. Il fuoco e la birra avevano ridato le forze all'Highlander, e i due avevano passato l'ultima ora a raccontarsi cos'era successo dopo la battaglia di Castledown. Senza fretta, prendendosi tutto il tempo, in modo da accettare che l'impossibile era successo e si erano ritrovati. «Non ho mai pensato che fossi morto» disse Bek al cugino, rompendo un momentaneo silenzio. «Non ho mai creduto che potesse essere successo.»
Quentin gli rivolse il suo abituale sorriso sicuro. «Neanch'io l'ho mai pensato di te. Quando Kreshen mi ha detto di averti lasciato fuori dalle rovine, sapevo che te la saresti cavata. Ma quella faccenda della tua magia è un'altra cosa. Non riesco ancora a crederci. Sei sicuro di essere un Ohmsford?» «Certo, dopo aver sentito quello che mi ha detto Walker.» Bek si appoggiò all'indietro sui gomiti e sospirò. «Non ci ho creduto neanch'io, all'inizio. Ma dopo il primo scontro con Grianne, quando ho sentito la magia salire in me ed esplodere come ha fatto, non ho più avuto dubbi.» «E così è tua sorella.» Bek annuì. «Già.» L'Highlander scosse adagio la testa. «Be', ecco una cosa che non mi sarebbe mai venuta in mente, quando siamo partiti per questo viaggio. Ma cosa devi fare di lei, adesso che lo sai?» «Devo riportarla a casa» rispose Bek. «Devo proteggerla.» Guardò per un istante Grianne. «E' importante, Quentin. Al di là del fatto che è mia sorella. Non so in quale senso, ma lo è. Walker ha insistito su questo particolare, sia quando stava morendo sia quando è tornato sotto forma di ombra. Sa qualcosa di lei che non ha voluto dirmi.» «La cosa non mi stupisce,» Bek sorrise. «Immagino che Walker avesse l'abitudine di tenere i segreti. Ma può darsi che non ci siano altre sorprese, per noi. Vere sorprese, intendo dire.» Quentin esalò il fiato: una bianca piuma di vapore che sparì nella notte gelida. «Non ne sarei così sicuro. Qualche giorno fa l'ho pensato anch'io, e poi ti ho ritrovato. Non si può mai dire.» Fece una pausa. «Pensi che qualcun altro sia vivo? O sono tutti morti come Walker e Ard Patrinell?» Per qualche istante, Bek non rispose. Tutti gli Elfi erano morti, tranne Kian e forse Ahren Elessedil. Ryer Ord Star poteva essere ancora viva. E i Cavalieri del Wing Hove forse erano nelle vicinanze. E naturalmente c'erano i Corsari. «Abbiamo visto la "Jerle Shannara" volare verso queste montagne» disse Bek. «Forse i Corsari ci stanno ancora cercando.» Quentin lo guardò aggrottando la fronte. «Forse. Ma se tu fossi Redden Alt Mer, cosa faresti in una situazione come questa? Verresti a cercarci o te ne torneresti al luogo da cui sei partito?» Bek rifletté per qualche momento, poi disse: «Non credo che Rue Meridian ci abbandonerebbe. Penso che convincerebbe il fratello a cercarci». Il cugino sbuffò. «Per quanto? Inseguiti da quelle navi piene di Mwellret? Venti navi contro una?» Scosse la testa. «Meglio essere realistici. Non hanno alcuna ragione di pensare che siamo ancora vivi. Sono stati presi prigionieri una volta, non correranno il rischio di essere catturati una seconda. Sarebbero dei pazzi se non fuggissero. lo non li biasimerei. Al loro posto farei lo stesso.» «No, verranno a cercarci» insistette Bek. Quentin rise. «So che non riuscirei a farti cambiare idea, cugino Bek. Strano, però, l'ottimista dovrei essere io.» «Le cose cambiano.» «Impossibile negarlo.» L'Highlander osservò la neve che cadeva e fece un gesto vago. «Io avrei dovuto prendermi cura di te, ricordi? Non ho mantenuto la promessa. Ho lasciato che ci separassimo e poi sono fuggito dall'altra parte. Non mi è neppure venuto in mente di cercarti finché non è stato troppo tardi. Mi dispiace veramente di non aver mantenuto la parola,» «Di che parli?» ribatté Bek, irritato. «Cosa dovevi fare, più di quello che hai fatto? Sei riuscito a salvarti, e questo è già stato abbastanza difficile. Inoltre, anch'io dovevo prendermi cura di te. Non era quello, l'accordo?» Si guardarono per qualche istante, con aria di sfida. Poi la tensione li lasciò, e come amici che hanno condiviso una vita di esperienze e si conoscono meglio di chiunque altro, si sorrisero. Bek rise. «Fifone.» «Pappamolle» ribatté Quentin. Bek gli tese la mano. «La prossima volta faremo meglio.» Quentin gliela strinse. «Molto meglio.»
Il vento cambiò direzione, soffiando i fiocchi di neve nei loro occhi. I due cugini piegarono la testa per ripararsi dal vento e la neve sfrigolò sulle braci. Poi tutto torno a tacere e i due giovani fissarono l'oscurità. Cominciavano a sentire le fatiche del giorno, che toglievano loro l'attenzione e li spingevano verso il sonno. «Voglio tornare a casa» mormorò Quentin. Guardò Bek con espressione triste e stanca. «Scommetto che non ti saresti mai aspettato di sentirmelo dire, vero?» Per tutta risposta, Bek si strinse nelle spalle. «Mi sento consumato» continuò l'Highlander. «Ho visto troppe cose. Kreshen e Ard Patrinell sono morti davanti ai miei occhi. E anche parecchi degli altri Elfi. Ho lottato così duramente, per rimanere in vita, che non ricordo altro. Sono stanco di queste cose. Non voglio più sentire la magia della spada, anche se ero così impaziente di assaporarla. Sentirla correre nelle vene come un fuoco e bruciare tutte le scorie, alimentarmi della sua forza.» «So cosa si prova» disse Bek. Quentin lo guardò. «Ti credo. Ma dopo qualche tempo è troppo. E non è mai abbastanza.» Sì guardò attorno. «Pensavo che questa sarebbe stata la nostra grande avventura, il nostro rito di passaggio verso l'età adulta, una storia da ricordare, per tutta la vita, da raccontare agli amici e alla famiglia. Ora non voglio neppure parlarne. Voglio dimenticare tutto. Voglio tornare, alla mia vita di un tempo. Voglio tornare a casa e rimanerci.» «Anch'io» convenne Bek. Quentin annuì fissando la notte, e non disse nulla. «Non so come questo potrà succedere, però» proseguì dopo un momento. «Ho paura che non succeda.» «Ti sbagli» rispose Bek. «Non so come, ma succederà. Anch'io ho cura di te. Non pensato a tornare a casa, a riportarci Grianne come ha detto Walker. Sembra folle, impossibile. Walker è morto e non può aiutarci. Truls Rohk non ci aiuterà più. Metà delle persone con cui siamo giunti qui è morta e le altre sono disperse. Finché non ti ho trovato, ero solo. Che possibilità ho? Ma sai una cosa? Mi ripeto che troverò il modo. Non so quale, ma lo troverò. Se necessario farò a piedi tutta la strada per tornare a casa. Camminerò anche sullo Spartiacque Azzurro. O volerò. O nuoterò. Troverò il modo.» Guardò Quentin e gli sorrise. «Siamo arrivati fin qui. Faremo anche il resto.» Parole temerarie, ma sembravano necessarie per eliminare dubbi e paure. Bek e Quentin cercavano ancora qualche filo di speranza e di coraggio, e quelle parole glielo diedero. Nessuno dei due aveva intenzione di contestarle. A guardare con troppa attenzione le mura difensive, si rischia di scorgere le crepe. Lasciarono che quelle parole rimanessero tra loro, come una promessa di ciò che poteva ancora essere. Traendo conforto l'uno dall'altro, perché alla fin fine era la migliore consolazione in cui potevano sperare, finirono per addormentarsi. L'alba era grigia e nuvolosa, una promessa di neve si rifletteva sulla tela incolore del cielo illuminato da una luce fioca. La temperatura era scesa al punto di congelamento e l'aria era gelida. Fecero colazione senza parlare, nel timore di perdersi d'animo. La sicurezza che avevano provato la notte precedente si era dileguata come nebbia al sole. Tutt'intorno a loro, le montagne si dilatavano in un'infinita successione di vette e di valli. A parte il chiarore che veniva da est, l'orizzonte aveva l'identico aspetto in ogni direzione. «A questo punto potremmo incamminarci» mormorò Quentin, alzandosi e passandosi la spada sopra la spalla. Bek si alzò a sua volta e fece lo stesso con la Spada di Shannara. Ormai non pensava più a quel talismano; gli pareva che il suo scopo fosse finito e che adesso fosse solo un peso. Guardo con imbarazzo Grianne, comprendendo che avrebbe potuto dire lo stesso di lei e che il pensiero gli era già venuto in mente alcune volte. Decisi a percorrere la maggior distanza possibile prima della successiva tempesta e a non farsi cogliere allo scoperto, si avviarono di buon passo. Il terreno gelato scricchiolava sotto gli stivali
come se tosse fatto di vecchie ossa e sull'erba e sulla terra rimaneva l'impronta dei loro piedi. Se i nemici erano ancora al loro inseguimento, non avrebbero incontrato difficoltà a individuarli. Bek rifletté su quella eventualità e la scartò. I cambiatori di forma gli avevano promesso che i nemici non sarebbero passati. Non c'era motivo di pensare che la loro protezione potesse arrivare fin là, ma era stanco e triste e doveva credere almeno a questo per mantenere la pace mentale. Proseguirono fino a mezzogiorno, seguendo piste che attraversavano le valli davanti a loro. L'orizzonte era sempre uguale. Le gelide montagne sembravano prive di vita. Una sola volta videro un uccello volare lontano, un'altra volta, nella foresta, sentirono il richiamo di un animale. Per tutto il resto del tempo attorno a loro regnò un silenzio assoluto. Il tempo si trascinava come una candela che si spegne e lo stato d'animo di Bek continuò a offuscarsi. Cominciò a chiedersi se avesse senso continuare. Il movimento li manteneva in vita e dava loro uno scopo, ma la vastità della catena e la sua terribile solitudine lo spingevano a pensare che stavano soltanto rimandando l'inevitabile. Non sarebbero mai riusciti a venir fuori da quei monti. Non avrebbero mai trovato nessuno dei loro sventurati compagni della "Jerle Shannara". Erano intrappolati in un incubo che li avrebbe ingannati, avrebbe spezzato la loro volontà e alla fine li avrebbe distrutti. Cercava di calcolare il tempo che rimaneva loro quando una macchia scura comparve nel cielo, a settentrione, indistinta e lontana. Presto s'ingrandì e mosse rapida verso di loro, fino a prendere un aspetto familiare. Bek la riconobbe e la disperazione che si era impadronita di lui fino a un momento prima scomparve come vecchie ceneri sotto un fuoco nuovo. Quando Hunter Predd fece posare Ossidiana su una larga roccia piatta, a poca distanza da loro, e li salutò levando il braccio sottile come un frustino, Bek cominciò a pensare che, nonostante ciò che aveva detto a Quentin, la vita poteva ancora riservare loro qualche sorpresa.
20. Dopo essersi impadroniti della "Black Moclips", il Morgawr e i suoi Mwellret si erano aggirati per quasi una settimana come uccelli da preda su quella regione della Parkasia alla ricerca della "Jerle Shannara" e dei suoi superstiti. I loro sforzi erano stati ostacolati dal clima, che si era dimostrato assolutamente arbitrario e passava senza preavviso dal sole alla pioggia e dalla bonaccia al vento di bufera, Durante le peggiori tempeste erano stati costretti ad atterrare e ad ancorarsi per ventiquattr'ore e più in qualche cala della costa, dove le scogliere e le foreste li proteggevano dalla neve e dalla grandine che altrimenti li avrebbero fatti naufragare. Per la maggior parte del tempo Ahren Elessedil rimase chiuso sottocoperta in una cabina che era stata convertita in cella. Era la stessa dove era stato imprigionato Bek Ohmsford quando era stato catturato dalla Strega di Ilse, ma Ahren lo ignorava. Il principe degli Elfi venne tenuto da solo e isolato da tutti, a eccezione dei rettili che gli portavano il cibo o lo accompagnavano sul ponte per qualche breve periodo d'aria. Il Morgawr aveva trasferito il suo contingente personale di Mwellret sulla "Black Moclips" perché ne preferiva la struttura snella e la maggiore manovrabilità rispetto alla sua precedente ammiraglia, più tozza e pesante. Ridotti a gusci privi di ragione, tristi resti di tempi migliori, Aden Kett e i suoi uomini si, occupavano delle manovre. Il comando era passato a Cree Bega. Il Morgawr aveva preso per sé la cabina del comandante e mentre andavano alla ricerca della "Jerle Shannara" il principe degli Elfi lo vide di rado. Vide ancor meno Ryer Ord Star. La sua assenza alimentò la sfiducia e più volte il principe si soffermò a valutare i propri sentimenti. Non riusciva a capire se la giovane avesse tradito del tutto la promessa fatta a lui e si fosse alleata al Morgawr o se giocasse qualche complicata partita che Ahren non comprendeva. Voleva credere a questa seconda spiegazione, ma per quanto si sforzasse non capiva il suo apparente tradimento al momento della cattura o il rifiuto di parlargli da allora. Nelle catacombe di Castledown gli aveva detto che non era più soggetta alla Strega di Ilse, ma adesso pareva divenuta una creatura del Morgawr. Aveva guidato il mago nella ricerca della Jerle Shannara e l'aveva indirizzato alla Black Moclips. Era rimasta a guardare mentre l'equipaggio della
Federazione veniva metodicamente ridotto a un mucchio di cadaveri ambulanti. Aveva assistito alla scena come in trance, senza rivelare i suoi pensieri, estranea all'orrore e alla degradazione come se non fosse stata presente. Dopo che erano stati portati sulla Black Moclips, non aveva mai cercato di parlare ad Ahren. Gli aveva sussurrato: «Fidati di me», ma non era successo più nulla. Perché Ahren avrebbe dovuto fidarsi? Cos'aveva fatto per meritarlo? Ora che ci pensava, quelle parole sembravano avere avuto lo scopo di assicurarsi la sua acquiescenza in un momento in cui avrebbe ancora potuto fuggire. Adesso, invece, non c'erano possibilità di fuga a bordo di una nave volante, a centinaia di piedi di quota e senza alcun posto dove andare. Non che avesse la possibilità di sfuggire ai suoi carcerieri, si disse amaramente, neanche se fossero stati a terra. Senza le Pietre Magiche o qualche arma, non aveva alcuna probabilità di sopraffare coloro che l'avevano catturato. Chiuso nella cabina, non aveva visto quasi nulla di ciò che era successo nei giorni precedenti, ma l'andatura di navigazione lenta e costante gli faceva capire che stavano ancora cercando la Jerle Shannara. E dall'immutabilità della vita di bordo poteva capire che non avevano trovato nulla. Pensava continuamente alla fuga. Immaginava tutti i modi in cui poteva svolgersi, gli avvenimenti di cui approfittare, le proprie azioni e i loro risultati. Si vedeva mentre apriva la porta e sgusciava lungo i corridoi, saliva la scaletta e si nascondeva dietro l'albero maestro per poi saltare al di là del parapetto alla prima occasione. Ma la possibilità di tentare quella fuga non si concretizzò mai. Un giorno, poco dopo una tempesta che li aveva tenuti a terra per più di ventiquattr'ore, era sul ponte con Cree Bega quando aveva scorto Ryer Ord Star a poppa della nave. Era stupito di vederla e per un attimo, tradito dalla sorpresa, l'aveva guardata senza nascondere la speranza. Cree Bega aveva notato la sua espressione. Toccandolo sulla spalla, gli aveva detto: «Va' a parlare con lei, piccolo elfo. Dille quello che sssenti». Quelle parole erano un chiaro invito a compiere una stupidaggine. Il mwellret diffidava della veggente, proprio come Ahren. Cree Bega non aveva mai creduto che la sua fedeltà verso il Morgawr fosse genuina. Lo si capiva dal suo atteggiamento nei confronti della giovane: la ignorava e non la consultava mai, anche se il Morgawr ricorreva spesso ai suoi consigli. Il mwellret, comprese Ahren, aspettava che Ryer Ord Star si tradisse. «Niente da dire, principe degli Elfi?» aveva ironizzato Cree Bega curvandosi su Ahren, che aveva arricciato il naso nel sentire il suo odore di palude. «Non era tua amica? E non lo è ancora?» Ahren aveva capito la natura della domanda, perciò aveva continuato a tacere, senza rispondere al quesito ironico del rettile. Qualunque sua azione avrebbe rivelato verità che rischiavano di danneggiare o la veggente o lui. Se lei gli avesse risposto, il mwellret avrebbe sospettato un'alleanza segreta; se non avesse risposto, il suo dolore per come era cambiata nei suoi confronti sarebbe aumentato. Era troppo vulnerabile, meglio temporeggiare. Si era girato dall'altra parte. «Parlaci tu, se ne hai tanta voglia» aveva mormorato. Una nuova occasione si presentò l'indomani, quando venne condotto nella cabina del Morgawr e vide la veggente accanto a lui. La giovane aveva di nuovo l'espressione distaccata, lo sguardo privo di emozione, come se il suo spirito fosse altrove e solo il suo corpo fosse presente. Il Morgawr gli chiese di nuovo dei particolari sulla gente della Jerle Shannara. Quanti erano partiti, chi erano, quando li aveva visti l'ultima volta, che rapporto avevano con il druido. Lo sollecitò ancora una volta a fare il conto dei sopravvissuti. Gli aveva già rivolto le stesse domande e Ahren gli diede le stesse risposte. Non ebbe difficoltà a farlo perché non era necessario fingere. In genere le informazioni di cui disponeva erano inferiori a quelle del Morgawr. Anche su Bek il Morgawr ne sapeva quanto lui. Aveva letto le tracce di magia rimaste nell'aria delle catacombe di Castledown e sapeva che Bek era sceso fino al lago sotterraneo e poi era uscito. Sapeva che il giovane era ancora in libertà, che fuggiva da lui e nascondeva la sorella. Il poco che il Morgawr non era riuscito scoprire grazie alla sua magia gliel'aveva detto la veggente. Gli aveva raccontato ogni cosa.
A volte, mentre il Morgawr interrogava Ahren, la veggente parve uscire per brevi momenti dal luogo in cui si era ritirata. Muoveva gli occhi e le mani. Tornava cosciente di ciò che la circondava, ma solo per pochi istanti, poi ricadeva nel suo stato di trance. Ahren era a disagio davanti a quel comportamento, ma il Morgawr pareva non preoccuparsene. Perché il mago non esigeva che prestasse attenzione? Perché non sospettava che si richiudesse in sé volutamente? Ad Ahren occorse qualche tempo per capire cosa stava realmente succedendo. La veggente non si distaccava affatto dalla conversazione, ma ne faceva parte integrante, in un modo che era sfuggito al principe degli Elfi. Ryer Ord Star ascoltava le parole dì Ahren e le usava per stimolare la propria chiaroveggenza. Trasformava le parole in immagini dei suoi amici e cercava di avere visioni di loro. Usava Ahren per rintracciarli. Fu così stupito dalla rivelazione che s'interruppe a metà di una frase e fissò la giovane. Il silenzio improvviso attirò l'attenzione di Ryer Ord Star, che abbandonò per un attimo le sue visioni e lo fissò. «Non fare così» le disse piano il principe, incapace di nascondere la delusione. Lei non rispose, ma Ahren riuscì a leggere il dolore nei suoi occhi. Il Morgawr ordinò subito di riportarlo in cella, un congedo pieno di collera. Ahren scoprì allora il suo vero ruolo: né ostaggio né re fantoccio, almeno in quel momento. Le esigenze del mago erano più immediate. Ahren gli era più utile come catalizzatore delle visioni, come stimolo che avrebbe permesso alla veggente di trovare la Strega di Ilse e gli altri che gli erano sfuggiti. Ingenuo e privo di sospetti, il ragazzo l'avrebbe aiutato senza rendersene conto. Ma se n'era reso conto. Venne imprigionato di nuovo nella cabina e lasciato a festeggiare in solitudine la sua piccola vittoria. Aveva mandato a monte il tentativo del Morgawr di servirsi di lui. Sedette con la schiena contro la paratia della nave e sorrise. La soddisfazione svanì però presto; infatti, la sua vittoria era sterile. La realtà si affacciò a spegnere le sue speranze. Era un prigioniero senza possibilità di fuga. I suoi amici erano dispersi o morti. Era ancora perso in un territorio pericoloso e lontano. E, cosa peggiore, Ryer Ord Star si era rivelata sua nemica. Nella cabina del comandante, il Morgawr camminava avanti e indietro come un animale in gabbia. Ryer Ord Star sentiva la tensione irradiarsi da lui in cupe onde di insoddisfazione. Era inconsueto che il mago mostrasse così apertamente le sue emozioni, ma la sua pazienza si riduceva pericolosamente. «Ha capito quello che intendevamo fare. Un ragazzo troppo intelligente.» La veggente non rispose. Pensava alle parole di Ahren e al modo in cui l'aveva guardata. Sentiva ancora il dolore della sua voce e vedeva la delusione nei suoi occhi. Comprensibilmente confuso e disorientato, si era sbagliato su dì lei, e lei non aveva potuto spiegarsi. La situazione era già brutta in precedenza, adesso stava diventando incontrollabile. Il Morgawr si fermò davanti alla porta, voltando la schiena alla veggente. «Non mi serve più» disse. Lei s'irrigidì e cercò di ragionare in fretta. «Non mi occorre la sua cooperazione.» «Mentirà. Nasconderà informazioni. Riferirà particolari inutili per confonderci. Non posso più fidarmi di lui.» Si girò lentamente. «E non sono sicuro neppure di te, piccola veggente.» Lei sostenne il suo sguardo senza abbassare gli occhi, lasciando che il Morgawr la fissasse. Se il mago fosse stato davvero convinto di un suo tradimento, tutto sarebbe finito e l'avrebbe uccisa subito. «Ti ho detto solo la verità» gli rispose. La faccia scura, da rettile, non rivelava i sentimenti, ma gli occhi erano minacciosi. «Dimmi quello che hai visto ora.» La metteva alla prova, le offriva la possibilità di dimostrare che gli era ancora utile. Ahren aveva visto giusto. Ryer traeva spunto dalle sue parole per avere visioni che rivelassero informazioni sui passeggeri della Jerle Shannara. Ahren non aveva compreso le sue intenzioni, ma lei non poteva
spiegargliele. Il Morgawr doveva continuare a credere che lei poteva aiutarlo nella ricerca della Strega di Ilse. Non doveva dubitare che fosse sua alleata, altrimenti il suo piano per aiutare Walker sarebbe fallito. Fece un passo verso il mago come per sfidarlo, un gesto che compì trattenendo il fiato. «Ho visto la Strega di Ilse e suo fratello circondati dai monti. Non erano soli. Con loro c'erano anche altri, ma la loro faccia era nascosta nell'ombra. Camminavano. Non l'ho vista, ma ho sentito la presenza di una nave volante vicino a loro. C'erano scogliere piene di nidi di averle. Una di quelle vette sembrava una lama di lancia con la punta spezzata, puntata verso l'alto e con spigoli taglienti. Sentivo l'odore dell'oceano e il rumore delle onde contro gli scogli.» S'interruppe e attese la risposta del Morgawr, lo sguardo ancora fisso nel suo. Gli aveva descritto la visione suscitata dalle parole di Ahren, ma aveva cambiato alcuni dettagli per metterlo sulla strada sbagliata. Trattenne il respiro: se il mago avesse letto l'inganno nei suoi occhi o trovato da solo la verità nelle sue visioni, poteva considerarsi morta. Il Morgawr la studiò a lungo, senza muoversi o parlare, una faccia di pietra avvolta nel mantello e nell'ombra. «Sono sulla costa?» chiese infine, con voce priva di espressione. Ryer Ord Star annuì. «La visione suggerisce questo. Ma talvolta la visione non è quello che credo io.» Il suo sorriso la raggelò. «Raramente le cose lo sono, piccola veggente.» «L'importante è che le immagini sono state suscitate dalle parole di Ahren Elessedil» insistette lei. «Senza quelle, non avrei niente su cui basarmi.» «In tal caso, non avrei più bisogno di voi, vero?» chiese il Morgawr. Sollevò una mano e le rivolse un gesto languido. «E non avrei più bisogno di voi se lui non dirà più la verità, non credi?» L'eco delle sue parole rimase sospesa nell'aria. Ryer Ord Star sapeva di dover smentire quell'accusa. «Non ho bisogno che dica la verità perché le sue parole suscitino visioni.» Era una bugia, ma non sapeva che altro dire. Parlò con convinzione e sostenne lo sguardo del mago anche quando sentì il pericolo che lui giungesse fino alla sua anima. Dopo un lungo silenzio, il Morgawr si strinse nelle spalle. «Allora dobbiamo lasciarlo vivere ancora un poco. Dobbiamo dargli un'altra possibilità.» L'aveva detto in tono convincente, ma Ryer Ord Star aveva colto la menzogna. Il mago aveva preso la sua decisione su Ahren, proprio come Ahren aveva preso la stia decisione su di lei. Il Morgawr, sospettava, ormai non credeva a nessuno dei due, ma soprattutto al principe degli Elfi. Avrebbe cercato ancora una volta di usare Ahren, ma poi se ne sarebbe sbarazzato. Non aveva né il tempo né la pazienza di occuparsi dei prigionieri recalcitranti. Ciò che voleva da quella terra, i suoi segreti e le sue magie, restavano irraggiungibili. La sua delusione per Ahren sarebbe aumentata e infine li avrebbe distrutti tutt'e due. Congedata senza bisogno di parole, lasciò il Morgawr e si recò sul ponte: salì dalla scaletta in fondo al corridoio e raggiunse la poppa. Tenendosi al parapetto per non tremare, fissò l'orizzonte, la sterminata distesa di monti e foreste, le nubi scure perforate dagli ultimi raggi del sole. Il pomeriggio volgeva già alla notte: il buio si alzava a levante, la luce sbiadiva a ponente. Chiuse gli occhi quando ebbe chiara nella mente l'immagine del mondo e lasciò vagare i pensieri. Doveva fare qualcosa per salvare il principe degli Elfi. Non aveva previsto di dover agire così presto, ma sembrava inevitabile. Lei si era votata al piano di Walker per fermare il Morgawr, ma questo non significava che dovesse farlo anche Ahren. Il destino del principe era altrove, lontano dalle insidie di quel continente, a casa sua nelle Quattro Terre, dove la sua eredità sarebbe servita a un altro scopo. Ryer Ord Star aveva scorto dei barlumi del suo destino in una delle visioni che aveva avuto con Walker. Lo sapeva da ciò che le aveva detto il druido prima di morire. Lo sentiva nel proprio cuore. Esattamente come sapeva il destino che attendeva lei.
Respirò con regolarità per calmarsi e accettare ciò che doveva fare. Walker le aveva chiesto di ingannare il Morgawr, di rallentarlo nella sua caccia, di guadagnare tempo per Grianne Ohmsford. Non era una cosa che il druido le avesse chiesto con leggerezza; l'aveva fatto perché ne aveva disperato bisogno e si fidava delle sue capacità. Si sentiva piccola e indifesa davanti a ciò che si aspettava da lei, una bambina ancora lontana dalla sicurezza della donna. La sua dote di veggente non le aveva permesso di crescere come le altre donne, solo la sua mente era matura. Eppure era capace e decisa. Era l'aiutante del druido, e lo sentiva sempre con sé, a darle forza. Si aggrappò a quella consapevolezza come a un talismano, mentre faceva i suoi piani. Quando scese la notte, passò all'azione. Attese che tutti i Mwellret dormissero, tranne quello che montava la guardia e il timoniere. La Black Moclips veleggiava nella notte a un'andatura lenta, bordeggiando la costa di nordest, quando la veggente scivolò fuori del suo giaciglio, sotto il castello di poppa, e si diresse verso il boccaporto. Aden Kett e i suoi uomini erano ai loro posti, gli occhi morti fissi sulla notte. La veggente distolse lo sguardo: era pericoloso osservare troppo da vicino il destino che ci attende. La nave oscillava leggermente nel vento dell'ovest. Il gelo portato dalle tempeste rimaneva nell'aria e alla luce delle stelle si scorgeva il vapore del suo fiato. Sotto di loro, la neve copriva i pendii spogli delle montagne. Il calore che li aveva salutati al loro arrivo in quella terra era sparito, spinto nell'entroterra da qualche aberrazione collegata alla morte di Antrax. Le sembrava incredibile che la scienza avesse trovato il modo di controllare il clima, ma anche lei sapeva che prima delle Grandi Guerre l'umanità era in grado di compiere miracoli di cui si era persa la fonte. La magia aveva preso il posto della scienza, nelle Quattro Terre, e spesso Ryer Ord Star si era chiesta se questo fosse un bene o un male e se i veggenti avessero davvero importanza. Raggiunse il boccaporto aperto che portava alle cabine e scese senza fare rumore, tendendo l'orecchio ai rumori del rettile che faceva la guardia. Walker non avrebbe approvato ciò che stava facendo. Avrebbe cercato di fermarla, se avesse potuto. Le avrebbe consigliato di non correre rischi e di concentrarsi sul compito che le aveva affidato. Ma Walker vedeva le cose con gli occhi di un uomo che cercava di ottenere da morto quello che non era riuscito a ottenere in vita. Era un'ombra, e ciò che riusciva a vedere da dietro il velo era limitato. Sapeva della Strega di Ilse e del suo ruolo nel futuro delle Quattro Terre, delle ragioni per cui doveva salvarla dal Morgawr, del cammino che doveva seguire per uscire dal rifugio in cui l'aveva chiusa la sua mente. Ma soltanto Ryer Ord Star sapeva che il tempo stava scivolando via. Il corridoio era in ombra, ma non ebbe difficoltà a percorrerlo. Senti russare davanti a lei e capì che la guardia dormiva: il sonnifero che le aveva versato nella razione serale di birra aveva fatto effetto. Non era stato difficile. Il pericolo era che un altro mwellret scoprisse che la guardia dormiva prima che lei facesse in tempo a liberare Ahren. Giunta alla porta della cabina, sottrasse le chiavi al rettile addormentato e aprì la serratura, l'orecchio teso a cogliere i rumori di chi avrebbe potuto por fine alla sua impresa. Non disse nulla quando aprì la porta e scivolò all'interno come un fantasma. Ahren si alzò per affrontarla, incerto sulla ragione della sua presenza. Tuttavia non fece parola, obbedendo al suo segno di fare silenzio, mentre lei si avvicinava furtiva e gli toglieva le catene. Anche alla fioca luce della cabina lei lesse nei suoi occhi il dubbio e il sospetto, ma le azioni di Ryer Ord Star erano inequivocabili. Senza interferire, il principe lasciò che la liberasse e la segui quando Ryer fu pronta a uscire. Scavalcarono la guardia distesa attraverso il corridoio, poi raggiunsero la scaletta, La Black Moclips dondolava piano, una culla piena di rettili addormentati e di morti viventi. I soli rumori erano quelli della nave: il cigolio del fasciame e delle funi. Una volta giunti sul ponte, sgusciarono dietro il timoniere, appiattendosi sul ponte e poi nascondendosi dietro gli alberi fino al parapetto. Senza parlare, Ryer Ord Star lo scavalcò e scese nello stretto passaggio che conduceva alle postazioni di combattimento, sotto il livello del ponte di coperta, un lungo corridoio, alto poco più di un uomo, ingombro di pezzi di vela e di tavole di legno.
Raggiunsero il punto dove il corridoio curvava all'insù, poco prima dell'ariete. Facendo scorrere la mano sotto una tavola, Ryer trovò la molla che la teneva ferma e la fece scattare. Si aprì un portello, rivelando un fascio di bacchette flessibili cui erano fissati larghi triangoli di tela leggera. Passò il fascio ad Ahren. «Questo è un veleggiatore» gli sussurrò, accostando la testa alla sua e sfiorandogli il viso con i capelli. «E una sorta di aquilone, che permette a un uomo di volare via da una nave colpita. Redden Alt Mer lo teneva qui per le emergenze.» D'impulso, sollevò una mano e gli sfiorò la guancia. «Non intendevi aiutarlo, vero?» le bisbigliò il principe degli Elfi,con la voce piena di sollievo e di gioia. «Dovevo salvare la tua vita e la mia. Per questo sono stata costretta a rivelargli la tua identità, altrimenti ti avrebbe ucciso.» Respirò a fondo. «Ma adesso vuole ucciderti. Pensa che tu non gli sia più utile. Non posso più proteggerti. Devi lasciare la nave questa notte.» Ahren scosse subito la testa, stringendole il braccio. «Non senza di te. Non vado via senza di te.» Lo disse con una tale veemenza, con una tale insistenza e disperazione, da farle venire voglia di piangere. Aveva dubitato di lei e adesso cercava di farsi perdonare nel solo modo che conosceva. Se necessario, avrebbe dato la vita per salvarla. «Per me non è ancora il momento di andarmene» gli rispose. «Ho promesso a Walker di portare fuori strada il Morgawr. Pensa che io lo aiuti, ma faccio solo quel poco che basta per convincerlo. Fuggirò dopo.» Vide che non le credeva, e allora gli indicò seccamente il veleggiatore. «Non discutere! Prendilo e va', Subito! Aprilo, assicurati all'imbracatura e sporgiti dal fianco della nave, con l'ala ben distesa. Usa la barra e le maniglie per dirigere il volo. Non è difficile. Vieni, ti aiuto io.» Il principe scosse la testa, ancora incredulo. «Come sapevi di questo apparecchio?» «Me ne ha parlato Walker.» Sciolse le cinghie che tenevano unito il fascio e aprì l'ala. «Laveva saputo da Big Red. I Mwellret non ne conoscono l'esistenza. Ecco, adesso è pronto. Sali sullo scalino e fatti legare.» Ahren fece come lei gli diceva, ancora confuso da quanto stava succedendo, incapace di riflettere su quello che faceva e di vederne le lacune logiche. Ma a Ryer bastava spingerlo via dalla nave e metterlo in volo, e a quel punto sarebbe stato troppo tardi. Tutto sarebbe stato deciso, per quello che dipendeva da lei. Non poteva fare altro. «Dovresti venire via anche tu» insistette il principe, cercando ancora il modo di portarla via con sé. Lei scosse la testa. «No. Più avanti. Portati a nord e poi punta verso l'interno. Cerca una foresta pluviale nel cuore delle montagne. Gli altri sono là, su una terrazza di roccia che dà sulla foresta. L'ho letto nelle mie visioni.» Ahren s'infilò l'imbracatura e lei gliela affibbiò sulla schiena. Poi aprì l'ala in modo che prendesse il vento e mostrò ad Ahren la barra e le maniglie. Per tutto il tempo continuò a guardarsi alle spalle, ma i Mwellret non si erano ancora accorti di nulla. «Ryer ...» ripeté il principe, voltandosi verso di lei. «Tieni» gli disse la veggente, tirando fuori dal vestito un sacchetto di pelle. Glielo infilò nella tasca della tunica, bene in fondo in modo che non cadesse fuori. «Le Pietre Magiche» sussurrò. Ahren la guardò incredulo. «Ma come hai fatto a...» «Va» gli sussurrò lei, spingendolo nel vuoto. Il vento tese l'ala e portò via Ahren, nell'oscurità. Per un attimo, Ryer vide ancora l'espressione meravigliata del principe degli Elfi, vide l'uomo che era diventato prendere il posto del ragazzo che aveva iniziato il viaggio, poi il principe sparì. «Addio, Ahren Elessedil» sussurrò. Le parole galleggiarono nell'aria, lievi come piume, e svanirono mentre lei si voltava e tornava sul ponte. Adesso era proprio sola.
21.
Una mano lo scosse dolcemente per la spalla e Bek Ohmsford si svegliò. «Se dormirai ancora, penseranno che sei morto» gli disse una voce familiare. Aprì gli occhi e venne subito abbagliato dal sole di mezzogiorno. Rue Meridian comparve sopra di lui e coprì il bagliore, permettendogli di riaprire gli occhi: la giovane donna lo guardava con un sorriso ironico, e a Bek bastò vederla per sentire un calore che il sole non sarebbe mai riuscito a dargli. Le sorrise a sua volta. «In effetti, mi sento davvero come se fossi morto.» Era disteso sul ponte della Jerle Shannara, avvolto nelle coperte come in un bozzolo. Mentre raccoglieva i pensieri, guardò gli alberi che si protendevano nel cielo e i parapetti della nave. «Quante ore ho dormito?» «Da ieri a quest'ora. Come ti senti?» I ricordi della settimana trascorsa gli tornarono alla mente tutti insieme, mentre rifletteva sulla domanda. La fuga da Castledown con Grianne e Truls Rohk. La fatica per sfuggire all'inseguimento del Morgawr e delle sue creature. La lotta tra il cambiatore di forma e il caullo. Truls Rohk morente. L'incontro con i cambiatori di forma e la trasformazione che aveva salvato la vita dell'amico. La fuga con Grianne su per le montagne, fiducioso di poter trovare in qualche modo la strada. L'incontro con Quentin dopo tanti giorni, un miracolo reso possibile dalla promessa fatta a un morto. E poi, quando sembrava che le montagne li avrebbero inghiottiti, un secondo miracolo: Hunter Predd che, alla ricerca dei sopravvissuti, li aveva tolti da quei monti e portati alla nave. «Mi sento già meglio di ieri al mio arrivo» disse Bek, con un profondo sospiro soddisfatto. «Da tempo non mi sentivo così bene.» Guardò con attenzione Rue Meridian e scorse i graffi sulla faccia e la stecca sul braccio sinistro. «Che t'è successo? Hai di nuovo litigato con un gatto selvatico?» Lei inclinò di lato la testa. «In un certo senso.» «Ma sei ferita.» «Pochi graffi e ammaccature. Un braccio rotto e qualche costola incrinata. Niente che non guarisca col tempo.» Finse di dargli un pugno. «Mi sarebbe servito il tuo aiuto.» «E a me il tuo.» «Hai sentito la mia mancanza, vero?» Lo disse con indifferenza, come se non le importasse della risposta. Ma Bek sapeva che non era così. Per un attimo si convinse che era determinante, che voleva sentirsi dire da lui di essere importante, in un modo che andava al di là dell'amicizia. Era una pretesa sciocca e improbabile, ma non riuscì a cancellarla. Del resto, l'idea gli piaceva e non voleva metterla in dubbio. «Certo, l'ho sentita molto» le rispose. «Bene.» Rue si chinò all'improvviso e lo baciò sulle labbra. Fu solo un rapido tocco, seguito da una carezza sulla guancia, poi si staccò da lui. «Anch'io ho sentito la tua mancanza. E sai perché?» La fissò a occhi sgranati. «No.» «Ne avevo l'impressione. Io stessa l'ho capito solo adesso. Forse col tempo lo capirai anche tu. Sei sempre stato bravo a capire le cose, per essere un ragazzino.» Gli rivolse un altro sorriso ironico, ma non aveva l'intenzione di ferirlo e non lo ferì. «Ho sentito dire che hai la magia. E che non sei quello che credevi di essere. La vita è piena di sorprese.» «Vuoi che ti racconti?» «Se ti va di farlo.» «Certo. Ma prima voglio che tu mi dica come hai fatto a ridurti in queste condizioni. Voglio sapere com'è successo.» «E colpa di questa» rispose lei, con sarcasmo, indicando la nave. «Questa e altre catastrofi.» Bek si sollevò su un gomito e si guardò attorno. Il ponte della Jerle Shannara era costellato di rappezzi di legno di colore diverso e si scorgevano molti punti tuttora in corso di riparazione. Un nuovo albero maestro era stato tagliato e rifinito e montato al posto del vecchio; se ne accorse dal legno più chiaro e dalle fasce di metallo lucide. Vari tratti di parapetto sembravano nuovi e
numerose falle erano state chiuse. Dai pennoni pendevano i tubi radianti e su alcune vele si scorgevano ancora gli squarci. Non si vedeva nessun corsaro. «Ci hanno abbandonato» osservò lei, come se gli avesse letto nel pensiero. Bek sentiva alcune voci vicine, deboli e indistinguibili. «Da quanto siete qui?» «Quasi una settimana.» Lui batté gli occhi incredulo. «Non potete volare?» «Non possiamo staccarci da terra.» «Siamo in trappola, allora. Quanti di noi sono rimasti?» Rue si strinse nelle spalle. «Un pugno. Big Red. Barbanera, l'Highlander, tu e io. Tre dell'equipaggio. I due cavalieri. Panax e un Cacciatore degli Elfi. I cavalieri li hanno trovati ieri, non lontano di qui, con una tribù del luogo chiamata Rindge. Sono accampati in fondo alla cornice di roccia.» «Ahren?» chiese ancora Bek. Rue scosse la testa. «No. E neppure la veggente e gli altri che sono sbarcati. Tutti morti o dispersi.» Distolse lo sguardo. «I Cavalieri del Wing Hove stanno ancora cercando, ma ci sono in giro anche quelle navi volanti con i rettili e i morti viventi. Ormai è pericoloso volare tra queste montagne. Non che la Jerle Shannara possa farlo, anche se lo volessimo.» Bek guardò la nave, poi Rue Meridian. «Dov'è Grianne? Sta bene?» Il sorriso scomparve dal viso di Rue. «Grianne? Ah, sì, la sorella ritrovata. E sottocoperta, nella cabina di Big Red, a fissare il nulla. Cosa in cui è abilissima.» Bek la guardò negli occhi. «So che...» «Tu non sai niente» lo interruppe lei, in tono stranamente gelido. «Niente di niente.» Si ravviò qualche ciuffo dei lunghi capelli rossi e Bek vide l'espressione minacciosa dei suoi occhi verdi. «Non avrei mai pensato di lasciar vivere quella creatura, tanto meno di dovermi prendere cura di lei. Le avrei tagliato la gola e non ci avrei pensato più, ma tu gridavi così forte di non toccarla che non mi è rimasta scelta.» «Ti ringrazio di quello che hai fatto.» Rue strinse le labbra. «Dimmi che hai una buona ragione per questo. Me ne basta una.» «Io ho una ragione» rispose Bek. «Non so quanto sia buona.» Le raccontò tutto, tutto ciò che era successo da quando aveva lasciato la Jerle Shannara e si era diretto verso l'entroterra con Walker e gli altri. Una parte di quegli avvenimenti le era già nota perché gliel'aveva raccontata Quentin. Altri li sospettava. Aveva intuito la prigionia di Bek a bordo della Black Moclips e la sua fuga, ma non conosceva ancora la ragione di entrambe. Dapprima era scettica e incollerita con lui e si rifiutò di ascoltare le ragioni che l'avevano indotto a salvare la sorella, gli gridò che erano prive d'importanza, che salvarla era un errore, che la Strega di Ilse era responsabile di tutte le perdite che avevano subito, e in particolare della morte di Hawk. Raccontò a Bek la stia storia, riferendogli i particolari del suo imprigionamento con gli altri Corsari, a opera della Strega e dei suoi Mwellret, poi della sua fuga e della lotta a bordo della Jerle Shannara, quando Hawk era morto per salvarla. Gli parlò della lotta per riprendere il controllo della nave volante e di come fosse riuscita a liberare il fratello. Della partenza alla ricerca di Walker e del resto della compagnia. Ricerca che a sua volta l'aveva portata a impadronirsi della Black Moclips e a volare verso le montagne quando la flotta di navi nemiche l'aveva inseguita. Gli raccontò la storia senza abbellimenti e senza esaltare la parte da lei giocata in quelle due imprese, anzi parlandone il meno possibile. Bek ascoltò senza interromperla e cercò di rivolgerle piccoli gesti d'incoraggiamento, ma lei non li accettò. Odiava talmente Grianne da non trovare perdono nel proprio cuore. Il fatto che non l'avesse uccisa subito dava la misura del suo grande affetto per Bek. La perdita di Furl Hawken era stata un colpo terribile e ne dava la colpa a Grianne. Vedendo che Bek non reagiva, indirizzò la collera verso di lui, sfidandolo a risponderle. Bek le rispose come meglio poteva. Erano successe così tante cose, a tutt'e due, e in così poco tempo, che non erano in grado di affrontarle tutte, di vederne il senso in un modo che consentisse loro di
parlarne con calma. Avevano subito entrambi troppe perdite e cercavano una consolazione in risposte che in quel momento nessuno dei due poteva fornire. Sulla Strega di Ilse non potevano essere d'accordo. Alla fine, Bek sollevò le mani. «Non riesco a parlarne, in questo momento. Mi fa troppo male discuterne con te.» Lei sbuffò deridendolo. «Fa male a te, forse. Non a me. Io non mi ferisco così facilmente. A ogni modo, mi devi un po' di riguardo. Mi devi lasciar dire quello che penso di tua sorella! Devi condividere almeno in parte quello che sento!» «Faccio quello che posso.» Lei lo afferrò di scatto e lo scosse con violenza. «No! Non è vero! Non voglio che ti limiti ad ascoltare! Voglio che tu faccia qualcosa! Non lo capisci?» I capelli rossi le uscirono dalla fascia e alcune ciocche le finirono sulla faccia come piccoli rivoli di sangue. «Non capisci proprio niente?» Lo guardava con espressione selvaggia e pareva sul punto di fare qualcosa di disperato. Poi smise di scuoterlo e gli strinse le spalle così forte da fargli sentire le unghie attraverso il vestito. Voleva dirgli qualcosa, ma pareva non trovare le parole. «Mi dispiace per Hawk» sussurrò Bek. «Mi dispiace che sia stata Grianne. Ma non lo sapeva. Non sa nulla. E come una bambina, chiusa nella sua mente, terrorizzata di uscire. Non l'hai capito, Rue? Ha dovuto affrontare di colpo quello che è. E la magia della Spada di Shannara. Ti rivela la verità su te stesso. Ha dovuto accettare di essere quella creatura terribile, quel mostro. Non se n'era mai resa conto. La sua vita è sempre stata piena di bugie e di inganni e di tradimenti. Non so... potrebbe non tornare mai sana di mente.» Rue Meridian lo guardò come se fosse uno sconosciuto. Con stupore, Bek notò che aveva un'espressione angosciata e le lacrime agli occhi. «Sono stanca, Bek» gli sussurrò. «Non avevo mai pensato a queste cose. Non ne ho avuto il tempo.» Con la manica, si asciugò gli occhi. «Guardami.» Bek la stava già guardando, a dire il vero, ma le diede quello che le occorreva, cercando il modo di aiutarla a riprendersi. Le disse: «Vorrei soltanto che tu provassi...». «Abbracciami» lo interruppe lei. Bek non esitò, la strinse a sé, e sentì il suo corpo contro il proprio. Lei prese a piangere. in silenzio, le spalle che tremavano e la faccia premuta tra il suo collo e la spalla. Pianse a lungo e Bek continuò a stringerla e a carezzarle la schiena per darle un po' di conforto. Un simile comportamento era così inatteso, così diverso da quanto aveva visto prima, che Rue Meridian aveva già finito prima che lui afferrasse in pieno ciò che stava succedendo. Si asciugò le lacrime e, con una piccola scrollata di spalle, riprese la padronanza di sé. «Non sapevo di avere dentro di me una cosa simile.» Lo guardò. «Non dirlo a nessuno.» Bek annuì. «Non lo dirò a nessuno, lo sai.» «Lo so, ma dovevo dirlo.» Lo fissò ancora per un momento e provò di nuovo la sensazione di non sapere chi fosse esattamente, o forse di conoscerlo solo ora. «Mio fratello e gli altri sono scesi fino all'orlo del precipizio, per discutere. Possiamo raggiungerli, quando sarai pronto.» Bek si alzò e cercò gli stivali. «Discutere di cosa?» «Di quello che occorre per andarcene di qui.» «E cosa occorre?» «Un miracolo» rispose lei. Redden Alt Mer era fermo sull'orlo del precipizio e guardava la distesa della foresta di Crake, come aveva fatto nei cinque giorni precedenti. Durante quel periodo non era cambiato nulla, a parte il livello della sua frustrazione, che cominciava a renderlo intrattabile. Aveva pensato e ripensato a ogni piano per aggirare il Graak e recuperare i cristalli di diapso occorrenti per riprendere il volo. Ma ogni piano comportava rischi inaccettabili e aveva scarse possibilità di successo, cosicché finiva
per rinunciarvi, disperato, per poi riprenderlo e riesaminarlo quando giungeva alla conclusione che le alternative erano peggiori. E intanto il tempo passava. Non erano stati ancora scoperti dalle navi del Morgawr, ma presto o tardi sarebbe successo. Una era passata così vicina, il giorno prima, da permettere loro di riconoscere la sua sagoma scura; anche se non erano stati visti quella volta, la prossima lo sarebbero stati. Se Hunter Predd e Po Kelles avevano ragione, ce n'erano solo un paio così all'interno dei monti Aleuthra, mentre il grosso della flotta li stava ancora cercando lungo la costa. Però, una volta giunta alla conclusione che là non c'erano, la flotta si sarebbe diretta verso l'entroterra. Se fosse successo mentre erano ancora a terra, per loro sarebbe stata la fine. Eppure, per la prima volta dal naufragio della Jerle Shannara, Big Red cominciava a sperare. Guardò Quentin Leah. I!Highlander studiava la foresta con un'espressione perplessa sul volto sottile, segnato dalle cicatrici. Quell'espressione era dovuta al fatto che non aveva visto il Graak, perciò non riusciva a capire. A dire il vero, nessuno l'aveva visto, a parte lui stesso. E questa era una parte del problema, naturalmente. Solo lui conosceva il loro nemico e anche se gli altri, Corsari e nuovi venuti, erano disposti a scendere nella foresta per affrontarlo, lui non lo era affatto. Era ancora fresco nella sua mente ciò che era successo ai suoi due compagni. Non voleva rischiare di perdere nuove vite. Non voleva altri morti sulla coscienza. Tuttavia non si trattava solo di quello. Lo poteva ammettere con se stesso, anche se non con altri. Aveva paura. Era passato molto tempo, non avrebbe saputo dire quanto, dall'ultima volta che aveva conosciuto la paura, ma adesso aveva paura del Graak. Gli era entrato nel sangue, si sentiva il suo odore sulla pelle. Gli appariva nei sogni e lo faceva svegliare tremante. Non riusciva a liberarsene. Veder morire i suoi uomini, vederli cadere sotto gli artigli e le zanne del mostro, sentire la propria morte così vicina da immaginare già il sangue e le ossa sparse sul terreno della valle, gli aveva tolto il coraggio. Per quanto provasse a dirsi che la sua paura era solo temporanea e l'esperienza e la decisione gliel'avrebbero fatta superare, non poteva esserne certo. Sapeva che il solo modo per liberarsi da quelle sensazioni era scendere nella foresta e affrontare il Graak. Adesso stava per farlo. «Non ti chiedo di venire con me» disse a Quentin Leah, senza guardarlo in faccia. «Non te lo chiede, ma ti fa capire che se l'aspetta» sbuffò Spanner Frew. «E poi ti farà credere che l'idea è stata tua.» Alt Mer rivolse un'occhiataccia al maestro d'ascia, poi fu costretto a sorridere. Qualcosa di lui lo divertiva perfino in quel frangente: l'aria eternamente imbronciata, la tendenza a brontolare sempre e comunque, qualcosa di speciale. Spanner Frew vedeva sempre il bicchiere mezzo vuoto e non perdeva occasione per dirlo a tutti. «Tieni per te le tue opinioni, Barbanera» gli disse, cacciando via una mosca che gli ronzava attorno. «Gli altri non le trovano tanto divertenti. L'Highlander è libero di fare quello che gli pare, come tutti quanti, del resto.» Quella mattina Quentin aveva un aspetto molto migliore, meno spettrale e rigido del giorno prima, quando era arrivato con Bek e la Strega. Alt Mer non si era abituato all'idea di averla a bordo, ma la sua presenza sconvolgeva meno lui di sua sorella. Little Red odiava la Strega e non era disposta a perdonarle la morte di Hawk. Forse la presenza di Bek sarebbe servita. Nei giorni precedenti non si dava pace all'idea di averlo perso: da tempo Red non l'aveva vista così preoccupata. Non capiva l'affetto che provava per Bek, ma l'aveva riconosciuto subito. Sospirò. A ogni buon conto, adesso erano più numerosi. Dopo essere rimasti in sei, i Corsari avevano visto nuovamente salire il loro numero. Per primi erano ricomparsi i Cavalieri del Wing Hove, dopo una pioggia che aveva inzuppato l'intera valle per mezza giornata. In seguito Po Kelles aveva trovato il nano Panax, l'elfo Kian e le strane persone dalla pelle rossiccia che si chiamavano Rindge. A questi erano occorsi due giorni di viaggio per raggiungerli, ma adesso si erano accampati a un paio di miglia di distanza, in un tratto piano della cornice su cui posava la Jerle Shannara, in mezzo alla foresta, nascosti sotto gli alberi mentre attendevano gli sviluppi della situazione.
Il loro capo, l'uomo chiamato Obat da Panax, aveva riferito che quel luogo era la foresta di Crake. Conosceva anche il rettile che vi si nascondeva. Obat non l'aveva mai visto, ma quando Alt Mer gliel'aveva descritto, l'aveva subito riconosciuto e si era tanto spaventato che pareva sul punto di fuggire. I gesti di Obat e le sue parole concitate, parole che Panax ebbe difficoltà a tradurre, rivelavano quanto fosse grande la sua paura. Era chiaro che, qualunque cosa facessero i Corsari, né Obat né i suoi compagni sarebbero scesi nella foresta, visto quello che c'era. «Un Graak!» ripeteva Obat, spiegando a Panax la natura della bestia, che era invincibile e finiva per dominare le valli come quella di Crake, dove divorava le creature che si avvicinavano incautamente al suo nascondiglio. Non che l'informazione servisse a risolvere il problema, perché Obat non aveva idea di cosa si potesse fare contro quella bestia. I Graak erano da evitare, non da combattere. Le parole di Obat, invece di aiutare Alt Mer, l'avevano convinto che la loro situazione era disperata. Per uccidere quei rettili occorreva una magia del tipo posseduto da Walker. O da Quentin Leah, forse, sotto forma della sua spada, un'arma che era risultata efficace contro i granchi meccanici di Antrax. Ma non poteva cercare di convincere l'Highlander ad aiutarlo. Anzi, semmai avrebbe dovuto sconsigliarlo. In tal caso, però, sarebbe dovuto scendere nella foresta da solo, e non pensava di farcela. Era un uomo valoroso, ma il suo coraggio si era consumato a tal punto che sentiva una stretta allo stomaco anche solo a posare gli occhi sulla foresta. Aveva nascosto a tutti la paura, ma la provava. Una paura che gli toglieva le forze. LHighlander lo guardò. «D'accordo. Vengo.» Big Red cercò di non mostrare la soddisfazione. «Io vengo» proseguì il giovane «ma Bek rimane. La magia è una cosa nuova per lui e non ha l'esperienza che ho io. Non voglio rischiare la sua vita.» In realtà, a giudicare da ciò che il druido aveva detto ad Alt Mer, anche la magia dell'Highlander era abbastanza nuova, per lui. Comunque, non perse tempo a discuterne. Avrebbe accettato qualsiasi aiuto, pur di mettere le mani sui cristalli di diapso. Non sapeva che risultati avessero ottenuto venendo in quel continente, ma non gli pareva che fossero molti. Erano riusciti soprattutto a perdere un mucchio di compagni, cosa che non poteva certo giustificare un viaggio simile. Per farsi ammazzare non c'era bisogno di fare così tanta strada. La sua frustrazione affiorò di nuovo. Avrebbe fatto qualunque cosa, pur di andarsene di lì. Prima che potesse rispondere all'Highlander, da una parte comparvero Little Red e Bek e dall'altra Panax, che era andato a cercare un passaggio più comodo per scendere nella foresta. «Buongiorno, Bek!» lo salutò il nano, quando lo vide. Sul suo volto piatto si disegnò un sorriso e agitò la mano. «Sei tornato tra i vivi, mi pare. Oggi ti vedo molto meglio.» Bek gli restituì il saluto. «Tu invece mi sembri sempre lo stesso, ma non è una cosa che si possa curare con qualche ora di sonno.» Tutti raggiunsero l'orlo del precipizio, dove si trovavano Spanner Frew, Quentin e Alt Mer e strinsero loro la mano. LHighlander aveva aggrottato la fronte perché aveva capito cosa stava per succedere e sapeva di non poterlo evitare. Alt Mer, invece, si strinse nelle spalle. Alcune cose erano inevitabili. Se non altro, la sorella aveva ritrovato la serenità ed era quasi radiosa. La fissò con sorpresa, ma lei guardava da un'altra parte. «Ho controllato tutta la cornice di roccia» spiegò Panax, infischiandosene dei cenni che gli rivolgeva l'Highlander. «Più avanti c'è un sentiero. Non è granché, ma si può scendere senza dover usare le corde. Sbocca in un'ampia radura, perciò potremo guardarci attorno assai meglio di quanto abbia potuto fare Big Red, che è sceso in mezzo agli alberi. Lanciò un'occhiata a Bek. «Dimenticavo. Ti sei appena svegliato e non sai cos'è successo.» «Parli del Graak e dei cristalli?» chiese Bek. «Lo so. Mi è stato detto tutto mentre venivo qui. Quando si parte?» «No!» Rue Meridian si voltò verso di lui, infuriata. «Tu non vai! Non sei ancora guarito!»
«Ha ragione» intervenne Quentin Leah, guardando con ira il cugino. «Che ti prende, adesso? Per settimane ho continuato a preoccuparmi che fossi morto! Non ho intenzione di continuare ad angosciarmi per te! Tu resti qui. lo e Big Red possiamo farcela benissimo.» «Un minuto» brontolò Panax. «E io?» «Non vieni neanche tu!» ribatté Quentin. «Non possiamo rischiare più di due persone,» Il nano sollevò un sopracciglio. «Perché, hai scoperto all'improvviso un'arte di salvarti la vita che noi non conosciamo?» Bek fissò Quentin. «Cosa ti fa pensare di poter decidere per me? Sono io a scegliere, non tu. Perché dovrei rimanere qui? Non ricordi la promessa di proteggerci a vicenda?» Adesso tutti litigavano e gridavano senza ascoltare gli altri. Tutti tranne Spanner Frew, che sorrideva e scuoteva la testa. Alt Mer li ascoltava esterrefatto; era tentato di intervenire, ma temeva che non gli dessero ascolto. Alla fine, decise di farli smettere. «Basta!» gridò. Tutti tacquero e lo guardarono, rossi in faccia e sudati. Lui scosse adagio la testa. «Il druido è morto, di conseguenza il comando della spedizione è passato a me. Sia sulla nave sia a terra. Questo significa che decido io chi parte.» Fissò per un attimo Bek e notò che sembrava più alto e forte dell'ultima volta, più maturo. Non era più un ragazzo, comprese con stupore il comandante dei Corsari. Quando era successo? Lanciò un'occhiata alla sorella e all'improvviso le cose gli apparvero sotto una nuova luce. Rue lo guardava come se volesse tagliargli la gola. Si affrettò a distogliere lo sguardo e a osservare la valle e i suoi pericoli. Tornò a chiedersi perché aveva preso parte a quella spedizione. Per denaro? Sì, era una parte dell'accordo, ma anche per allontanarsi dal Prekkendor e dalla Federazione. Per vedere nuove terre, per spingersi dove non era mai stato. Perché sentiva il desiderio di rinnovarsi. «Non siamo rimasti in molti» disse, a voce più bassa. «Solo un pugno, e dobbiamo proteggerci l'un l'altro. Discutere è una perdita di tempo e di energia. Solo una cosa è importante: decollare e andarcene.» Non attese la loro risposta. «Little Red, tu stai qui: se dovesse succedermi qualcosa, sei la sola che può riportare a casa la Jerle Shannara. Bek potrebbe provare, ma non è in grado di governare la nave. Inoltre sei malridotta. Costole incrinate, braccio rotto. Se dovessi difenderti, saresti in difficoltà. Non voglio essere costretto a pensare a te. Perciò rimani qui.» Lei s'infuriò. «Tu costretto a pensare a me? Chi è che ti ha tolto da quella prigione della Federazione? Chi è che...» «Rue.» «... ha tolto la Black Moclips ai rettili e ce l'avrebbe ancora adesso, se solo qualcuno le avesse dato una mano? C'è anche Barbanera. Se ne sta qui senza parlare, come se non sapessimo che sa pilotare una nave come e meglio di me! Continua a non parlare, Spanner! Continua a non darmi una mano!» «Rue» la interruppe il fratello. «Quattro persone costituiscono già un rischio abbastanza grande. Tu rimani sulla nave.» «Allora anche Bek resta con me! Anche lui è ferito!» Alt Mer la guardò senza capire. Cosa stava dicendo? Bek non era mai stato affidato a lei. «Meno di te. Inoltre ci serve la sua magia.» Rue lo guardò per un momento e il fratello capì che era sull'orlo di una crisi di nervi. Non l'aveva mai vista in quelle condizioni. Per un attimo si chiese se non fosse preferibile rinunciare a Bek. Ma prima che potesse parlare, la sorella gli voltò la schiena e si avviò verso la nave, rigida per la collera e la frustrazione. «Benissimo!» gridò. «Fate come vi pare! Siete degli imbecilli!» Big Red la guardò allontanarsi, senza poter fare niente. Comunque, almeno quella parte era conclusa. Si preparò al nuovo scontro. Se Rue Meridian era in collera, Quentin Leah era livido. «Ti ho detto che non voglio Bek!» esclamò l'Highlander. «Pensi che non l'abbia detto sul serio? Big Red, digli che non può venire, altrimenti non vengo io!»
Bek fece per intervenire, ma Alt Mer alzò la mano per farlo tacere. «Non posso fare come mi chiedi, Highlander. Mi dispiace che le cose non siamo come vuoi tu, ma non posso farci niente, perciò è inutile parlarne. Bek ha il diritto di decidere come gli pare, e anche tu. Se uno di voi non vuole venire, non viene.» Il corsaro e l'Highlander si fissarono in silenzio. Quentin Leah aveva un'aria minacciosa, come se non gli importasse più di nulla. Alt Mer non conosceva le traversie che Quentin aveva dovuto superare da quando era uscito da Castledown, ma avevano lasciato una profonda ferita in lui. «Mi dispiace, Highlander» disse, non sapendo di che cosa gli dispiacesse. Forse dell'espressione che leggeva negli occhi dell'altro. «Quentin» intervenne Bek, posandogli la mano sulla spalla. «Non discutiamo così.» «Non puoi andare, Bek.» «Invece posso. Devo. Ci siamo promessi di non lasciarci più, ricordi? E passato un solo giorno da quella promessa. Non l'abbiamo fatta a cuor leggero e adesso dobbiamo mantenerla. Per favore.» Quentin non disse nulla, si limitò a guardarlo con aria disperata. Alt Mer temette che stesse per compiere qualche atto sconsiderato. Poi l'Highlander scosse la testa e prese la mano di Bek. «Va bene» disse. «Non mi piace, ma va bene. Andremo tutt'e due.» Per qualche istante si fissarono come se comprendessero che le parole di Quentin li impegnavano a compiere una missione tanto pericolosa da impedire di valutarne i rischi. Tuttavia, era solo l'ultima di una serie già lunga, e la decisione di affrontare quel pericolo non aveva più l'impatto di un tempo. Rischiare la vita era divenuto quasi normale. «Ci serve un piano» osservò Panax. Big Red guardò dietro di sé, sperando di vedere la sorella. Ma non la vide e rimpianse che si fossero lasciati a quel modo. «Ne ho già uno» rispose. Il nano si voltò a guardare la foresta sotto di loro. «Quando andiamo?» chiese. Alt Mer riflette per qualche istante. Il sole cominciava a calare verso ovest, ma rimanevano ancora parecchie ore di luce e il cielo era limpido. «Subito» disse.
22. Quentin non era per niente soddisfatto della decisione di portare Bek a combattere contro il Graak. Big Red e lo stesso Bek gli avevano ripetuto le ragioni della sua presenza, ma lui continuava ad avere l'impressione che sarebbe finita male. Sapeva che non spettava a lui dire a Bek quello che doveva fare. Nessuno di loro poteva valutare il pericolo che li attendeva. Tutt'al più, se qualcuno aveva il diritto di intervenire era Redden Alt Mer, che aveva già combattuto contro la creatura ed era sopravvissuto. Comunque, riteneva che avrebbero dovuto ascoltare di più il suo parere. Panax e Alt Mer avevano già combattuto, ma solo nelle Quattro Terre, e nessuno dei due aveva sostenuto nella Parkasia le prove che erano toccate a lui. Conosceva più di loro quel mondo, l'aveva sperimentato meglio. E poi, a differenza di loro, possedeva la magia ed era probabile che sarebbe stata quella a salvarli tutti. Anche Bek possedeva la magia, ma l'aveva usata poche volte, e solo contro i granchi meccanici, nemici di metallo e impersonali, e se l'era cavata per il rotto della cuffia. Se si era salvato, Bek doveva ringraziare la protezione di Truls Rohk e i consigli di Walker: non aveva mai combattuto contro bestie come il Graak, un genere di combattimento del tutto diverso. Quentin era sicuro che il cugino non fosse pronto per affrontare quel tipo di bestie. Mentre scendevano nella valle, rimase in coda al gruppo, preoccupato, chiedendosi quale fosse il piano migliore e come metterlo in atto senza rischi per i compagni. Se Big Red e due dei Corsari più esperti erano stati eliminati con tanta facilità, non c'era speranza che le cose cambiassero senza la
Spada di Leah. Era intenzionato a usarla, naturalmente, come aveva fatto contro il wronk di Ard Patrinell. Forse la spada sarebbe stata sufficiente, ma non ne era sicuro. Non aveva idea della forza del Graak. Sapeva che era più grosso di qualsiasi animale incontrato nell'Altopiano di Leah, e questo era già fonte di preoccupazione. Non poteva sapere se la spada li avrebbe protetti finché non avesse visto l'antagonista. Come tutte le magie, l'efficacia della spada dipendeva dalla forza di chi la usava: non solo fisica, ma anche emotiva. Una volta credeva di poter affrontare qualsiasi avversario; aveva sentito la magia scorrergli dentro come un fuoco, e gli pareva di poter abbattere qualsiasi nemico. Adesso sapeva come stavano le cose. Sapeva che tutto ha un limite, anche la fiamma della magia e il suo potere. Le esperienze dei giorni precedenti gli avevano tolto gran parte della sicurezza. Aveva combattuto troppo per essere impaziente di lottare ancora. Era stanco e demoralizzato. Aveva visto morire in pochi istanti i compagni, e raramente era stato in grado di aiutarli. Piangeva ancora la loro morte, di Kreshen e Ard Patrinell in particolare. Le loro immagini lo assillavano con un'insistenza che il tempo e la rassegnazione non avevano mitigato. Forse era proprio quello il problema. Aveva paura dì perdere altre persone care. Bek, certamente, ma anche Redden Alt Mer e Panax. Non sarebbe riuscito a sopportarlo. Solo il giorno prima, lui e Bek si erano promessi di aiutarsi a vicenda e si erano detti che non avevano altra scelta se volevano tornare a casa. In realtà, Quentin era convinto che toccasse a lui sobbarcarsi la maggior parte del lavoro, perché era più vecchio e aveva più esperienza. Fisicamente ed emotivamente era più resistente di Bek. Forse la magia di Bek era più forte della sua, a giudicare dalle parole di Kreshen, ma la componente più importante era la forza di colui che la impiegava. Bek era riuscito a far passare la Jerle Shannara in mezzo alle colonne di ghiaccio della Macina e a prendere il controllo della sorella, ma nessuno di quei due risultati l'avrebbe aiutato nella lotta contro il Graak. Quentin non si illudeva che la propria forza fosse sufficiente. Pensava solo che, dei due, aveva maggiori probabilità di riuscita. Però non c'era modo di convincere i tre compagni, soprattutto Bek, di conseguenza doveva agire senza il loro permesso. Questo significava gettarsi davanti agli altri in caso di pericolo per consentire loro di fuggire, se la fuga era l'unica possibilità rimasta. Conoscendo il piano di Big Red, non prevedeva di incontrare difficoltà. Era sufficiente avvicinarsi alla cassa dei cristalli di diapso per il tempo occorrente a prenderne tre o quattro. Sarebbe stato preferibile recuperarli tutti, ma tre o quattro erano sufficienti a riportare in volo la Jerle Shannara. La mancanza di ricambi poteva costituire un problema in seguito, ma per il momento la preoccupazione maggiore era rimanere in vita. Perciò il piano prevedeva di raggiungere la radura dov'era caduta la cassa e di cercare, strada facendo, le tracce del Graak. Con un po' di fortuna, il mostro poteva essersene andato, spinto dal bisogno di cibo o da altro. In tal caso, il recupero sarebbe stato facile. Se invece avessero trovato la bestia in agguato, Quentin e Bek avrebbero dovuto rallentarla quanto bastava perché Big Red e Panax recuperassero i cristalli e tornassero al sentiero che portava alla Jerle Shannara. Bek aveva solo il canto magico e aveva ammesso di non essere del tutto certo della sua efficacia. Ciò significava che Quentin con la Spada di Leah doveva essere la prima linea di tutto il gruppo. Con questo piano in mente, aveva convinto il cugino a rimanere dietro di lui di qualche passo per dargli più spazio di manovra nel caso fossero attaccati. Sia come sia, si sentiva come quando era entrato nelle rovine di Castledown. Nello scontro con il Graak dovevano esserci molti aspetti che ignorava. Sentiva che al quadro mancava qualcosa. Non sapeva cosa, ma era certo che avevano trascurato un particolare. L'istinto e l'esperienza di cacciatore gli gridavano che avevano trascurato qualcosa di ovvio. Arrivarono al sentiero che scendeva nella foresta. Sotto di loro si stendeva l'intera valle, un vasto tappeto di foglie e viticci, un intrico di verde e di marrone. Dall'alto aveva l'aspetto di una palude senza fondo, dove bastava un passo falso per affondare e perdere la vita. Mentre percorrevano il sentiero zigzagante, Quentin aveva l'impressione di venire inghiottito.
Giunti a mezza strada, Redden Alt Mer si fermò e si rivolse ai compagni. «Siamo a una certa distanza dal punto che dobbiamo raggiungere» riferì. «Questo sentiero ci allontana dai cristalli più dell'altro. Quando arriveremo in fondo, dovremo tornare indietro. Manteniamoci vicino alla base dello strapiombo, prima di entrare in mezzo agli alberi.» Indicò un punto della foresta. «I cristalli erano da quella parte, quando sono sceso. Dobbiamo piegare verso la foresta dove quel grosso albero si appoggia alla roccia.» Nessuno rispose. Non ce n'era bisogno. Ripresero il cammino, scendendo con attenzione lungo lo stretto sentiero, tenendosi vicino alle rocce per non cadere e afferrandosi all'erba e ai cespugli per conservare l'equilibrio. Quentin incontrava particolari difficoltà a causa della spada che portava sulla schiena e che continua-va a impigliarsi con la punta in radici e rami. Alt Mer aveva una spada corta e Bek nulla. Solo Panax portava un'arma pesante: la sua grossa mazza da guerra, ma la corporatura tozza e robusta gli permetteva di scendere senza problemi. Quentin rimpianse di non aver portato arco e frecce, che gli avrebbero permesso di colpire a distanza, ma era troppo tardi per rimediare alla dimenticanza. Giunti alla fine del sentiero, tornarono indietro costeggiando la base dello strapiombo, muovendosi rapidi e silenziosi attraverso le erbe alte e i cespugli che crescevano a ridosso delle rocce. Là il terreno era sgombro, non ancora raggiunto dalla foresta pluviale, e Quentin riusciva a vedere bene attraverso gli alberi. Guardava con molta attenzione, ma nulla si muoveva e tutto pareva regolare. La foresta di Crake era un variegato muro di foglie che nascondeva ogni cosa dietro il suo verde. Il sole illuminava foglie e rami con sottili lame di luce, ma non riusciva a penetrare a fondo. Ovunque si stendevano ombre scure, che si muovevano e diventavano ancora più cupe al passaggio delle nubi. Era impossibile capire con certezza cosa stavano vedendo finché non vi erano quasi sopra. Rischiavano di accorgersi dei pericoli all'ultimo minuto. Avevano percorso un certo tratto quando Big Red alzò una mano e indicò gli alberi. Lì dovevano lasciare il riparo della parete di roccia. Davanti a loro, gli alberi crescevano in fitte macchie e le liane si avvolgevano attorno a essi come corde. Ogni tanto c'era una radura, abbastanza grande da lasciar passare qualche grosso animale. Guardando da vicino, Quentin vide che alcuni alberi erano stati spinti di lato, come se qualche grossa creatura vi fosse passata in mezzo a forza. Alt Mer era in testa, seguito a breve distanza dall'Highlander, Bek era terzo e Panax chiudeva la fila. Si fecero strada su uno spesso tappeto di foglie marce, avvolti da un forte odore di muffa. Il calore del giorno faceva salire tutta l'umidità della terra. Il silenzio era profondo e opprimente. Non c'erano uccelli. Nessun animale scivolava in mezzo alle ombre. Si udiva soltanto il ronzio degli insetti. Le ombre si posavano sul sentiero, davanti e dietro di loro, con la leggerezza della lingua di un serpente. Quentin sentì crescere l'inquietudine. Nella foresta di Crake, nulla era come avrebbe dovuto essere. Lui e i suoi compagni erano fuori del loro elemento, intrusi che non appartenevano all'ambiente, ottime prede di qualunque creatura vi abitasse. Meno di dieci minuti più tardi, trovarono i resti di uno dei Corsari scesi con Alt Mer sei giorni prima. Il suo corpo era steso sul terreno, in mezzo ad alberi spezzati e all'erba calpestata. Rimanevano solo la testa, le ossa e un po' di pelle; la carne era stata in gran parte divorata. Anche i vestiti erano scomparsi. La faccia era contorta in una smorfia di dolore e di terrore indicibili, una maschera che non aveva più nulla di umano. Passarono in fretta accanto al cadavere cercando di non guardarlo. Poi Big Red li fece fermare, alzando di scatto la mano per avvertirli. Davanti a loro c'era la cassa semidistrutta, le assi di legno spezzate puntavano verso il cielo come costole. Quentin non riusciva a distinguere il contenuto, ma dovevano essere i cristalli di diapso. Si guardò attorno con i sensi all'erta, saggiando l'aria e le piante alla ricerca di predatori in agguato. Aveva imparato a comportarsi così nell'Altopiano fin da bambino. Leggeva con i sensi il mondo circostante meglio della maggior parte della gente. Si prese tutto il tempo necessario, si guardò attorno in tutte le direzioni, cercò di aprirsi a ciò che poteva essere nascosto. Non trovò nulla.
Ma l'istinto lo avvertiva di non abbassare la guardia, e lui era troppo esperto per non dargli retta. "Kreshen era più brava di me in queste cose" si disse. "Se fosse qui, vedrebbe subito quello che a me sfugge." Redden Alt Mer fece loro segno di fermarsi dov'erano ed entrò nella radura, dirigendosi verso i cristalli. Si muoveva con cautela ma senza fermarsi e guardandosi attorno. L'Highlander continuò a esaminare la muraglia di vegetazione. Ancora nulla. Quando arrivò ai resti della cassa, il comandante corsaro, senza voltarsi, fece segno agli altri di avvicinarsi. Allargandosi a ventaglio, la schiena curva, i suoi compagni attraversarono la radura. Quentin e Panax avevano le armi in pugno ed erano pronti a usarle. Quando giunsero accanto ad Alt Mer, Panax aiutò il corsaro a recuperare i cristalli, mentre Quentin e Bek montavano la guardia. La giungla era una verde parete silenziosa, ma Quentin aveva l'impressione di essere osservato da occhi invisibili. Lanciò un'occhiata a Bek. Il cugino pareva stranamente calmo, quasi in pace con tutto. Aveva la fronte sudata, ma era per il calore. Teneva la schiena dritta, la testa alta e si guardava attorno senza sosta. Alt Mer aveva già estratto due cristalli e ne stava tirando fuori un terzo quando da qualche punto in mezzo agli alberi si levò un basso sibilo. I quattro uomini si immobilizzarono subito e guardarono nella direzione del suono. Il sibilo si ripeté, più vicino, accompagnato dal rumore di qualche creatura che muoveva verso di loro. «Presto!» sussurrò Alt Mer, consegnando a Panax due cristalli. Erano lunghi meno di due piedi, ma pesanti. Brontolando per la fatica, Panax si allontanò. Intanto Big Red estraeva dalla cassa il quarto cristallo facendo più rumore di quanto avrebbe voluto, ma aveva fretta. Si udì di nuovo il sibilo, più vicino. Qualche creatura si stava avvicinando. Con due cristalli fra le braccia, Big Red indietreggiò verso gli alberi, gli occhi fissi sulla giungla dinanzi a sé. Quentin e Bek gli stavano al fianco. L'Highlander faceva segno al cugino di andarsene, ma il cugino lo ignorava. Le cime degli alberi tremavano come se si fosse levato il vento. Quentin non si faceva illusioni. Il Graak stava arrivando. Si erano portati al riparo di un gruppo di cedri circondati da arbusti, a quattro o cinque iarde dalla radura, quando il mostro uscì dagli alberi. Con uno scatto improvviso si fece strada fra gli alberi e le liane: un enorme drago, che pesava migliaia di libbre ed era lungo almeno quindici iarde. Aveva il corpo del colore della giungla e la sua pelle mandava un riflesso opaco nei punti in cui era colpita dalla luce del sole. Corna e spine gli spuntavano irregolarmente dalla testa e dalla schiena, e dalla gola gli pendeva una spessa piega della pelle. Artigli lunghi come un avambraccio scavavano nella terra umida e quando la lingua usciva dalle fauci si scorgevano file di denti aguzzi. Fermo sulle zampe tozze e possenti, il Graak girava a destra e a sinistra la testa coperta di spine alla ricerca di quello che aveva richiamato la sua attenzione. Alt Mer s'immobilizzò e Quentin e Bek si affrettarono a imitarlo. Forse la creatura non li avrebbe visti. Il Graak voltò la testa a caso qua e là, quindi cominciò ad annusare il terreno, battendo la lunga coda contro il fogliame. Quentin trattenne il respiro. Quel mostro era enorme. Aveva sentito come la terra tremava sotto i suoi passi, quando era uscito dagli alberi. Aveva visto come si fosse aperto la strada fra le grosse querce della foresta, spezzandole come se fossero legna secca. Se avessero dovuto lottare contro quella bestia, si sarebbero trovati in un mare di guai. Il Graak arrivò fino ai cristalli e li annusò, poi sollevò una zampa massiccia e schiacciò la cassa. Con un nuovo sibilo voltò loro la schiena e andò ad annusare gli alberi nella direzione opposta. Alt Mer richiamò l'attenzione di Quentin e gli fece segno di allontanarsi. Lentamente, fermandosi a ogni passo, i due uomini rifecero la strada all'indietro e Bek li imitò. Il Graak guardava dall'altra parte, fiutava il vento e pareva non essersi accorto di loro. "Non perdere l'equilibrio" si disse Quentin. "Non incespicare." La giungla era così silenziosa che poteva udire il rumore del suo stesso respiro.
Il Graak si girò di nuovo e il suo muso piatto si voltò dondolando verso di loro. Subito tutti s'immobilizzarono. Erano così lontani, nascosti fra gli alberi, che vedevano a malapena la testa della creatura al di sopra delle erbe alte. Forse l'animale non poteva vederli. Il rettile batté le palpebre e fece guizzare la lingua. Studiò la giungla ancora per un momento, poi si voltò e tornò per la strada da cui era giunto. Pochi secondi più tardi era sparito. Quando fu chiaro a tutti che il Graak non intendeva tornare indietro, Alt Mer e i suoi compagni ripartirono a tutta velocità fra gli alberi. Quentin era stupefatto. Aveva temuto che il rettile li scoprisse. L'istinto gli diceva che era impossibile sfuggirgli. Eppure non li aveva scorti. Pochi minuti e avrebbero raggiunto la parete di roccia e sarebbero tornati alla Jerle Shannara. Trovarono Panax, che si era fermato a poca distanza. Il nano annuì senza parlare. «C'è mancato poco!» sussurrò Bek, con una smorfia. «Non fare commenti!» rispose Quentin. «Pensavi che ci avesse visti, vero?» insistette Bek. Quentin lo guardò irritato. Non gli piaceva parlare della fortuna. A parlarne, si offendeva e ti voltava le spalle. «Se fossimo a casa» continuò Bek «e si fosse trattato di un orso, avremmo dovuto cercare anche il compagno.» Quentin per poco non inciampò mentre si voltava di scatto verso di lui. Il compagno?" pensò. «No» sussurrò, e capì all'improvviso cosa gli era sfuggito fino allora. Si sentì raggelare dalla paura. Lasciò Bek e corse per raggiungere Alt Mer e Panax. «Big Red!» disse sottovoce. «Fermo!» Nell'udire il proprio nome, il corsaro si girò, facendo girare e rallentare anche il nano, e forse questo salvò loro la vita. Listante successivo, un secondo Graak uscì dagli alberi puntando verso di loro. Non ci fu il tempo di pensare al da farsi. Ci fu soltanto il tempo di reagire, e Quentin Leah stava già correndo quando giunse lattacco. Senza rallentare, oltrepassò Big Red e Panax, brandendo a due mani la Spada di Leah. La magia correva lungo la lama e fino all'impugnatura, gli entrava nelle mani e nelle braccia. Si gettò sul Graak evitando le mascelle che cercavano di afferrarlo, rotolò sotto la pancia del rettile e quando si rialzò gli piantò in profondità la spada nel fianco. La magia sfolgorò in un'esplosione di luce ed entrò nel Graak. Il mostro soffiò di dolore e furia e si girò per piantare i denti nell'assalitore. Ma Quentin, che dalle sue lotte con i granchi meccanici e il wronk di Ard Patrinell aveva imparato a combattere contro le creature più grosse di lui, evitò con un salto l'attacco, si portò fuori dal campo visivo del Graak e lo colpì una seconda volta, tranciandogli il tendine di una delle zampe posteriori. Il Graak si girò di nuovo, lacerando la terra con gli artigli, trascinando la zampa posteriore come se fosse un pezzo di legno e frustando selvaggiamente l'aria con la coda. «Via!» gridò Bek a Panax e Big Red. Si affrettarono a obbedire, portando via i cristalli dalla scena della battaglia e fuggendo in direzione della parete di roccia. Bek si voltò per lottare a fianco del cugino. Quentin non ebbe alcuna possibilità di fermarlo. Era troppo indaffarato a rimanere vivo, e il corpo del Graak che cercava di schiacciarlo gli impediva di vedere il cugino. Udì però il richiamo emesso da Bek, un grido acuto e stridulo, cupo e ferino, nato da incubi che conosceva soltanto chi possedeva quel tipo di magia. In reazione al suono, il rettile girò la testa, chiaramente infastidito, e si voltò per cercare chi lanciava il richiamo, dando a Quentin la possibilità di colpirlo di nuovo. L'Highlander rotolò sotto i Graak una seconda volta e gli piantò la lama in profondità nel petto, nel punto dove pensava ci fosse il cuore, e sentì la magia uscire da lui come un fiume. Il Graak sputò uno schizzo di sangue nero e boccheggiò per il dolore. Qualche organo vitale era stato colpito. Coperto di fango e di sudore e sporco di terra bagnata e fetida, Quentin rotolò via di nuovo. Aveva le braccia e la faccia sporche di sangue, e solo allora si accorse di avere una lacerazione sul braccio e un'altra sul fianco destro. Era stato ferito senza accorgersene. Cercando di tenersi fuori del campo visivo del Graak, corse verso la sua coda, alla ricerca di un nuovo punto da colpire. L'animale si agitava selvaggiamente. Si contorceva in preda alla furia mentre sentiva gli effetti mortali della magia che operava dentro di lui. Un altro colpo l'avrebbe finito, pensò Quentin.
Poi l'animale fece una cosa imprevista. Si lanciò contro Bek, all'improvviso e senza guardarsi attorno. Il giovane rimase al suo posto e usò il potere del canto magico per fermare l'animale, ma il Graak non parve nemmeno udirlo. Correva senza fermarsi, senza rallentare, lacerando con gli artigli la terra, trascinando la zampa ferita e sibilando di follia e di collera nell'aria afosa della giungla. «Bek!» gridò Quentin, disperato. Dimenticando del tutto la propria sicurezza, inseguì il Graak e lo raggiunse quando era a poche iarde dal cugino. Calò la Spada di Leah con ogni oncia di forza che possedeva, e la magia uscì dalla lama come un'esplosione che tagliò i tendini della zampa posteriore ancora funzionante. Il Graak cadde: avendo tutt'e due le zampe posteriori immobilizzate, non riuscì a proseguire e si fermò di colpo. Ma mentre si sforzava di proseguire per raggiungere Bek, rotolò sull'Highlander che, a differenza di Bek, non ebbe il tempo di spostarsi. Si gettò di lato mentre il corpo crollava a terra sussultando, ma non riuscì ad allontanarsi a sufficienza e la pesante coda del Graak lo colpì come un colpo di maglio. Ebbe l'impressione che una montagna gli fosse piombata addosso. Sentì le ossa spezzarsi e fu schiacciato così in profondità nello strato cedevole di foglie marce da non poter più respirare. Se avesse potuto, si sarebbe messo a gridare, ma aveva la faccia sepolta sotto un palmo di poltiglia. Poi il peso del Graak rotolò lontano da lui, ma un attimo più tardi gli fu di nuovo sopra, per allontanarsi ancora. Quentin riuscì a tenere la testa fuori tiro e a respirare, poi si appiattì mentre il mostro rotolava su di lui ancora una volta. Ora però il Graak non lo colpì, perché mentre passava su di lui sussultò e s'inarcò nel tentativo di alzarsi. «Quentin, non muoverti!» gridò Bek. "Come se potessi!" pensò confusamente Quentin. Il dolore lo investiva a ondate. Era ferito a morte, lo sapeva. Nessuno poteva sopravvivere a ferite simili. Era un uomo morto, anche se il suo corpo non aveva ancora ricevuto il messaggio. Due mani s'infilarono sotto di lui e lo girarono. Il dolore era lancinante. «Ombre!» esclamò, mentre sentiva le ossa grattare tra loro e il sangue uscirgli dalla bocca. «Resisti!» lo implorò Bek. «Quentin, resisti!» Il giovane lo fece alzare in piedi, poi lo portò via. Accanto a loro, il Graak sussultava nelle ultime contrazioni della morte. Da qualche parte della foresta, ma ancora lontano da loro, stava intanto arrivando il compagno. Quentin non lo vedeva, ma non aveva dubbi. Continuò a muovere le gambe in mezzo a un velo di dolore e di incoscienza. Da un momento all'altro sarebbe svenuto. Lottò per non perdere i sensi. Se fosse caduto, Bek non avrebbe avuto la forza di portarlo via. Se fosse caduto, sarebbe morto. "Oh, be'..." pensò, con una sorta di vago disinteresse. "Tanto morirò in qualsiasi caso." «Mi dispiace, Bek» disse, o forse cercò soltanto di dirlo. Non ne era certo. «Mi dispiace.» Poi un'onda d'oscurità lo travolse e tutto scomparve.
23. Era già buio quando Bek uscì finalmente da sottocoperta, raggiunse la prua e alzò gli occhi verso il cielo notturno. La luna era una sottile falce sulla verticale della montagna contro cui la nave era appoggiata, all'inizio della fase crescente, a malapena visibile sull'immensità del cielo. Le stelle parevano una spolverata di sabbia cristallina sparsa su velluto nero. Una volta gli avevano detto che gli uomini del Vecchio Mondo sapevano raggiungere quelle stelle, che possedevano navi capaci di viaggiare nel cielo come la Jerle Shannara aveva viaggiato sullo Spartiacque Azzurro. Pareva impossibile. Ma tutte le cose meravigliose sembravano impossibili finché non c'era qualcuno a compierle. Era sul ponte da pochi istanti quando Rue Meridian gli comparve accanto. Era giunta così in silenzio che non l'aveva sentita avvicinarsi e si accorse della sua presenza solo quando gli posò una mano sulla sua. «Hai dormito?» gli chiese.
Bek scosse la testa: impossibile dormire. «Come sta?» Bek rifletté per un istante, prima di rispondere: «Si tiene aggrappato con le unghie e con i denti, ma scivola». Erano riusciti a portare via Quentin Leah dalla foresta del Crake ancora vivo, ma per un pelo. Con l'aiuto di Bek era arrivato a un centinaio di passi dal sentiero prima di svenire. Aveva perso una tale quantità di sangue che coloro che lo trasportavano riuscivano a malapena ad afferrarlo per i vestiti. Rue Meridian, che aveva imparato un po' di pronto soccorso quando combatteva sul Prekkendor, aveva usato le sue sciarpe di seta per fare dei lacci con cui legare le arterie lesionate e poi gli aveva cucito e bendato le ferite. Medicargli le ferite esterne non era stato difficile, e neppure comporre le fratture, ma non poteva fare nulla per le lesioni interne, di conseguenza Quentin non aveva potuto ricevere cure adeguate. Quelle ferite dovevano guarire da sole, ma tutti sapevano che le probabilità che ciò avvenisse erano assai remote. Per salvarlo dovevano portarlo da un Guaritore nelle Quattro Terre o trovarne uno sul posto. La prima ipotesi era fuori questione: non sarebbe arrivato in tempo. Quanto alla seconda, i Rindge erano i soli cui fare riferimento. Panax era corso alla tribù, ma era tornato a mani vuote. Quando uno di loro era nelle condizioni di Quentin, la sua gente non poteva fare nulla di più di quello che era già stato fatto. «E solo?» chiese Rue. Lui scosse la testa. «C'è Panax a vegliarlo.» «Perché non dormi qualche ora?» chiese la giovane. «Non puoi fare nulla.» «Posso stare con lui. Posso aiutarlo se ne ha bisogno. Tra poco tornerò da lui.» «Ma c'è Panax a occuparsene.» «Non è Panax la persona su cui fa affidamento» rispose Bek. Rue non replicò. Si limitò a rimanere accanto a lui e a guardare le stelle in sua compagnia. La foresta sotto di loro era un'impenetrabile distesa nera, una coppa circondata da montagne, silenziosa e indecifrabile. Bek posò gli occhi su di essa e sentì un brivido, i ricordi del pomeriggio erano ancora forti e terribili e si ripetevano senza posa nella sua mente. Non riusciva a cancellarli, neanche adesso che era lontano. «Sei sfinito» osservò Rue, dopo qualche istante. Bek annuì. «Dovresti dormire.» «Ho lasciato la sua spada, laggiù» rispose Bek, indicando la valle. «Come?» «La sua spada. Ero così indaffarato a portarlo via che mi sono scordato della spada. L'ho dimenticata.» Rue annuì. «Non scapperà di sicuro. Possiamo andare a prenderla domani, quando ci sarà luce.» «Devo andare a recuperarla» affermò Bek. «Sono stato io a dimenticarla. La responsabilità è mia.» Pensava alla spada abbandonata sul terreno, accanto alla carcassa del Graak, la lama liscia coperta di sangue e di terra. Che anche l'arma fosse stata spezzata dal corpo del mostro rotolato su di essa, spezzata come Quentin? Bek non l'aveva notato, non l'aveva neppure guardata. Un talismano di così grande potere e non ci aveva pensato. Aveva pensato solo a Quentin, ma non era riuscito a fare niente per lui. «Perché non la smetti di biasimarti?» gli chiese Rue. «Perché non cerchi di stare un po' più in pace con te stesso?» «Perché sta morendo» rispose Bek, adirato. «Quentin è moribondo, e la colpa è mia.» Lei aggrottò la fronte. «Colpa tua?» «Se non avessi insistito per scendere con lui, se non fossi stato così ostinato, forse...» «Bek, piantala!» lo redarguì. Lui si voltò a guardarla, sorpreso. Lei gli strinse la mano. «Non serve a niente parlare in questo modo. E successo, nessuno ne ha colpa. Ciascuno di noi ha fatto del suo meglio, in una situazione pericolosa. E il massimo che si può fare. Lascia perdere.»
Bek la guardò adirato, ma lei non abbassò gli occhi. «Perdere le persone amate, amici e anche parenti, è una conseguenza di viaggi come questo. Non lo sai? Non lo sapevi quando sei partito? La cosa ti stupisce tanto? Pensavi che non potesse succedere nulla a Quentin? Oppure a te?» Bek scosse la testa, confuso e intimorito. «Non lo so» rispose. «Forse no.» In tono meno severo, Rue riprese: «Non è stata colpa tua. Così come non è stata colpa di mio fratello o di Panax o di Walker o di chiunque altro. E solo una cosa che è successa. Un prezzo che si è pagato in cambio di un rischio corso». La conseguenza di un rischio. Messa così, era semplice. Tu corri un rischio e il prezzo lo paga il tuo migliore amico. Bek scoppiò a piangere, liberando tutta la frustrazione e il senso di colpa e il dolore che si erano accumulati in lui. Non poté evitarlo. Non voleva che Rue lo vedesse piangere, ma le lacrime gli scendevano senza che potesse fermarle. Lei lo abbracciò come se fosse stato un bambino ferito. E lo cullò piano, sussurrandogli parole di conforto, accarezzandogli la schiena. Bek sentì contro la pelle le stecche di legno che le tenevano fermo il braccio. «Oh, Bek, non preoccuparti. Con me puoi piangere» gli disse Rue. «Nessuno ti vedrà. Ti proteggo io.» Lo abbracciò più stretto con il morbido corpo. «Povero Bek. Tutte queste responsabilità in un colpo solo. Tutto questo dolore. Non è giusto, vero?» Bek sentì alcune delle sue parole, ma il conforto non gli giunse da quelle, bensì dal suono della voce e dalle braccia che lo stringevano. Poteva dare libero corso ai suoi timori, e lei era pronta a prenderli su di sé. «Abbracciami, Bek. Lascia che ti aiuti. Tutto andrà a posto.» Poche ore prima, Rue gli aveva detto che era suo dovere condividere le perdite da lei subite. Perdite grandi come quelle di Bek. Furl Hawken. I Corsari suoi compagni. Bek se ne rammentò all'improvviso e cercò di restituirle un po' del sollievo che lei gli dava. Riprese il controllo di sé e la abbracciò a sua volta. «Rue, mi dispiace ...» «No» lo interruppe lei, appoggiandogli un dito sulle labbra per impedirgli di parlare, «Non voglio sentirtelo dire. Non dire nulla.» Tolse il dito e lo baciò: non un bacio dolce o gentile, ma appassionato e imperioso. Bek non poteva avere dubbi e neppure desiderava averne su cosa stava succedendo. Gli bastò un momento, poi le restituì il bacio e mentre la baciava si scordò di tutto e pensò solo al calore che sentiva dentro di sé. Baciarla era qualcosa di folle e impossibile. Una parte di lui gli diceva che c'era qualcosa di sbagliato, ma non capiva cosa perché tutto pareva giusto. Le mani di lei lo accarezzavano dappertutto. Lo sospinse contro il parapetto impedendogli ogni mossa e continuando a baciarlo con tanta foga che lui quasi non riusciva a respirare. Quando si staccò da lui, Bek non avrebbe saputo dire chi fosse più sorpreso. Dall'espressione che aveva sul viso, era lei, ma dentro si sentiva in tumulto. Si fissarono in silenzio, con una sorta di timore, poi Little Red rise: una risata bassa, di gola, che le portò sul viso una tale radiosità da sorprendere Bek ancora di più. «Non me l'aspettavo» commentò Rue. Lui non riusciva a parlare. «Ho voglia di farlo di nuovo. E più a lungo» continuò Rue. Bek sorrise a dispetto di se stesso, a dispetto di tutto. «Anch'io.» «Presto, Bek.» «Bene.» «Penso di essermi innamorata di te» disse Rue. Rise di nuovo. «Ecco, l'ho detto. Che ne pensi?» Alzò la mano e gli appoggiò di nuovo il dito sulle labbra. Poi si voltò e sì allontanò. Quando scese nella cabina del comandante per vedere Quentin, Bek era ancora sottosopra dopo l'incontro con Rue. Panax dovette leggergli qualcosa sulla faccia, quando lo vide entrare, perché gli chiese subito: «Va tutto bene?».
Bek annuì. Non era vero, ma al momento non aveva intenzione di parlarne. Tutto era troppo nuovo per condividerlo con un altro, era ancora così straordinario che aveva bisogno di tempo per convincersi che era vero. Rue Meridian era innamorata di lui. Così gli aveva detto. Ripeté la frase nella sua mente: "Penso di essermi innamorata di te", e gli parve così ridicola che per poco non scoppiò a ridere. D'altra parte, il modo in cui l'aveva baciato era reale, e ricordava bene le emozioni provate. E lui la amava? Non se l'era ancora chiesto. Fino a quel momento, non aveva mai preso in considerazione l'idea, perché gli pareva impossibile che Rue potesse provare qualcosa per lui. Gli bastava l'amicizia. Però la amava davvero. L'aveva sempre amata, in un certo senso, fin dal primo momento in cui l'aveva vista. Adesso, dopo che l'aveva baciata, abbracciata e che conosceva i suoi sentimenti, l'amava con una tale intensità da stare quasi male. Distolse a fatica i pensieri da lei. «Come sta?» chiese, indicando Quentin. Panax si strinse nelle spalle. «Sempre uguale. Dorme. Non mi piace il suo aspetto, però.» Non piaceva neppure a Bek. La pelle di Quentin aveva un pallore malato. Il polso era debole e il respiro faticoso e superficiale. Moriva a poco a poco e nessuno di loro poteva fermare l'inevitabile. Sopraffatto dalle emozioni, Bek tornò a piangere e dovette girare la testa, imbarazzato. Panax si alzò e lo raggiunse. Gli posò una mano sulla spalla e strinse gentilmente. «Prima Truls Rohk e adesso l'Highlander. E dura, vero?» «Sì.» Abbassò la mano e si avvicinò a Grianne, che era inginocchiata su un cuscino, in un angolo, lo sguardo fisso davanti a sé. Il nano scosse la testa, stupito. «Cosa pensa, secondo te?» chiese. Bek si asciugò una lacrima. «Cose che preferiremmo non sapere, penso.» «Probabilmente hai ragione. Che disastro. Tutto questo viaggio, dall'inizio alla fine. Un vero disastro.» Pareva che non riuscisse a pensare ad altro. «Mi pento di essere venuto. Non avrei preso parte alla missione, se avessi saputo che era destinata a finire così.» «Penso che nessuno di noi l'avrebbe fatto.» Bek si avvicinò alla sorella e s'inginocchiò davanti a lei. Le sfiorò con le dita la guancia, come faceva sempre, per farle capire che era con lei. «Mi senti, Grianne?» le chiese a bassa voce. «Non so più cosa ci faccio, qui» continuò Panax. «Non so quale ragione ci abbia portati qui. Non abbiamo fatto altro che lasciarci uccidere e ferire. Anche il druido. Pensavo che a Walker non potesse succedere nulla. Ma del resto pensavo che non potesse succedere nulla neppure a Truls. E adesso sono morti tutt'e due.» Scosse la testa. «Quando tornerò a casa, ci resterò» commentò Bek, che continuava a guardare il viso inespressivo di Grianne. «Non partirò mai più. Non come questa volta.» Pensò di nuovo a Rue Meridian: cos'avrebbe fatto una volta tornata nelle Quattro Terre? Era una corsara, nata per quella vita, una viaggiatrice dallo spirito nomade. Non era come lui. Non era certo disposta a seguirlo sull'Altopiano e a rimanerci per il resto della vita. Al loro ritorno, Rue non avrebbe più voluto rimanere con lui. «Ho pensato alla possibilità di tornare a casa» disse Panax, in tono pacato. S'inginocchiò accanto a Bek, con espressione turbata. «Quella regione non mi è mai piaciuta molto. Depo Bent era solo l'ultimo villaggio dov'ero finito. Non ho famiglia, solo alcuni conoscenti, ma nessuno è un amico. Ho viaggiato per tutta la vita e non so se nelle Quattro Terre c'è ancora qualcosa che m'interessa vedere. Senza Truls Rohk e Walker a tenermi occupato, là non c'è più nulla per me.» Fece una pausa. «Penso che forse rimarrò qui.» Bek lo guardò. «Rimarrai in Parkasia?» Il nano si strinse nelle spalle. «I Rindge mi piacciono. Sono brave persone e abbiamo tante cose in comune. La loro lingua assomiglia alla mia. Anche questo continente mi piace, Graak e Antrax a parte. E il resto del paese mi pare interessante. Mi piacerebbe esplorarlo. C'è una grande parte di territorio che nessuno di noi ha mai visto, tutto l'interno al di là di queste montagne, dove Obat e i suoi hanno intenzione di andare.»
«Saresti intrappolato qui, se cambiassi idea» gli fece notare Bek. «Non avresti alcun mezzo per tornare indietro.» Stava mettendo alla prova il nano, si disse, e fece una smorfia. Panax ridacchiò. «Io non la vedo così, Bek. Se fai una scelta, accetti le conseguenze. Come quando abbiamo deciso di prendere parte a questo viaggio. E forse, questa volta, le cose saranno migliori per me. Non sono giovane come te. Non mi resta tutto il tempo che hai tu. Penso che preferirei finire la mia vita in Parkasia, piuttosto che nelle Quattro Terre.» Bek pensò stupito alle grandi differenze tra lui e il nano. Anziché tornare a casa, Panax preferiva rimanere in un paese straniero nella speranza che l'esperienza risultasse interessante. Bek non avrebbe potuto farlo, ma capiva il ragionamento del nano. Per uno che aveva passato gran parte della vita come esploratore e guida, in mezzo alla natura, senza legami, fermarsi lì non era poi una bizzarria. Dopotutto, non c'era molta differenza tra i monti Aleuthra e quelli del Wolfsktaag. «Pensi di potercela fare, senza di me?» gli chiese il nano, in tono insolitamente serio. Bek sapeva cosa Panax voleva sentire da lui. «Penso che mi saresti solo d'impiccio» gli rispose. «Comunque, credo che ti sia guadagnato il diritto di fare quello che ti pare. Se vuoi rimanere, rimani.» Senza la libertà e la facoltà di scegliere, un uomo non è più nulla. Quando erano partiti con Walker alla ricerca dei libri di magia del Vecchio Mondo, condividevano uno scopo comune, ma era finita. Ora dovevano aiutarsi l'un l'altro a tornare a casa, ovunque fosse. «Perché non dormi qualche ora?» chiese al nano. «Resto io con Quentin. Voglio rimanere con lui, è la verità. Sento il bisogno di stargli accanto.» Panax si alzò e gli appoggiò di nuovo la mano sulla spalla, in segno di solidarietà ma anche di gratitudine. Poi lasciò la stanza. Bek lo guardò, chiedendosi se la nuova vita avrebbe dato a Panax la pace e la serenità che la vecchia, evidentemente, non era stata capace di offrirgli. Si chiese cosa si provasse a essere così distaccati da tutti e da tutto da non esser turbati al pensiero di lasciarsi ogni cosa alle spalle. Non lo sapeva, e in realtà si augurava di non doverlo mai scoprire. Tornò a guardare Quentin, privo di conoscenza, sempre più pallido e vicino alla fine. Maledizione, sì sentiva così impotente. Respirò a fondo ed esalò lentamente il fiato. Non lo sopportava più. Non sopportava di stare a guardare mentre il suo amico perdeva la vita. Doveva fare qualcosa, anche se era la cosa sbagliata, per poter dire di avere almeno tentato. Le abituali cure erano impossibili. Doveva trovare qualcosa di diverso. Ricordava, dalle Storie dei Druidi, che il canto magico aveva il potere di guarire. Non veniva usato spesso in quel modo perché richiedeva una grande perizia. Bek non aveva alcuna esperienza in quel campo, ma non era il caso di preoccuparsene. Un tempo Brin Ohmsford aveva usato la magia per guarire Rene Leah. E se un Ohmsford aveva salvato un Leah una volta, noti c'era ragione perché un altro Ohmsford non potesse farlo di nuovo. Era una decisione rischiosa, forse una sciocchezza. Ma Quentin non sarebbe sopravvissuto se non si fosse fatto qualcosa per aiutarlo, e non c'erano altre possibilità. Si accostò al letto e sedette accanto al cugino. Lo guardò per un momento, poi gli prese la mano e la tenne nella propria. Rimpianse di non avere una guida, di dover procedere per tentativi, di non sapere come operasse la magia. Ma non aveva nulla, né poteva trovarlo. «Farò del mio meglio, Quentin» disse piano. «Farò tutto quello che posso. Per favore, torna da me.» Poi evocò la magia, in un lento dipanarsi di parole e di note, e iniziò a cantare.
24. Non aveva mai fatto nulla di simile e non aveva un'idea precisa di come procedere, perciò Bek Ohmsford non si affrettò. Si mosse con cautela, un piccolo passo alla volta, osservando attentamente Quentin per assicurarsi che il canto magico non avesse un effetto negativo. Evocò la magia sotto forma di un ronzio lento che gli pulsava e gli vibrava nel petto dandogli una sensazione di calore. Strinse le mani di Quentin per mantenere il contatto e accorgersi subito degli effetti del canto.
Quando la forza della magia gli parve sufficiente, ne mandò una piccola quantità nel corpo di Quentin per sondare i danni. Rosse schegge di dolore rimbalzarono subito dentro di lui, e Bek si affrettò a ritirare la magia. Giusto. Per entrare in un corpo ferito occorreva procurarsi qualche protezione dal dolore. Proteggendosi con una sorta di scudo, tentò di nuovo e questa volta s'imbatté in una parete che non gli permetteva di passare. Continuando a cantare, cercò di entrare nella mente di Quentin, per vedere cosa pensava il cugino, ma incappò in un'altra parete inerte. La mente di Quentin pareva chiusa, o quanto meno non restituiva nulla che Bek potesse decifrare. Per un attimo non seppe come proseguire. I suoi primi due tentativi erano andati incontro a un fallimento e non sapeva cos'altro fare. Aveva pensato di raggiungere le ferite a una a una e vedere se la magia era in grado di guarirle. Ma se non fosse riuscito a superare le barriere innalzate da Quentin per proteggersi, non avrebbe combinato nulla. Cercò un approccio più generale, avvolgendo Quentin nel velo della magia, mente e corpo, e ottenne l'effetto voluto. Quentin si calmò subito e il suo respiro divenne più regolare. Bek cercò allora di farsi strada nel corpo inerte del cugino, alla ricerca di un passaggio che lo ammettesse all'interno. Pensava che Quentin avrebbe abbassato le barriere a mano a mano che si fosse rilassato. Con estrema lentezza, lo sfiorò con la magia, e il canto spianò le increspature dolore e di paura facendosi strada verso le ferite più profonde. Tuttavia non funzionò. Non riuscì a oltrepassare la superficie del corpo di Quentin, neanche quando provò a passare attraverso le ferite sotto le fasciature, che avrebbero dovuto permettergli di entrare con facilità. Era così frustrato che sospese i tentativi e rimase seduto in silenzio accanto a Quentin, continuando a tenergli la mano per non spezzare il contatto. Cercò di esaminare altre possibilità. Qualcosa, nel suo approccio, spingeva Quentin a innalzare quelle barriere. Avrebbe potuto abbatterle con la forza, ma temeva gli effetti di un'intrusione così brutale. Doveva entrare con tatto e dolcezza, offrirgli una cura che venisse accettata e non respinta. Ma come ottenere quel risultato? Riprese a cantare e questa volta fece ricorso a una magia che gli era familiare. Cantò a Quentin come aveva cantato a Grianne: della loro vita insieme da bambini, dell'Altopiano di Leah, della famiglia e degli amici e delle avventure che avevano condiviso. Cantò quelle storie al cugino pensando di usarle per indebolirne la resistenza. Di tanto in tanto tentò di entrargli nel corpo e nella mente inserendo nella storia episodi in cui si incontravano e si confermavano la loro amicizia. Non ottenne alcun risultato. Allora passò a cantare avvertimenti e rivelazioni. "La situazione è questa" gli cantò. "Sei malato e hai bisogno di guarire. Ma tu ti opponi. Invece ho bisogno che mi aiuti. Devi aprirti e lasciarmi usare canto magico per curarti. Ti prego, Quentin, ascoltami. Ascoltami. Il cugino non dava segno di averlo udito: non si aprì nessuno spiraglio da cui la magia potesse penetrare. Steso sotto una coperta leggera, lottava alla propria maniera per rimanere in vita. Continuava a essere privo di coscienza e a non reagire, irraggiungibile come Grianne. Bek non rinunciò. Continuò a usare la magia per tutta l'ora seguente, sempre tenendo la mano del cugino. Affrontò il problema da ogni direzione che riuscì a immaginare, anche se aveva l'impressione che i suoi tentativi fossero inutili. Si dedicò al suo compito con tale dedizione da perdere il contatto con ciò che lo circondava. Il tutto senza risultato. Alla fine, esausto e frustrato, gettò la spugna. Si prese la faccia le mani e cominciò a piangere. Il pianto lo fece sentire debole e sciocco, ma l'impiego della magia l'aveva prostrato e non riuscì a fermarsi. Singhiozzante e tremante, capì di avere fallito. Non aveva altri tentativi da fare, non aveva altro cui rivolgersi. «Povero bambino» lo consolò una voce, mentre due braccia sottili lo abbracciavano da dietro. All'inizio pensò che fosse Rue Meridian, scesa nella cabina mentre era concentrato. Ma notò subito che non era la sua voce. Quando girò la testa, vide una veste grigia. Era Grianne.
Ne fu così sconvolto che per qualche istante non riuscì a parlare. Lei continuò ad abbracciarlo e a parlargli. «Povero bambino, non devi piangere.» Non gli parlava con la sua voce da adulta, ma da bambina. «Non devi più avere paura, piccolo Bek, tua sorella è arrivata e non ti lascerà più, te lo prometto. Non andrò più via. Mi dispiace tanto tanto.» Gli accarezzò la faccia, dolce e tranquillizzante. Gli baciò la fronte e continuò a parlargli come a un bambino. Bek la fissò negli occhi. Per la prima volta da quando l'aveva incontrata nelle rovine di Castledown, la sorella lo guardava. Aveva perso lo sguardo fisso e l'espressione assente. Era tornata al mondo, aveva lasciato il nascondiglio dove sera rifugiata. Si era svegliata. «Grianne!» esclamò Bek, sollevato. «No, no, piccolo, non piangere» rispose lei, accostandogli il dito alle labbra. «Su, la tua Grianne può mettere a posto tutto. Dimmi cosa c'è che non va, bimbo.» Bek rimase senza fiato. Grianne lo vedeva, ma non come era realmente: lo vedeva come lo ricordava. Grianne spostò di scatto lo sguardo. «Oh, è solo questo? Il tuo cagnolino sta male, Bek? Ha mangiato qualcosa di guasto? Si è ferito mentre correva? Povero cagnolino.» Fissava Quentin con attenzione. Bek era così sorpreso che rimase immobile a fissarla. Ricordava vagamente un cagnolino che aveva quando era molto piccolo, un bastardino nero che trotterellava in tutta la casa e si addormentava al sole. Non ricordava altro, neppure il suo nome, «Adesso capisco perché piangi.» Grianne scostò con gentilezza dalla fronte di Bek un ciuffo di capelli. «Il tuo cagnolino sta male e tu non riesci a curarlo. Non piangere, Bek, Grianne ti può aiutare. Useremo la mia medicina speciale per far passare il dolore.» Lasciò Bek e si accostò alla cuccetta per guardare Quentin. «Tanto dolore» sussurrò. «Non so se posso guarirti. A volte neppure la mia medicina speciale è in grado di aiutare. A volte non c'è nessun rimedio.» Con un brivido, Bek comprese che forse si era sbagliato su di lei. Forse non era Grianne, ma la Strega di Ilse. Se pensava come la Strega e non come Grianne, se non era tornata a essere sua sorella, poteva risolvere i guai di Quentin nella maniera in cui era abituata a risolvere i propri. Poteva ucciderlo. «No, Grianne!» esclamò, afferrandole un braccio. «Sst, sst, piccolo» lo avvertì lei, prendendolo per i polsi. Era molto più forte di quanto pensava e non riuscì a liberarsi. «Lascia che Grianne faccia quello che deve fare.» Aveva già iniziato a usare la magia. Bek sentì che lo avvolgeva come un'onda, lo legava con catene di velluto e lo immobilizzava. In pochi istanti venne paralizzato. Grianne lo lasciò dov'era e, cantando tra sé a bassa voce, si portò di nuovo al capezzale di Quentin Leah. «Povero cagnolino» ripete, abbassando la mano per accarezzare la faccia dell'Highlander. «Sei tanto malato, ti fa tanto male. Cosa ti è successo? Qualcuno ti ha colpito? Hai tante ferite dentro.» Bek era fuori di sé. Non riusciva né a muoversi né a parlare. Assisteva impotente, incapace dì intervenire e terrorizzato al pensiero di quello che sarebbe successo se non avesse fermato Grianne. Adesso però la sorella si rivolse a lui e tutt'a un tratto la sua voce divenne più vecchia e matura. «Oh, Bek, ti ho deluso tanto. Ti ho abbandonato e non sono tornata. Avrei dovuto, ma non l'ho fatto. E' stata una grave colpa, per me.» Piangeva. Sua sorella piangeva. Era stupefacente, e Bek avrebbe provato un senso di gioia se non avesse avuto il timore che a parlare non fosse la sorella. Cercò di dire qualcosa, di fermarla, ma le parole non volevano uscire dalla sua bocca. «Piccolo cuccioletto» sussurrò lei con voce triste, mentre tendeva le mani verso la faccia di Quentin. «Lascia che Grianne ti faccia stare meglio.» Poi si chinò su di lui e lo baciò delicatamente sulle labbra, risucchiando il suo respiro dentro di sé.
Rue Meridian dormiva in un'amaca di tela da vele, tesa da lei stessa tra l'albero di maestra e il parapetto, persa in un sogno di cormorani e pulcinelle di mare, quando sentì sulla spalla la mano di Bek e si svegliò. Nello scorgere l'espressione della sua faccia, gli chiese subito: «Cos'è successo?». L'espressione di Bek era difficile da decifrare. Appariva stupefatto e preoccupato nello stesso tempo, perplesso e meravigliato, confuso, come se fosse lì per caso. Rue pensò che fosse la reazione a quanto gli aveva detto qualche ora prima. Si rizzò subito a sedere, sporse le gambe dall'amaca e si mise in piedi. «Bek, cos'è successo?» «Grianne si è svegliata. Non so perché. Forse per la mia magia. La stavo usando per aiutare Quentin, per guarirlo come una volta Brin Ohmsford ha guarito Rone Leah. O forse perché mi sono messo a piangere. Ero così stanco e frustrato che non sono riuscito a fermarmi.» Inspirò con forza. «Ha parlato con me. Mi ha chiamato per nome. Ma non era lei, non era adulta, era una bambina e parlava con voce da bambina. Mi chiamava "povero piccolo" e "piccolo Bek" e mi diceva di non piangere.» «Aspetta un attimo, non correre» rispose Rue, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Vieni con me.» Lo accompagnò a prua e sedette con lui all'ombra dell'ariete, dove c'era un piccolo riparo tra la punta del rostro e il tratto dove si univa al ponte. Sedette di fronte a lui, ripiegò le gambe e intrecciò le braccia attorno alle ginocchia. «Va bene, raccontami il resto. Si è svegliata e ti ha parlato, poi cos'è successo?» «Non ci crederai» sussurrò il giovane, e chiaramente non ci credeva nemmeno lui. «L'ha guarito. Ha usato la magia per guarirlo. Pensavo che volesse ucciderlo. Diceva che era un cagnolino, credo che lo vedesse così. Ho cercato di fermarla, ma mi ha fatto qualcosa con la magia e non sono più riuscito a muovermi e a parlare. Poi si è rivolta a lui, e avevo paura che intendesse aiutarlo dandogli il colpo di grazia, per eliminare così il dolore. E' quello che avrebbe fatto la Strega di Ilse, e temevo che fosse ancora la Strega.» Rue annuì con grande serietà. «Come può averlo guarito, Bek? Era pieno di lesioni interne. Aveva perso metà del sangue.» «La magia può farlo. Può creare la cura. L'ho visto succedere con Quentin. Non si è del tutto ristabilito, non si è neppure svegliato. Ma ho visto il suo colorito cambiare davanti ai miei occhi. Ho sentito il suo respiro diventare regolare e dopo, quando sono di nuovo riuscito a muovermi, ho sentito che il suo polso era più forte. Alcune delle sue ferite, quelle che tu gli avevi fasciato, si sono rimarginate.» «Per tutte le Ombre!» sussurrò lei, cercando di immaginare la scena. Bek si appoggiò contro la curva dell'ariete e osservò il cielo notturno. «Quando ha finito è venuta da me, mi ha accarezzato la guancia e mi ha abbracciato. Io ero di nuovo in grado di muovermi, ma non volevo interromperla perché pensavo che la cosa potesse esserle utile. Ho pronunciato il suo nome, ma non mi ha risposto. Si è limitata a cullarmi, poi ha cominciato a piangere.» Fissò Rue negli occhi. «Ha continuato a dire che le dispiaceva, che non sarebbe mai più successo. Che non mi avrebbe mai più lasciato, a differenza dell'altra volta. E lo diceva con voce da bambina.» Chiuse gli occhi. «Io volevo aiutarla, farle sapere che capivo, e allora ho cercato di abbracciarla, ma lei è tornata nello stato precedente. Ha smesso di parlare e di muoversi. Dava l'impressione di non vedermi più. Era tornata dentro di sé. E io non potevo fare nulla per riportarla indietro. Ho provato, ma non ha reagito.» Scosse la testa. «Così l'ho lasciata e sono venuto a cercarti. Dovevo parlarne con qualcuno. Mi dispiace di averti svegliata.» Lei lo abbracciò e lo baciò sulle labbra. «Sono contenta che tu l'abbia fatto.» Si alzò e lo attirò a sé. «Vieni a riposare con me, Bek.» Lo riportò fino all'amaca e lo fece distendere accanto a sé, poi lo abbracciò. Cominciava allora a capire quanto Bek fosse importante per lei. Quando gliel'aveva detto, lei era stata la prima a stupirsi, ma in seguito non se n'era pentita. Bek Ohmsford la faceva sentire completa. Era come se, trovando
lui, avesse trovato una parte di se stessa. Con lui si sentiva a proprio agio ed era passato molto tempo dall'ultima volta che si era sentita così. Per qualche tempo rimasero abbracciati senza parlare, senza muoversi, stretti l'uno all'altra nel silenzio. Ma lei voleva di più, voleva dargli di più, e cominciò a baciarlo. Lo baciò a lungo, sulla bocca, sugli occhi, sul collo, sul petto. Anche lui cercò di baciarla, ma non glielo permise perché voleva essere lei a dare. Quando le parve che Bek fosse tranquillo, si appoggiò alla sua spalla, mentre Bek pian piano si addormentava. "Ti amo, Bek Ohmsford" disse Rue, senza parlare. Le pareva incredibile innamorarsi in circostanze simili. Sconveniente e un po' ridicolo. Se l'avesse saputo, Hawk sarebbe rimasto a bocca aperta. Non aveva mai creduto che Rue potesse innamorarsi. Troppo indipendente, troppo ostinata. Non aveva mai avuto bisogno di nessuno e non aveva mai desiderato nessuno. Era completa in se stessa. Capiva benissimo quello che Hawk aveva pensato. Fino a poco tempo prima, l'aveva pensato lei stessa. Infilò la mano sotto la tunica di Bek e sentì il battito del suo cuore, cominciò a contare mentalmente i battiti, e in breve si addormentò. Quando si svegliò, Bek dormiva ancora. Sopra di loro, il cielo si rischiarava all'approssimarsi dell'alba. «E' quasi giorno» gli sussurrò all'orecchio, svegliandolo. Lui annuì e rimase per qualche istante senza parlare, per liberarsi del sonno. Rue sentì il suo respiro sul collo e la forza delle sue braccia. «Quando torneremo alle Quattro Terre» cominciò Bek, esitante. «Quando tutto questo sarà finito e dovremo decidere dove...» «Bek, no» lo interruppe lei, gentilmente, ma con fermezza. «Non parlare di ciò che succederà. Non preoccupartene, siamo troppo lontani perché la cosa abbia importanza. Lascia stare.» Bek tacque, mentre Rue si ravviava i capelli che le erano scivolati sulla faccia. Il giovane seguì con interesse i suoi movimenti e alzò la mano per aiutarla. «Devo scendere nel Crake» le disse. «Devo riprendere la spada di Quentin. Così se la troverà accanto quando si sveglierà.» Lei annuì. «Bene.» «Ti occuperai tu di Grianne mentre sono via?» Lei gli sorrise e lo baciò sulle labbra. «Non posso, Bek.» Gli toccò la punta del naso. «Perché vengo con te.» Bek si sentì prendere dal panico. Riuscì a non mostrarlo, ma all'interno, dove le sue emozioni potevano fare tutto quello che volevano, era terrorizzato. Pensava solo a ciò che poteva capitare a Rue. Era già successo a Quentin, e il cucino aveva almeno la protezione della Spada di Leah. Rue aveva una stecca a un braccio e non disponeva di alcuna magia. Se le avesse permesso di accompagnarlo, si sarebbe preso la responsabilità di tutt'e due e non ne aveva il coraggio, dopo avere fallito così miseramente con Quentin. «Non mi pare una buona idea» le disse infine, sperando che non s'infuriasse. Lei finse di riflettere per un istante su quell'obiezione, poi gli sorrise e gli rispose: «Sai cosa mi piace di più di te, Bek? Non il tuo aspetto o il tuo modo di ragionare, e neppure la tua risata o il modo in cui ti accosti al mondo, anche se tutte queste cose mi piacciono. Quello che mi piace di te è che non ti comporti mai come se io fossi inferiore agli altri. Tu dai per scontato che sono pari a tutti e mi tratti con rispetto. Non devo lottare per farti riconoscere le mie capacità. Posso aspettarmelo come una cosa certa. Sono pari a te, e magari anche un po' meglio in alcuni campi. E' una cosa che non vorrei perdere». A quel punto, Bek non poteva più insistere, perciò si limitò a sorriderle e ad annuire, e lei lo baciò per fargli capire che era lieta della sua comprensione. A Bek piaceva che lo baciasse, ma l'idea di portarla con sé lo intimoriva lo stesso. Comunque, era deciso, perciò scavalcarono il parapetto e raggiunsero il sentiero per poi scendere fino alla foresta. Era già abbastanza chiaro e si vedevano la forma degli alberi e il movimento delle
foglie alla brezza del mattino. Mentre scendevano, Bek esplorò con la magia la foresta sotto di loro per non essere colto con la guardia abbassata. Se il compagno del Graak ucciso da Quentin era nelle vicinanze, erano d'accordo di tornare indietro. Neppure Little Red poteva avere obiezioni. Invece ebbero fortuna e scivolarono nella foresta invisibili come fantasmi. Bek usò la magia del canto per dare a se stesso e a Rue l'aspetto della foresta, usando immagini e odori che non attirassero un carnivoro. Avvolti nella nebbia e rinfrescati dalla brezza del mattino, sgusciarono come ombre in mezzo agli alberi, senza preoccuparsi dei pericoli. Trovarono la spada di Quentin, sporca di fango ma ancora intera, accanto alla carcassa del Graak, la recuperarono e tornarono indietro. Il sole si affacciava al di sopra delle montagne quando giunsero al sentiero. Era stato fin troppo facile, penso Bek sorpreso mentre risalivano. Perché non era stato così anche per Quentin? Ma in tal caso, Grianne non si sarebbe svegliata e lui non avrebbe potuto sapere che la sua risposta al dolore non era più quella della Strega di Ilse, ma di sua sorella. Non avrebbe scoperto che poteva tornare a lui, una volta che fosse stata pronta a farlo. Rue Meridian si voltò verso di lui e lo guardò soddisfatta. «Ammettilo, non è stato tanto difficile.» Bek sospirò. «E' vero.» «Ricordati di oggi, la prossima volta che intendi fare qualcosa di pericoloso senza di me.» Lo prese per le spalle e lo attirò a sé. «Se tu mi ami, se io ti amo, non dovrebbero mai esserci discussioni del genere. Altrimenti, quello che proviamo l'uno per l'altra non è reale e non significa nulla.» Bek scosse la testa. «Invece significa tutto.» Lei sorrise e si tolse i capelli dalla faccia. «Lo so. Perciò, non dimenticarlo.» Poi accelerò il passo e si portò davanti a lui. Bek si affrettò a seguirla, quasi non stava nella pelle. Nelle parole e nel sorriso di lei, in tutto ciò che aveva fatto e detto, si prospettava un futuro che andava al di là di tutte le sue speranze. Era solo un sogno, ma i sogni non preannunciano la realtà? Poi la sua euforia svanì in mezzo ai dubbi. Era sciocco, si disse, lasciare che le emozioni offuscassero la ragione. In quel momento e nella loro situazione, in quella realtà, che posto c'era per i sogni? Rue Meridian allungò il passo, e mentre la seguiva, sentì quei sogni svanire, troppo fragili per sopravvivere, troppo incorporei per catturarli. Erano disegni tracciati nella sabbia, e si stava alzando la marea. Quando arrivarono in cima al sentiero e si diressero verso la "Jerle Shannara", trovarono Redden Alt Mer e i suoi Corsari sull'orlo del burrone, lo sguardo rivolto a est. I Cavalieri del Wing Hove arrivavano in quel momento dalla costa, e portavano qualcuno. Quando il Morgawr scoprì la fuga di Ahren Elessedil, sì fece portare Ryer Ord Star. Lei negò di esserne al corrente, ma sapeva che il Morgawr poteva leggere la bugia nei suoi occhi e fiutarla nel suo respiro. Già insospettito dal fallimento nel trovare tracce della "Jerle Shannara" e del suo equipaggio, della Strega di Ilse e di suo fratello, non perse tempo a decidere che la giovane donna aveva aiutato il principe degli Elfì a fuggire. Ormai la veggente era inutile per i suoi scopi. La consegnò a Cree Bega e ai suoi Mwellret, che la spogliarono e la percossero selvaggiamente. Le spezzarono le dita e le tagliuzzarono le piante dei piedi. La violentarono fino a farle perdere i sensi. Quando si riebbe, la appesero per i polsi a un pennone, la colpirono con una frusta di cuoio non conciato e la lasciarono a bruciare nel sole di mezzogiorno. Non le diedero né acqua né vestiti e non le medicarono le ferite. Lei rimase appesa e ignorata, con la mente annebbiata dal dolore e dalla sete, devastata e delirante. Una sola volta il Morgawr salì a parlarle. «Usa la tua dote, piccola veggente» le suggerì, portandosi sotto di lei e toccando con curiosità le ferite che aveva sul corpo. «Trova coloro che ti ho chiesto di trovare e ti darò una morte rapida. Altrimenti mi assicurerò che la tua agonia duri finché non li avrò trovati di persona. Ci sono altre cose che posso farti, cose che fanno molto più male di quelle che hai già sperimentato.» Ryer era a malapena cosciente quando il Morgawr le parlò, ma non aveva perso la ragione: sapeva che se gli avesse detto quello che voleva, se gli avesse rivelato il nascondiglio dei suoi amici, non l'avrebbe uccisa rapidamente come aveva promesso, ma le avrebbe fatto quello che aveva fatto ad Aden Kett. Il Morgawr voleva quell'esperienza: divorare la sua anima, l'anima di una veggente, per
capire cosa si provava. Se fino allora non l'aveva fatto, il motivo era solo uno: sperava ancora che lo conducesse alle persone cui dava la caccia. Danneggiare la sua mente in modo così grave le avrebbe impedito di fornirgli ulteriori aiuti. La sua fame poteva aspettare qualche giorno. E il Morgawr era paziente. Il pomeriggio volgeva alla sera. Le funi cui era appesa le avevano scorticato i polsi fino all'osso. Il sangue le era colato lungo le braccia e le spalle. Aveva perso la sensibilità alle mani. Il suo corpo privo di protezione era ustionato e dolorante per l'esposizione al sole e al vento ed era tutto una costante pulsazione di dolore. La sofferenza evocava visioni, alcune comprensibili, altre no. Vide i suoi compagni, i vivi e i morti, ma non riuscì a distinguerli. Entravano e uscivano dalla sua coscienza, vi rimanevano abbastanza a lungo per riconoscerli e poi sparivano. A volte parlavano, ma raramente lei comprendeva le loro parole. Sentiva la sua mente sparire a mano a mano che la vita le fluiva via dal corpo, sentiva i suoi pensieri scivolare in un abisso di misericordioso oblio. "Walker" chiamò mentalmente, implorandolo di raggiungerla. Scese la notte e i Mwellret si ritirarono, tranne la sentinella e il pilota. Nessuno si avvicinò a lei, nessuno le parlò. Continuò a pendere dal pennone come aveva fatto per tutto il giorno, sconfitta e morente. Non sentiva più il dolore. C'era ancora, ma ormai era talmente una parte di lei da non sembrare nulla di straordinario. Si leccò le labbra screpolate per impedire alla bocca dì serrarsi e respirò con sollievo l'aria fresca della notte. Con il mattino sarebbero tornati il sole bruciante e il vento forte, ma Ryer si disse che forse prima di allora sarebbe morta. Sperava che Ahren fosse lontano. Il Morgawr e le sue navi l'avevano cercato per tutto il giorno senza trovarlo, perciò era possibile che il principe degli Elfi ce l'avesse fatta a fuggire. Forse si chiedeva di lei, se presto l'avrebbe vista arrivare. Ma lei non aveva mai pensato di lasciare la "Black Moclips". Le visioni l'avevano informata del suo destino, della sua morte a bordo di quella nave, e non era così sciocca da pensare di poterla evitare. Proprio come Walker, che aveva visto la propria morte nelle sue visioni. Le visioni erano spontanee e mostravano ciò che volevano. Al pari di coloro che si rivolgevano a lei, Ryer Ord Star poteva solo accettare quello che le veniva rivelato, non certo cambiarlo. Ma quello che aveva detto al principe degli Elfi, sul suo futuro nelle Quattro Terre, era la verità: un destino assai più promettente del suo. Il futuro attendeva Ahren laggiù, quando ormai quel viaggio sarebbe diventato un ricordo lontano. Il principe si sarebbe chiesto cosa le era successo, naturalmente. O forse l'avrebbe capito, una volta passato un tempo sufficiente senza vederla comparire. Non avrebbe mai saputo come aveva sottratto le Pietre Magiche al Morgawr e ai Mwellret. Era un segreto suo e di Walker. Era stata svelta a sottrarle ad Ahren quando era stato colpito. Si era chinata su di lui e aveva finto di prendersi cura della sua ferita, ma facendo in modo che i Mwellret non vedessero i suoi movimenti. Sapeva che l'avrebbero perquisita e mentre i rettili erano concentrati su Ahren aveva infilato le Pietre in una crepa della parete. Un trucco semplice, ma efficace. L'avevano perquisita e non si erano più preoccupati della cosa. Poi, sulla "Black Moclips", aveva cercato un nuovo nascondiglio. E ve le aveva lasciate finché non era giunto il momento della fuga di Ahren. Nei giorni precedenti, Ryer Ord Star si era chiesta se non fosse il caso di ridargli le Pietre perché le usasse contro coloro che lo tenevano prigioniero. Ma Ahren non conosceva bene la magia, mentre il Morgawr era troppo esperto, troppo potente per essere sconfitto da un giovane inesperto. Solo Walker avrebbe avuto una possibilità, e anche se Ryer Ord Star, come tutti, avrebbe preferito vivere, non intendeva rischiare la vita e il destino di Ahren in un azzardo destinato quasi di sicuro a fallire. Aveva giurato di proteggerlo, di fare il possibile per riparare al male causato al servizio della Strega di Ilse. Per farlo non poteva ricorrere a mezze misure. Aveva molto da farsi perdonare e la morte era un piccolo prezzo per i suoi peccati. Sollevò la testa e sentì sulle labbra l'aria fresca della notte. Desiderava morire, ma sembrava che non ci riuscisse. Voleva il sollievo dal dolore e dalla disperazione, ma non poteva averlo da sola. Le occorreva l'aiuto di Walker. Aveva bisogno della sua presenza.
Continuava a entrare e uscire da una sorta di dormiveglia, sicura di non poter trovare un vero sonno e che solo la morte poteva darle riposo. Pianse per se stessa e per i suoi fallimenti. Rimpianse di non essere divenuta una donna apprezzata. In un altro luogo e in un altro tempo, in un'altra vita, forse era ancora possibile. Durante le ore del sonno profondo, prima dell'alba, quando il cielo era ancora cupo e pieno di stelle, finalmente lui comparve, avvolto da un alone luminoso che le diede nuova speranza. «Walker...» sussurrò lei. "Sono qui" le rispose l'ombra. Dopo essere fuggito dalla "Black Moclips", Ahren Elessedil si era diretto a nord, preoccupato solo di allontanarsi il più possibile dal Morgawr. Non aveva una chiara idea di dove si trovava o della sua destinazione. Ryer gli aveva detto di cercare una foresta pluviale in una conca tra le montagne, ma per farlo era necessario che si levasse il sole. Come guida aveva le stelle, però le costellazioni erano diverse, lì, e in parte coperte dall'ala del veleggiatore, perciò gli era difficile usare le sue conoscenze di navigazione. Ma non si scoraggiò. Era così lieto della libertà che, nella sua euforia, ogni problema gli pareva risolvibile, tolto l'essere di nuovo catturato. Il veleggiatore volava senza difficoltà, spinto dal vento costante che spirava dallo Spartiacque Azzurro. All'inizio il principe aveva temuto di non riuscire a mantenerlo in volo, e invece risultò abbastanza facile. I comandi gli permettevano di inclinarsi per cambiare direzione, e la barra che correva per tutta la lunghezza del telaio apriva e chiudeva alcune aperture nella tela permettendogli di aumentare e diminuire la superficie alare per guadagnare o perdere quota. Finché soffiava quel vento e si teneva lontano dalle correnti e dalle tempeste, non avrebbe avuto problemi, si diceva. Durante il viaggio ebbe tutto il tempo per riflettere e pensò soprattutto a Ryer Ord Star. Più meditava sulla situazione della giovane, più cresceva la sua insoddisfazione. La veggente giocava una partita pericolosa e non aveva alcun modo di proteggersi, se fosse stata scoperta. Una volta che i Mwellret si fossero accorti della sua fuga, i sospetti si sarebbero accentrati su di lei. Non lo convinceva la sua affermazione di avere modo di fuggire dalla nave prima che ciò succedesse. C'era forse un altro veleggiatore nascosto da qualche parte? Gli aveva promesso di raggiungerlo in seguito, ma sospettava che fosse una bugia. Rimpiangeva di averle dato ragione troppo in fretta. Avrebbe dovuto obbligarla ad accompagnarlo, nonostante la sua convinzione che Walker aveva ancora bisogno di lei sulla nave. Era stato così impaziente di allontanarsi che non aveva insistito. Ma adesso gli tornava in mente il modo in cui l'aveva guardato all'ultimo momento: gli sembrava un commiato definitivo, come se lei sapesse che non si sarebbero mai più rivisti. Era una veggente, in fin dei conti, ed era probabile che in una visione le fosse apparso il suo destino. Ma se era a conoscenza di quello che stava per succederle, non poteva agire in modo da evitarlo? Non lo sapeva, e dopo un po' smise di pensarci. Gli era impossibile fare qualcosa per lei finché non avesse trovato i suoi compagni, e a quel punto, forse, sarebbe potuto tornare a cercarla. Ma nel suo cuore, dove le verità vengono a galla, sapeva che era già troppo tardi. Il sole si levò, e Ahren continuò a volare. Quando la luce del nuovo giorno rese visibili i particolari del territorio sotto di lui, cercò di individuare qualcosa di noto. Ma dovette presto constatare che era impossibile. Tutto sembrava uniforme, dall'alto, e non aveva avuto occasione di notare la geografia dei luoghi né dalla "Jerle Shannara" né dalla "Black Moclips". Sapeva di dover volare a ovest, verso le montagne, ma non di quanto doveva risalire a nord prima di cambiare rotta. Ryer Ord Star gli aveva detto che Walker l'aveva incaricata di rallentare le ricerche del Morgawr, perciò era meglio che si portasse a una buona distanza dalla costa. Doveva cercare una foresta pluviale, ma non scorgeva ancora alcun varco nelle montagne che correvano lungo la penisola come una spina dorsale. Le nubi coprivano l'orizzonte e le cime dei monti, dando l'impressione che il mondo finisse cinque miglia più in là. Non aveva modo di calcolare il cammino percorso, e senza una bussola non era certo della rotta.
Avrebbe potuto usare le Pietre Magiche, che erano pietre della chiaroveggenza e permettevano di trovare quello che l'occhio non riusciva a scorgere. Ma usandole avrebbe messo in allerta il Morgawr, e conosceva a sufficienza l'abilità del mago per sapere che seguiva la magia come il cacciatore una pista. L'uso delle Pietre avrebbe messo a rischio anche i suoi amici, se fosse riuscito a trovarli. Non voleva quella responsabilità, per grave che fosse la sua situazione. Il sole si alzò e le ultime ombre della notte si allontanarono dal paesaggio. L'aria si riscaldò, ma era ancora così fredda da fargli rimpiangere la mancanza di abiti più pesanti. Incassò la testa fra le spalle e si diresse verso l'entroterra, per allontanarsi dalle pungenti brezze costiere. Forse avrebbe scorto la foresta pluviale e i suoi amici, se si fosse dato un po' più di tempo. Si concesse l'intero giorno, volando sempre più all'interno della penisola e scrutando il cielo e il terreno finché non gli venne mal di testa, ma non trovò nulla: né la "Jerle Shannara" né i compagni né la foresta. Non vide quasi nulla che si muovesse: qualche falco, qualche gabbiano, una volta un branco di daini. Via via che la giornata procedeva e il sole scivolava verso occidente, la sua sicurezza cominciò a incrinarsi. S'inoltrò ancora nelle montagne, ma più vi penetrava, più le cose si facevano confuse. Volava da diciotto ore senza mangiare e senza bere e cominciava a sentirsi la testa leggera. Non ricordava l'ultima volta che aveva dormito. Se non avesse trovato presto qualcosa, sarebbe stato costretto ad atterrare. Ma una volta a terra, non era certo di poter decollare di nuovo. Perciò rimase in volo, mentre si avvicinava il crepuscolo, rifiutandosi ostinatamente di cedere. Presto non sarebbe più stato in grado di orientarsi. Se non fosse atterrato avrebbe dovuto volare tutta la notte, perché le nuvole coprivano la luna e le stelle. Presto avrebbe dovuto usare le Pietre. Non aveva scelta. Mosse le spalle e inarcò la schiena perché era tutto indolenzito a causa dello sforzo di mantenere per tanto tempo la stessa posizione. Le ombre che si stendevano sulla terra erano sempre più lunghe e fitte, ma continuò a volare. Aveva quasi deciso di rinunciare quando le averle lo scoprirono. Si era così addentrato nella penisola che non si aspettava la comparsa di quegli uccelli della costa, ma non poteva farsi illusioni: erano lì per lui. Gli davano la caccia, pensò con un brivido. Erano state inviate dal Morgawr per trovarlo e distruggerlo, Glielo diceva l'istinto. Volavano verso di lui nella luce argentea della sera, erano sette, con le lunghe ali e il collo teso, il becco sollevato come una lama pronta a colpire. Ahren si allontanò subito e puntò in basso con una lenta scivolata, incapace di trarre dal veleggiatore una maggiore agilità o velocità. Era come muoversi in canoa sulle rapide: occorreva cavalcare le correnti. Se avesse azionato la barra per aprire le fessure dell'ala sarebbe caduto a picco come una pietra. Il veleggiatore non era fatto per manovre brusche, non era stato progettato per difendersi dalle averle. Scese a spirale verso terra, verso le rupi e le vette, le gole e i burroni, e vide che non c'erano punti d'atterraggio sicuri. Ma non poteva cambiare le cose. Si augurò di arrivare a terra prima che le averle lo raggiungessero. Il suo volo era finito. Restava solo da vederne la conclusione. Era ancora a trecento iarde d'altezza quando la prima averla gli sfrecciò accanto e afferrò con gli artigli la tela del veleggiatore, urtandolo e assestandogli una forte spinta. Ahren si raddrizzò e si allontanò rapidamente guardandosi attorno in cerca degli altri uccelli. Era terrorizzato: appeso a una fragile struttura, a mezz'aria, nell'impossibilità di fuggire o di nascondersi. Una seconda averla attaccò urtando il veleggiatore con forza tale da fargli battere ì denti. Precipitò per alcune decine di iarde prima di rimettersi in assetto, e quando ci riuscì, il mezzo proseguì sussultando e sbandando. Ahren sentì sbatacchiare la tela strappata. Le averle giravano in cerchio sopra di lui con gli artigli tesi, i becchi aperti, gli occhi che brillavano come polle scure in mezzo alle penne nere della testa. "Usa le Pietre!" si disse. Ma non poteva prenderle senza lasciare la barra di controllo, e se l'avesse fatto sarebbe precipitato. Inoltre c'era il rischio che le Pietre gli cadessero di mano, mentre cercava di usarle. Tuttavia erano ormai la sua sola possibilità e, perso per perso, decise di correre il rischio. Lasciò la barra e afferrò
con la destra il sacchetto delle pietre, allargando con la punta delle dita il laccio che lo teneva chiuso. Il veleggiatore perse quota all'istante. Le averle si lanciarono all'attacco tutte assieme, ma il mezzo sbandava tanto che non riuscivano ad afferrarlo. Stridendo, lo sorpassarono in picchiata, con gli artigli tesi: sagome nere che calavano e risalivano. Ahren chiuse gli occhi per concentrarsi, afferrò le Pietre e le estrasse dalla tasca, tese il braccio, evocò il potere della magia e la scagliò attorno a sé sotto forma di una parete di fuoco azzurro. Il risultato fu inatteso. La magia inondò l'aria con il suo chiarore improvviso, spaventando le averle ma senza danneggiarle. Ahren, invece, per reazione prese a roteare all'indietro e per poco la leggera struttura dell'ala non gli si avvolse attorno al corpo. Solo allora si rammentò che la magia delle Pietre era inutile contro le creature che non attaccavano a loro volta servendosi della magia. Le averle erano immuni all'unica arma da lui posseduta. Tenendo ben strette le Pietre Magiche, cercò di manovrare verso il basso, tuffandosi tra pareti di roccia così lisce che se ne avesse colpito una sarebbe ruzzolato senza ostacoli fino alla base. Le averle lo seguirono, stridendo per la rabbia e la delusione, sfiorandolo e facendolo roteare su se stesso fino a fargli perdere l'orientamento. Era finito, pensò. Poteva considerarsi un uomo morto. Cielo e terra giravano come un caleidoscopio, stelle e buio si succedevano mentre cercava di rallentare la caduta. Un sostegno si ruppe con un suono di legno secco e la parte sinistra dell'ala si ripiegò. In quel momento scorse, con la coda dell'occhio, qualcosa di assai più grosso delle averle, lo vide per un solo istante, poi l'ala lo fece roteare. Le averle stridettero di nuovo, ma il suono era diverso e il principe degli Elfi vi colse la paura. Un istante più tardi si allontanavano e le loro ombre scure svanivano assieme alle loro strida. Sopra di lui stava giungendo qualcosa di enorme, che con la sua ombra copriva il cielo. Cercò di guardare in alto per vedere di che cosa si trattava, ma il nuovo venuto sfiorò il veleggiatore e afferrò l'intelaiatura. Ahren lottò selvaggiamente per liberarsi, per riprendere il controllo, ma le cinghie di comando si rifiutarono di rispondere. "Il Morgawr!" pensò, terrorizzato. "Il Morgawr mi ha trovato di nuovo!" Poi comparve una seconda ombra, con enormi ali scure e uno scintillio di occhi verdi, che si portò sotto di lui. «Scendi, principe degli Elfi!» lo chiamò Hunter Predd, allungandosi dal dorso di Ossidiana per afferrargli le gambe. Ahren smise di lottare e fece come gli veniva detto, sciogliendo le cinghie che serravano l'imbracatura. Nell'oscurità e col vento che soffiava per farlo cadere, ancora incapace di credere che fosse davvero sotto di lui, scivolò tra le braccia del Cavaliere del Wing Hove. Stordito, osservò il veleggiatore cadere nel vuoto, un mucchietto di tela stracciata e di bastoni spezzati. «Tieniti stretto» gli disse Hunter Predd, legandolo al suo posto con una cinghia di sicurezza. «Abbiamo molta strada da fare, ma adesso sei al sicuro.» "Al sicuro." Ahren ripeté tra sé queste parole, con gratitudine, e cominciò a tremare. Hunter Predd gli strinse un braccio per rassicurarlo, poi, preceduti da Po Kelles che faceva strada su Niciannon, volarono via nella notte. A molte miglia di distanza, nella stessa oscurità che nascondeva la fuga dei Cavalieri del Wing Hove e del principe degli Elfi, Ryer Ord Star era appesa al pennone della "Black Moclips" e dondolava dalle funi legate ai suoi polsi. Il sangue uscito dalle ferite prodotte dalle funi le copriva le braccia. Nonostante il freddo della sera, aveva la faccia e il corpo madidi di sudore. Dai piedi alla testa le giungeva un'unica pulsazione di dolore, che si alzava e si abbassava in ondate incessanti mentre attendeva la morte. «Walker» lo implorò a mezza voce. «Ti supplico, aiutami.»
L'aveva chiamato per tutta la notte e finalmente era arrivato. Era emerso dal nulla nell'aria davanti a lei, pallido e preoccupato, ma le offrì un tale conforto che lei gli avrebbe dato il benvenuto anche se fosse stato solo un'allucinazione. Vestito del suo abito scuro da druido, Walker era un'ombra uscita dai recessi della morte, una presenza dell'Aldilà, non di questo mondo, ma Ryer lesse nei suoi occhi quanto cercava. «Lasciami andare» gli sussurrò, pronunciando a fatica le parole. «Liberami.» Lui sollevò il braccio e le accarezzò le guance devastate, e dove passava la mano, il dolore spariva. "Vieni con me" le disse il druido. Lei scosse la testa. «Non posso. Sono legata.» "Solo perché stai aggrappata a quei legami. Lasciali..." Lei lo fece. Non capì come, capì solo che poteva farlo, adesso che lui l'aveva detto. Si sciolse dai suoi legami come se fossero funi allentate e camminò nell'aria, priva di peso. Il dolore e la paura scivolarono via da lei come abiti vecchi. I timori cessarono. Si fermò accanto a lui, e quando Walker allungò di nuovo la mano, gliela prese e gliela strinse. Walker le sorrise e la attirò a sé. "Vieni" le disse. E Ryer, finalmente in pace, perdonata e redenta, ritornata alla sua integrità grazie al sacrificio, si allontanò con lui senza guardarsi alle spalle.
26. Poco dopo l'alba Bek andò a cercare Ahren Elessedil e lo trovò seduto a prua della "Jerle Shannara". Erano in volo da più di tre ore e facevano rotta verso sud, in mezzo a nubi pesanti e a un cielo grigio, con l'intenzione di raggiungere la costa prima del tramonto. il principe degli Elfi lo guardò con espressione stanca. Aveva dormito per quasi dodici ore, ma era ancora esausto. «Ciao, Bek» lo salutò. «Ciao.» Si sedette accanto ad Ahren e appoggiò la schiena al parapetto della nave. «E' bello averti di nuovo con noi. Temevo che ti avessimo perso.» «L'ho pensato anch'io, più di una volta.» «Sei stato fortunato che Hunter Predd ti abbia trovato. Ho sentito la storia. Non riesco ancora a capire come tu sia riuscito a farcela. Io non credo che ce l'avrei fatta a volare per tanto tempo senza cibo e senza riposo.» Ahren Elessedil gli rivolse un sorriso triste. «Fai qualsiasi cosa, se hai abbastanza paura.» Poi rimasero in silenzio, spalla a spalla, e fissarono la nave che si faceva strada in mezzo a banchi sfilacciati di nuvole e di nebbia. L'aria umida sapeva di mare. Redden Alt Mer e i suoi Corsari avevano sospeso le riparazioni della "Jerle Shannara" la sera precedente; nella notte avevano installato i cristalli di diapso recuperati e alle prime luci dell'alba si erano levati in volo. Il comandante corsaro sapeva che il Morgawr controllava le averle che abitavano la costa della Parkasia e temeva che gli uccelli che avevano attaccato Ahren avvertissero il mago e gli indicassero la loro posizione. Avrebbe preferito dedicare un altro giorno alle riparazioni, ma rimanere ancora a terra comportava un rischio troppo grande. Nessuno aveva contestato la decisione. Il ricordo della foresta di Crake era ancora troppo fresco nella mente di tutti. Spanner Frew era al timone nella garitta del pilota, e la sua mole impediva di vedere cosa facevano le sue mani mentre azionava i comandi. Dì tanto in tanto gridava un ordine a un corsaro che vedeva passare e solo allora si scorgeva la sua faccia incollerita e la sua voce faceva rimbombare le assi del ponte. Non erano rimasti in molti a obbedire al maestro d'ascia, si disse Bek. Li contò mentalmente: dieci, lui compreso, dodici se si includevano anche i Cavalieri del Wing Hove. I soli rimasti dei più di trenta che erano partiti tanti mesi prima. Soltanto dodici. Tredici, si corresse, perché si doveva aggiungere Grianne. Il tredici porta fortuna...
«Come sta tua sorella?» gli chiese Ahren, quasi che gli avesse letto nella mente. «Sempre identica. Non parla, non mi vede, non reagisce a nulla, non mangia e non beve. Immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto.» Si voltò verso l'elfo. «Tranne due notti fa. La notte del tuo salvataggio, lei ha salvato Quentin.» Riferì ad Ahren l'accaduto come aveva fatto con gli altri, con lo scopo sia di dare speranza a se stesso, sia di mostrare a tutti che poteva svegliarsi e che non sarebbe più stata la Strega di Ilse. Era una debole speranza, ma Bek aveva bisogno di credere che le perdite patite e le sofferenze sopportate avessero un significato. Ahren lo ascoltò con attenzione, ma con lo sguardo lontano, come se riflettesse su qualche suo personale problema. Quando Bek ebbe terminato, il principe osservò: «Se non altro, tu sei riuscito a salvare qualcuno, oltre a te stesso. Io non sono riuscito a fare neppure quello». Bek aveva saputo da Hunter Predd la storia della sua fuga dalla "Black Moclips". Capiva quello che intendeva dire. «Non vedo cos'altro avresti potuto fare» osservò, cercando parole che alleggerissero il senso di colpa del principe. «E' stata lei a non voler venire con te. Aveva già deciso di rimanere e non saresti riuscito a farle cambiare idea.» «Può darsi, ma vorrei esserne certo. Ero così impaziente di andarmene, di fuggire da quella nave, che non ho neppure pensato di insistere. Ho lasciato che mi dicesse lei quello che dovevo fare.» Bek mosse sulla tolda la punta del piede, a disagio. «Be', non sai nulla, in realtà. Può essere fuggita dopo di te. Può avere fatto come ti ha assicurato. I Cavalieri del Wing Hove la stanno cercando. Non perdere le speranze.» Ahren continuò a guardare lontano, con espressione sofferente. «Non la troveranno, Bek. E' morta, l'ho saputo la notte scorsa. Mi sono svegliato senza nessun motivo, e ho capito che era morta. Credo che lei lo sapesse quando mi ha mandato via, e che non me l'abbia detto perché, se l'avessi saputo, non me ne sarei andato. Aveva promesso a Walker di rimanere e ha voluto mantenere la parola, a costo della vita.» Parlò in tono amaro e disorientato, come se accettando quella premonizione sfidasse ogni logica. «Mi auguro che ti sbagli» gli mormorò Bek, che non sapeva cos'altro dire. Ahren continuò a guardare l'orizzonte avvolto nella nebbia, al di là dei rostri della nave, e non gli rispose. Redden Alt Mer scese sottocoperta e si diresse alla cabina del comandante, sua fino a poco tempo prima, per cercare la sorella. Ormai era sicuro, dopo averla cercata invano sul ponte, che Little Red fosse tornata nella cabina assegnata al convalescente Quentin Leah e a Grianne Ohmsford, ancora chiusa nel suo irraggiungibile rifugio. Rue era là per la Strega. La guardava e la studiava in un modo che risultava inquietante per il fratello. Dopo essere tornato a sfidare gli orrori della foresta di Crake per recuperare i cristalli di diapso si sentiva meglio, ancora meglio dopo avere saputo da Bek che la Strega si era destata per il tempo sufficiente a curare con la magia le ferite dell'Highlander. Si sentiva meglio, ma non era ancora del tutto a posto. Il faccia a faccia con la morte nella foresta gli aveva tolto qualcosa e neanche lui sapeva come colmare il vuoto. Recuperare i cristalli era stato un inizio, ma adesso era fin troppo consapevole della propria mortalità e questo, dato il tipo di vita che conduceva, non era per niente salutare. Ma per il momento si preoccupava della sorella. Rue era sempre stata più cauta di lui, più pratica, la sola padrona della propria vita, decisa a fare quello che riteneva giusto per coloro di cui si sentiva responsabile, quali che fossero gli ostacoli. Negli ultimi tempi, però, mostrava segni di tentennamento che Alt Mer non aveva mai visto. Non che fosse meno decisa, ma pareva più incerta sulle proprie responsabilità. Il suo atteggiamento verso la Strega di Ilse ne era un esempio. All'inizio Big Red era convinto che non appena avesse trovato il modo, Rue l'avrebbe eliminata facendo sì che non si sospettasse di lei, soprattutto per mantenere l'amicizia di Bek. Lo richiedeva la morte di Hawk. Eppure era successo
qualcosa che le aveva fatto cambiare idea, qualcosa che Alt Mer non aveva capito e che la induceva a comportarsi in modo diverso dal solito. Scosse la testa, chiedendosi cosa le fosse accaduto. Dal giorno precedente, dopo il ritorno dalla foresta con Bek al termine di una missione che lui avrebbe di sicuro vietato se ne fosse stato al corrente, aveva approfittato di ogni pretesto per scendere in cabina. Aveva continuato a vegliare la Strega come per vedere cosa sarebbe successo al suo risveglio, come per controllare che razza di persona fosse realmente. All'inizio Redden Alt Mer aveva pensato che la sorella aspettasse solo l'occasione per eliminarla. Ma col passare del tempo di occasioni ce n'erano state, e lui aveva cominciato a chiedersi se il suo sospetto fosse davvero fondato. Adesso Rue non andava là per vendicare la morte di Hawk: lo faceva per qualche altro motivo che il fratello ignorava. Aprì la porta della cabina e la trovò seduta davanti alla sorella di Bek: la teneva per mano e la fissava negli occhi. La scena era così strana che per un momento Redden Alt Mer rimase fermo sulla soglia, senza parlare. «Chiudi la porta» gli disse lei con calma, senza voltarsi. Lui fece come gli diceva, poi andò in un punto dove la sorella potesse vederlo, si accostò a Quentin Leah e gli tastò il polso. «Forte e regolare» confermò Little Red. «Bek aveva ragione. Ha salvato la vita a Quentin, lo sapesse o no.» A quello che stai cercando di capire?» le chiese Red, dopo aver dato un'ultima occhiata all'Highlander. «Cerchi di decidere se è stato solo un caso?» «No» rispose lei. «Che fai, allora?» «Cerco di scoprire dov'è finita. Come raggiungerla.» Big Red la fissò, non credeva ai suoi orecchi. Rue fissava la Strega, da pochi pollici di distanza, e non mostrava alcuna paura, non dava l'impressione di sentirsi in pericolo. Teneva fra le proprie le mani di Grianne e le massaggiava. «Bek dice che si nasconde a se stessa» spiegò. «Dice che quando la magia della Spada di Shannara le ha mostrato la verità, è stato troppo per lei ed è fuggita. Walker gli ha detto che sarebbe tornata quando avesse trovato il modo di farsi perdonare il peggiore dei suoi crimini. Dev'essere molto arduo anche solo passarli in rassegna tutti, credo.» Fece una pausa. «Voglio vedere se una donna riesce ad arrivare dove non arriva un uomo.» Red annuì. «Può darsi che sia il modo giusto.» «Ma tu non sai perché voglio essere io a scoprirlo.» «Vero, non lo so.» Per qualche tempo, Rue non aggiunse altro e si limitò a sedere davanti a Grianne Ohmsford e a fissarla negli occhi azzurri. La Strega di Ilse era poco più di una bambina, comprese Alt Mer. Era così giovane da rendere impossibile definirla nei termini degli atti da lei commessi. In quello stato comatoso, con la faccia inespressiva e gli occhi immobili, aveva un aspetto di completa innocenza, pareva incapace di fare del male. Sembrava che tutti l'avessero fraintesa e che al suo risveglio avrebbe spiegato ogni cosa. Idee pericolose, si disse Alt Mer. Little Red lo guardò. «Lo faccio per Bek» disse, come per spiegarsi, poi tornò a Grianne. «Forse per causa sua.» Aggrottando la fronte, Big Red si portò in un punto dove la sorella non poteva vederlo e leggergli il dubbio in faccia. «Bek non ti ha mai chiesto di farlo» le disse. «Sua sorella non è una tua responsabilità. Perché lo fai?» «Tu non capisci niente» rispose lei. Red attese che aggiungesse qualche chiarimento, ma visto che non lo faceva si schiarì la gola. «Che cosa non capisco, Rue?»
Prima di rispondere, la sorella lo fece aspettare un pezzo. In seguito, Alt Mer capì che cercava dà decidere se dirgli o no la verità e che per lei la decisione era più difficile del previsto. «Non capisci che lo amo» disse infine. Alt Mer non se l'aspettava. Non aveva preso in considerazione l'ipotesi neppure per un istante, anche se, nell'udirla adesso, gli pareva perfettamente sensata. Ricordò la reazione di Rue quando avevano deciso di portare Bek nella foresta e di lasciare indietro lei. Ricordò come si fosse presa cura del ragazzo quando Hunter Predd l'aveva portato da loro, dopo averlo salvato sulle montagne, come se soltanto lei potesse farlo star bene. A parte il fatto che non era più un ragazzo, come lui stesso aveva già notato. Era un uomo, maturato nel corso di quel viaggio, cambiato così profondamente da poter passare per un'altra persona. Comunque stessero le cose, Big Red non riusciva a crederci. «Quando è successo?» le chiese. «Non lo so.» «Ne sei sicura?» Rue non si curò di rispondere, ma Big Red vide che alzava le spalle, come per dire che era una domanda stupida. «Non mi sembrate molto adatti l'uno all'altra» continuò, ma si accorse subito che quella frase era un errore. Infatti lei lo fissò subito con ostilità. «Non arrabbiarti» si affrettò a precisare. «Ti dico solo quello che vedo.» «Tu non sai chi va bene per me, fratello grande» gli rispose lei, tornando a guardare la Strega. «Non l'hai mai saputo.» Lui annuì, dandole ragione. Si sedette per parlarne; forse sarebbe stato un discorso lungo e non aveva idea dì che cosa le avrebbe detto. O di che cosa avrebbe dovuto dirle, «Pensavo a quello che diceva Hawk, che non ti saresti mai fermata con nessuno, perché non l'avresti sopportato.» «Be', vi sbagliavate.» «Mi pare solo che la vostra vita sia troppo differente. Se non fosse stato per questo viaggio, le vostre strade non si sarebbero mai incrociate. Hai pensato a cosa succederà quando sarete a casa?» «Se riusciremo a tornarci.» «Ce la faremo. E allora Bek se ne andrà nell'Altopiano e tu riprenderai a fare la corsara.» Lei respirò con forza, lasciò la mano di Grianne Ohmsford e si voltò a guardarlo. «Meglio risolvere la cosa subito» disse. «Ti ho spiegato cosa sento per Bek. Per me è una novità, e sto ancora scoprendo cosa significa. Cerco di non fare programmi a lungo termine, ma di una cosa sono certa: sono stufa di questa vita. Lo sono da molto tempo. Non mi piaceva sul Prekkendor e non la rimpiango certo. Pensavo che partecipando a questo viaggio, allontanandomi da tutto ciò che conoscevo, le cose sarebbero cambiate, ma non è successo. Mi sento come se fossi stata in viaggio per anni senza arrivare da nessuna parte. Voglio qualcosa di diverso. E voglio provare a vedere se Bek può darmelo.» Redden Alt Mer la fissò negli occhi. «Gli metti sulle spalle una grossa responsabilità, vero?» «Non gli metto niente sulle spalle. Porto tutto il peso da sola. Anche lui mi ama, Redden. Mi ama come nessuno mi ha mai amata. Non per il mio aspetto o per quello che so fare o per come mi vede. E' una cosa più profonda. Sono legami che non si possono esprimere a parole. Cambia tutto, quando una persona ti ama in quel modo. E la cosa mi piace a tal punto che non voglio buttarla via senza prima vedere dove mi porta.» Cambiò posizione, nonostante il fastidio che le davano ancora le ferite. «Volevo uccidere la Strega di Ilse» continuò. «Avevo tutte le intenzioni di farlo non appena ne avessi avuto la possibilità. Pensavo di doverlo a Hawk. Ma adesso non posso farlo. Non più, ora che Bek ritiene che si sveglierà e tornerà a essere sua sorella. Non dopo tutto Bek Ohmsford sedeva ancora accanto al parapetto, vicino ad Ahren, quando Redden Alt Mer uscì dal boccaporto e si voltò a guardarlo. Sulla faccia del comandante c'era una strana mescolanza di frustrazione e di meraviglia, che però scomparve un istante più tardi, mentre Alt Mer raggiungeva la garitta del pilota e si fermava accanto a Spanner Frew. «Ho sentito che Panax è rimasto» disse Ahren, interrompendo il suo filo di pensieri.
Bek annuì in tono distratto. «Ha detto che era stanco del viaggio, quello che ha fatto per proteggerla e prendersi cura di lei e darle la possibilità di riprendersi. Non ho quel diritto, neppure per vendicare Hawk.» Dopo una pausa concluse: «Perciò ho deciso di provare a fare quello che non riesce a Bek. Cerco di raggiungerla, di vedere dov'è e da che cosa si nasconde, di capire quello che prova. Ho deciso di farle sapere che ci sono altre persone che si preoccupano per lei. Può darsi che riesca. Ma anche se non ci riuscissi, devo provare. Perché è questo che devi fare quando ami una persona: devi dedicarti alle cose in cui crede, anche se non ci credi tu. E' quanto voglio fare per Bek. Questo è ciò che provo per lui». Si girò verso Grianne Ohmsford, le prese le mani e tornò a massaggiarle. «Continuo a pensare che aiutando lei posso forse aiutare anche me stessa. Mi sento perduta come lei. Se riesco a trovare lei, forse riuscirò a trovare anche me. Attraverso Bek. Attraverso il sentimento che provo per lui.» Si accostò ancora di più a Grianne, la faccia così vicina da dare l'impressione di volerla baciare. «Continuo a pensare che sia possibile.» Alt Mer la guardò in silenzio, pensando che lui stesso non ne era ancora del tutto sicuro, che anche lui si sentiva perduto. I continui vagabondaggi da un capo all'altro del mondo avevano finito per farlo sentire estraneo a tutto, come se la sua vita fosse qualcosa di così elusivo da costringerlo a rincorrerla di continuo e per sempre senza mai riuscire a raggiungerla, «Adesso va' e lasciami sola» gli disse Rue. «Riporta questa nave nel luogo da dove siamo partiti. Riportaci a casa sani e salvi. Poi ne riparleremo. Forse allora riusciremo a capirci meglio di adesso.» Alt Mer si alzò e guardò la sorella ancora per un momento, pensando a qualcosa da dirle. Ma non gli venne in mente niente di adeguato. Rassegnato a lasciarle fare quello che sentiva di dover fare, uscì dalla cabina senza altri commenti. Bek Ohmsford sedeva ancora accanto al parapetto, vicino ad Ahren, quando Redden Alt Mer uscì dal boccaporto e si voltò a guardarlo. Sulla faccia del comandante c'era una strana mescolanza di frustrazione e dì meraviglia, che però scomparve un istante più tardi, mentre Alt Mer raggiungeva la garitta del pilota e sì fermava accanto a Spanner Frew. «Ho sentito che Panax è rimasto» disse Ahren, interrompendo il suo filo di pensieri. Bek annuì in tono distratto. «Ha detto che era stanco del viaggio, che il posto gli piaceva e voleva rimanerci. Ha detto che non essendoci più né Walker né Truls Rohk, non aveva alcun motivo per tornare nelle Quattro Terre. Non gli do torto.» «Invece io non vedo l'ora di tornare a casa. Non intendo mai più partire, una volta tornato.» Il principe degli Elfi fece una smorfia. «Odio tutto quello che è successo qui. Tutto.» «Non sembra che il nostro viaggio sia servito a granché, vero?» «Walker affermava che è stato molto utile, ma non gli credo più» rispose Ahren. Bek lasciò cadere il discorso, ricordando che secondo Walker la ragione per cui si erano recati nella Parkasia era sua sorella e che il nuovo scopo del viaggio era portarla a casa. Non capiva ancora perché. Senza tener conto dei dubbi sulla possibilità di tornare e sul risveglio di lei una volta tornati, in realtà erano andati fin lì per recuperare i libri di magia e non l'avevano fatto. Avevano distrutto Antrax, perciò c'era una certa soddisfazione nel sapere che nessun altro sarebbe finito come Kael Elessedil, ma gli pareva che le perdite subite fossero state un prezzo troppo alto. Quanto meno rispetto alle speranze che avevano nutrito alla partenza o alle promesse ricevute. «Ryer ha detto che io ero destinato a divenire il re degli Elfi» disse Ahren, a bassa voce. Lanciò a Bek un'occhiata perplessa. «Non riesco a immaginarlo. Anche se si presentasse l'opportunità, non credo che accetterei. Non voglio assumermi la responsabilità di altri che di me stesso, dopo ciò che è successo qui.» «Cosa farai, una volta tornato a casa?» gli chiese Bek. Il principe si strinse nelle spalle. «Non me lo sono ancora chiesto. Me ne andrò da qualche parte, penso. Per me, tornare a casa significa tornare nell'Ovest, non di più. Non ho nessuna voglia di
vivere ad Arborlon, almeno finché mio fratello è il re. Mi piaceva stare con Ard Patrinell quando mi istruiva. Sentirò la sua mancanza più di quella di chiunque altro, eccetto Ryer. Lei era speciale.» Strinse le labbra mentre gli spuntavano le lacrime. Imbarazzato, distolse lo sguardo. «Può darsi che non torniamo a casa, dopotutto.» Bek pensò ai morti, agli uomini e alle donne che erano venuti con loro in quel viaggio con tanta determinazione. Di chi sentiva di più la mancanza? All'inizio del viaggio non conosceva nessuno, poi era diventato amico di tutti. L'assenza che lasciava il vuoto maggiore era quella di Walker e di Truls Rohk. Ma anche gli altri erano suoi amici, più del druido e del cambiatore di forma. Non riusciva a immaginare la sua vita senza di loro e neppure cos'avrebbe provato quando si sarebbe separato da coloro che rimanevano. Il futuro gli sembrava confuso e gli pareva che niente potesse ormai ripulirlo dalle rovine del passato. Alzò lo sguardo sul ponte della nave in cerca di Rue Meridian. Era lei il futuro, o almeno la parte di futuro che poteva immaginare. Non l'aveva vista molto di frequente dopo il loro ritorno dalla foresta con la Spada di Leah. Non c'era stato il tempo per incontrarsi, mentre preparavano la "Jerle Shannara" per il volo; il timore dell'arrivo del Morgawr aveva consumato tutto il loro tempo e la loro energia. Ma anche dopo la partenza, Rue Meridian era stata per conto suo. Sapeva che trascorreva gran parte del tempo a prendersi cura di Grianne e all'inizio si era preoccupato delle sue intenzioni. Ma gli pareva ingiusto e meschino sospettare di lei dopo quello che gli aveva detto sui suoi sentimenti: pensava che avesse rinunciato alla vendetta e che, amando lui, desiderasse aiutare sua sorella. Perciò la lasciò stare, certo che sarebbe venuta da lui quando si fosse sentita pronta. Non pensava che lo amasse di meno, anche se si comportava così: tra loro non c'era mai stato bisogno di quel tipo di rassicurazioni, fin dall'inizio. E nulla era cambiato. L'amicizia richiede spazio e tolleranza. L'amore anche. Però aveva voglia di vederla. Sapeva che se l'avesse cercata nella cabina di Big Red non si sarebbe arrabbiata, ma era meglio lasciare che trovasse da sola il modo di rapportarsi, con Grianne. «Forse arriverò a casa anch'io» sussurrò a se stesso. Ma la sua certezza si era affievolita. Era già il crepuscolo quando i Cavalieri del Wing Hove riapparvero, illuminati dal bagliore rosso del sole al tramonto. La "Jerle Shannara" era a meno di un'ora dalla costa e non si era vista traccia delle navi del Morgawr. Con il ritorno dei due cavalieri, Redden Alt Mer intendeva fare rotta verso sud e approfittare di qualche varco tra le montagne costiere per poi iniziare la traversata dello Spartiacque Azzurro. Hunter Predd portò Ossidiana sotto la nave, si sciolse dalle cinghie di sicurezza, afferrò la scaletta di corda e salì fino al parapetto. Alt Mer gli tese la mano e il Cavaliere del Wing Hove scese sul ponte. Il suo volto affilato era sudato e impolverato. Aveva lo sguardo duro, e nei suoi occhi si rifletteva il rosso del tramonto. Si guardò attorno senza parlare, fletté più volte le dita irrigidite e si stiracchiò, poi disse: «Abbiamo circa un giorno di vantaggio». Parlò a voce bassa perché nessun altro lo potesse udire. «Sono a nord, schierati lungo le montagne, e volano verso l'interno. A giudicare dallo schieramento, pensano che siamo ancora là.» «Una buona notizia per noi» commentò Alt Mer. Tese un otre d'acqua a Hunter Predd, che accettò senza parlare e poi bevve finché non l'ebbe vuotato. «Ho finito l'acqua due ore fa» commentò, restituendo l'otre. «Fra un'ora sarà buio. Dopo non sarà così facile trovarci, soprattutto quando saremo arrivati al mare.» «Può darsi di sì e può darsi di no. Ci hanno seguiti senza fatica lungo tutto lo Spartiacque e poi nell'entroterra. L'unico periodo in cui non sono riusciti a trovarci è stato dopo il naufragio. Ma non mi sembra una tattica che si possa usare con regolarità.» Redden Alt Mer brontolò in segno d'assenso e guardò l'oscurità che si addensava dietro la poppa. Le nuvole in movimento sullo sfondo delle montagne gli ricordavano un gruppo di fantasmi. Il
cavaliere aveva ragione. Non aveva motivo di credere di poter sfuggire per sempre al Morgawr. La loro migliore probabilità di successo stava nel mettere la maggior distanza possibile tra la "Jerle Shannara" e gli inseguitori. La velocità faceva la differenza tra fuggire ed essere costretti a voltarsi e lottare, e la velocità della "Jerle Shannara" era tale che neppure la "Black Moclips" poteva uguagliarla. «Ancora una cosa» disse Hunter Predd, prendendo per un braccio Alt Mer e portandolo nel punto più lontano del ponte. Non c'era nessuno accanto a loro. Bek e il principe degli Elfi erano scesi sottocoperta. «Abbiamo trovato il corpo della veggente» disse il cavaliere. Redden Alt Mer sospirò. «Dove?» «Galleggiava nell'oceano, a qualche miglio dalla costa. Tutto pieno di ferite e di ossa rotte. Non l'avrei notato se non fosse stato per Ossidiana. I Roc hanno la vista più acuta della nostra.» Guardò Alt Mer e scosse la testa. «Diglielo tu al giovane Elessedil, se ce la fai. lo non posso. Non ho voglia di dare altre brutte notizie.» Strinse con forza il braccio di Alt Mer e si allontanò. Qualche momento più tardi era di nuovo in sella a Ossidiana e si allontanava nell'oscurità. Alt Mer lo guardò e rimpianse di non essere con lui.
27. Volarono per tutta la notte e all'alba raggiunsero la punta della penisola. I Cavalieri del Wing Hove erano andati in avanscoperta per vedere se c'erano ostacoli al loro passaggio, ma non avevano incontrato le navi del Morgawr. Non essendoci inseguitori a minacciarli, Alt Mer diresse la prua verso lo Spartiacque Azzurro per tornare a casa. Sapevano fin dall'inizio che il ritorno avrebbe richiesto più di sei mesi, e questo nel caso che tutto filasse liscio. Ogni variazione del piano di volo o la necessità di atterrare avrebbero allungato il viaggio. Perciò occorreva stabilire una certa routine e Redden Alt Mer non perse tempo a informare i compagni di quello che significava. Erano ridotti a tredici, e due di essi non potevano aiutare gli altri. Nemmeno Rue Meridian poteva fare molto, almeno per qualche altra settimana. E neppure i Cavalieri del Wing Hove potevano aiutare a governare la nave, perché in sella ai loro Roc dovevano procurare cibo e acqua ai compagni e andare in ricognizione per individuare gli inseguitori. Rimanevano otto uomini abili: Spanner Frew; i Corsari Kelson Riat, Britt Rill e Jethen Amenades; gli Elfi Ahren Elessedil e Kian; Bek Ohmsford e lo stesso Alt Mer. Bek avrebbe dato un buon aiuto ai cinque Corsari nel pilotare la nave, ma gli Elfi non avevano l'esperienza necessaria e potevano solo svolgere compiti elementari. Erano molto pochi per governare una nave ventiquattr'ore su ventiquattro e per parecchi mesi. Per riuscire a farlo, dovevano poter contare su un'ottima organizzazione e una grande fortuna. Alt Mer non aveva alcuna influenza sulla fortuna, perciò rivolse la sua attenzione all'organizzazione. Cominciò col preparare i turni di lavoro degli otto uomini di cui disponeva, dividendo il tempo tra gli Elfi in modo che non fossero mai di servizio tutt'e due. Per condurre la "Jerle Shannara" occorrevano almeno tre uomini, perciò preparò un ruolino con turni di otto ore, lasciando solo due uomini nel turno da mezzanotte all'alba, quando la nave era quasi ferma. Non era la soluzione perfetta, ma era la migliore che fosse riuscito a escogitare. Rue era stata la sola a lamentarsi ma Alt Mer l'aveva messa a tacere incaricandola della rotta, cosa che 1 avrebbe costretta a occuparsi della nave anziché dell'infermeria. In teoria la nave era in buone condizioni. A bordo c'era cibo sufficiente per varie settimane e avevano attrezzature per la caccia e la pesca che avrebbero permesso di rifornire le scorte. L'acqua era un problema più grave, ma Redden Alt Mer pensava di potersi fare aiutare dai Cavalieri del Wing Hove. A bordo c'erano anche molte armi in caso di attacco. Ora che avevano rimontato i cristalli di diapso recuperati nella foresta, potevano far volare la nave a piena potenza, e dato che la "Jerle Shannara" era la nave più veloce delle Quattro Terre, nessun'altra, neppure la "Black Moclips", era in grado di raggiungerla.
Ma la realtà è spesso assai diversa dalla teoria. La "Jerle Shannara" aveva sopportato batoste notevoli da quando aveva lasciato Arborlon. Era stata danneggiata più volte, era naufragata, e aveva più riparazioni di quante Alt Mer si sarebbe augurato. Neppure una nave costruita da un maestro d'ascia come Spanner Frew poteva sopportare un trattamento simile senza perdere qualcosa. La "Jerle Shannara" era una buona nave ma non era più nelle condizioni in cui era partita. Se fosse rimasta intera per metà della distanza che dovevano percorrere, sarebbe stato un miracolo. Era probabile che prima di allora avesse bisogno di riparazioni. Il problema sarebbe stato la gravità dei danni. Se fossero stati seri e avessero richiesto molto tempo. Morgawr li avrebbe raggiunti. Redden Alt Mer non era abituato a farsi illusioni e non pensava che il mago perdesse le loro tracce. Come aveva osservato Hunter Predd, li aveva già scovati all'andata e sarebbe riuscito a scovarli anche al ritorno. L'oceano era grande e le rotte possibili infinite, ma qualunque rotta scegliessero, dovevano tornare a casa. Se non avessero preso la via diretta, avrebbero trovato il Morgawr e le sue navi ad aspettarli all'arrivo. Se invece fossero riusciti a raggiungere le Quattro Terre prima dei nemici, avrebbero potuto trovare rifugio e aiuto. Era la scelta migliore. Perciò si era rivolto ai compagni come comandante e capo della spedizione e aveva assegnato a ciascuno ì suoi compiti, pur essendo sicuro di poter solo rimandare l'inevitabile. Ma un buon comandante sapeva che il volo era sempre pieno di imprevisti e che la routine e l'ordine erano il migliore addestramento per essere preparati ad affrontarli. Le disgrazie erano inevitabili, ma non era necessario che le si incontrasse subito. Un pizzico di fortuna poteva tenerle lontane, e lui ne aveva sempre avuta. Visto tutto ciò che la nave aveva dovuto superare per arrivare fin lì, tendeva a pensare che la fortuna non l'avesse ancora abbandonato. E non l'abbandonò nelle settimane successive. Incontrarono tempo favorevole con vento teso e cielo sereno ed ebbero regolari occasioni per procurarsi cibo e acqua. Volarono sullo Spartiacque senza bisogno di rallentare o di fermarsi. Qualche tubo radiante si logorò, qualche vela-luce si lacerò, fu necessario regolare le valvole di Parse, i controlli si guastarono: tutto come Alt Mer si aspettava, ma non si tratta-va di danni gravi e in breve tempo vennero riparati. Cosa più importante, non si vide traccia delle navi del Morgawr e non ci fu mai alcuna prova che il mago li avesse rintracciati. Alt Mer continuò a controllare che il suo piccolo equipaggio svolgesse con diligenza i compiti assegnati e quando gli sembrava che avessero bisogno di qualcos'altro per occupare il tempo o per distogliere la mente dai problemi del viaggio, provvedeva subito. Dapprima lo spirito collettivo era piuttosto cupo, a causa delle perdite subite nella Parkasia. Ma col passare del tempo e col crescere della distanza, lo stato d'animo cominciò a risollevarsi. Anche il fatto di seguire una routine priva di rischi e di incertezze diede a tutti una nuova sicurezza e tornarono ad avere fiducia in sé e nella possibilità di un futuro ritorno nelle Quattro Terre, di una vita diversa dagli orrori delle precedenti settimane. Ahren Elessedil impiegò un tempo maggiore per allontanare il dolore. La sua sofferenza era palpabile, ma Bek era convinto che prima o poi avrebbe superato il trauma della perdita di Ryer Ord Star. Quando Big Red gli aveva comunicato la notizia della sua morte, il principe degli Elfi aveva perso ogni interesse per la vita, aveva smesso di mangiare e non aveva più voluto parlare, si era rifugiato sottocoperta e rifiutava di uscirne. Bek aveva continuato ad assisterlo, a parlargli, anche se non rispondeva, e a portargli cibo e acqua finché non aveva ripreso a mangiare. Alla fine smise di incolparsi della morte di Ryer. Trovava difficile parlare di lei, perciò Bek non la nominava mai. Spesso discutevano di Grianne, che era ancora nella condizione delle settimane precedenti, una statua con lo sguardo fisso dinanzi a sé, remota e indifferente. Ricordando ciò che la Strega aveva fatto a Quentin, si dicevano che quel breve risveglio indicava che poteva uscire dal suo stato. Ahren teneva le parti di Grianne più di quanto sarebbe sembrato possibile, dopo tutti i guai che gli aveva procurato direttamente o indirettamente, ma il giovane Elessedil sembrava capace di perdonare e comprendere e mostrava una maturità che non possedeva alla partenza da
Arborlon, tanti mesi prima. Del resto, anche Bek era più maturo di allora. Entrambi, nonostante la giovane età, erano ormai usciti dall'adolescenza. Quentin continuò a migliorare. Era sveglio per gran parte del tempo, anche se solo per brevi tratti, ma era ancora debole e non poteva lasciare il letto. Ci sarebbero volute settimane prima che riuscisse a stare in piedi e ancora di più prima che riprendesse a camminare. L'Highlander non ricordava quasi nulla di quanto era accaduto nella foresta di Crake e della guarigione magica da parte di Grianne, ma Bek gliel'aveva raccontato. Andava da lui tutti i giorni, e vedeva tornare pian piano il suo sorriso e il suo senso dell'umorismo e ogni volta trovava nuove ragioni per sperare. Bek passava molto tempo anche con Grianne, parlandole, cantando, nell'inutile tentativo di arrivare a lei. Si era di nuovo chiusa in se stessa. Nessuno dei sistemi che Bek aveva provato l'aveva fatta uscire dal suo stato. Il fatto che una volta ne fosse uscita lo rendeva perplesso, ma che si rifiutasse di farlo una seconda volta lo faceva ammattire. Non riusciva a vederne la ragione, e l'incapacità di trovare una soluzione era sempre più frustrante. Tuttavia continuò a tentare, senza abbattersi, sicuro di trovare prima o poi il modo di raggiungerla, sicuro che Walker aveva detto la verità quando gli aveva promesso che la sorella sarebbe tornata a lui. Passò con Rue Meridian qualche breve minuto rubato, senza farsi vedere dai compagni, persi in discorsi e abbracci che avevano significato solo per loro. Lei lo amava a tal punto che Bek si sentiva morire ogni volta che si separavano. Pensava di avere una fortuna che pochi uomini avevano e nel silenzio della mente la ringraziava cento volte al giorno. Rue gli diceva che la guariva, che le ridava la vita in un modo che non avrebbe creduto possibile. Era andata alla deriva, gli spiegò, si era persa nei suoi vagabondaggi da corsara, lontana da ogni cosa importante, preoccupata solo dell'oggi e delle necessità del momento. Il fatto di aver trovato in lui la salvezza la stupiva ancora. Confessò di non avergli dato importanza, all'inizio, di averlo visto solo come un ragazzo, ma giudicava rilevante il fatto che fosse stato per prima cosa suo amico: l'amore per lui era costruito su quelle fondamenta. Rue disse a Bek che era la sua ancora di salvezza. Lui disse a Rue che lei era un miracolo. Esprimevano la loro passione e la loro meraviglia quando la notte era scura e i compagni dormivano, e se qualcuno li vide non ne parlò. Forse coloro che li notavano si rallegravano che Bek e Rue condividessero un amore, un'affermazione di vitalità superiori a qualunque disgrazia. Forse da quell'unione di due anime ferite i compagni traevano la speranza di poter guarire dei propri dolori. I giorni passarono e la "Jerle Shannara" continuò a navigare, portandoli sempre più lontano dalla Parkasia e sempre più vicino a casa. Sotto la nave, i voraci uccelli marini giravano attorno ai resti dei pasti consumati dai predatori e i banchi di krill cercavano di sfuggire alle fauci dei giganteschi cetacei. Molto lontano, sul Prekkendor, gli uomini continuavano a combattere su una pianura larga cinque miglia e lunga venti. Ancora più lontano, le creature dell'antica magia dormivano, avvolte nella rete dei loro sogni inquieti e chiuse nelle mura impenetrabili delle loro prigioni. Ma nel cielo sopra lo Spartiacque Azzurro, i guai di altri luoghi e di altri esseri erano lontani come il passato, e i regni sotterranei rimanevano a un mondo di distanza. Anche i mondi lontani finiscono però per scontrarsi. Dopo otto settimane di viaggio, quando le Quattro Terre erano ancora lontanissime, la famosa fortuna di Redden Alt Mer terminò. Il sole splendeva e il tempo era perfetto. Facevano rotta per l'isola di Mephitic, dove speravano di servirsi dei Cavalieri del Wing Hove per procurarsi acqua dolce e cacciagione, mentre la nave rimaneva al sicuro in aria. Alt Mer era al timone e con lui sul ponte c'erano due uomini: Britt Rill che si occupava dei tubi di sinistra e Jethen Amenades di quelli di destra. Gli altri dormivano sottocoperta, a parte Rue Meridian, che vegliava Quentin e Grianne nella cabina del comandante, e Ahren Elessedil, che intrecciava sagole in una delle postazioni di combattimento di babordo. Alt Mer aveva appena fatto il punto, quando un tubo di mezzana cedette con uno schianto secco che gli fece abbassare d'istinto il capo. 11 tubo gli passò sopra la testa, si agganciò a quello di sinistra e lo staccò. Subito gli alberi si piegarono verso destra e il peso delle vele aumentò l'inclinazione,
spezzando i sostegni di metallo e i pennoni. Per reazione alla perdita di bilanciamento delle vele e alla caduta di potenza dei tubi, la nave sbandò bruscamente a sinistra. Alt Mer lanciò un avvertimento a Rill e ad Amenades, i quali erano corsi a legare i tubi che si erano sciolti, ma prima che riuscisse a raddrizzarla nave, la "Jerle Shannara" ruotò di scatto, scaraventando Rill contro il parapetto e Amenades fuoribordo. Si trovavano a mille piedi d'altezza: Amenades era un uomo morto nello stesso istante in cui fu scagliato fuoribordo. Senza perdere tempo a cercare di salvare il compagno, Alt Mer afferrò i comandi e gridò a Rill dì aggrapparsi a qualcosa e di tenersi stretto. Senza controllare se l'uomo avesse obbedito, tolse potenza a tutti i tubi radianti meno i due di prua, e scese di quota. Udì qualche oggetto pesante sfasciarsi contro le paratie e rotolare nei corridoi, accompagnato da un fiume di imprecazioni. Quando la nave finalmente si raddrizzò, Alt Mer invertì la potenza fra le due fiancate e approfittò della pressione del vento sulla vela maestra per far alzare la prua. Attese che la nave finisse di sussultare, poi la fece scendere lentamente sull'oceano e chiuse tutti i cristalli. Britt Rill si alzò, Ahren Elessedil salì dalla postazione dì combattimento e tutti gli altri arrivarono dai boccaporti e si diressero verso Alt Mer. Il comandante li zittì e li mise al lavoro sui tubi slegati, sugli alberi che erano ruotati e sui pennoni caduti. Un rapido esame agli ordini di Spanner Frew rivelò che il danno era superiore a quanto pensasse Alt Mer. Questa volta il problema non era complesso come quello causato dalla perdita dei cristalli di diapso, ma molto più Semplice. L'albero di poppa era scheggiato in diversi punti e non poteva essere riparato: occorreva sostituirlo. Per farlo avrebbero dovuto raggiungere la terraferma, tagliare un albero adatto e lavorarne il fusto. L'unica isola alberata della zona era Mephitic. Alt Mer fece una smorfia all'idea, ma non aveva alternativa. Inviò i Cavalieri del Wing Hove a recuperare il corpo di Jethen Amenades, poi riunì i compagni per spiegare le sue intenzioni. Nessuno fece commenti. Non c'era molto da dire. Le circostanze imponevano una linea di condotta che avrebbero preferito evitare, ma non si poteva farci niente. Potevano solo atterrare lontano dal castello che ospitava lo spirito malvagio incontrato all'andata da Bek e da Truls Rohk e augurarsi che non potesse uscire dalle mura. Fecero quello che potevano, staccando i tubi di poppa e riducendo di un terzo la velocità. La nave più veloce dei cieli era diventata assai lenta e se il Morgawr li stava seguendo, presto li avrebbe raggiunti. I Cavalieri del Wing Hove tornarono con il corpo di Amenades. I compagni lo legarono ad alcuni pesi e lo seppellirono in mare prima di ripartire. Fecero rotta per Mephitic e procedettero con difficoltà per tutto quel giorno e i due successivi, continuando a guardarsi ansiosamente alle spalle. Ma il Morgawr non comparve e il viaggio proseguì ininterrotto fino a metà del quarto giorno, quando una terra apparve all'orizzonte. Era l'isola che cercavano, riconoscibile all'istante dalla larghezza e dall'altezza delle sue coste. Verdeggiante di foreste e di pianure erbose, brillava nell'aria tremolante per il calore come una gemma verde appoggiata su velluto azzurro, ingannevolmente calma e invitante. Dalla sua posizione ai comandi nella garitta del pilota, Redden Alt Mer la guardò rassegnato. «Cerchiamo almeno di fare presto» mormorò tra sé, e iniziò le manovre di atterraggio. Si posarono sulla vasta pianura di fronte alle rovine del castello, lontano dalla lunga ombra delle sue mura cadenti. In un primo tempo Alt Mer aveva pensato di atterrare in qualche altro punto, poi aveva deciso: la pianura occidentale offriva una posizione favorevole per montare la guardia e avvistare chiunque si avvicinasse per minacciarli. Dava per scontato che lo spirito del castello potesse sentire la loro presenza in qualsiasi punto dell'isola e la sua speranza era che non fosse in grado di raggiungerli o non badasse a chi non lo disturbava. Mandò i Cavalieri del Wing Hove a cercare cibo e acqua, poi Spanner Frew, Britt Rill e Relfo Kian a cercare un tronco da cui si potesse ricavare il nuovo albero. Gli altri furono messi di sentinella o incaricati delle pulizie. Al tramonto, tutti erano di nuovo a bordo. I Cavalieri del Wing Hove avevano trovato una fonte e Spanner Frew un albero adatto, e l'aveva abbattuto. Lo spirito delle rovine non si era fatto vedere. A
parte Quentin e Grianne, sedettero insieme a poppa e cenarono, guardando il tramonto che illuminava di rosso e oro le cupe mura e torri del castello, come per tentare invano di metterle sotto la luce migliore. Quando il sole sparì sotto l'orizzonte, il colore sfuggì dalle pietre e le ombre della notte si chiusero su di esse. Alt Mer continuò a osservare il profilo delle rovine dopo che gli altri si furono ritirati. Stando ai turni assegnati, doveva montare la guardia Kian, ma Alt Mer lo mandò sottocoperta e decise di prendere il suo posto, pensando che comunque quella notte non sarebbe riuscito a dormire, Prese posizione a poppa affidando a Riat la responsabilità di controllare la distesa dello Spartiacque, e dedicò la propria attenzione al paesaggio piatto di Mephitic. I suoi pensieri presero a vagare. Era preoccupato da quello che giudicava il suo fallimento come comandante. Troppe persone erano morte viaggiando con lui e non si dava pace. Poteva fingere che la responsabilità ricadesse su altri, ma non era tipo da cercare capri espiatori. Un comandante era responsabile delle persone che trasportava, quali che fossero le circostanze. Non poteva fare nulla per coloro che erano morti, ma a preoccuparlo era il timore di non poter fare nulla per i sopravvissuti. La sua sicurezza si era via via erosa da quando erano giunti nella Parkasia: una graduale riduzione della sua certezza che a chi viaggiava con lui non potesse succedere niente. La sua reputazione si basava su quella sicurezza. Lui aveva fortuna, e la fortuna era la dote più importante per il comandante di una nave. «La mia fortuna» mormorò. Che provassero a chiedere l'opinione di Jahnon Pakabbon, o di Rucker Bont e Tian Cross. O di uno qualsiasi degli Elfi che si erano diretti alle rovine di Castledown e non erano tornati. O di Jethen Amenades. Che fortuna aveva portato loro Alt Mer? Non pensava di essere stato la causa della loro morte, ma non aveva trovato un modo per evitarla. E dato che non era riuscito a salvare quegli uomini, temeva di avere perso del tutto la capacità di farlo. Presto o tardi, la fortuna finisce. L'aveva sempre saputo. La sua aveva cominciato a tradirlo quando aveva accettato di compiere quel viaggio. Era così sicuro di sé, così certo che tutto sarebbe andato come voleva lui. Invece era andato tutto storto e adesso Walker era morto e Alt Mer aveva il comando. Che utilità poteva avere questo per coloro che dipendevano da lui, se la sua famosa fortuna era arrugginita e piena di crepe? Guardando la massa scura delle rovine, dirimpetto a lui, non poteva fare a meno di pensare che il castello diroccato, crollato e abbandonato fosse la sua stessa immagine. Tuttavia l'orgoglio non gli permetteva di accettare la totale impotenza. Anche se la sua fortuna si era esaurita, anche se poteva ritenersi ormai condannato a causa di quella mancanza, avrebbe trovato il modo di aiutare i compagni. Era il compito che doveva assegnarsi: finché gli rimaneva vita, doveva tentare di portare a casa sane e salve le undici persone rimaste. Riuscire in questo gli avrebbe dato un po' di pace. Che una delle persone fosse sua sorella e un'altra il giovane che lei amava rendeva ancora più pressante il suo impegno. E il fatto che tutti fossero suoi amici lo rendeva indispensabile. Stava pensando a questo, quando sentì una presenza accanto a sé e vide Bek Ohmsford, fermo al suo fianco. Ne fu sorpreso, forse perché proprio in quel momento stava pensando a lui, e per qualche istante rimase senza parole. «Di là non esce» disse Bek, accennando al castello. Aveva un'espressione molto seria, come se i pensieri lo portassero in luoghi oscuri e reconditi. «Non devi preoccuparti.» Alt Mer seguì il suo sguardo. «Come lo sai?» «Non mi ha inseguito quando gli ho rubato la chiave, l'altra volta che siamo stati qui. Non ha oltrepassato le mura, non è uscito dalle rovine.» Fece una pausa. «Credo che non possa uscire all'esterno. Può darti la caccia fino alle mura, ma non oltre. Non può andare più in là.» Il comandante rifletté su quelle parole. «Non ci ha fatto nulla quando abbiamo esplorato le rovine, vero? Ha usato la magia per farci imboccare corridoi ciechi e far apparire e scomparire pareti, in modo che non riuscissimo a trovare nulla.» Bek annuì. «Penso che non ci farà nulla se rimarremo qui. Ma anche se entreremo, probabilmente non si occuperà di noi se non cercheremo di rubare qualcosa.»
Per qualche istante continuarono a guardare le mura buie, tendendo l'orecchio nel silenzio della notte. Una forma scura, alata, attraversò l'azzurro cupo del cielo illuminato dalle stelle, un rapace a caccia. Lo videro abbassarsi e infilarsi nell'oscurità impenetrabile degli alberi. «Che ci fai qui?» chiese Alt Mer. «Perché non sei a dormire?» Era stato quasi sul punto di chiedergli perché non fosse con Rue, ma Bek non ne aveva parlato e Alt Mer non pensava che spettasse a lui entrare in argomento. Bek scosse la testa e si passò la mano nei capelli. «Non riuscivo a dormire. Sognavo di Grianne e questo mi ha svegliato. Penso che il sogno mi abbia rivelato qualcosa d'importante, ma non ricordo cosa. Mi ha tormentato a tal punto che non sono riuscito a riprendere sonno, così sono venuto su.» Alt Mer cambiò posizione, a disagio. «Non sei ancora riuscito a raggiungerla, vero? Non c'è riuscita neppure Little Red. Non avrei mai pensato che facesse una cosa simile, ma va da lei tutti i giorni e le si siede davanti.» Bek non fece commenti e Alt Mer lasciò cadere l'argomento. Cominciava a sentirsi stanco, e tutt'a un tratto si pentì di avere mandato Kian a dormire. «Ce l'hai con me per Rue?» gli chiese all'improvviso Bek. Alt Mer lo guardò sorpreso. «Non ti pare un po' tardi per chiedermelo?» Bek annuì senza guardarlo. «Non voglio che tu sia arrabbiato. Per Rue e per me è importante che tu non lo sia.» «Little Red ha smesso da molto tempo di chiedermi il permesso per quello che intende fare» rispose con calma Alt Mer. «E' la sua vita, non la mia. Non le dico come deve viverla.» «Questo significa che per te va bene?» «Significa che...» S'interruppe, confuso. «Non so cosa significa. Non so se va bene. Forse perché mi chiedo cosa succederà quando tornerete a casa e dovrete prendere una decisione sulla vostra vita. Siete molto diversi, non venite dalle stesse esperienze.» Bek rifletté su quelle parole. «Può darsi che non siamo obbligati a tornare alla vecchia vita. Può darsi che possiamo viverne una nuova.» Alt Mer sospirò. «Ti dirò una cosa, Bek. Tu puoi ottenere tutto quello che vuoi se ti metti d'impegno, ne sono convinto. Se la ami quanto credo, quanto lei ama te, troverai la maniera. Non chiedermi cosa penso o se mi dà fastidio o se ho consigli da darti o qualunque altra cosa. Non chiedere a nessuno. Fa' quello che ritieni giusto e basta.» Gli posò una mano sulla spalla. «Naturalmente penso che dovresti diventare un corsaro. Hai il volo nel sangue.» Sbadigliò. «Intanto, visto che sei così sveglio, fa' la guardia per me. Mi accorgo ora di avere bisogno di dormire.» Senza aspettare la risposta, si diresse al boccaporto principale e scese sottocoperta. Dopo quel discorso con Bek, c'era una nuova sicurezza nel suo passo. In un modo o nell'altro, avrebbe fatto qualcosa per tutti, promise a se stesso. Se lo sentiva nelle ossa, All'alba, tutti erano già svegli e al lavoro, occupati nelle riparazioni alla "Jerle Shannara". Con asce e pialle, Spanner Frew e gli altri due Corsari impiegarono tutta la mattina per ripulire il tronco dell'albero e dargli la forma necessaria. Era ormai passato mezzogiorno quando lo portarono alla nave per preparare gli alloggiamenti dei pennoni e del sartiame. Si trattava di un lavoro minuzioso e comportava l'accurato recupero delle borchie e degli anelli metallici dal vecchio albero. Ci sarebbe voluto almeno un altro giorno. Chi non poteva aiutare fu inviato a procurare cibo e acqua al posto dei Cavalieri del Wing Hove, che erano andati a controllare se avevano ancora un po' di vantaggio rispetto al Morgawr. Non ce l'avevano. Nel tardo pomeriggio i cavalieri tornarono, fecero atterrare i Roc accanto alla nave volante e riferirono la brutta notizia. La flotta del Morgawr era a meno di sei ore e puntava dritta su di loro. Nonostante tutto, lo stregone era riuscito di nuovo a rintracciarli. Se le navi nemiche avessero continuato a viaggiare alla stessa velocità, sarebbero arrivate su Mephitic poco dopo il tramonto.
Occhi ansiosi passarono da un volto all'altro. Impossibile finire le riparazioni alla "Jerle Shannara" prima di allora. Se avessero cercato di allontanarsi così com'erano, avrebbero viaggiato a una velocità tanto ridotta che il più lento degli inseguitori li avrebbe raggiunti in un paio di giorni. Le alternative erano ovvie: dovevano cercare di nascondersi oppure affrontare i nemici. Redden Alt Mer sapeva già cos'avrebbero fatto. Era pronto fin dalla notte precedente, quando aveva deciso che nessun altro sarebbe morto sotto il suo comando. Preparandosi al peggio, aveva messo a punto un piano che gli era stato suggerito da alcune parole di Bek. «Raccogliete tutto» ordinò, andando in mezzo agli altri come se si accingesse per primo a raccogliere ì loro attrezzi. «Non lasciate nessuna traccia che segnali la nostra presenza. Portate tutto sulla nave e preparatevi a partire. Hunter Predd, tu e Po Kelles riuscite a trovare un nascondiglio per voi e per i Roc su uno degli atolli? Dovrete rimanerci un paio di giorni.» I Cavalieri del Wing Hove si guardarono con aria incerta, poi fissarono Alt Mer. «E dove sarete, mentre noi stiamo al sicuro a terra?» chiese Hunter Predd, bruscamente. «Nascosti dentro una nuvola?» Alt Mer sorrise allegro. «Nascosti sotto gli occhi di tutti, cavaliere. Nascosti proprio sotto il loro naso.»
28. Quando il Morgawr e la sua flotta di navi volanti giunsero in vista di Mephitic, l'oscurità impediva loro di svolgere una ricerca perciò dovettero gettare l'ancora vicino alla costa. 1 Mwellret passarono gli ordini del mago ai morti viventi che costituivano l'equipaggio delle navi, diedero loro le istruzioni necessarie e si misero di guardia contro un attacco notturno. Una simile eventualità era tutt'altro che remota. La preda era vicina, forse ancora sull'isola, e il suo odore più forte che mai: una scia intensa nell'aria carica di salsedine. L'indomani mattina, non appena la luce fu sufficiente, il Morgawr cercò di scoprire dove si fosse nascosta la Strega. Lasciato all'ancora il resto della flotta, con la "Black Moclips" sorvolò lentamente e con cura tutta l'isola alla ricerca del nascondiglio. Adesso il suo umore non era più cupo e furibondo come quando era morta la veggente, allorché si era sentito insieme tradito e ferito nella sua intelligenza. La veggente l'aveva indotto a seguire vicoli ciechi e visioni inutili. La "Jerle Shannara" e il suo equipaggio gli erano sfuggiti, si erano nascosti in mezzo alle montagne ed erano volati via dalla Parkasia mentre lui vi si addentrava. Con la Strega di Ilse a bordo, gli erano passati alle spalle e avevano iniziato il viaggio di ritorno. Aveva capito subito le conseguenze. La nave del druido era la più veloce, molto di più di ogni nave ai suoi comandi, compresa la "Black Moclips". Aveva perso sia il vantaggio della sorpresa sia quello del numero e se non avesse trovato il modo di capovolgere la situazione correva il rischio di lasciarseli sfuggire. Ma le Quattro Terre erano assai lontane e il destino era intervenuto a dargli una mano. Era successo qualcosa che aveva rallentato la "Jerle Shannara" permettendogli di raggiungerla. Anche quando la nave era lontana da lui, era sempre stato in grado di seguirla perché aveva a bordo la propria condanna: la Strega di Ilse; una volta che la Strega era salita a bordo, il destino della nave era segnato. La Strega aveva seguito il druido grazie alla veggente che faceva da spia: esattamente come lei, il Morgawr aveva seguito lei grazie alla sua magia. L'odore della magia era chiaro e forte nell'aria, una pista inconfondibile. Per qualche tempo, quando la Strega si era rifugiata nelle montagne insieme al fratello, ne aveva perso le tracce. Aveva pensato che avesse smesso di usare la magia, anche se non era da lei. Poi, solo qualche giorno prima che il principe degli Elfi fuggisse e il Morgawr ordinasse di uccidere la veggente, c'era stato un uso prolungato della magia nelle montagne della Parkasia. A quell'epoca, occupato a seguire le false visioni della veggente, l'aveva ignorato. Ma adesso aveva ritrovato la scia della Strega, ed era così forte che non gli serviva altro. L'aria attraverso cui volava era permeata di brevi scariche di magia che non riusciva a spiegarsi, ma che sapeva leggere senza difficoltà.
Dovunque la Strega si recasse, finché fosse rimasta sulla "Jerle Shannara" sarebbe riuscito a trovarla. Il suo odore era adesso sull'isola, vi gravava come una cappa, portato dappertutto dalla brezza. Ma si allontanava dall'isola? Erano partiti prima del suo arrivo? Intendeva scoprirlo. Perlustrò Mephitic da un capo all'altro seguendo la scia della magia, e ben presto capì che non si estendeva all'esterno dell'isola. Sentì l'eccitazione crescere in lui fino a rasentare la frenesia. Erano ancora là, li aveva intrappolati. Pregustava già la vita della Strega fluire in lui, ne immaginava il sapore squisito. Esaminò l'isola con scrupolo, a bassa quota, attento a tutti i particolari, cercando di scoprire dove si erano rifugiati, certo che per quanto si nascondessero bene, non sarebbero riusciti a camuffare l'odore della magia. Potevano abbandonare la nave, anche se non pensava che fossero così pazzi, ma finché avevano la piccola Strega, erano suoi. Se il ragazzo era suo fratello, e ne era quasi certo, era impossibile che la lasciassero. Eppure non riuscì a trovarli. Scrutò dall'aria fino ad avere male agli occhi e a perdere la calma. Mise ai parapetti, a cercare, Cree Bega e i suoi Mwellret, ma anch'essi non videro nulla. Perlustrarono l'isola per buona parte del mattino e a quel punto lo stregone fece venire le altre navi, in modo che coprissero completamente il territorio. Quando nemmeno quel sistema ebbe successo, fece sbarcare i Mwellret perché cercassero a piedi, sotto il comando di Cree Bega. Passarono al setaccio le foreste e anche le praterie, alla ricerca di qualsiasi indizio che indicasse la presenza della sua preda. Fece frugare loro tutta l'isola, meno le rovine. Il castello presentava un problema. All'interno delle mura c'era qualcosa di vivo, una creatura nata dall'antica magia e non di carne e sangue. Sotto forma di spirito, viveva laggiù da migliaia di anni e considerava quelle mura diroccate e quelle torri cadenti come il suo territorio. Il Morgawr ne aveva sentito la presenza fin dall'inizio e aveva anche capito che poteva essere forte quanto lui. Non intendeva inviare i Mwellret a esplorare il suo territorio a meno che non ci fosse una buona ragione. Dall'aria non aveva visto nulla che suggerisse la presenza della sua preda all'interno del castello. Dubitava che fossero là dentro, ma se c'erano avrebbe dovuto trovarne qualche traccia. La caccia proseguì per il resto della giornata senza risultato. Il Morgawr era furioso. Era impossibile che si fosse sbagliato sull'odore della magia, ma, nonostante questa certezza, prese la "Black Moclips" e fece il giro dell'isola, tenendosi a una notevole distanza, per capire se per caso si era confuso. Ma i risultati furono gli stessi: non c'era nessuna scia che puntasse verso l'esterno. A meno che non avessero trovato il modo di mascherare l'odore di magia della Strega di Ilse, cosa che non avevano ragione di fare perché non ci pensavano, erano ancora sull'isola. Al tramonto ne era convinto. Un albero era stato abbattuto poco tempo prima e la presenza dì trucioli indicava che era stato lavorato per costruire qualche oggetto. Un albero della nave, probabilmente. La rottura di un albero spiegava come mai avevano rallentato fino a essere raggiunti da lui. I Mwellret trovarono anche alcune orme nel folto del bosco, dove la terra era più cedevole. E sulla pianura davanti al castello c'erano solchi freschi, che potevano essere stati prodotti da una nave ormeggiata. A quel punto il Morgawr non aveva dubbi: la "Jerle Shannara" era stata su Mephitic fino al giorno prima e, a meno che non si fosse completamente sbagliato, c'era ancora. Ma dove si nascondeva? Gli occorsero pochi secondi per capirlo: la nave era dentro il castello, non c'erano altri luoghi. Rimandò i Mwellret sulle navi e fece compiere loro un ultimo giro sull'isola ammantata dal crepuscolo prima di tornare sul mare e gettare le ancore a poca distanza dalla riva. Dispose la guardia, e mentre i Mwellret preparavano la nave per la notte si fermò da solo a prua della "Black Moclips", riflettendo. Non sapeva ancora cosa fosse successo per riunire la Strega di Ilse e suo fratello. Non sapeva se fosse alleata del fratello o sua prigioniera. Doveva presumere la prima eventualità, anche se non aveva idea di come ciò fosse avvenuto. Questo significava che adesso la Strega aveva non soltanto l'aiuto del fratello, ma anche del giovane principe Elessedil e dei compagni del druido ancora vivi.
Ma non c'era più il druido a proteggerla, e il druido era il solo che avrebbe potuto opporsi a lui. Gli altri, anche se avessero lottato tutti insieme, non erano abbastanza forti. Il Morgawr era vivo da molto tempo e aveva combattuto duramente per questo scopo. Il potere della sua magia era spaventoso e la sua capacità di usarlo più che sufficiente per sopraffare quei dilettanti. Tuttavia, doveva procedere con cautela. Ormai sapevano della sua presenza e lo stavano aspettando. Avrebbero cercato di difendersi, ma sarebbe stato inutile. Molti di loro sarebbero morti subito per mano dei suoi Mwellret, che avrebbero lasciato a lui coloro che possedevano qualche magia. A quel punto, pochi rapidi colpi e tutto sarebbe finito. Però la sua piccola Strega di Ilse la voleva viva, per potersi nutrire di lei, per sentire la sua vita scorrergli tra le dita. L'aveva addestrata a succedergli, un'immagine speculare di se stesso. Lei lo era divenuta, la sua magia si era nutrita di rabbia e disperazione. Ma l'ambizione e la caparbietà le avevano fatto perdere la cautela e non poteva più fidarsi di lei. Meglio eliminarla che rischiare il suo tradimento. Meglio fare di lei un esempio, in modo che nessuno potesse nutrire dubbi. Del resto, Cree Bega e i suoi Mwellret volevano che si sbarazzasse di lei. L'avevano sempre odiata, forse l'avevano capita meglio di lui. Alzò lo sguardo. L'indomani l'avrebbe vista morire come infiniti altri prima di lei. La cosa gli avrebbe dato una grande soddisfazione. Irradiando sete di sangue e nero veleno, rimase ancora per molto tempo vicino al parapetto, immobile, a pregustare il suo piacere. Acquattato tra le ombre delle mura diroccate del castello, a una dozzina di iarde dal nascondiglio della "Jerle Shannara", Bek Ohmsford guardò la massa cupa di una nave volante passare sopra di loro, per poi virare e passare di nuovo. Si muoveva sulle rovine come una nube carica di tempesta. «E' la "Black Moclips"» gli sussurrò Rue, appoggiandosi a lui. Le sue parole erano poco più di un soffio d'aria nel silenzio. Lui annuì, senza rispondere. Prima di parlare, attese che la nave fosse abbastanza lontano. «Sa che siamo qui» aggiunse. «Forse no» ribatte Rue. «Lo sa. Se non lo sapesse, ormai se ne sarebbe andato. Ha perlustrato tutta l'isola e non ci ha trovati, ma sa che siamo qui. Sente in qualche modo la nostra presenza. Domani verrà a frugare in queste rovine.» Erano rimasti nascosti per tutto il giorno, da quando Redden Alt Mer aveva portato la "Jerle Shannara" all'interno del castello. Era una mossa rischiosa, ma il comandante dei Corsari era certo del successo. Se lo spirito che viveva nelle rovine non si era curato di loro quando avevano cercato la chiave, non se ne sarebbe curato neppure se avessero fatto scendere la nave in uno dei suoi numerosi cortili. Se non rubavano nulla, avrebbe sopportato la loro presenza quanto bastava a ingannare il Morgawr. C'era il tempo di mettere alla prova il loro piano prima che lo stregone li raggiungesse, perciò avevano provato subito. Avevano fatto atterrare la "Jerle Shannara" nelle rovine, in mezzo a un alto complesso di mura e torri. Dopo essersi ancorati, avevano tolto vele e alberi, lasciando nudo il ponte. Terminato quel lavoro, avevano coperto la nave di pietre, terra e cespugli finché dall'alto, in sella a un Roc, non la si vide più e non se ne sospettò la presenza. Alt Mer sapeva di correre un grosso rischio. Se li avessero scoperti, non avrebbero avuto la possibilità di decollare, senza alberi e senza vele. Sarebbero rimasti intrappolati e li avrebbero uccisi oppure catturati. Ma il comandante dei Corsari contava anche su qualcos'altro. Quando avevano cercato di penetrare nelle rovine, durante il viaggio di andata, lo spirito che abitava nel castello aveva usato la magia per confonderli. Ogni tentativo li aveva portati in vicoli ciechi e lungo percorsi obbligati, e alla fine si erano sempre trovati all'esterno. Se quella magia era ancora operante, avrebbe funzionato allo stesso modo contro il Morgawr e i suoi rettili. Una volta dentro il castello, avrebbero perso l'orientamento e non sarebbero riusciti ad andare oltre la prima cinta di mura.
Con un po' di fortuna, non si sarebbe arrivati neppure a quello, perché il Morgawr poteva giungere alla conclusione che la preda gli era sfuggita. Non aveva visto nulla dall'alto, perciò non aveva motivo di cercare in mezzo alle rovine. Ma Bek sapeva che le cose non sarebbero andate in quel modo. Il loro camuffamento era perfetto, ma l'istinto avrebbe detto al Morgawr che erano ancora sull'isola. L'istinto gli avrebbe detto che gli era sfuggito qualche particolare, e non gli sarebbe occorso molto tempo per capire di cosa si trattava. Avrebbe capito di dover setacciare le rovine e l'indomani li avrebbe cercati. Forse non avrebbe trovato nulla, ma se avesse scorto qualcosa, tutti loro erano finiti. Con Rue accanto, appoggiò la schiena contro le gelide pietre delle vecchie mura. La "Black Moclips" non era tornata e il cielo era rischiarato dalla luna e dalle stelle. Gli altri erano dentro la "Jerle Shannara", sotto stretto ordine di Alt Mer di non uscire per nessun motivo. Bek era la sola eccezione, perché occorreva una guardia all'esterno nel caso di un tentativo d'ingresso da terra e Bek poteva nascondersi allo spirito del castello, se fosse stato necessario. Rue era con lui perché si accettava tacitamente che dove c'era Bek ci fosse anche lei. Erano là dall'alba, nascosti nell'ombra, e ormai era tempo di rientrare nella nave per qualche ora di sonno. Tuttavia Bek aveva troppe cose in mente per poter dormire. I suoi pensieri passavano da un ostacolo all'altro, da una preoccupazione all'altra, tutti legati alla pericolosa situazione in cui si trovavano e al modo di uscirne. Una preoccupazione, in particolare, superava le altre. Si curvò verso Rue. «Non so come fare con Grianne.» Le parlò all'orecchio, in un sussurro. Le voci arrivavano lontano, nel silenzio di rovine come quelle, Arrivavano al di là delle mura di calce e dì pietra. «Se il Morgawr venisse a cercarla, non avrebbe modo di difendersi. Sarebbe del tutto inerme.» Rue appoggiò la testa alla sua. I suoi capelli erano sottili come seta di ragno. «Vuoi provare a nasconderla in qualche altro luogo?» gli sussurrò. «No. Dovunque la metta, il Morgawr la troverebbe. Devo svegliarla.» «Ci provi da settimane, Bek, e non ci sei riuscito. Cosa puoi tentare ancora che tu non abbia già tentato?» Le baciò i capelli e l'abbracciò. «Posso scoprire cosa la spinge a nascondersi, cosa occorre per farla uscire.» Nonostante l'oscurità, capì che Rue stava sorridendo. «Non è un piano nuovo. E' sempre quello vecchio.» Lui annuì. «Lo so, ma penso che potremmo scoprire cosa occorre per svegliarla. Abbiamo provato con tutto quello che ci è venuto in mente. Tutt'e due. Ma in modo generico, una sorta di approccio a tappeto. Walker invece ha detto che per tornare a noi Grianne doveva riuscire a perdonare a se stessa il peggiore dei suoi crimini. Penso che la chiave sia quella. Dobbiamo trovare che crimine può essere.» Rue sollevò la testa. «E come puoi farcela? Ha centinaia di cose da farsi perdonare, Come puoi sceglierne una?» «A quanto diceva Walker, si tratta della colpa che lei giudica la più grave.» S'interruppe per riflettere. «Quale potrebbe essere? Quale può sembrarle il suo crimine peggiore? Ha ucciso un mucchio di persone. Quale potrebbe essere più importante delle altre?» Rue aggrottò la fronte. «Forse è una cosa che ha fatto quando è diventata la Strega, quando era ancora molto giovane, qualcosa che ha dato inizio a tutto quello che ha fatto da allora.» Bek la fissò a lungo, ripensando al suo sogno della notte precedente. Il sogno continuava a tormentarlo, ridotto a una vaga immagine priva di dettagli. Ce l'aveva davanti in quel momento, quasi a portata. Gli sembrava che se avesse allungato la mano l'avrebbe potuto afferrare. «Che cos'hai?» gli chiese Rue.
«Non lo so. Penso che in quello che hai detto ci sia qualcosa che mi potrebbe aiutare: qualche episodio della sua infanzia.» La fissò ancora. «Devo scendere e sedermi con lei. Forse guardarla e rimanere nella stessa stanza mi può aiutare.» «Vuoi che venga con te?» Poi, vedendo che esitava, Little Red gli prese la faccia tra le mani. «Va' tu, Bek, Forse hai bisogno di rimanere solo con lei. Verrò più tardi, se hai bisogno di me.» Lo baciò con ardore, poi si staccò da lui e scomparve dentro la nave. Bek attese un momento, con le idee confuse, infine la seguì. Non c'era motivo di pensare che quella notte sarebbe stata diversa dalle precedenti, ma Bek sentiva che poteva esserlo, anche se non avrebbe saputo spiegarne la ragione. Ogni tentativo che aveva fatto, e aveva provato davvero in tutti i modi, non aveva strappato a Grianne neppure un battito di ciglia, da quando l'aveva trovata inginocchiata accanto a Walker, con la Spada di Shannara insanguinata fra le mani. Solo quando, disperato ed esausto, era scoppiato in pianto, in un momento in cui non cercava neppure di farla reagire, era uscita dalla catatonia per parlare con lui. Si era destata per ragioni che lui non aveva capito, ma quella notte intendeva venirne a capo. Occorreva trovare il collegamento tra quel singolare risveglio e il crimine che Grianne aveva commesso e che giudicava imperdonabile. Spiegò a Redden Alt Mer quello che intendeva fare e gli suggerì di mettere qualcun altro di guardia su una delle torri più alte. Alt Mer promise di occuparsene di persona, augurò buona fortuna a Bek e scese dalla nave. Il giovane rimase solo sul ponte vuoto, chiedendosi se non fosse il caso, dopotutto, di chiedere aiuto a Rue. Ma sapeva che sarebbe stata soltanto una scusa, per convincersi di avere fatto tutto il possibile nel caso di un altro insuccesso. Non poteva usare Rue. Un eventuale fallimento doveva ricadere soltanto su di lui. Scese nella cabina del comandante e vide che Quentin Leah dormiva, con la schiena girata alla candela che ardeva presso la cuccetta. I finestrini erano chiusi e coperti dagli scuri in modo che non ne uscissero né. luce né suono, e la stanza sapeva di chiuso. Bek avrebbe voluto spegnere la candela e aprire gli scuri, ma sapeva che sarebbe stato imprudente. Si avvicinò alla sorella, Era sdraiata su un fianco, con le ginocchia ripiegate sul petto e gli occhi aperti. Indossava la veste scura, ma qualcuno aveva steso su di lei una leggera coperta. Rue l'aveva pettinata nel pomeriggio e i capelli scuri brillavano come fili di seta alla luce della candela. Aveva le dita annodate tra loro e le labbra atteggiate a una smorfia, come per una preoccupazione o un brutto sogno. Bek la sollevò e la mise a sedere, la appoggiò con la schiena contro la paratia e si sedette di fronte a lei. La fissò e cercò di decidere cosa fare, pensando a ciò che sapeva. Doveva spezzare il guscio protettivo in cui si era chiusa, ma per farlo doveva sapere da che cosa Grianne si proteggeva. Cercò di immaginarlo, ma non ci riuscì. A prima vista, la sorella sembrava poco più di una bambina, ma dentro era d'acciaio e priva di scrupoli. Queste caratteristiche non erano sparite, neppure dopo il confronto con la magia della Spada di Shannara e la verità da essa rivelata. Ma quale azione poteva collocarsi in una categoria tanto diversa dalle altre? Qual era il crimine mostruoso che non riusciva a perdonarsi, dopo averne commessi tanti? Bek continuò a fissarla come lo fissava lei, senza realmente vederla, con la mente rivolta ad altro. Pensò ai primi anni di Grianne, quando era stata rapita dalla sua casa e messa nelle mani del Morgawr. Che fosse un episodio di allora, come suggerito da Rue, la cosa che non riusciva a perdonarsi? C'era qualcosa che Bek non sapeva, ma che avrebbe potuto indovinare? Poi, tutt'a un tratto, capì che forse affrontava il problema dalla direzione sbagliata. Forse non era qualcosa che aveva fatto, bensì qualcosa che non aveva fatto. Forse non era un'azione, ma un'omissione a torturarla. Poteva trattarsi di una promessa che non era riuscita a mantenere. Ripensò alle parole pronunciate da Grianne al suo risveglio, la notte in cui aveva salvato la vita a Quentin. Aveva detto che Bek non doveva piangere, che era arrivata, che si sarebbe presa cura di lui e non l'avrebbe più deluso, che era sua sorella. Ma aveva detto anche qualcos'altro. Aveva promesso di non lasciarlo mai più e di essere dispiaciuta per averlo fatto. Aveva pianto e aveva ripetuto: «Mi dispiace tanto tanto».
Bek pensò di aver trovato quanto cercava: il tradimento che lei non si era mai perdonata. Quando era una bambina di soli sei anni, l'aveva nascosto in cantina, scegliendo di salvare lui invece dei genitori. L'aveva nascosto, e mentre lo nascondeva aveva sentito morire i genitori. L'aveva lasciato laggiù ed era corsa a chiedere aiuto, ma non era neppure riuscita ad allontanarsi dal cortile di casa. Era stata rapita e portata via, poi ingannata in modo da farle credere che anche Bek era morto. Non era mai tornata a riprenderlo, non era mai andata a controllare se quello che le era stato detto era la verità. All'inizio la cosa non aveva importanza, perché lei era in potere del Morgawr e credeva alle sue spiegazioni. Ma nel corso degli anni la sua certezza si era gradualmente incrinata e aveva cominciato a nutrire dei dubbi. Per questo aveva mostrato tanta curiosità per la storia di Bek quando si erano incontrati nella foresta, la notte dopo la battaglia nelle rovine. Per questo non l'aveva ucciso subito, come avrebbe fatto in qualsiasi altro caso. Le sue parole, il suo aspetto e la sua magia l'avevano turbata. Era sconvolta dalla possibilità che fosse davvero suo fratello e che le convinzioni con cui era vissuta fossero sbagliate. Era sconvolta dall'idea di averlo abbandonato e lasciato morire invece di tornare a salvarlo. Bek non l'avrebbe mai incolpata, ma era proprio il tipo di omissione di cui Grianne poteva accusarsi, Prima aveva abbandonato i genitori e poi lui. Aveva gettato via la propria vita in cambio di alcune bugie e di un male indirizzato desiderio di vendetta. Per qualche istante Bek non seppe cosa pensare, tanto era sorpreso dall'idea che fosse così semplice. O che riguardasse qualcosa di tanto assurdo. Ma Grianne non ragionava come lui. Era passata attraverso li fiamma della magia della Spada di, Shannara ed era rinata, temprata da un fuoco che Bek non riusciva a immaginare, da verità che avrebbero distrutto una persona più debole. Era sopravvissuta grazie a quello che era, ma l'esperienza le aveva lasciato ferite profonde. Cosa doveva fare Bek? Temeva di essersi sbagliato, e in tal caso non avrebbe saputo dove altro cercare. Ma la paura era pericolosa, in quel momento. Doveva usare quella sua nuova scoperta per cercare di abbattere le difese di Grianne. Doveva scoprire se era la spiegazione giusta. Le sue alternative erano semplici. Poteva ricorrere al canto magico oppure parlarle con la stia voce normale. Scelse la seconda possibilità. Si avvicinò a lei e le appoggiò le mani sulle spalle. «Ascoltami» le sussurrò. «Grianne ascolta quello che devo dirti. Tu mi senti. Tu senti ogni parola, lo so. Ti voglio bene, Grianne. Ti ho sempre voluto bene, anche quando ho saputo chi eri. Quello che ti è stato fatto non è colpa tua. Puoi tornare a casa, adesso. Puoi tornare a casa da me. La tua casa è qui, con me. Con tuo fratello Bek.» Attese per un istante, scrutandola negli occhi inespressivi. «Mi hai nascosto al Morgawr e ai suoi rettili, Grianne, anche se non sapevi chi fossero. Mi hai salvato la vita. So che volevi tornare da me, che volevi aiutare sia me sia i nostri genitori. Ma non hai potuto farlo. Non avevi alcun modo di tornare. Non ne avresti avuto il tempo, anche se non fossi stata ingannata dal Morgawr. Non sei riuscita a tornare, ma mi hai salvato lo stesso. Nascondendomi, hai permesso a Truls Rohk di trovarmi e portarmi da Walker e così mi hai salvato. Sono vivo per merito tuo.» S'interruppe. L'aveva sentita rabbrividire? «Grianne, io ti perdono di avermi abbandonato, di non essere tornata, di non avere controllato se ero ancora vivo. Ti perdono di tutto, di tutto quello che avresti potuto fare e non hai fatto. Ma anche tu devi perdonare te stessa, non devi più nasconderti da ciò che è successo tanti anni fa. Non sono verità da cui nascondersi. Sono verità da affrontare. Nascondendoti, tu mi abbandoni di nuovo. Non farlo, Grianne. Non andartene di nuovo. Torna da me come avevi promesso.» Grianne cominciò all'improvviso a tremare, ma il suo sguardo rimase fisso, i suoi occhi vuoti come due laghi nella notte. Bek continuò a tenerla per le spalle, in attesa di qualche altra reazione. "Continua a parlare" ordinò a se stesso. "Questo è il modo giusto per raggiungerla." Cominciò invece a cantare, evocando la magia senza rendersene conto, e mise nel canto le parole che aveva appena pronunciato. Agì d'impulso, per il bisogno di comunicare con lei. Si sentiva molto vicino a raggiungerla, quasi sul punto di spezzare le sue difese. Sentiva che il guscio entro cui
Grianne si era chiusa cominciava a infrangersi. E lei era all'interno, e cercava disperatamente di uscire. Così fece ricorso al linguaggio che tutt'e due conoscevano meglio, il linguaggio che apparteneva soltanto a loro. La musica uscì da lui infusa di magia, dolce e leggera e carica di nostalgia. Si abbandonò completamente alla musica, nel modo che essa esigeva, e si perse nel suo flusso, nel suo ritmo, nella trascendenza del momento. Si allontanò dal luogo dove si trovava e portò con sé Grianne, per tornare al passato e a una vita che lui aveva a malapena conosciuto e lei scordato, a un mondo che tutt'e due avevano perso. Cantò il passato come avrebbe voluto che fosse, e per tutto il tempo continuò a dirle che la perdonava di aver lasciato quel mondo, di averlo abbandonato, di essersi persa in un labirinto di tradimenti e di bugie e di odio e di azioni mostruose che potevano sembrare imperdonabili. Cantò tutto questo per guarirla, perché potesse trovare nelle parole e nella musica il balsamo che le avrebbe permesso di accettare la crudele verità sulla sua vita e di capire che, per quanti crimini avesse commesso, il perdono poteva giungere anche a lei. Bek non avrebbe saputo dire per quanto tempo cantò: lo fece senza pensare a ciò che intendeva ottenere o a ciò che occorreva. Cantò perché la musica lo liberava dal groviglio delle proprie emozioni. Eppure l'effetto fu lo stesso. I piccoli brividi di Grianne si trasformarono in fremiti, la sua testa si sollevò e i suoi occhi si misero a fuoco. Dalla gola le uscì un grido che sembrava un ululato primordiale. Bek sentì cadere le mura che si era costruita attorno, sentì crollare il rifugio in cui si era nascosta. Poi Grianne lo abbracciò con una forza difficile da indovinare in una fanciulla così esile. Lo strinse tanto da togliergli il respiro. Piangeva sulla stia spalla e diceva: «Va tutto bene, Bek. Sono qui per te, sono tornata». Bek smise di cantare e l'abbracciò a sua volta. In silenzio chiuse gli occhi e le disse, ma senza parlare: "Rimani".
29. Grianne si era nascosta nel punto più buio che era riuscita a trovare, ma nell'oscurità che la circondava c'erano creature che le davano la caccia. Non sapeva cosa fossero, ma sapeva che non doveva guardarle. Erano pericolose, e se avessero visto i suoi occhi si sarebbero gettate su di lei come lupi affamati. Così rimaneva perfettamente immobile e non le guardava, augurandosi che prima o poi se ne andassero, Ma non se ne andavano e lei era intrappolata senza possibilità di fuga. Aveva solo sei anni e le creature che la braccavano nell'oscurità erano mostri avvolti in mantelli neri. L'avevano inseguita a lungo, con tenacia, e sapeva che non si sarebbero mai fermate. Se fosse riuscita ad allontanarsi da loro e a ritrovare la strada di casa, sarebbe stata di nuovo al sicuro con i genitori. e il fratellino. Ma quelle creature non se la lasciavano sfuggire. Ricordava bene la sua casa, rivedeva le stanze e i corridoi. Non era molto grande, ma le aveva dato calore e sicurezza. 1 suoi genitori l'amavano e si prendevano cura di lei e il fratellino si affidava a lei in tutto e per tutto. Ma lei li aveva traditi. Era corsa via da loro, era fuggita dalla casa perché le creature nere erano venute a prendere lei, e lei sapeva che se fosse rimasta sarebbe morta. Era fuggita in fretta, senza pensare, e la fuga l'aveva portata lontano da tutto ciò che conosceva, fino a quel luogo buio e vuoto, dove non c'era nulla di conosciuto. Di tanto in tanto sentiva la voce del fratello che la chiamava, da una distanza enorme. Aveva riconosciuto la voce di Bek, anche se era quella di un adulto, mentre lei sapeva che aveva solo due anni e conosceva poche parole. A volte lui cantava per lei: canzoni che parlavano della loro infanzia e della loro casa. Avrebbe voluto chiamarlo, dirgli dove si trovava, ma aveva paura. Se gli avesse detto anche una sola parola, se avesse fatto un solo rumore, le creature dell'oscurità l'avrebbero scoperta e sarebbero venute a prenderla.
Non aveva alcun senso del tempo e dello spazio. Non aveva alcun senso del mondo che stava attorno al suo nascondiglio. Tutte le cose reali erano scomparse e rimanevano solo i suoi ricordi. Si afferrava a essi come a fili d'oro, che brillavano lucenti e preziosi nel buio. Una volta Bek era riuscito a trovarla, era riuscito a entrare nel buio, grazie alle lacrime che avevano spazzato via i suoi inseguitori. Per lei si era aperto un passaggio, creato dal bisogno di Bek: un bisogno così forte che neppure le creature del buio avevano potuto resistergli. Lei aveva imboccato il cammino che portava fuori dal suo nascondiglio e aveva trovato il fratello, che guardava disperato il suo cagnolino ferito. Gli aveva detto che era tornata, che non l'avrebbe più lasciato, e aveva usato la magia per guarire il piccolo animale. Ma le creature nere erano ancora in agguato: quando lei aveva sentito il bisogno del fratello diminuire e aveva visto che il sentiero si stava chiudendo, era stata costretta a tornare nel suo nascondiglio. Senza il bisogno di Bek a sorreggerla con il suo potere guaritore, Grianne non poteva rimanere. Così era tornata a nascondersi. La strada di cui si era servita per raggiungerlo era sparita, e lei non sapeva come fare per ritrovarla. Colui che doveva indicargliela era Bek: l'aveva fatto una volta e doveva farlo di nuovo. Ma Bek era solo un bambino e non capiva cosa le era successo. Non capiva perché si nascondesse né quanto fossero pericolose le creature nere. Non capiva che lei era in trappola e che doveva essere lui a liberarla. «Ma quando mi hai detto che mi perdonavi per averti abbandonato, ho sentito che tutto cambiava» gli spiegò. «Hai detto che avevi tanto bisogno di me, e che se non fossi tornata ti avrei abbandonato di nuovo, e allora ho visto l'oscurità allontanarsi e le creature nere, le verità che non riuscivo ad affrontare, svanire. Poi ti ho sentito cantare, e la magia è penetrata e mi ha avvolta come una coperta morbida. Ho pensato che se tu potevi perdonarmi, dopo il modo in cui ti avevo tradito, potevo affrontare anche tutte le cose orribili che avevo fatto in seguito.» Erano seduti nella penombra, in un angolo della cabina, e parlavano piano per non svegliare Quentin Leah. L'ombra copriva la loro faccia e nascondeva parte dell'espressione dei loro occhi, ma Bek sapeva cosa pensava la sorella. Pensava che quando era riuscito a superare le sue difese grazie al canto magico lui sapesse ciò che stava facendo, Invece era stato un caso, tutt'al più la sua perseveranza. Aveva pensato che per svegliarla occorresse il perdono, ma si era sbagliato. Per richiamarla, aveva dovuto farle sentire la profondità del suo bisogno. «Volevo solo darti la possibilità di tornare a essere te stessa» le disse. «Non volevo che te ne stessi chiusa nella tua mente, quali che fossero le conseguenze della tua uscita.» «Non saranno buone» disse lei, accarezzandogli la guancia. «Potrebbero essere pessime.» Lo fissò con espressione serena, senza parlare. «Non riesco ancora a credere di averti trovato per davvero.» «Stento a crederlo anch'io. Ma se è per questo, stento a credere, a tutto ciò che è successo, soprattutto a me. Il mio caso non è molto diverso dal tuo. Anche nel mio caso, tutto ciò che credevo di me era una bugia.» Lei gli sorrise, ma con amarezza e una sfumatura di rimprovero. «Non dire così. Tu non sei come me, a parte che non sapevi di essere un Ohmsford. Non hai fatto le cose che ho fatto io. Non hai vissuto la mia vita. Sii grato di questo. Tu puoi guardare il tuo passato senza rimorsi. Io non potrò mai farlo. Sentirò il peso del mio passato finché vivrò. Ogni giorno rimpiangerò di non poterlo cambiare. Tutte le cose che ho fatto come Strega di Ilse rimarranno per sempre con me.» Lo guardò con fermezza. «Io ti voglio bene, e so che ne vuoi a me. Questo mi dà una speranza, Bek, Mi dà la forza che mi occorre per far uscire qualcosa di buono da tutto il male.» «Ricordi tutto quello che è successo?» chiese Bek. «Tutto quello che hai fatto quando eri la Strega di Ilse?» Lei annuì. «Tutto.» «Te l'ha mostrato la Spada di Shannara?» «Dalla prima all'ultima azione. Tutto ciò che ho fatto perché volevo vendicarmi di Walker. Tutto il male che ho fatto perché ritenevo mio diritto fare il necessario per raggiungere il mio scopo.»
«Mi spiace che tu sia dovuta passare di nuovo per tutte quelle esperienze, ma sono contento che tu sia tornata.» Lei spostò una ciocca di capelli che le copriva la faccia e Bek lesse il dolore nei suoi occhi. «Per me non c'era speranza» disse Grianne «a meno che non fossi riuscita a scoprire la verità su di me, su di te e sui nostri genitori. Su tutto ciò che è successo tanti anni fa. Sul Morgawr, in particolare. Io potevo essere solo come mi aveva resa il Morgawr, e come mi ero resa io, finché non fosse successo. E' intollerabile, ma è anche una liberazione. Non devo più nascondermi.» «Ci sono alcune cose che devi sapere» disse Bek. Era un po' imbarazzato, non sapeva da dove iniziare. «Le persone che sono con noi, i superstiti del gruppo di Walker, hanno tutti ragione di odiarti. Non ti odiano, almeno non tutti, ma hanno subito perdite per colpa tua. Penso che tu debba conoscere quelle perdite, il dolore che hai causato. Non vedo come si possa evitarlo.» Lei annuì, con un'espressione rammaricata e decisa nello stesso tempo. «Allora dimmelo, Bek. Dimmi tutto.» E Bek le parlò del viaggio, senza tralasciare nulla. Impiegò qualche tempo, e mentre parlava si accorse che qualcun altro era entrato nella stanza e si era seduto accanto a lui. Senza bisogno di guardare sapeva chi era, e vide gli occhi di Grianne spostarsi verso la nuova venuta. Continuò a parlare, temendo che se avesse distolto lo sguardo non sarebbe riuscito a proseguire il racconto. Narrò la storia del loro viaggio fino alla Parkasia, di come avessero trovato le rovine e Antrax, di come poi l'avesse incontrata nella foresta, la fuga nelle montagne la sua cattura, la fuga dalla "Black Moclips" e la discesa nei sotterranei di Castledown per scoprire che Walker l'aveva spinta a evocare il potere, della Spada di Shannara. Poi la nuova fuga nelle montagne e il ricongiungimento con quanto restava dell'equipaggio della "Jerle Shannara". Quando ebbe terminato, si voltò a guardare Rue, che fissava Grianne con espressione indecifrabile. Il tono della sua voce quando parlò, era però chiarissimo. «Il Morgawr è venuto a cercarti» le disse. «Le sue navi sono ancorate al largo. Domattina verrà a perlustrare le rovine e se ci troverà cercherà di ucciderci. Che intendi fare?» «Rue Meridian» Grianne ne pronunciò il nome come per renderla reale. «Sei una di coloro che non mi hanno perdonato?» Gli occhi di Little Red sostennero con fierezza lo sguardo. Posò una mano sulla spalla di Bek, in segno di possesso. «Ti ho perdonato.» Ma a Bek non sfuggì l'amarezza della voce di lei o la sfida che le stava dietro. "Il perdono si guadagna" pareva dire "e non si concede. Io ti perdono ma che importanza ha? Devi ancora dimostrarmi di meritarlo. Guardò la sorella e vide la sua espressione triste e addolorata. Grianne posò lo sguardo sulla mano di Rue, ferma sulla sua spalla, e le ultime tracce della bambina di sei anni che era stata per tutti quei giorni svanirono. La sua espressione si fece dura e impenetrabile, la maschera messa a punto quando era la Strega di Ilse per tenere lontani i demoni. Guardò per un istante il fratello. «Ti ho detto che non tutte le conseguenze del mio risveglio saranno buone.» Sorrise gelidamente. «Alcune saranno molto sgradevoli.» Le due donne si fissarono per un lungo istante e ciascuna rivendicava qualcosa che l'altra voleva e non poteva avere: un passato ormai svanito, un futuro ancora inesistente. Il tempo e gli eventi avrebbero deciso quanto avrebbero condiviso, ma per il momento occorreva un compromesso e nessuna delle due era mai stata molto abile in quel genere di cose. «Forse ti dovrei presentare anche gli altri» disse in tono pacato Bek, che pensava: "in una situazione come questa, l'inizio può risultare più difficile della conclusione". All'alba, Bek, Grianne e Rue erano saliti in cima a una delle più alte torri diroccate da dove potevano vedere, al di là delle rovine, fin dove erano ormeggiate le navi del Morgawr. Grianne aveva incontrato tutti i membri dell'equipaggio ed era stata accolta con maggiore amicizia di quanto Bek si aspettasse. A essere onesti, doveva ammettere che la più ostile era Rue. Le due donne parevano in lotta tra loro per qualcosa che riguardava il rapporto con lui, e che Bek non capiva
molto bene. Non potendo fare nulla per la loro avversione reciproca, si era accontentato di mantenere tra loro la correttezza. Al di là della pianura erbosa, nella luce di un'alba che annunciava una giornata incredibilmente radiosa, si scorgevano le navi del Morgawr. Bek vedeva le legnose figure dei morti viventi, ferme ai loro posti in attesa dei comandi che li avrebbero messi in moto. Vide i primi Mwellret, ammantellati e incappucciati per proteggersi dalla luce, uscire dai boccaporti. E soprattutto vide il Morgawr, sulla prua della "Black Moclips", lo sguardo fisso sulle rovine dov'erano nascosti. «Avevi ragione» disse Grianne sottovoce. Sotto la veste grigia, era perfettamente immobile. «Sa che siamo qui.» Gli altri erano nascosti nella "Jerle Shannara", in attesa di vedere cosa sarebbe successo. Alt Mer era al corrente dei timori di Bek, ma non poteva fare nulla. La "Jerle Shannara" non era in grado di volare senza le vele e gli alberi e se li avessero montati sarebbe bastato il rumore per farli scoprire. Ma anche se il Morgawr avesse setacciato le rovine, c'era un'alta probabilità che non li trovasse, che la magia dello spirito del castello non gli permettesse l'ingresso e lo riportasse all'esterno senza che lo stregone se ne accorgesse, com'era successo a Walker. Era comunque un forte azzardo: se fosse fallito, si sarebbero trovati in trappola e inferiori di numero. La fuga sarebbe stata impossibile, a meno che non potessero sopraffare i nemici con mezzi che in quel momento erano ancora un mistero. Bek era preoccupato. Dubitava che il Morgawr si lasciasse ingannare dalla magia dello spirito. Tutto faceva pensare il contrario. Lo stregone li aveva seguiti a distanza senza vederli e senza una pista che gli indicasse la strada. Pareva sapere che erano nascosti nelle rovine. Se era riuscito ad arrivare a tanto, avrebbe capito in fretta l'inganno dello spirito, una volta entrato nelle rovine, e avrebbe trovato la contromisura. A quel punto avrebbero dovuto affrontarlo. Lanciò un'occhiata alla sorella. Grianne non aveva mai risposto alla domanda di Rue su quello che intendeva fare per fermare il Morgawr. In effetti, si era limitata a salutare coloro che Bek le aveva presentato. Non aveva chiesto se l'avevano perdonata: l'aveva domandato alla sola Rue. Non si era scusata di ciò che aveva fatto a loro e a coloro che erano morti. Tutta la debolezza e la vulnerabilità mostrate al risveglio erano sparite. Era tornata la Strega di Ilse, fredda, distaccata e priva di emozioni; teneva per sé i suoi pensieri e non li condivideva con gli altri. Quell'atteggiamento preoccupava Bek, ma lo capiva. Grianne si proteggeva nell'unico modo a lei noto, allontanando da sé le emozioni che altrimenti avrebbero rischiato di distruggerla. Questo non significava che fosse priva di sentimenti o che non pensasse di dover rendere conto dei torti commessi. Ma se avesse dato troppo peso a quelle emozioni, se avesse concesso al passato una presa eccessiva sul presente, non sarebbe più riuscita a fare nulla. Era sopravvissuta per tanti anni grazie alla forza di volontà e al rigido autocontrollo. Aveva nascosto le proprie emozioni. La notte precedente aveva scoperto di non poter abbandonare troppo presto quelle sue difese. Era ancora Grianne Ohmsford, ma non poteva rinunciare a essere anche la Strega di Ilse. Era costretta a muoversi lungo la sottile linea di confine tra sanità e follia, tra la permanenza nella luce del mondo reale e il ritorno al nascondiglio da cui era appena uscita. «Dobbiamo decidere cosa fare se entra nelle rovine e ci scopre» osservò Bek. «E' un uomo solo» commentò Rue. «Nessuno degli altri è protetto dalla magia. I rettili possono essere eliminati. lo stessa ne ho ucciso alcuni.» Lo disse con una tale ferocia che Bek si voltò a guardarla, ma quando vide la sua faccia non riuscì a parlare. Grianne non aveva problemi simili. «Quello che dici è vero, ma il Morgawr è più forte di chiunque di voi, e anche di tutti voi messi insieme. Non è un uomo, non è neppure umano. E' una creatura che si è mantenuta in vita per mille anni con la magia nera. Conosce cento modi di uccidere con il solo pensiero.» «E te li ha insegnati tutti, suppongo» commentò Rue, senza guardarla. Le parole non ebbero alcun effetto visibile su Grianne, ma Bek sussultò.
«Cosa possiamo fare per fermarlo?» chiese, per evitare il confronto tra le due donne. «Niente» rispose la sorella. Si voltò a guardarli entrambi. «Non è la vostra battaglia. Non lo è mai stata. Rue ha fatto bene a chiedermi cosa intendevo fare. Il Morgawr è una mia responsabilità. Sono io che lo devo affrontare.» «Non puoi farlo da sola» disse subito Bek. «Da sola è meglio. Le distrazioni possono solo mettere a repentaglio le mie probabilità di sconfiggerlo. Le persone cui voglio bene sono distrazioni di cui approfitterebbe. Da sola posso fare il necessario. Il Morgawr è forte, ma io sono in grado di tenergli testa. Lo sono sempre stata.» Bek scosse con ira la testa. «Una volta, forse, quando eri la Strega di Ilse.» «Sono sempre la Strega di Ilse, Bek» rispose lei, con un sorriso triste. «Soltanto, tu non mi vedi così.» «Ha ragione» intervenne Rue, prima che Bek rispondesse. «Lei ha la magia, affilata sulla stessa pietra dello stregone. Sa come usarla contro di lui.» «Ma ho anch'io la stessa magia!» protestò Bek, soffiando con ira nello sforzo di tenere bassa la voce. «E Ahren Elessedil? Ha il potere delle Pietre Magiche. Non dovremmo usare la nostra magia tutti insieme? Non saremmo più efficaci di te da sola? Perché sei così ostinata, Grianne?» «Tu non hai esperienza nell'uso del canto magico, Bek. E Ahren non ha esperienza nell'uso delle Pietre Magiche. Il Morgawr vi ucciderebbe tutt'e due prima che riusciste a fermarlo.» Poi Grianne si avvicinò a Rue Meridian, un atto voluto e significativo, e si voltò verso Bek. «Tutto quello che mi è successo è opera del Morgawr. Tutto quello che ho perso, l'ho perso per colpa sua. Tutto quello che sono, lo sono per colpa sua. Io ho fatto le scelte, ma è stato lui a creare le circostanze in modo da orientarmi. Non intendo scusare me stessa, ma mi è stato fatto un torto. Nessuno può ridarmi ciò che ho perso. Devo essere io a riprendermelo. E per farlo devo affrontarlo.» Bek si irritò. «Non devi dimostrare niente a nessuno!» «Davvero, Bek?» Lui tacque, consapevole del fatto che le sue affermazioni erano insostenibili mentre la logica della sorella era implacabile. Forse non aveva nulla da dimostrare a lui, ma doveva ancora dimostrare molte cose ad altri. Soprattutto a se stessa. «Non sarò di nuovo me stessa finché non avrò risolto questa contesa» disse. «Fuggire non serve a nulla. Conosco il Morgawr. Continuerà a inseguirmi finché non troverà il modo di distruggermi. Se voglio che questa cosa finisca, devo affrontarla qui e ora.» Bek scosse la testa, nauseato. «E noi cosa dobbiamo fare, mentre tu vai a sacrificarti? Sperare per il meglio?» «Approfittare della confusione. Anche se dovessi essere uccisa, il Morgawr non ne uscirà illeso. Sarà indebolito e i suoi seguaci saranno confusi. Potete scegliere se affrontarli oppure fuggire mentre si leccano le ferite. Sia l'una sia l'altra alternativa sono valide. Parlatene tra voi e decidete tutti insieme.» Si sporse verso di lui e lo baciò su una guancia. «Hai fatto tutto quello che potevi per me, Bek. Non hai motivi di rimpianto. Agisco così perché devo.» Si voltò verso Rue Meridian. «Mi piace questo tuo modo di non avere paura di nessuno, nemmeno di me. Sono contenta che tu ami tanto mio fratello.» «Non farlo» la supplicò Bek. «Prenditi cura di lui» disse Grianne a Rue e senza altre parole, senza guardarsi alle spalle neppure una volta, si allontanò. Il Morgawr ordinò al resto della flotta di rimanere all'ancora al largo, al sicuro da tentativi di sabotaggio, e con la "Black Moclips" lasciò lo Spartiacque Azzurro, che alle prime luci dell'alba sembrava tappezzato d'argento, per portarsi sulla pianura erbosa di Mephitic. Poi fece scendere a terra la nave e la ormeggiò, lasciando a bordo Aden Kett e i suoi morti viventi, sotto la sorveglianza
di un pugno di guardie. Infine lanciò dal parapetto una scaletta di corda, scese con Cree Bega e una dozzina di Mwellret e si avviarono verso il castello. Attraversarono la prateria in gruppo, apertamente, senza preoccuparsi di nascondere la loro presenza. Se i superstiti della "Jerle Shannara" erano nascosti nelle rovine, il Morgawr voleva che lo vedessero arrivare. Voleva che avessero il tempo di pensare al loro destino, prima che giungesse fino a loro per ucciderli, voleva che il loro senso di attesa aumentasse, e con quello la paura. La Strega di Ilse non si sarebbe spaventata, ma i suoi compagni sì. Ormai sapevano che banchettava con l'anima dei viventi, sapevano quello che era successo agli uomini della "Black Moclips", quando li aveva catturati, e l'aspetto che avevano dopo. Almeno uno di loro sarebbe crollato e avrebbe rivelato la presenza degli altri. Questo gli avrebbe risparmiato tempo e fatica. Gli avrebbe permesso di conservare le energie per occuparsi della Strega. Disse a Cree Bega quello che voleva: i Mwellret dovevano seguirlo in silenzio. Una volta trovata la loro preda, dovevano lasciare a lui la Strega di Ilse. Degli altri potevano fare quello che volevano. Meglio se fossero riusciti a ucciderli in fretta o a neutralizzarli per poi portarli fuori ed eliminarli. Soprattutto, dovevano ricordare che nelle rovine c'era una creatura, uno spirito che possedeva un tremendo potere magico. Non dovevano stuzzicarlo né attaccarlo, perché poteva risultare assai pericoloso. Mentre erano nelle rovine non dovevano toccare nulla, perché la creatura considerava il castello come una sua proprietà e avrebbe lottato per proteggerlo. Lo spirito, però, non s'interessava della "Jerle Shannara" e del suo equipaggio: non facevano parte del suo regno, perciò non li avrebbe protetti. Non era del tutto certo che quanto aveva detto fosse la verità. Era possibile che si fosse sbagliato e che lo spirito del castello attaccasse per ragioni che il Morgawr non conosceva. Ma a dirlo ai Mwellret non c'era niente da guadagnare. Tutti erano sacrificabili, anche Cree Bega. L'importante era che sopravvivesse lui, e non aveva ragioni per pensare di non riuscirci. La sua magia poteva proteggerlo da tutto. L'aveva sempre fatto. Il suo piano, perciò, era semplice. Trovare la Strega e ucciderla, recuperare i libri di magia nascosti nella nave e andarsene. Se fosse riuscito a eliminare la Strega ma non a recuperare i libri, sarebbe stato sufficiente. Dopo la morte del druido, la piccola Strega era la sola che in futuro poteva creargli dei problemi. I libri di magia erano importanti, ma in caso di necessità poteva rinunciare a essi. Cominciò a pensare al significato della scomparsa dell'ultimo druido. Paranor era adesso disabitata e vulnerabile, protetta dalla magia, ma accessibile a una persona come lui, che sapeva come neutralizzare quella magia. Era stato Walker a tenerlo lontano per tutti quegli anni. Adesso, forse, i segreti che erano appartenuti ai Druidi sarebbero divenuti suoi. Il Morgawr si concesse un sorriso. La ruota aveva completato il giro e il tempo dei Druidi era finito. Invece il tempo a sua disposizione era ancora lungo. Gli bastava eliminare una ragazzina. Strega di Ilse o no, era soltanto quello. Davanti a lui, le mura e le torri sbrecciate dell'antico castello si levavano spoglie e desolate sull'orizzonte rischiarato dalla luce dell'alba. L'anticipazione del piacere che lo attendeva al loro interno lo spinse ad accelerare il passo.
30. Grianne Ohmsford percorreva a passi lenti i corridoi e i cortili vuoti dell'antico castello, e ne approfittava per chiamare a raccolta tutte le sue risorse. Nonostante quello che aveva detto a Bek e Rue Meridian, la sua decisione di affrontare il Morgawr da sola era stata impulsiva e poco ponderata, ma necessaria per le ragioni fornite loro. Il Morgawr cercava lei, perciò era lei a doverlo affrontare. Soltanto lei aveva la possibilità di vincere la sua magia. Nella sua vita aveva causato molto dolore come Strega di Ilse e la sua redenzione doveva iniziare dalla resa dei conti con lo stregone. Era ancora indebolita dal lungo sonno, ma alimentata dalla collera e dalla determinazione. Le verità sulla sua vita galleggiavano davanti ai suoi occhi, immagini illuminate dalla magia della Spada di
Shannara, e non poteva dimenticarle. Quelle immagini la definivano, e sapere quello che era stata le rendeva possibile vedere quello che doveva divenire. per completare il percorso, doveva uccidere il Morgawr. Il silenzio la avvolgeva come un sudario e le rovine sembravano una tomba. Sorrise nel provare quelle sensazioni, familiari e benvenute. Facevano parte del mondo che aveva conosciuto per tanti anni. Le ombre proiettate dalle mura e dalle torri si riversavano come macchie d'inchiostro sulle pietre e sulla calce, nei punti dove il sole non riusciva a penetrare. Passava con piacere in mezzo a quelle ombre, l'oscurità era sua amica, l'eredità della sua vita precedente. Questo non sarebbe mai cambiato, comprese. Avrebbe sempre preferito le cose che l'avevano fatta sentire al sicuro. Aveva trovato in esse una casa quando le era stato tolto tutto ciò che amava e le rimaneva solo l'odio. Non sarebbe riuscita a staccarsi facilmente dal passato. Nulla di questo sarebbe cambiato, se fosse sopravvissuta allo scontro. Bek pensava a un ritorno a casa, a una riunione della loro nuova famiglia, a una vita tranquilla, ma la sua visione non aveva alcuna attrattiva per lei, nasceva da sogni che appartenevano ad altri. La sua vita avrebbe preso una strada diversa da quella del fratello: Grianne lo sapeva. Non avrebbe mai potuto essere quella che Bek sperava, perché la sua guarigione non dipendeva tanto da lui, anche se solo Bek poteva svegliarla come aveva fatto, quanto dallo Zio Oscuro, il custode di segreti e dispensatore di verità. Walker Boh. Adesso era morto, ma sarebbe stato per sempre con lei. Cominciò a cantare, lasciandosi avvolgere nella sensazione delle rovine e della creatura che viveva al loro interno. Al momento dormiva, ma era presente in ogni punto dei suo dominio, come Antrax lo era stato in Castledown. Era dappertutto nello stesso tempo, la sua presenza si coglieva nella pietra e nell'aria stagnante. Sapeva da Bek che per ingannarlo bisognava fargli credere di essere parte del castello: cominciò ad assumere quell'aspetto. Una volta che si fosse perfettamente integrata con l'ambiente, una volta che fosse stata accettata come un qualsiasi pezzo di pietra, sarebbe stata pronta ad affrontare il suo nemico. Le bastò un minimo sforzo per crearsi la maschera che le occorreva, poi proseguì lungo i corridoi, tendendo l'orecchio ai rumori del Morgawr e dei suoi Mwellret. Dovevano essere arrivati alle mura, forse stavano già cercando un ingresso. Il piano di Grianne era semplice. Intendeva isolare il mago dai suoi compagni privandolo del loro aiuto. Se voleva avere una possibilità di vincerlo, doveva fare in modo che fosse solo. Cree Bega e i suoi rettili non costituivano una minaccia per lei, ma potevano divenire la distrazione di cui aveva parlato a Bek e Rue Meridian. Per vincere il Morgawr, non poteva permettersi distrazioni. Si sentiva già parte del castello, una cosa di pietra e di calce, antica e polverosa. Si liberò di quella parte di lei che era Grianne Ohmsford e tornò volutamente a essere la Strega di Ilse. Doveva farlo per sopravvivere, armandosi contro ciò che la attendeva e nascondendo la sua parte vulnerabile. Il cambiamento richiedeva una completa trasformazione nel suoi pensieri. Le imponeva di escludere i sentimenti e i dubbi. Esigeva un rafforzamento della personalità in vista della battaglia. La riflessione la fece sorridere, perché la verità era assai peggiore. Stava imboccando una strada diversa da quella che aveva percorso quando la sua vita aveva lo scopo di distruggere Walker, ma era una strada altrettanto deplorevole. L'uccisione del Morgawr era pur sempre un omicidio. Non sarebbe servita a migliorare l'opinione che aveva di sé. Non avrebbe cambiato il passato. Tutt'al più avrebbe permesso di vivere ad alcuni di coloro che aveva ferito. Doveva accontentarsi. Era lieta che Bek non fosse lì a vedere il cambiamento, perché si rifletteva nei suoi occhi e nella sua voce e non poteva nasconderlo. Forse sarebbe stata sempre così, spaccata tra due personalità, spinta dagli eventi e dalle circostanze a essere ambigua e astuta. Cominciò a udire i primi suoni, l'eco di piccoli fruscii e scricchiolii, stivali che calpestavano la pietra e la terra. Erano ancora lontani, ma si stavano avvicinando. Il Morgawr cercava di entrare nel labirinto. Finora non si era accorto della sua presenza, ma non ci avrebbe messo molto a scoprirla.
Era meglio che lei lo attaccasse per prima, mentre si credeva al sicuro. Avrebbe potuto aspettare di vedere se la magia dello spirito del castello confondeva lo stregone, ma probabilmente sarebbe stato tempo perso. Il Morgawr era troppo astuto per lasciarsi ingannare a lungo e troppo ostinato per rinunciare. Il piano di Redden Alt Mer era buono, ma non per una creatura così pericolosa. Continuò a cantare a bassa voce, e la magia la nascondeva non soltanto allo spirito delle rovine, ma anche a coloro che le davano la caccia. Si diresse verso di loro, scivolando in mezzo alle ombre, scrutando gli spazi aperti davanti a lei alla ricerca di segni di movimento, Non doveva mancare molto all'incontro. Respirava lentamente e a fondo per mantenere la calma. Doveva agire con cautela. Doveva essere silenziosa come l'aria attraverso cui passava. Doveva essere invisibile come un'ombra tornata dal mondo dei morti. Ma soprattutto doveva essere veloce. Redden Alt Mer pareva quasi rassegnato all'inevitabile quando sentì quello che aveva fatto Grianne Ohmsford. Fermo sul ponte della "Jerle Shannara" con Bek e Rue, non disse nulla, si limitò a guardare lontano, perso nei suoi pensieri. Alla fine chiese loro di tornare a fare la guardia e di avvertirlo se vedevano qualcosa. Non chiamò nessuno dei suoi per preparare la nave alla fuga nel caso di una sconfitta di Grianne. Pareva che non intendesse fare nulla. Li ascoltò e si allontanò. Little Red e Bek si scambiarono un'occhiata e alzarono le spalle. «Aspetta qui» disse Rue. Scomparve sottocoperta, lasciando Bek solo. Si avvicinò al parapetto e guardò il cielo. Britt Rill e Kelson Riat erano insieme a poppa, e parlavano a bassa voce. Spanner Frew lavorava nella garitta del pilota, sotto i rami che avevano collocato perché la nave fosse invisibile dall'aria. Alt Mer e gli altri non si vedevano. Tutto pareva stranamente pacifico. E per il momento lo era, pensò Bek. Nessuno sarebbe venuto a cercarli, finché il Morgawr non avesse chiuso la partita con Grianne. Si chiese se era il caso che scendesse da Quentin, ma infine decise di non farlo. Il cugino gli avrebbe letto in faccia la preoccupazione e avrebbe insistito per alzarsi e combattere con loro. Tuttavia non era ancora abbastanza forte, e se le cose fossero andate male, avrebbe avuto nel prossimo futuro tutto il tempo di esibirsi in qualche atto di futile eroismo. Per il momento, meglio lasciarlo dormire. Rue Meridian risalì da sottocoperta legandosi alla vita la cintura dei coltelli da lancio e infilandosi nello stivale un lungo pugnale. «Pronto ad andare?» gli chiese. Bek la fissò. «Andare dove?» «Dietro tua sorella» gli rispose lei. «Non avrai pensato che saremmo rimasti qui a girarci i pollici, vero?» Se Rue la metteva così, era d'accordo. Senza dire altro, scavalcarono il parapetto e scomparvero nelle rovine dietro Grianne. Redden Alt Mer aveva pensato per tutta la notte alla loro situazione. Non riuscendo a dormire, aveva continuato a camminare avanti e indietro sui ponti per calmarsi. Odiava stare a terra, tanto più sapendo che non poteva riprendere il volo e che era in trappola. Era infuriato dalla sua impotenza, condizione che non gli era familiare. Il piano di nascondersi nelle rovine e sperare che il Morgawr non li trovasse era suo, ma non riusciva a stare fermo mentre aspettava di sapere se aveva funzionato. Quando la sorella di Bek si era svegliata, uscendo dalla catatonia dopo tante settimane, lui aveva capito che tutto stava per cambiare. Non era un cambiamento che si potesse definire, ma l'aveva sentito con chiarezza. La Strega di Ilse, amica, nemica o altro che fosse, avrebbe spostato tutti gli equilibri. Gli sembrava giusto che la Strega avesse deciso di andare a cercare il Morgawr invece di aspettare che lo stregone venisse da lei. Era quello che avrebbe fatto lui, se non si fosse infilato da solo in quel nascondiglio, ad aspettare. Più rimaneva a terra, più si convinceva di avere commesso un
errore. Non era quello il modo di salvare la nave e i passeggeri. Il Morgawr era troppo intelligente per lasciarsi ingannare. Alt Mer avrebbe fatto meglio a rimanere in aria e a combattere. Tuttavia non è che questa seconda soluzione avrebbe avuto maggiori possibilità di riuscita, ammise cupo. Meglio mantenere la giusta prospettiva sulla realtà. Lasciò la nave e salì sulla torre dove Little Red e Bek stavano di guardia, ma non li trovò. Confuso dalla loro assenza, guardò nel cortile dove la "Jerle Shannara" era nascosta, pensando di vederli. Nulla. Allora guardò i corridoi e i cortili vicini e spiò attraverso fessure nelle mura diroccate. Finalmente li vide. Erano ad alcune centinaia di iarde di distanza e scivolavano in mezzo alle ombre diretti verso la parte anteriore del castello e il Morgawr. Per un attimo pensò con stupore che la sorella non solo aveva disobbedito al suo ordine, ma rischiava la vita per la Strega. O per Bek, ma era la stessa cosa. Avrebbe voluto gridare loro di tornare indietro, ma sapeva che era tempo perso. Rue aveva sempre fatto quello che voleva ed era inutile cercare di fermarla. Inoltre, lei faceva quello che avrebbe voluto fare lui stesso. Si portò sul muro esterno della torre e guardò in direzione della prateria. Il Morgawr e i suoi rettili erano già entrati nel castello. La pianura era vuota, a eccezione della "Black Moclips", ancorata a un quarto di miglio dalle mura. Più in là, nell'oceano, visibilissima nel cielo limpido, era ancorata la flotta dello stregone. Osservò con attenzione le navi, il modo in cui erano raggruppate per proteggersi da tiri attacco a sorpresa, e gli venne un'idea. Era così azzardata, così irragionevole che la scartò subito. Ma non riuscì a togliersela dalla mente, e più ci pensava, più lo attraeva: come un serpente dai brillanti colori, che prima ti ipnotizza e poi ti uccide, come il fuoco, che ti sfida a toccarlo per trasformarti in cenere. "Per tutte le Ombre!" si disse. "Devo farlo!" Era spaventato ma anche eccitato, e con il sangue che gli pulsava alle tempie corse alla nave. Doveva essere molto veloce, e forse non sarebbe bastato. Il suo progetto era una follia, ma al mondo si fanno follie di tutti i tipi, e almeno quella gli permetteva di non stare lì ad attendere. Scese dalla torre e balzò sulla nave, poi si diresse verso Spanner Frew. Il maestro d'ascia si rabbuiò nel vedere la sua faccia. «Che succede?» gli chiese. «Non stai facendo niente d'importante, vero?» gli rispose Alt Mer, prendendo la spada e affibbiandosela al fianco. Spanner Frew lo guardò. «Tutto quello che faccio è importante. Cosa vuoi?» «Voglio che tu venga con me a prendere la "Black Moclips".» Il costruttore brontolò disgustato: «La cosa non ha funzionato con Little Red, se ricordo bene». «Little Red non aveva un buon piano. Io ce l'ho. Vieni con me e vedrai. Portiamo Britt e Kelson. Sarà divertente, Barbanera.» Spanner Frew incrociò le braccia massicce sul petto. «Mi sembra pericoloso.» Alt Mer gli sorrise con malizia. «Non penserai di poter vivere per sempre, vero?» gli chiese. Poi, vedendo il cipiglio del maestro d'ascia, scoppiò a ridere Lasciò Ahren Elessedil e Kian a sorvegliare la "Jerle Shannara" e si allontanò con Spanner Frew, Kelson Riat e Britt Rill in direzione delle mura perimetrali del castello. Solo quando era già a una certa distanza dalla nave gli venne in mente che forse avrebbero incontrato difficoltà a tornare indietro. Oltre al fatto che le rovine erano un labirinto, la magia dello spirito che le abitava impediva agli intrusi di penetrare oltre le mura esterne. Ma ormai era partito, e comunque non pensava di tornare indietro. Rivelò ai compagni solo quello che dovevano sapere. Disse che avrebbero raggiunto un punto delle mura invisibile dalla "Black Moclips", per poi girare attorno alla nave portandosi, sulla fiancata più lontana, salire a bordo e prenderla. Se fossero riusciti nel loro piano, avrebbero avuto a disposizione per la fuga una nave in perfette condizioni. Con un po' di fortuna, il Morgawr non ce l'avrebbe fatta a inseguirli, e senza di lui il resto della flotta sarebbe rimasto fermo per mancanza di ordini.
Era un incredibile mucchio di assurdità, a pensarci bene, ma dato che erano già in cammino, non avevano il tempo di riflettere. Alt Mer guidò i compagni fino alle mura perimetrali, poi, camminando verso nordest sotto i bastioni, raggiunsero un cancello che si apriva quasi direttamente su un fitto boschetto. Camminava in fretta, pensando che il Morgawr poteva trovare Grianne o Bek e Rue da un momento all'altro, e in tal caso, Alt Mer rischiava di non avere il tempo occorrente per portare a termine il suo piano. Usciti dal riparo delle mura, i quattro Corsari s'infilarono in mezzo agli alberi finché non raggiunsero la radura. Scesero nel letto di un torrente asciutto, che permetteva loro di nascondersi dietro gli arbusti che crescevano sulla riva, e si portarono fino a un centinaio di iarde dall'obiettivo. Spanner Frew ansimava per la fatica, ma gli altri avevano solo il fiato un po' corto. Alt Mer sollevò la testa per guardarsi attorno. Erano dietro la "Black Moclips" e i pochi Mwellret rimasti sulla nave guardavano dall'altra parte, verso le rovine. Alt Mer si rivolse a Spanner Frew, parlando a bassa voce: «Barbanera, tu aspettaci qui. Se non ce la facciamo, torna alla nave e avverti gli altri. Se ce la facciamo, ci raggiungi». Senza aspettare la risposta, uscì dalla depressione e cominciò a strisciare verso la nave, tenendosi al coperto fra l'erba alta. Kelson e Britt lo imitarono. Tutt'e tre erano esperti nell'arte di andare dove nessuno si aspettava di trovarli. Attraversarono a tutta velocità il terreno aperto, tenendosi dietro i cespugli e approfittando dei fossi, schiacciati contro il suolo. Quando Alt Mer vide davanti a sé la chiglia della nave, si fermò. Non riusciva a vedere i Mwellret sul ponte, ma anche lui era invisibile ai rettili. Almeno che uno di essi non scendesse nelle postazioni di combattimento e si sporgesse dal parapetto, erano salvi. Ora dovevano solo trovare il modo di salire a bordo. Alt Mer si alzò con cautela, segnalò agli altri due uomini di seguirlo e si diresse alla scaletta di corda. Passò sotto la chiglia della nave, che si librava a sei o sette iarde dal suolo ed era ancorata mediante dite cavi a poppa e a prua. Si fermò a studiare la scaletta: la via più facile per salire, ma anche quella più facile da difendere. Sussurrò ai compagni di avvicinarsi alla scaletta e di tenersi pronti a salire al suo ordine. Poi passo a prua della nave, si afferrò al cavo dell'ancora e cominciò ad arrampicarsi. Arrivò all'altezza del parapetto nel punto in cui la tolda s'innalzava per formare il rostro e spiò lungo il ponte. C'erano quattro rettili: due accanto alla scaletta, uno alla ruota del timone nella garitta e uno a poppa. Lo sventurato equipaggio della Federazione era immobile, come un gruppo di sonnambuli, gli occhi fissi nel vuoto, le braccia penzolanti lungo i fianchi. Per un attimo provò dispiacere per quanto stava per succedere loro, ma nessuno era in grado di salvarli. Fece un profondo respiro e si issò sul ponte, lanciandosi a tutta velocità verso i due Mwellret più vicini. Con un colpo di spada uccise il primo e mentre si gettava sul secondo gridò a Britt e Kelson di salire. I due Corsari comparvero quasi subito in cima alla scaletta, afferrarono da dietro il suo avversario e lo gettarono a terra. Alt Mer corse verso la garitta del pilota mentre il terzo rettile afferrava un giavellotto e glielo scagliava contro. L'arma gli passò così vicino alla testa che sentì la vibrazione dell'aria, ma non rallentò. Con un gran salto piombò nella garitta, volteggiò sopra il parapetto e fu all'interno prima che il rettile riuscisse a fuggire. La creatura cercò di colpirlo con la spada, ma Alt Mer parò il colpo, scivolò sotto la guardia dell'avversario e gli piantò la spada nel petto. L'ultimo rettile cercò di balzare a terra, ma Kelson lo raggiunse mentre stava scavalcando il parapetto e lo finì. Dopotutto, non era stato molto difficile, si disse Alt Mer. Era stato ferito nella lotta, alcuni tagli sulle braccia, un paio di costole doloranti e un colpo alla testa sferratogli dal primo rettile. Scese sul ponte nascondendo le ferite come meglio poteva. Ordinò agli uomini di gettare fuoribordo i rettili morti, poi di scendere dalla nave e di nascondere i corpi nell'erba alta. Era uno strano ordine e i due si scambiarono un'occhiata perplessa, ma non fecero obiezioni. Erano abituati a fare quello che diceva Alt Mer e anche questa volta obbedirono.
Non appena furono scesi a terra, lui ritirò la scaletta. Poi andò ai cavi d'ancoraggio passando davanti ai marinai della Federazione, che continuavano a fissare nel vuoto e non fecero alcun tentativo di fermarlo, non si voltarono neppure verso di lui, e tagliò tutt'e due i cavi. Quando i tronconi caddero a terra, la "Black Moclips" cominciò a sollevarsi. «Big Red!» gridò Spanner Frew, correndo verso la nave nell'inutile tentativo di raggiungerla. Dal di sotto, anche Kelson Riat e Britt Rill lo chiamavano, gridando che i cavi non c'erano più, che non potevano risalire. Era quanto voleva Alt Mer, naturalmente. Non aveva bisogno di alcun aiuto per mettere in atto il suo piano. Sacrificare la propria vita per condurlo a termine era più che sufficiente. Redden Alt Mer si sporse dal parapetto e salutò con la mano i compagni.
31. Ormai li sentiva arrivare. Nel silenzio delle rovine le giungeva l'eco dei loro passi, dei respiri sibilanti, del fruscio dei pesanti mantelli. Grianne rallentò progressivamente, in modo da non produrre più alcun rumore, si abbandonò al travestimento della magia del canto. Scomparve nelle pietre delle mura, delle torri e dei bastioni. Completò la trasformazione iniziata poco prima assumendo l'aspetto e l'atmosfera del castello. Scomparve alla vista. Il Morgawr era venuto a cercarla, ma lei l'aveva trovato per prima. Sentiva la magia dello spirito del castello operare attorno a lei, cambiando il modo in cui i corridoi si aprivano e si chiudevano, spostando porte e pareti per confondere e fuorviare. Si comportava in modo arbitrario, era una funzione della sua essenza che non richiedeva pensiero cosciente, non più del respiro di Grianne. Ma lo spirito non era ancora desto, non intendeva colpire come aveva fatto con Bek e il cambiatore di forma quando avevano rubato la chiave dal nascondiglio. Aveva migliaia di anni, veniva dal mondo di Faerie e dormiva nella sua tana. Se aveva sentito la presenza del Morgawr e dei suoi Mwellret, o quella di Grianne, l'aveva sentita in modo subliminale e non se ne preoccupava. Una situazione destinata a cambiare al momento giusto, decise Grianne. Quando combatteva, ogni tipo di arma era permessa. Respirava lentamente e con regolarità per calmare l'eccitazione. Dava il meglio di sé quando era controllata, e se voleva vincere il Morgawr doveva essere assai controllata. Un'esitazione o un ritardo le sarebbero stati fatali. Anche la pietà. Se uccidere o meno il Morgawr non era un argomento su cui soffermarsi: lui l'avrebbe uccisa senza esitare, a meno che non decidesse di paralizzarla per poi divorarle l'anima. Rabbrividì all'idea. Non si era mai abituata a quella pratica e non era mai riuscita a vincere la paura e la ripugnanza che suscitava in lei. Non aveva mai pensato di rischiare un simile destino, perciò non ne aveva mai considerato la possibilità. Ora si sentiva raggelare all'eventualità che toccasse a lei. Ma era ancora la Strega di Ilse, avvolta nella sicurezza di sé e nella ferrea determinazione: soffocò la ripugnanza e allontanò la paura Il Morgawr aveva ucciso innumerevoli creature, nel corso della sua lunghissima vita, e vinto molte magie ma non aveva mai affrontato una come lei. Pensò alle creature che aveva distrutto a sua volta e alle magie che aveva sconfitto. Non le piaceva pensarci, ma non riuscì a fame a meno. Le verità della sua vita le erano state rivelate troppo di recente perché potesse cancellarle. Un giorno sarebbe stata in grado di affrontarle, ma per ora doveva limitarsi ad abbracciarle e a ricavare da esse tutta la collera che potevano generare. Doveva ammetterne la mostruosità e ricordare che erano state una conseguenza dei tradimenti del Morgawr. Per qualche tempo ancora doveva ridiventare l'essere che lui aveva contribuito a creare. Per qualche breve tempo ancora. Parole che suonavano vuote, effimere: sarebbe bastato un respiro per soffiarle via.
Ma non aveva più tempo per recriminare. Dalle crepe nelle pareti scorse un movimento, vide le massicce sagome dei Mwellret scivolare tra le ombre di quelle rovine senza sole. Si mosse per intercettarli e cominciò a separarli dal Morgawr, proiettando la magia in modo da richiamare per qualche istante l'attenzione dello stregone: il tempo sufficiente per portare a termine il suo piano. I Mwellret e il loro tenebroso capo proseguirono lungo i corridoi di pietre consumate dal tempo. Adesso lo poteva vedere alto e tarchiato e disgustosamente familiare. Camminava davanti a tutti, aprendo la strada a Cree Bega e ai suoi tirapiedi. Fiutava l'aria alla ricerca di pericoli, di magia, di segni della presenza di lei. Aveva scoperto di sicuro lo spirito che custodiva le rovine e avrebbe cercato di non destarlo. Il suo piano consisteva nel cercarla e costringerla a uno scontro. Ma si aspettava che fosse nascosta nella "Jerle Shannara", insieme agli altri, e non che lei gli desse la caccia. Impiegò il canto magico per rendergli più facile il cammino, per dargli un senso di sicurezza. Era un effetto molto sottile, e se lui l'avesse scoperto non avrebbe destato i suoi sospetti, in quel luogo pieno di magia. Il Morgawr sapeva di essere influenzato dallo spirito del castello e si aspettava di essere spinto nella direzione voluta da lui. Nella sua arroganza, lo stregone gliel'avrebbe lasciato credere, pensando di essere sempre in tempo a compensare quell'effetto, al momento voluto. Non avrebbe sospettato che lei era lì, ad agire come surrogato dello spirito, a influenzarlo per i propri scopi. Una volta che l'avesse compreso, sarebbe stato troppo tardi. Quando il Morgawr fu più vicino, Grianne trovò il posto per mettere in atto il suo piano, si nascose nell'ombra, e attese. Qualche istante più tardi, il Morgawr emerse da uno dei numerosi corridoi e lei usò la magia per suggerire la propria presenza in una camera un po' più avanti. Il Morgawr alzò la testa nel cogliere quella debole traccia e si sporse in avanti, come per fiutare l'aria. Aveva sentito qualcosa che non riusciva ancora a identificare, ma che aveva di sicuro a che fare con la sua preda. Fece segno ai Mwellret, che erano una dozzina di passi dietro di lui, di fermarsi. «Va' avanti" lo incitò Grianne, in silenzio. "Non avere paura." Il Morgawr sgusciò nella camera, silenzioso come un gatto, poco più di un'ombra in movimento in mezzo a ombre ancora più scure. Attraversò la stanza seguendo la traccia, cauto e deciso, e scomparve lungo un corridoio. Lei lasciò il nascondiglio e scivolò lungo la parete, che seguiva il percorso del Morgawr, decisa e attenta come lui, continuando a cantare senza interruzione e mantenendosi nascosta. Udiva il basso mormorio dei Mwellret dietro di sé, ma lo stregone non faceva alcun rumore. Quando fu giunta in fondo alla camera e all'imbocco del corridoio, scorse davanti a sé l'ombra del Morgawr. Allora si girò verso i rettili, proiettò nella loro mente la voce dello stregone dando l'impressione che fosse lui a parlare e disse loro di avanzare, Le creature si mossero all'istante, obbedendo come lei si aspettava, ma quando furono nella stanza li condusse in un'altra direzione. Le rovine erano un labirinto e c'erano porte dappertutto. Ne scelse una che li allontanava dal Morgawr, ma diede ai suoi accoliti l'impressione di seguirlo ancora. Il muso piatto, da rettile, di Cree Bega si sollevò con espressione dubbiosa, e i suoi occhi penetranti cercarono il padrone. Ma non riuscì a trovarlo e avanzò, seguendo il filo che lei gli srotolava davanti. Come un gregge di pecore, i Mwellret si lasciarono condurre nel vicolo cieco prescelto, e non appena vi furono giunti lei chiuse il cancello. Il corridoio alle loro spalle scomparve. Grianne aveva innalzato una parete di magia che aveva chiuso l'apertura. I rettili si trovavano ora in un corridoio da cui non potevano tornare senza spezzare la sua magia o avanzare senza passare per una serie di incroci e curve che li avrebbe allontanati di molto, impedendo loro di aiutare il padrone. Un istante più tardi, la Strega raggiunse il corridoio imboccato dal Morgawr, vide che si voltava verso di lei e lo attaccò. Colpì con tutto il potere di cui disponeva, scagliandolo come un macigno. La magia squarciò il silenzio come un urlo, colpì lo stregone e lo spinse lungo il corridoio, scaraventandolo contro un muro con una forza tale da spezzare quelle antiche pietre. In un attimo Grianne percorse il corridoio ed entrò nella stanza in cui era finito il Morgawr, appena in tempo per vederlo sparire in un mulinello di vapore.
Era solo un'illusione, comprese subito. Non era il Morgawr. L'aveva ingannata. Si girò di scatto e lo vide dietro di sé. Bek e Rue Meridian sentirono l'esplosione da parecchi corridoi di distanza, mentre si aggiravano nel labirinto nell'inutile tentativo dì trovare Grianne, Il suono era diverso da qualunque altro avessero mai udito: una sorta di urlo metallico che fece loro stridere i denti. Ma Bek ne riconobbe subito l'origine: Grianne aveva evocato il canto magico. Urlò il suo nome, poi corse avanti senza riflettere, rinunciando a ogni tentativo di avvicinarsi in silenzio, ansioso di arrivare nel luogo dello scontro prima che fosse troppo tardi. «Bek, fermo!» lo chiamò Rue, disperata, Troppo tardi. Girato l'angolo di un tortuoso corridoio chiuso tra pareti così alte da lasciar vedere, in cima, soltanto una striscia d'azzurro, finirono contro i Mwellret di Cree Bega. Arrivarono da direzioni opposte in un piccolo cortile ombroso ingombro di detriti e Rue e Bek si fermarono di colpo. Il tutto accadde a tale velocità che l'immagine si stava ancora registrando nella mente di Bek quando Rue Meridian estrasse dalla cintura due coltelli e li lanciò contro i due bersagli più vicini, in un balenio di metallo lucente. Due rettili morirono subito mentre gli altri si scagliavano su di loro. Per loro sarebbe stata finita se Bek, vedendo piombare i corpi massicci dei rettili, non avesse reagito d'istinto alla minaccia. Facendo freneticamente ricorso alla magia, gettò contro gli assalitori una parete di suono. Colpì i rettili come aveva colpito i granchi meccanici nelle rovine di Castledown e li scaraventò lontano. Tre riuscirono a passare, ai margini dell'onda sonora. Bek ebbe solo un istante per cogliere il luccichio dei loro coltelli, poi furono su di lui. Agile, svelta e mortale, Rue uccise il primo, infilandosi sotto le sue braccia e piantandogli nella gola il terzo coltello. Intercettò anche il secondo, ma era lanciato in corsa e la trascinò con sé. Bek la vide cadere, poi non la vide più perché il terzo assalitore era su di lui e cercava di tagliargli la gola. Il giovane bloccò il colpo e urlò contro il rettile in tono di sfida. La sua voce era intessuta di magia ed esplose come reazione automatica alla sua paura e alla sua rabbia colpendo la testa del mwellret come se fosse composta di schegge di metallo tagliente. Il rettile morì prima di accorgersi di quanto stava succedendo mentre Bek si rialzava. «Rue!» gridò terrorizzato. «Non così forte. Ti sento.» Si sfilò da sotto il corpo del rettile che l'aveva assalita, ma con una certa difficoltà. Perdeva sangue da una ferita al petto e da un'altra al braccio sinistro. Bek le s'inginocchiò accanto, spostando il mwellret morto, e cercò di controllare la gravità delle sue ferite, ma Rue lo allontanò da sé. «Lasciami stare. Mi sono di nuovo rotta le costole. Mi fa male respirare.» Deglutì per vincere il dolore. «Recupera i miei coltelli, ma fa' attenzione: qualche rettile potrebbe essere ancora vivo.» Bek estrasse il coltello piantato nella gola di un rettile, a poca distanza da loro, poi attraversò il cortile per raggiungere gli altri, che giacevano contro la parete in un groviglio confuso. La forza dell'urto era stata tale da renderli quasi irriconoscibili. Li fisso per un momento, nauseato al pensiero di essere il responsabile di quella carneficina, di averli uccisi lui. Non aveva visto tanti morti dal giorno dell'attacco contro l'equipaggio della "Jerle Shannara", nelle rovine di Castledown. Li guardò per un istante di troppo, e fu costretto a piegarsi su se stesso per vomitare. «Non perdere tempo!» lo chiamò Rue, impaziente. Bek recuperò gli altri coltelli da lancio e glieli riportò, poi cercò di nuovo di fasciarle le ferite. «Lascia fare a me» rispose lei, allontanandolo. «Ma perdi sangue!» insistette lui. «Il sangue non è tutto mio. E' in gran parte dei rettili.» Rue aveva gli occhi lucidi per le lacrime, ma lo sguardo fermo. «Non posso continuare. Devi andare senza di me. Trova tua sorella. E' lei ad avere bisogno di te.» Bek scosse la testa, preoccupato per lei. «Non voglio lasciarti. Quanto sono gravi le tue ferite, Rue? Fammi vedere,»
Lei strinse i denti e lo allontanò di nuovo. «Non tanto da impedirmi di darti una buona lezione, se non fai come ti dico! Va' da Grianne, Bek! Subito! Corri!» Si udì un'altra esplosione, questa volta più vicina, e con un suono più cupo e minaccioso. Bek alzò la testa, impaurito per la sorella. «Bek, ha bisogno di te!» gli ripeté Rue, con rabbia. Lui le diede un'ultima occhiata, poi balzò in piedi e corse via nell'oscurità. Redden Alt Mer voltò la prua della "Black Moclips" verso lo Spartiacque Azzurro e la flotta del Morgawr, e quando la nave fu sulla rotta fermò la ruota del timone e uscì dalla garitta. Fece il giro completo del ponte, alzando tutte le vele-luce, fissando bene i tubi radianti e controllando che le valvole di Parse avessero il cappuccio. Si assicurò che tutto fosse in ordine e potesse essere comandato dal solo pilota. Un'occhiata a ciò che si stendeva davanti ai rostri della nave gli rivelò che nulla era cambiato: la flotta era all'ancora e sui ponti non c'era alcun movimento. Una mancanza di immaginazione e di disciplina che Alt Mer avrebbe fatto pagare cara. Si fermò per un istante davanti ad Aden Kett e guardò negli occhi vacui, fissi, il comandante della Federazione. Come Rue, anche lui aveva ammirato Kett, l'aveva sempre giudicato un buon soldato e un ottimo comandante di nave. Nel vederlo così ridotto, nel vedere così ridotti tutti quei buoni marinai, si, sentì spezzare il cuore. Ridurre gli uomini a marionette, a qualcosa di meno dei più umili animali che camminavano sulla terra, togliendo loro la capacità di ragionare e di agire in modo indipendente, era un crimine mostruoso. Big Red pensò di aver visto abbastanza forme di malvagità nella sua vita e non voleva vederne altre. Forse poteva mettere fine a quella. Andò a poppa, dove venivano conservati gli attrezzi, e prelevò due pesanti rotoli di fune e un paio di grossi grappini. Legò con un doppio nodo le funi ai grappini e assicurò ciascuna fune a uno degli anelli per l'ancoraggio, di fianco ai rostri. Dispose i due rotoli sul ponte, con il grappino in cima, pronti per essere scagliati fuoribordo, e tornò nella garitta. Si voltò a guardare dietro di sé. Spanner Frew e i due Corsari si erano fermati sull'orlo della scogliera e lo osservavano, presumibilmente increduli. Per fortuna non gli gridavano di tornare e non richiamavano un'indesiderata attenzione su di loro e su di lui. Forse avevano indovinato il suo piano e volevano vedere cosa sarebbe successo. Per un attimo ripensò al Prekkendor e a tutte le missioni cui era sopravvissuto in condizioni assai più sfavorevoli. Questo lo incoraggiò a immaginare di sopravvivere anche a quella, benché gli paresse impossibile. Alzò gli occhi al cielo del mattino, brillante e di un azzurro intenso, una distesa abissale che pareva dilatarsi all'infinito, e rimpianse di non poter continuare a godere di quella vita che era stata tanto generosa con lui. Ma così vanno le cose. Avevi solo una certa quantità di tempo e dovevi approfittarne per quanto ti era possibile. E alla fine dovevi sentire in cuor tuo che le scelte da te effettuate erano state quasi sempre le migliori. Aggiustò la rotta in direzione della flotta all'ancora per dare l'impressione di volerla superare di lato. Si cominciavano a scorgere i primi segni di vita: alcuni rettili si accostavano al parapetto per guardare la nave in arrivo. Avevano riconosciuto la "Black Moclips" e si chiedevano perché non si vedessero il Morgawr e i Mwellret. Per ora la presenza dei marinai sul ponte, dell'equipaggio che aveva portato a riva la nave, li rassicurava, ma li avrebbe tenuti fermi per poco. Redden Alt Mer spinse a fondo le leve che comandavano le valvole. L'energia raccolta dalle veleluce arrivò ai cristalli e a tutti e dodici i tubi radianti. La "Black Moclips" accelerò. Anche, Ahren Elessedil sentì l'esplosione dal ponte della "Jerle" dove si trovava in compagnia del Cacciatore degli Elfi Kian. A parte Quentin Leah, cui Rue Meridian aveva dato un sedativo perché dormisse, adesso erano soli sulla nave. L'Highlander era peggiorato negli ultimi giorni, la sua condizione si era aggravata all'improvviso. Non pareva correre rischi, ma aveva la febbre e andava soggetto ad allucinazioni che lo facevano gridare. Per questo motivo Rue Meridian gli aveva dato una pozione per farlo dormire.
Ma forse l'esplosione l'aveva svegliato: Ahren lasciò Kian sul ponte e scese sottocoperta per controllare l'Highlander. Avrebbe preferito lasciare la nave, andare con gli altri a vedere cosa succedeva. Fra già stato abbastanza sgradevole scoprire che Bek e Rue se n'erano andati, ma adesso erano spariti anche tutti i Corsari, e con la sola compagnia del taciturno Kian e del dormiente Quentin si sentiva abbandonato. Infilò la testa nella cabina del comandante per il tempo sufficiente ad assicurarsi che Quentin fosse a posto, poi risalì sul ponte. Kian era fermo accanto al parapetto e osservava le rovine. «Hai visto qualcosa?» gli chiese Ahren, fermandosi accanto a lui. Kian scosse la testa Per qualche istante rimasero insieme ad ascoltare, poi si udì un seconda esplosione, più profonda. Giunse rumore di lotta, lontano ma chiaro: il clangore netto delle spade e le grida improvvise dei feriti e dei morenti. Seguirono altre esplosioni, poi il silenzio. Attesero a lungo che succedesse qualcosa di nuovo, ma il silenzio si prolungò, sempre più profondo. I minuti si susseguirono, come passi lenti e torpidi che non portavano da nessuna parte. Ahren divenne sempre più impaziente. Aveva le Pietre Magiche in tasca e la spada al fianco. Se c'era da combattere, era pronto. Ma finché fosse rimasto sulla nave non avrebbe potuto combattere. «Penso che dovremmo andare a cercarli» disse alla fine. Kian scosse la testa. Il suo volto scuro era privo di espressione. «Qualcuno deve rimanere sulla nave, principe. Non possiamo lasciarla incustodita.» Ahren sapeva che Kian aveva ragione, ma la cosa non lo faceva sentire meglio. Anzi, lo faceva sentire peggio. Il suo dovere nei riguardi dei compagni gli imponeva di rimanere a bordo della "Jerle Shannara" anche se gli sembrava di essere del tutto inutile Non che avesse un grande desiderio di combattere, ma a stare fermo gli pareva di non fare la propria parte. Come membro di quel gruppo pensava di essere stato un fallimento. Li aveva traditi nelle rovine di Castledown quando era fuggito. Aveva tradito Walker quando non era riuscito a recuperare le Pietre Magiche in tempo per aiutarlo nella lotta contro Antrax. Aveva tradito Ryer Ord Star lasciandola dietro di sé quando era fuggito dalla "Black Moclips" e dal Morgawr. Era soprattutto addolorato dalla morte della veggente. Big Red aveva sorvolato sulle parti più raccapriccianti, ma non c'era stato modo di alleviare il colpo e Ahren continuava a sentirsi in colpa. Aveva avuto un tale desiderio di fuggire che aveva creduto senza discutere alle bugie di lei. Ryer si era sacrificata per lui, mentre secondo Ahren doveva essere lui a sacrificarsi per lei. Sospirò tristemente. Era troppo tardi per cambiare quello che era successo a Ryer Ord Star, ma poteva ancora assicurarsi che lo stesso destino non capitasse ad altri. Tuttavia, che possibilità aveva di fare qualcosa se rimaneva a bordo della "Jerle Shannara" mentre gli altri erano andati a combattere al posto suo? Si udirono altri scoppi, e infine uno stridore impressionante, simile al rumore di una macina, che corse lungo le rovine come una valanga. Il terreno sussultò a tal punto da far rollare la nave e mandare i due Elfi a sbattere contro il parapetto: dovettero afferrarsi per non cadere. Blocchi di pietra piovvero dai bastioni e dalle torri dell'antico castello, nelle mura e nei pavimenti comparvero nuove crepe che parevano bocche affamate. Quando il rumore terminò, tornò il silenzio. Ahren guardò le rovine, cercando di trarre un senso da quanto era successo, ma dalla nave era impossibile farlo. Si voltò verso Kian, esasperato. «Vado a dare un'occhiata. E' successo qualcosa.» Kian gli blocco la strada. «No, principe degli Elfi. E' imprudente che tu...» Gli sfuggì un brontolio secco, i suoi occhi si dilatarono per lo stupore. Mentre Ahren lo guardava confuso, Kian fece un paio di passi e cadde in avanti, con lo sguardo fisso. Il principe lo afferrò mentre cadeva e lo fece stendere sul ponte. Dalla schiena gli sporgeva l'impugnatura di un pugnale: la lama era entrata fino alla guardia. Ahren lo lasciò e corse al parapetto. Un mwellret stava salendo lungo la scala di corda. La faccia scura e piatta si sollevò e gli occhi gialli fissarono Ahren. Era Cree Bega. «I piccoli Elfi» disse. «Che ssstupidi!»
Incredulo di fronte a ciò che vedeva, Ahren indietreggiò inorridito. Lanciò un'occhiata a Kian, ma il Cacciatore degli Elfi era morto. A bordo non c'era nessun altro, a parte Quentin, ma l'Highlander era troppo debole per aiutarlo. Gli venne in mente di tagliare la scaletta, ma era tardi. Cree Bega stava scavalcando il parapetto davanti a lui. «Non deve avere paura dì me, il piccolo elfo» disse il rettile. «Il piccolo elfo teme che voglia fargli del male?» Si chinò su Kian ed estrasse il pugnale. Lo sollevò come per esaminarlo e il sangue colò lungo la lama lucida sino a scorrergli sulle dita. La lingua scura del rettile uscì di scatto e lo leccò. Ahren era terrorizzato. Indietreggiò fino alla garitta del pilota prima di fermarsi, lottando per vincere il panico. Non poteva usare le Pietre Magiche, la sua arma più potente, perché servivano soltanto per difendersi dalle creature che possedevano una magia. E non poteva fuggire per non lasciare Quentin in balia del mwellret. Deglutì. Doveva restare e combattere se non voleva perdere quel po' di dignità che ancora gli rimaneva. Meglio morire ora che fuggire di nuovo, tradire ancora una volta il suo dovere. «Dammi quello che voglio, piccolo elfo, e forssse ti lassscerò vivere» gli disse Cree Bega, a bassa voce. «I libri di magia. Dove li hai nassscosssti, piccolo elfo?» Ahren estrasse la spada. Tremava a tal punto che per poco non la lasciò cadere, ma respirò a fondo per calmarsi. «Va' via dalla nave» disse a Cree Bega. «Gli altri stanno arrivando.» «Gli altri sssono troppo lontani, sssciocco piccolo elfo. Non arriveranno in tempo per sssalvarti.» «Non ho bisogno di loro per salvarmi.» Si costrinse a fare un passo verso il rettile, allontanandosi dalla garitta e dall'irresistibile tentazione di fuggire. «Sei tu che sei solo.» Il mwellret si avvicinò a lui lentamente, con la faccia priva di espressione, i movimenti quasi languidi, "Non guardarlo negli occhi" ricordò Ahren a se stesso. "Se guardi un mwellret negli occhi, ti paralizza e ti taglia la gola prima che tu te ne accorga. «C'è qualcosssa che non va, piccolo elfo?» sussurrò Cree Bega. «Hai paura di guardarmi?» Senza volere, Ahren guardò il rettile negli occhi, come se la domanda richiedesse di guardarlo. E in quell'istante Cree Bega si gettò su di lui. Il principe menò disperatamente un colpo dì spada per allontanarlo, ma il mwellret intercettò la spada e il suo coltello passò sul petto dell'elfo, tagliando carne e muscoli come se fossero di carta. Il principe sentì un forte bruciore, ma allontanò il rettile piegandosi sulle ginocchia e agitando la spada a destra e a sinistra per aprire uno spazio tra loro. Cree Bega si scansò e lo guardò. «Ci sssei ssscappato una volta, piccolo elfo ma non ci ssscapperaí una ssseconda. La piccola veggente ha commesssso l'errore di aiutarti. Vuoi che ti dica quello che le abbiamo fatto? Dopo che il Morgawr l'ha data a noi? Come gridava e implorava perché la uccidessssimo? Quesssto non ti fa sssentire trissste? Ahren sentì un rombo nelle orecchie, la tremenda pressione della rabbia che montava dentro di lui, ma non lasciò che si scatenasse perché sapeva che se l'avesse lasciata uscire, sarebbe stato un uomo morto. Odiava Cree Bega. Odiava tutti i rettili, ma in particolare il loro capo. Cree Bega era una pietra legata al suo collo e l'avrebbe trascinato alla morte se non avesse tagliato il legame. Il principe degli Elfì non era più il ragazzo di poche settimane prima e non voleva darla vinta al mwellret in questo scontro di volontà. Non intendeva lasciarsi prendere dal panico né essere indotto a commettere azioni inconsulte. Non intendeva fuggire. Se doveva morire, sarebbe morto combattendo come gli aveva insegnato Ard Patrinell. Si mise in posizione difensiva, ricordando le lezioni del capitano della Guardia Reale, e concentrò tutta la sua attenzione sulla spada. Tenne gli occhi lontano da quelli del rettile, s'impose di essere sciolto e rilassato, sapendo che Cree Bega avrebbe cercato di finirlo nel prossimo scambio di colpi: ucciderlo in fretta e andarsene. Ahren si chiese perché il rettile fosse solo. I mwellret entrati nelle rovine erano almeno una decina. Dov'erano finiti? Dov'era il Morgawr?
Si spostò a sinistra per costringere il mwellret a infilarsi tra il parapetto e l'albero. Un sottile velo di sangue gli scendeva lungo il petto e il suo corpo bruciava per la ferita, ma si costrinse a ignorarla. Abbassò un po' la spada, per suggerire che fosse incerto sull'uso dell'arma e invitare il rettile ad approfittarne. Ma Cree Bega rimase fermo, girandosi per seguire con lo sguardo i movimenti del principe. «E' morta molto lentamente, piccolo elfo» continuò il rettile. «Cosssì lentamente che sssembrava non morisssse mai. Non ti dissspiace di non essssere ssstato là a sssalvarla?» Ahren si chiuse nelle profondità di se stesso, tornò indietro nel tempo, ai giorni in cui faceva pratica di scherma con Ard Patrinell su quello stesso ponte, sotto i roventi raggi del sole. Rivide l'amico e insegnante, alto e magro e robusto come l'acciaio, che gli faceva ripetere all'infinito le lezioni di sopravvivenza che un giorno gli sarebbero servite. Quel giorno era arrivato, come Patrinell aveva previsto. Il destino aveva scelto quel momento e quel luogo. Cree Bega fece un affondo, un attacco condotto con grande scioltezza, senza sforzo, che lo portò alla sinistra di Ahren, lontano dal braccio che impugnava la spada e in direzione del suo lato vulnerabile. Ma Ahren aveva previsto che il rettile lo attaccasse da quel lato: guidato dalla voce del maestro che gli sussurrava nella mente, sorretto dalle lunghe e faticose ore di pratica, aiutato dalla decisione di riscattarsi, era pronto. Tenne gli occhi sulla lama di Cree Bega, schivò il colpo e calò ulteriormente la spada, come se avesse abbassato dei tutto la guardia, poi alzo la lama di scatto, quando l'altro era ormai troppo vicino per tirarsi indietro. La lama s'infilò sotto il braccio teso di Cree Bega penetrando fino all'osso e risalendo poi lungo il petto e nella gola. Il mwellret indietreggiò barcollando, il coltello gli cadde dalle dita prive di forza e rotolò sul ponte. Dalla bocca spalancata gli sfuggì un rantolo e sul suo volto si disegnò un'espressione di sommo stupore. Ahren lo incalzò subito, ritirò la spada e gliela piantò nel petto, passandolo da parte a parte. Poi, con uno strattone, estrasse la spada e fece un passo indietro, mentre il rettile procedeva a ritroso fino al parapetto e vi rimaneva appoggiato. Dalle labbra aperte non gli uscì nessuna parola, ma nei suoi occhi c'era un tale odio che Ahren distolse lo sguardo. Stava ancora cercando di non guardarlo quando l'altro si piegò sulla tolda e smise di respirare. Se non fosse stata avvolta dalla magia del canto che la nascondeva alla vista, Grianne Ohmsford non sarebbe sopravvissuta. Quando si volto, il Morgawr era quasi sopra di lei, e la sua mano scattò per afferrarla. Ma le difese di Grianne erano già alzate e la magia deviò la mano dello stregone quanto bastava per far fallire l'attacco. Mentre lei si scostava di scatto, le unghie del Morgawr le sfiorarono il collo, graffiandole la pelle. Lei scagliò una parete di suono tra sé e l'avversario, gridando per la rabbia e la sorpresa, ma anche il Morgawr era protetto dalla magia, che evidentemente l'aveva nascosto fino a quel momento. Grianne aveva pensato di coglierlo con la guardia abbassata quando l'aveva separato dai Mwellret, ma il mago aveva troppa esperienza. Aveva creato un miraggio di sé perché lei lo attaccasse, e Grianne aveva quasi perso la vita a causa della sua trascuratezza. Si allontanò da lui vorticando, in un turbine di suono e di movimento, raggiunse la parete opposta e si piegò sulle ginocchia, ansimando. Il Morgawr non fece alcun tentativo di avvicinarsi, rimase sulla soglia della stanza, osservandola per valutare l'effetto della sua sorpresa. «Pensavi che non ti aspettassi, mia piccola Strega di Ilse?» le chiese a bassa voce, in tono mellifluo. «Ti conosco meglio di quanto credi. Ti ho addestrata troppo bene per pensare che non venissi a cercarmi.» «Mi hai mentito» rispose lei, frenando a stento la collera. «Mi hai mentito sul druido, sui miei genitori e su Bek, su tutta la mia vita.» «A volte le bugie sono necessarie per ottenere il nostro scopo. Le bugie rendono possibile quello che altrimenti non potremmo avere. Ritieni di essere stata trattata male?» «Ritengo di essere stata trasformata in un mostro.» Provò a fare un passo a sinistra, per cercare un'apertura nelle sue difese. Sentiva il potere del Morgawr accumularsi, turbinargli attorno come i
mulinelli d'aria calda attorno a una fiamma. Presto avrebbe attaccato. Era stata troppo lenta, troppo sicura di sé, e aveva perso il vantaggio della sorpresa. «Sei stata tu a trasformarti in quello che sei» le rispose. «Io ti ho dato soltanto l'occasione di farlo. Comunque, stavi sprecando la tua vita. Tuo padre aveva scelto di tenerti lontana dal druido, cosa di cui gli sono riconoscente. Ma tentare di tenerti lontana da me è stato un errore.» «Non sapeva niente di te! Hai ucciso lui e mia madre senza alcun motivo! Mi hai rapita perché diventassi il tuo strumento! Mi hai usata per i tuoi scopi e l'avresti fatto per sempre, se non avessi scoperto la verità!» Il Morgawr sollevò appena le spalle, come per dire che non provava alcun senso di colpa per le azioni di cui lo accusava. La sua alta figura si chinò verso di lei: pareva che volesse imprigionarla dentro la sua ombra come in una rete. «Come ha fatto il druido a convincerti della verità, piccola Strega?» le chiese. «Una volta non avresti mai creduto alle sue parole. O è stato tuo fratello a dirtelo?» Lei non voleva spiegargli nulla, non voleva neppure parlargli. Voleva che se ne andasse dalla sua vita, che sparisse dalla terra su cui camminava e anche dalla sua memoria, se fosse stato possibile. Lo odiava con una tale intensità da sentire il suo puzzo, ora che stavano nella stessa stanza: non l'odore acido del sudore, ma quello della putrefazione del male. Tutto ciò che lo riguardava era così ributtante che Grianne riusciva solo a pensare di prendere le distanze da lui con ogni mezzo. «Non dovevi venire a cercarmi» gli disse, facendo un altro passo di lato e accumulando la propria magia per reagire a quella di lui. «Non dovevi tradirmi» replicò lo stregone. Il potere del canto posseduto da Grianne veniva dalla magia della terra, il suo antenato Wil Ohmsford l'aveva assorbito dalle Pietre Magiche e trasmesso ai discendenti. Poteva fare quasi tutto, una volta che il suo possessore avesse imparato a usarlo, dal togliere la vita al ridarla. Ma il Morgawr possedeva una magia molto simile e altrettanto forte. Sorgeva dalla sua essenza, anziché dalla terra. Era nata con lui negli oscuri recessi della Malaterra, e il Morgawr, fratello delle due streghe sorelle, Mallenroh e Morag, l'aveva nutrita con la sete di potere e affilata con gli esperimenti sulle creature viventi. Traviato da una particolare forma di follia, aveva cercato il modo dì aumentare il potere che possedeva per nascita e così facendo di allungare anche la durata della sua vita, Aveva ottenuto i risultati che voleva abbastanza presto, quando era ancora giovane e aveva scoperto che nutrendosi di anime umane s'impossessava della loro forza vitale. Rubare l'anima alle sue vittime aumentava la sua forza e la sua vitalità, placava la sua sete come nient'altro. Era abbastanza facile, aveva detto molto tempo prima alla Strega di Ilse, una volta superata la repulsione suscitata dall'atto. Per tanti anni Grianne aveva sopportato quella follia perché lo riteneva suo alleato nel raggiungere il suo scopo più alto, la distruzione del druido Walker. Aveva sempre saputo che cos'era il Morgawr, ma aveva accettato di essere la sua creatura, si era lasciata corrompere da lui anche se la ragione le diceva che non avrebbe dovuto. All'inizio l'aveva fatto perché non le pareva di avere scelta: era una bambina senza casa. Ma era maturata in fretta e da tempo la scusa non era più valida. In realtà aveva accettato volontariamente di aiutarlo, aveva adottato il suo modo di pensare e il suo comportamento, ansiosa dì partecipare della sua follia e del suo potere. Questo la rendeva altrettanto colpevole. «Mi riprendo la mia vita» disse Grianne. La tensione la faceva rabbrividire. «Mi riprendo la vita che mi hai rubato.» «Io non mi lascio mai portare via niente da nessuno» rispose il Morgawr. «La tua vita è mia e rinuncerò a essa quando lo vorrò io, non prima.» «Questa volta la scelta non è tua.» Lo stregone rise piano. Con una mossa delle vesti nere, fece un gesto sprezzante verso di lei. «La scelta è sempre mia» replicò. «Hai fatto bene a voler vivere la tua vita, piccola Strega, finché non hai cercato un potere che non ti apparteneva. Tu pretendi di essere migliore di me, ma non è vero.
Non sei senza colpa, non hai scopi più nobili dei miei, non hai un'intelligenza superiore. Tu sei un mostro. Sei gelida e cupa come me. Se la pensi diversamente sei una sciocca.» «La differenza tra noi due, Morgawr, non sta nel fatto che mi credo migliore di te. La differenza sta nel fatto che io riconosco quello che sono e capisco che è una cosa terribile. Tu invece vuoi andare avanti come sei e non te ne penti. Se riuscirò a cambiare io guarderò quello che ho fatto e lo rimpiangerò per sempre.» «La durata del rimpianto sarà breve, allora. La tua vita sta per finire.» Nella sua voce c'era una sfumatura diversa, una sorta di anticipazione. Si preparava ad attaccare. Grianne lo sentiva nei movimenti dell'aria, nel crepitio e nel sibilo della magia da lui evocata che cominciava a sfuggire ai vincoli. Di conseguenza, lei non era dove lui si aspettava quando la colpì. Si era spostata di lato e aveva lasciato soltanto una propria immagine. Mentre il riverbero della magia dello stregone la colpiva e l'effetto della sua furia apriva grandi crepe nel muro dietro di lei, Grianne rispose con schegge taglienti che l'avrebbero fatto a pezzi se non si fosse protetto contro l'attacco. Con assalti feroci, i due maghi trasformarono presto la stanza in una fornace fumante e piena di macerie, in mezzo a un calore e a un rumore intensi e soffocanti. Ma la forza dell'uno era pressoché pari a quella dell'altra, più di quanto si fossero aspettati, e nessuno riuscì a ottenere un vantaggio decisivo. Poi il Morgawr scomparve. Fino a un attimo prima la sua figura massiccia, che sembrava fatta di liquido e d'ombra, era dietro uno schermo di fumo e di calore, l'istante successivo era sparito. Grianne si spostò a destra per evitare che la raggiungesse da un'altra direzione. Saggiò l'aria per cercarlo, ma la scia di calore del suo corpo le rivelò che era uscito dalla stanza. Si lanciò all'inseguimento. Se fuggiva era segno che aveva perso sicurezza, e non voleva dargli la possibilità di riprendersi. Sentì scorrere dentro di sé un selvaggio senso d'attesa. Forse adesso avrebbe messo la parola fine all'esistenza del Morgawr. La "Black Moclips" si stava avvicinando alla flotta del Morgawr quando a Redden Alt Mer venne in mente di controllare se c'era ancora un oggetto che secondo lui era ormai stato eliminato. Lo fece per un capriccio, perché gli era venuto in mente in quel momento, pensando ad Ahren Elessedil e a come era stato salvato da Ryer Ord Star. Ora sentì il desiderio di controllare se un certo oggetto era ancora a bordo. Sì assicurò che la nave tenesse la rotta, legò i comandi e scese dall'abitacolo del pilota. Passò davanti ai morti viventi e scese nelle postazioni di combattimento. Andò fin dove si alzava il rostro di sinistra, tolse un pannello sul pavimento e guardo all'interno. Contro ogni probabilità, contro la sua certezza che non ci fosse più, l'oggetto c'era, ancora nel posto dove lui l'aveva messo, bene avvolto e pronto per l'uso. "Chi l'avrebbe mai detto?" pensò. Prese l'involto e lo portò sul ponte, in pochi istanti lo aprì e lo montò, chiedendosi perché lo faceva. Perché l'aveva trovato, si rispose. Perché spesso il destino di un uomo era determinato dal caso, e per tutta la vita lui aveva creduto nella fortuna. Al suo ritorno nella garitta del pilota vide incombere davanti alla "Black Moclips" gli alberi privi di vele-luce della flotta del Morgawr, spogli come i rami dì una foresta invernale. Alcune vele erano tese per permettere alle navi di rimanere in aria, ma per lo più erano arrotolate e legate. I Mwellret si affollavano ai parapetti, scrutando cori attenzione la nave in avvicinamento. Cercavano di capire perché la "Black Moclips" fosse tornata e perché non si scorgessero il Morgawr e i loro compagni. Per il momento, però, non erano preoccupati. La nave non pareva costituire una minaccia. Non puntava contro di loro, ma a sinistra, e sarebbe passata a una certa distanza, come se intendesse prendere il largo. A quel punto la "Black Moclips" aveva raggiunto una notevole velocità e accelerava ancora. Volava a più di trenta nodi, attraversava l'aria chiara del mattino come una pietra scagliata da una catapulta, spinta da un vento teso del sud, il volo agile e regolare. Gli uccelli marini volavano verso Redden
Alt Mer e poi si allontanavano bruscamente, come se capissero che andava in cerca di guai: l'idea lo fece sorridere. Quando la sua velocità raggiunse ì quaranta nodi e la "Black Moclips" era a meno di un quarto di miglio dalla flotta, Alt Mer tornò sul ponte e gettò fuoribordo le pesanti funi e i grappini d'abbordaggio. Gli uncini dondolarono sotto la nave come mostruosi ami da pesca. "Un bel paragone" pensò divertito. Tornò di corsa nella garitta del pilota, afferrò i comandi, aprì i tubi di destra e voltò le veleluce a sinistra. La "Black Moclips" virò bruscamente a sinistra e la manovra improvvisa fece cadere a terra gran parte dell'equipaggio; gli uomini rimasero a terra, con gli occhi fissi nel vuoto. Alt Mer non badò loro. Raddrizzò la nave e le fece riprendere velocità, questa volta avventandosi contro la flotta del Morgawr. Le punte dei grappini luccicavano al sole oscillando come esche. Finalmente i Mwellret avevano capito di essere attaccati e si erano messi in movimento come un formicaio spaventato. Alzavano vele, legavano cime, levavano ancore. Cercavano freneticamente di mettere in attività i loro equipaggi dallo sguardo spento. Ma nel togliere loro la vita, il Morgawr aveva anche sottratto loro la capacità di reagire in fretta. Non sarebbero arrivati in tempo. La "Black Moclips" era una sorta di grosso bestione in mezzo alle navi della Federazione. Non era molto larga, però massiccia e potente. Passò in mezzo alla flotta del Morgawr come in un mucchio di pagliuzze: con i rostri e la chiglia spezzò gli alberi mentre i grappini laceravano le vele e strappavano i tubi. Metà delle navi perse potenza all'istante e piombò nell'oceano. Le altre si muovevano in cerchio, danneggiate, e faticavano a rimanere in volo. Se non fossero stati così imbecilli, i rettili avrebbero fatto scendere subito nell'acqua le navi, ma erano privi dell'esperienza che gliel'avrebbe suggerito. L'urto delle ripetute collisioni scosse la "Black Moclips" fino alla cima dei pennoni, aprì grosse falle nella chiglia e finì per spezzare i rostri. La nave perse entrambi i grappini e il fasciame del ponte cui erano fissate le funi. Alt Mer venne proiettato contro la parete della garitta e perse il controllo della nave. Batté la testa sul telaio della porta e per qualche istante vide un'esplosione di stelle multicolori. Ma si rialzò subito e cercò a tastoni il timone. In pochi istanti riuscì a far tornare indietro la "Black Moclips" per un secondo passaggio. Ora vedeva bene i danni inflitti: le navi giacevano a pezzi nell'acqua, molte erano in fiamme. Dappertutto si scorgevano corpi e relitti, Alcuni superstiti si afferravano a qualche rottame, ma non molti. La maggioranza era sparita sott'acqua. Alt Mer cercò dì non pensare a quei morti. Cercò invece di pensare alle vite che doveva salvare, agli amici e compagni di viaggio e alla sua promessa di proteggerli. Fece rotta contro le navi rimaste in volo, aumentando la velocità. Una o due navi erano riuscite a prendere il volo e puntò contro di esse. Il suo scopo era chiaro: non doveva rimanere neppure una nave. Intendeva affondarle tutte e abbandonare il Morgawr e i suoi accoliti su Mephitic, senza possibilità di andarsene. Perché questo accadesse, non doveva lasciare navi che potessero essere riparate. Doveva distruggerle completamente. Doveva cancellare quella flotta. C'era solo un modo per ottenere un simile risultato. Peccato che Little Red non lo vedesse! Avrebbe apprezzato la semplicità del suo piano. Guardò verso l'isola, ma ormai era troppo lontano per distinguere con chiarezza qualcosa. Dalla flotta colpita si alzavano fumo e ceneri che nascondevano la costa. Una nube grigia saliva nell'azzurro del cielo e l'aria puzzava di legno bruciato e di metallo incandescente. Quando si gettò sulle navi ancora in volo, la sua velocità superava i trenta nodi. Corresse la rotta per compiere la manovra desiderata: un passaggio che lo portasse dritto in mezzo al gruppo, ma sotto le navi, questa volta. Solo una era riuscita ad alzare tutte le vele e aveva levato le ancore ma, avvolta dal fumo, non riusciva a controllare la rotta. Da tre altre salivano volute di fumo. Alt Mer gettò via il mantello e si sganciò dal cavo di sicurezza. A quel punto la mobilità era il suo migliore alleato: chiuse tutti gli scarichi delle valvole di Parse, ma continuò ad attingere energia dalle vele-luce. Nessun comandante l'avrebbe mai fatto, a meno che non intendesse distruggere la
propria nave. L'energia raccolta dalle vele-luce doveva venire espulsa dagli scarichi delle valvole, altrimenti sarebbero esplose e avrebbero fatto esplodere la nave. La nave e tutto ciò che le stava attorno. Mantenne sulla rotta la "Black Moclips", lasciando che l'energia si accumulasse nelle valvole finché non le vide fumare. "Basta che resistano ancora per un po'" pensò. Fece un profondo respiro per vincere l'eccitazione. Le navi del Morgawr erano dinanzi a lui. «E' ora di muoversi» mormorò. Pochi istanti più tardi, come un toro infuriato in mezzo agli steli di mais in un giorno d'autunno, la "Black Moclips" s'infilò tra le chiglie delle navi ancora in volo ed esplose in un globo di fuoco. Bek Ohmsford correva in mezzo alle rovine in cerca della sorella, e non badava al rumore dei suoi passi perché nessuno lo poteva udire nel clamore della battaglia che si combatteva in qualche punto davanti a lui. Nei corridoi di pietra dell'antico castello echeggiavano secchi scoppiettii e profondi boati, che spezzavano un silenzio secolare e abbattevano le mura: le scariche di magia erano tanto forti da far vibrare la terra sotto i piedi. O Grianne aveva trovato il Morgawr o lo stregone aveva trovato lei: in ogni caso la battaglia tra i due era iniziata e lui doveva intervenire. Non aveva idea di cosa fare, una volta che li avesse raggiunti, e non era un problema che si potesse rimandare. Dopo avere trovato la sorella, doveva aiutarla. Ma in che modo? La sua padronanza del canto magico era inferiore a quella di Grianne. Lei l'aveva già avvertito che non aveva nessuna possibilità contro il Morgawr, che l'esperienza e l'abilità dello stregone erano così soverchianti da sopraffarlo subito. Perciò cosa poteva fare di efficace? Come non divenire la distrazione che lei temeva e non poteva permettersi? Non lo sapeva. Sapeva solo che non poteva lasciarle affrontare il Morgawr da sola. Aveva faticato troppo per trovarla e guarirla, e adesso non poteva permettere che le succedesse qualcosa. I suoni cessarono, e Bek rallentò il passo e tese l'orecchio. Era in una parte del castello dove non arrivava il sole. Alte pareti torreggiavano su di lui, i corridoi erano stretti e alti, le stanze cavernose. 1 soffitti erano a volta e a più livelli, e le ombre che proiettavano erano piene dì movimenti inattesi. Si accostò a una parete e camminò adagio, cercando di non farsi sentire. Volute di fumo volteggiavano nelle stanze e l'aria sapeva di bruciato. Cercò di respirare con regolarità. Tutto taceva. E se fosse finita? Se il Morgawr aveva vinto e Grianne era morta? All'idea si sentì raggelare e la scacciò da sé come un serpente velenoso, rifiutandosi di accettarla. Impossibile, si ripeté con fermezza. Grianne stava bene. Comunque accelero il passo, ansioso di controllare. Si stupiva che il fragore della lotta non avesse destato lo spirito del castello. Con tanto rumore e tanta furia che invadevano il suo dominio e con tutti i danni prodotti al castello, Bek si aspettava che lo spirito rea,gisse. Ma non c'era alcun segno che si fosse destato, nessun indizio nell'aria o nella pietra che suggerisse un pericolo. Per qualche ragione, lo spirito non reagiva. Bek era perplesso. Forse perché si muoveva solo per i tentativi di furto, come aveva fatto con Bek e Truls Rohk? Forse la sola cosa che gli importava era mantenere il possesso dei suoi tesori. Il crollo delle mura e delle torri del suo castello non gli interessava, non più di quando crollavano a causa del passare del tempo. E proprio in quel momento, improvviso e inatteso, gli venne in mente il modo di usare la propria magia contro il Morgawr. Prima, però, doveva trovare lo stregone, e il tempo volava. Risultò meno difficile del previsto. Qualche istante più tardi, il silenzio venne bruscamente lacerato da un suono stridente che echeggiò sulle pareti di pietra: una sorta di strappo. Bek sì avviò subito in quella direzione, seguendo l'eco che si stava spegnendo, richiamato dalle voci. Giunse a una breccia in una parete e vide la sorella lottare con il Morgawr. Lo stregone l'aveva intrappolata e la teneva ferma con la forza della magia. Lei lottava per liberarsi - Bek vedeva lo sforzo sul suo viso - ma non trovava modo di usare con efficacia la propria magia. Il Morgawr cercava di schiacciarla, di frantumarla, privandola dell'aria, dello spazio e della luce, e l'oscurità di cui si serviva come arma era una presenza visibile.
Bek vide la mano dei Morgawr protendersi per cercare di afferrare Grianne, spingere contro il tessuto della magia protettiva di lei fino a toccarle la faccia. Grianne mosse di scatto la testa e cercò di dare uno strattone ai vincoli che la stringevano. Ma Bek vide che il Morgawr era troppo forte. Anche per lei, anche per la Strega di Ilse. Lo stregone allungò le dita e Bek vide gonfiarsi i muscoli delle sue spalle mentre forzava la mano ad avvicinarsi. La sua intenzione era inequivocabile. Voleva divorarle l'anima. "Grianne!" Bek non aveva più il tempo di riflettere su cosa intendeva fare, aveva solo il tempo di farlo. Scagliò la sua magia sotto forma di una rete sottile come una ragnatela che avvolse interamente lo stregone, un debole solletico che lui notò appena. Ma nelle profondità delle rovine, dove neppure il Morgawr riusciva a penetrare, lo spirito del castello si risvegliò e si mise in caccia. In un attimo fu desto, richiamato dalla presenza di qualcosa che si era rassegnato a considerare perso e che adesso era tornato. Si avventò ruggendo fra i muri cadenti, lungo i corridoi ingombri di macerie, attraverso i cortili vuoti. Non badò alla "Jerle Shannara" e a coloro che la circondavano, né ai vivi né ai morti, e neppure a quanto stava succedendo nel mare, a poca distanza dalla costa. Dedicò la sua attenzione unicamente alla creatura che l'aveva destato. Il Morgawr. Lo spirito però non vedeva lo stregone per quello che era. Lo vedeva come glielo presentava Bek mediante la sua magia. Al posto del Morgawr vedeva il ragazzo che gli aveva rubato la chiave alcune settimane prima, il temerario che l'aveva offeso con la sua sfacciataggine e ingannato con la magia. E soprattutto vedeva in lui il ladro che aveva ancora in tasca la chiave. Il Morgawr ebbe solo un istante per distogliere l'attenzione da Grianne e comprendere che stava succedendo qualcosa di spaventoso, poi lo spirito gli fu addosso. Lo colpì come una tromba d'aria, strappandolo dalla sua vittima, scaraventandolo contro la parete più vicina e tenendovelo inchiodato. Il Morgawr gridò furibondo e si difese con la magia, cercando di colpire il vento, l'aria, la magia dello spirito, folle di rabbia. In mezzo al fragoroso ruggito, Bek gridò a Grianne di fuggire, e lei si riprese e corse verso di lui. Poi, in apparenza senza motivo, tornò indietro. Facendo appello a tutte le sue energie, scagliò contro il Morgawr la sua magia, aiutando lo spirito a schiacciarlo. Il rumore era così terrificante, così spaventoso e pervasivo, che Bek dovette coprirsi gli orecchi e fece una smorfia per il dolore. La faccia da rettile si contorceva sconvolta e furiosa, le braccia si agitavano per afferrarsi a qualche inesistente appiglio, ma quando le due magie lo colpirono insieme, il Morgawr inarcò bruscamente la schiena. Per un attimo riuscì a respingerli tutt'e due, Strega e spirito: da lungo tempo il suo cuore nero era di pietra, la sua mente di ferro. "Non mi lascerò sconfiggere da creature simili" pareva dire il suo sguardo. "Non oggi." Poi la pietra alle sue spalle si aprì e il Morgawr venne sospinto nell'apertura: era lunga e profonda, attraversava molte file di blocchi di pietra posati dai costruttori, secoli prima, per fare da supporto a torri e bastioni in buona parte crollati da tempo. Lottando contro la sua prigione, il Morgawr cercò di fuggire, ma la pressione della magia che lo teneva fermo era soverchiante. Non riusciva a liberarsi, Bek glielo lesse stilla faccia e negli occhi. Era in trappola. Lentamente, la pietra iniziò a chiudersi. Il Morgawr lanciò un urlo, la colpì con la sua magia, e sotto il suo potere volarono via grosse schegge. Ma non riuscì a spezzarne una quantità sufficiente e la crepa si strinse: poco per volta, lo stritolò come lui aveva cercato di stritolare Grianne. A poco a poco venne imprigionato sempre più strettamente in uno spazio sempre più ridotto e non poté più muovere le braccia per gesticolare, per evocare i suoi incantesimi, per scatenare la sua magia. Il suo corpo si contorse freneticamente e il suo grido si alzò a livelli inumani.
Quando la parete si fu richiusa, da una minuscola fessura della pietra sporgevano solo più le dita di una mano. Si contrassero per qualche attimo nel silenzio che era tornato nelle rovine. Quando infine si fermarono, la fessura era scomparsa e dalla parete colava sangue. Le esplosioni che giungevano dalla terra e dal mare fecero uscire dal loro nascondiglio su un lontano atollo i Cavalieri del Wing Hove. Si alzarono in volo sui loro Roc nella chiara aria del mattino e si diressero verso le scure colonne dì fumo che si levavano dalle rovine dell'antico castello, e solo allora scorsero altro fumo sopra la distesa dello Spartiacque. Videro le navi del Morgawr avvolte dalle fiamme e guardarono esterrefatti la "Black Moclips" volare contro di esse. Poi tutto scomparve in una gigantesca esplosione che riempì di fuoco e fumo l'aria e creò un'onda d'urto così forte da poter essere sentita a miglia di distanza. Hunter Predd non riuscì a capire cosa c'era dietro quello che aveva visto. A quanto pareva, l'idea di nascondersi al Morgawr non aveva funzionato, ma era difficile comprendere la natura della battaglia che si stava combattendo. Quando vide Spanner Frew e due Corsari fermi sull'orlo della scogliera, diresse Ossidiana verso di loro, subito imitato da Po Kelles e Niciannon. Si udirono altre esplosioni: valvole che cedevano per la troppa energia dei cristalli di diapso surriscaldati mentre proseguiva la distruzione della flotta. I Cavalieri del Wing Hove e si posarono accanto ai Corsari, balzarono a terra e corsero verso di loro. «Cos'è successo» chiese Hunter Predd al maestro d'ascia. Vedendo la faccia sbalordita dell'altro, lo prese per le braccia e gli diede uno scrollone. «Parla!» Spanner Frew scosse la testa, incredulo. «E' volato contro di loro, cavaliere. Ha messo i cappucci ai cristalli, ha accumulato tanta energia da distruggere una decina di navi ed è volato contro di loro. Ha fatto tutto da solo. Le ha distrutte da solo. Non riesco a crederci!» Senza bisogno di chiedere, Hunter Predd capì subito a chi si riferiva. Guardò la densa nuvola di fumo che si allargava sullo Spartiacque Azzurro. Pezzi di fasciame anneriti galleggiavano sull'acqua. L'acqua stessa pareva in fiamme. Non c'erano navi in volo e non c'era segno di vita nel mare. Con Po Kelles e i due Corsari, il cavaliere continuò a fissare in silenzio quella strage. Dopotutto, Big Red aveva trovato il modo di fermarli, pensò, con un misto di ammirazione e di tristezza. «Può darsi che se ne sia andato in tempo» disse a bassa voce. Nessuno degli altri gli rispose, nessuno lo guardò. Tutti sapevano che era impossibile. Nessuno poteva sopravvivere a un'esplosione simile: anche se fosse riuscito a saltare dalla nave, la caduta l'avrebbe ucciso; e se fosse sopravvissuto alla caduta, l'avrebbero finito il fuoco e i relitti. Fissarono pietrificati la densa nube di fumo. Nessuno di loro era disposto a credere che Redden Alt Mer fosse davvero scomparso. Nessuno voleva credere che potesse morire così. Il mare era tornato tranquillo, il cielo era immobile e in pace. Le esplosioni erano cessate, anche nel castello dietro di loro. Tutte le battaglie che erano state combattute, erano finite. Hunter Predd si chiese chi avesse vinto. Forse nessuno. «Andiamo a vedere cos'è successo agli altri» disse. Stavano per allontanarsi, quando dalla nube di fumo scuro uscì qualcosa. A tutta prima, il Cavaliere del Wing Hove pensò che fosse un Roc o un'averla da guerra e si chiese da dove saltasse fuori. Ma la dimensione non era quella corretta e non volava nella maniera giusta. Era qualcosa di diverso. «Barbanera!» disse a bassa voce. L'oggetto volante prese forma quando uscì dalla foschia e progressivamente si poté distinguere cos'era: un oggetto che tendeva a sbandare, ma rimaneva in volo, Era un veleggiatore. «Per tutte le Ombre!» mormorò il maestro d'ascia. L'uomo ai comandi del veleggiatore aveva ritrovato la sua proverbiale fortuna
33.
Poco più di cinque mesi dopo, l'uomo che aveva ritrovato la sua fortuna e coloro che aveva giurato di proteggere erano tornati a casa sani e salvi. Fermo accanto al parapetto della "Jerle Shannara", Redden Alt Mer guardava i Denti del Drago avvolti nella foschia del crepuscolo e per la prima volta da parecchie settimane pensò alla sua fuga miracolosa dalla flotta del Morgawr in fiamme. Gli era tornata in mente nel vedere un rapace che descriveva grandi cerchi a spirale nella nebbia che scendeva dalla montagna. Ma quel pensiero durò solo per un momento. Il fatto di avere trovato una via di fuga in mezzo al fumo, al fuoco e ai detriti esplosivi lo stupiva tuttora e non lo invogliava a rievocare i dettagli. La vita è un dono che si accetta e basta, senza analizzarne la generosità o le motivazioni. In qualsiasi caso, non aveva intenzione di mettere ulteriormente alla prova la propria fortuna: dopo essere tornato sulla costa e a March Brume, avrebbe ancora pilotato navi, ma in regioni più tranquille. «Secondo te, di cosa discutono?» chiese Rue, parlando in modo che soltanto Big Red la sentisse. A una certa distanza da loro Bek Ohmsford e la sorella, due figure isolate nella penombra, discutevano con foga. Una conversazione che andava al di là dell'imminente separazione. Coloro che li guardavano dalla nave - i pochi rimasti: Ahren Elessedil, Quentin Leah, Spanner Frew, Kelson Riat e Britt Rill - attendevano con pazienza di vedere come sarebbe finita. «Parlano della scelta di Grianne» rispose Alt Mer. «Bek non riesce ad accettarla.» Erano arrivati dalla costa il giorno precedente e i due cavalieri Hunter Predd e Po Kelles li avevano lasciati per tornare nel Wing Hove: la loro missione era finita, la promessa di fare da esploratori e da cercatori di provviste era stata mantenuta. Il loro aiuto era stato inestimabile. L'equipaggio li aveva visti allontanarsi con rimpianto; nessuno voleva pensare che non avrebbero più montato la guardia alla nave. Alcune cose diventano un'abitudine, ed è difficile immaginare la vita senza di esse. Così era accaduto ad Alt Mer nei riguardi dei cavalieri. Comunque Big Red sapeva che li avrebbe rivisti, lungo la costa dello Spartiacque Azzurro, in giorni più tranquilli e in situazioni migliori. Avrebbero programmato come prima tappa Arborlon, per riportare a casa Ahren Elessedil e le Pietre Magiche in modo che il principe degli Elfi affrontasse il fratello, ma Grianne Ohmsford aveva insistito perché andassero subito ai Denti del Drago, da dove intendeva raggiungere la Valle d'Argilla e il Perno dell'Ade. Non aveva voluto sentire obiezioni, era un suo debito nei riguardi di Walker, aveva detto a tutti. Doveva andare nel luogo dove si potevano evocare i morti per parlare con loro, nel luogo dove l'ombra del druido poteva dirle ciò che lei doveva ancora conoscere, Quando Grianne ne aveva spiegato la ragione, tutti erano rimasti in silenzio per lo stupore. Neppure Bek era riuscito a crederci. E continuava a non crederci. «Grianne potrebbe essersi sbagliata» obiettò Rue, ostinata. «Potrebbe assumersi un compito che non le spetta.» Alt Mer annuì. «Può darsi. Ma nessuno di noi lo pensa, neppure Bek. E' stata salvata per questo, riportata in sé dalla Spada di Shannara e dall'amore del fratello.» Fece una smorfia. «Detto così, sembra quasi poetico.» Rue sorrise. «Quasi.» Ripresero a guardare la coppia, senza parlare. Bek gesticolava con furia, ma Grianne non ribatteva e si limitava a sopportare la collera del fratello. La sua calma rivelava che ormai aveva deciso. Alt Mer l'aveva capito, e sapeva che non era facile far cambiare idea a Grianne Ohmsford. Non era semplice ostinazione, naturalmente. Era la certezza del suo destino, di quello che le veniva richiesto e che ci si aspettava da lei. Era la comprensione di ciò che era necessario per espiare il male fatto a tanti esseri in tanti luoghi diversi, negli anni in cui era stata la Strega di Ilse. "Quando tutto questo sarà finito" riflette Alt Mer "niente sarà più lo stesso, per nessuno di noi. Le nostre vite cambieranno per sempre. Forse cambierà anche la vita di tutti gli abitanti delle Quattro Terre." Ciò che li attendeva nel futuro era di estrema importanza: un nuovo ordine, un nuovo inizio, una ricerca nel passato per dare una speranza al futuro. E tutto dipendeva da quello che sarebbe
successo laggiù quella notte, nei monti dei Denti del Drago, nella Valle d'Argilla, sulla riva del Perno dell'Ade, quando Grianne Ohmsford avrebbe evocato l'ombra di Walker. Così aveva promesso loro Grianne. E Alt Mer trovava difficile muovere obiezioni a una persona che riteneva di dover essere il successore di Walker Boh e il prossimo druido al servizio delle Quattro Terre. Bek non voleva sentire ragioni. Aveva faticato troppo per portare a casa la sorella e non voleva permetterle di allontanarsi ora, di affrontare altri pericoli. Pericoli forse maggiori di quelli corsi nella sua vita precedente. «Tu pensi di essere destinata a ottenere qualcosa che neppure Walker è mai riuscito ad avere!» sosteneva con forza, per impressionarla con la sua collera. «Non è riuscito a tornare nelle Quattro Terre per farlo, non è riuscito a salvarsi per poi riportare in vita l'ordine dei Druidi. Cosa ti fa pensare che per te le cose potrebbero essere diverse? Almeno lui non era odiato da tutti!» Era stata la disperazione a suggerirgli l'ultima frase e si pentì subito di averla detta. Ma Grianne non pareva offesa e allungò la mano per accarezzargli con dolcezza una guancia. «Non essere così arrabbiato, Bek. La tua vita non è insieme a me, ma insieme a lei.» Guardò la "Jerle Shannara" e Rue Meridian. Negando con ostinazione la verità, Bek si rifiutò di guardare a sua volta. «Non stiamo discutendo della mia vita» insistette. «Sarà la tua a finire sprecata se ti ostinerai in questa idea. Perché non puoi venire a casa con me, trovare un po' di tranquillità, tanto per cambiare, anziché cercare di fare qualcosa di impossibile?» «Non so ancora quale sia il mio destino» rispose lei con calma. «So soltanto quello che mi ha rivelato la magia della Spada di Shannara. Che devo divenire il prossimo druido e che accettando questo incarico potrò farmi perdonare i miei torti. Se grazie ai miei sforzi si potrà costituire un Consiglio dei Druidi, come voleva Walker, allora i Druidi avranno di nuovo una forte presenza nelle Quattro Terre. Per questo sono stata salvata, Bek. Walker ha dato la vita perché io rendessi possibili gli scopi che si era prefisso, ma che non è riuscito a raggiungere.» Si avvicinò a lui e gli appoggiò le mani sulle spalle. «Non lo faccio per qualche sciocca illusione o per qualche bisogno egoistico. Lo faccio perché mi sono impegnata a compiere qualcosa di utile, dopo avere sprecato gran parte della mia vita. Guardami, Bek, pensa a quello che ho fatto. Non posso ignorare cosa sono. Non posso rinunciare alla possibilità di riscattarmi. Walker contava su questo: mi conosceva a sufficienza per capire cos'avrei provato una volta che la verità mi fosse stata rivelata. Confidava che avrei fatto quanto occorreva per espiare il male da me commesso. Sarebbe ingiusto da parte mia tradirlo ora.» «Non lo tradiresti affatto» ribatté Bek. «Ridiventeresti quella che eri destinata a essere se non fossi stata rapita!» Grianne sorrise tristemente. «Ma sono stata rapita e non possiamo cambiare quanto è successo. Dobbiamo accettare le cose come stanno. Devo accettarle io.» Lo abbracciò e lo strinse a sé. Per qualche momento Bek non rispose all'abbraccio, poi, a poco a poco la tensione e la collera lo lasciarono e l'abbracciò a sua volta. «Ti voglio bene, Bek» disse lei. «Sei il mio fratellino. Ti voglio bene per quello che hai fatto per me, per avere creduto in me quando nessun altro era disposto a credere, per aver capito come potevo essere se mi fossi liberata del Morgawr e delle sue bugie. Questo non cambierà mai, anche se tutto il resto dovesse cambiare. «Non voglio che tu vada» rispose Bek in tono amaro e addolorato. «Non è giusto.» Lei sospirò piano. «Non ho mai pensato di tornare a casa con te, Bek. Non è la mia vita, non è la vita per me. Non sarei felice dopo quello che ho passato. Coran e Liria sono i tuoi genitori, non i miei. La tua casa è con loro, la mia è altrove. Devi accettarlo. Se voglio trovare la pace, devo fare ammenda per il male che ho commesso e il dolore che ho causato. E posso farlo solo seguendo il destino che Walker ha tracciato per me. Un druido può cambiare la vita di molte persone. Forse divenire un druido potrà cambiare la mia.»
Bek l'abbracciò con forza. Sentiva l'inevitabilità di quanto Grianne gli diceva, era certo che per quanto insistesse non sarebbe riuscito a farle cambiare idea. Vedeva con avversione il significato di quelle parole, la negazione di ogni vera possibilità di vivere come fratello e sorella, come una sola famiglia, ma sapeva di aver perso quella vita molti anni prima, e non poteva riaverla indietro così com'era, né tanto meno come sarebbe potuta essere. A nessuno era consentito. «Non voglio perderti di nuovo» mormorò. Lei lo lasciò e fece un passo indietro, con una luce di divertimento negli incredibili occhi azzurri. «Non succederà, fratellino. Non lo permetterò. Qualunque cosa io faccia, qualunque sia l'esito delle mie azioni di questa notte, non sarò mai lontana da te.» Bek annuì. Si sentiva di nuovo come se fosse un bambino piccolo, affidato alla sorella. «Va', allora. Fa' quello che hai bisogno di fare.» Le rivolse un sorriso forzato. «Non ho più la forza di discutere. Sono esausto.» Guardò in direzione del sole al tramonto, e vide che in cielo si scorgeva solo un debole alone d'argento in mezzo all'oscurità. Ricacciò indietro le lacrime. «Io torno a casa. Ho bisogno di tornarci. Ho bisogno che tutto questo finisca.» Grianne si avvicinò di nuovo a lui; così minuta e fragile, sembrava impossibile che possedesse la forza occorrente a un druido. «Allora va', Bek. Ma sappi che una parte di me ti accompagna. Non ti dimenticherò, e non scorderò la mia promessa di non stare mai molto lontana da te.» Lo baciò. «Non mi auguri buona fortuna?» «Buona fortuna» mormorò Bek. Lei sorrise. «Non essere triste. Sii contento per me. E' quello che ti chiedo.» Si avvolse nelle vesti scure e fece per allontanarsi. «Aspetta!» le disse Bek, d'impulso. Si sfilò dalla schiena la Spada di Shannara e gliela consegnò. «Tu saprai meglio di me cosa farne.» Lei lo guardò dubbiosa, «L'ha data a te, ti appartiene.» Bek scosse la testa. «Appartiene ai Druidi. Riportala a loro.» Lei accettò il talismano, lo cullò tra le braccia come un bambino addormentato. «Addio, Bek.» Pochi istanti più tardi stava già salendo su per la montagna. Bek continuò a guardarla finché non riuscì più a scorgerla, ma non poté vincere l'impressione di averla persa una seconda volta. Rue Meridian lo osservò ritornare alla nave, camminando sui sassi della distesa spoglia su cui erano atterrati, la testa bassa, i pugni stretti. Chiaramente, non era soddisfatto della decisione della sorella: tutto il suo atteggiamento tradiva collera e disappunto. Rue sapeva cos'aveva chiesto a Grianne e sapeva che la sorella aveva rifiutato. Avrebbe potuto risparmiargli la fatica, ma aveva bisogno di scoprirlo da sé: Bek era un innamorato delle cause perse. «Sembra un cane bastonato» commentò Big Red. Lei annuì. «Almeno adesso possiamo tornare a casa» continuò Alt Mer. «Qui abbiamo finito.» Rue guardò Bek ancora per qualche istante, poi si staccò dal fratello, scese per la scaletta di corda e si avviò lungo la distesa di pietre. Bek la vide solo quando lei gli sbarrò il cammino. Alzò lo sguardo e se la trovò davanti. «Pensavo a una cosa» gli disse. «Alla tua casa, quella dove sei nato. Non è molto lontana da qui, vero?» Bek la guardò senza parlare. «Pensi che potremmo trovare il luogo dove sorgeva, se andassimo a cercare?» Bek la guardò perplesso. «Non saprei.» «Hai voglia di provare?» «Ma sono solo rovine.» «E' il tuo passato» osservò Rue. «Hai bisogno di vederla.» Bek guardò la nave, con espressione interrogativa. «No» rispose lei. «Non loro. Non hanno tempo per cose simili. Saremmo solo noi due. A piedi.» Lasciò che riflettesse per un momento. «Prendila come un'avventura, piccola, ma per noi due soli»
riprese. «Quando l'avremo trovata, potremo proseguire attraverso i territori di Confine e costeggiare il lago Arcobaleno fino al fiume Argento, poi tornare a casa nell'Altopiano. Big Red può portare Quentin a Leah con la "Jerle Shannara", poi accompagnare Ahren ad Arborlon.» Si accostò a lui e gli posò le mani sulle spalle. «Non so come la pensi tu, ma io sono stufa di navi volanti. Ho voglia di camminare.» Bek la guardò attonito, come se gli avesse fatto un regalo che non si aspettava e non meritava. «Vieni con me? Nell'Altopiano di Leah?» le chiese. Lei gli sorrise e lo baciò sulle labbra. «Bek,» gli sussurrò. «Non ho mai pensato di andare altrove.» Grianne Ohmsford trascorse la maggior parte della notte salendo sulle alture ai piedi dei Denti del Drago: voleva arrivare alla Valle d'Argilla prima dell'alba. Avrebbe potuto farsi portare con la nave da Alt Mer, ma desiderava rimanere da sola per qualche ora, prima di evocare l'ombra dì Walker. Inoltre in quel modo le era stato più facile dire addio, soprattutto a Bek. Si aspettava che sarebbe stato difficile convincerlo a lasciarla, e così era stato. Le previsioni per quanto la riguardava erano sempre state di Bek ed era difficile che vi rinunciasse. Avrebbe finito per capire, ma ci voleva tempo. L'oscurità le era familiare e le dava conforto, era sempre una vecchia amica, anche dopo tanti anni. Avvolta nella magia che la proteggeva, tranquillizzata dalla solitudine dei luoghi in cui si trovava, poteva pensare a cosa stava facendo e al luogo dove si recava. Poteva riflettere sugli avvenimenti che ve l'avevano condotta. La distruzione del Morgawr non le aveva dato la soddisfazione che si aspettava. Per poter guarire le occorreva assai di più della vendetta. La vita da druido poteva fornirle quella guarigione, anche se sapeva che non l'avrebbe guarita nel modo tradizionale. Non l'avrebbe tranquillizzata e confortata. Non avrebbe cancellato il passato e non le avrebbe permesso di dimenticare di essere stata la Strega di Ilse. Non poteva neppure contare sul conforto di una buona notte di sonno. Ma almeno, come druido, avrebbe avuto la possibilità di pareggiare il bilancio, di riscattare un passato intollerabile. Avrebbe avuto una ragione per continuare a vivere. Non sapeva se fosse sufficiente a ridarle la sanità di mente, a chiudere le ferite dell'anima, ma valeva la pena di provare. Verso mezzanotte era ormai vicina alla sua destinazione. Non c'era mai stata e non conosceva la strada, ma l'istinto la guidava. O forse era Walker a guidarla, uscendo dal regno dei morti. Qualunque fosse la spiegazione, Grianne avanzò senza rallentare e nel semplice atto di camminare trovava una sorta di pace. Avrebbe dovuto essere intimorita da ciò che l'aspettava. L'aveva conosciuta, un tempo, una paura cui non poteva dare un nome e che l'avrebbe afferrata se si fosse fatta vedere, ma adesso era decisa a mantenere l'impegno, a trovare un nuovo posto nel mondo e un nuovo inizio per la sua vita. Quando giunse ai margini della Valle d'Argilla, che le apparve all'improvviso in mezzo a un ammasso di enormi rocce, si fermò e guardò giù, nella conca. La valle era coperta di schegge di pietra nera luccicante che riflettevano la luce della luna come occhi di animali. Nel centro si scorgeva il Perno dell'Ade: la sua superficie era liscia come uno specchio, le sue acque immote. Era un luogo inquietante, tutto silenzio e spazio vuoto, privo di vita, privo di ogni cosa che non fosse se stesso. Il luogo perfetto per parlare con le ombre. Grianne si sedette ad aspettare, Tutti ti odiano, le aveva detto Bek. Intendeva farle cambiare idea, ma anche ferirla. Non era riuscito nel primo intento, ma a ferirla sì. E lei sentiva ancora il dolore. Quando mancava un'ora all'alba, scese nella valle e si fermò sulla riva del lago. Da quello che le aveva mostrato la magia della Spada di Shannara, sapeva cosa succedeva a Walker in quel luogo e cosa sarebbe successo a lei. Nella presenza dei morti c'era un potere che sconcertava persino lei. Le ombre erano al di là dei viventi, ma riuscivano ancora a dominarli grazie alle loro conoscenze. Il futuro. Le sue possibilità. Il suo destino, con tutte le sue complesse combinazioni.
Walker avrebbe visto ciò che lei non poteva vedere. Conosceva le decisioni che lei avrebbe dovuto prendere, ma non avrebbe potuto esporgliele. La conoscenza del futuro era preclusa ai viventi perché i viventi dovevano essere in grado di scegliere il proprio futuro. 1 morti potevano solo condividere dei rapidi sguardi sulle varie possibilità e lasciare che i vivi ne facessero quello che volevano. Guardò lontano, nel buio, pensando che comunque non le importava conoscere il futuro. Era lì per scoprire se era vero ciò che le aveva mostrato la magia, se era destinata a essere un druido, il successore di Walker, e a portare avanti il suo lavoro. Questo aveva detto a Bek e ai compagni, ma non poteva esserne sicura finché non l'avesse udito dall'ombra del druido. Lei voleva che fosse così, voleva avere la possibilità di fare qualcosa di importante, di benefico, di terminare il lavoro iniziato da Walker. Voleva dargli qualcosa in cambio del dolore che gli aveva causato. Soprattutto voleva sentirsi di nuovo utile, trovare uno scopo nella vita, perché la sua esistenza non finisse con la fine della Strega di Ilse. Abbassò gli occhi sulle acque del Perno dell'Ade. "Veleno" le aveva sussurrato la Spada di Shannara. Ma anche lei era veleno. Si chinò d'impulso per tuffare la mano nelle acque scure che rispecchiavano la luna e le stelle, ma la ritrasse di scatto quando le acque cominciarono a muoversi. Al centro del lago, il vapore soffio come il respiro di un drago. Era giunta l'ora. Il druido stava arrivando. Grianne si raddrizzò sotto le pieghe scure del mantello, e attese l'arrivo di Walker. «Non pensavo di rivederti, fratellino» esclamò Kylen Elessedil, entrando nella stanza con il suo solito fare brusco, senza preoccuparsi di formalità o saluti, senza perdere tempo inutilmente. «II tuo stupore è pari al mio» ammise Ahren. «Comunque, eccomi qui.» Erano passati due giorni da quando aveva salutato Quentin Leah nell'Altopiano e tre dalla notte in cui Grianne Ohmsford si era avviata verso i Denti del Drago. In seguito, Ahren era volato a occidente con i Corsari a bordo della "Jerle Shannara", fino ad Arborlon, e per tutto il tempo aveva pensato a cosa dire in quel momento. Sapeva cosa si aspettavano da lui, non solo coloro con cui aveva viaggiato, ma anche lui stesso. Era forse il compito più importante, certo il più rischioso, sapendo come lo considerava il fratello. Il ragazzo che era partito per seguire la mappa di Kael Elessedil non sarebbe riuscito a gestire quell'incontro. Restava da vedere se ne era capace l'uomo che era diventato. Il fatto di essere stato ricevuto dalla Guardia Reale e portato in quella piccola stanza sul retro del palazzo, in silenzio e senza cerimonie d'accoglienza, testimoniava che suo fratello lo considerava ancora una seccatura. Kylen avrebbe sopportato la sua presenza soltanto per lo stretto tempo necessario a decidere che altro gli serviva. La ricomparsa di Ahren non giustificava cerimonie se non portava con sé le Pietre Magiche. «Dov'è il druido?» chiese il fratello, venendo subito al dunque. Raggiunse la finestra in fondo alla stanza e spostò la tenda. «Ancora sulla nave?» «E' andato sui Denti del Drago» rispose Ahren. Non era proprio una bugia, era una dichiarazione ambigua. Non era necessario che Kylen sapesse tutto subito. In particolare, non c'era bisogno di raccontargli le faccende dei Druidi. «I vostri sforzi sono stati coronati da successo, fratello?» «In gran parte, sì.» Kylen inarcò un sopracciglio. «Mi si dice che torni con meno di un quarto di coloro che sono partiti.» «Qualcosa di più. Alcuni sono già rientrati alle loro case. Ma, sì, molti sono morti. Tra loro Ard Patrinell e i suoi Cacciatori.» «Allora, di tutti gli Elfi che sono partiti, solo tu sei tornato?» Ahren annuì. Sentì l'accusa nelle parole del fratello, ma si rifiutò di concedere l'onore di una risposta. Non doveva giustificarsi con nessuno, men che meno con suo fratello, la cui unica delusione era che fosse tornato anche un solo elfo.
Kylen Elessedil lasciò la finestra e si fermò davanti a lui. «Allora, dimmi, hai trovato le Pietre? Le hai con te?» Non riuscì a nascondere l'impazienza, che gli affiorò nella voce e gli arrossò viso. Kylen pensava solo al potere che gli avrebbero dato le Pietre. Non capiva i loro limiti. Forse non capiva che erano inutili nella maggior parte delle situazioni in cui pensava di usarle. Ad attirarlo era il fascino del loro potere, e quel pensiero gli offuscava la ragione. Comunque, non era un problema che riguardasse Ahren. «Sì. Te le consegnerò non appena ci saremo intesi sui termini dell'accordo che nostro padre ha stretto con Walker.» Il fratello lo guardò con ira. «Non spetta a te ricordarmi i miei obblighi! So cos'ha promesso mio padre! Se il druido ha mantenuto la sua parte dell'accordo, se mi porti le Pietre e la parte di magia che riguarda gli Elfi, allora sarà fatto come è stato promesso!» Ahren notò come parlasse di dare tutto a lui, non agli Elfi, Kylen era un uomo coraggioso e un forte combattente, ma troppo ambizioso e privo di sottigliezze diplomatiche. Probabilmente era già in rotta con l'Alto Consiglio degli Elfi. E doveva avere già fatto infuriare alcuni settori del suo popolo. «Le Pietre saranno tue quando me ne andrò» disse Ahren. «La magia che Walker cercava richiede una traduzione e un'interpretazione per capirne l'origine e l'importanza. Gli Elfi che diverranno Druidi con la formazione del nuovo Consiglio potranno collaborare al lavoro. Una ventina saranno un numero sufficiente, come inizio.» «Dieci» ribatté il fratello. «Puoi sceglierli tu stesso.» Ahren scosse la testa. «Ne sono necessari almeno venti.» «Tu metti alla prova la mia pazienza, Ahren.» Kylen lo guardò con ira, poi annuì. «Va bene, allora. Sono tuoi.» «II premio promesso a ciascuno di coloro che hanno preso parte alla spedizione dovrà essere versato ai superstiti o alle famiglie dei morti.» Con una smorfia, il fratello gli rivolse un cenno d'assenso. Ora guardava Ahren con un'espressione che si avvicinava al rispetto. Era colpito, anche se non certo compiaciuto, dal piglio deciso del fratello minore. «C'è altro? Vorrai tenere la nave, suppongo.» Ahren non si preoccupò di rispondere. Invece, infilò la mano nella tasca, estrasse il sacchetto con le Pietre Magiche e lo porse al fratello. A Kylen occorse un solo istante per sciogliere il laccio e rovesciarsi le Pietre nella mano. Fissò senza parlare le loro sfaccettature azzurre e negli occhi gli si accese un'avidità inconfondibile. «Hai bisogno che ti spieghi come evocare la magia?» chiese Ahren, in tono guardingo. Kylen lo fissò. «Sulle Pietre, fratellino, ne so più di quello che pensi. Mi sono premurato di informarmi.» Ahren annuì; non aveva capito del tutto le parole del fratello e non era sicuro di volerle capire. «Me ne andrò, allora» disse. «Dopo avere raccolto le provviste e avere parlato con quelli che potrebbero venire a Paranor.» Attese la risposta di Kylen ma, vedendo che non arrivava, lo salutò: «Addio, Kylen». Il fratello si stava già avviando verso la porta, con le Pietre strette nella mano. Nell'aprirla si fermò e si voltò verso Ahren. «Prendi quello che ti serve, fratellino. Va' dove ti pare, ma... Ahren?» Un largo sorriso gli si disegnò sulla faccia, «Non tornare più qui.» Uscì e chiuse la porta dietro di sé, senza fare rumore. Al largo della costa dello Spartiacque Azzurro era spuntata l'alba e Hunter Predd era in volo di pattuglia, in sella a Ossidiana. Una volta tornato, aveva dormito per alcuni giorni di fila, ma dato che era irrequieto per natura, gli era bastato quel lungo sonno per ristabilirsi delle fatiche del viaggio, perciò era tornato in volo. Non si sentiva a proprio agio se non quando volava, e anche quando si trovava nel Wing Hove non vedeva l'ora di ripartire. La giornata era chiara e luminosa, e il cavaliere respirava a pieni polmoni l'aria marina, l'odore e il sapore familiari lo riempivano di gioia. Il viaggio della "Jerle Shannara" gli pareva risalire a un
lontano passato e il ricordo dei luoghi e dei compagni cominciava a offuscarsi nella sua mente. Non gli piaceva vivere nel passato, di conseguenza ne dimenticava subito gran parte. Quello che importava era il presente, il momento attuale nella sua vita di Cavaliere del Wing Hove, il volo di quel giorno. Forse era la natura della sua occupazione: se lasciavi vagare la mente, qualcosa d'importante poteva sfuggire alla tua attenzione. Osservò l'orizzonte, alla ricerca di qualche nave che volava parallela alla costa, magari una comandata da Redden Alt Mer. Di tutti coloro con cui aveva viaggiato, il comandante dei Corsari era senza dubbio il più notevole. Non aveva magie, né conoscenze o abilità particolari, ma era il più resistente di tutti. Pareva che nulla potesse toccarlo. L'uomo che aveva fortuna. Hunter Predd lo rivedeva ancora, a bordo del veleggiatore, uscire miracolosamente indenne dalla nube dell'esplosione che aveva distrutto la flotta del Morgawr. Quando nient'altro può salvarti in questo mondo, solo la fortuna ci riesce. Davanti a lui passò un volo di gabbiani, frecce dalle ali bianche sullo sfondo azzurro dell'acqua. Ossidiana lanciò un grido d'avvertimento, poi si diresse a sinistra. Aveva scorto qualcosa che galleggiava sull'acqua, qualcosa che il suo cavaliere non aveva visto. L'attenzione di Hunter Predd tornò subito al suo compito. Vide dondolare sull'acqua una macchia di colore. Forse era un pezzo di stoffa. Forse un corpo. Sentì un nodo alla gola e pensò a un tempo che, dopotutto, non era così lontano. Servendosi delle mani e delle ginocchia per guidare il Roc, scese a dare un'occhiata più da vicino.