JACQUES VETTIER NECROPROCESSORI (Nécroprocesseurs, 1999) CAPITOLO I La pioggia che cadeva dal mattino avrebbe reso chiunque di pessimo umore, un contributo di cui Brenner avrebbe fatto volentieri a meno. Attraverso una finestra della sezione Repressione della Tratta di Esseri Umani, sorvegliava il parcheggio degli Uffici Centrali. Ci entrò una Peugeot dai vetri scuri, che cercava un posto nei viali. «Credi che verrà?» gli chiese il collega dietro di lui. «Mi ha detto di sì, ed è la puntualità in persona.» Frébault diede un'occhiata all'orologio. «Conosci bene Wachter? Io ci ho a che fare di tanto in tanto, non è un tipo facile...» La Peugeot si diresse verso i posti per i visitatori. «Effettivamente, l'aggettivo facile non gli si addice proprio... era procuratore a Nizza quando anch'io mi trovavo lì, distaccato all'antidroga. I primi contatti sono stati un po' complicati, ma poi abbiamo lavorato bene insieme. Sempre di pessimo umore, ma diretto 6 franco come pochi, uno che non ti scarica dopo averti dato via libera. Abbiamo lasciato Nizza a pochi mesi di distanza, tutti e due promossi con effetto immediato, da quando sono all'Europol non l'ho più rivisto, ma sono contento che abbia accettato di venire. Se non ci segue Wachter, non lo farà nessuno.» Il commissario Frébault, capo dell'OCRTEH, scosse il capo. La Peugeot si era fermata, lo scarico smise di esalare il pennacchio di gas grigio. «Presto sapremo cosa sarà di noi» concluse Brenner. Mostrò la sagoma che emerse dalla macchina per attraversare il parcheggio a grandi passi, con l'impermeabile sotto il braccio malgrado la pioggerella che trasformava quell'inizio luglio in un perfetto fine novembre. La porta della stanza si aprì dieci minuti dopo, per far entrare un uomo sulla cinquantina alto, ben piantato, vestito di scuro, che esclamò con voce altera: «Peggio che in banca! Dopo tutto questo tempo, devo ancora lasciare la mia carta di identità per avere un badge!» Con un buffetto, fece roteare il cartellino di plastica attaccato alla camicia. «I badge! Vanno tanto di
moda! Comunque... buongiorno, Frébault; buongiorno, Brenner, e buongiorno...» Conosceva i due uomini, ma non la ragazza in tailleur grigio accanto a loro, una brunetta dai capelli ricci sui trentacinque anni. Fece un passo avanti per presentarsi. «Polizeikommissar Ulrike Ghesberg, distaccata da Bonn all'Europol: lavoro con il commissario Brenner. Buongiorno, signor procuratore.» «Piacere, signorina.» Stringendole la mano, Wachter notò che aveva occhi molto belli, dello stesso grigio dell'abito. Poi salutò Frébault e, arrivato a Brenner, non si limitò a una semplice stretta, ma gli prese la mano nelle sue, sorridendo. A quel punto arretrò di un passo, come se dovesse esaminarlo meglio. Alto quanto lui, Brenner era più snello. La quarantina d'anni ormai passata l'avevano cambiato poco; stesso profilo aquilino, stessi capelli scuri, quasi neri, ondulati, abbastanza lunghi per sembrare disinvolto, abbastanza corti da non apparire trascurato, gli stessi occhi verdi, ridenti o assolutamente glaciali, a seconda delle circostanze. A guardare meglio, sulle tempie cominciava ad apparire un po' di bianco e ai bordi degli occhi c'era qualche ruga. Poco più anziano di lui, Frébault soffriva il confronto. Vittima di una calvizie precoce e di una pinguedine irrimediabile. «Allora, Brenner» disse infine Wachter «da quanto tempo è? Tre anni? Quattro anni?» «Qualcosa del genere, sì.» «Ed è contento all'Europol? Immagino splendidi edifici a L'Aia, materiali nuovi di zecca e non granché da fare eccetto teorizzare sul Terzo Pilastro in commissioni di insopportabili eurocrati. Mi sbaglio?» Ulrike Ghesberg sfoderò un sorriso divertito e Brenner una smorfia di approvazione. «Non di molto, signor procuratore. E lei, soddisfatto della sua promozione?» Wachter fece un gesto ampio e vago. «Sono ormai fuori gerarchia, quindi... Non le manca la polizia vera, Brenner?» «Per la verità, mi ha per l'appunto ricatturato.» Il viso di Wachter tornò grave. «Sì... suppongo che non sia venuto da L'Aia e mi abbia dato appuntamento all'OCRTEH allo scopo di rievocare i bei tempi andati. Di cosa si tratta? Non è stato molto chiaro al telefono.»
«Ulrike e io tenevamo una conferenza all'ENM di Parigi questa mattina, ma saremmo venuti comunque... La cosa migliore è che veda con i suoi occhi» rispose Brenner mostrando uno schermo in fondo alla sala. Quando furono tutti seduti, Ulrike infilò una cassetta nel videoregistratore. La ragazza era una giovane di colore, all'inizio aveva dato l'impressione di trovare il tutto di suo gusto, in ogni caso di provare piacere. Poi, qualcosa era andato storto. Non c'era più niente di sensuale nei suoi sussulti quando la mazza da baseball che le avevano infilato nell'ano le lacerò l'intestino. E poi quando un rasoio le aprì il ventre. Lacrime e sangue. Molto sangue. Come un'autopsia "live". Per fortuna senza il sonoro. Mascelle contratte, Wachter fissò per trenta secondi lo schermo divenuto bianco prima di chiedere con voce sorda: «Cos'è questa porcheria?» «Un estratto da uno snuff-movie» ribatté Brenner. «Questa ragazza è stata torturata e assassinata davanti all'obiettivo di una videocamera.» «Dove, quando, come, da chi?» «Conosce l'informatica e Internet, signor procuratore?» «Il mio programma di videoscrittura continua a stupirmi ogni giorno» mugugnò Wachter. «Bene... Diciamo che tra le funzioni dell'Europol, quella che funziona in modo meno insoddisfacente è la sorveglianza delle reti informatiche. Perché bastano pochi computer e soprattutto perché se Internet se ne frega delle convenzioni europee, noi facciamo lo stesso. Ma la parola "sorvegliare" è inesatta, Internet è troppo vasto e mutevole. Possiamo solo fare delle ricerche appostandoci accanto a certi snodi della Rete, come in un nascondiglio virtuale. Ulrike si è imbattuta così su queste immagini.» Brenner invitò la collega a proseguire mettendole una mano sulla spalla. Wachter notò il gesto e l'uso del nome di battesimo e si disse che quei due erano più che colleghi. Brenner non era cambiato nemmeno in questo, aveva sempre buon gusto. La giovane tossì per schiarirsi la voce. «La prego di perdonare il mio francese» esordì con un sorriso. Che Wachter ricambiò, il suo lieve accento non faceva capire la nazionalità di origine e se era in grado di tenere una conferenza all'ENM... Ulrike esitò, come se cercasse una spiegazione semplice a un problema complesso. Poi si lanciò. «Le immagini che ho catturato sono dati parcellari, ecco perché manca il
sonoro, a meno che il suono non sia stato spedito, difficile a dirsi. Le ho trovate in un IRC chiamato ICK.» Davanti alla faccia di Wachter, Ulrike precisò. «Un Internet Relay Chat è un sistema di comunicazione scritta in tempo reale che copre il pianeta. Ne esistono diversi, ICK è un IRC un po' più perfezionato di altri. Si può dialogare in privato, a due o più, trasmettersi frasi, ma anche file di testo, di immagine, suono, indirizzi Internet... Si può trasmettere quasi di tutto da qualsiasi posto. Si può sapere quando il proprio corrispondente è in linea e contattarlo in un momento preciso. Nessuna traccia, nessun rischio.» «Ma lei ha scoperto delle tracce?» «Quando si chiude una comunicazione, si producono talvolta delle specie di... rimbalzi. Vengono riflessi dei dati. Le parole cercano un corrispondente che non c'è più. Suppongo che dopo un po' si stanchino e finiscano per disperdersi nel cyberspazio... la realtà è certamente meno poetica, ma non vedo come spiegarla altrimenti.» «Credo di capire. In un certo senso, lei ha catturato dei riflessi?» «In un certo senso... sì. Quello che abbiamo visto è stato spedito via ICK, non so da chi e nemmeno a chi. Ma si trattava di una proposta commerciale; il testo in inglese che accompagna le immagini è incompleto, ma sufficiente per farsi un'idea: parla di prezzi e chiede una conferma. Penso che un produttore di snuff-movie abbia inviato un campione della sua mercanzia a un possibile cliente. Quello che io ho recuperato è un campione del campione.» «Ma perché non potrebbe trattarsi di un film normale, molto ben fatto, se. così si può dire? Perché un produttore normale non dovrebbe usare Internet? È rapido, pratico e chissà cos'altro ancora.» «I nostri esperti non hanno rivelato l'impiego di effetti speciali, anche se la qualità delle immagini non permette di avere la certezza assoluta. Nulla impedisce al produttore di utilizzare Internet, anche se la resa è mediocre, ma passare da ICR non è il metodo più semplice, a meno che non si voglia mantenere l'anonimato. E poi, ha visto il prezzo? È mille volte superiore a quello del più infame film gore. Chi pagherebbe una simile cifra per un effetto speciale?» «Uno scherzo di cattivo gusto? Un gioco tra studenti di medicina?» Ulrike scosse la testa a destra e a sinistra, cercando di non mostrare la propria irritazione. Wachter pensò che la pazienza non era certo la migliore virtù della signorina Ghesberg.
«C'è dell'altro, signor procuratore. Ho osservato attentamente la ragazza, il movimento delle labbra. Parla francese, forse l'ho notato proprio perché non sono francese. È per questo che ho avvertito Eric.» «E per questo ho approfondito la questione» proseguì Brenner. «Una ragazza nera che parla francese non è per forza francese, ma può esserlo. E oltre al fatto che in questo caso siamo direttamente coinvolti, è possibile che abbiamo qualcosa su di lei. Ho trasmesso questo documento a qualcuna delle mie conoscenze.» «E l'OCRTEH ha individuato un legame?» «Sì» rispose Frébault. «All'inizio parla francese, poi utilizza un'altra lingua, ci abbiamo messo un po' prima di capire. Parla creolo, è antillese. Abbiamo una scheda su di lei. Sophie Marie-Pierre, della Guadalupa, 21 anni, studiava a Montreal. La famiglia era senza sue notizie da un mese; ha segnalato la scomparsa al commissariato di Pointe-à-Pitre, che l'ha registrata alla voce Ricerca nell'Interesse della Famiglia. Avevamo recuperato quella scheda insieme ad altre, per registrarle a nostra volta.» «La RIF ha dato qualche risultato?» Frébault scosse il capo. «La carta di credito e il libretto degli assegni non sono stati utilizzati. Sono praticamente le sole indagini condotte in questi casi. Prima della scomparsa era sconosciuta ai servizi della Guadalupa.» «E in Canada? Perché immagino che abbiate contattato i canadesi di vostra iniziativa?» «Ehm... sì. Ho fatto fatica a ottenere delle indicazioni. Ho l'impressione che i colleghi di Montréal abbiano gentilmente consigliato al signor MariePierre di sporgere denuncia in Guadalupa. Ne hanno abbastanza dei loro scomparsi senza occuparsi dei nostri. Senza contare che da loro un adulto ha il diritto di levare le tende senza l'obbligo di comunicare alcun indirizzo e senza trovarsi, per questo, la polizia alle calcagna. Ma sono riuscito a parlare con l'agente dello SPCUM che ha ricevuto il padre. Non mi ha nascosto che non aveva approfondito il caso oltre misura. Sophie MariePierre non ha commesso alcun reato sul loro territorio e, se mai è riapparsa in Quebec, non ha fatto parlare di lei, punto.» «Ha spiegato il motivo del suo interessamento?» «No, ho detto solo che la cercavamo attivamente, ma senza entrare nei dettagli. Non volevo lasciare intendere a quel tipo che aveva fatto male il suo lavoro, nel caso in cui fossimo costretti a lavorarci insieme.» «Ed è stato sufficiente?»
«Conoscono le nostre procedure come noi conosciamo le loro. E poi non è che ha svolto male il suo lavoro, solo non ci ha messo troppo zelo. Perché non aveva alcun motivo per farlo.» Wachter annuì con il capo, fece schioccare la lingua infastidito e si rivolse a Brenner. «E lei, lei cosa vuole che faccia io?» Senza aspettare la risposta, si alzò e si mise a camminare nella stanza, le mani intrecciate dietro la schiena, furioso. «Non cambierà mai, vero Brenner? La legge è come la vuole lei, quando la vuole lei! Una ragazza della Guadalupa scompare in Canada, un poliziotto tedesco dell'Europol scopre grazie a un computer de L'Aia delle immagini della ragazza su Internet, vale a dire da nessuna parte... Criterio di competenza: luogo in cui è stato commesso il fatto, residenza dell'autore del fatto, o luogo della sua interpellanza! Dove vede lei un criterio di competenza?» Brenner si aspettava la reazione di Wachter, era logica, era quella del codice penale. Si aspettava anche quel tono, di un uomo infuriato per la propria impotenza. Un tono che tutti e quattro conoscevano bene, perché lo praticavano spesso. Brenner accese una sigaretta e si concentrò sul fumo per dire: «Sophie Marie-Pierre è stata torturata e assassinata, l'abbiamo visto, lo sappiamo. E vogliamo lasciar correre? Per via di un criterio di competenza, permetteremo ai porci che hanno fatto una cosa simile di continuare? Torniamo tutti ai nostri rispettivi uffici come s"e niente fosse?» Wachter gli lanciò uno sguardo di traverso che lui ignorò. «Se sì, la promozione l'ha davvero molto cambiata, signor procuratore.» Wachter si fece color porpora. Si girò verso la finestra e rimase immobile a guardare fuori, come se Nanterre lo interessasse. «Altri argomenti di questo genere, Brenner?» chiese con voce piatta dopo qualche secondo, senza voltarsi. «No... anzi, sì... Ventuno anni è l'età di sua figlia.» Wachter chiuse gli occhi. Sophie non assomigliava a Laurence, ma vedendola aveva lo stesso pensato a lei. E Brenner conosceva bene Laurence. A Nizza andava spesso a cena da loro, e ogni volta i due uomini evocavano i bei tempi andati della loro carriera. La French Connection per uno, i regolamenti di conti della mala nizzarda per l'altro, le trafile e i compromessi politici del momento per tutti e due. Avevano preso l'abitudine, nel corso di quelle serate, di stabilire strategie che sembrassero complotti. Ar-
mi, droga e casinò, veri e propri romanzi gialli che Laurence stava ad ascoltare, sempre affascinata, talvolta spaventata. Un giorno aveva confidato che temeva per la vita del padre, ma la rassicurava sapere che c'era Brenner a proteggerlo. Wachter ne era rimasto profondamente turbato. E lo era stato almeno altrettanto quando l'aveva sentita dire quanto trovava seducente quel commissario. Wachter riaprì gli occhi. Poteva benissimo esserci lui al posto del signor Marie-Pierre. Ebbe improvvisamente voglia di buttarsi sul telefono e sentire la voce di sua figlia. Si trattenne, aveva ricevuto una sua chiamata proprio quella mattina. Poteva benissimo esserci anche qualche altro signor Marie-Pierre, un'altra Sophie. Sospirò e si girò. «Laurence ha fatto i vent'anni due mesi fa. Brenner annuì con il capo.» «Come sta?» «Bene, è a Londra per perfezionare il suo inglese; ne ha bisogno, ha preso da me per le lingue. Le farò avere i suoi saluti, ci conti.» Brenner scosse di nuovo il capo e schiacciò il mozzicone. «Mi perdoni per essere ricors...» «Non c'è problema. Non era nulla di illecito. Sa cosa significa un'inchiesta in un caso simile?» «Darsi da fare per trovare qualcosa, e poi costruire il quadro legale in cui si finge di aver cercato. Quante volte lo abbiamo fatto?» «Lo abbiamo già fatto in Francia. Ora immagino invece che si inizierà dal Quebec.» I tre poliziotti rimasero in silenzio. Wachter proseguì. «Il che implica che non posso agire da solo, devo aprire un'inchiesta con un giudice istruttore comprensivo.» Silenzio persistente dei poliziotti che aspettavano il seguito. «Lo so, è un mio problema» ammise Wachter. «Ma cosa otterremo al minimo errore di procedura?» «Niente di meno di quello che otterremo se non tentassimo nulla» arrischiò Frébault. «Questo, Frébault, è quello che si dice prima. Dopo, dopo resta solo la grossolana nullità di procedura che ha condotto all'abbandono delle azioni giudiziarie e molti rimpianti. Senza parlare del marchio infamante nei vostri dossier. Né delle domande dei nostri ministeri.» «Sono pronto a correre il rischio» dichiarò Brenner.
Frébault si disse d'accordo con il collega. «Molto bene» fece Wachter.«Visto che siete d'accordo e che la signorina Ghesberg non è direttamente coinvolta, procediamo... L'OCRTEH ha una competenza nazionale e sembra quindi perfettamente indicato, ma entriamo subito in ambito internazionale e penso che voi abbiate già previsto la vostra organizzazione, no?» «In questo momento» iniziò Frébault «avrei difficoltà a distaccare qualcuno dal mio servizio per mandarlo in Quebec. E poi, se si tratta di informatica e Internet, Eric è sicuramente più qualificato di me.» «Sì, se ricordo bene l'informatica è sempre stata il suo pallino, Brenner.» Wachter fece un risolino senza gioia e aggiunse: «Prendere un commissario dall'Europol... non vorrei essere al posto del giudice istruttore che darà il via alla procedura.» «Sono solo distaccato presso l'Europol» precisò Brenner. «E poi non si può dire che sia sovraccarico di lavoro. Mi basterà annullare qualche conferenza, cosa di cui non si accorgerà nessuno, a parte un paio di delegati europei appassionati di cocktail. D'altra parte, adesso ho una certa esperienza di procedure internazionali.» «Naturalmente. Ma non vorrei comunque essere al posto di Carpita.» «È il giudice presso cui aprirà l'inchiesta?» «Sì, Romain Carpita, lei non lo conosce, ma credo sia il solo che potrebbe accettare la nostra... montatura. Non fatevi illusioni, Carpita è tutto salvo un buontempone. Una volta che avrà avviato la procedura, sarà il vostro solo interlocutore, vi consiglio quindi di tenervelo buono e non lesinare sui rapporti circostanziati. Se pensa che stiate perdendo tempo, non ci metterà una vita a fermare tutto. Carpita è comprensivo, ma non pazzo.» CAPITOLO II Luc Savoie inspirò a fondo, con lentezza, per niente scontento. L'auto dello SPCUM sapeva di violetta, il profumo della sua collega. Senza paragoni con l'acqua di colonia rancida del suo precedente partner. E poi Johanne se la cavava al volante, dall'inizio del pattugliamento non aveva commesso il benché minimo errore. Non solo, senza avere il fisico di Carole Laure, era piuttosto gradevole da guardare. E poi lo ascoltava come qualsiasi coscritta di ventisei anni, quale lei era, avrebbe dovuto fare con un veterano come lui, che di anni ne aveva quarantotto.
Quante qualità, quella ragazza. Sì, l'inquirente Johanne Desjardin e il sergente inquirente Luc Savoie formavano una bella squadra. L'auto risaliva lentamente la Saint-Denis, dove Montreal si dà un'aria da San Francisco. Luc diede una rapida occhiata a un gruppetto di punk che stazionava davanti a un bistrot alternativo aspettandone l'apertura. «Branco di idioti...» «Sono giovani» osservò Johanne, alzando le spalle. «È pur quello che ho detto!» Nel retrovisore i punk mostrarono i medi alzati. «Ferma la macchina!» Johanne prima frenò, poi chiese. «Cosa succede?» Luc osservò nello specchietto la dispersione dei punk. «Niente, solo per far schiodare i tizi. Continua.» La notte non aveva ancora evacuato il calore del pomeriggio. Alle due il termometro di Berri-UQAM aveva raggiunto i 30°. Savoie abbassò un po' l'aria condizionata. Al di là della Sherbrooke, la folla sui marciapiedi andò diradandosi fino a diventare inesistente. «Dove arriviamo?» «Fino a Bourrassa. Poi andiamo a fare un giro nella zona industriale. Qualche obiezione, agente Desjardin?» «Nessuna obiezione.» «Bene, fermati al prossimo bar ancora aperto. Ho sete.» Lionel Spowart attraversò la piazza ingombra di giocolieri e cantanti di strada. Nell'aria c'era odore di grigliate, musica e canti, Brel o Frehel. E anche Bruant e Vegneault. Una ragazza in abito rosso fuoco poggiò un bacio sul palmo aperto e lo soffiò nella sua direzione. Poi scomparve con una graziosa giravolta e uno scoppio di risa. Notte d'estate a Montreal. Come una primavera d'Antartico di cui bisogna approfittare in fretta. Lionel proseguì il cammino verso ovest. Girò l'angolo di rue SaintSulpice e camminò lungo l'imponente facciata di pietra del Café Electronique fino all'ingresso. Una manciata di avventori nella parte riservata al bar ristorante, quasi nessuno nella sala computer. Lionel pagò un'ora di Internet al bancone del
negozio, senza e-mail. Il responsabile incassò 8,5$ e gli propose di scegliere uno schermo. Spowart scelse come un giocatore di poker: schiena rivolta al muro e sguardo sull'ingresso. Appena il responsabile fu di nuovo dietro il bancone, Lionel introdusse un floppy nel computer. Poi digitò un indirizzo nella finestra del navigatore. Ci vollero diversi secondi perché la connessione si effettuasse, molti utenti in linea. Il server gli chiese prima un nome poi una password, lui digitò entrambi. Lo schermo gli annunciò che c'era un messaggio in attesa. Spowart lo registrò sul floppy senza prenderne conoscenza, lo cancellò dal server e interruppe la connessione. Per riaprirla poco dopo. Lo schermo mostrò una pesante porta di quercia chiodata con la serratura barrata da due linee, una per il nome, l'altra per il numero di carta di credito. Lionel richiamò il programma dal floppy. Card Generator. Che gli chiese di scegliere un nome da un elenco e una banca dall'altro. Optò per Dinner's Club. Apparve l'immagine della carta di credito virtuale che lui fece scivolare in un angolo dello schermo. E immise i dati nella serratura. La porta si aprì con un cigolio. Il finto algoritmo non avrebbe fregato i sistemi di sicurezza di una banca. Né quelli di un grande web-store. Ma non c'era alcun problema per i piccoli siti a pagamento della Rete. Un colore scuro, porte sormontate da lanterne rosse, il nome delle ragazze scritto in rilievo. Spowart bighellonò di ragazza in ragazza, ma ben presto si stancò delle pose, per quanto oscene fossero. Lasciò il locale prima che scadesse l'ora prenotata. Claire cercò un nickname tra le frasi che sfilavano a tutta velocità sullo schermo. Uno in particolare. Bevve un sorso di Coca, appoggiò la lattina sulla scrivania e giocherellò un istante con la cannuccia. Alla fine il nick fece un'apparizione. Claire selezionò il colore del suo testo, un bel malva, digitò Cucù! nella finestra e lo inviò ciccando sul mouse. Il testo apparve un secondo dopo. Sweety-C: Cucù. Le fecero eco una serie di ciao e buongiorno. Habitué a cui rispose e uno sconosciuto che chiese: Jonas: Sweety-C> Ciao! E/S/C per favore! Claire annuì con il capo. Sweety-C: Jonas> 20 Donna Montreal, e tu?
Prima della risposta passarono una decina di frasi. Jonas: Sweety-C> 32 Uomo Strasburgo. Mi spieghi il tuo nick? Sweety-C: Jonas> C è l'iniziale del mio vero nome! Jonas: Sweety-C> e Sweety? Sweety-C: Jonas> perché sono sweet! Hi hi hi! Jonas: Sweety-C> Tutto un programma! Claire sospirò. CoolWebeur: Sweety-C> Ciao! Scusa, non ti avevo vista, c'è un sacco di gente stasera... Sweety-C: CoolW> Io ti avevo visto! Ma è vero che c'è tanta gente. Tutto bene? Un'intera schermata le sfilò davanti agli occhi prima della risposta. CoolWebeur: Sweety-C> bene, un po' a pezzi perché ho avuto una giornata di lavoro pesante, ma in forma. E tu? Sweety-C: CoolW> mah... come al solito. Il modem lampeggiò a lungo e passarono diverse schermate. CoolWebeur: Sweety-C> come è lento questa sera! Non hai avuto il lavoro? Jonas: Sweety-C/CoolWebeur> Vabbe', vi lascio, eh? Sweety-C: CoolW> no, non l'ho avuto. Sì è lento. Jonas> Okay! CoolWebeur: Sweety-C> Vuoi parlarne? Jonas>. Sweety-C: CoolW> sì, ma in "privacy". Non ti vedo più. CoolWebeur: Sweety-C> anch'io "privacy"! Ci sentiamo lì? Sweety-C: CoolW> Okay, aspetto la tua chiamata. Claire interruppe la navigazione. Il computer lampeggiò un istante. Poi emise un avvertimento sonoro: Chat request. Un'icona a forma di baloon lampeggiò davanti al nick CoolWebeur del quadro di controllo ICK. Claire cliccò sul baloon. Poi su accept. Il riquadro di chat si aprì dopo qualche secondo. I due corrispondenti potevano dialogare in privato, con le frasi che apparivano man mano venivano digitate. «Hoplà! Così va molto meglio!» «Hai ragione!» «Allora, questo lavoro?» «Non mi hanno presa...» «Ma hai detto che avevi anche un'altra possibilità, vero?» «Sì, sì. Ma non ho più lo spirito giusto.» «Non lasciarti abbattere! Perché l'ultimo non dovrebbe essere quello giusto?»
«Non lo so... io... mi chiedo come andrà a finire...» «Sei andata a vedere lo spettacolo di cui mi avevi parlato?» «No, non c'era più posto.» «Peccato... il prossimo non ti interessa?» «Io... a dire il vero il posto c'era, ma il biglietto era troppo caro. Sono costretta a stare attenta a tutte le spese, perfino al teatro.» «Capisco... E il tuo ex, nessuna novità?» «Sì... l'ho incontrato per strada. Era con la sua nuova ragazza. È già una fortuna che mi abbia riconosciuta! Che stronzo, però. Forse è colpa mia, in fondo. In ogni caso, non posso certo contare su dì lui.» «Non hai nemmeno un'amica con cui uscire per fare quattro chiacchiere?» «Be'... la nuova ragazza in questione è la mia amica, o meglio, era... No, sono sola, e non voglio tornare dai miei genitori. Questo mai. Mai. In effetti non ho che te, è stupido, vero... non ti piacerebbe venire a MTL?» «Magari. Forse l'anno prossimo.» «Peccato.» «Non dire così. Mi trovi simpatico a ottomila chilometri. Magari, in carne e ossa, CoolWebeur ti annoierebbe a morte nel giro di dieci minuti.» «Possibile. Ma cosa avrei da perdere?» «Claire, ho ricevuto la tua mail, sei graziosa come un fiore in quella foto. Non posso credere che nessuno si interessi a te.» «Potrebbe non essere la mia foto...» «Forse... ma io credo di sì. Nei tuoi occhi c'è la stessa tristezza che c'è... sulla tua tastiera.» Claire sì girò sulla poltrona e incrociò il proprio sguardo sullo specchio appeso alla parete. Lo schermo si rifletteva nell'angolo dei suoi occhi. Le venne voglia di piangere, e tornò alla tastiera. «Hai ragione, è proprio la mia foto. Non dico che nessuno si interessa a me... penso che... che ho paura degli altri, molto semplicemente.» «Cerca di avere fiducia in te. Cosa fai domani?» «Vado a un colloquio. Poi andrò al Cedar, è un bar vicino al parco Mont-Royal. Ci vado spesso, perché c'è una bella vista sul parco. Se il colloquio è andato bene prenderò un Cedar Special, un enorme gelato con la panna montata. Se è andato male... un caffè.» «Pensa al tuo gelato durante il colloquio! Con tanta panna!» «Wow.» «Claire, mi spiace, ma sto cadendo dal sonno... sono le quattro del mat-
tino, qui.» «Oh, scusa! Dimentico sempre il fuso... sarà presto l'alba a Parigi?» «Non ancora, ma dalla mia finestra vedo una specie di bagliore sopra la Senna. E da te, è una bella nottata?» «Sì, ci sono le barche sul Saint-Laurent, è bello.» «In bocca al lupo per domani, allora.» «Crepi, grazie. Ci risentiamo domani sera?» «Certo. Buonanotte, Claire. Sogni d'oro.» «Lo spero! Un bacio!» «Smack!» La finestra indicò che l'altro utente aveva lasciato la chat, Claire rimase un minuto immobile davanti allo schermo. Poi spense il computer. Non c'erano più bollicine nella Coca, svuotò la lattina nel lavello prima di buttarla. Si affacciò alla finestra; dietro la zanzariera la vista si fermava su un muro di mattoni. Più in basso, nel cortile, un gruppo di adolescenti giocava a baseball alla luce dei lampioni stradali. «Il Saint-Laurent...» mormorò. Claire si spogliò e sistemò gli abiti sulla sedia del computer senza aver acceso la luce dello studio. Poi andò in bagno e si fece una doccia. Tornata nella stanza si stese sul letto e attese il sonno. CoolWebeur finì di battere un testo nella finestra della posta elettronica. Ci aggiunse due attachement, testo e immagine, e mandò il tutto a un indirizzo freemail.com. Dopodiché spense anche lui il computer. Quindi si alzò dalla poltrona e si stirò sospirando. CAPITOLO III Brenner si girò di scatto verso la collega. «Che mi venga un colpo. Vieni a vedere, Ulrike, è lui!» Lei si avvicinò, gli appoggiò una mano sulla spalla e si chinò sullo schermo. «Luc Savoie? Su che sito sei?» «L'Associazione Canadese dei Poliziotti, rubrica L'élite poliziesca.» «Divertente. In Germania non abbiamo niente del genere.» «L'élite o il sito?» «Scemo. Voi non avete né l'uno né l'altro.»
«Tss...» «Eccetto te. Allora, cosa ha fatto di bello Luc Savoie?» «L'agente Luc Savoie aveva appena fermato un tizio al volante di un'auto rubata. Quando si è avvicinato, il tipo ha messo in moto e gli ha rotto le gambe andandogli addosso con la macchina. Stava per investirlo di nuovo quando Savoie è riuscito a tirar fuori la pistola e a sparargli. Lo ha colpito senza ammazzarlo.» «Potrebbe essere stato un caso.» «Soprattutto perché l'ha preso in testa... Ma senti, non ha nemmeno usato tutto il caricatore.» «Sì» ammise Ulrike «con due gambe rotte... un fottuto sangue freddo.» «Il tizio era un recidivo in libertà condizionata. Savoie ha ripreso servizio dopo mesi di rieducazione. È stato promosso alla Brigata Moralità con il grado di sergente inquirente.» «Quando è successo?» «Mmm... poco più di un anno fa.» «E tu che temevi di finire con qualche giovinastro senza esperienza.» «Non posso lamentarmi. Inoltre è anche un bell'uomo.» «È vero.» Con i capelli più sale che pepe, i baffi e il viso da vero taglialegna, Savoie era senza dubbio un bell'uomo, ma non del genere che di solito affascinava Ulrike. Brenner la guardò di traverso. «Confessa: temevi che mi sarei trovato a lavorare con una bella canadese!» «Confesso. Soprattutto perché, a vederle sul Web, non sembrano affatto selvagge le canadesi.» «È un po' come il detto che tutte le francesi sono rosse, no?» «Già.» Indicò una busta accanto al computer. «Tutto a posto?» «Carpita mi ha trasmesso gli ultimi documenti, firmati, siglati e tutto. E perfino tradotti in inglese, è il Quebec, ma non si sa mai... Wachter non si era sbagliato, Carpita sa come giocare.» «Wachter ha anche detto che non avrebbe corso alcun rischio.» «Anche su questo non si è sbagliato. Quando ho incontrato Carpita, ho avuto l'impressione che questa faccenda non gli procurasse i salti di gioia.» Brenner si strinse nelle spalle e aggiunse: «Basterà che la cosa lo ecciti un po'. Tra te, Frébault e me, lo inondere-
mo di rapporti circostanziati. Dovrebbe funzionare.» «Vai direttamente a Montreal?» «Faccio una sosta a Pointe-à-Pitre.» Luc e Johanne scendevano i gradini dell'edificio dello SPCUM. «Troppo presto per rientrare...» sospirò Savoie. «È sempre così alla fine del servizio, troppo presto per tutto, troppo tardi per il resto. Hai dei programmi, posso offrirti una Bleue?» «Volentieri.» «Dai, andiamo al Bar du Coin. Metà dei clienti sono colleghi. A volte ci sono anche giudici e avvocati. Il paesaggio fa schifo, ma è tranquillo.» «Buonasera, Luc!» fece il cameriere stringendogli la mano. «La tua nuova compagna?» «Ciao Gaétan. Sì, Johanne Desjardin, e siamo una bella squadra. Johanne, ti presento Gaétan Bonneville, il cameriere più intortatore di Montreal. Fa' attenzione...» Bonneville scoppiò a ridere. «Bah, non lo ascoltare, Johanne. Sta scherzando!» Johanne gli strinse la mano. «Oh, sto iniziando a farci l'abitudine.» «E devi ancora vedere il meglio. Cosa vi do da bere?» «Una Bleue» rispose Johanne. «E una Fin du monde» aggiunse Luc. Dopo che Gaétan ebbe servito le birre, Luc tirò fuori una sigaretta dalla tasca. «La prima della giornata.» «Stai smettendo di fumare?» «Smetto spesso.» Alzò le spalle, accese la sigaretta, aspirò il fumo e lo trattenne a lungo. «Ho parlato con Hicks, prima» disse soffiandolo fuori. «Ho visto che sei stato a lungo nel suo ufficio. Cattive notizie dal fronte?» «Il comandante Hicks annuncia solo cattive notizie. A dire il vero, questa volta non so dirti se è buona o cattiva: avremo la visita di un poliziotto francese.» «Perché?» «Una francese della Guadalupa che è scomparsa, studiava all'UQAM.» «È scomparsa qui da noi?»
Luc fece un gesto per dire che non lo sapeva. «L'ultima volta che è stata vista era all'università. Ma sapere dove è andata in seguito... Il nome non figura su alcuna lista passeggeri, né per le Antille né per qualsiasi altro posto. È tutto quello che so. E poi è maggiorenne...» «E mandano qualcuno per una cosa simile?» «Strano, vero? Avevo già ricevuto una telefonata un paio di settimane fa, da un poliziotto francese, non della Guadalupa. Non mi ha dato molti particolari. La faccenda mi era sembrata un po' strana, questa è la prova che avevo ragione. In più, quello che sta arrivando è un pezzo grosso, un commissario dell'Europol.» «Europol è come l'Interpol ma per l'Europa?» «Immagino. Ma l'Interpol non conduce inchieste sul campo... Hicks mi ha detto che dobbiamo metterci a sua disposizione, ma vorrebbe che la cosa non andasse troppo per le lunghe. Io ho l'impressione che la ragazza non sia semplicemente scomparsa. Oppure non da sola.» «Bah, un po' di compagnia ci farà bene. Movimenterà la routine quotidiana.» «Forse... un'altra Bleue?» Lionel mandò l'ultimo file sulla stampante, poi fece roteare la poltrona con un colpo di tacco e alzò la cornetta del telefono. «Sì?» rispose il suo interlocutore dopo tre squilli. «Sono Lionel. Volevo essere certo che l'idrovolante fosse pronto.» «Lo è. Ci fai un giro?» «Vedremo. Spero di averne il tempo; mi piacerebbe venire alla tenuta, giusto per schiarirmi un po' le idee.» «Capisco. In ogni caso, noi siamo pronti.» «Perfetto, grazie. Bye.» «Bye.» La stampante aveva terminato il proprio lavoro, Lionel pescò una manciata di fogli e si sedette sul divano in sala. Prima di esaminare i documenti, si versò un bicchiere e infilò un CD nel lettore. CAPITOLO IV Sull'aereo in arrivo a Mirabel, Brenner stava pensando che avrebbe potuto risparmiarsi la deviazione a Pointe-à-Pitre. Si aspettava poco da una fa-
miglia disperata e non aveva ottenuto nulla. Per il signore e la signora Marie-Pierre, Sophie era una ragazza studiosa, assennata e riservata. La sua scomparsa appariva inspiegabile. Non volevano sentir parlare né di fuga né di colpo di fulmine; avevano tirato fuori le foto di famiglia, raccontato degli aneddoti. Brenner aveva conservato qualche immagine senza dir loro la verità. Quella che lui pensava fosse la verità. L'impatto del carrello d'atterraggio sulla pista lo distrasse dai suoi pensieri. Qualche giorno in Guadalupa gli era per lo meno servito ad abituarsi al fuso orario. Con un po' di fortuna sarebbe stato in hotel prima dì notte. Calcolo corretto. Spinse la porta del Travelodge all'imbrunire, verso le otto. Sebbene fosse un convinto utilizzatore dell'informatica, Brenner avvertiva invariabilmente una piccola stretta al cuore quando l'addetto alla reception di un hotel verificava le sue prenotazioni. Ma Martine - era scritto sulla targhetta sul petto - alzò la testa con un sorriso e gli diede una busta. «Camera 823. Benvenuto in Quebec, commissario Brenner.» Mentre aspettava che il caffè fosse pronto, Brenner si districò con gli adattatori e i trasformatori del suo portatile. Le tre del mattino a L'Aia, l'alias di Ulrike appariva off-line sul pannello ICK. Attivò un navigatore, chiamò la sua hotmail e spedì un messaggio alla casella postale della collega. Tutte le canadesi sono rosse! Poi bevve un caffè in piedi davanti alla finestra. Si potevano contare le macchine in boulevard René Lévesque. L'antenna della torre di Radio Canada era illuminata, non si riusciva a distinguerne l'estremità. Il fascio di un proiettore spazzava la notte con la regolarità e la potenza di un faro. A tratti la luce si fermava sulle facciate di vetro degli edifici più alti. Dall'altra parte, le costruzioni in mattoni scuri avevano solo tre o quattro piani e insegne coperte da ideogrammi al neon. E serbatoi d'acqua sui tetti. Vuotata la tazza, Brenner verificò su una cartina la posizione della sede dello SPCUM. Dieci minuti a piedi, una piacevole passeggiata mattutina. «Buongiorno, commissario. Benvenuto allo SPCUM!» esclamò l'agente Maude Pontonier quando Brenner le presentò il biglietto da visita. «Buongiorno e grazie... Ehm, ho un appuntamento con...» «Sì, sono stata avvisata del suo arrivo. Tenga: se vuole appuntarsi questo
badge, la accompagnerò nell'ufficio del sergente Savoie.» Brenner si appuntò la targhetta accreditato al colletto della camicia e seguì la giovane fino agli ascensori. Spowart ringraziò la donna allo sportello, recuperò i due biglietti e lasciò il teatro Saint-Denis. Raggiunse la UQAM e si infilò nel metrò in direzione Angrignon. Claire guardava senza vederla la tazza di caffè appoggiata sul tavolo. Spowart salì dal metrò alla stazione Atwater e proseguì a piedi in direzione di avenue Cédar. La terrazza del Cedar non era troppo ingombra. Lionel si sedette al tavolo accanto a Claire e si immerse nella lettura di un libro, dando ripetute occhiate all'orologio. Claire rimescolava il caffè. Ci aveva messo parecchio zucchero. Mentre beveva cercava di indovinare cosa stesse leggendo il suo vicino. Un libro di Marie Laberge, ma non riusciva a decifrarne il titolo. La mano dell'uomo lo nascondeva. Claire chiuse gli occhi. Cosa doveva fare adesso. Era l'Assistenza sociale o... il ritorno dai genitori. La peste o il colera. Riaprì gli occhi mentre il vicino consultava ancora una volta l'orologio. Riuscì a leggere il titolo: Juillet. Un libro che a lei era piaciuto moltissimo. «È ancora al telefono?» chiese Johanne che tornava portando un vassoio con tre bicchieri. «Ho l'impressione che il suo interlocutore sia piuttosto chiacchierone» replicò Brenner prendendo da bere. Savoie annuiva con il capo e rispondeva per onomatopee, come qualcuno che vorrebbe tagliare conto ma non ci riusciva. «Allora, commissario» riprese Johanne «come le sembrano i nostri uffici?» Brenner osservò la stanza. Spaziosa, luminosa, pulita, climatizzata. «Credo che molti poliziotti europei potrebbero invidiarveli.» «Anche quelli dell'Europol?» «Mmm, no. Non loro. Ma io non sono sempre stato nell'Europol. Prima lavoravo nella polizia giudiziaria, brigata antidroga. In un certo senso, ne faccio ancora parte.» «Oh, lei era un doppio agente.» Davanti all'espressione sorpresa di Brenner, la poliziotta si mise a ridere. «Da noi gli agenti della narcotici si chiamiamo: doppi agenti.»
«Non male... allora ero un doppio agente.» Savoie riattaccò in quell'istante. «Che attaccabottoni» mugugnò appoggiando l'apparecchio sulla scrivania. Poi, girandosi verso Brenner: «Ma si accomodi commissario, la prego.» La mimica desolata del suo vicino che sbirciava di continuo l'orologio riuscì a strappare un sorriso a Claire. Alla fine, l'uomo rispose al cellulare appeso alla cintura. «Pronto, Karine? Sono io. Aspetto da un'ora... Come?» Scosse la testa e riprese in tono più basso. Claire dovette tendere l'orecchio. «Ma ho i biglietti di Juste pour en rire, per stasera! Karine, è la seconda volta che mi combini uno scherzo del genere, cosa succede?» L'uomo sembrò rannicchiarsi, con il colletto della manica si asciugò la fronte. Savoie esaminò i documenti che Brenner gli aveva appena dato. Commissioni rogatorie, fax, controfax, accordi nazionali e internazionali: due centimetri buoni, pigiando per bene. «Pensavo di trasmetterli al comandante Hicks, ma visto che non c'è...» «Sì. È un uomo molto occupato. Molte riunioni, rappresentanze.» «Già. Però rappresento molto anch'io!» Savoie sistemò le carte in un cassetto della sua scrivania. «Glieli farò avere. Nell'attesa, ci farebbe cosa grata se ci spiegasse di persona le ragioni della sua trasferta. Immagino che la semplice scomparsa di una ragazza non sia sufficiente.» Brenner annuì. «In effetti, una semplice scomparsa non giustificherebbe la mia presenza. Ha un computer a portata di mano? Altrimenti posso utilizzare il mio portatile. Preferisco mostrarglielo, sarà più semplice.» Lionel proseguì con voce strozzata. «Finita? E me lo dici per telefono?!?... Sì, sì, capisco... Però, Cristo santo, non mi sembra corretto annunciarlo così, per telefono... Va bene, Karine, va bene... Come vuoi, cerchiamo di restare amici...» Spinse un bottone, lasciò cadere il cellulare sul tavolo e si appoggiò allo schienale della sedia sospirando. Poi si infilò una mano in tasca, da dove
tirò fuori due biglietti che prese tra le dita come per stracciarli. Claire fissava i biglietti, avrebbe potuto mettersi a piangere. L'uomo girò la testa e incrociò il suo sguardo. Claire si sentì avvampare. «Le piace il teatro, signorina?» Aveva dei begli occhi, tristi e azzurri. «Ehm... sì... abbastanza» balbettò Claire. «Bene, allora: se per caso ne ha voglia...» Si chinò e appoggiò una banconota sul tavolo davanti a lei. «Sarebbe stupido buttarlo» aggiunse, alzandosi. Senza una parola, pagò il conto e lasciò la terrazza. Claire guardò il biglietto, poi la sagoma che si allontanava, e di nuovo il biglietto. Che stava lisciando nel palmo della mano. Il silenzio tombale dell'ufficio ricordò a Brenner quello dell'OCRTEH il giorno della visione dello snuff-movie. Johanne era livida. «È questa la ragazza che viveva a Montreal?» chiese con una voce priva di timbro. Sebbene la domanda non fosse rivolta a Brenner più di quanto lo fosse a Savoie, fu quest'ultimo a rispondere. Avvicinando alla collega il dossier sulla sua scrivania. Johanne aprì la cartellina e confrontò la foto a quella dello schermo e alle immagini di Brenner. «Siete certi che non si tratti di un montaggio? Un effetto cinematografico?» Questa volta si rivolgeva a Brenner. «I nostri esperti pensano di no. Ma voi potete chiedere il parere dei vostri, ne ho diverse copie.» «In che circostanze avete ottenuto queste immagini?» intervenne Savoie. Brenner raccontò. «Okay...» sospirò Savoie al termine dell'esposizione. «Internet, computer, non è il mio pane, ma immagino che sia il suo e che possiamo fidarci di lei.» «È pane più di Ulrike Ghesberg che mio, in effetti, ma la ringrazio per la fiducia.» Johanne chiuse di colpo la cartellina. «Perché ritiene che questa... questa merda sia stata girata in Quebec?» domandò con tono aggressivo. «Non ne sono certo. Ma gliel'ho detto, all'inizio la donna, mentre fa l'amore, parla francese. Se in quel punto parla francese è perché c'è qualcuno
che la capisce.» Appena Johanne aprì bocca per obiettare, Brenner la fermò con un gesto. «So cosa sta per dirmi. Ma è stata vista viva per l'ultima volta in Quebec. E non ci sono tracce di lei in Francia né nei territori d'oltreoceano, tanto meno in Svizzera o in Belgio. Abbiamo verificato, mi creda.» «D'accordo, commissario, mi scusi. Ma se un tale orrore è davvero stato commesso, avrei preferito che fosse accaduto da qualche altra parte.» Savoie si accese una sigaretta. «Cosa si aspetta da noi, commissario?» Brenner disincrociò le gambe. «Molto» dichiarò con un sorriso. «In primo luogo, magari ci potrebbe essere qualcosa del genere nelle tonnellate di cassette pornografiche che sicuramente avrete sequestrato.» «La Brigata Moralità ha confiscato centinaia di cassette, è vero, ma nessuna che assomigliasse a questa roba. Erano porno classici, direi, che non avrebbero avuto niente di proibito se non avessero contenuto anche immagini di minori.» Savoie buttò fuori il fumo, scosse la testa e proseguì. «Non mi sono mai capitati degli snuff. E a lei?» «Nemmeno. Ne ho sentito parlare, ho visto cadaveri in uno stato pietoso, ma mai dei film. I miei colleghi dell'OCRTEH sì, ma fino ad ora erano stati tutti girati nel sud-est asiatico. Parlo solo dei film sequestrati, naturalmente. Non ha idea di dove potremmo cercare?» «Così, di punto in bianco, no. Gli snuff sono merce che viene maneggiata con il massimo della discrezione. E noi, qui in Canada, non possiamo perquisire come fate voi; ogni volta bisogna trovare un giudice, convincerlo, esibire prove, testimonianze, etcetera. Se quando arriviamo noi il sospetto non ha già buttato tutto sul fondo del Saint-Laurent, significa che abbiamo di fronte un irrimediabile coglione.» «Sì, conosco un po' il vostro sistema. Non solo, il film potrebbe essere stato girato qui e venduto altrove.» «Forse potremmo cominciare indagando sulla vita di Sophie a Montreal, no?» propose Johanne. Che aggiunse, vedendo il sorriso che sollevava l'angolo della bocca di Savoie: «Cosa c'è? Ho detto una sciocchezza?» «Niente affatto, al contrario. Eravamo noi che stavamo divagando.» «In effetti» rincarò Brenner «anche se trovassimo uno snuff da qualcuno, nulla lo collegherebbe a Sophie Marie-Pierre.» «Allora, andiamo?» «Dove?»
Johanne riaprì il dossier e indicò un indirizzo con il dito. «Qui. La vittima abitava in uno studentato.» CAPITOLO V La portinaia spalancò la porta. «Io non ci vedo nessun mistero, quella piccola era gentile e non c'è niente di strano nel fatto che sia partita poco prima della fine dell'anno. Quando uscite passate a ridarmi le chiavi. Ma se volete interrogare i vicini, avrete qualche difficoltà, perché sono tutti in vacanza. È rimasto solo uno studente. Al secondo piano, Eugène Riobé, un haitiano. C'erano praticamente solo studenti stranieri qui.» Diede il mazzo di chiavi a Savoie. «Ci è entrato qualcuno dopo la sua scomparsa?» «Ma certo che no! La famiglia ha sempre pagato l'affitto, non avevo motivo di far vedere la camera. E poi, se viene qualcuno a chiedere, non sono certo i monolocali vuoti che mancano. Poco ma sicuro!» «Nemmeno lei è entrata?» «Ah, io sì, una volta o due, per controllare se era tornata.» «E non ha toccato niente?» «Dio, no! Ho solo aperto la porta e dato un'occhiata dentro. Tutto qui.» «Non ha notato nulla di particolare?» «No... no... non era stato spostato niente, era tutto come quando è partita.» Savoie agitò le chiavi. «Di chi è questo mazzo?» «È mio. Il suo se l'è portato via lei.» «Non è venuto nessuno a fare le pulizie?» «No, spettano agli inquilini. Alcuni fanno venire delle donne delle pulizie, ma non lei.» «Perfetto, grazie mille per la sua collaborazione. Ne avremo per un po', non ci aspetti.» «Le pulizie? È perché vuoi fare un po' di "rilevamento"?» chiese Johanne mentre salivano le scale. «Proprio così. Non si sa mai.» Un letto con due comodini, una scrivania, un monoblocco per cucina, un bagno. L'insieme appariva lindo e ordinato. Senza eccessivo lusso, né un clamoroso cattivo gusto.
«Aspettate che rilevi le impronte prima di toccare qualcosa» li avvertì Savoie. Mentre Luc apriva una valigetta, Johanne e Brenner osservarono la stanza senza muoversi. «Chi è?» chiese Brenner indicando un poster sopra il letto. «Un cantante del Quebec.» «Piace anche a lei?» «Non è uno dei peggiori. Ma di certo non lo tengo appeso sopra il mio cuscino. Inoltre, non credo che ami particolarmente le ragazze.» «Bene, possiamo procedere» dichiarò Savoie. «Prendete uno straccio, quella roba incolla.» Johanne si diresse verso l'armadio a muro, Luc in cucina. Brenner si avvicinò al computer. Sollevò la cornetta del telefono, lì accanto. La linea funzionava. Spinse il pulsante d'accensione del computer. Lo schermo mostrò l'immagine di una rubrica, con un programma su ogni lettera. Brenner ne aprì alcuni. Poi cliccò su gestione risorse/file manager. «Allora, niente di straordinario in cucina. Quello che contiene il frigorifero è andato da tempo.» «L'armadio è quasi pieno, ci sono una valigia e una borsa da viaggio, e dei prodotti per il trucco e la toilette in bagno.» «Mmm... e lei, commissario?» Brenner manovrava il mouse. «Qui ha le cose per l'università, la posta, i conti, altri documenti... per leggere tutto ci vorranno delle ore. E immagino che non potremo portarci via il computer, giusto?» «Possiamo, con l'autorizzazione di un giudice.» «Sì...» Brenner esaminò il contenitore dell'unità centrale. «Non è che avete un cacciavite a stella?» «Per fare cosa?» «Smontare l'hard disk. Il resto possiamo lasciarlo qui.» «Per la miseria! Vedi Johanne, abbiamo passato solo una mattinata con uno sbirro francese e già infrangiamo la legge.» «Roba da matti» rincarò Johanne porgendogli il cacciavite che aveva recuperato nella valigetta. «Alla faccia del diritto alla riservatezza.» Brenner si infilò il disco in tasca e aprì i cassetti della scrivania. Qualche quaderno e bloc notes che sfogliò.
«Cerca qualcosa in particolare?» chiese Johanne. «Aveva una connessione Internet, cerco uno pseudonimo e una password. Spesso la gente le annota da qualche parte, a volte sul disco stesso, ma nella maggior parte dei casi su un quaderno. Guardi, ecco qua.» Johanne si avvicinò, Brenner girò le pagine del quaderno. «Ne aveva diversi» constatò Johanne. «Non credo. Secondo me annotava le informazioni sui nick che incrociava sulle chat. Osservi: menami F/38/Sherbrooke, e questo: Termig M/25/Strasburgo (divertente). E invece questa deve essere sicuramente lei, malika zAy61, solo il nick e la password, niente esc o commenti.» «Per fortuna che almeno parliamo la stessa lingua» borbottò Savoie. Brenner sistemò il quaderno con l'hard disk. Esaminò ancora qualche foglio e un altro taccuino che era nel cassetto. «Per me è tutto.» «Bene, se andassimo a trovare Eugène Riobé?» «Europol? Esiste una cosa simile?» «Eh sì, signor Riobé. E si sta sempre più ampliando.» «Se ne imparano proprio tutti i giorni.» Da quello che Brenner poteva vedere dal corridoio, il monolocale sembrava la copia conforme di quello di Sophie. Eccetto per il fatto che uno stereo vi diffondeva musica reggae. Savoie si schiarì la gola. «Vorremmo semplicemente sapere se conosce la sua vicina di due piani sopra, Sophie Marie-Pierre.» «La ragazza della Guadalupa? Cosa ha fatto quella santarellina? Crack, PCP?» «Era dedita al consumo di stupefacenti?» Riobé scoppiò a ridere. «Sophie? Non c'è pericolo! Non tocca nemmeno le Marlboro. Un vera principessa del pisello. Noi antillesi amiamo fare festa, eh, zouc, beguine, reggae e via dicendo. Ma Sophie, no. Non l'ho mai vista a una festa. Quindi, come potrei conoscerla? Non dico di non averle mai parlato, lei è ben messa, questo non si può negare, e... ma appena le si rivolge la parola, hop, si chiude come un'ostrica. E non solo con me, ma con tutti. Se volete il mio parere, quella ragazza ha un problemino.» «E all'università?» «Be', lei frequenta Lettere e io Fisica, quindi... e poi ci sono più di qua-
rantamila studenti all'UQAM. Ma cosa ha fatto? Perché la cercate? Perché interessa l'Europol?» I tre poliziotti si consultarono con lo sguardo. «È scomparsa» disse Johanne. «Ah sì? Ecco, vedete, manco me n'ero accorto.» Riobé rifletté un istante e aggiunse. «Forse c'è qualcuno che può aiutarvi. Una ragazza con cui l'ho vista due o tre volte. Elena... non mi ricordo più cosa, ma deve esserci il suo nome sulla porta, stesso piano della Marie-Pierre ma dall'altra parte del corridoio. Solo che è tornata a casa, in Belgio, e credo che fosse all'ultimo anno.» «La ringraziamo per la sua collaborazione, signor Riobé.» «Non c'è di che. Spero di esservi stato di qualche aiuto.» «Mi dica, signor Riobé, anche lei è in vacanza?» Riobé squadrò Brenner con sorpresa, e diffidenza. «Sì, perché?» «Non trascorre le vacanze ad Haiti?» Riobé chiuse gli occhi un secondo e annuì con il capo. «Lei conosce Haiti?» «No.» «Vede, nel mio villaggio, quando ho voglia di fare una doccia devo sciropparmi un miglio a piedi solo per trovare un rubinetto che, per inciso, non è destinato alla doccia. Quindi no, non passo le vacanze ad Haiti. Solo i turisti passano le vacanze ad Haiti. Se mai tornerò a casa, mi metterò a istallare docce. Le basta come risposta?» A sua volta, Brenner annuì con il capo. «Allora, se non avete più nulla da chiedermi...» «Siamo a posto così, signor Riobé, grazie di nuovo» rispose Savoie. L'haitiano li salutò con un cenno del capo, poi, subito prima di chiudere la porta, li richiamò. «Aspettate» disse prendendo qualcosa su un ripiano. «Se amate gli ambienti antillesi» aggiunse porgendo loro un biglietto da visita «questo è un caffè dove ogni tanto suonano dal vivo. Per divertimento.» Savoie si mise il biglietto in tasca. «Elena Uttebroeck» lesse ad alta voce Johanne. «Potete ritrovare le sue tracce?» chiese Brenner. Savoie chiuse il bloc notes. «Certo. Perché quella domanda, prima, a proposito delle vacanze?»
«Non lo so... Quel tipo da solo in un edificio vuoto, mi è parso strano. E poi quella sua aria distesa e tranquilla. Mi è sembrata un po' forzata, a voi no?» «Sì, lo era. La sua condizione di studente gli proibisce di lavorare in Quebec. E siccome sicuramente lo farà lo stesso, è logico che non fosse entusiasta di vederci. Chiederemo informazioni su di lui all'Immigrazione. Ma che resti qui non ha nulla di sorprendente, la comunità haitiana a Montreal è molto numerosa.» Savoie appese la giacca allo schienale della poltrona e prese la valigetta che aveva appoggiato sulla scrivania. «Farò sviluppare il rilevamento, non ci metterò molto.» «Vuole bere qualcosa, commissario?» domandò Johanne mentre sistemava una pila di rapporti. «No grazie, ma la prego, lasci perdere il lei e il commissario, mi chiamo Eric.» «D'accordo, Eric» disse sedendosi alla scrivania. «Per quanto riguarda il lei, sarà facile: non è molto frequente in Quebec.» «L'ho notato» ribatté Brenner tirando fuori dalla tasca l'hard disk e il quaderno per appoggiarli sul tavolo. «Spero che il mio arrivo non disturbi troppo le vostre inchieste.» «Le mie no di certo. Sono inquirente da poco, non c'è ancora granché da disturbare.» «E il lavoro le... ti piace?» Johanne piegò la testa di lato, con una piccola smorfia. «Sì, non è proprio come lo immaginavo, ma mi piace.» «È sempre stato il tuo sogno diventare poliziotto?» Johanne rise in silenzio. «No, no. Ho studiato Legge all'università e, dopo la laurea, avevo iniziato la carriera forense, però... insomma, non corrispondeva per nulla a quello che avevo immaginato... Ho cercato qualcos'altro, ho fatto domanda alla scuola di polizia e sono stata accettata. Da qualche settimana sono inquirente - da noi in Canada la dizione esatta è questa: inquirente - presso lo SPCUM. Non proprio una vocazione, piuttosto un caso fortuito. E tu, Eric?» «Un po' più di vocazione, un po' meno caso... Laurea in legge e poi due concorsi. Quello da magistrato e quello da poliziotto. Ho fallito il primo e superato il secondo. Avrei potuto essere giudice, sono poliziotto. Mi inte-
ressavano entrambi.» «Commissario è come dire comandante da noi, vero?» «Non conosco bene i vostri gradi, ma credo di sì.» «Oh, ma io non darei mai del tu a un comandante! Anche se tu... scusami ma, sembri giovane per essere un comandante.» «Quarantun'anni, è la media.» «Te ne davo di meno.» Savoie entrò nell'ufficio, con una busta in mano. «Ecco qua, possiamo andare alle Informazioni.» Una quindicina di consolle occupavano la sala senza ingombrarla; ogni consolle supportava tre monitor. In fondo, tende blu nascondevano uffici vetrati. Savoie si avvicinò a una delle operatrici. «Ciao, Natii. Puoi dare un'occhiata a questo?» L'operatrice aprì la busta, tirò fuori un calco e lo esaminò con una smorfia. «Cristo santo, Luc. Non sei proprio dotato come rilevatore di impronte, dovresti lasciarlo fare agli specialisti. Non ti prometto nulla.» Appoggiò i calchi sullo scanner della consolle e iniziò il processo di enumerazione. «Così si dovrebbe riuscire...» borbottò dopo aver visualizzato la prima impronta sullo schermo. La consolle emise una serie di bip. Nath pigiò una combinazione di tasti. Su uno dei monitor apparve un fondo blu pastello con varie icone. «Abbiamo delle risposte» tradusse Nath cliccando su un'icona. «La scheda di immigrazione di Sophie Marie-Pierre» constatò Savoie. «Abbiamo qualcosa su di lei nel nostro archivio» precisò Nath mostrando un riferimento. «È il dossier che ho compilato io, non vale la pena di aprirlo. Qualcos'altro?» Nath cliccò una seconda icona. La scheda di Elena Uttebroeck. «Perfetto!» esclamò Brenner. «Si conoscevano... ed ecco qui il suo indirizzo in Belgio.» «Sembra che abbia lasciato il Quebec da un mese» osservò Savoie. «Nient'altro dalle impronte, Nath?» «Una che non esce. La aggiungo al tuo dossier?» Savoie annuì con la testa. Nath spostò il cursore verso il riferimento.
«Altre informazioni?» chiese dopo aver finito l'operazione. «Coraggio. Spara.» «Cos'hai su Eugène Riobé?» Savoie le ripeté il nome lettera per lettera. Apparve un file simile ai due precedenti. «Nient'altro su di lui da nessuna parte.» «Bene, copialo comunque nel mio dossier e poi sono a posto.» «Mmm...» intervenne Brenner. «Avete sottomano una connessione internet?» «Abbiamo appena cambiato server, adesso abbiamo a disposizione un maxi-computer IBM Multiprise 2000-115, collegato a Internet attraverso Rnis» spiegò Natii con un sorriso divertito. Brenner fece una smorfia di ammirazione. «Dovrebbe bastare.» «Per cosa?» «Per spedire queste informazioni a L'Aia.» Nath corrugò la fronte. «A L'Aia... Tecnicamente non ci sono dubbi. Ma non sono certa che i nostri accordi lo autorizzino. Avrò bisogno per lo meno dell'avallo del SCRC. Non disponete delle impronte della vostra cittadina residente all'estero?» «Non abbiamo mai avuto ragione di prendergliele, non è una criminale. Potrebbe effettuare una copia di questi dati su un floppy e darla a Luc Savoie?» «Se me lo chiedesse...» «Nath, puoi farmi...» La ragazza pigiò un tasto, poi un altro. Dopo qualche secondo estrasse un floppy dal lettore. «Un'ultima cosa» aggiunse Brenner tirando fuori l'hard disk da una tasca della giacca. «Potreste montare questo aggeggio su uno dei vostri apparecchi?» «È un modello corrente. Glielo collego in parallelo?» «Se è possibile.» «Senza problemi. Vuole lavorare qui?» «Be', avrò bisogno di una connessione a Internet.» «Può averla in tutti gli uffici, qui a volte c'è parecchio rumore. Non è l'ideale per concentrarsi.» «Sarai più tranquillo nel nostro ufficio» intervenne Johanne.
Nath si alzò e chiamò un agente in fondo alla sala. «Thierry, vieni qua!» Gli diede l'hard disk. «Collegalo in parallelo su un UC, poi prendi un monitor e una tastiera e monta il tutto nell'ufficio di Luc.» «Se avesse una tastiera Azerty sarebbe l'ideale» disse Brenner. «Ah, mi dispiace, non credo che l'abbiamo...» si scusò Thierry. «Le faccio trovare tutto pronto per domani mattina, d'accordo?» «Perfetto.» CAPITOLO VI Snake: Sweety> tu succhi? Claire ignorò la frase, frequente ma che oggi, per la prima volta, la faceva ridere. Spiava la risposta di CoolWebeur. Snake: Sweery> allora, stronza, non rispondi? Hai la bocca piena? Si apprestava a formulare una risposta sferzante quando apparve il nick tanto atteso. CoolWebeur: Sweety> buongiorno! Come stai? Sweety-C: CoolWebeur> a meraviglia! Se tu sapessi! CoolWebeur: Sweety> è bello sentirti felice. Racconta Snake: CoolWebeur> è buona la Sweety, testa di cazzo? Sweety-C: CoolWebeur> okay, su ICK. CoolWebeur: Sweety> okay. Snake> non farti venire le vesciche alle mani, coglione! Si aprì il pannello chat ICK, fondo nero e lettere gialle per CoolWebeur, lettere bianche e fondo blu per Claire. «Perfino il tuo sfondo è allegro oggi! Hai avuto il lavoro?» «No, ma... Senti, non riesco ancora a crederci...» Raccontò la sua avventura, per cui fu necessaria più di una schermata. «Ti rendi conto? È come un sogno... tu pensi che ci debba andare?» «Ma certo. Perché non dovresti?» «Be', non so... forse non ci sarà.» «E allora? Il biglietto ti è stato regalato, mica l'hai rubato, no? Non è colpa tua se Karine l'ha mollato. Morivi dalla voglia di vedere quello spettacolo, non buttare via un colpo di fortuna simile. E com'è il tipo? Sembra simpatico?» «È un po' più grande di me, ma... sì! E poi leggeva quel libro di Marie
Laberge di cui ti avevo parlato, sai, Juillet.» «E hai ancora dei dubbi! Invece di stare a parlare con me dovresti essere a prepararti! E sperare che decida di venire.» «Mmm... a dire il vero ho passato il pomeriggio a prepararmi... spero di rivederlo.» «Però gradiresti la mia opinione in proposito...» «Volevo sapere se magari sto facendo una sciocchezza.» «Ma no! Vorrei proprio che anche a me succedesse qualcosa del genere. Coraggio, bella mia, cogli l'attimo!» «A presto Cool. Baci.» «Baci, Claire. Mi racconterai?» «Promesso. A domani.» Claire spense il computer e guardò il grosso orologio accanto al letto. In largo anticipo. Corse in bagno a verificare trucco e pettinatura. Seduto sullo spigolo della scrivania, Savoie osservava Brenner chino sul portatile. «Non ci vorrà ancora molto...» mormorò quest'ultimo. Con un movimento del mouse allegò come attach al messaggio che aveva appena scritto il file estratto dal dischetto. Poi cliccò su Invia. Una finestra mostrò la percentuale di trasferimento mentre il computer ticchettava. «Fatto» bofonchiò Brenner appena la finestra indicò il cento per cento. «Chi lo sa, magari abbiamo qualcosa noi, nei nostri archivi. Mi auguro anche di poter sentire presto Elena Uttebroeck.» Brenner attese la conferma che il messaggio era stato ricevuto e chiuse il portatile. «Io» disse Savoie «spero soprattutto che sappia dirci qualcosa di utile, perché finora...» Il tono era imbarazzato e cupo. Brenner girò la testa nella sua direzione. Così come Johanne. «Qualche problema, Luc?» «Non proprio. È solo che non abbiamo in mano niente che ci permetta di aprire un'inchiesta criminale. Immagini provenienti da non si sa dove, scoperte a L'Aia, che mostrano una francese maggiorenne che forse è scomparsa in Quebec. Inutile anche solo cercare un giudice con questa roba.» Brenner scosse la testa. «Lo stesso problema che abbiamo avuto in Francia, ma ci siamo accontentati.»
«C'è la denuncia del signor Marie-Pierre» obiettò Johanne. «Nulla ci impedisce di essere particolarmente zelanti nel nostro mestiere.» Savoie si concesse un sorriso. «No, niente, in effetti. Ma appena avremo bisogno di un giudice...» «Be', faremo in modo di non averne bisogno» replicò Brenner. Savoie aprì le braccia, come per arrendersi. «Se siamo tutti d'accordo... vi propongo una serata al Foufounes électriques.» Brenner sollevò le sopracciglia. «Électriques?» «Sì.» confermò Luc «électriques.» «Un disco-pub in tue Sainte-Catherine» precisò Johanne. «Anche un luogo di incontro» proseguì Savoie. «Ci lavora uno dei miei informatori. Le sue specialità sono coca, PCP e porno. Non credo che si occupi anche di snuff, ma gli possiamo chiedere di raddrizzare le orecchie. Non conosce né lei, commissario, né Johanne. Vi presenterò come amici che amano esperienze... un po' particolari. Con il suo accento francese, la copertura dovrebbe risultare credibile. Ci possiamo trovare lì attorno alle ventidue. Tu sai dov'è, Johanne?» «Naturalmente» rispose lei girandosi verso Brenner. «Passo a prenderti al tuo albergo alle ventuno e trenta.» La maschera verificò il numero della poltrona scritto sul biglietto e le indicò la fila. Le luci della sala del Teatro Saint-Denis si erano appena abbassate, Claire cercava di orientarsi nella semioscurità. Fu certa di aver riconosciuto l'uomo solo quando gli si sedette accanto, nella poltrona vuota. Lui le fece l'occhiolino con un piccolo gesto del capo. Claire si sentì a disagio. Stava prendendo il posto di un'altra. «Spero di non disturbarla» disse piegando la giacca sulle ginocchia. Lui girò di nuovo la testa verso di lei e, in silenzio, la fissò per un istante. «Certo che non mi disturba.» Alzò impercettibilmente le spalle. «Sarei anche potuto non venire. C'è mancato poco, a essere sincero... ma poi mi sono detto che una risata è il rimedio migliore.» Il suo sguardo tornò ad appuntarsi verso il palcoscenico. In scena si stavano concludendo gli ultimi preparativi, il sipario a tratti si muoveva. Claire lo osservò di profilo. Ebbe l'impressione che avesse pianto. «Ha finito Juillet?» chiese lei senza sapere bene perché.
Questa volta sorrise, guardandola. «Lei l'ha letto?» «Sì, mi è piaciuto molto. Anche se avrei preferito un finale diverso.» «Forse è perché le grandi storie d'amore non possono che finire male.» Claire si diede dell'idiota. Non era proprio l'argomento da tirar fuori. Ma l'uomo rise in silenzio e aggiunse: «Lo affermo a ragion veduta, visto che anche la mia è appena finita. Ma non così male, forse perché non era particolarmente grande. Anzi, a dire il vero, parecchio ordinaria.» Claire stava per rispondere qualcosa, ma le luci si spensero e il sipario si aprì. Brenner quasi non la riconobbe. Un abito salmone, corto e aderente, aveva sostituito i jeans e la maglietta del giorno. I capelli castano chiaro, adesso sciolti, le coprivano le spalle. Occupata a leggere un manifesto nella hall, gli dava la schiena, con una borsa a tracolla sulla spalla, una giacca leggera piegata sul braccio. Aveva lasciato una ragazza con un'ombra di pinguedine, anche se ben fatta. Ne ritrovava una nettamente più ben proporzionata che rotondetta. Forse per effetto dei tacchi che le allungavano le gambe. Johanne si girò. Se notò il suo interesse e la sua sorpresa, non lo diede a intendere. «Andiamo?» «Ti seguo» rispose Brenner avanzando. Notò anche che aveva cambiato profumo. Qualcosa di più pesante e meno naif della violetta. «Ho lasciato la macchina nel parcheggio dell'hotel, ma possiamo anche andare a piedi, non è lontano.» «Va bene.» Abbandonarono boulevard René Lévesque e risalirono rue SainteCatherine. L'inizio del quartiere notturno, che prosegue per rue SaintDenis, attorno a Berri-UQUAM. La folla si fece improvvisamente più densa sui marciapiedi, invadendo la strada. Savoie li trovò per primo. Attraversarono la terrazza recintata da una rete metallica e si sedettero sulle poltrone più esterne. Lontano dalle casse, il volume del rock alternativo era sopportabile. «Il mio tizio è appena arrivato» disse Savoie chinandosi verso di loro. «Lo faccio scorrazzare un po' e poi vado a cercarlo. Cosa prendete? Birra?» Johanne e Brenner annuirono. Savoie si alzò e fece il giro attorno alla
pista per raggiungere il lungo bancone che tagliava in due la sala. Brenner tentò di decifrare i graffiti che coprivano il muro di fronte. I flash degli spot illuminavano inutilmente lettere troppo complesse e già di per sé mosse e incerte, e conferivano spasmi di vita a sculture metalliche non meno ermetiche delle scritte. L'insieme appariva curioso, disomogeneo ma non sgradevole. Brenner gettò un'occhiata agli avventori che affollavano la pista. Dal punk all'abito a tre pezzi, passando dagli short alle camicie a quadri. Savoie tornò portando tre bottiglie di Bud nel momento in cui partiva la techno a volume più alto. Bevvero senza dire una parola, la musica rendeva impossibile qualsiasi tentativo di conversazione coerente, le poltrone vibravano al suono dei bassi. «Vado» disse Savoie con uno scatto. Più che comprendere, indovinarono le sue parole. «Sei un francese pervertito, non dimenticarlo» suggerì Johanne all'orecchio di Brenner. «Non immagini fino a che punto» rispose lui nello stesso modo. Si coprì la bocca con la mano per coprire una risata. Luc emerse dalla folla spingendo, più che accompagnando, un tipo sui venticinque anni. Capelli arancio con ciuffi verdi, giubbotto di pelle nera e jeans sfrangiati sopra il ginocchio, due Bud per mano. Mugugnò un vago buonasera e si sedette sulla poltrona indicatagli da Savoie prima di appoggiare le birre sul tavolino. Le luci non contribuivano a migliorare il suo colorito, tra il livido e lo smorto. Alla base della narice scintillava un diamante, troppo grosso per poter essere vero. Il deejay aveva messo su un vecchio pezzo dei Doors, che, dopo la techno, sembrava particolarmente dolce. Savoie poggiò una mano sulla spalla del suo informatore. «Ecco, Chris: questo è il mio amico che cerca qualcosa di speciale.» Chris tirò su col naso; i fari di un'auto che svoltava in rue SainteCatherine lo illuminarono per un istante, rivelando una lacrima tatuata all'angolo dell'occhio sinistro. Il suo sguardo oscillò tra Johanne e Brenner, prima di fissarsi su quest'ultimo. «Cosa cerchi esattamente?» «Roba hard, tipo gore ma non finta. Mi sono fatto capire?» Chris diede un'occhiata a Savoie, che annuì con la testa. «Sei francese?» chiese il giovane.
«Sì, e allora?» rispose Brenner con tono secco. «Allora niente» rispose Chris alzando le spalle. «Posso trovarti tutti i porno che vuoi, ma di snuff» scosse il capo «non ne so nulla.» «Se riesci a rimediarmene almeno uno, sono pronto a farti ricco per il resto della vita. Vedi tu.» Johanne mormorò qualcosa all'orecchio di Eric. «Una sola cosa» riprese Brenner. «Solo donne, okay? I maschietti non mi interessano.» Johanne strinse la mano di Eric, in modo piuttosto ostentato, perché Chris notasse il gesto. Dietro dì lui arrivò una ragazza, con gli occhi fuori dalle orbite. Non più di diciotto anni, T-shirt aderente e strappata, una micro minigonna che scopriva due cosce cicciottelle, Cat senza lacci ai piedi, un anellino nell'ombelico. Si mordicchiava le labbra mentre scuoteva la spalla del giovane. «Che cazzo fai? Ti sto aspettando!» Chris le afferrò la mano e si girò in un solo movimento. «Chiudi quella boccaccia, Tyna. Sto lavorando» imprecò lui con voce cattiva. La ragazza ridacchiò e se ne andò barcollante. Chris tornò a Brenner, con un gesto della mano, come per pregarlo di scusare l'interruzione. «Vedrò cosa posso fare. Ma non ti prometto niente. Se trovo qualcosa, dove posso raggiungerti?» «Cerca me» interloquì Savoie. Chris annuì con una smorfia, poi levò le tende, portandosi via la Bud che non aveva toccato. «Cosa gli ha detto di me per fargli bere la storia?» chiese Brenner. «Che lei è in possesso di informazioni che mi fanno gola e che, per ovvia conseguenza, ci tenevo ad accontentarla. È il modo migliore con questi stronzi; basta rifilare loro le paroline giuste, e tutto il resto salta fuori quasi in automatico.» Jim Morrison cedette il posto alla techno. Johanne indicò la pista a Brenner. «Balli?» Gli applausi durarono a lungo. Ben oltre l'ultimo saluto degli attori. Di colpo tornò la luce. Claire si protesse gli occhi con la mano. Il vicino continuava ad applaudire, allegro.
«Per Dio!» gongolò infine. «Ho fatto bene a venire, sono morto dal ridere.» «Anch'io» si associò Claire. Il suo vicino lasciò che il grosso degli spettatori lasciasse la sala, poi si alzò e ripiegò la seduta della poltrona. «Spero che abbia passato una buona serata, signorina.» Le tese la mano. Lei la strinse. «Sì... certo... non so come ringraziarla.» Lui le tenne la mano un secondo più del necessario, ma Claire non se ne accorse, e comunque la cosa non le diede alcun fastidio. Al contrario. Le sarebbe piaciuto... che la invitasse, che facesse qualcosa, che non finisse tutto lì. «Dovrebbe ringraziare più che altro Karine, signorina...» Sorrise, come rattristato di non conoscere il suo nome. «Claire» disse lei subito. «Claire? Le sta bene. Lei è luminosa. Io mi chiamo Lionel. Allora arrivederci, Claire.» «Arrivederci, Lionel.» L'uomo si girò e si infilò tra le poltrone. Lei lo seguì dopo qualche secondo. Malgrado la confusione, uscirono quasi insieme dal teatro. Lionel si fermò sul marciapiede per accendere una sigaretta, Claire lo superò di una decina di metri, quindi si fermò a sua volta per cercare un biglietto del metrò nella borsa. «Prende la metropolitana a quest'ora?» Claire sussultò, non l'aveva sentito avvicinarsi. «Be', sì, non ho scelta.» «Abita lontano?» Gli comunicò l'indirizzo. Lionel rifletté un istante. «In effetti non è proprio vicino, e poi dovrà anche camminare. Senta, sono venuto in macchina, se vuole, posso accompagnarla.» «Davvero?» Riattaccò la musica alternativa. Johanne fece cadere le braccia e smise di ballare. Brenner la imitò. Erano entrambi sudati, col fiato corto. Da sopra la spalla di Johanne, Brenner notò la ragazza di prima, Tyna, appoggiata al bancone. Gli occhi sembravano aver ritrovato le loro orbite. Anche se restavano stranamente brillanti. Rideva a scatti ogni volta che qualcuno gio-
cherellava con l'anellino al suo ombelico. PCP, pensò Brenner seguendo Johanne al loro tavolo. «Vivaldi, le piace?» chiese Lionel mostrandole un CD. «Vivaldi? Lo adoro!» esclamò Claire. «Ho una cassetta che ho consumato a forza di ascoltare.» «C'è una stagione che preferisce?» «L'estate.» Le prime note riempirono l'abitacolo quando la macchina giunse sull'autostrada Ville-Marie. Brenner cercava di ricordare il titolo. Child in Time, sì, era quello. In versione rivisitata, irriconoscibile. Ma il lento dei Deep Purple restava un lento. Si chinò su Johanne. «E balli anche questo?» «Naturalmente» replicò lei alzandosi. Savoie li seguì con lo sguardo, sorridendo. Brenner abbracciò la sua dama. I suoi occhi incrociarono quelli di Tyna, sempre al bancone. Lei distolse immediatamente lo sguardo, ma lui non poté fare a meno di pensare che li stesse osservando. «Tyna, l'amica di Chris, è ancora al bancone» sussurrò a Johanne. «Lo so, l'ho vista.» «Mmmm... deve pensare che siamo due pervertiti. Non è stato male il tuo gesto di prima, quando mi hai afferrato il polso. Molto in stile.» «Un modo per unire l'utile al dilettevole.» Il ritmo della musica ebbe un brusco cambiamento. Brenner cambiò posizione. Con la mano toccava la schiena nuda di Johanne. La strinse più forte. Lei non oppose resistenza, né amplificò il movimento. Il petto gonfiava la camicia. «Ci osserva ancora?» chiese Johanne. «Sì, sì,» rispose Brenner senza verificare. «Allora non dobbiamo deluderla.» L'auto si fermò lungo il marciapiede. Lionel si girò verso Claire. «Voilà, eccola a casa.» La ragazza gli sorrise, poi cercò la borsa ai suoi piedi. «Io... ehm... grazie... Ah, ma dove avrò messo le chiavi...» Rovistò nella borsa. Lionel la osservava in silenzio, una mano sul volan-
te, l'altra sul bracciolo. «Eccole!» sbottò Claire, come se avesse dubitato sul serio di ritrovarle. Lionel restava sempre immobile, lei stava per risolversi ad aprire la portiera, ma cambiò idea all'ultimo istante. «Posso ascoltare la fine?» chiese indicando il lettore CD. «Certo.» Aveva risposto a tono, sollevato. Claire posò la borsa. Ascoltarono Vivaldi per qualche secondo con le palpebre semichiuse. Poi Lionel si appoggiò allo schienale del sedile, si massaggiò gli occhi come per cancellarne un dolore e mise le mani sul volante. Prima di emettere un sospiro. «Ascolta, Claire... Io... è stupido, ma... ho ancora l'impressione di tradire Karine.» Era sul punto di mettersi a piangere. «Aiutami a dimenticare» aggiunse. Claire gli sfiorò la mano con i polpastrelli. Lionel si chinò su di lei. Savoie appoggiò qualche dollaro sul tavolo. «Il nostro amico Chris se n'è andato. Io faccio lo stesso. Voi vi fermate?» «Torno in albergo» ribatté Brenner. «A meno che Johanne non abbia voglia di un ultimo giro in pista.» «No, no, basta così. Non sono poi una gran ballerina, sai.» «Bene» riprese Savoie «ho promesso a mia moglie di passare il fine settimana con lei, non sarò in ufficio domani. Vuole che le lasci le chiavi per accedere al computer, commissario? Dovrà solo riconsegnarle in portineria quando esce.» «Volentieri.» Lionel l'aveva sentita vibrare di desiderio quando aveva socchiuso le labbra, e gemere quando con la mano le aveva accarezzato il seno. E più ancora quando con la bocca ne aveva baciato la punta turgida. Si soffermò ad ascoltare il cuore che le batteva all'impazzata e tornò alle labbra. Claire aveva il respiro corto e gli occhi chiusi, tra le sopracciglia una piega di piacere atteso, trattenuto. Le scostò un lembo della gonna. Il petto le si sollevò più in fretta. Le accarezzò l'interno delle cosce, che lei aprì soffocando un gemito. Le sfiorò la cucitura dello slip, poi si fermò per osservarla. Era superba così, offerta senza provocazione. Perfetta. La piega tra le sopracciglia si fece più profonda.
«Continua, per favore, continua...» mormorò lei. «Non qui» rispose Lionel baciandole le palpebre. Claire aprì lentamente gli occhi. Lionel sorrise, con la sua voce rauca, e le accarezzò la guancia. «Se andassimo da me? Ho uno chalet in riva a un lago, potremmo trascorrerci il fine settimana.» Le accarezzò il ventre. Claire chiuse di nuovo gli occhi. «Non può essere vero» sospirò lei. «Perché dici così? Ho una tenuta di caccia e pesca in riva al lago Obedjiwan.» Claire si strinse a lui. «Se sapessi quanto ho voglia di stare con te... questo fine settimana, gli altri, sempre...» «Allora, andiamo?» Incapace di rispondere, lei annuì col capo. Poi, dopo qualche secondo, aggiunse: «Però Obedjiwan è molto lontano, quasi a Chibougamau...» Lionel mise in moto. «Sì, ma ho un idrovolante. Avverto il guardiano dello chalet perché ci faccia trovare il fuoco acceso, quando arriviamo.» Lionel compose un numero sul cellulare. Claire gli appoggiò la guancia nell'incavo della spalla mentre l'auto lasciava il marciapiede. La notte, fuori, parve loro quasi fresca. Brenner aiutò Johanne a infilare la giacca. Camminavano l'uno a fianco all'altra, a passi lenti. La folla era meno densa che a inizio serata. «Tyna ci segue» dichiarò sottovoce Brenner dopo un centinaio di metri. «Ho visto» replicò Johanne avvicinandosi a lui. «Da che parte sono le puttane?» «Vieni con me» disse lei trascinandolo dall'altra parte della strada. Proseguirono fino a Saint-Denis, squadrando le ragazze appoggiate ai muri e ai lampioni senza nascondersi. «Continua a seguirci?» «Sì.» Brenner si avvicinò a una ragazza di colore, seduta sul cofano di un'auto, la cui tenuta e posa non lasciavano alcun dubbio. Lei li osservò avvicinarsi senza muoversi. «È possibile un po' di svago a tre?» chiese Brenner. «Niente lavoretti particolari, smamma!»
Il francese della prostituta aveva reminiscenze spagnole. «Nemmeno se pago?» «Sei sordo o cosa?» disse a voce più alta. «Smammaaa!» Un uomo appoggiato sotto la volta di un portone si fece avanti di colpo. Un armadio che si aprì i lembi del giubbotto di pelle. In modo che tutti capissero che la tasca conteneva qualcosa di pesante. Brenner registrò la presenza di un tipo della stessa stazza un po' più lontano, seduto su una moto. «Qualche problema?» chiese l'armadio senza guardare Brenner. «No» replicò la ragazza. «Credo che abbia capito.» Brenner annuì con il capo e trascinò Johanne più avanti lungo la strada. «È sempre lì?» «Non la vedo più, ma prima, quando eravamo con la puttana, ci stava guardando.» «Bene, spero si sia convinta.» «Cosa avresti fatto se ti avesse detto di sì?» «Avrei sicuramente discusso sul prezzo. Chi era quello del servizio sicurezza?» «Un dei Rock Machines, una gang di motociclisti.» «Pericolosi?» «Abbastanza. Armati fino ai denti. Controllano droga e prostituzione, per lo meno in parte. Di recente c'è stata un'operazione condotta da seicento poliziotti della Gendarmerie Royale e della Süreté du Quebec. Esito finale: una ventina di arresti, la muratura di qualche edificio, l'espulsione dei Rock Machines da uno dei loro locali fortificati e diversi milioni di dollari sequestrati. Ma, come vedi, sono ancora lì.» «Anche Tyna. È davanti. Una volpe...» «Ha capito che ci siamo accorti di lei?» «Non credo. Altrimenti penso che si farebbe vedere, oppure si nasconderebbe del tutto. È astuta, ma non una professionista del ramo.» Accelerarono il passo fino al Travelodge. Tyna li seguì. Attraverso le vetrate della hall la videro passare sul marciapiede e dare una rapida occhiata nella loro direzione. «Non è il caso che tu esca adesso. Possiamo andare a bere un bicchiere qui in albergo.» L'ascensore li lasciò al piano del bar. Il corridoio era buio, illuminato solo dalle luci di soccorso e da quella dell'ascensore. «Accidenti» bofonchiò Brenner «è chiuso.» Le porte dell'ascensore si riaccostarono ermeticamente, l'oscurità si ac-
centuò. «Il bar chiude alle 23.30. È scritto nella hall.» «Se lo sapevi, perché non me l'hai detto?» «Secondo te?» Brenner indovinò il suo sguardo, la forma arrotondata delle sue labbra. Fece scivolare le mani tra i capelli di Johanne, attirandola a sé. L'idrovolante planò e attraccò al pontile senza urtarlo. L'uomo che aspettava ormeggiò immediatamente il velivolo al molo, a una distanza ragionevole dal cabin cruiser di 30 piedi che oscillava per effetto dell'onda creata dalla scia. «Buonasera, signore. Buonasera, signorina» li accolse cerimonioso quando Lionel aprì lo sportello della carlinga. «Buonasera, Roger, è tutto pronto?» «È tutto pronto, signore.» Lionel aiutò Claire a raggiungere il molo, poi a togliersi la giacca da volo che buttò nella cabina di pilotaggio. Dopodiché la prese per le spalle e le mostrò lo chalet. «Ti piace?» Non era uno chalet, ma una vera e propria casa in mattoni, con tanto di veranda e un piano superiore. Attraverso una finestra del piano terra, Claire intravide il bagliore del fuoco di cui poteva sentire l'odore, portato dal vento. Dovette trattenersi per non battere le mani. «L'ha costruito mio padre» spiegò Lionel dirigendosi verso la casa. «Ci veniva spesso, a me dispiace non poterci vivere. Vedrai, dentro è ancora più bello.» Roger scomparve come per incanto appena raggiunsero la porta d'ingresso. Claire si era tolta le scarpe. Il contatto dei piedi nudi con la pelliccia di orso polare la faceva vibrare di piacere. A meno che non fosse la presenza di Lionel, dietro di lei, così vicino. Le appoggiò le mani sulle spalle. Lei si lasciò andare contro di lui. Gli accarezzò il collo, le palpebre, le labbra. Lei chiuse gli occhi e sorrise. Lionel le accarezzò il mento con il palmo della mano e lo sollevò, lei accompagnò il movimento piegando la testa all'indietro. Una telecamera zoomò sul suo viso. Un'altra la inquadrava dalla testa ai piedi.
Claire socchiuse le labbra, lui si attardò sui suoi denti, poi lentamente le infilò un dito in bocca. Lei lo accarezzò con la punta della lingua mentre si slacciava la camicetta. Il petto quasi le faceva male. Lionel le liberò la bocca. Lei cercò di trattenere il piacere. Le pizzicò la punta dei seni fino a farla gemere. La telecamera registrò le contrazioni del volto. Il fremito dei muscoli. Sentì una pressione nell'incavo delle reni, obbedì e si inarcò. Lionel le tolse la gonna. Lei non riuscì a trattenere un grido quando lui le massaggiò il pube. Né quando ne aprì le labbra. Le ginocchia le si piegarono; non cercava più di trattenersi, al contrario, accompagnava i movimenti di Lionel. Senza rendersi conto che non erano più soli all'interno della stanza. Non reagì quando due mani le afferrarono le caviglie. Ma sentendosi sollevata e strattonata in avanti, aprì improvvisamente gli occhi. E vide due uomini con il volto coperto. Claire gridò e si dibatté quando la trascinarono via. Ebbe il tempo di scorgere Lionel che sorrideva mentre si accendeva una sigaretta. Le telecamere della sala si spensero. CAPITOLO VII Johanne dormiva su un fianco, i capelli le coprivano il viso. Brenner li scostò e le accarezzò la spalla. Lei aprì un occhio e sospirò. «Mi ero riaddormentata...» «Sì. E intanto sono arrivate le colazioni.» Johanne si stirò, sistemò un cuscino alla testa del letto e vi si appoggiò. «Ho fame.» Brenner le posò un vassoio sulle ginocchia. Tra le uova al tegamino e i muffin al mirtillo canadese, il computer appoggiato sul comodino emise un richiamo sintetizzato. «Cosa ha detto?» chiese Johanne. «Chat request» rispose Brenner. Prese il portatile e il fascio di fili che lo prolungavano per metterlo sul letto. «Pohzeikommissar Ghesberg,» fece lui cliccando su accept. Johanne lo fissò corrugando la fronte. «Sì, lo so, pronunciato così fa sempre uno strano effetto. Ulrike Ghesberg è la mia collega dell'Europol.»
Guardò automaticamente l'orologio e fece il calcolo, A L'Aia erano le 15. Lo schermo mostrò la doppia finestra della chat e subito dopo una riga sul lato di Ulrike. «Buongiorno, tutto bene? Sei già sveglio?» «Buongiorno, tutto bene, mi stavo dedicando alla prima colazione.» «Okay, farò in fretta allora, così non si raffredda... le impronte non hanno dato risultati. Ho stampato e trasmesso il rapporto a Carpita. È d'accordo sull'idea di raccogliere la testimonianza di Elena.» «State sbrigando tutte le formalità?» «Sai quanta carta e quanti passaggi sono necessari, allora abbiamo deciso per un'altra strada. Ho una conferenza a Bruxelles, ne approfitterò per vedere Elena. Se accetta di parlarmi, faremo regolarizzare il tutto dai belgi; se si rifiuta, potremo sempre ricorrere alle vie ufficiali.» «Quando ci vai?» «La conferenza è fissata per lunedì mattina, ci andrò dopo. E tu? Novità da quella parte dell' oceano?» «No, nulla.» «E come sono i colleghi canadesi?» «Disponibili ed efficienti.» Johanne annuì con il capo. «Tanto meglio, ho lavorato con dei poliziotti americani e ho sempre avuto l'impressione che mi facessero vedere solo quello che volevano che vedessi. Un po' frustrante...» «Normale» commentò Johanne. «Gli americani sanno prendere, ma non dare.» «Qui va tutto bene, gli scambi funzionano.» Johanne, alle prese col suo muffin, annuì di nuovo. «Perfetto. E le canadesi sono davvero tutte rosse?» Johanne digitò a caso una serie di tasti. «Werghijkl!!!!» Brenner le afferrò il polso, lei gli fece la lingua. «Ti ho fatto cadere il caffè?» «Sì, esatto. Ehm... non tutte, ce ne sono anche di castane chiaro.» «Castano chiaro...» «Sì. Con leggere macchioline di rosso sulle guance.» «Capisco. Spero che quelle creature esotiche non ti distraggano dall'inchiesta.» «Mi conosci.»
«Purtroppo.» «Cattiva!» «Figurati. Ma il tuo caffè non si raffredda?» Brenner verificò. «Tiepido.» «Allora ti lascio. Ti mando al più presto i risultati del mio incontro. A+» «Grazie Ulrike,A+.» Brenner interruppe il collegamento, chiuse il portatile e lo riappoggiò sul comodino. «Simpatica quella polizeikommissar» fece Johanne portandosi un bicchiere di succo d'arancia alle labbra. «Molto. Ed è anche un'ottima collega.» «Solo una collega?» «Una collega e un'amica, niente di più, niente di meno. Cosa vai a pensare?» «Non penso niente, leggo. Allora, tu saresti una specie di Francese adescatore?» «Non bisogna credere a tutto quello che si legge. Non mi dirai che sei gelosa?» Johanne ridacchiò e scosse la testa. «Tre giorni fa non ti conoscevo nemmeno, come potrei essere gelosa... però mi hai sussurrato delle cose gentili questa notte, vorrei sapere se eri sincero o se erano solo parole da... specialista.» Brenner le prese la testa tra le mani. «Quello che ho detto lo pensavo, e lo penso ancora. Ciò non significa che tra quindici giorni, tre settimane, forse di più, forse di meno, io dovrò partire. Questo lo sapevi.» «Sì, ma ti confesso che preferirei tre settimane piuttosto che quindici giorni.» «Anch'io. Ma cos'altro vuoi che ti dica?» «Niente. Così le cose sono chiare.» Johanne si chinò, lo baciò sulle labbra e gli appoggiò la guancia alla spalla. «Molto chiare.» Brenner la strinse a sé. «Guarda, c'è una soluzione. Il Quebec ottiene l'indipendenza, aderisce all'Europa e tu vieni distaccata all'Europol.» «Ottima idea, sono sicura che gli indipendentisti non ci hanno mai pen-
sato. Bisognerà proporglielo.» Lionel si sentiva annebbiato. Troppe sigarette impregnate di PCP. Si passò una mano nei capelli e spinse la porta. La sala dava nel garage, un uomo in tuta da lavoro che srotolava un tubo per annaffiare lo salutò. «Dormito bene, Lionel?» «Sì, come su un filo da bucato. E tu?» «Fumi troppo. Io non c'è male, è una cosa che continua a esaltarmi tutte le volte.» Con il mento indicò il corpo di Claire raggomitolato sopra una griglia di scarico. I resti dei suoi abiti erano ammucchiati lì vicino, ai piedi di un fusto metallico di duecento litri siglato Can-Am. «Be', hai ragione, fumo troppo. Vado a mangiare.» Lionel riattraversò la sala per raggiungere la terrazza e, passando, raccolse la borsa di Claire che era rimasta abbandonata su una poltrona. Una leggera bruma galleggiava ancora sulla superficie del lago Obedjiwan. Lionel si sedette a tavola, Roger succhiava le sue uova all'occhio di bue. «Riparti subito?» chiese. «No» rispose Lionel servendosi un piatto di piselli. «Ho bisogno di un po' di riposo.» «Ho individuato un banco di dorati d'acqua dolce, con lo scandaglio. Delle bestie enormi! A una decina di chilometri giù di là, che ne dici?» Indicò con il dito il lato nord del lago. «Mi piacerebbe proprio tirar su un dorato. Riesci a ritrovarli?» «Ma certo! Ho registrato il punto nel GPS. Così, mentre andiamo, possiamo anche buttare il fusto nella fossa.» «Okay, monteremo il film dopo. Come verrà? Io faccio fatica a rendermene conto.» «Fantastico, vedrai che questo piacerà un sacco. L'unica cosa è che all'inizio sei stato un po' troppo nel campo visivo; difficile evitare di riprenderti senza perdere nulla. Dovremo operare qualche ritocco.» «Lo so, ma mi piace cominciare così.» «Non è grave, è solo che i ritocchi richiedono sempre un po' di tempo.» «Sì... si può pensare a qualche modo per evitarli. Ma ho la sensazione che il passaggio dal piacere all'orrore sia interessante. E che il successo delle nostre produzioni dipenda molto da questo.» Lionel rifletté un secondo e alzò le spalle.
«Mah, vedremo sul momento.» Si servì una tazza di caffè, poi aprì la borsa di Claire e la rovesciò sul tavolo. Un mazzo di chiavi, una penna, uno specchietto, un rossetto e i documenti. Tra cui una tessera della Biblioteca Centrale di Montréal su cui compariva una foto. Lionel prese la tessera tra due dita e l'avvicinò alla fiamma del suo accendino. «Perché non infili tutto nel fusto?» domandò Roger. Lionel fece una smorfia. «Non lo so.» La foto si increspò, si infiammò e scomparve. Lionel lasciò l'angolo di bristol che si ridusse in cenere ancor prima di toccare il suolo. «Deve essere un fatto simbolico. Cosa ne dici?» «Sicuramente» annuì Roger spalmando sciroppo d'acero sui pancake. Un carrello sbucò da dietro la casa e si diresse verso il pontile. Il fusto Can-Am dondolava, appeso con dei ganci di carico a una catena. Johanne prese la giacca e la borsa. «Passo da casa a cambiarmi e ti raggiungo subito in ufficio, d'accordo?» «D'accordo» rispose Brenner dal bagno. Qualche minuto dopo, lasciò anche lui la stanza. E all'uscita dell'ascensore riuscì a non arrestarsi di colpo scorgendo Chris appoggiato a una colonna della hall. Brenner andò dritto verso di lui, lo prese per il braccio e lo trascinò nel corridoio dei bagni. Lo spinse contro il muro accanto a un distributore automatico di bevande, gli bloccò la gola con una mano e gli mostrò l'altra stretta a pugno. «Cosa fai qui e come hai fatto a trovarmi?» Intanto pensava a Johanne. Doveva essere scesa direttamente al parcheggio, senza vedere né essere vista. Chris aveva paura, ma cercò di fare lo spavaldo. «Cool, amico, cool! Non sei per niente fun! Non sono mica l'ultimo venuto. E voglio solo parlarti.» Brenner lo colpì allo stomaco, costringendolo a piegarsi in due. Lo rialzò tenendolo per i capelli. «E allora parla.» Chris tossicchiò più volte prima di riprendere fiato. Brenner continuava a tenerlo per i capelli. Un uomo uscì dalle toilette, diede loro un'occhiata e si allontanò in fretta. «Sembra che sei in affari con Savoie» balbettò Chris.
«La cosa non ti riguarda» tagliò corto Brenner. «No, ma Savoie è un poliziotto, non ho poi molta voglia di farlo contento... e mi sono detto che forse tu non avevi voglia di dovergli qualcosa.» Brenner gli lasciò i capelli. «È vero che non sei l'ultimo arrivato.» Chris riacquistò un po' di sicurezza. «Eh sì, allora mi sono detto che se avessi trovato qualcosa, avrei potuto trattare direttamente con te.» Brenner ebbe un ghigno, che si trasformò in una risata. «Confesso che mi piacerebbe.» «È quello che pensavo. Pensavo anche che, in queste condizioni, il mio prezzo potrebbe essere il tuo.» Brenner lo fissò dritto negli occhi. «Non esagerare, però.» «No, giuro. Allora, procediamo così?» «Va bene.» Chris si girò, Brenner lo prese per una spalla. «Ancora una cosa.» «Sì?» «Ho detto che non volevo bidoni, quindi cerca di non rifilarmene. So vedere la differenza tra uno snuff vero e uno falso. Savoie forse lo troverebbe divertente, ma io no. Se tratti direttamente, tratti tutto direttamente, e i miei metodi non sono quelli della polizia, capito?» «Sì, sì, non ti preoccupare.» «Non mi preoccupo.» Chris scosse il capo e lasciò il corridoio. Brenner entrò in bagno a lavarsi le mani. Johanne lo trovò chinato sul monitor da cui non aveva staccato il naso al suo ingresso. «Ci ho messo più del previsto, sono dovuta andare a fare un po' di spesa. Tutto bene?» Brenner si limitò a un grugnito. «Qualcosa di interessante?» insistette Johanne. Alla fine si degnò di alzare la testa, si stropicciò gli occhi, si stirò contro lo schienale della sedia e guardò l'orologio. «Ah, sì, in effetti... Mmmm... conosci i computer? Internet?» «I computer? Così così. Con Internet ho provato, ma non mi ha partico-
larmente appassionato.» Johanne si sedette sulla sua poltrona, la avvicinò a Brenner e guardò lo schermo. «Cos'è? Una chat?» «Sì, ci sono altri indirizzi di chat nella lista di Sophie, ma questa è quella che usava più di tutte, il programma mantiene gli ultimi accessi in memoria. E poi il nick malika e la pass zAy81 funzionano.» Brenner mostrò il quaderno di Sophie aperto sulla scrivania. «Ho già visto passare uno o due pseudo. Non sono annotati in ordine alfabetico, forse in base agli incontri.» Johanne sfogliò il quaderno mentre Brenner azionava la tastiera. «Hai visto i commenti? Divertente, simpatico, noioso, troppo piccolo... Certi hanno addirittura dei cuoricini.» «E altri hanno un cuore barrato.» «Pene d'amore.» «Cyber-pene d'amore.» «Cyber?» «Sì, cyber. Cyber-fidanzato, cyber-amore, cyber-marito, cyber-famiglia, cyber-matrimonio... e immagino anche cyber-divorzio, guarda.» Indicò col dito un cuoricino barrato da una croce a X. Johanne sollevò le sopracciglia. «E fino a che punto possono arrivare queste cyber-storie?» «La gente usa le chat per un sacco di ragioni diverse, e non si può delineare un identikit di chi ci naviga. Esistono utenti di tutti i tipi.» Brenner digitò di nuovo sulla tastiera. Johanne osservò lo schermo in cui era appena comparso lo pseudo Gaspard. «Partecipi? Sei tu Gaspard?» «Cerco di capire un po' l'ambiente.» «E allora?» Brenner fece una smorfia. «Per la maggior parte studenti e qualche ragazzino, per quanto ci si può fidare di ciò che viene scritto in una chat. Ambiente bonaccione, diciamo.» «E tu cosa sei?» «Un giovane di venticinque anni che lavora nel campo delle assicurazioni.» «A Montreal?» «A Nizza! Sono stato doppio agente a Nizza, la conosco bene.» Johanne scosse il capo.
«È completamente folle... e immagino che ci sia gente che ci passa ore davanti.» Come risposta, Brenner tornò alla tastiera. Gaspard: devo andare. Ciao a tutti! A + Seguirono alcuni "Ciao" e "A +". E un "a domani". «Ore, se non giorni» concluse Brenner prima di aggiungere: «Ho esaminato la casella di Sophie. Faceva spesso la pulizia dell'hard disk per evitare di saturarlo, ma ci sono ancora messaggi ricevuti e inviati.» «Di che genere?» «Ha mandato la sua foto.» «Cosa? Ha mandato la sua foto così? A Dio sa chi, Dio sa dove?» «Ne ha anche ricevute.» Brenner prese qualche foglio appoggiato alla sua destra. «Le ho stampate, ti presento Kaa, Worm, Zombi, Millefoglie e MiniLili.» Johanne sparse le foto sulla scrivania. Quattro ragazzi tra i 18 e i 25 anni e una ragazza della stessa età. «Facce da bravi figlioli.» «Hanno tutti dei cuoricini, eccetto MiniLili, qualificata con "come me"» precisò Brenner. Johanne esaminò la foto di MiniLili. Aveva capelli biondo cenere e sorrideva con la testa piegata di lato. «Come me...» mormorò la poliziotta. «Forse il sorriso. Ha qualcosa di triste.» «No, non triste... direi... incompleto. Come se non osasse arrivare in fondo.» «Mmm... ma questo foto sono le loro, o quelle dei loro fratellini o delle sorelle maggiori, o quelle di una rivista, a meno che non siano state pescate da qualche parte sul Web.» Johanne appoggiò MiniLili, prese il quaderno e ricominciò a sfogliarlo. «Quattro francesi e una svizzera» la interruppe Brenner. «Stando a quello che dichiarano, naturalmente.» «È possibile verificarlo?» chiese Johanne chiudendo il quaderno. «Per Kaa e Zombi deve essere possibile, i loro indirizzi e-mail corrispondono a provider che finiscono con fr; che sta per Francia. Gli altri utilizzano delle hotmail, quindi...» «Hotmail?» «Niente di "hot"; hotmail o freemail sono sistemi di posta elettronica collegati al Web e non a un provider. Per potersi iscrivere basta fornire po-
che informazioni che non vengono verificate. L'anonimato totale. Esempio:
[email protected]...» «E queste freemail dove sono ubicate, fisicamente?» «Saperlo... Da qualche parte sulla Terra. Anche se tecnicamente potrebbero essere in mare, o per aria.» «E cosa si fa allora?» domandò Johanne con tono davvero esasperato. «Intanto ci facciamo un'idea. Di chi era Sophie Marie-Pierre, dei suoi rapporti. Non ci sono solo foto, ci sono anche dei testi» le passò altri fogli. «Solo cose molto banali. Con uno parla di cinema, con l'altro di libri. Con MiniLili scambia piccole confidenze. E il tono cambia ogni volta. C'è un testo interessante, con CoolWebeur. Di lui non c'è la foto, ma si direbbe che gli parlava spesso. Accanto a lui ha disegnato un grosso cuore.» Johanne scorse le lettere. «E tu cosa ne deduci?» chiese. «Che era una ragazza carina, molto timida, con difficoltà di relazione che, nel Web, scomparivano. Quando parla di libri e film è divertente e mordace, sempre pertinente.» «Quando dice che "Contact" è un'altra pizza americana?» «Per esempio. A MiniLili dà dei consigli per riconquistare il fidanzato.» «Mentre a CoolWebeur è lei che fa le domande e riceve risposte...» «Esatto. Peccato che fosse una ragazza fin troppo ordinata, se non avesse ripulito il suo hard disk avremmo avuto più indicazioni.» «Sì... ma quando è sincera?» «È sempre sincera. Esprimeva qui ciò che non riusciva a esprimere altrove.» «A persone inesistenti, o che non sono ciò che sostengono di essere!» «E allora, cosa importa?» «Be', insomma, a me importerebbe un bel po'.» «Non a lei.» Johanne si strinse nelle spalle e tornò alla lettera di CoolWebeur. Ciao Sophie, non è molto bello a Parigi oggi. Spero che a Montreal il tempo sia migliore. E che tu sia in forma! Sono contento che Trainspotting ti sia piaciuto. È un bel film, vero? E poi vedi, ci sono vite più difficili della tua! Non riesco a credere che tu non abbia amici. Hai tutto ciò che serve per averne, sei graziosa, intelligente... È tutto qui, non osi abbastanza. E non è
grave. Basterebbe che tu ti lanciassi un po' di più. non mi dire che a Montreal non c'è nessuno con cui tu possa star bene. Non credo nemmeno che tu sia troppo difficile. È solo che non hai fiducia in te. E forse nemmeno fortuna. Succede, sai. Ma bisogna saperla cogliere! Si è fatto tardi. Devo andare. Riparleremo di tutto su ICK. Con affetto, JP. «Quanto buon senso, questo JP...» mormorò Johanne. «Un parigino?» «Possibile, utilizza una hotmail.» «In ogni caso non è uno del Quebec, non c'è alcuna formula gergale canadese. Erano abbastanza intimi per usare i loro nomi al posto dei nick. ICK, è lì che avete trovato il film?» «Sì, è lo stesso sistema che utilizzo con Ulrike. Ci si può aggiungere l'audio, ma lei non aveva il software necessario.» «E ICK non lascia tracce?» «No. O meglio, sì, a volte. Ma in file non sempre definiti e spesso incompleti. Qui ho cercato solo nelle directory più logiche. Anche se l'hard disk non è molto grande, per analizzarlo tutto ci vorranno delle ore. E, te lo ripeto, Sophie lo puliva spesso.» «Capito... e se andassimo a mangiare?» «Idea eccellente» rispose Brenner alzandosi. «Ah, indovina chi ho incontrato prima, nella hall del Travelodge? Il nostro amico Chris.» CAPITOLO VIII Stracey Layne guardava dalla finestra il lago Obedjiwan, l'idrovolante che l'aveva portata fin lì, il fuoco in cui le dorate cuocevano sotto l'occhio di Roger. O forse non guardava nulla, cercava solo di trovare l'atteggiamento migliore. Quasi un metro e ottanta senza tacchi, un tailleur color pesca modellato, gambe infinite: la presenza bastava a catturare l'attenzione, non aveva bisogno di fare altro. Stracey tolse la molletta che le teneva il concio e scosse la testa, I capelli biondi le cascarono fino alle reni. Si era decisa per il fascino. Dopodiché si girò. «Perché Lionel? La cosa ti infastidisce?» Se il tono dissimulava l'irritazione, lo sguardo no. Stracey non amava i rifiuti. Affondato in poltrona, Lionel sì prese il tempo di accendere un Montecristo e di dare qualche tiro. Gli occhi verdi di Stracey si restrinsero a due
fessure, Lionel fece una smorfia. «Infastidito io?» Stracey sorrise. «E allora?» «Allora cosa? Il film non è buono?» chiese Lionel indicando col mento il VHS appoggiato sul tavolino davanti a lui. «È perfetto, non avremo alcuna difficoltà a venderlo.» Certo che andava bene e che le era piaciuto. Spowart l'aveva osservata durante la visione, la respirazione spezzata, il labbro imperlato di sudore; sapeva che l'avrebbe acquistato. Aveva sempre comprato le sue produzioni. Per fortuna, perché lei era la sua sola cliente. Soffiò il fumo in alto e attese il seguito. Di fronte a lui, sul divano, Thomas Layne sorseggiava un whisky, come indifferente alla loro conversazione. Ognuno aveva il proprio ruolo nella coppia, le negoziazioni spettavano a Stracey; Thomas, lui... forse si occupava della distribuzione e della protezione; Lionel non aveva mai fatto domande precise. «Ho delle richieste con dei bambini» riprese Stracey. «Molte richieste. La cosa non ti infastidisce. Non capisco: dov'è il problema?» Lionel scosse il capo. «La sicurezza. Il mio sistema...» Stracey lo fermò con un gesto. «Non voglio conoscere la tua organizzazione.» «Non sarei entrato nei dettagli. Solo che le ragazze sono tutte maggiorenni, senza legami o quasi; la loro sparizione non preoccupa nessuno. Un bambino ha una famiglia. Un bambino significa centinaia di poliziotti che lo cercano, senza contare i giornali, la televisione e il resto. Ecco il problema. Puoi farli girare altrove, no?» «Chiaramente! Ma non si gira un video in una merdosa cantina. I tuoi film sono i migliori, è per questo che vorrei che fossi tu a continuare a realizzarli.» Stava per aggiungere qualcos'altro, ma si astenne. Lionel scosse di nuovo il capo. «No. Troppo pericoloso.» Stracey sospirò e si trattenne visibilmente dal battere il piede. Tirò fuori un pacchetto dalla tasca della giacca ed estrasse una sigaretta. Lunga e sottile, color fucsia. Le comprava in Svizzera, dove la coppia aveva una residenza; principale o secondaria, Lionel non lo aveva mai capito. Erano inglesi. Il tabacco emanava odore di rosa. Stracey fece segno al marito e tor-
nò a piantarsi davanti alla finestra. Thomas tossicchiò discretamente per schiarirsi la gola. «E se i bambini ve li fornissimo noi? Se non fossero canadesi?» Lionel strinse le spalle. «Cambia poco in termini di anni di prigione.» In due falcate Stracey fu accanto al tavolo. Con l'unghia tamburellò sulla videocassetta, quindi mise l'indice sotto il naso di Lionel. «Un film con un bambino, è cinque volte il prezzo di questa...» Aprì le dita della mano sinistra. Lionel, a sua volta, aprì le due mani. «Dieci volte.» Stracey scoppiò a ridere, giocherellò coi capelli e finì per congiungere le mani come in una preghiera. «Ah, Spowart, Spowart... D'accordo. Dieci volte.» «E me li consegnerete lontano da Obedjiwan: mi incaricherò io del trasferimento finale. Spiacente, ma non mi fido di nessuno.» «Nessun problema» intervenne Thomas. «Anzi, forse lo preferisco.» «Resta da vedere se i miei ragazzi sono d'accordo» aggiunse Lionel. «Li paghi piuttosto profumatamente, no?» replicò Stracey. «Non dovrò insegnarti io che il denaro in questo campo è solo uno degli elementi di sicurezza, e non il principale. Per fare questo genere di cose, bisogna amarle, averle nel sangue. Altrimenti sono rimorsi... coscienza, guai.» «Questo è un problema tuo, Spowart.» Lionel annuì con il capo, pensando che Roger e Simon non ne avrebbero sollevati. Una serie di sedute speciali li aveva condotti in prigione, quindi in un centro psichiatrico. Riadattati, avevano decretato i medici. Ma continuavano ad amare quella roba, erano solo diventati più prudenti. È per questo che li aveva reclutati. Avrebbero fatto il lavoro gratuitamente. Il denaro era solo la ciliegina sulla torta. Come per lui, del resto. Come per tutti, lì. «Sistemerò ogni cosa» concluse Lionel riempiendo i bicchieri. Brindarono. Poi si diressero verso la finestra. La tavola era apparecchiata in veranda. «Restate a lungo a Montreal?» chiese Lionel. «Qualche settimana» ribatté Thomas. «Poi andremo a sud, verso le Bahamas o le isole Cayman.» Una ragazza in costume da bagno risaliva la scala del pontile. Scosse la
testa per eliminare l'acqua dai capelli neri, tagliati corti; poi, notando Stracey dietro il vetro, le fece un segno con la mano. «La mia ospite non è deliziosa?» mormorò Stracey rispondendole nello stesso modo. La ragazza si stese a pancia in su al sole. Sottile, quasi magra, poco formosa, un po' mascolina. «Bel dessert» disse Stracey portandosi il bicchiere alle labbra. CAPITOLO IX La donna che le aveva aperto la guardava ora con occhi spalancati. Ulrike sorrise di nuovo, in un misto di scuse e comprensione, e si rimise in tasca il tesserino. «La mia visita non ha nulla di ufficiale, signora Uttebroeck. Vorrei solo parlare con sua figlia. Una delle sue compagne di università in Quebec è scomparsa, noi abbiamo pochissime informazioni al riguardo e pensiamo che Elena possa fornircene altre.» «In Quebec... e lei è tedesca?» «Sì, e la giovane scomparsa è francese. Europol è un servizio europeo. Una semplice chiacchierata, signora, che potrebbe esserci molto utile.» La signora Uttebroeck annuì con il capo. «Va bene, d'accordo. Ma voglio essere presente.» «Nessun problema.» «Sophie è scomparsa!» esclamò Elena con sorpresa. «Cosa le è successo?» «Non è tornata a casa e sembra non aver mai lasciato il territorio del Quebec, è tutto quello che sappiamo. Lei sembra molto stupita...» «Be', certo, sì... Sophie è l'ultima persona... insomma... voglio dire... è talmente riservata che non me la vedo... rapita.» «Non ho detto che è stata rapita. Forse è partita con un amico, senza comunicare nulla. Una fuga. È maggiorenne, naturalmente, ma la sua famiglia sembra piuttosto rigida. Che ne dice?» Elena scosse il capo. «Fuga? Non le si addice proprio... non l'ho mai vista con un ragazzo. E usciva di rado. Praticamente solo per andare al cinema. L'ho accompagnata due o tre volte e, appena finito il film, voleva rientrare. Non è davvero una ragazza socievole. Per lo meno nella vita.»
«Come nella vita?» «Passava ore a chattare in Internet. E lì era tanto chiacchierona ed estroversa quanto era taciturna nella vita. L'ho vista battere sulla tastiera per notti intere. Devo dire che le sue chat erano carine, ma non mi entusiasmavano. Preferisco i contatti reali.» Diede un'occhiata alla madre, che corrugò le sopracciglia. «Che tipo di chat erano?» chiese Ulrike. Elena sfoderò un sorrisetto ambiguo. «Oh, non delle chat rosa! Semplici conversazioni tra gente che finiva per conoscersi a forza di ritrovarsi sullo schermo. Non è male, ma io preferisco i bistrot.» «E Sophie no?» «No, lei no.» Elena si irrigidì in una smorfia e aggiunse: «Sa una cosa? Conosco Sophie da quasi un anno e ancora non ho capito perché mi abbia accettata come amica. Non seguivamo gli stessi corsi, non vivevamo nello stesso modo... Ho scoperto più cose su di lei guardandola digitare sulla tastiera che ascoltandola parlare.» «La guardava chattare?» «A volte. C'erano diverse feste al residence e spesso parecchio rumore...» Nuova occhiata, nuova fronte corrugata della madre. «... Eccetto nella camera di Sophie. Lì regnava sempre la calma assoluta. Quando avevo delle cose da ripassare e volevo stare tranquilla, andavo da lei. Io ripassavo e lei, lei chattava. Credo che fosse quello che voleva. Una presenza che non facesse domande, che la accettasse così com'era. È anche quello che cercava su Internet, la sicurezza della distanza. Le bastavano pochi minuti per socializzare su Internet. Bisognava vederla ridere davanti allo schermo, lei che non ride mai. Ricordo di essermi detta che prima o poi si sarebbe trovata anche un ragazzo su quel coso.» «È mai successo?» «Non che io sappia. Ma lei evitava tutti quelli del Quebec, preferiva i francesi, i belgi o gli svizzeri. Diceva che i canadesi erano degli zoticoni, ma io credo invece che cercasse di evitare qualsiasi possibilità di contatto. O forse cercava... la perla rara... il principe azzurro.» «Be', può darsi che l'abbia trovato, no?» «La cosa mi stupirebbe, ma, in fondo, potrebbe anche essersi decisa. Le dicevo spesso di darsi una mossa, e non ero la sola. Quando le consigliavo
di tirare fuori la testa dallo schermo, di venire con me in città, che le avrebbe fatto bene, lei mi rispondeva: Lo so, è anche quello che mi dice Cool, ma non adesso, non ne ho voglia, un'altra volta. Era sempre per un'altra volta.» «Cool?» «CoolWebeur, lo pseudo di un tipo con cui chattava. Parlavano di cinema, libri, lei gli raccontava anche la sua vita. Ho assistito a una delle loro conversazioni: lui le dava buoni consigli, ma Sophie non li seguiva più di quanto seguisse i miei. Eccetto per i film. Sophie è una patita di cinema e i film americani escono in Quebec prima che in Europa, così Sophie gli faceva le recensioni. Era piuttosto spietata come cinefila.» «Conosce gli pseudo di altri corrispondenti?» «No. Mi ricordo di CoolWebeur perché ne parlava sempre: Cool mi ha detto questo, Cool mi ha detto quello, Cool mi ha consigliato questo libro, questo film...» «Era innamorata di lui?» Elena sorrise. «È strano, le avevo posto la stessa domanda... e Sophie si era un po' seccata: Per chi mi prendi? Cool è vecchio, e poi è già sposato! È solo un amico e basta!» «Cosa significa vecchio per lei?» «Ecco, be'... quarant'anni» rispose Elena con una mimica di scuse. «Non fa nulla, ne ho solo trentasei» ribatté Ulrike stenografando un'altra frase sul suo bloc notes. «Quindi, solo un buon amico... è francese?» «Sì, parigino credo. All'inizio avevo pensato che fosse una specie di guru, un tipo che cercava di abbindolarla per farla entrare in chissà quale setta, ma quello che ho visto della loro corrispondenza non aveva niente a che fare con una simile eventualità. Erano gli stessi discorsi che fanno due amici seduti a un tavolo, davanti a un bicchiere.» «Oh!» esclamò la signora Uttebroeck. «E io che non le ho offerto nulla! Vuole un tè o un caffè?» «Un tè, grazie» rispose Ulrike. «E tu, Elena?» «Un caffè, grazie.» La signora Uttebroeck lasciò la sala. Poco dopo giunsero loro rumori di stoviglie dalla cucina. «Allora» riprese Ulrike «questo CoolWebeur non ha mai cercato di incontrare Sophie?»
«Non che io sappia.» «Rapporti puramente virtuali, quindi.» «È quello che penso.» «E lei?» «Io cosa?» «Che vita faceva in Quebec?» Elena si raccolse i capelli all'indietro, rifletté un lungo istante e poi sorrise. «Io vivevo in Quebec come una giovane del Ventesimo secolo, e vivo in Belgio come una giovane di buona famiglia. Le basta così?» «In mancanza di meglio, mi accontenterò.» «La famiglia di Sophie è molto rigida, e la mia lo è altrettanto. Eppure io e Sophie siamo quanto più possibile diverse l'una dall'altra. Curioso, no?» «Ma passavate molto tempo insieme?» «No. Io avevo altri centri di interesse rispetto a Sophie. Se crede che le nasconda qualcosa perché c'è mia madre...» «È effettivamente a questo che volevo arrivare.» «Be', si sbaglia. Io a Montreal non ero esattamente una santarellina, ma Sophie sì. Non è mai venuta con me ad alcuna serata, anche se le occasioni non mancavano. Quello che le ho detto è tutto ciò che so. Abbiamo passato un anno della nostra vita da vicine di casa, però non abbiamo trascorso molto tempo insieme. Sophie non era la mia migliore amica, ma io ero sicuramente la sua sola amica, e quindi non le ho nascosto nulla, né le nasconderei nulla che potrebbe aiutarvi. Se vuole sapere tutto delle mie serate, delle mie notti e dei miei fine settimana, non c'è problema. Tuttavia Sophie non ne faceva parte, d'accordo?» «D'accordo» ripeté Ulrike guardando la giovane. Elena sostenne lo sguardo senza battere ciglio, prima di aggiungere, con voce rotta dall'angoscia: «Sta pensando che non è giusto, che sarei dovuta sparire io al suo posto?» Ulrike sussultò. «Niente affatto. Cercavo una domanda da farle.» «Ah, bene. Perché invece era esattamente quello che stavo pensando io.» La signora Uttebroeck tornò con un vassoio. CAPITOLO X
Savoie aveva notato che il darsi del tu canadese era diventato qualcosa di più del darsi del tu canadese. Era il darsi del tu francese... e anche che la mano di Johanne si era attardata un secondo più del necessario sulla spalla di Brenner. Non era nemmeno necessario, del resto. Savoie aveva sospirato e rivolto a Johanne una inimica complice che la giovane aveva superbamente ignorato. Johanne riprese posto alla sua scrivania. «Bene» digrignò Savoie. «Allora, quel coglione di Chris vuol fare il doppio gioco?» «Così sembra» confermò Brenner. «Io l'ho incoraggiato. Potrebbe tornarci utile.» «Non sa che Johanne è dello SPCUM?» «Non credo.» «Avevo la mia macchina personale» precisò Johanne. «Okay, staremo a vedere. In ogni caso bisognerà essere discreti. Tutti e due.» «Lo saremo» disse Johanne senza la minima traccia di fastidio o emozione. «Cosa avete scoperto dall'hard disk?» Riassunsero il loro lavoro di sabato e stavano per riassumere quello di domenica quando il computer emise un appel. Un'icona lampeggiava sul riquadro ICK. «Ulrike in linea» tradusse Brenner. «Ha sicuramente il rapporto.» Aprì il file, confermò con un movimento del capo e lo spedì sulla stampante in tre copie. Che lessero. Oltre alla conversazione con Elena, apparivano anche i commenti di Ulrike, brevi e precisi. Brenner le inviò un messaggio di ringraziamento. «Sarebbe utile interrogare questo CoolWebeur» osservò Savoie. «È parigino, non dovrebbe essere difficile per voi.» Eric e Johanne si scambiarono un'occhiata. «Non siamo sicuri che sia di Parigi. Tanto più che... guarda questo.» Savoie prese i documenti che gli porgeva la collega. «Cosa sono? Recensioni cinematografiche?» «Esattamente» rispose Brenner. «Sophie era un'appassionata di cinema, redigeva una scheda su tutti i film che vedeva. Critiche acide, come dice Elena. Utilizzava l'ipertesto per navigare tra i registi, gli attori e gli sceneggiatori. Ci ho messo un po' a ristabilire l'ordine cronologico. La più re-
cente è quella in fondo alla pagina.» Savoie lesse ad alta voce. «"Shitty Day in Paradise", regia e sceneggiatura Jack Laumap (austr). Non mi piace molto questo regista. Ma Cool me ne ha parlato talmente bene, sostenendo che il suo film si pone allo stesso livello di "Proof" o "Priscilla"... lo spero, con gli australiani tutto è possibile. Vedremo stasera. Se è l'ennesima schifezza alla "Crocodile Dundee", mi sentirà!» «Una pre-scheda» disse Brenner. «Dell'ultimo film che ha visto, o che doveva andare a vedere.» Savoie si batté il mento. «Immagino che abbiate verificato le date.» «È rimasto in cartellone solo una settimana, in una sola sala, nel periodo in cui Sophie è scomparsa.» I colleghi osservavano Savoie come fossero in attesa di un'ipotesi. «Si può pensare che quella sera sia andata al cinema e poi non sia mai tornata.» Né Brenner né Johanne aprirono bocca, aspettavano un seguito. Savoie li accontentò. «Questo CoolWebeur è parigino quanto me e, sapendo dove sarebbe andata la ragazza, l'ha aspettata.» Brenner e Johanne annuirono contemporaneamente. «Cosa ne pensi?» «Credimi, l'idea è venuta anche a me, voglio dire che non mi sembra affatto male... Resta da trovare questo tizio. Non riuscite proprio a scoprirlo con quell'affare?» disse indicando il computer. Brenner fece una smorfia. «Si può inviare un messaggio sulla sua freemail, ma per dirgli che cosa? Rischiamo di farlo insospettire.» Prese la parola Johanne. «Altrimenti potremmo fare in modo che sia lui a contattare noi.» Savoie alzò le sopracciglia con aria interrogativa. «Posso infilarmi nella chat» spiegò Johanne. «Se è ancora lì, con un po' di fortuna potrei attirare la sua attenzione.» «E così riuscireste a localizzarlo?» «Questo dipende da un sacco di fattori» rispose Brenner. «Sì... Be', vi lascio proseguire su questo piano... Immagino che abbiate l'indirizzo della sala cinematografica?» Johanne scrisse l'indirizzo su un foglio di carta. Savoie se lo mise in ta-
sca e appoggiò la mano su una pila di cartelline. «Ho delle altre questioni ancora in sospeso, tanto vale mettermici subito. Farò un salto al cinema nel pomeriggio, poi cercherò di fare una visitina all'amico Chris.» Sotto la luce smorzata del sex-shop, i tratti di Vince Bataglia, sprofondato in un'enorme poltrona di velluto rosso, apparivano stranamente morbidi. Bataglia si spolverò una manica della camicia con un buffetto e riportò la propria attenzione su Chris. «È contro ogni buon senso, non è il genere di divertimento che puoi permetterti» dichiarò con voce fredda. Vince era il padrone del sex-shop e di qualche altra cosa, conosceva gente. Lui e Chris avevano concluso affari insieme in più occasioni. Nessuno dei due aveva avuto motivo di lamentarsi. Tutto ciò era abbastanza per costruire un rapporto, ma non un legame di fiducia. «Io no. Ma ho un cliente che invece può.» «Ah sì?» «Sì.» Chris fece qualche passo nel negozio chiuso a quell'ora e si appoggiò al bancone. «A te decidere, Vince» disse con aria distaccata. «È già tutto deciso. Tu hai la fortuna di avere dei clienti così, io no. Quindi non posso fare niente per te.» Chris si alzò dal bancone. «Peccato. Ma se senti parlare di qualcosa...» «Non sentirò parlare di niente.» Chris alzò le spalle e si diresse verso l'uscita. Prima di appoggiare la mano sulla maniglia, si girò lentamente. «I Rock Machines» insistette. «Potrebbero saperne qualcosa?» «Da quando la polizia li ha tartassati in maggio, beato chi può dire di cosa si occupino i Rock...» «Appunto, potrebbero gestire altre attività...» Vince scoprì un nuovo granello di polvere sulla camicia, che fece la fine dei precedenti. «Sai cosa? Vai a chiederglielo.» «I Rock Machines sono parecchi.» Vince si massaggiò la nuca e aggiunse: «Prova con Broker.»
«Dove lo trovo?» «Potrebbe essere nei paraggi della stazione Beaudry. Se vedi due negre su un marciapiede, lui non è lontano. Non puoi sbagliare, ha scritto Broker sul giubbotto ed è grosso tre volte te.» «Perché Didou?» «Mia madre mi chiamava così quando ero piccola» rispose Johanne. «E tu, cos'è Gaspard, il tuo secondo nome?» «Il nome del mio bisnonno, ma l'ho usato soprattutto perché, in francese, cioè in argot, un gaspard è un ratto. Una bestiola che c'è e osserva senza essere vista. Gli pseudo hanno spesso un doppio significato...» «Il ratto delle chat, non male!» «Esatto, e che si serve di un mouse... Allora, se apri la hot-mail, ormai dovrebbe essere arrivata la password.» «ZaY37» confermò Johanne. «Copiala così, attenta alle maiuscole e alle minuscole.» Johanne vagò sulla prima pagina del sito, scrisse Didou, ZaY37 e cliccò sul pulsante Chiacchieriamo! Si aprì un'altra pagina, dove frasi di colori diversi sfilavano sotto un pannello di comandi. «Sai come funziona?» chiese Brenner. «Più o meno. Cos'ha di speciale questa chat?» «Non è indicato il nick delle persone connesse. Sai se c'è in linea qualcuno solo quando scrive. Qui puoi scegliere il colore delle tue frasi, lì scrivi, così invii e così cancelli. Puoi perfino regolare il numero di messaggi che vuoi sullo schermo e la velocità con cui rinnovarli. Metti quindici messaggi ogni venti secondi. Fai una prova.» «Il malva va bene come colore?» «Sì, è carino il malva.» «Vedi qualche nick noto?» Brenner, che aveva il quaderno di Sophie in mano, fece no con la testa. «Vado» disse Johanne manipolando mouse e tastiera. Didou: Cùcù! Seguirono una dozzina di frasi. «Non hanno fretta di rispondere» mugugnò Johanne. «Bisogna che qualcuno ti noti, che ti risponda e che il tutto appaia sullo schermo. Visto che c'è parecchia gente, forse ci mette più del solito!» Moose3: Didou> ciao! Esc. «Esc significa...»
«Lo so: età, sesso, città.» Didou: Moose3> Femmina/20 anni/Parigi. E tu? Moose3: Didou> Maschio, 27, Sept-Iles (Quebec). Cosa ci fai a Parigi? Lobsédé: Didou> Succhi? «Che porco!» esclamò Johanne. «Lascia perdere, ce ne sono un casino così.» Johanne farfugliò qualcosa di indistinto. Didou: Moose3 > Adesso ci sono in vacanza, altrimenti studio Diritto. Lobsédé: Didou> E mandi giù, baldracca? «Ancora lui! Adesso...» «Lascia perdere, ti ho detto. Se gli dai corda non la finirà più. È sicuramente un ottimo sfogo, ma adesso non ci serve.» «Ma non stanno insultando te!» «È tutto virtuale, Didou. Occupati piuttosto di Moose3.» «Non chiamarmi Didou.» «Okay...» Moose3: Didou> Fai attenzione a Lobsédé, è un vero stupido. Io sono impiegato al Comune di Sept-Iles. Conosci il Quebec? Lobsédé: Moose3> Fatti gli affari tuoi, coglione, non parlavo mica con te. O vuoi avere l'esclusiva sulla puttanella? «Ah, una cosa. Se vuoi passare per francese smetti di infilare dei "ci" dappertutto. E poi studi Legge, non Diritto.» «Non è che ci vuoi prendere tu la tastiera?» fece Johanne accentuando l'accento. «Potrei farmi passare per una donna, ma si perderebbe la tua percezione delle cose, la tua femminilità.» «Ah, per percepire, la mia femminilità percepisce! Ci!» «Occupati di Moose3, Cicici!» Didou: Moose3> No, non conosco il Quebec, e tu conosci Parigi? Lobsédé: Didou> Allora non rispondi, vacca? Sei frocio o lesbica? Moose3: Didou > Sono stato in vacanza in Francia una volta. A che università di Diritto vai? Ho un amico di chat che ci studia a Parigi. Johanne si girò a guardare Brenner. «Metti Legge all'Assas.» Didou: Moose3> Faccio Legge all'Assas. Lobsédé: Didou> Frocio e fascista! Hai tutto per far colpo! «Ma cosa mi sta dicendo?» Brenner sospirò.
«Lascia perdere quell'idiota.» Moose3: Didou> No, non è quella, ma devono esserci un sacco di facoltà di Diritto a Parigi... è la prima volta che vieni su questa chat? Lobsédé: Stasera è una vera palla, mi sono rotto! Didou> ciao puttanella, pensa a me quando il tuo rottinculo ti lecca la figa! Didou: Moose3> No, sono già venuta. Cerco una cyber-amica che sta nel Quebec e che avevo incontrato qui. Malika, la conosci? Moose3: Didou> Non la conosco. Ci viene spesso? Didou: Moose3> Di tanto in tanto. È parecchio che l'ho persa di vista. Kaa: Didou>A/S/V stp. «Questo ce l'abbiamo!»esclamò Brenner. «Sì, me ne ricordo.» Didou: Kaa> Puoi anche salutare! «Merda, non la trattare male!» «Senti, cominci proprio a stufarmi. A me piace la buona educazione!» Kaa: Didou> Sì, scusa. È perché ho visto che parlavi di Malika. Allora: ciao! «Vedi, un po' di fermezza non guasta.» Didou: Kaa> Femmina, 20, Parigi. Conosci Malika? Moose3: Didou/Kaa> Allora vi lascio... Kaa: Didou> Sì, parlavamo spesso. Ma è un po' che non la vedo. Didou: Moose 3> Ciao. Kaa: Moose3>Bye. Didou: Kaa> Peccato, è simpatica. Kaa: Didou> Sì, ma siccome studiava in Quebec e adesso ci sono le vacanze, può darsi che sia tornata in Francia e non abbia un accesso a Internet. Didou: Kaa> Già, è vero... Kaa: Didou> Fa un annuncio. Didou: Kaa> Un annuncio? Come? Kaa: Didou> Così: OH! QUALCUNO HA VISTO MALIKA PER CASO? Seguirono alcune risposte, tutte negative. Didou: Kaa> Non è servito a molto, ma grazie lo stesso. Kaa: Didou> Di niente, è sempre un piacere aiutare una signora. Dicevi che vieni spesso, e anch'io, ma non ricordo il tuo nick. Didou: Kaa> Perché ne ho cambiati. Kaa: Didou> Avevi dimenticato la password?
Didou: Kaa> No, ho avuto qualche problema con un idiota tipo Lobsédé. Kaa: Didou> Okay, capito. Sono davvero odiosi. La cosa migliore è ignorarli, dopo un po' si stancano e la piantano. Didou: Kaa> Lo so, ma a volte ti viene voglia di rispondere! Kaa: Didou> Immagino! E tu ti ricordi di me? Brenner passò a Johanne il quaderno di Sophie, aperto alla pagina giusta. Didou: Kaa> Sì! Per esempio: hai ventidue anni e sei svizzera, giusto? Kaa: Didou> Complimenti! CoolWebeur: Ciao a tutti, miei cari charter! Kaa: Cool> Ciao anche a te. Sei appena arrivato o stavi spiando? Didou: Cool> Salve. CoolWebeur: Kaa> Sono appena arrivato. Lo sai che non spio mai, non sono il tipo. Kaa: Cool> Vero. Allora, che novità a Parigi? CoolWebeur: Didou> Ciao, E/S/C? Kaa> Bah, niente di speciale, le solite cose, il lavoro e per fortuna un po' di chat! Kaa: Cool> Hai ragione. La chat è meglio dell'ero. CoolWebeur: Didou> Fantastico. E cosa fai a Parigi? Didou: Cool> Frequento Legge ad Assas. Kaa: Cool> Sì, e il vaccino è la bolletta del telefono! CoolWebeur: Didou> E così da grande farai l'avvocato. Kaa> Non ti lamentare, sei in Svizzera! Non hai mai ricevuto una bolletta FranceTelecom, non sai cosa sia la vera sofferenza! Didou: Cool> Lo spero, ma non so se ci riuscirò. Kaa: Cool> Quando ti trasferisci a Losanna? CoolWebeur: Kaa> Domani, se potessi! Didou> Ma sì, ma sì, sarai avvocato come papà. O mamma... Didou: Cool> Perché mi dici questo? Hai qualcosa contro gli avvocati? CoolWebeur: Didou> Sii gentile... Kaa: Cool> Sii cool con Didou, è un'amica di Malika. CoolWebeur: Didou> Davvero? Didou: Cool> Certo che è vero. CoolWebeur: Didou> Scusa, allora. Non ho niente contro gli avvocati, ma di solito la gente dell'Assas non mi piace. E poi di parigini ne ho piene le strade e quindi non li cerco più di tanto sulla chat. Sei arrabbiata? Come sta Malika?
Didou: Cool> No, non arrabbiata. Sai, la gente all'Assas non è tutta uguale. Malika, la stavo appunto cercando, è un po' che non la vedo. E tu? CoolWebeur: Didou> Anch'io è un po', ma ci sono le vacanze e sicuramente non è più in Quebec. A casa non ha Internet, sai, i suoi non sono proprio il massimo. Su Assas forse hai ragione, ma non ho voglia di verificarlo, peccato... Kaa> A che punto sei della tua home page? Kaa: Cool> Procede, procede. Ho ancora qualche problema con la html, ma ho quasi risolto. CoolWebeur: Kaa> Dovresti provare con Java. Kaa: Cool> Aspetta, adesso cerco di imparare il linguaggio html! Poi mi scervellerò con Java! CoolWebeur: Kaa> Devi proprio, Java è il futuro. «Di cosa parlano?» chiese Johanne. «Di programmazione Web.» Didou: Cool> Fai della programmazione? CoolWebeur: Didou> No, paracadutismo ascensionale. Kaa: Cool> Sei antipatico con lei! Didou: Cool> Bene, ho capito! Ciao! Dovresti cambiare nick. "Cool" non ti si adatta molto. CoolWebeur: Kaa> Vero, ma è più forte di me. Le figlie di papà non mi piacciono. Kaa: Didou> Ciao. Johanne ebbe uno scatto di irritazione. «Quando si dice facilitare la socializzazione. La tua Assas non è stata affatto una buona idea.» «Vero. E nemmeno farti passare per parigina.» «Adesso cosa facciamo?» Brenner si strinse nelle spalle. «Scegli un altro nick e ricominciamo.» Johanne mosse il cursore sullo schermo di iscrizione e cliccò sul pulsante Registrati. «Che nick prendo?» «Johanne non è male.» Digitò sulla tastiera, lo schermo restituì un messaggio d'errore su fondo grigio. «Ce n'è già una. Proverò con JohanneD.» «Funziona, adesso basta ricevere la password.» «Però mi devo creare un nuovo identikit. Cosa ne dici di un'abitante di
Montreal di 25 anni?» «Non male.» «Okay, Brenner. Vedi che parliamo la stessa lingua?» «Chiaramente! E che cosa farebbe questa fanciulla di Montreal?» «Be', sarebbe un'agente di assicurazioni, all'ufficio sinistri della Générale du Quebec. Ho studiato un po' di diritto assicurativo, poi ho ammaccato la macchina più di una volta, dovrebbe funzionare.» «La nostra JohanneD. dovrà essere un po' depressa. Se CoolWebeur si considera la Macha Beranger del Net, tanto vale fornirgli degli elementi su cui lavorare.» «La che?» «Una specie di psicologa, alla radio.» «Ah... Be', tu non saresti depresso all'idea di lavorare per un'assicurazione?» Brenner annuì con una smorfia e aggiunse: «Bisogna anche trovarti un passatempo.» «Mmm... posso provare con il cinema, ma non so se sarei all'altezza. A me Contact è piaciuto parecchio.» «Abbiamo le schede di Sophie...» «Certo, ma ne ho visti la metà. Nei film francesi non fanno altro che parlare, parlare e io mi annoio.» Brenner fece una nuova smorfia. «Sì... in Rohmer parlano, non si può dire il contrario... e a libri?» «Un po'.» «Che genere?» «Michel Tremblay.» «Vada per Michel Tremblay. Altrimenti, cosa fai la sera quando torni a casa?» «Io... niente!» Johanne aveva risposto in modo brusco, Brenner decise di non insistere. «Se Tremblay non funziona, improvvisa.» La maschera osservò la foto che le mostrava Savoie, una ruga di riflessione le attraversava la fronte mentre si tormentava la manica dell'uniforme blu. «No» disse infine. «Io non l'ho mai vista, ma lavoro solo d'estate. Dovrebbe chiedere alla cassiera.» «È qui adesso?»
«Certo, venga con me.» Savoie seguì la giovane lungo un corridoio, fino a una stanza di cui spinse la porta semiaperta. Seduta dietro una scrivania, una donna di mezza età contava e spillava dei mazzetti di biglietti. La maschera fece le presentazioni. La cassiera diede appena un'occhiata alla foto formato A4. «Certo che la conosco. È una francese, una habitué. Cosa ha fatto?» «Lei nulla, ma la sua famiglia non ha sue notizie da quasi sei settimane.» «Oh...» La cassiera riprese in mano la foto. «È un po' che non la vedo nemmeno io, sei o sette settimane di sicuro. Pensavo che fosse tornata a casa.» «Secondo le nostre informazioni, dovrebbe essere venuta a vedere Shitty Day in Paradise.» La cassiera aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori un programma di cui sfogliò le pagine. «Otto settimane fa, per la precisione... in effetti mi sembra che sia venuta per quel film.» «Non ha notato nulla di speciale? La ragazza era con qualcuno? O qualcuno l'ha aspettata all'uscita? Ha mai litigato con qualche amico?» «No... Ma quando dico che la conosco, voglio dire che siccome viene spesso, riconosco il suo viso. Però non ci ho mai parlato granché. Ho dei clienti che amano chiacchierare un po' dei film che vedono, ma non lei. Ricordo di averla vista una o due volte con un'amica, un'europea, nient'altro. Poi all'uscita, o è l'ultimo spettacolo e sto facendo i conti, o c'è un altro spettacolo e sono occupata con quelli che entrano. In ogni caso, litigi è un bel po' di tempo che non ce ne sono da noi. Non è quel genere di posto: i nostri clienti sono cinefili, non attaccabrighe.» «Bene. Sa chi era la maschera all'epoca e dove posso raggiungerla?» «Certo, era Léocadie.» La cassiera vergò un breve appunto su un pezzo di giornale. «Ecco l'indirizzo e il numero di telefono. È in vacanza, non so se la troverà a casa.» «Grazie, verificherò» ribatté Savoie appoggiando un biglietto da visita sulla scrivania. «Se dovesse venirle in mente qualcosa, la prego di contattarmi.» CAPITOLO XI Chris aveva trovato una puttana di colore. Mancava la seconda, doveva
essere impegnata. Aveva trovato anche Broker. Difficile sbagliarsi. Grosso come un vichingo, barba e capelli compresi, giacca da combattimento di cuoio nero borchiato con Broker scritto in caratteri gotici sulla schiena, era seduto sulla sua 1340 FLT, un ginocchio piegato sul serbatoio, l'altra gamba tesa, con tanto di sperone dello stivale piantato nell'asfalto. Modello a stella. Avvicinandosi, Chris aveva notato una cicatrice sulla guancia del Rock Machine. Una macchia color rosa confetto dove la barba bionda non cresceva più, come fosse stato colpito da un proiettile. La voce di Broker dava l'impressione che la pallottola fosse ancora da qualche parte tra i denti. Ma il Rock Machine l'aveva ascoltato senza battere ciglio. Poi aveva estratto dalla tasca una catena al capo della quale pendeva la chiave della Harley. Chiave che aveva osservato come se celasse un grande mistero. La stava ancora osservando. Da almeno due minuti. Quindi, all'improvviso, la fece saltare nel palmo della mano e se la rimise in tasca. «Ascolta, ragazzo, non so di cosa stai parlando. Ma se un giorno lo scopro, prometto che verrò a cercarti.» Fine della conversazione. Il tono non concedeva appelli. Chris annuì con il capo, si girò e si allontanò. Sentì lo sguardo del Rock Machine sulle spalle. Ma non si voltò. JohanneD: Cool> Femmina, 25, Montreal, e tu? CoolWebeur: JohanneD> Uomo, 38, Parigi. Come vanno le cose a Montreal? JohanneD: Cool> Insomma, non è proprio la fine del mondo... CoolWebeur: JohanneD> Cosa non va? Il lavoro? La vita? JohanneD: Cool> Un po' tutti e due. Il lavoro non è niente di speciale e anche la sera, quando esco, non è niente di speciale... CoolWebeur. JohanneD> Che lavoro fai? JohanneD: Cool> Mi occupo di assicurazioni. Sinistri automobilistici. C'è chi conta le pecora, io conto i parafanghi delle auto... sai che divertimento. CoolWebeur: JohanneD> Non deve essere proprio appassionante, in effetti. Sai, è strano ma... ho l'impressione di sentire il tuo accento. JohanneD: Cool> E ti fa ridere? Lo trovi fastidioso? CoolWebeur: JohanneD> Al contrario, lo trovo affascinante. JohanneD: Cool> Grazie. Sai, anch'io ho l'impressione di sentire il tuo. E mi sembra di essere tornata a scuola!
CoolWebeur: JohanneD> Questo sì che deve essere mortalmente "noioso". JohanneD: Cool> No, no, a me piaceva la scuola! CoolWebeur: JohanneD> Be', malgrado la noia sai essere spigliata. JohanneD: Cool> Credo che sia per questo che chatto. CoolWebeur: JohanneD> Hai ragione, sulla chat lo "spleen" non ha speranze. Dicevi che la sera non è niente di speciale, eppure a Montreal le attrattive non dovrebbero mancare, no? «Cerca di porgli delle domande su di lui, su Parigi, in modo che scopriamo dove sta davvero.» «Ehi, Brenner, faccio quello che posso!» JohanneD: Cool> Non abito proprio a Mtl, ma in periferia. Dovrei riprendere l'auto e non ne ho mai troppa voglia. CoolWebeur: JohanneD> Dovresti sforzarti, invece. A Mtl ci sono parecchi cinema e festival. Deve essere bello. JohanneD: Cool> Sì, ma per andarci servono degli amici. E non ne ho molti. Poi sai, sono cose costose e non ho troppi $. Questo lavoro all'assicurazione è solo per l'estate. Quando le vacanze saranno finite, tornerà l'impiegata che sto sostituendo. E io dovrò rimediare qualcos'altro. Ho sempre rimediato qualcosa, ma non sì può mai esserne sicuri prima. CoolWebeur: JohanneD> Okay, ho capito. Ci sono passato anch'io. I lavoretti, l'incertezza... Ma alla fine le cose sono migliorate, non bisogna scoraggiarsi. «Approfittane per farlo parlare di lui.» «Cristo, Brenner! Vuoi la tastiera?» JohanneD: Cool> Hai ragione. Ma sapessi come sono stufa di questa vita... a volte ho l'impressione che non ne "verrò mai fuori. Per fortuna che non pago l'affitto per la casa, altrimenti non saprei davvero come fare. CoolWebeur: JohanneD> Vivi con i tuoi genitori? JohanneD: Cool> Vivo a casa loro, ma loro non ci sono più. Adesso è mia. CoolWebeur: JohanneD> Scusami. JohanneD: Cool> Non ti preoccupare, non potevi sapere. Tanto più che me ne sono fatta una ragione, ormai.... E tu, tu cosa fai a Parigi? CoolWebeur: JohanneD> Sviluppo software, li vendo e ne assicuro il funzionamento. La maggior parte del tempo lavoro a casa. JohanneD: Cool> Sei fortunato. CoolWebeur: JohanneD> Non mi lamento, rende abbastanza e mi lascia
del tempo per vivere. JohanneD: Cool> Com'è casa tua? Bella? CoolWebeur: JohanneD> Parlo di casa, ma è un appartamento. Non è male, non molto grande ma sistemato bene. JohanneD: Cool> A Parigi in centro? CoolWebeur: JohanneD> Sì, vicino a Place Cliché. È un quartiere molto animato. Lo conosci? JohanneD: Cool> No, non sono mai stata in Europa. E tu? Tu conosci il Quebec? CoolWebeur: JohanneD> Non ci sono mai stato. Ma in Rete ci sono parecchi canadesi e ormai ho l'impressione di conoscerlo un po'! E di capire il vostro francese! Sembra un bel posto... JohanneD: Cool> Sì... in questo periodo, forse... per il resto, mesi e mesi di gelo e grigio, poi si sguazza nel fango... a me non sembra poi così bello. La vita a Parigi deve essere tutt'altra cosa. CoolWebeur: JohanneD> Parigi non è male... però, sai, la vita è sempre quella che siamo in grado di costruirci. Se resti in casa a rimuginare pensieri neri, non c'è da stupirsi che non sia divertente. JohanneD: Cool> Oh, ma io non passo il mio tempo a rimuginare pensieri neri a casa, anche se sono sola. CoolWebeur: JohanneD> E cosa fai di bello? JohanneD: Cool> Guardo la tele quando ci sono dei reportage interessanti, e poi leggo. CoolWebeur: JohanneD> Anch'io leggo parecchio. Cosa ti piace? JohanneD: Cool> Adoro Michel Tremblay. Lo conosci? CoolWebeur: JohanneD> Lo conosco perché ho visto un sacco di canadesi parlarne in chat, ma non l'ho mai letto. JohanneD: Cool> Qui è famoso. Tremblay utilizza molte espressioni canadesi, quindi potrebbe non risultare troppo digeribile per un francese, ma dovresti provare a leggerlo, ne vale davvero la pena. CoolWebeur: JohanneD> Promesso, lo leggerò. E se ci sono parole che non conosco, le chiederò a te, d'accordo? JohanneD: Cool> D'accordo! CoolWebeur: JohanneD> Fantastico! E poi, cos'altro leggi? JohanneD: Cool> Un po' di tutto. Ma quello che mi tiene più occupata è... la pittura. CoolWebeur: JohanneD> Davvero? Dipingi? JohanneD: Cool> Sì. Acquerelli.
CoolWebeur: JohanneD> Ma è straordinario! Savoie entrò nell'ufficio; i suoi due colleghi inchiodati allo schermo gli rivolsero appena un cenno di saluto. «Deve essere qualcosa di appassionante» borbottò avvicinandosi. «Johanne sta chattando con CoolWebeur.» «E che cosa sta venendo fuori?» «Per il momento lo sta mettendo a suo agio.» «Bene... vado, così non vi disturbo... passo dai Foufounes per vedere se Chris è in giro. Voi ne avete per molto?» «Silenzio!» esclamò Johanne. «Mi sono sbagliata!» «Non possiamo saperlo, ma sì, potrebbe andare un po' per le lunghe.» «D'accordo» replicò Savoie. «Se scopro qualcosa ritorno, altrimenti, a domani. Avete notato che sta facendo notte?» «Mmm?» fecero in coro Eric e Johanne. Savoie si chinò per esaminare lo schermo e indicò una riga col dito. «Questo è uno pseudonimo?» «Sì.» «Salvate-un-albero-mangiate-un-castoro!» scoppiò a ridere Savoie. «C'è gente che non teme il ridicolo.» CoolWebeur: JohanneD> Sei ancora lì? JohanneD: Cool> Sì, mi sono sbagliata! Ho cliccato su "cancella" invece che su "invia" per due volte! E poi mi sono persa la tua ultima frase... «Vi lascio» si congedò Savoie. «A dopo.» «A più tardi, Luc.» CoolWebeur: JohanneD> Non preoccuparti. Quando c'è parecchia gente non è facile seguire. Ti chiedevo se hai frequentato dei corsi di disegno o pittura. Savoie richiuse la porta dell'ufficio senza far rumore, e nel corridoio scoppiò di nuovo a ridere: salvate un albero, mangiate un castoro! JohanneD: Cool> No, mai. Dipingo da quando sono piccola, mi viene spontaneo. CoolWebeur: JohanneD> Notevole! Un talento naturale. JohanneD: Cool> Trovi? CoolWebeur: JohanneD> Sì, davvero. È una cosa che mi sarebbe sempre piaciuto fare. Ho anche provato, ma... pfff! Il risultato era proprio ridicolo... Dipingi partendo da una foto o con un modello? JohanneD: Cool> Né l'uno né l'altro. Mi affido alla memoria. Vado in giro e quando vedo qualcosa che mi piace, mi fermo e osservo. Ci sono dei
posti pazzeschi, qui da noi. E dopo, a casa, dipingo. Non sempre viene simile alla realtà, ma è sempre simile ai miei ricordi. CoolWebeur: JohanneD> Mi fai invidia... Organizzi delle mostre? Vendi i quadri? JohanneD: Cool> Mio Dio, no! Sarebbe un sogno. Una o due volte ho regalato degli acquerelli ad amici e quando sono passata a trovarli erano sempre esposti in angoli dove non si rischiava di vederli... Adesso li tengo per me, tanto è per me che dipingo, quindi... CoolWebeur: JohanneD> Dovresti cambiare amici. JohanneD: Cool> Ahahah! È quello che ho fatto, per altre ragioni, ma è quello che ho fatto! All'improvviso non ho più nessuno a cui regalare i miei quadri, così il problema è risolto! CoolWebeur: JohanneD> Tu dici che esporre non fa per te, ma hai almeno provato? JohanneD: Cool> No. CoolWebeur: JohanneD> E allora! JohanneD: Cool> Non ne avrei mai il coraggio... CoolWebeur: JohanneD> Cos'hai da perdere? In questo momento nessuno vede il tuo lavoro, nella peggiore delle ipotesi non troverai anima viva che vorrà esporre le tue cose. Ma se invece trovi qualcuno, non credi che i parafanghi delle auto potrebbero diventare più sopportabili? JohanneD: Cool> Forse. Ma già così la pittura mi aiuta molto. E finché non mi dicono il contrario, posso continuare a sperare di portelo fare... Non ho poi così voglia di scoprire la verità. CoolWebeur: JohanneD> Ma alla realtà è impossibile sfuggire, allora tanto vale provocarla. Se un giorno non mi fossi buttato con i miei programmi, avrei continuato ad andare tutte le settimane nelle agenzie di lavoro interinale. Dopo la gente ti dice che sei stato fortunato, ma prima ti diceva che sognavi a occhi aperti, quindi non bisogna ascoltarla. Quello che è certo è che se hai un talento, nessuno potrà mai portartelo via. JohanneD: Cool> Sì, ma non sono poi così sicura di averne... CoolWebeur: JohanneD> Tu dipingi naturalmente, vuol dire che sei sincera. E la sincerità è qualcosa di molto raro, tanto da essere preziosa in sé. «Ho un'idea! Chiedigli che tempo fa!» «Cosa?» fece Johanne fissando Brenner con gli occhi spalancati. «Il tempo! Il clima! Se piove, se c'è il sole, roba così.» «Va bene, ma... non era la piega che stavamo prendendo.» «Inventa qualcosa!»
Brenner tirò fuori un quaderno dalla tasca, si precipitò su un telefono e compose un numero. JohanneD: Cool> Forse hai ragione... devo rifletterci sopra. CoolWebeur: JohanneD> Sì, ma non troppo. Chi riflette troppo, finisce per restare immobile. Brenner batteva un piede. Il telefono squillava e nessuno rispondeva. Alla fine ci fu un clic all'altro lato e una voce assonnata a cui non lasciò il tempo di mettere in fila tre parole. «Polizia Giudiziaria, Quai des Orf...» JohanneD: Cool> Ci rifletterò in fretta, promesso. «Commissario Brenner, il commissario Crescent è di turno, per favore?» CoolWebeur: JohanneD> Ci conto! Ne riparliamo domani? «La sento male! Commissario Brenner?» «Accidenti! Sembra che se ne stia andando!» gridò Johanne. «Trattienilo ancora cinque minuti!» ribatté Brenner coprendo il telefono con il palmo della mano. Poi, scoprendolo: «Sì, Bren-ner, la chiamo da Montreal, il disturbo è dovuto al satellite. Se c'è Crescent, me lo passi, è urgente!» Una serie di clic, poi di nuovo suonerie. JohanneD: Cool> Te ne vai? CoolWebeur: JohanneD> Sì, sono quasi le tre di notte e mia moglie sta per arrabbiarsi... JohanneD: Cool> Sei sposato? CoolWebeur: JohanneD> Sì, abbiamo un bambino di 5 anni, Guillame. «Parla Crescent...» «Ciao, sono Brenner! Scusa, non ho il tempo di spiegarti, ma...» «Brenner? Come stai? Dove sei?» JohanneD: Cool> Capisco che non sia contenta di avere un marito incollato allo schermo di un computer per tutta la notte. «A Montreal. Ho solo bisogno di sapere che tempo fa a Parigi adesso.» CoolWebeur: JohanneD> Oh, sai, qualche volta è lei che ci passa la notte e sono io ad arrabbiarmi. «Cosa? Il tempo? Mi prendi in giro?» «No, Crescent. Te l'assicuro, è molto importante. Non posso spiegarti adesso; ma se tu potessi andare alla finestra e dirmi che tempo fa, mi faresti un grosso favore.» JohanneD: Cool> Ahahah! A ognuno il suo turno, è giusto così! Io invece andrò a dipingere un po'. O a guardare la luna. La notte è splendida
qui, anche da te? CoolWebeur: JohanneD> Sì, anche qui. Senza nuvole, non troppo calda, una bella notte di luglio. «Non ho bisogno di andare alla finestra, Brenner. Ci è girato tutto il giorno un temporale sopra la testa e adesso ci ha trovati. Piove che Dio la manda, con tuoni e lampi e tutto. Ti basta così?» JohanneD: Cool> Da noi l'estate dura solo due mesi, dobbiamo approfittarne. «Non scherzi, vero? Ed è così su tutta Parigi?» «Oh sì, su tutta Parigi. E no, non scherzo, sembri troppo serio.» «Perfetto, grazie mille. Ti richiamo appena possibile per spiegarti.» «Te ne sarei grato.» Brenner riattaccò e lesse le due righe sullo schermo. «Allora?» chiese Johanne. «Allora ha sbagliato Parigi!» CoolWebeur: JohanneD> Ci sentiamo domani? JohanneD: Cool> Volentieri. Mi piace parlare con te. CoolWebeur: JohanneD> Anche a me, davvero. Conosci ICK? JohanneD: Cool> No, cos'è? CoolWebeur: JohanneD> Un sistema per chattare dove si può parlare in privato. È più pratico che qui per una conversazione. E poi sai quando il tuo corrispondente è connesso, perché il nick cambia colore sul pannello di controllo. JohanneD: Cool> Deve essere bello, ma non ho il programma... peccato! CoolWebeur: JohanneD> Puoi scaricarlo gratuitamente a: www.hearthlink.com. È molto facile da usare. Io uso lo stesso nick anche lì. JohanneD: Cool> D'accordo, ho preso nota. Ci proverò. CoolWebeur: JohanneD> Allora a domani. Buonanotte. JohanneD: Cool> Buonanotte. E grazie. Rincantucciato contro un muro, Chris seguiva Savoie con lo sguardo. Il poliziotto non l'aveva visto; aspettò una birra al bancone girandogli la schiena, poi tornò a sedersi in sala, a due tavoli da Broker. Il Rock Machine era lì da un'ora, a liquidare Bleue dopo Bleue. Non gli aveva rivolto la parola né il minimo gesto. A due o tre riprese Chris si era sentito osservato, ma con gli occhiali neri che portava Broker...
In ogni caso, non era il momento giusto perché il poliziotto lo avvicinasse. Filò verso le toilette. Savoie vide una ragazza andargli incontro. La stessa dell'altra sera. Non aveva cambiato abiti oppure ne possedeva una serie di identici. Tyna si lasciò cadere su una panca accanto a lui. «Mi offri da bere?» Savoie prese la bottiglietta di birra che non aveva ancora toccato e la appoggiò davanti a lei sbattendone il fondo sul tavolo. Un po' di schiuma uscì dal collo. «Eccoti servita.» Tyna buttò giù un lungo sorso e intanto si appoggiò a lui mettendogli una mano sulla coscia. Savoie le prese il polso e lo riportò sul tavolo. La ragazza ridacchiò. «Eh! Anche se non ti piace, non sei mica obbligato a farmi male!» Emanava un odore composito, sudore, alcol e hashish. Savoie le lasciò il polso. Lei rimase incollata a lui, con la coscia premuta contro la sua. «Mi manda Chris» disse riappoggiando la mano. «Togli la mano di lì e di' quello che devi dire.» Tyna ignorò la prima parte dell'ordine. «Ha detto che sarebbe meglio se non vi vedeste stasera. C'è gente qui che potrebbe trovare la cosa strana. Potrebbe diventare pericoloso.» «Che gente?» «Non lo so.» Con una mano le circondò il collo. «Togli le tue dita di lì o finirò per farti male sul serio.» Strinse un po'. Lei obbedì e ridacchiò di nuovo. «Perché fai così, adesso che cominciava a farti effetto? È raro che i vecchi non approfittino della fortuna!» Savoie avvicinò il volto a quello di Tyna, a qualche centimetro. Lei dondolò la testa; le pupille le mangiavano la quasi totalità delle iridi. Completamente andata, pensò il poliziotto. Le strinse più forte la nuca, vagamente disgustato. Tyna sudava sotto le sue dita e si contorse per liberarsi. «Che gente?» incalzò Savoie con voce sorda. «Non ne sono sicura... il grosso Rock Machine lì a fianco, credo. Chris mi ha anche detto che sta pensando al vostro affare, che se ne sta occupando...» Savoie lasciò la presa. «Finisci la birra e vattene.»
Lei svuotò la bottiglia in due sorsi e prima di alzarsi gli picchiettò la coscia. «Non hai qualche spicciolo?» «Per i poliziotti è gratis, non lo sapevi?» La sua risata fu incerta. «Già, scusa, ma sono un po' fuori.» Savoie estrasse una banconota dalla tasca, gliela mise nel palmo della mano e le ripiegò le dita per chiuderla. «Invece saresti davvero gentile se mi portassi una Bleue.» «Peggio ancora!» «Una Bleue, è tutto. Puoi tenere il resto.» Lei si strinse nelle spalle e si alzò dalla panca. Savoie gettò un'occhiata di soppiatto ai tavoli vicini. Gli occhiali neri del Rock Machine erano fissi su di lui. La ragazza tornò, con una bottiglia per mano. Ne appoggiò una sul tavolo e si allontanò immediatamente, con un piccolo gesto di commiato. La birra straripò. Savoie sospirò, eliminò la schiuma e si portò la bottiglia alle labbra. Il Rock Machine continuava a osservarlo. Fece un rutto eterno. La tedino coprì il rumore. Savoie vide solo l'immagine. Broker aveva un dente d'oro. Johanne si massaggiò a lungo le tempie e sospirò. «Okay, non è parigino, ma non per questo è canadese.» «No. Ma in ogni caso, hai visto che differenza di atteggiamento tra Didou e Johanne?» «Forse sua moglie gli proibisce di parlare alle francesi?» «Ammesso che abbia una moglie... forse è stato perché Didou ha menzionato Malika?» «È stato sgradevole anche prima che la nominassi.» «Magari stava osservando la chat da un po'...» Johanne si massaggiò di nuovo le tempie. «Il fatto è che non possiamo essere sicuri di niente. È orribile. E in più mi è venuto un gran mal di testa.» «Vuoi un'aspirina?» «No, grazie. Vai sempre in giro con le aspirine, tu?» «Sì, sono soggetto a forti emicranie. Sembra che sia una faccenda ereditaria.» «Che seccatura... Comunque sono sicura che Cool sia francese, non scri-
ve come un canadese.» «Potrebbe farlo apposta, per nascondersi.» «In una conversazione così lunga, la cosa mi stupirebbe parecchio. Fidati di me, quel tizio è francese. O svizzero, o belga.» «Svizzero o belga non credo... Okay, ammettiamo che sia francese: questo non significa necessariamente che abiti in Francia... E potrebbe addirittura essere una donna!» «Pfff...» «Se lo dici tu. Ma non ci credo molto. Ricominceremo domani; più diventerete intimi, meno sarà diffidente. Hai giocato molto bene oggi, continua così e alla fine vedrai che ti dirà qualcosa.» «Non ho poi giocato molto.» Brenner rivolse a Johanne uno sguardo di sorpresa. Lei accennò un sorriso. «Ho perso i miei genitori due anni fa.» «Non lo sapevo, non me l'avevi detto.» «Non me lo avevi chiesto.» Brenner abbassò lo sguardo e fece finta di sistemare un foglio sulla scrivania. «È vero... e per il resto?» «Il resto... prima di entrare allo SPCUM ho fatto diversi lavoretti saltuari, sì. E dipingo da quando sono piccola. Ho elargito più confidenze a questo tizio in qualche ora che a te in qualche giorno. E però con lui non ci sono andata a letto. Ti stupisce?» «No, le condizioni...» «Nemmeno io sono stupita. Non sei il mio primo ragazzo, sai. Ed è buffo fino a che punto possiate essere tutti identici, prevedibili.» Lo guardava, ma Brenner ebbe l'impressione che non lo vedesse. «Bah, che importa» mormorò lei stringendosi un poco nelle spalle. Brenner le si avvicinò e le accarezzò la guancia. Dalla guancia la mano scivolò ai capelli. La baciò e lei si lasciò andare contro di lui, poi, dolcemente, si liberò. «Johanne... non è ora di andare a mangiare?» «Non ho fame, e poi non sono in forma... preferisco tornare a casa e andare dritto a letto. Ti lascio al Travelodge?» Brenner consultò l'orologio. «No, andrò a cercare qualcosa da mettere sotto i denti nel quartiere cinese.»
Johanne annuì con un cenno del capo e fece il giro della scrivania per spegnere il computer. Rimase qualche secondo a fissare lo schermo nero, poi rivolse lo sguardo a Brenner. «Non esiste un mezzo tecnico per localizzare CoolWebeur?» Brenner si sedette sulla scrivania lasciando penzolare le gambe. «In teoria nessun sistema è impenetrabile, a condizione di poter disporre del software giusto. Per noi, il problema essenziale non sarebbero le protezioni, la rete Internet non è particolarmente sicura, ma il numero di relais possibili, l'enorme massa di dati e soprattutto il fatto che non ne conosciamo l'origine precisa. Un programma in grado di effettuare le operazioni e i confronti necessari a una velocità sufficiente è molto pesante; non so se qui lo abbiate e, anche se lo aveste, non girerebbe su una carcassa come questa.» Brenner picchiettò il computer con la punta delle dita e aggiunse: «Resta il fatto che tutto questo obbedisce più o meno alle leggi delle intercettazioni telefoniche.» Johanne ebbe un gesto di impotenza. «Per il programma non ne ho idea, dovremo chiedere in Centrale domani. Per le intercettazioni... non è molto incoraggiante... vedremo cosa ne pensa Luc.» «Okay. In ogni caso questo non ci dispenserà dalla chat. Se vogliamo rintracciarlo, dobbiamo farlo parlare.» Johanne recuperò la borsa appoggiata alla poltrona e se la mise in spalla. «La cosa non mi dispiace.» Broker si stirò e la panca gemette. Il poliziotto era partito. Sapeva che era un poliziotto, non ne sapeva molto di più sul suo conto, ma che fosse uno sbirro ne era certo. Dettaglio che giudicò opportuno non ignorare. La puttanella invece continuava a ballare. «Hi, Broker!» «Hi, Vince!» Il padrone del sex-shop si lasciò cadere sulla panca. «Posso?» chiese mostrando una bottiglia. Broker annuì con un movimento della testa impercettibile. «Dimmi, Vince, chi è il coglioncello che mi hai mandato?» «Chris? Un tipo che vende di tutto, un free-lance, si arrangia. Droga, pomo...» «Informazioni?»
Vince fece una smorfia. «Anche informazioni, sicuramente. Siccome sembrava volervi incontrare, mi sono detto che non ti avrei dato alcun fastidio a mandartelo, e adesso sono venuto ad avvisarti. Ho fatto male?» Broker rimase in silenzio, come se stesse riflettendo. «È sempre meglio ricevere gente. Ma non abbiamo l'articolo che cerca.» «E anche se ce l'aveste, preferirei non saperne niente. Sono un commerciante onesto io, in regola, con licenza e tutto.» Broker rise. «Anche noi, eccetto per la licenza. Abbiamo fatto domanda, ma... E il suo cliente? Cosa ne pensi?» Vince inspirò a lungo. «Molto sorprendente, però non è il mio campo. E poi quel piccolo stronzo a volte mi ha liberato dalla droga che non riuscivo a vendere, è astuto.» «C'era uno sbirro dello SPCUM prima, due tavoli più in là.» «Ce ne sono spesso. È un luogo pubblico. Quale sbirro?» «Non lo conosco personalmente. Senza lanciarazzi gli sbirri ci attaccano di rado. In civile, sulla cinquantina, alto quanto te, più grosso, capelli castani, stempiato, baffi. Si trascina leggermente la gamba sinistra.» «Credo di aver capito. È un inquirente della Brigata Moralità, Luc Savoie. Prima era in pattuglia. Non ho mai cercato accordi con lui.» «Ha la faccia giusta per pattugliare. Vedi la puttanella laggiù?» Vince si girò verso la pista da ballo. «Quale?» «Quella che balla con la figa in avanti, con un anello nell'ombelico e una bottiglia in mano. Ride come una deficiente e si tiene in piedi per scommessa.» «Vista. La conosco. Tyna, un po' puttana, un po' tossica. Più o meno sposata a Chris. Me l'aveva portata, le ho fatto girare uno o due porno. Non è il massimo, ma costa poco. Se avete bisogno di attrici, ve ne posso trovare di meglio.» «Abbiamo quello che ci serve.» «Non ne dubito. Il suo solo vantaggio era che sembrava più giovane di quanto non fosse; ma ormai non è più così, anche se le metti la gonna plissettata e i calzettoni bianchi.» «Prima faceva le moine al poliziotto» disse Broker con un movimento suggestivo del polso. «Mi prendi in giro?»
«Ne ho l'aria?» Vince scosse la testa. «È solo che, se è lo sbirro che penso io, non è il tipo. Ma forse la gente cambia prima o poi, anche i poliziotti. O magari mi confondo.» «Già, perché no.» Il Rock Machine si alzò e appoggiò una mano sulla spalla del vicino. «Ti saluto, Vince. La prossima volta, prima mi avverti, poi mi mandi la gente. Lo preferisco.» CAPITOLO XII Savoie scosse il capo. «Non vale nemmeno la pena andare di sopra: senza l'autorizzazione di un giudice, Nath non muove un dito.» «E l'autorizzazione del giudice?» chiese Brenner senza convinzione. «Con il dossier che abbiamo...» «Bene... e se avessimo informazioni provenienti fresche fresche dall'estero?» Savoie sorrise sollevando un angolo della bocca. «Le informazioni sui delinquenti sono come i bidoni dell'immondizia davanti alla loro casa; si possono passare al setaccio e sfruttarle senza mandato. Ci sono stati dei precedenti. Hai qualche idea?» Brenner gli rese un sorriso dello stesso tipo. «Ulrike potrebbe cercare per noi.» «Avete quello che serve?» «Abbiamo un programma creato ad hoc per Europol. Non è completamene a punto, non sempre funziona perfettamente, ma si può provare.» «E poi, da voi in Europa, i giudici non costituiscono un problema.» «Sì, invece, che sono un problema. Diciamo che Ulrike agirà di propria iniziativa. Un hacker tra tanti.» «Se lo dici tu.» «A condizione che accetti, beninteso. Però mi stupirebbe molto se non lo facesse. Ah, mi ci vorrà del materiale per contattarla in modo più conviviale, in videoconferenza.» Savoie spinse verso di lui il telefono. «Chiedi a Nath, è il 357.» Brenner fece il numero, risposero al secondo squillo. «Buongiorno, qui Eric Bren...»
«Ah, il commissario francese! Come va? Il computer funziona?» «Sì, sì, perfettamente, grazie. A proposito, vorrei sapere se potete mettermi a disposizione il software per una videoconferenza...» «Certamente» rispose Nath con un risolino. «Quale vuoi?» Cominciò a elencare i software. Brenner la fermò al sesto. «Netconf, lo conosco, gira da Dio.» «Okay commissario, mando qualcuno a installarlo, con la netcam e il microfono.» «Grazie.» «Prego.» Spowart infilò un floppy nel computer sulla sua scrivania. Vi lesse il file che aveva appena copiato al Café Electronique, si appoggiò allo schienale della poltrona, incrociò le dita dietro la testa e si mise a ridere in silenzio. Non poteva capitare più a pennello. Esitò un secondo e tornò alla tastiera. Per un messaggio senza importanza, non valeva la pena tornare al caffè. Spowart accese il modem. Stabilita la connessione, si collegò al provider freemail, digitò nick e password e cliccò su Nuovo messaggio. Hai ragione, un vero colpo di fortuna. Attento a non lasciartela scappare! Incluse l'indirizzo del destinatario, spedì la mail, quindi scollegò il modem e spense il computer. Dopodiché andò nella stanza accanto. Un centinaio di metri quadrati il cui arredo sobrio, quasi austero, valorizzava i quadri esposti alle pareti. All'esterno, due coppie esaminavano le riproduzioni in vetrina. Americani, valutò Spowart, che uscì sulla soglia per salutarli. «Okay Eric» fece la voce di Ulrike, la cui immagine appariva sullo schermo. «Ti vedo e ti sento.» «Anche noi. Il suono è eccellente e l'immagine nitida. Ti presento la squadra.» Brenner prese in mano la netcam e inquadrò Savoie. «Luc Savoie, sergente inquirente.» Poi su Johanne. «Johanne Desjardin, inquirente.» «Qualcuno parla tedesco?» domandò Ulrike dopo aver salutato i due canadesi.
Ricevette due risposte negative. «Molto bene» proseguì Ulrike in tedesco. «Dimmi, ha l'aria simpatica questa canadese... è lei la castana chiara con le guance macchiate di rosso?» «Proprio così. Ma, per favore, niente scenate di gelosia. Non ora, almeno.» «Brenner, stai scambiando i tuoi desideri per realtà. Siamo sempre stati chiari tutti e due, non è gelosia, solo un po' di humour. Parli, prometti e poi non cambi mai.» «Cosa vuoi che ti dica? È una storia senza importanza e senza futuro, non stiamo a gonfiarla troppo.» «Certo che no. È stata la tua aria trionfante da gallo nel pollaio quando mi hai presentato la tua amica ad avermi infastidito. Hai ragione, devo essere un po' gelosa.» «Non ne hai davvero motivo. Ne riparleremo più tardi, ora potremmo anche andare al sodo, e in francese, perché tutto questo non è molto educato.» «D'accordo» assentì Ulrike in francese. «Scusatemi, avevo un problema di servizio da sistemare con Eric e faccio fatica a spiegarmi in francese, a volte mi mancano le parole.» «Oh, non importa» ribatté Savoie. «Capiamo perfettamente» aggiunse Johanne. «Vi ringrazio» riprese Ulrike. «Allora, qual è l'argomento della conferenza?» Chris si risvegliò di soprassalto, con la bocca impastata. Avevano bussato alla porta... sogno o realtà? Nuova serie di colpi. Realtà. Tyna si svegliò a sua volta e grugnì. «Cosa succede?» «Stanno bussando.» «Chi?» «Non ne ho idea» borbottò Chris alzandosi da letto. «Non accendere, per favore, ho mal di testa» gemette Tyna mentre la mano di Chris cercava l'interruttore dell'abat-jour. Chris protestò, si infilò un paio di slip e si diresse a tastoni verso il corridoio. Tyna lo sentì manovrare una maniglia; poco dopo si accese la luce del bagno e le giunse il suono dell'urina nella tazza.
Bussarono ancora. Una sola volta. Così forte che a Tyna sembrò che la porta avesse ceduto. «Porca puttana! Sto pisciando, Cristo!» gridò Chris. «Spicciati amico o vengo a cercarti!» replicò una voce sul pianerottolo. Tyna si sfregò gli occhi, poi rotolò ai piedi del letto e ci si nascose sotto. Uscì subito dopo, recuperò il cuscino, sistemò le lenzuola, e scomparve di nuovo sotto il letto. Chris tossì, sputò nel water, tirò l'acqua e trascinò i piedi fino alla porta d'ingresso. «Ah, sei tu» fece socchiudendo il battente. «Sei solo?» ghignò Broker infilando il piede per tenere aperta la porta. «Io... sì...» «Non ne sembri sicuro.» Chris si sforzò di sorridere. «Be'... fuori com'ero ieri sera, avremmo potuto essere anche due o tre che non me ne sarei accorto.» Broker lo spinse nel corridoio, entrò e chiuse la porta dietro di sé. L'appartamento era buio, l'unica luce proveniva dal bagno. «Vestiti in fretta, vieni con me.» «Dove?» «Vestiti, ti ho detto!» Il Rock Machine lo seguì nella stanza e rimase a scrutare a lungo. Mentre Chris si vestiva, diede un'occhiata nel bagno e nella toilette. «Ha qualcosa a che con il nostro affare?» chiese Chris dalla camera. Broker esaminò la cucina senza rispondere. Le stoviglie sporche impilate nell'acquaio avrebbero potuto provenire da una cena di sei persone. Aprì una porta nel corridoio, che si rivelò l'anta di un armadio a muro ingombro di porcherie varie. L'appartamento non aveva altre porte. Broker tornò nella stanza chiudendosi il naso con le dita. «Questo porcile puzza, non lo arieggi mai?» Chris alzò le spalle e si infilò la giacca. «Non ci sono molto spesso.» «Sei pronto? Andiamo, allora.» «Ma dove?» «Cammina davanti a me» replicò Broker a mo' di risposta «Muoviti.» «Nessun problema, Eric, cosa non farei per te» disse Ulrike con un sorriso ironico. «Ci metti molto a installare il tutto?» Ulrike rifletté un istante.
«Diciamo un'oretta. Cerca di contattarlo sulla chat piuttosto che su ICK.» «Perché?» si intromise Savoie. «ICK arriva fino a un milione cinquecentomila connessioni al giorno» spiegò Ulrike. «In pratica una massa di gangli comunicazionali generati da ogni angolo del pianeta; non è a caso che il Web si chiama ragnatela... Inoltre ICK utilizza diversi server che possono chiamare durante la comunicazione...» «E l'altra cosa, la chat?» «Obbedisce a un principio diverso e, soprattutto, dispone di un numero inferiore di connessioni simultanee su un solo server.» «Restiamo in comunicazione durante la tua ricerca, okay?» «Per me va bene. Avete due computer?» «Chatteremo con il mio portatile, se a Johanne va bene la tastiera azerty.» «Ce la farò» rispose la poliziotta canadese. «Molto bene» proseguì Ulrike «ma mi ripugna l'idea di lavorare davanti a una telecamera. Collocherò la netcam dietro di me, così vedrete solo la mia schiena.» «Hai una schiena così graziosa.» «Me lo dicono spesso, Brenner. Dammi il tuo indirizzo IP e tutto il resto, così ho un punto di partenza per tarare la ricerca.» Brenner le fornì le informazioni. Riconoscendo la 1340 FLT I, i due Rock Machines di guardia si allontanarono. Broker li salutò, si infilò nell'atrio e si diresse al rallentatore verso l'edificio principale. Uno dei locali fortificati dei Rock Machines. Gli sbirri ne avevano eliminati alcuni, non tutti... Chris guardava da destra a sinistra, con gli occhi spalancati. Tutto ciò aveva qualcosa di militare. Le moto sistemate a spiga nel cortile, i 4x4 allineati, i tipi che deambulavano a gruppi di due o stavano seduti, appoggiati al muro di cinta, con una birra in mano. Anche se mancavano di rigore, le tenute erano abbastanza simili per sostituire un'uniforme. Broker parcheggiò la sua Harley accanto alle altre e scese dalla sella. «Muoviti, ti stanno aspettando.» «Cominciamo?» chiese Ulrike. Brenner la vedeva di schiena, di fronte a due monitor. «Cominciamo»
confermò. Johanne si chinò sulla tastiera. JohanneD: Buongiorno! Tanie: JohanneD> Ciao! Io sono F 19 Sherbrooke (Quebec). E tu? JohanneD: F 25 Montreal. Buongiorno, vicina! Grospaf: Tanie/Johanne> Sembra che le Quebecois siano molto calde, per via della neve, cosa ne pensate? Tanie: Grospaf> Sai cosa ti dicono le Quebecois? Grospaf: Tanie> E tu invece sai cosa faccio loro, sia davanti che dietro? «Non c'è male come partenza...» sogghignò Ulrike. Tanie: Grospaf> Stupido porco schifoso! JohanneD: Cool, ci sei? Kaa: Johanne> Ciao! Non ho visto Cool per niente oggi. Tutto bene in Quebec? JohanneD: Kaa> Ciao! Allora lo aspetterò un po'. Altrimenti sarà per un'altra volta. Tu stai bene? Kaa: Johanne> Losanna è sempre così animata... la conosci? JohanneD: Kaa> So dov'è la Svizzera, ma non ci sono mai stata. «Possiamo provare a rintracciare Kaa per fare una prova» propose Ulrike. «Aspettando l'altro» approvò Brenner. Chris riconobbe immediatamente l'uomo che lo guardava seduto dietro una grande scrivania. Sulla cinquantina, abbronzato, capelli corti e brizzolati, non avrebbe stonato vestito di un abito tre pezzi, altrove quanto al centro di un fortino dei Rock Machines. Sebbene la giacca di pelle e la camicia di seta fossero di un taglio diverso da quelle dei Broker e simili. Doug Oshtrom era, se non il capo dei Rock Machines, almeno quello di una delle loro sezioni. Un tipo importante, in ogni caso. E abbastanza astuto per essere uscito dal Palazzo di Giustizia di Montreal come c'era entrato, libero e sorridente. Sorriso che la televisione aveva abbondantemente diffuso. Ma adesso Oshtrom non sorrideva. Il suo sguardo si portò su un dossier davanti a lui. Scrisse qualcosa su uno dei fogli, chiuse il dossier e lo spostò di lato. «Vorrei sentire la sua storia» disse alzando di nuovo gli occhi su Chris. Che si schiarì la gola per replicare: «Ebbene, ho un cliente importante ch...» Non ebbe il tempo di finire. Broker, alle sue spalle, lo aveva preso per il
collo e staccato dal suolo, lasciandolo senza fiato. Perse una scarpa sbattendo i piedi. «Broker mi ha già riferito quello che gli ha detto. Voglio i dettagli: chi, dove, quando, perché.» Broker mollò. Chris si accasciò e rimase in ginocchio, tossendo per liberarsi i polmoni, convinto di avere la nuca sbriciolata. «Offri una sedia al nostro amico.» Broker prese Chris per i capelli e lo sbatté sulla sedia che aveva trascinato in avanti. «Sto aspettando» incalzò Oshtrom con voce impaziente. Chris si affrettò a ritrovare la voce. «Cosa succede?» domandò Brenner. «Non lo so» rispose Ulrike. «Il programma gira a singhiozzo; prima andava, adesso si trascina. Continuate a farlo parlare, forse andrà meglio. In ogni caso, non devo esserci lontana adesso.» «Lo spero» mugugnò Johanne «perché non so più cosa dire. Il calcio non mi interessa e di informatica non so quasi niente...» Kaa: Johanne> Vai a fare un giro sulla mia pagina personale, vorrei avere una tua opinione. JohanneD: Kaa> Ho preso l'indirizzo, ma sai, a me il calcio... Kaa: Johanne> Non importa, è solo per sapere cosa pensi della grafica, delle immagini, dei link e via dicendo. E poi ci sono diverse interviste che ho trovato in giro. Mi sembra interessante. «Ce l'ho!» esclamò Ulrike. «Posso tagliare?» chiese Johanne. «Sì, taglia pure.» «Di dov'è?» chiese Brenner. «Ancora due secondi e lo saprai.» JohanneD: Kaa> Promesso, andrò a vedere. Adesso devo andare, sta arrivando il mio capo! Kaa: Johanne> Okay, a presto! E buona fortuna col tuo capo! JohanneD: Kaa> Grazie! «Skynet.ch» disse Ulrike. «Verifico la localizzazione precisa del suo provider.» «Uffa» sospirò Johanne allontanandosi dal video. «Non mi dispiace proprio fare una pausa.» «Losanna» annunciò Ulrike.
«Dunque tutto corrisponde al quaderno di Sophie...» «Qualcuno vuole un caffè?» propose Johanne alzandosi. «Sto andando a prenderlo.» Brenner e Savoie annuirono. Johanne recuperò discretamente un pacchetto da un armadio e lasciò l'ufficio. «Restiamo in linea ad aspettare CoolWebeur?» chiese Ulrike. «Se non sei stufa...» «No, va tutto bene» rispose Ulrike stropicciandosi gli occhi. «Vado anch'io a prendere un caffè.» Si girò e rivolse un piccolo gesto alla telecamera. «A dopo. Se ci sono novità, grida fortissimo nel microfono.» Chris ingoiò la poca saliva che gli restava. Lo sguardo di Oshtrom, che non aveva mai avuto nulla di amicale, si era indurito ancora di più. «Ci hai appena detto che sei un informatore.» Non trovando più niente da deglutire, Chris alzò le mani in senso di protesta. «Ma no, ve lo giuro, la prova è che ho contattato il tizio direttamente. Ho pensato che non avesse voglia di rendere un favore a Savoie, lo sbirro. Era l'occasione per inculare quello stronzo di poliziotto.» Oshtrom annuì con il capo. «E com'è questo francese?» «Un po' più alto di me, abbastanza ben messo, sui quarant'anni, capelli come i suoi ma nerissimi... e poi... non so... vestito di classe. Si chiama Brenner, è il nome che mi ha detto Savoie.» Oshtrom annotò le indicazioni su un foglio e interrogò Broker con lo sguardo. Che fece segno di no con la testa. «E la ragazza?» riprese Oshtrom. «Be'... non so come si chiama... ma è una di qui, questo è sicuro, non ha accento. È alta più o meno così...» si portò la mano all'altezza degli occhi. «... E ha i capelli fino a qui...» mostrò la spalla «castano chiaro. Non è la fine del mondo ma non è male. E poi è più giovane di lui, venticinque o trenta, non di più.» Oshtrom scrisse, poi con lo sguardo interrogò Broker, che di nuovo rispose negativamente. «È tutto?» chiese Oshtrom. «Ecco... sì... Ah! A parte che devono essere dei pervertiti! Secondo la mia ragazza, che li ha pedinati, hanno cercato di ingaggiare una puttana
per fare una cosa a tre.» Oshtrom sorrise impercettibilmente. Nath girò sulla sedia. «Hi, Johanne, cosa vieni a fare quaggiù? Sei già stanca dell'Europa?» Johanne rise di gusto. «Vorrei solo capire se puoi fare una cosa per me.» «Se posso, volentieri. Di cosa si tratta?» Johanne le diede il pacchetto che aveva in mano. «Vorrei mandare questo via Internet; potresti riversarlo in un file con un backup su floppy?» Nath aprì il pacchetto di carta kraft, guardò il quadro, guardò Johanne, poi di nuovo il quadro e scosse il capo. «Accidenti! Quindi questo è tuo!» Si soffermò sulla firma. «L'hai fatto tu! Non sapevo che dipingessi...» «Ehm... è il mio piccolo segreto, vorrei che non ne parlassi troppo in giro.» «Non ne parlerò. Comunque è incredibilmente carino.» Nath appoggiò delicatamente il quadro sullo scanner. «Nessun problema, non è troppo grosso, te lo digitalizzo. Toma tra un secondo, sarà pronto.» «Puoi mettermi anche questa sul dischetto?» Nath prese la foto. «Hai dipinto il quadro partendo dalla foto?» «No. Cioè... forse sì, a dire il vero.» Oshtrom lasciò cadere la penna sul foglio. «Verificheremo tutto.» Un calcio alla sedia fece scattare Chris in piedi. «Nel frattempo tu resti nostro ospite» proseguì Oshtrom. «Puoi mangiare, bere, dormire, approfittare del cinema, tutto quello che vuoi. Ma se oltrepassi il muro esterno, sei morto.» «Ma fino a...» La sberla che gli diede Broker lo fece ruzzolare a terra. «E se fai delle domande, le risposte saranno sempre di questo tipo.» Alzandosi, Chris ne approfittò per recuperare la scarpa. «Broker, accompagna il nostro amico e poi torna qui.»
Johanne entrò con un vassoio in mano. «Dove sei stata a prendere il caffè?» chiese Savoie. «Di sopra, il distributore del piano non mi prendeva le monete. Qualche novità?» Sullo schermo sfilavano delle frasi. Savoie scosse il capo. «Kaa si è trovato un appassionato di calcio... Se parlassero di baseball, per lo meno ci capirei qualcosa.» Sull'altro schermo Ulrike sorseggiava un caffè. Johanne si appoggiò alla scrivania per bere il suo, lo sguardo perso nella zona di Saint-Laurent. Brenner la osservava di soppiatto, sforzandosi di non avere l'aria di un gallo. Quella storia del gallo nel pollaio non gli era piaciuta. Ulrike non aveva fatto altro che rendergli pan per focaccia, lei che rideva delle stupide battute di un magistrato olandese in stage a Europol, ma non era una consolazione. Soprattutto visto che l'idiota in questione l'aveva invitata nel suo polder e lei aveva accettato. Prima o poi avrebbe dovuto dirle che cominciava ad averne abbastanza di quella storia della coppia aperta. Che forse non aveva senso sforzarsi tanto per non trasformare il loro amorino in amore vero. Broker si grattò la barba. «Mi puzza di imbroglio» dichiarò. «Anche a me» ribatté Oshtrom. Prese una caramella alla menta da una piccola scatola verde e la succhiò qualche secondo. «Chiederemo alla nostra amica cosa ne pensa; forse lei può avere qualche idea in proposito.» Broker approvò con una smorfia. «Solo» riprese Oshtrom «per discutere è meglio avere degli argomenti. Informati sulla coppia. Hai carta bianca, prendi tutti i ragazzi di cui hai bisogno. Ma non muoverti finché non sappiamo con chi abbiamo a che fare.» «Okay, Doug. Non credi che dovremmo occuparci anche della puttanella?» «Certo. Sai dove trovarla?» «Non dovrebbe essere difficile.» «Allora portala qui, le mancherà il suo ragazzo.»
Brenner sussultò, riportato alla realtà dal rumore della tazza che Savoie aveva appoggiato sulla scrivania. «Non sono molto utile, qui, vado a fare un giro. Léocadie, la maschera del cinema, torna oggi dalle vacanze. Poi mi piacerebbe vedere Chris: se sta macchinando qualcosa con i Rock Machines, vorrei sapere cosa.» «Scusatemi» intervenne Ulrike. «I Rock Machines sono una gang come gli Hell's Angels?» «Esattamente.» «Li abbiamo anche in Germania. Da voi si occupano di snuff?» «Non abbiamo nulla che lo faccia supporre» rispose Savoie con un gesto di impotenza. Poi si alzò. «Allora vado... ah, ho scambiato due chiacchiere col comandante questa mattina» aggiunse guardando alternativamente Johanne e Brenner. «Come dire... teme di vederci un po' arenati.» «Capisco» sospirò Brenner. «Forse dovrei parlargli.» «Potrebbe non essere una cattiva idea. Tra capoccia potrete sicuramente trovare un terreno di intesa.» La voce di Ulrike si sentì uscire dagli altoparlanti in modo indistinto. «Che cosa c'è Ulrike?» chiese Brenner. «Niente, niente, stavo solo pensando...» «A cosa?» «Be', che Cool ha dovuto registrarsi sulla chat, che il server è in Francia, che qualcuno potrebbe fornirci la lista degli abbonati. E così avremmo l'indirizzo del suo provider.» «Mmm... se non è del tutto scemo si sarà registrato sotto la sua hotmail e noi non avremo fatto un passo avanti.» «Ero arrivata esattamente a questa conclusione» sospirò Ulrike. Johanne appoggiò le tazze vuote sul vassoio. «Le riporto di sopra.» Tyna scendeva a passi veloci una scala della stazione McGill. Giocherellava con la borsa e si girava spesso, nervosa. Le storie di Chris con il poliziotto, con quel francese, il modo in cui i Rock Machines lo avevano portato via... sicuramente era tutto collegato e la cosa non prometteva nulla di buono. Forse non era lo stesso Rock, aveva scorto solo gli stivali e gli speroni, ma di speroni così non se ne vedono spesso. In ogni caso, lei non ci teneva a restare a casa di Chris, per lo meno da sola. Quanto ad andare a casa sua, avrebbe dovuto avercela, una casa, una casa vera. Raggiungere la McGill era stata una reazione incondizionata, sebbene la stazione non fos-
se più quella che era stata un tempo. Giunta ai piedi della scala, Tyna diede un'occhiata tutt'intorno. Delle centinaia di giovani che avevano preso l'abitudine di incontrarsi lì e al 2020 Université restavano solo... solo quelli che i poliziotti avevano voluto lasciare. Il dipartimento antigang dello SPCUM era intervenuto, aveva fotografato, etichettato, arrestato, ripulito. Tyna contò cinque o sei facce più o meno note e altrettante perfettamente sconosciute, divise in gruppetti che salutò con un rapido cenno del capo prima di sedersi in disparte. Per terra, con la borsa tra le gambe. Gli utenti della metro non si soffermavano a guardare i giovani, né, prudentemente, si allontanavano dai loro gruppi. La McGill non era più la stessa. Tyna appoggiò il mento sulle ginocchia e chiuse gli occhi. "E adesso...". Sussultò sentendo qualcosa sfiorargli le spalle. «Ciao, cocca.» Riconobbe il tizio che si era accovacciato accanto a lei, senza ricordarsene il nome. Un cliente di Chris. «Ciao pure a te, cocco.» «Cerco Chris. L'hai visto?» Le occhiaie profonde, lo sguardo febbricitante, le narici strette... Tyna si ritrovò a stringere più forte la borsa, l'altro avrebbe potuto pensare che contenesse qualcosa di interessante. «Anch'io lo cerco.» «Merda... devo vederlo, una questione importante... è il tuo ragazzo, no?» «Sì... perlomeno è quello che mi ha detto... come ti chiami?» «Rick.» Lo sguardo di Rick si posò sulla borsa, a lungo, poi tornò a Tyna. «Non hai qualcosa per me? Ne ho bisogno.» «Non ho niente neanche per me...» Spostando la testa a sinistra, aggiunse: «Non puoi cavartela con loro?» «Bah, non mi conoscono bene e non si fidano. Chris mi conosce; sa che sono di parola quando dico che pagherò.» Poco ma sicuro. Se c'era una cosa che Chris non faceva era credito; lo aveva potuto constatare lei stessa, a proprie spese. «Ma può darsi che di te si fidino» aggiunse Rick. «Figurati! Una puttanella, ecco come mi considerano. Tu faresti credito a una puttana?»
Tyna si irrigidì, due Rock Machines stavano scendendo le scale a passi lenti. Normalmente non era la loro zona e quei tizi di rado prendevano la metro. Altri due sbucarono dal capo opposto della stazione. Incastrata tra i Rock e un tossico al verde e in astinenza... «Hai la macchina, Rick?» «Sì, perché?» «Pensavo che forse potremmo cercare Chris insieme.» I Rock più vicini si immobilizzarono ai piedi delle scale, come per guardarla. Gli altri proseguirono verso di lei. Rick stava riflettendo sulla proposta con quello che gli restava di cervello. Uno dei Rock afferrò per la spalla una tipa in body e gonna nera e la fece girare. La ragazza accennò un gesto di difesa, ma l'altro la prese per i capelli. Si scambiarono qualche parola, poi il tizio la spinse via. Nessuno degli amici della ragazza aprì bocca. «Sai dove trovarlo?» finì per dire Rick. «So dove cercarlo» replicò Tyna. I Rock stavano parlando a una punk che si beccò una sventola e si sollevò un secondo la t-shirt sopra l'ombelico. Neanche un punk mosse un solo capello della cresta. Tyna fu felice di aver cambiato tenuta. Aveva messo i jeans e un paio di scarpe da ginnastica, più comode per correre; era un buon travestimento, soprattutto con la t-shirt bianca e larga. Ma cominciava ad avere molta paura, e strinse le mani per nasconderne il tremore. «Mi resta un po' di benza, possiamo tentare.» «Bene, andiamo» fece Tyna alzandosi. Si avvicinò alla piattaforma, con Rick alle calcagna. «Ma non ne vale la pena, ho la macchina parcheggiata qui vicino...» «Mi piace tanto prendere la metro» ribatté Tyna salendo su un vagone. Che ripartì immediatamente. Rick si lasciò cadere su un sedile, guardò sfilare la McGill e sospirò. «Sì, ma era dalla parte opposta.» CAPITOLO XIII Johanne approfittò dell'istante in cui Brenner girò la testa per infilare il floppy. La chat proseguiva sullo schermo del portatile senza CoolWebeur. A L'Aia, Ulrike fumava una sigaretta lunga e sottile, giocando a fare i cerchi.
«Se provassi ICK?» propose Johanne. «È offline» osservò Brenner. «Forse è in modalità invisibile. Mi ha autorizzato, quindi deve essersi collegato.» «Possiamo tentare...» Johanne cliccò sullo pseudo CoolWebeur, poi su messaggio, digitò nella finestra: Cucù! Ci sei? e inviò. Nel giro di qualche secondo, la finestra si richiuse. «È andato» annunciò lei. Dopo un minuto il computer emise un uh-uh sintetizzato e davanti allo pseudo CoolWebeur lampeggiò una icona a forma di foglio di carta. «Funziona!» esultò Johanne cliccando sul foglietto. Ciao, Johanne. Felice di rivederti. Tutto bene? si lesse sul portatile. Ulrike si riavvicinò agli schermi e digitò su una tastiera. «Cerca di riportarlo all'interno della chat» disse lei «perché qui non sarà semplice...» «Ci provo...» Non c'è male. Non sei in chat oggi? inviò Johanne. Non ci sono sempre. E poi ICK è meglio, non trovi? Non so, non mi ci sono ancora abituata. È meglio, vedrai. Siamo in privato, nessuno può leggerci e la conversazione è più semplice. Capisci, in questo modo evitiamo i rompiscatole e le loro trovate equivoche. «Non ha nessuna voglia di andarci» mugugnò Johanne. «Qua è l'inferno!» esclamò Ulrike. «Devono esserci più di un migliaio di connessioni simultanee, è impossibile trovarci un filo.» In effetti, Cool, è più... intimo. Ma ci si mette un po' troppo ad aprire, digitare, spedire, aspettare che parta il messaggio e poi tomi la risposta. È vero, l'invio/ricezione rompe un po' il ritmo. Sarebbe meglio usare l'ICK chat, vuoi provare? «Mi propone un chat ICK» fece Johanne. «Vai» rispose Ulrike. «Tanto non potrà mai essere peggio di così.» D'accordo, Cool, proviamo pure. Come si fa? Aspetta, adesso arriva. Il computer emise quasi subito un Chat request! Un'icona a forma di baloon lampeggiò davanti a CoolWebeur, e Johanne ci cliccò sopra. In testa a Chat request si aprì una finestra che conteneva: Eccoci qui! Johanne cliccò il bottone accept aprendo il doppio riquadro di Chat.
«Oplà!» mostrò la parte destra. «Non male, eh? Puoi leggermi mentre digito e farlo anche tu, se vuoi!» «Non male, in effetti. Ma non si creano problemi di sovrapposizione?» «Nessun problema, ti assicuro. Se ti gira, puoi anche cambiare il colore dello sfondo, del testo, il font. Così! O così! O così!» «Ehm... se imparo troppo lo stesso giorno, poi non ci capisco più niente.» «Hai ragione, l'essenziale è leggersi. Sei al lavoro?» «Sì. Sto approfittando della Général du Quebec. Non si dovrebbe fare... ma avevo voglia di chattare un po'.» «La Général du Quebec non ne risentirà e a te fa piacere, non c'è nulla di male. Novità da ieri?» «Niente di speciale.» «Non avevi voglia di chattare un po'?» «Ma non so bene cosa dire...» «Non sai cosa o non sai come?» «Forse come, credo...» «Mmm... grave?» «No, non grave... mi sento un po' triste, un po' strana... Sa, poco tempo fa ho incontrato qualcuno, un uomo. Mi è piaciuto subito e ho avuto l'impressione che la cosa fosse reciproca. Insomma, è successo tutto piuttosto in fretta. Ed è stato bello, molto bello.» Brenner corrugò la fronte e coprì il microfono con la mano. «Cosa vai a raccontargli?» Johanne gli rivolse un sorriso. «La verità, commissario, la verità» disse lei continuando a scrivere. «Non mi aspettavo il grande amore, mi aspettavo... non so cosa mi aspettavo... Sicuramente di essere felice... Almeno per un po'. Ma ogni volta è uguale, una sogna, si fa delle idee...» Brenner squadrò Johanne, che rimase impassibile. «Ma ti sto annoiando, Cool?» «No, niente affatto. Sono un po' confuso perché mi stai confidando cose molto intime. Ma se hai voglia di parlare, sappi che ti ascolto.» «Sì, credo dì averne voglia... Allora, innanzitutto devi sapere che quest'uomo lavora con me e i nostri uffici sono collegati tramite interfono. Questa mattina mi ha chiamato e abbiamo parlato un po', ma poi ha dimenticato di chiudere il suo interfono. E io, non so perché, non ho chiuso il mio. Sono un po' curiosa... Insomma, per farla breve, ho ascoltato una
sua conversazione telefonica. Con una donna, naturalmente... una tedesca.» Brenner azionò l'interruttore che spegneva il microfono. «A che gioco stai giocando, Johanne?» «Avvinco il cliente.» «Non ti sembra di esagerare?» «No, traspongo, adatto, ma non esagero.» «Ehi!» gridò Ulrike. «Credo che abbiate un problema di microfono, non sento più niente!» «Cosa stai cercando di dirmi?» «Ti facevo più intelligente di così» rispose Johanne ricollegando il microfono. «Scusami, Ulrike, ho spinto il bottone senza accorgermene.» «Okay, funziona di nuovo. Comunque continua, non va male... rimanete collegati, sto facendo dei progressi.» «Non credo che mollerà tanto presto, l'ho conquistato.» «Cosa gli racconti?» «Oh... storie d'amore infelici.» «Fai bene: di solito amano questo genere di cose.» Ci sei, Johanne? apparve sulla parte sinistra del riquadro. «Così pare... ricomincio.» «Sì, sì, ci sono. Scusami, un piccolo momento di debolezza... Trascurabile.» «Se vuoi cambiare argomento, ti capisco.» «No, va tutto bene, non preoccuparti.» «Okay. Allora, ha telefonato a una tedesca e immagino che tu parli tedesco...» «Benissimo» mormorò Brenner a denti stretti. «Il nostro amico è più sveglio di me.» «Lo capisco molto meglio di come lo parlo, abbastanza per seguire la loro conversazione. Questa donna è sicuramente una vecchia volpe, oppure è ben informata; in ogni caso era al corrente della nostra relazione... E lui le spiegava che la nostra era una storia senza domani, che non avevo importanza, che non doveva essere gelosa. Capisci che...» «Sì... non troppo piacevole da ascoltare.» «Infatti. Soprattutto perché poco dopo è venuto a portarmi della posta da sbrigare ed era tutto dolce e carino. Per la miseria! Avrei avuto voglia di tirargli qualcosa addosso!» «Ma non gli hai detto niente...»
«No... Non sapevo cosa dirgli... Ma poi ci ho pensato, aspetto il momento giusto. Immagini la faccia che farà?» «Un po'...» «Io invece la immagino benissimo, anzi, mi sembra quasi di vederla!» Posò lo sguardo su Brenner, che alzò le spalle. «Mmm... forse sì sente combattuto, diviso tra voi due, e non sa come dirlo.» Brenner appoggiò il dito sulla linea appena scritta da CoolWebeur e annuì con il capo. «Oh, è sicuramente quello che mi racconterà. Ma io non ci crederò. Aveva l'aria talmente sincera con quella tedesca... come a letto con me. Non ho voglia di cominciare a chiedermi a chi stia mentendo di più, o meglio. E poi... ti sembrerà strano, ma... non so cosa mi abbia fatto più male, pensare che si prendesse gioco di me o che si prendesse gioco di lei... Comunque sia, per colpa sua ho fatto del male a questa donna, e io detesto fare del male agli altri. A te piace?» Brenner allontanò la sedia dalla scrivania e si diresse verso la finestra, a cui si affacciò. «No, non mi piace. Ma sai, anch'io ho passato qualcosa di simile a quello che racconti, forse anche peggio. Ieri ti ho un po' mentito, o meglio, ti ho raccontato una mezza verità... Mio figlio lo vedo solo durante le vacanze; mia moglie mi ha lasciato due anni fa, e si anche tenuta l'appartamento di place Clichy. Da allora abito in periferia. È stata molto sincera: quando ha incontrato un altro uomo mi ha detto che tra noi era finita. Ho creduto che non mi sarei mai ripreso, e forse avrei preferito che mi mentisse. Non so cosa sarei stato disposto a sopportare per continuare ad averla con me, sicuramente molto.» «Eh!» esclamò Johanne. «Mi sta dicendo che non abita a Parigi, ma in periferia!» Brenner tornò di corsa allo schermo. «Non tarderemo molto a scoprirlo» intervenne Ulrike. «La ricerca si sta affinando.» «E adesso va meglio? Hai superato lo choc?» «Mi ci sono abituato... lavoro molto... per il resto, è il niente o quasi...» «Allora siamo tutti e due soli...» «Sì... Due cuori solitari separati da un oceano.» «Senti, hai già incontrato gente con cui chattavi?»
Gli ammortizzatori della Chevy di ammortizzante avevano ormai solo il nome. La macchina oscillava stridendo sull'asse rigido, un movimento da far venire la nausea, amplificato dalle incerte manovre del conducente, che andava perfino a sbattere contro i marciapiedi segnalati. Rick grondava grosse gocce di sudore che gli incollavano i capelli e scorrevano in rivoli unti sul collo della camicia. L'aria condizionata non funzionava, ma nei suoi accessi di sudorazione non c'entrava granché la pesante calura di Montreal: a tratti Rick batteva i denti. Tyna si chinò un po' di più dal lato del vetro spalancato. «Dove andiamo adesso?» fece Rick con voce acuta. Il pneumatico anteriore destro urtò un marciapiede, la Chevrolet sbandò in uno scarto che Rick recuperò di misura. Li superò un Dodge Ram con un fragore di clacson. Attraverso il vetro posteriore del pick-up, il conducente agitò il dito medio. «Fai attenzione!» esclamò Tyna. «Non voglio essere fermata dai poliziotti!» «E credi che io ne abbia voglia?» Avevano passato la maggior parte dei luoghi frequentati abitualmente da Chris. «Dove cazzo andiamo, adesso?» gemette Rick sull'orlo delle lacrime. «E poi non abbiamo quasi più benzina...» «Boulevard René Levesque Est, il Travelodge Hotel.» «Il Travelodge? Merda, Chris abita lì?» Tyna alzò le spalle. «No. Però ha dei contatti, credo.» «Al di fuori dei contatti professionali, no, mai. E, a dire il vero, non ci tengo. Non so come spiegarti... Immagino di non aver voglia di essere deluso... A volte si confidano anche cose molto intime ai propri corrispondenti, come abbiamo appena fatto noi, cose che non si confiderebbero a un vicino. Dell'altro possiamo farci l'idea che ci piace di più. Incontrarsi, a cosa servirebbe? Ci sarebbero silenzi imbarazzati, forse litigheremmo, sicuramente ne resteremmo delusi. Ho l'impressione che il gioco non valga la candela. D'altra parte, la storia ci racconta dì molte storie d'amore o dì amicizia epistolari, che restano epistolari. La chat serve proprio a questo, per lo meno idealmente.» «Sì... ma... così si può mentire sulla propria personalità.» «Ho il suo provider!» esclamò Ulrike.
«Chi è?» chiese Brenner. Ulrike digitò sulla tastiera. «Certo, una ragione di più per non incontrarsi mai. Forse tu non sei quella che dici di essere, e allora? È la Johanne che conosco a piacermi, a lei ho voglia di parlare; se ne esiste un'altra, non mi interessa scoprirlo.» «Panamenet.fr. È a nord ovest di Parigi.» «Merda» sospirò Brenner. «Sei sicura?» «Assolutamente.» «Forse hai ragione... non lo so... non ho esperienza in questo campo Ti ho raccontato della mia stona e sono stata felice di farlo. D'altro canto, non vedo a chi altri avrei potuto parlarne...» Brenner arricciò il naso. «Il suo provider è nella regione parigina, ma questo non significa che lui abiti lì.» «E cosa pensi? Che chiami dal Quebec? È fattibile, ma non vorrei pagare la sua bolletta.» «Se fossi stato un vicino o un collega di lavoro, sicuramente non mi avresti detto nulla e ti saresti tenuta la tua storia nel cuore. Ma non hai una sorella, un'amica, qualcuno con cui sfogarti?» «Puoi risalire al suo telefono?» «Sì, ma è una procedura diversa, devo inizializzare tutto di nuovo. E poi, se è un professionista dell'informatica, potrebbe aver approntato un sistema di difesa; rischiamo che si accorga dell'intrusione.» «Non se ti limiti a decifrare il suo numero di telefono.» «Questo dipende se è più o meno agguerrito di noi... Visto che conosciamo il suo provider, non credi che sarebbe meglio mandare qualcuno con una commissione rogatoria per avere il suo indirizzo?» «Sono figlia unica. Quanto agli amici... sai, non sono molto socievole nella vita.» «Nemmeno io. E adesso stiamo parlando come se ci conoscessimo da decenni. Non lo trovi fantastico?» «Mmm... ci vorrà del tempo, così invece potremmo saperlo subito. Dai, provaci.» «Come vuoi tu, Brenner.» «Ci metti tanto?» «Qualche minuto per riavviare l'inizializzazione, poi non lo so. Johanne, tu resisti?» Johanne sussultò.
«Sì, sì, nessun problema per me.» «Favoloso, sì, e anche un po' spaventoso.» «Bene, allora vado» annunciò Ulrike. «Spaventoso, perché?» «Be'... questa facilità a confidarsi.» «Non è spaventosa, è la magia del Web! Però si potrebbero trovare argomenti più allegri, questo è certo.» «Sì, raccontandoci le nostre pene finiremo per inondare le tastiere dì lacrime e mandare in tilt i computer...» «E i tuoi dipinti, allora? Hai pensato a quello che dicevamo ieri?» Tyna indicò un posto davanti a un furgoncino Pontiac a qualche decina di metri dall'ingresso dell'hotel. «Parcheggia lì.» Rick fece manovra e finì sul marciapiede con una ruota. «Forse questa volta non vale la pena che mi accompagni» disse Tyna. Rick scosse la testa per annuire, poi si lasciò andare sul sedile e respirò con la bocca spalancata, come se gli mancasse l'ossigeno. Tyna aprì la portiera, si chinò per prendere la borsa e si ricredette. Presto o tardi avrebbe fatto l'impossibile per rubargliela, tanto valeva lasciarlo frugare e fare in modo che si accorgesse che non c'era nulla di interessante. L'unica cosa con un qualche valore, Tyna ce l'aveva addosso. Una famiglia di giapponesi occupava la reception del Travelodge. Tyna si guardò intorno, senza scorgere né Chris né Brenner. I giapponesi si accalcarono in uno degli ascensori, Tyna li seguì e salì fino al bar. Nemmeno lì c'era alcun viso noto. «Cosa ordina la signorina?» le chiese il barman vedendola impalata davanti al bancone con le braccia penzoloni. «Ehm... niente. Dov'è la toilette?» Il barman le indicò il fondo della sala. Tyna chiuse a chiave la porta e si tolse la t-shirt. Da una coppa del reggiseno estrasse tre sigarette avvolte nell'alluminio, l'altra ne conteneva quattro che rimasero dove erano. Resistette alla voglia di fumarne una subito e, con la massima precauzione, infilò il pacchetto in una tasca dei jeans. All'uscita dall'ascensore Tyna trovò la hall deserta, due impiegate stavano parlando e ridendo alla reception. Tyna si sentì osservata con diffidenza mentre si avvicinava, non doveva aver l'aria di una cliente.
«Signorina?» le chiese una delle due impiegate a fior di labbra mentre la collega affondava la testa in un registro. «Io... per caso il signor Brenner è in camera?» «Sa in che stanza alloggia?» «No... ma è francese.» L'impiegata sollevò un sopracciglio con fare sprezzante. «Non abbiamo un solo cliente francese.» Digitò sulla tastiera del computer. «Il commissario Eric Brenner?» chiese senza alzare gli occhi dallo schermo. «Ehm... sì, credo... Eric.» L'impiegata sollevò la cornetta di un telefono e, tenendola all'orecchio, si girò verso la collega. «Ciò non significa che non sono d'accordo con te!» La collega scoppiò a ridere nascondendosi dietro il registro, l'altra le fece l'occhiolino e tornò a Tyna. «Non risponde, spiacente.» Riagganciò e prese un bloc notes che appoggiò sul bancone. «Se vuole lasciare un messaggio.» Un'americana che brandiva un asciugacapelli si fece largo sgomitando, per essere servita più in fretta. «Mi scusi signorina» disse l'impiegata prestando attenzione alla nuova arrivata. «Signora?» Tyna prese il blocco e si spostò. L'asciugacapelli non funzionava. Tyna appoggiò la punta della penna sulla carta. Cosa scrivere? E, soprattutto, a chi? Commissario... L'impiegata infilò la spina dell'asciugacapelli in una presa e spinse il pulsante. Tyna si morse il labbro. "Sto cercando Chris, sono sua amica. Lei per caso' lo ha visto? Mi lasci un messaggio alla reception". L'asciugacapelli davvero non funzionava, l'impiegata si scusò, l'americana replicò che glielo aveva detto, per la miseria. Tyna rilesse il messaggio, poi staccò il foglietto. L'impiegata rovistò in una cassa e tirò fuori un altro asciugacapelli. "Grazie" aggiunse Tyna in fondo al foglio. Scusandosi di nuovo, l'impiegata sostituì l'apparecchio all'americana, la quale le fece notare che sarebbe stato più intelligente testarlo subito. L'impiegata la accontentò: l'asciugacapelli funzionava. Accanto a "Grazie" Tyna scrisse "Tyna". L'americana prese l'asciugacapelli, si girò e se ne andò senza aggiungere una sola parola. «Arrivederci» fece l'impiegata.
Tyna esaminò il foglietto, quindi lo appallottolò e lo buttò nel cestino. «Non lascia un messaggio?» «No. Non è importante. Ripasserò.» «Come preferisce.» Tyna la ringraziò e si diresse verso i telefoni. Infilò una moneta da 25 centesimi nella fessura e compose un numero. Una delle impiegate fece un'osservazione a proposito degli americani e le due scoppiarono a ridere. A casa di Chris il telefono squillò a vuoto. Tyna lasciò l'hotel. Sul marciapiede fece tre passi e si immobilizzò. Davanti alla Chevy c'era un'auto bianca e blu. Rick, in piedi accanto al cofano, rispondeva alle domande di un poliziotto. Per poco Tyna non si allontanò nella direzione opposta, ma sull'auto c'era la sua borsa. Con il cuore che batteva all'impazzata fece un passo in direzione del boulevard. Quasi di fronte, in un furgone grigio dai vetri opachi, Broker teneva Chris inchiodato a un finestrino. «Di', è la tua puttana quella?» «Sì, è lei.» Broker lo prese per i capelli e lo scosse. «Cosa cazzo fa lì, eh?» «Non lo so.» Tyna estrasse le sigarette dalla tasca e le fece cadere nel canaletto di scolo senza farsi notare. Broker guardava Chris fisso negli occhi. «Sei sicuro di non saperlo?» «Ma porca puttana, te lo giuro! Forse si è fatta un cliente.» Tyna avanzò verso la Chevrolet. «Ferma dove sei!» le ordinò il poliziotto appena arrivò all'altezza della ruota posteriore. Tyna obbedì. «Sei con lui?» chiese il poliziotto. «E quel coglione, chi è?» chiese Broker. «Un tossico, un mio cliente» rispose Chris. Lo sbirro non sembrava una carogna, ma non gli piaceva correre rischi. La mano appoggiata sull'anca non era lontana dalla fondina della pistola, slacciata. «Sì, è mio amico.» Lo sbirro la squadrò qualche secondo.
«Il tuo amico non ha l'aria molto in forma, ha conciato la macchina niente male.» Con il mento indicò la portiera anteriore. Tyna si sporse, una lunga traccia di vomito colava fino a sgocciolare sull'asfalto. «È malato, ha bisogno di stendersi.» Rick dondolava, con gli occhi semichiusi. «Malato» si mise a ridere lo sbirro. «Se questa la chiami malattia! Non pensi che sarebbe meglio che andasse in ospedale?» «Signor agente» lo supplicò Tyna «la cosa migliore è che se ne vada a casa a dormire. Domani starà meglio.» L'agente si strinse nelle spalle, consultò l'orologio e si dondolò da un piede all'altro: doveva essere al termine del servizio. «Già.» sospirò «Però mica posso lasciarlo guidare in questo stato.» «Guiderò io» ribatté Tyna. Lo sbirro la squadrò di nuovo, dalla testa ai piedi. «Hai la patente?» «Nella mia borsa, in macchina.» «Quella?» chiese il poliziotto mostrando la borsa il cui contenuto era sparso sul sedile. Tyna guardò attraverso i finestrini. «Quella, sì.» «Non muovetevi, nessuno dei due.» Lo sbirro girò attorno alla Chevy fino alla portiera anteriore destra. «Okay, fammi vedere la patente.» Tyna si avvicinò, aprì la portiera, si chinò sul sedile e raccolse le sue cose. Si sentiva addosso lo sguardo dello sbirro e fece attenzione ad alzare il lembo della borsa senza eseguire movimenti bruschi. Si rialzò lentamente e gli porse la patente. Dopo una lunga occhiata, il poliziotto gliela rese. «D'accordo, potete andare.» Tyna raggiunse Rick e lo prese per il braccio. «Su vieni, sali.» Appoggiato con i gomiti al tetto della Ford di servizio, lo sbirro li guardò scuotendo il capo. Broker toccò la spalla del Rock seduto accanto a lui. «Jeck, prendi la moto e segui la Chevy.» Jeck aprì il portellone scorrevole e uscì sul marciapiede. Lo risalì per un centinaio di metri prima di inforcare la sua Harley parcheggiata in disparte.
Tyna fece manovra per uscire. «Ma che cazzo combina quel coglione!» urlò Broker. Jeck stava armeggiando con il manubrio senza riuscire a mettere in moto. Alla fine scese dalla sella e azionò il pedale di avviamento facendo peso con tutto il corpo. Una volta. Due volte. Tyna guidava sulla corsia di sinistra per prendere boulevard SaintLaurent. Tre volte. Il motore della Harley partì. Jeck saltò in sella, inserì la prima e attraversò il terrapieno del boulevard con una sola accelerata. Dovette fermarsi al semaforo rosso, all'altezza dell'auto del poliziotto, che lo guardò di traverso. Jeck vide la Chevrolet svoltare a sinistra in SainteCatherine. «Sto per crepare» gemette Rick. «Porca puttana, questa è la fine.» Tyna strinse i denti. «Tra cinque minuti starai meglio, vedrai.» «Ti dico che sto per crepare» insistette lui sporgendosi dal finestrino per vomitare, senza riuscirci. Tyna svoltò a sinistra, scese Saint-Urbain e tornò su boulevard René Lévesque, dove svoltò di nuovo a sinistra per fermarsi davanti al Travelodge. «Apri la portiera e guarda nel canaletto, ci sono tre sigarette avvolte nell'alluminio.» «Eh?» «Quando ho visto lo sbirro ho fatto cadere tre sigarette nel canaletto, prendile!» Rick aprì la portiera. «Merda!» sbottò Broker. «Ma sono ancora loro! Dov'è quel coglione di Jeck?» Jeck, ignaro che la Chevrolet fosse tornata sui suoi passi, stava proseguendo su Sainte-Catherine. «Okay, le vedo... avanza un po'.» Tyna lasciò il pedale del freno. «Perfetto, le ho!» «Porca puttana, se la squagliano!» ringhiò Broker. «E chissà dov'è l'altro coglione!» «Vuoi che li segua?» chiese l'autista con la mano sulla chiave per mettere in moto. «No, dobbiamo sorvegliare l'hotel, la puttana prima o poi riusciremo a ritrovarla.»
E, per la collera, diede a Chris una sberla che lo fece cadere lungo e steso nel furgone. Rick aprì l'alluminio, osservò una sigaretta e la respirò a lungo. «Wow! Ben inzuppate!» Se la mise tra le labbra, la accese e con una sola boccata ne fumò un quarto. «Porca puttana, se è buona...» gongolò chiudendo gli occhi. Con la testa rovesciata, diede un altro tiro. «Che buona, che buona, che buona...» «Ehi! Me ne lascerai un tiro!» «Sì, sì, non ti preoccupare. L'hai trovata al Travelodge? Chris ha un nascondiglio lì?» «No, ha un contatto. L'ho visto; nemmeno lui non sa dove sia finito Chris... però sono riuscita a scroccargli tre sigarette.» «Tyna, sei un genio!» «Mmm... Senti, sai cos'è un commissario in Francia? Rick esalò lentamente il fumo e si mise a ridere. Il PCP cominciava a fare effetto.» «Come vuoi che faccia a saperlo? Aspetta... non è un poliziotto? Il commissario Navarro è un poliziotto, no?» Rick, che aveva ritrovato colore e buon umore, rivolse un saluto amicale a un gruppetto di punk stravaccati sul marciapiede di Saint-Denis. Tyna si mise a piangere senza far rumore, aggrappata al volante. «Non so più cosa fare» gemette. «Non so più cosa fare.» Rick gettò una sigaretta sul cruscotto. Tyna azionò l'accendisigari. «Ci ho pensato talmente tanto, che non ho chiuso occhio per tutta la notte...» «E allora?» «Ecco... credo che un giorno lo farò... ma quando, non lo so ancora. Ho troppa paura.» «Paura? Di cosa?» «Del ridicolo... Immagini se porto un quadro in una galleria e il tizio scoppia a ridere? Non mi riprenderei più...» «Non so molto di gallerie d'arte, ma immagino che non si comportino così. Se i galleristi non trovano di loro gradimento quello che fai, sicuramente non si mettono a ridere. Faresti meglio a pensare come ti sentiresti se ti dicessero: "Okay, allestiamo una mostra".»
«Oh, ci ho pensato! È anche per questo che non ho chiuso occhio!» «E non stai setacciando le gallerie dì Montreal?» «Non ancora... cerco di trovare il coraggio... appena l'avrò trovato, comincerò a setacciare.» «Se ho capito bene, ti serve solo una spintarella... Peccato che non te la possa dare io, mi farebbe piacere.» «Per la miseria! Il programma va come un treno! Tra poco dovrei arrivarci.» «Grazie. Comunque, sai, hai già fatto tanto.» «Allora spero che quando sarai famosa ti ricorderai di me.» «Dipingerò un quadro solo per te, promesso...» «Ce l'ho! Chiama da... un secondo... Mantes la Jolie! In diretta, però non c'è il feedback della ricezione. Spiacente, Eric...» «Non fa niente» sospirò Brenner. «Attenzione, Johanne... perché non me ne dimenticherò.» «Nemmeno io, non ti preoccupare, non faccio mai promesse vane.» «Allora, se non avete più bisogno di me, posso interrompere il collegamento» disse Ulrike. «No, non per il momento. Grazie, Ulrike.» «A tua disposizione, Brenner. E a presto. In bocca al lupo a tutti voi.» La tedesca fece un gesto con la mano e la sua immagine scomparve. «Ne sono certo, non riesco a immaginarti dire delle bugie.» «Johanne, puoi interrompere anche tu, se vuoi» mugugnò Brenner. «Oh, ma a volte mi capita!» «Anche a me. Che peccato che tu sia così lontana, mi sarebbe piaciuto vedere uno dei tuoi quadri.» «Davvero?» «Johanne, puoi interrompere se vuoi.» «Sì, ho capito, posso interrompere se voglio.» «Davvero!» «Sai, se osassi...» «Osa.» «Ecco... ho una tela scannerizzata su un flopp disk, vuoi vederla?» «Volentieri, mi farebbe molto piacere.» Johanne cliccò il comando invia file, poi selezionò il drive del floppy e il file johqua.gif. «Cosa stai facendo?» chiese Brenner. «Quello che voglio...»
«Ecco, è partito!» «Sta arrivando.» «Non è il tizio che cerchiamo, non vale la pena perderci un'eternità.» «È proprio perché non è il tizio che cerchiamo che ci sto perdendo un'eternità.» Raggiunto il cento per cento, la finestra di progressione dell'invio scomparve. «Bene, lo apro.» «Johanne?» «Cosa? Cosa vuoi?» Lo guardò negli occhi, Brenner scosse il capo e sospirò. «Sei ancora lì, Cool?» «Sì, sì... ma... non so che dire...» «Ah...» «Ecco... non sono uno specialista di pittura, ma mi sembra di essere di fronte a un lavoro splendido.» «Non mi stai prendendo in giro?» «Oh, no. Ho l'impressione che questa donna sia fantastica, un filo misteriosa, un filo triste. Hai usato una modella?» «Più o meno... Sono io. Un autoritratto.» «Be'... non posso valutare la somiglianza... Ma posso dire che questo ritratto fa venir voglia di conoscerti.» «Oh, la somiglianza puoi valutarla, guarda.» Questa volta Johanne inviò il file johfoto.gif. «La posa non è la stessa, ma non ci si può sbagliare: il viso, gli occhi sono identici. Complimenti.» «Mi fai arrossire!» «Te lo ripeto, non sono un esperto, nemmeno un appassionato, quindi ci sono sicuramente dei dettagli che mi sfuggono. Ma ciò di cui sono certo è che se avessi la metà del tuo talento adesso starei dando l'assedio alle gallerie di Francia e Navarra.» «Finirai per convincermi...» «Lo spero proprio! Ah! Ho un'altra chiamata ICK, puoi aspettare un secondo?» «Okay!» «Accidenti! È un cliente.» «Un cliente? Ma deve essere tardi da te...» «Quasi le undici di sera. Il servizio di post-vendita è la mia principale
fonte di reddito, quindi devo farmene una ragione... Ma può aspettare qualche minuto. E tu? La tua giornata è finita?» «Sono quasi le cinque del pomeriggio, esco dall'ufficio tra pochi minuti. Poi vado a fare un po' di shopping a Montreal e torno a casa.» «Hai detto che abiti in periferia, giusto?» «Saint-Eustache, a ovest di Montreal.» «Pensi di dipingere, di prepararti qualcosa di buono?» «Dipingere... forse sì. Prepararmi qualcosa di buono... ahi ahi, non sono una gran cuoca! Di solito vado a mangiare al "Déli-Québec", il bar di un centro commerciale vicino a casa mia. Cucinano delle bistecche fantastiche. E poi mi piace guardare la gente, le pose, i movimenti... a volte faccio anche degli schizzi, che poi uso per dipingere.» «Capisco, la mia sarà una serata a base di spaghetti e informatica... Il talento consiste nel capire l'una senza scuocere gli altri. A volte ce la faccio. Ah! Il cliente si sta spazientendo...» «Allora ti lascio. Buoni spaghetti!» «Buona bistecca. A presto, Johanne.» «A presto, Cool. E grazie.» Savoie chiuse la porta, osservò Johanne e Brenner ed estrasse una sigaretta da una tasca. «Bah, non avete l'aria entusiasta voi due...» «Abbiamo appena localizzato CoolWebeur» spiegò Brenner. «Il nostro amico è di Mantes la Jolie, a pochi chilometri da Parigi.» «Evidentemente... abbiamo girato a vuoto.» «È strano, mi ero convinto che quel tizio ci avrebbe portati a qualcosa, all'improvviso mi sento un po' disorientato. E tu, che novità?» «Léocadie si ricorda di aver visto Sophie lasciare il cinema con un tipo. L'ha notato perché la circostanza le è parsa piuttosto insolita.» «Erano arrivati al cinema assieme?» «Lei è quasi certa di no.» «Quindi avrebbero fatto conoscenza in sala?» «Così sembra.» «Com'è il tipo?» «Non è in grado di fornirne una descrizione precisa... apparentemente più vecchio di Sophie. Non sa dire nemmeno se era un europeo o un canadese. La sola cosa di cui è certa è che non si trattava di un frequentatore abituale, perché quelli li conosce a menadito.»
«Era un bianco o nero?» «Un bianco, perché?» «È curioso che una ragazza così poco socievole come Sophie abbia fatto amicizia con uno sconosciuto in una sala cinematografica. Se si fosse trattato di un nativo delle Antille, magari sarebbe stato più comprensibile.» «Non hai tutti i torti... Invece no, era un bianco.» «Tieni conto che ci sono anche degli antillani bianchi.» «E perché non un compagno dell'università?» propose Johanne. «O un docente, se era più anziano?» «Ci ho pensato» ribatté Savoie. «Ma per interrogare tutta quella gente bisognerà aspettare la fine delle vacanze estive. Non ho trovato Chris, e sembra che nessuno lo abbia visto di recente. Quello stupido deve essersela filata.» Tutti e tre rimasero assorti nei loro pensieri. Savoie interruppe il silenzio rivolgendosi a Brenner. «Hai visto il comandante?» «No. Speravo di potergli offrire qualcosa di concreto... Adesso mi chiedo che argomenti posso usare... temo di avere le ore contate qui da voi.» «Anche se te ne vai, noi continueremo a cercare, non preoccuparti, vero Johanne?» «Certo, non lasceremo perdere.» «Stasera ritorno al Foufounes, Chris è soprattutto un animale notturno. Mi accompagnate?» «Sì» rispose Brenner. Johanne scosse il capo. «Torno a casa. Devo fare un po' di pulizie, è un vero schifo.» «Okay» riprese Savoie «diciamo che ci troviamo alle 21.30? Adesso devo andare a consegnare delle richieste di informazioni a Nath.» «D'accordo, 21.30.» Savoie salutò e uscì. Johanne e Brenner ripresero le proprie posizioni, l'una sulla poltrona, l'altro alla finestra. Poi Johanne gli si avvicinò. «Non mi farai mica il muso, vero? Mi sembrerebbe un po' eccessivo.» «Ascolta, non pensi di aver esibito dei modi non proprio eleganti?» Johanne incrociò le braccia sul petto. «Ah! Perché, tu invece saresti stato un grande esempio di stile? Che faccia tosta!» «Se avessi saputo che capivi il tedesco, io...»
«Questo è sicuro, se avessi saputo! Smetti di barcamenarti, peggiori solo le cose.» «Ascolta...» «No, ascolta tu. Quello che è stato è stato, e non ho rimpianti. Semplicemente non siamo obbligati a continuare, questo è tutto.» «Se è quello che vuoi...» «È quello che voglio. E, come si dice in questi casi, restiamo buoni amici.» Brenner scosse la testa, guardò un istante fuori dalla finestra, e tornò a Johanne. «Comunque, ti rendi conto che hai fatto vedere uno dei tuoi quadri a quel tizio e non a me?» «Lui me l'ha chiesto. Forse è questo che fa la differenza.» «Okay... e se te lo chiedessi?» «Provaci.» «Johanne, mi fai vedere uno dei tuoi quadri?» Si diresse verso il cassetto della scrivania e tornò con un pacchetto in mano. «Ecco.» Brenner spiegò la carta kraft e osservò a lungo il ritratto. «In effetti è notevole. Hai davvero talento.» «Grazie.» «Posso chiederti una cosa? Mi autorizzi a tenere una copia del dischetto?» «Non preferisci l'originale?» «Sì, ma non osavo chiedertelo.» «Tienilo, mi farebbe piacere.» «Anche a me, te lo assicuro.» Poi, vedendo Johanne mordersi il labbro per non mettersi a ridere, Brenner domandò: «Ho detto qualcosa di divertente?» «No...» ribatté Johanne. «Pensavo alla faccia di Ulrike se appendessi il mio ritratto nel tuo ufficio.» «Oh, ti prego!» CAPITOLO XIV «È lui?» chiese Broker.
Brenner era appena uscito dall'auto. Johanne lo raggiunse sul marciapiede. «Sì, e lei è la ragazza» rispose Chris. «Ce la fai, Jeck?» «La luce non è pessima» mugugnò il Rock Machine. Puntò il teleobiettivo e cominciò a scattare foto, a raffica. Davanti al Travelodge la coppia si scambiò qualche parola. Poi si separò con una stretta di mano. Jeck scattò di nuovo. «Allora?» fece Broker a Chris. «Non dicevi che se la scopava?» «Ma sì...» «Allora perché si limita a una stretta di mano?» «Io... non ne ho idea.» Broker trattenne una sberla, non era il momento di fare rumore. «Jeck, segui quella donna e cerca di non farti seminare, come dall'altra.» «Come potevo prevedere...» protestò Jeck. «Fila!» Poi pizzicò la guancia di Chris tra due dita e si girò. «E se ci hai raccontato delle balle, stai tranquillo che la pagherai.» Brenner spinse forte la porta del Travelodge, con un pacchetto sotto il braccio. Spowart stese sulla scrivania un secondo foglio A3, ancora caldo di stampante laser. Per qualche secondo il suo sguardo oscillò dalla foto all'autoritratto. Poi annuì con il capo e mormorò. «Non male.» Dopodiché estrasse un elenco telefonico da un cassetto e cercò il comune di Saint-Eustache nelle pagine gialle, alla rubrica ristoranti. Johanne appoggiò la borsa sul tavolo della sala e si sedette sul divano. Ci restò qualche minuto, con il mento tra le mani, mordicchiandosi il labbro. Dopo aver sistemato qualche oggetto che non aveva alcun bisogno di essere sistemato, andò nella stanza che le faceva da atelier. Accovacciata davanti agli scaffali, Johanne tirò fuori dalla loro protezione diversi quadri: li esaminò tutti, quindi li rimise al loro posto per tirarne fuori altri. Allo stesso tempo eccitata e spaventata dalla propria decisione. Spowart lasciò l'autostrada 640 e si immise nella zona commerciale che circonda Saint-Eustache. Individuò rapidamente l'insegna Déli-Québec ed
entrò nel parcheggio del centro commerciale. Il caffè era al primo piano. Nella sala per due terzi vuota Spowart scelse un tavolo a caso e fece cenno alla cameriera. Stava scendendo la notte, ma la calura continuava a gravare in modo opprimente. Seduta sul muretto di una piazza, Tyna guardava la zona di Saint-Denis più vicina al Saint-Laurent. Rick stava tornando verso di lei, dalla sua andatura si capiva che gli effetti del PCP erano belli che terminati. Stava per tornare a essere un peso morto, tanto più che il serbatoio della Chevy era vuoto. Tyna si sfiorò il petto. La coppa destra conteneva ancora tre sigarette. Ne aveva fumata una mentre Rick era ai Foufounes. Si lasciò cadere accanto a lei. «Allora?» Rick scosse la testa. «Non ho visto Chris.» Un tizio in mimetica nera e Doc Martens si avvicinò e si piantò davanti a loro. «Avete bisogno di qualcosa? Roba forte? Posso trovarvela. Posso trovarvi qualsiasi cosa.» «Fai credito?» rispose Tyna con voce stridula. «Sei divertente, sai?» Detto questo, il tipo in mimetica nera girò i tacchi e si allontanò. «Cosa facciamo?» chiese Rick. Tyna aveva riflettuto tutto il pomeriggio. Il prodotto delle sue riflessioni si riassumeva in: «Non ne ho idea.» Dopo qualche minuto passato a osservarsi la punta delle scarpe da ginnastica, sospirò. «Provo di nuovo a telefonare, mi aspetti qui?» Rick mugugnò un vago assenso. In una strada adiacente, la mimetica nera discuteva con un uomo appoggiato a una Harley. Spowart riconobbe Johanne appena mise piede nel centro commerciale. Poco dopo sbucò dalle scale e passò dietro di lui per andare a sedersi tre tavoli oltre. Lionel captò una fragranza di violetta e pensò che il profumo della ragazza si adattava al suo lato naif. Spowart modificò leggermente la posizione, perché fosse visibile la co-
pertina della rivista che stava leggendo. Una rivista dedicata alla pittura, di cui di tanto in tanto annotava una pagina. Chiamando la cameriera, Johanne notò la rivista e la considerò un ottimo presagio. Si soffermò a osservare Spowart e lo trovò piuttosto affascinante. Lionel staccò il cellulare dalla cintura, compose un numero, aspettò, poi appoggiò il telefono sul tavolo, con l'aria delusa. Qualche minuto dopo pagò il conto e lasciò il ristorante. Johanne lo seguì con lo sguardo un istante. Dopo quindici squilli a vuoto, Tyna riattaccò. Rimase per un secondo con la fronte appoggiata all'apparecchio prima di lasciare la cabina. Il Foufounes electriques non era molto lontano. Invece di raggiungere Rick, si diresse verso il caffè. Forse Chris era arrivato. Oppure c'era il poliziotto e magari lei avrebbe potuto parlargli, forse lui sapeva qualcosa e, comunque, di sicuro non l'avrebbe uccisa. Tyna entrò nel caffè dall'entrata orientale. Il bancone cominciava a essere preso d'assalto. Chris non era lì, né in sala. Notò invece i due poliziotti, il canadese e il francese, seduti a due tavoli vicini. E le sue risoluzioni andarono in fumo. Due sbirri erano troppi. Tornò discretamente verso l'uscita. Sul marciapiede una mano le serrò la bocca e un'altra le schiacciò il petto. Tyna cercò di dimenarsi. «Se ti muovi ti spezzo come un ramo» sibilò una voce al suo orecchio. Broker la spinse verso un furgoncino con la portiera laterale scorrevole. Tyna atterrò sulle ginocchia di Chris. Doug Oshtrom teneva tra le dita due foto ancora umide che appoggiò con delicatezza sulla scrivania. «Jeck è sicuro?» «Sì» rispose Broker. «Si chiama Johanne Desjardin, abita in una villetta a Saint-Eustache, c'è il telefono, ma il numero non compare sull'elenco.» «E cosa dice la puttanella?» «Conferma il racconto del suo tipo.» Oshtrom diede una nuova occhiata alle foto e tornò a Broker. «Mmm... intimi in certi momenti e non in altri... Call-girl?» Broker atteggiò un'espressione scettica. «Del tutto sconosciuta e secondo me non abbastanza fenomenale, ma vallo a sapere.» «D'accordo. Rémi, occupatene tu.»
Rémi assomigliava a tutto fuorché un Rock Machine e, difatti, a essere precisi, non era esattamente uno di loro. Prese le foto e le informazioni dattilografate che gli dava Oshtrom limitandosi a un sobrio "okay". «Cosa ne facciamo dei due coglioni?» chiese Broker. «Per il momento stanno bene dove sono.» Chris si rosicchiava le unghie della mano destra. Di fronte, Tyna era prostrata su una panca. La stanza era stretta e senza finestre. Le tre lattine di Coca che aveva concesso loro Broker si intiepidivano sul tavolo. «Porca puttana, il francese è uno sbirro...» ripeté Chris per l'ennesima volta. Tyna non mosse nemmeno la testa, si limitò a chiudere le palpebre sugli occhi arrossati dalle lacrime. «Non dobbiamo dirglielo, hai capito, non bisogna dirglielo. Se lo scoprono, finisce che ci massacrano.» «Io non ho detto niente, te lo giuro.» Chris la guardò di traverso e attaccò le unghie della mano sinistra. «Cosa succede Chris? Cosa ne sarà di noi?» «Stai zitta! Smetti di ciarlare!» Tyna si stese sulla panca a contemplare il soffitto. CAPITOLO XV Seduto in una poltrona della hall, Rémi stava sfogliando La Presse quando Brenner uscì dall'ascensore insieme a un uomo in pantaloncini corti e camicia hawaiana. Tutti e due appoggiarono la chiave sul bancone. L'uomo in pantaloncini si diresse verso i negozi, mentre Brenner raggiunse il marciapiede per accendersi una sigaretta. Le chiavi erano tessere perforate per serrature magnetiche. Non il modello migliore da forzare. L'impiegata del Travelodge raccolse tutte e due le tessere e si girò per sistemarle nelle rispettive caselle. "Merda", pensò Rémi. La camera era la 823 o la 549... Ripiegò La Presse e, con il giornale sotto il braccio, si diresse verso gli ascensori. Nella cabina il suo dito esitò sul piano. Il francese aveva acceso una sigaretta e il 5° era per non fumatori. Nella serratura 823 infilò un passepartout di sua produzione che funzionava una volta su due. Non questa volta. Rémi rinfoderò la tessera.
Le cameriere ai piani di solito tenevano il loro passepartout da qualche parte sul carrello, per evitare di dimenticarlo in una stanza, di doverne richiedere un altro e beccarsi una lavata di capo. La cameriera dell'ottavo aveva iniziato le pulizie dall'ala opposta. Rémi aspettò che entrasse in una stanza e cominciasse a cambiare le lenzuola. Si avvicinò al carrello, infilò la mano in una borsa appesa a una sbarra e tirò fuori una carta perforata. Che fece scattare la bocchetta. Rémi spinse la porta, la bloccò con la propria carta e tornò a rimettere il passepartout dove l'aveva preso. L'esplorazione metodica ma prudente dei bagagli non aveva fornito a Rémi chiarimenti sulla professione del francese. Sull'identità sì, un biglietto aereo era stato emesso a nome di Eric Brenner, un biglietto open. L'etichetta di una valigia aveva lo stesso nome e un indirizzo de L'Aia. Rémi si mise a frugare nelle tasche degli abiti appesi nell'armadio. In quella interna di una giacca scoprì tre biglietti da visita, tutti identici. «Wow!» sbottò leggendone il testo. Commissario Eric Brenner, Europol, L'Aia. Più telefono, fax ed e-mail. «Hai dormito sul filo da bucato?» scoppiò a ridere Johanne. «Eh?» fece Brenner guardandola con aria sgomenta. Savoie si mise a sghignazzare. «Ehm... voglio dire che non sembri molto in forma questa mattina» tradusse Johanne. «Ah, no, è vero... ieri sera Luc mi ha iniziato alle microbrasserie...» «Uno dei tesori del Quebec! E Chris?» «Non l'abbiamo visto» rispose Savoie. «Né lui né Tyna.» «Invece» continuò Brenner «un'impiegata della reception del Travelodge mi ha detto che mi ha cercato una ragazza.» «Tyna?» Brenner fece un gesto evasivo. «La descrizione degli abiti non corrisponde, il resto può far pensare a qualsiasi ragazza sui vent'anni. Ma Tyna è la sola di quell'età che possa conoscermi.» «Piuttosto incoraggiante» dichiarò Johanne. «Aspetta il seguito...» la corresse Savoie. «Sì... temo che l'impiegata abbia rivelato il mio grado alla ragazza. A dire il vero, quando ha visto la mia reazione si è corretta affermando che non
ricordava più esattamente cosa avesse o non avesse detto, ma comunque... In ogni caso le ha proposto di lasciarmi un messaggio, ma lei ha preferito filarsela.» «Dio, che razza di idea dare la propria qualifica alla reception! Onestamente...» «Io non ho dato proprio niente, la prenotazione è stata fatta dall'Europol e qualcuno deve aver ritenuto opportuno precisare...» «Ad ogni modo, non c'è ragione di stupirsi che abbiano ritenuto prudente sparire dalla circolazione» concluse Johanne. «Cosa prevede il seguito del programma?» chiese lei dopo un minuto di pesante silenzio. «Ho appuntamento con il comandante Hicks.» Rémi incrociò le gambe e scosse il capo. «No, non ho avuto bisogno di far pressione sui vicini; sono molto fieri di aver un'inquirente dello SPCUM nel quartiere.» Oshtrom giocava con il biglietto da visita. «Broker?» «La puzza di imbroglio si sta facendo asfissiante.» Oshtrom tamburellò le dita sulla scrivania. «E io non riesco a raggiungere la nostra amica...» mugugnò a mezza voce. «Forse è solo un'altra coincidenza. La signora viaggia molto.» Broker fece una smorfia. «Comunque sia» proseguì Oshtrom «fai girare la foto dei due sbirri tra i ragazzi, che si imprimano nella memoria i loro volti e facciano attenzione.» «Capisco comandante» disse Brenner. «Ho dovuto anch'io arrivare a dei compromessi tra gli effettivi del mio organico e i casi da trattare. È una delle cose da cui mi dispensa Europol, e non mi dispiace affatto, devo dire.» Hicks aprì le mani. «Capiamoci bene, io non le sto mettendo il coltello alla gola. Non vedo alcun inconveniente a che Savoie e Desjardin continuino ad aiutarla, ma non posso permettermi di tenerli bloccati su questo caso senza alcun nuovo elemento. Lei può invece restare nostro ospite per quanto vorrà e utilizzare le nostre strutture come meglio crede.» «La ringrazio. Ma anche se ho abbastanza libertà di movimento, la mia
presenza qui si deve solo alla buona volontà di un procuratore e di un giudice istruttore, che hanno loro stessi bisogno di un minimo di basi concrete per giustificare la loro posizione.» Hicks annuì con un breve cenno del capo. «Mi era parso di capirlo. I termini della commissione rogatoria sono un po', come dire... tirati per i capelli.» Brenner accennò un sorriso. «Il fatto è che i magistrati hanno dovuto fare i conti con i criteri di competenza.» «Lei è fortunato, i magistrati canadesi sono meno comprensivi.» «È soprattutto una questione di personalità: quando i nostri decidono di essere insopportabili, ci riescono benissimo, glielo assicuro.» «Sì, lei ha ragione. Spesso è solo una questione di personalità. Ma per la miseria, ci sono personalità di cui farei volentieri a meno!» Hicks osservò un attimo di silenzio, come fosse assorbito da un triste pensiero, poi alzò le spalle. «In fondo, non possiamo farci niente...» Alzò di nuovo le spalle, ritrovò un'aria conviviale e aggiunse rapido: «Avevo pensato di chiederle un favore, commissario.» «Ti avevamo tenuto il posto al ristorante» osservò Johanne. «Perché non sei venuto?» Brenner abbozzò un gesto di scuse. «Mi sono messo a chattare e non mi sono accorto che si era fatto tardi. Poi avevo un appuntamento con una giornalista de La Presse.» «Una giornalista?» chiese Savoie stupito. «Un'idea del vostro comandante. Mostrare che i rapporti tra polizie europee e del Quebec sono ottime. Devo ammettere che quella giornalista conosceva l'argomento a menadito: il Terzo Pilastro, le nuove frontiere dell'Unione Europea e tutto il resto, impeccabile. Per precauzione, l'articolo apparirà solo dopo la mia partenza. Ho preparato anche un testo con Nath per il vostro sito internet.» «La cosa non sembra averti reso felice» constatò Johanne. «Non ho trovato nulla sulla chat. Ho scambiato qualche frase con CoolWebeur e questa volta è certo, preferisce le ragazze del Quebec alle francesi, non mi sono neanche fatto adescare...» «Avevi un nick femminile?» «Sì, ma non JohanneD, non preoccuparti.»
Johanne alzò gli occhi al cielo. «Per finire, ho anche mandato un fax al mio giudice istruttore: tre pagine per spiegargli che, grosso modo, brancolo al buio. Niente di cui essere particolarmente contento, quindi. E voi? È stata una buona giornata?» Johanne stirò con la mano la pila di documenti che aveva appoggiato sulla scrivania. «Abbiamo sequestrato trentasette videogiochi non' conformi...» «Bel colpo» fece Brenner con tono neutro. «Già» intervenne Savoie. «A quest'ora i tre quarti saranno già stati sostituiti... Ne abbiamo approfittato per fare domande su Chris, è il genere di posti dove può bazzicare, e quelli che interrogavamo erano disposti a farci contenti. Ma nessuno ha visto né lui, né la sua puttana.» «Ho chiamato la reception del Travelodge un quarto d'ora fa. Nessuno mi ha più cercato.» «C'era da aspettarselo. Abbiamo chiesto ai colleghi della divisione stupefacenti e delle gang di strada di interrogare i loro clienti sui nostri due idioti; a rigor di logica dovremmo ottenere dei risultati.» «Soprattutto perché abbiamo raccomandato loro di non lesinare sulle promesse di indulgenza» completò Johanne. Poi si girò verso Savoie e mostrò la pila di carte. «Chi si occupa delle scartoffie: tu, io, o tutti e due?» «Tutti e due» rispose Savoie avvicinando la poltrona. Brenner li guardò lavorare qualche minuto, quindi si immerse nelle copie delle mail spedite e ricevute da Sophie. Senza trovarci ulteriori elementi rispetto alle letture precedenti. Esplorò di nuovo l'hard disk, alla ricerca di file nascosti, e riuscì a recuperare qualche frammento di dialoghi ICK che gli erano sfuggiti al primo esame. Ma si trattava di banalità. Alla fine spense il computer e si massaggiò gli occhi. «Cosa fai questo fine settimana?» gli chiese Savoie. «Niente di particolare, perché?» «Ti andrebbe di trascorrerlo con noi? Abbiamo una casa in campagna in riva a un lago, dalle parti di Saint-Donat, è molto bello lì. D'estate mia moglie ci passa tutta la settimana, io la raggiungo quando posso.» «Mi farebbe molto piacere, ma non vorrei disturbare.» «Ma figurati! Mia moglie mi ha già dato del vecchio orso perché non te l'ho ancora proposto.» «Allora d'accordo, grazie.» «E tu Johanne?»
Johanne alzò la testa dai suoi verbali. «Ti ringrazio, Luc, ma ho ancora delle faccende da sbrigare, a casa.» «Non puoi rimandarle?» Johanne scosse il capo. «Le ho già rimandati troppe volte.» Diede un'occhiata all'orologio e aggiunse. «Appena ho finito, scappo.» Johanne fissò a lungo i due quadri impacchettati nel baule, poi chiuse il portello. Seduta al volante, rilesse gli indirizzi delle gallerie che aveva trovato sull'elenco. Dopo aver messo in moto consultò l'orologio per l'ennesima volta. E riuscì a convincersi che era troppo tardi, che sarebbe stato meglio l'indomani. Spowart bighellonava nel supermercato da tre quarti d'ora senza perdere di vista l'entrata. Quando vide Johanne superare la porta, acquistò un pacchetto di Player's, giusto per comprare qualcosa, e le lasciò il tempo di sedersi. Scelse un posto che lasciava un tavolo libero tra loro, ordinò un Maudite e si immerse nella lettura della sua rivista. La stessa del giorno prima. Johanne riconobbe l'uomo e la rivista. Esitò ad attaccare discorso e quando si decise a chiedergli il sale o il pepe, Spowart staccò il cellulare dalla cintura. Questa volta ottenne la comunicazione. Parlò a voce abbastanza bassa per non informare tutto il ristorante dei suoi affari e abbastanza alta perché, tendendo un minimo l'orecchio, la sua vicina potesse seguire la conversazione senza perdersi una sola parola. «Pronto?... Salve, sono Lionel... Sì, bene, grazie, è due giorni che ti cerco... non sono lontano da casa tua, verso Saint-Eustache... Ah, bene... Sì, capisco... No, non te ne voglio. È il destino delle piccole gallerie come la mia, quando i pittori che vi espongono hanno un po' di successo si rivolgono a case più solide, è normale... Lo so che sono stati loro a cercarti e che io non posso offrirti altrettanto... Okay. Quando passi a recuperare le tue tele?... Ah, passano loro... Perfetto... Allora arrivederci.» Spowart interruppe la comunicazione e aggiunse un "chissà..." amaro. Poi finì la birra in un sorso, prese la giacca e lasciò il ristorante. Quando Johanne notò la rivista dimenticata sulla sedia, si precipitò verso la balaustra e cercò Spowart con lo sguardo. Non c'era più. Johanne tornò al tavolo e sfogliò la rivista. Un riquadro pubblicitario se-
gnato da una parentesi a penna blu era corredato da una nota manoscritta: rinnovare l'ordine per l'inserzione. Il riquadro presentava la Galleria Lionel Spowart, nel centro storico di Montreal. CAPITOLO XVI «Prenda degli altri mirtilli» gli propose Annie Savoie con un sorriso. «Sembrano piacerle...» Brenner si massaggiò lo stomaco. «Sto per scoppiare!» Ma si servì di nuovo una mezza ciotola di quei frutti di bosco canadesi grossi come nocciole, che insaporì con lo zucchero. Brenner era effettivamente piuttosto goloso. Lo chalet dei Savoie non era esattamente uno chalet, piuttosto una casa mobile ed "evolutiva". A dire il vero più evolutiva che mobile: il timone era scomparso sotto i fiori, e, grazie all'aggiunta di un modulo, l'intera struttura si era evoluta in una vera casa di tre stanze, una cucina e una sala. Quest'ultima si apriva su un prato che si inclinava tra due abetaie in una dolce discesa fino all'acqua. Una barca era attraccata a un pontile di legno che prolungava il sentiero di qualche metro. «Lo chiamano il Lago del Topo Muschiato» disse Savoie. «Non so perché, visto che non ci sono più topi muschiati di quelli che si trovano in qualsiasi altro posto. Invece è pieno di dorati.» «Cosa sono i dorati?» «Pesci. E di tutto rispetto. Alcuni pesano più di dieci libbre.» «Come sono?» Savoie glieli descrisse con dovizia di particolari, Brenner scosse il capo. «Dev'essere quello che noi chiamiamo luccio-perca.» «Sei un pescatore?» «La cosa ti stupisce?» «No, perché?» «Quando lo racconto in Francia, si mettono tutti a ridere. Immagino che non c'entri molto col mio personaggio. O con la fondina sotto l'ascella.» «Mah, sai... qui se non sei un pescatore o un cacciatore, significa che sei finito nel posto sbagliato.» «Immagino. Quanti laghi abbiamo passato da Montreal a qui?» «Non lo so. Impossibile contarli. Allora, che ne dici di andare a cercare dorati?»
«Volentieri. Che tipo di esca usi?» Johanne era accanto al bagagliaio aperto, con la rivista infilata sotto il braccio. Sarebbe potuta andare alla galleria così, semplicemente, per restituire la rivista e attaccare discorso. Spowart aveva l'aria simpatica, le avrebbe proposto di dare un'occhiata alle sue tele, anche solo per educazione. Almeno avrebbe avuto l'impressione di... di cosa? Johanne si diede dell'idiota, della fifona e un sacco di altri appellativi. Poi infilò la rivista nella borsa, tolse il quadro dal bagagliaio e si allontanò rapidamente, prima di cambiare idea. Poco oltre, nel centro di Montreal, un tipo cantava Frehel con un accento pronunciato. Belga, pensò Johanne. Curiosamente, la circostanza rafforzò la sua determinazione. Appoggiato alla balaustra di protezione, Doug Oshtrom contemplava i motoscafi del porto turistico svariati metri sotto. Con un'attenzione particolare per un Bertram 43, il suo. Stracey Layne era accanto a lui, nella stessa posizione. Capelli raccolti, vestita in jeans e camicia nera, sembrava quasi una persona per bene. Accanto a lei c'era il marito. «D'accordo, signora Layne. Siccome non è facile incontrarla, se preferisce parlare qui piuttosto che sulla mia barca, parliamo pure qui.» «Lo preferisco. In generale sono io che fisso gli appuntamenti. E non ho per nulla apprezzato il modo in cui lei ha organizzato questo. Adesso può darmi qualche spiegazione?» Aveva parlato senza la minima traccia di simpatia, al limite dell'ostilità. Doug si girò e rimase appoggiato alla balaustra. I Layne lo imitarono. Diede una foto a Stracey. «Conosce queste persone?» Lei diede una rapida occhiata all'immagine. «No. Dovrei?» «E queste?» «Nemmeno. Ne ha ancora molte?» Doug rimase impassibile. «Se non le conosce, farebbe bene a interessarsene.» «Ah sì?» ribatté Stracey in tono ironico. Oshtrom poggiò il dito su una delle immagini. «Questo tizio si chiama Eric Brenner, è un commissario francese dell'Europol, viene da L'Aia. Non so esattamente cosa sia l'Europol, ma
non mi piace.» Doug ebbe la soddisfazione di vedere Stracey storcere il naso. Proseguì. «Lei si chiama Johanne Desjardin, è un'inquirente dello SPCUM, in forza alla Brigata Moralità. Questo è tutto quello che so e non mi piace per niente. Questi due poliziotti lavorano insieme, qui.» Stracey esaminò con più attenzione le foto e le passò a suo marito, che gliele rese dopo un movimento del capo negativo. «Molto bene, Oshtrom, in cosa mi riguardano?» «Gli altri due sono uno spacciatore e la sua puttana. Sono in rapporto con questi sbirri e cercano di procurare loro degli snuff.» Questa volta Doug vide chiaramente la contrazione dei muscoli mascellari della donna. «Si occupa di snuff, adesso, Oshtrom?» Cercava di fare la spavalda, ma il tono non suonava del tutto convincente. «Non mi tratti da imbecille. Ai bambini cos'ha intenzione di offrire, un campo-scuola ricreativo?» «Quello che ho intenzione di fare non la riguarda, gliel'ho già detto. E non la considero un imbecille, al contrario. Cosa sta cercando di fare, negoziare i nostri accordi?» «I nostri accordi sono caduchi, cara signora.» Stracey si staccò dalla balaustra con un colpo di reni. «Se vuole prendersi gioco di me, sappia che le cose andranno a finire molto male.» Oshtrom avanzò come volesse dissuaderla dall'andarsene. La mano di Thomas Layne corse sotto la giacca. «Calma, signor Layne. Si guardi intorno.» Thomas si fermò, osservò ciò che aveva intorno. A pochi metri, Broker teneva la mano infilata nel giubbetto di cuoio. Un po' più lontano, sparsi tra la gente a passeggio, ancora poco numerosa, qualche Rock Machines e le loro Harley formavano un ampio semicerchio che li racchiudeva. La mano di Layne ritornò alla cintura. Stracey si appoggiò di nuovo alla balaustra e si impose un sorriso. «Okay, Doug. Vede la Mercedes laggiù, con i vetri scuri?» Con un battere di ciglia Doug rispose di sì. Stracey allargò il sorriso. «È la mia. Dentro c'è il mio autista. Karl è un tiratore scelto, viene dalla Legione straniera.» Oshtrom registrò l'informazione senza battere ciglio; gli sembrò di scor-
gere un riflesso dietro i vetri scuri. «Allora» riprese Stracey. «Cosa si fa? Ci uccidiamo a vicenda?» «Parliamo.» «Di cosa?» «Del fatto che, poco dopo che ci avete contattati per quel trasporto, dai miei ragazzi arriva uno sbirro in cerca di snuff.» «E cosa ne posso sapere io?» «Non lo so, ma credo che sarebbe nel suo interesse preoccuparsene. A meno che non abbia ottime ragioni per non farlo.» Stracey si irrigidì. «Cosa intende dire?» «Faccio due più due: lei mi propone un affare, gli sbirri mi girano intorno. Assomiglia molto a una trappola.» «Certo che lei non manca di immaginazione.» «Esatto. Ma io sono ancora qui, mentre molti altri sono in prigione. Comunque sia, o lei mi dà una spiegazione, e credibile anche, o si trova qualcun altro per trasportare i suoi dannati marmocchi.» Stracey fece un gesto di malumore. «Ho investito parecchi soldi in questa operazione!» «Mi dispiace.» Stracey lo squadrò qualche secondo, poi annuì con il capo. «D'accordo... oggi non posso dirle niente, lei mi ha appena messa al corrente dell'esistenza di questi sbirri, ma prometto di informarmi in proposito; come dice lei, è nel mio interesse. Posso tenere le foto?» «Certo, e tenga anche questo.» Oshtrom estrasse un foglio piegato in due dalla tasca. «È tutto quello che so su quei due.» «Appena scopro qualcosa, la contatto.» «Ci conto.» Quando sembrò sul punto di andarsene, Oshtrom le si piantò davanti, il viso a qualche centimetro dal suo. «Ma al minimo imbroglio, lei, suo marito, il suo autista e la sua Mercedes, salterete tutti per aria.» Stracey non replicò, girò sui tacchi, fece segno al marito, e tutti e due si allontanarono in direzione dell'auto. «Bel bocconcino, però» commento Broker con un ghigno, apprezzando l'andatura sinuosa della donna. «Già» convenne Oshtrom. «Se ti piacciono i crotali.» Si girò verso il ponte.
«Tu vieni con me, ho voglia di fare un giro sul fiume.» Con un gesto, Broker congedò i Rock Machines. Il luccioperca piegava il cimino di Savoie, a destra di un ceppo immerso per qualche metro sotto la superficie. Le zanzare cercavano e trovavano il varco nello strato di repellente di cui i due uomini si erano ricoperti. Brenner ne stritolò una sulla nuca, un'altra sulla guancia. «Sono tignose, eh? Non quanto gli orsi, però: con loro, se dimentichi un sandwich in macchina, puoi prenotare dal carrozziere!» Brenner tentò un nuovo lancio. «Al contrario i dorati...» ironizzò. Con il polsino Savoie si asciugò il sudore dalla fronte. «Sì... l'acqua è troppo calda qui, andiamo dall'altra parte, è più profonda.» Tirò su la lenza e impugnò i remi. «Senti, volevo chiederti... è successo qualcosa con la piccola?» Brenner ci mise qualche secondo a capire che parlava di Johanne e atteggiò un'espressione imbarazzata. «Diciamo che non sono stato troppo delicato...» Savoie si schiarì la gola. «Sai, la conosco da poco e lei non parla molto di sé, ma ho l'impressione che quella ragazza non abbia riso tutti i giorni della sua vita e che si tenga molte cose dentro. Mi sembra una persona a cui non è difficile fare del male.» Brenner scacciò una zanzara invisibile; forse una mouche noire. «L'ho delusa, questo è sicuro, e mi dispiace, ma non credo di averla fatta soffrire. Mi ha ridimensionato, ci siamo chiariti, adesso è tutto sistemato. Credo che si sia sentita più offesa che ferita, come me, del resto.» Savoie scosse il capo e riprese in mano la canna. «Bene, meglio così.» Sollevò il mulinello e si assicurò che il luccioperca nella nassa fosse immerso nell'acqua. Stracey sbatté la portiera e si girò verso il sedile posteriore, vuoto. «Grazie, Karl.» Il marito infilò la chiave nel motorino d'avviamento con un sorriso. «Dovremmo proprio assumere un Karl.»
«È vero... hai qualcuno in mente?» Thomas portò la Mercedes sul ponte Mill verso rue de la Commune. «No, ma me ne occuperò. Avresti potuto andarci più morbida con Oshtrom.» «Quella specie di vecchio biker mi dà sui nervi.» «Ne abbiamo bisogno. Se ci molla come facciamo? Andiamo dai mangiaspaghetti?» «Certo, e nel giro di tre mesi ci cacciano. Lascia stare la Mafia.» «Allora?» Stracey agitò le foto. «Chiariremo questa storia. Spowart si crede troppo furbo, potrebbe aver commesso degli errori.» «Forse è un casino di Oshtrom.» «Ci ho pensato, figurati, ma non capisco proprio che vantaggio ne avrebbe.» «Prendere il nostro posto.» «Sì, ma perché montare una storia simile? Perché non ricorrere a sistemi più... diretti?» Istintivamente Thomas diede un'occhiata al retrovisore. Non scorse nulla di allarmante e mise la freccia a destra. «Prendi l'autostrada Bonaventure: se abbiamo una palla al piede, la portiamo un po' a spasso prima di raggiungere Spowart.» Johanne fece un respiro profondo e spinse la porta. L'interno era fresco, climatizzato, illuminato dalla luce indiretta che metteva in risalto le tele, tutto sommato poco numerose. In un ufficio adiacente, l'uomo che aveva visto al caffè stava parlando al telefono. Mise la mano sulla cornetta e le fece segno che sarebbe stato subito da lei. Johanne si diresse verso i quadri più vicini. Due tele iperrealiste, Il castello di sabbia e Viaggio senza ritorno, da cui fu subito assorbita. Notò Spowart solo quando le fu accanto e si presentò: «Buongiorno, sono Lionel Spowart, ti interessano queste tele?» «Buongiorno, Johanne Desjardin. Sì, sono affascinanti, un misto di chiarezza e mistero. Si può stare a guardarle ore senza riuscire a decifrarle del tutto.» «È vero. Mi stupiscono ogni volta. Sei un'appassionata di iperrealismo?» Johanne si sentì improvvisamente ridicola. «No, cioè, mi piace molto ma... In realtà, sono venuta... io...»
Si decise a cercare nella borsa, con il pacco infilato sotto l'altro braccio. «Ero al Dèli-Quebec ieri sera, hai dimenticato una rivista. Te l'ho riportata.» Spowart la guardò con stupore, poi si abbandonò a un ampio sorriso. «Grazie molte. Mi chiedevo dove l'avessi persa... Sono senza parole, spero che tu non sia venuta apposta...» «Mi sono permessa di sfogliarla, ho visto che avevi annotato delle pagine, ho pensato che fosse importante. Ma amo molto la pittura, quindi è stato un buon pretesto, e poi avevo in programma un po' di shopping a Montreal.» Spowart spalancò le braccia, imbarazzato. «Davvero... che posso dire... non so proprio come ringraziarti.» Il poco di sicurezza che Johanne si era imposta svanì. Sentì la schiena ricoprirsi di sudore e si dovette mordere la guancia per riuscire a lanciarsi. «Io... in realtà dipingo e se tu non avessi dimenticato la rivista, non avrei mai trovato il coraggio di venire. Non ho mai fatto vedere i miei lavori a nessuno. Ecco... devo sembrarti un'idiota...» Spowart scosse dolcemente il capo. «Niente affatto.» Indicò il pacchetto. «È una tela?» «Sì» rispose lei dopo un istante di esitazione. Spowart sorrise gentilmente. «Vuoi andartene senza avermela mostrata?» Johanne fece di no con la testa e lui prese il quadro. Lo tolse dalla carta kraft e si diresse verso il fondo della sala. Appese la tela in uno spazio vuoto, accese la lampada alogena, poi arretrò di qualche passo. Johanne, dietro di lui, lo osservò mentre, immobile, con le braccia incrociate sul petto, esaminava il suo lavoro. Non si avvicinò, terrorizzata all'idea di scoprire la sua espressione. Pensò di andarsene, tornare più tardi, lasciare l'indirizzo e non farsi mai più vedere. «Hai frequentato una scuola d'Arte? Seguito dei corsi?» chiese Spowart senza girarsi. «No, ho imparato da sola, così.» Si trattenne dall'aggiungere: "perché?". «È per questo...» mormorò Spowart sempre senza voltarsi ma inglobando la tela con un gesto circolare. «Mi propongono molte cose...» riprese con un tono più alto. «La maggior parte sono dipinte alla maniera di. La tecnica è perfetta, ma mancano spesso dell'essenziale: sincerità, verità. La tecnica si impara, il talento... al massimo, si coltiva.»
Spowart si girò lentamente, con in viso un'espressione grave, quasi triste. «E di talento, Johanne, tu ne hai da vendere.» Le si avvicinò, la prese delicatamente per un gomito e le mostrò il suo ufficio. «Vieni, sediamoci.» Johanne si lasciò guidare fino a una poltrona. Spowart appoggiò i gomiti sul tavolo, rimase un istante in silenzio, poi arricciò il naso. «Non passerò ore a spiegarti quanto sei formidabile.» Vide Johanne irrigidirsi. «Ti dirò le cose così come stanno, se hai altre tele di questo livello, sono disposto a esporle. Aggiungo che per me sarebbe un privilegio. Ma non voglio prometterti successo e riconoscenza. La mia è una piccola galleria, non potrò offrirti la grande stampa, i saloni e tutte queste cose. Li meriti, ma non ne ho i mezzi. Posso solo prometterti di fare il possibile. Ecco tutto. Che te ne pare?» Spowart la fissò, come ansioso di una risposta. Johanne si era seduta di traverso, con le natiche sul bordo della poltrona. I polpacci un po' grossi, le spalle piuttosto larghe, una sembianza tra il proletario e il piccolo borghese, l'ideale. Le forme plastiche perfette rendono male sullo schermo, il cliente cerca l'autenticità, la sincerità. Le vide il petto sollevarsi a scatti, per l'emozione. Un seno dignitoso, sicuramente sodo, che lui non vedeva l'ora di esporre. Ma con un'idiota del genere era meglio non precipitare troppo le cose. Johanne abbassò gli occhi, cercò le parole. «Io... non pensavo mi potesse accadere una cosa simile... è come un sogno...» «No, Johanne, è normale, tu dipingi delle belle cose, noi le facciamo vedere.» Gli sorrise, con gli occhi che le brillavano. «È comunque un sogno, talmente insperato... La stampa, la fama... mi basta essere esposta.» «D'accordo, ma dovevo comunque dirtelo. Hai altre tele disponibili?» «Sì, a casa mia. Dipingo da anni, quindi ne ho parecchie... ma non so quali possano avere qualche valore.» «Bisognerà che le veda per poterti dare una risposta definitiva.» Spowart aprì l'agenda e fece una smorfia. «Oggi non ce la faccio, ma domani potrei passare da te. Verso le due po-
trebbe andare?» «Certo!» «Mi dai indirizzo e numero di telefono?» Glieli diede. Lionel annotò il tutto sul bloc notes. «Posso contattarti anche al lavoro? Oh! Non ti ho nemmeno chiesto che lavoro fai» esclamò lui come se avesse mancato di buone maniere. «Io... io preferirei di no. Lavoro alla Général du Quebec, ho un capo non troppo comprensivo.» "E un amante instabile", pensò Lionel dicendo: «Capisco.» «Ma è provvisorio, sto per cambiare.» Spowart mise via il bloc notes, quindi aprì un cassetto, cercò una cartellina e tirò fuori un foglio che diede a Johanne con una mimica di scuse. «È un contratto tipo, niente di molto artistico purtroppo, ma necessario. Leggitelo con calma. Ne riparleremo domani, con tutto comodo.» «Grazie» rispose Johanne infilando il documento nella borsa. «Vuoi dare un'occhiata alla galleria? Adesso sei un po' a casa tua.» Le spiegò ogni tela, i simboli, i dettagli nascosti, quello che si poteva vedere, quello che bisognava capire. Lei lo ascoltò, un po' inebriata, Spowart aveva una bella voce, quella di un appassionato. Si separarono con una stretta di mano. Lionel la guardò allontanarsi, poi andò a piantarsi davanti al quadro e ci restò qualche minuto. Niente affatto male, in realtà. Ci sarebbe stato modo di tirar fuori dei soldi anche di lì. Johanne risalì Saint-Paul su una nuvola, quasi stupita che i passanti non le facessero i complimenti. Scoppiò a ridere senza motivo e decise che le ci voleva qualcosa da bere, qualcosa di forte. Seduta a un tavolo all'aperto estrasse il contratto dalla borsa, lo lesse e lo rilesse. E non aveva ancora smesso di leggere quando la cameriera le portò una vodka ghiacciata. Broker accostò all'ormeggio mentre Doug spegneva a uno a uno gli strumenti del fly, con il viso cupo. Durante la navigazione i due uomini avevano parlato poco. Sebbene non fosse mai stato entusiasta di lavorare con Stracey Layne, Broker si era risparmiato il minimo gesto di trionfalismo. Dopotutto bisognava ammettere che quella donna aveva dei buoni
argomenti in suo favore, oltre al fisico. Dollari, aveva detto lei, canadesi o americani, a scelta. Sterline o marchi tedeschi, se preferite. Argomenti non da poco. Era anche d'accordo sul fatto che in un mondo dove chi non è dappertutto rischia ben presto di scomparire completamente, i Rock Machines non dovevano trascurare alcun mercato. I rapporti della gang con la Mafia, una sapiente miscela di affettuosi abbracci e coltelli nella schiena, erano al bello stabile. Talmente bello e talmente stabile, che poteva significare una sola cosa, gli italiani stavano affilando i coltelli, spronati dai recenti guai dei Rock. Se con i Layne non avesse trattato Oshtrom, ne avrebbe approfittato la Mafia. Si comincia così, e si finisce con una Guzzi al posto di una Harley. Si poteva anche sospettare che i Layne fossero in realtà teleguidati dai mangiaspaghetti, grandi amanti dei colpi bassi. Broker ci aveva pensato, a voce alta, poco dopo l'uscita dal porto, l'umore di Oshtrom non ne aveva particolarmente beneficiato. Doug saltò sul molo, verificò gli ormeggi e sistemò un aggancio che non aveva alcun bisogno di essere sistemato. «Broker?» fece lui accoccolato accanto alla galloccia. Il Rock Machine si chinò verso il suo capo. «Sì?» «Chris e la sua puttana...» Oshtrom mimò una siringa piantata nel braccio. E premette lo stantuffo. Le pupille di Stracey avevano una fissità da rettile. Quelle del marito non promettevano nulla di meglio. Spowart sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale. A chiunque altro in quelle condizioni avrebbe immediatamente piantato una pallottola in testa senza discutere e ottenendo tutto il suo rispetto. Buttò giù una sorsata di scotch per darsi un contegno. Stracey non aveva toccato il bicchiere, il pericolo la teneva sobria. «Sei sicuro che si tratti di lei?» chiese muovendo appena le labbra. Lionel prese la foto e la esaminò di nuovo. «Certo. Era seduta al tuo posto. Stesso nome, stesso indirizzo, stesso viso.» «Si direbbe che hai commesso un errore» osservò Stracey. così come si constata un'evidenza. Spowart non si lasciò scoraggiare. «Non capisco dove, ma se tutto questo è vero, sono costretto ad ammettere che è curioso.»
Lo sguardo di Stracey era divenuto brillante. Eccitato. Lo stesso di quando visionava uno snuff o lavorava alla composizione nello chalet. Spowart si chiese se anche lei non stesse iniziando a prenderci gusto. Lui stesso era pronto ad ammettere che il brivido di prima non era stato di sola paura. In ogni caso, quando ripensava a Johanne, le immagini prodotte dal suo cervello non erano cambiate. Nemmeno la sua erezione. Se non in meglio. «È vero, è anche... interessante. Hai pensato al seguito?» Nello spazio di un secondo ebbe l'impressione di averla colta alla sprovvista. La donna si umettò le labbra con la punta della lingua. «Stavo per farti la stessa domanda. Mi sembri il più coinvolto, no?» Spowart annuì in silenzio. Aveva riflettuto mentre raccontava loro nei dettagli il primo incontro con Johanne Desjardin, pittrice timorata in preda ai dubbi sulla propria creatività. «Onorerò il mio appuntamento.» Stracey non batté ciglio, lui proseguì. «Se per qualche motivo i poliziotti mi cercano e io non ci vado, sembrerò ancora più sospetto, quindi andrò. E fidatevi di me, capirò cosa sta covando la sbirra.» Stracey scoppiò in una lunga risata di gola, artificiale ma ben imitata. «Carino, Lionel, carino. Ti piace giocare con il fuoco, eh?» «Non dirmi che a te non piace.» Non lo disse. Tanto più che se c'era qualcuno che poteva scottarsi era proprio lui, uno spettacolo a cui lei avrebbe battuto le mani. Almeno da quello che comunicava l'espressione del suo viso. Non era però quello che apprezzava Spowart, che invece pensava di dover aggiustare il tiro in quel campo. Restava da capire come. «Sii comunque prudente, Lionel. Mi dispiacerebbe perdere un fornitore della tua qualità.» Il tono era abbastanza freddo per non far trasparire la sostanza della minaccia. «Nessun pericolo» rispose Spowart. «Ci tengo alla pelle.» «Perfetto. Allora diciamo che aspetto tue notizie... domani sera?» «Senz'altro.» Stracey si alzò, imitata dal marito. Spowart si alzò a sua volta e indicò la galleria. «Vuoi vedere il capolavoro della nostra cara Johanne?» «Non me lo perderei per nulla al mondo.»
Tyna dormiva appoggiata al tavolo, con la testa tra le braccia. Ma aveva un solo occhio chiuso, perché si alzò appena Broker entrò nella stanza. Chris dormiva come un sasso sulla panca. Broker lo colpì con il piede. Risvegliato di soprassalto, il ragazzo si guardò attorno con aria smarrita. Broker si avvicinò a Tyna, la prese per la spalla e la sollevò dalla sedia. «Vieni con me.» La affidò alle cure dei due Rock Machines che aspettavano nel corridoio, tornò nella stanza e chiuse la porta. Chris era poco meno attonito di lei. «Sembra che le cose si stiano sistemando per voi» dichiarò Broker. Chris accolse l'informazione con sollievo, e si grattò i testicoli. «Doug ha ancora qualche domanda da fare alla tua bionda, potrebbe volerci un po' di tempo, ma poi vi riportiamo all'ovile.» Chris non riuscì a nascondere la fifa, ma smise di grattarsi. «Si direbbe che la notizia non ti faccia piacere» osservò Broker. «Ma certo» ribatté Chris con una smorfia «si capisce!» «Non so, ma non hai l'aria di essere in forma: la puttanella ti ha sfinito o non hai avuto la tua dose?» Chris rise come un imbecille. «Be', di sicuro mi fumerei volentieri una sigaretta ben impregnata.» «Spiacente, non ne ho» fece Broker dirigendosi verso l'uscita. Poi sembrò ripensarci e si frugò nelle tasche. Appoggiò una scatola inox sul tavolo e la aprì, dentro c'erano una siringa, un flacone e tutto il necessario. «Puoi servirti, è di prima qualità.» Consultò l'orologio e aggiunse: «Secondo me hai ancora almeno tre ore buone da ammazzare.» Dopodiché uscì. Con una energica spinta sulla schiena, Broker convinse Tyna ad avanzare. «Dove mi portate?» chiese lei. «Doug vuole parlare con il tuo tipo a quattr'occhi, quindi ti mettiamo da un'altra parte. Meno ti lamenti, meglio starai.» La fece entrare in una stanza più spaziosa. Il letto non era più ampio ma era un letto, non una panca, e c'era una poltrona oltre alle sedie. E anche un frigorifero, e una finestra dalle imposte di metallo chiuse da un grosso lucchetto.
Tyna si sedette sul letto, mani unite tra le cosce strette. Broker si avvicinò e la guardò. La fatica e l'angoscia le avevano scavato le guance, gonfiato gli occhi, il sudore le incollava i capelli. E però aveva più che mai l'aria di una bambina. Una bambina malaticcia e febbricitante, le cui pupille percorrevano la stanza senza riuscire a fermarsi, evitando i Rock Machines. «Simpatico il tuo amico» disse Broker. «Lui prende il letto e ti lascia il tavolo. Qui ne hai uno tutto per te.» Tyna strinse le spalle, ma il mento le tremò un secondo. Doveva metterla a suo agio affinché accettasse il regalo senza timori. Era sicuro che l'altro coglione si sarebbe fatto, garantito. Ma con la ragazza temeva il peggio. «Non lo mandi giù, eh?» Nuova alzata di spalle. Broker imprecò interiormente. La psicologia femminile l'aveva sempre lasciato perplesso e così aveva sviluppato una conversazione a dir poco essenziale: un bel paio di sberle e non c'era bisogno d'altro. In questo caso certo non gli mancava la voglia. Era solo una questione di utilità. «Si vede che hai bisogno di dormire» disse con tutta la gentilezza che riuscì a rimediare. Un'altra alzata di spalle. Broker portò pazienza. «Non ti preoccupare, il tuo amico si è cacciato in una brutta storia, ma sappiamo che tu non c'entri nulla. Siamo stati obbligati a portarti qui per ovvie ragioni di sicurezza, ma ormai è finita.» «Mi lasciate andare? Quando?» Questa volta non aveva alzato le spalle, ma lo guardava con gli occhi pieni di speranza, come si guarda chi porta buone notizie, un amico. «Certo che ti lasceremo andare, cosa credevi? Quasi sicuramente domattina.» Broker avanzò la mano verso il suo viso. Lei si ritrasse di colpo, come per evitare uno schiaffo. Lui si fermò e sorrise, poi proseguì e le spostò una ciocca di capelli che le cadeva proprio sugli occhi. «Sei proprio una benedetta ragazza. Ti dirò una cosa: se domani non hai voglia di tornare con il tuo tipo, basta che ci fai un cenno, qui il posto non manca.» Vide apparire la sorpresa negli occhi della ragazza ed emergere qualcosa che assomigliava all'interesse. Anche lei sorrise a sua volta, un piccolo sor-
riso. «Non... non ci avevo pensato... perché no...» «Riflettici sopra. E poi...» si frugò in tasca «siccome le ultime notti sono sempre le più lunghe...» Appoggiò una scatola di acciaio sul tavolo e la aprì. «Ti lascio il necessario» riprese Broker. «Se ne hai voglia, non esitare. È un buon modo per ingannare il tempo.» Si diresse verso la porta, la voce di Tyna lo fermò. «Broker?» «Sì?» Lei abbassò gli occhi e si mordicchiò un labbro. «Ho bisogno di fare pipì, per favore» mormorò con una vocina piccola piccola. Broker le indicò il fondo della stanza, tutto zucchero e miele. «Te l'avevo detto che qui saresti stata meglio, il bagno è dietro quella porta e nel frigorifero c'è da bere. Ciao, a domani.» Uscì e diede due giri di chiave alla serratura. Tyna corse in bagno. Uno dei migliori e più semplici metodi di codificazione resta quello dei due libri identici. Il mittente sceglie le parole nel testo e le sostituisce con tre cifre, numero di pagina, numero della riga e posizione nella riga. Il ricevente effettua l'operazione inversa. Tra i due passaggi, un SuperCray avrebbe perso il binario. Unico inconveniente: la lunghezza. A meno che non si utilizzasse una versione informatica del sistema. Spowart aveva appena redatto un messaggio all'attenzione di CoolWebeur. Avvertendolo che la polizia era sulle sue tracce. Ordinandogli di interrompere qualsiasi operazione. Etcetera. Fece partire il sistema di codificazione. Una a una, le parole furono sostituite da numeri. Ciò che altrimenti avrebbe richiesto un'ora buona fu sbrigato in pochi minuti. Lionel salvò il messaggio e lo copiò su un floppy. Il computer aprì una finestra di conferma. Spowart portò il cursore su Okay, ma poi lo spostò senza aver cliccato. Se era stato CoolWebeur a denunciare i propri complici, codificazione o non codificazione, cyber-caffè o meno, i poliziotti sarebbero venuti a conoscenza del messaggio. Che sarebbe diventato una prova a carico. E soprattutto gli avrebbe fatto perdere un vantaggio: Johanne avrebbe saputo che lui sapeva.
Ma se non era stato CoolWebeur, non informarlo del pericolo poteva essere l'inizio della fine o comunque un'accelerazione in quel senso. Lionel rifletté, esitò, poi manovrò il mouse e cliccò su Annulla. Wait and See. Traduzione: a ciascuno la sua merda. Spowart estrasse dallo Zip il disco da un gigabyte riservato alle operazioni speciali. Come supporto era più lento dì un vero hard disk, ma offriva alcuni vantaggi: buttò il disco nel portacenere di bronzo, ci versò sopra la benzina per accendini e accese il fuoco. Mentre il disco finiva di fondersi, Lionel ne infilò un altro nel lettore. Stessi programmi, ma che non avevano mai comunicato con nessuno. Non era complicato rifarsi una verginità informatica. Tyna si riabbottonò i jeans, azionò lo sciacquone e abbassò il coperchio del WC. Nessuna imposta dietro il vetro opaco della finestra, ma una griglia di ferro di un centimetro di spessore. Non che contasse di scappare, soprattutto visto che sarebbe stata libera il giorno dopo. Era giusto così, per vedere, un riflesso automatico. Poté constatare che stava scendendo la notte e tornò nella stanza principale a esplorare il frigorifero. Con una Coca in mano, si sedette in poltrona. Sul tavolo brillava la scatola di acciaio inossidabile. La Coca fresca le fece bene. La scatola continuava a rilucere, l'unica lampadina della stanza ci brillava sopra. Tyna prese il flacone e lo agitò. Eroina pronta per l'uso. Quanto bastava per evadere da quella topaia prima di andarsene sul serio. Ne aveva voglia, ma l'eroina l'aveva provata una sola volta e la violenza del flash l'aveva spaventata. Troppo, per apprezzarlo davvero. Tyna strinse il flacone in mano, come per riscaldarlo. Il suo mestiere le aveva insegnato almeno una cosa, i regali non esistono. Né la gentilezza dei Rock Machines. Se il grosso Broker avesse voluto scoparsela, non avrebbe avuto bisogno di essere carino con lei. L'avrebbe stesa sul tavolo, lei avrebbe aperto le gambe e simulato un orgasmo, oppure ne avrebbe avuto uno, chissà. E se avesse voluto baciarla in bocca, lei lo avrebbe lasciato fare, al contrario delle puttane del cinema, perché tra le esigenze degli uomini e talvolta delle donne, lei aveva scelto. Ormai da tempo, né il suo ventre né le sue labbra costituivano più un punto d'onore. No, Broker era stato gentile per convincerla a diventare la sua puttana senza recalcitrare. Puttana per i Rock Machines, la sicurezza dell'impiego... Ma se Chris si prendeva il letto e le lasciava il tavolo, le parlava come a una cagna e la
trattava spesso anche peggio, sul resto non era troppo esigente. Con Broker sarebbe stata un'altra storia. Sarebbero state ben altre botte. Tyna appoggiò il dorso della mano sul tavolo e aprì le dita. Il flacone era caldo, di colore bianco intenso, e le oscillava sul palmo. Dov'era il punto d'onore? Il flacone rotolò sul tavolo. Lei lo afferrò all'ultimo momento, prima che si schiantasse sul pavimento di piastrelle. Lì! Sulla prima falange del mignolo della mano destra. Tre puntini blu. Un triangolo tatuato una notte. Non sapeva da chi né perché, troppo fuori per conservare un simile dettaglio in memoria. La sua parte di mistero e di straordinario, il piccolo triangolo blu che aveva scoperto al mattino. Che un giorno forse qualcuno avrebbe riconosciuto. Chris aveva la bocca spalancata, gli occhi fuori dalle orbite e la siringa ancora infilata dentro il braccio. «Ecco fatto» fece Broker chiudendo la porta. Proseguì nel corridoio, accompagnato da due Rock Machines. L'apertura dell'altra porta confermò i suoi timori: la ragazza avrebbe dato loro dei guai. Al loro ingresso si era messa a sedere sul letto guardandoli con aria interrogativa. E inquieta. Tre Rock Machines riducevano di parecchio lo spazio. «Stai bene?» chiese Broker. Tyna annuì con la testa. Broker prese la scatola in mano. «Non avevi voglia di un piccolo flash?» «No... non mi piace troppo l'ero... mi fa paura.» «Oh? Anche se sono qui io?» replicò Broker in tono scherzoso. Tyna si sforzò di sorridere e alzò le spalle. «Sì. Non è roba per me.» Broker esalò un sospiro comprensivo e passò la scatola a uno dei suoi sottoposti. Tyna cercava di capire. I tre la guardavano e si guardavano, come se non sapessero cosa diavolo stessero facendo lì. Cosa volevano? Provarla? Non riuscivano a decidersi su chi sarebbe stato il primo? Broker fece un passo verso di lei e le tese la mano. «Vieni qui.» Nessuna traccia, l'importante era non lasciare tracce. Altrimenti gli sbirri si sarebbero posti delle domande e per trovare le risposte le avrebbero po-
ste anche ad altri. Solo casini. Tyna esitò. «Su, vieni» ripeté Broker muovendo le dita. «Non possiamo star qui delle ore.» Lei poggiò il piede a terra e si alzò. Broker la prese per mano, la fece girare su stessa attirandola a lui e la abbracciò con un gesto amoroso. Poi la strinse a sé, schiena contro petto, la imbavagliò e si lasciò cadere in poltrona. Le bloccò le gambe e aumentò la stretta. Come un medico tiene un bambino capriccioso durante un'operazione delicata. Tyna cercò di dimenarsi. Broker sentì i muscoli della ragazza contrarsi. Aveva qualcosa di vagamente ridicolo. L'altro Rocker aveva infilato l'ago nel flacone e stava ritirando il pistone. Tyna tentò un nuovo movimento, senza alcun successo. Il terzo Rock le liberò il braccio sinistro. Tyna resistette, con il gomito urtò il bracciolo. «Jeck! Merda! Niente tracce!» gridò Broker. «Spicciati, Serge!» Lei continuò a far resistenza e buttò la testa indietro, cercò di captare lo sguardo di Broker che, madido sudore, le abbassò il capo. Jeck riuscì a stenderle il braccio e a tirarle su la manica. Fece emergere la vena. Le dita di Broker si bagnarono di lacrime. Tyna cercava di parlare. Ed emetteva solo un lungo gemito implorante. Serge infilò l'ago e spinse il pistone. Broker sentì il cuore accelerare, la ragazza tremare, tendersi come un arco. Sotto il palmo la bocca cercava l'aria e aspirava la pelle. E poi un colpo più forte. Che si ripercosse per tutto il corpo: uno strano grido superò la mano, gli occhi si rovesciarono. E poi più niente. La ragazza si afflosciò. Broker lasciò la presa. Tyna scivolò a terra. I tre uomini erano in piedi attorno al corpo, in silenzio. Non c'era motivo di pavoneggiarsi, con un piede sulla preda. «Non ce n'è voluta molta» borbottò Serge per dire qualcosa, agitando la siringa. Broker si schiarì la voce. «Allora, bisogna riportarli a casa prima che si raffreddino.» CAPITOLO XVII Un colpo, lontano e violento. Vibrante. Doloroso. Un peso enorme e bruciante. Un altro colpo, meno forte, e un altro ancora, impercettibile, e poi un altro e un altro e un altro. Il cuore che batte. La coscienza che vive. O rivive. Le piastrelle fredde che attenuano il dolore. Il dolore che riflui-
sce. Il peso che si cancella. Leggero e dolce. La coscienza invischiata. Tyna emise un gemito. Voglia di alzarsi. Di elevarsi. Sarà facile. Così leggera. E fremente. Perfino voglia di ridere. Le dita si muovono. La coscienza oscilla. Qualcosa la trattiene e decodifica i suoni registrati dal cervello. Rumore di passi. Di voci. Che si avvicinano. Paura. Istinto di sopravvivenza. Non muoversi. Uno stivale le scivolò sul ventre. La girò. «Ehi! Hai mai sentito parlare di lesioni post mortemi Grugnito.» «Allora vacci piano!» Qualcuno le raccolse le braccia, gliele incrociò sul petto, con dolcezza. Poi la presero sotto le ascelle e dalle gambe, con mille precauzioni. La sollevarono. La portarono via. Era piacevole. La testa ballonzolava. La frescura della notte. I profumi nell'aria. Il borbottio di un motore. Portiere che si aprono. La appoggiarono come un fiore. Scalpiccio di scarpe. Sbattere di portiere. Partenza. Qualcosa accanto. Dall'odore familiare. La mano si spostò. Lentamente. Toccò un jeans. Un giubbotto. Chris. Gli strinse il braccio, la pelle. Fredda come la morte. Tyna si trattenne dall'urlare, ma aprì gli occhi. La cabina era buia e chiusa. Senza vetri. Era sola. Con Chris. Gli passò la mano sul viso, gli toccò i denti. Il conducente alzò il volume della radio. Un vecchio rock sudista attraversò il tramezzo divisorio. Il furgone accelerò. Tyna si rialzò. Non aveva alcuna paura. Forse era l'effetto dell'eroina. Con estrema lucidità capì subito capire cosa fare. La maniglia dietro era chiusa. Cercò a tastoni la chiusura di sicurezza e la sbloccò. Il furgone procedeva. Rallentava. Accelerava. I rumori del traffico si fecero più distinti. Alla fine si fermò, con il motore al minimo. Tyna azionò la maniglia. Spinse la portiera. I fari di un'auto ferma dietro il furgone l'accecarono. Si protesse gli occhi con la mano e saltò. Broker stava battendo il tempo sul cruscotto del Blazer. Quando vide aprirsi le portiere del furgone, rimase pietrificato, con la bocca spalancata. «Corri!» urlò. «Becca la stronza!» Il guidatore schiacciò il pedale. Il convertitore borbottò e il 4X4 fece un balzo. Tyna si tuffò di lato, Broker finì contro il parabrezza. Rispedito sul sedile, aprì la portiera con un calcio e si lanciò fuori. «Sbrigatevi a portare il tipo a casa sua! Io mi occupo della ragazza» gridò mentre si buttava.
Senza girarsi, Tyna si infilò nella strada deserta di un quartiere che non conosceva. Sentì il rumore della lamiera, lo sbattere delle portiere, riconobbe la voce di Broker che le ordinava di fermarsi. E il rumore dei suoi passi che la rincorrevano. Si sentiva bene, agile e rapida, la punta delle scarpe da ginnastica sfiorava il suolo. Prese una strada a caso sulla destra. Una strada più animata. La gente si faceva di lato davanti a lei. Le luci apparivano fugaci e indistinte. Broker urlava. Non capiva cosa, non se ne preoccupava. Un uomo la afferrò per la manica, lei si girò, gli diede una sberla e lo lasciò con un pezzo di stoffa tra le mani. Ebbe il tempo di vedere Broker e gli occhiali del tizio che volavano via. Il grosso Rock appariva estremamente goffo mentre parlava al cellulare correndo. Tyna svoltò ancora. La strada saliva. Dritta e vuota. Molto presto un dolore le sferzò il petto. «Tieni duro, cuoricino, tieni duro!» si canticchiava Tyna in testa. La strada continuava a salire. Senza vie di uscita. «Tieni duro, cuoricino, ti supplico.» La strada saliva anche per Broker, che ansimava come un toro. Tyna giunse a uno spiazzo da cui si aprivano tre strade a ventaglio. Scelse quella più a sinistra. Arrivato all'incrocio, Broker la perse di vista. Riprese fiato e diede ordini per telefono. Tyna cambiò direzione due volte. La zona scarseggiava di illuminazione. Una stradina stretta costeggiava un magazzino. A tratti le lamiere che facevano da recinto erano sganciate e sembravano sul punto di cadere. Si infilò tra due pannelli. Oltre la barriera era tutto immerso nell'oscurità. Distinse la sagoma di un edificio e vi si diresse. Con un piede urtò un ostacolo che le fece perdere l'equilibrio. Cadde a terra e lì rimase, in ginocchio, cercando di capire cosa la circondasse. Mucchi di terra. Masse di detriti. E l'edificio, che sembrava in pessimo stato. Come reazione allo sforzo iniziò a sudare. Le tremavano le mani. L'estrema lucidità cominciava a incrinarsi, lasciando filtrare la paura. Un'ondata di nausea la piegò in due. Decise di continuare fino all'edificio prima di perdere le poche forze che le restavano. Broker aspettava in piedi all'incrocio. Fece segno a due 4x4 che risalivano la strada uno dietro l'altro a velocità ridotta. Gli rispose un fanale lampeggiante. Dai veicoli ormai fermi uscirono dei Rock pronti all'azione. Tyna trovò un accesso murato. Girò attorno a un mucchio di calcinacci,
oltre il quale un lembo di muro sfondato offriva una breccia in cui riusciva a infilarsi di misura. Si intrufolò. L'interno puzzava di urina e muffa. Tyna procedette a tastoni, fino a raggiungere un tramezzo. Ci si appoggiò e si sedette, con le gambe stese. E finalmente riuscì a sciogliersi in lacrime. Johanne manovrò il mouse e cliccò. «Ma è fantastico! Devi essere al settimo cielo! Vedi che avevo ragione...» Lei buttò giù un sorso di caffè, appoggiò la tazza accanto alla tastiera e scrisse la risposta. «Settimo cielo? Molto di più! Non sto più nella pelle. Ieri sera ho faticato ad addormentarmi e questa mattina mi sono alzata prima dell'alba. Avevi mille volte ragione, Cool. Ti mando tanti baci!» «Grazie! Ma non dimenticare la tua promessa!!!» «Non la dimentico! Dipingerò apposta per te. Ma non oggi... oggi sono incapace di fare qualsiasi cosa... ho rovesciato due volte il caffè. E non la smetto di andare alla finestra per vedere se per caso è arrivato il tipo della galleria...» «Quando deve arrivare?» «Non prima di oggi pomeriggio... sono stupida, eh?» «Ma no, Johanne, sei semplicemente felice.» «Sì, e lo devo solo a te.» «Sai, anch'io sono felice di esserti stato di aiuto.» Tyna dormiva con le mani tra le cosce e la testa appoggiata al muro. Si svegliò di soprassalto e si guardò attorno. La luce del giorno filtrava attraverso i vetri in frantumi del tetto. Del primo piano restava solo la parte in cui si trovava lei, larga una dozzina di metri, lunga il doppio, a forma dì L. Il resto era crollato. Se il giorno prima avesse superato il tramezzo... Tyna strisciò sulle ginocchia e per poco non si ruppe l'osso del collo. C'era un dislivello di almeno dieci metri. Il piano terra, ingombro di mattoni, ferraglia, fusti arrugginiti, contava diverse tracce di fuochi da campo. Una porta metallica scorrevole sfilatasi dalla guida assicurava ormai una chiusura appena simbolica, una scala in stato pietoso permetteva ancora di accedere a quanto restava di quella parte di edificio. «Io ti dico che potrebbe essere passata di lì!» Tyna si buttò indietro. «Bah, è troppo piccolo.»
La voce proveniva dalla breccia. «Bisogna comunque andare a vedere.» I due tizi si allontanarono dall'apertura, la loro conversazione divenne incomprensibile. Tyna cercò una scappatoia. Fuggire attraverso la breccia... potevano essercene degli altri. Passare dalla porta... rischiava di cadere loro in braccio. Un nascondiglio... non ne vide. O forse di fronte. Nella gamba corta della L, si vedevano, come appesi nel vuoto, quelli che dovevano essere stati i bagni del personale. Tazze e lavandini rotti, porte staccate, eccetto una, appoggiata a un resto di tramezzo. Se fosse riuscita a nascondersi lì dietro... le due gambe della L non erano collegate, forse non sarebbero arrivati fin laggiù. Tyna procedette radente al muro sulla punta dei piedi, fino al bordo. Saltare. Prendere molto slancio e saltare... Misurò la distanza. Non ce l'avrebbe mai fatta. Dieci metri sotto, dei ferri da cemento sbucavano dal suolo, puntati verso di lei. La porta del piano terra scricchiolò e urtò qualcosa. Come un colpo di gong che risuonò nell'edificio. «C'è qualcosa che intralcia! Vieni ad aiutarmi!» Tyna misurò di nuovo la distanza. Impossibile. Lungo il muro correva una specie di cornicione perforato largo qualche centimetro. Impossibile. «Porca troia, piscerai dopo, vieni ad aiutarmi!» Tyna poggiò il piede sul cornicione, si incollò al muro e tese le braccia. Le sue dita graffiavano i mattoni, cercavano una presa. Si accontentarono di quello che trovarono. «Che rompicoglioni che sei...» "Non avranno mai il coraggio, non avranno mai il coraggio, non avranno mai il coraggio..." mormorava Tyna saldata ai mattoni. Fece qualche passo, raggiunse l'altra sponda e si precipitò nel pezzo di edificio. Quando si appiattì dietro la porta, risuonò un nuovo colpo di gong. Più forte del precedente. Tyna li sentì imprecare, spostare pietre, rovesciare fusti. Anche parlare. «Se non la ritroviamo siamo nella merda!» «Broker è nella merda, a noi che ci frega.» «Sì, ma è comunque meglio se la ritroviamo.» «Stai attento, ha l'aria di essere marcio.» «Bisogna che saliamo uno dopo l'altro.» Imprecazioni, macerie che cadevano, altre imprecazioni. E voci più vicine. «Be', di sicuro non si può nascondere lì.»
«Già... o di fronte.» Rumore di suole di gomma. «Dovrebbe avere le ali.» «Si può saltare.» «Ah sì? Be', tu vai pure. Io ti seguo.» Silenzio. «È vero che è piuttosto lungo.» «Hai ragione! Eh? Cosa te ne frega?» Ticchettii metallici. E un rumore assordante, colpi, rimbalzi, schegge di mattoni, legno, gesso. Polvere e fumo. Tyna si mise una mano in bocca per impedirsi di urlare. «L'avete beccata?» fece una voce dall'esterno. «No! Quel coglione di Lew ha sparato a un topo!» «Che razza di fottutissimo imbecille!» Lew espulse il caricatore dell'Uzi e lo sostituì con uno nuovo di zecca. «Comunque l'ho beccato quello stronzo!» «Già, andiamo adesso. Ci sono altri buchi da controllare. Ma tu stai calmo con il tuo PM, o vuoi far arrivare gli sbirri?» «Bah, qui non ne girano.» Tyna si tolse la mano dalla bocca molto tempo dopo che era tornato il silenzio. I denti avevano segnato le falangi. Ma non i puntini blu. Si lasciò scivolare lungo il tramezzo e restò seduta, con le ginocchia al petto, a guardare la porta senza vederla. Una scheggia le aveva ferito la guancia, con la punta della lingua si asciugò il rivolo di sangue che le colava sulle labbra. Spowart effettuò un secondo passaggio. Non aveva notato nulla di sospetto al primo, né auto né curiosi. I ragazzini che giocavano nelle piscine smontabili assomigliavano a tutti quelli che intendevano approfittare appieno dell'estate. I genitori sorvegliavano la propria progenie o il barbecue, ma non la strada. Spowart parcheggiò davanti alla villetta. Né più né meno grande delle altre. Se Johanne disponeva di una piscina, non dava sulla strada. Lionel verificò la pettinatura nel retrovisore, si passò una mano tra i capelli, prese la valigetta portadocumenti, uscì dall'auto e si diresse verso l'ingresso.
Il suono del campanello coincise con lo spalancarsi della porta. Lo stava sicuramente spiando. «Buongiorno! Hai fatto fatica a trovarmi?» Un abito giallo arancio, corto e abbastanza attillato; un'ombra di trucco attorno agli occhi; scarpe aperte a tacco alto; unghie smaltate. La sbirra si era fatta bella. Anche se il nastro tra i capelli non era proprio la fine del mondo. Gli tese la mano sorridendo. Lui la strinse. «No, no, nessun problema! Ma stavo talmente attento a guardare i numeri, che mi sono perso il tuo. Quindi sono tornato indietro.» «Oh. Sarà per via del ramo... è tanto che devo farlo potare. Ma ti prego, entra.» Scomparve. Lionel notò che aveva abbandonato la violetta per un profumo più pesante, sicuramente francese, ma che un po' stonava col personaggio. Le chiese subito di vedere le tele. La sbirra gli fece strada fino al suo atelier. La giudicò un po' nervosa e affettata, ma non più di chiunque altro si trovi ad accogliere un ospite importante. Lionel si fermò davanti al cavalletto che mostrava uno schizzo. «Stai lavorando a questo adesso?» «Sì. Pensavo di finirlo in giornata, ma... non riuscivo a concentrarmi... Ci ho messo una vita a mescolare quei colori» mostrò la parte destra della tela «e il risultato non mi convince del tutto.» «Ah sì? A me sembra promettere bene, però.» Lei scosse la testa. E spiegò cosa cercava. Il fondo aveva un colore dominante troppo luminoso. Johanne parlò, né nervosa né affettata, semplicemente appassionata. E precisa. Lionel dovette ammettere che aveva ragione. «Hai ragione» dichiarò con una sincerità non simulata. «Come lo descrivi tu sarà ancora meglio.» «Credo di sì» rispose lei senza millanteria. Ma sai, finché non si è arrivati in fondo... A volte mi vengono cose molto lontane da quelle che immaginavo. «È quel che rende la creazione così interessante, no?» Johanne inclinò la testa di lato, una ruga di riflessione si iscrisse tra le sopracciglia depilate. «Credo che questa parte di imprevisto conti molto per me. Ho paura che mi manchi un po' di rigore... Fanno così anche gli altri?» Lionel agitò la mano sopra la spalla.
«Oh, lascia perdere gli altri! Lavora come senti di dover procedere, è questo l'importante. Visto che il risultato è eccellente.» «Mmm... forse prima dovresti accertartene» disse lei mostrando le tele sistemate di taglio in fondo alla stanza. Non aveva mentito. Ne aveva diverse. «Sono venuto apposta, ma con un pregiudizio a tuo favore.» Spowart cominciò a tirar fuori le tele ed esaminarle, tenendone alcune da parte e rimettendone a posto altre. Che a volte ritirava fuori poco dopo. A più riprese a Johanne venne voglia di fare un commento, ma si astenne. Lui si muoveva in silenzio, con gesti delicati. Qualsiasi intervento sarebbe stato intempestivo. Aveva letto o sentito dire che quando un quadro viene presentato al pubblico, l'artista non deve essere lì a difenderlo. L'opera parla da sola, o non parla affatto. Per la verità, l'affermazione forse era stata fatta a proposito di libri e librai, ma lo sguardo acuto di Lionel che esaminava i quadri ne era comunque un'ottima esemplificazione. Quando ebbe finito, Lionel annuì con il capo e tornò da lei. Da attenta e grave la sua espressione si fece amicale, con quella briciola di tristezza che Johanne aveva notato il primo giorno, attenuata ma non cancellata dal sorriso. Aprì le braccia, come in preda a un profondo imbarazzo. «Peccato che non abbia abbastanza posto, ne avrei presi volentieri degli altri... Il mio pregiudizio era giustificato. Le tue tele sono affascinanti, brava, Johanne, brava.» Non sapendo cosa rispondere, lei mormorò qualcosa di incomprensibile abbassando gli occhi. «Permetti?» domandò lui mostrando un quadro che voleva appoggiare sul cavalletto. «Certo.» Procedette nel cambio, le chiese di avvicinarsi e fece una smorfia. «Permetti anche che te lo tolga?» proseguì indicando il nastro che le teneva i capelli raccolti. Lo slegò senza aspettare la risposta. Si trattava di abituarla al contatto. Le dita le sfiorarono la nuca. Johanne non tentò in alcun modo di allontanarsi. Le sciolse i capelli, le sistemò un ciuffo dietro l'orecchio e le girò leggermente il viso perché prendesse una posa di trequarti, come nell'autoritratto. Lo sguardo si spostò da lei al quadro. Un lungo minuto. «Davvero affascinante» disse infine. «La tua pittura è di una rara sobrie-
tà e tuttavia la somiglianza è sconvolgente. In questo più ancora che in quello che hai lasciato alla galleria. Cogli solo l'essenziale, ed è più che sufficiente. Poche persone lo sanno fare...» Di nuovo lei mormorò qualcosa di indistinto, arrossendo. «Ho avuto una fortuna incredibile a incontrarti» concluse Lionel. Le si avvicinò e le porse il nastro che teneva in mano. Lei lo prese e lo riannodò ai capelli. «Sai, secondo me è meglio senza.» Lei si fermò. «O forse» proseguì Spowart, «potrebbe andare altrove.» La guidò davanti allo specchio appeso alla porta, recuperò il nastro e glielo mise attorno al collo. Lo annodò senza stringere troppo. Di nuovo le sue dita le sfiorarono la nuca e le spalle quando le sistemò i capelli per nascondere il nodo. «Ecco. È un po' lungo, ma l'idea non è male, no?» Johanne si contemplò allo specchio. Il risultato le piacque. Osservò lo sguardo di Lionel, che le piacque altrettanto. «Hai ragione, è meglio così.» Le strinse la spalla. «Prepariamo i quadri? Hai il necessario?» Lei gli mostrò un rotolo di carta kraft. Lavorarono per terra, in ginocchio. Tagliando, incollando o annodando lo spago, Lionel cercò in tutti i modi di toccarle le mani, talvolta le braccia. Johanne aveva l'aria più distesa, senza essere totalmente a proprio agio. La sorprese più volte a guardarlo. Per esperienza, avrebbe detto che il suo fascino stava facendo effetto. Ma non aveva alcuna esperienza delle reazioni di una poliziotta di fronte a quello che sospettava essere un assassino della peggior specie. Il giudizio che si era fatto non assomigliava però a quello che stava accadendo. Lionel parlò di sé, delle sue difficoltà con la galleria. Disse quanto bastava per farle capire che era solo senza essere un solitario, agiato senza essere ricco e, soprattutto, buono come un pezzo di pane. Quello che gli raccontò la poliziotta confermò le informazioni di CoolWebeur, non quelle di Stracey. Il contrario l'avrebbe sorpreso. Tyna spinse la porta con il piede. Quanto era rimasta sdraiata? Non ne aveva idea, non aveva guardato l'orologio. Sicuramente diverse ore. Una sete divorante gli seccava bocca e gola, perfino deglutire era doloroso. Lasciò l'angolino. Un tubo saliva lungo il tramezzo, collegato a un rubi-
netto. L'acqua doveva essere stata tolta da diverso tempo. Ma sarebbe stato troppo stupido non tentare. Tyna cercò di girare il rubinetto; bloccato. Ci provò con tutte le sue forze, ma non riuscì comunque a muoverlo. Allora prese un mattone e cominciò a colpire. L'ottone stridette e alla fine si spostò. Tyna lo svitò fino in fondo. Non uscì nulla. Era solo servito a farla sudare. Il cornicione... per andarsene bisognava passare di nuovo da lì. I ferri da cemento erano sempre puntati verso di lei. Perché non pioveva? Avrebbe potuto bere dalle grondaie. Guadagnare tempo. Dall'altra parte dei vetri il cielo restava disperatamente azzurro. In ogni caso, prima o poi sarebbe dovuta uscire. Tyna mise avanti il piede, provò la solidità dell'appoggio e tese il braccio. I quadri impacchettati erano sistemati nel corridoio. «Resta solo da firmare il contratto» disse Lionel con un'espressione di scuse. «Oh, l'ho già firmato! Vieni, andiamo in sala.» La seguì, portandosi la valigetta, e si sedette sulla poltrona che lei gli indicò, accanto a un tavolino che la separava dal divano. Johanne aprì il cassetto di un secretaire e gli diede la sua copia, debitamente siglata. La firma non aveva nulla di complesso. Desjardin si leggeva senza grosse difficoltà. Lionel pescò l'altra copia dalla busta, la firmò e gliela diede. Johanne firmò a sua volta. Senza esitare. «Ecco qua... È tutto a posto, adesso sta a me fare la mia parte» disse Lionel sistemando i documenti nella valigetta. Johanne era immersa nella lettura dei suoi fogli. «Qualcosa non ti convince?» chiese Lionel. Lei ridacchiò e scosse il capo. «Oh no! Mio Dio, no! Mi sarei accontentata di molto meno. Non merito...» Spowart si chinò e le appoggiò un dito sulle labbra. «Ssshh.» Lei lo guardò sorpresa, accigliata. Lui premette ancora il dito un istante, poi tolse il dito e lo agitò a destra e sinistra. «Non dirlo mai, Johanne. Si fanno prestiti solo ai ricchi. Spero che molta gente veda i tuoi lavori e li apprezzi. Ma ci sarà sempre l'imbecille che viene solo per criticare, perché per lui si tratterà di provare la propria esi-
stenza o semplicemente perché si diverte a ferire. Quindi, non svalutarti mai. Ci penseranno altri a farlo, e non avranno bisogno del tuo aiuto. Resta te stessa, solo te stessa, e ci si romperanno le corna. D'accordo?» Lei era seduta sul bordo del divano, gambe chiuse, mani sulle cosce, perfetta scolara che annuiva con un movimento del capo. Lionel proseguì. «Tu non meriti ciò che ti offro, perché quello che meriti io non posso offrirtelo, te l'ho già detto. Ma io sono solo l'inizio del viaggio.» Johanne lo interruppe con un gesto. «Sai, tutto questo è nuovo per me, e non penso troppo al futuro. I progetti non sono il mio forte. Ho troppa paura di sbagliarmi.» Le prese il polso e glielo strinse. «Allora diciamo che non ti ho fatto nessun regalo. Non ho i mezzi per fare regali.» Lei rise, lui le lasciò il polso. «Okay, ma non mi sembri nemmeno un grosso agente famelico!» Lionel rise a sua volta. «Per la miseria, no.» Tornato serio, aggiunse. «L'onestà è un lusso che posso permettermi.» Poi le piantò lo sguardo negli occhi. Johanne non batté ciglio, né arrossì. Osservò l'iride azzurra, chiedendosi cosa producesse quell'effetto su di lei. Non aveva mai sentito la presenza di un uomo con tanta forza. E dal primo giorno, o quasi. Ogni volta che l'aveva sfiorata, lei aveva avuto voglia dì prolungare il contatto. Senza mai osare, per il timore di dare l'idea di offrirsi in premio. Ma non osava nemmeno adesso che il contratto era firmato, che non poteva dipendere da quello. Lei, che non si era mai preoccupata dei pregiudizi, ora temeva il giudizio di Lionel. Che la disprezzasse e se ne andasse. Ma stava comunque per andarsene. Tanto peggio. Non poteva farci nulla. Spowart la trovò simile a tutte quelle che aveva conosciuto. Con tutte le altre idiote a quel punto sarebbe passato alle vie di fatto. Ma forse questa idiota era diversa dalle altre. Forse non era idiota del tutto. «Non ti ho offerto niente da bere!» esclamò Johanne. «Vuoi qualcosa? Coca, birra, whisky, vodka.» «Una Coca, per favore, grazie.» Lei scomparve in cucina. Lionel osservò la sala come aveva osservato l'atelier e il corridoio, per esperienza acquisita. Trovare una netcam sarebbe stata una prodezza, senza parlare di un microfono...
Quando la ragazza tornò con in mano un vassoio, lui spostò la valigetta sul tavolo. Lei aprì le lattine e riempì i bicchieri. «Ops! Ho dimenticato il ghiaccio!» Tornò in cucina. Lionel la sentì armeggiare alla porta del frigorifero. Tirò fuori una fiala dalla tasca. Aveva pensato di dare alla sbirra qualcosa per distendersi. Ma uno sbirro poteva riconoscere gli effetti di quella roba e diffidarne. La fiala che teneva in mano non conteneva nulla e l'aveva passata tre volte in lavastoviglie. Finse di rovesciarne il contenuto in modo ostentato nel bicchiere di Johanne. Se qualcuno li stava sorvegliando, non l'avrebbero lasciata bere. E agitare una fiala vuota sopra un bicchiere non era un reato penalmente perseguibile. Johanne tornò e mise dei cubetti di ghiaccio nei bicchieri. Brindarono. Lei bevve un lungo sorso, senza la benché minima esitazione. «Che sete avevo!» esclamò lei. «Anch'io» rincarò Lionel. Bevve di nuovo. Non successe nulla. Tyna aveva ripreso fiato, ma non si decideva ancora a lasciare l'edificio. Dove andare? I Rock volevano ucciderla. I posti dove cercare un aiuto, anche ipotetico, sarebbero stati sicuramente sorvegliati. E poi doveva avere un aspetto orribile con i jeans macchiati di nero, la maglietta strappata e sporca di sangue. E quello che non poteva vedere, lo immaginava. Si toccò la guancia, rompendo la crosticina secca, si pulì il taglio con quel poco di saliva che le. restava. Si passò le mani tra i capelli e scosse la testa. Caddero porcherie varie e polvere di gesso. In quello stato, il primo poliziotto che avesse incrociato l'avrebbe fermata. La polizia... forse era quella la soluzione... Tyna pensò di raggiungere il Travelodge. Forse con lo sbirro francese sarebbe andata meglio. No, gli sbirri sono tutti uguali. Tanto più che quello poteva anche essere francese, ma non assomigliava a Navarro. Piuttosto a quegli invasati dell'FBI, astuti e freddi come serpenti, che si credono a casa propria ovunque. E per dirgli cosa, poi? Quello che aveva fatto Broker? Sarebbero stati al settimo cielo, le avrebbero chiesto di testimoniare al processo. Sarebbe finita come altre che avevano creduto che la polizia le avrebbe protette. Aveva ancora il sapore del sudore di Broker sulle labbra, il solo pensiero le faceva venire voglia di vomitare. Quindi grazie tante, non aveva alcuna intenzione di rivedere il Rock. Dove andare? In qualsiasi posto dove poter bere. Anche la fame comin-
ciava a farsi sentire, un leggero bruciore alla bocca dello stomaco. Sciocchezze in confronto alla sete. Superò la breccia senza accertarsi se fosse rimasto qualcuno di guardia. Johanne guardava la mano appoggiata sul bicchiere vuoto. Lionel le prese il polso e se lo portò davanti al viso. «Si parla sempre di mani d'artista...» Dal modo in cui la teneva poteva sentirle il polso. «Mani d'artista, non c'è una definizione, ma basta vederne una per capire cosa significa.» Le appoggiò il dito sull'unghia dell'indice. «Forse sta tutto qui. O qui, o qui.» Scese sulle falangi, premette la giuntura dell'indice e del medio. Lei allargò le dita. Il polso le accelerò. «Sei un donna sconcertante, Johanne.» E una poliziotta sconcertata. O l'inverso. Glielo si leggeva chiaramente negli occhi, lo si percepiva dalle vene. Lei non parlava, aspettava. Spowart le accarezzò la fronte, scivolò sulla guancia, si spinse a sfiorarle la bocca. Lei trattenne il respiro e gli bloccò il dito tra i denti. "O la va o la spacca" pensò. Chiuse gli occhi e sospirò, la pressione calò. Lui spinse il dito più in profondità, la lingua gli sfiorò l'unghia. Lionel le strinse la spalla. Johanne obbedì, si chinò sul divano. Lui la baciò, travolgendola completamente. Poi le fece scivolare una mano sotto la nuca e sciolse il nastro. Lei cercò di riallacciarlo. Lionel le alzò i polsi sopra la testa, glieli incrociò e li legò con il nastro. Un nodo stretto ma semplice. La sentì irrigidirsi e vide brillare un lampo di inquietudine tra le palpebre socchiuse. Il contatto delle labbra sulle ascelle la fece fremere, cancellò l'inquietudine. Quando con la lingua le toccò la pelle, la esplorò, non riuscì a trattenere un gemito. Lionel la baciò di nuovo e cambiò posizione. Si mise sopra di lei, le accarezzò le spalle, l'interno delle braccia, osservando sul suo viso il piacere che aumentava. I pollici si appoggiarono nell'incavo delle ascelle. Con un gemito, sotto la pressione delle sue dita, si lasciò guidare, stendendosi completamente, una gamba sul bracciolo, l'altra ancora piegata. Il movimento le scoprì un po' di più le cosce, offrendole all'occhio della netcam nella valigetta portadocumenti. Lionel si chinò sulle sue labbra. La bocca di Johanne era avida, cercava
la sua lingua. Le appoggiò la mano sulla gola, la sentì palpitare, e scese lentamente sul petto. I seni le gonfiavano l'abito, i capezzoli turgidi tendevano la stoffa. Che lui sfiorò con il palmo. Lei si inarcò, gemette nella sua bocca. Le slacciò un bottone, due, tre, scostò il tessuto. Lei sospirò, come liberata. Le massaggiò un seno, poi prese un capezzolo tra due dita e strinse. Le lingue vibravano al contatto. Accentuò la pressione fino a sentire la sofferenza nei suoi gemiti e uno spasmo di dolore che la irrigidì. Lionel lasciò la bocca, prese il capezzolo tra le labbra e aspirò. Scossa dall'ondata di piacere, Johanne gridò a bocca spalancata con la testa buttata all'indietro. Lionel lasciò correre la mano fino al ginocchio, poi risalì all'interno della coscia. La sentì tremare e soffocare un grido quando le premette il pube attraverso lo slip. La stoffa era bagnata. Premette di nuovo. Lei non soffocò il grido, ma vi aggiunse una nota di rimprovero quando Lionel si alzò. Prese le caviglie e le riunì, slacciò i laccetti delle scarpe, che caddero a terra. Lionel la guardò un istante: polsi legati, testa inclinata di lato, abito aperto sul petto, respirazione spezzata, gambe tese che riposavano tra le sue mani. L'immagine gli piacque. Le mani risalirono lungo le gambe, sollevarono la gonna fino alle anche. Il respiro dì Johanne si fece più affannato. Raggiunse l'elastico dello slip e iniziò a sfilarlo. Lei piegò le ginocchia per aiutarlo. La liberò, poi le allungò le gambe sul bracciolo, che arrivava alle pieghe delle ginocchia. Lionel le tenne chiuse, si inginocchiò lì davanti e vi posò sopra le braccia. Johanne obbediva alla pressione della sua bocca, allargava le cosce seguendo i suoi baci. Lionel non distolse lo sguardo e la vide oscillare la testa da destra a sinistra, con labbra semiaperte a emettere sospiri inarticolati e la lingua che sembrava mimare ciò che lei immaginava. I sospiri divennero gemiti. Lionel risalì all'inguine. Lei gli tese il ventre. Con la punta della lingua le ridisegnò l'ombelico. Poi affondò nelle sue cosce. Lei gridò quando le strinse il clitoride tra le labbra e gli prese la testa tra le mani, premendogli la bocca sul ventre. Il nastro si sciolse. E il grido si fece ancora più forte quando la penetrò con la lingua. Tyna si orientò grazie all'autostrada Metropolitana. Era sempre sull'isola di Montreal. Lontana dal centro, ma sarebbe potuta andare peggio. Perché il centro? Non si era posta la questione. Perché era la sua zona e andarci le sembrava logico e rassicurante anche senza soldi né documenti. Camminava da una mezz'ora, e a ogni passo la gola le bruciava di più. Bere era diventato un'ossessione. Non aveva trovato alcuna fontana per strada, i cippi antincendio erano incatenati e i pochi passanti che aveva in-
crociato l'avevano guardata in modo strano; figurarsi se qualcuno aveva voglia di offrirle da bere. Tyna svoltò un angolo e per poco non urtò contro la bancarella di un fruttivendolo. Verdura e soprattutto mele, moltissime mele, di tutti i colori. Si trattenne dal buttarsi sui frutti. La strada era più animata e il fruttivendolo era sulla porta. Lei gli passò davanti come se non lo vedesse nemmeno poi, dopo una cinquantina di metri, si fermò e si appiattì a un muro. L'uomo stava parlando con una cliente. La donna scelse qualche verdura ed entrò nel negozio. Tyna si diresse verso la bancarella, afferrò tre mele e, appena svoltata la strada, si mise a correre. Nessuno gridò. Infilò qualche stradina, si rannicchiò in un portone e divorò due mele. Torsolo e semi compresi. Guardò a lungo la terza e alla fine se la infilò nei jeans. Con la sensazione di aver superato una prova. Il sole di Montreal le parve meno duro. Da lontano intuiva la montagna. Quello era un buon posto. Ci avrebbe trovato acqua, frescura, tranquillità. Savoie rise. «Eh sì, vecchio mio! Non è proprio il tuo mestiere! Non puoi farci niente...» Il dorato che aveva appena tirato in barca completava una serie di tre. «Bah» rispose Brenner. «Se potessi pescare con esche vive, ti farei vedere io cos'è il vero mestiere!» «Ma certo. E perché non con l'esplosivo?» Brenner alzò gli occhi al cielo. «Te l'ho già spiegato, non sarai mai un vero pescatore finché non provi con le esche vive. Punto e basta.» «Già, ma qui è vietato. Non siamo barbari.» «È proprio un argomento da inglesi, questo!» Brenner indicò il dorato che si dibatteva nell'agonia in fondo alla barca «Perché invece pensi che il tuo amo non gli faccia male? Senti, c'è un film di cui mi piacciono tantissimo le prime scene, dove si vede un tipo, Belmondo, che sta facendo a pezzi dei mobili di gran classe con il piede di porco, e intanto dice: "Sono un ladro, faccio uno sporco lavoro, quindi devo farlo in modo sporco!".» «Io non sono inglese, socio. Non facciamo confusione, prego.» «Hai ragione, scusami. Ho detto una sciocchezza.» «Mmmm... Comunque è vero che i francesi non sanno perdere.» «Parla parla, ma intanto la giornata non è ancora finita.»
Doug fulminò Broker con lo sguardo. L'aveva insultato come mai prima e Broker non aveva replicato nulla, perché non aveva nulla da replicare. Aveva fallito, era peggio che una cazzata, era una catastrofe. E si considerava fortunato che Oshtrom non gli avesse scaricato la calibro 45 in pancia. Del resto, niente gli impediva di farlo, soprattutto se non riusciva a beccare in fretta la puttanella. «La troveremo, Doug, non ti preoccupare» dichiarò con tutta la convinzione che riuscì a racimolare. «Nel frattempo lei è a casa del diavolo, se non direttamente dagli sbirri...» «È una puttana, le puttane non vanno dagli sbirri.» Oshtrom scosse il capo, desolato. «A volte mi chiedo se tu non sia un po' coglione. Cosa fai? Conti sulla moralità di una puttanella che hai tentato di ammazzare?» Broker strinse i denti ancora una volta. Se Tyna raccontava tutto agli sbirri, era lui che doveva farsi carico della responsabilità e saltare per aria. Era la legge, la loro legge. E agli altri toccava far sì che i testimoni non testimoniassero più. Anche questo faceva parte della legge. Era disposto a sopportare la collera di Oshtrom, ma fino a un certo punto. «Stiamo sorvegliando il Travelodge» replicò «lo SPCUM e tutti i posti dove potrebbe trovare rifugio, e anche di più!» «Per fortuna! Intanto, però, teniamo degli uomini occupati solo su questo incarico; sai quanto ci costa?» «Meno che se la puttana parlasse.» «Ovviamente! Ma non possiamo mantenere questo spiegamento in eterno.» «Non ci metterà molto. È sola, senza documenti, senza soldi, prima o poi chiederà aiuto a qualcuno. E noi saremo lì.» «Lo spero, e questa volta non voglio casini. Se Tyna rivolge la parola a qualcuno, chiunque sia, tu lo elimini.» «Anche se è un sbirro?» «Ho detto chiunque. E se è uno sbirro, cerca di fare in modo di essere negli Stati Uniti prima che il cadavere si sia raffreddato. Okay?» «Okay.» Come tutti i fine settimana, Mont-Royal straripava di attività. Podisti, ciclisti in mountain-bike, cittadini a passeggio, turisti. E poliziotti. Sebbene le due agenti che stavano risalendo nella sua direzione avessero
un'aria bonacciona da maman grassocce, Tyna ritenne prudente nascondersi tra gli alberi. Più di dodici chilometri di parco offrivano sempre il modo di isolarsi. Addossata a un albero, seguiva con la coda dell'occhio le due donne in uniforme che, immerse in una discussione animata, non prestavano molta attenzione al resto. Tyna aspettò comunque che fossero scomparse per raggiungere il viale e scendere verso il Lago dei Castori. Il bar era gremito di gente; attraversando la sala evitò di guardare i boccali di birra e i piatti di patatine. I tre wc delle toilette erano occupati, non c'era nessuno ad aspettare che si liberassero. Tyna bevve direttamente da un rubinetto del lavandino fino a scoppiare. Poi si lavò la faccia e passò i capelli sotto il getto. L'acqua colava grigiastra. La donna che uscì da un wc si fermò un secondo quando la vide, ma non fece commenti, per lo meno udibili. Tyna si osservò allo specchio. Tratti tirati, occhiaie, guancia tagliata. All'odore acre del suo sudore, a cui aveva finito per abituarsi, si aggiungeva ora quello di cane bagnato dei capelli. Non proprio un gran quadretto. Ma comunque quel po' di toilette le aveva fatto bene. Si insaponò mani e avambracci e si sciacquò massaggiandosi con la punta delle dita la vena che le faceva ancora male. Quando una delle porte dietro di lei si aprì, si tirò giù la manica; era meglio non esporre il rigonfiamento rosso violaceo nella piega interna del gomito sinistro. La donna si fermò davanti al lavandino accanto. Tyna entrò nella toilette. Prima di uscire, srotolò un bel pezzo di carta che piegò con cura e si infilò in tasca. Poteva sempre servire. Seduta in riva al lago, si tolse le scarpe e infilò i piedi nell'acqua. Che meraviglia! Si sdraiò con un sospiro di sollievo. Il prato era morbido, con un buon odore d'erba. Tirò fuori la mela dalla tasca e le diede un morso senza togliere i piedi dall'acqua. Andarsene da Montreal, ci aveva pensato spesso, ma questa volta doveva farlo sul serio. Ottawa, mah... Gli Stati Uniti, New York, un vecchio sogno... Senza passaporto, senza documenti, senza soldi... Non c'era bisogno del passaporto per andare negli USA. Ma dei soldi... ce ne sarebbero voluti anche per restare... Trovare un cliente... Nel parco si rischiava di beccare un provocatore che l'avrebbe portata dritto dagli sbirri. Altrove incombevano i Rock Machines, e tutti quelli che lavoravano per loro li avrebbero sicuramente avvisati. Senza contare che, date le condizioni in cui era, nessuno avrebbe pagato per il culo della piccola Tyna. Farselo sì, ma
comprarlo... Tornare a casa di Chris, recuperare i vestiti e i dollari nascosti nell'appartamento. Assolutamente no. Avrebbe incontrato Broker, gli sbirri, forse tutti e due. Sicuramente il cadavere di Chris. Questo l'aveva capito, o sentito, non lo sapeva. Un po' puttana, un po' tossica, ma non completamente idiota. Non le interessavano gli annessi e connessi di una faccenda che non capiva; quello che sapeva per certo era che nessuno l'avrebbe trovata, nessuno le avrebbe fatto del male. Stracey Layne giocava con il telecomando e continuava a fissare lo schermo. «Non male» disse sprofondando in poltrona. «Sì, eh» rincarò Spowart. «Non molto attiva, la sbirra, ma instancabile. Ci ha preso gusto, e parecchio anche. Non stava fingendo, puoi credermi.» Stracey riavvolse il nastro, cercò una sequenza, fermò su un'immagine e zoomò. Il viso di Johanne occupava tutto lo schermo. «Non sembra che si stia annoiando.» Continuò a ribobinare e aggiunse. «Ma a parte questo?» Spowart si versò di nuovo dello scotch e prese in mano il bicchiere. «A parte questo... le tele le dipinge lei, ne sono certo. E non riesco proprio a immaginarmi una poliziotta disposta a farsi scopare dal sospettato per chiarirsi le idee.» «Forse aveva voglia di unire l'utile al dilettevole, come te.» «Mah» fece Lionel alzando le spalle. «Cosa stai per dirci, Spowart?» chiese Stracey con una voce improvvisamente glaciale. «Che tutto questo è solo una coincidenza?» Lionel si portò il bicchiere alle labbra e tenne un po' di scotch sotto la lingua prima di inghiottire. I Layne lo osservavano. Assomigliavano a quello che erano: folli, viziosi e pericolosi. Un genere che lui conosceva bene, il suo. Capaci di immaginare di tutto. Di tutto. Niente escluso. Di fare le cose peggiori, per diletto tanto quanto per necessità. «No, non dico questo. Dico che so come è arrivata fino a me, ma non so perché. Se hai un'idea, ti ascolto.» «Un'idea...» sospirò Stracey come rapita dai particolari di uno dei lampadari del suo appartamento. Spowart attese a lungo il seguito. «Hai sospeso tutte le attività?» riprese lei senza davvero porre una domanda.
«Chiaramente, non sono mica stupido.» «Definitivamente?» «Almeno fino a quando non so dove metto i piedi.» «Quindi le tue installazioni restano operative?» «Naturalmente.» «I quadri della sbirra sono in macchina?» «Sì, non sono ripassato dalla galleria.» Stracey abbandonò il lampadario e guardò Lionel. «Allora va a prenderne qualcuno, ho voglia di investire.» «Di investire?» «Sì, la quotazione della tua poliziotta andrà alle stelle. È sempre così quando un pittore scompare.» Si poteva passare la notte nel parco. Tyna l'aveva già fatto. Lo Chalet proponeva ai clienti sedie a sdraio con cuscini comodissimi, che la sera venivano impilati dietro l'edificio. Uno dei suoi primi clienti le aveva fatto vedere il trucco. Un tizio alto che si spacciava per un attore del cinema: l'aveva scopata tutta la notte senza successo ed era scappato all'alba, senza pagare. Tyna aveva passato altre notti nel parco, solo per stare in pace, perché l'estate era breve o perché aveva avuto voglia di piangere senza testimoni. Si poteva anche trovare da mangiare nei bidoni. Bisognava solo arrivare prima degli animali. Era troppo presto. Qualche cliente del ristorante indugiava ancora sulla terrazza illuminata a giorno. Tyna restò tra gli alberi e si accoccolò ai piedi di un tronco. Una volta aveva letto un libro, pescato Dio sa dove. Parlava di bambini maltrattati, rifugiati in Central Park, che si trasformavano in belve selvagge, tra vampiri e lupi mannari. Il libro l'aveva spaventata, ma non aveva mai avuto paura di notte nel parco. Tyna strinse le labbra, sputò come un gatto ed emise un ringhio. Le luci alla fine si spensero, gli ultimi avventori andarono a letto. Tyna recuperò un cuscino e perfino un telo da bagno abbandonato. Ma niente cibo, i bidoni erano chiusi con il lucchetto, per via degli animali. Portò il materasso al coperto, si avvolse nel telo e si stese. Quante miglia aveva macinato quel giorno? Più di quante avrebbe mai immaginato di poter sopportare. E il mattino sembrava così lontano. Mentre il seguente sembrava già troppo vicino. Sarebbe stato un altro mattino a Montreal. L'idea che fosse l'ultimo stava lentamente prendendo forma. Chiara e inarrestabile, come tutti i progetti della notte che al risveglio non
sono altro che idiozie fumose. Si baciò i puntini blu e si raggomitolò su un fianco. CAPITOLO XVIII Rick puzzava di benzina, era stato maldestro nel travaso. Nel serbatoio della Chevy c'erano finiti tre galloni, un vero miracolo. Non proprio quel che serviva per andare lontano, visto i consumi del motore. Ma tanto non contava di andare lontano. Da quando quella stupida di Tyna l'aveva mollato come un imbecille, Rick era riuscito a procurarsi delle briciole. Niente di incredibile, appena a sufficienza, in attesa del resto. Che cominciava però a tardare in modo preoccupante. Rick ispezionò l'edificio. Un blocco di mattoni scuri con dei graffiti a metà altezza, stretto tra altri due. Non aveva trovato niente nella borsa della puttana, ma aveva letto un indirizzo su un documento ufficiale. Non ricordava più il documento, ma l'indirizzo non l'aveva dimenticato. Se lo ripeteva da due giorni. Era sicuramente quello di Chris. Bastava andarlo a trovare e lui gli avrebbe rimediato la roba. E se non fosse stato a casa... be', c'era da contarci, uno come lui aveva sicuramente qualcosa in casa, per forza. E se ci avesse trovato la puttana, tanto peggio per lei: l'avrebbe menata subito invece di stare a discutere. Rick cercò sotto il sedile passeggeri e tirò fuori un cric che si infilò sotto la fodera strappata della giacca. Si stava facendo giorno. Rick non aveva deciso a che ora agire, non era molto dotato per le operazioni di commando. Era solo che aveva di gran lunga superato la soglia del bisogno. All'ingresso trovò il nome di Chris su una buchetta della posta. L'ascensore lo portò al piano. Suonò il campanello, a più riprese, senza ottenere risposta. Prima di estrarre il cric, girò la maniglia. E la porta si aprì. Rick avanzò a tastoni nell'appartamento buio, con il cric in mano. Malgrado il tanfo di benzina, gli sembrava che ci fosse parecchia puzza, ma si accorse di Chris solo quando azionò l'interruttore della stanza. E ad attirare il suo sguardo non fu tanto il cadavere, quanto il flacone, il laccio di caucciù, la scatola e la siringa. Il flacone era pieno per tre quarti. Lo agitò. Davvero buona. Quel coglione se n'era fatta talmente tanta che ci era rimasto. Un altro che faceva lo sbruffone dicendo di non essere dipendente... Un fesso di meno.
Rick recuperò la siringa dalle mani del cadavere, sputò sull'ago e lo asciugò nella camicia, staccò il laccio, sistemò il materiale nella scatola e se lo infilò in tasca. Era tutta attrezzatura di prim'ordine. Roba da professionisti. Qualità chirurgica. Se non fosse stato così in astinenza, Rick avrebbe perquisito l'appartamento. Niente gli avrebbe impedito di tornarci, ma farsi in compagnia di un cadavere non lo ispirava. Corse giù per le scale. Fuori era giorno pieno. Shari Pavelin amava l'alba d'estate a Montreal. Quando per qualche istante la città era tutta sua. Soprattutto le strade in discesa. Cercava di prendere velocità. I suoi rollerblade scorrevano senza vibrazioni, quasi senza far rumore, un vero sballo. Jerry la distanziava di due lunghezze. Ma ancora per poco. Era risultato primo nel corso di formazione della pattuglia in pattini solo perché quel giorno lei aveva scontato un handicap: lo stress della prova a cronometro. Ma qui non c'erano cronometri. Agli esercizi di tiro l'aveva sempre battuto. L'agente Pavelin sorrise. Jerry aveva scelto l'opzione marciapiede. In teoria la migliore, perché offriva una traiettoria più lineare. Ma saltare il marciapiede significava perdere qualche decimo. E anche trovare un rivestimento di qualità inferiore. Jerry non era per niente tecnico. All'angolo della strada avrebbe sorpassato il primo della classe, che non avrebbe capito nulla. Jerry passò a tre metri a destra di una Chevrolet lurida parcheggiata male. Shari sfiorò il retrovisore sinistro. Il suo sguardo si soffermò su un tipo al volante, manica arrotolata, laccio tra i denti e siringa in mano. L'agente Pavelin credette ai propri occhi. Si girò su se stessa con una piroetta impeccabile e arrivò all'altezza del conducente. «Senta, lei!» disse bussando sul vetro. Rick, che non aveva visto arrivare nessuno, all'improvviso si trovò di fronte un casco, qualche ciuffo biondo, occhi castani e soprattutto lo stemma dello SPCUM stilizzato. Reagì dando un calcio alla portiera e buttandosi fuori dall'auto. Attaccata alla maniglia, Shari si girò sui pattini. Poi prendendo lo slancio da un pneumatico si gettò all'inseguimento del tizio che fuggiva. Lo raggiunse prima ancora che avesse attraversato la carreggiata. Rick si girò e cercò goffamente di scalciare. Shari si chinò, gli afferrò una caviglia al volo e lo fece cadere a terra. Si fermò sulle punte, staccò la bomboletta dalla cintura, si girò dall'altra parte e spinse la capsula. A Rick arrivò una spruzzata di gas in piena faccia che lo calmò all'istante.
Shari lo stava ammanettando quando l'agente Jerry Gagnon li raggiunse, con la camicia madida di sudore. Con la testa sotto l'acqua corrente, Tyna si liberava dalle brume del sonno. Non tutto era da buttare delle sue riflessioni notturne. «Ehi! Le toilette sono riservate ai clienti! Non sai leggere?» Una donna delle pulizie era in piedi sulla soglia della porta. Secchio e strofinaccio in una mano, nell'altra una scopa con cui indicava la scritta. Si srotolò la manica e annuì. «La mia bella, hai avuto una notte agitata, eh?» fece poi in tono ironico. Tyna annuì con un battito delle palpebre. «Be', sei fortunata. Ma adesso spostati che passo lo straccio. Se il capo ti vede farà delle storie.» Immerse lo straccio nel secchio. Tyna lasciò le toilette. No, non tutto era da buttare. Se ben eseguito, il colpo poteva procurarle degli abiti, un po' di soldi, documenti... Alla luce del giorno le sembrava meno facile da realizzare, ma non assurdo. Tyna tornò vicino al lago, e con le ginocchia strette al petto continuò a meditare, sforzandosi di non pensare alla fame che la tormentava. Aveva bevuto abbastanza acqua per riuscirci. Se c'era un posto dove non aveva mai visto dei Rock Machines era dentro un bar de l'Outremont. La Vénus, un bar per lesbiche. Come clienti non erano più piacevoli degli uomini, di gran lunga più complicate e anche più rare. In ogni caso non le interessavano quelle vere, piuttosto le ragazzine alla moda in cerca di nuove sensazioni. Insomma, nuove... La Vénus non era molto lontana dall'Università e se ne trovavano spesso di così. Omo per un giorno, ma non per sempre. Il che non escludeva la sincerità. Per raggiungere La Vénus bisognava camminare un bel po'. Tyna si alzò e si mise per strada. «Anche tu hai l'aria di aver passato un buon fine settimana» rispose Brenner. «Sei splendida.» Johanne si stirò sulla poltrona. «Meraviglioso! Il migliore week end che ho trascorso da... pfff! Non lo so nemmeno... be', da tanto. E tu? Buone notizie?» «Bof...» Senza essere comminatorio, il fax di Carpita poneva la domanda giusta: Il commissario Eric Brenner ha in mano elementi tali da giustificare il
prosieguo della sua missione in Canada? «Vale a dire?» chiese Savoie. «La cosa migliore è che leggiate voi stessi» rispose Brenner porgendogli il foglio. Johanne lesse da sopra la spalla del collega. «Già... i vostri giudici non sono migliori dei nostri» concluse lei. Savoie sospirò, poi consultò l'orologio. «A proposito di giudici, devo andare, sono convocato in Tribunale.» «Quando tomi?» volle sapere Johanne. «Fine mattinata o primo pomeriggio, se va tutto bene. Non ci dovrebbe essere granché per me, ma non si sa mai.» Il telefono suonò esattamente dieci minuti dopo che Savoie se n'era andato. «Johanne Desjardin, buongiorno... Ah, ciao... no, è in Tribunale... sì, sì, me ne occupo anch'io... merda! Dove?» annotò qualche appunto sul bloc notes. «Okay, ho capito, arriviamo. Grazie, Bret.» Riattaccò e si girò verso Brenner. «Era Bret Giraud della sezione stupefacenti. Ha appena trovato Chris a casa sua, morto.» «Assassinato?» «Non lo so, non è chiaro. Ti spiegherò per strada.» Bret Giraud masticava un sigaro spento. Due addetti della scientifica stavano terminando i rilievi. Tracce dei rilevatori costellavano l'appartamento. Brenner moriva dalle voglia di mettere le mani in pasta. Ma non si può sovrapporre brigata a brigata a brigata. Soprattutto se l'ultima è straniera. Giraud, peraltro, non sembrava affatto entusiasta della presenza della collega. Non che fosse ostile, solo cortesemente distaccato. Riaccese il sigaro. «Difficile pronunciarsi. L'altro tossico ha cancellato le impronte che potevano trovarsi sul materiale.» «Ma è morto d'overdose?» insistette Johanne. «Così sembra. Bisognerà aspettare le analisi e l'autopsia per esserne certi, ma i test preliminari indicano una purezza fuori dal normale. Concentrato di eroina, non c'è da stupirsi che ci sia rimasto. E se si tratta di una messa in scena, è stata approntata con grande cura. Questo, per il momento, è tutto quello che si può dire.»
«È frequente una tale percentuale di purezza?» chiese Brenner. Giraud esaminò il sigaro un secondo. «Normale, no... però succede. Immagino anche da voi.» «Sì, sì... A Nizza siamo perfino dovuti intervenire. Il procuratore della Repubblica che fa pubblicare un annuncio sulla stampa per avvertire i tossici che sul mercato circola eroina di qualità troppo buona, si immagina? Eppure l'abbiamo fatto, dopo tre overdose.» Giraud accennò un sorriso. «Cos'era per te Chris?» riprese Johanne. «Quello che era per voi: un buon informatore. E in seconda battuta, un po' di tutto. Uno che sapeva non mescolare le proprie attività: droga, porno, informazioni. Non mi diceva quello che vi raccontava, e viceversa. Un tipo che si salvava grazie all'istinto più che all'intelligenza. Ma forse, stavolta, il suo istinto si era preso una vacanza.» «E l'altro, Rick?» «Un consumatore, l'abbiamo già beccato una volta o due, niente di grave. Se la pattinatrice non l'avesse trovato, sarebbe morto... credete che la ringrazierà?» «Quando lo interroghi?» «Al momento non c'è niente da cavarne fuori... è in piena crisi, prima bisogna mandarlo all'ospedale. Vuoi assistere all'interrogatorio?» «Mi piacerebbe. Sostiene di aver conosciuto l'indirizzo grazie a una certa Tyna Langer, amica di Chris. Ci interessa anche lei, se è quella che diciamo noi.» «Non abbiamo trovato niente a nome di Tyna Langer nell'appartamento. Solo qualche abito da donna in un pacco e dei gioielli finti nel cassetto del comodino. Ma avevamo una vecchia scheda sotto quel nome, all'epoca era minorenne, già tossicodipendente e sicuramente prostituta... Una scheda senza foto. Ho fatto diffondere un avviso di ricerca ad ampio raggio. Solo che se si è fatta della stessa roba... appena il ragazzo sarà pronto te lo farò sapere.» «Grazie. Se potessi fare in fretta... per noi è piuttosto urgente.» Giraud abbozzò un gesto di impotenza. E Brenner uno schiocco di lingua infastidito. «Non potreste dargli una piccola dose? Solo per rimetterlo in piedi per qualche ora?» Accorgendosi che i due canadesi lo guardavano con aria stupita, aggiunse:
«Non di eroina, di metadone o qualcosa del genere. Magari un medico può farlo nei vostri locali, purché non sia in pericolo la vita del paziente. Perché immagino che all'ospedale ci potrebbe restare un giorno come una settimana.» Giraud si rivolse a Johanne. «È urgente fino a questo punto?» «Siamo arenati, e il nostro amico potrebbe sapere qualcosa di importante.» «Mmm... E tu vorresti interrogarlo?» «Sì. Tanto più che esiste un collegamento tra quello che devi chiedergli tu e quello che interessa a noi.» «Questo lo dici tu... A ogni conto, okay, vado a vedere se sono ancora in tempo. Ma il tutto è a buon rendere, Johanne, d'accordo?» «Naturalmente.» «Puoi ripetermelo?» «Il tutto è a buon rendere, naturalmente.» «Grazie!» esclamò Giraud dirigendosi verso l'uscita. «Possiamo dare un'occhiata, Bret?» domandò Johanne. «Fate come foste a casa vostra» rispose lui dal corridoio. Johanne strinse i denti. «Sangue del Signore, come vorrei che ci fosse Luc.» «Perché? Te la sei cavata benissimo da sola.» «Può darsi, ma hai visto come mi tratta Bret? Sembra che mi faccia un favore ogni volta che mi parla. Ti assicuro che con Luc avrebbe ben altro atteggiamento.» Doug Oshtrom abbassò il volume dello scanner che intercettava le frequenze dello SPCUM. Buone notizie. Se gli sbirri cercavano la puttana, significava che non l'avevano ancora trovata. A meno che non diffondessero un falso avviso per ingannarli... un po' contorto, ma possibile. Restava il fatto che i poliziotti non dovevano trovarla per primi. Oshtrom afferrò il telefono interno. Tyna si era seduta in fondo alla sala, dove la luce era più debole. Con un po' di fortuna, la penombra le avrebbe conferito un'aria "selvatica" interessante. Aveva ordinato un caffè e un dolcetto al cioccolato. La Vénus scarseggiava di clienti. Quattro ragazze vestite di pelle parlavano attorno a un tavolo ingombro di Molson. L'avevano a malapena notata. Una single in-
gannava il tempo con le parole crociate di una rivista. Alta, stivali e jeans attillati, camicia di seta, capelli biondi corti senza provocazione, tenuta elegante. Talvolta, quando alzava la testa per riflettere, guardava Tyna. Un po' come se la trovasse di suo gradimento. Talvolta guardava anche l'orologio. Tyna non le lanciò alcun segno di incoraggiamento, quella era una lesbica vera. Altrimenti c'era una coppia, che si guardava fisso negli occhi, mano nella mano. Troppo innamorate per ricordarsi anche solo di assaggiare il tè. Aprì la porta una ragazza in tailleur aderente, lunghi capelli scuri ondulati, borsa a tracolla. Senza fiato come se avesse corso, andò dritto al tavolo dell'appassionata di cruciverba. Le loro labbra si sfiorarono, poi si misero a parlare a voce bassa, chinate l'una verso l'altra. Nello spazio di un secondo lo sguardo della bionda incrociò quello di Tyna. Che ci trovò un riflesso di ironia scherzosa, o di impercettibile sfida. Forse una professionista, che aveva trovato la professionista. Tyna cercò nella memoria, ma il viso della donna non le risvegliava alcun ricordo. Se non succedeva qualcosa in fretta, il conto sarebbe stato un guaio. Tyna ordinò un altro dolcetto. Uno o due, non sarebbe cambiato niente. Johanne ripiegò i vestiti nel baule e chiuse il coperchio. «O se li è portati via, o non ne aveva molti.» Spinse il baule nell'armadio. All'interno, lo zoccolo traballante attirò la sua attenzione. Johanne si inginocchiò e spostò il pezzo di mobile, scoprendo una cavità che esplorò con la mano. «Vuoto?» chiese Brenner. «Completamente» confermò Johanne. «Forse il tuo collega ha trovato qualcosa.» «Glielo chiederemo.» Entrarono in bagno. Il sacco della biancheria sporca era stato rovesciato. Johanne rimestò tra abiti e biancheria. Tirò fuori una gonna nera che osservò per qualche secondo. «È quella che portava l'altra sera.» «Oddio... non ne ho idea» fece Brenner che aveva pensato fosse una domanda. «Lo so io, è quella che portava Tyna quando l'abbiamo vista ai Foufounes.» «Allora ci sono delle buone probabilità che il tossico abbia incrociato la ragazza.»
«A meno che non ce ne siano due che portano gli stessi abiti... Se andassimo a vedere cosa combina Giraud?» Un'altra ragazza aveva spinto la porta de La Vénus. Appoggiata al bancone, non apparteneva al genere liberato, i suoi gesti non mancavano di convinzione, bensì di esperienza. La cosa saltava agli occhi. D'altra parte, una delle appassionate di Molson le rivolse un'osservazione che Tyna non comprese, ma che scatenò l'ilarità delle altre tre. La nuova venuta fece finta di non aver sentito, prese la sua Bleue e si infilò tra i tavoli. Tyna notò che era alta quanto lei e della stessa corporatura, e più o meno della sua età. Era quella che le ci voleva. Fece in modo di incrociare il suo sguardo. Giraud si infilò in tasca il cellulare e atteggiò un'espressione complice quando Johanne e Brenner si avvicinarono. «Ho trovato un medico, è tutto a posto, rimpatriamo Rick da noi appena gli avranno fatto la punturina. Te lo lascio per tutto il tempo che vorrai. Va bene così?» «Perfetto, Bret, grazie.» «Avete trovato qualcosa lassù?» «Una gonna che mi sembra quella della Tyna che stiamo cercando. E un nascondiglio nell'armadio, vuoto. L'avevi visto anche tu?» «C'è sempre un nascondiglio a casa dei tossici. Lo cerco sempre, prima che lo trovassi era invisibile.» «C'era qualcosa dentro?» «Venti dollari.» «È tutto?» Giraud aprì la portiera posteriore dell'auto di servizio e mostrò uno dei sigilli sul sedile. «Cosa c'è in quei sigilli?» chiese. Johanne prese il sacchetto in mano. «Una banconota da venti dollari.» «Allora se c'è solo una banconota da venti dollari nel sacchetto, è perché c'erano solo venti dollari nel nascondiglio.» Il tono era perfettamente neutro. Come lo sguardo. Johanne aprì la bocca per dire qualcosa, ma Brenner non gliene lasciò il tempo. «Non avete trovato dei dischetti nell'appartamento?» domandò. Giraud scosse il capo. «No, né dischetti, né quaderni, né agende. Aveva tutto in testa, il piccolo
Chris. Però un ragazzo ci ha detto che stanotte da Chris sono passati dei Rock Machines e che erano già passati due o tre giorni fa.» Brenner guardò Johanne, e siccome lei non parve reagire, indicò un gruppetto di adolescenti che osservava il via vai della polizia da una distanza di sicurezza. «Uno di quelli? Possiamo parlargli?» Giraud rise. «Mi stupirebbe che ci fosse ancora! E anche se ci fosse, non direbbe più niente. Il ragazzino che mi ha parlato ha voluto fare l'interessante, ma sicuramente adesso i genitori e gli amici lo avranno istruito: non si testimonia contro i Rock Machines. Il tasso di mortalità tra i testimoni è troppo elevato. Tu lo sai bene, Johanne.» «Sì, lo so» confermò lei. «Vi giro l'informazione così come l'ho avuta io» riprese Giraud. «Fatene ciò che potete, come me.» «E lei cosa se ne farà?» insistette Brenner. «La terrò sicuramente presente. Da voi non capita mai, signor commissario?» Non era né il posto né il momento per una lezione di diritto comparato. «Succede» convenne Brenner. «Allora ci siamo capiti... ah, un'ultima precisazione: secondo il ragazzo uno dei Rock portava un giubbotto di pelle con scritto Broker sulla schiena. Se Johanne non lo conosce, Luc potrà sicuramente parlarvene.» Senza aspettare la conferma, Giraud aggiunse: «Il vostro tossico sarà tra poco da noi, ci incontriamo là?» Si era seduta sulla panca accanto a Tyna, aveva detto di chiamarsi Alizée e di essere studentessa di Storia. Le aveva anche confidato di non sentirsi più bene con se stessa da qualche mese. Tyna aveva fatto la comprensiva, appoggiando una mano sulla coscia nuda che la ragazza premeva contro la sua. E Alizée era partita per la tangente, con una goffaggine febbrile quasi commovente. Tyna le accarezzò l'interno delle cosce facendola fremere. Se lo skai della minigonna avesse aderito meno alla pelle, Tyna si sarebbe spinta anche oltre. Il bolero chiuso da un laccio di cuoio che comprimeva il petto di Alizée le lasciava il ventre scoperto. Tyna risalì l'anca e le accarezzò l'ombelico con la punta dell'indice. Alizée trattenne il respiro e si mordicchiò le labbra per non gemere, prese la mano di Tyna e se la premette sul seno. Il
laccio di cuoio si tese. Tyna si liberò dolcemente e sussurrò. «Qui siamo tra noi e facciamo quello che vogliamo, d'accordo?» Alizée annuì con un battito di palpebre e mormorò con voce roca: «Ho così voglia di te, sai...» Tyna si arrotolò al dito il lungo ciuffo che ricadeva davanti agli occhi di Alizée e glielo sistemò dietro l'orecchio. «Anch'io ne ho voglia, tanta.» «Potremmo andare da te.» Tyna scosse il capo. «Da me... è casa della mia tipa, e ci siamo scazzate di brutto, proprio di brutto.» «Vi siete picchiate?» Tyna scosse di nuovo il capo, ma questa volta dall'alto verso il basso. Alizée sfiorò la cicatrice sulla guancia. «È stata lei a farti questo?» «Sì. Se mi vedesse con te mi ucciderebbe. E ucciderebbe anche te.» Tyna la sentì fremere, di paura ed eccitazione. «Non voglio più tornarci, non ho più niente da mettermi ma non voglio più tornarci. Mai più.» Alizée la abbracciò con fare protettivo. «Ti presterò qualcosa io, se vuoi.» «Grazie» sussurrò Tyna stringendole la coscia. Alizée estrasse un grosso orologio da taschino dalla borsa, lo aprì e sospirò. «Da me ho paura che ci sia ancora mia madre...» Tyna imprecò interiormente e disse con voce delusa: «Due ragazze, in genere non è un problema.» Alizée accennò un pallido sorriso. «Lo so... ma ho l'impressione che mia madre sospetti qualcosa. E poi ha detto delle cose talmente spaventose sulle ragazze come noi... preferirei di no. Se lo scoprisse, ne soffrirebbe da morire.» «Capisco.» Una ragazza così aveva del miracoloso. Tyna ricominciò ad accarezzarla mentre rifletteva. Alizée si incollò a lei. «Conosco un posto tranquillo» riprese Tyna dopo qualche istante di silenzio. «Ma ci vogliono una macchina e dei soldi.» «Ho una macchina e dei soldi. Non molti, ma un po'.» «È un motel dalle parti di Lavai, affitta le camere a ore e non è caro.»
Alizée la baciò sulla fronte ridendo. «Andiamo?» Johanne si fermò al semaforo rosso e rivolse a Brenner un viso imbronciato. «Allora?» Brenner sospirò. «Ti ho interrotto perché stavi per dire una fesseria.» «Ah sì? Ma senti! Chi credi di essere tu? E cosa avrei detto, secondo te?» «Secondo me, qualcosa del tipo: è quello che tu chiami a buon rendere, Bret?» Johanne strinse le labbra. «E questa è una fesseria?» «Sì, signora.» «Ma non hai capito niente o cosa? Ha sottinteso che...» «Il sottinteso non esiste in questo genere di faccende. Non ti ha confessato di aver sottratto qualcosa, quindi se tu non lo sai, non gli puoi rendere alcun servizio. Se dici di avergli fatto un favore, ammetti che lui ha sottratto qualcosa e tu non ti sei opposta, e così diventi sua complice oggettiva. Vale per tutte le polizie del mondo.» Johanne ripartì bruscamente. «Se vuoi incastrare uno sbirro canaglia» riprese Brenner «non farlo mai sulla base del semplice verosimile.» «Mi prendi proprio per un'idiota, eh?» «No, volevo solo darti un consiglio, perché ho già visto parecchi sbirri scottarsi le dita. Ma scusami se mi sono intromesso in cose che non mi riguardano.» Johanne lo osservò di traverso continuando a tener d'occhio il traffico. «Hai già sistemato uno sbirro canaglia, tu?» Brenner rise in modo sinistro. «Sì, proprio così... è una delle ragioni che mi hanno condotto all'Europol. Una bella promozione, del resto, di cui non mi lamento. Quello di cui mi lamento è che se lo stronzo in questione ormai sonnecchia in un buco di provincia, ci sonnecchia con il mio stesso grado. Ho aperto la bocca un po' troppo presto... Esiste una soglia di tolleranza per i figli di buona donna in divisa, un soglia dalla geometria variabile. Lo sapevo, ma lo avevo dimenticato...»
Proseguirono per un centinaio di metri in silenzio, poi Brenner alzò le spalle. «E poi, insomma, chi ti dice che c'erano solo venti dollari nel nascondiglio?» Johanne tolse una mano dal volante e strinse tutte le dita a pugno eccetto il mignolo. «Il mio ditino.» «Obiezione vostro onore. Non necessariamente significativo, a parere nostro.» Johanne continuò a guidare in silenzio, senza sorridere. «Cosa c'è?» chiese Brenner. «Questa mattina eri allegra come un fringuello e adesso hai un muso pazzesco. È per via di questa storia?» Johanne accennò a una smorfia sotto forma di sorriso. «No... be' ecco... sì, un po', certamente. In realtà mi chiedo se sono fatta per questo mestiere.» Brenner si appoggiò al poggiatesta e alzò gli occhi al cielo. Gli stati d'animo degli sbirri... aveva conosciuto e accettato i suoi, sopportato quelli degli altri, quindi... «È normale, ci siamo passati tutti prima o poi, ma passerà, vedrai.» «Ci conto che passerà...» Per la prima volta nella sua vita, Johanne era stata sfiorata dall'idea di dedicarsi esclusivamente alla pittura e all'improvviso tutto il resto le era sembrato sordido e noioso. O meglio, quell'idea che aveva sempre avuto le era sembrata praticabile. Ed era stupido, naturalmente. Ci sarebbe voluto un miracolo per realizzarla. Un altro. Ne era ben cosciente. Ma questo non rendeva il resto meno piatto, né meno sordido. Johanne si scosse e riuscì a dire ridendo. «Sì, sono convinta che passerà!» Alizée era al volante della Hyundai Pony con aria concentrata. Tyna la guidava sui viali della zona commerciale; più il Palm Beach si avvicinava, più si chiedeva se fosse stata davvero una buona idea. Era già stata in quel motel. Gli uffici circostanti non mancavano di direttori desiderosi di variare un po' rispetto alle proprie segretarie. Il Palm Beach era socievole. Ci si trovavano anche coppie, legittime o meno, che consideravano più intelligente rubare tempo per l'amore al lavoro piuttosto che al riposo. Ci si trovavano anche dei turisti smarriti, la sera. Tyna ci aveva visto di tutto, ma mai dei Rock Machines. Non era proprio un albergo per appuntamenti,
piuttosto per svaghi. Ciononostante la facciata si ornava di un'insegna che proclamava: quattro stanze confortevoli. E quando si cerca una puttana, la si cerca proprio sotto quel genere di insegne. Una puttana del suo calibro, perlomeno. Alizée aveva sicuramente modo di pagare qualcosa di meglio. Ancora un riflesso da morta di fame, pensò Tyna. Che adesso era troppo tardi per correggere. «Quattro stanze confortevoli!» scoppiò a ridere Alizée vedendo la scritta. «E le altre, allora, come sono?» «Quelle confortevoli hanno gli specchi sul soffitto e il materasso ad acqua, le altre no. Vuoi provare gli specchi?» Alizée arrossì. «Ma no, me ne frego degli specchi, e anche dei materassi.» «Anch'io me ne frego. Prendi a destra, e poi ancora a destra e parcheggia in fondo.» «Perché? C'è del posto davanti, non facciamo mica niente di illegale.» No, niente. Ma Tyna, così, avrebbe potuto vedere se c'era una Harley nei paraggi. Senza contare che potevano essere scambiate per turiste, che due ragazze incuriosiscono sempre e che quell'interesse provoca reazioni imprevedibili. Tyna non ci teneva a spiegare le sue ragioni. Cercò una scusa plausibile. «In fondo puoi parcheggiare all'ombra.» Alizée passò davanti alla reception e svoltò immediatamente a destra. «Mah, ti sembra che qui ci sia più ombra?» No davvero, ma non c'erano neanche Harley, né molte macchine nel parcheggio del motel. «Non importa, fermati qui, andrò a chiedere la chiave.» Alizée si fermò di fronte al prato, poi cercò nella borsa, aprì un piccolo portamonete e tirò fuori una banconota da venti dollari. «Basterà?» «Naturalmente.» Arrivata in cima alle scale, Tyna esaminò la hall prima di spingere la porta. Al di fuori dell'addetto alla reception nel suo cabinotto, solo una coppia mangiava un sandwich in piedi, davanti allo spazio per le colazioni. Tyna aveva sempre visto lo stesso tizio alla reception, Steph, il cognato del padrone o qualcosa del genere. Se la riconobbe, lui non lo diede a vedere. Si limitò a chiederle:
«Per una siesta?» «Sì» rispose Tyna. E invece di precisare "un'ora", disse: «Due ore.» Così avrebbe potuto utilizzare la doccia o la vasca. Steph prese la banconota e mise una chiave sul sottomano. «La 404.» Alizée non le lasciò il tempo di verificare se la 404 fosse dotata di doccia o vasca. Chiuso il chiavistello della porta, premette le labbra contro le sue. Tyna ne accompagnò il movimento. Poi slacciò il filo di cuoio del bolero, e lo sfilò lentamente dai buchi. Alizée chiuse gli occhi. Gemette quando la mano di Tyna risalì sul bolero. E le graffiò il collo quando le avvolse un seno. Tyna la fece girare su se stessa e la spinse dolcemente verso il letto. Steph pensava a cosa fare, se avvertire o meno i piedipiatti. Il Palm Beach era in buoni rapporti con la polizia e ci teneva a mantenerli tali. Anche perché lo sbirro che all'alba era venuto a segnalare la ricerca per testimonianza di Tyna Langer aveva insistito sul concetto di testimonianza. Ma denunciare qualcuno, anche se è una puttana, non è mai bello. E soprattutto conveniente. Le puttane chiacchierano, diffidano, cambiano posto. E il volume d'affari cala. D'altra parte, però, con gli sbirri il calo poteva diventare una caduta in picchiata. Steph avanzò la mano verso il telefono. E si fermò. La puttana aveva chiesto una siesta di due ore. Non ci vuole tutto quel tempo per farsi scopare. O forse si voleva curare il cliente. O rimettersi in sesto, che ne aveva bisogno... Steph sentì nascere un'idea luminosa. La via di mezzo risolutiva. Un'ora. Le avrebbe accordato un'ora. Per fare le sue cose. E quando gli sbirri sarebbero arrivati a prenderla, avrebbe potuto protestare la sua buona fede: era passato troppo tempo, se avesse voluto denunciarla, l'avrebbe fatto subito, no? Steph regolò il cronometro dell'orologio e puntò la sveglia dopo un'ora. «Non ce la può fare» rise Giraud aspirando il fumo del sigaro. «Se la caverà benissimo» replicò Brenner freddamente. «Be', insomma... Scommettiamo?»
«Mille dollari?» «Ehm... cento?» fece Giraud, improvvisamente meno sicuro di sé. «D'accordo.» «D'accordo» confermò Giraud soffiando fuori il fumo. Nel box con le vetrate, Rick e Johanne erano uno di fronte all'altra, separati da un tavolo sigillato. La conversazione giungeva ai due uomini attraverso un altoparlante. Johanne li sorvegliava con la coda dell'occhio. Avrebbe preferito che fossero altrove. O che accanto a lei ci fosse Luc. Ma le cose stavano così e non poteva farci niente. Eccetto concentrarsi per far sì che, in più, non si ritrovasse con la schiena madida di sudore. «La vostra roba è della merda. Il flash, porca puttana, il flash! Non c'è altro!» ripeteva Rick per la terza o la quarta volta. Johanne annuì con il capo e chiese: «Dove pensi di essere?» «Allo SPCUM, cazzo.» «Bene, e secondo te perché ci sei?» Rick alzò gli occhi al cielo. «Perché mi sono fatto beccare con dell'ero.» «Sei veramente così stupido o fai apposta?» «Ehi! Moderi le parole, non ha il diritto di insultarmi!» «Non ti sto insultando, ti ho fatto una domanda.» «È una domanda che insulta la mia dignità» rispose Rick alzando la testa, fiero della sua replica. «Avrei dovuto accettare i mille» fece Giraud con un sorriso in tralice. Johanne fulminò Rick dall'alto in basso, con un'aria di disprezzo molto riuscita. «La tua dignità...» mormorò. Poi indicò il box con un movimento della mano, mostrò Giraud e Brenner e aggiunse: «Credi che io sarei qui mentre un altro inquirente e un commissario dell'Europol assistono all'interrogatorio con un tossico beccato con dell'ero?» «Non lo so. Non so niente delle vostre cazzate.» Ma il tono e l'occhiata inquieta in direzione dei due uomini rivelavano che la domanda aveva fatto effetto. «Rick, di tossici come te ne becchiamo venti al giorno; se dovessimo interrogarli tutti così, lo SPCUM non ci starebbe dietro. Lo sai benissimo,
perché sei già stato dentro.» «Avrei dovuto insistere per i mille» ironizzò Brenner. «Oh, calma, non è ancora finita» protestò Giraud. «È solo una questione di tempo» ribatté Brenner. Di nuovo Rick diede un'occhiata ai due uomini. «Sentono quello che diciamo?» «Ovvio, c'è un altoparlante. Ma tu non puoi sentire quello che dicono loro, naturalmente.» «Porca puttana, ma cos'è questo casino?» si innervosì Rick. «Davvero non lo sai?» «Ma no, porca puttana, quante volte ve lo devo dire?» «Come vuoi... Faremo diversamente. Sei stato sorpreso nella tua auto in possesso di un flacone di eroina, di una siringa e di tutto il materiale necessario a un'iniezione endovenosa di stupefacente. Giusto?» «Cristo santo, dove volete andare a parare!» «L'eroina contenuta nel flacone era di una purezza straordinaria?» «Se l'avessi saputo, quella stronza di sbirra sui pattini non mi avrebbe beccato mentre stavo per farmela. Non sono così coglione!» «Quella stronza ti ha salvato la vita.» Rick deglutì, abbassò gli occhi e finse una risata. «Sì, può darsi, e allora? Devo darle un bacio?» «Non sarebbe stata una cattiva idea, forse così mi avresti fatto venire un dubbio.» Rick corrugò la fronte e tirò su con il naso. «Un dubbio su cosa?» «Abbiamo ricevuto il rapporto dell'autopsia. Chris è morto di overdose, ma il problema è che gli è stato iniettato a forza un prodotto un mortale. È stato assassinato. Con l'eroina e la siringa che abbiamo trovato in tuo possesso.» Rick si scompose. «Cosa cercate di rifilarmi? Un omicidio? Voi siete pazzi! Perché avrei dovuto ammazzare Chris? Non ha senso.» «Le storie tra tossici non hanno mai senso.» Rick cercò di alzarsi, ma la catena delle manette lo sbilanciò all'indietro. «Ma pensateci!» urlò. «Se avessi saputo che l'ero era mortale non me la sarei fatta! La pattinatrice mi ha visto! A lei credete, no? È una prova quella, no?» «Sì, le credo, e no, non è una prova. Ha visto solo quello che tu le hai
voluto far vedere.» Rick cercò di massaggiarsi gli occhi, ma anche in quel caso le manette glielo impedirono. «Non sono stato io» ribadì con voce piagnucolosa. «Sono andato da lui perché avevo bisogno di roba, l'ho trovato morto, ho preso l'ero e la siringa e me ne sono andato, è tutto quello che ho fatto. Ve lo giuro.» «Sfortunatamente, nessuno può testimoniare che Chris fosse morto al tuo arrivo. Tutto quello che sappiamo è che era morto quando te ne sei andato.» «Non sono stato io, signora, non sono stato io... Ero venuto a comprare della roba e ne ho approfittato perché Chris era morto.» «Pensavi di pagare con il cric? Non avevi un soldo con te. Puoi permetterti di pagarti un buon avvocato?» Rick scosse la testa da sinistra a destra. «Non sono stato io...» «Così non convincerai nessuna giuria. Sai quant'è la condanna per omicidio premeditato?» Rick si mise a piangere e ripeté: «Non sono stato io.» «Allora, se non sei stato tu, chi è stato?» «Non lo so. Se lo sapessi, ve lo direi.» «Chris aveva una ragazza, Tyna Langer. Forse sa qualcosa, ma è scomparsa.» «È una puttana, non la conosco tanto bene. Abbiamo solo passato una giornata insieme, l'avevo trovata alla McGill, anche lei cercava Chris. L'abbiamo cercato insieme, ma poi, la sera, mi ha mollato.» «Raccontami per filo e per segno, vedremo se può saltar fuori qualcosa di buono per te.» «Centrale a pattuglie. Il testimone ricercato Tyna Langer è segnalata al Palm Beach Motel. Chi ci va?» L'agente Morioud prese il microfono di bordo. «Auto 37, sono dalle parti di Bourrassa e conosco il Palm Beach, posso andare io.» Ci fu qualche scambio alla radio, poi di nuovo la voce della Centrale. «Okay 37, vai pure.» «D'accordo ma è a Lavai...» «Con Lavai è tutto a posto. Passi da loro, firmi le scartoffie e loro ti ac-
compagnano al motel.» «Ricevuto.» L'agente Morioud azionò la sirena, si liberò dalla fila e accelerò. Rémi si chiuse la cerniera lampo del giubbotto, copia conforme di quella degli sbirri. Come la placca finta che aveva in tasca. Fece un segno a Oshtrom, che gli rispose con: «Non fartela scappare.» «È una questione di velocità relativa» dichiarò Rémi aprendo la porta. Vedendolo, il pilota della Kawasaki ZXR che aspettava in cortile spinse il pulsante del motorino di avviamento. Rémi gli diede l'indirizzo e saltò in sella. Il contagiri della Kawasaki si bloccò sul rosso. «Hai niente in contrario alle canne?» «Niente affatto, anzi» rispose Tyna divertita. Alizée spostò il lenzuolo e si chinò sulla borsa. Tirò fuori un accendino e uno spinello. «A te l'onore.» Tyna accese, aspirò il fumo nei polmoni e lo trattenne più a lungo che poté, prima di buttarlo fuori lentamente. Alizée le sfiorò l'interno del gomito sinistro. «Sei abituata a roba più forte?» chiese con voce grave. Tyna aspirò di nuovo. «No, no. Del PCP e della coca quando posso. Ma è tutto. Questo è stato... un incidente. Un momento di depressione.» «Per la tua tipa?» «Esatto.» Tyna aspirò una terza volta e passò la canna. Alizée si strinse a lei e tirò su il lenzuolo. Il climatizzatore manteneva la temperatura bassa. Tyna si sentiva bene. Alizée le baciò l'orecchio e mormorò: «Sono felice di averti incontrata.» Tyna le premette le labbra sulla guancia. «Anch'io. Sapessi quanto...» Alizée le appoggiò la testa nell'incavo della spalla, tirò dalla canna e chiuse gli occhi, al settimo cielo. Fare l'amore l'aveva rilassata. Aveva confessato che era la prima volta con una ragazza. E che adesso nessun uomo l'avrebbe mai più toccata. Tyna le accarezzò la fronte, vergognandosi un po' di prendersi gioco di
lei, e si appoggiò alla testata del letto, con lo sguardo perso nel muro di fronte. «Sai, la notte scorsa, o quella prima ancora, non mi ricordo più, ero morta.» Alizée corrugò le sopracciglia. «Ero morta per via di questa...» mostrò la traccia della siringa. «Ma poi sono risuscitata.» Alizée si appoggiò su un gomito e la fissò con gli occhi sgranati. «Morta... hai visto il tunnel, la luce, cosa?» «Non ho visto niente di niente.» «Allora forse non eri davvero morta.» «Forse... Quando è arrivato il flash ero su una sedia e mi è sembrato che tutto il mio corpo si volatilizzasse. Dopo ero stesa per terra. Non so quanto tempo sia passato ma, tra questi due momenti, c'è il nulla.» Chiuse gli occhi e rabbrividì. «Niente.» Siccome restava in silenzio, Alizée le accarezzò la guancia. Tyna le prese la mano e le baciò il palmo. «Siamo state fortunate tutte e due, allora. Mi aspetti? Vado a fare una doccia.» Rick aveva parlato senza farsi pregare. Ma la sua giornata per filo e per segno non rivelava granché. Johanne tornò su alcuni punti. «Un contatto al Travelodge» fece lei incredula. «Non ti sembra strano?» «Sì, ma è quello che mi ha detto lei. Io non ne so niente, sono rimasto dentro la Chevy. In ogni caso, quando Tyna è tornata aveva delle sigarette, al PCP voglio dire.» «Quanto tempo ci è stata?» «Non lo so... Stavo male e in quei momenti il tempo... ma non tanto, credo.» «Non tanto cosa significa? Cinque minuti, un'ora?» «Non lo so... forse dieci minuti.» «Ti ha parlato delle sue attività e di quelle di Chris?» «No, ma non serviva, tanto le conosco, le sue attività... e anche quelle di Chris.» «Compresi i porno?» «Be', sì, ma dei porno me ne frego. Ho tutto quello che mi serve, non ho bisogno di quella roba.»
«Il nome Broker ti dice qualcosa?» Rick scosse la testa. «No, chi è?» «Un Rock Machine.» Fece una smorfia. «Io quelli li evito.» «Non fanno credito?» Un'altra smorfia. «Non...» «Rick, mi stai deludendo.» «Ho detto tutto quello che sapevo.» Johanne spostò la sedia. «Cosa fa?» chiese Rick ansioso. «Me ne vado.» «E a me cosa succede?» «Tu aspetti qui.» «Ma mi faccia delle altre domande, risponderò! Forse ci sono delle cose che adesso non mi vengono in mente!» «Glielo lascia cotto a puntino» osservò Brenner. «Già» ammise Giraud. «Ma non era difficile spaventare uno così.» «Fanno comunque cento dollari.» Giraud si tastò la tasca. Brenner gli fece segno di spostarsi dalla vetrata del box. «Grazie» disse mettendosi in tasca le banconote arrotolate che l'altro aveva tirato fuori dalla giacca. «Proviamo così, Rick: hai perquisito l'appartamento di Chris?» «No, non l'ho perquisito, l'ho già detto.» «Nemmeno il nascondiglio nello zoccolo dell'armadio?» «Ma non lo conoscevo! Non ho cercato niente, glielo giuro.» «Strano. Gli spacciatori hanno sempre dei nascondigli a casa loro, no?» «Sì, ma avevo troppa voglia di farmi e con un morto mi prendeva male, roba da strippare. E poi...» Non aggiunse niente. «E poi cosa?» insistette Johanne. Rick sospirò. «E poi speravo di tornarci dopo, per cercare.» Alzò la testa all'improvviso, come colpito da un'idea felice. «Eh! Ma se ci volevo tornare, significa che non avevo nulla da rimpro-
verarmi! Non è una prova questa?» Johanne si levò in piedi. «Al massimo un principio di dubbio.» Mostrò il collega e aggiunse. «Il sergente inquirente Bret Giraud ha delle domande da farti. Se ti torna in mente qualcosa, puoi dire a lui. Forse ci rivedremo.» Uscì, chiuse la porta e sospirò. «Qualcosa di interessante?» chiese Giraud. «La conferma di un paio di circostanze, niente di più. Approfittane, è in vena di confidenze.» «Oh, ma io non ci metterò molto.» Appoggiò il dito sul pulsante della porta e aggiunse: «Cosa faccio con la cassetta? Continuo su questa e poi te ne faccio una copia o vuoi l'originale?» «Basta la copia.» «Okay, te la porto appena ho finito.» «Grazie, Bret.» Giraud li salutò con un cenno del capo ed entrò nel box. Stesa sul letto, Alizée ascoltava la doccia scorrere nel bagno. Si stirò come una gatta e si alzò per andare a recuperare il bolero. Era stato così bello quando Tyna glielo aveva tolto. Immaginò di essere spogliata di nuovo, infilò il bolero e iniziò ad allacciarlo. La ZXR si fermò davanti alla reception. Rémi salì le scale in un balzo senza togliere il casco. Spinse la porta e con un unico movimento si tirò giù la lampo della giacca e mostrò il distintivo d'ordinanza. «Luogotenente Mangin della Omicidi. Dov'è la ragazza? Ha una copia della chiave?» Più che l'abbigliamento o il distintivo, ciò che colpì Steph fu il grosso revolver infilato nella fodera, con il calcio che sbucava dal giaccone. «La 404 è là in fondo. Non ho una copia...» Rémi estrasse la pistola tenendo la canna rivolta verso il basso. Puntò un indice su Steph e su due clienti che passavano di lì. «Restate qui e non muovetevi!» ordinò. «È pericolosa.» Uscì in un lampo. La doccia aveva smesso di scorrere. Alizée sentì un clicchettio che proveniva dall'ingresso. Guardò in quella direzione. Vide la manopola della porta girare e tornare al proprio posto e, poco dopo, il battente volare in
pezzi. Rémi trovò una ragazza seduta sul letto con una mano sul pube e l'altra che stringeva un pezzo di tessuto contro il petto. Stava per aprire la bocca per urlare. Alzò il revolver e premette il grilletto. Il proiettile stese Alizée portandole via metà del cranio. Rémi diede un'occhiata alla stanza. Nessun abito d'uomo. La porta del bagno chiusa. Esitò. Una sirena della polizia troppo vicina lo incitò a non perdere tempo. CAPITOLO XIX Quando la porta d'ingresso andò in pezzi, Tyna stava per tornare nella stanza. Una scarica di adrenalina la spinse a fare dietrofront. Si chiuse a chiave nel bagno per riflesso, nel momento stesso in cui risuonava lo sparo. Il medesimo riflesso la fece saltare sulla tazza del water alla ricerca di una via d'uscita. Sbarre di metallo impedivano al vetro della finestra di aprirsi più di qualche centimetro. Attraverso la fessura vide un uomo salire su una moto che partì sgommando. Un uomo vestito da sbirro. Sentì anche le sirene. Tyna sì precipitò nella camera e si rivestì. Sforzandosi di non guardare Alizée. Ciò che restava della sua testa. Il grumo di materia cerebrale che colava sulla parete. Le sirene erano vicine. Recuperò la chiave della Pony sul comodino, prese la borsa di Alizée e corse fuori. Nel parcheggio non c'era alcun movimento. In un posto del genere uno sparo provoca al massimo l'apertura delle porte di sicurezza sul retro. Tyna mise in moto. Le sirene ululavano davanti all'ingresso del motel. Non ce l'avrebbe mai fatta. Oltre il prato, gli edifici erano separati da un passaggio pedonale. Poi c'era una siepe striminzita. E un viale. Tyna ingranò la prima e pigiò sull'acceleratore. La Hyundai sobbalzò sul prato. Il paraurti perse dei pezzi. Il retrovisore si disintegrò contro un muro. Un parafango grattò il cemento. I rami della siepe sferzarono il sotto scocca. E Tyna si ritrovò sul viale. Frenò, sterzò, inserì la marcia automatica e accelerò di nuovo. Andare altrove. Ovunque. In fretta. «Cosa?» fece Brenner finendo di scrivere il fax. Johanne scoppiò a ridere.
«Non eri tu a dire che non bisogna mai basarsi sulle semplici verosimiglianze?» «Non c'entra niente» replicò Brenner con una cattiva fede molto francese. «Questa è solo l'esposizione dei fatti nel loro ordine cronologico: una ragazza viene assassinata in uno snuff-movie, un informatore a cui abbiamo chiesto di cercare degli snuff scompare, la sua ragazza cerca di contattarmi, l'informatore viene ritrovato cadavere, la ragazza scompare a sua volta. Dopodiché si tratta di interpretare i fatti. E non sarò io a farlo.» «Be', vediamo... soprattutto redatto così...» «Se il giudice ci vede una serie di indizi convergenti che giustifichino il prosieguo della missione del commissario Brenner in Canada, cosa vuoi che ti dica... sarà perché ho fatto trasparire la mia convinzione più profonda.» «Sì... eccetto che non siamo nemmeno certi che Sophie sia stata ammazzata qui, mentre fino a prova contraria Chris è morto di overdose e, anche ammesso che sia stato assassinato, potrebbero esserci una ventina di motivi in grado di spiegare l'accaduto. Quanto alla scomparsa di una prostituta tossicomane...» «Una convinzione così non si spiega, si condivide. Tu la condividi?» Johanne annuì lentamente con il capo. La porta dell'ufficio si aprì all'improvviso, senza che nessuno avesse bussato. Apparve Giraud. «Ehi, questo vi interesserà: Tyna Langer si è appena fatta ammazzare in un motel di Lavai. Ci sto andando, se ne avete voglia...» Con un movimento del mouse, Brenner evidenziò la formula di saluto e la firma sul testo, poi spinse il tasto Canc. «Un capitolo da aggiungere» mugugnò alzandosi. Ovunque, facile a dirsi. Ma ovunque dove? Tyna aveva preso viali e strade alberate. Alla fine era sbucata nel parcheggio di un supermercato e aveva parcheggiato la macchina in mezzo ad altre. Gli effetti dell'adrenalina erano scomparsi. Non era più sovreccitata. Soltanto agitata. Sulle guance le lacrime scendevano senza che lei se ne rendesse conto. La coppia che stava riempiendo il bagaglio del break accanto pensò a una pena d'amore. Tyna cercava di riordinare i pensieri, di immaginarsi un futuro prossimo. E inciampava in: I Rock Machines mi vogliono ammazzare, gli sbirri mi vogliono ammazzare. Nemmeno per un secondo aveva pensato che volessero assassinare Alizée. Non si accoppano le Alizée. Le Tyna, sì. Un teorema
indiscutibile e inattaccabile, da qualsiasi punto di vista. Tyna accese l'autoradio. Un programma culturale di Radio Canada trasmetteva una canzone di Jacques Brel. È troppo facile... Stai zitto, Jacques. Ma lasciali piangere... Poi un uomo dall'accento quasi francese evocò la rive gauche, SaintGermain des Prés, Parigi. Tyna chiuse gli occhi. L'Europa doveva essere bellissima. Ed era talmente lontana... serviva un passaporto. Un biglietto aereo. Dei soldi. Svuotò la borsa di Alizée sul sedile passeggeri. Una scatola di plastica conteneva due assorbenti interni e un tubetto di pasticche al paracetamolo. Il portamonete cento dollari e qualche spicciolo. Ritrovò il grosso orologio da taschino. Documenti di identità. La patente di guida. Una penna. Un astuccio con due paia di occhiali, da sole e da vista. Carte di caramelle. Due spinelli in un pacchetto di Players. Uno specchietto. Un eye-liner. Una carta di credito. Un mazzo di chiavi. Le foto dei documenti le assomigliavano quanto somigliavano all'Alizée che aveva conosciuto. Le foto avevano qualche anno, lei portava gli occhiali. Tyna li provò. Le sue pupille faticarono a trovare la messa a fuoco. Non aveva notato che Alizée portasse le lenti a contatto. Forse non ne portava e vedeva tutto sfuocato. E poi le ragazze cambiano sempre pettinatura. Colore di capelli. «Alizée Morel» disse allo specchietto retrovisore. La deejay di Radio Canada parlò di Vezoul, di Vierzon. Di Knokke-leZout. «Alizée Morel, di Knokke-le-Zout.» Suonava molto meglio di Tyna Langer, di Montreal. Ma l'avrebbero cercata... Tyna sorrise amaramente. «Perché dovrebbero cercare una morta?» chiese al retrovisore. Invece la Hyundai... Si guardò istintivamente attorno. Il parcheggio era tranquillo, non c'erano uniformi né giubbotti di pelle, né Harley-Davidson. Gli occhiali le facevano venire le vertigini, non poteva sopportarli a lungo, li sostituì con quelli da sole. Se qualcuno aveva preso il numero della Hyundai...
Doveva abbandonarla. Il prima possibile. Tyna esaminò i documenti appoggiati sulle ginocchia, il mazzo di chiavi, la carta di credito, e infilò di nuovo nella borsa quello che aveva tirato fuori. Tra Alizée Morel e Tyna Langer non c'era da esitare. Quanto alla macchina, le sarebbe bastata un po' di fortuna. Solo un po' di fortuna. Un'ora appena. Non chiedeva di più. Tyna incrociò le dita, si baciò i puntini blu, mise in moto e lasciò il parcheggio. Subito dopo tornò indietro. Un'ora di fortuna... non ne aveva avuta tanta in tutta la sua vita. Nel parcheggio la Pony sarebbe passata inosservata. Almeno per un po'. E se qualcuno avesse voluto rubarla, non avrebbe dovuto faticare. Tyna si mise la borsa in spalla e andò alla ricerca di un autobus. Il metrò non arrivava fino a lì, e poi il metrò... C'era un sacco di gente nella camera d'albergo, che non aveva nulla di una suite del Carlton. L'inquirente della Brigata Omicidi della polizia di Lavai aveva comunque lasciato entrare i colleghi. «Stavate cercando lei?» chiese. Giraud sbuffò. «Visto cosa ne resta, cosa vuoi riconoscere?» «Calibro 44, hollow point» fece il poliziotto della scientifica esibendo un pezzo di piombo a forma di fungo. «Revolver o carabina?» L'altro alzò le spalle. «Revolver, con una carabina non sarebbe rimasto nulla e avremmo trovato un buco nel muro. O pistola, ma non abbiamo rinvenuto il bossolo.» Johanne scosse la testa e puntò l'indice sul ventre di Alizée. «Non è lei. Tyna Langer aveva un piercing nell'ombelico, questa ragazza non se l'è mai fatto.» «E però il tipo della reception ne è assolutamente certo; ha riconosciuto Tyna Langer e le ha dato la chiave.» Johanne scosse di nuovo la testa. «Allora erano due.» Mostrò un reggiseno tra le cose sigillate, poi il bolero semiallacciato sul petto del cadavere. «Non si porta con il reggiseno.»
Il medico legale che stava scrivendo qualcosa sul taccuino indicò il pube di Alizée con la penna. «In ogni caso, quella ragazza era in stato di eccitazione sessuale intensa. D'altra parte, non c'è alcuna traccia di sperma, né di preservativi.» E lo stato del letto mostrava che non ci avevano semplicemente dormito. «Delle lesbiche...» mugugnò Giraud con aria disgustata. Quello della scientifica fece un'osservazione a proposito delle leccapassere - così le definivano sprezzantemente in Quebec - che scatenò qualche risata. L'inquirente di Lavai tossicchiò. «Allora hanno ammazzato il cliente, che poi era una cliente. La puttana è scappata con la macchina.» Johanne faticava a staccare lo sguardo dalla poltiglia che era ormai il viso della morta. Schegge d'osso. Capelli e materia cerebrale contro il muro. Un bulbo oculare sul cuscino. Brenner, che la sorvegliava con la coda dell'occhio, si infilò una sigaretta tra le labbra. «Scusatemi, ma non ne posso più di questo spettacolo. Vieni con me, Johanne?» La giovane lo accompagnò e, appena fuori, si appoggiò al muro, in pieno sole. «Tutto bene?» chiese lui accendendosi una sigaretta. «Sì, ma non mi dispiace affatto essere uscita.» «È la prima volta?» «In questo stato, sì.» Brenner non fece commenti. Aspirò il fumo. Il suo primo vero cadavere aveva una mezzaluna da macellaio infilata nel cranio fino agli incisivi. E qualche giorno di frollatura in un sottoscala di rue Rossetti, nel mese di luglio. Brenner era riuscito a non vomitare il pranzo, ma non aveva mai dimenticato il nome del tizio, Séraphin Lafayette, un vecchio omosessuale. L'inquirente di Lavai li raggiunse. «Cosa ne dite?» borbottò senza rivolgersi a nessuno in particolare. «È incredibile che nessuno abbia visto niente» rispose Johanne. «No. Dalla sua postazione, Steph non vede transitare le macchine degli ospiti. Per quanto riguarda i clienti, non possono essere chiamati a testimoniare su ciò che non hanno visto.» «Quindi cerchiamo un'auto con quattro ruote!» «Bianca o panna, giapponese o coreana, senza retrovisore destro, danneggiata sul fianco sinistro, con un paraurti vistosamente ammaccato.»
«Ah, così va già molto meglio» sorrise Johanne con una smorfia. «Se avete qualche idea, sono a disposizione» interloquì lo sbirro di Lavai. «Potremmo chiedere l'intervento della Süreté del Quebec o della GRC.» Il poliziotto, improvvisamente irrigiditosi, riprese con voce fredda: «Ehi, calma. Si tratta dell'omicidio di una ragazza che voi non conoscete, commesso sul territorio di mia competenza. Per il momento ci sono due lesbiche in un motel, di cui una si fa ammazzare e l'altra, come è logico, scappa. Il resto sono solo vostre supposizioni.» «Dimentichi che l'assassino potrebbe essere un poliziotto, in ogni caso qualcuno che sapeva della presenza di Tyna nel motel.» «Ma cosa ci vuole a travestirsi da sbirri? E chiunque, ascoltando le vostre frequenze, poteva scoprire che la puttana che cercavate era a Palm Beach.» «Tutto questo richiede comunque un minimo di organizzazione» intervenne Brenner. «Esatto» ammise l'inquirente. «E dimostra anche che Tyna è sotto tiro» aggiunse Johanne. «Questo non puoi saperlo. Forse l'assassino ha seguito una per trovare l'altra. Giraud scherzava dicendo che poteva essere un marito offeso o scandalizzato, ma la spiegazione è plausibile. Storie simili accadono, anche tra i poliziotti.» «Soprattutto visto che sbirro e coglione non sono due appellativi inconciliabili» rise Brenner. «Resta il fatto che chiunque sia stato ha del coraggio. Nel giro di qualche minuto avrebbe avuto addosso le pattuglie. Questo può spiegare perché non ha ammazzato quella giusta. O non ha avuto tempo di finire con la seconda.» «E poi...» cominciò Johanne. L'inquirente di Lavai agitò le mani come per chiedere silenzio immediato. «Ascoltate, trasmetterò le informazioni alla Süreté e alla Gendarmerie Royale e sono disposto a collaborare con voi, ma a condizione di mantenere le fila dell'inchiesta, d'accordo?» «D'accordo» acconsentì Johanne. «Bene. Diciamo che non sappiamo chi fosse quella ragazza e non sappiamo nemmeno esattamente cosa ci facesse qui. Forse era la cliente della vostra Tyna, forse erano amanti venute a spassarsela, o potevano anche far coppia con un uomo che è fuggito con la sopravvissuta. Una siesta di due
ore è lunga per una semplice scopata... possiamo continuare a discutere per ore, ma ne sapremo di più solo quando avremo identificato la morta. Spero che scopriranno presto di chi si tratta.» «E se non lo scoprono?» domandò Brenner. «Se non lo scoprono, si fa dura... Si possono ricostruire i tratti di un viso partendo dallo scheletro. Ma prima bisogna ricostituire lo scheletro, e il medico legale è piuttosto scettico in proposito. Se ci riescono, diffonderemo il ritratto. Altrimenti dovremo andare a spulciare le denunce di scomparsa, o aspettare di prendere Tyna Langer o perlomeno l'auto.» «Se posso permettermi» riprese Brenner «trattandosi di una storia in cui potrebbe essere implicato un poliziotto e in cui è possibile che si sia verificato un errore nel bersaglio da colpire, sarebbe meglio non avvertire la stampa.» «Non pensavo di diramare un comunicato, però non mi fraintenda: solo perché è possibile un errore nella scelta della vittima. Detto questo, anche i giornalisti ascoltano le frequenze della polizia. Mi stupisce anzi che non siano già qui. Quando arriveranno, faremo appello al loro senso civico...» Tyna suonò il campanello. Se la signora Morel avesse aperto la porta, avrebbe fatto finto di avere un appuntamento con Alizée. La sua tenuta non avrebbe dovuto indisporre i genitori, visto il look della figlia. La villetta rimase in silenzio. Sul prato, un cigno di plastica nuotava in uno stagno più blu dei mari del sud accanto a un cervo in gesso. Tyna suonò di nuovo, poi tirò fuori il mazzo di chiavi e, al secondo tentativo, trovò quella giusta. La casa era tutta a piano terra. Con un'altra chiave aprì la seconda porta del corridoio, dietro c'era la camera di Alizée. Tyna si sedette sul letto, di fronte a un poster appeso al muro. Non doveva però perdere tempo. Poteva arrivare uno sbirro a portare la cattiva notizia, i Morel potevano rientrare da un momento all'altro. Ai Morel poteva sempre dire che Alizée le aveva chiesto di aspettarla, e per questo le aveva lasciato le chiavi. Quanto ai poliziotti, come facevano a scoprire chi era la morta? Le impronte... sì, certo... Da qualche giorno il cervello di Tyna lavorava a fisarmonica, sembrava un ping-pong. Alla fine ci si era abituata. Quasi le piaceva. Era inebriante. Tyna contro il resto del mondo. E il mondo avrebbe vinto. Vince sempre. Altro teorema. Ma per la prima volta nella sua vita agiva solo per se stessa e rendeva
conto solo a se stessa. Tyna restò seduta. Perché lei non aveva una camera così? Con tutti quei libri, la scrivania, il computer, la finestra sul prato. Il ricordo di un compleanno appeso alla porta. Perché non dire alla signora Morel che era pronta a sostituire Alizée? Come figlia valeva quanto un'altra. Sì... certo... Tyna si alzò e aprì l'armadio. L'evoluzione di Alizée si leggeva da sinistra a destra. Trascurò i capi più alla moda e buttò sul letto degli abiti presi a sinistra. Come avrebbero reagito i Morel alla scomparsa degli abiti della figlia? Avrebbero concluso che Alizée era andata via di casa. Ammesso che conoscessero il suo guardaroba. Le scarpe era appena un po' troppo grandi, ma sempre meglio che troppo piccole. Sua madre non ne sarebbe stata capace. Di suo padre aveva un solo ricordo: "Sei una scocciatura come tuo padre!" e subito dopo era stata cacciata di casa una prima volta. L'abitudine si era reiterata fino a che non l'avevano buttata fuori del tutto, con l'interdizione a tornare. Sul ripiano in alto c'era un'ampia borsa da viaggio. Diciassette anni ad Abitibi. Quella mattina il freddo aveva perlomeno il vantaggio di impedire alla neve di cadere e al fango di invadere la strada. La sera si era ritrovata a Montreal. Su una jeep. Con tre uomini che l'avevano invitata a casa loro. Sapeva benissimo cosa la aspettava, ma Tyna non era contraria. Senza riparo non si resiste a lungo a meno trenta. Tyna prese un po' di biancheria dal cassetto. Il primo le tolse l'abito e le strusciò sul pube un pene disgustosamente molliccio. La prese a schiaffi. Uno dei suoi amici lo allontanò e lo spinse sul divano a smaltire la birra con un sonno. Tyna fece il giro della stanza. Anche i libri sulle mensole testimoniavano l'evoluzione di Alizée. Per lei non erano che titoli astrusi su copertine tristi da morire. Nell'altro scaffale le copertine erano belle, e colorate. Il secondo riuscì ad abbassarle i collant e gli slip. Aveva il pisello duro, venne subito e le sporcò il ventre frignando. Esaminò due o tre libri. Una copertina mostrava una ragazza dai capelli rossi, con gli occhi a mandorla, un coltello in mano. Bella e minacciosa. La quarta di copertina parlava di uno studente francese all'UQAM e del
suo amico haitiano. E della ragazza, mortalmente pericolosa. Buttò il libro sul letto. Il terzo aveva seguito la scena in silenzio, seduto in poltrona a gambe incrociate. Si alzò, la prese per mano e la portò in bagno. Il cassetto della scrivania era chiuso. Una chiave fece scattare la serratura. La svestì lentamente, senza una parola. Faceva freddo. Le mostrò la vasca. Lei ci si accoccolò. Lui regolò la temperatura dell'acqua. Il cassetto conteneva carte, lettere e quaderni. Un diario. Tyna lesse la prima pagina, stava per prenderlo, ma poi lo rimise a posto. C'era anche un cofanetto. La guardò dritto negli occhi mentre le infilava la mano tra le cosce. Tyna le divaricò e si sentì arrossire quando le sue dita le aprirono le labbra del sesso. E sussultò quando le strinsero la clitoride. L'ultima chiave apriva il cofanetto. Un passaporto, un libretto d'assegni, cinquecento dollari. Tyna prese tutto e tornò verso il letto a scegliere la tenuta. Stava per optare per jeans e maglietta, ma poi pensò che una gonna dritta e una camicia sarebbero state più di buon gusto. La gonna la stringeva, ma non troppo, ci si sarebbe abituata. Lui continuò. Con una sola mano, sempre in ginocchio sulle piastrelle, senza dire una parola, guardandola fissa negli occhi sotto la luce di un neon. Tyna recuperò qualche oggetto e una trousse sul ripiano del bagno. Poi si diede un'occhiata allo specchio. Qualche modifica ai capelli e sarebbe stata perfetta. Mise gli occhiali. Una brava ragazzina. «Alizée Morel.» Nulla di incongruo. Tornò nella stanza e iniziò a chiudere la borsa. Per i capelli si poteva aspettare. Poi l'uomo la riportò in sala. I suoi amici avevano vomitato dappertutto. Cacciò i due ubriaconi e insieme si misero a ripulire il disastro. La tenne con sé quindici giorni. Tyna si avvicinò di nuovo alla libreria, quella triste. Passò un dito sulla costa dei volumi. Tirò fuori un mattone di cui le piacque il titolo: I sette pilastri della saggezza. Chi avrebbe potuto riconoscere una disperata senza scampo in una giovane intenta a leggere I sette pilastri della saggezza? Malgrado il peso, il libro finì nella borsa. La faceva dormire nella stanza della figlia. Ogni sera arrivava, accende-
va l'abat-jour, si inginocchiava accanto al letto, infilava una mano sotto le lenzuola. E la guardava. Senza dire una parola. Tyna diede un'ultima occhiata alla stanza. Non aveva lasciato tracce. L'aveva baciata una sola volta, piangendo tutte le sue lacrime. Aveva continuato a piangere da solo in sala, lei l'aveva sentito. Andò in cucina e aprì il frigorifero. Il sedicesimo giorno la portò davanti alla stazione centrale e le diede dei soldi. La signora e la signorina tornavano dal viaggio. Non riusciva a ricordare il suono della sua voce. Il pomeriggio aveva incontrato Chris. Tyna bevve due bicchieri di succo d'arancia e tagliò una fetta di torta al formaggio. Andò verso la porta, tornò indietro e frugò nei cassetti della cucina. Recuperò un grosso coltello e lasciò la casa con il sacco in spalla e il dolce in mano. Perché le era tornata in mente quella storia? Non c'era niente che potesse ricordargliela, nessun motivo. E, appunto, per nessun motivo se l'era ricordata. I suoi vecchi abiti appallottolati finirono nel primo bidone dell'immondizia incrociato per strada. Rémi annuì umilmente e rincarò. «Non ho beccato il cliente, ma c'era troppo poco tempo, davvero.» Doug era decisamente di buon umore e aprì le braccia, magnanimo. «Non è grave, sicuramente la troietta non ha raccontato la sua vita a un puttaniere.» Mostrò lo scanner e aggiunse. «E poi il cliente è scappato senza chiedere il resto; se avesse avuto qualcosa da dire, sarebbe rimasto.» Broker seguiva lo scambio. Non apprezzava particolarmente Rémi e il suo strano status, che nessuno a parte Doug conosceva davvero. Che si occupasse di grandi imprese o fosse incaricato di un'operazione delicata, rendeva sempre conto esclusivamente a Doug e agiva sempre da solo. Aveva fatto un bel lavoretto, d'accordo, ma quel concerto di elogi stava diventando penoso. Se non fosse stato assolutamente certo che non stava cercando di soffiargli il posto, Broker avrebbe decisamente detestato Rémi. Quanto a sapere cosa volesse davvero quel tizio, a cosa puntasse, era un vero mistero. C'era da credere che i soldi lo interessassero più del potere. Per Broker era il contrario.
Oshtrom sì girò verso di lui. «Adesso che questa storia è sistemata, farai meglio a riorganizzare le squadre. Ci è già costata abbastanza cara.» In parole povere, Doug gli stava chiedendo di uscire, e lui eseguì. Quando la porta fu chiusa, Oshtrom stese quattro foto sulla scrivania. «Li conosci?» chiese. Rémi annuì. Johanne, Brenner, Thomas e Stracey Layne. «Forse queste persone sono collegate tra loro» aggiunse Doug. Rémi restò impassibile. Non poteva affermare, né negare, quindi né affermava né negava. «Cosa sai sulla Layne?» «Quando ti ha contattato mi hai chiesto di informarmi. Da allora non me ne sono più occupato.» «D'accordo, ma credi che possa avere a che fare con gli sbirri?» «Mi sembrava pulita, altrimenti te l'avrei detto. Chiaramente, adesso ogni dubbio è lecito. Se avesse avuto problemi con gli sbirri di qui l'avremmo saputo, ma in Europa potrebbero aver raggiunto qualsiasi accordo.» «E gli italiani?» «Cosa c'entrano gli italiani?» «Che ruolo hanno nella storia?» Rémi scosse il capo. «Nessuno. Se fossero stati in questo business avrebbero lasciato qualche traccia, e non ne vedo alcuna. La famiglia Menani ha dei problemi per conto suo. Quando li avrà risolti, ricomincerà a romperci i coglioni, per il momento non mi preoccupano.» «Sì... era quello che pensavo anch'io. Dimmi, i Layne contano di girare le loro porcherie qui, hai un'idea di chi possa occuparsene?» «No, ma posso cercare.» «Sarebbe meglio. Mi sembrerebbe strano che non fosse organizzato nulla per le riprese.» «Mmm... Layne è prudente, può spostare un'equipe tecnica dall'Europa all'ultimo momento.» «Possibile, ma ha comunque bisogno di un minimo di infrastrutture.» «È vero» ammise Rémi. Oshtrom raccolse le foto. «Ti occupi tu di questa bella gente?» «D'accordo.» «Se hai bisogno di rinforzi, parla con Broker.»
Rémi annuì battendo le palpebre. Savoie lanciò l'asciugamano su una sedia, si sedette ed esclamò: «Non sono nemmeno stato chiamato a testimoniare! Perché non so quale imbecille di avvocato non ha ricevuto non so quale scartoffia in tempo. Come se quell'idiota non avesse potuto dirmelo subito!» Brenner, che si apprestava a spedire il suo fax arricchito di un nuovo paragrafo, rimandò l'invio a più tardi. In ogni caso, con quello scarto di fuso orario, non era più urgente. Johanne disse ancora qualche frase al telefono e riattaccò. E raccontarono a Savoie quello che si era perso, per poi ascoltare la registrazione dell'interrogatorio. «State certi» fece Savoie con una smorfia «che se Bret Giraud dichiara di aver trovato venti dollari, ce n'erano almeno duecento, o duemila. Più o una o due dosi...» Johanne utilizzò un'espressione canadese che Brenner non capì, ma che dal tono non aveva nulla di gradevole o gentile. Savoie si strinse nelle spalle. «Non essere frettolosa nel giudizio. A parte questo, Bret è un buon poliziotto.» «Sì, a parte questo» replicò Johanne con una smorfia. Savoie e Brenner si scambiarono un'occhiata. Johanne guardò prima uno e poi l'altro. «Non so chi assomigli più all'altro» commentò con voce stanca. «Non capisco» sospirò Savoie. «Capisco io» mormorò Johanne. «Allora» intervenne Brenner «abbiamo cose più importanti di cui occuparci, no?» «Certo» approvò Savoie. «Anche perché il tribunale è anche il posto con la maggiore concentrazione di stronzi per metro quadro. Ho avuto il tempo di fare quattro chiacchiere. Ed è opinione diffusa che i Rock ultimamente abbiano dei guai, ma non è dato sapere quali.» «Quella banda non ha un capo che possiamo interrogare?» chiese Brenner. «Doug Oshtrom. Prova ad andare da lui e il suo segretario ti dirà che è in viaggio e che in ogni caso il signor Oshtrom non riceve, ma che puoi sempre prendere un appuntamento.» «Non potete convocarlo?»
«Sì... ma essendo il signor Oshtrom in viaggio, vedrai arrivare il suo avvocato. I suoi avvocati. Con una prova rinchiudi un idiota, senza prova chiudi la bocca.» Sentendo che Luc stava per aggiungere qualcosa, Brenner lo anticipò. «Non mi chiedere se funziona così anche in Francia.» Savoie sfoderò un ghigno a mo' di commento. «Si può sempre interrogare Broker. Non ne caveremo nulla, ma sottoporlo a un po' di pressione non può fare alcun male.» «Perfetto» disse Brenner. «Allora, se stasera dobbiamo andare in città, siete miei ospiti. Avevo scommesso con Giraud che Johanne avrebbe condotto l'interrogatorio senza problemi.» Tirò fuori i cento dollari e li appoggiò sulla scrivania. «Accidenti» rise Savoie «deve aver goduto un mondo a darti quei soldi!» Johanne prese le banconote e le contò. Poi afferrò il cestino, lo svuotò sul pavimento, azionò l'accendino di Brenner e diede fuoco al denaro. «Merda! Dollari che avevo onestamente guadagnato con il sudore della tua fronte!» Dopo avergli rivolto un'occhiata minacciosa, la ragazza scoppiò a ridere. Tyna era scesa dall'autobus da due minuti. La cinghia della borsa le segava la spalla. Cercava di orientarsi e trovare l'indirizzo. Una casa per donne vittime di maltrattamenti, dove aveva trascorso un breve soggiorno qualche anno prima, dopo un periodo difficile con Chris. Un passaggio lampo: non aveva nulla in comune con quelle donne. E disprezzava profondamente le creature pallide e rassegnate che vi aveva incontrato. No, niente in comune. Ma era un posto dove non facevano storie per l'ammissione; bastava arrivare con una panzana attendibile e raccontarla in modo adeguato. Tyna voleva riprendere fiato per uno o due giorni, riposarsi, lavorare sul suo personaggio. Si era trovata un sacco di scuse per restare e quella casa le era sembrata il posto ideale. Forse lasciare Montreal non era facile come lasciare Abitibi. Riconobbe la strada e la imboccò. La stanza era buia e silenziosa, un silenzio ovattato. I due tavolini sembravano sospesi nel vuoto. L'illuminazione dosata con precisione cadeva dall'angolo ideale. La luce proveniva dalle tele stesse. «Cosa ne pensi?» chiese Stracey.
«Non avrei potuto fare di meglio» rispose Spowart sinceramente. Stracey incrociò le braccia. «Sai, più guardo queste tele, più mi dico che la nostra sbirra non è affatto priva di talento.» Spowart annuì con il capo. «Non hai cambiato idea?» fece Stracey in tono neutro. «No, no. La contatterò per annunciarle la buona notizia.» «Resti a cena, così ne parliamo?» «Pensavo di chiamarla stasera.» «Hai il cellulare. E poi non bisogna affrettare troppo le cose. Potrebbe insospettirsi.» «Ho l'impressione che non abbia grandi sospetti...» «Nemmeno io, ed è questo che mi preoccupa.» Lionel fece di no con la testa. «Non conosco nessuno più disposto a crederti di un pittore a cui dici che ha del talento. A parte uno scrittore a cui dici che è un genio. Ti credono semplicemente perché hanno voglia di crederti. O meglio, ne hanno bisogno.» «Come antipasto, preferisci ostriche o paté d'oca?» Tyna aveva raccontato la storia tenendo gli occhi bassi. Convivente geloso: schiaffi e pugni, conditi di insulti e minacce e calci. Aveva fatto vedere la guancia. Aveva parlato di un nuovo lavoro nel giro di qualche giorno, di una nuova vita. La donna all'accoglienza aveva dato una scorsa ai suoi documenti, prima di spiegare il funzionamento del centro, regole e doveri. "Posso pagare" aveva mormorato Tyna quando la donna aveva precisato che era necessario un contributo per i pasti. E la donna aveva annuito con la testa, sollevata di non doversi giustificare, di non dover deplorare la mancanza di fondi del centro. Le campagne di informazione avevano provocato un aumento delle richieste, non dei finanziamenti. Tyna aveva declinato l'offerta di un colloquio con un psicologo, poco convinta di riuscire ad abbindolare un medico. Aveva aggiunto che non si sentiva ancora pronta, ma chissà, forse, dopo qualche giorno. La donna le aveva sorriso, le aveva messo una mano sulla spalla e l'aveva accompagnata nella sua stanza. Una via di mezzo tra la camera d'ospedale e l'internato, più grande della prima e più piccola del secondo, meno allegra del secondo e più della pri-
ma. Due dei tre letti erano occupati da una giovane visibilmente incinta, che l'aveva salutata, e da una vecchia che non aveva sollevato lo sguardo dalla punta delle pantofole. Per la terza volta Magali raccontava la sua vita e i progetti che aveva per sua figlia - si chiamava Magali come sua nonna e il nascituro non poteva che essere femmina. Forse con delle varianti, ma Tyna aveva smesso di ascoltare. Le chiacchiere le avevano impedito di leggere, stesa sul letto, fino a che non aveva capito che l'altra non aveva alcun bisogno della sua attenzione. La vecchia aprì una Bleue, anche se l'alcol era vietato, ma forse la birra non rientrava nella categoria. Tyna avrebbe potuto contare i libri che aveva letto sulla punta delle dita. Non odiava leggere, ma per lei non era affatto automatico prendere un libro, tanto meno cercarne uno. Le sue letture erano sempre state frutto del caso. Quel libro l'aveva coinvolta fin dalle prime pagine. Parlava di SainteCatherine e Saint-Denis, due piazze dove due giovani cercavano una puttana. Il libro raccontava di ragazze brutte, consumate, avvilite. Tyna aveva stretto i denti. Non si giudicava brutta, no, per lo meno non fino a quel punto. E nemmeno avvilita. No, lì non era così. E poi lei non lavorava così, lei sceglieva. Non era... così. Invece sì. Il paragrafo l'aveva ferita, ma aveva proseguito. Fortunatamente, poco dopo, la rossa pugnalava il cliente. Un bella coltellata nella gola. Perfetto, anche lei sceglieva! Tyna sorrise pensando al coltello nella sua borsa. «Benone, ed è solo l'inizio. Vedrà cosa lo aspetta!» La vecchia aveva gridato sbattendo il pugno sul tavolo. «Parla di suo marito» spiegò Magali. Tyna le osservò da sopra il libro. «Non potreste stare un po' zitte?» replicò seccamente. La vecchia immerse il naso nella birra tirando su, Magali abbassò gli occhi e si scusò. Tyna continuò a osservarle. La vecchia forse non era poi così vecchia, ma era sicuramente alcolizzata, vista la velocità con cui stava scolando la Bleue doveva essere abituata a roba più forte. Figurati cosa avrebbe mai dovuto vedere il marito... L'altra ricominciò a parlare al proprio ventre, in silenzio, muovendo appena le labbra. Non erano più che semplici presenze. Animali da compagnia. Ecco cos'erano: animali da compagnia. Che l'avrebbero disprezzata se avessero saputo cos'era lei. Oh no, lei non assomigliava per niente a loro. Tyna tornò al proprio libro.
Broker sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale. Aveva riconosciuto i tre sbirri che risalivano la strada. Appoggiato alla sua 1340, il Rock Machine picchiettava lo sperone sul bordo del marciapiede come per far cadere qualcosa dalla suola. «Broker?» chiese Savoie esibendo il distintivo. «C'è scritto sopra» rispose lui girando la schiena. Riprese la posizione per aggiungere: «Ditemi, a cosa devo l'onore?» Savoie fece le presentazioni. «Ma che mi tocca sentire! Non abbiamo più abbastanza canadesi in Quebec? Dobbiamo addirittura ingaggiare dei francesi allo SPCUM?» «Non si tratta di un ingaggio, ma di una collaborazione» replicò Brenner. «E se non conosci Europol, non preoccuparti, prima o poi scoprirai cos'è.» Dei tre il più svitato era sicuramente lui. Si vedeva dallo sguardo, oltre che dall'atteggiamento e dalle parole. «Già... be', la collaborazione non è il mio forte, puoi fartelo dire dai tuoi amici.» Brenner sorrise di sbieco. «È solo una questione di circostanze. E le circostanze, si sa, possono cambiare.» Broker rise, asciugò una macchia invisibile sul serbatoio della sua Harley e si girò verso Savoie. «E cosa vuole da me il sergente inquirente?» «Chris. Lo conosci?» «No.» «Ma l'hai visto ai Foufounes électriques.» «Se tu sapessi quanta gente incrocio ogni giorno...» Savoie gli tese una foto. Broker scosse il capo. «Non mi dice niente. C'è qualche motivo per cui dovrei conoscerlo?» «È morto. Assassinato.» «Condoglianze, ma questa non è una ragione.» «Qualcuno ha visto dei Rock Machines a casa sua subito prima che morisse.» «Quanto è stupida la gente! Vedono un giubbotto di pelle e una moto e subito pensano che siano Rock Machines! Avevano almeno delle Harley? Se non avevano delle Harley, non erano dei Machines, perché noi facciamo lavorare i nostri fratelli americani, non quei porci di giapponesi!»
«Uno aveva scritto Broker sul giubbotto.» «Conosco almeno venti persone che hanno un giubbotto così. Va di moda. E infatti devo cambiarlo. Ma porta il tuo testimone, sono sicuro che quando mi vedrà ti dirà che non ero io. Succede sempre così: quando i testimoni mi vedono, si rendono conto di essersi sbagliati.» «Tyna Langer, ti dice qualcosa?» «No. Chi è?» «È stata assassinata.» «Ma insomma! Devi elencarmi tutto il cimitero, o cosa?» «Questi due non sono ancora stati sepolti. Le autopsie sono lunghe, istruttive ma lunghe.» «Sicuramente... non ha una foto della signora?» «Non ancora. Ma hai già visto anche lei ai Foufounes, era seduta accanto a me e tu eri a due tavoli da noi. Una ragazza sulla ventina.» Savoie descrisse Tyna. «Spiacente, non l'ho notata.» «Capito... e come vanno gli affari?» Broker fece una smorfia. «Non posso lamentarmi... ma lo sai, io mi accontento di poco» accarezzò il serbatoio della moto. «Un gallone nella mia Harley e sono un uomo soddisfatto.» «In effetti hai l'aria soddisfatta.» «Certo, ho appena fatto il pieno.» Broker indicò Johanne con la mano e aggiunse: «Ma mi spiace non sentire il suono della voce della signora. Lo immagino gradevole e dolce.» Broker si rallegrò notando le mascelle dell'inquirente che si stringevano: una giovane ancora emotiva. «Possiamo rimediare» disse Johanne. «Mi stavo appunto chiedendo come trascorre le giornate, dove trova il modo di riempire il serbatoio.» Broker annuì. «Non poi così gradevole, la voce... Le Harley non hanno più segreti per me. I buoni meccanici sono rari, e così mi chiamano nei casi disperati e mi pagano anche piuttosto bene. Vuoi vedere le ricevute?» «Inutile, sono convinta che siano impeccabili.» «Hai ragione. E poi mi faccio delle settimane intere che in confronto le tue sembrerebbero smorte. Non sono un perdigiorno che vive dell'assistenza sociale.»
La vide di nuovo stringere i denti e si trattenne dal ridere. «Altrimenti mi piace stare a guardare la gente che passa. È uno spettacolo straordinario. Anzi, se non avete più nulla da chiedermi, gradirei poter continuare a guardare in pace.» «La lasciamo, signor Broker» ribatté Johanne con una voce talmente bassa che il Rock Machine ebbe difficoltà a sentire. «Ma sono sicura che ci rivedremo presto.» Broker fece un gesto evasivo, e i tre sbirri girarono i tacchi. «Vi invito comunque al ristorante» borbottò Brenner più giù, lungo la strada. C'era stata una breve protesta quando Tyna aveva afferrato il telecomando, interrompendo la soap opera che le due seguivano da settimane. Tyna aveva domato la ribellione con un solo sguardo deciso e aveva trovato il notiziario. Nessun telegiornale, nemmeno quello video di Radio-Canada, ricordava l'assassinio di Alizée. Non era normale. Avrebbero dovuto fare almeno un annuncio. Era la prova che gli sbirri sapevano qualcosa. Finiti i telegiornali, Tyna appoggiò il telecomando sul comodino e si alzò in un balzo. «Vado a cercare da mangiare» annunciò. «Puoi prenderlo anche per me, per favore?» chiese Magali con voce lamentosa. Si massaggiava le reni con una smorfia. Per poco Tyna non la mandò a quel paese. Ma bisogna pur prendersi cura degli animali da compagnia. Magali non aggiunse niente, né si mosse dalla sedia, come a dire che Tyna doveva anche pagarle il pasto. La vecchia raccolse le bottiglie di birra vuote sotto il letto e si affrettò a metterle in un sacchetto di plastica che le porse. «Potresti buttarmele via?» Prima che Tyna potesse rispondere che non era lì per smaltire la sua immondizia, la vecchia precisò: «A me mi sorvegliano.» Gli occhi erano lucidi di lacrime. Tyna prese il sacco e sospirò. «D'accordo. Vuoi che ti porti un sandwich, qualcosa?» La vecchia scosse la testa. «No, grazie. Andrò a mangiare al refettorio, lo preferisco.» «Come vuoi» sospirò Tyna aprendo la porta.
Magali si era avvicinata al comodino e con un dito aveva sollevato la copertina de I sette pilastri della saggezza, poi aveva girato qualche pagina. Sussultò come se fosse stata colta in fallo quando Tyna rientrò nella stanza con un vassoio in mano. «Leggi pure, se vuoi.» «Pensi che non ne sono capace?» Tyna non riuscì a sostenere lo sguardo. «Non ho detto questo» rispose appoggiando il vassoio sul tavolino. Ma l'ironia del suo tono sembrava aver peggiorato la cosa. «Non sono una stupida, sai.» «Non ho detto questo» ripeté Tyna. «E poi vieni a mangiare, che era già freddo quando l'ho preso.» Apparecchiò per due. Magali si appoggiò al letto. «Ho visto Lawrence d'Arabia, il film, e mi è piaciuto. Ma il libro sembra più complicato.» «I libri sono sempre più complicati. Allora, preferisci i piatti freddi o cosa?» «Te lo ripagherò, non ti preoccupare.» «Lascia stare, non importa. L'altra non c'è?» «Va sempre a passeggiare prima di andare al refettorio.» «Allora io comincio.» Tyna si sedette a tavola, Magali andò a sedersi di fronte a lei. «Ti rimborserò; quando ero parrucchiera guadagnavo bene.» Tyna dissimulò il suo improvviso interesse. «Avevi un salone?» «No, lavoravo come apprendista e non ero male.» «Hai smesso perché sei incinta?» Magali rise in silenzio. «Non ti impedisce mica di lavorare, sai? Perlomeno all'inizio. Ho smesso perché so fare solo la parrucchiera, e per ritrovarmi al mio ragazzo basta fare il giro dei negozi. La prima volta che sono scappata, mi ha trovato così. Questa volta non riuscirà a ritrovarmi.» «È sua figlia?» Un lampo di collera attraversò lo sguardo di Magali, che replicò con veemenza. «È la mia! Lui non è niente! Avrebbe potuto esserci chiunque al suo posto! Non ha alcuna importanza!»
«Capisco» disse Tyna. «Sei fortunata... Io ci ho messo un sacco di tempo per capire. E senza mia figlia forse non avrei mai capito. Ho paura per lei, è stata lei a darmi la forza. Altrimenti...» Tyna annuì. «E adesso? Hai dei progetti?» Magali si appoggiò le mani sul ventre. «Aspetterò che nasca, tra un mese, poi riprenderò il mio lavoro, ma non a Montreal. Ho già delle proposte in Quebec e a Ottawa.» «Spero che ti vada tutto bene.» «Grazie.» Magali la guardò a lungo in silenzio e aggiunse: «Ti avevo già raccontato tutto, ma tu non mi avevi ascoltato, eh?» Tyna abbassò gli occhi. «No... scusami... io... avevo voglia di leggere, di pensare ad altro.» «Lo so, siamo tutte qui per gli stessi motivi, a raccontarci le stesse storie, che non interessano più a nessuno.» Tyna evitò di rispondere che per lei era diverso, che lei aveva un'altra storia. Si limitò a ridere: «In ogni caso è bello avere un'amica parrucchiera, soprattutto quando si hanno dei capelli come i miei.» Poco abituata a trovare dei messaggi sulla segreteria telefonica, Johanne non aveva notato la spia luminosa che lampeggiava. Si era seduta sul divano, davanti a un bicchier d'acqua, e si accorse che l'avevano chiamata solo quando squillò il telefono. «Ciao, Johanne, sono Lionel. Hai trovato i miei messaggi?» «Ciao! No, sono appena rientrata e non ho avuto tempo di ascoltare la segreteria.» «Ho capito, ti ho chiamato perché ho una buona notizia.» Johanne sentì il cuore accelerare i battiti. Chiuse gli occhi per qualche secondo. «Una buona notizia?» «Sì, è un po' lungo da spiegare al telefono. A dire il vero, contavo di parlartene di persona, ma adesso è tardi, devi essere stanca.» Johanne per poco non si mise a gridare che no, che poteva andare, che doveva andare, parlarle di pittura, colori, bellezza. Che aveva già ricevuto la sua parte di menzogne e atrocità per quel giorno. E, sì, che facesse l'amore con lei.
«No, non sono stanca» disse semplicemente. «Sicura? Posso passare?» «Se non vieni, non riuscirò a chiudere occhio per tutta la notte.» «Se gli sbirri avessero qualcosa contro di te, ti avrebbero arrestato.» «Lo so, Doug, ma ho preferito parlartene. Sono comunque venuti a interrogarmi così, in mezzo alla strada, non è normale.» «Hai fatto bene a dirmelo. Però trovo il tutto piuttosto incoraggiante. Quegli sbirri stanno prendendo tempo. Non speravano davvero di ottenere delle risposte da te.» Broker sorrise. «Lo spero bene.» «Allora sono tutte sciocchezze. Continua il business come se niente fosse. Rémi si occupa della Layne, vedremo cosa ne verrà fuori.» Entrò e le tese la mano, imbarazzato. Johanne invece si stava allungando verso di lui, ma si fermò, sentendosi molto goffa. Si sorrisero e trovarono una via di mezzo, baci sulle guance. Lo invitò a entrare in sala, aveva preparato del caffè. «Allora» cominciò Lionel «questo pomeriggio è venuta una cliente in galleria, Stracey Layne. Si è innamorata delle tue tele e ne ha comprate due.» Tirò fuori un assegno dalla tasca e glielo diede. Johanne spalancò gli occhi. Più di quattro settimane allo SPCUM. «Ma è fantastico!» «E se conoscessi la signora Layne, sapresti che è solo l'inizio.» «Chi è?» «Un'europea, ricca, amante dell'arte, in particolare di pittura. Passa spesso uno o due mesi in Quebec d'estate e a volte ho la fortuna di vederla in galleria. È una persona parecchio influente, può fare molto per te.» Johanne lo guardava, frastornata. Lionel proseguì. «Poco dopo essersene andata mi ha richiamato, vuole incontrarti.» «Me... perché?» «Perché considera i pittori importanti quanto i quadri, e suppongo anche per accertarsi che sia proprio tu l'autore delle tele che ha comprato. Mi ha lasciato intendere che se fa una cosa del genere è perché vuole promuoverti, altrimenti non si darebbe questo disturbo.» Lionel l'aveva osservata con attenzione, al nome di Stracey non aveva
battuto ciglio. Johanne scosse il capo e mormorò: «Non ci credo...» «Nemmeno io» rincarò Lionel appoggiando allo schienale. «Nell'ambiente si parla di pittori che esplodono dall'oggi al domani, di quadri che si vendono da soli... credevo che fossero solo storie che ci si raccontava per farsi coraggio... e poi, ecco che capita anche a me.» «Cosa devo fare? Non ci sono abituata...» «Nient'altro che essere te stessa, e a questo ci sei abituata. È stata la sincerità della tua pittura a toccare Stracey Layne; Johanne Desjardin la toccherà allo stesso modo.» «Lo spero... solo a pensarci mi viene la pelle d'oca... Quando mi vuole vedere?» «Mercoledì sera a casa sua. Se sei libera, devo confermarglielo.» «Ma è tra due giorni!» «Tu sarai la stessa sia tra due giorni che tra quindici, e poi la signora Layne ha un solo difetto: è sempre di fretta.» «Va bene... tu verrai con me?» «Naturalmente.» Si guardarono da sopra le tazze. «E questa sera? Resti?» CAPITOLO XX Seppe che pioveva prima ancora di aprire gli occhi. Il rumore della pioggia, l'odore della pioggia. Tyna tenne le palpebre chiuse per qualche minuto. Aveva dormito come un sasso, senza sogni. A un certo punto aveva avuto la vaga sensazione di sentir gemere Magali. Si stirò e aprì gli occhi. Dal letto vicino Magali le fece un piccolo segno, a cui Tyna rispose. La vecchia non c'era già più. «È andata a fare colazione» disse Magali, che aveva seguito il suo sguardo. «E poi piove.» «Sì, ho sentito. Meglio, così farà meno caldo.» «Hai passato una buona nottata?» «Non c'è male, e tu?» Magali si accarezzò il ventre. «Anch'io, non si è agitata troppo.» Tyna saltò giù dal letto per dirigersi verso la finestra. «Non hai la camicia da notte?» obiettò Magali, stupita.
Tyna, che le volgeva le spalle, si morse un labbro per non ridere. Una camicia da notte. L'idea non l'aveva mai nemmeno sfiorata. Fece segno di no con la testa senza girarsi. «Posso prestartene una, se vuoi.» «Ho delle magliette, mi arrangerò con quelle.» Ne infilò una che le arrivava a metà coscia e aprì la finestra. Eccetto per qualche profonda pozzanghera, il cortile era vuoto. A Tyna piaceva più così. Quando era popolato di donne che camminavano in tondo parlando a bassa voce bassa, assomigliava a quello di una prigione. Era il ricordo che manteneva dal precedente soggiorno, anche se non era mai stata in prigione. L'aria era fresca, quasi fredda. Meglio così: contava di andare a fare delle spese in città e si sarebbe risparmiata una sudata. E poi un giorno di pioggia è l'ideale per tagliarsi i capelli. La pioggia cadeva fitta da un cielo che sembrava di novembre. "Così non ci facciamo illusioni", si disse Johanne alla finestra. Lionel appoggiò la tazza vuota sul tavolo. Si avvicinò a lei, le baciò la nuca e l'abbracciò. Johanne si appoggiò a lui. «Sai» disse con un sospiro «quasi mi dispiace che ci sia una faccenda di denaro tra noi.» Johanne si irrigidì. «Perché? Quando è cominciata non c'erano storie di denaro, no?» «È vero, ma... un giorno o l'altro...» «E allora lasciamo la signora Layne là dov'è.» «Non ho il diritto di chiederti una cosa simile. E tu sei folle anche solo a pensarla!» La strinse più forte, le baciò l'orecchio, poi la guancia. «Se fai una cosa così, non ti bacerò mai più... oppure solo la domenica!» La sentì rilassarsi e ridere. «Va bene, se mi costringi a diventare ricca e famosa, tanto peggio, farò in modo di accontentarti.» Gli prese la mano e se la portò alla bocca. Felice e confusa. Lionel metteva sempre in evidenza la sua sincerità e lei non gli aveva ancora rivelato che era inquirente allo SPCUM. Ci aveva provato più volte, ma poi non aveva mai osato. Eppure un giorno o l'altro avrebbe dovuto farlo. Che stupida a non averglielo detto subito. Non si vergognava del suo lavoro, al contrario. Allora perché? Forse l'immagine di sbirra il giorno e pittrice la sera le era sembrata talmente ridicola da far ridere chiunque.
Lionel le baciò il profilo del viso e scese sulla gola. Mentre lei dormiva aveva dato un'occhiata qui e là e aveva trovato il distintivo, l'arma di servizio e perfino un'uniforme in un armadio. Era della polizia, nessun dubbio. Ma Lionel era sempre più convinto che non stesse recitando. Di conseguenza? Be', sarebbe stato a vedere. Le sue convinzioni non rientravano nel genere di argomenti da sottoporre a Stracey. E poi la sbirra offriva comunque l'occasione per un po' di divertimento. «Ora non faremmo meglio a sparecchiare?» disse. Johanne si staccò da lui a malincuore. «Sì, hai ragione.» Sgombrarono la tavola. Tornando in cucina, Lionel indicò il computer e il modem sulla scrivania. «Usi Internet?» Johanne seguì il suo sguardo. «Eh? Oh, sì, ogni tanto.» Per poco Lionel non rispose: "È grazie a Internet che ti ho conosciuto". «Quando ero un po' depressa mi ha aiutato trovare qualcuno di simpatico con cui scambiare quattro chiacchiere. E adesso che sto meglio, sto trascurando gli amici che mi ero fatta. Per essere una persona così sincera, non è un gran comportamento.» «Bah, è tutta una cosa virtuale, piuttosto aleatoria.» «Sì... penso però che ci possa essere qualcosa di più... tu lo usi?» «Solo per lavoro. Non riesco a prendere il resto sul serio.» Appoggiò le tazze nell'acquaio, la prese per la vita e la attirò a sé. «Mentre tu sei qui, per niente virtuale. Perché ridi?» «Perché penso a quello che diceva un francese sulla Rete...» «Che cosa?» «Ehm... erezione del mattino, in ritardo al cartellino...» Lionel annuì con il capo e aggiunse: «E io ho un sacco di lavoro stamattina. Se c'è un contrordine con la Layne ti lascio un messaggio. E se non c'è, te lo lascio comunque.» «Non vieni stasera?» «No, ho un incontro previsto da un sacco di tempo che non posso rimandare, e ho paura che vada per le lunghe...» La sua aria delusa le scaldò il cuore. Magali guardò il passaporto e abbozzò una smorfia. «Non è proprio la fine del mondo. Posso fare di meglio, sai.»
«Sì ma... ho provato diversi stili, e non sono mai stata del tutto soddisfatta. Credo di aver voglia di tornare com'ero. È il taglio con cui mi vedo meglio.» Da professionista abituata a non contrariare la cliente al di là di un ragionevole limite, Magali non insistette. Prese i capelli di Tyna, li divise in ciocche e fischiò. «Pffui! Si vede che hai provato diversi stili! Prima bisogna ripulire tutta questa roba, poi ritingere...» Esaminò di nuovo il passaporto. «E anche se sono una brava parrucchiera, non posso mica allungarteli. Posso farti un taglio identico, ma un po' più corto.» «Benissimo. Ho della tinta nella borsa.» «Lascia stare. Ne ho anch'io, e di qualità migliore.» Andò ondeggiando fino all'armadio, cercò su un ripiano e tornò con due barattoli. «Forza! La testa nel lavandino!» Savoie alzò la testa dalla propria agenda. «Allora, cosa ne dice il tuo giudice?» Brenner incrociò le gambe. «Che, esaminati nella loro confusa successione, i fatti non paiono sufficientemente significativi.» «Ah... e cosa significa?» «Che il signor giudice mi lascia la piena e totale libertà di decidere sul prosieguo della mia missione. In altre parole, sta a me decidere se sfruttare ancora il denaro dei contribuenti per nulla, se continuare a perseguire criminali fantasmatici in Quebec invece che in carne e ossa in Francia.» «Quello che ha fatto fuori la ragazza del motel era in carne e ossa.» «Sì... peccato che non l'abbia ammazzata a Parigi. O a L'Aia.» Brenner aprì il portatile e lo accese. «Torni a casa?» «Oggi è martedì. Arriverò fino alla fine della settimana. La Francia dovrà fare a meno di me.» L'icona ICK cercò la connessione e la trovò. «Conosco l'inquirente di Lavai, è un bravo ragazzo, farà il possibile per aiutarci. Poi, con la Gendarmerie e la Süreté sulle sue tracce, la ragazza non riuscirà a sfuggirci per molto. E in ogni caso, anche se tu te ne vai, noi continueremo a indagare, non possiamo più lasciar perdere.»
Il nick di Ulrike era apparso sullo schermo, Brenner cliccò su messaggio. Cùcù! Tutto bene? «Se potessimo almeno identificare il cadavere del motel...» borbottò. «Sarà una fatica improba; le impronte sono negative e prima che i medici possano ricostruirne il ritratto...» Il computer segnalò la risposta. «È la tua collega tedesca?» «Sì.» Malissimo. Ieri avevo 40 di febbre, oggi 39. Brenner digitò una risposta. Scommetto che sei di nuovo andata in giro a spassartela per i canali con un bellimbusto. Sai che l'umidità ti fa male! «Sai cosa avrei fatto io al posto di Tyna?» disse il poliziotto francese al collega canadese. «Avrei preso i documenti della morta e adesso mi farei passare per lei.» Hai proprio indovinato. In ogni caso, è gentile da parte tua ricordarti che esisto. «Se cerca di nascondersi, è sicuramente quello che ha fatto. Ragione di più per identificare il cadavere. Forse ci arriveremo attraverso la macchina.» Sono stato occupato, sono successe un bel po' di cose qui. «Come dice Johanne, una macchina con quattro ruote...» Ah sì? racconta. «Adesso riassumo a Ulrike quello che è successo» annunciò Brenner ad alta voce, cliccando sull'icona Chat request. Wao! Non male, in effetti commentò Ulrike un paio di minuti più tardi. Cosa ne dice il giudice? Brenner sospirò. Non è convinto. Sì, è normale. Mettiti al suo posto. Non sono al suo posto. Okay... forse hai scoperchiato un formicaio o forse stai collegando pezzi che non c'entrano niente tra loro. Secondo le loro statistiche ci sono parecchi omicidi in Quebec, no? Non ti ci metterai anche tu! No, no... Ho parlato con Frébault, ha fatto qualche ricerca su CoolWebeur. Non è un informatico ma un prof in aspettativa, quindi può sviluppa-
re software nel tempo libero. Per il resto: divorzio, figlio, sembra tutto vero. Un uomo stimato dai vicini e tutto. Peraltro si è trattato di un accertamento piuttosto superficiale. Per approfondire ci vuole più tempo, ne vale ancora la pena? Ecco... abbiamo solo lui da mettere sotto i denti. Lo immaginavo. Okay, scaveremo più a fondo. A proposito, stiamo marcando stretto il server di posta di CoolWebeur... Pratica di monitoraggio illegale! digitò Brenner sorridendo. Che parolone! Pff! Si vede che per poco non finivi in magistratura, tu! Siccome ieri non c'ero, forse mi sono persa qualcosa, ma ne dubito. In ogni caso, i messaggi che ho recuperato sono di una banalità tremenda, li vuoi? Mandali pure, mi faranno passare un po' di tempo. L'icona di trasferimento file lampeggiò. Johanne entrò nell'ufficio in quel momento. Brenner diede macchinalmente un'occhiata all'orologio. Johanne annuì con la testa. «Eh, sì! Anche a Montreal c'è il traffico.» Magali appoggiò il phon e prese la spazzola. Tyna si mise gli occhiali da vista e si guardò allo specchio. Magali le sistemò un'ultima ciocca. «Ecco qui, adesso le assomigli!» Più che le parole, fu il tono a stupire Tyna. Si tolse gli occhiali e cercò lo sguardo dell'altra ragazza nello specchio. Magali lo evitò. «È normale, il mio passaporto non è così vecchio» fece Tyna con voce distaccata. «Certo» assentì Magali, sempre senza guardarla. «Perché dici così?» «Niente... io... non avrei dovuto.» «Dovuto far cosa?» Magali sembrava sotto tortura. Fece un passo indietro e si sedette sul letto. «Ascolta, Alizée: se mi dici che è il tuo passaporto io ti credo, ma quella non è la tua foto. Non è una questione di viso, alla tua età le ragazze cambiano, sono proprio i capelli. I tuoi sono molto più grossi e folti. Una parrucchiera se ne accorge al volo; ma stai tranquilla, a parte una parrucchiera, nessuno noterà la differenza.» «Te n'eri già accorta ieri, quando ti ho fatto vedere il passaporto?» «Sì. Ma avevo voglia di aiutarti. E poi ti ammiro, mi piacerebbe poter
fare come te, cambiare.» «Anche tu cambierai, no?» Magali sorrise tristemente. «Farò la stessa cosa che facevo qui, ma altrove; non è proprio cambiare vita, mentre tu...» «Io cambierò di nome, ma probabilmente mi troverò altrove a fare le stesse cose di qui. Di conseguenza, vedi...» «Ecco, Tyna, ho voluto fare la furba, per dimostrarti che non ero una stupida, e invece avrei fatto meglio a starmene zitta. Ma non ne parlerò mai a nessuno, te lo giuro, mi credi?» Tyna annuì con il capo. In ogni caso, cos'altro avrebbe potuto fare? Per un istante aveva pensato al coltello nella borsa, e subito le era venuta la nausea. Prese le mani di Magali tra le sue. «Ce la caveremo tutte e due, vedrai. Anzi, tutte e tre» aggiunse appoggiandole una mano sul ventre. Johanne scorse uno dei fogli emessi dalla stampante. «Vale davvero la pena accanirsi su CoolWebeur?» Brenner alzò le spalle. «Se vuoi saperlo, non è un informatico ma un prof in mobilità» rispose, poco convinto del suo argomento. «Sai che roba! Io sono forse impiegata alla Générale du Québec?» Johanne agitò un foglio e aggiunse: «Quello che stai facendo non è corretto.» «Forse, ma è sempre meglio che non fare niente» replicò Brenner. «Ci scusi, signor commissario! Noi siamo tenuti ad attenerci alle nostre sfere di competenza!» «Non lo dicevo riferito a voi. Gli ingorghi di traffico non ti riescono!» Johanne corrugò la fronte, poi sorrise. «No... si direbbe di no... Ma non credi che faresti meglio a contattare la Süreté o la Gendarmerie adesso?» «Ci ho pensato, ma ci vorrebbero nuovi documenti e permessi. E poi tutti continuano a dirmi che sto mettendo insieme fatti senza alcun rapporto, e ormai sto iniziando a crederci anch'io. In ogni caso, torno in Europa alla fine della settimana.» «Questo fine settimana? Felice di saperlo» digrignò i denti Johanne. Brenner evitò di farle notare che se fosse arrivata prima... pensando che non fosse il lato giusto da cui prenderla.
«L'ho appena deciso. A meno che, naturalmente, non si verifichino fatti nuovi e indiscutibili...» «Peccato. Iniziavo ad abituarmi.» «Quando avete finito, magari possiamo andare!» li interruppe Savoie. «Andare dove?» chiesero in coro Johanne e Brenner. «A vedere Alessandro Sigismondi.» «Chi è?» «Un tipo a cui ho fatto un favore quando ero di pattuglia, anni fa, e che all'epoca era in combutta con la Mafia. Adesso non lavora più, non attivamente per lo meno. Tra la Mafia e i Rock esiste un rapporto di amore-odio, forse potrà dirci qualcosa su cosa combinano i Machines.» Il marciapiede ondeggiava. Tyna si tolse gli occhiali in preda a un conato di vomito e si massaggiò gli occhi. Il panorama si fermò. Tyna riafferrò i pacchi e riprese a camminare. Aveva effettuato qualche acquisto, pagando con gli assegni, e per farlo aveva messo gli occhiali. Una ragazza con gli occhiali non può che essere una ragazza perbene; le cassiere non avevano sospettato di nulla. Una aveva commentato che Alizée era un nome grazioso. Aveva anche provato la carta di credito. Bastava trovare un negozio che utilizzasse il sistema manuale, per fortuna ce n'erano ancora parecchi. Tyna si sentiva distesa, distaccata. Era l'effetto del nuovo taglio, dell'abito elegante, delle scarpe finalmente del suo numero. Riusciva a non sussultare più al rumore di una moto, né cominciava a sudare alla vista di un'uniforme. In ogni caso, non si era spinta fino a Saint-Laurent. Pannelli di cartone proponevano Parigi, Roma, Amsterdam; foto di aerei, Air-France, KLM, Alitalia. Tyna spinse la porta. Qualche parola di italiano aveva creato una certa atmosfera, non proprio complice, ma quasi. Né Johanne né Savoie parlavano italiano e far sgobbare i canadesi non dispiaceva affatto a "Sandro". Con Brenner aveva ricordato Nizza, Genova, Portofino. «Portofino! Porca Madona!» Si era espresso proprio così, nella ruvida immediatezza del suo dialetto natale. Porca Madona, sì... Per Brenner quel porto di lusso, dove passavano i più grandi yacht del Mediterraneo, continuava a conservare un gusto di perquisizioni sempre risoltesi in buchi nell'acqua. E quello dello champagne bevuto sul sun-deck di un Azimut 60 in compagnia dei carabinieri e
del proprietario. Difficile negargli quel piacere, era venuto apposta da Genova in aereo per assistere all'operazione. «Ottimo champagne, non trova?» «L'avrei preferito meno amaro.» Sandro aveva sorriso. Ed era tornato al francese. «Anch'io ho sentito dire che i Rock Machines hanno dei guai. Ma non so quali... Posso assicurarvi che gli amici non c'entrano, è tutto. Oshtrom è un uomo intelligente, controlla bene le sue truppe e sa imparare dal passato.» Savoie si sfiorò un baffo. «In altre parole, un affare privato.» «Penso di sì.» «In rapporto a quello di cui ti avevo parlato?» Sandro si tolse gli occhiali, li esaminò un istante e li rimise a posto. «Sai, i miei amici non hanno niente a che spartire con gli snuff. Nessun uomo d'onore ci avrebbe a che fare, è roba per pervertiti, matti, luridi insetti, parassiti schifosi.» Sandro fece un ghigno, come disgustato. A Brenner sembrava di essere alla replica di un film. Dove gli uomini d'onore, all'uscita della messa, decidevano che la droga si poteva vendere, ma solo ai negri e agli ebrei, al massimo ai finocchi. Sandro forse gli lesse nel pensiero, perché aggiunse: «C'è anche da dire che non è un mercato di grande interesse. È per forza di cose un lavoro da amatori, difficile da collocare. I Rock potrebbero occuparsene, è il loro genere, ma non posso affermare con certezza che lo facciano. A dire il vero, ne dubito.» Ecco che sembrava più una replica di intercettazioni telefoniche... La conversazione proseguì distesa, amichevole. Poi i poliziotti si congedarono. Senza aver fatto il minimo passo avanti. Tyna occupava un grande tavolo da sola; aveva I setti pilastri della saggezza davanti a lei, una tazza di cioccolato e due dolcetti al cioccolato a destra, il preventivo dell'agenzia di viaggi a sinistra. Con la punta della lingua fece sparire il filo di schiuma che le orlava il labbro superiore. Tyna sospirò. La ragazza dell'agenzia l'aveva sommersa di proposte. Prendere un biglietto, correre a Mirabel, saltare su un aereo e hop! Non poteva essere così semplice... nei film non era mai così semplice. Ci sarebbero stati dei poliziotti a Mirabel, dei controlli, qualcosa che avrebbe fatto sì che la prendessero per una spalla. O che la ammazzassero sul posto.
Le aveva proposto anche di partire da New York. Era meno costoso e i voli erano più frequenti. Non c'era bisogno del passaporto per gli USA, i controlli erano limitati. Tanto più che gli sbirri di Newark non avevano niente contro di lei. Nei film i poliziotti non si capiscono mai tra loro, però c'era un francese a Montreal. E poi nei film rintracciano i fuggitivi dagli assegni e dalla carta di credito. Qualcuno avrebbe finito per trovare curioso che una morta stesse facendo degli acquisti. Sarebbero risaliti all'agenzia. E lo sbirro francese l'avrebbe aspettata a Parigi. Lui o un altro. Tyna chiuse il depliant dove compariva la Torre Eiffel. La cosa migliore sarebbe stata scappare negli Stati Uniti e restarci. C'era anche Roma. E Bruxelles. In Belgio la lingua non sarebbe stata un problema. O Ginevra. Cambiare continente era comunque più eccitante. Spaventoso ed eccitante. Tyna giocava con le proprie paure. Stava per ordinare un terzo dolcetto, ma ci ripensò. Doveva conservare dei contanti. Sfogliò i depliant con la punta del dito che tremava. «Cosa ne dite?» mormorò rivolta ai piccoli puntini blu. I tergicristalli spazzolavano il parabrezza cigolando. La pioggia sembrava acqua sporca. «Cosa ti ha detto mentre uscivamo?» chiese Johanne. «Mi ha augurato buona fortuna.» «Ma senti, certo che è lungo buona fortuna in italiano!» «Mi ha augurato buona fortuna e mi ha detto che contava di andarsene in pensione in Toscana, sotto gli ulivi, vicino a San Giminiano, dove sarò suo gradito ospite.» «E tu cosa gli hai risposto?» «Che me lo faccia sapere.» Johanne annuì con il capo. «Che favore gli hai fatto?» chiese a Savoie. «Suo figlio è stato assassinato, ma non per una storia di Mafia, solo una bravata. Il ragazzo non aveva gradito il modo in cui due tizi guardavano la sua bionda e gliel'ha fatto notare. I due non hanno apprezzato la sua osservazione, erano ubriachi fradici e gli hanno sfondato la testa. Io li ho messi in galera.» «E tu questo lo chiami un favore?» «Io no, è Alessandro che l'ha preso come tale.»
Non era la domanda giusta. Brenner incrociò lo sguardo di Savoie nel retrovisore. «Cosa ne è stato poi di quei due?» chiese Johanne. «Una brutta caduta, su dei cocci di vetro.» Buona domanda, ma incompleta. Questa volta Brenner incrociò lo sguardo di Johanne. Lei evitò di chiedere dove e quando. «Se andassimo a fare un giro a Lavai?» propose invece. Magali non era in camera. La vecchia invece le disse buongiorno con un cenno del capo di approvazione. «Sei molto più carina così, prima sembravi una sguattera...» Tyna la ringraziò e cominciò a sistemare i suoi acquisti. Poi prese il suo libro e si stese sul letto. Non riuscì a concentrasi e si appoggiò il volume sul petto. Pensava al biglietto aereo. L'aveva comprato. Con una tale facilità che ne era ancora sorpresa. Se la prudenza non le avesse raccomandato la discrezione, lo avrebbe estratto dalla borsetta per guardarlo, toccarlo, accertarsi che fosse vero. New York-Ginevra. Aveva deciso all'improvviso. Tanto non costava niente. Solo un pezzo di carta per la stampa. E una vampata di calore quando l'impiegata dell'agenzia era andata sul retro, con la carta di credito in mano. Tyna si era tenuta pronta a fuggire verso la porta. Ma la ragazza era tornata scusandosi del contrattempo e aveva stampato il biglietto. Dopo quattro giorni doveva trovarsi a Newark. Era più di quanto le serviva. Quattro giorni e avrebbe cambiato mondo. Apparteneva a un'altra razza adesso, la razza di quelli che partono. Uscendo dall'agenzia, e più lontano sui marciapiedi di Montreal, si era stupita che i passanti non le tributassero un applauso. Ben presto non avrebbe più visto le loro brutte facce, né i loro scarponi calpestare il fango. Mai più. Era finita. E perché non sarebbe dovuta andare così, eh? Tyna riprese il libro. Alla domanda: "Sì, ma se muoio?" il giovane francese rispondeva: "Ebbene, ti amerò lo stesso!". Tyna corrugò le sopracciglia e tornò indietro di una pagina per capire quella strana risposta. La prima cosa che guardò Johanne entrando in casa fu la segreteria. Il led rosso lampeggiava. Lionel confermava l'appuntamento con Stracey Layne.
Seguiva una lunga e tenera frase che terminava con un bacio. Riascoltò il messaggio, per il piacere della sua voce. Il loro passaggio a Lavai non aveva portato a nulla. Bisognava aspettare ancora. Era un mestiere in cui bisognava sempre aspettare. Savoie una volta le aveva detto: cinquanta per cento attesa, cinquanta per cento delusioni, quello che resta è la parte buona. Johanne incrociò le dita. Con un po' di fortuna, forse non avrebbe più avuto bisogno di quel mestiere. La casa le parve vuota come non mai. Le mancava perfino la voglia di dipingere. Si avvicinò al computer e lo accese. CoolWebeur non era collegato a ICK. Mandò comunque un messaggio, giacché Cool poteva essere i modalità "invisibile". Cùcù! Ciao! Il messaggio restò senza risposta. Johanne attivò Virtuel Chat. Seguì la conversazione senza partecipare. Era di una noia desolante e Cool non era nemmeno lì. All'improvviso ICK emise un "fischio". Davanti al nome di CoolWebeur lampeggiò un'icona. Ciao a te! È da tanto che non ci sentiamo! Come stai? Difficile a dirsi... È venuta la persona della galleria, ho un contratto, ha già venduto due quadri, domani abbiamo un appuntamento con una grossa cliente... Ho sempre più l'impressione di vedermi in televisione... La risposta ci mise qualche secondo ad arrivare. Ma è fantastico! Wow!!! Mi piacerebbe tanto parlare di tutto questo con te, ma sono già in chat con un amico; mi spiace mollarlo così, accidenti! Possiamo chattare in tre, se vuoi, e se lui è d'accordo. Ancora un minuto buono prima della risposta. Certo. Parli spagnolo? No... inglese, e un po' di tedesco. Attesa esasperante, poi: Lui parla solo spagnolo, peccato! Non importa, non è niente. Questa volta la risposta fu più rapida. No, ma è davvero un peccato... Ti ricontatterò presto, così avrò visto la cliente e avrò ancora più cose da raccontarti! Okay, Johanne, ti bacio. E ricorda: Hasta la victoria siempre! Johanne sorrise e si scollegò. Stava per scollegarsi anche da ICK quando
suonò di nuovo e un'icona lampeggiò davanti a CoolWebeur. Mandami una piccola mail, se ti va. Johanne annuì. D'accordo. Aprì il programma di posta elettronica. Il correttore ortografico verificò il testo. Il messaggio fu messo in uscita. Al momento di cliccare su Invia, Johanne si fermò. Aveva dimenticato che a L'Aia una macchina avrebbe intercettato il messaggio. Cliccò sul tasto Elimina, il programma le chiese conferma. Dopo due secondi di esitazione annullò l'operazione e riaprì il testo. Quel messaggio poteva essere migliorato. CAPITOLO XXI Tyna chiuse la cerniera lampo della borsa e provò a sollevarla. Dio, quanto pesava! «Ciao, figliola!» la salutò la vecchia. «Abbi cura di te.» «Grazie, anche tu.» Si avvicinò a Magali e le diede La peau blanche, uno dei volumi che aveva sottratto alla libreria di Alizée. «Tieni, leggilo. È bello.» Magali prese il romanzo. «Sai» aggiunse Tyna «io ero come le ragazze di cui parla all'inizio. Non le rosse, le altre. Capirai leggendolo.» Magali annuì con il capo, sembrava sull'orlo delle lacrime, e si chinò verso Tyna per darle un bacio. «Buona fortuna, Alizée.» «Buona fortuna a voi» rispose Tyna con voce meno ferma di quanto avrebbe voluto. Impugnò la borsa, se la mise in spalle e lasciò la stanza. Era tornato il sole, la temperatura restava gradevole, ma verso mezzogiorno il termometro sarebbe arrivato ai trenta gradi e Montreal sarebbe diventata una fornace. Verso mezzogiorno non sarebbe più stata a Montreal. Hubert Turgeon adorava i supermercati. Erano un po' la sua riserva di caccia. Era incredibile il numero di imbecilli che dimenticavano di chiude-
re a chiave le portiere quando andavano a fare la spesa. Quando non dimenticavano direttamente nel chiavi nel cruscotto. Traumatizzati dallo shopping. Hubert vagò di fila in fila, fischiettando con le mani in tasca. Ma siccome quel giorno il supermercato non era popolato di cretini, decise di cambiare meta. Cucù! sintetizzò ICK. Brenner cliccò sul nick di Ulrike. Ciao! Ho dei messaggi per CoolWebeur, ti interessano? Ciao! Sì, mandali, non si sa mai... Hai ragione, ce n'è uno della tua castana. Johanne? Perché, ne hai più di una? Dacci un taglio con questa storia, ti prego. Okay, okay, sì, Johanne. Cosa dice? Lo leggerai, ma stai tranquillo, nulla di grave. In ogni caso ti faccio i miei complimenti, la ragazza sembra interessante. È vero che hai sempre buon gusto con le donne... Bella questa tua capacità di autocomplimentarti. Se dovessi contare su di te... Ti mando la posta e vado, devo calmare un gruppo di Verdi preoccupati per la minaccia che l'Europol costituirebbe per la libertà dei cittadini. Da non credere! Off! Ma... hum... ricordami un attimo, chi di noi due ha votato per Colin Bendit? Ah, ah, ah! Ammettilo! Eccolo, è partito. A presto, amore della mia vita! È arrivato, senti, ma quante vite hai? Una per ogni Brenner. Bye! Bye. Ah, scusa, rispondo alla tua domanda: non ho più febbre e mi sento molto meglio, grazie. Lo pseudo si scollegò. Longueuil, capolinea della Linea Gialla. Dall'altra parte del SaintLaurent, c'era l'isola di Montreal. Tyna le diede un'ultima occhiata. Le fac-
ciate degli edifici illuminate dal sole la commossero più di quanto non avrebbe creduto. Da lì si trattava di raggiungere la 15, l'autostrada che portava a New York, e fare l'autostop. L'autostop era vietato in autostrada, ma non era vietato chiedere gentilmente un passaggio, magari a una stazione di servizio, per esempio. Tyna camminò fino a un incrocio vicino all'ingresso. Brenner stampò i messaggi e lesse anzitutto quello che gli interessava. Johanne lo guardava ironica e anche, ma era più difficile da capire, inquieta. Lui esitò sul comportamento da tenere. Buttarla sul ridere? Farle i complimenti? Optò per la neutralità assoluta, appallottolò il foglio e lo lasciò cadere nel cesto della carta. Se avesse davvero voluto un commento, lo avrebbe sollecitato di persona. In quel caso era te lo faccio sapere così, perché avevo voglia di dirtelo ma non osavo e soprattutto non avevo voglia di parlarne. Qualcosa del genere. Johanne si rituffò nel dossier che stava studiando. Un poco delusa, ma soprattutto, e non era difficile da vedersi, sollevata. Brenner proseguì la lettura degli altri messaggi, noiosi come una pioggia autunnale. «Per la miseriaccia!» imprecò Hubert vedendo la chiave appesa al cruscotto della Hyundai. La macchina era ammaccata... ma era un modello recente e quei furbastri avrebbero facilmente trovato un acquirente. Con un paio di martellate, autogeno e pistola a spruzzo, i Turgeon le avrebbero ridato lo splendore di un'auto nuova, insieme a una verginità assoluta. Hubert scivolò al volante, partì, uscì dal parcheggio e si diresse verso l'officina del fratello. Convertendo mentalmente la Pony in denaro contante e sonante nelle sue tasche. Tyna stava iniziando a pensare che forse l'autostop non era stata una grande idea. Senza una coppia di turisti parcheggiati a Longueuil sarebbe rimasta all'incrocio con il pollice di fuori. Dei belgi simpatici, che le avevano fatto rimpiangere di aver scelto Ginevra invece che Bruxelles, ma che visitavano il Quebec e non gli Stati Uniti. Avevano gentilmente accettato di fare una piccola deviazione per lasciarla a un distributore, prima di prendere la strada più lunga diretta a est, verso Cowansville.
Da quel momento Tyna aveva incontrato tre tipi di individui: quelli che non andavano negli USA, quelli che ci andavano ma non avevano posto o voglia di caricare un passeggero e quelli che l'avevano guardata in una tale maniera da farle passare la voglia di salire. Alizée non era mai stata una puttana e, poco ma sicuro, non lo sarebbe mai diventata. Se Tyna fosse stata costretta a riprendere la sua vecchia attività, lo avrebbe fatto, ma il più tardi possibile. Certo che vestita da Tyna ci avrebbe messo meno tempo a trovare un passaggio. Accanto alla stazione di servizio c'era un motel, avrebbe sempre potuto passare la notte lì. Seduta su una panchina, beveva una Coca dalla cannuccia mentre sorvegliava i movimenti dei veicoli. Un Kenworth arancione faceva manovra nella piazzola per i mezzi pesanti, ma veniva dal confine e di sicuro non ci stava tornando. «Non sei molto fortunata» fece un benzinaio appoggiato a un muro. «O forse hai troppe pretese.» Tyna gli rivolse uno sguardo altero, il tizio si strinse nelle spalle. Sulla statale passarono due moto. Che lei riconobbe dal rumore, ancora prima di vederle: erano Harley. Buttò la lattina nel bidone. Non stanno venendo qui, non possono riconoscermi e poi io sono morta, non mi cercano più! Le Harley svoltarono verso il distributore. Tyna filò verso i bagni. Si sedette sulla tazza, con la borsa sulle ginocchia e il cuore in gola. Hubert aveva sempre contato sul suo aspetto da bravo ragazzo e la sua incredibile disinvoltura per superare i posti di blocco della polizia. Malgrado qualche delusione continuava a contarci, anche perché il rapporto passaggi/controlli era di gran lunga a lui favorevole. E non fece nemmeno particolare attenzione allo sguardo concentrato e interessato del gendarme. Ma appena questi gli indirizzò un gesto inequivocabile, Hubert schiacciò l'acceleratore e bruciò il semaforo rosso prima che gli venisse chiesto di accostare. Per il calice nel ciborio e l'ostia del signore benedetto! Hubert guidava a zigzag nel traffico, senza riuscire a distanziare l'auto della Gendarmerie Royale che gli dava la caccia. Ma gli sbirri non riuscivano ad avvicinarlo. Hubert li stava portando dove voleva. Verso la scappatoia individuata molto tempo prima. Si rallenta, si scala la marcia e si inizia a correre; nel tem-
po che i piedipiatti ci mettono per rendersi conto di cosa sta succedendo, si è al sicuro. Astuzia made in USA. A più riprese aveva intravisto nel retrovisore uno sbirro attaccato al microfono, sicuramente crepitava sulle onde. Doveva trovare il posto giusto prima dell'arrivo dei rinforzi. La prima strada a destra. Hubert svoltò con una lunga derapata. Rimessa la Pony in carreggiata, accelerò, poi frenò e, quando gli sbirri svoltarono anch'essi su due ruote, aprì la portiera e si lanciò. Un po' troppo presto, un po' troppo in fretta. Scivolò, si scorticò le mani sull'asfalto, rotolò una, due volte e riuscì a sollevarsi scompostamente, correndo con i palmi insanguinati tesi verso il RamCharger che scendeva di fronte e che cominciò a frenare. Il pick-up si schiacciò sugli ammortizzatori. Invece di prendere Hubert in pieno, il parafango lo colpì al ginocchio, facendogli fare un gran volo che lo catapultò sul cassone. Nuca contro la sponda mobile. Crac. Anche il gendarme al volante stritolò il freno, la Ford sbandò in diagonale, girò su se stessa e sbatté contro il Dodge messo di traverso. La testa del gendarme al microfono fracassò il vetro laterale. Quella del guidatore incassò l'urto contro il poggiatesta. La Pony concluse la corsa contro il baule di un break, senza scossoni. Tyna era uscita dai bagni solo dopo aver sentito il boato dei motori in accelerazione. Era tornata alla sua postazione, aveva raccolto qualche rifiuto e, in preda ai crampi della fame, aveva deciso di mangiare nel ristorante lì accanto. Seduta accanto alla vetrina, aveva aperto I sette pilastri della saggezza. Le bastarono pochi secondi per saltare le Tavole sinottiche e la Prefazione dell'autore. Quasi quaranta pagine guadagnate in un istante. La prima frase del Primo Capitolo le richiese qualche minuto. Proseguì con le altre un po' come si avanza nel buio. La ruga che le attraversava la fronte le dava un'aria da intellettuale al lavoro. Al punto che la cameriera andò a riempirle la tazza di caffè in punta di piedi, quasi chiedendo scusa. Tyna era ferma sulla Carta I. Cercava di trovare la forma di paesaggi e mari tra quelle linee nere, quelle ferrovie, quelle linee affiancate e quelle O che significavano ouadi - corso d'acqua o vallata... Nomi di fumetti e di attualità televisiva, di racconti di guerra da far sognare o da temere. Alcuni erano del tutto impronunciabili. Fino a che si disse che non aveva importanza. Come i quartieri dai nomi esotici che Schwarzenegger attraversava con la spada in mano nel film che
era andata a vedere con Chris. Come nella fantascienza che diventava realtà. Che lo era diventata. 1917. Riuscì a girare la pagina. Per inciampare molto in fretta in una frase. Colui che accetta di essere posseduto da estranei conduce la peggiore vita da schiavo, perché vende la propria anima a un bruto. Tyna strinse i denti. Avvilita per qualcuno, schiava per qualcun altro, ecco cos'era lei per quella gente. Certo che era stata posseduta da estranei, certo che si era venduta e certo che alcuni erano dei bruti. Ma lei non era schiava di nessuno, aveva venduto il proprio corpo e nient'altro. Di certo non la sua anima. Quanto alla sua vita, conosceva gente che ne viveva di peggiori. E non era stupida, capiva perfettamente che Lawrence non stava parlando di lei. Ma era comunque a quello che le sue parole l'avevano fatta pensare. Prima aveva parlato di prostituzione. E lei aveva percepito tutto il disgusto che gli ispirava la parola. Il disprezzo che ispirano le vittime. La prova che non aveva perduto la sua anima, era il cambiamento che aveva concretamente operato. E il prossimo che avrebbe intrapreso... «Ma sei ancora qui! Si può sapere dove vai?» Tyna sussultò. Il benzinaio la guardava ridendo, mani sui fianchi, guanti di pelle che spuntavano dalla tasca posteriore della tuta Chevron. Lei si mise gli occhiali e aggiustò la messa a fuoco. «New York» rispose freddamente. «Peccato! Avrei potuto darti un passaggio, ma non è la mia direzione.» «Ho tempo» disse Tyna sempre glaciale. «Meglio, perché ne ho visti alcuni aspettare per giorni. Questo non è un buon posto per fare l'autostop. Poi adesso la gente è diffidente, anche per via delle assicurazioni e tutto il resto. Ma ho un'idea, aspetta.» Girò i tacchi e andò al bancone. «Ehi!» gridò senza rivolgersi a nessuno in particolare. «C'è qualche brav'uomo qui che potrebbe portare questa ragazza a New York?» Con la mano indicò Tyna, rigida come un manico di scopa. Dalla sala si levarono dei fischi e qualcuno lanciò apprezzamenti volgari. Tyna si sentì arrossire. Nessuno si mosse. Eccetto un tizio che si staccò dal bancone e si diresse verso il suo tavolo. «Io vado verso New York, ma mi fermo a Plattsburgh. E prima devo fare delle consegne dalle parti di Sherrington e Barrington; se non hai fretta, per me non c'è problema.» Non molto alto, ben messo, maglietta della Budweiser e cappellino con
la visiera della stessa marca, che si era tolto prima di parlarle. Una faccia simpatica. E poi Plattsburgh era almeno venticinque chilometri dopo la frontiera. «Lei è molto gentile, la ringrazio» ribatté Tyna con un sorriso. «Allora è fatta. Il mio camion è quello laggiù.» Tyna individuò subito il semirimorchio della Bud. «D'accordo. Quando parte?» Indicò il piatto sul bancone. «Il tempo di finire di mangiare, cinque o dieci minuti. Pensi di esser pronta?» «Sì, sì. Ho finito.» Tirò fuori il portamonete dalla borsa e appoggiò il denaro contato nella sottocoppa. «Sì, lo prendo!» esclamò Savoie. Mise una mano sul microfono per dire "Lavai" e subito la tolse. «Sono Luc, ciao, novità?» Johanne e Brenner seguirono sul suo viso l'annuncio dell'informazione. «La situazione comincia a delinearsi» disse dopo aver riattaccato. «La GRC ha fermato una Hyundai che corrispondeva alla segnalazione, c'è stato un po' di trambusto. Andiamo?» Una finta bottiglia di Bud sospesa a una molla oscillava tra i parasoli al ritmo delle minuscole gobbe dell'asfalto. Il guidatore le aveva detto che poteva chiamarlo Michel, visto che era il suo nome. «E tu? Come ti chiami?» «Alizée» rispose Tyna. Per un istante la testa di Michel si mosse al ritmo della bottiglia di birra. «È grazioso, Alizée. E cosa fai nella vita?» «Studio storia all'UQAM.» «E ti piace? Cosa vorresti fare dopo?» «È molto interessante, dopo vorrei insegnare. Spero di farcela.» «Sei fortunata, io sono vent'anni che sono in strada, non che mi possa lamentare, ma a volte mi dico che avrei potuto fare di meglio.» Indicò I sette pilastri della saggezza appoggiato sul cruscotto e aggiunse. «È un libro di storia?» «Sì, sulla guerra del 1917 in Arabia.»
Michel gonfiò le guance, impressionato. «Mi piacerebbe leggere roba del genere, ma non ce la farei mai con le date e tutto il resto.» «Oh, non è difficile. Basta leggere lentamente.» «Forse hai ragione, ma dovrei cominciare con qualcosa dì più... sottile!» Un camion che risaliva l'autostrada nell'altro senso di marcia suonò più volte il clacson. Michel rispose al saluto e lampeggiò con i fanali. «È Jim, ci conosciamo da un mucchio di tempo, ed è un po' che ci incrociamo sempre nello stesso posto, qui, alla stessa ora. È strana la strada. Ne avrei di storie di raccontare, sai... Allora, usciamo a Sherrington.» Quando arrivarono sul posto videro un solo gendarme occupato a sorvegliare il caricamento della Pony su un camion. Poi videro l'inquirente Lavai che usciva dall'auto. «Non c'è più nessuno?» «No, vi stavo aspettando. La GRC ha identificato la proprietaria dell'auto, Alizée Morel, una studentessa. Anche il conducente è stato identificato, Hubert Turgeon, ha dei precedenti per furto d'auto. Quello che è strano è che aveva le chiavi.» «È Alizée Morel la ragazza uccisa al Palm Beach?» «Non lo sappiamo ancora. Abbiamo rilevato le impronte, ma ci vuole tempo per confrontarle. E poi c'era un gendarme buono per l'ospedale e uno con un bernoccolo in testa grosso come una palla da baseball, il che non ha accelerato le cose. Una squadra della GRC è andata da Turgeon, un'altra è al domicilio della ragazza con uno dei miei colleghi. Mi appresto a raggiungerla, venite con me?» L'ufficiale della GRC annuì con un battito di ciglia. «Qui abbiamo trovato impronte migliori. Non c'è dubbio che la ragazza uccisa al Palm Beach sia Alizée Morel.» «E Tyna?» «Ci sono le sue impronte nella Pony e in casa, soprattutto nella stanza di Alizée.» «La madre la conosce?» L'ufficiale scosse il capo. «No, ma mi ha detto che conosceva poche amiche della figlia. Era convinta che Alizée fosse andata via di casa, anche perché ultimamente non andavano molto d'accordo. Il mattino in cui Alizée è stata uccisa avevano litigato e la sera, al rientro a casa, aveva notato che mancavano dei vestiti,
una borsa, i documenti, i soldi, ecc.» «Nessuna parola di spiegazione?» «No.» «E il signor Morel?» chiese Johanne. «Se n'è andato da dieci anni senza lasciare indirizzo.» «Avreste dovuto impedire a quella donna di andare a riconoscere il corpo della figlia» intervenne Brenner. L'ufficiale strinse le labbra. «Avrei voluto vedere lei al mio posto! Se non vedeva il corpo, poteva credere che ci fossimo sbagliati. Non ho potuto impedirlo, ma ho mandato con lei uno dei miei uomini.» «Pensate allo spettacolo che la aspetta... interrogarla dopo...» «Non ho potuto impedirlo» ripeté l'ufficiale in tono secco. L'inquirente di Lavai si schiarì la gola. «Né documenti né abiti nella Hyundai?» «No. Ho contattato la nostra squadra dai Turgeon, non hanno trovato nulla nemmeno lì. Ma tipi come quelli non hanno un solo nascondiglio, e per individuarli tutti...» L'inquirente allora poggiò il dito sulla pianta della villetta stesa sul tavolo. «È la camera di Alizée?» «Sì.» I poliziotti si scambiarono uno sguardo. «I punti rossi indicano i luoghi in cui avete rilevato le impronte di Tyna?» «Affermativo.» «Si direbbe che la piccola abbia passato la stanza al setaccio» osservò Savoie. «È anche la mia impressione» assentì l'ufficiale della GRC. Aprì la cartella e tirò fuori un foglio. «Ho diffuso un avviso di ricerca Uno attraverso la rete interna. Con una foto di Alizée Morel, nel caso cercasse di assomigliarle.» Guardò l'orologio e aggiunse: «L'avviso di ricerca è effettivo da cinque minuti, sul territorio federale e alle frontiere. Chiedete voi un mandato per verificare il conto in banca di Alizée o preferite che lo faccia io?» «Me ne occupo io» replicò l'inquirente di Lavai «e vi farò avere i risultati. Ma prima di domani non otterremo nulla dal giudice.»
«Noi potremmo andare all'Istituto di Medicina Legale, cercare di interrogare la signora Morel.» Il semirimorchio sterzò nello spazio asfittico del magazzino ed uscì all'aperto con un sola manovra. Tyna fischiò ammirata. «Pffui! Non c'era molto spazio!» «Oh» fece Michel modestamente «guido questo Mack da talmente tanto tempo ormai, che lo infilo dove voglio. Ci sono dei posti peggiori. Questo non è male, ti sei annoiata molto? Ci abbiamo messo troppo?» Durante le consegne Tyna era riuscita ad avanzare di trenta pagine nel suo libro di storia. Ma sorrise, dicendo: «No, niente affatto. In ogni caso, non ho fretta.» Il camion lasciò Barrington prendendo la direzione della 15. «Adesso non ci fermiamo più fino a Plattsburgh» dichiarò Michel. «A proposito, non te l'ho nemmeno chiesto: cosa vai a fare a New York? Vacanze? Studio?» «Un po' tutte e due, vado da amici e poi devo fare delle ricerche in biblioteca.» «La biblioteca di New York, dev'essere qualcosa...» «È la più grande del mondo» gli assicurò Tyna, assolutamente certa di ciò che diceva. Il CB gorgogliò qualche frase in francese e inglese, spezzettate da rumori parassiti. Michel corrugò la fronte, regolò la frequenza e afferrò il microfono. «Cosa stavi dicendo sul confine, passo?» «Mah, non ho capito bene... vengo dagli USA per andare a Montreal, sono sulla 15, ma nell'altra direzione sembra tutto bloccato, passo.» Tyna impallidì. La radio scricchiolò qualche secondo, poi si sentì un'altra voce. «Io ci sono appena passato. Sono gli sbirri che bloccano, passo.» «I nostri o gli americani, passo?» chiese Michel. «I nostri, gli altri se ne fottono, passo!» «Cosa cazzo vogliono quegli stronzi, passo?» «Stanno cercando una ragazza, passo.» «Oh? E perché, passo?» «Cosa vuoi che ne sappia io? Non sono mica venuti a dirlo a me! Ma non sembra una cosa troppo grave, guardano più le macchine che i camion. Mi hanno sventolato sotto il naso la foto di una ragazza, poi mi
hanno chiesto se l'avevo vista fare autostop. Ho risposto di no, purtroppo no, e stasera sono da solo, passo!» L'uomo scoppiò a ridere, il CB scatarrò con crepitii di fondo. Tyna si era raggomitolata alla portiera e fissava la bottiglia di Bud che oscillava. «In ogni caso» riprese la voce «se la incroci salutamela, si chiama Tyna o Alizée, a seconda dei casi. Una strana storia, passo!» La bottiglia si sgonfiò. «Puoi contarci che lo farò, passo!» Michel riattaccò il microfono e si girò verso di lei. Il medico legale che faceva loro strada lungo i corridoi dell'Istituto era furioso. Si fermò davanti a un vetro e tese il braccio per mostrare ciò che c'era dall'altra parte. «Ecco!» esclamò. «Ecco cosa ha visto! Immaginate l'effetto?» «Dio mio» sospirò Johanne. Un corpo senza testa steso nella vasca d'acciaio. Mandibole e frammenti d'osso, grossolanamente rimessi insieme, appoggiati su un tavolo da lavoro. Fotografie. «I vostri colleghi sono impazziti» riprese il medico. «Avrebbero potuto avvertirmi! Stavamo cercando di rattoppare i pezzi... ed è arrivata lei.» «Dov'è?» chiese Savoie. «All'ospedale! Ha avuto una crisi nervosa, sarebbe potuta morire, sapete?» «Pensa che potremo parlarle?» domandò Brenner. Il medico si strinse nelle spalle. «Potete sempre provare. Chissà che non riusciate a darle il colpo di grazia.» Michel guardò la strada, poi si girò verso Tyna, tornò alla strada, poi di nuovo a lei. «Cercano te?» Tyna mormorò "credo di sì" con un filo di voce. Michel fissò il nastro d'asfalto senza girare la testa: «Allora chi sei, Tyna o Alizée?» «Alizée» rispose Tyna senza esitazioni. «E perché ti cercano?» «Ho lasciato mio marito.» Michel colpì il volante con forza, come si fa quando si sente una buona
battuta. «Mi prendi in giro? Da quando gli sbirri arrestano le ragazze che lasciano il marito, eh? La GRC non avrebbe tempo di occuparsi d'altro!» «Spiacente» sospirò Johanne «ma questa sera non posso.» «Hai un appuntamento?» chiese Savoie. «Sì, ho un appuntamento.» «Importante?» insistette Savoie. «Santa pazienza!» replicò Johanne infastidita. «Non chiedo mai grandi cose e lo so bene che sarebbe meglio che fosse una donna a parlare alla signora Morel, ma io stasera non posso!» «Va bene, non ti arrabbiare» replicò Savoie mettendo la marcia automatica. «In ogni caso l'ospedale è per strada; se possiamo parlarle, ci penseremo Eric ed io, mentre tu tornerai allo SPCUM. Noi prenderemo un taxi. Va bene così?» Johanne annuì con il capo. Tyna mescolò un po' della sua vita, della vita di Magali e di Alizée. Raccontò lentamente, con la voce stanca, guardando sfilare i frutteti della piana di Monténégrie. «Non era davvero mio marito, ma era come se lo fosse. Ogni volta che beveva mi picchiava dappertutto, soprattutto nella pancia. Sono scappata diverse volte, ma poi lui veniva sempre a cercarmi all'Università e io finivo col credere alle sue promesse. L'ultima volta, però, ho pensato che mi avrebbe uccisa, perché mi ha colpito in testa, mi ha rotto gli occhiali, vedi, ho ancora il segno...» Si sfiorò la guancia. «Così, ne ho avuto abbastanza. Ho deciso che questa volta non ci sarebbe stato ritorno. Prima di partire ho fracassato tutta la sua roba: lo stereo, i CD, il computer, i vestiti, le racchette da hockey. Poi ho preso i suoi soldi, la sua carta di credito, gli assegni e i documenti. E anche la sua auto. Ho tenuto i soldi e ho buttato il resto nel Saint-Laurent. Solo che con la macchina ho avuto un incidente e così sono rimasta a piedi. Allora mi sono messa a fare l'autostop. Non credevo che quello stronzo avrebbe avvisato la polizia.» Si stavano avvicinando a un incrocio, Michel rallentò. «Sai una cosa?» disse poi con voce grave. «È esattamente quello che mi ha fatto mia moglie.» Tyna chiuse gli occhi per qualche secondo. Quando li riaprì il Mack stava svoltando a destra su una viuzza secondaria, mentre l'autostrada era a sinistra. Pensò al coltello. Era sul fondo della borsa, dietro i sedili. Non a-
vrebbe mai fatto in tempo a prenderlo. «Non entri in autostrada?» Savoie era appena sparito nell'atrio dell'ospedale che Johanne diede un'occhiata all'orologio di bordo. Alzando la testa incrociò lo sguardo di Brenner. «Tu lo sapevi che stasera avevo un appuntamento, no?» «Certo. Ti faccio i complimenti, spero che sia fruttuoso.» «Grazie.» «Di nulla. Si direbbe che tutto ti sta andando molto bene, ma non precipitare le cose.» Johanne sorrise. «Sai, per anni non ho avuto il coraggio di bussare alla porta di nessuna galleria. Adesso mi sono finalmente decisa e... ecco, se l'ho fatto è anche un po' grazie a te.» «Io stavo parlando della tua voglia di lasciare la polizia, di quello che hai scritto a CoolWebeur. Non hai parlato di polizia, ma io ho tradotto. Non credo che sarebbe una buona idea.» «È quello che ho scritto. Ma non sono sicura di volerlo davvero. La sera in cui ho mandato quella mail ero stanca, c'erano stati i cadaveri, Giraud e tutto il resto. Anche se, non lo so, a te non piacerebbe non essere più costretto a fare il commissario? Io avrei molta voglia di trascorrere le mie giornate pensando solo alla pittura... ma sarebbe una strana vita... E poi credo che andare tutte le mattine allo SPCUM senza esservi obbligata mi farebbe vedere il lavoro da un'altra angolazione; sarei più distaccata, più a mio agio. In ogni caso, non preoccuparti, non ho intenzione di lasciarmi andare a colpi di testa.» Il tono dell'ultima frase aveva qualcosa di ironico. Brenner fece una smorfia. «Okay, scusami. Ti parlo come se dovessi dispensarti lezioni di qualcosa...» «Non fa niente, mi hai dato un consiglio. Non devi scusarti, no davvero.» «Bene. E l'incontro di stasera, pensi che possa venirne fuori qualcosa di buono?» «Lo spero. Non conosco questa persona, non l'ho mai vista, so solo che ha comprato due quadri e ha chiesto un'opzione su altri. Il direttore della galleria dice che è un'appassionata di pittura che adora scoprire nuovi ta-
lenti e farli conoscere, e che raramente sbaglia. Spero non si stia sbagliando proprio sul mio conto.» «Se ha comprato delle tele, è perché ci crede. Ehi! Questo significa che il ritratto che mi porterò in Francia ha un valore! Senza saperlo, ho fatto un affare!» Johanne scoppiò a ridere. «Cosa credevi? Che ti avessi fatto un regalo da niente?» Savoie aprì la portiera e si lasciò cadere sul sedile mugugnando: «È sotto l'effetto di sedativi, sta dormendo, non possiamo parlarle, merda.» «Non prendi la 15?» chiese Tyna a voce un po' più alta. Michel parve uscire da un sogno. «Eh? No, provo a passare da Moers. Se bloccano l'autostrada ci possono mettere delle ore; non ho voglia di rimanere inchiodato.» Tyna non solo non ebbe il coraggio di chiedere: "E io?" ma non ne ebbe nemmeno il tempo. «Quando dico che mia moglie ha fatto proprio così, sto un po' esagerando. Non si è portata via la macchina, visto che ce l'avevo io. Otto anni fa se n'è andata con tutti i miei soldi, poi non l'ho mai più rivista.» Tyna non commentò. Guardava avanti. Il confine era a meno di venti chilometri, forse quindici. Quanto ci avrebbe messo a piedi? Tre, quattro ore. Passare il confine attraverso un campo sarebbe stato facilissimo, soprattutto di notte. A condizione che il tipo non la consegnasse alla polizia o non decidesse di divertirsi un po'. Il suo sguardo si posò sul ciglio della strada, che correva a una velocità pazzesca. Per saltare avrebbe dovuto approfittare di un rallentamento. Ma aveva tutto nella borsa. E non poteva prenderla. «Cosa vuoi che ti dica?» esclamò Michel. «È la cosa migliore che abbia mai fatto. Da allora bevo birra solo il sabato, qualche volta la domenica. Prima dovevo bere appena la vedevo o la pensavo. Vale a dire sempre. Avevo avuto dei problemi con gli sbirri, prima o poi mi avrebbero ritirato la patente e per me sarebbe stata la fine. Sì, andarsene è stata la cosa migliore che abbia mai fatto. Non ce l'ho con lei. Ci ho messo un po' di tempo ad accorgermene, ma alla fine l'ho capito. In ogni caso non ho avvertito quegli stronzi della polizia. Lei non ha mai rischiato niente del genere.» Michel frenò e scalò marcia, poi frenò di nuovo. Tyna avvicinò la mano alla manopola della portiera.
Lionel spostò un registro. Presto sarebbe arrivata l'ora di andare a prendere la poliziotta. Aprì il cassetto della scrivania e prese un dischetto. Conteneva il file cifrato per CoolWebeur. Osservò per un istante il dischetto, come fosse indeciso, poi lo infilò nella tasca interna della giacca. Il camion si fermò. Tyna strinse la manopola. Michel, che stava osservando il retrovisore esterno, si girò verso di lei quando sentì scattare il meccanismo della sicura. «Cosa fai?» «Proseguo a piedi.» «Con quella borsa che pesa una tonnellata? Non ce la puoi fare!» Tyna cominciò ad aprire la portiera. Michel le prese il braccio con decisione. «Aspetta due secondi prima di scendere, là c'è della gente, rischi di farti beccare.» Un'auto superò il camion. Tyna pensò che invece sarebbe stato opportuno farsi vedere. Ma l'auto era già lontana. E poi aveva ragione lui, trascinare la borsa per venti chilometri... «Se vuoi andare da sola, fai pure» riprese Michel. «Se vuoi che ti porti, ti porto. Ma non nella cabina, passa dietro.» Con la mano batté sul divisorio alle sue spalle. Ecco, c'erano arrivati... Alizée non avrebbe resistito a lungo. A meno che non fosse Tyna a pagare per il viaggio. Avrebbe potuto vedere le cose così. Raccontarsele così. E dirsi anche che sarebbe stata l'ultima volta. Un'altra ultima volta. «Va bene, vado dietro» ribatté con un sospiro. «Non posso garantirti che non lo perquisiranno, ma la cosa mi stupirebbe, a meno che tu non abbia ucciso il Primo Ministro. Non hai ucciso il Primo Ministro, vero?» chiese ridendo. Tyna scosse il capo. «Non hai ucciso nemmeno tuo marito?» «Ma no.» «Allora funzionerà.» Prese la borsa, la tirò sul sedile e saltò a terra. Tyna scese dalla propria parte. Michel la raggiunse, aprì il portellone sul retro, gettò la borsa sulla cuccetta, entrò nell'abitacolo, nascose la borsa sotto il cassone del sedile e tornò da lei. «Allora, cosa aspetti? Il diluvio?»
Tyna salì a sua volta, si sedette sulla cuccetta e attese. Poteva andare peggio. Sembrava pulito e si percepiva odore di acqua di colonia. Michel si appoggiò alla predella e aprì la tenda che nascondeva il vetro del divisorio. «Per strada starai meglio stesa. Subito prima della frontiera busserò sul tramezzo, tu ti metterai rannicchiata con la schiena contro la portiera, nell'angolo buio, così, se qualcuno dà un'occhiata attraverso il vetro non ti vede.» «E se aprono la porta del divisorio?» «Non l'hanno mai fatto, ma, se dovesse succedere, io dirò che non ti ho vista salire, che devi aver approfittato di una mia fermata da un benzinaio. E tu dirai la stessa cosa, d'accordo?» «D'accordo» fece Tyna annuendo con la testa. Michel saltò a terra. «Allora, andiamo!» Afferrò la manopola come se stesse per chiudere la portiera e lasciarla sola, senza averla nemmeno sfiorata. Tyna non poteva crederci. Non le avevano mai dato niente per niente, eccetto le botte. Lo fissò con gli occhi sgranati. «Perché mi guardi così?» chiese lui fermandosi. «Io... non... so. Non capisco perché mi aiuti.» Michel si appoggiò alla portiera e fece un ghigno. «Perché non mi piacciono gli sbirri, ma non solo. Mia moglie se n'è andata con uno, quel tizio mi ha reso un gran favore e non ho mai avuto modo di ringraziarlo. Non sto aiutando te, ma il tuo tipo.» Michel chiuse la portiera. Poco dopo il camion si mise in marcia. Tyna si stese sulla cuccetta. «Come vado?» Lionel fece due passi indietro e la esaminò. Come la scorsa domenica, Johanne aveva messo un po' di fondotinta, una linea di eye-liner e un'ombra di fard sulle palpebre. Un trucco molto leggero e piuttosto riuscito. Anche l'abito era molto simile a quello dì qualche giorno prima, forse ne aveva una serie di colori diversi. Oggi era pistacchio e le donava molto. «Perfetta» approvò Lionel. «Davvero?» «Certo che è vero, sembri il ritratto che ho fatto di te. Non riesco a im-
maginare di meglio.» Johanne accennò una piccola smorfia, come se dubitasse della veridicità del complimento, pur apprezzandolo in sommo grado. «Andiamo?» chiese Lionel. L'arredo della hall era testimone della classe dell'edificio. L'ascensore serviva solo l'appartamento dei Layne. Johanne rimase per un istante interdetta quando vide la sua ospite. Non assomigliava affatto all'idea che si era fatta della mecenate. Stracey sbrigò le presentazioni come ci si libera di una formalità, il marito ebbe appena il tempo di un discreto cenno del capo prima che lei prendesse Johanne sottobraccio e la portasse fino a una sala in fondo all'appartamento. Talmente felice di poterla finalmente incontrare, di poterle mostrare una cosa. Una piccola lampada alogena regolata al minimo illuminava la stanza con parsimonia. Johanne non riusciva a vedere la parete in fondo. Stracey la invitò a sedersi in una poltrona e prese posto al suo fianco. Manipolò un telecomando. L'oscurità divenne totale e poco dopo dal nulla emersero dei quadri. Johanne restò a bocca aperta. «Che ne pensa?» chiese Stracey. «Io... mi sta facendo un grande onore, signora.» Stracey rise divertita. «La prego, mi chiami Stracey.» «La ringrazio, ma... non so se riuscirò.» Stracey la guardò un istante, poi sorrise e annuì col capo. «Lei è proprio come l'ha descritta Lionel, disarmante.» Prima che Johanne potesse interrogarsi sul significato della sua frase, Stracey si alzò e si avvicinò alle tele. Michel batté con le nocche sul tramezzo, dietro la sua voce giunse ovattata. «Non ci arriviamo subito, ci sono delle macchine e un camion fermi.» Tyna saltò giù dalla cuccetta per avvicinarsi al vetro. L'angolazione le permetteva appena di distinguere la pianura e la notte che scendeva. Si raggomitolò, si portò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi. Il camion rallentò, poi si fermò. Dopo qualche minuto avanzò di nuovo, poi si fermò ancora. Tyna riaprì gli occhi. Il retro dell'abitacolo gli parve disperatamente stretto. Cosa sarebbe successo se uno sbirro avesse aperto la portiera? Fino a quel momento si era convinta che tutto sarebbe andato bene, adesso l'idea che nessuno
avrebbe girato la manopola le sembrava inverosimile. Ci sarebbe stata della gente alla frontiera, non avrebbero potuto ucciderla davanti a dei testimoni. L'avrebbero portata via e ammazzata dopo, in tutta tranquillità. Avrebbe fatto meglio a dire tutto a Michel, forse lui l'avrebbe protetta. Soprattutto, avrebbe fatto meglio ad andare a piedi. Ma ormai era troppo tardi. Bisognava stare pronti, buttarsi contro gli sbirri appena avessero aperto, e scappare. Non concedere loro il tempo di reagire. Approfittare della sorpresa. Correre. Finché ci fosse stata gente non avrebbero osato sparare sulla folla. Che idiota non aver messo jeans e scarpe da ginnastica. Forse aveva ancora il tempo di cambiarsi. Tyna fissò il sedile sotto cui era nascosta la sua borsa. Il camion ripartì. Stracey era accanto alle tele. «Mi sembra preoccupata» mormorò. Johanne scosse il capo. Stracey aveva esaminato i quadri nel minimo dettaglio. Interpretandone ogni segno. Facendo domande. Decodificando le risposte. Senza mai sbagliare. Johanne aveva l'impressione di essere stata messa a nudo. Di aver scoperto e aver detto cose di sé che ignorava. Era stata un'analisi più profonda e pertinente di quella fatta da Lionel. Non era preoccupante, era sconvolgente. «Non sono preoccupata sono... sconvolta. Avevo l'impressione di essere consapevole della mia pittura, e adesso...» «Sta scoprendo un'altra parte di sé?» «Sì e allo stesso tempo...» «Ha la sensazione di essere spogliata della sua opera?» Johanne sorrise. «Sì, è così.» Stracey allargò le braccia, come in un gesto di scuse. «È normale, dal momento in cui un quadro è finito cessa di appartenere al suo autore. Appartiene a colui che lo guarda. Ma l'autore resta l'autore, e lei è molto fortunata a essere l'autrice di queste tele. Altre persone vedranno i suoi quadri e ne forniranno altre interpretazioni.» «Fatico a immaginarne di più pertinenti.» «Aspetti e vedrà! Ma qualsiasi sia l'analisi, ci sarà sempre qualche cosa che sarà solo sua.» Johanne si chiese cosa, ma annuì. Si disse anche che tutta quella situa-
zione assomigliava a un interrogatorio, in cui se l'era cavata benone, a giudicare dalle ultime frasi di Stracey. La donna azionò di nuovo il telecomando. Piano piano tornò la luce, cancellando i dipinti. «Credo che sia ora di mettersi a tavola» annunciò Stracey con voce allegra. Michel bussò sul tramezzo con il gomito. «Sta a noi!» disse. "Incrocia le dita, piccola" aggiunse mentalmente. Fermò il camion davanti al poliziotto e abbassò il finestrino. L'agente della GRC lo salutò. «Buonasera, signore, stiamo cercando questa giovane, per caso l'ha vista fare l'autostop? Potrebbe non essere proprio identica alla foto.» Il tono faceva capire che era la centesima volta che il poliziotto pronunciava quelle parole e che se mai aveva sperato di ottenere una risposta affermativa, ormai aveva perso ogni illusione. Tendeva la foto senza convinzione. Michel la prese e la esaminò. «Cristo, è una bambina... cosa ha fatto?» Lo sbirro non sembrava particolarmente zelante, ma uno di suoi colleghi diede comunque uno sguardo al semirimorchio girandoci attorno. Michel lo seguiva con la coda dell'occhio nel retrovisore destro. «Abbiamo bisogno della sua testimonianza, si fa chiamare Alizée o Tyna. Per caso l'ha vista o le ha dato un passaggio, signore?» Michel scosse il capo. «No, spiacente. Deve essere importante questa testimonianza per fermare tutti quanti.» L'altro sbirro arrivò alla porta del retro. Salì sulla predella e puntò la torcia sul vetro. «Molto importante. Se avesse occasione di incrociarla, le saremmo grati se potesse avvertire la GRC.» Saltando giù dalla predella, lo sbirro scivolò e si aggrappò alla maniglia della portiera, che si spalancò. Michel fece molta fatica a nascondere la propria sorpresa nel vederlo mentre la richiudeva tranquillamente e faceva segno al collega che era tutto a posto. «D'accordo, se la vedo vi avverto» riuscì a dire, restituendo la foto. «Benissimo signore, può andare.»
Dopo due tentativi ingranò la prima, poi accelerò fino al limite consentito. Merda! Non poteva essere saltata giù senza che lui se ne rendesse conto! Alla dogana USA gli fecero segno di passare senza nemmeno sollevare gli occhi. Poco oltre Michel imboccò la strada a sinistra per raggiungere l'interstatale 87, prolungamento americano della 15. Rémi scese dall'auto e fece qualche passo per sgranchirsi le gambe. Non sapeva chi fosse il tizio, ma aveva già visto la ragazza. La ragazza era l'inquirente dello SPCUM. Sembravano intimi. E quella bella gente si incontrava nel palazzo dell'appartamento dei Layne. Rémi non aveva potuto verificare quale ascensore avesse preso la coppia, ma lo avrebbe fatto, anche se ormai si era convinto. Nell'attesa, si diresse verso una cabina telefonica, introdusse 25 centesimi nell'apparecchio e trasmise al suo corrispondente il numero di targa del tizio. Michel svoltò alla prima stazione di rifornimento che si presentò e parcheggiò il semirimorchio lontano dagli edifici. «Merda» sospirò lui scoprendo il retro vuoto. Salì nell'abitacolo e si sedette sulla cuccetta. Alla velocità a cui aveva guidato, se era saltata, doveva aver fatto un bel volo. Ma se non fosse saltata, gli sbirri l'avrebbero beccata. Sì... ma sarebbe stato comunque meglio che crepare in un fosso con un braccio o una gamba rotta, o tutti e due. Michel la immaginò stesa nell'erba, ricoperta di sangue, e si chiese se non dovesse telefonare alla GRC, dire che aveva visto una ragazza che assomigliava a quella della foto che camminava lungo la 219 tra Barrington e il confine. I poliziotti avrebbero setacciato la zona. Però, se invece era riuscita a salvarsi, in questo modo le avrebbe giocato davvero un brutto tiro. «Merda! Cristo! E adesso che cazzo faccio?» Gli rispose un lamento soffocato. Poi un altro. Saltò giù dalla cuccetta e sollevò il montante. Sebbene sapesse cosa ci avrebbe trovato, non riuscì a trattenere un gesto di sorpresa scoprendo Tyna rannicchiata in posizione fetale in quel buco così piccolo. «Sei riuscita a entrare...» «Siamo negli Stati Uniti?» mormorò lei.
«Sì, sì, puoi uscire.» Si fece da parte per semplificarle l'operazione, ma lei ci mise comunque un po' di tempo prima di riuscire a disincastrarsi e si stirarsi con smorfie e qualche grido di dolore. Dovette aiutarla. Anche con tutta la polizia del Canada al culo, lui non sarebbe mai riuscito a entrare in quel buco; era vero che lei era più piccola, ma bisognava comunque averne parecchia voglia. Non l'avrebbe mai immaginato. «Eri lì da molto?» Tyna si massaggiò i polpacci, faticava a mantenere l'equilibrio e si appoggiò alla cuccetta. «Da quando hai battuto sul vetro. Ho pensato che avrebbero aperto di sicuro. Ho avuto ragione, no?» Non c'era alcun rimprovero nella sua voce, né nello sguardo, ma Michel si sentì comunque colpevole, tenuto a giustificarsi. «Lo sbirro aveva guardato con la torcia e non aveva visto niente, ma poi quel coglione è scivolato sulla predella e si è aggrappato alla maniglia, altrimenti non avrebbe aperto. Te lo giuro, non era mai capitata una cosa simile, non sei stata fortunata...» Tyna annuì col capo. «Sono abituata a non avere fortuna. Posso rientrare in cabina, adesso?» «Certo.» «Posso fare quattro passi? Ho le gambe anchilosate.» «Nessun problema.» Michel tornò al suo posto e la seguì con lo sguardo. Un'andatura un po' goffa all'inizio, che divenne ben presto più sicura. Faceva attenzione a evitare la luce dei lampioni e piegava le braccia. Una strana studentessa davvero. «Prossima tappa, Plattsburgh!» disse lui allegro, quando lei tornò al suo posto. Johanne si aggrappò al braccio di Lionel scoppiando in un'allegra risata. «Uh la la... ho esagerato con lo champagne...» «Dovresti berne più spesso, non ti avevo mai vista ridere così. E ti fa bene.» Johanne si accomodò sul sedile del passeggero e sbuffò. «Ma so essere divertente quando voglio!» «Non ne ho mai dubitato.» Lionel chiuse la portiera, fece il giro dell'auto e si mise al volante.
«Io» disse Johanne mentre lui infilava la chiave nel cruscotto «non ne ero sicura... insomma... non immaginavo Stracey Layne così... pensavo a una vecchia signora, tutta incipriata e cotonata, con una tazza di tè in mano...» Lionel rise a sua volta. «Sì, avrei dovuto descrivertela... una donna fantastica, non trovi?» «Bellissima, intelligente, ricca e, siccome non c'è giustizia, sicuramente felice.» Lui si girò verso di lei e la fissò intensamente. «E tu, Johanne, sei felice?» Lei appoggiò la nuca al poggiatesta, sorrise e sospirò. «Altro che... Per essere felici... basta dipingere, essere presa per mano da un mecenate, diventare celebre...» «E incontrare un uomo affascinante?» Johanne si morse il labbro, gli prese la mano e se la portò alla guancia. «Scusami, avrei dovuto iniziare dalla cosa più importante... ma più le situazioni evolvono, meno me ne rendo conto... Lasciami il tempo di mettere tutto in ordine.» Lionel si chinò su di lei e la baciò appassionatamente. Johanne gli strinse la nuca. Avrebbe accettato di farsi scopare lì, in macchina? Avrebbe corso il rischio di farsi beccare dai suoi amichetti poliziotti con le cosce aperte in mezzo alla strada? Era una buona prova. Una bella prova d'amore. Lionel le appoggiò la mano sulla coscia, lentamente le tirò su l'abito. La sentì vibrare, aumentare la pressione sulla nuca, trattenere il respiro. Sì, avrebbe corso il rischio. E l'effetto dello champagne non c'entrava. Per niente. Lionel ritirò la mano e si staccò lentamente da lei. «Scuse accettate» mormorò lui. «Andiamo a casa tua.» Johanne annuì con un respiro rauco. Che si facessero beccare così, davanti al suo appartamento, non era il genere di pubblicità che Stracey avrebbe apprezzato. E nemmeno lui. Lionel girò la chiave e lasciò il parcheggio. Rémi ne approfittò per uscire dalla hall, con tanto di conferma alla propria convinzione. Raggiunse l'auto e partì a sua volta. Il caffè della steak-house accanto il Champlain Lake Motel sul ciglio della 87, all'altezza di Plattsburgh, era una brodaglia peggiore perfino del caffè canadese. Le buste di latte rovesciate nella tazza gli davano appena
un po' più consistenza. Il pasto era stato stranamente silenzioso, fatto di risposte non date a domande non formulate. Strano ma piacevole. Complice. Tyna tirò verso di lei il sottobicchiere. «Sei mio ospite, te lo devo.» Michel prese il conto al volo. «Sarà stupido, ma non mi sono mai fatto offrire la cena da una donna.» «Va bene. Allora ognuno il suo.» «Okay, ognuno il suo.» Siccome avevano consumato le stesse portate, il calcolo fu semplice. «Devo andare» disse Michel dopo uno sguardo alla pendola del bar. «Domani attacco di buon'ora.» «Resti a Plattsburgh?» «No, abito dalle parti di Joliette. Qui parcheggio il Mack davanti alla fabbrica e ci dormo dentro, così guadagno tempo il mattino. Non è sempre così, dipende dai giri.» Tyna annuì e scolò il suo caffè. «Credi che sia prudente fare l'autostop qui?» «Non lo so, mi stupirebbe se ti stessero ancora cercando, ma gli sbirri sembrano fatti apposta per rompere i coglioni.» Tyna osservò il latte che non si era sciolto in fondo alla tazza. Perché non chiamare un taxi l'indomani e farsi portare alla stazione del treno o degli autobus? La riserva di liquido era scarsa, ma forse ne valeva la pena. «Se non ti secca alzarti presto» riprese Michel «forse c'è un modo. Dalla fabbrica partono dei camionisti diretti a sud, posso chiedere loro di passare a prenderti.» «Pensi che accetteranno?» «Posso sempre chiedere e non vedo perché dovrebbero dirmi di no. Nessuno va fino a New York, ma per te sarebbe comunque un bel risparmio.» «Per me andrebbe bene, sì.» «Allora stai pronta a partire dalle sette, i camion sono tutti come il mio. Non so chi guiderà, ma basterà domandare.» «D'accordo.» Tyna voleva aggiungere qualcosa, ma si trattenne. Chiedere se i camionisti erano persone serie... «Adesso devo proprio andare» disse Michel allontanando la sedia. Tyna lo accompagnò all'uscita. Raggiunto l'ingresso del motel, lui le tese
la mano. «Arrivederci, Alizée, e buona fortuna.» Lei gliela strinse. «Arrivederci, Michel. E grazie di tutto.» L'uomo fece schioccare la lingua, infastidito. «Ti ho già detto che stavo dando una mano al tuo tizio e non a te!» «Ah, sì... d'accordo, è il mio tipo che ti ringrazia, non io.» «Diciamo così. Ciao.» Michel girò i tacchi. Tyna spinse la porta della reception. Con la chiave della camera in mano, guardò il semirimorchio far manovra nel parcheggio, imboccare l'autostrada e scomparire all'orizzonte. La sentì avvicinarsi. Aveva fatto una doccia, usava un sapone alla violetta. «Guardi la notte?» chiese lei mettendogli un braccio attorno alle spalle. Aveva indossato un accappatoio. Un tessuto stampato, leggero e ampio, stretto in vita da una cintura, ma che si apriva leggermente sul seno in modo da lasciare intravedere un capezzolo turgido. E sarebbe stato pronto a scommettere che non l'aveva fatto apposta. «Sì, è particolarmente bella.» Johanne si appoggiò al davanzale accanto a lui. L'accappatoio si chiuse. «È vero.» Era soprattutto vero che dopo aver lasciato la casa dei Layne gli era sembrato di essere seguito. Qualche semplice manovra era bastata a seminare l'auto che lo preoccupava. Forse era stata solo un'impressione, oppure un inseguitore non molto dotato. O, al contrario, uno molto bravo. Uno sbirro impiegato da Stracey. Ma perché gli sbirri, visto che ne aveva una in casa? Per proteggere la loro collega. Possibile, ma fino a stasera non aveva notato alcun angelo custode. E poi non riusciva a credere che Johanne avrebbe accettato di farsi scopare in macchina, sotto gli occhi dei colleghi. Stracey. Era un numero da lei. Coltivava già da sola una paranoia che non aveva bisogno d'altro per crescere e autoalimentarsi. Sì, era di certo capace di... No! Era lui che stava diventando paranoico. Da quando erano arrivati era passata una macchina per strada. Una sola. Un vicino che, dopo aver fatto scendere la famiglia, aveva parcheggiato la monovolume in garage. Lionel aveva fretta che quella storia si chiudesse. Amava giocare, a con-
dizione di sapere contro chi. E, in quella storia, le cose si stavano facendo sempre meno definite. «Chi ci sarà venerdì?» chiese Johanne. «Artisti, critici, direttori di gallerie, alcuni che sono tutte e tre le cose insieme.» «Volevo dire: ci sarà gente che conosci?» «Non tutti, non sono molto noto nell'ambiente.» «Starai vicino a me?» «Ma è logico. Non ho intenzione di lasciarti alla concorrenza così facilmente.» Johanne gli appoggiò la mano sulla nuca e gli fece scivolare le dita tra i capelli. «Idiota» gli mormorò all'orecchio. Prima di aggiungere: «Vuoi ancora qualcosa da bere?» «Sì, grazie, ho la gola secca... ma niente alcol, un succo di frutta o acqua minerale.» Lei scomparve in cucina. Lionel si allontanò dalla finestra e si lasciò sprofondare in una delle poltrone del salotto. Con la punta della scarpa abbassò Patogena. E anche quello... perché aspettare venerdì? Avrebbe potuto parlare in privato con Stracey, si era convinta che la sbirra fosse l'autrice dei quadri, no? Allora, visto che era tutto pronto, perché aspettare venerdì? Avrebbero potuto imbarcarla seduta stante. Perché Stracey voleva far durare il piacere, il suo, oppure verificare ancora qualche dettaglio su Dio sa cosa, Dio sa dove. Naturalmente aveva ragione, un fine settimana faceva sì che si avessero due giorni prima che qualcuno potesse accorgersi della scomparsa. Ma Lionel non era sicuro che fosse quello il vero motivo. Johanne stava tornando con un bicchiere per mano. Ne appoggiò uno sul tavolino e gli porse il suo. "Basta che schiocchi le dita e lei ti cade ai piedi; allora, di cosa ti lamenti?" aveva detto Stracey. Lionel prese il bicchiere e le afferrò il polso. Appoggiò il bicchiere per terra, le prese l'altra mano e l'attirò a lui. Lei obbedì senza capire. Poi, quando comprese, batté le palpebre come stupita e lentamente piegò le gambe. Lionel le sorrise, l'accappatoio le copriva la coscia. Lei spinse il ventre in avanti. Lionel le posò le mani sulle anche, la fece scivolare verso di sé, la respinse, poi la attirò di nuovo. Johanne si inarcò accompagnando
il movimento, e molto presto lo anticipò. Merda! E sapeva cosa faceva! Né abbastanza bella né abbastanza brutta per restare a lungo eccitante, smussato il pungolo del pericolo della sua professione, lui aveva voglia di andare fino in fondo con quella ragazza, di spassarsela davvero, invece di limitarsi a farla godere. Occhi chiusi e testa buttata all'indietro, i suoi tentativi di controllare il piacere erano risibili. Le labbra le fremevano. In un solo gesto, Lionel aumentò la pressione e la strinse a lui. Il movimento le forzò le gambe. Lei gridò e gli bagnò i pantaloni. Poi cercò le sue labbra. Lionel slegò la cintura dell'accappatoio. Due giorni. Johanne dormiva su un fianco. Le accarezzò una spalla, il ritmo della sua respirazione non cambiò. Lionel si alzò, recuperò il dischetto nella tasca della giacca e lasciò la stanza. Avrebbe mandato il messaggio in codice a CoolWebeur. Visto che non c'era modo di capire chi faceva cosa, forse l'invio avrebbe provocato una reazione. Avrebbe dovuto prestare attenzione ai minimi dettagli. Se gli sbirri davvero sapevano, non lo avrebbero lasciato fare. E visto che il messaggio andava inviato, tanto valeva spedirlo da casa della poliziotta. Era il massimo del comico. Lionel accese il computer. Ne approfittò per verificare la posta. Qualche messaggio di Cool a cui diede un'occhiata. Johanne aveva annodato un contatto e gli chiedeva l'approvazione. Quello che stava per spedire era una risposta sufficiente, Lionel cancellò i messaggi. Poi ritirò il dischetto, spense il computer e tornò in camera. CAPITOLO XXII «Ah...» fece Oshtrom. «Il direttore di una galleria di quadri?» Rémi incrociò le gambe. «Sì, ho verificato. Ma un direttore di galleria in grado di accorgersi di un pedinamento. Non ho insistito, ho lasciato subito perdere.» «E lui e la poliziotta sembravano intimi?» «Non credo cercasse di toglierle una ciglia dall'occhio. E siccome conoscevo solo l'indirizzo della ragazza, sono andato da lei. Sono arrivato poco prima di loro, sono entrati insieme e non è più uscito nessuno. Secondo quello che mi ha dato il cambio, Spowart ha passato la notte da lei.»
«Ah... credevo che stesse con lo sbirro francese.» «Quella donna ha sicuramente un gran cuore.» Oshtrom prese in mano la foto di Johanne e la rimise a posto. «Lionel Spowart ti dice niente?» «Niente, ma non conosco tutti gli imbecilli del Quebec.» «Nemmeno io. Stracey Layne è un'amante dell'arte, degli artisti e di tutte le stronzate del genere. In quell'ambiente dì degenerati pieni di soldi, trova sicuramente dove piazzare i suoi filmetti, oltre che reclutare addetti alle riprese.» «È possibile.» Oshtrom attese il seguito. Che non arrivò. Rémi esprimeva una propria opinione solo se gli veniva richiesta. Per vanità più che per educazione, gli piaceva sentirsi chiedere un punto di vista, la considerava una forma di riconoscimento del suo talento. «La tua impressione?» domandò infine Oshtrom con un tono che tradiva impazienza e incertezza. Rémi si mise comodo. «Andandosene dai Layne la sbirra non sembrava uscire da un interrogatorio. Quella gente se la intende...» «E tu cosa ne deduci?» Rémi tossì per schiarirsi la voce. Sapeva presentare la situazione al suo capo; tutto sommato era dal suo modo di esporre le proprie informazioni pur senza commettere imprecisioni - che dipendeva il suo lavoro, ovvero la sua remunerazione. «Conclusioni contraddittorie, niente di preciso. Eccetto che si verifica di nuovo la nostra equazione di partenza: dove c'è Stracey Layne, c'è uno sbirro.» Oshtrom scarabocchiò qualcosa sul sottomano. «Cosa proponi?» fece senza nemmeno alzare gli occhi dalla scrivania. «Non vedo che un'alternativa: o li liquidiamo tutti, o continuiamo a sorvegliarli.» «Tutti sono tanti, troppi. E poi è prematuro. Fino a che non ci muoviamo, non possono fare nulla contro di noi... e se si muovono, li vedremo arrivare. Continua la tua sorveglianza.» «Okay, Doug» replicò Rémi alzandosi. «Ma se a un certo momento ritieni necessario intervenire direttamente, non esitare.»
Sentendo la porta aprirsi, Brenner si alzò. Johanne apparve nel corridoio e si diresse verso di lui. «Non un granché» rispose lei alla sua domanda muta. «Sei riuscita a interrogarla?» «È... come dire... altrove. Non so se rispondesse alle mie domande o alle sue. Insomma... da qualche mese le sembrava che la figlia stesse prendendo una brutta piega; in altre parole, stava diventando lesbica. Il nome di Tyna Langer non ha risvegliato alcuna eco. Alizée aveva buoni voti all'università e, fino a poco tempo fa, aveva sempre condotto una vita ordinata. Ultimamente, invece, usciva sempre più spesso e tornava tardi. Ma che lei sappia non ha mai portato nessuno a casa. È tutto quello che sono riuscita a tirarle fuori, ripete tre volte le stesse frasi fissando il muro.» «Non un granché, in effetti... A quando risale il cambiamento?» «Forse sei mesi, forse meno.» «Conosci l'ambiente?» «Non molto, siamo piuttosto liberi qui, sai, non è un problema. Ci sono quartieri, locali e negozi omosessuali.» «Potremmo cercarci Tyna.» «È facile, basta chiedere via radio.» L'autista avanzò la mano verso il CB. «No!» esclamò Tyna. L'uomo si fermò e la guardò sorpresa. «Perché?» «Io... io sono un donna, sai... Con un guidatore che conosco va benissimo, ma preferisco non fare appelli alla radio.» Lui annuì col capo. «Sì, capisco. In giro ci sono parecchi balordi, potrebbe rispondere uno di loro... Vedremo all'ultima stazione di servizio se c'è qualcuno che conosco diretto a sud.» «Centrale ad auto sei...» «Auto sei in ascolto» rispose Johanne. «Ciao, bella. Non sto cercando te, cerco il tuo amico francese. È con te?» «Ciao, Nath. È con me, in ascolto.» «Ulrike Ghesberg ha telefonato, vorrebbe trasmettergli un documento. Non mi ha detto altro, se non che è molto urgente.»
«Arriviamo tra cinque minuti.» Lo schermo passò in modalità Chat. Novità? Cool ha ricevuto uno strano testo. Di che tipo? Non voglio influenzarti, te lo mando. Okay. Ma sembra che tu abbia fretta, cosa succede? Non ricordi più cose chiamate, ad esempio, "voto di attribuzione del budget"? Per la miseria... Sì, e indovina chi è stata designata per difendere la sacra causa dell'Europol? Condoglianze... ma sei brava a parlare, riuscirai sicuramente a commuovere un finanziatore europeo. Uno forse, ma un'intera Commissione... Ecco il messaggio, lo leggo. Brenner imprecò scoprendo le righe decifrate, poi lo scorse con gli occhi parecchie volte. «Cosa significa?» chiesero in coro Luc e Johanne. A cosa pensi? scrisse Ulrike. Serie di tre cifre digitò Brenner. Numero della pagina, numero della riga, posizione della parola. Classico, di buon gusto... ma indecifrabile. È l'idea che mi sono fatta io. Il nostro programma non ha scoperto alcuna logica, ma bisognava in ogni caso provare. C'è da dire che non sarebbe la prima volta che qualche simpaticone manda messaggi del cavolo tanto per divertirsi. Come le catene di San Antonio, le segnalazioni di virus, le lettere di insulti e via dicendo... Ci ho pensato anch'io, ma ho preferito avvertirti. Hai fatto bene. Ha risposto qualcosa? No. Forse ha ridotto la sua attività sul Net, ma non vedo tutto. Il messaggio viene da una freemail, però abbiamo l'indirizzo IP... Se il messaggio è partito da un cyber-café... Lo so. A dirla tutta, ho già redatto una domanda all'Inter-Nic. La inoltro? Certamente. A dire proprio tutto tutto, l'ho già inoltrata, segnalandola come Urgente, Prioritaria, Capitale, ma bisognerà comunque aspettare uno o due giorni
per avere la risposta. È incredibile come chi lavora per Internet possa essere così lento... Del resto bisogna diffidare, non vorremmo mai che la polizia cercasse di ingabbiare la Rete... La polizia non farebbe mai niente di simile. Non fosse altro perché, di fatto, è impossibile. Ti tengo aggiornato, adesso devo andare a guadagnarmi le tue spese mediche. E i buoni pasto! Saluti. Pure a te. «Non molli, eh?» ironizzò Johanne dopo che Brenner ebbe interrotto il collegamento ICK. «Sai, quando in mano non si ha niente, si fa fatica a mollare...» «Bello arrampicarsi sugli specchi...» canticchiò la giovane. «Se vuoi... d'accordo, quell'indirizzo non ci porterà probabilmente a nulla, ma... diciamo che stiamo sviluppando un'inchiesta ipertestuale.» «E le inchieste ipertestuali funzionano?» «È questo il problema: in un attimo ti ritrovi talmente lontano, che non sai più da dove sei partito.» «Fantastico!» sghignazzò Savoie. «Bene, io intanto ho pensato alle nostre lesbiche. Ci sono due o tre posti nel Village dove potremmo chiedere informazioni.» Si massaggiò il mento qualche secondo, poi aggiunse. «Il problema è che non è il genere di posti dove rispondono volentieri a un uomo che sta cercando una donna.» «Eh no!» protestò Johanne vedendo due paia d'occhi girarsi verso di lei. Vi si aggiunsero un paio di sorrisi disarmanti. «Ecco, ho capito. Starà ancora a me andare a lavorare mentre voi rimarrete comodamente seduti all'aperto a sorseggiare birra...» «Ti terremo una Coca in fresco» le assicurò Savoie. «Sapete una cosa? Siete dei veri sessisti!» «Noi?» «Sì, voi! Perché una Coca e non una birra?» Una serie di colpi alla porta interruppe la conversazione. L'inquirente di Lavai entrò e agitò il sacchetto che teneva in mano. «Novità dal fronte!»
L'autista tornò da Tyna e aprì le braccia con aria desolata. «Spiacente, non c'è nessuno che conosco. Quel camion verde laggiù con i tronchi scende fino ad Albany, se ti ispira. Il ragazzo si chiama Chess, ha l'aria di essere uno a posto.» «Vado a vedere. In ogni caso, grazie di tutto, è stato un piacere.» «Mah, figurati, non sei mica un grosso carico! Allora ciao e buon proseguimento.» Tyna gli strinse la mano. «Arrivederci. Quando rivedi Michel, ringrazia anche lui.» «Non mancherò.» L'autista risalì nella cabina, la salutò con la mano e mise in moto. Tyna avanzò verso il camion carico di legname. Chinato sulla calandra, il camionista soffiava sulle cromature prima di strofinarle con uno straccio. «Buongiorno. Jerry mi ha detto che lei sta andando ad Albany e che poteva darmi un passaggio...» L'uomo si rialzò, si infilò lo straccio nella tasca posteriore dei jeans, la guardò e annuì con il capo. «Sicuro.» «Alle otto ero dal giudice e lui era già arrivato. Alle otto e mezza avevo il mandato, alle nove ero in banca e, detto e fatto! Ci sono dei giorni in cui tutto fila liscio, nessuno sa perché.» L'inquirente di Lavai aveva steso il prodotto delle sue ricerche sulla scrivania. «Non tutti i commercianti depositano i loro titoli di pagamento lo stesso giorno, quindi non è ancora arrivato tutto. Ma a partire da qui è interessante...» Con l'unghia sottolineò una data. «Gli assegni sono stati emessi dopo la morte di Alizée» constatò Savoie. «Sì, e le informazioni annotate dietro corrispondono al passaporto di Alizée Morel. Una cassiera l'ha riconosciuta dalla foto che le ho mostrato.» «Cos'ha comprato?» «Biancheria, articoli per il bagno e cosmetici, scarpe.» «Che genere di negozio è?» chiese Brenner. «Cosa significa che genere?» «Non sono negozi per lesbiche» rispose Johanne, che aveva capito. «Ah, no» confermò l'inquirente. «Sono negozi normali. Nella zona Sainte-Catherine/Drummond, più o meno.» «Si direbbe che abbia messo insieme un guardaroba.»
«O che si prepari per un viaggio» disse Johanne che osservava nel dettaglio le' copie delle fatture e degli scontrini. Prese un foglio dal pacchetto e aggiunse. «Io compro tutta questa roba in confezioni più grandi, eccetto quando voglio che stiano in una trousse piccola che non prenda troppo posto in valigia.» «Si sta nascondendo» obiettò Savoie. «Mi pare logico che cerchi di restare leggera.» «Sì» ammise Johanne. «Ma ci si può nascondere senza eye-liner. In ogni caso, i suoi acquisti risalgono all'altroieri, quindi se è voluta scappare, è riuscita a fare della strada...» «Soprattutto visto che i nostri confini non sono noti per la loro invalicabilità» rincarò l'inquirente di Lavai. «Con o senza controlli della GRC.» «Splendido...» sospirò Brenner. «Ha trovato qualcosa sugli assassini?» L'inquirente di Lavai si girò verso di lui. «L'arma non era registrata. Per quanto riguarda gli informatori, è tutto piuttosto fumoso. La moto era una Kawasaki ZXR 750, probabilmente recente perché era equipaggiata di pneumatici Bridgestone, copertoni di prima qualità. A meno che i killer non siano degli imbecilli, non li ritroveremo mai. Non vedo che una soluzione per il momento, beccare la ragazza. E quindi, perché non fare un giro degli alberghi della zona SainteCatherine/Drummond? Bisogna essere idioti per fare acquisti ai piedi del proprio albergo, ma si è visto di peggio. La GRC ha mandato in giro richieste di informazioni, ma nulla sostituisce il contatto umano. Prima parlavate di lesbiche, non è una cattiva idea, immagino che, se fossi frocio, cercherei rifugio tra i froci. Un'ultima cosa: la 44 non è un'arma in dotazione ad alcun corpo di polizia del Quebec, ma ovviamente questo non significa nulla.» Brenner annuì in silenzio. Savoie si alzò e appoggiò le mani sulla scrivania. «Possiamo fare così: Johanne e io al Village, voi due negli hotel.» Chess era un tipo taciturno. «Vai ad Albany?» aveva chiesto dopo un'ora di strada. «No, a New York» aveva risposto Tyna. «Okay» aveva concluso Chess. Da allora non aveva più pronunciato una parola. Eccetto al CB, in un inglese talmente rauco che lei aveva faticato a capire.
Il calore e il dondolio della cabina mantenevano Tyna in un limbo di semitorpore. Non sgradevole. Attutiva le sue paure. Se gli sbirri avevano diramato le due identità, significava che avevano capito. Anche ammesso che non sapessero già che era diretta a Ginevra, non ci avrebbero messo molto a scoprirlo. Cosa avrebbe fatto a New York con un biglietto inutilizzabile? Nella cabina in cui si concentravano i profumi dei tronchi, resinosi e stordenti, non era che un'eventualità lontana. Che si stava però avvicinando a ogni metro. Sarebbe tornata Tyna. Tyna di New York invece che Tyna di Montreal. E non sarebbe cambiato nulla. Non aveva nemmeno voglia di piangere. Solo di dormire. E di andare avanti. La mano sinistra stringeva la destra, i puntini blu. La barista asciugò a lungo un bicchiere, ne verificò la trasparenza e lo sistemò nel ripiano sopra il bancone. Poi, sempre senza fretta, salì sullo sgabello che aveva avvicinato col piede. «E tu vieni in quanto sbirra o in quanto donna?» «Perché? L'una esclude l'altra?» La barista scostò con un movimento del capo un ciuffo che le cadeva sulla guancia. «No, è ambivalente, e l'ambivalenza non mi piace.» Johanne non poté impedirsi di sorridere. «Nemmeno a me. Allora diciamo in quanto poliziotta.» «Non è il genere che preferisco. È ghiandolare, psicologico o genetico, non lo so, ma è così.» Johanne fece una smorfia. «Forse allergia?» La barista sorrise a sua volta e puntò verso di lei una mano piegata come fosse un revolver. «Esatto! Sono allergica.» «Si cura molto facilmente» Johanne diede un'occhiata alla sala, si fermò un secondo su un gruppo di adolescenti e tornò alla barista. «Per esempio verificando l'età delle avventrici.» «Va a cagare» ringhiò l'altra. Scivolò giù dallo sgabello e, stizzita, fece il gesto di lasciare il bancone.
«Aspetta!» ordinò Johanne, accorgendosi, proprio in quell'istante, di un movimento alle sue spalle. Si girò. I capelli a spazzola della ragazza la superavano di mezza testa, il giubbotto da facchino modellato accentuava spalle e braccia scolpite pompando ghisa. La sfiorava aprendo e chiudendo i pugni. Caricaturale, ma niente affatto rassicurante. Malgrado i meravigliosi occhi azzurri. «Qualche problema, Genna?» chiese alla barista. «Lascia stare, Tat', la signora è dello SPCUM, della brigata Moralità.» «E allora?» replicò Tat'. Però smise comunque di stringere i pugni, si allontanò e andò a sedersi al bancone. «Allora niente» rispose Johanne. «Voi non mi caccerete dal vostro bar e io non lo farò chiudere, quindi smettiamola con le stronzate.» Estrasse una foto dalla borsa e gliela fece vedere. «Voglio solo sapere se conoscete questa r...» «Mai vista» risposero in coro le due senza aver dato nemmeno un'occhiata all'immagine. Johanne sospirò infastidita. «Se credete di farle un favore, vi sbagliate. Non sono la sola a cercarla, ma gli altri non la vogliono interrogare. Vogliono ucciderla.» La scrutarono tutte e due incredule, con lo stesso sorriso sornione. «Non siete obbligate a credermi, ma guardate il telegiornale e prima o poi la rivedrete.» Le due ragazze esitarono, quindi si chinarono sulla foto. «Perché la cerchi qui?» domandò Genna. «Secondo te? Ci sono migliaia di bar a Montreal e io vengo proprio qui. Ovviamente è lesbica!» «Non si direbbe» mugugnò Tar'. «Perché? Ce l'hanno scritto in fronte?» replicò seccamente Johanne, che cominciava ad averne abbastanza di quel ping-pong. Troppo seccamente forse, perché Taf corrugò le sopracciglia, poi la squadrò dalla testa ai piedi. Soffermandosi sui polpacci, le anche, il petto. Non poteva crederci... Johanne strinse i denti e pregò di non arrossire. «Non sempre» mormorò Tat'. Johanne frugò nella borsa per darsi un contegno. Quando alzò gli occhi, Taf stava di nuovo esaminando la foto. «Non l'ho mai vista.» «Cercate di immaginarla pettinata diversamente, senza occhiali. Si
chiama Alizée Morel. È spesso con una ragazza della sua età, Tyna Langer, anche lei nei guai.» Johanne fece una descrizione la più precisa possibile della Tyna che conosceva. Le due donne ascoltarono, osservarono di nuovo la foto e fecero segno di no con la testa. «Spiacente, non mi dice nulla.» «Nemmeno a me.» Genna appoggiò la foto sul bancone e la fece scivolare verso Johanne. «Tenetela» disse quest'ultima appoggiandoci sopra un biglietto dello SPCUM. «Se vedete o l'una o l'altra, chiamatemi, c'è anche il mio numero diretto. E se chiamarmi vi costa troppo, ditele di mettersi in contatto con me. Ditele che sappiamo che lei non c'entra niente, che è in pericolo e che possiamo aiutarla. Lei capirà.» «Okay» replicò Genna mettendo foto e biglietto nella cassa. «Posso far vedere questa foto alla vostra clientela?» «Posso impedirglielo?» ironizzò Genna. Johanne fece il giro dei tavoli e ricevette solo risposte negative. Lasciò il bar e attraversò la strada per raggiungere Savoie appoggiato a un muro. «Qualcosa?» chiese lui. «Niente. Però ho lasciato il recapito.» Poi, siccome Savoie guardava da sopra la spalla: «Cosa c'è?» «Quando uno sbirro entra in un bar, capita spesso che qualcuno esca dal retro... ma non qui. Continuiamo?» «Dimmi una cosa, sono tutte come Genna?» «Non ti è piaciuta?» «Oh, è una donna a-do-rabile. Appena un po' arcigna, forse.» «È fatta così, deve sempre esagerare. Il suo motto è "va' a cagare, coglione". È per questo che ho preferito mandare te. E ti ci ho mandato subito apposta: le altre, in confronto, ti sembreranno degli zuccherini.» L'albergatore scosse il capo. «No, mai vista. Ho ricevuto un fax della GRC, stavo per rispondere loro la stessa cosa.» «Potrebbe aver cambiato pettinatura, tolto gli occhiali» insistette Brenner. «Forse ha addirittura utilizzato un altro nome.» L'uomo scosse di nuovo il capo. «Tutte le donne che ho avuto erano più anziane eccetto una, ma era una turista francese. E credetemi, era francese. L'accento non sbaglia.»
Gli lasciarono foto e dati e uscirono dall'albergo. «Siamo sempre in zona?» L'inquirente di Lavai consultò la cartina. «Sì.» «È incredibile quanti alberghi ci siano in quest'area...» «Il Quebec è una terra accogliente.» «Non abbiamo appena visto un Ostello della Gioventù?» «Mmm... è un po' prima.» «Possiamo provare, sarà una variazione sul tema.» «Okay.» Brenner si massaggiò il tallone con la punta della scarpa facendo una smorfia. «Mi sono procurato una vescia. Nient'altro. E voi?» «Zero totale» rispose Johanne. «Abbiamo provato i bar, i negozi di abiti, di scarpe, le profumerie, le gioiellerie... Sicuramente non frequentava l'ambiente delle lesbiche.» «È stata molto dura per te? Voglio dire, non sei stata...» «Cosa? Se mi hanno messo le mani sul culo? No. Ma ho provocato qualche reazione percettibile, sì. Strana sensazione... E cosa volete che vi dica, non sgradevole. Finalmente sentirsi desiderata senza...» I tre uomini la guardavano sbigottiti, stringendo il bicchiere di birra. «Vi sto choccando? Allora diciamo che preferisco entrare da sola in un bar omo che in un ristorante per camionisti, così mi capite?» «Si potrebbe tentare all'università» ipotizzò Savoie. Johanne si portò il bicchiere alle labbra. «Se ne occupa la GRC» ribatté l'inquirente di Lavai «ma ci sono le vacanze... Ripasso dalla banca domattina presto, la gran parte delle transazioni informatizzate si svolge la notte. Vi terrò informati.» Guardò l'orologio e aggiunse. «È ora che vada, non abito mica qui io!» «Anch'io vado» si associò Savoie tirando fuori il portafoglio. Dopo che i due uomini ebbero lasciato il bar, Brenner disse a Johanne: «Non ti ho ancora chiesto com'è andata ieri sera...» «Meglio non si poteva. Per domani sera è previsto un incontro con critici e giornalisti. Metà vernissage, metà conferenza stampa.» «Wow! Ma è fantastico!» «Talmente fantastico che non riesco a dire altro che... fantastico. Ma, a
essere sincera, sto morendo di paura.» «Bah! Te la cavi benissimo con gli interrogatori e questo non sarà che un interrogatorio alla rovescia. E poi, quando rispondi a giornalisti o gente del genere, l'importante è dire esattamente ciò che si ha voglia di dire, senza ascoltare le domande. Guarda i politici...» «Sì. Però io non ho niente da dire. Dipingo e basta.» «Allora racconta come dipingi. Vuoi che ti accompagni?» «No, grazie. È gentile da parte tua, ma ci sarà già il direttore della galleria per darmi sostegno morale.» «E questa sera, Johanne? Hai programmi o possiamo cenare insieme?» «Torno a casa, sono distrutta e ho molte cose da preparare. Ma una delle prossime sere mi farebbe piacere uscire insieme.» «Se non troviamo qualcosa in fretta, rischio di non avere più molte serate a Montreal.» «Allora... diciamo sabato sera. Ti presenterò il mio direttore di galleria. Vedrai, è un tipo interessante.» Chess l'aveva lasciata a sud di Albany. Dopo un sobrio "buon viaggio" accompagnato da un'inclinazione della testa. Lei aveva trovato una macchina quasi subito dopo. Una donna di nome Jocelyn che viaggiava sola e si rivelò l'opposto di Chess. Tyna non ebbe tregua: i bambini, il primo marito, il secondo marito, i genitori, gli suoceri, il lavoro... Una logorrea che produceva lo stesso effetto del silenzio di Chess. Un po' meno gradevole. Nettamente più frastornante. Jocelyn aveva bisogno di un pubblico e Tyna svolse bene il ruolo: sorriso imperturbabile, con cenni del capo ogni tre chilometri circa. Di tanto in tanto qualche approvazione verbale. Jocelyn guidava con il cruise-control bloccato a 15 miglia all'ora sopra la velocità massima consentita. Poco prima di notte lasciò Tyna in un distributore Texaco, poi uscì dall'autostrada all'altezza di un paesino di cui Tyna cercò il nome sulla cartina appesa nella hall dell'albergo. Longhorn, un comune della lontana periferia newyorkese, a nord. Prese il libro di storia per andare al Tex-food. Lo sforzo che le richiedeva la lettura le impediva qualsiasi altra attività intellettuale. Tyna alzò gli occhi. Era scesa la notte. Un alone luminoso riflesso dalle nubi copriva l'orizzonte. Si fermò un istante a osservarlo. Come un miraggio.
Domani mattina sarebbe stata a New York. Quella sera era a Nakhel Embarek. O, comunque, in una vallata vicina. Con Lawrence d'Arabia. CAPITOLO XXIII «Da dove viene?» Johanne prese il fax che stava arrivando e ne lesse l'intestazione. «Da un'agenzia di viaggi.» «Eh?» «C'è scritto a mano... Johanne aveva... ragione.» Brenner e Savoie si avvicinarono. Il fax continuò scorrere. Apparve una riga di numeri. «Deve essersi comprata un biglietto...» sospirò Savoie. Poi una nuova frase manoscritta spuntò dal fax: Sono all'agenzia, vi chiamo. Il telefono squillò subito dopo. Savoie rispose e collegò il vivavoce. Riconobbe la voce dell'inquirente di Lavai. «Avete capito... ha un biglietto New-York/Ginevra, con partenza domani sera. E vi ho tenuto il meglio per la fine: un pagamento con carta di credito in un motel di Plattsburgh l'altro ieri sera. Passo da voi.» «Okay» fece Savoie riattaccando. «Immagino che Plattsburgh sia negli Stati Uniti» si accertò Brenner. L'inquirente di Lavai fece una smorfia. «Lo so» riprese Brenner «non abbiamo niente contro di lei per impedirle di prendere l'aereo. Senza parlare di estradizione. Ma tra colleghi a volte ci si fa dei favori, no?» Questa volta fu Savoie a fare una smorfia. «Con gli americani non bisogna contarci troppo. Ti aiutano se ne traggono qualche interesse e in questo caso la ragazza sta lasciando il loro territorio, per cui, figurati! Il massimo che possiamo sperare è che la guardino partire e ci confermino che è partita.» Brenner non insistette. Dal momento in cui avevano ricevuto il fax, gli girava per la testa un'idea. Prima di esprimerla, si mise a sedere. «Niente mi impedisce di andarci. Voi state lavorando a un'inchiesta e vi fareste bacchettare sulle dita, ma io già sono una specie di turista, e turista per turista...»
Gli altri tre lo guardarono incuriositi. «Posso aspettarla al check-in e provare a parlarle» aggiunse. «Se lei la prende male, rischi di avere dei problemi» obiettò Savoie. «Non penso che le convenga. E poi ha cercato di raggiungermi all'hotel. E, soprattutto, non abbiamo granché da perdere.» «In effetti» concluse l'inquirente di Lavai. «Chiamo l'agenzia per sapere i voli disponibili?» chiese Johanne. Brenner verificò l'ora e tirò fuori un quaderno dalla tasca. «Sì, grazie. Io faccio un'altra telefonata.» Tirò un apparecchio telefonico verso di sé e compose un numero. Che rispose rapidamente. «Buongiorno, cerco Gilbert Chevallaz, per favore, sono Eric Brenner. Sì, attendo in linea, grazie.» Azionò il vivavoce. «Eric? Come va? Sempre a L'Aia?» «Ciao, Gilbert. Non c'è male, e tu? In questo momento sono a Montreal, circondato da colleghi canadesi. Ho collegato il vivavoce perché possano sentirci.» «In Quebec! Addirittura! Allora suppongo che non mi chiami per andare a mangiarci una fonduta in riva al lago?» «Non subito. Piuttosto per un favore, di tipo ufficioso.» «Ah... riprendi con i vecchi metodi. Temevo che l'Europol ti avesse cambiato.» «Tecnica che vince, non si cambia.» «È vero. Cosa posso fare per te?» «Sarebbe lungo da spiegare, ma in due parole: abbiamo una cliente che arriva da te domenica, a bordo di un volo Swissair proveniente da New York.» «New York? Non hai detto che eri in Quebec?» «È complicato... lei è di qui, ma parte da New York.» «Bene, cosa ha fatto?» «Ecco... non lo so esattamente... Forse è coinvolta in una storia di snuffmovies, ma non so a che titolo. È stata testimone dell'omicidio di una ragazza a Montreal, questo è certo. Ha preso il passaporto della ragazza in questione e ora ne utilizza l'identità.» «In effetti non sembra troppo semplice... Possiamo fermarla per il passaporto, la procedura sarebbe quella di rispedirla a casa, in teoria in Quebec, ma se rifiuta di imbarcarsi ci si potrebbe perdere nelle formalità, e for-
se non è quello di cui hai bisogno di tu.» «No... non so se viaggi sola, se a Ginevra l'aspetti qualcuno, né cosa diavolo venga a fare in Svizzera. Mi stupirei però se si trattasse di turismo.» Chevallaz ridacchiò. «Tss... nessuno entra in Svizzera senza lingotti d'oro.» «E nessuno ne esce senza cioccolato. Se si riuscisse a non metterla in allarme sarebbe meglio; se tu potessi fare qualcosina... diciamo come con Pilleri, ti ricordi? Sarebbe perfetto.» «Mmmm... Pilleri aveva già dei precedenti da noi. Non potrò dedicare altrettanto tempo e uomini alla ragazza.» «Fa' quello che puoi.» «Sì... mi mandi via fax le informazioni che mi servono?» «Le avrai nel giro di un quarto d'ora.» «Ecco fatto» mugugnò Brenner dopo aver concluso la spedizione dell'ultimo fax. «Anche se in aeroporto mi sputa in faccia, non la perderemo di vista. Perlomeno non subito.» Johanne gli tese il foglio in cui aveva annotato le informazioni ottenute dall'agenzia. «Gli aerei non mancano, il problema è che molti sono completi.» Brenner scorse il foglio. «Mmm... Resta da sapere cosa può essere più interessante. Cercare di tirarne fuori qualcosa negli Stati Uniti o sorvegliarla in Svizzera? L'idea mi è venuta parlando con Chevallaz; noi partiamo dal principio che ha paura e cerca di scappare, ma non sappiamo né chi sia né cosa faccia. Se appartiene a una rete e noi la intercettiamo, rischiamo di perdere l'occasione di scoprire il resto. Naturalmente, è una mia personale visione della faccenda. Dal vostro punto di vista, una volta arrivata in Europa, Tyna sarà persa per sempre. Cosa ne pensate?» I tre rifletterono in silenzio. «È sempre frustrante lasciar partire qualcuno, anche quando è necessario» riassunse l'inquirente di Lavai. «E, in questo caso, non sappiamo nemmeno se sia necessario» aggiunse Savoie. «Tanto non si tratta di impedirle di fuggire» osservò Johanne. «Se vuole prendere l'aereo, lo prenderà. A meno che Eric non riesca a convincerla a tornare a casa...» «Se dobbiamo prometterle qualcosa per farla rientrare, glielo promette-
rò, ma non bisogna farsi illusioni. Detto questo, possiamo trovare il varco...» Diede un'occhiata al foglio e proseguì. «Vado a Newark due ore prima del check-in; se Tyna è con qualcuno o qualcuno la segue, o non sembra affatto una ragazza in fuga, non intervengo, altrimenti cerco di parlarle. Mi porterò una macchina fotografica, se qualcuno la raggiunge, avrete il suo ritratto.» «Questo mi sembra un ottimo varco» dichiarò Savoie. «Siamo a Brooklyn!» esclamò Luis lasciando il volante per indicare il paesaggio con le mani. Di newyorkese aveva gestualità e accento. «È diverso da Montreal, eh?» Tyna annuì con il capo. Molto peggio, gli edifici di mattoni scuri ricordavano certi quartieri di Montreal, ma erano molto più malandati. E con più traffico. «Non è il meglio di Brooklyn, ma vedrai dalle parti delle Heights, è lì che abito io. New York è Brooklyn, il resto è merda.» Tyna annuì di nuovo con il capo. Per il momento sembrava tutto di una tristezza infinita. «Credi che qui potrei trovare lavoro?» Luis esagerò un movimento di sorpresa. «Eh, Alizée? Cosa mi stai dicendo? Prendi l'aereo per l'Europa o resti a New York?» «Non lo so» rispose lei dopo qualche secondo. Lui si girò verso Tyna, la guardò di profilo e si grattò la testa. «Che problema hai?» «Non ho problemi.» «Lavorare... cosa sai fare a parte studiare?» «Un po' di tutto.» «Fantastico!» scoppiò a ridere Luis. «Allora troverai sicuramente! Un po' di tutto è esattamente quello che chiedono a New York... e anche qualsiasi cosa.» Tyna non rispose, alzò le spalle. Avvicinandosi all'East River il traffico si fece ancora più denso. Luis guidò in silenzio per qualche minuto, poi, come se gli fosse venuta in mente un'idea folgorante, all'improvviso chiese: «Aspetta, sei francese?»
«Canadese.» «Be', insomma, parli francese?» «Naturalmente.» «Allora basta che provi nei negozi di abbigliamento. Spesso ci sono delle commesse francesi in quei posti. Non so perché, ma è così.» «L'ho già fatto» mentì Tyna. «Sai dove posso provare?» «Se fossi in te andrei a vedere sulla Quinta, ci sono boutique di ogni genere, dalle più lussuose a quelle di seconda mano.» «È a Manhattan?» Luis mostrò l'East River che era appena apparso davanti a loro. «Sì, dall'altra parte.» Svoltò a sinistra e fischiettò a lungo. «Merda, è tutto bloccato...» File di auto immobili coprivano i ponti di Brooklyn e Manhattan. «Bene» sospirò lui premendo il clacson per infilare una traversa «la soluzione migliore è che ti lasci alla stazione di High Street ai piedi del ponte di Brooklyn. Vuoi andare a Manhattan?» Tyna annuì. «Sarà più comodo, soprattutto per trovare lavoro.» Luis esibì un sorriso sghembo. «Vedi tu, ma un albergo a New York, senza aver prenotato... insomma, una bella seccatura.» «Me la caverò» replicò lei. «Okay, Alizée, okay, la vita è tua.» Schiacciò il clacson per convincere l'auto davanti a partire. Dieci minuti e altrettanti colpi di clacson dopo si fermò in doppia fila, vicino a un incrocio, e le indicò la strada a sinistra. «High Street è proprio lì. Prendi per Uptown; una fermata e sei dall'altra parte, sulla Broadway.» Tyna gli tese la mano. «Grazie, Luis.» «Buona fortuna» disse lui stringendogliela. Vedendola allontanarsi piegata sotto il carico della borsa, Luis mormorò qualcosa a proposito delle ragazze, dei matti e delle ragazze un po' matte. «Partenza oggi pomeriggio e ritorno nella notte tra sabato e domenica?» «Il fatto, signore, è che i voli per il fine settimana sono tutti pieni. Le prenoto questi posti?»
«D'accordo.» «Ecco, signore. Può ritirare i biglietti e il boucher per l'albergo al nostro sportello di Dorval.» «Perfetto, grazie.» «Si figuri.» Brenner riattaccò e guardò l'orologio. «Giusto il tempo di preparare le mie cose e mangiare un boccone. Mi accompagni all'aeroporto, Johanne?» «Volentieri.» Tyna era madida di sudore, il viso arrossato, i capelli appiccicaticci: la spalla, le reni e i piedi che le facevano male. Aveva subito lasciato i viali. O perché gli alberghi erano completi, o perché una notte le sarebbe costata praticamente tutto quello che aveva. Completamente folle... Aveva ripiegato sulle strade più strette, dove lo scenario non era cambiato di molto. Fino a infilarsi in traverse sempre più sordide, ingombre di scale antincendio arrugginite e piene di bidoni puzzolenti. Il tipo dietro il bancone del Tiara Hotel la squadrò. «Sì» fece alla fine. «Ma sono almeno due notti pagate in anticipo. Quarantasette dollari. La notte. Senza breakfast.» Era mille volte il prezzo che il posto valeva, ma Tyna non ne poteva più. «D'accordo» sospirò. Il tipo le diede la scheda da compilare e tornò al suo televisore, da cui si distolse a malincuore quando lei gli riconsegnò il modulo e tirò fuori una banconota da cento dollari. Questa volta le diede la chiave, tenendola coperta sotto la mano. Con l'altra le mostrò le scale. «Stanza 87. L'ascensore è in panne. Niente cibo in camera e non ci si può portare nessuno, okay?» «Okay.» Tolse la mano dalla chiave. «Grazie per la mancia» aggiunse, visto che Tyna sembrava aspettare il resto. Il taxi lasciò Brenner davanti all'ingresso del Pennsylvania, a un tiro di schioppo dal Madison Square Garden. Tra la decina di addetti indaffarati dietro al bancone, cercò quella che doveva occuparsi del suo caso. Un solo distintivo diceva Sharon; la salutò e le diede il documento.
In piedi al centro della stanza, poteva quasi toccare entrambe le pareti tenendo le braccia aperte. La moquette bucherellata dai mozziconi espelleva polvere a ogni passo. L'aria condizionata non funzionava. E la finestra non si apriva per non compromettere l'efficacia del condizionatore. Tyna si lasciò cadere sul letto. E si alzò quasi immediatamente. Non doveva stendersi. Aprì la porta del bagno e girò il rubinetto. Almeno c'era l'acqua. Si asperse il viso. Poi si spogliò ed entrò nella doccia. La base era rotta e la tenda ammuffita, ma fu comunque molto piacevole. Lavarsi l'aveva rasserenata. Anche essersi cambiata d'abito. Adesso doveva solo orientarsi. Aveva camminato talmente tanto, cambiando e ricambiando strada, che non sapeva più quale fosse l'indirizzo del Tiara e nemmeno il nome del quartiere. Tyna prese la cartina della metro, appesa alla parete, poi diede un'occhiata al cartello attaccato sulla porta, sopra i consigli antincendio. Per constatare che il tipo alla reception le aveva chiesto il doppio della tariffa prevista. Avrebbe potuto protestare, sicuramente ne sarebbe rimasto impressionato. E quando l'avesse buttata fuori, sarebbe potuta andare a lamentarsi e di certo qualcuno le avrebbe trovato un'altra sistemazione. Tyna imprecò giurando che quello stronzo l'avrebbe pagata, quindi si immerse nello studio della cartina. Cinquantunesima strada a ovest della Nona avenue, quartiere di Clinton, Midtwon, concluse, sebbene la cosa non le dicesse poi granché. Se non che la stazione della metro più vicina richiedeva una discreta passeggiata. Tyna prese la borsetta e la soppesò, camminare con quella sarebbe stato uno scherzo. I primi isolati furono solo facciate annerite e negozi tristi, quindi un alternarsi di cinema porno e peep-show. Si destreggiò tra spacciatori, puttane e clienti con lo stesso viso scuro che adottava lei sulla Saint-Denis. E all'improvviso si ritrovò sulla Broadway, davanti a un teatro con manifesti enormi. Brenner sfogliò la pila di volantini sul comodino. La maggior parte proponeva materiale informatico a tariffe che sfidavano qualsiasi concorrenza. Il resto pubblicizzava cabaret, ristoranti e spettacoli. Ripose i depliant e si diresse verso la finestra. Disponeva quasi di un giorno e mezzo, tanto valeva approfittarne. Era
tanto tempo che aveva voglia di visitare il Guggenheim. «Taxi, signore?» propose il portiere del Pennsylvania quando superò la soglia dell'albergo. Seduta su una panca, Tyna si accese una sigaretta e aspirò con tutta la forza che aveva nei polmoni. «Sì, potrei offrirle un posto da commessa per qualche mese. Immagino che lei abbia la carta da studente e il permesso, vero?» «Certo... insomma, adesso non li ho con me, ma sono in regola.» «Perfetto, mi porti i documenti e riparleremo di questa opportunità.» E, sorridendo a trentadue denti, il tizio si era girato. Era stata la risposta meno negativa dì tutte quelle che aveva ricevuto. Aveva misurato a grandi passi miglia di marciapiedi, tra una folla compatta che l'aveva sballottata senza vederla. Eccetto un tipo che le aveva sputacchiato in faccia urlando: «Giunge il Redentore! Pentiti, miserabile!» Aveva continuato a urlare seguendola. «Il Redentore ti schiaccerà!» Le era toccato mettersi a correre per liberarsene. Sì, gli edifici erano più grandi e numerosi che a Montreal. Sì, c'era più gente per la strada. Sì, la città brulicava, pulsava, gridava e sembrava senza fine. E allora? Tyna si chiedeva cosa gliene importasse. E sarebbe dovuta tornare al Tiara, riattraversare quel quartiere di merda. Se continuava a tergiversare, le sarebbe addirittura toccato attraversarlo di notte. Non erano tanto la fauna e le facciate luride di Clinton a disturbarla, quanto una sensazione di impotenza. Non era finita in quel quartiere per caso. Clinton le sputava in faccia la verità: quello che lei era davvero. Presto si sarebbe appostata su un marciapiede, una ragazza le avrebbe chiesto cosa cazzo voleva e dopo la sua risposta le avrebbe dato una lezione. Poi sarebbe arrivato un tizio, gliele avrebbe suonate anche più forte senza nemmeno fare domande, l'avrebbe spinta in una macchina e l'avrebbe trascinata in un altro tratto di marciapiede. Nei migliori dei casi. Ecco fatto. Il mozzicone iniziava a bruciarle le dita, lo lasciò cadere. «Hai bisogno di un ombrello!» Un tipo giovane, dall'aria allegra, le tendeva un ombrello. Ne aveva una decina in spalla, attaccati a una corda. Tyna levò gli occhi al cielo.
«Hai bisogno di un ombrello, te l'assicuro, ti tocca. Te lo dice Creps. Io sono Creps.» «Lasciami in pace» sospirò Tyna. «Oh, non sei di qui, ecco perché! E quindi pensi: c'è il sole, non ho bisogno di un ombrello. Ma queste sono stronzate, qui siamo a New York, le nuvole si nascondono dietro i grattacieli e quando vedono una ragazza senza ombrello, paf! Le piovono addosso. Qui è così che succede! E ti assicuro che so di cosa parlo! Mi chiamo Umbrella Creps! Di dove sei?» «Quebec.» «Ah sì, lassù piove ghiaccio e quindi avete gli ombrelli in ghisa! Ma qui no, cade solo acqua! Guarda» fece girare l'ombrello tra le dita «è leggero, non costa niente, si infila dappertutto; se comincia a piovere, pam! Lo apri. Se un tizio ti rompe le scatole, pam! Lo usi per dargli una botta in testa. A New York un ombrello è una questione di sopravvivenza, tutti ce l'hanno. A volte ne hanno anche due, perché non si sa mai. Proprio perché sei tu, te lo vendo a tre dollari. Tre dollari, merda, non si compra più niente con tre dollari ormai, mentre con un ombrello, pensa a quante...» «Lasciami in pace!» gridò Tyna. Il grido si trasformò in un singhiozzo, Tyna si nascose il viso tra le mani. Creps appese l'ombrello alla corda e scosse la testa. «Tu hai un problema. E vuoi tenertelo. Cosa ne farai, eh? Non va bene. Bisogna parlarne. Capiti bene, sono qui apposta. La gente che ha dei problemi me ne parla sempre, e pam! Niente più problemi. Mi chiamano No Trouble Creps. Sono una specie di ombrello per i problemi. Hai un problema sopra la testa, io arrivo, apro l'ombrello e pam! Il problema cade di lato, proprio su quello che non ha la fortuna di conoscere Creps. Su, racconta il tuo problema e Creps ti farà un regalo con un bel fiocco, un ombrello in omaggio!» Tyna era combattuta tra le lacrime e il riso. «Vedi! Stai già ridendo! Su, la ditta non indietreggia di fronte ad alcun sacrificio, Creps ti paga un bicchiere allo Sbarro qui davanti e in cambio tu gli racconti i tuoi guai. Va bene così?» «Okay» fece Tyna chiedendosi se sarebbe bastato a farlo tacere e se voleva davvero che tacesse. Creps si caricò gli ombrelli in spalla. «Porca puttana, voi del Quebec siete proprio i migliori! Ci pensi che Creps stava cercando di rifilarti un ombrello e adesso si ritrova a pagarti da bere? Siamo al limite della concorrenza sleale! Come ti chiami?»
«Alizée.» «Allora, Alizée Quebec, andiamo o stiamo ad aspettare che piova?» Creps bevve un sorso di Coors a collo e si asciugò le labbra. «Meglio comunque seduta qui che sulla panchina, no?» Lo Sbarro aveva un arredamento discutibile, ma le panche erano comode. Tyna annuì con il capo. «Allora, lasciati andare, racconta tutto a Creps. Qual è il tuo problema, Alizée Quebec?» All'improvviso Tyna ebbe voglia di parlare, di essere ascoltata. Un tipo che vendeva ombrelli sul marciapiede sapeva ascoltare, capire. «Ho bisogno di lavorare.» «E lo chiami un problema? A New York ci sono almeno due miliardi di lavori e io ne conosco la metà! Cosa vuoi fare?» «Non ho i documenti in regola.» «Ah, allora ce ne sono già molti meno. O non gli stessi.» «Ho anche voglia di prendere un aereo per l'Europa.» «Wow, è cool!... Be', potresti fare l'hostess, così lavoreresti e viaggeresti in aereo. Guarda, io non me ne intendo di hostess, ma ci vuole sicuramente un permesso anche per fare quello...» «Sicuramente.» «Già... allora, il tuo problema è solo trovare un lavoro per pagarti il biglietto?» Tyna guardò il fondo del bicchiere, le bollicine che si scontravano e scoppiavano. «No, il biglietto ce l'ho.» Creps si massaggiò il mento, poi aprì le mani. «Se hai paura dell'aereo, posso sistemare tutto: uno spinello e parti ancora prima del decollo!» «Non ho paura dell'aereo. Ho paura... che mi arrestino gli sbirri.» Creps si chinò verso di lei e abbassò la voce. «Non è la stessa cosa. Cosa hai fatto?» «Niente.» Rise piano. «Hai ragione! Sono stupidi gli sbirri, eh? Non fanno altro che arrestare poveri innocenti! Forse è per questo che i colpevoli dormono sonni tranquilli.» «Volevo dire che non ho fatto niente negli Stati Uniti. Ma a casa mia, in
Quebec, ho rubato una carta di credito, ecco perché me ne sono andata.» Creps scoppiò a ridere. «Scusami» fece una volta tornato serio e chinandosi un po' di più verso di lei. «Ma, merda, se fossi dovuto scappare in Canada tutte le volte che ho rubato un'American Express... porca puttana, non lo so... a quest'ora sarei in un igloo!» «L'ho rubata a una morta.» «Ah, non è bello; ma se vuoi il mio parere, è meno grave che rubarla a uno vivo. O ti fanno paura i fantasmi?» «Mi fanno paura solo gli sbirri che potrebbero arrestarmi all'aeroporto.» «Bah, di sbirri ne so molto più che di hostess, e mi stupirei molto se agli sbirri di qui interessasse il furto di una carta di credito canadese.» Rifletté un istante e aggiunse: «Ma, se vuoi, posso informarmi.» «Eh?» «Ho un amico che fa il piedipiatti, usciamo qualche volta insieme; insomma, hai capito, posso chiedergli un parere.» «Non... non lo so... Non è rischioso?» «Ti ho detto che sono No Trouble Creps! Il mio amico mi deve un favore. Ci metto un'oretta. A te decidere.» «Allora... va bene, sì.» Creps si alzò, le mise una mano amichevole sulla spalla. «Non preoccuparti! Ricorda: No Trouble Creps! Torno subito.» Tyna aspettava da quasi un'ora. Le addette dello Sbarro riempivano i vassoi di uova strapazzate, bacon alla griglia, un sacco di cose. All'improvviso le venne fame e si chinò verso la borsa. E capì che poteva continuare ad aspettare Creps a lungo. La cerniera della borsa era aperta, portafoglio e carta di credito erano scomparsi. Le linee verdi, bianche e rosse dei muri della caffetteria si confusero e Tyna si morse il labbro per impedirsi di urlare. «Caffè, signore?» La domanda distrasse Brenner dai suoi pensieri. «Grazie. Un espresso, per favore.» «Naturalmente, signore» ribatté il ragazzo con un cenno del capo di approvazione. Brenner si rallegrò di aver dato ascolto al taxista. Il ristorante si era rivelato a dir poco eccellente. Accese una sigaretta e si immerse di nuovo nei suoi pensieri.
L'ultima sala in cima alla chiocciola del Guggenheim l'aveva lasciato perplesso. Certo, i pannelli di moquette esposti erano stati perfettamente incisi con il cutter e i tagli gradevolmente arrotolati. Ma l'insieme l'aveva lasciato... perplesso, appunto. Forse, dopo tutto, lo scopo dell'allestimento era proprio quello. Fortunatamente le sale di sotto l'avevano convinto molto di più. Pensare alla pittura gli fece tornare in mente Johanne. Diede un'occhiata all'orologio. Il vernissage doveva essere già iniziato. Fu invaso da un sentimento di lieve delusione pensando che non vi stava prendendo parte. Anche da un'ombra di gelosia, perché invece era presente un tipo interessante. Il cameriere gli portò il caffè. Johanne si aspettava di trovare un appartamento brulicante di gente. Stracey non le lasciò il tempo di fare domande, li accolse con un gran sorriso e fece il giro per indicare loro le poltrone della sala. «Accomodatevi, vi prego.» Modificò la regolazione di una lampada e si lasciò cadere sul divano accanto al marito. «Che giornata, accidenti! Riuscire a mettere d'accordo tutta quella gente è stata una faticaccia. Li conosci, Lionel, sono im-pos-si-bi-li! Tra quello che stasera non sarebbe potuto venire, quello che non sarebbe potuto restare... Insomma, alla fine sono riuscita a trovare un terreno d'intesa. Il nostro incontro è rimandato a domani nel mio chalet.» Si indirizzò in modo particolare a Johanne per aggiungere. «Avrei dovuto avvertirla, sono spiacente, ma non ho avuto un secondo, è stato un tale lavoro di organizzazione... Spero che lei sia libera domani?» «Ehm... sì» balbettò Johanne. «Sono libera.» «Vedrà, è un posto magnifico, in riva a un lago. I nostri amici critici e giornalisti amano essere coccolati. Potremmo andarci stasera, svegliarmi a Obedjiwan è una delle cose che preferisco al mondo.» «Obedjiwan?» esclamò Johanne. «Stia tranquilla, in aereo. O meglio, in idrovolante. Thomas è un pilota fantastico. Se ne ha voglia, potremmo passarci il fine settimana. Basterà fare un salto da casa sua per prendere le sue cose. Che gliene sembra?» Johanne si stava rimettendo dalla sorpresa. «Non vorrei abusare...» «Al contrario, la sua assenza sarebbe un problema.» «Allora... la ringrazio.»
«Perfetto!» esclamò Stracey con tono allegro. Poi si rivolse al marito. «Vai con loro, sai dove si trova il mezzo; io devo ancora fare qualche telefonata, vi raggiungerò all'imbarcadero.» Tyna appoggiò la fronte al vetro. Non aveva acceso la luce. Due ragazze discutevano sul marciapiede di fronte. Il loro trucco brillava, era quasi fosforescente. Una macchina frenò, le ragazze si chinarono, una salì a bordo e l'auto ripartì. L'altra si mise a camminare su e giù. Tyna indietreggiò fino al letto e ci si sedette. Creps non aveva frugato la tasca interna della borsa. Dove c'erano passaporto, biglietto e un po' di contanti. Era tutto ciò che le restava e non era sufficiente nemmeno per due notti al Tiara. Forse, però, lo era per un taxi fino a Newark. Tyna si stese sul letto in posizione fetale, con le mani tra le gambe, stringendo le ginocchia fino a farsi male. Forse quel cretino aveva ragione. Ai poliziotti di qui non importava delle faccende canadesi. Quello o il marciapiede di sotto. E non tra una settimana, ma tra due giorni. E solo a condizione di non mangiare. «Signor Brenner?» «Sì» rispose lui avvicinandosi al bancone dove Sharon brandiva due fogli. «C'è un messaggio telefonico e un fax per lei.» Brenner guardò i fogli. Il messaggio veniva da Savoie che l'avvertiva di aver dato il suo recapito del Pennsylvania a Frébault dell'OCRTEH, il quale aveva cercato di contattarlo a Montreal. Il fax, non a caso, era firmato dallo stesso Frébault: Ho qualcosa, forse è importante, richiamami. «C'è un altro telefono in casa?» chiese Thomas Layne sottovoce mentre Johanne era occupata nella sua stanza. «No» rispose Lionel. «Prenda un costume da bagno, signorina!» gridò Layne. «Il meteo dice che ci sono ottime possibilità che il tempo sia bello!» «D'accordo!» rispose Johanne. Layne appoggiò il fazzoletto sulla cornetta, se la portò all'orecchio e la
appoggiò. È per questo che è venuto, pensò Lionel, per il telefono, per accertarsi che nessuno sia avvertito del cambiamento di programma. La sua parola non gli bastava. Era una cosa demenziale: se avesse voluto avvertire la sbirra, avrebbe potuto farlo prima. No, era per assicurarsi che, in caso di problemi, la fuga di notizie potesse venire solo da lui. Quei pazzi lo preoccupavano sempre di più. Si chiese se l'invio della mail a CoolWebeur fosse stata una buona idea, ma il comportamento di Johanne non era assolutamente cambiato. «Sono pronta!» disse lei tornando in corridoio con una borsa da viaggio in mano. Resta solo da incrociare le dita, pensò Spowart. «Signora Layne, che sorpresa!» esclamò Doug Oshtrom collegando il vivavoce e facendo segno a Rémi di avvicinarsi. «Questo telefono è sicuro?» rispose Stracey. «Quanto il suo.» «Benissimo. Allora, ecco, stiamo per giungere al gran finale di questa storia e penso che le piacerebbe partecipare con me all'evento.» «Ah, sì? E come?» «Nel modo più semplice possibile: facendo qualche domanda all'interessata, alla nostra amica comune. Le propongo di assistere alla chiacchierata.» «Amica comune?» «Sì, quella giovane di cui mi ha fatto vedere la foto, l'ha dimenticata?» «No, ma è una...» «Lo so cosa sta per obiettare» tagliò corto Stracey. «Ma la mia risposta è: e con questo?» «Non sono sicuro che la cosa sia di mio gradimento.» «Ma senti! Ha forse paura di ciò che potrei scoprire?» «Non dica sciocchezze.» «Allora cosa?» Rémi annuì con il capo. «Va bene» rispose Oshtrom «accetto.» «Bene. Il tragitto rischia di essere un po' lungo, le propongo di raggiungere mio marito a...» «Eh! Cosa sono queste storie?» «Una precauzione.»
Rémi gli fece segno con l'indice: insieme. «Anch'io prendo una precauzione, vengo con un amico.» «Oh... un ragazzone come lei non avrà paura di una donna...» «O veniamo in due o non viene nessuno» ribatté Oshtrom. «D'accordo.» Stracey diede loro un indirizzo e aggiunse: «Aspettate mio marito lì. Vi spiegherà tutto lui...» «Brenner...» grugnì una voce torbida. «A quest'ora puoi essere solo tu.» «C'è scritto importante sul tuo fax.» «C'è anche scritto forse, ma non importa... due secondi e sono da te.» Ci fu una sequela di rumori e fruscii non identificabili, poi di nuovo la voce di Frébault. Chiara e limpida. «Ecco, abbiamo eseguito delle ricerche più approfondite su CoolWebeur. Diciamo che in aspettativa ci è stato messo per tenerlo lontano dai riflettori. Conosci i rettorati, i panni sporchi preferiscono lavarseli in casa. Questo signore ha avuto qualche problema con una delle sue allieve.» «Gravi?» «Abbastanza per aprire un'inchiesta, non abbastanza per arrivare a qualcosa di più di un non luogo. Si scopava una ragazzina e la famiglia ha sporto denuncia. Solo che la ragazza era maggiorenne, di poco, ma maggiorenne, e ha dichiarato di essere stata consenziente. Il giudice ha approfondito, non ha trovato alcuna traccia di costrizione fisica, psicologica o scolastica.» «Quindi non luogo, normale.» «Sì. Ma sai che si può leggere il dossier di un'istruttoria a diversi livelli. Sarei pronto a mettere la mano sul fuoco che quella non era la prima. Se l'istruzione non fosse arrivata al non luogo, sono convinto che sarebbero apparse altre denunce, ma le famiglie non hanno avuto voglia di andare all'attacco.» «Non è la pubblicità che si desidera per i propri figli...» «Tanto più che anche le dichiarazioni delle adolescenti possono essere lette a diversi livelli. Direi che non solo quella ragazza non era stata la prima, ma nemmeno la sola, nello stesso momento e nella stessa stanza.» «Genere orgia?» «Sì, ma ristretta a due ragazze e lui. Ma forse è una mia interpretazione dovuta al seguito della storia.» «Perché, c'è un seguito?»
«Non giudiziario, e non è nemmeno propriamente un seguito... sai perché sua moglie ha chiesto il divorzio? Voglio dire, la vera ragione?» «Per questa storia?» «No, il divorzio è precedente.» «L'ha sorpreso in attività sessuali un po' originali?» «No, non credo. Aveva delle amanti, lei lo sapeva e lo accettava. Ma un giorno le ha proposto una cosa a quattro e lei ha rifiutato. Un altro giorno ha portato un amico a casa e gli ha chiesto di andare a letto con lei, mentre lui sarebbe rimasto ad assistere. La moglie si è rifiutata ma ha cominciato a preoccuparsi e a farsi delle domande. È stato a quel punto che ha scoperto che era abbonato a Barabas. La conosci?» «Poco, sono esperto di narcotici io.» «È un periodico omo e scambista, perlomeno ufficialmente. Non è più vietato dell'omosessualità e dello scambismo, e quindi non si può dire che sia pubblicato clandestinamente, ma non si trova nelle edicole. Barabas è una delle riviste che teniamo d'occhio. Ci si trovano tutti i tipi di informazioni, in particolare turistiche, con segnalazioni, codici. Per esempio, sai cosa significa YC?» «Dato il contesto, sicuramente non Yacht Club.» «Potrebbe, ma è più probabile che stia per Young Children con una, due, tre o quattro stelle. Una specie di Guida Michelin.» «È ancora abbonato?» «Difficile a dirsi, naturalmente non pubblicano l'elenco dei lettori. E siccome sanno di essere sorvegliati, sono ancora più prudenti. I codici stanno diventando sempre più ermetici. Da quando poi si possono perseguire crimini sessuali commessi all'estero, sono diventati particolarmente oscuri. Si registra una leggera diminuzione delle destinazioni esotiche e un aumento di quelle occidentali.» «Visto che tanto si rischiano vent'anni comunque, tanto vale risparmiare sul viaggio.» «Dev'essere così... la sua ex moglie dice che lui ha giurato di aver lasciato perdere Barabas e che lei non ne ha più trovati. Ma visto che ha divorziato poco dopo... un divorzio esemplare, del resto, il signore non ha opposto alcuna resistenza.» «Questa rivista si trova su Internet?» «No, Barabas a volte consiglia dei siti, ma non quelli che mostrano bambini nudi in posizioni... ehm, suggestive. Non sono così stupidi, tanto più che non è affatto vietato mettere in rete la foto del nipotino che fa la
prima comunione o della nipotina vestita da topolina. È tutta una questione di interpretazione... E tanta brava gente mette le foto della famiglia sul proprio sito personale in buona fede.» «Bastava pensarci... Avete stabilito qualche nesso tra Barabas e snuffmovies?» «No, te l'avrei detto. Penso che se la rivista promuovesse snuff saremmo riusciti a decifrarne i codici. Ma non sappiamo che informazioni si scambino gli abbonati tra loro, in privato.» Johanne gli passò la borsa da viaggio e la borsetta, Lionel le sistemò nella fusoliera, dietro i sedili. Prese le chiavi della villetta di Johanne e se le infilò in tasca. «Ah!» fece saltando nel cat-way «ecco Stracey!» Johanne si girò nella direzione indicata, Lionel restituì le chiavi a Thomas Layne. Stracey si diresse verso di loro di buon passo, illuminata dai riverberi che bordeggiavano il molo. Sembrava preoccupata e si rivolse al marito. «Mmm... ho trovato Douglas finalmente, forse riesce a venire stasera con un amico...» Lionel la guardò. «Il giornalista di cui ti ho parlato, ricordi?» gli disse. «Quella gente abusa del proprio potere, bisogna sempre essere al loro servizio... insomma...» «Sì, lo so, ma l'aereo è un quattro posti» obiettò Lionel con voce neutra. Stracey gli sorrise e si rivolse di nuovo al marito. «Lionel sa pilotare, tu ci raggiungerai con l'altro apparecchio.» Con la mano indicò uno degli idrovolanti ormeggiati al molo accanto. «Ma non stare ad aspettarli per più di un'ora» aggiunse. «Non bisogna comunque esagerare!» «D'accordo, vado. A più tardi.» «Sai pilotare?» chiese Johanne a Lionel mentre Thomas si allontanava. «Certo, non te lo avevo detto? Dai, stacca l'ormeggio di dietro.» Johanne si avvicinò al cordame e si accovacciò. Lui si diresse a quello davanti. «Stracey, aiutami, è incastrato.» Lei si chinò accanto a lui. «Che storia è questa?» mormorò lui. «Non era previsto.» «Il mio amico Doug Oshtrom aveva dei dubbi su di me e io su di lui, così ce li toglieremo tutti e due. Tu non hai dubbi, spero, né timori, vero?»
Lionel staccò la gomena con un gesto brusco. Coniugare fatti e pregiudizi. Steso sul letto, con una mano dietro la nuca, una sigaretta nell'altra, Brenner guardava il fumo alzarsi. Perdere la testa per una ragazzina di diciotto anni... diverse bambine interrogate nel suo ufficio della narcotici erano donne fatte. Di diciotto anni o anche meno, ma donne. Attraenti come una donna che, consapevolmente o no, gioca a sedurre. Più di una volta aveva dovuto concentrarsi sulla loro data di nascita per non farsi conquistare... farsi conquistare... divertente... come porsi vittima. Altrove e in altre circostanze avrebbe ceduto a tale attrattiva? Certo che sì. Ma altrove e in altre circostanze non gli capitava, o forse lo evitava. Un prof, invece, fa fatica a evitare le allieve. Naturalmente c'era il resto. Che, eccetto per la faccenda della sigla YC, non aveva nulla a che fare con il codice penale. Solo il suo codice morale gli impediva di dedicarsi a tali pratiche e, spinto fino in fondo, gli faceva catalogare CoolWebeur nella rubrica dei perversi viziosi. Non luogo morale, un corno! Era a quel pervertito che Johanne aveva scritto, mandato la sua foto, il suo ritratto... Quel malato che lei aveva ringraziato per i suoi consigli... Probabilmente adesso si stava masturbando sulla sua foto. Che schifo. Brenner si alzò di scatto, con la bocca amara, e prese una bottiglietta di cognac dal minibar. Ne buttò giù un sorso a collo e versò il resto in un bicchiere. Probabilmente CoolWebeur aveva mandato la foto ai suoi amichetti e adesso si stavano tutti masturbando insieme. E all'improvviso anche il cognac parve avere un cattivo sapore. Brenner imprecò tra i denti. Era così... quei malati si scambiavano le conquiste. E uno più fuori degli altri trovava come rifornirsi. Era... Era peggio di così, era tutto organizzato. Cool otteneva le informazioni da una parte dell'Atlantico e le faceva avere al suo amico dall'altra. Disponeva delle foto, conosceva i gusti, le voglie, le passioni, le abitudini. Facilissimo. Loro non si accorgevano di nulla. Poteva perfino scegliere altezza, età e colore, con la massima tranquillità. Sophie amava il cinema. Lui le consiglia un film. Lei va a vederlo. Incontra un tipo e scompare.
Johanne gli parla dei suoi quadri. Lui la spinge a girare per gallerie. Due giorni dopo un tizio impazzisce per i suoi quadri e le propone... No, non c'entrava nulla, era sicuramente un caso, una pura coincidenza. E poi Johanne non era una bambina. Avrebbe saputo come reagire. Brenner si precipitò al telefono sfogliando il bloc notes. Segreteria telefonica... Fece un respiro profondo e attaccò. Cosa dire alla segreteria? Un vernissage dura ore, tutta la notte, era normale. Sicuramente stava bevendo champagne e ridendo, magari era un po' brilla e parlava di pittura. Brenner fece un altro numero. «Signora Savoie? Salve, sono Eric Brenner, posso parlare a Luc per favore?» «Salve, Eric. Mi dispiace ma Luc è appena uscito, però non credo che tarderà.» «Gli dica di richiamarmi a qualsiasi ora, è molto importante. Le lascio il numero.» Dopo aver attaccato ne compose immediatamente un terzo. «Servizio di polizia di...» «Sì, salve, sono Eric Brenner, posso parlare con Nath per favore?» «Non ho capito il suo nome, signore.» «Eric Brenner, lavoro con Luc Savoie.» «Ah, ho capito, resti in linea... Nath sta parlando al telefono, può richiamare...» «No, è molto urgente; non può usare un avviso di chiamata o qualcosa del genere, per favore?» Ci fu un silenzio annebbiato, poi una serie di clic e infine la voce di Nath. «Il commissario francese! Come va a NewYork?» «Non molto bene, sarebbe lungo da spiegare ma vorrei che tu mandassi qualcuno da Johanne. Adesso è fuori, ignoro se o a che ora rientrerà, ma bisogna che qualcuno la aspetti e che, una volta che sarà tornata, la accompagni immediatamente allo SPCUM. Se non è sola bisognerà stare molto attenti. Ancora una cosa, ho cercato di chiamarla ma c'è la segreteria telefonica. Cerca anche tu di chiamarla; se trovi la segreteria, non lasciare messaggi; se ti risponde qualcun altro, dì che sei un'amica e chiedi di parlarle; se ti risponde lei, dille di venire subito allo SPCUM. Ecco... credo sia tutto. Credo che Johanne sia in pericolo, fisico.» «A tal punto?»
«Spero di sbagliarmi, ma ti prego, fai quello che ti ho detto.» «Okay, ci penso subito.» Brenner riagganciò la cornetta. Se si sbagliava, ci avrebbe fatto la figura del perfetto imbecille, ma da una cosa del genere si guarisce in fretta. Camminò su e giù per la stanza, tornò al minibar e questa volta tirò fuori una Perrier. Poi prese di nuovo in mano la cornetta del telefono. «Brenner? Ero sicuro che mi avresti richiamato... cosa c'è?» «Frébault, devi beccare CoolWebeur e interrogarlo.» «Ma ti ho detto che...» «Aspetta! Ti spiego perché.» Dopo che gli ebbe chiarito tutto, Frébault rimase in silenzio per un minuto buono. Brenner lo sentiva respirare. «Ci sei ancora?» «Sì, sì... La tua storia è dotata di un capo e una coda, ma...» «Porca puttana, non dirmi che non hai niente! Hai una commissione rogatoria! Con quella si fa quel che si vuole! Si arresta chiunque!» «D'accordo, ma il giudice...» «Chi se ne frega di Carpita! Me ne assumo personalmente la responsabilità!» «Come no. Ma cosa vuoi assumerti dall'America?» «Tu agisci in base alle informazioni che ti do, se succede un casino è per colpa delle mie informazioni sbagliate, i miei ragionamenti errati, tutto quello che vuoi. Ammetterò tutto quello che volete che ammetta, okay? Merda! Johanne è una collega, io l'ho...» "Tenuta tra le braccia" gli parve ridicolo. «Ho...» "Fatto l'amore con lei" forse anche di più. «L'ho trascinata in un questo merdaio, sono io che l'ho messa in contatto con quella gente. Se hai dimenticato cosa fanno alle ragazze, guardati il video! Se non hai voglia di muoverti, dillo subito; prendo il primo aereo e vengo a strappargli gli occhi di persona, a quel bastardo!» «Va bene, Brenner, va bene, calmati. Aspettiamo l'ora regolamentare e andiamo a prenderlo.» «Non manca molto.» «No, non manca molto.» «Hai letto i rapporti che ti ho mandato?» «Sì, tutti.»
«Hai il messaggio cifrato che ha ricevuto CoolWebeur?» «Naturalmente.» «Trova qualcuno che ne sappia di informatica e Internet e mettilo a lavorare sul computer di quello stronzo. E contatta Ulrike, ha seguito tutta la storia. La sua richiesta per sapere l'origine del messaggio cifrato ormai dovrebbe aver dato dei risultati. Non dimenticare la mia lista degli abbonati.» «D'accordo. Hai in mente qualcosa di interessante che potrebbe sfuggirmi?» «No... sto pensando, ma no... al massimo ti richiamo.» «Anch'io. Sempre a New York?» «Torno in Quebec. La ragazza di qui è sicuramente un'altra storia, e poi la aspettano a Ginevra. E comunque non riuscirei a fare niente pensando che Johanne sta...» «Brenner?» «Sì?» «Sono sicuro che ti sbagli completamente. Il tuo ragionamento fila abbastanza perché valga la pena di verificarlo... ma ti stai sbagliando, d'accordo?» «Già... Grazie. Tu comunque ferma CoolWebeur e fa' in modo che sputi il nome e l'indirizzo del suo amico.» «Brenner, sono Luc; volevi che ti chiamassi, cosa c'è?» «Un problema.» Glielo espose. Anche Savoie rimase a lungo in silenzio, prima di sospirare. «Perché Johanne non mi ha parlato di questa storia della pittura...» «Perché è una cosa sua e ha il diritto di avere dei segreti. Tu le racconti tutto?» «No, ma così avrei saputo dove cercare. Davvero non ti ricordi nemmeno un nome?» Il tono era freddo, quasi ostile. «Mi ha solo detto "una galleria", credo che non volesse che io ci andassi, come non mi voleva al vernissage.» «Porca puttana, Brenner!» esplose Savoie. «Ti rendi conto che è...» «Non mi dire che è colpa mia! Lo so! Quindi per favore non me lo dire!» Savoie non disse nulla. «Torno a Montreal» aggiunse Brenner.
«E Tyna?» «Me ne frego di Tyna, è Johanne che mi interessa.» «Fai come vuoi. Io adesso vado da lei, a casa sua.» «Mi ha parlato di un contratto o qualcosa del genere, sicuramente lì deve esserci il nome della galleria.» «Lo cercherò.» «Riceverai un fax di Frébault con il nome degli abbonati a Barabas e poi ti chiamerà appena avrà qualcosa su CoolWebeur.» «Me l'hai già detto.» «Frébault sostiene che il mio ragionamento sta in piedi ma che mi sto sbagliando. Tu cosa ne pensi?» «Penserò meglio quando avrò parlato con Johanne.» Un uomo aspettava in fondo al pontile. Girò un ormeggio sulla galloccia e fece segno in direzione della cabina di pilotaggio. Lionel spense il motore. «Ci siamo!» buttò lì Stracey aprendo la porta. La padrona di casa saltò sul molo, poi aiutò Johanne a scendere mostrandole la casa illuminata. «Non è grazioso?» «Stupendo...» «Vedrà, di giorno è ancora più bello. Sembra di essere in capo al mondo. Per miglia e miglia ci sono solo acqua e abeti.» L'uomo che aveva ammarato il velivolo si avvicinò e dopo un breve inchino disse: «Buonasera signora, il signore non c'è?» «Buonasera, Roger; no, ci raggiungerà tra un'oretta, forse con due ospiti. Ma non li aspetteremo per cenare, ho troppa fame.» Stracey prese Johanne sotto il braccio. «Sbrighiamoci, anche le zanzare sono affamate!» Tenuto conto dell'ora, il Newark Airport appariva molto animato. Eppure la maggior parte dei banconi delle compagnie di bandiera era chiusa. Brenner vide un ufficio bardato di sigle e pubblicità che aveva l'aria di essere un'agenzia di viaggi. Una donna in uniforme color prugna sembrava aspettare clienti. Ci si precipitò. Florinda, diceva un cartellino appoggiato accanto al computer. «Salve, ho bisogno di un biglietto di sola andata per Montreal, con qual-
siasi compagnia a qualsiasi prezzo o classe, il prima possibile.» Florinda spalancò gli occhi. «Il week-end a quest'ora... e poi le compagnie fanno dell'overbooking...» Brenner tentò un sorriso fascinoso. E nello stesso istante si vide in uno specchio a forma di TWA. Occhi cerchiati, tratti tirati, colorito grigio... ci sarebbe voluto molto più di un sorriso. «La prego, faccia il possibile, è molto importante.» Tirò fuori il biglietto che aveva in tasca e glielo mostrò. «Ho già un posto per domani notte, ma devo assolutamente rientrare. È successa una cosa molto grave.» Florinda annuì con il capo. «Farò il possibile.» Abbassò gli occhi e, con l'aria concentrata, digitò su una tastiera. Continuò nell'operazione a lungo, fermandosi solo per qualche sospiro di delusione o fastidio. Poi alzò gli occhi. «Ho un passeggero in business class che ha disdetto sul volo American delle 14.» «Prima non ha niente?» «Le liste d'attesa, ci sono sempre delle disdette dell'ultimo minuto, ma lei non è il primo.» «E un'operazione sul suo computer non potrebbe farmi passare in testa?» Florinda scosse il capo. «Non posso farlo, signore.» «Nemmeno se insisto?» Forse le occhiaie, le rughe, il colorito formavano un quadretto toccante. Florinda si morse il labbro, come conquistata. «Be'... non le prometto niente, però.» Prese un telefono e parlò a voce bassa e molto in fretta. Troppo in fretta perché Brenner riuscisse a capire, ma Florinda aveva l'aria di sapere il fatto suo. «Bene» disse dopo aver riattaccato. «Sono riuscita a metterla in due liste, non in prima ma in seconda posizione. Un volo è tra un'ora, l'altro tra tre.» Thomas Layne era entrato e aveva annunciato con tono disilluso: «Naturalmente non sono venuti.» Stracey era scoppiata a ridere e aveva sollevato il bicchiere. «Ai giornalisti e a chi li prende sul serio!»
E tutti avevano alzato il bicchiere. Finito il pasto, Johanne e Lionel avevano fatto qualche passo in riva al lago. Se non fosse stato per le zanzare, sarebbero rimasti più a lungo. L'aria aveva un odore di resina. Johanne si appoggiò allo schienale del divano e si stirò sospirando. «Mmm... è strano, sono distrutta, eppure ho l'impressione che non riuscirei a dormire.» «Chi parla di dormire, amica mia?» rispose Lionel in piedi dietro di lei. Lei ridacchiò. «Effettivamente, nessuno. Dove sono andati gli altri?» «Nella stanza accanto, credo. Stracey starà dando gli ultimi ritocchi alla mostra. Non vuole far vedere niente, ma sono certo che sta facendo un ottimo lavoro. La stanza è bellissima.» «Non vedo l'ora di visitare la casa, dev'essere piena di angoli e segreti, come piace a me...» Lionel scorse un segnale luminoso lampeggiare sul muro di fronte, invisibile per qualcuno che non lo avesse cercato. Si chinò e appoggiò le mani sulle spalle di Johanne. «Conosci quel film in cui Burt Lancaster osserva che "un castello di cui si conoscono tutte le stanze non è degno di essere abitato"?» «No» rispose Johanne dopo aver riflettuto. «È un gran bel film.» CAPITOLO XXIV «A dire il vero, è Alain Delon che cita suo zio Burt Lancaster, il principe Salina.» Lionel accarezzò le spalle di Johanne. Poi le infilò due dita sotto le ascelle e la immaginò con gli occhi chiusi. Spostò le mani. Lei fremette e sospirò senza convinzione. «Fermati.» «Ti amo, Johanne.» Prima di aggiungere, senza smettere di sfiorarle la pelle: «O meglio, ti amo, inquirente Johanne Desjardin.» Johanne aprì gli occhi e reclinò la testa all'indietro, lui la guardava sorridente. «Lo sapevi?» «Naturalmente.»
«Come l'hai scoperto? E quando?» Lionel fece il giro attorno al divano e avanzò di qualche passo. «Non è poi così importante, no?» Lei guardò un punto indistinto, al di là di lui. «No... avrei dovuto dirtelo, ma... in ogni caso, prima o poi l'avrei fatto. Io...» «Ti vergogni di essere una poliziotta?» Johanne lo fissò dritto negli occhi. «Certo che no! Mi vergogno di avertelo nascosto, ma...» «E allora, se non te ne vergogni...» Attraversò la sala, prese una borsa portata da Thomas Layne e gliela lanciò. «Mettiti questa.» Il cambiamento di tono la sorprese quanto la borsa che le cadde ai piedi. Guardò Spowart. «Cosa succede, Lionel?» «Guarda cosa c'è dentro.» Lei si chinò, si mise la borsa sulle ginocchia e aprì i manici. La sua uniforme... «E questo cosa significa? Per favore, vuoi spiegarmi?» Anche Johanne aveva cambiato tono. «Ti ho detto di mettertela!» Johanne si alzò in un balzo. «Non ci penso neanche. Cosa ti prende? Non ti sta bene?» Lionel accese con calma una sigaretta e diede un lungo tiro. «Mettiti quella maledetta uniforme» disse scandendo ogni parola con un ghigno. Johanne scosse il capo e si avvicinò. «Dimmi che sto sognando, è...» respirò il fumo «Ma cosa stai fumando? Sei impazzito?» Una sberla la spedì contro una sedia e per poco non la fece cadere a terra. Lionel la guardava continuando a fumare tranquillo. PCP... Johanne non sapeva cosa pensare. Troppo sconcertata per avere paura. Troppo in collera per riflettere. «Adesso, bello mio, hai proprio esagerato! Vado a dormire, troverai le tue cose in corridoio. Addio!» Girò i tacchi e si diresse verso la porta sulle scale. Chiusa. Provò le altre. Chiuse.
Lionel continuava a fumare, immobile al centro della stanza. «Basta così!» gridò lei battendo il piede. «Non è divertente! E poi, chi ti ha dato il permesso di toccare la mia uniforme? Eh?» Lui spense il mozzicone in un portacenere e fece qualche passo. «Non avvicinarti!» Johanne cercò qualcosa che potesse servirle come arma ma non ebbe il tempo di trovarla. Un calcio le piegò le caviglie. Cadde all'indietro. Batté la testa sul pavimento di legno. Uno sciame di scintille le balenò davanti agli occhi. Lionel la afferrò per i capelli e la rimise in piedi. «Ma sì che sarà divertente.» Le storse il braccio sulla schiena e la trascinò al centro della stanza. «Fermati, mi stai rompendo il braccio!» Lui aumentò la torsione. Lei gridò mentre sulle guance cominciarono a scenderle le lacrime. «Fermati» lo supplicò «fermati...» La spinse verso il basso. Johanne cadde in ginocchio. Un dolore lancinante la paralizzava dal polso alla spalla. «Allora, te la metti l'uniforme? Johanne gemette un sì penoso.» Lui le lasciò il braccio. Lei se lo massaggiò mordendosi le labbra, piegata in avanti. Lionel recuperò la borsa e gliela fece cadere accanto a lei. Johanne fissò la borsa tenendosi il braccio, sempre in ginocchio. «Ti decidi o vuoi che ricominci?» La ragazza si alzò immediatamente, lo guardò negli occhi e fece scivolare una spallina del suo abito. Johanne chiuse la cintura. La mano andò istintivamente a sfiorare la fondina. «Se cerchi la tua pistola, è qui.» Lionel la stava facendo roteare attorno al dito indice. Lei strinse i denti. «Abbiamo dimenticato le calze, peccato... ma sei comunque bella come il sole, con quella addosso.» «Puoi spiegarmi cosa significa tutto questo?» fece lei con voce sorda. «Sei tu che adesso mi spiegherai tutto.» «Io? Ma io non ho niente da dirti! Eccetto che stai commettendo un reato molto gra...» In tre balzi le fu addosso, le tirò l'orecchio come si faceva con gli alunni disobbedienti. Con l'altra mano le teneva la pistola puntata al ventre. «Vai a prendere una sedia e portala qui!»
Quando Johanne ebbe obbedito, lui le andò alle spalle. «Dammi le mani.» «Lionel, tu...» Un colpo sul cranio con la canna della pistola interruppe la frase. Lei tese le mani e sentì due bracciali metallici chiudersi attorno ai polsi. Le sue manette. «Non cercare di alzarti, altrimenti si stringono.» Lo sentì spostarsi, poi appoggiò una sedia accanto a lei e si sedette. «Ecco qua, ora possiamo parlare.» Johanne lo incenerì con lo sguardo. «Ma che cattiva che sei! Eppure non mi hai sempre guardato così.» Prese un telecomando e azionò il televisore. Apparve un'immagine che Johanne non identificò immediatamente. «Non è vero» mormorò. La sua sala, il divano, lei... Johanne chiuse gli occhi. «Aspetta che aggiungo il sonoro.» I gemiti, le grida di piacere... «Smettila!» gridò. Tolse il sonoro. Johanne riaprì gli occhi. Le immagini continuavano a scorrere sullo schermo. Il cuore le batteva forte, aveva la nausea. Lionel le appoggiò una mano sulla coscia e la accarezzò, facendole venire la pelle d'oca. «Gridi così forte anche quando ti scopa lo sbirro francese? Johanne singhiozzò e improvvisamente cercò di alzarsi. Lui la bloccò senza sforzo, le manette si strinsero attorno ai polsi, lei gemette, cessò di lottare e disse tra i denti.» «Sei un pazzo, Lionel, un pazzo...» Lui ricominciò ad accarezzarle la coscia. «Sì, troietta mia... ma vedi, io so molte cose. Quindi tu adesso sarai così gentile da raccontare tutta la storia: chi è quello sbirro francese, come siete arrivati a noi, tutto, fin dall'inizio. Parlare ti farà star meglio.» Le infilò la mano sotto la gonna e le tastò gli slip. «Può darsi addirittura che ti farà bagnare.» Johanne tentò di nuovo di liberarsi. Le manette si strinsero di un'altra tacca. Respirava a fatica, la paura stava prendendo il sopravvento sulla collera. Riuscì comunque a rispondere: «Non posso parlare di un'inchiesta in corso.»
Lionel si alzò e scomparve dal suo campo visivo, lei lo sentì frugare in un cassetto, poi tornare. Davanti ai suoi occhi apparve un voluminoso paio di forbici con cui l'uomo le tagliò i bottoni della camicia e il reggiseno. Poi, con l'arnese chiuso, le schiacciò un seno. All'improvviso divaricò le lame facendo spuntare il capezzolo. Le cesoie iniziarono allora a richiudersi piano piano, oscillando, come alla ricerca della migliore angolazione. Johanne fu colta da spasmi nervosi, scoppiò in singhiozzi e supplicò. «Mi racconterai tutto?» Johanne annuì con il capo. Lionel allontanò le cesoie dal seno. Lei rimase impietrita a guardare una goccia di sangue colare fino a farsi assorbire dalla stoffa dell'abito. Alzò gli occhi. Lionel brandiva qualcosa in direzione del muro. Il suo distintivo dello SPCUM. Lo stavano filmando. Si rimise la placca in tasca e la fissò. «Ti ascolto.» Johanne aprì e chiuse la bocca. Senza produrre il minimo suono. Come negli incubi. «Comincia dall'inizio: mi chiamo Johanne Desjardin, sono agente inquirente nella brigata moralità dello SPCUM.» Johanne ripeté con voce esitante. «Mi chiamo...» «Più forte!» «Il momento della verità!» esclamò Stracey dall'altra parte del vetro. «Non sei troppo preoccupato, Doug?» «Non ne ho motivo» ribatté Oshtrom con voce allegra. Rémi invece non rispose nulla. Non gli era stato chiesto niente. Osservava la ragazza dall'altra parte del vetro. Ammanettata alla sedia, gli occhi spalancati di paura, livida. Cosa poteva passarle per la testa? Aveva capito cosa stava per accaderle? Sicuramente sembrava sotto choc. Per la prima volta in vita sua ebbe un moto di compassione per uno sbirro. La voce di Johanne arrivava attraverso un altoparlante. «... Brigata moralità dello SPCUM...» A meno che non fosse tutta una messa in scena. Rémi distolse lo sguardo dalla ragazza. Nel ridotto, Roger girava attorno alla telecamera, protestando ogni volta che doveva sistemare qualcosa. La casa era zeppa di stanze identiche, collegate tra loro da corridoi, tutte dotate di videocamere e passaggi segreti. Una vera casa di matti. Di matti
da legare. Il peggiore forse era quello laggiù, che adesso palpeggiava il seno della ragazza come se solo pochi istanti prima non avesse tentato di tranciarlo con le cesoie. «Continua Johanne, adesso dovrebbe venirti naturale...» Lei ebbe un moto di disgusto e tossì. No, non era una cazzata. La poliziotta non ne sarebbe uscita viva. E con degli psicopatici del genere non sarebbe stata una semplice pallottola in testa ad ammazzarla. «Calmati, troietta mia, va tutto bene...» Il peso della sua 44 sotto la giacca rassicurò Rémi. Strano che non gli avessero chiesto di consegnare l'arma. Lui, al loro posto, lo avrebbe preteso. Troppo pazzi per essere davvero prudenti? Non ne era certo. Secondo, ovvero il primo degli ultimi. Soltanto uno dei passeggeri in lista d'attesa era riuscito a imbarcarsi. La ragazza al bancone gli rivolse un gesto che esprimeva rammarico. Brenner andò al bar ad ammazzare il tempo. «Ora siamo tutti più tranquilli» concluse Stracey. «Sì» convenne Oshtrom. «E dire che avremmo potuto ammazzarci a vicenda per un malinteso.» «Però avevo ragione» disse Layne alla moglie. «Spedire immagini via Internet non è sicuro.» Stracey si strinse nelle spalle. «Ma sì, invece. I server che utilizzo non permettono di risalire fino a noi. Se quella stronzetta non avesse voluto fare la Gaugain dei poveri, non ne avremmo mai sentito parlare.» La "stronzetta" era stesa sulla tavola, braccia tese e bloccate dietro la schiena. Non aveva protestato quando Lionel l'aveva violentata, coscienziosamente, con metodo. Solo le dita strette sulle manette fino quasi a rompersi avevano tradito la sua sofferenza. Sembrava come anestetizzata. Spowart aprì le manette. Lei gemette. L'acciaio le aveva ferito profondamente i polsi. Rimase immobile. Spowart la rigirò, lei cadde come un sacco e lentamente si raccolse in posizione fetale. Ansimava, come un cane. «Alzati!» le ordinò dandole un calcio al ginocchio. «Invece» fece notare Rémi «il metodo del vostro amico ha mostrato dei
limiti. Quello che è riuscito a quella ragazza per caso, potrebbe riuscire ad altri che agiscono invece in modo consapevole.» Stracey si girò verso di lui. «Non si può dire che le sia riuscito» replicò lei con un risolino. «Ma lei ha ragione, Spowart ha mostrato i propri limiti.» Rémi non fece caso né al tono né alla formulazione. Diede un'occhiata attraverso il vetro. Lionel stava rialzando la ragazza, che faceva fatica a stare in piedi. Le risistemò sommariamente giacca e gonna, le accarezzò la guancia e la spinse davanti a sé fino a una porta, che aprì per farla entrare e subito dopo richiuse a chiave. Stracey batté le mani, molto maestrina. «Riparleremo di tutto domani. Un po' di sonno non ci farà male prima di proseguire.» «Non ho molta voglia di vedere il seguito» mugugnò Oshtrom. Stracey scosse il capo. «Andiamo, Doug, se non vede la fine, le resterà sempre il dubbio che tutto questo sia stato solo una messinscena. Ma non è tenuto a guardare fino in fondo, può anche chiudere gli occhi.» Oshtrom alzò le spalle. La stanza era completamente buia e senza finestre. Si accese una lampadina protetta da una griglia sul soffitto. Johanne era rannicchiata in un angolo, la luce le bruciava gli occhi. Si lasciò scivolare a terra, raccolse le ginocchia e vi appoggiò la fronte. La videocamera registrava. Doug Oshtrom si slacciò la cintura e si fermò. Prese un asciugamano nel bagno, se lo annodò intorno alle reni e finì di svestirsi. Fece una doccia senza togliere l'asciugamano. Con dei fuori di testa del genere bisognava star pronti a tutto. Che lo filmassero nudo non dava alcun fastidio a Rémi. Si dava il caso che fosse decisamente un bel ragazzo e cominciò a togliersi la giacca con calcolata lentezza. Mettere in evidenza la pistola nella fondina, anche se tutti sapevano della sua esistenza, poteva comunque attirare l'attenzione, o perlomeno distrarla dalla granata che portava cucita nell'incavo delle reni e che contava di recuperare senza che nessuno se ne accorgesse. Non si sa mai cosa ci riserva il domani.
Finita la doccia, Rémi ebbe appena il tempo di infilare un accappatoio prima che bussassero alla porta. «Sì?» fece dopo aver impugnato la pistola e fatto salire un proiettile in canna. «Potrei parlarle un minuto?» chiese la voce di Stracey. Rémi si appiattì contro il muro e tolse il chiavistello. «È aperto.» La donna entrò e si chiuse la porta alle spalle. «Non sono armata» disse lei indicando la pistola. L'abito attillato non avrebbe potuto celare nemmeno una lima da unghie. Rémi annuì con il capo e ribatté: «Ma io sì.» Stracey sorrise, poi si appoggiò a un cassettone, si mordicchiò il labbro come se stesse cercando le parole e le trovò. «Lei è un uomo prudente e sono convinta che sia anche intelligente e ragionevole. Un uomo proiettato verso il futuro.» «La ringrazio» rispose Rémi in tono neutro. «Vede... il racconto della signorina Desjardin mi pone un problema, come dire... di sicurezza.» Rémi non replicò. Con la coda dell'occhio verificò comunque che la sicura della 44 fosse disinserita. Puro istinto, non la inseriva mai. Stracey proseguì. «Era sicuramente necessario eliminare quella coppia di tossicomani, ma lei non pensa che il loro... decesso... sia una porta aperta verso i Rock Machines?» «È un problema che riguarda i Rock Machines. E i Rock Machines sono un affare di Doug Oshtrom. Forse dovrebbe parlarne con lui.» Stracey fece qualche passo nella camera. «Una porta aperta sui Rock Machines, in fin dei conti, è una porta aperta su me e mio marito. E vorrei sentire la sua opinione.» «Non ho opinioni in proposito.» «D'accordo. Posso formulare la questione in altre termini: possiamo dire che Oshtrom è un uomo proiettato nel futuro?» "Eccoci", pensò Rémi. La ragazza al bancone rimase ancora qualche minuto a braccia incrociate, poi aprì il microfono e annunciò che avrebbe chiamato i passeggeri sulla lista d'attesa.
Se non era tra quelli, non sarebbe partito prima del pomeriggio. Nel migliore dei casi. Una coppia che gli aveva pestato venti volte i piedi fu la prima a essere chiamata. E finalmente la ragazza pronunciò il suo nome. Brenner ebbe appena il tempo di lasciare un messaggio allo SPCUM prima di entrare nella sala dell'imbarco. CAPITOLO XXV «In forma, CoolWebeur?» «Ma guarda, anche lei un appassionato d'Internet... Se non avesse bussato poco fa alla mia porta, la giornata sarebbe iniziata meglio; ma a parte questo, non c'è male, grazie.» Con un buffetto stizzito, Frébault fece volteggiare un foglio verso di lui. «Hai ricevuto questo, di recente?» Cool gettò un'occhiata al testo e annuì con il capo. «Dopo le intercettazioni telefoniche, passiamo alla posta elettronica... è il progresso...» «Cosa significa questo messaggio?» Cool alzò le spalle. «Come faccio a saperlo? Di cose del genere se ne ricevono a vagoni in rete. Lettere di insulti, a volte testi pseudo-mistici... quel messaggio l'ho cancellato appena l'ho visto.» «Nient'altro da precisare?» «Niente. O meglio, proviene da una freemail, ma immagino che l'abbiate notato anche voi.» Frébault recuperò il foglio. «Johanne Desjardin. Questo nome ti dice qualcosa?» Cool corrugò le sopracciglia. «Sì, è una canadese con cui mi capita di scambiare quattro chiacchiere in Virtuel Chat. Simpatica... un po' mogia, con un sacco di problemi, ma simpatica.» «Cosa significa "problemi"?» «Una ragazza che non è a suo agio nei suoi panni, che cerca calore umano in rete. Ce ne sono diverse in chat.» «E tu le consoli?» «Se posso, sì.» «Quale nobiltà d'animo...»
Stava per fare giorno quando Brenner sbarcò a Dorval. Savoie lo stava aspettando. I due uomini si esaminarono e videro gli stessi occhi arrossati, le stesse occhiaie. Savoie tese la mano. «Ciao, scusami per prima, sono stato... Insomma, ero sotto choc.» Brenner alzò le spalle. «Non importa, avrei avuto la stessa reazione.» «Già... sei riuscito a dormire?» «Ho dormicchiato in aereo. Novità?» Savoie fece segno di no con la testa. «Ho del caffè in macchina, ti racconto per strada.» Si diressero verso l'uscita. «Johanne non è ancora rientrata, la macchina è parcheggiata davanti a casa. Ho perquisito tutte le stanze, non conosco il suo guardaroba in dettaglio, ma ho notato degli attaccapanni vuoti nell'armadio. E ho l'impressione che manchi una borsa. Anche sul ripiano del bagno sembra che siano stati portati via dei prodotti.» «Partita per il week-end?» «Così sembrerebbe. Solo che non ho trovato né l'uniforme, né il distintivo, né l'arma di servizio. L'uniforme serve solo per le cerimonie, potrebbe averla portata in lavanderia o averla infilata da qualche parte, ma faccio fatica a immaginare Johanne che parte per il fine settimana col distintivo e la pistola. Non è da lei.» «A meno che non abbia pensato che potevano tornarle utili.» «Già. Però non me la vedo nemmeno infilarsi in una storia del genere senza avvertirmi.» Una macchina dello SPCUM aspettava sul terrapieno col motore acceso, il guidatore accelerò appena ebbero chiuso le portiere. «Il thermos per il caffè è nel cruscotto.» «Grazie. Hai trovato il contratto?» «In un cassetto della scrivania. La galleria appartiene a un certo Lionel Spowart, è registrata e non ha dipendenti. Ho ricevuto la lista degli abbonati a Barabas, Spowart non c'è. Non è schedato da nessuna parte. Lui non si trova, né alla galleria né a casa. Ho fatto diffondere il numero di targa della sua auto, per il momento niente.» «Qualche tua vecchia conoscenza sull'elenco Bombas?» «Solo un gay che avevo beccato per esibizionismo e che è morto di
AIDS un anno fa. Ho controllato gli altri nei nostri schedari, ma niente.» L'auto si immise sul raccordo per l'autostrada. «Abbiamo ricevuto notizie da Ulrike. Il messaggio è partito da casa di Johanne.» «Da casa di Johanne?» «Sì, Nath ti spiegherà meglio di quanto possa fare io. Mi ha parlato di indirizzi IP... ho capito che è stato utilizzato il server dello SPCUM, che è a disposizione dei membri anche per il loro uso privato. Grazie all'ora della spedizione e a non so cos'altro, Nath ha potuto concludere che la connessione veniva da casa di Johanne.» «Perché mai avrebbe dovuto mandare un messaggio in codice, peraltro usando una freemail...» «Nath ha lavorato sul suo computer, ha rovistato nella cache... si chiama così?» Brenner annuì con un battito di palpebre. «Ha trovato la traccia di una connessione alla freemail» continuò Savoie. «E qualcosa le ha fatto capire che il file proveniva da un dischetto. Solo che a casa di Johanne c'erano pochissimi dischetti e nessuno conteneva quel file.» Brenner rimase per un attimo in silenzio. Sopra le loro teste un pannello annunciava: Autostrada 20 Est, code e rallentamenti nei prossimi tre chilometri. Il guidatore imprecò. «Cerca di uscire» gli disse Savoie. L'agente al volante attaccò la sirena per infilarsi nella corsia di destra, poi svoltò in direzione della bretella. «Forse non è stata lei a usare il computer!» gridò Brenner per farsi sentire nonostante la sirena. «È quello che ho pensato, ma la connessione è avvenuta in piena notte!» rispose Savoie sulla stessa tonalità. «La notte di mercoledì... dopo l'incontro con quel tipo così interessante...» osservò Brenner senza alzare la voce. «Cosa?» gridò Savoie. Il guidatore spense la sirena. Brenner ripeté, Savoie si limitò ad annuire con il capo. «Novità da Frébault?» chiese Brenner. «Sta interrogando CoolWebeur.» «Credo che dovremo riattaccare la sirena, se vogliamo passare» intervenne l'autista.
«E tu, Cool? Tu, invece, cosa cerchi sulla chat?» aggiunse Frébault. «Quello che cercano tutti, dei corrispondenti. Per parlare, scambiarsi delle idee, comunicare.» «E ti piace comunicare, eh? Soprattutto con le ragazze...» «Comunico con chi accetta di parlarmi. La cosa bella del Web è che quando uno ti rompe i coglioni, non sei obbligato a rispondergli. Non è come nella vita.» «Non sei obbligato a rispondermi.» «No, ma non ho voglia di passare ventiquattro ore in vostra compagnia, e poi ve l'ho già detto e ripetuto, non ho niente da nascondere.» «Non ventiquattro ore, Cool, quarantotto. Hai dimenticato la durata prevista dalla legge per il fermo di polizia?» «Non contavo eventuali tempi supplementari, la partita mi annoia già abbastanza così.» «Anche perché non si tratta della prima per te.» Cool si mise comodo sulla sedia. «Ho l'impressione che lei faccia riferimento a una storia giudicata... non ha mai sentito parlare dell'autorità di una cosa giudicata?» «Confondi il "passaggio in giudicato" col "non luogo". Ma stai tranquillo, non sarai più indagato per quella vecchia faccenda. Il "non luogo" non sempre funziona, dal punto di vista dei nostri interessi... purtroppo.» «Funziona ogni volta che si indaga su un cittadino innocente.» «È proprio quello che sto dicendo... Sophie, ovvero Malika, ti ricorda niente?» Questa volta Cool sembrò frugare più a lungo nella propria memoria. «Sì, è una ragazza che ho incontrato su Virtuel Chat. Una ragazza della Guadalupa che studia a Montreal. È un po' che non la incontro, deve essere in vacanza. Ho conosciuto centinaia di persone in rete, ha intenzione di passarle in rivista tutte?» «Sei ancora abbonato a Barabas?» Cool schioccò la lingua infastidito. «Sono stato abbonato per qualche mese, diversi anni fa. E per quanto ne sapevo, non era un crimine.» «Sophie e Johanne sono scomparse. Sophie è stata violentata, torturata, assassinata. La sua morte è stata filmata e il film messo in vendita. È più di un crimine, è un delitto.» Cool assunse un'aria stordita. Scosse la testa da sinistra a destra.
«È... è atroce...» Frébault non rispose. Lo guardò come si guarda qualcosa di ripugnante. Cool parve ricomporsi. «È atroce... ma perché interrogate me? Perché ho avuto una relazione con una mia studentessa? Sì, è vero, aveva diciotto anni, ed eravamo molto presi l'una dall'altro. Se non riesce a capirlo, io non posso di certo spiegarglielo. Ma questo non fa di me un criminale. Johanne e Sophie hanno parlato con centinaia di altre persone in chat. E poi io abito a Mantes la Jolie e loro a Montreal!» Frébault gli mise di nuovo sotto il naso la stampa del file cifrato. «Questo messaggio è stato spedito dal computer di Johanne Desjardin.» Cool ebbe di nuovo l'aria sorpresa. «Se lo dice lei, ci credo. Ma non l'ha firmato. E non so perché me l'abbia mandato, né cosa voglia dire.» «È partito dal computer di Johanne, questo non significa che l'abbia necessariamente spedito lei.» «E pensate che io possa sapere chi utilizza il computer di una ragazza di Montreal con cui ho chattato qualche volta in rete?» «Il tuo amico Lionel Spowart, per esempio.» «Lionel Spowart? Non conosco nessuno con quel nome.» «Pensaci bene, è quello a cui mandi le informazioni sulle ragazze che agganci in chat.» «Dica quello che vuole, io non ho mai mandato niente del genere a nessuno! E poi, basta così! State cercando di accusarmi di cose troppo gravi! Non risponderò più a nessuna domanda senza la presenza di un avvocato!» Frébault fece un ghigno. «Rischia di andare per le lunghe...» «Non ho fretta.» Frébault annuì e indirizzò un cenno all'ispettore seduto in fondo alla stanza. «Mettigli le manette.» Prima di alzarsi, aspettò che Cool fosse sistemato. «Devo contattare il Canada. Nel frattempo, Cool, pensa a questo: Johanne Desjardin non lavora alla Générale du Quebec né in qualche altra assicurazione; è inquirente alla brigata moralità di Montreal.» Prima di uscire aggiunse: «Inutile che cerchi di buttarti dalla finestra, il policarbonato è a prova di pallottole.»
Il traffico si fece più scorrevole, l'autista spense la sirena. «Dove andiamo?» chiese Brenner. «Da Spowart.» «Hai ottenuto un mandato?» Savoie si schiarì la gola. «Passando davanti alla galleria, una pattuglia ci ha segnalato un'effrazione. Siamo andati a controllare: volevamo avvertire il proprietario e indovina un po'...» «La porta di casa sua era stata scassinata» propose Brenner. «Incredibile, vero? In assenza del proprietario, la polizia deve vegliare sulla sicurezza dei beni...» «Avete trovato qualcosa?» «Alla galleria no, sembra tutto a posto. Ma ci vorrà un po' di tempo per capire se ci sono cose strane nella contabilità. Nell'appartamento ancora non lo so.» Tyna aveva dormito a tratti. Si svegliò allo stesso modo. Aprendo gli occhi sulla sua miserabile stanza e chiudendoli sulla notte. Per la prima volta in vita sua, aveva contemplato l'idea del suicidio. Era stupido, ma l'idea le era venuta. In uno stato di semincoscienza. Avanzava verso il metal detector, col passaporto in mano, un poliziotto le si parava davanti e tirava fuori la pistola, lei continuava ad avanzare, lui premeva il grilletto. I colpi la facevano girare su stessa. Poi si accasciava e chiudeva gli occhi. Si era vista avanzare, si vedeva stesa a terra. Non sentiva male, al contrario. Stava davvero bene. Non era un sogno, solo un'ipotesi, nemmeno troppo spaventosa. Essere già stata morta la aiutava a sopportarla. La strada, con i suoi rumori e le sue grida, le aveva disturbato il sonno. Farla finita in fretta o a fuoco lento. Oppure non farla finita affatto, o solo molto, molto tempo dopo. Tyna tastò il comodino. Il libro era ancora lì. Si svegliò del tutto. Anche il caldo era stato atroce, le lenzuola erano fradice, il cuscino da strizzare. L'odore del suo corpo le dava la nausea, si alzò ed entrò nella piccola toilette. Brenner diede un'occhiata panoramica all'appartamento. «Arredato con gusto.» Quattro o cinque poliziotti dello SPCUM erano già al lavoro. I due col-
leghi si diressero verso un giovane seduto al computer. «Qualcosa?» chiese Savoie. Il poliziotto scosse il capo. «Niente di significativo... eccetto un dettaglio.» Appoggiò la mano su una scatola blu collegata all'hard disk. «Un lettore Zip» constatò Brenner. «Sì, da un giga. La maggior parte dei file dell'hard disk sono stati utilizzati o molto recentemente o molto tempo fa.» «Probabilmente usa lo Zip come hard disk.» «Lo credo anch'io, ma...» Appoggiò un pacchetto sulla scrivania. «Questi dischi sono venduti in confezioni da due. Questo non è mai stato usato e non abbiamo trovato l'altro da nessuna parte.» «Avete cercato alla galleria?» «Stessa identica storia, un lettore, un disco vergine, l'altro introvabile.» «Se ha un computer portatile, forse porta i dischi con sé.» Il giovane assunse un'espressione seccata. «È possibile, deve avere i soldi per potersi permettere tre lettori, ma non è logico, perché i lettori sono portatili... Forse i dischi sono qui, l'appartamento è grande.» «Cercheremo. Sono d'accordo con lei, è strano.» L'agente sorrise e aggiunse. «Tanto più che in questo periodo va di moda la contabilità parallela sullo Zip. Più facile da nascondere che un libro mastro.» Alla parola libro, Brenner pensò di guardare sugli scaffali, ma cambiò idea e indicò il telefono. «È stato usato?» «No.» Brenner sollevò la cornetta e premette il tasto repeat; sentì solo bip bip bip. «Ho provato anche a casa di Johanne» disse Savoie. «A volte funziona» sospirò Brenner dirigendosi verso la biblioteca. Quasi subito dopo squillò il telefono. Savoie esitò, poi rispose, fece "sì, sì, okay, glielo dico" e ripose l'apparecchio. «Era Nath, ha appena chiamato Frébault. Richiamalo da qui. Subito.» «La mia impressione...» sospirò Frébault «è che sia un pezzo di merda. Dio, che grandissimo stronzo, gli metterei volentieri le mani addosso! È intelligente e ha già avuto a che fare con la polizia. Fa la parte del cittadino
senza macchia e ammette solo quello che è incontestabile e non lo colloca in una posizione scomoda, punto. O meglio, ammetteva, visto che ha deciso di tacere fino all'arrivo di un avvocato. Gli ho detto che Johanne era una poliziotta e lo sto lasciando cuocere nel suo brodo, ormai sono tre quarti d'ora.» «Spaventalo.» «Con cosa? Non si è fatto sfuggire nulla a cui posso aggrapparmi. La tua versione spiega tutto, ma non potrò ottenere una proroga del fermo di polizia solo con quella.» «Abbiamo ancora più di un'intera giornata davanti.» «Dopodiché, senza altri elementi, dovrò rilasciarlo.» «Qualcuno si sta occupando del suo computer?» «Uno della mia squadra. Finora non ha notato nulla di sospetto.» «Chiedigli di verificare se ha uno zip e se manca un disco all'appello.» Frébault tacque un secondo. «Abbiamo trovato un disco carbonizzato nell'immondizia. Cool dice che era difettoso.» «Vedi! È successa la stessa cosa qui! Sono scomparsi due dischi!» «Brenner, cosa prova questo? Cool dice di averlo distrutto perc...» «Tutto questo prova che due tizi che sostengono di non conoscersi agiscono allo stesso modo. Il che equivale a una serie di indizi convergenti e significa quello che tu vuoi che significhi. In ogni caso, ho trovato conferma alla mia intima convinzione e rigireremo l'appartamento di Spowart da cima a fondo. Ti richiamo appena ho delle novità. Riguardati i nastri, Frébault, riguardati i nastri. O meglio, falli vedere a quella merda.» Il tizio dietro il bancone osservava Tyna che scendeva gli ultimi gradini trascinando la borsa. Quando finalmente la vide appoggiarla sospirando per la fatica, le puntò il dito contro. «Ehi! Anche se te ne vai, non sperare di riavere i soldi.» «L'avevo capito» replicò Tyna col fiatone. «Ma ho trovato lavoro prima di quanto credessi, quindi levo le tende.» «Bene, le ragazze come te devono lavorare, altrimenti vanno a finire male. Ma aspetta un minuto, devo andare a controllare che non manchi niente dalla camera.» Tyna alzò le spalle. «È così, bella mia.»
Spense il televisore mettendo via il telecomando in modo che nessuno potesse usarlo, poi iniziò a salire le scale. Tyna notò che un cavo di acciaio teneva il televisore incatenato al muro. Il tizio era nella stanza, aveva sbattuto la porta. Lei riempì un bicchiere di acqua tiepida dal distributore. Poco dopo sentì scricchiolare le assi del pianerottolo e infilò la testa nella tromba delle scale per gridare: «Tutto a posto? Posso andare?» «Sì! Puoi andare!» Tyna si sporse sul bancone e rovesciò il bicchiere nella griglia d'aerazione del televisore. C'erano diversi taxi in strada. Ma la maggior parte erano pieni e gli altri sembravano non aver voglia di fermarsi. Tyna proseguì fino a un cinema porno aperto ventiquattro ore su ventiquattro, appoggiò la borsa sul marciapiede accanto all'entrata e aspettò. Trenta secondi dopo, una ragazza in skai leopardato si avvicinò, la squadrò schifata dalla testa ai piedi e le chiese in tono ostile: «Cosa aspetti?» «Un taxi.» La ragazza annuì, mugugnò okay, ma non si allontanò. Un taxi scaricò un tizio dall'altra parte della strada. Tyna fece cenno al taxista, che la invitò ad attraversare la carreggiata. «Dove vai?» «Newark Airport.» «Uhmm, è piuttosto lontano. Hai abbastanza grana per pagare la corsa?» «Sì.» «Fammi vedere.» «Non in strada.» Il tassista esitò, poi uscì, aprì il bagagliaio e caricò la borsa. Tyna si sedette dietro. Il guidatore riprese posto al volante e chiuse la portiera. «Adesso me lo fai vedere?» Tyna gli porse la borsetta aperta sperando che ci fosse abbastanza denaro. «Sì, d'accordo.» Johanne aveva sentito delle risate, dei frammenti di frase, dei rumori di stoviglie, nulla di intelligibile. Era rimasta rannicchiata contro il muro, la luce non si era mai spenta.
Johanne si aggrappava a un'idea. Non aveva detto tutto. Non aveva detto di sapere che la ragazza assassinata non era Tyna. Aveva tenuto qualcosa per sé, qualcosa che lui non le avrebbe mai preso, era stata la più forte. Si aprì la porta. Entrò Lionel, con una sigaretta al PCP tra le dita. «Alzati!» le disse spingendola con il piede. Nel momento in cui stava per afferrarla per i capelli lei si alzò e lo fissò negli occhi. Ridevano. Le sue labbra ridevano, il suo intero volto rideva. Un riso immobile, fisso. «Perché fai delle cose simili?» «Perché mi piace. Infilati questo.» Le buttò un pezzo di stoffa in faccia. Un sacco di tela chiuso da un laccio, un cappuccio cieco. «Ti danno fastidio i miei occhi?» «Ci sono delle persone che vogliono farti delle domande e non desiderano essere viste.» Johanne infilò il cappuccio, per nascondere la speranza. Se temevano che li riconoscesse significava che non sarebbe morta. Fece tacere quel qualcosa in lei che gridava che no, non era proprio possibile. Lionel le chiuse il laccio attorno al collo, quasi con dolcezza. «Avanti.» La guidò. La fece passare attraverso due porte, girare a destra, poi a sinistra e dopo qualche passo la fermò. «Non muoverti.» La stanza era fresca. Con uno strano odore. Acre. Lionel le prese il polso destro e lei trattenne un lamento quando l'acciaio di una manetta le morse la carne. Poi fu la volta del polso sinistro. Riusciva a tenere le braccia lungo il corpo; questo significava che non erano le sue manette. Le giunse un ticchettio metallico e si sentì sollevare lentamente le braccia. Più salivano, più le mani si avvicinavano tra loro. Le manette le riaprirono le ferite e la costrinsero, tra i gemiti di dolore, ad aggrapparsi alle catene per far calare la pressione. La punta delle scarpe ormai sfiorava il suolo. Spowart la alzò ancora di qualche centimetro, poi le slacciò il cordone del cappuccio. "Mio Dio, se lo toglie...". «Ecco!» fece Lionel strappando il cappuccio. Johanne vide solo Stracey Layne, in piedi a qualche metro da lei, che la guardava sorridente.
"Mi uccideranno". Johanne si mise a piangere, senza riuscire a trattenersi. Stracey le andò incontro e le accarezzò la guancia. «Povera piccolina, così triste...» Johanne cercò di colpirla con un calcio. Ma, priva di appoggio, riuscì solo a sgambettare. Le manette le affondarono nella carne. Le colò del sangue lungo le braccia. Stracey le diede un buffetto sulla guancia. «Volevo solo dirti una cosa: i tuoi quadri fanno schifo.» «Razza di folle!» gridò Johanne. Continuò a insultare la donna che indietreggiò fino al muro e, con un gesto di addio amichevole, scomparve dietro una porta. Lionel la prese per i fianchi e le diede una spinta che la fece girare su se stessa. Johanne perse una scarpa. Lionel si mise una tuta da lavoro. Alle spalle aveva un lungo banco da lavoro con i pannelli carichi di strumenti. Piano piano il movimento rotatorio cessò. Lionel era dietro di lei. Le appoggiò una mano sulla spalla come per impedirle di continuare a girare. «Liberami, ti supplico» implorò Johanne con una voce che nemmeno lei riconobbe. Lui le tolse la camicia e la sollevò. Johanne sentì il palmo sulla schiena, poi le dita che salivano sulla colonna vertebrale, come se stesse contando le vertebre. Sentì una puntura all'altezza delle reni, poi un bruciore freddo e infine una specie di sfregamento. Il dolore esplose. Muscoli tesi fino a spezzarsi, bocca spalancata, ma non riusciva a urlare. Solo quando Lionel estrasse il punteruolo, Johanne poté gridare a pieni polmoni. CoolWebeur alzò le spalle. «Questa è una cosa talmente stupida che non c'è bisogno di avvocati per rispondere. Le ho detto che quello Zip aveva un difetto; ogni volta che lo usavo mi incasinava i dati in memoria. L'ho bruciato perché mi conosco: prima o poi avrei tentato di utilizzarlo di nuovo.» «E per pura coincidenza, il tuo amico Spowart ha eliminato i suoi nello stesso esatto momento?» «Non conosco questo Spowart, forse i suoi dischi avevano dei problemi, capita che escano delle serie difettose.» «Non sono della stessa marca, abbiamo verificato.»
Cool accennò un gesto di impotenza e non aggiunse altro. Frébault si alzò, si diresse verso di lui, prese la sedia per lo schienale e la girò verso il televisore. «Guarda bene.» Un ispettore infilò una cassetta nel videoregistratore e spinse un pulsante. Apparve il viso di una ragazza nera. A un cenno di Frébault, l'ispettore fermò l'immagine. «La riconosci?» Cool rifletté qualche secondo. «Sembrerebbe Malika, o meglio, Sophie, ma sulla foto che mi ha mandato non era pettinata così.» «È lei.» L'immagine si animò. La ragazza sembrava in piena estasi. Poi, impercettibilmente, qualcosa iniziò a cambiare. «Non voglio vedere questa roba» disse Cool abbassando la testa. Frébault lo afferrò per l'orecchio e tirò. «E invece guarderai!» «Non potete obbligarmi!» Chiuse gli occhi. Frébault tirò più forte. «Guarderai dall'inizio alla fine!» «Sporgerò denuncia...» Frébault gli rigirò il lobo. Man mano che le immagini sfilavano, sentiva montare la collera. Lo schermo si coprì di "neve" pochi istanti prima che i padiglioni gli restassero in mano. Cool gridò di dolore quando il poliziotto mollò la presa. «Lei è matto» ritenne opportuno aggiungere. Frébault fece il giro della sedia, lo prese per il colletto, lo sollevò e lo attaccò al muro. «Tu lo sapevi, pezzo di merda!» gridò. «Sapevi già quello che stavi per vedere! È per questo che non volevi guardare!» Cool sembrò andare nel panico. «Io... io...» Poi si riprese. «È stato lei! È stato lei a dirmi che era stata torturata e filmata!» Frébault gli strinse la camicia quasi fino a strangolarlo. «Ascolta, pezzo di merda, il tuo amico ha rapito Johanne. È una collega. Ti strapperemo i coglioni, se necessario, ma alla fine parlerai!»
Lo rispedì sulla sedia. Cool si sistemò la camicia e tossì. Poi scosse il capo. «Si sbaglia, io non c'entro niente in questa storia, niente.» «Rimetti le manette a questo stronzo» disse Frébault all'ispettore. Brenner scosse l'ennesimo volume da cui non cadde nulla, poi ne prese un altro. «Sergente?» fece una voce che proveniva dalla camera da letto. «Venga a vedere...» Brenner e Savoie si precipitarono. «Non è quella di cui ci ha parlato?» Il poliziotto aveva in mano una rivista, la porse a Savoie. «È questa: Barabas. Ce ne sono delle altre?» L'agente mostrò una pila di riviste sparse sul pavimento. «Tre o quattro, per poco non mi sfuggivano, erano in mezzo a periodici di caccia e pesca.» Brenner le raccolse. «Non sono recenti.» «Di qualche anno fa» confermò Savoie sfogliando la rivista. «Guarda!» Alla pagina raccomandazioni turistiche compariva l'indirizzo di un hotel di Haiti, cerchiato con una penna a sfera. «YC» lesse Brenner. Scorsero le riviste, non ce n'erano altre di annotate. «Si direbbe che quel coglione si è concesso un viaggio» commentò con una smorfia Savoie. «Stavo per richiamarti»disse Frébault. «Cool è mai andato ad Haiti?» chiese Brenner. «Non ho in mano niente che lo lasci intuire, perché?» «Abbiamo appena ritrovato quattro copie di Barabas a casa di Spowart. È stato sottolineato l'indirizzo di un albergo di Haiti, un hotel con YC. Forse si sono conosciuti lì.» «YC... sono riviste vecchie. Non sarà semplice verificarlo, le compagnie aeree non conservano le liste dei passeggeri a lungo. E poi potrebbe non essersi imbarcato in Francia.» «Chiedi a sua moglie. Se erano ancora sposati, se ne ricorderà.» «Lo faccio subito.» Brenner sentì una voce ovattata impartire ordini, prima di tornare, poco
dopo, limpida al microfono. «Sai, volevo dirti... ho fatto vedere il film a Cool e l'ho un po' scosso...» Gli raccontò dell'episodio. «Sono convinto che sapesse cosa avrebbe visto e che per un secondo abbia perso la testa. Credo che tu abbia ragione. Mi dispiace per Johanne, per te, ma credo proprio che quei folli agiscano come dici tu. Io...» «Lascia perdere. Fagli sputare il rospo. Dobbiamo scoprire dove... porca puttana, non riesco nemmeno a dirlo...» «Non sono sicuro di venirne a capo. Quello stronzo sa cosa rischia. Ha esperienza di interrogatori.» «Merda! Mi hai detto che per un secondo ha perso la testa!» «Temo che gli sia servito da lezione. Dovrei menarlo per cavargli fuori qualcosa in fretta.» Brenner strinse la cornetta come se dovesse sbriciolarla. «Se fossi al tuo posto...» Frébault sospirò. «Sei a Montreal... Ti capisco, Eric, ma tu cerca di capire me. Johanne non è...» «Aspetta!» lo interruppe Brenner. «Aspetta... Possiamo provare... Sì... Se ottieni una risposta positiva su Haiti possiamo tentare una cosa.» Spiegò che cosa. Un dollaro e mezzo. Era tutto ciò che le restava. Una banconota e due monete. Tyna aveva preso di mira le sedie e vi si era precipitata appena se ne era liberata una. Da lì aveva osservato la hall e cercato nella folla uno sbirro in borghese. Alla fine aveva lasciato perdere, troppa gente. Sarebbe successo quello che doveva succedere. La coppia di poliziotti in uniforme che percorrevano l'aerostazione con una regolarità militare non le facevano più balzare il cuore in gola; ci si era abituata e non le avevano concesso la minima attenzione. Invece aveva fame. Il bar proponeva delle cosucce a 0.99 dollari. Ma non riusciva a risolversi a spendere la sua ultima banconota. Avrebbe mangiato in aereo, la sera... Accanto a lei un bambino con le braccia più grosse delle sue gambe aspirava un milk-shake da un bicchiere grosso come un secchiello. La madre, ancora più grassa, si stava rimpinzando di ciambelle. Aveva le labbra tutte impiastricciate di zucchero. Tyna si concentrò sul suo libro aperto
sulle ginocchia, con i gomiti puntati sullo stomaco per mettere a tacere i gorgoglii. La cicciona guardò il pannello Partenze, emise un'esclamazione di stupore e prese il bambino per il braccio. Tutti e due si affannarono verso un cancello di imbarco. Il bambino aveva dimenticato il milk-shake. Tyna prese il bicchiere. Era ancora pieno a metà. Lo appoggiò di nuovo a terra, il mostro era capace di tornare a prenderselo. Appena ebbero superato il check-in, Tyna si attaccò alla cannuccia. L'ex moglie di CoolWebeur aveva confermato, il marito era stato due volte ad Haiti. Non sapeva esattamente dove, perché non lo aveva accompagnato. Lui non glielo aveva nemmeno proposto, le cose tra loro due già non andavano molto bene. Il marito aveva cambiato atteggiamento di ritorno da Haiti? No, era strano anche prima di partire. Frébault aveva informato Brenner. Entrò nella stanza dove si trovava CoolWebeur e si sedette dietro la scrivania. «È bella Haiti?» Cool, che si stava guardando le scarpe, alzò la testa. «È un paese meraviglioso.» «Lo sarebbe anche di più senza dei porci come te e Spowart.» Cool stava per rispondere qualcosa, ma Frébault gli fece segno di tacere. «Troppo tardi, ho appena parlato con il Canada, le cose non si mettono bene laggiù e, di conseguenza, non si mettono bene nemmeno per te. Quindi fa attenzione.» Con la mano fece girare la tastiera del telefono nella sua direzione. Cool seguì i movimenti del suo dito indice sui tasti. «Conosci questo numero?» Cool l'aveva riconosciuto. Era il numero di Spowart. «Te lo passo» disse Frébault nel microfono. Passò la cornetta a Cool che fece segno di no con la testa. «Ascolta quello che hanno da dirti!» Cool prese la cornetta come se gli facesse schifo. «Con chi ho l'on...» «Chiudi il becco, stronzo! Il tuo amico Spowart ha rapito un'inquirente dello SPCUM, puoi immaginarti l'umore dei suoi colleghi? Sono impazienti di conoscerti, ecco perché abbiamo intenzione di farti una punturina
e metterti sul primo aereo. Ti assicuro che dopo ti divertirai un bel po'! Da parte mia aggiungo che anche per me Johanne è una collega e un'amica.» Dalla voce di Frébault emanava un odio più che percettibile, Cool deglutì. «Non ne avete il diritto!» «Il diritto! Quando si tocca un poliziotto, il diritto non esiste! Hai firmato la notifica del fermo di polizia?» «No...» «Qualche medico ti ha esaminato?» «No...» «Hai anche solo un'idea di dove ti trovi?» Gli sbirri gli avevano detto i loro nomi, poi lo avevano imbarcato su una macchina senza vetri e portato in una stanza con le finestre coperte da tende... «Allora? Credi che non possiamo fare a te quello che abbiamo fatto al terrorista Carlos? I pezzi di merda come te, quando li lasciamo per la strada, la gente li prende a sassate.» «Io... io sporgerò denuncia...» «Dovrai trovare qualcuno che ti ascolti. Ci sono solo due soluzioni: o ritroviamo Johanne subito, grazie a te, oppure...» Cool sentì lo stridere dei denti del tipo dall'altra parte del filo. Pensò a tutta velocità. «Deciditi! Il viaggio dura sette ore e abbiamo fretta!» Cool continuava a riflettere. Una goccia di sudore apparve sulla tempia. Poi un'altra. Barabas, Haiti, Spowart... quante risate... un piano sicurissimo... «Va bene, ripassami il commissario Brenner.» Cool strinse la cornetta con due mani. «Aspetti!» A volte basta poco perché le cose prendano una piega invece dì un'altra. Cool si schiarì la gola. «Voglio delle garanzie.» «La tua sola garanzia è che ritroviamo Johanne.» Cool si alzò e urlò nell'apparecchio. «Voglio delle garanzie! Non so tutto e quindi voglio delle garanzie!» «Tanto peggio per te» gli rispose Brenner. E riattaccò. Savoie lo guardò, livido.
«Fino a questo preciso istante» mormorò «avevo sperato che ci stessimo sbagliando.» Brenner aprì la bocca e la richiuse, poi strinse la spalla a Savoie. «Frébault gli farà sputare quello che sa; la ritroveremo presto, viva.» Savoie annuì con il capo. Ai Layne piaceva. Si vedeva. Si tenevano per mano, con le dita intrecciate, strette, mentre guardavano con gli occhi inchiodati al vetro. Doug era a disagio. Girava la testa e sudava. Ma ogni grido della ragazza lo riportava al vetro. Come un amante. Urla da cui Rémi non riusciva a isolarsi completamente e che gli foravano i timpani almeno quanto gli scuotevano i nervi. La ragazza aveva perso conoscenza più di una volta, e Lionel l'aveva rianimata. Questa volta il silenzio si prolungava. «Vado a fare un giro» annunciò Thomas Layne. «Con gli orsi non si sa mai» precisò recuperando la carabina che aveva appoggiato all'ingresso e che Rémi non aveva smesso un secondo di tener d'occhio. Una carabina da caccia grossa, calibro 357 Magnum, munita di mirino telescopio. Più adatta a un elefante che a un orso. Layne si assicurò che fosse carica e uscì dalla stanza. Frébault batté il pugno sulla scrivania. «Smetti di prendermi per un coglione! Se ti vede un giudice o un avvocato, non potremo più spedirti in Quebec! Prima parli e poi vedrai un avvocato, un'intera dozzina, se vuoi! Prima, non vedrai niente e nessuno.» «E se parlo, cosa vi impedirà di...» «Niente! Ma se Johanne muore prima che tu parli, giuro che ti ci porto io stesso a Montreal.» «Voglio una deposizione battuta a macchina, firmata da lei, in due esemplari per me!» Tutto ciò era assurdo, ma CoolWebeur aveva bisogno di controllare la situazione. Frébault fece schioccare la lingua infastidito. «Se vuoi, ma fai in fretta.» L'ispettore si sedette davanti alla tastiera del computer. «Ho incontrato Spowart ad Haiti» cominciò Cool. «Eravamo nello stesso hotel, abbiamo fatto amicizia...» Rémi girò la testa in direzione del vetro. Lionel schiacciò il mozzicone con la punta delle scarpe e si diresse verso il comando della persiana av-
volgibile. Spinse un bottone e la persiana iniziò ad alzarsi. Quando fu completamente aperta, Lionel fece un passo avanti. Uno schizzo rosso gli zampillò dalla schiena e il suo corpo fu proiettato all'indietro. La detonazione della carabina arrivò prima che cadesse a terra. Rémi, che pure se lo aspettava, aveva sussultato quanto Oshtrom che invece era stato colto di sorpresa. Roger filmò ancora un istante, poi tagliò. «Merda...» fece Doug contemplando il cadavere di Spowart. Stracey annuì con il capo. «Quell'imbecille per poco non ci metteva nei guai. Avrebbe potuto farlo di nuovo e danneggiare noi e voi.» «Avreste potuto avvertirmi.» «È vero» ammise Stracey. «Diciamo che volevo farle una sorpresa e convincerla della mia buona fede.» «Allora siete riusciti a fare entrambe le cose. Ma non ci tengo più a lavorare con voi...» Indicò il vetro. «Tutto questo non mi piace, non è il mio genere.» «Stia tranquillo, non ho intenzione di proseguire le mie attività nel suo bel paese. Tutto questo rischia di provocare un certo scompiglio che preferisco seguire da lontano. Ma se un giorno dovessi di nuovo aver bisogno di lei, saprà che di me si può fidare.» Gli tese la mano. Dopo un secondo di esitazione, Doug la strinse. «Sì, signora Layne. Purché riguardi altre attività.» Thomas entrò nella stanza senza armi. «Adesso bisogna pulire» disse. «Le nostre impronte sono in tutta la casa. Conviene dar fuoco all'intera baracca.» Nell'atelier entrò un carrello con un fusto sui ganci. Simon lo manovrò per sollevare il corpo di Johanne. Oshtrom corrugò la fronte. «Se dobbiamo dar fuoco a tutto, perché perdere tempo con lei?» «Un piccolo piacere personale» rispose Stracey. «Andiamo» riprese Thomas «non ho voglia di stare qui.» «Era un gioco, ci scambiavamo le foto delle ragazze che conoscevamo sul net. E ridevamo delle loro storie. Non sapevo che lui utilizzava quello che gli mandavo, non potevo saperlo, per me era solo un gioco.» L'ispettore batteva le dichiarazioni. Frébault lanciò uno sguardo d'odio a
CoolWebeur. «Stai mentendo.» «È la mia deposizione! Non la cambierò! E la voglio firmata anche da lei!» Il carrello trasportava il fusto. Si fermò davanti all'imbarcadero; Simon saltò a terra e si diresse verso di loro. Roger era occupato a mollare gli ormeggi dei motori del Bertram. Rémi aveva notato che i due sottoposti facevano in modo di non essere mai insieme. E portavano infilato nella cintura un revolver con il calcio molto visibile. L'atmosfera si era fatta decisamente più tesa. Stracey stava sistemando i film in una valigia metallica a chiusura stagna. «Signora Layne?» fece Simon che si era fermato accanto a lei. Stracey chiuse la valigia e alzò la testa. «Sì?» «Ecco... Roger e io abbiamo pensato che preferiremmo essere pagati adesso.» «Nessun problema.» Prese un pacchetto appoggiato a terra accanto a lei e glielo tese. «Verificate pure.» Simon aprì il pacchetto, prese le banconote, contò rapidamente e annuì. «Perfetto, signora Layne. Grazie.» «Di niente, avete fatto il vostro lavoro, è normale. Ma resta da eliminare il fusto.» «E, proprio a questo proposito, Roger e io non vorremmo essere tutti e due sulla barca contemporaneamente.» «Capisco. Ma bisogna essere in due per manovrarla...» «Pensavo che il signor Rémi poteva accompagnare Roger. Io aspetterò qui che torni Roger e insieme accenderemo il fiammifero, dopo che ve ne sarete andati. Ci sarà del fumo; il fumo attira l'attenzione da lontano e qualcuno potrebbe collegarlo a un aereo che passa proprio in quello stesso momento. Noi scapperemo attraverso la foresta, non ci vedrà nessuno.» «Se Rémi è d'accordo...» Rémi annuì e si diresse verso il Bertram. Simon ripartì in direzione del pick-up parcheggiato accanto alla casa. Stracey sistemò la valigia nell'abitacolo dell'idrovolante, poi si rivolse a Doug e suo marito.
«Abbiamo il tempo di bere qualcosa, voi non avete sete?» Frébault recuperò i fogli nel vassoio della stampante, li timbrò e li diede a CoolWebeur. Che li lesse, li firmò e se ne tenne due copie. «E adesso il seguito!» ordinò Frébault con voce esasperata. Cool sospirò. «Non so dove Spowart porti le ragazze, non me ne ha mai parlato. Ma quando eravamo ad Haiti, mi accennava spesso alle festicciole che organizzava nella sua proprietà in riva a un lago. Il lago Obedjiwan. Non so altro. Ricordo solo il nome, perché mi sembrava divertente.» Frébault saltò sul telefono. CAPITOLO XXVI Roger pilotava con una mano sulla barra e l'altra sul calcio del suo revolver. Un occhio sulla bussola, l'altro a Rémi. «Hai paura di me?» chiese quest'ultimo. «Bah, non so in che categoria metterti; non che mi interessi più di tanto, ma non mi fido.» «Normale... se vuoi metto giù la mia arma.» La mano di Roger si strinse sul calcio. «Con calma! Sono sicuro che te la cavi con quell'affare.» «Okay, okay, tolgo solo il caricatore.» Aprì la giacca con una mano, avvicinò prudentemente due dita alla pistola ed espulse il caricatore. «Togli le pallottole, cosa te ne devi fare?» Rémi eseguì, si mise il caricatore in una tasca e le munizioni nell'altra. Roger parve distendersi. Restava comunque una pallottola in canna. «Nemmeno io capisco di che categoria sei» osservò Rémi. L'altro arricciò il naso. «Lionel era un buon capo, ma le sue storie non potevano durare. La signora Layne ci ha fatto una proposta seria, perché avremmo dovuto rifiutare?» «Messa così...» «Già... stasera prendo l'aereo per il Messico, belle spiagge, donne meravigliose e soldi per pagarsele nell'attesa che i Layne ci propongano un nuovo lavoretto. È una prospettiva che mi piace. E tu, tu sei contento del tuo capo?»
Rémi fece una smorfia. «Non peggiore di tanti altri. Ma fare il capo è un mestiere difficile e incerto. È per questo che non l'ho mai invidiato.'» Roger rise. «Si direbbe che ci siano dei cambiamenti...» «Chi lo sa. Sarà il destino a decidere... senti, è ancora lontano il posto?» «Abbastanza, sì.» «E siamo obbligati a buttarlo proprio lì, il fusto? Non so te, ma io ho voglia di schizzare via di qui il prima possibile.» Roger tolse il gas e si fermò. «Hai ragione, ci stavo andando per abitudine, perché è profondo, ma adesso...» Spinse il pulsante dello scandaglio. «Siamo a quasi quindici piedi d'acqua. Qui andrà benone.» Prese il telecomando del braccio di caricamento. «Ferma bene la catena e guida il fusto, altrimenti si blocca.» Frébault allontanò la cornetta. «Sii più preciso, quel lago è immenso...» «Ma non posso! Non ci sono mai stato! Non sono mai andato in Quebec! Spowart mi ha solo parlato di una proprietà sul lago Obedjiwan, è tutto. Ve lo giuro.» «Hai sentito?» disse Frébault nel microfono. «... D'accordo, anch'io.» E riattaccò. «Porca puttana!» esclamò Savoie dando un pugno sulla mappa. Le braccia del bacino Obedjiwan formavano un labirinto smisurato. Centinaia e centinaia di chilometri d'acqua, circondati da decine di migliaia di chilometri quadrati di foresta, attraversate da alcun piste in gran parte non segnalate. «Non possiamo andare a naso là dentro! E circondare la zona è semplicemente impossibile... chiamerò la GRC, devono avere una postazione nei paraggi... qualcuno che possa verificare se è registrata una qualche proprietà a nome di Spowart. E poi chiederò che ci preparino un idrovolante.» Lo scafo si avvicinava all'imbarcadero. Rémi esaminò i paraggi. Stracey e il marito parlavano vicino al loro idrovolante, con le braccia incrociate, a mani vuote. Più lontano, Simon, appoggiato al pick-up all'ombra della casa, aveva solo una sigaretta tra le dita. Sulla terrazza Ré-
mi vide un paio di scarpe oltre l'ingresso con le punte girate verso l'alto; il resto del corpo era nascosto all'interno. Rémi non si era veramente pronunciato sull'avvenire di Oshtrom. Si era più che altro preoccupato del proprio. Quando ci si mette in una brutta situazione, l'unica cosa che conta è uscirne. È quello che gli aveva spiegato Stracey, e lui si era detto d'accordo. Gli era anche stato promesso che qualsiasi cosa fosse successa, lui non avrebbe rischiato di precipitare. Una donna di parola, quella Stracey. «Già, ci sono stati dei cambiamenti» osservò Roger mentre il Bertram accostava. Rémi salì sul capodibanda senza fare commenti. «Buona fortuna!» esclamò Roger. «Buona fortuna anche a voi.» Thomas stava salendo sull'aereo, Stracey gli faceva cenno di sbrigarsi. Rémi saltò sul molo. Se avevano intenzione di sparargli, lo avrebbero fatto in quel momento. Savoie scriveva sulla mappa spiegata sul cruscotto della sua auto. «Okay» fece al cellulare «ho preso nota. Sì... bene, ma fate attenzione, conoscete la situazione... sì, d'accordo, grazie.» Interruppe la comunicazione e si girò verso Brenner. «La proprietà di Spowart è qui. Una squadra della GRC si sta precipitando sul posto, sono a un'ora di strada. A noi ci vorrà il doppio, spero che non facciano sciocchezze... Andiamo.» Corsero verso l'idrovolante dello SPCUM ammarato in fondo al molo. Rémi fece leva sul galleggiante e si issò nella cabina. Il motore era già acceso. Stracey chiuse il portello. L'idrovolante si allontanò lentamente dal molo, poi Thomas fece un mezzo giro e spinse il gas. Mentre l'apparecchio prendeva velocità, Rémi ebbe il tempo di vedere Roger che con un calcio rovesciava una tanica di benzina nella cabina del Bertram. E Simon che trasportava dei bidoni dentro la casa. L'idrovolante si staccò, prese altitudine e subito si diresse a ovest sopra la foresta. Prima di qualsiasi altra cosa, Rémi ricaricò la propria arma. «Faccia attenzione con quell'affare» gli disse Stracey ridendo. «Fino ad ora, non mi ha mai deluso.» «Le credo...» Rémi infilò il caricatore.
«Non troppi rimpianti, vero Rémi?» aggiunse Stracey. «In ogni caso, non ancora, signora Layne. E non vedo perché dovrei averne in futuro.» «Nemmeno io. Quando se ne va da Montreal?» «Non c'è nulla che mi trattenga. Domani stesso. E voi?» «Mmm... ci sono buone possibilità che la polizia ci interroghi a proposito di Johanne Desjardin, preferisco esserci per rispondere. Un'assenza potrebbe essere interpretata come una fuga. Penso che lasceremo il Quebec tra una quindicina di giorni. Era il nostro programma, tanto vale attenercisi.» Si erano subito diretti verso la colonna di fumo in lontananza, che si alzava in corrispondenza della proprietà di Spowart. Una casa in fiamme era circondata da uomini in uniforme e in abiti civili. Due piccoli battelli-pompa erano fermi accanto alla riva, con i tubi srotolati al massimo. Le sovrastrutture annerite di un motoscafo emergevano in prossimità di un aereo di cui solo la coda in metallo deformato dal fuoco superava ancora la superficie. Il pilota dello SPCUM dovette far manovra per avvicinarsi al molo. Brenner e Savoie corsero in direzione di un ufficiale della GRC che li salutò. «Era tutto in fiamme quando siamo arrivati. Per fortuna una riserva di pesca aveva dei battelli-pompa disponibili. Spero che riusciremo a fermare l'incendio prima che arrivi alla foresta, altrimenti sarà una catastrofe. Stiamo aspettando un Canader di rinforzo. Quando arriva dovremo evacuare.» Una delle lance irrorava il retro della casa, l'altra la foresta. «Non possiamo fare nulla di più» concluse l'ufficiale. «Non avete trovato nessuno?» chiese Savoie. «Non anima viva. Ma dall'odore... sono quasi sicuro che c'era qualcuno dentro.» Vedendo Savoie e Brenner agitarsi, aggiunse. «Scusatemi... ma è vero.» «Se potessi avere un posto accanto al finestrino, nel reparto fumatori...» «Naturalmente, signorina. Ha solo quel bagaglio con lei?» «Sì, porto la borsa a mano.» L'impiegata del banco accettazioni Swissair scrisse ancora qualcosa sulla carta d'imbarco e gliela porse infilandola in mezzo al passaporto.
«L'imbarco è tra tre quarti d'ora al cancello A 8. Buon viaggio, signorina.» Tyna la ringraziò e si allontanò dal banco. La ragazza non aveva creato problemi. Nessuno le aveva appoggiato la mano sulla spalla. Si guardò attorno. Sembravano tutti fregarsene della sua esistenza. Avanzò lentamente verso il check-in. Poi accelerò il passo. Adesso o dopo... Il metal detector non era esattamente quello del suo sogno, ma gli somigliava. Aveva mal di stomaco, ma non per la fame. Il poliziotto diede un'occhiata alla sua carta, al suo passaporto e al suo viso, nella stessa frazione di secondo. Poi le restituì il tutto facendole segno di proseguire. Tyna appoggiò la borsa sul rullo e superò la cornice del metal detector. Dall'altra parte una donna in uniforme la fermò e la ispezionò con una specie di bastone. Tyna sentì il cuore in gola. La donna si allontanò senza una parola. Tyna recuperò la borsa. Nessuno sembrò accorgersi che stava tremando come una foglia. Nella sala d'imbarco si precipitò sulla prima sedia libera e si strinse la borsa in grembo mordendosi la guancia. "Non è possibile che sia vero, non è possibile..." Si ricordava di un film in cui il tizio seduto sull'aereo si credeva salvo e la polizia arrivava all'ultimo secondo e circondava il velivolo. Tyna schiacciò il naso contro l'oblò, con una mano stretta sul bracciolo. Luci blu bucavano la notte. Anche luci rosse. E arancio. Ma non era la polizia. Erano solo auto di servizio, cisterne, carrelli. L'aereo iniziò a muoversi. Ci furono altre luci, linee di puntini all'infinito. L'hostess andò a chiederle di alzare il tavolino e allacciarsi la cintura. Tyna guardava dritta davanti a lei e respirava veloce. In un altro film l'aereo veniva fermato in fondo alla pista. «Non abbia paura» le disse il vicino di posto. «L'aereo è il mezzo di trasporto più sicuro.» Tyna deglutì e annuì. Il peso che le comprimeva il petto aumentava di pari passo con il rombo dei reattori. L'aereo si alzò e accelerò, incollandola al sedile. Lei chiuse gli occhi e, nel momento in cui il velivolo decollò, scoppiò in singhiozzi. «Vuole che le chiami l'hostess?» le propose il vicino.
«Ma io non ho paura» riuscì a dire tra due spasmi «è che sono felice.» Le luci di New York e del New Jersey scomparvero, il suolo divenne nero come l'inchiostro. L'aereo sorvolava l'Atlantico. Il vicino le toccò la spalla. Tyna sussultò. «Vuole bere qualcosa?» le chiese indicando l'hostess che si stava avvicinando. «Ehm, sì, volentieri.» L'hostess le fece una lunga lista. «Uno scotch» decise Tyna. «Credo che ne abbia bisogno» commentò il vicino. «Anche per me lo stesso.» Dopo che furono serviti, l'uomo indicò l'oblò. «Ha scelto un buon posto, potrà vedere il lago di Lemano quando arriveremo. Dicono che porti fortuna vederlo mentre si atterra.» «Allora spero di vederlo.» Tyna bevve un sorso di scotch. L'uomo inclinò la testa di lato. «È un tatuaggio quello? Cosa significa?» Tyna appoggiò il bicchiere e tese la mano. «Anche questo è un portafortuna.» CAPITOLO XXVII L'incendio fu spento al calare della notte. All'alba la GRC aveva ricevuto rinforzi di uomini e materiali. Le squadre avevano passato al setaccio le macerie carbonizzate; avevano scelto, prelevato, etichettato, fotografato. Le tonnellate d'acqua rovesciate dal Canader avevano trasformato la zona in una palude nera, oleosa e nauseabonda, che gli uomini calpestavano con gli stivali di gomma. Uno strato di combustibile galleggiava accanto alla riva. Il vento spingeva macchie iridate al largo. Brenner e Savoie avevano dovuto inoltrarsi nel bosco per trovare le tracce di un veicolo sulla pista. Un 4x4, secondo ogni probabilità, che si era allontanato a tutta velocità, derapando in curva. Visi e abiti coperti di fuliggine, odore d'incendio in ogni poro della pelle, Brenner e Savoie guardavano due forme vagamente umane coperte da un lenzuolo. Un ufficiale della GRC, anche lui annerito dal fumo, indicò la sagoma più piccola. «È Spowart, l'abbiamo identificato grazie alle radiografie dentarie tra-
smesse dai vostri servizi. L'altro... Forse il DNA ci permetterà di risalire alla sua identità, altrimenti, finché non sappiamo a chi confrontarlo...» «Siete sicuri che non ci siano altri corpi?» chiese Brenner. L'ufficiale scosse il capo. «Avete visto anche voi... abbiamo spulciato la casa palmo a palmo. Il nostro intervento ha frenato l'incendio, non penso che il calore abbia raggiunto un'intensità tale da far sparire un corpo. Abbiamo cercato in un raggio di un miglio nel bosco, fare di più è impossibile. E poi la zona è zeppa di orsi neri, e gli orsi... Insomma, lei lo sa, sergente.» Savoie annuì con un battito delle palpebre. Il gendarme proseguì. «Abbiamo sondato il lago nei dintorni, ma voi l'avete sorvolato, non possiamo esplorare ogni centimetro quadro di una simile superficie.» Brenner cercò di stabilire una scala, il lago di Bourget in cui pescava il lavarello era infinitamente più profondo, ma in quanto a superficie, accanto al bacino di Obedjiwan il più grande lago naturale francese sembrava una pozzanghera. Si girò e rigirò tra le mani la pistola con il calcio distrutto dall'esplosione delle cartucce. «Eppure Johanne è stata qui...» L'agente arricciò il naso. «È la sua arma, i numeri corrispondono e l'abbiamo ritrovata su Spowart, ma questo non significa che la signorina Desjardin fosse presente.» Brenner guardò i frammenti di videocamera, i monitor polverizzati, gli apparecchi elettronici fusi, tutto il materiale allineato con cura accanto ai cadaveri: ogni pezzo aveva un'etichetta che indicava la posizione in cui era stato ritrovato. Si chiese se avrebbe davvero voluto vedere il corpo. Savoie strisciò il tacco dello stivale contro il molo. A cinquanta metri un pesce guizzò fuori dalla superficie con un colpo di pinna. «Cos'era?» chiese Brenner in piedi accanto a lui. «Un persico nero, penso.» «Un persico nero? Un black-bass?» «Esatto, o anche acerina.» Aveva le lacrime agli occhi. Brenner gli mise una mano sulla spalla. «Finché non la ritroviamo morta, possiamo pensare che sia viva.» «Sì, possiamo. Anzi, dobbiamo.» Savoie triturò quello che si era scollato dagli stivali, ne fece una palla e
la buttò nel lago. CAPITOLO XXVIII Chinata sullo schermo, Ulrike emette un profondo sospiro. «E adesso cosa c'è?» chiede Brenner seduto alla scrivania accanto. «Non ne posso più di queste conferenze demenziali. Hanno tutte lo stesso ordine del giorno, le stesse domande... o noi siamo particolarmente scarsi e questi politici non capiscono niente, o se ne fregano di noi.» «Stai tranquilla, se ne fregano di noi.» «Questo mi tranquillizza... E tu, cosa c'è di appassionante nella posta di oggi?» Brenner indica il cestino della carta. «Solita pubblicità.» «Fantastico» ride Ulrike tornando al suo schermo. Evidenzia un paragrafo, lo sposta di qualche pagina, lo legge, scuote la testa e ricomincia. Brenner apre una voluminosa busta su cui, sotto il suo nome, c'è scritto personale. Una cassetta video e un foglio di presentazione con la carta intestata di una società. Signor commissario, forte delle più recenti evoluzioni tecnologiche, il nostro laboratorio è ormai in grado di offrire alla polizia metodi di investigazione nuovi e di grande valore nel campo dell' informatica. Piuttosto che lunghe spiegazioni scritte, le proponiamo di seguire sul video in allegato la presentazione dei nostri prodotti e servizi. Sperando che questa dimostrazione sia sufficiente a convincerla, e contando di ricevere presto sue notizie, le esprimiamo, signor commissario, tutta la nostra considerazione. Numerosi laboratori propongono i loro servizi di qualità non sempre eccelsa. Né il nome né l'intestazione dicono nulla a Brenner. Si alza e infila la cassetta nel videoregistratore. Ulrike sussulta e si gira nel sentire un grido. «Cosa c'è...» Vede il collega piantato davanti al video e lo raggiunge mentre si sente
un altro grido. Ulrike fissa lo schermo, poi lo sguardo va al ritratto appeso al muro. «Mio Dio...» Si butta sul cavo di alimentazione del videoregistratore, lo strappa e si gira verso Brenner. Lui è immobile, paralizzato. Ulrike lo prende per le spalle e lo scuote. «Eric!» Non reagisce. Lei lo stringe a sé. «Li troveremo quei bastardi! Dovessimo metterci tutta la vita, li troveremo!» Alla fine lui reagisce. La abbraccia, la stringe, e lei sente il primo spasmo di un pianto lungo e silenzioso. Dietro il cancello tremano una decina di bambini dagli abiti strappati e gli occhi spalancati per la paura. Malgrado la pelliccia, il cappello e gli stivali, Stracey si sente invadere dal freddo. Scambia un breve sguardo con il marito e si gira verso il loro ospite. «D'accordo, Vojslav, ma mi aspettavo di meglio.» Vojslav scoppia a ridere, si sistema il cappello e spalanca le braccia. «Mia gentile signora Layne, non parleremo di soldi prima di mangiare!» esclama lui con un tono accomodante da sensale disonesto. «È vero, rovinare un buon pasto sarebbe una caduta di gusto.» Vojslav ride di nuovo, poi li invita a uscire. L'uno a fianco all'altro accanto alla Mercedes a sei porte del loro ospite, Rémi e l'autista si sono scambiati solo sigarette. Un problema di lingua. Rémi non ha perso di vista un istante i due uomini seduti con il fucile tra le gambe davanti all'ingresso dell'edificio. La guardia di Vojslav, dunque amici, ma Rémi è pagato per essere diffidente. Attorno alla fattoria, c'è solo una collina con l'erba rasa e gialla. E un camion. FINE