STUART PALMER NATALE CON I TUOI... (Omit Flowers, 1937) Personaggi principali: JOEL CAMERON l'eccentrico proprietario di...
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STUART PALMER NATALE CON I TUOI... (Omit Flowers, 1937) Personaggi principali: JOEL CAMERON l'eccentrico proprietario di Cameron Heights EVELYN CAMERON sorella di Joel ALAN CAMERON uno scapolo dedito agli studi TODD CAMERON la pecora nera MABEL CAMERON la cugina che sa aspettare ALGER ELY cognato di Joel EUSTACE ELY figlio di Alger DOROTHY E MILDRED ELY le nipoti di Alger ELY E FAY WALDROM i "cugini" del Wisconsin TOM BATES sceriffo della Contea di Santa Felice ECKERSALL medico legale e magistrato della Contea di Santa Felice GARVEY dentista di Laguna Beach OVIEDO domestico tuttofare di Cameron Heights PIA sua moglie. 1 Mio zio Joel è morto pochi giorni fa. Di solito la dipartita di un uomo da questo mondo non è più importante della caduta di una foglia in autunno; ma, se si tratta di un delitto, allora la cosa è diversa. Sebbene l'uomo della strada tenda a dimenticare nello spazio di una notte gli eroi del giorno prima - presidenti e ministri compresi - è assai probabile che ricordi, anche a distanza di anni, che la signorina Lizzie Borden, morta strangolata in un suburbio di Boston, una volta passò qualche tempo a Chicago e trascorse una vacanza in Europa. Il tempo sbiadisce quasi tutti i colori, ma il rosso scarlatto della baracca in cui viveva la famigerata Maria Marten e il nero bluastro della barba di Landru sono rimasti vividi nel ricordo della gente. E resterà vivo anche il ricordo del mio defunto zio Joel Martin Cameron. In quel gelido pomeriggio di dicembre avvertivo, percorrendo la costa californiana, un senso di freddo nelle ossa, giustificato forse dal crepuscolo
imminente e dal vento che s'era levato dall'oceano. La nebbia si andava trasformando lentamente in pioggia e ciò rendeva ancora più malinconico il paesaggio. È facile, dopo una tragedia, parlare di segni premonitori, quindi non pretendo di avere intuito in anticipo l'assassinio di mio zio; ma ora so che sentivo nelle ossa l'avvicinarsi di eventi insoliti. Il momento esatto in cui ebbi coscienza di questa sensazione fu quando vidi, sul bordo dell'autostrada, due ragazze agitare le braccia. Frenai di colpo e accostai. Suppongo di aver rivolto loro la parola per primo, ma le ragazze rimasero in silenzio per alcuni istanti, intente a studiarmi con particolare attenzione, finché la più alta delle due si decise a chiedermi: «Ci dareste un passaggio, per favore?» L'altra ragazza si avvicinò; non doveva avere più di diciotto o diciannove anni ed era assai graziosa con quei grandi occhi un po' spaventati, il bel nasino all'insù e una massa di riccioli neri scompigliati dal vento. «Per favore!» esclamò, agitata. «Io e mia sorella... È quasi buio... Abbiamo avuto un passaggio da un camion fino all'autostrada, ma ora...» «Allora ci caricate?» intervenne la ragazza più alta. Era bionda e snella con occhi di un bell'azzurro e bocca grande ben disegnata. Ho per regola di non dare passaggi a sconosciuti specie in luoghi deserti, ma questa volta qualcosa mi spinse ad aprire lo sportello. Mentre le ragazze si accomodavano accanto a me sul sedile, dopo aver sistemato alla bell'e meglio il loro scarso bagaglio, ed io mi affrettavo a spiegar loro che erano le benvenute ma che avrei abbandonato l'autostrada dopo circa un chilometro, sentii echeggiare dietro di me un clacson petulante: una macchina di tipo sportivo, ma visibilmente vecchia, passò accanto alla mia rallentando. Colsi il sorriso ironico del guidatore, un tipo dalla barbetta faunesca che mi strizzò l'occhio, divertito, accennando alle ragazze; poi la macchina accelerò e ben presto scomparve. La cosa mi seccò alquanto, tuttavia dovevo confessare che mi sentivo eccitato: un uomo di quarant'anni che trascorre la maggior parte del suo tempo nelle biblioteche è sempre lieto della vicinanza di una ragazza graziosa, ma se poi le ragazze sono due, allora gli è concesso sentirsi eccitato. Un profumo insolito cominciava ad invadere la mia vecchia Buick e piacevolmente soverchiava l'odore di gomma e olio bruciato che di solito ristagna nel mio fedele trabiccolo: le mie compagne sapevano di buon sapone, di capelli umidi e di seta bagnata. Mentre riprendevo la corsa notai che la maggiore, la bionda, mi fissava
con curiosità; poi disse: «Anche noi!» «Come, anche noi?» «Anche noi dobbiamo uscire dall'autostrada fra circa un chilometro. Andiamo a Cameron Heights.» «Non siete mica dirette a Prospice, per caso?» «Precisamente, cugino Alan» rise la bionda. La guardai meravigliato. «Ma voi due vi chiamate Cameron?» «No davvero!» replicò la più giovane. «Ci chiamiamo Ely.» La mia mente cominciò a lavorare riandando a molti anni prima, a quell'unica, precedente volta in cui avevo abbandonato l'autostrada della costa sotto questo stesso cartello sbiadito (allora era nuovo) con l'indicazione: "Cameron Heights - La Meraviglia della California - Km. 3". Procedevamo a sbalzi su una strada tutta buche quando mi ricordai la data della mia visita: era l'anno in cui zio Joel e zia Hester avevano inaugurato la casa, per Natale; e la festa di inaugurazione aveva preceduto appena di una settimana la morte di zia Hester. Dalla ridda dei ricordi - si trattava di avvenimenti che risalivano a quindici anni prima - emerse il fantasma di una ragazzina goffa e dai gomiti incredibilmente rossi. «Ma certo!» esclamai, fissando la bionda. «Ma certo, tu sei Dorothy! Portavi un apparecchio per i denti, qualcosa d'oro che luccicava ogni volta che aprivi bocca e ballavi sotto l'albero di Natale...» «Già, un ballo scozzese sotto lo sguardo amorevole dei genitori» annuì Dorothy. «Ecco tutto quello che il caro cugino Alan si ricorda della mia brillante fanciullezza: quel maledettissimo apparecchio sui denti e una danza natalizia.» La strada cominciò a inerpicarsi su per una collina brulla. Sbirciai Dorothy poi dissi: «E quella, naturalmente, è la sorellina dai boccoli neri, che cantava "Notte silenziosa".» «La sorellina Mildred, sicuro. Ma certo non ricordi che il suo naso aveva sempre bisogno di una bella pulita e che la bimbetta scoppiava in lacrime solo a sentirsi dire "bà". E non ricordi neppure che stonava maledettamente.» «Non stonavo affatto!» protestò la brunetta. La strada tutta a curve si inerpicava ora verso la parte più alta della collina coperta di cactus striminziti, semi affogati nella nebbia. Dorothy e Mildred si ricordavano benissimo di me:
«E da allora» osservò la brunetta «abbiamo sempre seguito la tua brillante carriera di scrittore. Io vado pazza per i tuoi libri.» «Davvero? Quale preferisci? "Le prove tradizionali della esistenza di Atlantide" oppure "Confronti fra l'antica civiltà egiziana e quella americana"?» Mildred esitò e Dorothy intervenne decisa: «Direi che non è possibile fare simili confronti, non ti pare?» Raggiungemmo la cresta della collina e ci inoltrammo sotto una fila di eucalipti. La nebbia era quasi sparita; quando uscimmo dal riparo degli alberi il vento ci sferzò il viso. Davanti a noi si apriva uno spiazzo in lieve pendio, largo più di un chilometro, nettamente suddiviso dalle strade di Cameron Heights. "Prospice", la residenza di mio zio, dominava il tutto. «Oh!» esclamò Dorothy posandomi una mano sul braccio, ma credo che avrei fermato lo stesso la macchina anche senza questo gesto. Penso che chiunque si trovi davanti Prospice all'improvviso abbia, più o meno, la stessa reazione; e si dice che un noto architetto europeo in viaggio di piacere da quelle parti abbia avuto un mezzo svenimento alla vista di quella inverosimile costruzione. Anche quindici anni prima Prospice mi aveva fatto un certo effetto, ma adesso, vista nella luce grigia del crepuscolo e sotto un cielo tutto coperto di nuvole, la scena era, senza alcun dubbio, ancor più opprimente e faceva pensare molto più al Giorno dei Morti che non alla Vigilia di Natale. Cameron Heights sembrava un paese di fantasmi con le sue strade vuote dalle targhe stinte, con i fanali spenti e i marciapiedi sconnessi, con poche casette abbandonate che occhieggiavano dalle finestre simili a enormi occhiaie vuote; le targhe stradali recavano nomi famosi: "Pickford Terrace", "March Place", "Crawford Lane", perché lo zio e la zia, ai loro tempi, erano stati fanatici del cinema. Pickford Terrace finiva in un pantano oscuro dove il ripetersi degli allagamenti invernali aveva finito collo spazzare via alcune casette di legno e stucco, risparmiandone solo una: sulla sua porta si riusciva ancora a leggere "Villino Solatio", ma era ormai un relitto tutto sbilenco su un isolotto di fango e acqua. Riprendemmo il cammino quasi al buio perché, malgrado le lampade piazzate a ogni angolo di strada, l'illuminazione stradale di Cameron Heights era ancora di là da venire; un terribile senso di abbandono e di desolazione aleggiava su tutto l'insieme. Un ampio viale saliva verso un giardino a terrazze ai piedi di Prospice, la grande casa moresca color rosa e lavanda che zio Joel e zia Hester si erano fatta costruire dopo il primo milione ricavato dal petrolio: era una dimora
fantastica che, come avevo sentito spesso ripetere, contava ben trentacinque stanze e sembrava anch'essa abbandonata, eccetto un pallido barlume di luce che filtrava attraverso una finestra. Sentii rabbrividire la ragazza che mi sedeva accanto mentre sua sorella diceva con voce afona: «Vorrei proprio non essere venuta, Dorothy.» La capivo perfettamente; ritornare a Prospice dopo tanti anni, dopo quel lontano Natale rallegrato dalle conversazioni e dalle risate di tanti ospiti ormai scomparsi, voleva dire risvegliare troppi ricordi. «Anch'io tornerei volentieri a casa» disse Dorothy. «A Seattle e alla nostra biblioteca circolante. Ma è un po' lontana, per una passeggiata.» Se la pensavano così, mi chiesi, perché erano venute? E mi chiesi anche che cosa avrei risposto se mi avessero domandato di riportarle a casa. Tremila chilometri, più o meno. Non potei trattenermi dal dire: «Dovevate pure immaginare che tutto, quassù, sarebbe stato diverso.» «Oh, questa poi!» replicò Dorothy. «No, non siamo venute per passare un Natale in famiglia, con gli agrifogli e il vischio sotto il quale, caro Alan, mi baciasti una volta. Sì tratta di affari, adesso.» «Dorothy!» intervenne lesta Mildred. «Oh, sta' tranquilla che anche Alan è qui per la nostra stessa ragione» seguitò Dorothy. «Noi e il resto dei Cameron e degli Ely veniamo a prendere quello che ci spetta anche se, per farlo, dobbiamo spedire un vecchio al manicomio.» «A quanto pare abbiamo ricevuto tutti lo stesso messaggio, eh?» dissi riferendomi al telegramma che avevo in tasca e che mi era stato recapitato qualche settimana prima. «Già. Breve e compendioso. "Consiglio tutti accettare invito natalizio di zio Joel stop ottima occasione per decidere sua sanità mentale." Il telegramma era datato Los Angeles cinque dicembre ed era firmato Gilbert Ely.» Dorothy meditò qualche istante poi concluse: «Proprio il tipo di messaggio adatto per radunare gli eredi di Cameron.» «Dorothy presenta sempre le cose nel modo peggiore» borbottò Mildred. «Sciocchezze. È una pura e semplice questione di dollari. Alla morte di zio Joel, la rendita del capitale di zia Hester passerà da lui a noi; e anche divisa in sei o sette parti dovrebbe essere piuttosto sostanziosa. Uno zio Joel dichiarato pazzo è redditizio quanto uno zio Joel morto.» «Ma, Dorothy!» protestò Mildred scandalizzata. «Non sarà una cosa tanto facile» osservai. «Anche io sono rimasto sorpreso ricevendo quel telegramma, ma non mi faccio troppe illusioni. Sap-
piamo tutti che zio Joel è un vecchio lunatico; ma infine la sua unica manifestazione di pazzia è stata questa casa, peraltro una vera e propria mostruosità, tuttavia non credo che...» «A noi ha mandato un assegno in bianco, l'altr'anno per Natale.» «Un gesto generoso, direi, anche se strano; lo zio pensava che due orfanelle abbandonate potessero aver bisogno di un aiuto.» «Già. Ma era la firma che mancava, mica la cifra.» Non c'era di che replicare e tacqui. Eravamo quasi arrivati davanti a quell'enorme torta nuziale che gli zii avevano battezzato "Prospice" per una ragione che mi è sempre sfuggita, ma che deve avere a che fare con le poesie di Robert Browning. Oltrepassammo i giardini a terrazze, ormai trascurati e ingombri di piante e foglie morte, fino alla biforcazione del viale: una strada conduceva a un garage più lungo che largo, quasi appollaiato sull'orlo di una scarpata e molto simile ad una fetta tagliata dalla torta nuziale, l'altra portava alla casa, o meglio al porticato ad archi che la fronteggiava. Credevamo tutti che lo zio avesse parecchia servitù, sebbene i contatti fra lui e il resto della famiglia fossero stati scarsi negli ultimi anni, sicché decisi di lasciare che fosse uno dei domestici a incaricarsi di mettere in garage la macchina e a ritirare il bagaglio. Arrivato sotto il portico ad archi mi fermai e spensi il motore. Mi impressionò il silenzio che ci circondava, fitto come qualcosa di solido; poi un baccano infernale si levò da un punto imprecisato: l'ululato di un cane, senza dubbio. «La famiglia Baskerville, completa di mute urlanti, va a far visita ai vicini» ghignò Dorothy. «Ma, Dorothy! Non credo che vi siano altre case nel raggio di chilometri» replicò seria Mildred, e Dorothy: «Allora è un eccitante benvenuto per noi, cara.» Premetti due volte il clacson, ma nessuno si fece vivo; il posto sembrava assolutamente deserto, cosicché scendemmo dall'auto e salimmo gli scalini che conducevano al portone. Suonai il campanello. Il fantomatico cane latrò di nuovo nel buio fitto, più vicino. «Ce l'ha con noi» sussurrò Mildred spaventata. Accesi la torcia elettrica e diressi intorno il fascio di luce che si riflesse in due occhi verdastri. Bussai con forza alla porta, poi la presi addirittura a calci. Nulla. Allora girai la maniglia, spinsi il battente e il portone si aprì; entrammo in fretta e lo chiudemmo con un colpo. L'ampio vestibolo era vuoto e buio, salvo il fascio di luce della mia tor-
cia; inciampammo in un piccolo baule e in alcune valigie, ma di esseri umani neppure l'ombra. «C'è nessuno?» gridai, e la mia voce suscitò un'eco lamentosa fra le volte del soffitto; le ragazze mi si erano attaccate una per braccio e così avanzammo tutti e tre verso la parte più larga e imponente dell'atrio che conduceva a una quantità di corridoi, di anditi, di porte. Suppongo che lo stile fosse del tipo "Monterey-Grandi Rapide". La nota definitiva di tristezza era data da grandi lenzuola bianche stese su ogni mobile: uno spettacolo assai deprimente alla fioca luce della torcia. Girammo gli interruttori senza alcun risultato. Non v'era dubbio che eravamo soli. Illuminai un po' meglio le mie compagne e mi accorsi che non avevo reso giustizia alla piccola Mildred, quando l'avevo osservata prima: le due sorelle si assomigliavano pochissimo; la notevole quantità di bellezza che il Creatore aveva riservato loro era finita in buona parte sulla minore, la brunetta tutta curve e riccioli. Dorothy fissava con sorpresa le orme stampate sulla polvere che copriva un tappeto di Aubusson di inestimabile valore. «Dove sarà lo zio Joel?» chiese poi. «E l'albero con le candeline? E gli altri ospiti? Non ditemi che gli unici eredi siamo noi.» «Potete star sicure che troveremo qualcuno» assicurai con una allegria che ero ben lungi dal provare. Ripresi a camminare sempre con le due ragazze accanto; di quando in quando ci fermavamo per scrutarci attorno; la luce della torcia illuminava a tratti uno scenario imponente e pauroso: persino l'enorme organo che si intravedeva in salotto sembrava che fosse servito solo ad accompagnare canti funebri. In un angolo della stanza si levava uno smisurato cedro scuro carico di ornamenti. «Proprio dove era quell'altro Natale!» esclamò Dorothy perplessa. «Pizzicatemi, forse sto sognando.» A me quello sembrò l'albero di Natale più sinistro che avessi mai potuto immaginare. «Ehi!» gridai di nuovo. «Zio Joel! Gilbert! C'è nessuno?» Le due ragazze sussultarono quando pronunciai il secondo nome; le lunghe dita sottili di Dorothy mi strinsero forte il braccio. «Perché chiami Gilbert?» mi chiese. «E perché no? Ho visto il bagaglio accanto alla porta di ingresso e ho pensato che lui forse è arrivato per primo, visto che ha spedito i telegrammi.» «Oh! Ma...» cominciò Mildred tutta eccitata, ma sua sorella la interruppe:
«Certo, Alan» e mi sorrise. Restammo per un poco in silenzio. «Mi sembra di sentire qualcuno» disse improvvisamente Mildred. «Qualcuno che cammina.» «E trascina le catene?» suggerì Dorothy. «Aspettatemi qui, voi due. Vado a vedere» dissi io, ma le ragazze mi afferrarono per le braccia. «Neanche per sogno!» gridò quasi Dorothy. «Così ti porti via quel po' di luce. Può darsi che tu non sia poi così alto, 'bello e forte come ti ricordavo, e se non sbaglio ti ho anche visto un principio dì calvizie in cima alla testa, ma sei tutto quello che abbiamo per il momento.» «Ehi, zio Joel!» gridai con quanto fiato avevo in corpo. «Se non ti sente vuol dire che non sentirà più niente in questo mondo, tranne le trombe del Giudizio» dichiarò Dorothy quando il silenzio si fu ristabilito sotto le ampie volte affrescate. «Fai degli urli che sveglierebbero un morto.» «Sento ancora rumore di passi» insisté Mildred sottovoce. «Sta' tranquilla, non è un fantasma, non è ancora mezzanotte» la confortò Dorothy. «Ma nel caso che lo fosse, come dobbiamo comportarci?» Ero un poco scosso e nervoso e non trovai di meglio che mettermi a ridacchiare; Dorothy mi guardò ironica: «Sei una vera consolazione, cugino Alan.» Continuammo a camminare lungo l'atrio, fino a una porta imbottita di velluto; se ben ricordavo, la biblioteca di Prospice si trovava proprio dietro di essa. «Avanti!» dissi. Aprii e ci precipitammo tutti e tre dentro; scorsi un barlume di luce in fondo alla lunghissima stanza: una candela era posata sotto una fila di scaffali. L'ombra di un uomo si frappose fra noi e la candela e l'uomo recava sulle braccia il corpo di una donna in abito da sera rosso cupo. Sul viso di lei, più bianco dei tre fili di perle che portava al collo, spiccava il carminio vivo delle labbra; quel viso mi era vagamente familiare. L'uomo avanzò a fatica fino a un divano davanti al caminetto, dove depositò il suo fardello. Sorrise. «Benvenuti!» gracchiò zio Joel con un filo di voce e ci venne incontro a braccia aperte. «Mio Dio!» sussurrò Mildred e soggiunse: «Guardatelo!» Solo allora notai l'aspetto di zio Joel: era diventato l'ombra di se stesso e dalle braccia che ci tendeva, dagli abiti e perfino dal viso grinzoso pende-
vano lunghe ragnatele grigie. 2 Ero là, immobile e meravigliato io stesso che le gambe non mi trascinassero via di corsa; e fui ancora più sorpreso scoprendo che la ragione di questa prova di audacia era dovuta alla presenza non della bella Mildred bensì di Dorothy. Si dice che lo stupore sia un'impressione transitoria destinata a spegnersi in pochi secondi, anche quando, penso, esso sia provocato dalla vista di un fantasma; mio zio, malgrado la sua faccia rugosa come una mela secca e malgrado le ragnatele che lo addobbavano, non era un fantasma; la sua ombra, proiettata dal lume della candela, era netta e decisa. «Che vi prende? Siete tutti scimuniti?» chiese con impazienza. «Solo perché questa svaporata di mia sorella è un po' svenuta...» La donna sul divano gemette debolmente e si portò una mano alla collana di perle. «Oh, non è morta?» sussurrò Mildred sorpresa. «Morta? Questa sì che è buona!» ghignò zio Joel. «Mia sorella Evelyn non morirà mai! Anzi, col passar degli anni, diventa sempre più giovane e più matta.» Ci avvicinammo al divano e le due sorelle fecero i soliti gesti inutili che si fanno quando ci si trova in presenza di una persona svenuta. «Si sta riprendendo» annunciò poco dopo Dorothy e fregò ancor più vigorosamente i polsi di zia Evelyn che aprì gli occhi e si alzò a sedere; poi guardò suo fratello, inghiottì a vuoto e svenne di nuovo. «Dovreste sistemarvi un po' la faccia» suggerì Dorothy rivolta al vecchio. Lo zio Joel si passò un fazzoletto sul viso. «Quella cantina è un vero schifo, non sapevo di essermi conciato in questo modo. È piena di formiche, di ragni, di topi. Non è un posto per me, col raffreddore che mi ritrovo. Ma qualcuno doveva pur cercare il guasto dell'impianto elettrico. In questi ultimi tempi le valvole saltano con una facilità incredibile; e con tanti cari parenti in visita per le vacanze, mi sembrava doveroso... Ehi, ragazza, che cosa stai facendo?» Dorothy, dopo aver gettato nel camino un mazzo di digitali secche, rovesciò, come estremo rimedio, la poca acqua del vaso sulla faccia di zia Evelyn. Zio Joel parve per un attimo montare su tutte le furie, poi sorrise e
spiegò: «Mi dispiace che tu le abbia buttate via; ma non importa. Tengo sempre qui qualche fiore in ricordo di Hester. Il suo cuore una sera si è fermato proprio nel punto dove sei tu adesso» e mi guardò. Avevo sentito parlare della cosa, ma per il momento mi interessava di più un malessere recente che una tragedia vecchia di quindici anni; indicai zia Evelyn e chiesi: «Che cosa le è successo?» «Ero in cantina e tentavo di trovare il guasto quando ho sentito qualcuno camminare da queste parti; sono salito di corsa e ho visto la mia cara sorella vagare con una candela in mano. Naturalmente mi sono avvicinato in punta di piedi e le ho fatto "bum!" dietro la schiena.» «Naturale» approvò Dorothy divertita. Come gli altri membri della famiglia, zia Evelyn non vedeva Joel Cameron da quel lontano Natale, quando l'allegra festa si era mutata in una lite tremenda a causa di ciò che provoca di solito le liti in famiglia: i quattrini. «Joel, assomigliavi esattamente a un cadavere» spiegò la zia quando rinvenne; udii zio Joel borbottare che era la prima volta che vedeva qualcuno svenire dalla gioia. «Che dici?» chiese brusca zia Evelyn. «Niente, niente» replicò lo zio. Evelyn sternuti, rabbrividì, poi disse: «Riservi ai tuoi ospiti una accoglienza abbastanza freddina; ho cominciato a sentire i brividi appena scesa dal tassì, e non ti dico quando sono entrata in questo mausoleo. In abito da sera, per di più.» Mia zia Evelyn Cameron ha ripreso il suo cognome di ragazza dopo due divorzi è una persona singolare. Avrà presso a poco cinquant'anni e deve essersi fatto stirare il viso diverse volte ma pensa e agisce come se fosse ancora parecchio sotto la trentina. Tra i ricordi dei suoi matrimoni predilige il triplice filo di perle che porta sempre al collo. Il senso sociale di zia Evelyn è sempre stato assai sviluppato; il suo primo marito ripeteva spesso: "La prima cosa che farà Eve non appena metterà piede all'inferno sarà quella di organizzare un torneo di whist". Adesso la zia organizzerebbe un torneo di bridge. Zia Evelyn sedeva accanto a Mildred sull'ampio divano di pelle e tentava di riparare ai danni che l'acqua aveva arrecato al vestito e ai capelli. «La roba con cui voi ragazze mi avete innaffiata puzza come l'acqua dei pesci rossi quando è marcia» annunciò, poi si mise a fumare di gusto una
sigaretta. Nel frattempo zio Joel aveva rivolto la sua attenzione agli scaffali e andava facendo ordine fra i libri. «Non avete un domestico?» chiese Dorothy sorpresa. «Oviedo è andato a rilevare gli altri ospiti» la informò il vecchio. «Altri ospiti?» Zia Evelyn era visibilmente eccitata. «Allora potremo metter su due o anche tre tavoli di bridge. Avanti, voi! Nel mio baule ho messo un po' di decorazioni natalizie; diamoci da fare e ravviviamo un pochino l'ambiente.» «Ci vorrebbe altro che carta velina e agrifoglio» commentò Dorothy fra i denti. In mezz'ora zia Evelyn aveva fatto sparire le coperture dei mobili, aveva ripristinato la corrente sistemando una moneta di rame in una valvola e aveva posto una grossa candela rossa su ogni davanzale delle finestre che davano sulla facciata; poi appese un ciuffo di vischio sulla porta del salotto. Dorothy guardò il vischio e mi si avvicinò: «Proprio dove era quel Natale. Rimasi là sotto per ore intere, del tutto ignorata; il ragazzo che aspettavo era Todd Cameron, che non si sognò neppure di guardarmi. Ricordi? Solo tu ti accorgesti di me; tu, il cugino grande dai baffetti rubacuori, avesti pietà di me e venisti a baciarmi. Ti vorrò sempre bene per quel bacio, Alan Cameron.» «A proposito di Todd» dissi allungando un braccio per afferrare l'estremità di una lunga decorazione di carta colorata «credi che verrà, Dorothy?» «Ne dubito. Ma in compenso verranno tutti gli altri, date le circostanze» osservò perplessa. «Verranno Ely Waldron e quella grassona di sua moglie, zio Alger e il suo ragazzino e infine la cugina Mabel che faceva tanto la graziosa con te.» «La cugina Mabel mi scrive ancora talvolta, ma con gli anni direi che si è inacidita.» «Credo bene; quando si abita, come lei, ai margini del deserto, è il meno che possa capitare.» «E verrà certo Gilbert, visto che è stato lui a spedire i telegrammi» ripresi. Dorothy mi guardò con una strana espressione: «Cosa? Ah sì, Gilbert, naturalmente!» disse col tono di chi non crede alle proprie parole. «Verranno tutti, tranne Todd, l'avventuroso e affascinante membro della famiglia. Probabilmente si diverte troppo a esplorare gli
angoli più impensati del mondo.» Mildred entrò in quel momento con le braccia cariche di agrifoglio e sua sorella le chiese: «Non era Rarotonga, Mildred, il posto da cui Todd ci mandò l'ultima cartolina?» Mildred annui mentre dietro di lei appariva improvvisamente zio Joel. «Parlate di quello scapestrato di Todd, eh? Vi avverto subito che non verrà; mi ha chiesto di mandargli i soldi per il viaggio e io mi son ben guardato dal farlo, quindi non lo vedremo.» «Muovetevi, gente!» ci spronò zia Evelyn tutta piena di brio. «Dobbiamo sistemare l'albero. Joel, questo cedro è troppo carico di ornamenti; non usano più, adesso si mette solo qualche grossa palla colorata.» La zia, dalla soglia del salotto, scrutava l'albero ancora immerso nella semioscurità della stanza. «Bisogna togliere almeno la metà di quella roba» decise. «I doni li sistemeremo sotto. Joel, ho un bel regalo per te, una vera sorpresa.» Girò l'interruttore della luce e mosse verso l'albero, qualcosa però le impedì di proseguire, sbarrò gli occhi e lasciò cadere di mano alcune sfere lucenti che andarono a sbriciolarsi sul tappeto. «Guardate!» gridò. Sotto le luci l'albero di Natale si rivelò nero e morto; le decorazioni erano sbiadite, cariche di polvere e dovunque pendevano fantastici festoni di ragnatele. «Ma è ancora l'albero di "quel" Natale!» disse zia Evelyn con un'ombra di spavento nella voce. «Certo» ammise zio Joel. «Non ho mai avuto il coraggio di levarlo di li, pensando che lo aveva preparato la povera Hester. A parte il colore, è ancora bello.» «Joel Cameron, ti manca qualche rotella? Un albero di Natale vecchio di quindici anni! Non ho mai visto nulla di simile in vita mia.» Proprio in quel momento si udì l'ululato di un cane e contemporaneamente apparve sulla porta zio Alger Ely, il fratello di zia Hester (tutti gli Ely di cui si parla nel presente racconto sono parenti della povera zia). Entrò nel salotto a braccia aperte: «Joel!» disse con enfasi. «Evelyn! Dopo tanti anni!» Abbracciò i due, abbracciò le ragazze e avrebbe abbracciato anche me se non lo avessi fermato in tempo con una forte stretta di mano. Zio Alger è forse l'uomo più sentimentale del mondo, malgrado il suo aspetto di scimmione; fissò il gruppo familiare e si lasciò sfuggire qualche lacrima dagli occhi rossicci. «Dolce casa!» sospirò. (Zio Alger era stato a Prospice soltanto un'altra
volta e ne era partito in fretta imprecando perché zio Joel non volle finanziare un suo progetto per estrarre l'oro dall'acqua del mare, o qualcosa di ugualmente fantastico.) Si rivolse a uno spilungone ossuto, di circa diciassette anni, fermo sulla soglia. «Fatti avanti, Eustace, saluta.» Il nominato Eustace aveva addosso una giacca di cammello piuttosto sporca, una camicia color ciliegia e pantaloni di tweed con le cuciture laterali larghe due dita, stile Hollywood. Mi guardò ghignando: «Salve! Se quella Buick antidiluviana là fuori è vostra, dovete cambiarci qualche pezzo. Fuma come un caminetto.» Doveva essere quello che Dorothy aveva definito "il ragazzino di zio Alger". Dietro a lui fecero capolino Ely Waldron e sua moglie; i due annunciarono di arrivare dritti dritti dal Wisconsin col macinino di famiglia, che le strade attraverso il Nebraska erano orribili, che si erano fermati per mancanza di benzina alla fine dell'autostrada dove, fortunatamente, il messicano di zio Joel li aveva rilevati. «Accidenti al messicano!» mi sussurrò all'orecchio Dorothy che non doveva nutrire una eccessiva simpatia per quel ramo della famiglia. Le feci notare che Ely Waldron era un suo primo cugino, non mio. Questi mi strinse la mano con tanta forza da farmi trasalire, poi mi presentò a sua moglie Fay che nessuno di noi aveva mai vistò se non in qualche fotografia spedita dal West. Fay aveva i capelli rossastri, una figura non degna di nota e un aspetto generale piuttosto sgradevole. L'atteggiamento di Fay Waldron rivelava in pieno quello che aveva condotto lei - e tutti noi - alla casa di zio Joel; fissava lo zio come se si aspettasse di vedergli cavar di tasca un coltello da macellaio o di sentirgli dire "sono Napoleone a Sant'Elena". Dietro di loro veniva Mabel, mia cugina e un'autentica Cameron; doveva pesare più di settanta chili distribuiti soprattutto sui fianchi e sul petto; aveva molti fili bianchi tra i capelli, occhiali dalle lenti spesse e l'aria di una infermiera, e infatti questa era proprio la sua professione. All'età di vent'anni era stata quel che si suol dire "un ragazzaccio" e il tempo non sembrava averla mutata, almeno su questo punto, tanto che fui sorpreso di notarle all'anulare sinistro un anello con un microscopico brillante. Anche Mabel fissava zio Joel con molta attenzione. Forse zio Joel notò la nostra aria poco naturale perché, dopo qualche minuto di auguri reciproci, cominciò a ritirarsi nel suo guscio e, più precisamente, scivolò silenzioso nel vestibolo. Zia Evelyn guidava il coro tradizionale nelle riunioni di famiglia: "No,
davvero, non ti sei ingrassata di un etto... Ricordi quando giocavamo alle sciarade e... No, non è stato allora, è stato il giorno dopo che il cagnolino di Todd fuggì di casa... Povera Myrthle, finire in quel modo, ma nessuno sa che cosa può portarci il domani..." Ne ebbi abbastanza e mi allontanai. Nel vestibolo mi giunse la voce di zio Joel mentre qualcuno trafficava con le valigie. «Questo non lo sopporto, dannazione!» Ne ebbe in risposta una specie di grugnito, per cui riprese eccitato: «Non negare! Lo so benissimo che gli porti da mangiare!» La porta d'ingresso fu sbattuta con violenza e zio Joel mi venne incontro: «Oviedo è andato a mettere in garage le macchine» spiegò. «Sembra che voglia piovere.» «Proprio quello che mi figuravo» intervenne con malignità Ely Waldron. «A giudicare dal cielo, il tempaccio durerà almeno tre o quattro giorni.» Zio Joel ci chiamò tutti per guidarci nella vasta sala da pranzo dove una specie di montagna con un abito di seta nera lungo fino ai piedi attendeva con un piatto di portata in mano; era Pia, la cuoca. Ci guardò con malcelato disgusto. «La cena, questa sera, è un po' arrangiata» si scusò lo zio «perché questo infernale ippopotamo e suo marito non vedono l'ora di correr via per poter partecipare a una baldoria messicana su a Capistrano. Non è vero, Pia?» «Cribbio!» rispose Pia; alla fine del pasto radunò in fretta e furia i piatti e si avviò verso la cucina, dopo aver ripetuto un paio di volte quella che sembrava la sua parola preferita. «È la sola parola non messicana che conosce. Però, se suo marito non è nelle vicinanze, potete chiederle tutto quello che vi serve. Oviedo!» Un uomo comparve sulla soglia; zia Evelyn lo fissò come se vedesse un nuovo genere di insetto. Oviedo era davvero un tipo da guardare, alto circa un metro e novanta e vestito con gli scarti del guardaroba dello zio. Il suo viso, che sembrava fatto d'argilla, era assolutamente amerindiano a eccezione del naso a becco che gli proveniva dai conquistatori spagnoli. «Non mi sento troppo bene» seguitò zio Joel. «Oviedo vi mostrerà le vostre stanze. Saremo un pochino stretti perché molte camere da letto sono fuori uso. Alan, non ti importa se ti lascio in camera un po' di roba mia?» «Non vorrai cedermi la tua stanza!» protestai. «Non preoccuparti, starò ugualmente comodissimo. Buona notte, cari parenti, e sogni d'oro.» Se ne andò e fui sorpreso di sentir chiudere la porta d'ingresso.
Il gruppo familiare rimase silenzioso per qualche istante attorno alla sconsolata tavola da pranzo, poi zia Evelyn s'alzò e si diresse verso la stolida figura immobile sulla porta. «Bene, caro voi, non ho nessuna intenzione di chiamarvi Oviedo. Non avete un nome più cristiano?» «Certo.» «E quale sarebbe?» «Jesus» replicò con calma il messicano. Zia Evelyn, che prende sempre le cose dal lato migliore, si lasciò sfuggire un lieve gorgoglio poi sorrise: «. Accompagnateci, Oviedo.» Fummo guidati in gran fretta nelle nostre stanze; io ero il solo ad averne una tutta per me, zio Alger dormiva col suo sparuto ragazzo, i due Waldron erano insieme, Dorothy con Mildred e zia Evelyn con Mabel. La mia stanza era in fondo al corridoio di destra, quella dei Waldron di fronte, oltre l'andito, zio Alger ed Eustace accanto a me. La mia era una camera molto grande e piena di mobili, con le pareti rivestite di una carta a grandi rose rosse. Un tremendo armadio a muro campeggiava fra due finestre; era in mogano scuro come tutti gli altri mobili, del resto. Sui muri spogli, oltre alle rose rosse della tappezzeria, spiccava solo la fotografia, appesa tra i letti gemelli, di zio Joel e zia Hester in abiti nuziali e un documento incorniciato e appeso sulla scrivania, in cui si attestava che il sergente Joel Cameron era stato ferito e onorevolmente congedato dall'Esercito degli Stati Uniti nel luglio del 1898. Detti un'occhiata nell'armadio: era pieno di vecchi abiti che sapevano di muffa, abiti presumibilmente rifiutati anche da Oviedo. Avevo appena cominciato a disfare la valigia quando udii bussare alla porta. Era zia Evelyn. «Ci troviamo tutti giù fra mezz'ora, nel salotto» sussurrò in fretta. Io scossi il capo e replicai: «Per questa sera ho chiuso, con le decorazioni dell'albero,» Non dire sciocchezze. È il nostro momento, con Joel a letto a curarsi il mal di gola e i due messicani alla loro festa. Terremo consiglio di guerra «e se ne andò senza attendere risposta.» Studiai la faccenda con l'aiuto della mia fedele pipa, dopo di che mi avviai giù per le scale buie. Allora mi venne in mente che lo zio era uscito invece di andarsene direttamente a letto e, per quanto ne sapevo, poteva ancora gironzolare attorno nella notte. A metà scala urtai contro qualcuno, una delle ragazze, a giudicare dal profumo; quando parlò, la voce era quel-
la di Dorothy. «Anche tu, Bruto?» Scendemmo insieme e raggiungemmo gli altri nel salotto sotto lo scalone, attorno al decrepito albero di Natale. «Sapete tutti perché siamo qui» cominciò zia Evelyn. «Gli affari sono affari. Che cosa decidiamo nei riguardi del mio povero fratello Joel?» Cominciammo a parlare tutti insieme, ma di colpo ognuno tacque e il silenzio sembrò pesare su di noi. Alla fine zio Alger, senza cravatta né colletto, prese la parola: «La questione non consiste nel fatto che Joel Cameron possa o meno lasciare il suo denaro ai legittimi eredi; sapete tutti che si tratta di ben altro. Dopo che Joel ebbe sperperato buona parte della sua fortuna per la costruzione di questa casa e di questo villaggio dove nessuno ha mai desiderato vivere, mia sorella Hester ebbe il buon senso di vincolare il suo capitale privato, la rendita del quale, veramente cospicua, doveva andare a Joel per tutta la vita ed essere divisa in parti uguali, alla morte degli zii, fra gli eredi di entrambi; e cioè fra noialtri.» «Ci mancano Todd Cameron e Gilbert Ely» osservai. «Sicuro. Adesso io chiedo se sia il caso che facciamo qualcosa per tutelare i nostri diritti.» Zio Alger si mise a sedere. «Io ritengo che tutti noi, Ely e Cameron, abbiamo diritto a quanto ci spetta» affermò Ely Waldron. «Zia Hester vincolò il capitale ma forse oggi, se fosse viva, non farebbe altrettanto.» «Il denaro deve andare a chi è in grado di impiegarlo bene; questa, almeno, è sempre stata la mia opinione» dichiarò Mabel in tono solenne. «E specialmente a chi ha un figlio da allevare» sospirò Fay Waldron. «E un figlio eccezionale come Sidney, che merita tutto.» Ricordai allora di aver ricevuto, qualche anno prima, la partecipazione di nascita del bambino di Ely e Fay. Meno male che non se lo erano portato dietro. «Stiamo uscendo dal seminato» fece notare zio Alger. «Per conto mio non ho bisogno di denaro, o almeno non ne avrò più bisogno quando un certo progetto comincerà a funzionare. Eustace ha l'avvenire assicurato.» «Vuoi dire che questa è la tua opinione» rimbeccò il ragazzo; poi zia Evelyn replicò: «Stiamo girando attorno al punto principale; le clausole riguardanti il capitale vincolato di zia Hester sono chiare: tutti sappiamo che Joel fruirà della rendita fino alla sua morte o fino a che non venga dichiarata la sua in-
fermità mentale; ora non si tratta di stabilire chi possa avere più o meno bisogno,..» «Ma di stabilire se zio Joel è pazzo o non è pazzo» concluse tranquilla Dorothy Ely chinandosi in avanti sulla sedia. Finalmente qualcuno aveva avuto il coraggio di dirlo. «Sappiamo tutti che Joel è pazzo da legare» intervenne Ely Waldron. «Abbiamo abbastanza prove da fornire ai medici che dovranno certificarlo. Ognuno di noi...» «Per Natale ci mandava assegni non firmati» sottolineò Mildred. «Questa sera mi è apparso all'improvviso, tutto pieno di ragnatele; mi ha spaventata al punto da farmi svenire. E l'ha fatto apposta» disse zia Evelyn. «Quando nacque Sidney, zio Joel ci spedì come regalo una serie di libri sul controllo delle nascite!» aggiunse Fay Waldron. «E poi guardate quell'albero! Nessuno lascia montato un albero di Natale neppure per un mese, figuriamoci per quindici anni!» Mabel indicò rabbrividendo la reliquia polverosa che troneggiava nella stanza e Alger Ely concluse: «Ci odia tutti.» «Pensate che divertimento» osservai «se zio Joel fosse davvero pazzo come tutti sembrano credere, e se avesse colto quest'occasione per sbarazzarsi di noi in blocco facendo saltare in aria la casa. Dopo averci dato la buona notte è uscito, sapete.» Mildred divenne pallidissima e Mabel respirò affannosamente; ma gli altri scoppiarono in una risata e zio Alger disse: «Figuriamoci se Joel rovinerebbe la sua prediletta casa! E poi non è pazzo fino a questo punto.» Zia Evelyn alzò una mano: «Meglio così. Consideriamo la cosa sotto un altro punto di vista: chi di noi avrebbe ritenuto pazzia l'eccentricità di Joel, se Gilbert non ci avesse telegrafato in quel modo?» «Nessuno, per la verità» rispondemmo, e lei seguitò: «Vogliamo rendere di pubblica ragione il fatto di avere un pazzo in famiglia?» Zio Alger fece notare con impazienza che certo Gilbert Ely aveva avuto diverse prove della instabilità mentale di Joel, altrimenti non avrebbe preso una simile iniziativa. «In quanto al resto» sottolineò «Joel e Hester non hanno avuto figli, quindi nessuno di noi è loro diretto discendente; questo non vuol dire che si debba fare molta pubblicità alla cosa, è sufficiente far dichiarare Joel
malato di mente e mandarlo in una clinica per malattie nervose.» Zia Evelyn fece una smorfia di disappunto: «Mi sembra una crudeltà allontanarlo dalla sua casa. In ogni modo, ho l'impressione che in linea di massima siamo tutti d'accordo. Aspettiamo fino a venerdì per vedere se Gilbert si fa vivo? Oppure vogliamo agire subito e far venire un paio di specialisti da Los Angeles?» «Per me andrà bene quello che deciderete voi» disse Dorothy un po' sostenuta. Mildred annuì, zio Alger suggerì di aspettare l'arrivo di Gilbert. «Sia pure» concesse Ely Waldron «per quanto io non capisca la ragione di perdere ancora due giorni.» «È inutile che un menomato mentale disponga di tanto denaro» borbottò Fay Waldron. «Certo. Io però non ho fretta» precisò Eustace che aveva fatto per tutta la sera gli occhi dolci a Mildred con scarsi risultati. Anche Mabel Cameron si dichiarò d'accordo con la maggioranza e aggiunse: «Posso sorvegliare zio Joel nel caso che diventi pericoloso mentre siamo qui; un'infermiera è proprio quello che ci vuole.» Zia Evelyn mi fissò con insistenza: «Ebbene, Alan? Tocca a te.» Davanti all'espressione avida di tutti quei visi ebbi uno scatto di ribellione. «Denaro! Ma perché dobbiamo essere così accecati dal denaro? Crediamo che zio Joel sia pazzo solo perché uno scapestrato abbastanza psicologo ci ha messo in testa quest'idea e, soprattutto, perché vogliamo crederlo. Può darsi che i medici dichiarino lo zio malato di mente; ma se potessero leggere nelle nostre teste forse dichiarerebbero pazzi noi.» Dorothy mi fissò a bocca aperta e io seguitai: «Il denaro non è tutto, infine. Non si può comprare la felicità, la tranquillità di spirito, né l'amore e il rispetto.» «Qualcosa di caldo e appassionato negli occhi di Dorothy mi fece pensare di aver operato almeno una conversione.» Non possiamo fare una cosa simile «soggiunsi con la divina disinvoltura dell'incosciente.» Non possiamo spedire un vecchio in un manicomio per i cinque o seimila dollari l'anno a testa che... «Alan» mi interruppe la cugina Mabel «hai letto troppi libri e non hai avuto il tempo di ragionare con i piedi sulla terra; tu non hai moglie, non hai figli, hai quanto ti basta a tirare avanti alla meno peggio. Perciò non ti
importa... perciò non capisci...» «Alan è sempre stato un sognatore» intervenne zio Alger «ha preso dai Cameron.» «Forse, ma vi dico ugualmente che mi opporrò a ogni tentativo di far passare per pazzo zio Joel; lo avvertirò, parlerò con un avvocato, racconterò tutta la verità...» e mi sedetti ansando. «Hai deciso di metterci i bastoni fra le ruote?» Zia Evelyn mi guardò e aspirò con forza dal naso. «Bene, giovanotto, non so perché ti sia venuta questa idea fissa, ma...» Si interruppe fissando la porta che dava nel vestibolo. «Il messicano!» sussurrò poi. «Sta ascoltando.» «Non può essere!» ribatté Alger Ely. «L'ho visto ammucchiare sua moglie nella macchina di Joel e scendere la collina circa mezz'ora fa.» Dopo qualche istante di silenzio zia Evelyn si avvicinò alla porta e stava per toccarla quando qualcuno bussò da fuori; lei aprì e sulla soglia apparve zio Joel con le mani piene di pacchetti. «Conciliaboli di Natale, eh?» «disse allegramente. Aveva indosso un pesante accappatoio da bagno, pantofole tutte infangate e un cappello di feltro.» «Ehm... già» mormorò zia Evelyn. La parte posteriore del suo collo era scarlatta. Dorothy si alzò e disse a voce ben alta: «Stavamo proprio parlando di quello che vogliamo regalarti, zio Joel.» 3 Zio Joel ammiccò e sorrise, mostrando un luccichio di oro che mi colpi per la sua lucentezza. «Lo sapevo che quest'albero sarebbe stato buono per un altro Natale, Sono tornato per metterci sotto i regali per voi, ma non credevo di trovarvi tutti qui. Tieni, Evelyn, disponili tu per benino; io debbo andarmene prima che piova più forte.» «Andartene dove?» Tutti fissavano le gocce d'acqua sul suo cappello mentre zia Evelyn faceva la domanda. Allora ricordai che Cameron Heights disponeva di un cimitero proprio, e che zio Joel vi aveva fatto costruire per sua moglie una cappella di marmo; mi venne il tremendo sospetto che lo zio volesse passare là la notte. Ma non era così. «Io vado nel garage; al primo piano vi sono alcune comodissime camere
per la servitù, ma Oviedo e sua moglie preferiscono una stanza nel seminterrato, accanto alla cucina. Seguitate pure a divertirvi, io starò meglio un po' isolato, tranquillo e beato come un papa.» Si volse per uscire, poi si fermò un momento. «Sogni d'oro, miei cari, sogni d'oro.» Uscì nel vestibolo e udii sbattere la porta di ingresso. «Ha sentito tutto, naturalmente» gemette Mabel. Zia Evelyn non lo credeva e non lo credevo neppure io; l'uscio del salotto era pesante e non aveva il buco della serratura. Inoltre le pantofole infangate dello zio non avevano lasciato tracce apprezzabili davanti alla porta. Tuttavia la riunione fu rinviata. Confesso che, mentre salivo in camera mia, speravo che Dorothy mi raggiungesse e si congratulasse con me per la mia netta presa di posizione; ma mia cugina non lo fece: era troppo occupata a separare Mildred dal ragazzo di zio Alger, il quale aveva evidentemente deciso di sfruttare al massimo ogni possibilità. Zia Evelyn mi precedeva per le scale; si volse a un tratto per dirmi senza cattiveria: «Troppi pochi capelli, figliolo, per impersonare sir Galahad. Ma forse avevi ragione.» Quando fui in camera, accesi finalmente la pipa e presi l'unico libro disponibile nella stanza sperando che mi conciliasse il sonno, ma ben presto la vista mi si stancò e stavo per spegnere la luce quando udii un leggero colpo alla porta. «Avanti!» risposi automaticamente. Era Dorothy Ely, in vestaglia di seta; le convenienze erano salve visto che qualcosa, sia pur leggera, le copriva il pigiama, tuttavia mi tirai istintivamente le coperte fin sotto il mento. Dorothy si avvicinò al letto e disse in tono solenne: «Cugino Alan, sei un onesto individuo.» Io borbottai qualcosa sorpreso e Dorothy seguitò: «Onesto, sebbene un po'... come dire? Inamidato. Credo di essermi sbagliata sul tuo conto, pensavo che fossi stato tu a mandare i telegrammi con la firma di Gilbert.» «E perché Gilbert non dovrebbe firmare lui stesso i telegrammi che manda in giro?» Dorothy si sedette disinvolta sull'orlo del letto. «Avrei dovuto dirtelo prima. In questa casa succedono strane cose, Alan.» «Credi che non lo sappia?» «No, non sai tutto. Io e Mildred abbiamo fatto questo viaggio... Vuoi sa-
pere perché Gilbert non può aver firmato quei telegrammi? Te lo dico io: sono stati mandati tre settimane fa e Gilbert Ely è morto nel mese di maggio in un incidente stradale a Chicago.» «E tu come lo sai?» «Lo so perché la polizia di laggiù mi telegrafò chiedendomi il denaro per seppellire Gilbert; io non lo avevo e detti l'indirizzo di zio Joel. La polizia si mise in contatto con lui ma non ottenne una lira. Gilbert ha avuto un funerale da poveretto.» «Allora...» «Allora la persona che si è firmata col suo nome non sapeva che Gilbert era morto.» «Capisco. E adesso, cara cuginetta, che cosa ne diresti di andartene? Se i Waldron, qui di fronte, sentono la voce di una donna nella mia stanza, sono capaci di pensare...» «Lo penserebbero di certo, e tu ne saresti lusingato, vecchio diavolaccio.» Dorothy andò verso la porta ma si fermò prima di aprirla. «Sono contenta, Alan, che tu sia qui» e uscì nell'andito. Spensi la luce. Ero stanco fisicamente e mentalmente ma non riuscivo a dormire; quel letto estraneo, quella stanza estranea, la mancanza della mia compagna fedele contribuivano a tenermi sveglio. Se solo Brownie fosse stata accucciata in fondo al mio letto! Brownie è la mia cocker spaniel, una strega dal mantello color mogano che mi fa compagnia da cinque anni. Adesso era affidata alle cure della mia governante a S. Francisco e senza dubbio guaiva di disperazione per la mia assenza. Non sono un uomo che si intenerisce sui cani, ma potrei raccontare parecchi episodi riguardanti Brownie... Oggi sono certo che se avessi seguito l'impulso di portare Brownie con me a Prospice tante cose non sarebbero successe. Un paio di occhi non offuscati da astigmatismo umano, un olfatto acuto, indagatore... Forse tutto questo ci avrebbe salvati. Mentre stavo per addormentarmi mi parve che qualcuno camminasse nell'andito, verso la stanza da bagno; pensai che Prospice, con tutta la sua grandiosità, aveva un solo bagno per tutto il piano, ed ebbi una visione di rose rosse dipinte sulla porcellana. Il mio sonno fu pieno di sogni vaghi, confusi, finché a un certo punto mi svegliai a fatica. Qualcuno mi stava chiamando. Aprii gli occhi e vidi il riflesso rosso del sole su una parete; guardai l'orologio e pensai che fosse fermo perché segnava solo le quattro meno un quarto. «Alan!» chiamò di nuovo una voce; saltai dal letto e mi resi contempo-
raneamente conto che il riflesso sanguigno non proveniva dal sole ma da un incendio. Guardai oltre i vetri: il garage era in preda alle fiamme e sprigionava altissime lingue rossastre: non avevo mai visto un incendio così violento. I muri del garage, alto due piani, erano ancora in piedi ma ogni finestra vomitava una quantità enorme di fuoco. Qualcuno continuava a bussare alla porta; era Fly Waldron paludato in una ridicola camicia da notte da cui uscivano due gambe nude e pelose. «Alani» gridò, precipitandosi nella stanza, non appena spalancai l'uscio. «Che è successo?» Non ebbi bisogno di pensarci molto: zio Joel non era più tranquillo e beato come un papa. Il resto di quella notte fu un incubo che certo non dimenticherò facilmente; mi sembra ancora di vedere me ed Ely Waldron, seguiti da un gruppetto di donne isteriche, precipitarsi verso il vestibolo di Prospice alla ricerca di. un telefono; naturalmente l'impianto elettrico si era guastato di nuovo e solo il riverbero delle fiamme ci illuminava nella corsa lungo i corridoi. Poi ebbi la visione di Waldron, sempre in camicia da notte, attaccato al telefono nel piccolo atrio antistante la cucina, prima deciso a svegliare la centralinista del villaggio e poi tutto infervorato a supplicarla di avvertire immediatamente i pompieri. Appese il ricevitore e tornò in camera per discendere subito dopo in vestaglia e correre verso la porta posteriore della casa. Fuori, la notte era piena di bagliori rossi e dell'odore acre del fumo. Ci aggiravamo tutti per il cortile chiedendoci a vicenda perché non facevamo qualcosa; ma era anche troppo evidente che nessuno, neanche i pompieri, avrebbero potuto ormai fare qualcosa. Pensammo di servirci di secchi, di estintori o di scale a pioli; zio Alger ricordò che doveva esserci una scala nella capanna degli attrezzi, dietro la casa, accanto alla pompa e al serbatoio dell'acqua. Ma non si trovò traccia di scale. Le fiamme imperversavano sempre più furiose ed era chiaro che nulla, nell'interno del garage, avrebbe potuto salvarsi. Cadeva una pioggerella sottile e insistente ma del tutto inutile per soffocare l'incendio. «È troppo tardi per salvare il povero zio Joel» stava dicendo Ely Waldron. «Se ci fosse stata una scala esterna il poveretto avrebbe avuto una possibilità di salvezza; certo la scala interna era già crollata, quando si è accorto del fuoco.» Il tetto del garage precipitò con fracasso tra una miriade di scintille. Vidi
zia Evelyn con le braccia cariche di abiti e con una pelliccia sulle spalle; evidentemente aveva paura che il fuoco si propagasse alla casa. La cugina Mabel aveva in mano un pacchetto di lettere e la fotografia, incorniciata di argento, di un uomo dalle orecchie a sventola. Evidentemente Dorothy e Mildred non possedevano tesori; o forse avevano capito che la casa non era in pericolo. Eustace era rimasto sulla porta, restio, supposi, a esporsi alla pioggia. «Tra poco il garage sarà completamente distrutto» sentii che Ely Waldron diceva a sua moglie. Fay aveva una sciarpa in testa e seguiva Ely in silenzio come per assicurarsi che non tentasse imprese rischiose. Stava per spuntare l'alba di Natale. «Credevo che qualcuno avesse telefonato ai pompieri!» disse la voce di Dorothy e altre voci le fecero eco. Udimmo infine il suono di una sirena ai piedi della collina, verso l'autostrada; la luce dei fari rischiarò per un momento il cielo, poi si abbassò e disparve. Una buona mezz'ora più tardi, verso l'alba, un individuo in elmetto rosso e con un lungo impermeabile di gomma venne a dire, con aria desolata, che il carro dei pompieri era uscito di strada e si era impantanato vicino alla cresta della collina, sotto la macchia di eucalipti. «Non potreste darci una spinta con le vostre macchine?» suggerì speranzoso. Solo in quel momento mi venne in mente che la mia povera Buick era stata messa in garage insieme a quella di Ely Waldron qualche ora prima. Adesso era troppo tardi: tutto quello che si trovava in garage, zio Joel compreso, se ne era andato per sempre. Tutti noi guardammo il garage a cui era impossibile avvicinarsi per il calore: il fuoco non accennava ad estinguersi, ma ancora divampava rabbioso. Improvvisamente sentimmo di nuovo la sirena molto più forte di prima. Poco dopo arrivò l'autopompa seguita da una grossa vettura che con ogni probabilità era meritevole di aver cavato d'impaccio i pompieri. Tuttavia il loro arrivo non mutò la situazione: guardarono i resti del garage, scrollarono il capo e poi si occuparono di evitare che il fuoco si propagasse alla casa tramite le erbacce. Il comandante mi si avvicinò con un taccuino in mano e volle sapere chi aveva visto per primo le fiamme. «Per stabilire meglio eventuali responsabilità» spiegò «ai fini dell'assicurazione.» Ely Waldron riferì di avere udito un rumore insolito e di esser corso alla
finestra da dove aveva visto il garage in preda alle fiamme. Aveva svegliato sua moglie e con lei era venuto a chiamarmi. Tutto questo verso le quattro meno un quarto. «Come sapevate che il signor Cameron dormiva in una delle stanze sopra il garage?» mi chiese il capo dei pompieri. Non lo sapevo infatti, ma lo supponevo, naturalmente. Tagliai corto domandando perché invece di perder tempo con le inchieste non cercavano di spegnere l'incendio. «Ma guardatevi attorno!» gridò inferocito. «Vedete da qualche parte una presa d'acqua? Dove volete che attacchiamo un idrante? E gli estintori chimici non servirebbero a nulla. Quello è un fuoco alimentato dalla benzina, si sente dall'odore.» Il capo aveva tutta l'intenzione di rivolgermi altre domande, ma io vidi Dorothy avvicinarsi e mi scusai cortesemente. Dorothy aveva l'aria spaventata. «Che cosa tremenda!» disse col pianto nella voce. Convenni che, certo, era una cosa terribile, ma aggiunsi che zio Joel era ormai molto vecchio e che tutti, una volta, dobbiamo morire. «Non pensavo a... a lui, pensavo a Mildred che è sparita.» «Sparita?» Dissi che certo la cuginetta stava guardando l'incendio da qualche parte o che forse era rientrata in casa per ripararsi dalla pioggia. «In casa non c'è» insisté Dorothy. «È una ragazza così svagata! Se le è accaduto qualcosa, io...» «Mildred!» gridai con tutto il mio fiato. Adesso c'era abbastanza luce per vedere che Mildred non era fra i parenti affaccendati ad aiutare i pompieri a non far nulla. Chiamai di nuovo e Dorothy unì la sua voce alla mia. Un colpo di clacson partì da una grossa macchina ferma dietro l'autopompa; evidentemente l'automobilista che aveva aiutato i vigili era rimasto a guardare lo spettacolo. Mildred, comodamente seduta dentro l'automobile, ci faceva segno di avvicinarci. «Fidati della sorellina» brontolò Dorothy. «Scommetto quello che vuoi che al volante di quella macchina c'è un aitante giovanotto dall'aria ingenua.» «Venite a vedere chi ha avuto pietà di me e mi ha offerto un riparo!» gridò Mildred. Ci avvicinammo alla macchina e Dorothy brontolò ancora: «Che ti dicevo?» Al volante c'era infatti un giovanotto, aitante fin che si vuole, ma dall'aria niente affatto ingenua; un giovanotto molto abbronzato, dagli occhi co-
lor nocciola chiaro e una cicatrice sul sopracciglio sinistro. «Ehi!» disse Mildred. Non lo riconoscete? Io invece l'ho riconosciuto subito. È Todd Cameron e viene dritto dritto da Zamboango, dall'altra parte della terra. «Non Zamboango» corresse il nuovo arrivato. «Rarotonga. Zamboango è quel paese dove le scimmie non hanno la coda.» «Benvenuto, cugino!» lo salutò Dorothy e la sua voce perse ogni asprezza. «Già, naturalmente! Avrei dovuto riconoscerti, ma è passato tanto tempo...» Gli strinsi la mano: «L'ultima volta che ti ho visto eri un terremoto di ragazzino pieno di lentiggini. Vieni, scendi! Saranno tutti sorpresi...» La voce mi venne meno quando pensai che eravamo davanti alla pira funebre di zio Joel. «Ho paura di essere arrivato in un brutto momento» osservò Todd Cameron e saltò giù dalla macchina fermandosi a guardare le fiamme; poi si allontanò dalle ragazze e mi chiese sottovoce: «Un incidente?» «Certo!» risposi con un'enfasi forse eccessiva. «Venite, voi due» chiamò Dorothy. «Malgrado gli avvenimenti la vita continua. Abbiamo tutti bisogno di caffè bollente. Fay Waldron si è offerta di prepararlo.» La coppia messicana non era ancora rientrata; dissi a Dorothy che mi sarebbe piaciuto sapere con esattezza dove erano andati quei due. «Dall'aspetto della cuoca, probabilmente a qualche allegro sabba» rispose mia cugina. «A cavallo di una scopa.» L'enorme cucina di Prospice era stata fatta su misura per ospitare almeno un cuoco e non meno di due o tre sottocuochi, ma era stata costruita troppo presto per avere un frigorifero adeguato, quindi le provviste venivano conservate secondo qualche misterioso sistema dei messicani che vi imperavano; la famiglia si servì da sola alla meglio, tra un acciottolio di tazze e un incrociarsi di discorsi confusi. E nessuno, tranne zia Evelyn e le ragazze, fece molto scalpore per l'arrivo di Todd; la cugina Mabel seguitò a fissarlo per un pezzo dall'angolo in cui si era sistemata con la sua tazza di caffè bollente. La moglie di Ely Waldron persisteva nell'affermare che, secondo lei, tutto era andato per il meglio: preferibile cento volte morire che vivere pazzo, povero Joel! E zio Alger aggiunse con spirito leggermente sinistro che, in fondo, il povero Joel aveva espresso più volte il desiderio di essere cremato. Questo fece sorgere il dubbio che egli si fosse suicidato, ma io osservai che chiunque avrebbe scelto un altro mezzo per uccidersi,
qualcosa di meno complicato. Proprio in quel momento si udì lo strepitio di un motore; Eustace, che stava guardando dalla finestra, annunciò che l'autopompa se ne andava e che l'incendio stava ormai spegnendosi. Zia Evelyn si alzò e disse: «Con ogni probabilità fra poco pioveranno qui nugoli di giornalisti, o per lo meno telefoneranno. Meglio decidere che cosa dobbiamo dire.» «Sarebbe meglio ancora decidere quello che diremo alla polizia» intervenne Mabel, e la sua voce accentuò spiacevolmente l'ultima parola. «Alla polizia?» domandò Todd. «È chiaro che vi sarà una inchiesta» replicò Mabel «almeno da parte del magistrato inquirente. Zio Joel era troppo ricco per sparire senza che nessuno se ne interessi.» Si sentì bussare alla porta della cucina; due vigili, lasciati a sorvegliare i resti dell'incendio, entrarono infreddoliti a chiedere un po' di caffè. Poi la famiglia si disperse e Mabel mi tirò in disparte: «Sai che cosa ci aspetta, no?» mi chiese. «Un Natale poco allegro. Perché?» «Ci aspetta un'inchiesta per assassinio!» proruppe. Scossi il capo e cercai di convincere soprattutto me stesso che non avevo mai pensato a una eventualità simile, ma Mabel seguitò: «Siamo tutti sospettabili, ricordatelo. La morte dello zio porta a ciascuno di noi una grossa fortuna, e Dio sa se ne abbiamo tutti bisogno. Quando prepari le risposte per la polizia, ricordati di prepararne una a questo proposito.» Mi sentii improvvisamente stremato; desideravo con tutta l'anima un po' di solitudine per raccogliere le idee prima di affrontare l'interrogatorio che sembrava imminente. Ma volevo anche parlare con Dorothy. Salii di corsa le scale e mi fermai davanti alla stanza occupata dalle due sorelle. Dalla porta socchiusa vidi che Todd era con loro. «Ricordi il vischio?» Stava chiedendo Dorothy seduta sul letto. «Tu non l'hai mai saputo, Todd, ma quel Natale avevo un debole per te. Passai intere ore sotto il vischio aspettando che tu venissi a darmi un bacio. Ma non ti sognasti neppure di farlo.» Todd rise, ed era piacevole sentire una risata in quella casa; poi si chinò su di lei, disse "meglio tardi che mai" e la baciò sulla bocca. Vidi il bel viso di Mildred mutarsi in una maschera ed entrai nella stanza. «Non vorrei funzionare da doccia fredda, ma è necessario che sappiate quello che va dicendo Mabel. È infermiera e ha delle esperienze in mate-
ria, o almeno lo crede. È convinta che la polizia ci passerà tutti al pettine fitto a causa del denaro che ereditiamo.» «È possibile» ammise Dorothy. «Dopo tutto se zio Joel è stato vittima di qualcosa di peggio che un tragico incidente, se ne può capire la ragione, no, Alan? Hai firmato tu stesso la sua condanna a morte, ieri sera, quando hai detto che ti saresti opposto a ogni tentativo di farlo dichiarare pazzo; e questo incendio può essere benissimo servito a nascondere il delitto, unica alternativa possibile.» «Dorothy!» ansimò Mildred quasi senza fiato. «Non vorrai... Oh! Nessuno in questa casa è un assassino!» «Uno di noi lo è di certo, e forse più d'uno.» Dorothy si alzò e andò a guardarsi allo specchio: «Prima che cominci il gioco dell'Indovina Chi è Stato cercherò di restaurare un po' le vecchie rovine; quindi, voi due, andate a fare un giro.» Io e Todd uscimmo nell'andito. «Vado a mettermi in ordine anch'io. Se tu vuoi fare lo stesso, puoi venire in camera mia.» Todd portò la sua valigia da me e ne trasse una camicia pulita. Io, che viaggio sempre con una bottiglietta di cognac, gli offrii di bere un sorso, ma Todd rifiutò: «Non bevo mai, grazie.» Dovette leggermi lo stupore in viso perché spiegò: «Per la mia professione bisogna avere il cervello chiaro.» Non avevo mai sentito dire che Todd Cameron esercitasse una professione oltre quella di spendere le esigue sostanze ereditate dai genitori cinque o sei anni prima. Quando accese una sigaretta, notai che le mani di mio cugino erano splendide e molto curate: sottili, forti e agili. «È stato davvero un incidente?» mi chiese guardando dalla finestra le rovine fumanti. «Chi lo sa?» «Il fuoco! Io sono sfuggito all'incendio di una nave e so che cosa vuol dire il fuoco. Alan, un uomo si butta da altezze inverosimili, piuttosto che arrostire vivo.» «Già; e se zio Joel avesse gridato aiuto, qualcuno lo avrebbe sentito.» «Dorothy mi ha raccontato la faccenda dei telegrammi firmati da Gilbert. Pagherei non so cosa per sapere chi ha mandato in giro quei telegrammi.» «Pensi che sia stato l'assassino?» «E se tentassimo di scoprire il colpevole?»
Mi sentii lusingato come un bambino che riceve l'incarico di sorvegliare i compagni di classe. Il mistero mi ha sempre affascinato e ora, invece di investigare sui segreti del passato racchiusi in archivi polverosi, mi trovavo di fronte a un vero e proprio mistero che aveva l'aria di essere ancora ben lungi dalla soluzione. «La prima cosa da fare...» cominciai, ma Todd mi fece cenno di tacere. Una donna rideva in un punto imprecisato della casa; era una risata convulsa e monotona nel medesimo tempo, una risata che suonava terribilmente falsa. Scendemmo di corsa le scale e ci incontrammo con gli altri che avevano avuto il nostro stesso impulso. Zia Evelyn era seduta nel salottino sotto i rami secchi dell'albero di Natale. Zio Alger, che ci precedeva, cercò invano di far cessare la risata scuotendo la donna per le spalle, e allora Todd le lasciò andare due schiaffi; zia Evelyn smise di ridere e indicò le scatole ai piedi dell'albero. «Io... io non ho saputo vincere la curiosità di vedere i regali che ci aveva preparato Joel» e ricominciò a ridere. «Guardate!» Le scatole erano tutte in mucchio, ma qualcuna di esse era stata aperta: avevano certamente contenuto eleganti borsette di camoscio per le donne e portafogli di struzzo per gli uomini, salvo che per Todd. Ma ora dentro era rimasta solo la carta velina che serve a imbottire borse e portafogli nuovi. «Vuote! Tutte vuote!» gridò zia Evelyn. «Ma ci ha pensato la morte a riempirle per noi. È troppo divertente!» Dorothy, intanto, senza neppure guardare il suo dono di Natale, si era diretta alla finestra. Si voltò a guardarci e ci avvertì: «Gente, sta arrivando la polizia; vi sembra divertente anche questo?» Udii un gemito soffocato e guardai Mildred, pallida come una morta. La ragazza tentava di sorridere. 4 Restammo tutti allibiti, tranne Todd che non si scompose affatto. «Ora tocca a noi due entrare in azione. Vieni con me» mi disse, e io lo seguii. Davanti alla porta di ingresso era ferma una macchina da cui scese un individuo in impermeabile, con dei malinconici baffi cascanti. Ci presentammo a turno e fu così che facemmo conoscenza con Tom Bates, lo sceriffo. Aveva una voce dolce che mi parve tuttavia insidiosa; mi passò da-
vanti e si rivolse a Todd. «Siete arrivato ben da lontano per trascorrere il Natale con vostro zio! Un viaggio molto lungo, solo per fare onore al tacchino natalizio.» «Specialmente quando lo si compie su una carretta mercantile fino a Mazatlan come ho fatto io. Ma nessun viaggio è troppo lungo se la meta è rappresentata da qualcosa che sta a cuore.» Lo sceriffo socchiuse gli occhi; era chiaro che voleva dare corda al giovanotto. Sorrise: «Una ragazza, eh?» «No certo» rispose Todd. «Parlavo dell'amore che si porta a un parente ricco e vecchio. Non c'è amore più forte, ve lo assicuro!» Lo sceriffo parve perplesso, poi annuì e si avviò lentamente su per il viale a fianco di mio cugino. Notai che Todd guardava preoccupato la sua auto, la veloce Auburn azzurra, ancora ferma nel punto in cui l'aveva lasciata arrivando. Ma lo sceriffo si diresse verso il garage; si fermò davanti alla porta, raccolse una manciata di cenere fumante, la lasciò cadere e si volse verso di noi crollando il capo: «Se Joel Cameron è davvero là dentro, dovrà restarci ancora per un pezzo.» L'aria era satura dell'odore acre di cenere bagnata che ristagna sempre nelle vicinanze di un incendio; in più si avvertiva un altro odore, dolciastro e disgustoso, che non sapevo bene a cosa attribuire. «Solo al vecchio Cameron poteva venire l'idea di costruirsi una casa grande come un albergo per poi dormire in un garage» commentò lo sceriffo. Eravamo fermi davanti al garage. I muri esterni si reggevano ancora, neri e solcati da profonde crepe, ma i pavimenti erano crollati e le macerie coprivano gli scheletri delle due macchine, quella dei Waldron e la mia. «No, non avrete fastidi con l'assicurazione» osservò lo sceriffo «a meno che risulti che l'incendio è doloso. Credo che non l'abbiate provocato voi l'incendio, non è vero?» e mi guardò. Gli risposi che la mia macchina era assicurata per duecento dollari, quindi la cosa era improbabile. In quel momento udimmo l'ansimare di un motore su per la collina e poco dopo arrivò una vetusta carriola da cui scese un ometto ravvolto come una mummia in due sciarpe pesanti e in una pelliccia che gli arrivava ai piedi; dalla valigetta nera che reggeva in mano ne dedussi che doveva essere il medico condotto. «Bene, Sam!» esclamò lo sceriffo. «Una volta tanto sei arrivato in anticipo. Questi sono due nipoti del vecchio; ragazzi, questo è il magistrato
della contea, nonché il medico legale: dottor Eckersall.» «Piacere» borbottò lui senza allontanare lo sguardo dalle rovine fumanti. «Be', portalo fuori, così comincio subito.» «Calmati» protestò lo sceriffo Bates. «Ci vorrà qualche ora, prima che si possa entrare là dentro.» «Insomma il dottore sono io e debbo vedere il cadavere, quindi fammi la cortesia di farlo tirar fuori, ammesso che ci sia.» «Per esserci, c'è di sicuro» replicò secco lo sceriffo. «Ma se lo vuoi adesso, vattelo a prendere.» «E perché io? Come magistrato e come medico ho anche altre cose da fare!» protestò il dottor Eckersall. «Debbo sistemare due liti per ragioni di confine e debbo sorvegliare in laboratorio una cultura di streptococchi. Se peschi là dentro qualche resto umano» e ne dubito molto «sai dove trovarmi.» Salì in macchina, invertì la marcia e con gran fracasso si diresse verso il villaggio. Lo sceriffo si arrotolò una sigaretta, quindi si avviò in direzione della casa. «È vostra quella macchina?» chiese a Todd accennando alla Auburn. «Bella!» Todd mi venne vicino e mormorò, quasi senza muovere le labbra: «Tienilo occupato per cinque minuti, per l'amor del cielo!» «Sceriffo, potete tornare qui un momento?» gridai. «C'è qualcosa davanti al garage, che... Dovreste dare un'occhiata.» Bates mi raggiunse e per la prima volta, a giudicare da come mi guardò, parve includermi nella lista dei sospetti; non ho mai saputo mentire con disinvoltura. «Che c'è?» mi chiese. Fissavo il terreno fangoso con l'aria di uno scolaro colto in fallo. Ma avevo deciso di aiutare Todd. Lo vidi con la coda dell'occhio accanto alla sua macchina azzurra. «Sceriffo, questi segni...» Un momento di silenzio, poi la voce di Bates, ironica: «Avete scoperto un serpente a sonagli?» Si chinò a guardare in terra, poi esclamò: «Interessante!» «Eh?» fu tutto quello che riuscii a dire, mentre l'altro seguitava: «Il capo dei vigili del fuoco mi ha detto che non hanno adoperato scale perché sono arrivati troppo tardi per tentar di passare da una finestra.» Il dito dello sceriffo indicava una coppia di tacche triangolari nel fango, due segni alquanto attenuati dalla pioggia ma ancora ben visibili. «Ma una sca-
la a pioli è stata appoggiata qui ieri sera, un po' prima che cominciasse a piovere. Una scala che arrivava a quella finestra.» Puntò il dito verso un rettangolo nero, alto sulla facciata del garage. «Dove è finita quella scala?» Dissi che non lo sapevo e che anzi ne avevamo cercata una da per tutto, pensando che potesse servirci a combattere le fiamme. Aggiunsi che il messicano doveva sapere dove si trovava di solito la scala. «Parlerò io con quell'Oviedo; debbo anche chiedergli se vostro zio teneva una scorta di carburante nel garage; il capo dei pompieri ha detto che l'incendio è divampato troppo forte ed è durato troppo a lungo per essere alimentato solo dalla benzina delle due macchine.» «Un momento» dissi mentre lo sceriffo si avviava verso la cucina. «Il messicano e sua moglie non sono ancora ritornati. Ieri sera, dopo il nostro arrivo, hanno preso l'auto dello zio per andare a una "fiesta" a Capistrano.» «Ne siete certo?» «Certissimo!» «Interessante. Molto interessante, specie se si pensa che questa "fiesta" messicana ha avuto luogo ieri l'altro sera. Sentite, state attento che nessuno lasci la casa e che nessuno si avvicini al garage.» Raggiunse la sua macchina, vi salì, sbatté lo sportello su cui spiccava il contrassegno della contea di Santa Felice e se ne andò. Todd mi arrivò alle spalle e chiese: «Be', come è andata?» «Bene, ma tu cosa avevi da fare di tanto urgente?» Todd mi indicò la sua macchina e mi precedette in quella direzione. Notai che la capote della trasformabile era stata abbassata in modo da dissimulare alla meglio due fori di proiettile sulla tela; anche su un lato della carrozzeria si vedeva chiaramente la traccia di un foro riparato. «Non volevo che lo sceriffo li notasse» confessò mio cugino fissandomi. «Avrebbe potuto interpretare male la cosa.» «Ma chi li ha fatti?» Todd sorrise: «Cortesia dei signori della dogana. Non hanno gradito che passassi il confine a Tijuana dopo mezzanotte.» Passò le dita sul segno della carrozzeria. «Questo l'ho beccato a Mexicali, dal proprietario della macchina.» Seguitò a guardarmi sorridendo e studiando l'effetto che le sue parole producevano su di me; stavo per rivolgergli altre domande quando fummo raggiunti da quello spilungone di Eustace. «In gamba, il vostro macinino!» disse rivolto a Todd e osservò la grossa
macchina con gli occhi di una madre che contempla il rampollo prediletto. «Che cosa darei per una macchina come questa!» «Sei appassionato di automobili, ragazzo?» «Avrò presto la più splendida e veloce automobile di tutta la California» dichiarò convinto. «Una Rolls bianca, fuori serie. La sogno da quando ero un bambino.» «Da secoli, allora!» e ci allontanammo lasciando Eustace in estasi davanti alla Auburn. La maggior parte della famiglia era sparpagliata qua e là per la casa, in attesa di affrontare il terzo grado. Fay Waldron era in salotto, intenta a raccontare a Mabel quale meraviglia fosse il suo Sidney; questo fenomeno di intelligenza doveva avere sei anni, ma era praticamente un genio già completo. «Pensa, sapeva leggere e scrivere a cinque anni, e dovresti vedere i suoi disegni! Non mi sorprenderei che diventasse un grande pittore.» Mabel osservò che gli artisti possono anche guadagnare un mucchio di soldi. «È quello che dico sempre a suo padre. Sarebbe bello vedere la firma di Sidney Waldron in fondo a un grande quadro a olio. Non un quadro con quelle orrende donne nude, intendiamoci; ma bei paesaggi, tramonti o soggetti del genere.» Mabel disse che era un peccato che Sidney non fosse venuto; chi sa che bel disegno gli avrebbe ispirato il garage in fiamme. «Oh!» ansimò Fay commossa. «Non potevo allontanare il bambino dalla sua casa.» Mi accorsi che Mabel si dava da fare perché l'altra notasse l'anello col minuscolo brillante, ma nulla poteva distrarre Fay Waldron dal suo racconto. «Ti farò vedere una fotografia di Sidney e qualche suo disegno che ho di sopra.» Zio Alger stava facendo un solitario nel salotto e quando vide me e Todd ci chiamò: «Che ne dite di una partitina, tanto per passare il tempo?» «Gioco soltanto per guadagnarmi da vivere» rispose Todd scuotendo il capo. «Dov'è Mildred?» «Caro mio, sono anni che non corro dietro alle donne; prova a chiederlo a mio figlio, che è sempre attaccato a qualche gonnella.» «E anche alle macchine» replicò Todd. «Adesso ha un appuntamento con la mia Auburn.» «Ha la passione delle macchine, infatti, e ne vorrebbe una tutta per sé. Io
adesso non ho i soldi, ma quando li avrò... Eh, ho fatto grandi progetti per Eustace.» Zio Alger abbassò la voce: «Non andarlo a dire in giro, ma conosco un tale che è così con un senatore» e avvicinò gli indici delle mani «che potrebbe facilitare a Eustace l'iscrizione a West Point. Vedere mio figlio all'Accademia Militare è un sogno che coltivo da quando era piccolo; e adesso forse diverrà una realtà.» Vedemmo Dorothy nel vestibolo e le andammo incontro. «Ciao. Dov''è Mildred?» «Di sopra. Perché?» Todd la prese per un gomito e mi fece segno di seguirli; quando fummo lontani da orecchie indiscrete, disse: «Lo sceriffo è andato via, ma tornerà. Sarebbe bene metterci d'accordo su quello che gli diremo. È chiaro che nessuno dovrà fargli capire la ragione per cui siamo riuniti a Prospice. Ma Mildred mi preoccupa; nervosa com'è, è facile che si lasci sfuggire qualche cosa di compromettente. Senti, Dorothy, tu non sai perché è così scossa? Quando hai detto che stava arrivando la polizia c'è mancato poco che svenisse.» «È vero; ma non è nulla, lei stessa si è confidata con me proprio ora: non ha nessuna ragione per spaventarsi; solo che questa notte non è riuscita a dormire. L'ho sentita alzarsi, uscire di camera e scendere le scale...» «Cercava un libro?» chiese Todd. «Già, è proprio quello che desiderava che tutti credessero. Come lo sai?» «Mah, di solito è per questo che si va in giro al buio nelle case degli altri.» «No, lei non era al buio» corresse svelta Dorothy. «Aveva preso i fiammiferi sul suo comodino; ecco perché mi sono svegliata...» Si interruppe di colpo, arrossendo. «È naturale» intervenni per aiutarla. «Se voleva scegliersi un libro, aveva bisogno di una luce.» Proprio in quel momento mi giunse un fruscio di passi che scendevano di corsa le scale e Mildred arrivò tra noi quasi senza fiato; gettò indietro la testa e chiese: «Mi sta bene?» Parlava a tutti noi ma guardava Todd. Nessuno le rispose e allora si portò le mani alle perle e le accarezzò. «Credete che quelli torneranno? Zia Evelyn mi ha dato il permesso di portare la sua collana per un po'.» «Gentile» osservò Dorothy. «Ma non mi sembra il caso...» «Ero così spaventata e infelice! È Natale, dopo tutto, e il nostro unico
svago sarà quel vecchio barboso sceriffo e un mucchio di domande imbarazzanti.» «Perché le sue domande dovrebbero imbarazzarti?» domandò. Todd. «Ti ricordi il titolo del libro che sei scesa a prendere?» «Oh!» Mildred fissò il cugino che sorrideva. «Allora lo sai? Benissimo, io... La notte scorsa non sono scesa a cercare un libro. Io...» e si guardò a lungo le unghie lucide. «Avevo sentito degli strani rumori, così sono andata a vedere.» «Ti sei armata di una bustina di fiammiferi e sei venuta giù tutta sola? In questa casa?» L'atmosfera si era fatta tesa. «Ho sentito i rumori dopo che ero scesa» si corresse. «Andavo... Andavo a cercare una sigaretta, sapevo che ce n'erano in una scatola in salotto.» «Ma sapevi anche che io ne avevo nella valigia; e quando mai hai avuto tanta voglia di fumare da...» Dorothy si interruppe per pietà della sorella. «Ero così nervosa e spaventata che non potevo dormire; pensavo che una sigaretta mi avrebbe calmato i nervi. Mi avete talmente eccitata che non so più quello che dico. Dimenticavo, ho promesso a zia Evelyn di aiutarla a far le valigie.» «Valigie?» fece eco Dorothy. «Non lo sapevi? La zia sta per partire.» Tutti ci precipitammo di sopra. Zia Evelyn si allontanò dall'armadio a muro con le braccia cariche di vestiti variopinti che gettò sul letto. «Che state cospirando, voi quattro?» chiese. «Non c'è nessuno, in questa famiglia, che abbia il coraggio di fare quello che sto facendo io? Infilare la porta e andarsene?» «Ma, zia Evelyn» dissi «non credi che sia il caso di aspettare?» «Sciocchezze» replicò la zia traendo una valigia da sotto il letto. «Prospice non è precisamente il mio ideale per passarci le vacanze di Natale. Quello che dicono gli altri non m'interessa; e quanto a Joel... lui stesso è responsabile della sua morte.» «Che?» balbettò Dorothy sbalordita. «Credi che si sia suicidato?» Zia Evelyn si strinse nelle spalle: «In un certo senso. Se mio fratello fosse stato meno spilorcio e avesse fatto sistemare l'impianto da un elettricista, adesso probabilmente sarebbe ancora vivo. Un corto circuito fa presto a provocare un incendio.» Prese un cofanetto di velluto rosso grande tanto da contenere i gioielli della corona inglese. Mildred si tolse le perle, zia Evelyn le tenne amorosamente contro una guancia e sospirò:
«Care! Le perle hanno un significato diverso da qualsiasi altro gioiello; gli orientali le chiamano lacrime cristallizzate.» Dorothy non seppe trattenersi dal sussurrarmi che se avessimo cristallizzato tutte le lacrime sparse per il defunto zio Joel, ne avremmo ricavato a mala pena due per la camicia da smocking. «Zia, alla polizia sembrerà strano che tu te ne vada proprio adesso» azzardò Todd. «Giovanotto, secondo me è ancor più strano che tu intenda rimanere qui, mangiare robaccia fredda e dividere un unico bagno con un esercito di parenti.» La lasciammo alle sue valigie. «Neppure un delitto può convincere zia Evelyn a rinunziare a una festa di Natale» osservò Dorothy mentre scendevamo. «Prospice si è riconfermato un disastro in fatto di festeggiamenti e lei corre da qualche altra parte. Il divertimento innanzi tutto.» «Dorothy, vorrei che non parlassi di un delitto con tanta leggerezza» disse Mildred. «Ma non si sa se zio Joel è morto davvero e tanto meno se è stato assassinato» replicai. «Potrebbe anche trovarsi in questa casa; potrebbe dormire, essere ubriaco o aver avuto un colpo.» «Bene, allora dobbiamo frugare da per tutto» decise Todd. «Dalla cantina al solaio. Secondo me ti sbagli, ma è meglio guardare.» Ci mettemmo tutti e quattro al lavoro per setacciare la casa da cima a fondo: dall'enorme sala da biliardo ricavata sotto la cupola del solaio (una specie di piazza d'armi dove nessuno si era mai sognato di giocare) giù giù fino alle venti stanze da letto del primo piano, molte delle quali assolutamente vuote, alle stanze del pianterreno e all'ultimo angolo della cantina piena di ragnatele. In cantina trovammo di tutto, anche del vino, ma di zio Joel neppure l'ombra. «In casa non c'è sicuro fui costretto ad ammettere.» Ma questo non vuol dire che non sia da qualche altra parte. «Se pensi che zio Joel stia vagando per le colline, magari in preda a shock per via dell'incendio, dillo allo sceriffo che forse potrà farlo cercare con l'aiuto di cani poliziotti» consigliò Todd. «Ma sarà inutile. Zio Joel è morto; ecco perché non si è svegliato all'odore del fumo e non ha chiesto aiuto da una finestra. Quelle impronte di una scala che tu, senza volerlo, hai indicato allo sceriffo... Capisci che cosa significano? Che un uomo ieri notte è salito su quella scala con una pistola in mano e ha sparato attraver-
so la finestra.» «Un uomo?» sottolineò Dorothy. «Una donna non poteva aver la forza di sollevare una scala così lunga da arrivare a quella finestra. Possiamo senz'altro escludere Fay Waldron, Mabel, Dorothy, Mildred ed Evelyn.» «Evelyn l'avevo già esclusa da un pezzo» disse Dorothy. «Se si tratta di un delitto, il movente è il denaro; e zia Evelyn, grazie ai suoi due matrimoni, è l'unico membro della famiglia che non ne abbia bisogno. Quei fili di perle valgono da soli una fortuna.» «Bah, quelle perle!» proruppe Mildred. «Zia Evelyn è in bolletta come tutti noi, ve lo dico io. Quelle perle sono false.» «Come fai ad affermare una cosa simile?» «Semplice: quando me le ha prestate ne ho morsicata una!» Ecco come stavano le cose. Più tardi, solo in camera con Todd, affrontai un altro lato della questione. «Senti un po'; qui c'è qualcosa che non funziona. Un milionario morto, una casa piena di parenti e neppure un avvocato di famiglia che legga il testamento?» Todd mi dette ragione. Ma scoprimmo che zio Joel non aveva un avvocato di famiglia; dopo aver forzato la serratura della scrivania in biblioteca, trovammo alcune lettere della Società Finanziaria Golden Gate di San Francisco. Riuscii a mettermi in comunicazione, mediante un'interurbana, con uno dei vice presidenti della Società, un certo signor Fortesque Cohen. «Digli che venga qui al più presto» suggerì Todd «o che almeno ci comunichi gli estremi della situazione finanziaria o del testamento, se ce n'è uno. Digli che si tratta di cosa urgente.» Ma il signor Fortes que Cohen, dopo le condoglianze del caso, risultò un osso piuttosto duro e rifiutò di fornire informazioni per telefono dicendo in tono sostenuto che la Golden Gate non trattava i suoi affari in questo modo; lui sarebbe venuto appena possibile, non poteva allontanarsi dalla famiglia proprio il giorno di Natale. «A domani» concluse e si ritirò tra i solenni misteri che circondano il denaro. «Niente da fare» dissi rivolto a Todd. «E adesso?» Todd si strinse nelle spalle; in quel momento la vecchia Lincoln di zio Joel si fermò davanti al portone con un vice sceriffo al volante, lo sceriffo Bates e gli Oviedo sul sedile posteriore. I due messicani non avevano affatto un aspetto brillante e per di più erano ammanettati.
«Finalmente una traccia!» esclamò lo sceriffo. «Ho scovato questi due bei tipi in una bettola puzzolente.» «Hanno confessato?» «No, ancora no» ammise lo sceriffo. «Però sono riuscito a cavare di bocca a Oviedo che il suo padrone aveva stabilito di lasciargli mille dollari; e anche se quei due insistono di essersene andati ieri sera verso le undici...» «È vero, li ho visti io» affermò Ely Waldron. «Li ho visti dalla finestra della mia stanza partire in quarta giù per la collina tutti vestiti a festa. Aveva appena incominciato a piovere.» Lo sceriffo insisté dicendo che potevano esser tornati indietro: «Forse hanno sparato al vecchio dalla finestra, poi hanno gettato la scala tra le fiamme.» «Niente male come idea, sceriffo» rilevò Todd. «Ma perché avrebbero dovuto usare una scala a pioli? Oviedo non aveva la chiave del garage?» L'aveva, infatti. Il messicano, trascinato in salotto, si ostinò a ripetere che, quando lui e sua moglie si erano accorti di essersi sbagliati circa la data della "fiesta", avevano deciso di prendersi una bella sbronza. «C'è molta gente che può testimoniare!» concluse il messicano. «Cribbio!» aggiunse Pia con molta enfasi. «Già, di testimoni ne hanno anche troppi, questo è il guaio» ammise lo sceriffo con qualche riluttanza. «Figuriamoci se tutti, nel quartiere messicano, non sono disposti a fornire un alibi a questi due! Dite un po', Oviedo, il signor Cameron aveva l'abitudine di lasciarvi adoperare la sua macchina?» Il messicano scosse il capo: «No, la adoperavo solo per andare qualche volta al mercato per le provviste. Ma ieri sera il padrone ci permise di prenderla perché io sono un buon ragazzo e Pia una brava cuoca. Natale viene una volta l'anno.» «Li ho portati qui anche perché cercassero la scala» spiegò lo sceriffo mentre Oviedo, in un misto di inglese-spagnolo-indiano continuava a ripetere fino alla nausea che lui la scala l'aveva vista, l'ultima volta, nella capanna degli attrezzi. «E adesso ci porterete in prigione?» chiese. «Mah!» brontolò lo sceriffo rivolto a me e a Todd. «Potrei arrestarli per sospetto di incendio doloso; fino a che non troviamo il corpo non si può parlare di delitto. Si mosse verso il garage.» Ho fatto venire tre ragazzi perché frughino fra la cenere e trovino quello che si può trovare. Dovreb-
bero esser qui a minuti. «Sentite, sceriffo» intervenne Todd «se volete dei testimoni ancora in vita sarebbe meglio che lasciaste Pia e il marito al loro lavoro. Oggi abbiamo bevuto solo una tazza di caffè. E poi, se Oviedo e sua moglie avevano un movente per commettere un delitto, e cioè quei mille dollari di eredità, tutti in questa casa ne abbiamo uno venti volte più forte.» Lo sceriffo lo fissò, poi volse gli occhi a noi. «Anche questo è vero. Tuttavia sono quasi certo che nessuno di voi è colpevole; e sono sicuro che, se si tratta di un delitto, tutti vi darete da fare per scoprire l'assassino.» «Già, per trovarlo e dargli una bella medaglia» osservò Dorothy con indifferenza; lo sceriffo fece il viso arcigno e Dorothy concluse: «Ho detto qualcosa che non va?» Lo sceriffo congedò Oviedo e Pia rivolse la sua attenzione alla famiglia. Non voglio annoiare chi legge col resoconto di un prolisso interrogatorio; mi basta dire che Bates riuscì a far ammettere a quasi tutti i presenti la loro soddisfazione per la scomparsa di zio Joel, ma il suo successo non andò oltre. Ely Waldron ripeté il racconto di come aveva scoperto l'incendio; Dorothy si lasciò sfuggire un paio di battute ironiche; Mabel si mantenne sulle sue come Eustace e suo padre; zia Evelyn, con evidente noia dello sceriffo, si dilungò in interminabili considerazioni; e Todd riuscì a mettere a disagio Bates lasciandosi sfuggire la parola "delitto". «Piano con le conclusioni, giovanotto: siamo nella contea di Santa Felice, non a Chicago. Secondo me si tratta di una disgrazia.» Si rivolse a Mildred: «Ancora un paio di domande e ho finito. Non fate quella faccia, signorina, non mordo mica!» «Sono... sono pronta» rispose Mildred, e sembrava il ritratto della colpa; in risposta alla prima domanda confessò che si era alzata durante la notte per cercare un libro... No, non un libro, una sigaretta... No, non aveva visto nulla né tanto meno qualcuno mentre scendeva. «Non avete udito spari o roba del genere?» «Niente, solo un lieve rumore in cucina, un rumore come di piatti spostati, mentre attraversavo il vestibolo. Per un momento ho avuto paura.» «Eh, i topi, in questo paese, diventano grossi come gatti» osservò allegramente lo sceriffo. «Ma ecco i miei ragazzi» soggiunse sentendo il rumore di una macchina. Si trattava invece di curiosi che contemplavano le rovine del garage e
che Bates fece sloggiare in fretta; dopo di loro, ne vennero altri e la processione seguitò per tutto il pomeriggio. Finalmente arrivarono anche gli uomini dello sceriffo e uno di essi fu messo di guardia ai piedi della collina perché chiudesse la strada ai ficcanaso. L'interrogatorio dei parenti continuava, ma Todd, le ragazze e io ne eravamo ormai fuori. «Molto carino da parte tua» disse Dorothy a Todd Cameron «sottolineare il fatto che tutti noi avevamo un buon motivo per togliere di mezzo lo zio.» «Pura e semplice tattica» spiegò Todd. «Dire sempre quello che l'altro pensa e dirlo per primo; allora l'altro si chiederà se alle volte non si sia sbagliato.» Dorothy e Todd si allontanarono lasciandomi a confortare Mildred, convinta di essersi incriminata durante l'interrogatorio: «Sai, ho letto qualche cosa al riguardo» sospirò la ragazza. «Prendono nota di quello che dici e lo usano contro di te al processo.» Le posai una mano sulla spalla: «Processo? Non dire sciocchezze, non ci sarà nessun processo; non hanno ancora trovato un cadavere! E poi tu non hai niente da temere. Tu e Dorothy non avreste mai avuto la forza di sollevare la scala da cui qualcuno forse ha sparato a zio Joel; Todd non era ancora arrivato, e io... Be', io so di non aver commesso un delitto. Quindi noi quattro dobbiamo restare uniti.» Mildred parve sollevata all'idea: «I quattro moschettieri? Uno per tutti e tutti per uno?» «Ma certo! Fidati di noi.» «Todd è un ragazzo in gamba, non è vero? Alan, non ho mai conosciuto un uomo come Todd. Senti, è vero che le ragazze dei mari del sud sono così affascinanti?» chiese senza guardarmi in faccia. Risposi che non lo sapevo e insieme raggiungemmo gli altri. Gli ospiti di Prospice - o forse, adesso, i proprietari - trascorsero il pomeriggio in attesa degli eventi. Ely Waldron sembrava un pesce fuor d'acqua; ogni tanto si avvicinava a qualcuno, tentava di attaccare discorso, ma nessuno gli dava retta; quanto a sua moglie, per il momento, era troppo infervorata a raccontar le prodezze di Sidney a Mabel, a zio Alger e a Eustace che dormiva su una poltrona. Dorothy e Mildred si sedettero con Todd sul divano del salotto, presi dai loro interminabili ricordi d'infanzia. Poi un taxi arrivò davanti al portone e, dopo due colpi di clacson, si fermò in attesa. Quasi immediatamente lo
sceriffo Bates tornò a materializzarsi accanto a noi: «Che vuole quel taxi?» «Niente» risposi, e spiegai che zia Evelyn aveva deciso di partire. Evelyn apparve appunto in quel momento elegantemente vestita di tweed e seguita da Oviedo carico di bagagli. Lo sceriffo andò a mettersi davanti al portone. «Dove credete di andare, signora?» «Ne ho abbastanza di questo posto, me ne torno a casa, a Santa Barbara.» «Nessuno può andarsene di qui; e se qualcuno tenta di farlo senza il mio permesso, lo metto al fresco, parola mia.» «Davvero?» sorrise zia Evelyn. «Ci potete giurare, signora. Sono io che decido chi parte e chi resta.» «Sceriffo» cominciò Evelyn gentilmente «non siate sciocco" Avete letto troppi libri gialli e avete visto troppi film. Non potete trattenere nessuno se non lo arrestate; e un arresto abusivo lo paghereste caro, ve lo assicuro.» Lo sceriffo borbottò qualcosa circa i testimoni oculari, poi ammise: «So di non avere validi motivi per trattenervi, ma non credevo che lo sapeste anche voi.» Si scostò dalla porta e si passò un fazzoletto sul viso. Ma fu la curiosità a trattenere zia Evelyn, allorché sentì Bates chiedere dove era il telefono: «Debbo chiamare il dottor Eckersall» spiegò lo sceriffo. «Allora avete trovato Joel?» «Sì, poco fa.» «E le sue... le condizioni del corpo? E'...» «Molto tragiche, signora; potreste seppellirlo in una scatola di sigari.» 5 Per tutto il resto del pomeriggio di Natale, gli uomini lavorarono tra le ceneri del garage sotto la direzione dello sceriffo e del magistrato. Potevamo vederli ogni tanto dalle finestre, neri come carbonai; zia Evelyn, ferma sul portone tra le sue valigie, seguiva col massimo interesse i loro movimenti. «Se hanno davvero trovato i resti di Joel, penso che dovrò aspettare i funerali; bisognerà pure che qualcuno si interessi delle partecipazioni, dei fiori. Ma non capisco come quelli là possano essere così sicuri di quello che hanno trovato.»
Del resto, lo sceriffo stesso condivideva le incertezze di zia Evelyn. «Abbiamo trovato qualcosa» ammise «ma che si tratti proprio del corpo di Cameron non potrei giurarlo. Abbiamo trovato anche le serrature. Quella della porta del primo piano ha ancora dentro la chiave girata in posizione di chiusura, e c'è anche la catena di sicurezza.» «Il che prova che zio Joel non è potuto uscire» sottolineò Todd. «E immagino che abbiate preso in considerazione la riserva di carburante nel garage.» «Sapevate che c'era? Già, risulta infatti che vostro zio teneva al primo piano una scorta non indifferente di benzina e di nafta per la macchina e per la caldaia del riscaldamento centrale. Comperava il carburante all'ingrosso, abbiamo trovato i resti dei fusti.» «Se si tratta di un delitto, sceriffo, credete che l'assassino contasse sul carburante per cancellare qualsiasi indizio?» «Preferisco non basarmi su teorie azzardate ma su fatti concreti» dichiarò lo sceriffo con una certa solennità. «E adesso lasciatemi ritornare al lavoro.» «Ho paura che dovrà accontentarsi di teorie» disse Todd, mentre Bates si allontanava da noi. «Quali teorie?» chiesi. «Quelle che a bizzeffe si possono formulare sugli avvenimenti. Tutte le strade conducono a Roma e in questo caso, quella della morte di nostro zio conduce al delitto. E adesso, lo sceriffo al suo lavoro e io al mio violino.» «Violino?» «Uso il termine in stretto senso sherlockiano» spiegò Todd e disparve su per le scale. Benissimo, se aveva intenzione di giocare allo Sherlock Holmes era chiaro che riservava a me la parte del dottor Watson; se ricordavo bene, il povero Watson aveva la specialità di non imbroccare mai da solo la scoperta dell'assassino. Trovai zio Alger al tavolo da gioco, davanti a uno dei suoi interminabili solitari. «Ho perso settemila dollari contro me stesso!» dichiarò. «A proposito di quattrini, Alan, quando credi che potremo incassare la prima rata dell'eredità?» Provai un senso di disagio che cercai di vincere e gli dissi che, secondo me, tutto dipendeva dalla Società Finanziaria la quale, molto probabilmente, avrebbe mandato l'indomani un suo incaricato.
«Il fatto è che l'iscrizione a West Point costa cara spiegò zio Alger e ho paura che quel tale senatore che doveva occuparsi della cosa non sarà rieletto, per cui ho bisogno di iscrivere mio figlio prima delle prossime elezioni» e tornò a concentrarsi sul suo solitario. Mi avviai verso la biblioteca in cerca di Dorothy, ma quando fui sulla soglia vidi la piccola Mildred, in un fiammante vestito rosso, rannicchiata in un angolo del divano e intenta a leggere a voce alta un appassionato libro di poesie; la sua voce, spenta e al tempo stesso insinuante, mi ricordò vagamente quella di Katherine Hepburn negli ultimi film. Il pubblico di Mildred era costituito da Eustace Ely che, semisdraiato sul tappeto, inalberava una espressione abbastanza ebete sul viso cosparso di foruncoletti. Mi allontanai con discrezione. Una parte della famiglia era radunata in salotto: Mabel ricamava, Fay Waldron stava scrivendo una voluminosa lettera e zia Evelyn passeggiava su e giù per la stanza come un animale in gabbia; quando entrai mi chiamò: «Oh, Alan! Se fai il quarto, possiamo giocare a bridge.» Risposi che cercavo Dorothy. «Fuori non la vedo» disse Mabel guardando dalla finestra accanto alla quale era seduta. «Vedo un carro funebre, però.» Era vero. Il carro si era fermato davanti all'ingresso e ne erano scesi due uomini con un paniere di vimini; si diressero verso il garage ma tornarono subito indietro col paniere vuoto. il carro ripartì mentre un aiutante dello sceriffo usciva dal garage con qualcosa di avvolto in carta da giornale in mano: lo depose sul sedile posteriore della macchina del medico legale e si allontanò. Ely Waldron arrivò di corsa. «Il tempo si va rischiarando; ho visto una striscia di sereno in cielo, verso oriente. Se il vento non cambia...» «Ely!» lo interruppe bruscamente sua moglie. «Avresti dovuto fare il marinaio, invece del negoziante. Vai di sopra a prendere la fotografia e i disegni che ho portato con me nella valigia.» Obbediente l'omone si avviò su per la scala; tornò poco dopo con una grande fotografia a colori che Fay si affrettò a illustrare ai presenti; ritraeva un bambinetto pallido dalla fronte enorme e dagli occhi lucenti, ma su quel visino affilato si vedeva un'espressione triste e un po' vana, l'espressione di un bimbo infelice. «Ecco il nostro Sidney!» esclamò con orgoglio la madre, poi distribuì una quantità di disegni a matita e a penna; erano tutti alberi e ciuffi di ca-
pelvenere completi di foglie e relative nervature disegnate minuziosamente. «Belli davvero» osservò Mabel posando il ricamo, e Fay ne fu lusingata: «Oh, Mabel, spero che avrai presto un figlio anche tu. A quando il matrimonio?» Aveva finalmente notato il minuscolo brillante al dito di Mabel. «Non so» sorrise l'altra. «Forse presto. Siamo ormai fidanzati da sette anni; lui deve pensare alla madre e a una sorella e gli affari del suo garage non sono andati troppo bene in questi ultimi tempi.» «Per carità, aspetta a sposarlo che le cose si aggiustino» consigliò zia Evelyn. «L'amore non dura, fra il puzzo dei cavoli lessati e la risciacquatura dei piatti.» La cugina Mabel sorrise: «Adesso sarà diverso.» Lo stesso pensiero attraversò, credo, la mente di tutti noi. La morte di Joel Cameron aveva liberato un fiume d'oro, ed era anche troppo umano pensarci; io sapevo che da ora in poi mi sarei concesso il lusso di saldare i miei conti ogni primo del mese e di stipendiare qualcuno che mi aiutasse nel lavoro di ricerca a cui avevo dedicato la vita: avrei potuto anche viaggiare, visitare biblioteche all'estero, fare insomma tutte le cose che avevo sempre desiderato di fare. Andai nel vestibolo e mi fermai sulla porta d'ingresso a respirare l'aria fredda e umida. Lo sceriffo e i suoi uomini erano ancora nel garage, sebbene stesse scendendo la sera; avevano sistemato la macchina in modo che i fari illuminassero il loro lavoro. Poi vidi Dorothy, con le scarpe bagnate e un impermeabile, affrettarsi verso di me. Aveva le guance rosse; salì gli scalini e mi posò una mano sul braccio. «Dove sei stata?» «A fare una passeggiata; sono arrivata fino al cimitero.» Parlava come se pensasse ad altro; mi accorsi che qualcosa la turbava. «Alan, domani dovresti fare un salto fino al cimitero. Sai? La tomba costruita da zio Joel per zia Hester sembra una piramide egiziana, solo che ha una croce greca in cima. Tutto il posto è invaso dalle erbacce, ho dovuto passarci in mezzo.» «Hai notato tracce di qualcuno che ci sia passato prima di te? Erba calpestata, impronte?» «Giurerei che nessuno ha camminato da anni su quell'erba. Ma... Senti, ho avuto l'impressione che qualcuno mi osservasse. Avanti! Di' pure che la piccola Dorothy ha le traveggole.»
«Forse tu sei una medium senza saperlo, forse puoi realmente avvertire una presenza estranea.» «Alan! Vuoi dire che posso evocare gli spiriti e farmi rivelare che zio Joel si trova ora su un prato di asfodeli fra una gloria di sole?» Scosse il capo. «No, gli occhi che mi guardavano erano occhi reali...» «Solo che mancava il corpo» conclusi. Le aprii la porta perché entrasse, ma Dorothy fissava la strada. «Todd se ne è andato, lo sai?» «Come? Mi aveva detto che si ritirava in camera per pensare con calma a tutta la faccenda. Diceva...» «Già» mi interruppe Dorothy. «Ma l'ho visto io stessa guidare a rotta di collo verso l'autostrada, circa mezz'ora fa. E la sua Auburn qui non c'è. Credi che se ne sia andato definitivamente? Mildred ne sentirà la mancanza. A proposito, dov'è Mildred?» «In biblioteca, tutta intenta ad affascinare Eustace. Entra, se te la senti di affrontare la declamazione di liriche ermetiche. Io francamente non ce la faccio.» «Così la sorellina declama poesie, eh? Capacissima, tanto per cominciare....» Eravamo davanti alla biblioteca; Dorothy scostò la portiera di velluto e mi trattenne per un braccio. «Da' un'occhiata.» Una candela ardeva sul caminetto, il libro di poesie giaceva abbandonato sulla cenere spenta del focolare. Sul divano, guancia a guancia, erano Mildred e Todd Cameron. Di Eustace neppure l'ombra. I due erano troppo assorti per accorgersi di noi, tutti immersi nel loro mondo di sogno se è così che si dice. Un attimo dopo Dorothy e io ci allontanammo silenziosamente. In quel momento si udì un colpo di gong e la voce di Oviedo annunciò: «A tavola!» Offrii il braccio alla mia compagna e le chiesi: «Ma non avevi visto poco fa Todd correre verso l'autostrada?» «Mah, vuol dire che oggi ho le visioni. Siamo in due, io e la Pulzella d'Orleans.» La spiegazione però l'avemmo quando Eustace arrivò di corsa e si sedette a tavola. «Ehi!» gridò rivolto a Todd. «Avete una bella macchina, ma non è poi questo fenomeno di velocità!» «No?»
Eustace crollò il capo: «Grazie per avermela fatta provare, in ogni modo; ho corso per qualche chilometro sull'autostrada poi un tale, su una Rolls bianca ultimo modello, mi ha sorpassato come se io marciassi in prima.» Al che Todd rispose che doveva esser colpa della scadente benzina messicana. Il pranzo era meno peggio del solito ma Mildred non toccò quasi cibo; le brillavano gli occhi ed era molto colorita; tutti noi mangiavamo in silenzio. Giunti al caffè, Mildred disse con un filo di voce: «Non capisco perché siamo tutti così... così sostenuti. Non potremmo tirarci un po' su, visto che dobbiamo per forza fermarci qui?» «Giusto!» intervenne zia Evelyn. «Dopo tutto è Natale e, ora come ora, non sappiamo con precisione che cosa sia successo a Joel.» «Dopo cena cambierò vestito» annunciò allegra Mildred. «Ragazze, perché non lo fate anche voi? E tu, zia Evelyn, perché non ti metti qualcuno dei tuoi gioielli? Non fosse altro, per farci rimanere a bocca aperta!» Zia Evelyn non rispose, parve anzi che avesse guardato la Medusa e fosse rimasta di pietra. «Evelyn, stai versando la crema sulla tovaglia, invece che nel caffè!» gridò Fay Waldron. Zia Evelyn fu scossa da un brivido, poi si riprese e sorrise a Mildred. «Certo, cara; mi metterò i gioielli, ma non questa sera.» Non c'era senso a passare la serata in salotto. L'incendio aveva rovinato definitivamente l'impianto elettrico e nessuno aveva pensato a chiamare un elettricista che lo riparasse; la casa aveva una scorta di candele, ma l'effetto di tre o quattro candele in un salone grande come una stazione ferroviaria non era molto brillante. Mildred tentò di suonare un pezzo all'organo, ma dopo qualche secondo mancò la pressione dell'aria; evidentemente la pompa dell'organo era azionata a elettricità. «Be', andiamo di sopra» disse infine Mildred a Dorothy. «Debbo dirti qualcosa» e sparirono tutte e due. Anche zio Alger e Eustace si ritirarono, poi fu la volta dei Waldron, seguiti poco dopo da zia Evelyn. Mabel si fermò ai piedi della scala, davanti a me e a Todd. «Voi due! Credete di avere in mano le fila della faccenda, ma sono convinta che ne sapete meno di me. Supponiamo che il corpo di zio Joel sia rimasto distrutto dal fuoco in modo da non poter essere identificato: come si regolerebbe la Compagnia Finanziaria? Vi dispiace dirmelo?» «È molto semplice» replicò Todd. «Si aspettano sette anni, poi se zio Jo-
el non ricompare viene ritenuto morto legalmente.» «Sette anni!» gemette Mabel. «Altri sette anni!» Aveva un'espressione stralunata quando riprese a salire le scale. «Todd» dissi al mio compagno non appena ci trovammo soli in camera «ho bisogno di parlarti. Se hai deciso che io sia Watson e tu Sherlock Holmes, credo di avere il diritto di sapere...» Todd si buttò sul letto e mi guardò: «Ti secca che mi sia formato una mia teoria e che vada attorno cercando indizi?» «Ti sei voluto sbarazzare di Eustace tentandolo con l'offerta di una corsa in macchina, ben sapendo che avrebbe fatto qualunque cosa pur di provare la Auburn. Ma ricordati...» Udii un fischio fuori della finestra, l'aprii e Todd mi si precipitò accanto; guardammo, e quando i nostri occhi si furono abituati al buio, vedemmo la sagoma di un uomo muoversi lentamente lungo il fianco della casa. «Tito!» chiamò l'individuo, quindi fischiò di nuovo. Era Oviedo. «Chiama il cane dei Baskerville» dissi io, tanto per restare in carattere. Todd mi guardò esterrefatto. «Già, tu non c'eri quando siamo arrivati ieri sera e non hai udito il latrato che ci ha accolto.» Mi balenò nel cervello un'idea sinistra e abbastanza terrificante nelle sue implicazioni. «Todd, adesso che ci penso, nessuno ha più sentito abbaiare quella bestia dopo l'incendio. Supponi...» «Che cosa? Non farti tentare da teorie strane. Nel garage c'era zio George e non un cane da caccia.» Si lasciò andare su una poltrona. «Questo è un affare intrigato e se vogliamo venirne a capo, dobbiamo darci da fare. Quei poliziotti non cavano un ragno da un buco, non distinguono un cavallo da una trottola. Dovrebbero agire con più calma.» «Però anche tu eri piuttosto nervoso» gli ricordai «quando lo sceriffo voleva guardare la tua macchina.» «Toccato!» esclamò sorridendo. «A proposito, giacché ci siamo ti dirò che quella macchina non l'ho rubata.» «No? Hai detto che il proprietario ti ha sparato dietro.» «Già. Gli ho vinto l'automobile al poker, in un bar di Mexicali; e lui voleva la rivincita. Ma io dovevo partire in fretta e non potevo perdere altro tempo.» «Una partita corretta e regolare?» «Da parte sua sì, almeno credo.» Avrei preferito non avergli rivolto quell'ultima domanda; c'era qualcosa,
in Todd, che mi rendeva perplesso. Mi spogliai lentamente e mi infilai a letto; sentivo più che mai il vuoto ai miei piedi, là dove di solito si accucciava Brownie. Todd rimase invece sulla poltrona; mentre stavo per addormentarmi, mi chiese: «Alan, giochi a poker?» «Un pochino. Ma per l'amor del cielo, ti pare il momento?» «Dicevo così per dire.» «Senti, ho sonno e vorrei addormentarmi subito» invece mi alzai a sedere e mi appoggiai al cuscino. «Cos'è? Se vuoi raccontarmi di te e della piccola Mildred, so tutto. Spero che ti comporterai come un gentiluomo e come un Cameron.» «Questa, vedi, è una partita che non so come giocare, te lo dico sinceramente. Anzi, aspetta.» Si alzò per spegnere la luce centrale e cercò un mazzo di carte nella valigia. «Ma Todd! Non puoi aspettare fino a domattina?» «Voglio dimostrarti qualcosa.» Mescolò a lungo le carte. «Taglia» mi disse e le distribuì posandole sul letto. «Ecco qui: tu hai tre assi, un re e un sette.» Fra vero. Lui aveva quattro regine. «Non vedo dove vuoi...» cominciai. «Non te ne occupare e guarda.» Per mezz'ora mi dette la dimostrazione di come sapeva manovrare un mazzo di carte da poker, sempre dopo che io l'avevo tagliato; quando ebbe finito mi guardò sorridendo: «E adesso, vuoi giocare con me a soldi?» «No davvero!» «E fai bene. È l'unica cosa che so fare; posseggo un sesto senso infallibile e conosco tutti i trucchi del mestiere. Ma quando gioco con dilettanti non me ne servo, per vincere mi basta studiare la loro espressione. E in quanto a modificare gli angoli delle carte - barare, come si dice - lo faccio solo contro i professionisti, e ti assicuro che so farlo.» Non risposi. «Ai margini della società, non è vero? Lebbra sociale?» «No, non ti considero in questo modo. Ma perché me ne hai parlato? Un caso di coscienza?» Mi balenò un'idea: «Non dirmi che ti sei innamorato seriamente della nostra bella cuginetta! Credevo che le facessi un dito di corte solo per tirarle fuori quello che sa circa questo delitto.» «Infatti; ma succede qualche volta che si comincia per scherzo e si finisce... Vedi, sono secoli che non frequento ragazze come Mildred. Lavoro di solito sui transatlantici della rotta del Pacifico e tutte le donne che vi si
incontrano, di solito, sono... Ma che succede?» Avevo sentito anch'io una specie di ululato di belva, molto lontano. «Non preoccuparti» osservai. «È quello che Dorothy chiama "il cane dei Baskerville".» «No, non il cane. Ascolta!» Tesi l'orecchio. Attutito dalla lontananza giungeva un rumore sordo di passi. Qualcuno correva. Saltai dal letto, mi infilai la vestaglia e mi precipitai dietro a Todd che era già uscito nell'andito. Sì, qualcuno stava correndo su per le scale buie, qualcuno che vacillava e urtava contro il muro. Nel buio ebbi la visione confusa di uno spettro bianco. Era Mildred. Aveva una espressione di orrore sul viso, lo sforzo disperato di vincere lo sgomento le scopriva i denti fino alle gengive; gli occhi spalancati sembravano due buchi neri in un lenzuolo bianco. Si gettò addosso a Todd e gli si attaccò al collo così forte da strangolarlo quasi. «Todd!» ansimò senza fiato. «L'ho visto, mi ha fatto una smorfia!» 6 «Sono preoccupata per quella povera figliola» disse zia Evelyn attaccando il secondo uovo. «Dorme ancora?» Dorothy, che fissava il caffè nella tazza come se ci vedesse qualcosa di strano, alzò il capo: «Dorme. Mabel è seduta accanto al suo letto. Ma ha un sonno così agitato! Si lamenta di continuo come se fosse in preda a un incubo.» Eravamo tutti a tavola per la prima colazione salvo Mildred che riposava per effetto di un sonnifero, Mabel che le faceva da infermiera e Todd, uscito all'alba per qualche sua misteriosa ragione. «Via, via, non parliamo di fantasmi!» esclamò zio Alger imburrando una fetta di pane tostato. «È una mattinata splendida, piena di sole, e nessuno riuscirà a convincermi che tua sorella abbia visto lo spettro di Joel Cameron.» «Mildred non ha parlato di fantasmi» replicò secca Dorothy. «Quello che ha visto non ce l'ha detto e credo che non lo sappia neppure. Spero solo che quando si sveglierà non ricordi più nulla.» «Dato e non concesso che abbia visto qualcosa» osservò Fay Waldron. «Una ragazza giovane, nervosa di natura ed eccitata dagli avvenimenti, è portata a immaginare le cose più impensate.» «Si è mostrata così incostante, in questi due giorni!» precisò zio Alger.
«Ma non voglio certo perdere l'appetito per queste fantasie. Io sono dell'opinione che due più due fanno sempre quattro.» «Secondo me» riprese Fay Waldron «Mildred deve essere sonnambula.» Dorothy lasciò cadere il cucchiaio: «Cosa?» «Non eccitarti anche tu, per l'amor del cielo» scattò Fay. Poteva essere un'idea; tutti rimanemmo in silenzio fissandoci a vicenda. «Ma certo!» dissi. «Mildred ha avuto un attacco di sonnambulismo non solo questa notte, ma anche quella precedente; non riusciva quasi a spiegare perché era scesa, ricordate? Ha fatto così altre volte, Dorothy?» «Ma... Una volta, mi sembra, anni fa.» «È logico» spiegò Fay Waldron. «Gli avvenimenti degli ultimi giorni l'hanno così scombussolata da procurarle una ricaduta. Qualcosa l'avrà svegliata all'improvviso e si sa che è pericoloso svegliare all'improvviso un sonnambulo. Si deve svegliarlo cantando, credo, o roba del genere.» «Oppure mettergli il sale sulla coda» mormorò Dorothy con una certa stizza. «Mildred deve essersi svegliata di colpo e non si è resa conto di aver solo sognato; per questo si è tanto spaventata.» «Non ve lo dicevo?» sorrise soddisfatto zio Alger. Due più due hanno sempre fatto quattro, da che mondo è mondo. «Adesso l'importante, per noi, è andarcene da questa casa. Mildred ha risentito più di tutti di questa atmosfera malsana. Confesso che anch'io... Be', ho deciso che appena arriva quel tale della banca...» «Prendi i quattrini e fili» concluse Dorothy. «È quello che faremo tutti.» «Per conto mio qui ci sto benissimo» disse Ely Waldron. «C'è caldo, al sole; un caldo delizioso. Per conto mio...» In quel momento Mildred entrò nella stanza, con un aspetto quasi normale. Mabel la seguiva preoccupata. «Non fatemi caso» pregò Mildred sedendosi. «Questa notte non ho visto proprio nulla, adesso posso assicurarvelo. Tutti questi avvenimenti...» Sorrise, poi guardò la sedia vuota di Todd e parve rabbrividire. Dopo di che, con mia grande sorpresa, fece un'abbondante colazione. Per tutto il giorno ebbi parecchio da fare. Per prima cosa cercai un elettricista che venne quasi subito: un giovanotto efficiente che si mise subito alla ricerca del guasto. Guardò con sommo disprezzo la moneta che zia Evelyn aveva adoperato per riattivare la corrente e brontolò: «Le valvole hanno una funzione ben precisa; quando saltano vuol dire
che la linea è sovraccarica. Debbono saltare, a scanso di guai più grossi» e scomparve in cantina. Ci rimase un bel pezzo e quando ne riemerse era coperto di ragnatele. «Avete una splendida collezione di ragni ben pasciuti» mi disse tutto allegro. «I fili non erano più isolati in parecchi punti; e, siccome l'impianto elettrico del garage è collegato con questo della casa, l'incendio deve essere dipeso da un corto circuito.» Mi sentii parecchio sollevato a quella notizia e volli andare più a fondo: «Allora potete provare che è stato un corto circuito a provocare il disastro?» «Provare? È un po' difficile. Là dentro non è rimasta la minima prova di niente, dopo quella razza di incendio» e se ne andò lasciandomi più confuso di prima. Lo sceriffo non si faceva vivo e a un certo punto, vinto dall'impazienza, gli telefonai in ufficio. Non c'era. Lasciai il mio nome all'uomo che mi aveva risposto e gli chiesi dove potevo cercare lo sceriffo. «Oh, credo che ci penserà da sé a venire, quando sarà il momento. E piuttosto presto, anche. Arrivederci.» Forse mi sbagliavo, ma quella voce mi era apparsa piena di minacciosi significati. Restammo in attesa degli eventi. Zia Evelyn si mise a suonare l'organo in sordina, Mabel scrisse una lettera di almeno dodici pagine la cui conclusione era, da quanto scorsi passandole dietro per uscire dal salotto, "A presto, mio adorato piccioncino". Provai una profonda pietà al pensiero che la primavera fosse giunta così tardi per mia cugina. Certo Mabel aveva un ottimo movente per il delitto, se si teneva conto del vecchio detto "cui bono?"; ma tutti noi, nessuno escluso, eravamo più o meno nella stessa situazione. Ero nel vestibolo quando Dorothy scese con una rivista in mano. «Guarda!» mi disse scrutandosi intorno con aria circospetta. Era una rivista di New York e l'articolo in questione aveva per titolo "Thomas Patrick Brophy e il suo lavoro". Si trattava di un'intervista con il comandante dei vigili del fuoco di New York. «Leggi qui» mi indicò Dorothy. "Non è necessario che il colpevole si trovi sul posto, quando vuole appiccare un incendio; può benissimo accendere una candela, assicurarla in un punto adatto e andarsene; ha tutto il tempo di crearsi un alibi mentre la candela brucia e dà fuoco a qualche straccio imbevuto di benzina. Oppure l'assassino può collegare il campanello della porta a una esca speciale che si accende suonando appunto il campanello, poi andarsene tranquillo e si-
curo in capo al mondo." «Un articolo intero sugli incendiari, su come lavorano e su come possono venire smascherati.» Guardai perplesso Dorothy con aria leggermente incredula. «Svegliati, tesoro!» seguitò mia cugina con stizza. «Forse ti interesserà sapere che questa rivista era in camera dei Waldron.» «L'hai rubata?» «Non dire sciocchezze. Oviedo stava facendo le pulizie; l'ho visto portar fuori dalla stanza il cestino della carta straccia. Cercavo qualcosa da leggere e mi sono fatta dare la rivista che c'era dentro. Mi chiedo se Waldron sarebbe capace di mettere in opera uno dei metodi descritti in questo articolo. O forse aveva sistemato nella sua macchina qualche esplosivo, qualche aggeggio a orologeria... Sai dove sono adesso i Waldron?» Non lo sapevo, ma ci volle poco a scoprire che erano usciti per una passeggiata al sole, dietro insistenza di Ely; ce lo disse Eustace interrompendo la partita a carte che stava giocando con suo padre e Mildred. Mentre ci allontanavamo da loro, dissi a Dorothy quanto mi faceva piacere che Mildred avesse dimenticato così presto il brutto episodio notturno. «Non l'ha dimenticato e non lo dimenticherà fino a quando questo mistero non sarà chiarito. Proprio per questo adesso andiamo a frugare nella stanza dei Waldron.» «Noi? Ma cosa andiamo a cercare, in quella stanza?» «Non lo so, Alan; qualcosa che possa servire da miccia, o una pistola. Ricordi i segni della scala fuori del garage? Se qualcuno è salito su quella scala e ha sparato a zio Joel, ciò spiegherebbe perché lo zio non ha tentato di sfuggire all'incendio.» Seguii Dorothy senza troppo entusiasmo; non si scopre un delitto basandosi su un articolo di rivista. Comunque, entrammo nella stanza di Ely e di sua moglie. «Credi che i Waldron, se fossero colpevoli, lascerebbero in giro indizi compromettenti?» chiesi mentre Dorothy tentava di aprire con una forcina una valigia chiusa a chiave. «Qua dentro può esserci qualcosa. Mi dai il tuo temperino?» «Temperino?» Non ne avevo più portato uno in tasca dai tempi della scuola. Mi sentivo a disagio in quella stanza; e a un tratto mi balenò alla mente che quando la macchina dei Waldron era stata messa in garage nessuno «tranne zio Joel» sapeva che quest'ultimo aveva deciso di passare la notte
nel quartierino della servitù. Perché dunque la coppia avrebbe montato una macchina incendiaria nell'automobile? Ne parlai a Dorothy che rispose imperterrita: «Non importa; se ci siamo sbagliati, cancelleremo i nostri due cari cugini dal numero dei sospetti. Puoi dire ciò che vuoi, ma io non rinuncio ad aprire questa valigia.» Prese da un cassetto un paio di forbici per le unghie, fece un bel taglio nel cuoio e tirò fuori un assortimento di articoli per nulla adatti, a mio parere, a suscitare incendi o a commettere delitti: un aggeggio di gomma che le donne, spiegò Dorothy, si applicano sotto il mento per mantenere l'ovale del viso; una complicata macchinetta affila-lame; una boccetta di inchiostro violetto e infine una strana cintura con liste di metallo; il gancio era rotto. «Santo cielo, è un cinto erniario!» esclamò Dorothy ridacchiando; le risposi che mi sembrava improbabile che zio Joel fosse stato ucciso mediante un cinto erniario. «Va bene» ammise Dorothy. «Abbiamo preso un granchio. Però voglio frugare nei cassetti, se c'è tempo.» Si affacciò alla finestra e guardò fuori. «Non vedo da nessuna parte Fay ed Ely.» Si volse di scatto. «Alan, non vedo neppure il garage!» «Be', che te ne importa?» e mi avviai per uscire. Mia cugina mi trattenne per un braccio: «Hai dimenticato che Ely Waldron è stato il primo a scoprire l'incendio? Caro mio, Ely deve avere degli occhi speciali per riuscire a guardare dietro un angolo; questa finestra dà sul mare!» Aveva ragione, ma prima che potessi congratularmi con lei, udimmo un suono di voci che si avvicinavano: le voci di Ely e di Fay. Dorothy rimase come paralizzata e questa volta fui io a entrare in azione; la trascinai verso un armadio a muro e fra un caos di vestiti e di scarpe richiusi gli sportelli un attimo prima che si aprisse la porta. Mi trovai con le braccia di Dorothy attorno al collo e rimpiansi che quella figliola avesse scelto un posto così inopportuno per esternare la sua manifestazione di affetto; la strinsi ancor più contro di me mentre i suoi capelli mi solleticavano piacevolmente il viso. Udimmo la porta richiudersi e la voce di Ely che diceva: «Non so proprio se hai agito bene.» «Certo che ho agito bene; in ogni modo, adesso è troppo tardi per tornare indietro.» L'altro borbottò qualcosa che non riuscii a capire.
«Se si deve farlo, si deve farlo!» replicò Fay con la stessa voce che doveva avere Lady Macbeth nei suoi momenti peggiori. «Non è proprio il caso di farsi vincere dalla compassione, te lo dico io. Sono anni che ci penso, lo sai benissimo.» Sì, Ely convenne con molta tristezza che lo sapeva, però... «Non sarà doloroso; e sono convinta che è meglio rischiare tutto per tutto.» Dorothy mi strinse più forte; io sentii lo scricchiolio del letto e il tonfo di qualcosa che cadeva sul pavimento. «Debbo cambiarmi le scarpe, ho i piedi umidi» disse Fay. «Cerca di assomigliare a un vestito appeso a una stampella» mi sussurrò Dorothy all'orecchio. «Siamo fritti, mi pare.» Sentii che Fay Waldron s'alzava perché il letto scricchiolò di nuovo; poi un passo, un altro passo.... Un gran colpo alla porta, e la voce di Eustace gridò eccitata: «Venite tutti giù, è arrivato l'uomo della banca!» Dalla stanza venne uno scalpiccio affrettato, la porta si aprì e si richiuse con un colpo secco. Silenzio. Socchiusi uno sportello dell'armadio, poi lo aprii del tutto; la stanza era vuota e il sigaro di Ely bruciava allegramente la vernice della scrivania. Io e Dorothy corremmo fuori respirando a pieni polmoni. «Papà Natale è venuto a portarci i regali» disse Dorothy. «Ma prima di scendere, caro cugino, vorrei proprio darti un bacio.» Mi accorsi d'arrossire e dovetti anche chiedere un "perché?" niente affatto galante; il viso di Dorothy era vicinissimo al mio e molto più bello di quello di Mildred; l'eccitazione, la paura, quel senso di complicità" che ci univa l'avevano toccato come la luce tocca un diamante. «Ti giuro che il perché non lo so» mi rispose e mi baciò con slancio. Tutti e due scendemmo di corsa le scale. Sapevo come si sarebbero svolte le cose. I parenti radunati in biblioteca (la biblioteca è di prammatica per la lettura dei testamenti), l'uomo della Società Finanziaria che si lascia sfuggire qualche colpetto di tosse, esprime il suo rammarico per la dipartita di un vecchio e stimato cliente e quindi dà inizio alla lettura delle ultime volontà del defunto. Nel caso presente le non cospicue qualità morali di zio Joel sarebbero passate in secondo piano; ciò che invece interessava era conoscere gli estremi esatti circa la rendita del capitale vincolato da zia Hester. Ci sarebbe stato qualche ritardo, ritenevo, per l'omologazione del testamento dello zio, ma il resto doveva essere più
semplice. Alla morte di zio Joel, la rendita che gli veniva da sua moglie doveva essere divisa fra gli eredi; per noi si trattava solo di firmare le carte relative. Sapevo tutto questo, come ho detto. Eppure quando l'azzimato giovanotto che si presentò come l'avvocato Fortesque Cohen della Società Finanziaria Golden Gate mi strinse la mano, cominciai ad avere qualche dubbio. Tutti gli occhi erano fissi sull'avvocato Cohen il quale non rispondeva per nulla all'idea che mi ero fatta del vecchio avvocato di famiglia. Fortesque Cohen sembrava un commerciante di automobili e non si sognò neppure di tossicchiare discretamente e di porgerci le sue condoglianze, anzi ci scrutò con aria sospettosa. «Be', decidetevi, giovanotto» sollecitò zia Evelyn «e concludiamo questa faccenda al più presto possibile.» «Sono arrivato oggi perché ieri non mi è stato possibile, data la festività natalizia...» «Va bene, va bene» tagliò corto Fay Waldron. «Quando è che noi... che mio marito, voglio dire, entrerà in possesso della sua parte di rendita?» «Sono davvero spiacente di non potervelo dire.» «Cosa?» «La mia visita qui è un tantino prematura, per quanto concerne la sistemazione dei beni del signor Joel Cameron. Appena arrivato ho telefonato al magistrato che conduce l'inchiesta. Oh, una semplice questione di routine!» Si interruppe, consultò un taccuino, poi riprese: «Sono certo di non tradire una confidenza dicendovi che il signor Joel Cameron non è morto. Non legalmente, per lo meno. Il medico non può firmare il certificato di morte perché non si sa con certezza se Joel Cameron si trovasse o meno nel garage distrutto dall'incendio. È vero che sì è rinvenuto qualche frammento di ossa che, al microscopio, è risultato di natura animale; ma in quanto alla prova che un corpo umano sia stato distrutto dalle fiamme, e che fosse proprio il corpo di Joel Cameron...» «Prove?» gridò zio Alger. «Ma se Joel non è morto bruciato, allora dove è finito?» L'avvocato Cohen fece notare che non potevamo pretendere una risposta da lui. E senza un certificato legale di morte non c'era neppur da pensare a dividere la rendita del capitale vincolato e a procedere alla omologazione del testamento. Zia Evelyn sembrava mezzo istupidita. «Ma ho sentito con le mie orecchie lo sceriffo dire che avevano trovato
Joel.» Era un estremo tentativo per convincere l'avvocato a mutar decisione, ma ci voleva ben altro. «Sembra che sia sorto una specie di disaccordo tra lo sceriffo e il dottor Eckersall» spiegò Cohen. «In casi simili è il magistrato ad avere l'ultima parola.» Si strinse nelle spalle. «Sono davvero spiacente.» Zio Alger si alzò di scatto: «Non vorrete tornare subito a San Francisco, avvocato Cohen!» «Temo proprio di doverlo fare, naturalmente dopo l'inchiesta. Forse nel frattempo lo sceriffo troverà il modo di fornire le prove della morte di Joel Cameron. Io sono alloggiato all'Ocean Hotel.» E fu tutto. Il signor Cohen se ne andò col taxi che lo aveva accompagnato, lasciando la famiglia in una specie di isterico consiglio di guerra. «Questa storia mi ricorda la ricetta di un vecchio libro inglese di cucina» azzardò Dorothy. «"Prima di tutto ci vuole una lepre..."» «Che modo di parlare di un morto!» replicò Fay Waldron scandalizzata. «Per ora sembra che non sia morto nessuno» precisò zia Evelyn. «Questo delitto deve essere stato commesso da uno che di scherzi divertenti se ne intende. Ha provocato un incendio talmente forte da distruggere il corpo, ben sapendo che un cadavere è indispensabile per ottenere quei famosi quattrini ai quali tutti noi aspiriamo.» «Mi sembra ora che qualcuno se ne vada dritto al villaggio a dire due o tre cosette a quel magistrato dottore» disse Fay Waldron. «Ely, non faresti bene a...» «Ci vado io» si offrì zio Alger. «So come ci si deve comportare con quella gente.» Ma fu Oviedo ad avere l'ultima parola; si affacciò alla porta e annunciò: «A tavola!» Fu la peggior colazione della mia vita; un po' a causa degli eventi della mattina e della tensione generale, ma in larghissima parte a causa del cibo repellente che avevamo davanti: un disgraziato salmone in scatola spiaccicato su squallide fette di pane malamente arrostite. Andai in cucina a vedere che cosa era successo e trovai Oviedo solo, con un dito bruciato e una caffettiera rovesciata per terra. Mi annunciò che Pia era andata a letto e rifiutava di alzarsi. «Dice che in cucina ci sono gli spiriti che si divertono a spostare i tegami, a mangiare gli avanzi e a mettere disordine.» «A proposito, Oviedo, raccontatemi a chi portate da mangiare la notte.» «Io?»
«Già, voi. Vi ho visto, anzi vi abbiamo visto in due. Avevate in mano un tegame e chiamavate: "Tito... Tito".» Il viso rapace dell'uomo perse qualsiasi espressione. «Non ero io.» «Si tratta del cane che abbaiava la sera in cui sono arrivato?» Ma Oviedo era un tipo cocciuto: «Qui non ci sono cani» borbottò. «"No sabe".» «L'avete visto dopo l'incendio? Lo sceriffo ha trovato resti di ossa che sembrano umane, ma forse si tratta di altro. Il cane stava nel garage?» Brontolò qualcosa che poteva essere un "quien sabe?" e alzò le spalle. «Dite a Pia che o torna in cucina o fila dritta nella prigione degli uomini bianchi.» Un po' azzardato da parte mia, ma non avevo intenzione di ingurgitare i manicaretti di Oviedo per il resto della mia permanenza a Prospice. Mentre ritornavo in sala da pranzo udii arrivare una macchina; pensai che lo sceriffo Bates si fosse finalmente deciso a venirci a dire qualcosa. Corsi fuori e vidi Todd Cameron con i capelli scompigliati dal vento, gli occhi rossi ed eccitati. Mi prese per un braccio: «Mildred sta bene?» «Certo. Salvo che non si riesce a farle dire che cosa ha visto, o che cosa ha creduto di vedere, l'altra notte. La famiglia ha deciso che è sonnambula. A proposito, ho una novità da raccontarti. Dorothy e io...» «Vive congratulazioni, vecchio mio! Me ne ero accorto fin da principio.» Cercai di dirgli che la sua conclusione era completamente sbagliata, ma non mi ascoltò neppure. «Anch'io ho una novità da raccontarti, Alan. Sono stato a Los Angeles.» «A fare che?» «A cercar di scoprire chi ci ha mandato quei telegrammi. Nessuno mi leva dalla testa che deve esserci una connessione fra i telegrammi e gli avvenimenti di ieri mattina.» «Neanche a me. Ma va avanti.» «Non ho saputo molto circa l'individuo che si è firmato Gilbert Ely. Pioveva ed era tutto avviluppato in un enorme impermeabile e in una sciarpa di lana. La calligrafia, sui moduli, era incerta e probabilmente alterata.» «Naturale. Non sapendo che Gilbert Ely era morto, qualcuno volle farsi passare per lui. E questo qualcuno è l'uomo che cerchiamo.» «È possibile» ammise Todd sfilandosi i guanti dito per dito. «Ma, Alan,
credo che ti sbagli se pensi che il misterioso signor X non sapesse che Gilbert era morto.» «Da che cosa lo deduci?» «Lo so» disse semplicemente Todd Cameron. «A proposito, quando quel tale andò a spedire i telegrammi, gli dissero che doveva indicare il suo indirizzo; allora scarabocchiò qualcosa e uscì in fretta. Quando un impiegato trasmise i telegrammi, scoprì che l'indirizzo segnato dal mittente era: "Vattelapesca"!» 7 Dorothy ci raggiunse sul portone. «Per l'amor del cielo, venite dentro o andate fuori, state facendo gelare tutta la casa. Novità?» Todd riferì quello che mi aveva già raccontato e Dorothy scosse perplessa il capo. «Chi era al corrente della morte di Gilbert, oltre a me e a mio zio Joel? Io ne avevo parlato solo con Mildred.» «L'individuo che ha spedito quei telegrammi» osservai. «Zitto!» mormorò Dorothy. «Non parliamo qui.» Alger Ely veniva verso di noi e sorrideva. «Qualcuno farebbe una partitina a scacchi?» chiese tutto speranzoso e si allontanò deluso dopo la nostra risposta negativa. «Andiamocene di sopra» riprese Dorothy a voce bassa. «Chi sa che non si sia sulla buona traccia.» «Dov'è Mildred?» chiese Todd. «Ma... non lo so. Sembra che la sorellina, oggi, preferisca la solitudine.» «Non importa, la cerco io; voi intanto salite. Dobbiamo essere solidali, noi quattro.» «I quattro moschettieri all'opera» commentò Dorothy con una smorfia. Salimmo le scale e lei si avviò direttamente in camera mia; mi gettò un'occhiata divertita notando che lasciavo la porta spalancata: «Sei la personificazione della correttezza, cugino.» Si mise a gironzolare per la stanza, osservò il foglio di congedo incorniciato sulla parete, tentò di aprire gli sportelli del grande armadio a muro tra le due finestre. «Che cosa c'è, qui dentro?» «Non lo so, è chiuso a chiave.» «Ehm... Sarebbe divertente» Pensi a un passaggio segreto?
«No, no.» Dorothy si lasciò andare sul bordo del letto e accavallò le gambe lunghe e perfette. «Todd ce ne mette del tempo a trovare la sorellina! Ma forse non ha voglia di venire, oggi mi sfugge come se avessi la peste.» «Lascia perdere Mildred e ascoltami, Dorothy. Debbo domandarti una cosa molto importante.» «Sì?» Mi sentivo a disagio sotto il suo sguardo, non sapevo da che parte incominciare; infine borbottai: «Ti piacciono... Ti piacciono i cani?» «Cosa?» «Cani! Sai, quei quadrupedi che agitano la coda, che abbaiano e hanno le pulci.» «Dio mio, sì» e Dorothy scoppiò in una risata. «Ma perché me lo chiedi?» Avevo pronta la risposta giusta, ma Todd e Mildred entrarono proprio in quel momento; lui le teneva un braccio attorno alle spalle, lei rideva o piangeva, o forse rideva e piangeva nello stesso tempo. Todd chiuse la porta con una spinta. Mildred, irritata come una gattina estromessa a calci dalla poltrona preferita, andò dritta alla finestra e si mise a contemplare i resti del garage; dopo un istante dichiarò: «Non ho nessuna voglia di giocare agli investigatori.» «Meglio giocare agli sposini, vero?» replicò Dorothy con dolcezza. «Todd, dovresti strofinarti via quel segno di rossetto dalla guancia.» Non v'era alcun segno sulla guancia di Todd ma lui si pulì vigorosamente, mentre Dorothy si rivolgeva a sua sorella: «Ascoltami, cara, qui sei fra amici; perché non vuoi confidarti? Chi o che cosa hai visto questa notte?» Mildred si volse di scatto, bianca come un lenzuolo. «Non ho visto nessuno, te l'ho già detto. Qualcosa mi ha fatto paura, ecco tutto. Sono sempre così spaventata da questi discorsi di delitti che a volte non so neppure quello che faccio. Perché non lo lasciate ai poliziotti questo sporco mestiere? Spetta a loro indagare, non a noi.» «Secondo me tu ieri notte hai visto l'assassino» affermò Dorothy con calma. «E hai una paura matta che ti scelga come numero due; è una sciocchezza, perché non sei affatto in pericolo.» La bocca di Mildred divenne una linea sottile, ostinata.
«Non c'è stato nessun delitto, Dorothy! State tutti montando un castello di carte.» «Benissimo» disse Todd. «Se Mildred non vuol parlare, arriveremo alla verità per un'altra strada. Prestami un attimo la tua matita, Alan.» Strappò una pagina bianca dal romanzo che avevo sul comodino, scrisse per dieci minuti, poi ci tese il foglietto su cui leggemmo: POSSIBILITÀ A) che Joel Cameron sia morto bruciato incidentalmente: 1) Incendio causato dall'impianto elettrico difettoso; 2) Stufetta elettrica incendia le lenzuola; 3) Sigaretta o sigaro, come sopra; 4) Macchina di Alan surriscaldata incendia il garage; 5) Autocombustione, fulmine, ecc. B) che J.C. sia stato assassinato: 1) Fuoco appiccato da un incendiario maniaco; 2) Ordigno incendiario nella macchina dei Waldron; 3) Revolverata attraverso la finestra e fuoco appiccato dopo; 4) Altro metodo finora ignoto. C) che J.C. sia vivo: 1) Rapito, e incendio provocato per nascondere la sua sparizione; 2) Sta nascosto perché gli eredi possano ereditare; 3) Sta nascosto per paura di una eventuale aggressione; 4) Sta vagabondando in preda a uno shock. D) che J.C. si sia suicidato: 1) Colpo di rivoltella, incendio suscitato incidentalmente dalla polvere da sparo; 2) Malato di mente, ha scelto una morte atroce; 3) Scelto stessa morte sperando nella distruzione del corpo per frustrare le speranze degli eredi. «Vi sembra completo?» chiese Todd. «Direi di sì. Hai considerato proprio tutto» ammisi. «Hai considerato troppe cose» rilevò Dorothy. «Puoi cancellare una buona parte di queste possibilità. Prima di tutto, zio Joel non fumava quindi non può aver appiccato il fuoco con un sigaro o una sigaretta.» «Giusto» fece Todd e cancellò quell'ipotesi.
«Non è stata la mia macchina, surriscaldata o no» intervenni io «perché l'hanno messa in garage almeno sei o sette ore prima che scoppiasse l'incendio; e un motore surriscaldato si fredda molto prima.» «Giusto anche questo» e Todd cancellò un'altra riga. «Autocombustione... Una bella coincidenza, non ti pare?» osservò Dorothy. «E in quanto ai fulmini, d'inverno in California non ne sono mai caduti.» «E l'incendiario maniaco» aggiunsi. «Sarebbe una coincidenza inverosimile, nell'unica notte che zio Joel ha dormito sopra il garage.» «Ho voluto considerare proprio tutto» e Todd cancellò ancora due righe. «Io ne cancellerei un'altra. Ce lo vedete, zio Joel nascosto per fare ai suoi parenti il grosso favore di ereditare?» Mildred si volse di scatto dalla finestra: «Che cosa te lo fa pensare?» chiese eccitata. «Ma non lo penso affatto» replicò Todd. «E tu?» Mildred scosse lentamente il capo: «È morto, lo so, è morto!» «Cancella, Todd, cancella» sorrise Dorothy. «E non credo nemmeno che zio Joel sia stato rapito; chi pagherebbe il suo riscatto?» «È morto» ripeté Mildred fissando fuori della finestra. «Io non ne sono convinto» replicai. «Potrebbe benissimo essere sfuggito all'incendio e, sconvolto dalla paura, andar vagando per le colline.» «È morto» ripeté Mildred «e questo ci permetterà di essere felici.» «Eppure non lo credo ancora» insistei, ma Dorothy ribatté: «Dimentichi che la stanza sopra il garage era chiusa dall'interno.» E Todd aggiunse: «E dimentichi anche i segni della scala. No, Alan, zio Joel è stato ucciso. Solo, dobbiamo procurarci le prove.» «Immagino che ce la metterai tutta, Todd. Alan, per esempio, ha un sistema piuttosto originale per scoprire l'assassino: va attorno chiedendo alla gente se ama i cani. Se uno ne va pazzo, non può naturalmente essere l'assassino.» Tentai di dire qualche parola, ma nessuno mi ascoltò perché Mildred aveva preso a parlare con una strana voce secca e tagliente: «Voi fate quello che vi pare, seguitate pure a darvi d'attorno, a spiare, ma non contate su di me, io non ne voglio sapere.» Si diresse verso la porta, la spalancò ma, invece di uscire, si fermò sbalordita; fuori, carponi per terra, c'era Ely Waldron. Seguì un momento di silenzio rotto infine da Ely.
«Mi è caduta una moneta...» Nessuno gli rispose, nessuno gli tolse gli occhi di dosso. EL poveraccio non riuscì a sostenere la sua posizione e si alzò in piedi esclamando: «È stata lei a costringermi! Fay.» «Perché?» chiese Todd. «Credo... credo che ti abbia sentito quando sei venuto a prendere Mildred per accompagnarla di sopra; così le è venuto il sospetto che voi... che forse...» «Ely!» chiamò una voce rabbiosa; la bocca di Waldron si chiuse di colpo. Fay Waldron venne correndo dalla sua stanza, si fermò e atteggiò le labbra a un pallido tentativo di sorriso: «Scusateci, ma è successo qualcosa che ci ha costretti... Insomma, il nostro bagaglio è stato frugato.» «No!» esclamò Dorothy scandalizzata. «Davvero?» «Non sono disposta a passarci sopra» seguitò Fay Waldron. «So che mi siete tutti contro. Ma se credete che Ely o io abbiamo qualcosa a che fare con la morte di Joel Cameron...» «Non lo pensiamo affatto» la rassicurai. «Ci siamo soltanto domandati» intervenne Dorothy con molta gentilezza «come ha fatto tuo marito a vedere l'incendio dalla finestra di camera vostra, che si affaccia nella direzione opposta.» «Oh» borbottò Ely «è molto semplice; vedete, io... Oh!» e si premette lo stomaco con le mani. Fay lo prese per un braccio e gli parlò come a un bambino: «Vieni a sdraiarti, Ely, è lo stomaco» spiegò. «Va spesso soggetto a questi attacchi» e lo condusse in camera. «Stomaco o non stomaco, nessuno riesce a vedere dietro un angolo» precisò Dorothy dopo aver meditato qualche secondo. Mildred si stava allontanando e io ebbi improvvisamente un'idea. «Senti, dicci soltanto una cosa prima di andartene. Era Alger Ely che hai visto ieri notte giù a pianterreno?» Mildred si voltò sorpresa e io insistei: «Ti ha spaventata lui?» «Sì» e si precipitò in camera sua. «Un punto per il dottor Watson!» dissi rivolgendomi trionfante a Todd. «Non ti sei accorto che Mildred, mentre ti rispondeva, fissava la tua cravatta?»
«La mia cravatta? Che cosa non va, nella mia cravatta?» «Nulla» sorrise Dorothy. «Todd vuol dire che non va la risposta di Mildred; e che qualunque cosa abbia visto ieri notte, non era zio Algeri» e seguì sua sorella in camera. «Quella sì che è una ragazza in gamba; si può parlare con lei come con un compagno, e ha un cervello che funziona. Si potrebbe vivere in un'isola deserta, con Dorothy.» «Ehi, e Mildred» gli ricordai un po' urtato. «Mildred è Mildred» affermò solennemente Todd. «Non c'è bisogno di parlarle, non ha bisogno di un cervello...» «E non c'è bisogno di vivere con lei in un'isola deserta» conclusi per lui. «A proposito, hai preso una decisione? Voglio dire se hai deciso di parlare a Mildred del tuo passato e così via.» «No. Lei me lo perdonerebbe, ma non ce ne sarà bisogno. Quando questa storia sarà conclusa, io scomparirò dalla scena.» Si strinse nelle spalle. «Ma nel frattempo, cerchiamo di risolvere qualche indovinello. Il primo passo è, ovviamente...» «Telefono» lo interruppe Oviedo materializzandosi sul pianerottolo, e puntando un dito contro il mio petto: «Per voi, señor.» Era lo sceriffo Bates che mi voleva nel suo ufficio. «Avete trovato qualche cosa, sceriffo?» «Anche se fosse, non ne discuterei per telefono.» Parlava in un tono molto solenne, segno che qualcosa bolliva in pentola. Todd si offrì di accompagnarmi, così partimmo sulla Auburn; scendemmo la collina e attraversammo sobbalzando il selciato sconnesso di Cameron Heights; poi Todd tagliò per una viuzza sporca che costeggiava un dirupo, completamente invasa da un torrente giallastro formato dall'acqua che seguitava a scendere dalla collina. Todd rallentò e mi indicò un punto. «Non vedo altro che acqua, perché?» «Guarda meglio, Alan.» Vidi una specie di barchetta da bambini che filava nella corrente; quando ci passò vicino mi accorsi che non era un giocattolo ma una scatola di sardine vuota. «Che c'è di strano, Todd? Un rifiuto trascinato dall'acqua.» La macchina ripartì con un balzo e tre minuti dopo eravamo nell'ufficio dello sceriffo Tom Bates della Contea di Santa Felice. L'ufficio era una stanzetta situata sopra l'emporio locale; lo sceriffo sedeva a una scrivania ingombra di vecchi giornali, di lettere infilate in una lunga asta metallica; e
poi fotografie di criminali ricercati, ingrandimenti di impronte digitali... «Accomodatevi» disse lo sceriffo indicandoci due sedie contro la parete. «Vi ho chiesto di venire perché sembra che le cose si mettano su un altro piano. Avevo pensato a un suicidio, e anche voi lo pensavate, se non sbaglio» e guardò Todd. «Ne ho avuto il sospetto per qualche tempo» replicò mio cugino. «Ma come mai avete cambiato idea?» «Per un paio di validi motivi, uno dei quali è questo.» Ci passò un telegramma che io e Todd ci affrettammo a leggere, quasi aspettandoci un altro dei misteriosi messaggi di Gilbert. Ma si trattava di una faccenda ben diversa. Il direttore di una rivista poliziesca di New York si congratulava con lo sceriffo Bates per il fatto di avere per le mani quello che aveva tutta l'aria di diventare "il delitto del mese". Se si trattava veramente di un delitto, e se si giungeva alla soluzione in tempo per il numero di marzo, il direttore in questione sarebbe stato lieto di corrispondere allo sceriffo Bates dieci centesimi a parola per un racconto di diecimila parole circa, intitolato "Come ho scoperto il mistero del Recluso Incenerito"; sottotitolo: "Intervista concessa al nostro inviato dallo sceriffo Thomas Bates". «Per mille dollari, sono pronto a scommettere la testa che si tratta di un delitto.» «Ma, sceriffo...» protestai debolmente. «Non credete che questa sia una ragione sufficiente? Bene, allora vi spiegherò il resto.» Frugò in un paio di cassetti della scrivania, poi si cercò nelle tasche e ne trasse una busta piegata in due. «Una delle cose trovate fra la cenere. Il dottor Eckersall, che dubita sempre di tutto, di questo non ha potuto dubitare.» Trasse dalla busta qualcosa che rotolò verso di noi e che mi parve un pezzo di metallo annerito. «Ecco il proiettile che ha ucciso Joel Cameron. Esaminatelo pure, non ne vedrete un altro simile. È un proiettile d'argento.» 8 «Però non ha la forma di un proiettile» disse mio cugino. «E che cosa vi aspettavate, con quel calore da fornace? Qualunque metallo si sarebbe fuso. Argento puro» spiegò col tono di chi ripete una lezione imparata a memoria e abbastanza morbido da deformarsi urtando contro un corpo duro come un osso umano. «E questo sarebbe argento "puro"?» chiese Todd.
«Così afferma il medico legale, che in materia di ricerche di laboratorio sa il fatto suo. Dice che non c'è traccia di lega, che è argento al novantanove e quarantaquattro per cento.» «Quindi non potrebbe essere un pezzo di orologio o roba del genere.» «No di certo. È il proiettile che ha ucciso vostro zio, ve lo dico io, sebbene non capisca la ragione di uccidere un uomo con una pallottola d'argento.» «Scusatemi, credo di saperla io la ragione» dissi. «Si tratta di una superstizione che rientra nel folklore dei popoli primitivi: uno stregone, un mago, può essere ucciso solo da un proiettile d'argento; se si vuol sparare a un licantropo, cioè a un lupo mannaro, occorre caricare la pistola con una moneta d'argento trasformata in proiettile.» Todd emise un fischio di ammirazione e lo sceriffo si piegò verso di me: «Roba tipo Dracula, no? Ehi, vostro zio non era mica, alle volte, ritenuto un individuo del genere? Aveva qualche amico convinto che fosse un,.. Come l'avete chiamato?» Todd e io ci guardammo sorpresi. «Non che la nostra famiglia sia composta da cervelli di prim'ordine» replicai. «Ma sono certo che nessuno di noi crede alle streghe e ai demoni.» Il viso dello sceriffo si rischiarò d'un tratto: «Il messicano e sua moglie! Sapevano dov'era la scala, sapevano di potersi procurare un alibi mediante i loro amici del quartiere messicano; vi assicuro che qualunque giuria manderebbe quella donna alla forca al solo vederla.» «Ma, sceriffo...» cominciai. Lo sceriffo Bates non mi ascoltò neppure: «Li farò portare qui, in quella stanza là dietro, e applicherò i sistemi delle grandi città; scommetto cento dollari contro...» «Un momento» intervenne Todd. «Dove volete che quei due si siano procurati un proiettile d'argento?» «Schiacciando una moneta da cinquanta centesimi!» gridò Bates tutto eccitato. «Argento chimicamente puro, ricordate!» replicò Todd. «Le monete sono tutte di lega d'argento; per accertarvene basta che consultiate un'enciclopedia.» Aveva ragione; e mi resi subito conto che questo proiettile così speciale poteva essere una buona traccia. La concomitanza dei due elementi, e cioè di una antica superstizione e della possibilità di disporre facilmente di ar-
gento chimicamente puro poteva benissimo condurre a qualcosa di concreto. Todd si alzò per congedarsi: «Vale la pena di pensare a un'eventualità del genere. Molto obbligato, sceriffo.» Ma lo sceriffo alzò una mano grassa e tozza: «Giovanotto, non avete sentito il meglio. Sedete, sedete tutti e due; non sono stato io a farvi venire qui, è stato il magistrato, Sam Eckersall ha terminato la sua relazione e gli occorre la presenza di un membro della famiglia.» «Per far cosa?» domandai. «Sam ha sempre qualche idea fissa; nel caso attuale si è messo in testa che i resti rinvenuti non siano sufficienti a provare la morte di Joel Cameron. Ma è venuto qui quel tale di San Francisco, quel banchiere, e ha suggerito un sacco di maniere per procurarci questa benedetta prova. Sam ha spulciato i suoi libri, ha concluso che il banchiere poteva aver ragione e vuole parlarvi della cosa.» Uh poliziotto in uniforme introdusse un ometto dall'aria indaffarata che ci scrutò attraverso le lenti spesse degli occhiali e rifiutò di sedersi. Riconobbi in lui il dottor Eckersall. «Chi di voi, rappresenta la famiglia Cameron?» chiese. «Tutti e due.» «Benissimo. Ho paura di aver cattive notizie.» Come quasi tutti i portatori di cattive notizie, il dottor Eckersall aveva un'aria vagamente soddisfatta; ci guardò con occhio indagatore. Todd si affrettò a rassicurarlo: «Non temete, non siamo in lacrime. Volevate comunicarci di aver trovato la prova definitiva della morte di nostro zio? Se credete che questa sia una notizia tremenda, non conoscete la nostra famiglia.» «Lasciatemi parlare!» esplose il coroner. «Non ho da dirvi nulla di simile, invece; la cattiva notizia è che non esiste alcuna prova che vostro zio sia morto.» Lo sceriffo si lasciò sfuggire un lungo sospiro di delusione, quindi osservò: «Sentite, Sam, le avete fatte tutte quelle prove moderne di cui ha parlato il signor Cohen?» Il medico si arrampicò su un angolo della scrivania: «Sì, ma non ho ancora finito: sono faccende lunghe.» Todd spinse il proiettile d'argento verso lo sceriffo. «Ecco sistemata la vostra teoria del delitto.»
«Un momento, perdinci!» gridò lui. «Chi ha detto che ho scartato il delitto? Se aveste la pazienza di aspettare! Non l'ho scartata affatto. Comincerò da capo: dunque, ho preso alcuni campioni della cenere del garage. Secondo il libro - Medicina Legale, di Webster - si dovrebbe trovare una buona percentuale di fosfato di calcio nella cenere di un fuoco in cui sia stato arso un corpo.» «Un corpo umano?» notò Todd. «Un corpo qualsiasi, penso. Ho trovato una percentuale alta, più del due per cento. E questa prova è a posto!» concluse il coroner e guardò lo sceriffo con aria trionfante. «Va avanti, Sam.» «Però» seguitò Eckersall «potrebbe trattarsi di un corpo animale qualsiasi, come ho detto. Un pezzo di bue...» «O un cane» suggerì Todd. Il dottore annuì. «Poi ho fatto la prova del precipitato; non avevo il siero adatto, ma me ne sono fatto mandare dal laboratorio della Centrale. È una prova bellissima! Si prende il siero ricavato da un coniglio a cui siano state iniettate determinate proteine, in questo caso sangue umano; il siero reagirà se combinato con le stesse proteine. Capite? Il siero non reagisce se combinato con una proteina con cui non sia già stato a contatto. Capite o no? È una prova esauriente, per un tribunale. Si può mettere la raschiatura di una macchia di sangue - o pezzetti di tessuto macchiato, o anche ceneri - nella provetta piena di siero di coniglio, e se i campioni contengono sangue umano si forma un precipitato bianco. Come la neve» aggiunse tutto allegro. «E dunque?» chiese Todd. «E dunque la prova è riuscita! L'ho ripetuta tre volte: in quell'incendio è bruciato senza il minimo dubbio un corpo umano.» Lo sceriffo assunse un'espressione compiaciuta. «Delitto, lo dicevo! Se la vittima non è vostro zio, è qualcun altro.» «Poiché l'avvocato Cohen mi aveva avvertito che una grossa eredità dipende dalla certezza che Joel Cameron sia morto in quell'incendio, non ho trascurato assolutamente nulla» seguitò il coroner. «Ma, oltre la cenere, ho trovato solo un frammento di un osso che ritengo sia un'ulna umana - l'osso di un braccio, insomma - e questo pezzo di mandibola.» Il dottore trasse di tasca un pacchetto, lo svolse e ci mostrò il macabro reperto; io mi ritrassi, ma Todd parve molto interessato e osservò: «Ci sono rimasti attaccati due denti.»
«Lo smalto dei denti è la sostanza più dura del corpo» spiegò il coroner. «Proprio per via dei denti mi sto portando dietro questo pezzo. Ho consultato tutti i dentisti della città per scoprire se avessero curato Joel Cameron, ma la risposta è stata sempre negativa. Speravamo che potessero riconoscere una otturazione o qualcosa del genere. Ma forse vostro zio non andava da anni da un dentista; oppure questo non è un pezzo della sua mandibola.» «Per quanto era assicurato vostro zio?» chiese lo sceriffo. «Potete mettere da parte questa teoria» replicò brusco Todd. «Lo zio non era assicurato, quindi non ha messo nel garage il corpo di un altro con la speranza che fosse scambiato con il suo.» «Era solo un'idea» si scusò Bates. Eckersall si avviò alla porta dicendo: «Volevo che qualcuno della famiglia sapesse a che punto siamo. Sono contento che i giovani abbiano denaro da spendere e vorrei che poteste entrare in possesso di quanto vi spetta; ma allo stato attuale delle cose non posso dichiarare che vostro zio è morto. Voi sapete che è morto e lo so anch'io, ma per il tribunale ci vuole una prova irrefutabile.» Aprì la porta e si volse a guardare indietro: «Spiacente!» disse quasi ghignando, e se ne andò. «Se Joel Cameron non ricompare per sette anni, potrete ottenere dal tribunale una dichiarazione di morte presunta» ci confortò lo sceriffo. «Comunque, a parte vostro zio, qualcuno è morto nell'incendio del garage e spetta a me scoprire chi è la vittima.» «Già, insieme al Come, Quando e Perché» sottolineerò Todd. «Bene, sceriffo, se non c'è altro, io e Alan ce ne andiamo.» Lo sceriffo Bates si alzò per accompagnarci alla porta. «Chiedo a tutti e due, a titolo di favore personale, di non riferire al resto della famiglia quello che avete sentito qui dentro. Potrebbero precipitarsi tutti in ufficio per subissarmi di domande.» «A proposito di domande, sceriffo, avevate l'intenzione di sottopormi a un piccolo terzo grado o sbaglio?» Il tono di Todd era vagamente ironico. «Oh, avete visto questo telegramma da San Diego, vero?» e accennò alle carte sulla scrivania. «Mi ci è caduto l'occhio.» «Ho svolto qualche indagine sul vostro conto, sicuro, e ho scoperto il vostro piccolo scontro con gli ufficiali di dogana. È avvenuto dopo mezzanotte, quindi non avreste avuto il tempo di arrivare a Prospice e di lavorare
attorno al garage, anche correndo come un fulmine; inoltre i pompieri giurano che non c'erano tracce di gomme sulla strada per Prospice, quando hanno salito la collina; dal che deduco che non avete ammazzato nessuno. Anche il signor Alan Cameron sembra estraneo alla faccenda, a quanto mi risulta. E vorrei poter dire lo stesso degli altri.» Todd, che mi precedeva verso la porta, si fermò di colpo. «Sono coinvolto in. questo pasticcio se non come sospetto, come investigatore. So benissimo quello che voi della polizia pensate dei dilettanti; ma se foste abbastanza spregiudicato da tentare un piccolo esperimento psicologico, forse riuscireste a scoprire l'assassino.» «E sarebbe, questo esperimento?» «Una cosa semplicissima. Ecco: invece di piombare a Prospice all'improvviso, avvertite i vari membri della famiglia della vostra venuta.» «Già, così quelli si preparano!» «Vi chiedo solo di ascoltare, e ascolta pure tu, Alan, perché la cosa riguarda anche te.» Ascoltammo. Lo sceriffo, a un certo punto, interruppe Todd, poco convinto della faccenda del siero della verità: «Andiamo! Quella roba è una idiozia da romanzi gialli!» «Non per chi abbia qualche cosa da nascondere. Si può sempre tentare.» Todd Cameron era in possesso senza dubbio dell'arte di persuadere il prossimo perché quindici minuti più tardi, mi avviavo in taxi, da solo, verso casa con la testa imbottita di istruzioni. «Ti do mezz'ora di tempo per organizzarti» mi aveva detto Todd «e, per l'amor del cielo, tieni occhi e orecchie bene aperti. Se il mio piano funziona, prima di sera avremo in mano l'assassino.» La prima persona che incontrai arrivando a Prospice fu Dorothy, e mi parve preoccupata. Il suo viso era un vero e proprio punto interrogativo. «Guarda che io non so assolutamente nulla. Todd ha promesso di telefonarmi presto, ma per il momento è chiuso in una stanza con il magistrato inquirente e lo sceriffo. Non aggiunsi altre spiegazioni e me ne andai verso la cucina fingendo di non accorgermi che Dorothy sarebbe rimasta volentieri a parlare con me.» Sentii Oviedo confabulare con sua moglie nel loro linguaggio bastardo, proprio dietro l'uscio di cucina, ma il mio interesse era tutto concentrato sul vecchio telefono a muro del piccolo andito che divideva la cucina dalla sala da pranzo. Accanto all'apparecchio pendeva una matita attaccata a un
cordoncino, sicché non ebbi bisogno di sistemarvene una come mi aveva raccomandato Todd. Dovevo solo trovarmi un nascondiglio, secondo le disposizioni impartitemi da mio cugino: "cerca un buco dove infilarti e aspetta". Scoprii una nicchia nel muro, nascosta da una porta e destinata forse originariamente ad accogliere un armadio per le scope; mi ci vollero pochi minuti per sgomberarla dalle cianfrusaglie che conteneva e rinchiudermici dentro lasciando uno spiraglio per sorvegliare il telefono a pochi passi da me. Ci rimasi per mezz'ora, prima che l'apparecchio si decidesse a suonare. Oviedo uscì dalla cucina. «Sì, sì, señor. Vado subito.» e corse verso il vestibolo; ritornò subito dopo con zia Evelyn che afferrò il ricevitore: «Pronto? Come?» una pausa. «Oh!» Zia Evelyn parlava con voce sospettosa e poco naturale mentre la sua mano libera giocherellava con la matita; infine appese decisa il ricevitore e si allontanò passandomi davanti; aveva l'espressione di chi custodisce un segreto ed è disposto a morire piuttosto che a rivelarlo. Mi sarebbe piaciuto seguirla per studiare la sua reazione, ma dovevo restare dove ero. Poco dopo l'apparecchio squillò di nuovo e Oviedo venne di nuovo a rispondere; questa volta la telefonata era per zio Alger che ricevette la comunicazione mantenendo una calma perfetta; se era scosso o sorpreso, non lo lasciava vedere. «Molto gentile da parte tua, Todd. Sì, lo dirò anche a Eustace ma non capisco...» e si allontanò. Poi fu la volta di Mabel che si precipitò a rispondere col fiato mozzo e il ricamo stretto al seno. Ascoltò, fece qualche vago commento e alla fine si diresse verso il vestibolo; il suo viso era beato e la sua bocca aveva sussurrato un radioso "grazie a Dio!". Poco dopo toccò a Ely Waldron. «Oh, ciao, Todd! Faresti meglio a tornare prima che venga giù un acquazzone. Ci sono certi nuvoloni... Come? Non dirmelo!» Una pausa, quindi: «Grazie della comunicazione, grazie davvero. No, sta tranquillo, non lo dirò ad anima viva» e se ne andò in fretta chiamando: «Fay! Senti, Fay!» il che era stato perfettamente previsto da Todd. Poi si presentò Dorothy, e mi parve un'azione indegna sottoporre anche lei alla prova; ma Todd e lo sceriffo avevano deciso così. «Bene!» disse Dorothy eccitata. «Ma perché tutto questo mistero? Alan sembrava il gatto che ha mangiato il canarino; e adesso tu... Be', non sono per niente sorpresa. Lo sapevo.» Silenzio. «Oh, no! Non dirmi che dobbiamo appendere l'aglio alle finestre o andare attorno facendo esorcismi. Ci mancava il proiettile d'argento, Todd!» Dorothy riappese il ricevitore e
rimase immobile, evidentemente sconcertata; poi si scosse, passò davanti all'uscio che mi nascondeva e si fermò annusando; un attimo dopo spalancò il ripostiglio e disse: «Volevo ben dire! La prossima volta che organizzi una imboscata, Alan Cameron, ricordati di non fumare la pipa.» Aveva ragione. Per vincere un certo nervosismo avevo automaticamente tratto di tasca pipa e fiammiferi e questo mi aveva tradito. «Che giochetto è questo?» chiese Dorothy, e, poiché non rispondevo, riprese con un po' di amarezza: «Così questa è la fine dei moschettieri. Mi avete ripudiata.» Poi reagì: «Bravi! Adesso di' a Todd che richiami, così potrò improvvisare una bella scena isterica; e forse confesserò anche di aver ucciso zio Joel con un proiettile d'argento!» Cercai di spiegarle come stavano le cose, ma mia cugina fece valere in pieno il suo diritto femminile di essere irragionevole: «Ma certo! Bisognava sottoporre "tutti" alla prova, perché fosse valida! Come no? Così suppongo che Todd chiamerà anche la sua beneamata piccola Mildred, no?» Non ci avevo pensato. Quando il telefono squillò di nuovo, Oviedo si mise a bestemmiare in spagnolo mentre accorreva dalla cucina. «Svelta!» sussurrai afferrando Dorothy per un braccio e trascinandola nel ripostiglio, poi sistemai di nuovo la porta in" modo che rimanesse una fessura. Lo spazio era poco, sicché mi trovai stretto a mia cugina, ma la situazione mi parve tutt'altro che spiacevole. «Ormai è divenuta un'abitudine» sussurrò Dorothy e notai con sollievo che la sua voce era ritornata amichevole. Sentimmo Oviedo rispondere al telefono e allontanarsi; quando tornò, Mildred lo seguiva. La porta di cucina si chiuse. Avvertivo la tensione di Dorothy e le posai una mano sulla spalla. «Dopo tutto» mormorai «Mildred non ha nulla di cui preoccuparsi.» «Pronto? Oh, sei tu, tesoro?» «Questo si chiama spiare» mi sussurrò Dorothy indignata. «Io me ne vado.» «Tu rimani, invece.» Le passai un braccio intorno alle spalle e la sentii rilassarsi. «D'accordo. Che altro può fare una povera fragile fanciulla?» «Ma se qualcuno ascolta?» disse la voce dì Mildred. «Oh!» Silenzio. «Oh, Todd! Oh, mio Dio!» Seguitò a ripetere "mio Dio" alzando a mano a mano il tono della voce fino quasi a gridare. «No! Ti dico che non è vero!
Non può essere!» Di nuovo una pausa. «Viene qui? Con che cosa? Il siero della verità? Mio Dio! Sì, ho letto qualcosa su quell'orrendo esperimento. Non potrei sopportarlo, Todd, davvero non potrei... Non lasciarlo venire, non lasciarlo!» Poi Mildred cominciò a ridere di un riso isterico, prolungato, e senza aggiungere una parola abbandonò il ricevitore e si allontanò; io e Dorothy uscimmo dal ripostiglio. «Che cosa avete fatto? Che razza di stupida trappola avete montato?» Mia cugina mi fissò con gli occhi spalancati e mi voltò le spalle. Tutti e due guardavamo la matita ridotta a pezzetti per terra. Pensai alle belle mani morbide di Mildred che avevano tanta forza da rompere un pezzo di legno e neppure molto sottile; e con le dita di una sola mano. Dorothy trasalì e fece per precipitarsi dietro a sua sorella, ma qualcosa parve trattenerla. Si avvicinò a me, mi afferrò per le spalle: anche le sue mani erano dure come l'acciaio. «Questo non ha il significato che credi! Non siate così maledettamente furbi, tu e Todd! Non dovete mettervi in testa una cosa tanto orribile solo perché lei è caduta nella trappola, solo perché era talmente spaventata da...» Si interruppe e il suo viso sconvolto dall'ira si bagnò di lacrime. «Alan! Questo non vuol dire che Mildred sia colpevole. No, vero?» La strinsi a me senza rispondere. «No, vero?» ripeté. Ma io non potevo calmarla. «Vedi, Mildred desiderava con tutta l'anima un migliaio di dollari» rispose Dorothy. «Sapessi come lo desiderava! Vedi, Alan, Mildred sogna di diventare una stella del cinema, una specie di fidanzata del mondo. L'anno scorso è riuscita a farsi fare qualche provino, ma è risultato che il suo nasetto all'insti non è fotogenico; allora si è messa in testa di farselo modificare, ma sono operazioni che costano. Tuttavia è impossibile che abbia...» «Va a parlarle, chiediglielo» suggerii. Dorothy scosse il capo e riprese: «Suppongo che il vostro piano prevedesse un tentativo di fuga da parte del colpevole, no?» «Infatti. Ci si può allontanare da Prospice solo in due direzioni. Lo sceriffo è appostato sulla via che porta all'autostrada e Todd sulla scorciatoia che costeggia il burrone. Sono armati, Dorothy.» «Vado ad avvertire Mildred. Non posso credere che sia colpevole, ma se anche lo fosse non starei a vederla cadere nella rete.» Salì svelta le scale e io la seguii; con mia gran sorpresa, Mildred non si era chiusa in camera, la stanza era vuota. Scendemmo di nuovo; la casa
sembrava deserta, certo tutti si erano ritirati nelle loro stanze per riflettere. Cercammo nel salone, nel salotto con l'albero di Natale, in biblioteca, da per tutto. Di Mildred, nessuna traccia. Dorothy si gettò sul divano davanti al camino spento. Debbo confessare che mi parve molto attraente coi bei capelli biondi in disordine, non più perfettamente padrona di sé. «Lo so che è doloroso aspettare così» osservai «ma non si può fare altro.» Sedetti accanto a lei e dopo un attimo la sentii piangere silenziosamente sulla mia spalla; trovai la situazione molto lusinghiera e un pochino sconcertante per un vecchio scapolo incallito. «Vedrai che Mildred non ha nulla da rimproverarsi» le sussurrai fra i capelli. «In ogni modo, le saremo vicini tutti e due.» «Tutti e due» ripeté piano Dorothy. «È bello, non essere sola.» «Sola? Non sarai mai sola, basta che tu lo voglia; potrai sempre contare su di me, perché...» Dorothy mi guardò sorpresa. «Alan, mi vuoi bene davvero?» «Sì.» «E mi hai chiesto se mi piacevano i cani perché ne hai uno?» «Sì.» Mi prese una mano fra le sue e la strinse forte, poi si chinò di nuovo sulla mia spalla e restammo così a lungo, senza parlare; a un certo momento capii dal suo respiro che si era addormentata. Con ogni precauzione le sistemai un cuscino sotto la testa, le stesi le gambe sul divano e andai a chiudere le imposte benché fosse già quasi sera. Poi uscii dalla biblioteca in punta di piedi. Sentii che Oviedo apparecchiava la tavola: la cena, come la morte e le tasse, incombeva su di noi. Ma la famiglia era ancora al piano di sopra; la bomba scoppiata da poco aveva avuto almeno questo effetto positivo. Mi aggirai ancora un poco per le stanze vuote e quindi, incapace di sopportare l'atmosfera di quella dimora sinistra, aprii la porta d'ingresso. Dal mare si era levata una nebbia umida che mi penetrò nelle ossa attraverso il pesante vestito di tweed; scesi gli scalini e guardai in direzione dell'autostrada e del mare. Chi sa se lo sceriffo e Todd aspettavano ancora o se n'erano andati? Vidi la luce di due fari provenire dal bosco di eucalipti e rimasi in attesa malgrado il buio e l'umidità. Temevo istintivamente l'avvicinarsi di quelle luci che sparivano e riapparivano nella nebbia; poi una macchina imboccò il viale e venne a fermarmisi davanti. Era la macchina dello sceriffo Bates. Accanto a lui, non c'era nessuno.
«Allora non è venuta, non ha tentato di fuggire?» «Chi?» replicò lo sceriffo. «Non ho visto nessuno e lo sapevo benissimo. Ma di chi state parlando?» «Di Mildred. È sparita; non siamo riusciti a trovarla, così pensavo che forse aveva preso la vecchia macchina di zio Joel per...» «Cos'è questo? Ascoltate!» mi interruppe Bates posandomi una mano sul braccio. Improvviso, un grido si levò nel buio; non era molto forte ma non v'era dubbio che chi urlava era in preda al terrore. Fu un grido che mi sconvolse. Un'ombra attraversò l'aria seguita dal tonfo di un corpo che piombava pesantemente al suolo, poi silenzio. Io e Bates ci affrettammo alla nostra destra verso un enorme rosaio che faceva macchia contro il muro della casa, ma ci fermammo di colpo: Mildred, esanime, giaceva fra le spine. 9 Seguì un'ora di angoscia spaventosa. Portammo in casa il corpo di Mildred e mandammo a chiamare un medico, sebbene la sua presenza fosse ormai inutile. Mildred era morta. Ma chi, chi poteva desiderare che morisse? Una creatura giovane, bella, piena di speranza nell'avvenire... Oppure era stata una disgrazia? Mentre il dottor Eckersall «che oltre a ricoprire la carica di magistrato era anche l'unico medico locale» era chino sul povero corpo, Bates cercò di prendere in mano la situazione. Avevo tentato di parlare con Dorothy, di confortarla, ma lei non aveva neppure udito la mia voce: sembrava stordita e dovetti lasciarla per obbedire al gesto imperioso dello sceriffo che stava salendo al primo piano. «Quale era la sua stanza?» Gli indicai la porta. «Saremo costretti probabilmente a forzare la serratura» osservò Bates; ma la porta si aprì quando egli girò la maniglia. La camera aveva un aspetto desolato, ma eccezion fatta per un portacenere con alcune sigarette schiacciate subito dopo essere state accese e una sciarpa rossa su un cuscino era perfettamente in ordine. Ma lo sceriffo non si interessò all'aspetto della stanza; esaminò invece la finestra: era spalancata e le tende svolazzavano al vento. Lo raggiunsi, guardai in basso e vidi il cespuglio di rose: i rami erano spezzati nel punto in cui si era abbattuto il corpo di Mildred.
«Deve aver battuto la testa» borbottò Bates, poi mi guardò e aggiunse: «Si direbbe una fuga, no?» quindi seguitò fra sé: «La fuga migliore, sicuro. Date le circostanze...» In quel momento arrivò Todd col viso duro, grigio, inespressivo come un pezzo di granito. Lo sceriffo si volse a guardarlo: «Oh, non vi ho sentito arrivare. Bene, giovanotto, debbo rendervi giustizia. Il vostro piano ha funzionato, evidentemente.» «Il mio piano?» ripeté Todd con voce spenta. «Certo. Il vostro piano psico-come-si-chiama per scoprire l'assassino. Solo che non abbiamo pensato a un suicidio, invece che a una fuga. Ma il suicidio è una fuga definitiva, non c'è dubbio.» Todd non lo ascoltava. «Posso vedere il biglietto?» chiese poco dopo. «Quale biglietto?» «Quello che lei ha lasciato.» «Non c'è nessun biglietto; non avrà avuto il tempo di scriverlo. Certo, qualche parola ci avrebbe facilitato il compito, devo ammetterlo. Una confessione completa, manoscritta...» «La porta non era chiusa a chiave?» seguitò Todd. «No, ma che c'entra?» «C'entra» replicò secco Todd. «La ragazza non si è suicidata.» Lo sceriffo lo fissò incredulo e per poco non scoppiò in una risata. «Andiamo! Non vorrete dirmi che si tratta di un altro incidente! Prima un vecchio signore bruciato per disgrazia, poi una ragazza caduta dalla finestra per disgrazia, e...» «Non ho parlato di incidenti. Mildred da due giorni aveva qualcosa dentro che la terrorizzava. Ogni sua parola, ogni suo gesto tradivano la paura!» «Paura di essere presa» sottolineò lo sceriffo. Todd fece un gesto di rabbia, ma l'altro seguitò: «All'idea di sottoporsi al siero della verità ha perso la testa e l'ha fatta finita. Diamine, è chiaro come il sole!» Todd Cameron si avvicinò alla scrivania, toccò con un dito il portacenere pieno poi si volse di scatto: «No, sceriffo. Quella povera creatura era terrorizzata dal pensiero di rivelare, suo malgrado, la verità su qualcun altro. Ed era terrorizzata da una eventuale vendetta. Sapeva tutta la verità; io ho fatto del mio meglio per spingerla a confidarsi ma non ci sono riuscito. Mildred era convinta che il siero della verità - su cui, come tanti, aveva probabilmente delle idee sbagliate - le avrebbe strappato il segreto. Sapeva...»
«E ha preferito morire per non incriminare un altro?» protestai. «Ma non dire sciocchezze! Nessuno va alla sedia elettrica o si ammazza per salvare il suo prossimo! È morta soltanto perché qualcun altro temeva più di lei il siero della verità e un interrogatorio più minuzioso. Qualcuno sapeva che Mildred avrebbe parlato di quello che aveva visto durante la notte. Ecco perché la poveretta è stata uccisa.» «Ma senti questa!» tuonò lo sceriffo. «Vi rendete conto di quello che dite? Perché dovete immaginare complicazioni simili? Se due più due fanno quattro...» «Basta con questo due più due! Non lo sapete che gli studiosi di criminologia sono d'accordo nel sostenere che la maggior parte delle cadute dalla finestra sono opera di assassini, malgrado...» «Gli studiosi di criminologia! Ma via, ragionate! Chi può avere assassinato quella ragazza? La casa era piena di gente, c'era anche qualcuno nella stanza accanto, se non sbaglio! Non vi viene in mente che si sarebbe sentito il rumore di una collutazione o che so io? Anche se l'assassino fosse stato forte abbastanza da sopraffare la ragazza e scaraventarla dalla finestra, lei non avrebbe reagito in qualche modo? Non avrebbe gridato chiedendo aiuto?» «Sì, forse avete ragione.» ammise Todd avvicinandosi lentamente alla finestra. «Sceriffo! Cosa... Cosa c'è laggiù?» e tese il braccio verso il buio. In un attimo Bates gli fu accanto e si sporse dal davanzale. Vidi Todd farsi indietro, afferrare lo sceriffo per le caviglie e sollevarlo. Il poveraccio emise un grido di rabbia sentendosi spingere verso il vuoto, ma ormai Todd lo aveva posato di nuovo sul pavimento e sorrideva. «Come vedete, caro sceriffo, la cosa è perfettamente possibile. Avrei potuto buttarvi senza difficoltà nel cespuglio dove avete trovato Mildred, senza lasciarvi un solo segno addosso, neppure sulle caviglie. E voi sareste morto per disgrazia.» Bates si tolse di tasca un fazzoletto e si asciugò il sudore che gli grondava dal viso. «E va bene. Allora la ragazza è stata assassinata. Ehi! Questo significa un altro articolo per la rivista» e lo sceriffo uscì svelto e arzillo dalla stanza. «Avrei dovuto buttarlo di sotto davvero» disse Todd Cameron; poi si guardò attorno e scosse il capo. «Il guaio, Alan, è che quando si comincia qualcosa non si sa mai dove si andrà a finire. Vieni, scendiamo da basso.» Il vestibolo era pieno di uomini in uniforme che ci scrutavano sospetto-
samente prima di spingerci verso il salotto dove il resto della famiglia era confinato da mezz'ora. Aspettavano. Erano sempre loro, con i soliti volti e i soliti atteggiamenti, eppure sembrava che l'atmosfera intorno a loro fosse diversa, un'atmosfera tesa, artificiale, piena di sospetti. Ognuno pareva evitare la vicinanza dell'altro. Dorothy stava parlando con lo sceriffo: «Almeno» diceva con voce secca e a tratti spezzata «almeno fosse finita! Se n'è andata, non possiamo far più nulla per lei, neanche voi lo potete. Ma almeno lasciatela in pace. Non potete proprio fare a meno di trascinare la sua memoria nel fango? Anche se...» «Sentite, sembra che...» lo sceriffo appariva imbarazzato. «Vostro cugino, qui, non crede che si sia suicidata, non crede che fosse colpevole.» Dorothy guardò me. «Credo che Todd abbia ragione» confermai. «Chi ha intenzione di uccidersi chiude di solito la porta a chiave per non essere sorpreso e, generalmente, lascia scritto qualcosa. E Mildred era il tipo che lo avrebbe fatto, lo so.» Dorothy si volse verso Todd che non disse una parola. «Lui è convinto che vostra sorella sia stata assassinata perché non parlasse» intervenne lo sceriffo. «E mi ha anche fornito una bella dimostrazione di come si sono svolte le cose. Solo che non riesco a vedere un movente...» «Assassinata!» gridò Mabel. «Assassinata. Adesso capisco. Ma non perché sapeva qualcosa. Perché non vi sforzate di ragionare? Siete tutti ciechi? Tutti qui, senza muovere un dito, come galline nel pollaio, aspettando che...» la sua voce si era fatta talmente acuta che lo sceriffo urlò: «Ma fatela tacere, perbacco!» «No, non mi chiuderete la bocca, no davvero! Questa mattina gli eredi erano otto, e adesso sono sette. E domani... Dio sa quanti saremo domani, a dividerci la rendita. Ogni volta che uno di noi se ne va, la parte degli altri aumenta. Perché la gente uccide? Per denaro! Zio Joel è stato ucciso per denaro, Mildred anche. E forse tu, o tu, o io...» la sua voce si spezzò in un singhiozzo; lo sceriffo fissava Mabel strofinandosi il mento con forza, poi si scosse. «Può esserci qualcosa di vero in quello che dite. Ognuno di voi aveva un movente per uccidere il vecchio e ognuno di voi ha parecchio da guadagnare togliendo di mezzo qualche altro.» «È vero! Io volevo già andarmene, ma adesso neanche il padreterno potrebbe trattenermi qui un minuto di più.»
«Mi dispiace, signora, ma per questa sera non ci sono più treni né pullman.» «Noleggio una macchina, allora, o me ne vado a piedi, alla peggio.» «Capisco quello che provate; neanche io mi sento proprio a mio agio, specie dopo la piccola dimostrazione che il signor Todd Cameron ha voluto darmi poco fa davanti a una finestra. Ma il mio dovere mi impone di rimanere e di impedire che qualcuno se ne vada.» «Non riuscirete a trattenermi, ve lo dico io.» Lo sceriffo Bates si fissò a lungo la punta delle scarpe, poi replicò: «Posso sempre farvi trattenere d'ufficio come testimone importante e lasciarvi libera solo dietro cauzione di cinquemila dollari. Mi sono informato questa mattina presso il giudice della Contea. Potete tirar fuori su due piedi cinquemila dollari? C'è qualcuno, qui, che possa farlo?» e ci guardò uno per uno. Zia Evelyn si rimise lentamente a sedere. «Per quel che mi riguarda, neanche una locomotiva potrebbe trascinarmi via da qui, fino a che Ely non avrà avuto quello che gli spetta» dichiarò Fay Waldron. «E poi adesso siamo sull'avviso e non credo che qualcuno si azzarderà...» «Lo sceriffo ha ragione» la interruppe zio Alger. «Non capite che se tagliamo la corda ci porteremo dietro fino alla tomba il sospetto di essere assassini?» Zia Evelyn dichiarò in tono reciso che preferiva scendere nella tomba fra venti o trent'anni sospettata, piuttosto che scenderci subito con un'aureola di innocenza dietro il capo. «La notte chiudetevi tutti a chiave» consigliò lo sceriffo. «Io lascerò uno dei miei uomini nel vestibolo. Questo dovrebbe bastare. Be', non mi avete aiutato molto, oggi, ma pensateci sopra; domani mattina, quando tornerò, se qualcuno si sarà ricordato un particolare qualunque, anche insignificante...» Passò in rivista tutte quelle facce diffidenti e circospette, quindi concluse: «Bene, buona notte, gente» e si allontanò. Dorothy gli corse dietro prima che uscisse. «Un momento, sceriffo! Mia sorella è ancora... Posso andare da lei?» «No, proprio non potete, figliola, mi dispiace. È meglio che andiate a riposare. I miei uomini l'hanno già portata via.» Dorothy lo fissò negli occhi e chiese con un filo di voce: «Autopsia?» Lo sceriffo annuì, in silenzio. «Ma era proprio... proprio necessario?» Lo sceriffo annuì di nuovo e Dorothy si avviò adagio verso lo
scalone; avrei voluto correrle al fianco, confortarla in qualche modo, ma capivo che non era il momento per impersonare la parte del compagno forte e consolatore. La famiglia, più che ritirarsi, parve svanire. Nessuno augurò la buona notte, nessuno pronunciò mezza parola; il pensiero imperante doveva certo essere: "Adesso a chi tocca?" Quando io e Todd fummo soli nella nostra stanza, Todd si lasciò andare sulla poltrona e si mise a fumare una sigaretta dietro l'altra; sembrava così depresso che azzardai qualche parola e, naturalmente, scelsi quelle meno adatte: «So quello che provi. Eri innamorato di lei, non è vero?» «Innamorato? No, né lei lo era di me; o, per lo meno, non lo eravamo ancora. Forse avremmo potuto completarci a vicenda e invece non è stato così. Mildred non è mai realmente esistita perché non è mai riuscita a vivere davvero, a fare quello che voleva fare. Chi sa se insieme avremmo potuto... Poi zio Joel è morto e ha posto fine alla vita di Mildred; e forse ha rovinato anche gli altri. Come i soldatini di stagno: quando uno cade, cade tutta la fila.» Todd non si curò di sapere se lo ascoltavo e riprese a parlare a se stesso. «Il delitto è una colpa orrenda perché spezza il ritmo di tante vite. Perché...» Qualcuno bussò all'uscio con violenza, Todd andò ad aprire e Dorothy entrò; era avvolta in una vestaglia e aveva i capelli spettinati. Non l'avevo mai vista così bella. Il dolore, la disperazione possono mutare completamente un volto, conferirgli la espressione che lo rivela. «Dorothy! Debbo parlarti» disse Todd. «Sono io che debbo parlare a te.» «Sappiamo quello che provi» intervenni. Dorothy crollò tristemente il capo. «Quello che provo non ha importanza. Mildred è morta. Ero così abituata a prendermi cura di lei, a cercar di evitarle ogni amarezza che adesso mi sento sola e sperduta, senza uno scopo nella vita. Che orrore!» e spalancò le braccia, disperata. «Sono venuta a domandarti una cosa, Todd. Ma aspetta. Tu hai ucciso mia sorella. Oh, so bene che non l'hai fatto apposta. Anche se fossi stato al volante della tua macchina, in piena velocità, e lei ti fosse sbucata davanti, la avresti uccisa senza averne l'intenzione. Però lei sarebbe morta lo stesso per colpa tua.» Todd non rispose ma io dissi turbato: «Non è giusto, parlare così, Dorothy!» «Lo so. Lui ha agito solo per scoprire l'assassino di zio Joel. Lo so.
Quando tutta questa storia sarà finita e ci ripenserete» tutti e due «capirete forse quanto poco importasse sapere chi aveva ucciso zio Joel. Nessuno gli voleva bene e lui non voleva bene a nessuno; anzi ci odiava e lo sapevamo tutti. La sua morte significava la possibilità di una vita felice per tutti noi. Todd, avresti dovuto lasciar fare alla polizia.» «Quello sceriffo!» replicò Todd. «Non riuscirebbe a scoprire un elefante in una stanza.» Dorothy abbozzò un sorriso triste e disperato. «E importa poi tanto? Ci sono migliaia di assassini, in circolazione! Questo, se veramente è stato commesso un delitto, può benissimo, per quel che riguarda noi, starsene in libertà. Mildred aveva conservato il suo segreto, fino a quando sei intervenuto tu. Poi ha capito che sarebbe stata costretta a parlare e l'ha capito anche qualcun altro, qualcuno che doveva per forza farla tacere. Così invece di aiutare la giustizia, Todd, hai complicato tutto. E mia sorella, la mia povera Mildred, è morta.» Dorothy si morse a sangue le labbra. «Ecco perché voglio da voi una promessa; da tutti e due, intendo. Voglio che mi promettiate di smetterla.» Todd aprì la bocca per parlare ma Dorothy gli fece cenno di lasciarla continuare. «Vi prego, ve lo chiedo per la memoria di Mildred e perché so, sento che se seguitate a interferire...» Si interruppe come per cercare le parole. «Sento che qualcun altro farà la fine di Mildred; e non avrei la forza di sopportarlo.» Uh lungo silenzio seguì le sue parole; io aspettavo che parlasse Todd e Dorothy anche, ma lui era immobile, con la sigaretta quasi incenerita tra le labbra. «Promettete?» chiese Dorothy. La cenere cadde silenziosamente in terra e Todd la guardò pensieroso; poi sorrise. «Perché no? Come hai detto tu, io e Alan non abbiamo fatto una gran riuscita come investigatori. Mi ritiro.» «Volevo sentirtelo dire.» La voce di Dorothy si era fatta meno tesa. «E tu, Alan?» «Anch'io, certo. Se Todd è d'accordo... Il capo era lui.» «Buona notte, allora. E ricordatevi che avete promesso di non offrirvi come bersagli.» La porta si chiuse dietro di lei. Todd si abbandonò di nuovo sulla poltrona e accese un'altra sigaretta; io non trovavo nulla da dirgli forse perché, in un certo senso, mi aveva deluso, abbandonando così presto la lotta. Inoltre, sospettavo che la preghiera di Dorothy derivasse dalla paura che Todd fosse minacciato da un perico-
lo. Mi spogliai e mi ficcai a letto mentre Todd misurava la stanza a grandi passi; dopo poco mi chiese: «Mi avevi detto che hai del cognac nella valigia?» Sorpreso, gli indicai dove era la bottiglia; si versò tre dita di liquore, lo bevve d'un fiato e ne versò un'altra dose. «Bevi, Alan, ti aiuterà a dormire, mi sembri abbastanza depresso. Vado a letto anch'io, domattina voglio alzarmi presto.» Quando spense la luce io mi stavo addormentando. Sogni... Sogni interminabili... L'ultimo, il peggiore, fu quello in cui fuggivo attraverso una brughiera inseguito da un enorme cane da caccia nero; e i maledetti cacciatori lo aizzavano con i loro fischi... Mi svegliai con l'eco di un fischio nelle orecchie; il fischio era reale, però, ma Todd parve non sentirlo perché non si mosse nel letto; mi alzai in silenzio e mi avvicinai alla finestra. Il fischio si ripeté. Una nebbia abbastanza spessa alterava i contorni delle cose. Per qualche minuto, malgrado il freddo, rimasi alla finestra; quando stavo per ritirarmi e ritornare a letto mi parve di veder qualcosa muoversi in un punto della collina. Un colpo di vento diradò la nebbia e allora vidi meglio: vidi la figura di un uomo con un lupo di fronte; l'uomo gli si avvicinava ed ebbi l'impressione che gli parlasse. Mi volsi verso il letto di mio cugino: «Todd, svegliati!» Nessuna risposta, e improvvisamente mi accorsi che non udivo il respiro di Todd; corsi al suo letto, volli scuoterlo per le spalle ma con mio grande stupore scoprii che Todd non c'era affatto; un cappotto arrotolato sotto le coperte, un berretto sul cuscino, seminascosto dal lenzuolo, simulavano la presenza di un corpo. Guardai l'ora sul quadrante luminoso del mio orologio: le tre e venticinque. Va bene che Todd aveva parlato di alzarsi presto; ma non era una esagerazione, alzarsi a quell'ora? 10 La scoperta che Todd se ne andava vagando per casa mi lasciò abbastanza perplesso. Il buon senso mi suggeriva di infilarmi di nuovo sotto le coperte ma la curiosità mi spingeva a muovermi anche se la presenza del fantoccio nel letto di Todd diceva chiaramente che mio cugino preferiva nascondermi la sua scappata. Proprio per questo sentivo il dovere di non lasciarlo solo. Cercai la mia torcia elettrica sulla scrivania, ma doveva averla presa
Todd perché non c'era più; mi vestii in fretta e uscii dalla stanza; per una ragione o per l'altra «forse a causa della generosa dose di cognac» mi sentivo quanto mai audace e non intendevo essere sopraffatto, come la povera Mildred, dagli incubi, né tantomeno lasciarmi intimidire da discorsi su proiettili d'argento e lupi mannari! La casa era nera come la pece e silenziosa come una tomba; nessuna luce sotto le porte, nessun bisbiglio nelle stanze. Muoversi in quel buio era come muoversi in un elemento solido. Mi avviai lentamente verso lo scalone mentre i miei occhi cominciavano a poco a poco ad abituarsi all'oscurità. Purtroppo la mia carica di coraggio cominciava a svanire; avrei desiderato aiutarmi accendendo la mia fedele pipa, ma trovai l'idea poco opportuna per svariate ragioni. È strano constatare come siano le inezie che mutano il corso degli eventi: se mi fossi ricordato di infilarmi le giarrettiere, tutta questa storia sarebbe quasi certamente stata diversa; invece avevo arrotolato i calzini appena sopra le scarpe e quando giunsi al principio della scala avvertii improvvisamente un soffio di aria gelida sulle caviglie. Molto strano, perché la corrente non proveniva dal corridoio da cui ero appena uscito, né da quello di destra che portava all'ala disabitata. Alzai gli occhi verso la scala che conduceva alla cupola e alla sala da biliardo, capolavoro del genio architettonico di mio zio, quella era una delle parti di Prospice mai terminate, dalle pareti ancora senza intonaco e priva di impianto elettrico. Eppure il vento proveniva senza alcun dubbio da lassù. Pensai che Todd, per qualche scopo suo personale, fosse andato a esplorare quella regione abbandonata e avesse aperto una finestra; cominciai a salire la scala, attento a non fare il minimo rumore. Giunsi così alla porta di quel salone inutile e ridicolo che zio Joel aveva ritenuto indispensabile in una casa come si deve, indispensabile come l'organo che né lui né la zia sapevano suonare. La porta era chiusa; strano, perché massiccia com'era, non poteva lasciar filtrare correnti d'aria; girai la maniglia, la porta si aprì e una folata di vento mi investì. Non riuscivo a vedere che la sagoma rettangolare di due finestre. Oltrepassai la soglia e chiusi la porta; per un momento immaginai che qualcuno fosse in attesa nella stanza... «Todd» sussurrai, ma non ebbi risposta. Trovai in tasca un fiammifero e lo accesi contro una parete; la mia fantasia eccitata mi mostrò due bare gigantesche appoggiate su due catafalchi. Naturalmente si trattava di due tavoli da biliardo coperti da pesanti tappeti. Sulla parete di fronte, una delle due finestre era spalancata e sul pavimen-
to, proprio sotto la finestra, vi era un pezzo di stoffa bianca su cui spiccavano, anche alla fioca luce del fiammifero, sinistre macchie rosse. Il fiammifero si consumò e il buio divenne più fitto di prima; ma sapevo in che direzione era la finestra aperta e, passando tra i due biliardi, riuscii a raggiungerla. Tutta la mia attenzione era tesa verso quel pezzetto di stoffa macchiata; lo cercai a tentoni sul pavimento, lo trovai, lo raccolsi. Non avevo un altro fiammifero; mi sporsi fuori dalla finestra; oltre la nebbia color d'argento doveva esserci la luna perché a un tratto un pallido barlume dì luce mi permise di capire che avevo in mano un fazzoletto da donna bordato di pizzo. Notai anche la parte superiore di una scala a pioli che poggiava con l'altra estremità nel giardino delle rose. Una ridda di pensieri mi attraversò la mente: il pupazzo nel letto di Todd, altri cento particolari... Forse Todd aveva scelto quella via per fuggire con Dorothy? Un'idea ridicola, naturalmente! Tutte e due le porte di ingresso di Prospice, quella principale e quella posteriore, erano chiuse da pesanti serrature e catenacci ma chiunque, da dentro, poteva aprirle e andarsene per i fatti suoi. Eppure qualcuno aveva scelto quella via insolita per uscire. Una cosa insensata, pazzesca. Ero fermo davanti alla finestra; fissavo il leggero chiarore della luna tra la nebbia e tentavo di spiegarmi la presenza di quella scala; a un tratto sentii uno scricchiolio dietro di me, mi volsi: «Sei tu, Todd?» Nessuno mi rispose; immediatamente dopo mi trovai immerso nel buio, uno strano buio che mi immobilizzò le braccia, che mi avvolse come una cortina d'oscurità improvvisamente punteggiata di stelle che giravano sempre più in fretta... Quando mi riebbi la testa mi doleva da scoppiare ed una luce fastidiosa mi feriva gli occhi. Era Dorothy, che china su di me, mi illuminava il viso con una piccola torcia elettrica. «Non sei morto, grazie a Dio» sussurrò con voce tremante. Rimasi immobile e senza parlare, mentre le visioni si dileguavano dal mio cervello come immagini di un'acqua che si vada intorbidando. Tentavo disperatamente di ricordare,.. «Chi ti ha colpito?» chiese Dorothy. Non lo sapevo. I sogni - e quali sogni! - se ne erano andati per sempre; e tuttavia sapevo che mentre giacevo tramortito sul pavimento avevo sognato la soluzione del mistero, una soluzione che quadrava perfettamente con ogni fatto e rispondeva a ogni domanda; ma ormai tutto era svanito. Co-
minciai a spiegarlo a Dorothy mentre lei mi aiutava a rialzarmi. «Non te la prendere» mi disse con tenerezza. «Meno male che ho sentito dei rumori, qui siamo proprio sopra la nostra... la mia stanza. Sono salita di corsa e ti ho trovato steso sul pavimento, mezzo avviluppato in quel telo.» Accennò alla copertura di un biliardo ammucchiata accanto a me. «Cosi, qualcuno me l'ha gettata sulla testa e mi ha colpito con una palla da biliardo. Se solo avessi potuto vederlo, quel delinquente...» «Avresti anche potuto vedere "una" delinquente. Una pilla da biliardo non è così pesante da non poter essere manovrata da una donna. Adesso ritorna a letto, qui fa troppo freddo.» La finestra era ancora spalancata. Improvvisamente mi tornò in mente il fazzoletto e chiesi eccitato: «Dov'è?» Presi la torcia dalle mani di Dorothy e diressi la luce in giro: nessuna traccia del fazzoletto orlato di pizzo; ne parlai alla mia compagna che mi aiutò a cercare. «Sei sicuro che fosse macchiato di sangue? Forse l'hai sognato.» Mi strinsi nelle spalle. Dorothy mi aiutò a scendere le scale. «Adesso va meglio, grazie.» «E sarebbe andato bene del tutto se te ne fossi rimasto tranquillo a letto, senza la pretesa di impersonare Philo Vance. E sì che avevo la tua promessa...» Le confidai che neppure Todd aveva mantenuto la sua e che io ero appunto andato a cercarlo. «Vuoi dire che Todd non è in camera?» Annuii. «Ma dov'è?» «Se lo sapessi, adesso non avrei questo mal di testa feroce.» «Dobbiamo trovarlo! Non capisci? Vedi che avevo ragione di temere che poteva accedervi qualcosa se non foste rimasti tranquilli!» e corse giù per la scala. «Aspetta, vengo con te.» Dorothy protestò, ma replicai che tanto l'emicrania non mi avrebbe lasciato dormire. Scendemmo dunque a pianterreno mentre la luce dell'alba schiariva il cielo. Tutto era silenzioso, o quasi tutto; l'unico rumore proveniva dall'individuo in uniforme disteso su due sedie a sdraio davanti alla porta d'ingresso. Russava. Catenacci e chiavistelli erano perfettamente in ordine, quindi Todd non poteva essere uscito da quella parte. «L'entrata posteriore!» mi disse Dorothy; attraversammo la sala da pran-
zo, il corridoio col telefono ai piedi del quale si vedevano ancora i pezzi di matita, simboli muti del panico di una povera creatura troppo debole di nervi. Dorothy non li guardò ma si appoggiò al mio braccio. Entrammo in cucina ed esaminammo la porta esterna chiusa da un pesante chiavistello. «Da dove può essere uscito Todd, allora?» chiese Dorothy. Improvvisamente ricordai: «La scala! C'era una scala a pioli, dal giardino alla finestra aperta della sala da biliardo. Sporgeva dal davanzale, l'ho vista prima di svenire.» «Non c'era nessuna scala, quando ho chiuso la finestra.» Restammo in silenzio, presi in una ridda di congetture. Un rumore sordo si levò dal basso. «La cantina!» Aprimmo la porta con mille precauzioni; dal fondo giungeva un odore acre di rinchiuso, ma giungeva anche un debole barlume di luce. Scendemmo. Evidentemente Todd rappresentava il cacciatore o la preda e dovevamo scoprirlo. Oltrepassammo mucchi di legna da ardere, attraversammo la cantina dei vini e poi stanze che si aprivano su altre stanze, tutte ingombre di scatole, barili, cassette. Di nuovo un bagliore di luce, poi il rumore di un corpo metallico contro la pietra, poi di nuovo silenzio. Qualcuno aspettava... Ascoltava. Stavamo andando in cerca di guai e per di più disarmati. Dorothy ebbe la presenza di spirito di gridare: «Pronto con la pistola, finché faccio luce.» Per poco non rovinavo tutto chiedendo "quale pistola?" ma proprio allora scovammo la preda, un uomo uscì da dietro un pilastro e urlò: «Fermi là, voi due!» Era Todd, sudicio di polvere, di ragnatele e di sudore. «Mi avete fatto prendere un colpo. Meno male che ho riconosciuto subito la voce di Dorothy.» Si accorse della nostra perplessità. «No, non stavo dando la caccia a qualcuno, cercavo solo di individuare i fili degli apparecchi telefonici.» Replicai che in casa c'era un solo apparecchio, quella fuori della cucina. «Così sembrerebbe» replicò Todd. «Ma mentre parlavo con zia Evelyn» una delle telefonate su cui facevo tanto affidamento «ho sentito un clic come se qualcuno appendesse un ricevitore; eppure zia Evelyn era ancora in linea. Sicché questa notte, visto che non riuscivo a dormire, mi sono detto che, seguendo il filo, avrei potuto scoprire in quale stanza si trovava l'altro telefono.» «Ebbene?» chiese Dorothy. «Una derivazione c'è; il punto di giunzione con la linea principale è lag-
giù, nascosto dietro una trave. Ho seguito il filo che sparisce dentro il muro esterno.» Guardammo anche noi: era esatto. «Quando sapremo dove va a finire questo filo, mi sa che avremo fatto un bel passo avanti. E sarebbe anche ora.» Prese in mano il filo. «Ecco, è qui che entra nel muro.» «Tira» gli dissi. Todd dette uno strattone e il filo gli rimase in mano, un paio di metri circa; l'estremità era nettamente tagliata. «Qualcuno che tira a fregarci» suggerì Dorothy dopo un momento. Nulla da fare. Quel filo poteva condurre al garage, o fuori, o a una stanza della casa, ma un coltello o un paio di forbici l'avevano reciso sulla soglia della verità. «C'è qualcuno che ci precede ogni volta. Avrei dovuto seguire il tuo consiglio, Dorothy.» Todd era demoralizzato, doveva aver fatto un grande affidamento su quel filo. Mi venne un'idea improvvisa: «Forse non hanno fatto in tempo a sbarazzarsi dell'apparecchio collegato a questo filo. Perché non cerchiamo in camera loro?» «In camera di chi?» «Ma dei Waldron, naturalmente! Tutto combina. Quello che abbiamo udito in camera loro, il fatto che Ely abbia mentito affermando di aver visto l'incendio dalla sua finestra; e poi...» Mi interruppi per raccogliere le idee. «Ricordate che Fay ha scritto una lettera molto voluminosa, il pomeriggio dell'incendio? Darei parecchio per conoscere l'indirizzo di quella lettera.» Todd osservò che quell'indirizzo lui lo conosceva: «Fay Waldron mi dette da impostare la lettera, la mattina dopo, quando andai a Los Angeles; era indirizzata al dottor Peabody della clinica Sevenoaks, Sacramento. È una clinica per malattie nervose.» «Malattie nervose!» ripeté Dorothy sorpresa. «Ti risulta che Fay abbia un pazzo in famiglia?» Né io né Todd lo sapevamo. Risalimmo delusi nel vestibolo. «Un altro fiasco» borbottò Todd. «Voi due avete complicato le cose, però una piccola traccia l'abbiamo.» «Quale traccia?» «I fiammiferi. Questa notte, prima di scendere in cantina, ho avuto una buona idea per controllare le mosse del parentado. Lo vedete quel fiammifero?»
Alla smorta luce dell'alba vidi un fiammifero dritto contro la porta della stanza di zio Alger e di suo figlio Eustace. «Il bello del sistema-brevettato-Cameron è che nessuno può aprire la porta senza lasciare una traccia; e - particolare della massima importanza nessuno può accorgersi della traccia lasciata.» «Quindi né zio Alger né suo figlio mi hanno picchiato in testa» conclusi, e Todd fece un cenno di assenso. «E non sono stati loro a tagliare il filo» aggiunse Dorothy. Di fronte, dall'altra parte del piccolo atrio, s'apriva la stanza di zia Evelyn e di Mabel; anche qui il fiammifero era in piedi in fondo alla porta. Quello appoggiato all'uscio della stanza di Dorothy era naturalmente caduto sul tappeto. «Be', procedendo per eliminazione» sussurrai «i Waldron...» «Elementare, Watson!» elementare! «concluse Todd.» Ci dirigemmo verso la porta dei Waldron; con mio sommo stupore, il fiammifero era al suo posto. «In che modo si potrebbe rimetterlo in piedi, dopo averlo fatto cadere?» chiese Dorothy dopo un momento. Todd crollò il capo: «Non si potrebbe, da dentro. E sono dentro tutti e due. Sentite?» Si poteva udire chiaramente, appoggiando un orecchio all'uscio, il respiro regolare di Fay e quello rumoroso e sbuffante di Ely. Nessuno era uscito da quella stanza, ovviamente, visto che i due Waldron erano inequivocabilmente nelle braccia di Morfeo, o come diavolo si dice. Niente da fare, ci trovavamo al punto di prima. Notai che Dorothy, avvolta in uno straccetto di seta, rabbrividiva. «Perché non torni a letto?» dissi. «È appena l'alba.» «Alan ha ragione» aggiunse Todd. «Mi dispiace che questa notte tutto sia andato a rovescio. Avevo proprio sperato dì acciuffare l'assassino della piccola Mildred e vi assicuro che per me sarebbe stata una vera gioia mettergli le mani addosso.» Dorothy, che si stava avviando verso la sua stanza, si fermò di colpo. «Todd, vuoi rispondere a una domanda?» «Ma certo. Di che si tratta?» Era in preda a una profonda eccitazione che non riuscivo a spiegarmi. La sua voce suonò bassa e tesa: «Volevi bene a Mildred, ma bene sul serio?» «Oh, io...»
«La verità, ti prego. È importante, Todd; non si tratta di curiosità, te lo assicuro.» «La risposta è no» disse semplicemente Todd e io vidi che Dorothy traeva un profondo respiro. «Avrei potuto innamorarmi di lei e lei avrebbe potuto ricambiarmi. Forse col tempo, forse...» Fece un gesto vago con la mano. «Volevo saperlo con certezza. Grazie, Todd. E buona notte, buona notte a tutti e due.» Mi posò una mano sul braccio. «Ti duole ancora la testa, Alan?» «No.» Era vero; sentivo, sì, dolore, ma non alla testa. Avevo avuto in quel momento la certezza che Dorothy era perduta per me. Quando si rivolgeva a Todd, nei suoi occhi brillava una luce che per me non compariva mai. Con me era molto carina, molto carina e gentile, ma tra lei e Todd, anche nei momenti di antagonismo, fluiva una corrente invisibile ma reale. «Buona notte, Dorothy» dissi mentre lei entrava in camera. Todd e io, quando restammo soli, non scambiammo una parola; lui appariva immerso nei suoi pensieri e io - a parte le mie preoccupazioni per Dorothy - ero angustiato da un altro sentimento: passando la soglia della nostra stanza avevo visto un fiammifero rovesciato, segno che mio cugino non si era fidato neanche di me. Todd si gettò vestito sul letto e si addormentò quasi subito, ma io non ci riuscii; e mi venne in mente che anche Dorothy avrebbe stentato a dormire. Era sola, così sola, adèsso, priva della sorellina che aveva guidata e protetta per tanto tempo, combattuta fra l'amore che provava per Todd e l'affetto che l'univa a me. Io ero senza dubbio innamorato di lei, non potevo più nasconderlo a me stesso, ma si trattava più di un sentimento cerebrale che di una passione e capivo che il cuore di lei la trascinava quasi suo malgrado verso Todd. Quando Mildred era viva, Dorothy non si sarebbe mai permessa di sognare questo amore; ma adesso tutto era diverso. Vedevo il quadro ben chiaro: l'unico intralcio a questa intesa era uno scapolo di mezza età, niente affatto brillante e avventuroso, un topo di biblioteca pieno di buone intenzioni che si chiamava Alan Cameron. Certo Dorothy provava pena all'idea di darmi un dolore. Decisi improvvisamente di prendere il toro per le corna e di compiere un bel gesto. Se dicevo a Dorothy che avevo capito, che volevo solo la sua felicità e che poteva da ora in poi contare su di me come su un amico leale e devoto che augurava a lei e a Todd tutta la felicità che meritavano... Uscii nell'andito; ero stordito dalla stanchezza di una notte insonne e
dalla decisione di compiere un gesto vagamente ottocentesco. Bussai alla porta di Dorothy. «Chi è?» Aprii la porta con impeto; Dorothy, ancora in vestaglia, era accanto al comodino e si mosse lesta per venirmi incontro. «Dorothy, se è Todd che... non voglio che tu pensi... che tu creda di essere in qualche modo...» «Va a dormire, Alan! Ti prego, per questa notte la tua dose di emozione l'hai avuta. Adesso va.» Mi sfiorò le labbra con le sue e fu un bacio dolce, impaziente, frettoloso; poi mi chiuse quasi la porta in faccia. Tornai in camera mia: me ne ero andato in fretta, ma non tanto da non vedere che Dorothy stava bruciando nel portacenere un pezzetto di stoffa; la stanza era piena di un odore acre. Ecco dunque come era finito il fazzolettino macchiato di sangue. 11 Nella mattina caliginosa, sotto un cielo pieno di nuvole, il vento salso soffiava gelido dal mare; Ely Waldron, sedendosi a tavola per la prima colazione, attaccò un lungo monologo di carattere meteorologico. Si avvertiva a Prospice un netto cambiamento di atmosfera, una tensione generale simile a quella che, si dice, precede di solito un terremoto. Era il ventisette di dicembre. Sentivo - e penso che anche gli altri lo sentissero - che il mistero incombente su di noi si avviava verso l'inevitabile soluzione. L'inchiesta per la morte di zio Joel doveva aver luogo nel pomeriggio e si sarebbe svolta a Prospice; per il momento era in esame solo il caso Cameron; il suicidio di Mildred aveva avuto appena qualche eco sui giornali e tutti noi facevamo a meno di parlarne. Non si trattava di indifferenza, da parte nostra, ma nell'atmosfera artificiosa e convenzionale che ci gravava addosso, densa dì troppe domande senza risposta, nessuno riusciva ad assumere un atteggiamento di dolore e di rimpianto. Eppure il fantasma di Mildred era sempre fra noi come una pallida, disperata ombra spettrale. Todd, credo, avvertiva più di tutti questa presenza. Fino alla scoperta del corpo esanime di Mildred tutto era proceduto in maniera abbastanza normale, senza una dose di sospetto o di imbarazzo maggiore di quella che ci si poteva aspettare, data la situazione. Cercavamo di tirare avanti alla meglio, convinti che in un giorno o due le cose si sarebbero messe a posto permettendoci di partire per le rispettive
destinazioni con un rilevante assegno in tasca. Fino alla morte di Mildred la nostra permanenza a Prospice, se non proprio piacevole, era stata tuttavia sopportabile: la morte, e tanto meno il delitto, non si erano ancora manifestati chiaramente; e il sospetto, per quanto fondato, è ben diverso dalla certezza. Quando mi ero alzato, quella mattina, Todd era già uscito dalla stanza, il che non mi dispiacque; avevo la netta percezione che sia Todd che Dorothy si fossero comportati in modo difficile da spiegare; poteva darsi benissimo che fosse stato Todd a gettarmi addosso la coperta da biliardo; e in quanto alla mia graziosa cugina, come ignorare che aveva nascosto e poi bruciato il fazzoletto macchiato di sangue? Non riuscivo a dare un significato al suo modo di agire, però mi sembrava chiaro che Mildred non doveva essere morta a causa della caduta - malgrado la convinzione generale se era stata lei a lasciare il fazzoletto nella sala da biliardo. Il dottor Eckersall non era d'accordo con me; lo trovai in salotto, intento a impartire ordini a un tale che disponeva file e file di sedie. «Se è morta per la caduta dalla finestra?» proruppe allorché azzardai una timida domanda. «Ma certo che è morta per quello; un salto di quel genere basta e avanza, e se non ci credete provate a buttarvici voi, da quella finestra! Posso sbagliarmi quando si tratta di cenere, frammenti di ossa e roba del genere, ma in fatto di autopsie su cadaveri sani non ho niente da imparare da nessuno.» «Niente tracce di veleno, allora?» «Veleno?» e mi fissò accigliato. «Perché poi...» «O una ferita di qualsiasi genere?» «Nessuna ferita!» tuonò Eckersall strofinando vigorosamente le lenti degli occhiali e poi fissandomi come se fossi stato uno strano insetto dietro la lente del suo microscopio. «E in quanto al veleno...» Si interruppe di colpo e il suo viso si rischiarò: «Siete uno scrittore, non è vero? Ah! Il veleno misterioso delle frecce indiane! Cadaveri pugnalati, decapitati, morsi dai cobra, pieni di arsenico fino al collo! Scrittori, bah!» e inforcò deciso gli occhiali. «Noi lavoriamo su fatti concreti, mio caro signore!» Avevo tutta l'intenzione di rivelargli un fatto concreto - il fazzoletto macchiato di sangue - ma lui non me lo permise. «In ogni modo, l'inchiesta di oggi non riguarda la morte della ragazza. A meno che la giuria non si convinca che il vecchio sia morto per mano della nipote Mildred Ely, la quale abbia poi confessato la sua colpa col suicidio. Non abbiamo ancora esaminato il caso, naturalmente; ma ci vuol altro per
addebitare alla ragazza la morte di Joel Cameron. Per cui...» il dottore si strinse nelle spalle, ma mi richiamò mentre stavo allontanandomi: «Un momento!» Si frugò in tasca e ne trasse un pacchetto di lettere legato con uno spago. «Il postino mi ha chiesto il favore di portarle qui; nessuno di voi ha pensato a ritirare la posta, da quando è cominciato questo carosello.» Presi le lettere e mi diressi verso la biblioteca; non vi era neanche un biglietto, per me; la mia governante si era ben guardata dal darmi notizie di Brownie. La prima lettera era indirizzata a Fay Waldron e proveniva dalla clinica di Sacramento; qualche giornale a fumetti per Eustace, una dozzina di cartoncini natalizi per zia Evelyn e diverse circolari per il defunto zio. Misi tutto da parte tranne una lettera; mi armai di un tagliacarte di avorio e mi accinsi ad aprire una lettera che non mi apparteneva; sentivo che non avrei trovato pace fino a che il mistero non fosse stato chiarito. "Signora Fay Waldron", recava l'indirizzo; Fay non mi avrebbe mai perdonato un'azione simile, se prendevo un granchio; ma questo pensiero non mi impedì di inserire la punta del tagliacarte sotto la chiusura della busta. «Fermati!» mi gridò una voce all'orecchio; mi voltai e vidi Todd. «Non farlo; riusciremo a leggerla in qualche altro modo; se la apri, metterai Fay in guardia. Qualcos'altro di interessante, nella posta?» «Solo auguri di Natale e qualche circolare pubblicitaria; ah, un conto per zio Joel, ma i conti interessano solo l'eventuale esecutore testamentario.» «Cioè tu o zio Alger. Un conto di chi, Alan?» Guardai la busta. «Di un dentista.» «Strano. Quel tale Cohen mi ha detto che zio Joel non aveva mai, prima dell'ultimo semestre, ritirato più di metà della sua rendita, mentre questa volta se l'era fatta consegnare intera. E non ha certo impiegato quella somma per pagare i suoi conti. Se... Aspetta! Aspetta un momento!» Gli occhi di Todd parvero schizzargli dalle orbite. «Come si chiama quel dentista, Alan? Svelto!» «È un dentista di Laguna Beach. Dottor L.L. Garvey. Sembra che zio Joel gli dovesse sessanta dollari dall'anno scorso.» «Secondo te, niente altro di interessante nella posta, vero? Bravo! Niente altro, tranne quel che stiamo disperatamente cercando da tre giorni: la prova che zio Joel è morto!» «Ma...» cominciai. «Non ci arrivi? Ricordati la mandibola e i denti otturati, vale a dire gli
unici resti mortali dello zio. Abbiamo messo le mani sul solo essere umano al mondo capace di stabilire se quella otturazione era stata fatta sui denti di zio Joel. Andiamo.» Incontrammo Eckersall sulla porta. «Uscite?» ci chiese. «Non dimenticate di essere qui alle due, per l'inchiesta.» «Se tutto va bene» replicò Todd «saremo qui alle due "con" l'inchiesta!» e salimmo in macchina. Giunto nella parte bassa di Cameron City, Todd deviò bruscamente con un gran stridore di freni e grave danno per il mio sistema nervoso. Ebbi la rapida visione di un animale peloso che spari in un cespuglio reggendo tra i denti quel che mi parve una scatola di carne e fagioli. «La gente dovrebbe sorvegliare meglio i suoi cagnacci ingordi» brontolò Todd. Proseguimmo giù per la collina, poi imboccammo l'autostrada e mezz'ora dopo eravamo a Laguna. Parcheggiammo la macchina dietro una spettacolosa Rolls bianca ed entrammo in un portone su cui spiccava una targa lucidissima, evidentemente nuova: "Studio Dentistico Dott. Garvey". Il fabbricato era piuttosto vecchio e nemmeno troppo pulito; salimmo al primo piano ed entrammo in una piccola sala di aspetto dove tre uomini in tuta stavano sistemando un grande tappeto, nuovo e di valore, sul pavimento di linoleum assai malridotto. Contro la parete di fronte, dietro una scrivania moderna e lucida su cui posavano tre telefoni color pastello, stava seduta una ragazza molto bionda e molto carina, vestita da infermiera. Se non era proprio nuova come il tappeto e la scrivania, era però assai bene restaurata; una bella pelliccia copriva la spalliera della sua sedia. La ragazza ci sorrise. «Avete un appuntamento?» Todd rispose sì prima che io dicessi no; la bionda consultò un'agenda dai molti spazi bianchi. «Non mi sembra di aver segnato... Ma parlerò col dottore. Che nome, prego?» «I nostri denti sono a posto» replicò Todd. «Non si tratta di una visita professionale. Volete annunciare al dottor Garvey che il signor Cameron... i signori Cameron, anzi, desiderano parlargli?» La ragazza stava sollevando il ricevitore di uno degli apparecchi quando si aprì una porta da cui uscì un uomo di mezza età, snello e ancora ben prestante. Il dottor Leonard Garvey, con la sua barbetta a punta e la sua aria
distinta, nel camice immacolato, sembrava il protagonista di uno sketch pubblicitario: "I più noti specialisti di tutto il mondo consigliano il dentifricio..." Ebbi l'impressione di averlo già visto, impressione molto frequente in California dove, quando ci si imbatte in un viso familiare, ci si rende poi conto che la conoscenza è unilaterale, limitata cioè alla visione di un film. Ma il dottor Garvey non era un attore cinematografico, sebbene sembrasse un personaggio di "Uomini in bianco" o di "Vita del dottor Pasteur". «In che cosa posso esservi utile, signori?» chiese sorridendo. «Dovreste dare un'occhiata a un paio di denti» rispose Todd. «Oh!» intervenne l'infermiera. «Mi era parso...» «Non li ho con me» seguitò Todd. «Li ha lo sceriffo di Oceanside.» «Scusate, signori, ma sono piuttosto occupato e non ho tempo...» «Si pensa che i denti in questione siano tutto quanto resta di nostro zio Joel Cameron. Non leggete i giornali?» «Come? Ah, sì, ho sentito qualcosa su quel poveretto. Ma in questi ultimi giorni ho avuto una tale quantità di lavoro che non ho potuto seguire...» «Registrate le cure a cui sottoponete i vostri pazienti, non è vero?» lo interruppe Todd. «Voglio dire, prendete nota del genere di lavori che fate ai loro denti.» Il dottor Garvey ci informò che i suoi registri erano in perfetto ordine. «Allora potrete riconoscere quei denti. Vedete, dovremo pure seppellirli, prima o poi, e sarebbe bene sapere con certezza che nome scrivere sulla cassettina.» Il viso del dottor Garvey si atteggiò a una smorfia e poi ridivenne sorridente: «Non mi piace interferire... Se lo sceriffo avesse bisogno di me, sono certo che mi chiamerebbe.» «Consideratevi pure impegnato dalla famiglia Cameron» replicai. «Il vostro onorario, per il tempo che ci dedicherete, sarà...» «Certo, certo!» annuì il dentista. «Wilma, la cartella del signor Cameron, per favore.» L'infermiera sfilò una custodia di cartone da uno scaffale; il dottore inforcò un paio di occhiali a pince-nez, guardò la cartella, fece un cenno di assenso. «Volete che venga con voi a Oceanside?» «Sarebbe meglio; e al più presto, anche.» Il dentista si sfilò in fretta il camice e l'infermiera gli porse una giacca dal taglio perfetto.
«Volentieri. Andiamo pure. Seguirò la vostra macchina con la mia.» Tutto era stato molto semplice. A metà scala il dottore si fermò: «Aspettate un momento; sarà meglio che porti con me le radiografie, se debbo identificare il vostro prezioso resto.» Corse su per le scale e ritornò poco dopo con una piccola busta in mano. Aveva avuto il tempo di racimolare anche un paio di capelli lunghi e biondi che gli pendevano sul viso, impigliati nella molletta del pince-nez. Salì in fretta sulla scintillante Rolls bianca. «Arrivederci nell'ufficio dello sceriffo!» ci gridò e sparì alla nostra vista a una velocità da primato. «Ecco dove ho visto il dottore! Adesso ricordo» esclamai soddisfatto. «Proprio su questa strada, la vigilia di Natale, mentre facevo salire in macchina Dorothy e la povera Mildred. Il dottore mi superò lanciandomi una occhiata molto comprensiva per via delle due ragazze che caricavo.» «C'era l'infermiera con lui?» «Non ricordo. Però la macchina non era la stessa. Anche quella verniciata di bianco, ma di vecchio modello e piuttosto malandata.» Ci dirigemmo verso Oceanside a una velocità proibitiva che mi mozzò il fiato dalla paura, ma, quando ci fermammo davanti all'ufficio dello sceriffo Bates, il dottor Garvey ci attendeva accanto alla sua Rolls con in bocca un sigaro di cui aveva già fumato una discreta parte. Lo sceriffo non parve molto contento di rivederci e si rivolse particolarmente a Todd: «Ancora qui? Dico, giovanotto, non avrete mica in testa un'altra idea brillante, alle volte?» Fece una breve pausa quindi si strinse nelle spalle. «Non riesco a capire perché quella poverina si sia uccisa. Ci ho pensato e ripensato e ho concluso che la ragazza non può aver assassinato Joel Cameron. Si è gettata dalla finestra per un'altra ragione. Eh, le ragazze... Lei non sarebbe mai riuscita a sollevare quella scala per appoggiarla alla finestra del garage e per sparare un colpo allo zio con un proiettile d'argento.» Il dottor Garvey, che era rimasto in disparte fino a quel momento, inghiottì a vuoto e borbottò sorpreso: «Con che cosa?» «Con un proiettile d'argento!» replicò secco lo sceriffo. «Ehi, ma voi chi siete?» Mi affrettai a fare le presentazioni, poi chiesi a Bates: «Permettete che il dottor Garvey dia un'occhiata a quella mandibola?» Lo sceriffo lo permise, poi guardò l'orologio. «L'una passata; se vi riuscisse di identificare in tempo quel benedetto
pezzo...» Si volse a Todd: «Bella idea scovare questo dentista. Sì, io non avevo pensato a far ricerche a Laguna. Anche qui abbiamo buoni specialisti ma si vede che, per qualche ragione, vostro zio non se ne fidava troppo.» Todd accettò i complimenti con un modesto sorriso mentre io pensavo, un po' risentito, che il conto nella posta lo avevo trovato io. «Ecco qui il pezzo, dottore» disse lo sceriffo porgendogli una scatoletta di ebano. Tutti trattenemmo il respiro quando il dentista si curvò sul reperto; il dottore aggrottò le ciglia, crollò il capo, sbuffò... «Ebbene?» esplose infine Bates. «È di Cameron o no, quella mandibola?» «Come posso dirlo, dopo una semplice occhiata? Bisogna fare un esame minuzioso; confrontare i denti con le mie note, confrontare le lastre in pace; ci vuole un po' di calma...» «Andate in quella stanza, là nessuno vi disturberà. Ma spicciatevi, per favore, fra meno di un'ora c'è l'inchiesta!» Il dottor Garvey, un po' riluttante, venne spinto in uno stanzino con le sue radiografie e tutto il resto, dopo di che lo sceriffo chiuse la porta e si mise la chiave in tasca. «Non uscirà fino a che non potrà dire un bel sì o un bel no. Ora abbiamo una pista buona, a quanto sembra.» «Torniamocene a casa, noi due» mi sussurrò Todd. «Qui non possiamo fare niente e l'inchiesta è troppo importante per rischiare di perderla.» Tuttavia, giunti alla sommità della collina, Todd non dimostrò molta fretta di imboccare il viale di Prospice affollato di macchine dirette alla casa. Fermò invece la macchina in una viuzza laterale senza uscita e saltò a terra; scesi con lui e vidi che eravamo sull'orlo del burrone. Il rivo d'acqua piovana era sparito lasciando uno strato spesso e largo di fango giallastro fra noi e il Villino Solatio. Tutto l'insieme offriva un ben triste spettacolo di decadenza e di abbandono specie quella casetta dalle imposte sconnesse, scrostata e con le tegole a pezzi sparse tutto attorno. «Bates, una volta, ha parlato di un complice» borbottò Todd «e neppure uno sceriffo può sempre aver torto. Questo eventuale complice dovrebbe essere robusto abbastanza da sollevare una scala lunga circa dieci metri. E se è la stessa persona che ti ha colpito in testa con una palla da biliardo, non può essere un membro della famiglia. Ricordati la faccenda dei fiammiferi contro le porte!»
Non ero del tutto d'accordo con lui, ma feci un cenno di assenso. «Già, nessuno poteva uscire dalla sua stanza, aggredirmi, rientrare in camera e rimettere a posto il fiammifero. Però...» «Però che cosa?» «Però avevi dimenticato di mettere un fiammifero contro la porta degli Oviedo.» «Hai ragione! Solo... solo non credo che Oviedo e sua moglie siano colpevoli.» «Un colpevole deve pur esserci! Questo bernoccolo in testa non me lo sono mica sognato, e non può avermelo fatto un fantasma.» «Forse no e forse sì. Ci sono fantasmi e fantasmi, Alan, fantasmi veri e fantasmi posticci. Pensavo da dove poteva venire quella scatola di sardine, quella che abbiamo visto galleggiare nell'acqua la mattina di Natale. E dove quella specie di cagnaccio che abbiamo evitato prima può aver trovato una scatola di carne e fagioli.» «Credi che qualcuno viva nascosto in quel rottame di casa, nutrendosi di roba in scatola?» Todd si strinse nelle spalle: «Ho frugato inutilmente in tutte le case vuote. Certo qualcuno potrebbe nascondersi qui, ma credo che là dentro non ci viva nessuno.» «Perché no?» Ero terribilmente eccitato dalla nuova ipotesi che Todd aveva formulato. «Qualcuno potrebbe anche viverci, in quella baracca.» «Già, ma dovrebbe avere le ali» e Todd accennò alla larga fascia di fango su cui non si scorgeva la minima orma. «Qualcuno che volesse nascondersi, non potrebbe saltar giù dalla parte posteriore e risalire molto più in alto, se c'è un posto asciutto?» Todd ne dubitava, ma io insistei per esplorare le vicinanze. Da un punto della collina riuscii a vedere la parte posteriore del villino. «Todd! Corri! Qui ci sono delle orme.» Le orme infatti c'erano, ma si trattava delle orme di un cane; ritornammo davanti alla casetta che ci parve ancor più sinistra e sgangherata dopo l'escursione per i prati inondati dal sole. Risalimmo in macchina,. Eravamo digiuni, e il fatto di rientrare a casa e trovare il salotto già affollato di estranei non contribuì a sollevarmi lo spirito. Salii al primo piano nella speranza di trovare qualcuno con cui parlare, ma Dorothy era chiusa in camera e la sua voce, attraverso la porta, non mi parve incoraggiante; ebbi l'impressione, anzi, che mia cugina approfittasse della solitudine per sfogarsi con un bel pianto. Stavo scendendo quando incontrai Mabel per le
scale; mi parve assai soddisfatta che avessimo trovato il dentista dello zio. «Forse questo semplifica le cose» osservò; ma quando le parlai del fiasco relativo all'esplorazione del villino, sorrise in modo un po' sospetto. «Un cane, eh, Alan?» «Orme di cane, in ogni modo; però la bestia che ho intravisto poteva anche essere un lupo.» «Oh, l'hai vista?» e sembrò stranamente soddisfatta. «Non sapevo...» cominciò, ma si interruppe subito. «Dicono che io sia una medium, e temevo che... Be', tu mi capisci.» «No. Veramente ho paura di non capirti proprio.» «No, forse non puoi. Ma prova a pensare che nessuno ha più visto zio Joel e che... Quella bestia al suo posto! Prova a immaginare che razza di creatura può entrare da una finestra aperta, spingere una ragazza al suicidio terrorizzandola. Sicuro, e che razza di creatura è quella che gli uomini uccidono con un proiettile d'argento!» La afferrai per le spalle: «Sentimi bene; abbiamo già abbastanza guai anche senza queste complicazioni assurde. Zio Joel era un vecchio poco simpatico, ma non certo un vampiro né un lupo mannaro. I lupi mannari non rubano scatole di carne o di sardine e non picchiano la gente in testa con le palle da biliardo.» Mabel borbottò qualcosa fra i denti e io replicai che doveva esser fuori di senno. «Può darsi, Alan. È un male di famiglia. Prima zio Joel, poi Todd...» «Todd? Che c'entra Todd?» «Qualche minuto fa mi ha chiesto se ricordavo qualcosa di Gilbert, il cugino morto a Chicago, sai? Voleva sapere se era un atleta... Un sacco di discorsi strani.» «Ma perché?» «E che ne so? Mah! Poi è corso via come se avesse in mente chi sa cosa. Secondo me... Guarda! Non te l'ho detto che è suonato?» Guardai dalla finestra e vidi mio cugino attraversare il giardino di corsa, spiccare un gran salto e ricadere su un cespuglio di rose. Si alzò e ricominciò la manovra. Un sorriso soddisfatto stirò le labbra di Mabel: «Poveretto! Pensare che è ancora così giovane!» 12
Non mi sono potuto mai permettere lunghi viaggi quindi non ho mai visto il grosso carro dei sacerdoti di Visnù percorrere le strade di una città indiana tra una calca di fedeli urlanti; ma immagino che la scena, in fatto di eccitazione, di baccano e di voci convulse, sia molto simile a quella che si stava svolgendo in salotto durante l'inchiesta sulla morte di zio Joel. Debbo confessare che non ero nelle condizioni migliori per giudicare la procedura impiegata per dar corso all'inchiesta legale. Ricordo che l'ampio salone di Prospice riuniva una calca di persone piuttosto eterogenee: coltivatori di aranci, giornalisti, paesani e curiosi, curiosi... Le due prime file di sedie erano riservate ai parenti (onore piuttosto discutibile, date le circostanze e visto che tutti noi ci sentivamo, in un certo senso, sotto giudizio). La giuria era composta da cinque uomini e una donna, compreso un droghiere di Oceanside; avevano tutti un'aria sospettosa e volutamente grave. Anche l'espressione dei parenti era poco naturale. Mabel e Fay avevano fatto del loro meglio per mettere insieme un abbigliamento da lutto; Dorothy, seduta nella fila davanti a me, cercava di mantenersi rigida sulla sedia ma la curva delle sue spalle tradiva la stanchezza, l'angoscia e forse la paura. Zia Evelyn, pallidissima, sedeva in fondo alla prima fila e tormentava senza posa le sue perle con le dita; di tanto in tanto annusava un flacone di sali. Ely Waldron aveva indossato l'abito migliore che, purtroppo, era un po' troppo chiaro; zio Alger si era rasato più accuratamente del solito ed Eustace aveva spinto il suo rispetto per la giustizia fino al punto di mettersi una cravatta. Anche Jesus Oviedo era presente con sua moglie Pia che si affannava a spremere qualche lacrima dagli occhi porcini e circospetti. Fortesque Cohen, grave e dignitoso, sembrava la personificazione della Legge. C'erano proprio tutti. Anche zio Joel. Joel Cameron era presente di persona perché sulla tavola, davanti al coroner, era posato un recipiente di vetro pieno di cenere e, accanto, la scatoletta di ebano. Tutti sapevano cosa c'era nella scatola, tutti sbirciavano da quella parte con visi compunti, forse per lo sforzo di evocare alla memoria la forma e la sostanza del Reperto A„ Ricordo con grande chiarezza tutti questi particolari, anche se non prestavo grande attenzione allo svolgersi dell'inchiesta che progrediva lentamente e laboriosamente malgrado gli sforzi del dottor Eckersall che faceva del suo meglio per raccoglierne le fila. Eckersall spiegò per prima cosa che il corso normale dell'inchiesta avrebbe subito qualche alterazione a causa
dei resti frammentari a disposizione; e proprio per questo non chiedeva alla giuria di osservare il cadavere. «Ma nel corso del presente procedimento» aggiunse con una certa allegria «esamineremo le testimonianze atte a provare l'identità di questi resti umani, il modo in cui il defunto ha trovato la morte e, possibilmente, la persona o le persone responsabili della morte stessa.» Prima di seguitare, diresse un'occhiata verso la fila dei parenti; mi chiesi se avesse notato la sedia vuota al mio fianco, quella che avevo tenuta libera per Todd. «Questo non è un vero e proprio processo inteso a stabilire la colpevolezza di qualcuno; l'unico scopo della presente riunione è quello di stabilire logicamente e intelligentemente e, in base alle prove, la natura di alcuni resti rinvenuti nelle rovine del garage di Joel Cameron.» Fu chiamato a deporre il servo messicano; Oviedo, leccandosi le labbra e fissando intensamente il tappeto, raccontò come il proprio padrone fosse andato a dormire in una stanza sopra il garage all'arrivo dei suoi ospiti. Il magistrato inquirente volle sapere se il teste non aveva trovato un po' insolita quella circostanza. Oviedo ne convenne ma osservò che era anche insolito, per il suo padrone, avere degli ospiti. «Ma non sarebbe stato più facile arrangiare qualche mobile in una delle stanze da letto vuote del primo piano, invece di spostarsi nel quartiere della servitù?» «Il padrone non amava il fracasso e detestava aver gente fra i piedi» spiegò Oviedo ed era evidente che anche lui condivideva in pieno le idee del defunto. Udii zia Evelyn dire a se stessa: «Ma perché si preoccupano di queste sciocchezze? Perché non tentano di scoprire le ragioni della morte di Mildred?» Vidi Dorothy trasalire: le posai una mano sulla spalla ma lei parve non accorgersene; era lì, rigida e assente, e scuoteva il capo. La udii mormorare: «Non le avete già fatto male abbastanza? Lasciatela in pace.» Poi fu la volta di uno dei dipendenti dello sceriffo, il quale fece un lungo discorso sulle serrature e i chiavistelli rinvenuti fra le rovine. Secondo lui non c'era il minimo dubbio che la porta del garage fosse stata chiusa a chiave dall'interno. Vennero mostrati i pezzi di metallo annerito alla giuria che si mise a esaminarli attentamente.
Ora bisognava provare l'esistenza dell'incendio; pensai che la giuria poteva accertarsene su due piedi guardando in cortile. Ma questo non era il metodo preferito dal dottor Eckersall che chiamò: «Il signor Waldron, prego.» Il massiccio droghiere prese posto sulla sedia dei testimoni, placido come una mucca al pascolo. Dovette ripetere il racconto circostanziato di come aveva scoperto l'incendio, intercalando ogni tanto qualche considerazione meteorologica. E mentre stava parlando di ombre scarlatte guizzanti sulla parete e del suo precipitarsi alla finestra, vidi Todd Cameron, rosso in faccia e con la fronte madida di sudore, attraversare il salone e mormorare qualche parola all'orecchio del dottore; Eckersall aggrottò la fronte, sbuffò e si volse di nuovo verso il testimone; Todd venne a sedersi accanto a me senza staccare gli occhi da Eckersall che aveva ripreso l'interrogatorio. «Dunque, signor Waldron, avete visto i riflessi del fuoco e vi siete affacciato alla finestra da dove avete visto il garage in fiamme.» «Infatti.» «Strano! Direi quasi miracoloso!» Ely sgranò gli occhi: «Non capisco. Chiunque, al mio posto...» «Non sono della stessa idea» replicò calmo il dottore. «Dubito molto che un essere umano avrebbe potuto vedere bruciare quel garage dal punto in cui voi vi trovavate. Per la semplice ragione che le finestre della vostra stanza da letto guardano verso il mare, ossia dal lato opposto del garage.» Durante il silenzio che seguì, osservammo lo spiacevole spettacolo offerto da un uomo grande e grosso in preda a un'evidente angoscia. Ely si soffiò il naso, si sbottonò la giacca, se la riabbottonò, quindi volse gli occhi al soffitto come se aspettasse un aiuto dal cielo. «Io direi, signor Waldron» seguitò Eckersall «che voi avete scoperto l'incendio perché sapevate che c'era. E lo sapevate perche...» «Un momento!» gridò una voce rauca. Il dottore si alzò in piedi e minacciò di far sgombrare la sala se il pubblico non faceva silenzio. «Solo un minuto, signore» ripeté Fay Waldron. «Dovete ascoltarmi prima di proseguire; quindi fareste bene a chiamarmi a testimoniare.» Tutti la fissavano sorpresi. «Tu ritorna al tuo posto» comandò Fay al marito che obbedì immediatamente.
Mi aspettavo che Eckersall perdesse le staffe, ma l'ometto si accomodò sulla sedia e sorrise: «Va bene, signora Waldron, accomodatevi e diteci...» «Volevate sapere da mio marito come mai ha visto l'incendio dalla nostra camera da letto? Ebbene, ve lo dirò io. Ely non ha mai detto che era in camera quando ha visto i riflessi rossi dell'incendio; siete venuto voi a questa conclusione e mio marito, che è un uomo sensibile e bene educato, ha avuto qualche reticenza a dire di fronte a tutti che era andato nel bagno.» Tutti trassero un sospiro di sollievo mentre Fay riprendeva: «Le finestre del bagno guardano sul garage, potete constatarlo voi stesso, se non mi credete e, se andate di sopra, potete anche aprire lo sportello dell'armadietto e dare un'occhiata al barattolo del bicarbonato di soda che mio marito usa per lo stomaco. E non c'è da meravigliarsi che abbia avuto dei disturbi di digestione con la roba che ci danno da mangiare qui, piena di pepe e di chi sa che altro!» «Ecco fatto» sussurrai a Todd. «Un altro pallone che si sgonfia.» «Sembrerebbe» e Todd fissò Fay Waldron con uno sguardo leggermente ammirato, mentre lei si alzava dalla sedia dei testimoni e tornava al suo posto. La testimonianza resa dal capo dei vigili del fuoco può essere riassunta nella sua conclusione finale: "Era un accidente di incendio coi fiocchi!" Venne poi il turno del vicesceriffo che parlò delle operazioni svolte tra le rovine del garage nel pomeriggio di Natale e di come erano state setacciate le ceneri per la ricerca di resti umani. Parlò della scoperta di frammenti di ossa calcinate e dei campioni prelevati per le analisi. E parlò del proiettile d'argento. E quindi Eckersall stesso spiegò che una reazione chimica aveva rivelato la presenza di sangue umano nelle ceneri; e spiegò che uno dei pezzi di osso doveva appartenere a un braccio umano. I giurati seguivano attentamente le spiegazioni dando a vedere di essersi già formati un'idea precisa di tutta la faccenda. Guardai al di sopra della mia spalla l'avvocato Fortesque Cohen che prendeva appunti sul rovescio di una busta. Il dottore, concludendo, dovette ammettere che mancava un vero e proprio legame tra Joel Cameron e i pochi resti carbonizzati; ma la giuria era invitata a considerare che Joel Cameron si trovava nell'edificio del garage al momento dell'incendio e che l'unica persona sparita dalla Contea di Santa Felice era appunto il suddetto Joel Cameron. Anche io fui chiamato a testimoniare e venni interrogato circa i segni della scala a pioli da me scoperti sotto una finestra del garage; mentre mi
alzavo dalla sedia dei testimoni, Eckersall mi chiese a bruciapelo se possedevo o no una rivoltella. Confessai di avere una piccola calibro 22. «La tengo sempre in una tasca della macchina» spiegai. «Adesso dov'è?» «Nella tasca della macchina, suppongo. Se la tasca esiste ancora, beninteso.» Il coroner annuì, quindi spiegò ai giurati che potevano forse trarre qualche conclusione dal fatto che nessuna traccia di rivoltella era stata rinvenuta tra i resti della macchina in garage; e io mi allontanai dalla sedia con la sensazione che la giuria mi guardasse come avrebbe guardato il Pericolo Pubblico Numero Uno. Eckersall dette l'avvio al discorsetto finale. «Vorrei farvi notare, signori della giuria - ehm, e signora - la possibilità che Joel Cameron sia stato ucciso da una revolverata; mentre era chiuso a chiave nella stanza da lui scelta per un atto di cortesia verso i suoi ospiti, mentre si sentiva al sicuro dietro chiavistelli, serrature e catenacci. Forse mentre dormiva, una scala fu alzata silenziosamente fino al davanzale della sua finestra. Una persona, disperatamente ansiosa di ereditare, si arrampicò su quella scala nel buio della notte con una pistola in mano. Il rumore di vetri spezzati...» «Pennellata da maestro» sottolineò Todd sorridendo. «... e quindi uno sparo, forse quello attenuato di una pistola di piccolo calibro. Poi, mentre la vittima passava da un sonno normale a quello che non ha risveglio, il suo assassino dava fuoco alle automobili nel garage sottostante, ben sapendo che in pochi minuti le fiamme avrebbero attaccato la scorta di carburante, al primo piano, e suscitato un incendio pauroso che avrebbe distrutto qualsiasi prova del delitto.» "Questo non è il luogo né il momento di approfondire le ragioni che hanno spinto l'assassino a usare un proiettile d'argento. Forse qualcuno di voi penserà che può trattarsi di un espediente abile, inteso a lasciare nella stanza un proiettile non facilmente riconoscibile; un proiettile d'argento si può ricavare facilmente fondendo una moneta, una fibra o qualcosa di simile." «Maledettamente ingegnoso» sussurrò Todd. «Come ha fatto a pensarci da solo?» «L'assassino non voleva lasciar tracce del delitto, ma solamente suggerire l'idea di un atroce suicidio» riprese Eckersall. «Lascio alla giuria il compito di trarre le conclusioni dal fatto ovvio che una scala abbastanza
lunga da arrivare a quella finestra deve essere stata pesantissima e molto difficile da maneggiare; e quelle dal fatto non meno ovvio che ogni membro della famiglia aveva una ragione validissima per uccidere Joel Cameron, una ragione rappresentata da una considerevole eredità. Inoltre, può essere anche possibile trarre una conclusione dal fatto che ieri sera una ragazza si è suicidata in questa casa dopo esser stata avvertita per telefono che avrebbe avuto luogo un interrogatorio approfondito sull'affare del garage. Stabilito che questi resti» e indicò la tavola «sono quelli di Joel Cameron...» «Ecco il punto!» esclamò uno della giuria (il droghiere per l'esattezza). «Posso fare una domanda?» Si alzò tutto circospetto e attese il permesso di parlare. «Mi è venuto in mente... Dunque, se quei resti umani sono del signor Cameron, allora il delitto può averlo commesso una persona qualsiasi. Ma supponiamo che non lo siano? Voglio dire che se si tratta di una dì quelle frodi assicurative con sostituzione del cadavere o roba del genere, allora la cosa cambia aspetto.» «Abbiamo appurato che non esistono assicurazioni» sottolineò il coroner e guardò l'avvocato Cohen che fece un segno di assenso. I membri della giuria si misero a parlare tra loro, sicché quell'inchiesta non del tutto ortodossa rischiò di mutarsi in una conversazione fra amici. Il coroner guardò l'orologio: «Signori, sono le quattro. Se ritenete di poter arrivare a un verdetto sulla base di quanto avete saputo, benissimo; altrimenti aggiornerò l'inchiesta a domattina alle undici.» La giuria riprese a confabulare; notai che il droghiere scuoteva gravemente il capo. «Meglio metterci d'accordo subito» disse di buon grado «sulla base che qualcuno è morto, forse anche in seguito a una revolverata, e che questo qualcuno può anche essere il signor Cameron.» Il dottore si strinse nelle spalle piuttosto perplesso: «Questa inchiesta è...» cominciò, ma si interruppe e tutti vedemmo lo sceriffo Tom Bates farsi avanti di corsa seguito da un tale con una barbetta grigia e un paio di occhiali a pince-nez. «Aspetta, Sam!» gridò lo sceriffo. «Sospendi tutto!» Eckersall parve contrariato. «Vuoi venire a deporre?» «Non io, lui!» gridò ancora lo sceriffo. Il dottor Leonard Garvey occupò la sedia dei testimoni, si tolse un pac-
chetto di tasca, lo scartò e ne posò il contenuto dentro la scatoletta d'ebano posata davanti al coroner; quindi si aggiustò sulle ginocchia una cartelletta da cui trasse sorridendo vari fogli e qualche radiografia mentre lo sceriffo scambiava poche parole con Eckersall. Girai la testa a guardare la fila di visi accanto a me; gli Ely e i Cameron aspettavano ansiosi, maschere fisse che non mutarono espressione quando il dottor Garvey fu laboriosamente annunciato come dentista di fiducia del sunnominato Joel Cameron dopo la enumerazione di tutte le associazioni mediche di cui faceva parte, e delle sue qualifiche professionali. Vennero anche elencati i lavori di ricerca da lui svolti per tali associazioni. «Dottor Garvey» seguitò Eckersall con lentezza esasperante «foste consultato da alcuni membri della famiglia, quando si scoprì che eravate il dentista di Joel Cameron?» Il dottor Garvey si aggiustò il pince-nez, poi annuì. «Dietro loro richiesta avete portato con voi le vostre note e avete esaminato i resti di una mandibola umana con denti, affidatavi dallo sceriffo Bates?» «Sì.» «Nella vostra qualità di esperto medico dentista e di chirurgo della cavità orale, siete certo che si possa identificare una persona dai suoi denti?» Il dottor Garvey alzò solennemente una mano: «Senza il minimo dubbio. Non esistono due bocche uguali, come non esistono due impronte digitali uguali. Nel caso presente, io...» Eckersall lo interruppe: «Rispondete alle domande, dottore. Siete pronto a riferire alla giuria il risultato delle vostre ricerche? In altre parole, siete pronto a rispondere se i resti trovati nel garage appartengono a Joel Cameron o no?» Il salone era immerso nel silenzio più profondo, perfino Eustace aveva smesso di masticare chewing-gum; Todd era chino in avanti sulla sedia e si tormentava le ginocchia con le dita. «Certamente» rispose il dottor Garvey. «Vi sono due denti in quella mandibola mezza bruciata; meno di sei mesi fa li ho otturati entrambi; ed erano nella bocca di Joel Cameron.» Ma non era finito qui; tra le esclamazioni e i mormorii del pubblico la voce del dottor Garvey riprese a parlare: «E in quanto a questo» e il dentista prese dal tavolo il proiettile d'argento «può essere significativo il fatto che questo reperto, che lo sceriffo mi garantisce essere di argento chimicamente puro, avesse in origine una forma
diversa, più appiattita, forma ben nota a ogni medico. Parecchi anni fa si rinforzava, in caso di necessità, qualsiasi punto debole del cranio con una piastrina d'argento, argento chimicamente puro. Il centro dalla piastra veniva posato sulla parte priva di osso e le due estremità arrotondate si fissavano ai lati, quindi si ricopriva il tutto con la pelle preventivamente staccata.» «E Cameron aveva in testa una piastra simile?» chiese il magistrato. «Non ne parlava mai» sorrise il dentista. «Ma quando accennaste al "proiettile di argento", telefonai a Washington, Ufficio Pensioni di Guerra. Joel Martin Cameron, sergente della Compagnia B del Dodicesimo Minnesota, venne congedato in seguito a una ferita al cranio.» Io udii Dorothy mormorare qualche parola fra i denti; mi chinai in avanti e colsi la fine della frase: «... così si sistema la faccenda del lupo mannaro.» E si sistemavano un mucchio di altre teorie, compresa la mia. Ma finalmente, grazie al cielo, avevamo il corpo del delitto! 13 E così si concluse l'inchiesta sulla morte di mio zio Joel Cameron. La giuria emise un verdetto di morte provocata da un colpo di arma da fuoco sparato da ignoto o da ignoti. Alla lettura del verdetto Dorothy sospirò di sollievo, contenta che il nome di Mildred non fosse stato pronunciato. Eckersall ringraziò la giuria e se ne andò in fretta portando con sé i sinistri relitti di zio Joel; sembrava che lo sceriffo Bates volesse fotografarli, presumibilmente per illustrare il suo racconto destinato alla rivista gialla. Il caso era chiuso, il corpo di Mildred stava per essere spedito a Seattle senza bisogno di ulteriori inchieste. Il dottor Garvey aveva abbandonato a malincuore la sedia dei testimoni, su cui aveva rappresentato un ruolo così importante; si aggirò a lungo per il vestibolo rivolgendo complimenti galanti a zia Evelyn senza per questo trascurare di guardar con occhi ammirati mia cugina Dorothy. A un certo punto chiese: «Il funerale è fissato per domani?» «Sì. Saranno presenti solo i familiari, date le circostanze» spiegò zia Evelyn. «Ma se desiderate intervenire... Domattina alle undici, e spero che lo sceriffo rimanderà in tempo il... già, i resti. E si prega di non inviare fiori.»
Il dottore si allontanò in direzione di Laguna sulla sua spettacolosa Rolls Royce; dopo pochi minuti se ne andarono anche gli altri; tutti tranne la famiglia e l'avvocato Fortesque Cohen, visibilmente felice all'idea di tornarsene a casa; ci chiamò a raccolta nel salotto sotto lo scalone e ci annunziò che avrebbe dato il via al flusso d'oro. La proprietà di zio Joel - rappresentata principalmente da Prospice - rimaneva vincolata fino all'omologazione del testamento, ma la rendita del capitale di zia Hester era a nostra disposizione. «Ogni assegno, fino alla concorrenza di cinquemila... no, di quasi seimila dollari annui verrà debitamente onorato dalla banca. Avevo scordato che la rendita annua deve venire divisa in sette parti, invece che otto» si scusò l'avvocato. Mi accorsi che Dorothy era impallidita e quasi non si reggeva in piedi. Zio Alger sembrava perplesso: «Non capisco perché la parte di Mildred Ely non debba andare ai suoi eredi; a sua sorella, in questo caso.» Il signor Cohen spiegò che la rendita doveva esser divisa in parti uguali tra gli eredi viventi di Joel Martin Cameron e di Hester Ely Cameron. «Sicché se restasse solo uno di noi» riprese zio Alger «erediterebbe tutto?» L'avvocato annuì e zia Evelyn prese la parola. «Allora, supponiamo che uno si sia messo in testa di eliminarci tutti. Ogni decesso aumenterebbe la sua parte di rendita.» «Cara signora, esiste una legge che vieta a un assassino di ereditare dalla sua vittima. Quindi la vostra supposizione è infondata. A meno che uno fosse talmente abile da...» «Qualcuno lo è» replicò fosca zia Evelyn. Vidi che Dorothy, in piedi vicino alla porta, usciva in silenzio dalla stanza. Nessun altro se ne accorse e io decisi di seguirla. «Dorothy!» chiamai mentre si avviava verso il vestibolo, ma lei non parve sentirmi. La porta di ingresso si chiuse alle sue spalle. Uscii a mia volta e la vidi davanti al tragico cespuglio di rose, con gli occhi fissi avanti a sé. Tutto, nel crepuscolo, appariva grigio e irreale. Mi avvicinai e Dorothy si volse a guardarmi, contrariata, mi parve. «Ah, sei tu.» Le dissi che non doveva abbattersi così, che Mildred avrebbe sofferto nel vederla tanto disperata e sola. «No, Alan, non sono uscita per cercare la solitudine. Mentre eravate tutti
intenti alle parole dell'avvocato io guardavo dalla finestra e ho visto Oviedo correre in quella direzione con una corda in mano. E ho pensato che forse...» Si strinse nelle spalle. «Ma è sparito.» «Da che parte?» Dorothy indicò vagamente una macchia di arbusti sul fianco della collina, accanto al cimitero. Ci avviammo attraverso ciuffi di rovi e trovammo finalmente un sentiero. Mi interessavo poco, lo confesso, alle azioni del messicano; dopo tutto, non c'era un motivo sufficiente per incriminarlo; e una passeggiata al crepuscolo con una fune in mano non aveva, secondo me, un significato troppo sinistro; comunque, desideravo un'occasione per essere solo con Dorothy, e questa era l'unica che mi si offriva. Avevamo qualcosa da dirci, io e lei. Arrivammo davanti a un recinto di ferro arrugginito, dietro cui si levava una piramide grigia alta circa tre metri; su un lato della piramide si apriva una porta quadrata pure di ferro e, in alto, spiccava una grande croce greca. Era il cimitero di Cameron City e zia Hester riposava dentro quella piramide. Ci fermammo davanti al recinto. Dopo qualche istante di silenzio, mi decisi: «Dorothy, vorrei sapere a che punto mi trovo.» «Davanti a un ben strano mausoleo, Alan caro.» «Sai benissimo quello che voglio dire. Sento che, oltre al dolore, hai una forte preoccupazione e vorrei dividerla con te. Sei a terra, e vorrei avere il diritto di consolarti. Non ti chiedo di prendere una decisione proprio ora; desidero solo sapere... desidero che tu capisca che se tu... se io...» «Mi accorsi che Dorothy non mi ascoltava, anzi non mi guardava neppure perché aveva gli occhi fissi oltre la mia spalla, verso il cimitero abbandonato.» Se hai qualcosa da dirmi, sappi che posso capire tutto. Dorothy rispose una sola parola: «Guarda!» Mi voltai e vidi una grossa bestia nera simile a un cane ma molto più grande; un latrato sinistro uscì dalla bocca rossa dai denti grandi e candidi; e quando quella bocca diabolica riprese a latrare, lo fece in modo terribile. «È un lupo» ansimai guardandomi intorno per cercare un bastone o una pietra. «Già, un lupo col complesso di inferiorità; vale a dire un coyote.» Avrei dovuto accorgermene anch'io. Il coyote sembrava interessarsi a noi in modo poco naturale: quando parlavamo, muoveva la testa come una gallina, ci seguiva quando ci spostavamo, per nulla disturbato dall'odore
umano. Raccolsi un ciottolo e glielo tirai, ma sbagliai la mira. «Vattene! Gira al largo!» gridai. «Pussa via, si dice» suggerì Dorothy. Trovai un sasso più grosso e lo scagliai con forza; il coyote partì al galoppo, poi si fermò di colpo, si sedette sulle zampe posteriori e riprese ad abbaiare alla luna sempre guardando dalla nostra parte. «In due stiamo bene, in tre siamo un po' in troppi» osservò Dorothy sorridendo. «Torniamo indietro» e cominciò ad avviarsi lungo il sentiero. La bestia ci seguì a rispettosa distanza. «Si tratta di pura e semplice educazione: ma dobbiamo invitarlo con noi? Forse è davvero un lupo mannaro e bisogna trattarlo gentilmente, come nei film di Dracula.» «Vieni, torniamo a casa.» In quel momento vidi Oviedo venire verso di noi attraverso i cespugli, aveva una corda che gli pendeva dal polso; ci fece cenno di tacere con l'indice sulle labbra e dette inizio allo spettacolo. Lanciò in aria la fune che roteò con un sibilo sferzante; il coyote ululò e balzò in avanti, ma il laccio si strinse intorno a lui facendolo cadere. «Bueno!» esclamò Oviedo. «Bueno. Sono più furbo di Tito, io! Lui guardava voi e ha dimenticato di sorvegliare i cespugli. Sono tre giorni che cerco di acchiapparlo.» «Allora è vostra, quella bestia? È addomesticata?» «I coyotes selvatici non si avvicinano alle case» rise Oviedo. «Tito l'ho allevato io. Non è neppure capace di dar la caccia ai conigli per procurarsi da mangiare.» «Che strano cucciolo da allevare! Ma perché vi è scappato?» chiese Dorothy. «L'ha fatto scappare il signor Cameron, perché diceva che sprecavo troppa roba da mangiare.» Oviedo si avvicinò trascinandosi dietro il prigioniero. «Il vecchio era un hombre crudele, un bajo hombre. Fece scappare il mio Tito e seguitò a ridermi in faccia. Gli dissi che un giorno o l'altro avrebbe riso una volta di troppo.» La processione si avviò lentamente verso la casa: davanti all'ingresso la macchina di Bates stava a indicare che lo sceriffo era tornato con ciò che restava del defunto Zio Joel. Dorothy si strinse accanto a me e osservò: «Questo dimostra che non si debbono mai giudicare le persone a prima vista. Quel messicano è l'ultimo individuo sulla terra a cui avrei attribuito un'anima delicata e gentile; guarda tu come gli dispiaceva di aver perso il suo animale prediletto. Mi chiedo se sarebbe arrivato al punto di...» e alzò
un braccio in direzione delle rovine del garage. Ci guardammo perplessi. Il messicano ci passò davanti; aveva legato la corda al collo della bestia e la conduceva al guinzaglio; il coyote sembrava aver preso la cosa con spirito e lo seguiva senza protestare. «Oviedo, siete contento di averlo ritrovato?» chiesi. «Certo! È una femmina e avrà molto piccoli.» «Piccoli!» ripetei intenerito e guardai Dorothy. Cominciavo a provare una gran simpatia per il messicano. «Le teste dei coyotes valgono venti dollari l'una» spiegò Oviedo. «Più cuccioli allevo, più dollari ci rimedio» e si avviò verso la porta di cucina tirandosi dietro la fonte delle sue future ricchezze. Dunque anche Oviedo trovava il suo tornaconto in questo imbroglio; e ce lo trovavano zio Alger, Eustace, Mabel, Evelyn e i Waldron, perché tutti avevano un estremo bisogno di denaro. E noi tre... Io desideravo Dorothy, ma sapevo che parlavamo due lingue diverse, io e lei; sapevo di amarla di quell'amore sterile e inutile che arriva nell'autunno della vita e che cambia un uomo maturo e assennato in un ridicolo pagliaccio. Dorothy voleva... Che cosa? Forse Todd. E solo Iddio sapeva che cosa volesse Todd. Forse desiderava solo che questa faccenda si sistemasse per poter riprendere la sua vita avventurosa. Giunti davanti all'ingresso di Prospice, Dorothy si fermò. «Alan, debbo chiederti una cosa.» «Tutto quello che vuoi!» «Si tratta di Todd. Debbo assolutamente sapere... Tu puoi dirmi se era innamorato di mia sorella?» La voce le uscì di bocca soffocata. «Faresti meglio a chiederlo a lui.» «Gliel'ho chiesto, infatti, e mi ha risposto; ma non mi ha convinto. Ti assicuro che c'è un motivo che mi spinge a chiederti questo, ma forse tu non puoi capire.» «Non posso capire, vero?» «Perché se Todd era innamorato di Mildred, se si trattava di un amore vero, allora tutto è diverso.» «Non vedo perché ti preoccupi tanto; se vuoi saperlo, sono convinto che Todd ami te.» Le dicevo quello che voleva sentirsi dire e nel modo più gentile possibile. «Non vedo perché Todd non dovrebbe volerti bene e perché tu non dovresti volerne a lui. Non preoccuparti per me, il nostro idillio è stato piuttosto nebuloso. Se dovessimo passare la vita a entrare negli ar-
madi e uscirne, a spiare il nostro prossimo e a giocare agli investigatori, io sarei il tuo ideale. Ma per il resto comincio a invecchiare e ho più bisogno di una buona governante e di una buona stenodattilografa che di una moglie.» «Mi stai rendendo la libertà, Alan?» sorrise Dorothy. «Allora posso amare Todd con la coscienza tranquilla?» «Esatto.» Raggiunsi la porta che si aprì davanti allo sceriffo Bates: una luce di trionfo gli brillava negli occhi e il polso di Todd Cameron era ammanettato al suo. Tanto io che mia cugina guardammo la scena a bocca aperta. «Fatevi da parte, gente» ordinò lo sceriffo. «Sì, state sbarrando il passo a un poliziotto nell'esercizio delle sue funzioni» aggiunse Todd. Ma Dorothy non si spostò. «Che razza di sciocchezza è questa, sceriffo?» «Ho arrestato il bel damerino che ha ucciso vostra sorella. Già, e anche l'assassino di vostro zio. Infatti non avrebbe commesso il secondo delitto, se non avesse commesso anche il primo!» Alzai la voce per protestare, ma Bates continuò rudemente: «Non debbo render conti a voi. Però posso dirvi che Mildred Ely non si è suicidata. I suicidi si chiudono sempre a chiave e lasciano sempre uno scritto. Specie le ragazze.» «Oh, ma questa... Questa è pazzia!» scattò Dorothy. «No che non è pazzia. Questo bel tipo quasi me la faceva! Lui e il suo trucco del telefono per scoprire il colpevole. Ma il più furbo sono io, fino a prova contraria. Sapete che cosa ha fatto? È andato di sopra e ha scaraventato la ragazza dalla finestra. Doveva, perché lei lo aveva visto girare per la casa di notte e fare qualcosa. E sapeva anche che lei avrebbe parlato se noi l'avessimo messa alle strette. Così ha sistemato tutto.» «Sentite, aspettate solo un minuto» intervenni io. «Ero proprio qui con voi quando Mildred Ely è caduta, non ve lo ricordate? E in quel momento Todd faceva la guardia in quella lurida strada accanto al burrone.» «Lo dice lui! Ma questa casa ha una porta posteriore, no? Può essere benissimo entrato e uscito di nascosto. Ma voi non sapete tutto. Uno dei miei uomini mi stava cercando proprio da quella parte quando la ragazza è caduta dalla finestra, e non ha visto Cameron.» «Vi ho già detto che ero preoccupato per il modo con cui Mildred aveva accolto le notizie al telefono. Lasciai libera quella strada perché non volevo sorprendere mia cugina.»
«Per tutti i diavoli! Era lei che aveva sorpreso voi! Era scesa dallo scalone, quella notte, probabilmente per cercare un libro, e vi ha visto.» «Non cercava un libro» spiegò Dorothy. «Mia sorella andava in cucina a cercar qualcosa da mangiare. Lo aveva fatto anche la sera prima, lo faceva anche a casa. A tavola con gli altri, perfino con me, lasciava quasi tutto nel piatto perché le piaceva mostrarsi diversa dagli altri, più delicata. Non che questo ora importi molto...» «Benissimo, la ragazza aveva fame» convenne lo sceriffo. «Per una ragione o per l'altra scese a pianterreno e scoprì questo giovanotto intento a qualche diavoleria.» «Quando Mildred si spaventò per le scale, Todd era con me!» esclamai indignato. «Non affannatevi a creargli un alibi, signor Cameron. Non ne vale la pena. È un assassino, e se non possiamo provare che ha incendiato il garage, lo metteremo dentro per l'assassinio della ragazza. Un interrogatorio fatto con tutte le regole sistemerà l'intera faccenda.» «Benissimo, sceriffo» decise Dorothy. «Aspettatemi qui un momento e vi porterò una prova.» Corse su per le scale e ritornò subito dopo con un pezzetto di tela in mano, orlata di pizzo. Un angolo era tutto annerito. «Ho tentato di bruciarlo» confessò «ma si sentiva un tale odore!» Riconobbi immediatamente il pezzo di tessuto che avevo trovato nella sala del biliardo poco prima di cadere tramortito. «Allora l'avevi preso tu!» «Sì, Alan. Mildred l'aveva lasciato vicino alla finestra, su nella cupola. È una confessione di suicidio scritta all'ultimo momento, col materiale che la povera bambina aveva a portata di mano.» Dorothy piangeva ma trovò la forza di proseguire. «Leggete!» «Che roba è?» lo sceriffo afferrò il fazzoletto e noi fissammo le macchie rosse. «Rossetto» spiegò Dorothy. Adesso distinguevo le parole, un messaggio patetico e pietoso. "Todd caro - non posso affrontare - ... sempre amato - perdono". E in fondo un'iniziale: "M". «È la sua calligrafia» gridò Dorothy con la voce spezzata. «È il suo rossetto color geranio, è il suo fazzoletto!» Tutti fissavano Todd Cameron. «Hai trovato questo» disse in un soffio «e non me l'hai dato?» «L'aveva trovato prima Alan, ma lassù non c'era luce e non poté legger-
lo. Io lo presi dalla sua mano mentre era svenuto e me lo misi nella tasca della vestaglia. Non volevo che tu lo vedessi.» «Perché, Dorothy?» «Perché non credevo che le volessi bene. Non avevi il diritto di leggere il suo ultimo messaggio, se non l'amavi.» 14 Lo sceriffo fece un gesto vago e mostrò un completo disinteresse per una questione morale così delicata, poi si volse a Dorothy: «Sentitemi un po': cercate di sostenere che vostra sorella si è gettata dalla finestra della cupola invece che da quella della sua stanza?» «Per forza! Fra salita lassù per scoprire l'arrivo degli uomini col siero della verità. Chissà quali innocenti segreti temeva di lasciarsi sfuggire. E quando vide fermarsi la vostra macchina, sceriffo, scarabocchiò qualche parola col rossetto che aveva con sé e saltò dalla finestra.» Lo sceriffo Bates scosse dubbioso il capo. «Non ci arrivo. Perché si sarebbe suicidata, se era innocente? E la faccenda della scala contro la finestra, del colpo sulla testa del signor Alan Cameron...» «C'era un'altra persona con Alan lassù» disse Dorothy. «Qualcuno è entrato arrampicandosi sulla scala. Ho sentito il rumore. Qualcuno che ha colpito Alan.» «E chi era?» Dorothy rispose avvilita che non lo sapeva. Lo sceriffo crollò tristemente il capo, si frugò in tasca e ne trasse una chiavetta. «Che fate? Perché aprite le manette, sceriffo?» chiese Todd con una grande amarezza nella voce. «L'ho uccisa io, proprio come se l'avessi gettata dalla finestra. Quella mia meravigliosa trovata che avrebbe dovuto far cadere in trappola l'assassino! Ma perché, Dio mio...» Lo sceriffo si mise in tasca le manette. «La vostra intenzione era buona, giovanotto; tutte le nostre intenzioni sono sempre buone. Non è colpa vostra, non è colpa di nessuno.» «Non è questo, non capite?» gridò Todd Cameron con una intonazione così disperata da lasciarmi sbalordito. Ma lo sceriffo ne aveva evidentemente avuto abbastanza, per quella sera. «È inutile che io prenda uno di voi, dovrei prendervi tutti» borbottò scoraggiato «e la nostra guardina non è abbastanza grande. In ogni modo, do-
vrete abituarvi prima o poi all'idea che la vostra situazione...» Lo sceriffo fissò Dorothy. «Vostra sorella si è uccisa perché aveva incendiato il garage. Ecco perché ha scritto "perdonami". Mi sembra che il caso possa considerarsi chiuso.» E uscì. Noi tre restammo in silenzio per qualche istante, poi Todd disse: «Grazie per aver mostrato quel fazzoletto. So quanto deve esserti costato, Dorothy.» Dorothy non gli rispose e tutti e tre rientrammo per riunirci al resto della famiglia. Trovammo gli altri a tavola, talmente intenti a spendere il loro denaro (a parole, naturalmente) che non si erano neppure accorti dell'arresto di Todd. Mi sembravano tutti un po' eccitati, ma il fatto che zio Alger avesse portato su dalla cantina diverse bottiglie di vino spiegava forse il loro stato. Mabel Cameron stava dicendo, sfolgorante di gioia: «Dovete venire tutti alle nozze! Tutti. Vedrete che tipo simpatico è Edward. Abbiamo aspettato tanto, ci siamo stati costretti a causa della sua situazione familiare; ma adesso io, cioè noi, possiamo comperare un garage in una buona posizione, dove ci sia molto traffico...» Zio Alger e Eustace erano impegnati in una discussione amichevole sulla marca della futura macchina di Eustace: «Va bene, non andrai a West Point, se non vuoi andarci» diceva zio Alger a suo figlio. «Ma ricordati quello che ti dico: qualsiasi cosa succeda nel nostro paese, sarà sempre l'esercito a dare gli ordini. Se vuoi formarti una educazione correndo in macchina dietro alle ragazze di Los Angeles è affar tuo, ma bada che ti prepari il funerale con le tue stesse mani.» «Papà, voglio una Rolls o una Bentley» seguitava a ripetere Eustace senza curarsi delle massime paterne. «Andrò anche a scuola, papà, se mi comperi la macchina che dico io.» I Waldron discutevano sottovoce a una estremità della tavola; non annunciarono i loro progetti ma avrei giurato che stavano prospettandosi il brillante avvenire riservato al geniale Sidney. Zia Evelyn era la più raggiante di tutti; si alzò come spinta da un impulso improvviso, corse in camera sua e riapparve con il cofanetto dei gioielli fra le mani. «Dovete vedere tutti!» gridò al colmo dell'eccitazione e poi aprì il portagioielli con una chiavetta. Ci avvicinammo incuriositi e vedemmo che lo scrigno era vuoto. No, non vuoto del tutto perché conteneva una ventina almeno di polizze di pegno. «Una polizza per ognuno dei gioielli che possedevo. E quante pene per
non lasciarle scadere! Ma li riavrò tutti, saranno miei di nuovo!» Zia Evelyn pareva impazzita dalla gioia. «Potrò sfoggiarli a Santa Barbara proprio in piena stagione, pensate!» Dorothy mi sussurrò all'orecchio una sola parola: "Porci!" e andò a chiudersi in camera; capivo quello che doveva provare; mentre gli altri sognavano a occhi aperti, lei aveva il pensiero fisso di Mildred, della sua strana, sensibile sorellina terrorizzata chi sa da che cosa. «La capisco, ma si sbaglia» dissi a Todd. «Non sono porci, in fondo. Il denaro significa felicità per ognuno di loro; e lo sarebbe anche per noi per me, almeno - se non ci fosse la tragedia di Mildred. Troppe vite sono paralizzate e devastate dalla mancanza di denaro. Quella di Mabel, per esempio.» Todd annuì, ma io vidi che il suo pensiero era lontano; a un certo punto mi prese per un braccio, mi portò fuori dalla stanza da pranzo e mi chiese: «Alan, che cosa ricordi di Gilbert?» «Soltanto che era un ragazzo dalla moralità, come dire, problematica. Dei suoi ultimi tempi posso dirti solo che lavorava a Chicago; nel campo delle bibite gassate, mi sembra.» «Ti risulta che fosse un atleta, che praticasse molto sport?» e a un mio cenno di diniego riprese: «Non credi che fosse in grado di saltare, diciamo, circa tre metri e mezzo?» «Cosa?» «Io non ci arrivo, e sono in ottime condizioni.» Lo guardai chiedendomi se vaneggiasse, poi un'idea mi balzò improvvisa alla mente. «Il Villino Solatio!» «Già. Ma ci sono almeno tre metri e mezzo di fascia fangosa da attraversare, e orme non se ne vedono. Ci vorrebbero le ali...» «E poi Gilbert è morto gli ricordai.» Non correr dietro alle chimere, Todd! «Ce ne sarebbero due o tre da rincorrere, di chimere. Insomma, in qualche punto dell'investigazione io e tu siamo usciti di strada. Tu adesso va a dormire, io mi chiudo in biblioteca a meditare con l'aiuto della pipa.» Doveva trattarsi di una meditazione particolarmente lunga perché Todd non salì a coricarsi per tutta la notte. Mi svegliai alle prime luci del giorno e mi vestii in fretta, nervoso e preoccupato. Erano le sei passate; scesi nel vestibolo in punta di piedi e vidi una luce filtrare sotto l'uscio della biblioteca.
«Todd!» chiamai. Malgrado una notte di veglia Todd era ben desto e alacre: occhi brillanti, voce ferma. La stanza era satura di fumo. «Per l'amor del cielo, che cosa...» cominciai, e Todd sorrise. «Arrivi proprio al momento giusto, stavo per venirti a svegliare. Hai una pistola?» «Be', sì. Una piccola 22. Ce l'ho da anni.» «Ma non era nella macchina, quando si è bruciata?» Ammisi che non c'era e spiegai: «Mi sembrava inutile raccontare che me l'ero portata in camera.» «Va a prenderla.» Salimmo insieme e io trassi la piccola arma da sotto uno strato di camicie pulite. Todd la prese, aprì il caricatore e lo richiuse. «Andiamo.» Mi precedette ma si fermò quasi immediatamente. «Ho letto parecchio sulle operazioni dei "G-Men". Hanno molta fiducia nelle sortite all'alba, quando il sospettato non è in guardia. Psicologia.» Riprese a camminare per fermarsi ancora davanti alla porta della stanza dei Waldron. «Ma Todd!» protestai. «Non vedo perché...» «C'è ancora qualche particolare che mi sfugge.» Bussò alla porta che, naturalmente, era chiusa a chiave. «Aprite!» Si udì un rumore nella stanza, poi un calpestio di piedi nudi ed Ely Waldron aprì e ci stette di fronte nella sua solita e comicissima camicia da notte. Todd gli passò accanto e io lo seguii. Fay si alzò a sedere sul letto tirandosi le coperte fin sotto il collo; balbettò qualcosa di incomprensibile, esasperata dalla collera. «Che cosa è successo?» chiese Ely. «Nulla, finora, ma può succedere tutto, caro cugino.» «Che idea, precipitarvi qui» cominciò Fay. Todd, una mano nella tasca in cui sapevo che teneva la pistola, si avvicinò al letto. «Vuoi rispondere a un paio di domande? O preferisci rispondere alla polizia?» Fay disse indignata che un comportamento simile era inconcepibile e ordinò a suo marito di buttarci fuori tutti e due. Ely sedette sull'orlo del letto e rabbrividì. «Vuoi parlarmi della clinica Sevenoaks, per favore?» chiese Todd. Ely Waldron impallidì ma non rispose. Ne approfittai per fare la mia parte: «Già. E di che parlavate, tu ed Ely, quando dicevate qualcosa come "È troppo tardi per fermarci" e "Se si deve farlo, si deve farlo"? Ti ho sentito
anche dire "Non è il momento di essere sentimentali, sono anni che facevo progetti".» Ely Waldron si schiarì la gola e sua moglie ci fissò come se ci vedesse per la prima volta. «Come intendete impiegare la vostra rendita?» intervenne Todd. «Perché avete un bisogno così disperato di quei soldi?» Dopo un silenzio che mi sembrò eterno, Fay Waldron guardò suo marito. «Ely, prendi la fotografia.» Waldron aprì un cassetto della scrivania e ne tolse il ritratto del loro bambino. «Guardatelo» pregò Fay con l'angoscia nella voce. «Guardatelo.» «Non capisco...» «Ma non lo vedete? Non lo sapevate? Credevo che non ne parlaste per delicatezza. È il bambino più intelligente del mondo, è così bello e così sveglio...» Represse un singhiozzo poi seguitò: «Sidney è nato sordomuto.» Io e Todd ci guardammo. «I medici dicono che c'è una possibilità su dieci che una operazione al cervello, delicata" e costosissima, gli ridia la parola. Sentitemi bene: non mi sarei fermata davanti a nulla, per aiutare mio figlio, neppure davanti a un delitto; vi avrei uccisi tutti, se avessi potuto salvare lui. Ringrazio Dio in ginocchio che Joel Cameron sia morto e abbia reso possibile l'operazione di Sidney.» «Ma non abbiamo incendiato noi il garage» aggiunse Ely Waldron. «No» confermò Fay. «Non abbiamo delitti sulla coscienza. E adesso volete farmi il sacrosanto piacere di andarvene al diavolo?» Ce ne andammo. «Una mossa inutile» dissi a Todd quando fummo nel vestibolo. «Poveretti.» «No, Alan, non è stata una mossa inutile. Stiamo procedendo per eliminazione.» «E che cosa ci rimane?» «Ho paura che ci rimanga un dentista di Laguna Beach; un dentista che dovrà rispondere anche lui a qualche domanda.» «A quali domande, per esempio? Insomma, Todd, mi sembra che dovresti essere più leale con me.» «Va bene. Per prima cosa chiederò al dottor Garvey per quale ragione ha
incaricato la sua affascinante infermiera di mandare in giro i conti il ventisette del mese e non il primo, come fanno tutti. Da questa domanda in poi, seguirò l'ispirazione del momento.» Guardò l'orologio. «Le sette. Alan, a che ora si può decentemente telefonare a un dentista?» Suggerii le otto, e Todd replicò: «Visto che ieri sera abbiamo saltato il pranzo, perché non andiamo a preparaci un po' di caffè e a dare un'occhiata in dispensa?» E così facemmo, ma a metà dell'impresa arrivò Pia che ci guardò con sommo disprezzo borbottando e sbatacchiando. Oviedo intervenne per placarla e si scusò per il suo modo di fare. «Pia è stanca di lavare tanta roba tutta la mattina. Troppa gente in questa casa, troppa roba che sparisce dalla dispensa. Tutte le notti la stessa storia.» «Povera Mildred» sospirò Todd. «Il particolare più patetico dell'intero caso è rappresentato dalle escursioni notturne di quella bambina affamata alla ricerca di cibo e dal suo desiderio di colpire il prossimo in un modo così puerile» e spinse da parte la tazza di caffè. «Sono quasi le otto. Ma perché vuoi telefonare al dentista? Perché non andiamo da lui direttamente?» «Ragazzo mio, un po' di suggestione mentale non guasta. Lasciamo che sudi quel brav'uomo per una mezz'oretta; lasciamo che si chieda perché mai vogliamo vederlo. Sarà più facile che risponda alle nostre domande.» Todd telefonò a Laguna. «Dottor Garvey? Sono Todd Cameron. Io e mio cugino vorremmo scambiare qualche parola con voi, dottore. Scusate l'ora, ma oggi ci sarà il funerale e non abbiamo tempo da perdere. Una volta seppelliti i resti di nostro zio, ci vorrà un ordine del tribunale per riesumarli. D'accordo, dottore; grazie.» Todd appese il ricevitore e osservò: «L'amico sembra felice di vederci, a giudicare dal tono. Mi ha detto di andare subito.» «Forse non ha nulla di cui preoccuparsi e non ha i tuoi sospetti.» «Be', andiamo; perderemo la cerimonia funebre, ma non importa; anzi, meglio così.» Salimmo in macchina e raggiungemmo in breve l'autostrada. «Visto che insisti nel fare il misterioso, potresti dirmi almeno perché hai il mio revolver. Doveva servire per i Waldron o vuoi adoperarlo col dentista?» «Non servirà per nessuno, forse» e dedicò tutta la sua attenzione alla strada. Procedevamo alla massima velocità, tra l'oceano verde-grigio a sinistra e l'uniforme linea verde-bruno di colline a destra. Todd mi sembrava
sicuro del fatto suo. «Che cosa sai, che io non so?» gli chiesi improvvisamente. «Nulla, davvero. Sto giocando d'azzardo, ecco tutto.» Un coniglio selvatico attraversò la strada, Todd sterzò e rimise la macchina in carreggiata con grande abilità. «Alan, quando avremo parlato col dentista, saprai più di quello che io stesso posso immaginare ora.» Il sole si alzava luminoso nel cielo; dietro una curva due uomini in uniforme, accanto a una motocicletta, erano fermi su un lato della strada; sparsi qua e là sulla strada erano dei rottami di metallo verniciati di bianco. «Fermati!» gridai, e Todd inchiodò la macchina. Uno degli agenti si fece avanti e ordinò: «Proseguite, non c'è niente da vedere. Non bloccate il traffico.» Udimmo la sirena di un'autoambulanza che si allontanava. «È una Rolls?» chiesi all'agente. «Una Rolls bianca?» «Era. Adesso è ridotta a un ammasso di rottami. Sembra che ci fosse uno strato di sabbia attraverso alla strada e il pilota non l'ha visto. Il tachimetro è fermo sui duecento. Quel poveraccio doveva essere sbronzo, a giudicare dall'odore che aveva addosso.» «È morto?» chiese Todd. «Certamente. Un incidente a quella velocità non è uno scherzo.» Todd accese una sigaretta e offrì da fumare ai due agenti. «Non conoscete per caso la vittima?» «Il nome no, ma mi hanno detto che era un dentista di. Laguna. Si dava al bel tempo con la macchina nuova, poveretto! Qualche valigia è stata scaraventata a mezzo chilometro, figuratevi!» «Valige?» «Già. Anche un dentista ha diritto a un po' di vacanze!» 15 «Altro buco nell'acqua» osservai. Todd annuì e invertì la marcia; tornammo indietro molto meno in fretta di quando eravamo venuti. «Suppongo che sia stato un incidente.» «Come no, Alan! Incidenti e coincidenze, tanto per cambiare. La gente si brucia nei garage, cade dalle finestre, si ammazza in macchina e tutto per caso. Sento la nostalgia di un bel colpo di rivoltella, di una cassaforte
scassinata, di un bicchiere con tracce di cianuro, di qualcosa di tangibile, che diavolo! L'unica prova tangibile che avevamo era un proiettile d'argento che poi non era affatto un proiettile.» Todd parlava in tono scoraggiato e amaro. Per la prima volta da quando avevamo unito i nostri sforzi nel tentativo di scoprire l'assassino di zio Joel, lo sentivo completamente a terra. Sospirò: «E adesso che facciamo, visto che non possiamo interrogare il dentista? Certamente quando un pazzo guida a quella velocità...» Prese una curva su due ruote, poi mi guardò. «Scusami, Alan, ma stavo pensando a una cosa.» «A un versetto della Bibbia per le nostre tombe?» chiesi aggrappandomi alla maniglia. «No, ma se ci tieni, posso pensare a una bella iscrizione per quella di zio Joel:» "Qui riposa zio Joel, vissuto e morto male,/ bruciato fino all'osso in un gaio Natale. / Ritorniamo alla terra i resti; non son tanti / ma bastano allo scopo. I nipoti esultanti." Ti piace? «Affatto» replicai con una certa rigidezza. «Queste cose mi sembrano...» «Ti manca il senso dell'umorismo. Zio Joel si torcerebbe dalle risate, sotto un simile epitaffio. Aveva un senso dell'umorismo molto spiccato, lui.» Stavo aprendo la bocca per dire quello che pensavo dell'umorismo di zio Joel, ma il fiato mi si fermò in gola: mio cugino schiacciò completamente l'acceleratore e la macchina partì sparata come un razzo. «Il funerale!» gridò Todd. «Sono quasi le undici!» Credevo che avesse deciso di evitare la malinconica cerimonia e ne ero contento, ma si vede che aveva cambiato idea; non aveva più l'aria scoraggiata di prima, anzi sembrava parecchio eccitato; ma era meglio non farlo parlare, a quella velocità. Arrivammo a Prospice in un baleno. Todd saltò a terra e si precipitò in casa con me alle calcagna. Ci accolse lo sguardo colmo di biasimo di uno strano individuo in redingote nera. «Il funerale sta per muoversi» annunciò con la solennità propria agli impresari di pompe funebri. Dal salotto arrivava un suono smorzato di canti sacri. «Avanti, Alan, siamo in ritardo.» L'uomo in finanziera ci sbarrò il passo.
«Spiacente, ma possono entrare solo i membri della famiglia. È la volontà del defunto, ce la comunicò qualche anno fa quando ci ordinò la bara. Cerimonia assolutamente privata.» «Davvero?» Todd spiegò chi eravamo. «Volete dire che non ci sono estranei, là dentro?» «Nemmeno uno. Sola la famiglia e i domestici. Oltre, si capisce, l'organista e i cantori che abbiamo fornito noi stessi. Entrate pure.» Infatti solo la famiglia occupava parte delle sedie radunate il giorno prima per l'inchiesta; ci sedemmo mentre una florida soprano di mezza età intonava "Una Fontana Piena di Sangue". Poi il ministro si alzò; era chiaro che non conosceva il defunto neppure come prossimo, eppure era innervosito dalla grossa bara nera, certo a causa dei miseri frammenti che vi erano racchiusi. Impostò il servizio funebre sulle parole di Giobbe "Come la nube che si consuma e svanisce, così colui che scende nella tomba non ne risalirà mai più. Non tornerà alla sua casa..." Mi accorsi che Todd scrutava le facce dei presenti; si aspettava forse di scoprire nel ghigno sciocco di Eustace, nelle labbra serrate di zia Evelyn o nella rigida calma di Dorothy una confessione di colpa? Il ministro affrettò la cerimonia e ben presto fu evidente che non trovava altro da dire; ma la sua coscienza di onest'uomo doveva rifuggire da un discorso tanto breve perché gli suggerì di aggiungere: «Forse un membro della famiglia vorrebbe a questo punto dire una parola sul morto? Elevare alla sua memoria qualche pensiero, qualche preghiera speciale?» Non avevo mai sentito un silenzio completo e definitivo come quello che seguì l'invito: sembrava che dovesse durare in eterno. Alla fine Alger Ely lo spezzò, ma solo per schiarirsi la gola. «Proprio nessuno?» insisté il ministro ancora speranzoso. Il silenzio seguitò a incombere. La ragazza all'organo attaccò "Ci Ritroveremo sulla Riva del Fiume" e, accompagnati dagli accordi trionfanti, ci avviammo dietro il feretro che fu posato dentro un carro funebre color lavanda che attendeva alla porta insieme a tre o quattro macchine nere da noleggio. «Noi tre stiamo insieme» sussurrò Todd afferrando per un braccio Dorothy che si avviava con zia Evelyn. Aspettammo che anche Oviedo e sua moglie avessero preso posto. Rimaneva una macchina. «Andiamo» disse Dorothy. «Credo che voi due ne abbiate voglia quanto me, ma finirà presto...»
Il corteo scese la collina a passo d'uomo, attraversò le strade di Cameron Heights, quel bizzarro villaggio che si intonava perfettamente alla cerimonia con le sue case vuote, l'erba secca e le inutili targhe stradali. Mi aspettavo una spiegazione perché credevo che Todd fosse voluto rimanere solo con noi per annunciarci qualche cosa. Ma Todd rimase silenzioso nel suo angolo. Giunti al cimitero scendemmo e seguimmo i portatori oltre il cancello. Una fuga di nuvole bianche galoppava nel cielo gettando macchie d'ombra sul terreno riservato dalla previdenza di zio Joel agli abitanti di Cameron Heights. Spirava un vento gelido che ci faceva rabbrividire. Gli affossatori avevano strappato le erbacce davanti all'ingresso della piramide con la sua grottesca croce e la scritta "Cameron" a enormi lettere dorate e avevano spalancato la porta della tomba. Dorothy e Todd erano vicini, io mi tenevo in disparte. Sentivo di dovermi scusare con Fay Waldron, ma lei non mi guardava. Assistemmo in silenzio alla cerimonia cercando di assumere un atteggiamento adatto alla circostanza ma, secondo me, con ben scarsi risultati. La grossa bara venne finalmente posata accanto a quella di zia Hester. "Dalla polvere alla polvere", intonò il ministro. Oltre il cancello del cimitero si era radunata una piccola folla perché le partecipazioni listate a lutto (Joel Martin Cameron morto il 25 dicembre 1956 all'età di sessantacinque anni e cinque mesi servizio funebre oggi alle undici - si prega di non inviare fiori) avevano fatto circolare nuove notizie sulla morte di Mildred e su una probabile riapertura delle indagini. Ma la maggior parte dei turisti si allontanò prima che la cerimonia finisse. La grassa Pia aveva giudicato conveniente spargere un po' di lacrime e il messicano intonava preghiere e si faceva continui segni di croce. Sentii il braccio di Dorothy insinuarsi sotto il mio; aspettammo insieme. "E questa corruttibilità diverrà incorruttibilità eterna" proclamò il ministro. Quando tutto fu finito, scoprii la ragione che aveva spinto Dorothy ad avvicinarsi a me. Todd era scomparso. «Mi ha detto che detesta i funerali» spiegò mia cugina mentre ci dirigevamo verso le automobili. «E sembra detestare soprattutto questo» aggiunsi, ma mi sentivo più sollevato: Todd non si era dato per vinto, anche se la morte del dentista - per una ragione a me ignota - era stata per lui un gran brutto colpo. «Non sai dove è andato, Dorothy?» «Mi è parso molto incuriosito dalla presenza di tutti quei turisti. È anda-
to a guardarli da vicino.» Non appena la macchina si mosse, presi Dorothy per un braccio e le chiesi: «Quanto è che non vedi Gilbert?» Dorothy mi fissò sbalordita: «Ma... non saprei di preciso; credo di averlo visto due o tre anni prima che morisse.» «Lo riconosceresti? Voglio dire, anche se si fosse travestito in qualche modo?» Dorothy spalancò ancor più i suoi grandi occhi azzurri, mi si fece più vicina e mi posò una mano sulla fronte. «Gilbert Ely è morto, Alan. E avevamo deciso, mi pare, di non credere ai fantasmi, ai licantropi o ai vampiri.» L'avrei strangolata volentieri. «Vuoi ascoltarmi sì o no? Fra quella gente al cancello, fra quei curiosi che spiavano, non poteva esserci anche Gilbert? Voglio solo che tu risponda a' questa domanda.» «No!» affermò Dorothy decisa. «No, no, no!» Fummo depositati in fretta, col resto della famiglia, davanti alla porta di casa. Tutti ci sentivamo un po' a disagio. Il funerale di Joel Cameron aveva fatto calare il sipario sull'ultima scena del dramma. Ma era poi veramente l'ultima scena? «Non capisco che cosa ci fermiamo a fare» disse finalmente Eustace; e come se tutti avessero solo aspettato che qualcuno affrontasse l'argomento, vi fu una forte elettricità nell'aria. «Posso preparare il bagaglio ancor prima che arrivi un tassì» esclamò zia Evelyn. «Se voi volete rimanere, vi cedo volentieri la mia parte di Prospice.» Già, c'era anche questo da sistemare; Prospice era diventata nostra proprietà comune, o lo sarebbe diventata alla lettura del testamento. Ma nessuno di noi desiderava viverci. Perfino Oviedo e sua moglie rifiutarono, in un linguaggio molto colorito, di fermarsi come custodi. «Questa è una casa maledetta» fu il loro commento. «Fareste bene a far venire i padri con l'acqua santa. Ma anche così, noi non ci restiamo.» E non ci restarono. Li vedemmo poco dopo scendere la collina, la grassa Pia carica di pacchi come un somaro e Oviedo col suo coyote al guinzaglio. Zio Alger ed Eustace preparavano le valigie in camera loro; sentii Mabel
Cameron dettare un telegramma per telefono ordinando a un certo Edward di aspettarla al treno delle undici e trenta. Ely Waldron e sua moglie mi strinsero la mano nel vestibolo, io mi scusai di cuore e feci i migliori auguri per la prova che li attendeva alla clinica di Sacramento. «Ci sono poche probabilità di riuscita» disse lentamente Fay. «Ma qualche volta bisogna rischiare. Meglio morire che vivere come lui...» «Sacramento è un posto meraviglioso per la convalescenza» aggiunse Ely. «In questa stagione c'è sempre bel tempo, niente pioggia e una temperatura media di...» Fay lo trascinò via. Io e Dorothy salimmo insieme lo scalone; sapevo che anche lei era ansiosa di andarsene, di seguire la salma di Mildred. E in quanto a me, ne avevo abbastanza anch'io; qualcun altro avrebbe funzionato da esecutore testamentario per la casa, io volevo tornare da Brownie, ai miei libri, al mio lavoro. «Vorrei dire addio a Todd» mormorò Dorothy con un filo di voce «sempre che non sia già andato via. Mi diceva appunto ieri quanto odiasse gli addii...» Ci avviammo verso la mia camera; quando girai la maniglia vidi che la porta era chiusa a chiave. Dorothy mi fu subito accanto: «Alan! Dobbiamo buttarla giù, è successo qualcosa a Todd, lo sento!» Ma una chiave girò nella toppa e Todd Cameron ci sorrise. «Oh, salve. Finivo di vestirmi.» Si era messo un abito scuro, ma a giudicare dal portacenere colmo e dall'aria satura di fumo, aveva finito di vestirsi da un pezzo. Todd aveva un'espressione strana, molto diversa dal solito, per quanto ci sorridesse. «Non ho intenzione di partire subito. Forse questa notte. Voi due andate pure.» Dorothy lo guardò come se fosse stato uno sconosciuto: «Ed è tutto quello che hai da dire a me... a noi?» Todd accese una sigaretta: «È tutto quello che c'è da dire, no? Abbiamo mete diverse, noi tre.» «Già. Mete diverse.» Dorothy si morse un labbro e si avviò verso la sua stanza. La seguii con lo sguardo e mi accorsi di non capirla, come non capivo Todd. «Posso aiutarti a preparare il bagaglio?» mi chiese gentilmente mio cugino. Un'offerta strana, considerando le dimensioni della mia valigia.
«Sicché hai deciso di sbarazzarti del dottor Watson?» «Sherlock Holmes ha dato le dimissioni, quindi è inutile che tu rimanga. Andatevene tutti e due. Sii gentile, accompagna Dorothy e cerca di farle coraggio. Deve sotterrare sua sorella, capisci?» Mi sedetti sul letto. «Non ce ne andremo senza di te.» «Ascoltami» replicò, e mi parve davvero addolorato. «Se...» «Ascoltami tu: uno per tutti, tutti per uno, non era così? Dorothy e io non abbiamo cambiato idea, Todd, e non ce ne andremo senza di te.» Si udì il colpo di clacson di un tassì seguito da un incrociarsi di saluti giù nel vestibolo. Todd mi venne vicino. «Ti decidi a portare Dorothy via da questa casa, per l'amor del cielo?» «Tu non vieni?» Todd mi fissò, allargò le braccia e disse in tono grave: «Lo hai voluto tu, ricordalo. Lo hai voluto tu. Alan, io non posso andarmene.» «Ma perché non puoi? Perché? Il funerale è finito, l'inchiesta è finita, la polizia ha chiuso il caso...» «Lo so. Ma non posso andarmene. Non posso, finché Joel Cameron è in questa casa.» 16 «Ma lo sai, quello che stai dicendo?» chiesi dopo qualche attimo di silenzio. «Zio Joel è in questa casa» affermò calmo Todd Cameron. «Hai bevuto?» «Vorrei averlo fatto, davvero. Ma sono costretto a rimandare la cerimonia a più tardi.» «Allora sei impazzito. Senti, cerca di ragionare. Zio Joel è morto, è morto bruciato. Il fuoco l'abbiamo visto tutti, i suoi resti sono stati identificati. Il coroner stesso l'ha dichiarato morto. Se Joel Cameron è in questa casa, chi abbiamo seppellito un'ora fa? Dimmelo, se ti riesce.» «Ecco la domanda a cui doveva rispondere il dottor Garvey. Ed è morto. Sono morte tutte le persone che...» «Ma sei testardo, ragazzo mio!» «No, non sono né testardo, né ubriaco, né pazzo. Conosco la verità dalla notte scorsa. Era l'unica verità possibile. E poi, l'ho visto.»
«Chi hai visto? Zio Joel? E dove?» «L'ho visto. Non volevo dirtelo, Alan, volevo che tu e Dorothy rimaneste fuori da questa storia. Ti ho chiesto di andar via, di portarla via ma non hai voluto ascoltarmi. Adesso debbo dirti tutto.» «Aspetta. Che cosa mi è sfuggito? Che cosa non ho visto, non ho capito? O si tratta solo di fortuna, da parte tua?» «Un briciolo di fortuna l'ho avuta. La notte scorsa ho riflettuto su alcuni particolari. I regali di Natale che zio Joel aveva preparato per noi, i portafogli e le borsette così adatti a contenere la nostra fortuna. Le ragnatele sul suo viso, raccolte senza dubbio mentre allacciava i fili del telefono in cantina e che non si tolse proprio per la gioia maligna di spaventare qualcuno.» "Il nome di Gilbert sui telegrammi che ci hanno radunato qui. Chiunque poteva averli scritti; ma solo Dorothy e zio Joel sapevano che Gilbert era morto e in quali circostanze. "E poi, la prova principale. Voglio dire il conto del dottor Garvey: il ventisette del mese, bada bene! Hai mai ricevuto un conto da qualcuno nell'ultima settimana del mese, specie la settimana di Natale?" Dovetti ammettere di non averne mai ricevuti. «Garvey lo spedì perché cominciava a impensierirsi. Non eravamo arrivati fino a lui, durante le ricerche presso i vari dentisti, così doveva in qualche modo attirare la nostra attenzione su di lui. E sai perché? Perché doveva compiere l'identificazione che avrebbe dato consistenza allo scherzo malvagio di zio Joel, provando appunto la morte del vecchio, e quindi liberando la rendita dal capitale vincolato. Liberandola, capiscimi bene, fino al momento in cui nostro zio sarebbe riapparso! È stato appunto il conto del dentista a farmi sospettare che zio Joel fosse vivo e l'identificazione una cosa stabilita in precedenza.» "Zio Joel aveva uno spiccato senso dell'umorismo; ci ripensavo questa mattina mentre andavo a Laguna Beach. Se non mi ero sbagliato, il funerale doveva rappresentare per nostro zio il colmo del divertimento. Ecco perché sono tornato indietro a rotta di collo, ricordi? Proprio per assistere a quel funerale. Ma nessuno dei turisti assiepati dietro il cancello del cimitero poteva essere lui. Così sono tornato a casa, pensando che le finestre della sala del biliardo, lassù, permettevano una bella veduta dei dintorni." «E allora? Parla, Todd!» «Allora zio Joel era proprio là. E credo che fosse rientrato in casa per fermarcisi. Forse voleva accoglierci sulla porta di casa, quando saremmo
rientrati, e farsi le risate più pazze di tutta la sua vita.» "Ci odiava, ci odiava tutti perché sapeva che aspettavamo che morisse. Sapeva che la sua morte ci avrebbe dato la possibilità di vivere secondo le nostre inclinazioni. Quel pensiero doveva lavorargli incessantemente nel cervello e corroderlo come un acido. "Ecco di che genere era il senso dell'umorismo di nostro zio. Ricordi che l'anno passato aveva spedito a Dorothy e a Mildred assegni senza firma, come regalo di Natale? Un altro scherzo maligno. Quest'anno ne aveva architettato uno veramente formidabile. Sicché se ne andò a Los Angeles e mandò in giro un po' di telegrammi per radunarci tutti qui. Sapeva che Gilbert Ely era morto e si servì del suo nome. Quando arrivò il primo parente, tutto era già pronto. La sua stanza nel garage, la scorta di carburante per garantire un incendio senza precedenti, forse i fiammiferi già pronti al posto giusto. "Si chiuse a chiave nella stanza sopra il garage, ben sapendo che la serratura e la chiave di ferro sarebbero state ritrovate ed esaminate; ma aveva già preparato, fuori della finestra, la scala a pioli; prima di provocare l'incendio uscì dalla camera servendosi di quella scala." Lo interruppi per chiedergli qualche spiegazione sui resti umani rinvenuti fra la cenere: «Chi è morto al suo posto? Un vagabondo ucciso da lui? Ma come...» «Resti umani, sicuro. Al riguardo, avevo qualche domanda da rivolgere al dottor Garvey che aveva parecchie relazioni nell'ambiente ospedaliero, come è risultato dalle sue qualifiche. Garvey poteva facilmente procurarsi una gamba amputata, un braccio, una mandibola umana con qualche dente, a scopo di studio, naturalmente.» «Allora il dentista era un complice?» «Ma naturalmente. Elementare, Watson! Pensa alle sue esibizioni di una ricchezza improvvisa; alla Rolls Royce nuova, ai mobili dello studio che sembravano appena usciti da un negozio; perfino l'infermiera aveva una pelliccia nuova!» «Ma quei denti che si adattavano alla cartella clinica e alle radiografie di zio Joel?» obiettai. «Come poteva Garvey fabbricare una prova simile, anche se zio Joel gli avesse dato tutto il denaro della terra?» «Vuoi dire che la cartella clinica e le radiografie si adattavano ai denti» precisò Todd. «Garvey poteva benissimo aggiustare la faccenda come voleva, poi bruciare lui stesso la mandibola in modo che il deterioramento non impedisse l'identificazione, avvicinarsi al garage insieme ai primi cu-
riosi e buttare il pezzo già pronto fra le rovine. Ricordati che non c'era nessuno a guardia del. garage, da principio, e che la polizia è arrivata insieme ai messicani, più tardi.» «Possibile che un dentista, un professionista stimato, accettasse di correre un rischio simile?» «Perché no? Quale rischio, dopo tutto? La sua complicità sarebbe stata ben difficile da provare. Al massimo, zio Joel avrebbe assicurato che si trattava di uno scherzo preparato da lui, e Garvey era stato pagato profumatamente per il suo disturbo. Non a caso zio Joel, per la prima volta dalla morte di sua moglie, aveva ritirato tutta la rendita dell'anno. Valeva la pena di spenderla per fare a noi uno scherzo così divertente, no?» «Molto ingegnoso, ma...» «Ma non ti convince del tutto? Allora sta a sentire. Zio Joel doveva nascondersi in un posto da cui poter seguire gli effetti del suo spiritoso giochetto, ascoltare e forse anche vedere come si svolgevano le cose. Quindi, invece di andarsene a San Diego o a Los Angeles, piantò le tende nel Villino Solatio.» «Come?» «Ma sì; anch'io mi ero arenato a questo punto, sapendo che nessuno poteva saltare uno spazio così largo; ma zio Joel aveva trovato la maniera di infilarsi ogni notte qui in casa, di andare in cucina e in dispensa a rifornirsi di cibo. Le porte a terreno erano bene assicurate dall'interno, ma lui usava la scala a pioli. E la usava anche come ponte, in senso orizzontale, per chiudersi, durante il giorno, nel Villino Solatio; dopo entrato ritirava la scala. Di notte manovrava in senso inverso, poi appoggiava la scala alla finestra della cupola che, come avrai notato, non si può chiudere.» «Allora è stato lui a darmi quel colpo in testa?» «Proprio. Quella notte lo avevi quasi colto sul fatto e doveva toglierti di mezzo e tagliare il filo che aveva allacciato alla linea telefonica; insomma, far sparire quella derivazione a suo uso e consumo.» "Si divertiva ad ascoltare le nostre conversazioni quando era chiuso nel villino; ma Mildred, a un certo momento, riferì di aver sentito un clic nel telefono, come se qualcuno avesse ascoltato da una derivazione. E il vecchio non voleva correr rischi. Visto che eravamo tutti in giro per la casa e che non avrebbe potuto far sparire il filo dall'interno, lo tagliò esternamente. In gamba, zio Joel!" «Allora Mildred...» «Mildred lo aveva visto. Per forza. La seconda notte, quando scese per
andare in cucina. Deve aver pensato a uno spettro ma, riflettendoci meglio, deve essersi convinta che era lui, in carne ed ossa.» «Ma perché non ha parlato?» «Perché non poteva parlare! Perché lei stessa aveva bisogno di soldi e perché sapeva che cosa significasse per ognuno di noi quell'eredità. Come trovare il coraggio di pronunciare le parole che avrebbero fatto crollare tutte le nostre speranze? E, in seguito, si sentì morire all'idea di aver taciuto e di poter essere incolpata di frode o peggio.» "Mildred non aveva il senso delle proporzioni; piuttosto che dire la verità, in un momento di disperazione si è buttata dalla finestra. Era come pazza, pazza di paura per quel segreto che non poteva sopportare da sola." «Allora Mildred non è stata assassinata. Eppure, malgrado quel fazzoletto, io ero convinto...» «È stata assassinata, sì, ma non mediante un delitto perseguibile da un tribunale. Se il nostro caro zio non avesse avuto l'idea di metterci la felicità a portata di mano per poi togliercela allegramente da sotto il naso... Be', Mildred sarebbe ancora viva. L'ha uccisa zio Joel con la sua perfida malignità, come ha ucciso il dentista che gli aveva dato una mano.» «Ma come ha potuto uccidere Garvey?» «Col denaro. Col denaro che serve a comperare il liquore che annebbia la mente, le pellicce per le infermiere troppo giovani, le macchine che fanno i duecènto all'ora. Garvey, prima o poi, doveva morire. Non che la cosa importasse poi troppo a zio Joel.» «Adesso è chiaro che nostro zio è un pazzo, e possiamo provarlo.» «Ci avevo pensato. Nessuno negherebbe che un piano così diabolico possa nascere solo da una mente malata. Ma ricordati che zio Joel aveva in testa una ferita e che avrebbe potuto invocare un'amnesia momentanea: "sono un invalido di guerra, ho perso improvvisamente la memoria mentre mi trovavo in cortile; è successo un'ira di Dio, è vero, ma non per mia volontà. La memoria mi è tornata solfando adesso". Quale medico potrebbe dichiararlo pazzo per una semplice amnesia?» Mi misi a passeggiare per la stanza in preda a un accesso di collera: «Todd, possibile che tutto gli vada liscio? Possibile che gli sia lecito prendersi due vite, sia pure indirettamente, e rovinare quelle di tutti noi? Non c'è modo di incriminarlo per quello che è successo a Mildred, a quella povera figliola dai nervi troppo fragili?» Todd sorrise e il suo sorriso mi parve quasi sinistro. «Non possiamo provare nulla contro di lui, salvo che è scomparso e
riapparso. Zio Joel è stato bene attento a non compiere una sola azione che potesse incriminarlo. Ciò che ha fatto Garvey è un'altra storia, ma come provare che nostro zio lo aveva pagato per questo? No, Alan, quel delinquente aveva predisposto tutto con una minuziosità e una precisione diaboliche.» «Ma moralmente...» «Questo è un altro paio di maniche. Ma la colpevolezza morale non basta a far condannare qualcuno alla sedia elettrica. Ho cercato di spaventare zio Joel con le tue stesse considerazioni, quando l'ho scoperto che si godeva il suo funerale. Gli ho detto che era un assassino e lui mi ha riso in faccia rispondendomi che i più deboli perdono sempre le battaglie contro i più forti. Mi ha detto...» «Todd, per l'amor di Dio! Dove è zio Joel, adesso?» «È stato costretto a modificare un tantino i suoi progetti. Sta per andarsene.» «Ah. A proposito, se tu mi rendessi la mia pistola?» Todd, senza parlare, si tolse di tasca la piccola arma e me la porse. Fino a quel momento io avevo rappresentato una particina nel dramma, ma adesso volevo esserne il protagonista. Nessuno, secondo me, ha il diritto di giocare impunemente con le vite umane, con le anime dei suoi simili. Verificai il caricatore e mi accorsi che era vuoto. «E i proiettili, Todd?» «Perché?» «Tu non pensarci. Dove sono i proiettili?» «Alan, vuoi saperlo davvero?» «Dammeli, ne ho bisogno.» Todd si avvicinò lentamente all'armadio a muro tra le due finestre, quella specie di credenzone che avevo guardato con diffidenza fin dal mio arrivo. «Sono qui dentro.» «Dove posso trovare zio Joel? Voglio vederlo, prima che se ne vada.» «Ti servo subito.» Todd si frugò in tasca, prese una chiave, aprì lo sportello dell'armadio e si fece da parte: «Anche Joel Cameron è qui dentro, con sei proiettili in corpo.» Ebbi la visione confusa di un viso dall'espressione diabolica, di una figura tutta piegata da un lato contro una parete dell'armadio. Poi Todd richiuse lo sportello.
«Questa notte, quando tutti saranno partiti, lo porterò al cimitero e lo sistemerò dentro quell'enorme bara vuota. Il funerale l'ha già avuto, preghiere e tutto. Nessuno sospetterà mai...» Non riuscii a mettere insieme due parole, per quanto mi sforzassi. «... E adesso ti decidi ad andartene e a portarti via Dorothy? Ti decidi, perbacco?» Feci cenno di no con la testa. «Tanto non puoi aiutarmi» insisté Todd. «Non ne ho bisogno; e non voglio immischiarti...» Scossi di nuovo il capo. Dorothy era innamorata di lui, io ero innamorato di Dorothy e, per di più, mi accorgevo di voler bene a Todd come a un fratello. Inoltre anch'io avevo pensato di fare quello che aveva fatto lui, vale a dire di scaricare la pistola addosso a quella carogna di nostro zio. «Ebbene?» disse Todd con impazienza. «Ebbene, farò quello che avrei voluto che avessi fatto tu al mio posto. Telefonerò alla polizia.» Todd Cameron non rispose. «Bada che se cerchi di scapparmi dalle mani premerò il grilletto. Dio mio, una pistola può anche essere scarica, questo è vero; e può anche darsi che io perda qualche minuto, prima di telefonare; poi è facile chiedere un numero sbagliato al centralino. Succede. Eh, chi sa quanto tempo mi ci vorrà prima di poter parlare con lo sceriffo Bates. E non vedo come posso impedirti di tagliare la corda, nel frattempo.» «Infatti.» «Hai l'auto fuori. Nulla mi vieta di riferire allo sceriffo che ti ho visto prendere la strada per Los Angeles. Come posso sognarmi che vai verso la frontiera messicana?» «Credi che ce la farò?» «Sicuro; e quando vai via, portati dietro tutto quello che ti appartiene. Non parlo di valigie.» Todd mi fissò sbalordito. «Dorothy. Raccontale tutto. Dorothy ti ama, Todd, e so che il suo amore è ricambiato. Fin che mi è stato possibile ho cercato di ignorarlo; ma adesso debbo per forza ammetterlo. E lei ti vorrà ancor più bene, adesso, perché hai vendicato sua sorella. Preferirà sempre una vita avventurosa con te a una mezza vita da sola.» Feci una lunga pausa prima di concludere: «Se tu le vuoi bene, beninteso.» Todd mi si avvicinò e mi strinse una mano.
«Sì, Alan, sono innamorato di Dorothy e tu lo sai. Se acconsente a seguirmi... Alan, sei davvero un amico, il migliore che io abbia mai avuto. Ti auguro tanta felicità, Alan!» Mi augurava tanta felicità. Ma io sapevo che la felicità, ormai, non l'avrei mai provata. Udii Todd chiamare Dorothy davanti alla sua porta che si aprì subito; quindi lui entrò e io aspettai per un lungo minuto che fu un'agonia. Poi uscirono insieme e si allontanarono. Erano spariti. Aspettai a lungo; poi scesi e andai al telefono. Feci vari tentativi a vuoto prima di poter parlare con lo sceriffo; compii il mio dovere di cittadino ossequiente alle leggi, raccontai di aver scoperto il corpo di Joel Cameron; ma forse tralasciai alcuni particolari. Lo sceriffo mi bombardò di domande a cui risposi in maniera assai prolissa; ogni minuto significava per Todd un chilometro di meno per arrivare alla frontiera messicana. Il Messico con le sue colline e i suoi canyons deserti, le sue piccole città di mare che lui conosceva così bene... E pensai a Dorothy, ancor più che a Todd. Sentivo di amarla sopra ogni cosa al mondo, ma Todd era un uomo nato per agire, per far valere la propria superiorità, per possedere quello che gli serviva; e io ero soltanto un sognatore. Come avevo potuto pensare che lei avrebbe scelto altrimenti? Lo sceriffo parlava, parlava; e poi mi ordinò: «Non allontanatevi di là; verrò al più presto.» Non mi sarei allontanato, no; ero solo a Prospice, salvo la "cosa" nell'armadio della mia stanza. Non mi ero mai sentito più solo in tutta la mia vita. Sapevo che avrei dovuto preparare le risposte al fiume di domande che si sarebbe riversato su di me; avvertivo in tasca il peso della pistola. Forse lo sceriffo avrebbe cercato un significato nel fatto che Joel Cameron era stato ucciso con l'arma che mi apparteneva. Bene. Che importava se mi trascinavano davanti a una giuria? Un uomo che passa la vita esaminando vecchi documenti, scrivendo articoli e libri che nessuno ha voglia di leggere ha un valore molto relativo per se stesso e per gli altri. Che cosa avevo da perdere? Poi qualcuno suonò alla porta. Impiegai parecchio tempo ad attraversare la casa vuota: forse quelli erano gli ultimi momenti a mia completa disposizione. Trassi un profondo respiro e aprii la porta. Non era lo sceriffo Bates. Era Dorothy. «Se ne è andato, povero Todd. Povera creatura braccata. All'ultimo minuto voleva restare, ma l'ho persuaso ad andar via. Sai, Alan, adesso credo che volesse bene davvero alla mia Mildred.»
La tirai dentro e chiusi la porta. «Non ti capisco, Dorothy. Perché non sei andata con lui? Siete innamorati, no, e lui ha perso tutto.» «No, Alan, non potevo andare con lui. Gli ho dato il bacio dell'addio e l'ho seguito con lo sguardo fino a che è sparito. Ma pensavo solo a te, ero preoccupata per te. Mi sembrava di vederti sul banco dei testimoni e forse anche...» «Continua.» «Ascoltami, Alan, vecchio sciocco sentimentale. Io posso anche essere una governante, se è questo di cui hai bisogno. Posso essere una segretaria, una madre, una vecchia zia. Ma sta di fatto che hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te.» La fissavo sbalordito. «Todd non avrei potuto aiutarlo, lo so; altrimenti sarei partita con lui anche se sapevo benissimo che il mio cuore restava qui. Sai anche tu che, prima o poi, anche senza l'ingombro che rappresenterebbe per lui una donna, lo prenderanno. Lo prenderanno, lo riporteranno qui e gli faranno il processo. È allora che tutti e due dovremo fare il possibile per lui. Ma adesso, Alan, adesso...» «Si?» «Uno per tutti e tutti per uno. E tu per me, in ogni modo e per sempre.» Non feci neppure caso al campanello della porta che seguitava a suonare, a suonare... FINE