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ROSS MacDONALD NON FUGGIRE SCERIFFO (Find A Victim, 1954) I Era l'essere più spaventoso che mai mi avesse fatto cenno, al passaggio della mia automobile, perché fermassi. Si sollevò in ginocchio sull'asfalto. I suoi occhi erano buchi neri nel volto giallo, la bocca una violenta pennellata di rosso, come il ghigno dipinto d'un pagliaccio. Alzò una mano e perse l'equilibrio. Cadde nuovamente, prono. Pigiai sul freno e feci marcia indietro per un centinaio di metri fino al punto in cui giaceva; era un uomo bruno in calzoni di tela e camiciotto grigio, immobile come la morte. Però, quando mi accoccolai al suo fianco, potei udire il soffio e il gorgoglio del suo respiro. Sostenendogli la schiena col mio ginocchio e reggendogli col braccio la testa abbandonata, lo voltai. Il sangue, sulla sua bocca, spumava in infinite bollicine. Il davanti del camiciotto era umido e scuro. Lo sbottonai e vidi il foro tondo, fra i peli del petto. Ne uscivano ancora, a intervalli, piccoli spruzzi vividi. Mi sfilai la giacca e mi tolsi la camicia che feci a pezzi per tamponare alla meglio la ferita. L'uomo si scosse e sospirò. Le palpebre tremarono su due occhi d'un nero cupo, polveroso. Era giovane e stava morendo. Guardai indietro, verso sud, poi verso nord. Né automobili, né case: nulla. Avevo sorpassato un nodo di traffico a nord di Bakersfield, poi non ne avevo trovati altri. Vivevo una di quelle pause nel tempo in cui si sente solo il battito del cuore scandire la vita che passa. Il sole era tramontato dietro le colline, e nella vallata si addensavano le ombre del crepuscolo. Uno stormo di merli attraversò il cielo come una ventata scura. Sollevai il ferito e lo trasportai fino all'automobile. La sua testa era appoggiata contro il mio petto. Faticai molto, a portarlo, non perché fosse grosso o pesante, ma per il suo terribile abbandono. Lo adagiai sul sedile posteriore, col capo appoggiato alla mia sacca da viaggio, e lo coprii con il plaid dell'auto. Per nove o dieci chilometri restò in quella posizione. Voltai lo specchietto retrovisore per poterlo tenere d'occhio. Col calar della sera, anche il suo volto andava coprendosi d'ombra. Sorpassai un cartello sul quale era scritto: "Camp Fremont - Base mari-
na USA". Lungo lo stradone correva uno steccato. Al di là, file e file di baracche si stendevano per la vallata fino ai rilievi gibbosi che si profilavano all'orizzonte. Non c'era alcuna traccia di vita: i capannoni dell'annesso campo d'atterraggio parevano tumuli eretti da una razza di giganti ormai estinta. Poi, sul ciglio dello stradone apparvero dei fanali, e dietro di essi una intera città di luci. Alcuni profili al neon chiazzavano di verde e di giallo il cielo buio: Motel Kerrigan. Il recinto, con la casetta della direzione e i villini da affittare agli automobilisti, era violentemente illuminato. Fermai davanti all'ingresso, scesi ed entrai. Dentro, tutto era legno biondo e pegamoide verde. Anche la donna che sedeva al banco di registrazione era bionda. I suoi grandi occhi azzurri mi esaminarono, e allora mi accorsi di avere il petto nudo. Mi abbottonai la giacca. «Cosa posso fare per voi?» mi chiese, con tono distaccato. «Nella mia automobile c'è un uomo che ha bisogno d'aiuto. Lo porterò dentro, mentre voi chiamerete un medico.» Le sue sopracciglia si accostarono e sulla fronte le si incise una piega di preoccupazione. «Sta male?» «Avvelenamento da piombo: gli hanno sparato.» Si alzò con fare nervoso e aprì un uscio, alle sue spalle. «Don, vieni qui un momento.» «Ha bisogno d'un medico» dissi. «Subito. Non c'è tempo per discutere.» «Discutere che cosa?» un uomo alto e grosso era comparso sulla soglia. L'abito di leggera gabardine gli faceva le spalle stranamente massicce. Pareva un ex atleta ormai maturo. «Che diavolo succede? Non riesci a far nulla da sola?» borbottò. La donna si torse le mani sottili. «Non ti permetto di parlarmi così.» Lui sorrise, senza mostrare i denti. Sotto i corti capelli color sabbia il suo volto era acceso per la collera, o per l'alcool. «Parlo come voglio: qui sono in casa mia.» «Sei ubriaco, Don.» «Non mi hai mai visto ubriaco.» Stavano l'uno di fronte all'altro, vicinissimi, nello stretto spazio dietro il banco, in furiosa intimità. «C'è un uomo che muore dissanguato, là fuori» scattai. «Se non volete lasciarlo entrare, per lo meno chiamate un'autoambulanza.» L'uomo si volse a me: gli occhi erano come triangoli grigi sotto le pal-
pebre pesanti. «Dissanguato?» ripeté. «E chi è?» «Non so. Volete chiedere aiuto o no?» «Sì, certo» mormorò la donna. Prese di sotto il banco un elenco telefonico, trovò un numero e lo formò. L'uomo uscì, sbattendo la porta. «Motel Kerrigan» fece la donna. «Parla la signora Kerrigan. C'è qui un uomo ferito. No... Dicono che gli hanno sparato. Sì, pare grave. È urgente.» Riagganciò. «L'ospedale della contea manderà subito un'ambulanza. Mi dispiace per quello che è avvenuto» aggiunse a bassa voce. «Non importa.» «Ma importa a me. Mi dispiace davvero.» Si sporse sopra il banco. I capelli chiari e lisci, tirati rigidamente all'indietro, accentuavano la sua bellezza severa. «Posso fare qualcos'altro?» chiese. «Chiamare la polizia?» «Ci penseranno all'ospedale. Debbono farlo per legge. Grazie dell'interessamento, signora Kerrigan.» Mi seguì verso la porta; era una creatura angosciata che aveva perduto la possibilità di reagire come un essere umano, e non riusciva a farsene una ragione. «Dev'essere terribile, per voi» mormorò. «È un vostro amico?» «Non lo conosco. L'ho raccolto sullo stradone.» Mi toccò un braccio, come per stabilire un contatto con la realtà, ma subito ritirò la mano; pareva che quel contatto l'avesse impaurita. I suoi occhi erano fissi sul mio petto. Guardai anch'io la macchia lasciata dal volto insanguinato. «Siete ferito anche voi? Posso fare qualcosa?» «No, niente» risposi. E uscii. Kerrigan era chino accanto alla portiera della mia auto, rimasta aperta. Sentendomi arrivare si raddrizzò bruscamente. «Respira ancora?» «Sì, respira.» Il rossore aveva abbandonato la sua faccia lasciandola chiazzata. «Secondo me faremmo meglio a non muoverlo, ma se proprio volete possiamo portarlo dentro.» «Potrebbe insudiciarvi il tappeto.» «Ehi, amico, non è il caso di fare lo spiritoso. Vi ho detto che se volete possiamo portarlo dentro.» «Lasciamo andare.» Mi si fece più vicino, gli occhi opachi nella gran luce, come pietra grigia. «Dove l'avete trovato?»
«A un paio di chilometri dall'accampamento della Marina, sul ciglio dello stradone.» «È come mai l'avete portato qui, se è lecito chiederlo?» «È lecito. Questo è stato il primo posto che ho trovato. La prossima volta non mancherò di proseguire.» «Non volevo dir questo. Mi chiedevo semplicemente se si tratta di una coincidenza.» «Perché? Lo conoscete?» «Già. Guida l'autocarro della ditta Meyer, qui in città. Si chiama Tony Aquista.» «Lo conoscete bene?» «Non direi. Per ragioni di lavoro, sono a contatto con molta gente di Las Cruces. Ma non me la faccio coi camionisti messicani, amico.» «Buon per voi. Non avete idea di chi possa avergli sparato?» «Questa è una domanda sciocca.» «Potreste rispondere lo stesso.» «E chi vi dà il diritto di far domande, amico?» «Continuate pure a chiamarmi amico: mi piace.» «Non m'avete detto il vostro nome.» «È vero: non ve l'ho detto.» «Forse dovrei farvele io un paio di domande» bofonchiò Kerrigan. «Non gli avrete sparato voi, per combinazione?» «Siete proprio astuto. Certo che gli ho sparato. Sto appunto scappando.» «Ho fatto tanto per chiedere: siete tutto insanguinato.» Sorrise, malevolo. La sua bocca sensibile ma brutale tentava e attirava il mio pugno come un magnete il ferro. Era abbastanza robusto, anche se ormai maturo. M'infilai il pugno in tasca e girai attorno all'automobile. Accesi la luce interna. Tony Aquista emetteva ancora le sue lugubri bollicine. Gli occhi s'erano chiusi del tutto. Era cieco e sordo per lo sforzo d'aggrapparsi alla vita. Sulla strada comparve l'autoambulanza. La seguii verso la periferia della città. A un crocicchio la vidi voltare a sinistra ma non potei raggiungerla subito perché il semaforo dava il rosso. L'ospedale era visibile in distanza, scatolone bianco punteggiato di luci. L'entrata per le autoambulanze era sul retro e la scritta rossa "Pronto Soccorso" gettava una luce d'inferno sul vialetto di cemento. Prima d'entrare, tolsi dalla mia sacca una camicia pulita e me la infilai. Nella sala d'accettazione, mezza dozzina d'uomini in bianco erano rac-
colti intorno al lettuccio sul quale giaceva Tony Aquista. Ora le sue labbra s'erano fatte gialle. Una grande fiala di sangue, rovesciata, lasciava sgocciolare il liquido in un tubo fissato al suo braccio. Un giovane medico si chinò sul viso ormai distante e premette i pollici sugli occhi chiusi. Il ferito non si mosse. La sala parve trattenere il respiro. Mi accostai al medico, che mi gettò una occhiata penetrante. «Siete un ammalato?» «No: un testimone. Sono stato io a trovare quest'uomo.» Scosse il capo. «Avreste dovuto trovarlo prima.» Si volse a una delle infermiere: «Inutile sprecare altro sangue per lui». La donna chiuse il tubo di gomma e staccò la fiala semivuota. L'odore di ospedale, il sentore di disfacimento, erano acuti nelle mie narici. «Se ne sta andando, dottore?» «È andato. Niente polso, niente respirazione. Deve aver sanguinato per molto tempo. Probabilmente non ne aveva più in corpo neanche mezzo litro.» «Proiettile d'arma da fuoco?» «Senza dubbio. Queste ferite al polmone sono un massacro.» Fissai il volto di Tony Aquista. Da carne s'era fatto cera, e i denti erano esposti in un sogghigno. «Massacro è la parola.» Forse pronunciai la frase in modo strano. Il medico mi lanciò uno sguardo compunto. «Era un vostro amico?» «No. Soltanto, non mi piace veder succedere di queste cose. Avete chiamato la polizia?» «Sicuro.» Si mosse verso la porta e volgendosi mi disse: «Lo sceriffo vorrà che restiate da queste parti, immagino». Non gli risposi che quella di aspettare in locali sterilizzati l'arrivo dei poliziotti era per me cosa abituale. Mi disposi ad attendere, seduto su una seggiola di ferro smaltato, fuori della sala. Intorno a me continuava il traffico dell'ospedale. Le infermiere entravano e uscivano preparando la sala per il caso successivo. Tony Aquista, informe sotto un lenzuolo, fu spinto su un carrello verso l'obitorio, in fondo al corridoio. La mia mente lo seguì nella fredda oscurità. Era morto un giovane: mi sentivo come se una parte di me stesso fosse divenuta cera sotto le luci bianche. Da un punto lontano dell'edificio, venne il vagito acuto d'un bimbo. Mi domandai se non si trattasse d'un neonato, giunto a rimettere in equilibrio
la popolazione di Las Cruces. II Un uomo alto, vestito di grigio, aprì la porta dell'obitorio. Quando ne uscì, per poco il suo cappello grigio perla, a falde larghe, non urtò l'architrave. Batté sulla parete di cemento col palmo della mano. «Maledizione, come sarà successo?» domandò al gregario in divisa che lo seguiva. L'altro si strinse nelle spalle. «Qualche faccenda di donne, forse. Sapete com'era Tony, capo.» «Sì, lo so.» L'ombra in moto dello sceriffo s'allungò verso di me. Sotto l'ala del cappellone, il suo viso era lungo e magro come il corpo, e bruciato dal sole della vallata. Era giovane, per quella carica (doveva avere su per giù la mia età), ma all'angolo dei suoi occhi e intorno alla sua bocca c'erano le cicatrici d'antichi dolori. Gli occhi, incassati profondamente, erano bui come le finestre d'una casa infestata dagli spiriti. «Siete voi, quello che l'ha portato qui?» «Sono io.» «Non siete di Las Cruces, vero?» «Sono di Los Angeles.» «Capisco.» Annuì come se avessi fatto una grave ammissione. «Datemi nome, cognome e indirizzo.» Dissi che mi chiamavo Lew Archer e diedi l'indirizzo del mio ufficio, in Sunset Boulevard. L'agente ne prese nota. Lo sceriffo spinse una sedia di fronte alla mia e sedette. «Sono lo sceriffo Church, e questo è Danelaw, l'addetto alle identificazioni» incominciò. «Che mestiere fate, signor Archer, oltre a quello del buon samaritano?» Se cercava d'esser cordiale, non ci riusciva. «Sono un investigatore privato, con la patente in regola.» «Sì? Strana coincidenza. Ma lo è poi davvero? Cosa facevate sullo stradone?» «Debbo andare a Sacramento.» «Stasera non ci arriverete di certo» dichiarò, brusco. «Oggigiorno fare il buon samaritano non conviene. Dovrete rimanere a disposizione. Avremo bisogno di voi per l'inchiesta.» «Me ne rendo conto.» «Cercherò di affrettarla: l'udienza potrebbe aver luogo domani o dopo-
domani. Vediamo: oggi è giovedì, potete rimanere fino a sabato?» «Se è necessario, sì.» «Benissimo. E ora ditemi: come l'avete trovato?» «Era sul ciglio della strada, un paio di chilometri a sud della base di Marina. È riuscito a mettersi in ginocchio e a farmi segno.» «Era cosciente, allora. Ha detto qualcosa?» «Ha perso la conoscenza prima che io lo raggiungessi. Non avrei voluto spostarlo, ma non avevo modo di telefonare e non c'era nessuno da mandare in cerca d'aiuto. L'ho messo sul sedile posteriore della mia automobile e ho chiesto per telefono una autoambulanza dal primo posto che ho incontrato.» «Cioè da dove?» «Dal Motel Kerrigan. Anzi, Kerrigan ha reagito in modo abbastanza strano: a quanto pare conosceva Aquista e non voleva saperne, morto o vivo che fosse. L'autoambulanza è stata chiamata da sua moglie.» «E cosa faceva, laggiù, la signora Kerrigan?» «Da segretaria, apparentemente.» «Non c'era la segretaria di Kerrigan? La signorina Meyer?» «Se c'era non l'ho vista. È importante?» «No.» La voce dello sceriffo era salita di tono. La controllò nuovamente. «È la prima volta che Kate Kerrigan va a lavorare in quel posto.» Danelaw alzò gli occhi dal suo taccuino. «C'è stata tutta la settimana.» Church lo guardò come se volesse fargli altre domande, ma poi tacque. Il suo pomo d'Adamo si mosse in su e in giù. «Kerrigan era brillo» dissi «e forse questo spiega il suo modo di fare. Mi ha chiesto se ero stato io a colpire Aquista.» La bocca dello sceriffo si piegò in un breve sorriso. «E voi cosa avete risposto?» «Di no. Non avevo mai visto quell'uomo. Sarà bene mettere questa mia dichiarazione a verbale prima che a Kerrigan salti in mente di dire altre sciocchezze.» «Non è una cattiva idea, date le circostanze. Ora dovreste mostrarmi il punto dove l'avete trovato.» Ci alzammo contemporaneamente. La mano ossuta dello sceriffo si chiuse sulla mia spalla dirigendomi verso l'uscita. Non avrei saputo dire se era un gesto di comando o d'incoraggiamento. In ogni caso, con un moto brusco mi liberai. L'auto di Church era una Mercury nera senza insegne ufficiali. Seguì la
mia a sud della città, per la strada da cui ero venuto. Il traffico del tardo pomeriggio era cessato; ormai era notte fatta. Le luci dello stradone mi saettavano negli occhi l'una dopo l'altra, per sparire in una serie di lampi. Dal nord ci raggiunse una camionetta che si unì al corteo. Passammo davanti alla base deserta, e io cominciai a esaminare il suolo. Dopo due false fermate trovai il posto. Uno spruzzo di sangue disseccato macchiava il muretto. I cespi d'erbacce conservavano ancora l'impronta d'un corpo abbandonato. Dalla camionetta scesero alcuni agenti. Uno di essi, un giovane robusto con lucenti occhi spagnoli nel viso da indiano, fece un saluto impaziente allo sceriffo. «Ci siamo messi in contatto con Meyer. Tony era in servizio, oggi, e il camion manca.» «In che cosa consisteva il carico?» «Non ha voluto dircelo. Vuol parlare con voi. Se riesco a mettere le mani su quel figlio d'un cane che ha ammazzato Tony...» Lo sguardo dell'agente bruno indugiò su di me con tanta forza che quasi ne sentii l'urto. «Calma, Sal.» Lo sceriffo gli passò un braccio attorno alle spalle verdioliva dell'uniforme, con gesto paterno. «So cosa sono i legami di sangue, per voialtri. Tony era tuo cugino, vero?» «Figlio della sorella di mia madre.» «Prenderemo i colpevoli, Sal, ma bisogna esser certi che siano quelli giusti. Quest'uomo non ha niente a che fare col delitto. Ha raccolto Tony e l'ha portato all'ospedale.» «Lo dice lui?» «Lo dico io» il tono dello sceriffo s'era rifatto brusco, autoritario. «Dov'è Meyer, adesso?» «Nella sua rimessa.» «Tornaci e fatti dare tutte le informazioni sul camion. Digli che ci andrò anch'io, più tardi. Lancia l'allarme generale. Voglio blocchi su ognuna delle strade che conducono fuori della contea. Hai capito?» «Sissignore.» L'agente bruno corse alla camionetta. Lo sceriffo e gli altri uomini cominciarono a esaminare il terreno, con l'aiuto delle torce elettriche. Danelaw, l'addetto alle identificazioni, prese l'impronta d'una mia scarpa e la confrontò con quelle che si scorgevano a terra. Erano tutte mie e non c'erano segni recenti di copertoni sulla striscia laterale di ghiaietta. «A quanto pare è stato buttato giù da un'auto» commentò Church. «O forse dal suo stesso camion. Il veicolo, comunque, non ha lasciato l'asfal-
to.» Si voltò a me. «Avete visto un'automobile? O un autocarro?» «No.» «Può darsi che non si siano nemmeno fermati. Che l'abbiano buttato giù e proseguito. Poi, evidentemente, lui si è trascinato da parte.» Danelaw parlò, dal lato dello stradone: «Dev'essere andata proprio così, capo. Ci sono tracce di sangue, qui, dove ha strisciato». Church sputò sull'asfalto. «Un maledetto affare» commentò. Si rivolse a me, quasi noncurante: «Posso dare un'occhiata alla vostra licenza?». «Perché no?» gli mostrai la tessera. «Tutto in regola, mi sembra. E cosa avete detto di dover fare, a Sacramento?» «Non ho detto niente. Ma debbo presentare un rapporto a un comitato legislativo.» Nominai il presidente del comitato. «Mi ha assunto perché studiassi la rete di distribuzione degli stupefacenti nelle contee meridionali.» «Se volessi prendermi il disturbo di controllare questa storia, risulterebbe vera?» «Naturale. Ho con me la corrispondenza relativa.» Mi avviai verso la mia macchina, ma Church mi fermò. «Non occorre. Non siete sospetto. Sal Braga è un impulsivo, e inoltre il morto era suo parente. Qui sono tutti parenti, e questo complica le cose, qualche volta.» Tacque un momento. «Che ne direste di una chiacchieratina con Kerrigan?» «Buona idea.» La Mercury dello sceriffo s'avviò, e io la seguii con la mia automobile. Oltre la città, verso le colline, il faro d'un campo d'aviazione frugava la notte col suo raggio, come per un suo scopo segreto. III Kerrigan s'aspettava certo la visita dello sceriffo, perché, mentre io frenavo dietro la Mercury, uscì dalla direzione. «Come va, Brand?» «Non c'è male.» Si strinsero la mano, ma notai che mentre parlavano si sorvegliavano come giocatori di scacchi avvezzi a trovarsi di fronte. No, diceva Kerrigan, non sapeva cosa era accaduto ad Aquista. Non aveva visto un accidente, sentito un accidente, fatto un accidente. Il tizio dell'automobile gli aveva
chiesto di poter usare il telefono e quella era la sua unica relazione col delitto. Mi gettò uno sguardo blandamente ostile. «Come vanno gli affari?» Church sbirciò la dicitura "tutto occupato", che era illuminata. «Inutile chiederlo, no?» «Si tira avanti. Posto ce n'è, ma ho acceso l'"occupato" perché mia moglie è troppo sconvolta per poter stare al banco.» «Anne è in ferie?» «Si possono anche chiamare ferie.» «Se n'è andata?» Kerrigan alzò e abbassò le larghe spalle. «Non so. Volevo chiederlo a voi.» «A me?» «È vostra parente, dopotutto. Non viene da una settimana, e non sono stato capace di pescarla.» «A casa non c'è?» «Al telefono non risponde.» Kerrigan fissò lo sceriffo, sfacciatamente. «Voi non l'avete vista, Brand?» «Questa settimana no.» E dopo una pausa aggiunse: «Non la vediamo più tanto spesso». «Questa è buffa: pensavo che praticamente facesse parte della vostra famiglia.» «Pensavate una cosa sbagliata. Lei e Hilda si vedono, ogni tanto, ma Anne vive per conto proprio e a modo suo.» Kerrigan sorrise, del suo sorriso dolciastro e cattivo. «Forse, questa settimana, è vissuta a modo suo un po' più del solito, eh?» «Cosa significa, questo discorso?» «Può significare tutto quel che volete.» Church strinse i pugni e fece un passo verso Kerrigan. I suoi occhi erano larghi e neri, e nella luce artificiale il volto magro aveva una tinta verdastra. Era furente. Aprii la portiera dell'automobile e misi un piede a terra. Al mio movimento lo sceriffo si dominò. Rimase un attimo a fissare fremente il ghigno diabolico di Kerrigan. Poi girò sui tacchi, andò camminando come un automa, fino al limite della zona illuminata, e rimase là, a capo basso, voltandoci la schiena. «Dovrei tener la lingua a freno, eh?» commentò Kerrigan, bieco. «Perde il controllo con troppa facilità, il nostro sceriffo.» La signora Kerrigan aprì la porta della direzione. «Qualcosa che non va,
Don?» chiese, e venne verso di noi. Aveva sulle spalle una cappa di volpi argentate e in volto un'espressione ansiosa. «Ho detto allo sceriffo che Anne Meyer non s'è fatta vedere, questa settimana, e a quanto pare pensa che la colpa sia mia. Non sono certo responsabile della sua maledetta cognata.» Lei gli posò timidamente una mano sul braccio, come per cercar di calmare un animale eccitato. «Devi averlo frainteso, caro. Cosa c'entri tu con quello che fa lei? Probabilmente voleva chiederle qualcosa a proposito di Tony Aquista.» «Perché?» domandai io. «Anche questa Meyer conosceva Aquista?» «Certo. Tony aveva un debole per lei. Non è vero, Don?» «Sta' zitta.» La donna si ritrasse, barcollando sui tacchi alti, come se l'avessero spinta. «Signora Kerrigan» la chiamai. «Può essere importante. Aquista è morto.» «È morto?» Le sue mani salirono al petto e si nascosero nella cappa di pelo. Mi guardò, poi rivolse al marito uno sguardo cupo. «E Anne è immischiata in tutto questo?» chiese. «Non saprei» rispose lui. «Ma ora hai chiacchierato abbastanza, Kate. Va' dentro. Hai freddo, sei agitata e ti rendi ridicola.» «Non mi rendo ridicola e non puoi farmi rientrare. Ho il diritto di parlare con chi voglio.» «Non ti permetterò di dir sciocchezze al primo che capita.» «Io non ho...» «Taci.» La voce di Kerrigan era gelida e minacciosa. «Mi hai già dato abbastanza fastidio.» Prese la moglie per i gomiti, da dietro, e quasi la portò fino all'ingresso del vestibolo. Lei lottò debolmente per liberarsi, ma quando Kerrigan la lasciò, entrò senza volgersi. Il marito tornò verso di me passandosi le dita tra i capelli, tagliati troppo corti per un uomo della sua età. Era uno di quei tipi che non possono adattarsi al fatto di non essere più giovani. Il suo aspetto aveva un che d'irreale, qualcosa di sottilmente crudele. «Non le ammazzate a forza di gentilezze, le donne, eh?» osservai. «So come trattare certe streghe. Streghe di gran classe e di qualsiasi altra categoria. So anche come trattare certi maledetti ficcanaso: a meno che non siate qui con un regolare mandato, vi consiglio di uscire dal mio terre-
no, e subito.» Mi guardai attorno in cerca di Church. Era nella cabina del telefono pubblico, sempre all'interno del recinto. Teneva il ricevitore accanto all'orecchio, ma pareva che non parlasse. «Arrangiatevi con lo sceriffo» dissi. «Sono con lui.» «E si può sapere chi siete, tanto per cominciare? Se scopro che mi avete messo la polizia contro...» «Cosa succederà?» Tenevo le mani basse e il mento proteso, sperando che mi colpisse e mi desse la possibilità di riempirlo a mia volta di pugni. «Vi sbatto a terra con tutti i denti in gola.» «Credevo che ve la prendeste solo con le donne.» «Volete una dimostrazione?» Ma bluffava. Con la coda dell'occhio guardava lo sceriffo che si stava avvicinando. Il viso di Church era solenne e composto. «Vi devo le mie scuse, Don. Non mi accade spesso di perdere la testa.» «Davvero? Dovete provarci anche con qualche altro dei vostri elettori, invece. Così la prossima volta non vi faranno nemmeno accalappiacani.» «Non parliamone più: del resto non vi ho toccato.» «Avrei voluto vedere!» «Non parliamone, ho detto» ripeté Church, a bassa voce. I muscoli del suo viso erano tesi per lo sforzo che esercitava su se stesso. «Ditemi qualche altra cosa a proposito di Anne. A quanto pare nessuno sa dov'è. A Hilda non ha nemmeno detto che aveva intenzione di lasciare il lavoro.» «Non lo ha lasciato. Se n'è andata per la fine settimana, e lunedì mattina non s'è fatta vedere. Non ne ho più saputo niente.» «Dov'è andata?» «Ditemelo voi. Non mi tiene certo al corrente di tutti i passi che fa.» I due uomini si fronteggiarono per un lungo momento. Fra loro c'era qualcosa di peggio d'una violenza potenziale: c'era un odio che superava la violenza e li assorbiva, come una grande passione. «Siete un impostore» disse finalmente Church. «Può darsi. Ma può anche darsi di no.» Lo sceriffo si rese conto che li osservavo e mi fece con la testa un cenno perentorio. Li lasciai alla loro disputa ed entrai nella casetta buia della direzione. L'oscurità era appena mitigata dalle luci verdi e gialle che filtravano attraverso le persiane. La signora Kerrigan era raggomitolata su un divanetto, nell'angolo più lontano. Di lei potevo distinguere solo i capelli chiari e
il luccicare degli occhi. «Chi è?» «Archer. L'uomo che vi ha portato questo guaio.» «Non siete stato voi, a portarmi i guai. C'ero già in mezzo.» Si alzò e venne al centro dell'ambiente. «Voi non fate parte della polizia, signor Archer?» «No. Sono un investigatore privato. Svolgo il mio lavoro abituale nelle contee meridionali. Sono inciampato in questo delitto per caso.» «Per caso» ripeté. Dal suo corpo veniva un profumo lieve, come una nostalgia di estati quasi dimenticate. La sua voce avrebbe potuto essere quella dell'oscurità stessa. «Che cosa succederà?» «Voi potete dirlo meglio di me. Conoscete la gente implicata.» «La conosco? Ma non realmente. In realtà non conosco nemmeno mio marito.» «Da quanto tempo siete sposata?» «Da sette anni. Sette poveri anni.» Esitò. «Signor Archer, voi siete uno di quegli investigatori che si possono assumere per sapere qualcosa sul conto della gente?» Le risposi di sì. «Posso... posso fidarmi di voi?» «Non sta a me dirlo. C'è chi si fida di me, ma naturalmente non porto attorno le mie referenze.» «E quanto mi costerà? Ho ancora un po' di denaro, ma non molto.» «Non so nemmeno che incarico vorreste affidarmi.» «No, si capisce. Scusatemi: stanotte sono sconvolta. Può anche darsi che io non sappia esattamente cosa voglio. Una cosa però è certa: non voglio mettere nessuno nei guai.» «Non volete metterci vostro marito, cioè?» «Sì, mio marito.» La voce della donna si fece quasi inaudibile. «Ieri sera l'ho sorpreso a far le valigie. Credo che abbia intenzione di lasciarmi.» «Perché non glielo chiedete?» «Non oso» mormorò con desolato umorismo. «Potrebbe rispondermi di sì.» «Siete innamorata di lui?» «Non ne ho la minima idea. Certo lo sono stata, molto tempo fa.» «E ora c'è un'altra donna?» «Altre donne, sì.» «Anne Meyer sarebbe per caso una di loro?»
«So che lo è stata. L'anno scorso avevano... una relazione. Don m'ha detto che tutto è finito, ma può darsi che non sia vero. Se poteste trovarla, scoprire chi frequenta...» la voce della signora Kerrigan morì. «Da quanto tempo manca esattamente?» «Da venerdì sera, quando se n'è andata per la fine settimana.» «E dove aveva intenzione di passare i due giorni festivi?» «Non lo so.» «Con vostro marito?» «No; almeno lui lo nega. Ma volevo dirvi...» «Cosa volevi dirgli?» interruppe la voce di Kerrigan alle mie spalle. Aveva aperto senza rumore l'uscio del vestibolo. La sua sagoma scura si staccò dal pannello di luce della porta. Mi passò accanto e si protese verso la moglie, iroso. «T'avevo avvertito di non chiacchierare.» «Ma io non...» «Ti ho sentito. Non vorrai farmi fare la parte dello stupido, proprio tu vero, Kate?» Il suo dorso si mosse di fianco. Udii lo schiocco del ceffone e il gemito della donna. Lo presi per le spalle. «Lasciatela stare, non fate il bullo.» La grossa imbottitura della giacca mi s'afflosciò tra le mani. Qualcosa si strappò. Con un guaito l'uomo si rivoltò contro di me. Il suo pugno mi colpì al collo. Indietreggiai nella luce che veniva dall'esterno e lasciai che m'inseguisse. Si slanciò a caricarmi come un ariete, sulla sinistra. Con una spinta lo raddrizzai, poi gli affibbiai un secco diretto alla mascella. Le ginocchia gli si piegarono, e lui crollò in avanti. Prima che cadesse riuscii a colpirlo ancora di sinistro. Sua moglie gli s'inginocchiò accanto. «Voi uomini! Siete come bambini crudeli.» Gli prese la testa fra le mani e asciugò il sangue che sgorgava dal mento con un fazzolettino. «Era impossibile non dargliele.» «Sì, immagino che sia così.» Kerrigan si mosse e gemette. La donna mi guardò timorosa. «Uscite, adesso. Don ha una pistola e sa come servirsene.» «Se ne è servito anche con Aquista?» «No di certo. È ridicolo!» La voce della signora Kerrigan era acuta, e il tono difensivo. «Mio marito non ha niente a che fare col delitto. È stato con me tutto il pomeriggio.»
Kerrigan si agitò fra le sue braccia, sforzandosi di mettersi a sedere. «Uscite, ve ne prego» ripeté lei. «E per quell'incarico di cui stavamo parlando?» «Non pensiamoci più: non voglio altre preoccupazioni.» «Come volete. Si tratta del vostro matrimonio, non del mio.» IV La Mercury dello sceriffo era scomparsa e il recinto illuminato pareva un'arena deserta. Girai la mia macchina, uscii sullo stradone e m'inserii nel traffico diretto verso la città, ma non per molto. Un indefinibile senso di affinità mi legava, come un lungo filo elastico, ai Kerrigan e ai loro guai. Poteva darsi che fosse curiosità, ma la bionda bellezza della signora Kerrigan aveva molto peso in quel sentimento. Volevo vederla tranquilla, e volevo invece vedere suo marito nei guai. L'elastico raggiunse il limite di tensione: fermai la mia auto sul ciglio della strada. Alla prima traversa svoltai e tornai indietro, superai il Motel d'un centinaio di metri e fermai la macchina all'ombra profonda d'una quercia. Fumai due sigarette, poi la gran luce che illuminava il recinto si spense. Le scritte verdi e gialle annegarono nel buio. Misi in moto la macchina e premetti sull'acceleratore. Le finestre della direzione si fecero nere e Kerrigan uscì. A passi stranamente brevi infilò il viottolo dietro la fila di casette. Un minuto dopo la sua trasformabile rosso fuoco comparve all'imboccatura del vicolo. Vi fu uno strombettare impaziente. La signora Kerrigan uscì, tenendosi la cappa di volpi sulle spalle, e corse verso la macchina. Era un'auto facile da seguire. La tenni d'occhio attraverso la città, fino a un quartiere signorile a ridosso delle colline. Là, Kerrigan fece scendere la moglie davanti a una grande casa a due piani costruita su un terreno in pendio. Ne annotai l'ubicazione. Kerrigan voltò subito e tornò verso il centro di Las Cruces, guidando come se l'auto fosse stata una macchina di distruzione. Quando fermò, cercai anch'io lo spazio per la mia e lo seguii a piedi. Eravamo in un rione popolare, terra di nessuno, di albergucci a buon mercato, negozi di mobili usati, ristoranti messicani e cinesi. Kerrigan si fermò sotto l'insegna d'un locale: "Giardini Orientali di Sammy" e si guardò attorno. Io entrai in un portone. Quando tornai sul marciapiede, lui era
scomparso. Passai davanti al bar-ristorante e sbirciai dentro attraverso i vetri sudici. Lo vidi dirigersi verso il retro, scortato da un sorridente cameriere cinese. Aspettai che fosse scomparso dietro un tendaggio, poi entrai. Era un vecchio locale, tutto in nero e arancione, con un bar molto affollato e vari séparés di legno. C'era molta gente anche ai tavolini. Dal soffitto pendevano molte lanterne di carta colorata. Un languido ventilatore smuoveva l'atmosfera satura di rancido, di fiato puzzolente d'alcool, e di sudore. La clientela era d'infima categoria: operai dei pozzi petroliferi con le loro donne, cowboys con stivali a tacchetto, ubriachi seduti negli scomparti, in malinconico isolamento. Il cameriere cinese uscì dal retro e mi mostrò i denti e l'inevitabile gomma da masticare in un sorriso. «Il signore desidera un tavolino?» chiese esprimendosi con molta precisione. «Preferirei un salottino riservato.» «Mi dispiace, signore. È occupato. Se foste venuto un momento fa...» «Non importa.» Sedetti in uno degli scompartimenti di centro, in modo da poter sorvegliare nello specchio del bar il passaggio chiuso dalla tenda. Quando mi presentò la lista, gli chiesi: «Quelle lanterne di carta sono pericolose? Ho la fobia degli incendi. Il locale ha un'uscita di sicurezza?». «No, signore, ma non c'è nessun pericolo. Non abbiamo mai avuto incendi. Volete ordinare, signore?» Dal mezzogiorno non avevo più mangiato nulla, perciò chiesi una bistecca e una bottiglia di birra. Pietanze da re, diceva il menu. Ma era una bugia. Stavo inghiottendo gli ultimi residui coriacei della bistecca, quando dall'ingresso entrò una ragazza. Aveva la testa piccola e ben modellata, con capelli neri, lucenti. Anche gli occhi erano neri, e la bocca turgida come il peccato. La sua pelliccia di falso visone era semiaperta e nel passo i fianchi ondeggiavano ritmicamente. Tutti gli uomini che stavano al banco, incluso il barista filippino, si volsero a guardarla. Indugiò accanto all'ingresso, assorbendo la loro attenzione come se fosse stata combustibile o cibo. Il suo corpo flessuoso parve ergersi, sotto la pressione degli sguardi. I miei occhi incontrarono i suoi. Non potei fare a meno di sorridere. Mi gettò uno sguardo sdegnoso e si volse al cameriere. «È arrivato?»
«Proprio adesso, signorina. Vi aspetta nel salottino.» La guardai andare verso il retro, chiedendomi se non fosse, per caso, Anne Meyer. Ma non avevo mai visto segretarie d'albergo di quel genere. Probabilmente era un'attricetta o qualcosa di simile. Aspettai che il cameriere fosse scomparso dietro la porta oscillante della cucina, poi mi alzai e andai verso il tendaggio. Al di là di esso c'era un corridoio stretto e mal illuminato con in fondo due porte, su cui stava scritto: "signori" e "signore". Una terza, più vicina, era chiusa da una pesante tenda verde, attraverso la quale potevo udire una conversazione smorzata. Mi appoggiai alla parete. «Era tua moglie al telefono?» diceva la voce della ragazza. «Non le avevo mai parlato, prima. Si esprime in modo assai distinto.» «È distinta infatti. Maledettamente distinta.» Kerrigan sbuffò, ironico. «Però non avresti dovuto telefonarmi all'albergo. La notte scorsa mi ha sorpreso a far le valigie. Ho paura che abbia capito ogni cosa.» «Di noi, vuoi dire?» «Di tutto.» «E che importa? Non può far niente per fermarci.» «Tu non la conosci» disse Kerrigan. «È ancora molto attaccata a me, in un certo senso. E tutto ha importanza, adesso: anche le piccole cose. Non dovrei essere qui.» «Non sei contento di vedermi?» «Certo che sono contento. Dico solo che avrei dovuto pazientare.» «Io ho aspettato tutto il giorno. Non avevo saputo niente di te, non avevo avuto la mia razione di marijuana e i miei nervi urlavano. Dovevo vederti, sapere cos'era successo.» «Non è successo nulla. Tutto è andato bene. Ormai è finita.» «Allora possiamo andarcene?» La ragazza pareva molto giovane e ansiosa. «Non ancora. Ho altre cose da fare. Debbo vedere Bozey...» «Non se n'è andato?» «Spero di no. Mi deve dei soldi.» «Te li darà. Puoi fidarti di lui, non è una carogna. Quando lo vedrai?» «Più tardi. Poi non debbo più veder nessuno.» «Vuoi fare qualcosa per me, Donny?» La voce della ragazza si era fatta insinuante, da gattina. «Chiedigli un paio di sigarette. Nel Messico potrò averne finché vorrò, ma ne ho bisogno adesso, subito. Non posso resistere a questa attesa.»
«E credi che io mi diverta? Sono a pezzi. Non riesco a star fermo. Se non fossi pazzo non sarei venuto.» «Non preoccuparti, amore. Non può succedere nulla, qui dentro. Sammy sa di noi.» «Sicuro. Ma quanti altri lo sanno? E cosa sanno? C'è stato un ficcanaso d'investigatore all'albergo...» «Non pensarci, Donny.» Ora la gattina faceva addirittura le fusa. «Parlami ancora di quel posto. Staremo sdraiati al sole tutto il giorno a divertirci e a guardare gli uccelli e le nuvole. Avremo dei domestici che ci serviranno... Dimmi di tutto questo.» Sentii un rumore e guardai attraverso uno spiraglio fra la tenda e lo stipite. Kerrigan era in piedi dietro la sedia della ragazza e la fissava estatico. Aveva un cerotto sul mento, e teneva le mani intorno al collo di lei. La ragazza ne prese una e se la portò alle labbra. L'uomo si chinò sul suo viso. «Il signore cerca qualcosa?» fece una voce sibilante alle mie spalle. Il cameriere cinese mi fissava, reggendo un vassoio sul quale sfrigolavano due bistecche. «La toletta degli uomini, per piacere?» «In fondo al corridoio, signore.» Il suo sorriso pareva pronto a mordere. «C'è scritto chiaro.» «Grazie, sono molto miope.» «Prego, signore.» Entrai nella toletta e mi lavai le mani. Quando uscii il salottino era vuoto. Le bistecche erano sul tavolo, intatte, col bicchiere di Kerrigan. Tornai nella sala. Il cameriere cinese era dietro il banco. «Dove sono andati?» gli domandai. Mi guardò come se non m'avesse mai visto, e disse qualcosa di ingiurioso nella sua lingua. Fuori, la strada era deserta. La trasformabile rossa di Kerrigan aveva lasciato il suo posto. Con la mia auto feci un giro intorno all'isolato, ma inutilmente, poi allargai il circolo comprendendo parecchi altri gruppi di case. All'angolo della Main Street con Yanonali Street scorsi la ragazza. Era sola, ma camminava come se ci fosse stato tutto un pubblico a osservarla. Lasciai che s'allontanasse un poco, poi la seguii. Man mano che si procedeva per Yanonali Street, la strada e gli edifici peggioravano, si facevano sempre più sporchi e miseri. Anche i passanti e i frequentatori dei bar avevano un aspetto sudicio e depresso. Tutti, fuorché la ragazza. Lei camminava eretta, ondeggiando un
po', come ubriaca della propria avvenenza. I fanali erano pochi e distanti l'uno dall'altro. Su un angolo, sotto uno di essi, alcuni ragazzi negri proiettavano le loro identità buie contro la buia indifferenza della notte. Quando la donna passò si irrigidirono, fissandola con occhi di pietra nera. Lei non li guardò nemmeno. A metà dell'isolato successivo la ragazza entrò in una casa. Fermai la macchina all'angolo e scesi a osservare l'edificio. Era grande, per essere in quella via, e una volta doveva avere avuto qualche pretesa. Le finestre del secondo e del terzo piano erano ornate da balconcini in ferro battuto, ma le scure maree di Yanonali Street avevano lambito le sue fondamenta, avvolgendolo in un'atmosfera disperata. Il muro era striato da scolature rugginose, simili a lacrime di ferro. Le luci smorzate dietro le finestre e l'androne buio davano un'impressione di furtivo e di losco. Non conoscevo il nome della ragazza e sarebbe stato quasi impossibile ritrovarla nel dedalo dei ballatoi e delle stanze d'affitto. Tornai alla mia automobile. I ragazzi negri le si erano radunati attorno, a semicerchio. «Quanti chilometri fa, all'ora?» mi chiese uno. «Sono arrivato a centottanta, un paio di volte. Dite un po', chi era la ragazza che è passata poco fa? Quella con la pelliccia?» Si guardarono l'un l'altro. «E che ce n'importa, a noi, delle ragazze?» borbottò il più alto. «Volete una ragazza?» rise il più piccolo. «Trotter ha sei sorelle.» Il più alto gli allungò un calcio. «Chiudi il becco, imbecille. Le mie sorelle lavorano.» «Già, giorno e notte!» sghignazzò il piccolo saltando indietro. «Dov'è l'autorimessa Meyer?» chiesi io. «Credevo che volesse una ragazza» disse un negro all'altro. «Ora vuole un camion. Non sa decidersi.» «La prima svolta a destra» rispose il più alto. «Sapete dov'è il grande sottopassaggio?» «No.» «Be', lo troverete. Meyer sta proprio lì.» Lo ringraziai e gli diedi un dollaro. Gli altri osservarono il baratto con gli stessi occhi di pietra lucente con cui avevano guardato la ragazza. Mentre la mia macchina partiva, una scatoletta vuota, di latta, rimbalzò sul parafango. V
L'autorimessa Meyer era quasi a ridosso del sottopassaggio. Nel recinto, delimitato da una rete di filo spinato, c'era una costruzione piatta, che doveva servire da rimessa e da magazzino, fiancheggiata da una tettoia. Accanto alla piattaforma di carico sostava un autocarro; sotto la tettoia ce n'erano altri due. Il recinto era aperto: entrai e fermai la macchina. Sopra la piattaforma, seduto su una cassa, c'era un uomo calvo, con la tuta macchiata d'olio. La lampada fortissima che pendeva proprio sopra di lui illuminava senza pietà una testa e un collo stranamente chiazzati e bitorzoluti. Le mani scure e callose arrotolavano una sigaretta. Quando scesi dall'auto, due occhi rossastri privi di ciglia guardarono verso di me. «Cosa volete?» «Vorrei vedere il signor Meyer.» «Non c'è. È uscito con suo genero.» «Suo genero?» «Brand Church, lo sceriffo. Forse sarà a casa. È per affari?» «Più o meno. Ho saputo che avete perso un camion.» «Già.» Leccò l'orlo della cartina e premette. «Abbiamo perso anche un camionista.» «Che camion era?» «Un autotreno da venti tonnellate.» Accese un fiammifero di legno e lo tenne accanto alla sigaretta. «Il vecchio l'aveva pagato quaranta bigliettoni, l'anno scorso.» «Cosa portava?» Si alzò e venne sull'orlo della piattaforma, a scrutarmi sospettoso. «Non saprei. Il vecchio m'ha detto di non parlarne.» «E perché?» «È fuori dai gangheri. Il camion e il carico erano assicurati, ma quando una ditta perde un autocarro la clientela comincia ad arricciare il naso.» Sbirciò la targa della mia auto. «Siete di qualche giornale?» «No.» «Assicurazioni?» «Nemmeno.» Salii i gradini di cemento e mi trovai anch'io sulla piattaforma. «In che cosa consisteva il carico?» Si, volse rapido, entrò nella parte posteriore del camion, che era aperto, e ne uscì con un lungo pezzo d'acciaio ricurvo, simile a una sciabola. «Io non vi conosco» ringhiò girandolo tra le mani. «Perché v'interessa?»
«Non ve la prendete...» «Un accidente! Un mio amico è stato fatto fuori come un cane, in mezzo a una strada, e non dovrei prendermela? Cosa c'entrate voi, in tutto questo?» Il pezzo d'acciaio frustava l'aria, accanto alle sue gambe. I muscoli delle braccia, tesi e rilevati, si gonfiavano come serpenti incolleriti. Equilibrai il mio peso sulle gambe e mi tenni pronto. «Prendetevela allora» dissi. «Io sono quello che ha raccolto il vostro amico sullo stradone. E nemmeno a me è piaciuto.» «Avete trovato Tony dopo che lo hanno ammazzato?» «Respirava ancora, quando l'ho raccolto. È morto poco dopo, all'ospedale.» «Non v'ha detto niente?» «Non parlava più. Era moribondo. E io voglio trovare quello che l'ha fatto fuori.» «Siete un poliziotto? Di stato, forse?» L'arma era immobile, fra le mani, dimenticata. «Ho lavorato per la polizia. Ora sono investigatore privato.» «Il vecchio Meyer v'ha assunto?» «Non ancora, ma forse mi assumerà.» «Figuriamoci! Meyer non spreca neanche un nichelino.» L'uomo mostrò in un sogghigno i denti disordinati e rotti. Posò il pezzo d'acciaio sulla cassa, dietro di sé, a portata di mano. Feci per tirar fuori di tasca le sigarette, ma ci ripensai. «Non ho da fumare» dissi. «Posso farmi una sigaretta?» «Certo.» Mi porse il suo tabacco e le sue cartine, e mi sorvegliò con occhio critico mentre compivo la difficile operazione. Le mie dita ricordarono il trucco, la sigaretta venne bene e lui me l'accese. «Dunque siete un investigatore, eh?» «Proprio. Mi chiamo Archer.» «Tarko.» S'indicò il petto col pollice. «Mi chiamano Testapelata.» «Piacere di conoscervi, Tarko. Qual era la linea di Tony?» «Secondo. Per lo più faceva la San Francisco. Ma oggi tornava da Los Angeles. Carico speciale.» «Che tipo di autocarro guidava?» «Uno degli ultimi, un GMC Fruehauf da venti tonnellate, come quello laggiù.» M'indicò, con la sigaretta, uno dei camion vicini alla porta. Era un auto-
treno delle dimensioni d'una piccola casa. Sui fianchi di metallo ondulato lucenti di vernice all'alluminio, spiccava la scritta: "Autotrasporti Meyer Servizi locali e per qualsiasi destinazione. Las Cruces (California)". «E il carico?» tornai a domandare. «Chiedetelo al vecchio. Io non dovrei neanche sapere cos'era. Sono soltanto un guardiano, da quando ho avuto l'incidente.» «Però lo sapete?» Non mi rispose subito. Si guardò alle spalle, poi sbirciò verso lo stradone dove passavano rombando i grandi autocarri diretti verso Los Angeles e Imperial Valley, a sud; verso Fresno e San Francisco, a nord. I suoi occhi brillavano di desiderio. Avrebbe voluto filare lui pure a sud o a est, al volante d'un potente automezzo. «Sapete tenere la bocca chiusa?» borbottò. Gli dissi di sì. Abbassò la voce. «Ho sentito il vecchio parlarne con lo sceriffo. Ha detto che il carico era whisky.» «Tutto il carico?» «Credo. Era assicurato per sessantacinquemila dollari.» «E Tony era assicurato?» «Per un centinaio, sì. Era il nostro autista assicurato. In principio ho pensato che voi foste dell'assicurazione. La prima idea che avranno sarà di saltare addosso a noi.» «Con Tony comunque non se la possono prendere.» «Già. Chissà com'è andata. Aveva l'ordine di non fermarsi per nessun motivo. Il vecchio gli aveva detto di non frenare neanche se gli chiedeva un passaggio il governatore. Quando qualcuno ci fa segno, noi dovremmo sempre proseguire, a costo di andargli addosso.» Con la destra chiusa a pugno si colpì il palmo della sinistra. «Posso pensare soltanto che Tony abbia dimenticato gli ordini e si sia fermato al segno di qualcuno. Povero diavolo!» «Gli volevate bene, eh?» «È dir poco. Vivevamo nella stessa pensione, e poi una volta lui m'ha salvato la pelle. Mi si erano rotti i freni in discesa: è stato quando ci ho rimesso i capelli.» «Per chi può essersi fermato?» chiesi. «Ho sentito dire che gli piacevano le donne.» «E a chi non piacciono?» Tarko rise tristemente. «Ma adesso, quando levo il cappello scappano come lepri.»
Lo riportai all'argomento. «Non è la prima volta che un autista viene rovinato da una donnina.» «Proprio.» Rimase per un attimo a pensarci sopra. «Una ragazza ce l'aveva, questo è certo, ma non vorrei nemmeno parlarne. Di sicuro, poi, non so niente.» «Anne Meyer?» «Chi? Anne? E che c'entra? È la figlia minore di Meyer. Perché dovrebbe fermare gli autocarri di suo padre?» «Ho sentito dire che Tony aveva del tenero per lei.» «Certo gli stava a cuore e ne parlava sempre, ma lei non poteva soffrirlo. Ha altri interessi, Anne! E non c'è mai stato niente di serio. L'altra donna, quella che dico io, era pazza di Tony, invece. Almeno, così raccontava il ragazzo. Ma secondo me voleva guardare troppo in alto. Una cantante di club notturno, figuratevi! Io non l'ho mai vista, ma Tony una volta mi ha fatto vedere la sua foto, fuori dal club. Un tipino!» «Si tratta d'un club della città?» «Sicuro. La "Scarpetta d'Oro", in fondo a Yanonali Street. La settimana scorsa Tony era sempre lì. E da come parlava, era disposto a fermare l'autocarro, per quella bimba.» Era il complimento maggiore che Tarko potesse fare. «Qual è il nome di questa ragazza?» «Non ricordo. Tony la chiamava Jo.» L'uomo si massaggiò il cranio. «La cosa che m'ha messo in sospetto è stato come s'è buttata addosso a lui tutt'a un tratto. Doveva avere un motivo.» «Aquista era piuttosto un bel ragazzo, per chi preferisce il tipo latino.» «Già, sicuro. Però debbo dirvi che di solito non aveva successo, con le donne. Le spaventava, non so... s'attaccava troppo. Quando perdeva la testa per una gonnella, non la lasciava più. Come con Anne Meyer.» Fece una pausa e si guardò alle spalle, nel magazzino illuminato. «Ebbene?» «Niente di speciale. S'era cacciato un po' nei guai, per lei. Non dovrei parlarne, ma voi l'avete tirata in ballo.» «S'era attaccato troppo?» «Altroché. Comunque, Tony è morto, adesso. Non se ne fa più nulla, delle donne. Ed era un gran bravo ragazzo, per essere un uomo di colore. Come e meglio d'un bianco.» Cercò nella sua mente qualche altra parola, e aggiunse: «E in gamba, al volante». «Quel guaio con Anne Meyer... Com'è andata?»
Tarko parve imbarazzato. «Tony era un po' tocco, sapete. Per le donne voglio dire, e in specie per Anne. Lei gli aveva dato un po' di confidenza, l'anno scorso, e Tony aveva preso l'abitudine di seguirla di notte, di spiare in casa sua dalle finestre e cose del genere. Poveraccio, non credeva di far del male, ma s'è fatto beccare.» «Chi l'ha beccato?» «Lo sceriffo. Gli ha tenuto uno di quei discorsi! Gli ha detto che era pazzo e che doveva andare a farsi curare. Tony m'ha raccontato tutto.» La mia sigaretta fatta a mano era finita. La schiacciai sotto il tacco: aveva servito allo scopo. «A proposito di quella ragazza... quella Jo... ne avete parlato allo sceriffo?» «Io? Non gli direi neanche l'ora, a quel tipo.» «A quanto pare non vi è molto simpatico.» «Lo conosco troppo bene. Un'estate, quando era ancora all'università, ha guidato un camion per il vecchio. Ma lo conoscevo anche da prima, da quando suo padre aveva il negozio di barbiere. Brand era un ragazzo a posto, allora, e giocava bene al calcio. Poi l'università lo ha cambiato. È tornato qui con un sacco di idee.» «Che idee?» «Psicologia, la chiama. Tutti sono pazzi, fuorché lui. Diavolo, ha cercato perfino di mettere delle pulci nell'orecchio a me, diceva che avevo il complesso dell'incidente, o qualcosa di simile, e che dovevo farmi esaminare la testa. A me!» Una collera annosa gli arrossò il cranio, a chiazze. «Neanche il vecchio l'ha molto in simpatia, ma è sempre suo genero.» «Quante figlie ha, Meyer?» «Due, e Church ha sposato la maggiore, Hilda. Quell'estate lei lavorava in ufficio, e s'è innamorata di Brand: chissà cosa ci ha trovato. Il principale ha fatto un gran putiferio.» «Dove abita, Meyer?» Me lo indicò, urtandomi confidenzialmente la spalla. «Non ditegli che vi ho raccontato queste cosette, eh? Mi piacciono quelli che sanno farsi le sigarette da soli, e qualche volta parlo un po' troppo.» Lo ringraziai delle sue informazioni e gli assicurai che avrei tenuto la bocca chiusa. VI
Meyer abitava in una grande casa in fondo a un terreno da costruzione, parzialmente occupato da carcasse di automobili d'ogni tipo, in vari stadi di decadenza. Lasciai la mia macchina sulla strada e mi diressi verso il portico buio, ingombro di attrezzi per il giardinaggio. Le tavole del vecchio pavimento scricchiolarono sotto i miei piedi. Uno sparo echeggiò nel silenzio, poi un altro. Tentai d'aprire la porta: era chiusa. Vi furono ancora tre colpi, venivano dall'interno della casa, probabilmente dalla cantina. Fra l'uno e l'altro distinsi un rumor di passi che si avvicinavano. «Sei tu, Brand?», chiese una voce di donna, attraverso la porta. Non risposi. Sulla mia testa si accese una luce, poi il pesante uscio si aprì. «Oh, scusate. Aspettavo mio marito.» Era una donna alta, ancora giovane, con una bella testa di capelli castani. Il suo corpo, appoggiato goffamente allo stipite, era formoso, molto femminile. Quasi troppo. «La signora Church?» «Sì. Ci siamo già conosciuti?» Gli occhi d'un verde malachite passarono in rivista la mia faccia, ma senza fissarmi veramente. Pareva che guardassero, in me, od oltre me, un punto imprecisato nel buio. Qualcosa che la donna temesse o amasse. «Ho conosciuto vostro marito» risposi. «Cosa sono questi spari?» «È mio padre. Quando qualcosa lo sconvolge scende in cantina e tira al bersaglio.» «Non occorre chiedere cosa l'ha sconvolto. Volevo appunto parlare con lui del camion scomparso.» Dissi il mio nome e la mia professione. «Posso entrare?» «Entrate pure, ma vi avverto che c'è un gran disordine. Io ho da pensare alla mia casa e non posso fare gran che per quella di mio padre. Ho cercato di convincerlo a far venire una donna, ma non vuol saperne.» Spalancò la porta e si fece da un lato. Entrando, la osservai da vicino. Se avesse saputo truccarsi e vestirsi meglio sarebbe stata bellissima, ma i suoi folti capelli erano acconciati in ricci da ragazzina, che facevano più largo il suo viso. Anche l'abito era troppo giovanile e le stava male; la rendeva una parodia di se stessa. Sotto il mio sguardo, indietreggiò come una bambina timida; si volse e andò ad una porta, in fondo al corridoio. «Papà, c'è qualcuno per te» chiamò sporgendosi sul vuoto d'una scala illuminata.
«Chi è?», rispose una ruvida voce da basso, punteggiando le parole con un colpo di pistola. «Un investigatore, dice.» «Fallo aspettare.» Rimbombarono altri cinque colpi. Sentivo la loro vibrazione attraverso le suole delle scarpe. Il corpo della donna li registrò, uno per uno. Anche quando cessarono, lei indugiò accanto alla scala della cantina, come se gli spari fossero stati l'introduzione d'una musica che io non potevo udire; una strana musica selvaggia che risuonasse nel suo cervello ed echeggiasse attraverso i suoi nervi, affascinandola. Dei passi pesanti salirono la scala. La donna si ritrasse dall'uomo che era comparso sui gradini. C'era qualcosa di strano nei suoi occhi. Odio, o paura, o le ultime battute della musica silenziosa. Lui la guardò con una specie di perplesso compatimento. «Già, lo so, Hilda. Non ti piace il rumore degli spari. Ma puoi metterti un po' più di cotone nelle orecchie.» «Non ho detto niente, papà. Ecco il signor Archer.» Meyer si fermò davanti a me, rottame d'uomo già avviato a rattrappirsi. Aveva le spalle curve e il petto incavato. I peli rossicci, che gli coprivano le guance e il mento, cominciavano a imbiancare, gli occhi orlati di rosso luccicavano sotto la sua fronte come le ultime vestigia d'una passione rovinosa e inestinguibile. «Cosa desiderate, signor Archer?» Ma la piega della bocca testarda negava qualsiasi volontà di acconsentire al desiderio d'un essere umano. Gli dissi che ero inciampato in quel delitto e che volevo occuparmene. Non gli spiegai il perché. E poi, nemmeno io lo sapevo esattamente, pur rendendomi conto che Kate Kerrigan c'entrava senz'altro. Forse, la morte del giovane messicano era divenuta il simbolo dell'insensata violenza di cui avevo visto e udito gli effetti nelle città della valle. Era la mia possibilità di andare al fondo delle cose. «Vorreste che vi assumessi?» domandò Meyer. «Ve ne offro l'occasione.» «Bella occasione. Il marito di mia figlia, lo sceriffo, è in giro con trenta agenti. E non crediate che non li paghi, a forza di tasse. Cosa avete da vendermi, voi, che loro non possano darmi?» «Attività dedicata esclusivamente a voi, cervello ed esperienza.» «Siete convinto di essere in gamba, eh?» «Ho una certa reputazione, al Sud. Non simpatica, forse, ma utile.»
«Che ne so?» Si guardò le mani nodose, flettendo le dita dalle giunture gonfie. «Io lavoro, per guadagnare il mio denaro, amico. E non lo metto fuori se prima non ne vedo il controvalore. Cosa avrei da ricavarci? L'autocarro era assicurato e il carico pure.» «E il cliente? Queste cose sono nocive in commercio.» «Ah, sì? Con chi avete parlato? Kerrigan ha fatto andare il becco?» «Cosa c'entra Kerrigan?» «È andato perduto il suo whisky.» «Volete dire che era il proprietario del carico?» «In un certo senso. Era indirizzato a lui, ma poiché non è stato consegnato, io dovrò sopportare la perdita.» «Avete detto che era assicurato.» «Per il novanta per cento. L'altro dieci deve uscire di tasca mia.» Fece una smorfia di dolore, come se stesse descrivendo una dolorosa operazione chirurgica alla quale doveva sottoporsi: una denaroctomia. «Settemila dollari, più o meno.» «Io vi offro di lavorare per il dieci per cento del dieci per cento. Settecento dollari se vi riporto il carico.» «E se no?» «Cento dollari per le spese. Pagati adesso.» Per la prima volta sorrise, d'un sorriso volpino. «Me lo dite voi. E va bene, voglio proporvi un affare. Venite a sedervi.» Il suo salotto era una protesta contro le donne, la civiltà, l'igiene. I tappeti e i mobili erano ricoperti da una patina di sudiciume, ceneri vecchie di mesi riempivano il focolare. La pistola a doppia canna appesa sul camino era l'unica cosa pulita e lucida. Meyer sedette su un logoro divano e m'indicò una seggiola. «Vi dico quello che ho in mente: settecento dollari per il carico e l'autocarro; per niente, niente.» «Non siete un po' esagerato, per un uomo che ha perduto camion e carico? Per non parlare della figlia.» «Che figlia?» «Anne. Non si trova più nemmeno lei.» «Siete pazzo. Lavora da Kerrigan.» «Se n'è andata venerdì, secondo la signora Kerrigan, e nessuno l'ha più vista.» «Perché non mi dicono niente?» Il vecchio alzò la voce in una querula protesta. «Hilda, dove diavolo sei?»
La donna comparve sulla soglia. Aveva addosso un grembiule che si tendeva sul suo petto come una vela gonfia. «Cosa c'è, papà? Sto cercando di pulire la cucina.» Si avanzò esitante, guardandosi intorno con disgusto. «Tutto è sudicio in questa casa.» «Non ci badare. Dov'è andata a finire tua sorella? S'è cacciata ancora in qualche guaio?» «Anne in un guaio?» «Te lo sto domandando. Tu la vedi più di me. Tutti quanti la vedono più di me, in città.» «È colpa tua, se non vi vedete, e non è in nessun guaio che io sappia.» «L'hai vista ultimamente?» «Questa settimana no. La settimana scorsa abbiamo pranzato assieme.» «Quando?» chiesi. «Mercoledì» rispose lei. «Non ti ha detto di voler lasciare l'impiego?» «No. L'ha lasciato?» «A quanto pare» bofonchiò Meyer. Andò al telefono, in un angolo della stanza, e formò un numero. Hilda mi guardò, ansiosa. «È successo qualcosa ad Anne?» «Non concludiamo troppo in fretta. Avete una sua fotografia recente?» «Ne ho qualcuna a casa. Non so se ne abbia anche il babbo. Ora vedrò.» E mosse verso la porta, contenta di uscire. Meyer riagganciò. Si volse a me con le mani aperte, le palme in alto, in un gesto rassegnato. «Non risponde. Kerrigan non sa dove sia?» «Dice di no.» «Credete che lo sappia, invece?» «L'idea me l'ha data sua moglie.» «Non ditemi che si sta svegliando, dopo tutti questi anni. Credevo che quel bel tomo l'avesse fatta rimbambire.» «Non saprei» feci cauto. «Chi è precisamente Kerrigan?» «Un avventuriero, secondo me. È arrivato in città verso la fine della guerra, addetto alla Base di Marina. Era più giovane, allora, e molte ragazze hanno perduto la testa per la sua uniforme e le sue belle chiacchiere. Annie non è stata la sola.» Aveva detto troppo e cercò subito di rimediare. «Guardate la donna che ha sposato, la figlia del giudice Craig. Viene da una delle migliori famiglie della città, se questo conta qualcosa. Ma Kerrigan l'ha fatta ballare come
ha voluto. Appena sposati ha venduto la fattoria dei Craig e si è messo a comprare e vendere immobili, poi è passato al commercio dei liquori. Infine ha pensato che c'era da far denaro con il Motel. Ma in realtà non è un uomo d'affari, ve lo dico io. Quando ha cominciato gli ho dato cinque anni di tempo. Sono già sette che va avanti.» «Com'è il suo credito?» «Piuttosto scosso, a quel che si dice.» «Settantamila dollari di whisky sono una forte ordinazione per un uomo che ha un cattivo credito.» «La più grossa che mi sia passata fra le mani, per lui. Ma non era affar mio. Mi dicono di trasportare, e io trasporto.» «I trasporti per Kerrigan li fate tutti voi?» «Che io sappia.» «Sapeva di quale camionista vi sareste servito?» «Credo di sì. Tony era l'unico assicurato per quell'importo.» Gli occhietti del vecchio mi scrutarono da sotto le sopracciglia grigiastre. «Cosa avete in mente? Credete che Don Kerrigan abbia fatto sparire il suo whisky?» «Può anche darsi.» «Se ha fatto una cosa simile gli mangio il fegato.» «È un po' presto per pensare al menu» dissi. «Ho bisogno di altri fatti. Per esempio, al momento voglio cento dollari da voi.» «Porca miseria, non ve ne siete dimenticato, eh?» Mi volse la schiena, ma scorsi egualmente il portafogli rigonfio. Se lo rimise in tasca e due riluttanti biglietti da cinquanta cambiarono proprietario. «Nient'altro?» «A dir la verità vorrei sapere qualcosa di vostra figlia Anne. Ha mai avuto guai?» «Niente di serio. Le solite cose.» Era sulla difensiva. «Annie non ha conosciuto sua madre. Io e Hilda abbiamo fatto quello che potevamo, ma non sempre siamo riusciti a tenerla d'occhio. È stata una ragazza precoce, e quando ha cominciato a lavorare spendeva più di quello che guadagnava.» «Da quanto tempo lavora con Kerrigan?» «Tre o quattro anni. Prima come impiegata, poi come segretaria in quel Motel. Ha sempre desiderato di starsene per conto suo e di fare una vita propria. Bene, adesso la fa.» «Che genere di vita conduce?» «Non chiedetelo a me.» Scrollò le spalle. «M'ha lasciato quando aveva
quindici anni e da allora l'ho vista ben poco. Viene solo quando le occorre qualcosa.» Si avvicinò al camino e restò immobile a fissare le ceneri spente. «Annie se n'è sempre infischiata di me. Anzi, se ne infischiano tutte e due. Hilda viene a trovarmi una volta ogni due o tre mesi: probabilmente la manda suo marito, perché spera di ereditare quando sarò andato all'altro mondo. Ma può aspettare, quel bastardo, può aspettare.» Si volse e annunciò, con voce alta e rauca: «Vivrò fino a cent'anni, io». «Congratulazioni.» «Vi sembra buffo?» «Non ho riso.» «Ridete finché volete. Vengo da una famiglia di gente che ha vita lunga, e riderà bene chi riderà l'ultimo.» Improvvisamente i suoi pensieri mutarono. «Annie è mischiata in questa faccenda, per caso?» «Non saprei, ma può essere. È molto vicina a Kerrigan e conosceva bene anche Aquista, a quanto ho saputo.» «Neanche per sogno. Tony le stava dietro, ma lei non ha mai saputo che farsene. Ne aveva paura, anzi. L'anno scorso, una sera è venuta qui a chiedermi...» S'interruppe e mi guardò, cauto. «A chiedervi che cosa?» «Un'arma con cui proteggersi. Aquista la infastidiva, si rendeva insopportabile. Le ho detto che l'avrei licenziato e cacciato via dalla città, ma non ha voluto. Ha il cuore tenero, sapete. Così le ho dato quello che voleva.» «Una pistola?» «Sì, una vecchia calibro 38.» Comprese la mia silenziosa domanda e rispose: «Non è stata Anne a sparargli, se è questo che pensate. Voleva solo potersi difendere. Ve l'ho detto per dimostrarvi che Tony era meno di nulla, per lei». «E Kerrigan?» «Non so niente.» Ma i suoi occhi erano velati d'imbarazzo. «Hanno vissuto assieme?» «Credo di sì.» Le parole uscivano a fatica. «Ho sentito dire che l'anno scorso lui le pagava l'affitto di casa.» «Di chi parlate?» Hilda era ricomparsa sulla soglia. Il padre la guardò in tralice. «Di Kerrigan. Anne e Kerrigan.» «Non è vero.» La donna venne verso di noi, pallida e rigida per l'emozione. «Dovresti vergognarti, di diffondere queste menzogne. La gente è
capace di dire qualunque cosa.» «Certo che mi vergogno, ma non di me. D'altra parte, cosa potevo fare? Non potevo certo impedirglielo.» «Non c'era niente da impedire.» Hilda parlava a me. «Tutte chiacchiere. Non si metterebbe mai con un uomo sposato.» «T'illudi, cara mia.» «Finiscila!» La figlia gli si rivoltò contro come un gatto arrabbiato. «Anne è una brava ragazza, nonostante quello che puoi inventare. Tutti sanno che non l'hai mai potuta soffrire...» «Finiscila tu, hai capito?» L'uomo aveva fatto un passo avanti e la nuca gli si era arrossata. Un arco d'odio fiammeggiava tra i due. Il padre inarcò le spalle, minaccioso. Hilda levò una mano a difendersi il viso, sconvolto dalla paura. Aveva tra le dita un rettangolino di carta lucida. Meyer glielo strappò. «Dove l'hai presa?» «Era sul tuo specchio.» «Sta' alla larga dalla mia camera, intesi?» «Con piacere. Puzza come la gabbia di un orso.» Il vecchio scrollò le spalle e guardò la piccola foto, tenendola riparata con l'altra mano come la fiamma d'un cerino. Gli chiesi di lasciarmela vedere. Me la diede malvolentieri, come se fosse denaro. La ragazza dell'istantanea era seduta contro uno scoglio bianco, su una spiaggia assolata. Dal suo modo di tenere le gambe, si capiva che era soddisfatta della loro forma. I capelli ricciuti erano agitati dal vento, e rideva. Assomigliava a Hilda, ma era più bella. Non somigliava affatto alla donna che avevo visto con Kerrigan. «Di che colore sono i suoi capelli, signora Church?» «Castani, d'un castano rossiccio, un po' più chiari dei miei.» «E quanti anni ha?» «Vediamo: ne ha sette meno di me. Venticinque.» «La foto è recente?» «Abbastanza. Gliel'ha fatta Brandon a Pismo Beach, l'anno scorso.» Hilda guardò il padre con gelida curiosità. «Non sapevo che ne avessi una copia.» «Sono molte, le cose che non sai.» Il vecchio attraversò la stanza e andò a riempir la pipa accanto a una scrivania. Da fuori venne il ronzio d'un motore d'auto. Hilda andò alla finestra. «Deve essere Brandon» osservò. Due fari illuminarono la strada, poi scomparvero. «No, non era lui. Non hai detto che
deve venir qui?» chiese al padre. «Se potrà. Ha molto da fare, stanotte.» «Credo che chiamerò un tassì. Si sta facendo tardi.» «Fino a casa ci vogliono due dollari» rilevò lui. «Ti accompagnerei ma non posso lasciare il telefono. Perché non prendi la mia vecchia Chevrolet? Io non l'adopero.» «Se credete vi darò un passaggio» dissi. «Oh, no. Siete gentile, ma non posso approfittare.» «Certo che puoi, Hilda» interloquì il padre. «Per il signor Archer non è un disturbo. E poi, stava andandosene.» Lei scrollò le spalle, indifferente. Meyer mi guardò, soddisfatto. Perlomeno il suo denaro cominciava a rendergli qualcosa. VII Diressi la macchina verso il centro della città. Hilda sospirò. «È veramente triste. Vengo da mio padre con le migliori intenzioni, ma finiamo sempre col litigare. Stavolta è stato per Anne. Ma ogni volta c'è qualcosa.» «È un tipo difficile, no?» «Sì, specialmente con noi. Anne non lo sopporta. Del resto è comprensibile: ha buoni motivi...» Si interruppe e cambiò argomento. «Abitiamo all'altro capo della città, signor Archer, ai piedi delle colline. È un po' lungo.» «Non importa. Comunque, volevo parlarvi a quattr'occhi.» «A proposito di mia sorella?» «Sì. È andata via altre volte, a questo modo, per una settimana?» «Un paio di volte. Ma non senza avvertirmi.» «Siete molto unite, vero?» «Lo siamo sempre state, non come certe sorelle che litigano continuamente. Anche se lei è più bella...» «Mi pare difficile...» «Non è necessario che siate galante: lo so. Anne è una bellezza, e io non lo sono, ma la cosa non ha mai avuto importanza. È molto più giovane di me, e non abbiamo mai avuto occasione di competere. Sono stata più una zia che una sorella per lei. La mamma è morta nel metterla al mondo, sapete. In un certo senso Anne è stata affidata a me.» «Era difficile da trattare?» «Per nulla. Non dovete credere a quello che dice mio padre. Lui è sem-
pre stato prevenuto, ha creduto a tutto quello che si diceva contro mia sorella. Anche quel pettegolezzo a proposito di lei e del signor Kerrigan... Non c'è niente di vero.» «Ne siete certa?» «Si capisce. Io lo saprei. Anne lavorava per il signor Kerrigan, ecco tutto.» A un semaforo mi fermai in attesa del verde. «Continuate per questa strada» disse Hilda. «Vi dirò io dove voltare.» Il verde apparve e la macchina balzò in avanti sull'asfalto corroso. «Dove abita vostra sorella?» «Ha un appartamentino in Bougainvillea Court numero tre, Los Bagnos Street. Non è lontano da qui.» «Potrei andare a darci un'occhiata, più tardi. Avete la chiave?» «No. Perché la vorreste?» «Per esaminare un po' l'ambiente. Potrei trovare qualche indicazione utile a stabilire dov'è andata, e perché.» «Capisco. Il custode potrà farvi entrare senz'altro.» «Ho il vostro permesso?» «Certo.» Per un poco tacque, poi riprese: «Dove credete che sia andata Anne, signor Archer?». «Volevo appunto chiederlo a voi. Non posso immaginarlo, a meno che non vi sbagliate a proposito di Kerrigan.» «Non mi sbaglio» affermò lei, brusca. «Perché continuate a insistere?» «Quando una donna scompare, è logico pensare agli uomini della sua vita. Chi altri frequenta?» «Anne esce con dozzine di uomini. Non posso tener nota di tutti.» La voce di Hilda era secca. Mi chiesi se, in fondo in fondo, non vi fosse in lei un po' di gelosia. «Può essere andata via con uno di loro?» «Ne dubito, non si fida degli uomini: più che naturale, dato il padre che abbiamo. È nubile convinta, e molto indipendente.» «Vostro padre m'ha detto che se n'è andata da casa a quindici anni. Questo significa che vive sola da una diecina d'anni.» «Non esattamente. A quindici anni ha lasciato lui. C'erano state... delle scene. Brand e io l'abbiamo ospitata finché non ha finito le scuole. Poi ha trovato un lavoro e se n'è andata per conto suo. Volevamo tenerla con noi, ma, come ho detto, è molto indipendente.» «Cosa c'è stato fra lei e vostro padre? Avete detto che non la può soffri-
re.» «L'ho detto? Avrei fatto meglio a tacere.» L'emozione la soffocava. «Fin da quando era bambina, nostro padre ha infierito su di lei. La picchiava, la sottoponeva a privazioni, a terribili castighi: la odiava.» La guardai. Sedeva rigida al suo posto, gli occhi cupi nel viso pallido. Si volse e mi toccò il braccio. «Prendete a sinistra, adesso. Mi dispiace di avervene parlato. Quando ci penso non so dominarmi.» La strada si allungava tra piccole alture dai versanti punteggiati di case, per lo più nuove. Seguendo le indicazioni di Hilda, svoltai in un viale privato e fermai davanti a una villetta dalle larghe finestre buie. La donna rimase seduta, come incerta sul da farsi. «Abitate qui?» «Sì. Ma ho paura di entrare.» «Paura? Di che cosa?» «Di che cosa si ha paura? Della morte, dell'altra gente, del buio. Il buio mi terrorizza. Un medico la chiamerebbe nictofobia, ma conoscerne il nome non aiuta affatto.» «Entrerò con voi, se vi fa piacere.» «Molto piacere, grazie.» Le offersi il braccio. Lei vi appoggiò la mano, come imbarazzata di doversi appoggiare a un uomo. Nel vestibolo scuro prese le mie mani tra le sue. «Non lasciatemi.» «Debbo andare.» «Vi prego, non lasciatemi sola. Sono terribilmente spaventata. Sentite il mio cuore.» Premette una mia mano sul suo petto, con tanta forza che, attraverso la carne morbida, sentii la gabbia toracica, scossa dall'interno, dalla paura o da un'emozione ancor più intensa. La sua voce era un sussurro, accanto al mio orecchio: «Sentite? Sono terrorizzata. Ho passato tante notti da sola, così». La baciai lievemente e mi liberai. «Potete accendere la luce» suggerii, e tastai la parete in cerca dell'interruttore. «No.» Mi tenne ferme le braccia. «Non voglio che vediate il mio viso. Piango, e non sono bella.» «Siete bella a sufficienza per chiunque.» «No. Anne è bella.» «Non saprei, non l'ho mai vista. Buonanotte, signora Church.»
«Buonanotte» mi rispose, dopo una pausa. «Per un momento ho perso la testa. Brandon deve lavorare tanto spesso fino a tardi. Quando tornerà tutto andrà meglio. Grazie d'avermi accompagnata.» «Non è il caso di ringraziarmi.» «Se trovate Anne, me lo farete sapere subito?» Glielo promisi, uscii e girai la macchina per tornare in città. VIII Il recinto di Bougainvillea Court era fiancheggiato da un paio d'alte palme che stavano come sentinelle ai lati dell'entrata. Gli otto piccoli villini che racchiudeva avevano tutti un portico fiorito" di bougainvillee purpuree. Quasi dovunque c'erano luci e musiche, ma al numero tre tutto era buio. Quando lo toccai, l'uscio si aprì. Accesi la torcia elettrica: il legno era scheggiato e spaccato intorno alla serratura. Entrai e richiusi col gomito. Sei giorni d'assenza, pensai, e istintivamente annusai per sentire l'odor di morte. Ma non percepivo che i sentori stantii della vita: vecchio fumo di sigarette, liquori, un profumo penetrante, l'inconfondibile odore d'una donna. La luce della mia lampada estraeva pareti e mobili dall'oscurità: riproduzioni di quadri celebri appese ai muri, un falso caminetto, una piccola libreria, una scrivania, un divano coperto di stoffa a strisce. Tutto era nuovo e costoso. La scrivania era aperta, con la serratura divelta. Sopra un mucchio di carte c'era una busta vuota indirizzata ad Anne Meyer con calligrafia maschile. Un passaggio chiuso da una tenda dava in un piccolo corridoio che conduceva alla camera da letto e al bagno. La camera era piccola e molto femminile, montata in seta gialla. Nell'armadio c'erano abiti d'ogni tipo, fra cui due da sera. Impossibile dire se mancasse qualcosa. Il letto era rifatto alla meglio e c'era un avvallamento su un lato, dove qualcuno doveva essersi seduto. Sul comodino era rimasto un orologetto d'oro bianco e diamantini. Sotto il letto non c'era nulla. E nulla d'interessante nel cassettone. Rilevai che Anne Meyer doveva spendere molto in biancheria personale. Entrai nel bagno, abbassai l'avvolgibile della finestrina e accesi la luce. Sopra la vasca erano appese ad asciugare delle calze di nylon. Aprii l'ar-
madietto dei medicinali, sul lavabo. Conteneva il solito assortimento di scatolette e flaconi. Chiusi la porta che era a specchio, e scorsi il mio viso attraverso le macchie della lastra. Era pallido, con gli occhi incupiti dalla curiosità. Non c'era spazzolino da denti nell'apposito bicchiere. Tornai nella camera. Sulla toletta mancavano certe cose che avrebbero dovuto esserci: rossetto, cipria, creme di bellezza. Ma c'erano le pinzette e un rasoio. Tornai nel primo locale e passai in rivista il contenuto della scrivania. Nei cassetti non era rimasto niente di personale; c'erano solo conti e lettere commerciali. Stavo per rinunciare a trovar qualcosa, quando in fondo a un casellario scoprii una busta ripiegata. L'avevano spedita da San Diego quasi un anno prima, e conteneva una lettera scritta a lapis copiativo e firmata Tony. Mi chiusi nel bagno per leggerla. Cara Anne, forse sarai meravigliata di ricevere questa mia. Sono meravigliato anch'io di scriverla. Dopo quello che m'hai detto l'ultima volta, non volevo cercarti più. Ma sono qui senza niente da fare, la nave che debbo attendere arriverà solo domarli, a causa d'un uragano. Devo restarmene in questo albergo che dopo la guerra è diventato una porcheria. Mi sembra di vedere il tuo volto qui con me, Anne. Perché non sorridi? Immagino che mi crederai ubriaco, ma stasera non ho ancora bevuto neanche un goccio. Sono stato fuori un po' e c'era una quantità di ragazze che avrei potuto avere. Ma non mi interessavano. Non m'interessa più nessuna donna, da quando ti ho conosciuta. Io ti vorrei sposare, Anne. So che non ho molti soldi, che non posso stare a pari con certa gente, ma sono un amico fedele. A proposito di certa gente non ti dovresti fidare. Ho sentito dire che gli affari di quel tizio vanno male, i soldi di sua moglie non possono durare in eterno. Tu pensi che io sono un uomo di colore, e che non vado bene per te. Non è vero, Anne. I miei sono di sangue spagnolo, niente sangue indio nelle mie vene. Sono più bianco di "lui". Farei qualunque cosa per te, Anne. Questa non è una minaccia; io non ti ho mai minacciato. Non
capisci che quando andavo in bestia non era per gelosia, ma perché mi preoccupavo per te? Quando c'era "lui", la notte, aspettavo fuori della tua casa perché ti volevo proteggere. L'ho fatto tante volte, ma non t'ho mai detto questo segreto. Non preoccuparti, non lo dirò a nessuno. Ti amo, Anne. Quando spengo la luce, ti vedo nel buio e brilli come una stella. Il tuo fedele amico Tony Lessi quella lettera due volte sforzando la vista sugli scarabocchi da illetterato. Era come fissare negli occhi un, morto, decifrare ciò che restava dei suoi pensieri. Quando aprii la porta del bagno sentii che nel piccolo alloggio qualcosa era cambiato. Un senso più delicato dell'udito mi diceva che nel soggiorno c'era qualcosa, un corpo palpitante, più solido dell'oscurità. Con la luce alle spalle ero vulnerabile, esposto come un vero e proprio bersaglio. La spensi e mi mossi di lato verso la porta della camera da letto, tastando la parete in cerca dello stipite. Con l'altra mano tenevo la torcia, pronto a usarla per far luce, o a servirmene come mazza. Udii il fruscio del tendaggio, a pochi passi. Poi la lampada del corridoio si accese. Dal tendaggio sporgeva una pistola. Era una calibro 45 ma pareva piccola, nella mano che la impugnava. «Fuori di lì.» M'irrigidii sulla soglia; metà del mio corpo era esposta e poteva sentire la linea tra la sicurezza e il pericolo dividermi in due. «Fuori di lì e mani in alto.» Era la voce dello sceriffo. «Conto fino a tre e poi sparo.» E cominciò a contare. Mi misi la lampada in tasca e alzai le mani uscendo dall'ombra amica. Church comparve sotto l'arcata. La cupola del suo cappello a falda larga sfiorava il tendaggio. Sembrava alto più di due metri. «Voi!» Mi venne vicino e mi premette la canna della pistola sul plesso solare. «Che cosa credete di fare in questa casa?» «Il mio lavoro.» «Cioè?» «Meyer mi ha incaricato di cercare il suo autocarro.» «Credevate che fosse qui, nel bagno della signorina Meyer?» «Mi ha anche incaricato di cercare sua figlia.»
La pistola premeva sempre più nel cavo sotto le mie costole. «Dov'è, Archer?» Cercai di resistere alla pressione del ferro e alla pressione ancora più penosa del panico. Gli occhi di Church erano larghi e opachi, i muscoli intorno alla sua bocca profondamente rilevati. Pareva pronto a uccidere. «Non so» risposi. «Dovreste chiederlo a Kerrigan.» «Cosa volte dire?» «Se smettete di fare il duro, ve lo spiegherò. Il ferro non mi fa bene allo stomaco, e il piombo nemmeno.» Allontanò la pistola, guardandola come se fosse un'entità autonoma, resistente al suo comando. Ma non la rimise nella fondina. «Cosa c'entra Kerrigan?» «C'entra. Quando Aquista è stato ucciso, Kerrigan era l'essere più vicino. Il camion era carico di whisky, e il whisky apparteneva a Kerrigan. Ora non si trova più vostra cognata, che era impiegata da Kerrigan, e forse la sua amante. Questo non è che il principio.» Ero tentato di riferirgli anche la conversazione udita ai "Giardini Orientali di Sammy", ma poi decisi di non parlarne. Quella faccenda apparteneva a me. Church si spinse il cappello un po' indietro, come se quel peso gli impedisse di pensare. Con la fronte scoperta pareva diverso, un uomo perplesso, sensibile, che usava il cappellone e la grinta da sceriffo come mimetizzazione protettiva. Oppure un uomo così diviso, internamente, da non conoscere se stesso. La pistola gli pendeva dalle dita. Quando parlò, lo fece con voce alterata, vuota e meccanica. «Ho già interrogato Kerrigan. Ha un alibi per l'uccisione di Tony Aquista.» «Sua moglie?» «La parola di Kate Kerrigan mi basta. La conosco da molti anni, e conoscevo suo padre, il giudice. È una persona di cui mi fido assolutamente.» «Una donna come lei sarebbe capace di mentire, per il marito.» «Può darsi, ma non mentiva. Comunque, Kerrigan non ha bisogno di alibi. È un commerciante rispettabile.» «Rispettabile?» «Non parlo della sua vita privata. Quando si ha molto da perdere, come lui, non si va attorno a sparare ai camionisti sugli stradoni.» «Nemmeno per settantamila dollari? È un'ordinazione di whisky poderosa. Cosa ci fa? Il bagno?» «Lo vende.» «Nel suo Motel?»
«È proprietario di un bar, dall'altra parte della città. La "Scarpetta d'Oro".» «In Yanonali Street?» «Siete già stato in giro, eh?» «Ha dell'influenza, Kerrigan, nel campo della politica?» «Penso che debba averne, tramite le conoscenze di sua moglie.» Spinsi l'ago un po' più in fondo. «E questo, forse, vi fa vedere tutto rosa sul suo conto.» L'avevo colpito. Un'arteria cominciò a pulsare sulla sua tempia. «Fate delle domande piuttosto sfacciate.» «Debbo pure procurarmi delle risposte.» «Non dimenticatevi con chi parlate.» «Non posso; voi non fate altro che ricordarmelo.» «Vi avverto che ho avuto fin troppa pazienza. Se insistete, vi caccio dentro sotto l'imputazione di scasso.» «Per questa porta? Avrei fatto un lavoro migliore. Quando sono arrivato era aperta.» «Ne siete sicuro?» «Sicurissimo. Il villino è stato già visitato, ma non da un ladro comune. C'è un orologetto costoso, in camera. Un ladro l'avrebbe preso. E invece non avrebbe preso le altre cose che mancano.» «Quali altre cose?» «Oggetti personali, spazzolino da denti e roba del genere. Io ritengo che Anne Meyer sia partita per la vacanza di fine settimana e non sia tornata quando aveva stabilito di tornare. Poi qualcuno è entrato qui dentro, ha aperto la sua scrivania e asportato varie cose... tracce della sua vita privata, lettere, indirizzi, numeri telefonici...» «Comunque, non avevate il diritto di entrare. Anche se non avete forzato la porta, siete andato contro le leggi.» «Vostra moglie mi ha autorizzato a venir qui.» «Cosa c'entra mia moglie con tutto questo?» «Si tratta di sua sorella.» «Dove l'avete vista?» «L'ho accompagnata a casa, dall'abitazione di suo padre, circa un'ora fa.» «State alla larga da lei, capite?» Church parlava con voce stridula. «Alla larga dalla mia casa e da mia moglie.» «Forse fareste meglio a consigliare lei di stare alla larga da me.»
Non avrei dovuto dirlo. La collera lo sconvolse. La pistola salì di scatto e la canna mi colpì al mento. La mia testa sbatté contro il muro. L'alta figura dello sceriffo mi ondeggiò davanti come un albero sul punto di cadere. Le mie braccia e la mia schiena toccarono il suolo. Mi rialzai e mi pulii il viso insanguinato col dorso della mano. «Forse ve ne pentirete, sceriffo.» «Fuori di qui, prima che debba davvero pentirmi di qualcosa.» Il viso lungo, al di sopra della pistola, era come bronzo. Gli occhi erano ciechi e vuoti. Camminai a passi incerti fino alla porta. La radio, nella villetta vicina, non trasmetteva più musica. Una voce maniaca asseriva con enfasi che la solitudine, la paura, l'impopolarità, erano cose del passato, abolite dalla clorofilla. IX Alla periferia della città, Yanonali Street piegava a nord per congiungersi con la strada statale. All'angolo due edifici, sul tetto d'uno dei quali una scarpetta delineata da lampadine gialle faceva pensare ad allegre donnine, a musica e a champagne. Alcune delle lampadine mancavano. Lo champagne era innocuo e domestico. Tre ragazze, una bruna e due bionde, sedevano in attesa sugli alti sgabelli davanti al bar. Vedendomi entrare gonfiarono il petto e aprirono le bocche dipinte a larghi sorrisi di benvenuto. Io finsi d'essere assorto, passai davanti al terzetto e andai all'altra estremità del banco. L'ambiente aveva la forma d'una bottiglia piatta. Sul fondo, al di là di uno spazio vuoto riservato alle danze, un palco deserto sosteneva un pianoforte verniciato d'argento e alcuni leggii per la musica, simili ad alberelli metallici privi di foglie. La voce grossa e neurotica d'un vecchio grammofono urlava qualcosa a proposito d'un amore immeritato. Quattro giovanotti in camicie stampate a vivaci colori bevevano birra seduti attorno ai tavolini. Avevano tutti un ciuffo di capelli bianchi, ossigenati, come se il medesimo fulmine li avesse colpiti. Mi guardarono con disprezzo, io avevo dei capelli qualsiasi, non ero atomico. Nemmeno l'uomo dietro il banco era atomico. La sua faccia somigliava al muso d'un ranocchio stanco. Indossava una giacchetta che un tempo era stata bianca. Quando ordinai una birra, mi guardò storto. «Come vanno gli affari?» chiesi gentilmente.
Lui fece saltare il tappo della mia bottiglietta con furia, e me la mise davanti. «Se anche migliorassero del cinquecento per cento, sarei in perdita. Non ordinano altro che birra. Siete di passaggio?» Dissi che ero di passaggio. «Me ne andrei anch'io di qui, se potessi, ma la moglie e la famiglia legano un uomo. Dall'anno scorso, dopo la scossetta, questo posto è un sepolcro.» «La scossetta?» «Il terremoto dell'estate scorsa. Ci ha fatto un bel servizio. Ha spaventato tutta la città. Erano gente feroce, amico. Ma dopo il terremoto sono cambiati. Molti sono andati all'altro mondo, tanti altri si son messi a vivere più onestamente. Per gli affari, comunque, è stato un duro colpo. Per questo locale, poi! Dovevo essere pazzo quando l'ho comprato.» «Siete il proprietario?» Non mi rispose. Stava fissando i ragazzi seduti al tavolino. «Guardate che razza di clienti. Con una birra, stanno qui tutta la notte a scaldare le sedie.» Il grammofono cambiò disco. «Quando arriverà Jo?» chiesi al barista. Scosse il capo. «Se aspetta lei, niente da fare. Non verrà.» «Non lavora, stasera?» «No, e nemmeno domani. Se n'è andata, ed è stato un bene. L'avrei licenziata io.» «Credevo che il proprietario fosse Don Kerrigan.» «Lo era. Il locale l'ho comprato stamattina: dovrei farmi visitare la testa. Siete un amico di Kerrigan?» «L'ho conosciuto.» «Amico di Jo?» «Avevo qualche speranza.» «Perdete il vostro tempo. Non tornerà, ma anche se tornasse non avreste niente da sperare. È già accaparrata.» «Da chi?» Mi guardò: «Io sono sposato. Perché dovrebbe confidarsi con me?». «Il nome Tony Aquista non vi dice nulla?» I suoi occhi sporgenti parvero ritirarsi, come quelli d'un ranocchio che inghiottisse. «Lo conosco. Viene qui, ogni tanto.» «Ora non ci verrà più. È morto.» Sul volto si dipinse un'espressione idiota. «Morto? Cosa gli è successo?» «Gli hanno sparato, sullo stradone. Guidava un camion carico di whisky
che è sparito. Il carico apparteneva a Kerrigan.» «Quanto whisky ci sarà stato?» «Per settantamila dollari.» «Uno di noi due è pazzo. Kerrigan non s'è nemmeno interessato per venderlo.» «L'ordinazione deve essere stata fatta parecchi giorni fa. Non ve ne aveva parlato?» L'uomo si fece cauto. «Può darsi, ho poca memoria.» Si protese sul banco a fissarmi. «Chi siete, voi, si può sapere? Polizia?» «Investigatore privato. Sto indagando su questa faccenda per gli Autotrasporti Meyer.» «Diavolo, non crederete che c'entri Jo.» «È quello che volevo chiederle. Conosceva Aquista, vero?» «Può essere, non so.» «Sapete bene che lo conosceva.» Chiuse la bocca e assunse un'aria dignitosa: «Pensate quello che volete, io non dico niente. La ragazza non era un usignolo, ma era sempre allegra e faceva piacere vederla. Perché dovrei metterla nei guai?». «Dove posso trovarla?» «E che ne so? Volete sapere troppe cose, con una birra.» «Posso ordinarne un'altra.» «Ma io non ve la darò. Tornate da Meyer e ditegli di andare a farsi friggere. E poi andateci anche voi.» Lo ringraziai per la sua cortesia e scesi dallo sgabello. Il grammofono emetteva una voce femminile: due delle ragazze, la bruna e una delle bionde, ballavano sulla piccola pista. La brunetta guidava: le separai e presi la bionda fra le braccia. Era abbastanza giovane e graziosa, nonostante lo sguardo professionale, e ballava bene. Girammo assieme in una nuvola di profumo a buon mercato. Dopo un po' guardò in su e mi mostrò una doppia fila di denti bianchi. «Mi piace ballare. Mi chiamo Jerry Mae.» «Anche a me piaceva, una volta.» «Siete stanco? Possiamo sederci a bere qualcosa.» «Preferirei sdraiarmi.» Volle interpretare quelle parole come un'allusione e rise. «Andate forte, eh? Non so nemmeno come vi chiamate.» «Lew.» «E di dove venite.»
«Da Los Angeles.» «Ci sono stata anch'io, per un certo tempo. Grande città, Los Angeles. E che cosa fate, di bello, qui? Andiamo a sederci e mi pagherete da bere.» «Non c'è nessun posto dove si possa star soli?» Mi diede un colpetto furbesco. «Come correte! Venite, c'è un salottino riservato.» La seguii sotto lo sguardo ostile del barista. Ma l'uomo non si mosse per interferire: gli affari erano affari. Al termine d'un corridoio c'era una squallida stanzetta provvista d'un divano e d'un tavolino. Sedetti. La ragazza tornò nella sala a ordinare le consumazioni, poi mi raggiunse in compagnia del barista che depose sul tavolo un vassoio con due whisky e uscì, sempre in silenzio. Jerry si attaccò al suo bicchiere, poi mi si strusciò contro, con mosse da gattina. «E allora?» fece, invitante. «Ho qualcosa da chiedervi. Conoscete Tony Aquista?» Sul viso della ragazza si dipinse un'espressione perplessa e delusa. «Certo» disse poi. «Ma non ho mai avuto a che fare con lui, se è questo che volete sapere. Ho sempre pensato che fosse un po' tocco...» «La pensa così anche Jo?» La sua faccia si indurì sotto la maschera del trucco. «Che ne so di quello che pensa Jo?» «Non è mai andata con Aquista?» «Forse, qualche volta.» «Di recente?» «Saranno due settimane. Una sera il principale ha portato qui Tony.» «Kerrigan?» «Sicuro. Deve aver detto a Jo di essere carina con lui: diversamente non so per quale motivo se ne sarebbe impicciata. Non è nemmeno un bianco, figuratevi. E non sa stare al suo posto. Dovevate vederlo l'ultima volta che è venuto qui: ubriaco marcio.» «Quand'è stato?» Volse gli occhi in su, riflettendo: «Tre o quattro sere fa. Domenica». «Jo c'era?» «Naturale. Poi Tony se l'è portata con sé. O meglio lei lo ha rimorchiato. Quasi non stava in piedi.» «Descrivetemi un poco questa Jo.» «Come! Non la conoscete?» «Non ancora.»
«Ve ne interessate molto, se non la conoscete nemmeno. Per quale motivo?» «Non ha importanza. Descrivetemela.» «Be'... è una bruna, piccolina e svenevole. Conoscete il tipo? Anch'io ero bruna, poi mi sono stancata.» «Parlavamo di Jo» le ricordai. «Mi occorre una descrizione completa.» «Per che diavolo? Credevo che voleste stare con me. Incidentalmente vi avverto che non ho tempo da perdere.» Trassi dal portafogli una banconota che lei afferrò e fece sparire. Il contatto con il denaro parve incoraggiarla. «Sentite, se volete posso mostrarvi una foto di Jo Summer.» Si alzò e andò verso la porta. «Non dimenticatevi di tornare, Jerry.» «Non preoccupatevi.» Tornò poco dopo con un cartone azzurro con scritte in oro. «Ecco il ritratto di Jo. Rocco l'ha tolto ieri dalla vetrina.» Sul cartone c'era scritto: "L'affascinante Jo Summer della Scarpetta d'Oro - Canzoni e arte varia tre volte la settimana". Incollata sopra la scritta c'era la fotografia un po' sciupata d'una giovane donna in abito da sera abbondantemente scollato. Il suo seno prosperoso era la prima cosa che dava nell'occhio, ma ciò che più mi colpì fu il viso dagli occhi lunghi, languidi, e dalla bocca tumida e appassionata. Avevo visto quella bocca poche ore prima, premuta sulla mano di Kerrigan. Guardai Jerry: «È la ragazza di Kerrigan?». Tornò a sedere vicino a me. «Lo sanno tutti. Perché credete che la facesse cantare, se no?» «Che tipo è?» «Come si fa a dirlo? Non è precisamente una figlia di mamma, però non posso leggere nel suo cervello. È tanto se so leggere nel mio.» «Chi sono i suoi amici?» «Non credo che ne abbia, escluso Kerrigan. Quanti amici deve avere una ragazza? Ah, già, ha anche un nonno, almeno lei dice così. È venuto qui una sera, il mese scorso. Voleva riportarsela a casa.» «Non sapete dove stia, questo nonno?» «Fuori città, in montagna, mi sembra. Le ho detto che avrebbe fatto meglio a dargli retta. A stare in questi posti ci si rovina. Le ho dato un buon consiglio. Lei non sa cosa si diventa.» «E voi, Jerry? Perché non ve ne andate?»
«Non si tratta di me. Ormai io non ho più niente da sperare.» Gli angoli della bocca pesantemente dipinta si raddrizzarono in un sorriso amaro. «Non ha voluto ascoltarmi, e così imparerà a sue spese.» «Imparerà che cosa?» «Che in questa vita niente si ottiene gratis. Si paga tutto, e due volte. Ma ditemi, adesso è proprio in un pasticcio?» «Probabilmente.» «Non sarete un poliziotto, per caso?» «Privato. Indago su una certa faccenda, piuttosto seria.» Si morse il labbro inferiore e il rossetto le macchiò i denti. «Spero di non aver detto nulla che possa nuocere a Jo. Mi trattava un po' dall'alto in basso... credeva d'essere un'artista, sapete... ma non ho niente contro di lei. È davvero una cosa grave?» «Non lo saprò finché non avrò parlato con la ragazza. Forse non lo saprò nemmeno allora. Vediamo: abita in Yanonali Street?» «Sì, nella casa Cortes. Se è ancora là.» La ringraziai delle informazioni, pagai i liquori e me ne andai. X Guidando verso Yanonali Street mi ricordai di una certa scatola d'acciaio che avevo in macchina. Dovevo consegnarla al comitato legislativo di Sacramento come prova, e conteneva parecchie centinaia di sigarette di marijuana. Se ne avessi prese cinque o sei, quelli del comitato non se ne sarebbero accorti. I ragazzetti negri erano scomparsi dall'angolo. Fermai di fronte alla casa Cortes, aprii il baule dell'automobile, ne tolsi la scatola e presi uno dei rotolini involti in carta da macellaio. Entrai. Sulle cassette della posta i nomi degli inquilini erano segnati con calligrafie varie. Quello di Jo Summer, una firma alta in inchiostro verde, era al disopra del numero sette. Premetti il bottone e attesi. Una voce morbida parlò attraverso la griglia del citofono: «Sei tu, caro?». «Uhm» mugolai. La serratura dell'uscio d'accesso alle scale scattò. Aprii e cominciai a salire nell'oscurità dell'edificio. Una lampada a braccio era la sola luce nel corridoio del secondo piano. La mia ombra s'arrampicò sul muro e il collo si spezzò contro il soffitto.
La porta numero sette era l'ultima a sinistra. Quando bussai si aprì appena, lasciando uscire un raggio di luce rossastra. La ragazza sbirciò dalla fessura, ammiccando con occhi astigmatici. «Non ti aspettavo così presto» miagolò col suo fare da gattina. «Stavo per fare il bagno.» Venne verso di me, avvolta in una vestaglia di rayon. Una mano si insinuò sotto il mio braccio. «Un bacetto alla tua pupa, Donny?» flautò. La sua bocca umida mi sfiorò il mento. Probabilmente sentì qualcosa che non andava. Allora si ritrasse con un piccolo ansito di sorpresa, e si appoggiò col dorso alla parete. «Chi siete? Avete detto che eravate Don.» «Avete capito male. Mi manda Kerrigan.» «Non ha detto niente di voi. Dov'è? Perché non è venuto lui?» «Non ha potuto liberarsi.» «È trattenuto da lei?» «Non so. Sarà meglio che entriamo. Mi ha dato una cosa per voi.» «Che cosa?» «Ve la mostrerò dentro. Avete dei vicini, no?» «Può darsi. Non me ne sono mai accorta. Comunque venite.» Rientrò nella stanza illuminata. Era piccina, poteva arrivarmi sì e no alla spalla, e aveva la testa piccola e il corpo formoso. Non poteva avere più di diciannove o vent'anni. Mi chiesi come sarebbe stata a quaranta, se ci fosse arrivata. La stanza era come un segmento del suo futuro in attesa d'essere raggiunto dal fato. Un paralume ricoperto di seta rossa gettava la sua luce irreale sul divano, pure rosso, cosparso di riviste a buon mercato e su un tappeto il cui colore e disegno erano confusi dal sudiciume uniforme. La sola decorazione sui muri dipinti a calce era un calendario reclamistico, con l'inevitabile bellezza procace. La ragazza venne verso di me come una bambina curiosa cui è stato promesso un dono. «Che cosa mi manda Donny?» «Questo.» Chiusi la porta alle mie spalle e le porsi il pacchetto avvolto in carta da macellaio. Le sue dita strapparono l'involucro: le sigarette scure si sparsero sul tappeto. Si mise in ginocchio per raccoglierle, acciuffandole come se fossero stati vermi viventi capaci di sfuggirle. Poi si rialzò, con quattro sigarette in mano e una in bocca. Trassi di tasca l'accendisigari e gliel'accesi. Mi dicevo che era necessario, che, comunque, lei aveva già il vizio e che alla polizia capita tutti i
giorni di compensare gl'informatori con piccole dosi di stupefacenti. Ma nel vederla fumare avidamente non potevo allontanare il pensiero d'aver comperato una parte del suo domani. In sei boccate fumò mezza sigaretta, poi guardò sorridendo quel che restava, con gli occhi brillanti. Ben presto non le rimase fra le dita che un mozzicone. Lo spense e lo ripose in una scatola vuota insieme alle altre quattro sigarette. Accennò qualche passo di danza, traballando un po' sulle pantofoline a tacco alto, infine sedette sul divano. I suoi occhi erano profondi e terribilmente vivi, ma guardavano un punto interno, perduto nella giungla in fiore dei suoi pensieri. Il suo sorriso cambiava, continuamente: fanciullesco e un po' sciocco, regale e trionfante, perverso, diabolico e vecchio; e poi ancora allegro e giovanile. Le sedetti accanto. «Come va, adesso, Jo?» «Magnificamente. Accidenti, ne avevo bisogno! Ringraziate Donny per me.» «Se lo vedrò. Non deve lasciare la città?» «Sicuro. Quasi quasi mi dimenticavo che dobbiamo andarcene.» «Dove andate?» «Nel Guatemala.» Lo disse come se si trattasse d'una parola incantata. «Là costruiremo una nuova vita, una vita meravigliosa, senza più preoccupazioni né cattiverie. Io e lui soli.» «E come vivrete?» «Oh, avremo dei mezzi» sospirò, sognante. «Don ha dei mezzi.» «Spero che possiate farcela.» Corrugò le sopracciglia. «Perché non dovremmo farcela?» La droga esagerava tutte le sue emozioni: timore, ostilità e speranza. «Vi tengono d'occhio.» S'irrigidì, ansiosa. «Chi? La polizia?» Accennai di sì, col capo. Mi prese il braccio con tutt'e due le mani e lo scosse. «Come? E il fatto d'essere fuori dei confini, a cosa serve?» «Ci vuole altro, per un omicidio.» I suoi occhi fiammeggiarono. «Avete detto omicidio?» «Sì. Un vostro amico è stato ucciso.» «Che amico? Io non ho amici, qui.» «Tony Aquista non conta?» Senza staccare gli occhi da me si ritrasse nell'angolo opposto del divano. «Aquista? Ho già sentito questo nome?»
«Non cercate d'ingannarmi, Jo. Era uno dei vostri ammiratori. Domenica sera ve lo siete portato qui.» «Chi ve l'ha detto? Non è vero.» Ma si guardava intorno come se la stanza potesse tradirla. La sua voce era rauca dalla paura. «L'hanno ammazzato?» «Dovreste saperlo. Siete stata voi, a tirarlo in trappola.» «No» ansò «non è vero. Non farei mai una cosa simile; sono innocente, io.» Il suo sguardo non era più vago, ma carico di sospetto. «Tony non è morto. State cercando di spaventarmi.» «Volete venire all'obitorio?» «Don non m'ha detto niente. Se Tony fosse morto me l'avrebbe detto. Non doveva succedergli nulla di male.» «Perché avrebbe dovuto dirvi quello che sapevate già? Voi avete fermato Tony, vero?» «No. Non l'ho più nemmeno visto, dopo la sera di domenica. Oggi sono stata in casa tutto il giorno.» Si alzò e mi fissò, col viso tirato e giallo. «Qualcuno sta forse cercando di mettermi nei guai? Chi siete, voi?» «Un amico di Don. Gli ho parlato stasera.» «Don non mi metterebbe certo nei pasticci. L'hanno arrestato?» «Non ancora. E non è detto che non venda la vostra pelle per salvare la sua.» «Siete un poliziotto?» «Si capisce» sbuffai. «Per questo vi ho portato le sigarette.» «Come le ha avute Don?» il suo sguardo scuro mi scrutava. «Da Bozey. Non ve le ha potute portare lui stesso, così ha mandato me.» «Strano che non mi abbia mai parlato di voi.» «Non vi dice tutto.» «No, penso proprio di no.» Tornò a rincantucciarsi nell'angolo del divano. «Non so cosa sta succedendo» mormorò. «Dite che Tony è morto e mi lasciate capire che Don mi sta facendo un brutto scherzo. Perché debbo credervi?» «È la verità.» «Siete anche voi, nell'affare?» «Credevo di esserci, ma, a quanto sembra, Don vuole imbrogliare anche me. Da come mi ha raccontato la cosa, dovevate essere voi a fermare Tony.» «Questo era il progetto» ammise la ragazza. «Avrei dovuto fermarlo. Ma senza nessuna sparatoria. Non mi sarei prestata. Dovevo solo fermare il
camion sullo stradone e lasciar fare agli altri.» «Don e Bozey?» «Già. Ma poi Don ha cambiato idea: non voleva che mi esponessi. Tony m'aveva detto una certa cosa, domenica sera, quand'era ubriaco. Lì per lì non gli avevo creduto: era sempre pieno di storie sensazionali, sul conto di quella Meyer, ma Don l'ha presa per buona.» «Provate a raccontarla a me.» Mi guardò di sbieco. «Fate troppe domande. Chi mi dice che non siate della polizia e che quelle sigarette non siano state un trucco?» Mi alzai, fingendomi in collera, e andai verso la porta. «Fate come volete, bella mia. Io sono pieno di pazienza, ma fino a un certo punto...» Mi seguì. «Un momento: non prendetevela. Va bene, siete un amico di Don, siete anche voi nell'affare. E poi?» «E poi me la svigno. Non mi piace l'odore di questa faccenda.» «Avete un'auto?» «È qui fuori.» «Mi portereste in qualche posto?» «Certo. Dove?» «Non so. Ma non voglio rimanere qui a farmi beccare.» Andò verso un altro uscio e mise la mano sulla maniglia. «Faccio la doccia e mi metto qualcosa addosso. Ci metterò un minuto.» Il suo sorriso s'accese e si spense come una scritta elettrica. Aspettai un quarto d'ora, sfogliando distrattamente i giornaletti, cullato dallo scroscio dell'acqua, di là della parete. Tutte le ragazze delle copertine assomigliavano a Jo, in un modo o nell'altro. Finalmente mi resi conto che quella doccia durava un po' troppo. Entrai nella camera da letto senza bussare. I cassetti dei mobili erano aperti e vuoti, restava solo qualche indumento sporco. Aprii il bagno. La doccia scorreva a tutta forza nella vasca ma sotto non c'era nessuna ragazza. Attraversai la cucina buia. Una porta si apriva su una scala di legno che conduceva in uno stretto vicolo. Scesi e corsi verso l'imbocco, alla scarsa luce d'un fanale. Mi si fece incontro una figura d'uomo, spalle larghe e fianchi sottili in un giacchettone di cuoio. Diedi un'occhiata al suo viso: era giovane e pallido. Sulle tempie gli ricadevano ciuffi rossicci. Li respinse con una mano: l'altra era nascosta sotto il giacchettone. «Avete visto una ragazza uscire di qui?» gli chiesi. «Che ragazza?» «Una bruna piccolina. Probabilmente aveva una valigia.»
«Sì, l'ho vista.» Mi venne tanto vicino che potei distinguere i suoi occhi e il tremendo vuoto del loro sguardo. «Da che parte è andata?» «Dipende da quel che volete da lei. Che cosa volete?» La sua voce era bassa e calma, ma sotto sotto potevo sentire la furia. Era uno di quei tipi pericolosi, nati per la violenza e allevati a forza di furore e di angosce. Un lampo mi schiarì la mente: Jo aveva nominato qualcuno, al caffè cinese. «Siete Bozey, per caso?» Non mi rispose a parole. Il suo pugno uscì da sotto il giacchettone, armato d'un oggetto lucente, e mi colpì la testa, di lato. Le mie gambe si dimenticarono di me. M'accasciai sull'asfalto, a ridosso del muro, e fissai il pugno armato, la striscia d'acciaio nella quale si rifletteva la notte. Il viso del giovane si chinò sul mio, indurito dall'odio. «Giù la testa, maledetta carogna. Certo che sono Bozey. Giù la testa e baciami i piedi.» Il pugno luccicante calò sulla mia faccia. Non so come, riuscii a evitarlo e udii il metallo risuonare sulla pietra. Cercai d'alzarmi, ma le mie gambe erano fatte di vecchie funi e copertoni consumati. Il terzo colpo non mi mancò e la notte mi roteò intorno, come acqua sporca gorgogliante giù per una fogna. Quando tornai in me ero nella mia automobile e cercavo di girare la chiavetta d'accensione. La strada era deserta, per fortuna. Guidai come un ubriaco per un paio d'isolati ondeggiando da un marciapiede all'altro. Poi la vista mi si schiarì. Guardai l'orologio per sapere che ora fosse: il mio polso era nudo. Mi frugai: anche il portafogli mancava. Ma la mia calibro 38 era ancora nel cassettino del cruscotto. La trasferii nella tasca interna della giacca. XI La casa dei Kerrigan era su un pendio nella parte nordest della città. Lasciai l'auto nella strada accanto, che era in lieve salita, e fiancheggiata da vecchi edifici signorili, con giardini ombrosi e cespugli ben regolati. S'era fatto tardi e quasi tutte le case erano buie. Quella dei Kerrigan, però, aveva le luci accese. La rossa Ford trasformabile era ferma davanti all'ingresso. Lasciai il marciapiede, scavalcai la siepe di cinta della casa vicina e rag-
giunsi il giardino dei Kerrigan, rischiarato dalle finestre illuminate. Da lì, salii cautamente i gradini della veranda. Dall'interno venivano delle voci. Mi appostai accanto a una finestra, in un angolo dal quale potevo scorgere, senza esser visto, l'interno di un grande soggiorno. Era un bellissimo ambiente: tappeto bianco; marmi e fragili mobili stile settecento. Chi l'aveva creato evidentemente aveva pensato all'Europa, studiandosi di rinchiudere tra quelle mura un sogno di civiltà. Ma coloro che abitavano la casa, in quel momento si stavano dicendo che il sogno era morto e sepolto. La donna mi volgeva le spalle e stava eretta, rigida. Una collana di perle brillava gelida sul suo collo, sotto i capelli biondi. «Quello che avevo se n'è andato» diceva «e ora te ne vai anche tu. Ho sempre saputo che sarebbe finita così.» «Ah, l'hai sempre saputo?» Kerrigan le era di fronte, appoggiato con noncuranza alla mensola del camino. Aveva una mano in tasca e con l'altra reggeva una corta pipetta. Era in posa, come un attore. «Sì, lo so da molto tempo. Almeno quattro o cinque anni: da quando ti sei messo con quella Meyer.» «Acqua passata, ormai.» «Lo dici tu. Ma come posso crederti? Non sei mai stato onesto, con me.» «Ho cercato di esserlo, perlomeno. Vuoi sapere tutto? Vuoi la verità?» «Non sei capace di dirla, Don. Sei un bugiardo incorreggibile. Hai mentito prima che ci sposassimo, a proposito delle tue risorse e delle tue possibilità. Hai persino finto di amarmi.» La voce della donna si spezzò, sdegnosa. «Tutta la tua vita con me è stata una bugia. Non mi hai nemmeno dato una normale fedeltà.» «Provalo.» «Non è necessario: lo so. Credi d'avermi ingannato con le tue scuse infantili, quando tornavi nella mia casa con gli abiti in disordine, la bocca sporca di rossetto...» «Un momento.» Kerrigan le puntò contro la cannuccia della pipa, come una pistola. «Lo sai che cosa hai detto, Kate? La tua casa, l'hai chiamata. Non la nostra: la tua. E poi ti domandi perché mi sento un intruso.» «Perché lo sei. Sei un intruso. Mio nonno ha costruito questa casa per mia nonna. Poi l'hanno lasciata a mio padre e mio padre l'ha lasciata a me. È mia. Non riuscirai mai a metterci le mani sopra.» «E chi la vuole?» «Tu la vuoi. Proprio l'altro giorno cercavi di persuadermi a venderla e a
darti il denaro.» L'uomo scrollò le spalle, con un sorriso maligno. «Be', comunque adesso è troppo tardi. Puoi tenerti la tua casa e starci da sola, oppure col tuo prossimo marito.» «E pensi che mi rimariterò, dopo questa esperienza?» «Non è poi andata così male, Kate. Non sei una figura tragica, non ci sperare. Ammetto che quando t'ho sposato non ero innamorato di te. Hai sentito che l'ho ammesso? T'ho sposata per i quattrini. È poi un delitto così tremendo? I tuoi amici altolocati di Santa Barbara lo fanno tutti i giorni. Diavolo, ero convinto di farti un favore.» «Grazie per la tua gentilezza.» «No, ascoltami una volta tanto.» La voce di Kerrigan si fece più profonda: l'uomo dimenticò di posare. «Eri sola. I tuoi erano morti. Il tuo amante s'era fatto uccidere in guerra...» «Talley non era il mio amante.» «Ci credo. Ascoltami: avevi più bisogno d'un uomo che del denaro. Benissimo: io mi sono prestato. Non sarò riuscito bene, ma non saprai mai quanto mi sia sforzato. Mi ero proposto di farlo funzionare, questo matrimonio, ma non ne ho avuto la possibilità. Tu non hai avuto fiducia in me.» «Però ti amavo.» La donna gli volse le spalle. Si portò le mani al seno, premendolo come se le dolesse. «Credevi d'amarmi, te lo concedo. O magari mi amavi anche, nella tua testa. Ma a che serve l'amore del cervello? È solo una parola. Lo sai, Kate? Non mi sono mai sentito uomo, vicino a te: neanche una volta.» Il viso di lei era contratto, con la pelle tesa sulle ossa rilevate. Le dita tormentavano la collana di perle. «Comunque, se mai c'è stato qualcosa tra noi, ora è finito tutto» mormorò. «Quando ti ho scoperto a far le valigie non mi sono neanche meravigliata: sapevo già da un mese quel che doveva accadere.» «Non hai detto che lo sapevi da cinque anni?» «Sì, ma continuavo a sperare. Quando hai rotto la relazione con Anne Meyer, o hai finto d'averla rotta, ho pensato che forse il nostro matrimonio poteva ancora sperar di salvarsi. Sono stata pazza a permettermi di sperare, vero? Me ne sono resa conto il mese scorso, incontrandoti a braccetto con quella ragazza. E tu hai fatto finta di non vedermi, Don. Non m'hai nemmeno guardata: hai continuato a guardare lei.» «Non so a che cosa alludi» brontolò l'uomo, con scarsa convinzione. «Non mi ricordo di nessuna ragazza.»
«Già, capisco.» Improvvisamente lei si volse ancora verso il marito, i pugni stretti. «Ti fa sentire uomo, quella piccola creatura? Ti monta a forza di adulazioni, solletica le tue illusioni di grandezza, rinnova la tua gioventù?» «Lasciala fuori da tutto questo.» «E perché dovrei? È sacra? Non stai per andartene con lei? Non è questo il gran progetto che hai per stasera?» «Sei pazza.» «Davvero? Te ne vai, no? E non sei il tipo d'uomo che se ne va da solo. Hai bisogno d'aver vicino una donna che tenga il tuo io avvolto nella bambagia. Non so chi sia, quella donna, e non m'interessa. Per quel che ne so, puoi aver ripreso con Anne Meyer. O forse hai sempre continuato con lei.» «Ora stai diventando proprio pazza.» «Ah sì? Le hai dato le chiavi della casetta, venerdì scorso. Non mi meraviglierei che fosse lassù, al lago, ad aspettarti.» «Non essere ridicola. Ti ho detto che tutto era finito. Non so nemmeno dove sia, adesso.» «Ha passato la fine settimana al Lago Perdida, no?» «Ebbene? Le ho detto che poteva andarci per quei due giorni. A noi non serviva: era vuota. Le ho dato le chiavi. Sono un criminale, per questo?» «Tu stai per andare lassù.» «Neanche per sogno. E poi, comunque, Anne non c'è. Ci sono arrivato lunedì, e non l'ho trovata.» «Dov'è andata?» «Non so. Sei capace di ficcartelo in testa? Non lo so.» L'argomento pareva disturbarlo. «Tu credi addirittura che io abbia un harem.» «Non mi meraviglierei che l'avessi. Non sai nemmeno d'esistere, se non c'è una donna che te lo sussurri all'orecchio. Una donna qualsiasi.» «No, non una donna qualsiasi: per esempio tu non servi.» La voce di Kerrigan era tutta cattiveria. «Già» ammise lei. «Io no. Non so chi è di turno, questa volta, ma posso dirti che non durerà.» «Lo credi.» «Lo so, perché ti conosco.» «Ah, tu sai tutto, eh? Tutto quel che leggi in quei tuoi maledetti libri. Ma ti voglio dire una cosa che non sai, Kate. Questo non sarebbe accaduto se m'avessi dato una possibilità, quando te l'ho chiesta.» «Te ne ho date tante.» Ma per la prima volta Kate pareva sulla difensiva.
La linea della sua nuca e delle sue spalle s'era addolcita. Parve protendersi verso di lui. «Don, sei in difficoltà, vero? È veramente grave?» «Non lo saprai mai.» «Non possiamo essere onesti l'uno con l'altro, almeno questa volta? Farò quel che potrò per aiutarti. Sono disposta anche a dar via la casa, se è necessario.» «Non mi serve niente di quel che è tuo.» La donna si ritrasse come se avesse ricevuto uno schiaffo. Dopo un po' ripeté il nome del marito. «Don, perché Brandon Church è venuto qui, stasera?» «Le solite indagini.» «Non mi è sembrato.» «Ti sei messa anche a origliare, adesso?» Kerrigan andò verso di lei minaccioso. «No di certo. Ma non potevo far a meno di sentire le vostre voci. Hai avuto una scenata tremenda con lui.» «Non preoccupartene.» «Don, era per l'omicidio?» «Non preoccupartene, ho detto. Dimenticatene.» Le dita dell'uomo si strinsero intorno alla cannuccia di ambra della pipa e la spezzarono. «E dimenticati anche di me. Ne ho abbastanza: della città, di questa casa, di tutto. Me ne vado.» E si diresse verso la porta. Sua moglie lo richiamò: «Non m'inganni, sai. Non l'hai deciso ora: sono settimane che hai progettato tutto questo. Ma non sei abbastanza uomo da ammetterlo». Kerrigan si fermò. «Ah, non sono abbastanza uomo? Guardami bene, perché è la tua ultima opportunità, bellezza.» Protese il viso verso di lei, respirando pesantemente attraverso le narici dilatate. La donna gemette. Fu come se qualcosa di delicato e fragile si fosse rotto in lei. «È questo il modo di parlare a tua moglie?» «Che moglie?» irrise lui. «Non vedo nessuna moglie.» Si portò una mano alla fronte e scrutò gli orizzonti della sala, in dissolvenza. Poi andò alla porta, l'apri e scomparve. Sentii passi pesanti salire una scala. Kate Kerrigan si avvicinò al camino e appoggiò la testa e il braccio alla mensola. I capelli le ricadevano sul viso, disordinati. Distolsi gli occhi. Poco dopo, all'altra estremità della veranda s'aprì una porta. M'appiattii contro il muro, nell'ombra. Kerrigan uscì, le spalle curve per il peso di due grosse valigie, una in ciascuna mano.
«Sei convinto di far bene?» disse la voce di lei, alle sue spalle. «Certo. Incidentalmente, guarda che prendo la mia automobile, e nient'altro che i miei abiti.» «Naturalmente mi lasci i tuoi debiti.» «Le attività del Motel dovrebbero coprirli. E se no, pazienza.» La donna comparve sulla soglia illuminata, pallida figura con una mano protesa, in un gesto quasi implorante. «Dove andrai, Don?» «Non lo saprai mai» rispose lui, volgendole la schiena. «È strano che un uomo sia capace d'andarsene così. Perfino tu.» «Meglio che esser portato in barella» masticò lui. «Addio, Kate. Non procurarmi fastidi. Se no te ne rendo il doppio.» Lei lo guardò scendere i gradini e allontanarsi verso la strada, dove era ferma l'automobile. Le sue dita si strinsero intorno alla gola, strapparono il filo della collana. Le perle rimbalzarono come chicchi di grandine sulle piastrelle della veranda. XII Il doppio fanalino rosso posteriore rimpicciolì per la discesa, brillò all'incrocio con un viale e scomparve. Quando fui sul viale anch'io, la macchina di Kerrigan era lontana un buon isolato, diretta verso la periferia. Diminuii un po' la distanza senza perderla di vista. Eravamo nelle vicinanze del Motel e credevo che Don Kerrigan vi fosse diretto, invece a un certo punto accostò a destra e girò sullo spiazzo asfaltato di un ristorante notturno, dove già sostavano due utilitarie occupate da coppiette e una Buick blu. Passando, vidi che la Ford si accostava appunto alla Buick. Accanto al ristorante c'era una stazione di servizio per automobili, buia e abbandonata. Mi fermai vicino al distributore di benzina. Dal punto in cui mi trovavo potevo distinguere abbastanza bene la macchina rossa e quella blu. Kerrigan era sceso e stava fra le due vetture. L'individuo seduto nella Buick, il cui viso mi era nascosto, gli porse un pacchetto avvolto in un giornale. Kerrigan se l'infilò sotto la giacca e tornò alla propria auto. Due luci si accesero: la Buick fece marcia indietro e uscì dal cancello. Quando mi passò davanti scorsi una giacca di cuoio dal collo di pelo, un volto pallido incorniciato da ciuffi rossastri: Bozey. Partii all'inseguimento. La mia eccitazione saliva di pari passo con la velocità. Passai davanti al Motel di Kerrigan a centocinquanta l'ora. Poi l'ago del tachimetro toccò i
centosessanta e vi si mantenne. La Buick era sempre in vista. A un tratto parve esitare e lasciò lo stradone svoltando a destra. Quando a mia volta fui sul posto, vidi che si trattava d'una strada secondaria. La macchina inseguita non si vedeva più e non si sentiva nemmeno il ronzio del motore. Svoltai anch'io e proseguii per quasi un chilometro a fari spenti. La notte era senza stelle e senza luna. In cielo c'era soltanto una specie di radiosità diffusa. La strada correva fra due pareti di filo spinato: a sinistra c'era uno strapiombo, dall'altra parte apparivano in lontananza i capannoni del campo d'aviazione abbandonato. Scorsi un'apertura nel filo spinato. Fermai a poca distanza e controllai che la mia calibro 38 fosse carica. Lo era. Discesi: a parte il frinire di innumerevoli grilli, la notte era tranquilla; i miei passi sull'erba facevano quasi rumore. L'apertura consisteva in una porta, larga otto o nove metri. Il catenaccio che chiudeva i rudimentali battenti era stato limato: tastandolo potevo sentirne le estremità ruvide. Da quel punto partiva un viottolo di cemento che andava a congiungersi con una delle piste d'atterraggio. L'uscio del capannone più vicino era spalancato e la Buick era ferma là vicino. Mi avviai in quella direzione: dovevo attraversare duecento metri assolutamente allo scoperto. Null'altro si moveva sotto il cielo pesante. Mi sentivo piccolo e senza alcun valore: solo il freddo della pistola, nel mio pugno, mi dava conforto. A un tratto il silenzio fu rotto dal rombo d'un motore Diesel che s'avviava. Due fanali s'accesero nell'antro del capannone. Mi slanciai sperando d'arrivarci prima che il motore si fosse riscaldato. Ma non feci in tempo. Il muso dell'autotreno uscì quasi subito: era color argento. I fari m'illuminarono in pieno. Un viso bianco balenò nell'oscurità della cabina di guida. Mentre il camion avanzava presi di mira con cura l'angolo in basso a sinistra del parabrezza e feci fuoco due volte. Il vetro si segnò a ragnatela, ma non si ruppe. Senza rallentare, il pesante automezzo venne rombando su di me. Quando mi fu quasi addosso, saltai da una parte. Il rumore delle sue ruote multiple mi urlò nelle orecchie. Qualcosa m'agganciò un lembo dei calzoni, tirando. M'afferrai all'aria e caddi sul cemento come un sacco di sabbia. Scivolai fino al limite dell'inconscio e passai oltre. Fu una lunga caduta attraverso l'oscurità della mia testa. Infine riuscii a riprendermi. La spalla e la schiena mi dolevano. Sedetti e mi guardai intorno: non c'era niente da vedere, all'infuori del nudo cemento, del capan-
none aperto e della Buick abbandonata, lì accanto. Da ogni parte i grilli mi rimproveravano: avresti dovuto aspettare e poi seguirlo, odiare e inghiottire, aspettare e seguire. Mi alzai, cercai la pistola e la trovai. La strada fino alla mia macchina mi parve lunghissima. Montai, feci marcia indietro, entrai nel recinto e andai fino al capannone. I miei fanali ne frugarono l'interno scoprendo il brillare d'una chiazza d'olio, dove aveva sostato il grosso veicolo. Dentro non c'era che polvere e qualche rifiuto. A terra scorsi alcune macchie di vernice argentea. Scesi e ne toccai una col dito: non era ancora del tutto asciutta. Andai a esaminare la Buick. Era abbastanza nuova, ma assai mal ridotta e targata California. Sul pavimento di gomma c'erano parecchi mozziconi di sigarette scure. Li annusai: marijuana. Dietro i cuscini era stata nascosta una pianta degli stati meridionali. La presi, salii in macchina e tornai sul viottolo. All'incrocio con lo stradone fermai e rimasi in forse, fissando il buio orizzonte montuoso. Era come un grafico: segnava punte di speranza e cadute disastrose. In fondo allo stradone c'era una scritta in bianco e nero: "Passo di Las Cruces". Cercai di mettermi al posto di Bozey: se avesse svoltato a destra e fosse andato a sud, avrebbe sicuramente incontrato il blocco stradale al confine della contea. Al nord, lo stradone l'avrebbe portato in città. Era probabile che avesse preso la strada del Passo. Infilai quella. A tre o quattro chilometri dal crocicchio, dove la strada incominciava ad arrampicarsi fra le prime alture, a una curva scorsi una luce rossa pulsare. Un'automobile nera sbarrava la strada. Fermai appena in tempo: era la Mercury dello sceriffo. Church venne verso di me con una torcia elettrica a luce rossa nella sinistra e una carabina nel cavo dell'altro braccio. «Appoggiate a destra e scendete» m'ordinò. «E tenete le mani in vista.» Poi la luce della lampada m'illuminò il viso. «Così siete ancora voi.» Rimasi perfettamente immobile sotto l'occhio rosso della torcia e quello nero della carabina. «E voi pure» risposi. «Avete visto il camion?» «Che camion?» «L'autotreno di Meyer.» «Sarei qui se l'avessi visto?» La voce dello sceriffo era impaziente, ma la collera che l'aveva invaso prima era passata senza lasciar traccia. «Da quanto tempo siete in questo punto, sceriffo?» «Da più d'un'ora.» «Che ore sono, adesso?»
«Le una, o poco più. Volete sapere altro? Cosa ho mangiato a cena, per esempio?» «Sarebbe interessante.» «Non ho ancora cenato, tanto perché lo sappiate.» Si affacciò al finestrino per guardarmi. Il riflesso della torcia dava al suo viso un colore roseo innaturale. «Chi v'ha conciato a quel modo?» «Siete diventato premuroso tutt'a un tratto. Sono proprio commosso.» «Smettetela di fare il pagliaccio. E rispondete.» «Giacché siete tanto gentile, non posso rifiutarmi. Le ho prese.» Gli raccontai dove e come. «Quel rosso aveva nascosto il camion in un capannone vuoto dell'aeroporto. Ha coperto le scritte, sui fianchi dell'autocarro, con vernice all'alluminio, e ha aspettato che l'agitazione si calmasse un po'. Meno d'un'ora fa Kerrigan s'è incontrato con lui e gli ha dato via libera.» «Come lo sapete?» «Li ho visti insieme. Il rosso, che si chiama Bozey, ha passato a Kerrigan un pacchetto avvolto in carta. Probabilmente la paga.» «La paga per che cosa?» «Per aver collaborato nella rapina del camion e facilitato la fuga.» «E come può aver fatto tutto questo, Kerrigan?» Non risposi. Ci guardammo in silenzio. Sotto la falda del cappello il suo viso era imperscrutabile. «Non ce l'avete un po' troppo con lui?» mi domandò poi. «Nemmeno a me piace, quel bastardo. Ma questo non significa che sia coinvolto in un delitto.» «I fatti puntano tutti in quella direzione. Io ve ne ho comunicato alcuni, ma ce ne sono anche altri: ha ordinato un carico di whisky di cui non aveva predisposto lo smercio.» «Come lo sapete?» «Stamattina ha venduto quel suo locale, la "Scarpetta d'Oro". Lascia la moglie per un'altra donna e ha bisogno di contanti, molti contanti.» «E chi è l'altra donna?» «Non vostra cognata, se è questo che vi preoccupa. Lei sembra fuori da tutta la faccenda. La ragazza si chiama Jo Summer, aveva un contratto per cantare alla "Scarpetta d'Oro". Nelle ultime due settimane ha fatto gli occhi dolci ad Aquista, e a quanto pare aveva l'incarico di fermarlo sullo stradone. Avete prove sufficienti per prenderli tutti.» «Prove? Solo quello che m'avete raccontato voi.» «Controllate. Fermate le persone sospette prima che possano lasciare la
contea.» «Volete insegnarmi quel che devo fare?» «A quanto pare è necessario.» «Non lasciatevi dominare dalla mania di persecuzione. Posso capirvi, dopo la battuta che vi siete preso, ma ci sono cose peggiori. Non mi darei troppo da fare, se fossi in voi.» «Questa potrebbe essere una minaccia.» «Potrebbe esserlo, ma non lo è. Non sarebbe simpatico, per me, se veniste ferito nel mio territorio, ferito gravemente. E non sarebbe simpatico nemmeno per voi. Non si può far molto, quando si finisce sul fondo d'un canale d'irrigazione con una pallottola in testa.» La mia mano, nella tasca, aveva impugnato la pistola. «Una pallottola di carabina, magari?» domandai. Church strinse il calcio dell'arma. Il suo viso era impassibile, quasi assorto. «Temo che mi abbiate frainteso» disse. «Io desidero che non vi succeda niente... Seguite il mio consiglio, andate all'ospedale a farvi medicare e poi prendetevi un po' di riposo. Mi sembra d'essere stato chiaro.» «Come il cristallo. Devo smettere di importunare Kerrigan e i suoi gentili amici.» «Dovete smetterla e basta. Se continuate a darvi da fare, non posso assumermi nessuna responsabilità. Buona notte.» Si tirò indietro per lasciarmi girare la macchina e rimase a guardarmi, accanto alla sua auto, sagoma solitaria nella notte. XIII Tornai sullo stradone e m'avviai verso la città. Alcuni autocarri correvano in direzione sud, le luci dei fari protese verso il mattino come lunghe dita pallide. Bozey doveva già essere uscito dalla contea, a est o a sud. Kerrigan probabilmente filava verso il Messico. Ma quanto a Kerrigan sbagliavo. La sua trasformabile rossa era ferma davanti al Motel, col motore acceso, e dallo scappamento usciva un fumo grigiazzurro. Lasciai la macchina a una certa distanza e mi avvicinai a piedi. La Ford era vuota. Spensi il motore girando la chiavetta, che mi misi in tasca, indi estrassi la pistola. I villini del Motel erano tutti bui, meno uno. La direzione era illuminata. Girai intorno al piccolo edificio: l'uscio posteriore era aperto. Guardai dentro: mobili cromati e le solite luci al neon. Kerrigan era
a terra, prono fra il tavolo e la piccola cassaforte, aperta. Anche la sua testa era aperta, e nella gran luce chiara potevo distinguere il colore del suo cervello. Il pavimento di sughero, tutt'intorno, era inzuppato di sangue. Sollevai la testa prendendola per i corti capelli e vidi dov'era entrato il proiettile, fra gli occhi. Il foro era di medio calibro, probabilmente prodotto da una calibro 38. Gli occhi grigi, triangolari, erano fissi in una sorpresa eterna. Tornai a volgerli verso terra ed esaminai rapidamente le tasche del morto. In lontananza udii la sirena della polizia lanciare il suo richiamo al di sopra dei tetti. Kerrigan non aveva con sé né portafogli né denaro. Non c'era traccia del pacco che Bozey gli aveva consegnato, nemmeno nella cassaforte che conteneva solo conti e assegni annullati. In un punto del recinto, un motore d'auto s'accese, brontolò per un attimo, poi tacque, ma per riprendere, insistente. Lasciai il cadavere e seguii la traccia interrotta di quel rumore. Veniva da una delle rimesse prive di porta affiancate dietro i villini. Il motore gemette ancora, poi ronfò e si mantenne acceso. Corsi in quella direzione. Una piccola vettura sport con il tetto abbassato uscì, facendo marcia indietro, da una delle rimesse, passò di fianco al villino illuminato, poi filò verso lo stradone. Dietro il parabrezza scorsi il viso intento e cupo di Jo Summer. Alzai la pistola. «Fermate o faccio fuoco!» In quel momento qualcosa di pesante e ringhioso mi urtò le gambe, da dietro. Caddi. La piccola automobile mi passò rasente, gettandomi in faccia la ghiaia. Due ginocchia mi colpirono la schiena come magli, un braccio mi circondò il collo e una mano s'allungò verso la mia pistola. Non la mollai, anzi la usai per battere il gomito piegato sotto il mio mento. L'uomo che mi stava aggrappato alla schiena mugolò di dolore. La sua stretta si allentò. Usando il suo braccio come leva, me lo tirai sulle spalle: mi parve che pesasse un quintale. M'alzai in ginocchio, i muscoli tesi per lo sforzo: con uno scatto lo feci volteggiare al di sopra della mia testa e lo inchiodai a terra, sdraiato sulla schiena. Le gambe dell'uomo erano strette in stivaloni di cuoio nero, e il colore dei suoi calzoni non mi piaceva. Alla scarsa luce mi parevano oliva, come l'uniforme della polizia. Una voce strozzata parlò d'arrestarmi. Lo lasciai andare, ma alzai la pistola e gliela tenni puntata contro mentre si rimetteva in piedi. Era l'agente Braga, cugino di Tony Aquista. I suoi
denti spiccavano come un taglio lucente nel volto indio. Il respiro gli usciva sibilante di bocca. «Datemi quella pistola.» «Penso che stia meglio in mano mia Braga.» «Datemela. Vi ho visto puntarla sulla ragazza.» «Cercavo di fermarla. È della banda che ha fatto sparire l'autocarro. Siete stato molto in gamba a lasciarla scappare.» «Sentite, bastardo sbruffone di Los Angeles...» Fece un passo. Io mossi la pistola e lo fermai di colpo. «Sentite me, invece. È la ragazza di Kerrigan, e Kerrigan è là nell'ufficio, con la testa spaccata.» «È stato quello il colpo che hanno udito? Ci avete chiamato voi?» «No.» Il viso scuro dell'agente s'era fatto di legno. «Succedono troppe maledette coincidenze, qui intorno. Avete l'abitudine di trovare tutte le vittime, voi?» «Seguivo Kerrigan, e se volete sapere il perché chiedetelo allo sceriffo. Gli ho detto tutto pochi minuti fa.» «Un accidente. È verso il Passo, lo sceriffo, al blocco stradale.» «L'ho visto proprio là. E a proposito di coincidenze: Church ha l'abitudine di fare il lavoro di blocco, personalmente?» «Le domande le faccio io. Giù la pistola, ve lo dico per l'ultima volta.» «Mi dispiace, Braga, ne ho bisogno. Voglio seguire la ragazza.» «Starete qui, invece.» Si chinò e portò la mano alla tasca posteriore dei calzoni. Avevo la scelta fra sparare e lasciare che sparasse lui. Oppure potevo saltargli addosso con tutte le forze che mi restavano, nella speranza di trovare il suo mento. Lo trovai. Crollò a terra, raggomitolato. Sentii un clic dietro di me. La porta del villino illuminato si aperse. Un giovanotto spettinato, in pigiama rosso, venne avanti camminando come un sonnambulo. Gli andai incontro. «Chi siete?» «Allister Gunnison. Siete voi il poliziotto che ho chiamato? Ho sentito dei passi. Qualcuno correva.» «A che ora?» «Alle una e un quarto. Quando il rumore m'ha svegliato, per caso ho guardato l'orologio. Poi ho sentito dei passi. Qualcuno correva.» «Venivano in questa direzione?»
«No, credo che andassero verso lo stradone.» «Erano d'uomo o di donna?» «Non lo so proprio. Quando sono uscito non c'era nessuno. Dopo avervi chiamato al telefono pubblico sono tornato dentro e ho preso un luminal. Temo che mi abbia intontito o qualcosa di simile. Sono riuscito a muovermi solo adesso. Sapete, sono terribilmente emotivo: i miei nervi non possono sopportare l'eccitazione.» «Non siete il solo. La vettura sport appartiene a voi?» «La MG? Sì, è mia.» «Non avreste dovuto lasciare le chiavi appese. Ve l'hanno rubata.» «Oh, accidenti! Che disgrazia! Mia madre andrà fuori dei gangheri. Dovevo trovarmi con lei a Pasadena, domani. Fate in modo che me la rendano, agente.» Per la prima volta i suoi occhi miopi mi osservarono, notarono i segni sul mio viso, lo stato deplorevole dei miei abiti. «Ma voi non siete... siete un poliziotto?» Si portò la mano alla bocca. «Agente speciale. Vengo da Washington» dissi. «Vi teniamo d'occhio perché portate dei pigiama rossi. Stateci attento, Gunnison.» Lo lasciai che si mordeva le nocche delle dita, sbalordito. Braga si agitava, quando gli passai accanto. Per raggiungere la mia auto corsi. O per lo meno, cercai di correre e riuscii perfino a non cadere. Prima ancora d'essere giunto alla periferia della città m'ero reso conto che la mia caccia era inutile. Jo era ormai lontana. Allora decisi di andare dalla signora Kerrigan. XIV C'era musica nella casa: un nervoso dialogo tra pianoforte ed archi. Pietà di me, diceva il piano. Pietà, rispondevano gli archi. Quando bussai la musica fu interrotta. La signora Kerrigan aprì l'uscio per quanto lo permetteva la catena di sicurezza. «Chi è?» «Archer.» La sua voce e il suo sguardo erano incerti. «Ah, sì mi ricordo... Siete venuto al Motel...» «Vengo appunto di là. Vostro marito ha avuto un incidente.» «Un incidente d'automobile?» «No, d'arma da fuoco.»
«Don? È ferito gravemente?» «Molto gravemente. Posso entrare?» Armeggiò con la catena, poi riuscì a staccarla e si fece da parte per lasciarmi entrare. Indossava una vestaglia blu, di taglio severo, profilata di bianco. Ma, sotto di essa, le gambe avevano calze e scarpe. «Non potevo dormire» disse. «Forse ho avuto un presentimento. Sono stata qui ad ascoltare la musica di Bartók. Era come ascoltare i miei pensieri... pensieri delle due di notte.» Richiuse l'uscio e fece uno sforzo per riprendersi. I suoi occhi erano lievemente gonfi, per le lacrime o l'insonnia. Mi fissarono. «Anche voi siete ferito, signor Archer?» «Non ha importanza. Riuscirò a sopravvivere.» «Don è ferito gravemente?» «Quanto si può esserlo.» «Devo andare da lui, nevvero?» Si affrettò verso la scala, ma appena posata la mano sulla balaustra si volse. «Volete dire che è morto?» «L'hanno ucciso, signora Kerrigan. Non andrei laggiù se fossi in voi. Verranno qui da un momento all'altro.» «Verranno?» «Gli uomini dello sceriffo. Vorranno interrogarvi. E anch'io dovrei chiedervi qualcosa.» Mosse incerta verso il salotto e s'appoggiò al bracciolo di seta bianca di una poltrona, oscillando un poco, come un albero sottile al vento. «Concedetemi pochi secondi, vi prego. Ho ancora nella testa il concerto. Non avrei dovuto mettere quel disco, nello stato d'animo in cui ero. Mi pare d'essere rimasta vedova due volte, in una sola notte.» Alzò il capo. «Come è stato ucciso? Avete detto che gli hanno sparato?» «Nel suo ufficio, al Motel, non più d'un'ora fa.» «E io sono sospetta; non è così?» «Non per me.» «Perché no?» «Diciamo che mi piace il vostro viso. Comunque, l'avete ucciso voi?» «No.» La sua voce s'era fatta dura, più forte. «Ma non scambiate quello che provo per dolore, di nessun genere. È soltanto... confusione. Non so cosa sento e non posso dire d'essere addolorata. Don non era buono. Del resto, nemmeno io sono buona.» «Non parlate così a quelli della polizia. Loro vogliono cose semplici,
chiare; sono capacissimi d'incriminarvi come principale sospetta. È necessario che abbiate un alibi. Lo avete?» «Per quale periodo?» «L'ultima ora.» «Sono stata qui, a casa.» «Sola?» «Sola. Ho ascoltato dei dischi. Prima ho passato non so quanto tempo a raccogliere le mie perle: mi si era rotta la collana sulla veranda. Quando le ho raccolte tutte le ho gettate via. Un gesto da pazza, vero?» Si portò le dita alle tempie, delicate come conchiglie. «Don mi diceva sempre che ero pazza. Credete che avesse ragione?» «Credo che siate una buona creatura passata attraverso molte sofferenze. E mi dispiace che dobbiate affrontarne altre.» Le toccai la spalla coperta di stoffa blu, ma lei rimase rigida. «Non compatitemi, non ci sono avvezza. Preferirei essere accusata di averlo ucciso. Probabilmente proverei un vuoto minore.» «Se l'aveste ucciso, neghereste?» «No» disse lentamente. «L'onestà è l'unica virtù che mi sia rimasta. Quando, stasera, ha lasciato questa casa, ho pensato di ucciderlo. Mi ha lasciata definitivamente, capite. Ho pensato di seguirlo e sparargli alla schiena. Se avessi avuto una pistola forse l'avrei fatto, ma sarebbe stato perfettamente inutile, vero?» I suoi occhi si levarono a fissare i miei, come luci azzurre. «Chi l'ha ucciso?» «È difficile rendersene conto. Però quella ragazza, Jo Summer, era sulla scena.» «La bruna dagli occhi sadici?» Accennai di sì col capo. «È fuggita in un'auto rubata, ma questo non prova che lo abbia ucciso lei, naturalmente.» «Sarebbe un'ironia del destino. Don se ne andava per iniziare una nuova vita.» «Vostro marito si trovava coinvolto nel delitto. Era probabile che morisse di morte violenta.» «Don coinvolto?» La mia affermazione l'aveva scossa, come speravo. «Dovete sbagliarvi.» «Non sbaglio. C'entra anche la Summer, se questo può farvi piacere. Siete al corrente della rapina dell'autocarro?» «Sì. Lo sceriffo è stato qui stasera.» «Cosa voleva?»
«Non so. Non ero nella stanza quando ha parlato con Don. Ma dalle voci ho capito che discutevano. Don deve aver avuto la meglio.» «Non sapete quale fosse l'argomento della discussione?» «No. Quando Brandon... quando lo sceriffo Church è uscito, gli ho chiesto di che cosa si trattava. M'ha risposto che era per il camion rubato.» «Vi è sembrato che sospettasse di vostro marito?» «No. Era molto in collera, ma non ha detto nulla.» «Quando è stato qui?» «Verso le dieci.» «Lo conoscete bene, lo sceriffo, vero?» «Sì. È intimo della mia famiglia da anni. Mio padre e suo padre erano amici.» «M'avevano detto che ha cominciato dal nulla.» «Suo padre faceva il barbiere, se alludete a questo. Ma la differenza delle loro condizioni non ha impedito al mio d'essere suo amico.» Quando Kate Kerrigan parlava del padre c'era un cambiamento nel suo viso. «Era democratico e generoso. Ha aiutato Brandon a compiere gli studi universitari.» «E questo può avere aiutato vostro marito a spuntarla, nella discussione?» Le ci volle un minuto per comprendermi. «No» disse poi. «Brandon non si lascerebbe mai influenzare da considerazioni personali.» «Ne siete certa?» «Certissima. Lo conosco. Lo ammiro per quel che ha fatto e lo rispetto per la sua integrità. È il miglior sceriffo che mai si sia avuto nella contea. E ho conosciuto gli altri. Mio padre era giudice della Corte suprema di Giustizia.» «Vostro marito non v'ha detto niente della discussione con Church?» «No, ed è comprensibile se, come dite, era coinvolto nel delitto. Non so però come possiate esserne tanto sicuro.» «Ho parlato con quella Summer stasera. Non sapeva chi ero e ha detto più di quanto non intendesse. Sono coinvolti anche lei ed un certo Bozey. Forse avrete visto questo Bozey con vostro marito, qualche volta: è un giovanotto dai capelli rossi e gli occhi da cane rabbioso. Porta una giacca di cuoio, da pilota.» «No, non l'ho mai visto.» Ma la descrizione parve rendere la cosa reale ai suoi occhi, per la prima volta. «Non può essere vero! Ieri Don è stato al Motel con me.»
«Tutto il giorno?» «Nel pomeriggio. È venuto dopo colazione per mettere a posto i registri. Poi s'è messo a bere nell'ufficio. Da qualche tempo beveva molto.» «Siete sicura che non abbia lasciato l'ufficio?» «Non l'ho sorvegliato a vista, si capisce. Ma sono certa che non è stato presente al delitto.» «Che fosse presente o no, era uno dei responsabili, signora.» «Possibile che abbia organizzato un omicidio a sangue freddo, per denaro? Sapevo che doveva essere nei guai, ma non credevo che fossero così gravi. Avrebbe dovuto dirmelo: gli avrei dato la casa, gli avrei dato tutto.» «Forse c'era in lui più del semplice desiderio di guadagno. La sua morte lascia adito a molti interrogativi.» «Mi pare d'aver capito che quella ragazza... Jo Summer...» «È la persona sospetta numero uno. Questo è certo. Ma le cose non sono chiare. Dovevano andarsene insieme, e lei era innamorata di vostro marito e della vita facile che le prometteva. Contavano di stabilirsi nel Guatemala.» «Come lo sapete?» Il volto della donna era una maschera d'angoscia. «Me l'ha detto lei, e non mentiva. Può darsi che s'illudesse, ma non mentiva. E non è questa, la sola cosa interessante che m'ha detto. Non è stata molto chiara, ma ha alluso anche ad Anne Meyer. Tony Aquista aveva rivelato qualche cosa sul suo conto, dopo di che vostro marito aveva modificato il progetto della rapina.» «Rivelato? Che cosa?» «Speravo di saperlo da voi, signora. La ragazza si è insospettita ed è scappata senza dirmelo.» Gli occhi della donna si spalancarono. «Perché supponete che io sappia qualcosa di Anne Meyer?» domandò lentamente. «Mi avete detto parecchie cose, sul suo conto, al Motel, prima che fossimo interrotti. Volevate che la trovassi e la seguissi. Ricordate?» «Preferirei dimenticarmene. Ero pazza di gelosia. Ma ora è passato, tutto è passato. Non c'è più nulla di cui debba esser gelosa.» «Volete dire che le è capitato qualche guaio?» «Voglio dire che mio marito è morto. Non si può esser gelosi d'un morto, vero? E poi, mi sbagliavo. Non si trattava di Anne, dopotutto.» «Si è trattato di lei, però, per un certo periodo.» «Sì, ma tutto era finito. Sono stata tratta in inganno da qualcosa che è accaduto venerdì scorso. Don ha offerto alla Meyer l'uso della nostra caset-
ta di montagna per la fine settimana. È venuta qui a prendere le chiavi, e io ho udito la... transazione.» La voce della signora Kerrigan prese un tono tagliente. «Don non aveva il diritto di farlo. La casetta è mia. Ero sconvolta.» «Dove si trova?» «Al lago Perdida. L'ha costruita mio padre più di vent'anni fa.» «Può darsi che la Meyer sia ancora là?» «Non credo. Quando non si è presentata al Motel, lunedì scorso, Don è andato lassù a cercarla per vedere cosa la tratteneva. Ma non c'era.» «Le sue affermazioni si possono controllare. C'è un telefono, lassù?» «No, non ci sono telefoni privati. È un posto piuttosto isolato.» «Vorrei il vostro permesso per visitarlo.» «Potete andarci quando volete, se lo ritenete utile.» «Come ci si arriva?» Mi diede istruzioni particolareggiate. Il lago era sul versante ovest della Sierra a due ore d'automobile da Las Cruces. «Vi darò le chiavi» terminò. «Ne avete di ricambio?» «No, ci sono solo quelle. Le ha riportate Don, lunedì sera. A quanto pare, Anne Meyer le aveva lasciate lassù.» «Vostro marito è rimasto assente tutto lunedì?» «Sì, è tornato solo molto dopo la mezzanotte.» «Ma non ha visto la Meyer?» «Ha detto di no.» «E credete che quella fosse la verità?» «Non so» mormorò lei. «Era già da molto tempo che non lo capivo più. E non gli ho chiesto cos'avesse fatto, in tutto il giorno.» Lasciò la stanza e tornò pochi minuti dopo con due chiavi Yale e alcune chiavette più piccole, appese a un anello cromato. «Eccole. Buona fortuna.» «Forse avrei più fortuna se voi non diceste a nessuno quello che avete detto a me. In particolare, non alla polizia.» «A Brandon Church, volete dire?» «Precisamente.» «Avete avuto qualche screzio anche con lui?» «È dir poco: Church mi odia. Quando l'ho conosciuto mi è parso abbastanza ragionevole, poi è cambiato. È vostro amico: sapete come la pensi?» «Non pretendo di capirlo, ma so che è buono. Mio padre aveva una gran stima di lui.» Cercò di sorridere. «Non sarà anche un po' vostra la colpa di
questa incomprensione?» «Può darsi.» «Forse lo indispettisce che un estraneo compia indagini nella contea. Brandon prende il suo lavoro con molta serietà. Ma non preoccupatevi, non gli dirò neanche una parola sul vostro conto.» Mi porse una mano sottile. «Io ho fiducia in voi, sapete. Non so perché, ma...» «Perché potete averla. Però se fossi in voi, non mi fiderei di tutti.» «Alludete ancora a Brandon, vero?» «Temo di sì. Un uomo buono che incattivisce...» Non terminai la frase. Un'automobile dal motore potente ronfò su per la collina e si fermò davanti alla casa. Kate Kerrigan andò alla finestra. «Quando si parla del diavolo...» Guardai al di sopra della sua spalla. Church era uscito dalla sua Mercury nera e si dirigeva verso la casa. Braga lo seguiva, come una grossa moglie indiana. Mentre entravano, io uscii dalla porta posteriore. Mi diressi a est verso le montagne. A pochi chilometri dai limiti della città qualcosa si ruppe come una capsula dietro i miei occhi. Qualcosa che sparse oscurità nel mio cervello e torpore nel mio corpo. Fermai l'auto di lato. Sulle colline, l'occhio da ciclope del faro frugava ancora il cielo senza stelle. Desiderai d'essere anch'io d'acciaio e mosso elettricamente. Guidai piano nel buio finché giunsi a un campeggio per turisti. Affittai una baracca dal ragazzo con gli occhi cisposi che fungeva da segretario, e dormii male per il resto della notte, lottando contro gli incubi in un letto scomodo. XV Il lago Perdida era una piccola estensione d'acqua trattenuta, a milleottocento metri d'altezza, da una diga di cemento inserita fra due montagne boscose. Era già metà mattina quando superai l'ultima curva in salita e m'affacciai ad ammirarlo, lucente fra il verde. Un vento freddo scendeva dai picchi della Sierra a incresparne la superficie e ad agitare il fogliame degli alberi. La strada seguiva i contorni del lago. Sorpassai alcune casette, un bar, una locanda; tutti gli edifici erano chiusi e sbarrati, data la stagione invernale. A metà della lunghezza del lago giunsi a una stazione di servizio che non pareva del tutto abbandonata. Mi fermai sotto il portico che ospitava il
distributore di benzina e suonai il clacson. Poiché nessuno veniva, scesi e girai attorno al piccolo edificio: trovai un cartello scritto a mano appeso alla parete di legno. "Sono andata giù in collina. Prendete l'acqua se vi occorre. Per la benzina dovete aspettare. Torno alle dieci." Riempii il radiatore fumante e ripartii. Mezzo chilometro più in là, fissata ad un albero di pino, c'era una vecchissima insegna di legno: "Craig, Las Cruces". Sotto era inchiodata una targhetta metallica assai più nuova: "J. Donald Kerrigan". Svoltai. La piccola casa di legno era su una collinetta, nascosta a chi veniva dalla strada da un gruppo d'alberi. Era costituita dal solo pianterreno e provvista d'un vasto portico. Gli anni l'avevano resa grigia. I miei passi fecero scricchiolare le assi del portico. I pesanti scuri di legno delle finestre erano spalancati. Guardai attraverso i doppi vetri in una grande stanza semibuia, dalle pareti rivestite di quercia, e distinsi un caminetto, con una pelle d'orso stesa davanti. Aprii con le chiavi che m'aveva dato la signora Kerrigan ed entrai. Dentro, l'aria era fredda e impregnata dell'odore d'un convegno. E c'erano anche altre tracce d'un convegno: un portacenere colmo di mozziconi, molti dei quali sporchi di rossetto; due bicchieri sudici di cui uno marcato da una bocca femminile. Li annusai senza toccarli: dovevano aver contenuto dell'ottimo whisky. Andai al camino e tastai le ceneri del focolare: erano fredde. Rialzandomi notai qualcosa nella pelle d'orso: una forcina da donna, verniciata di scuro. Frugai nel pelo e ne trovai un'altra. Gli occhi dell'orso erano languidi. Passai nelle camere da letto. C'era una specie di stanzone, con una mezza dozzina di cuccette allineate contro le pareti. Lo strato di polvere che copriva il suolo non era stato toccato da settimane, forse da mesi. Anche una delle camere da letto più piccole non era usata da tempo. L'altra invece doveva essere stata abitata di recente. Il pavimento era spazzato e qualcuno aveva dormito nel letto d'acero, senza poi rifarlo. Non c'erano abiti, né bagagli, nella stanza, ma sulla rustica scrivania notai parecchi oggetti: una lima da unghie, un barattolo di crema per la pelle, un paio di occhiali da sole cerchiati di tartaruga e parecchie forcine come quelle che avevo trovato in precedenza. Nel vicino bagno trovai un dentifricio, uno spazzolino da denti e un rossetto. Potevano essere gli oggetti di cui avevo constatato la mancanza nell'appartamento di Anne Meyer, a Las Cruces.
La cucina era tutta tendine di chintz e assi di pino. Sul fornello a gas liquido era rimasta una pentola con un avanzo di spaghetti. La tavola era stata preparata per due, e non sparecchiata. I piatti erano sudici. Uscii dalla porta posteriore, guardai tra le fascine ammucchiate sotto il portico, feci un giro sotto i pini dello spiazzo circostante: niente. Tornai dentro e passai nel soggiorno. Pareva che l'atmosfera delle stanze deserte si fosse incupita. C'era come una tensione malefica. Gli occhi di vetro dell'orso, davanti al fuoco spento, i mozziconi macchiati di rossetto, erano infinitamente lugubri. Uscii. Richiusi la porta, non tanto per tener fuori gl'intrusi quanto perché quell'aria tetra rimanesse dentro. Alla stazione di servizio avevano tolto il cartello. L'uscio era aperto e quando fermai la macchina s'affacciò una donna dai capelli grigi che indossava una tuta scura e aveva in testa un vecchio cappello da uomo. «Buongiorno» mi salutò. «Volete benzina?» «Sì, trenta litri.» La guardai mentre maneggiava il tubo di gomma: il suo viso era angoloso e bruciato dal sole, gli occhi avevano uno sguardo penetrante e vivo. «Venite da Los Angeles?» «Sì.» «Siete il primo cliente della giornata. Ormai la stagione è finita. Questa settimana chiuderò e scenderò al piano, prima che nevichi. Il vecchio Mac della locanda è l'unico essere umano che resista quassù, l'inverno.» Riappese il tubo sgocciolante. «Tre e un quarto» annunciò. Le diedi un biglietto da dieci dollari e lei si frugò nella tasca della tuta per cercare il resto. «In estate arrivano molti turisti, da Los Angeles. Come mai siete venuto così tardi, voi?» «Solo per dare un'occhiata. Immagino che dalla valle venga parecchia gente, vero?» «Certo. Salgono quassù per sfuggire al caldo. Gente di Fresno, Bakersfield, Las Cruces. Anch'io abito a Fresno, in inverno. Mio figlio frequenta l'università.» «Buon per lui.» «Ralph è un bravo ragazzo» dichiarò, come rimbeccando qualcuno che le avesse detto il contrario. «Mi apprezza, riconosce quel che faccio per lui. E non ha paura di lavorare. M'ha aiutato tutta l'estate, qui al distributore, e in autunno veniva la domenica. Oh, è proprio un ragazzo serio, non
come tanti che conosco.» «Fa piacere sentire d'un giovanotto come il vostro.» Stavo facendo amicizia, ma pensavo veramente quel che dicevo. «Ne incontro molti assai diversi, nel mio lavoro.» «Che lavoro fate?» «Sono un investigatore.» «Oh, dev'essere molto interessante. Cercate qualcuno, quassù?» «Precisamente. Una certa Anne Meyer. Ho qui una sua fotografia.» La donna scrutò l'istantanea della ragazza che rideva sulla spiaggia. «Sicuro» disse «me lo immaginavo. Sapevo che non avrebbe combinato nulla di buono, quel tipo.» «L'avete vista?» «Molte volte. Veniva sempre quassù con quel lazzarone che ha sposato Katie Craig.» «Kerrigan.» «Proprio. Lazzarone e donnaiolo come se ne vedono pochi. Che Katie si sia decisa finalmente a divorziare? Sarebbe un gran bene. La conosco da quando era grande così. E ho conosciuto anche il vecchio giudice. Che uomo meraviglioso! Quando penso che Katie ha sposato un uomo come Kerrigan mi sento stringere il cuore. La casetta del giudice è diventata un... un nido di concubine. Ecco cosa.» Il viso della donna era arrossito sotto l'abbronzatura. «Chiacchiero troppo» brontolò, fissando la foto che aveva in mano, come per concentrare su di essa le sue emozioni. «Quando avete visto per l'ultima volta questa ragazza?» «Lunedì, mi pare. Era molto che non veniva, e ha passato qui la vacanza di fine settimana. Mi sono meravigliata di vederla.» «Perché?» «Quel Kerrigan ne ha un'altra: ecco perché.» Lanciò uno sguardo intollerante in direzione, su per giù, della locanda. «L'estate scorsa era diverso. Questa sfacciata veniva qui con lui quasi tutte le settimane. Son proprio curiosa di sapere se Katie ne era al corrente. Avrei voluto perfino scriverle una lettera anonima.» «A me interessa la domenica scorsa» precisai. «Be': la ragazza è venuta sabato pomeriggio e m'ha chiesto l'acqua per il radiatore. Avrei voluto dirle d'andarsela a prendere nel lago, con tutta l'automobile. Ma Ralph non sarebbe stato contento. Era qui, e dice sempre che devo trattar bene chiunque.» «Che automobile guidava, la ragazza?»
«Una Chrysler nera trasformabile. Dio sa chi gliel'ha pagata. Cioè, lo saprà il diavolo.» «Era sola?» «Tanto per cambiare, ma era tutta in ghingheri. "È inutile far quella faccia da innocentina" ho detto fra me. "Tu aspetti un uomo, bella mia."» «Kerrigan è venuto, più tardi?» «Non so. Ma la donna non sarà certo stata tutta la domenica a lavorare a maglia. Comunque, io ho altro da fare che spiare la gente. Lunedì pomeriggio però li ho veduti. Andavano verso la locanda.» «Tutti e due? Kerrigan e Anne Meyer?» «Se si chiama così. O per lo meno Kerrigan era con una donna. Non l'ho vista bene in faccia perché aveva il cappello, ma doveva esser lei. «Sareste pronta a giurarlo?» Mi guardò, eccitata. «Certo che lo giurerò, se è per far ottenere il divorzio a Katie.» «Siete certa che non si trattasse invece della signora Kerrigan?» «No, non era lei. La riconoscerei anche se avesse la testa in un sacco di patate. Non era lei. Era questa qui» e agitò la foto. Gliela tolsi. «Chi dei due guidava?» «Lui. La ragazza era appoggiata allo schienale, con la testa voltata verso l'angolo. Per questo non ho potuto vederla bene. Non che ne morissi dalla voglia.» «Sentite» dissi. «La ragazza che avete visto in auto con Kerrigan... siete sicura che fosse viva?» La faccia della donna si deformò per lo stupore. Pareva un mastino meravigliato «Che domanda!» esclamò. «Io veramente non l'ho vista muoversi, però non pareva morta. Perché? Doveva esser morta?» «Oggi è venerdì. Da lunedì nessuno l'ha più vista. Potrebbe trattarsi d'un delitto, capite. Ce n'è un'epidemia, a Las Cruces.» «Accidenti.» Spinse il mento in avanti e si morse il labbro superiore. «Forse Ralph aveva ragione, allora.» «A proposito di che?» «Di un tale che è stato quassù sabato sera. Ha bussato alla nostra porta verso le dieci: voleva telefonare, capite. Gli ho detto che non avevamo il telefono: sulla montagna l'hanno soltanto quelli della centrale elettrica. Bene: non mi voleva credere, diceva che non lo facevo entrare perché l'avevo preso per un uomo di colore. Come se io ce l'avessi con gli uomini di colore! Non voleva credermi.»
«Che aspetto aveva?» «Be', sembrava proprio di colore a dir la verità, ma parlava in buon inglese, come voi e me. Era scuro di pelle, e coi capelli crespi, sapete bene. E aveva due occhi! Mai visti occhi così spiritati. Per fortuna Ralph era qui. Ha dovuto buttarlo fuori, letteralmente.» «Cosa voleva, insomma?» «Diceva di dover fare una telefonata urgente. Quando gli ho risposto che non avevamo il telefono, ha incominciato a dare in escandescenze. Allora Ralph è intervenuto e l'ha buttato fuori. Ma era preoccupato: temeva che quel tipo potesse diventare pericoloso. Psicopatico, mi pare che abbia detto. È studente in psicologia, Ralph, sapete? È forse quello, l'individuo che cercate?» Il viso della donna era trasfigurato dalla curiosità. «L'ho già trovato se era lui.» «E ha commesso un delitto?» «È coinvolto in un delitto.» «Chi è?» «Si chiama Tony Aquista. Ma per tornare a lunedì, avete detto che Kerrigan guidava l'auto della donna verso la locanda?» «Sissignore.» «E chi è quel vecchio della locanda?» «McGowan? È il custode.» «Li ha visti anche lui?» «Non saprei. È un mese che non gli parlo.» Strinse le labbra. «Figuratevi, ha permesso che sua nipote si mettesse con Kerrigan. Un vecchio pazzo, ecco cos'è.» «È quella, l'altra ragazza di cui avete parlato? L'amica di Kerrigan?» «Se n'è andata a Las Cruces con lui, il mese passato, e non è tornata. Voi cosa pensereste?» «Penso che si chiami Jo Summer. Giusto?» «Josephine McGowan. Si fa chiamare Jo ma il cognome non è quello.» «McGowan è alla locanda, adesso?» «A meno che non abbia cambiato vita. Non va mai in nessun posto. Scende al piano al massimo una volta l'anno.» La ringraziai delle informazioni e feci per salire in automobile. «Sentite» mi richiamò. «Cosa è successo a Las Cruces? Katie Craig sta bene?» «Stava bene, qualche ora fa. Ma suo marito no. È morto.»
«È lui, quello che hanno ucciso?» «Uno di quelli.» «Ma Katie non c'entra, vero?» «No», risposi. «Non c'entra.» «Grazie a Dio. Ho sempre avuto un debole per quella figliola, anche se è un paio d'anni che non la vedo. Quando era grande così le ho insegnato a legare le mosche.» Gli occhi della donna s'erano illuminati, al ricordo. «È incredibile come passano gli anni e quante sofferenze portano alla gente. Io lo so, quanto ha sofferto Katie.» Anch'io lo sapevo. XVI La locanda era un edificio a due piani con la facciata di mattoni scuri. Le sue finestre chiuse parevano sonnecchiare al sole. Dietro, il fianco della montagna saliva ripido e in distanza le alte Sierras elevavano le cime calve verso il cielo. Lasciai la macchina di fronte alla veranda rustica e seguii il sentiero che girava intorno alla casa. Da dietro un grosso abete spuntò zoppicando un uomo in tuta, con la barba grigia, e gli occhi neri e lucenti sotto le folte sopracciglia. «Il signor McGowan?» chiesi. Si grattò il mento. «Così mi chiamo. E voi?» «Archer. Lew Archer. Sono un investigatore privato. Lavoro con la polizia, stiamo ricercando una persona.» «Una persona?» Pronunziava le parole con lieve accento scozzese. «Una donna di Las Cruces.» «Che donna? Non Josephine?» «Chi è Josephine?» Un'espressione sospettosa gl'increspò la pelle intorno agli occhi. «Non direi che sia affar vostro, scusatemi.» Abbandonai per il momento la faccenda di Josephine. «La donna scomparsa si chiama Anne Meyer. La proprietaria della stazione di servizio l'ha veduta quassù alla fine della settimana scorsa e penso che voi possiate aiutarmi.» «Pensa troppo, quella donna. Ma sempre meno di quel che dice.» «Ha visto la ragazza in macchina con Kerrigan, lunedì pomeriggio. Venivano in questa direzione. Conoscete Donald Kerrigan?»
«Dovrei conoscerlo» brontolò cupamente. «Sì, li ho visti. Son passati di qui: andavano verso i pascoli.» «Potete descrivermi la donna?» Dondolò la testa bianca. «Non mi sono avvicinato abbastanza. Doveva esser giovane, però. Aveva un vestito marrone e una specie di buffo cappellino in testa. Mi pare che i capelli fossero scuri.» «Avete notato tutto questo mentre l'automobile passava?» «Non fatemi dire quello che non ho detto.» S'appoggiò con la schiena all'albero e guardò in alto, nel folto dei rami. «Scusatemi, forse vi ho frainteso.» «Ho visto Kerrigan passare in automobile e non mi sono curato della donna che c'era con lui...» S'interruppe e tossì con la mano alla bocca. «Ho una faccenda da aggiustare con quell'uomo, una faccenda privata, e ho pensato che forse avrei potuto dirgli due parole. Non poteva andare molto lontano, per di qua, di conseguenza l'ho seguito a piedi. Purtroppo non cammino bene da quando mi son rotto l'anca. Una volta sì, che andavo come il vento.» Gli mostrai la foto di Anne Meyer per riportarlo all'argomento che mi stava a cuore. «È questa, la donna che era con Kerrigan?» «Può darsi» rispose, lentamente «e può anche darsi di no. Vi ho detto che non l'ho vista da vicino. Quando ho raggiunto la cima della collina, dietro le stalle, li ho veduti tra gli alberi. Erano nella valletta, vicino al serbatoio, e scavavano una buca.» «Cosa facevano?» «Non c'è bisogno di gridare: ci sento benissimo. Scavavano una buca; ho detto.» «Che genere di buca?» «Una buca qualsiasi. Ho pensato che avessero sparato di frodo a qualche cervo e che volessero seppellirlo. Ho gridato di smettere, che quella è proprietà privata: forse avrei dovuto tacere e raggiungerli alle spalle. Ma a furia di stare sempre solo vado facilmente in bestia.» «In special modo con Kerrigan?» «Lo conoscete, eh? Avreste dovuto vedere che salto ha fatto, quando ho gridato. È corso all'auto, con la donna alle calcagna. La macchina era ferma dall'altra parte del serbatoio, dove la strada gira e torna indietro, così non ho avuto la possibilità di beccarli. Ci ho guadagnato una bella pala, però.» Sogghignò soddisfatto. «Volete vederla?» «Vorrei piuttosto vedere la buca. Possiamo arrivare fin là, in macchina?»
«Credo di sì, però vi avverto che non c'è molto da vedere. È una buca qualunque. Naturalmente, se non ne avete mai viste...» Fece una risatina stridula. A poche centinaia di metri dalla locanda la strada diventava un viottolo sassoso. Passammo vicino a uno spiazzo assolato, con varie stalle e un recinto per il bestiame. Al di là di esso, il fianco boscoso della montagna si eleva ripido. La macchina prese ad arrampicarsi faticosamente. Ci fermammo in un tunnel verde, sotto i grandi alberi, e scendemmo. «Laggiù» disse McGowan. Mi accompagnò in una specie di conca seminascosta fra la vegetazione. La buca era lunga quasi due metri e larga poco più di mezzo. Aveva all'incirca la forma d'una tomba, ma non era profonda. Mi misi in ginocchio e tastai il fondo con le dita: era compatto. Accanto c'era un monticello di terra sabbiosa mista ad aghi di pino. «Vi avevo avvertito che non c'era molto da vedere» bofonchiò il vecchio, alle mie spalle. «Chissà cosa credevano di fare. Forse volevano scavare un tesoro.» Mi alzai e mi volsi verso di lui. «Chi scavava, dei due?» «La ragazza.» «Kerrigan le teneva una pistola puntata contro?» «Non posso dire d'aver visto, ma può darsi che l'avesse in tasca. Era qui dove sono io, con le mani in tasca. Proprio il genere di cose che può far lui, lasciare il lavoro pesante a una donna.» «Quando sono corsi via, Kerrigan è scappato per primo, avete detto?» «Precisamente; dovevano essere anni che non filava a quella maniera, ci scommetto. Lei faceva fatica a stargli dietro. Anzi, ha perfino inciampato prima di raggiungere la strada.» «Dove?» «Ora ve lo faccio vedere.» Risalimmo la valletta verso il punto dove la strada girava. Il vecchio mi indicò un fossatello cespuglioso. «Proprio qui» dichiarò. «Quando è caduta, lui era già in auto. Non è nemmeno sceso per aiutarla, quel porco.» «Non vi è simpatico, Kerrigan, vero?» «Nossignore. E ho i miei motivi. Non mi piace parlarne, ma è una faccenda di famiglia, riguarda mia nipote, una ragazzina...» Vide che non l'ascoltavo e s'interruppe. Avevo scorto qualcosa fra il frascame: il tacco di una scarpa da donna, incastrato fra due sassi. Dalla parte alta sporgevano parecchi chiodi. Lo liberai. Era un tacco di media altezza,
ricoperto di pelle marrone. «Deve averlo perso la donna» disse McGowan. «Ho notato che zoppicava, dopo aver inciampato. Pensavo che si fosse fatta male.» «Da che parte sono andati, dopo?» «C'è solo questa strada.» E mi indicò il sentiero dal quale eravamo venuti. Dal punto in cui mi trovavo si distingueva il celeste del lago, fra gli alberi. Più in basso, molto più in basso, si stendeva Las Cruces. Non potevo vederla, ma sapevo che c'era, con i suoi cinquantamila abitanti. Guardai il tacco che avevo in mano e mi chiesi chi dei cinquantamila fosse Cenerentola. XVII Riportai indietro McGowan. Abitava dietro la locanda, in una casetta scura, col tetto a punta, da chalet svizzero. Con mia meraviglia m'invitò a prendere il tè. Il tinello aveva un'atmosfera tranquilla e vecchiotta, coi suoi mobili antiquati color tabacco. Su un tavolino, accanto ad alcune vecchie copie del "Punch", c'era una piccola radio. Alle pareti, molte fotografie riproducenti scene e personaggi di vent'anni prima. Mi avvicinai a guardarle: i sorrisi delle persone ritratte avevano una innocenza d'anteguerra. Il vecchio uscì zoppicando dalla cucinetta. «Accomodatevi» disse. «Siete molto gentile.» «Mi piacciono, le visite: passano mesi, certe volte, senza che si veda un'anima.» «State qui tutto l'inverno, da solo?» «Sicuro.» «Io non potrei resisterci.» «Quando si è vecchi, si prova una certa soddisfazione a starsene soli, e a non aver bisogno di nessuno. Non ho più voluto compagnia, da quando mia moglie è morta.» M'indicò un ingrandimento col pollice. «Non avete avuto figli?» Ci tenevo a tornare sull'argomento della nipote. «Sì, un maschio. Oggi avrebbe su per giù la vostra età. È morto in un incidente di lavoro a Terminal Island. E dire che l'avevano esentato dal servizio militare perché lavorava in un cantiere navale. Quand'è morto era già molto che non lo vedevo: s'era sposato con una filippina, e la cosa non m'era andata a genio.» Ormai McGowan non badava più a me, assorto nelle sue reminiscenze.
«Non è stata colpa di Jo, se è cresciuta come una selvaggia. Sua madre si è rimaritata con un filippino, e la ragazza è cresciuta per le strade di Long Beach.» «Parlate di vostra nipote?» «Sicuro. Vive a Las Cruces, adesso. La conoscete, per caso?» «Può darsi» dissi, indifferente. «Come si chiama?» «Non ricordo il nome di suo marito; lei si fa chiamare Jo Summer. È una specie di nome d'arte: vuol fare la cantante. Non l'avete mai sentita in quel club notturno... la "Scarpetta d'Oro"?» «No, ma l'ho conosciuta.» Si protese verso di me, facendo scricchiolare la poltrona. «Che ne pensate di quel posto? È un locale equivoco, vero?» «Temo di sì.» «Gliel'ho detto anch'io. Una giovane signora non dovrebbe esibirsi in un locale pubblico, a quel modo. E poi, non con un principale come Kerrigan. Ma non ha voluto ascoltarmi. Io sono troppo vecchio e lei è troppo giovane: non ci comprendiamo. Mi considera un idiota, e forse lo sono. Stava bene, quando l'avete vista?» Non dovetti rispondere. Il bricco cominciò a borbottare e a fischiare, in cucina. McGowan andò a prenderlo. Mentre preparava il tè decisi cosa dovevo dirgli. Mi versò la bevanda, scura e amara come i miei pensieri. «Un buon tè» commentai. Ammiccò, al di sopra della tazza di vecchia porcellana, decorata a fiorellini rosa. Bevve, poi la depose sul tavolo con delicatezza. «Dovreste sentirla cantare, mia nipote» riprese, con aria assorta. «Non quelle porcherie moderne: le vecchie canzoni che piacciono a me, come Annie Laurie. Quando è venuta a trovarmi l'ho fatta cantare.» «È stato di recente?» «Il mese scorso, verso i primi di settembre. Ha portato con sé il marito.» Mi fissò, con i suoi occhi scuri. «Conoscete anche lui? Non ricordo come si chiama.» «Che aspetto ha?» «Non ricordo bene neanche quello, per essere sincero. È un rosso...» «Bozey?» «Proprio. Lo conoscete, eh?» «Non troppo bene.» «Che tipo è?» Il viso del vecchio s'indurì. «Vi dirò perché ve lo chiedo.
Non si comportava come un giovane deve comportarsi in luna di miele.» «Era la loro luna di miele, allora?» «Così m'hanno detto. Ma io ne dubito. È una brutta cosa, ma certe volte dubito perfino che siano sposati. Lui non la trattava col dovuto rispetto. Vanno d'accordo?» «Non so. So solo che lui è un tipo svelto con le mani. Vedete i segni che ho in faccia? Me li ha fatti Bozey.» «Con un pugno di ferro, vero?» «Non ditemi che le ha date anche a voi.» «Non ha potuto» ringhiò McGowan. «L'ho sbattuto fuori, armi e bagagli, prima che ci si potesse provare. Ma c'è mancato poco.» «Com'è andata?» «È stato il giorno che son partiti. Io facevo il mio bucato. I ragazzi erano fuori, da qualche parte. Ho aperto la loro valigia per vedere se c'era qualcosa da lavare. Avvolti in una camicia sporca ho trovato una pistola automatica e un paio di pugni di ferro. Non m'è piaciuta la cosa. Ho frugato ancora e ho trovato il denaro, proprio in fondo.» «Denaro?» «Sicuro. Una quantità, avvolto in un giornale vecchio. Biglietti grossi, anche. Migliaia di dollari, dovevano essere. Non m'è sembrato normale che, con tutti quei soldi, non si fossero concessi il viaggio di nozze in albergo, così, quando sono tornati, ho domandato a Bozey cos'era quel denaro. E i pugni di ferro. E la pistola.» «Siete stato coraggioso.» «Avevo preso le mie precauzioni. Mentre parlavo con lui tenevo il fucile sulle ginocchia. Aveva l'aria di volermi far fuori, ma il fucile l'ha tenuto a distanza.» «Cos'ha detto?» «Non gran che. Si è limitato a bestemmiare e a darmi qualche titolo poco onorifico, poi è andato in camera da letto, s'è preso la valigia, l'ha caricata nell'auto e se n'è andato. Jo non voleva, ma lui non le badava. L'ha lasciata qui come una scarpa vecchia. Non si può nemmeno biasimarla se dopo quel trattamento s'è messa con Kerrigan.» Una espressione di perplessità corrugò la fronte del vecchio. «Ma ora dite che è tornata con Bozey?» «Più o meno.» «È un ladro, o qualcosa di simile?» «Qualcosa di simile. Non vi ha mai parlato dei suoi precedenti?» «Non molto. È stato qui solo un paio di giorni. Lasciatemi pensare. Ha
accennato al Nuovo Messico, una volta o due, e alle relazioni che aveva ad Albuquerque.» «Che genere di relazioni?» «D'affari. Mi pare che abbia parlato di un commercio di liquori. Ma io sapevo che era un fanfarone e non sono stato ad ascoltarlo troppo.» «Avreste dovuto informarvi da Jo, dopo la partenza di Bozey.» «Nemmeno lei sapeva gran che. L'aveva conosciuto soltanto la settimana prima, a Los Angeles. Ho cercato di convincerla a non tornare più con Bozey.» Si agitò, a disagio. «Forse farei bene ad andare ancora da lei.» «Potrebbe darsi che vi toccasse andare molto lontano.» Mi guardò, senza capire. «Signor McGowan, come state di salute? Il cuore funziona bene?» Si batté sul petto, fieramente. «Benissimo. Perché?» «Vostra nipote è in un guaio.» «Jo in un guaio? Un guaio serio?» «Sì. È ricercata per furto d'automobile e implicata in un omicidio. Kerrigan è stato ucciso la notte scorsa con un colpo di pistola, e io l'ho vista fuggire dal luogo del delitto.» Restò in silenzio per molto tempo. I minuti passavano, l'uno dopo l'altro. Il corpo del vecchio pareva farsi sempre più piccolo, nella poltrona. «Mi avete ingannato» mormorò infine. «Perché non me l'avete detto subito?» «Non volevo farvi del male.» «Farmi del male?» La bocca gli si torse in una smorfia. «Sapevo che Jo avrebbe finito per cacciarsi in qualche brutta faccenda. Ho fatto di tutto per impedirglielo. Sono andato a Las Cruces, ho tentato di separarla da Kerrigan: da Kerrigan e da quella sua città... Quando s'è visto il mondo come l'ho visto io...» Una brusca mossa del vecchio fece cadere la teiera, che si infranse sul pavimento. M'inginocchiai a raccogliere i cocci. Era il meno che potevo fare, o forse il più. «Lo ha ucciso lei?» chiese con voce esile, chino su di me. «Non so.» «Avete detto che ha rubato un'automobile. Perché l'ha fatto? Io le avrei dato il denaro, tutto quello che ho.» «Le occorreva un mezzo per fuggire, lì per lì. Forse aveva intenzione di venire qui da voi.» Scrollò lentamente il capo. «Non è venuta.»
Terminai di raccogliere i pezzi di sottile porcellana bianca e li misi sul tavolo. «E suo marito? Se veramente lo è.» «È ricercato lui pure, per aver trafugato un camion di whisky. L'autista è stato ucciso.» «Un altro morto?» «Purtroppo sì. Non avete idea di dove possa essersi rifugiato Bozey? E Jo?» «No.» Mi fissò pensoso. «E la donna scomparsa, quella che ha perso il tacco, cosa c'entra in tutto questo?» «È ciò che debbo appurare con altre cose.» M'alzai anch'io e andai verso la porta. «Torno a Las Cruces. Posso darvi un passaggio?» «Grazie, ma per il momento ho bisogno di riflettere: devo abituarmi a quello che m'avete detto.» «Se Jo si farà vedere, mi avviserete? Potrete comunicare con me per tramite della signora Kerrigan.» «Non so se troverei il coraggio di farlo» mormorò. «Comunque, lei non verrà.» Mi aprì la porta. Il sole gli si avventò sul volto. XVIII Tornai in giù, guidando assorto, nel silenzio verde del lungolago. Passando davanti alla casetta dei Kerrigan vidi ferma all'ingresso la trasformabile rossa. La signora Kerrigan mi faceva cenno da dietro il cristallo del parabrezza. Lasciai l'auto sul lato della strada e andai verso di lei. Era molto elegante, in nero. A parte gli occhi e la bocca, il suo viso era privo di colore. «Non mi attendevo di vedervi» le dissi. «Sally Devore, la donna del distributore di benzina, m'ha detto dove eravate. Vi ho aspettato.» «Per le chiavi?» Trassi il mazzo di chiavi e glielo porsi attraverso il finestrino. «Non sono venuta per questo, ma ora che mi trovo qui, vorrei visitare la casetta. Venite con me?» «Non entrerei, se fossi in voi.» «C'è lei? Ho bussato, ma nessuno ha risposto.» «No, non c'è. Anne Meyer è scomparsa, come aveva detto vostro mari-
to.» «Ma aveva mentito a proposito di lunedì: la signora Devore li ha visti assieme.» «Già. E li ha visti anche il vecchio McGowan della locanda. Li ha sorpresi nei boschi a fare una cosa strana: lei scavava una buca nel terreno e vostro marito la guardava.» «Una buca? Non capisco.» «E io nemmeno. Posso salire con voi?» «Certo, accomodatevi.» Si spostò, lasciandomi il volante. Sedetti e le mostrai il tacco rivestito di pelle marrone. «Lo riconoscete?» Lo prese e l'osservò alla luce. «Mi pare di sì. Di chi dovrebbe essere?» «Dovete dirmelo voi.» «Di Anne Meyer?» «Lo sapete o lo immaginate?» «Non posso esserne assolutamente certa, ma mi pare che venerdì scorso calzasse scarpe di questo genere. Dove l'avete trovato?» «Nei boschi. Pare che l'abbia perduto quando McGowan li ha sorpresi, spaventandoli.» «Capisco.» Lasciò cadere il tacco nella mia mano come se fosse stato verniciato di fresco. «Perché avrebbero dovuto scavare una buca nei boschi?» «Non avrebbero. Lei sola scavava. Lui stava a guardare. Questo crea molti interrogativi, e forse anche una risposta. Certi assassini sadici costringono le proprie vittime a scavarsi la tomba. Se aveva intenzione di ucciderla...» «Ma è incredibile.» Le parole uscirono dalla bocca di Kate come un'esplosione. «Don non può aver fatto una cosa simile.» «È solo una possibilità che mi si era presentata alla mente.» Le offersi una sigaretta, che lei rifiutò, e ne accesi una per me. «Lunedì sera quando è tornato a casa, l'avete visto?» «Sì. Era molto tardi, ma non dormivo ancora.» «Non vi ha detto nulla?» «Non ricordo. No. Ero a letto. Don è rimasto in piedi a bere. L'ho sentito girare per la casa, a lungo. Poi ho preso il sonnifero.» Mi posò una mano sul braccio. «Come potete dire che Don l'ha uccisa? Non sapete nemmeno se è morta.» «Ci son dei brutti segni. Se non è morta, dov'è?»
«Lo chiedete a me?» La pressione della sua mano mi fece quasi male. Gli occhi erano d'uri azzurro tragico. «Non crederete che sia stata io a ucciderla! Sono restata in casa tutto lunedì e posso provarlo. Ho avuto a pranzo un'amica che è rimasta con me tutto il pomeriggio. Marion Westmore, la moglie del procuratore distrettuale. Organizzavamo una vendita di beneficenza, figuratevi!... Come sembra lontano, tutto questo, adesso! E dire che son passati solo quattro giorni. Non avete mai provato la sensazione che il tempo si sia fermato? Di vivere nel vuoto, senza passato, né futuro?» «Una volta, quando mia moglie se n'è andata via. Ma non è durata. Vedrete che passerà presto anche per voi.» «Non sapevo che foste sposato. Perché se n'è andata, vostra moglie?» «È stato molto tempo fa. Diceva di non poter resistere alla vita che facevo. Davo troppo agli altri e non abbastanza a lei. Penso che in un certo senso avesse ragione, ma in realtà tutto si riduceva al fatto che non eravamo più innamorati. O almeno, uno di noi non lo era più.» «Chi?» «Meglio non parlarne. Esumare i cadaveri è sempre una brutta faccenda.» Rimase in silenzio per un po' guardando verso il lago che pareva un frammento di cielo caduto fra gli alberi. «Come mai siete venuta quassù?» le chiesi. «Non lo so con precisione. Forse volevo solo rivedervi.» Aveva distolto il viso e non mi guardava. «È una confessione orribile da farsi a un uomo?» «Orribile. Mi sconvolgete, Katie.» «No, non ridete di me. Non c'è niente di buffo. Brandon Church mi ha spaventata, quando è venuto a parlarmi stanotte... stamattina. Sembrava così diverso... sembrava quasi che non mi conoscesse: mi ha trattata da estranea. Ho pensato che avesse preso qualche droga, o che stesse impazzendo. E poi quell'altro, quell'agente spagnolo...» «Braga?» «Sì. Ha detto che vi avrebbe sparato contro a vista, e Brandon non ha cercato di calmarlo. Ha fatto come se non avesse udito.» «Probabilmente l'idea gli piace.» «Ma perché? Cosa sta succedendo a tutti quanti?» «Vorrei saperlo anch'io. Ma ora vi farò qualche domanda a proposito di vostro marito e di Anne Meyer, se vi sentite di parlarne.»
«Mi sento» rispose dopo una pausa, in tono neutro. «Va bene. C'erano ancora dei rapporti fra loro?» «Non credo. Don mi disse che aveva rotto con lei, già da mesi. E una volta tanto ritengo che dicesse la verità. Quando li ho visti insieme, al Motel, non si comportavano come se...» La sua voce si ruppe. «Come se fossero ancora amanti?» Annuì. «Sapete perché si siano separati, ammesso che lo fossero?» «Si sarà stancato di lei... si stancava facilmente. O Anne di lui.» «Ma erano rimasti amici?» «Sembra. Anne aveva continuato a lavorare al Motel. Poveretta, mi ha sempre fatto compassione. La conoscevo bene, da quando frequentavamo la stessa scuola. Già allora aveva una cattiva reputazione, e non si poteva nemmeno dire che fosse colpa sua. La madre era morta mettendola al mondo, e il padre era un uomo bestiale, proprio bestiale. L'aveva presa in odio, la batteva e la maltrattava. Mio padre ha dovuto intervenire, nella sua qualità di giudice. Per fortuna Hilda ha sposato Brandon e la ragazza è andata a star con loro. Per qualche tempo ha vissuto tranquillamente, poi s'è impiegata e ha lasciato la sorella per mettersi da sola. Da allora ha condotto una vita molto libera.» «E adesso è scomparsa.» Improvvisamente Kate si girò sul sedile e guardò verso la casetta. «Non volete venire dentro con me? Voglio vedere in che stato è ridotta. Ho intenzione di venderla.» «Fareste meglio a non entrare.» «C'è forse il cadavere...» «Niente di tutto ciò. Ma l'insieme non vi piacerebbe. Anzi, sarà meglio che mi rendiate le chiavi.» «Non capisco.» Però tolse il mazzo dalla borsetta di camoscio nero e me lo consegnò. «Perché le volete?» «Le affiderò alle autorità, se riesco a trovare un poliziotto onesto, a Las Gruces. Voi dovreste conoscerne qualcuno, dato che vostro padre era giudice.» «Pensavo che Brandon fosse onesto. Credo ancora che lo sia, quando è se stesso.» Si morse le labbra. «Perché non andate da Sam Westmore?» «Il procuratore distrettuale?» «Sì. Sam e Marion sono miei vecchi amici. Ci si può fidare di lui. Però... credete che sia sicuro, per voi, tornare in città?» «Non so, ma potrebbe essere interessante.»
«Siete coraggioso» mormorò con voce chiara e sottile. «Non coraggioso: testardo. Non mi piace che i delinquenti se la cavino troppo facilmente. A costo di correr dei rischi.» «Ma starete attento, vero?» La sua voce era sognante, quasi infantile. Gli occhi di genziana mi fissavano, larghi e umidi. Si chiusero. Presi la sua testa fra le mani e le baciai la bocca. Il cappello le cadde, ma lei non cercò di trattenerlo. Il capo scoperto si appoggiò sulla mia spalla come un biondo uccello dalle piume arruffate. La sentivo ansimare. «Li prenderete» disse. «Se prima non prendono me, Katie.» «Come sapete che il mio nome è Katie? Da tanto tempo nessuno mi chiama così.» Non risposi. Una spiegazione non avrebbe fatto che sciupare quel momento. A ogni modo esso ebbe fine. Lei si ritrasse, e quando cercai di raggiungere la sua bocca distolse il capo. «Mio Dio» fece stridula. «Ho bisogno d'essere tenuta d'occhio, vero? Vi avevo detto di non compatirmi troppo. Sono pronta a piangere sulla prima spalla che mi si offre.» La trasformabile rossa seguì la mia auto giù per la montagna. Continuavo a ricordare il sapore della bocca di Katie. XIX Trovai Meyer in un cubicolo in fondo al suo magazzino, ozioso davanti alla scrivania cosparsa di fatture. Mi guardò come se la mia vista gli facesse male agli occhi. «Cosa vi è successo?» «Mi sono tagliato sbarbandomi.» «E cosa avete adoperato, una falce? Incominciavo a credere che ve ne foste andato coi quattrini, ma forse sarebbe meglio. Brand vuole che vi tolga l'incarico.» «E allora?» «E allora niente. Non prendo ordini da nessuno, io.» Si protese in avanti, con un sogghigno sul viso da vecchia volpe. «Solo, se fossi in voi farei in modo da non attraversargli più la strada. Irritarlo può essere pericoloso,
sapete.» «Può essere pericoloso anche irritare me.» «Può darsi, ma lui è sceriffo. Dove siete stato?» «Al lago Perdida.» «E perché? È tutto il giorno che vi cerco, e non sono il solo. Il procuratore distrettuale vuol vedervi. Mentre ve ne andavate in giro, c'è stato qualcosa di nuovo. Sapete che la Buick trovata all'aeroporto...» «L'ho trovata io.» «Comunque, hanno rintracciato quello che l'ha venduta, a Los Angeles. Quel rosso... come si chiama?» «Bozey.» «L'ha comperata verso i primi di settembre, usata, pagandola in contanti, con biglietti da cinquecento dollari. Ma quando il venditore ha voluto versare i denari in banca, il cassiere lo ha fermato.» «Erano soldi rubati?» «A una banca di Portland, in una rapina dello scorso agosto. I numeri delle banconote sono stati segnalati a tutte le banche. Un colpo grosso: più di ventimila dollari.» «Bozey ha svaligiato una banca per ventimila dollari?» Meyer annuì. «Ci sono duemila dollari di taglia sulla sua testa. Questo vi dovrebbe interessare, no? Ma cosa siete andato a fare al lago? Forse a pescare, invece di guadagnarvi il mio denaro?» Fui sul punto di dirgli il fatto suo. Mi trattenne un solo pensiero: volevo aver più tempo a disposizione, per lui. «Può darsi» dissi. «Infatti ho pescato qualcosa.» Deposi il tacco marrone sulla scrivania. «Appartiene a vostra figlia Anne?» Lo prese e l'esaminò, rigirandolo fra le dita. «Non saprei, non bado mai a quello che portano le donne. Di dove viene?» Glielo spiegai. «Brutto affare» borbottò. «Che ne pensate?» Sedetti su uno sgabello appoggiato alla parete e accesi una sigaretta. «Ho l'impressione che stesse scavando una tomba. Non so se fosse per lei, o per altri.» «Per Kerrigan?» «No di certo. Lui sovrintendeva al lavoro.» «Mi pare assurdo. Siete certo che fosse Anne?» «Ho un paio di testimoni. Nessuno dei due ha fatto un'identificazione precisa, ma ritengo che sia per cautela. Se questo tacco è di Anne non a-
vremo più dubbi.» Lo prese ancora e si grattò il mento coi chiodi che ne sporgevano. «Hilda dovrebbe saperlo.» Sollevò il ricevitore del telefono e formò un numero. «Pronto, Brand. C'è Hilda?» L'apparecchio gracchiò negativamente. «Sai dov'è?» La voce dello sceriffo era modificata dal passaggio attraverso i fili, ma si riconosceva. «No, non lo so.» Disse qualcos'altro, ma troppo piano perché io potessi capire. Meyer ascoltava. «Cosa? Personalmente credo che faccia un grande sbaglio. Glielo dirò, se la vedo.» Riappese. «Brand dice che Hilda se n'è andata, lo ha lasciato. Ha preso la sua roba e via.» «Vi ha spiegato il motivo?» «No. Ma so che non andavano troppo d'accordo. Un tempo lei si lamentava d'essere trattata con crudeltà. Poi ha smesso di parlarne. Crudeltà mentale, intendiamoci. È arrivata agli estremi.» «Cioè?» «Ha tentato d'ammazzarsi. Ha preso una manciata di pastiglie di sonnifero. Brand ha cercato di farlo passare per un incidente, ma io ho saputo tutto. È stato nei primi anni del loro matrimonio.» «Perché può averlo fatto?» «Forse, le avrà reso la vita impossibile, non so. Non capisco le donne, e le mie figlie meno delle altre. Non riusciamo nemmeno a parlare: se io dico bianco, loro dicono nero...» «Dove può essere, Hilda?» gli chiesi, annoiato da quegli sfoghi. «L'avrò in tasca!...» «Potreste provare a casa vostra.» «Già» fece dubbioso. Riprese il ricevitore e formò un numero. All'altro capo della linea ci fu uno scatto. «Hilda? Sei tu? Cosa diavolo fai a casa mia? No, ascolta; voglio parlarti e Archer ha qualcosa da farti vedere. Veniamo subito.» Seguii la Lincoln del vecchio per le strade della città. Di giorno la casa di Meyer era ancora più brutta, con la facciata screpolata e le finestre chiuse, a poca distanza dalle vecchie auto sconquassate. Se Hilda Church non aveva esitato a barattare la sua abitazione con quella, nel suo matrimonio doveva esserci davvero qualcosa che non andava. Ci aprì quasi subito la porta. Meyer la squadrò dall'alto in basso, poi entrò senza una parola. «Come state, signor Archer?»
«Potrei star meglio. E certe volte sono stato peggio. E voi?» «Benissimo, grazie.» Ma aveva l'aria d'aver passato una cattiva notte. I suoi occhi verdi erano spenti e sotto c'erano chiazze bluastre. Sorrise, con finta allegria. «Entrate, prego.» Mi fece strada verso il soggiorno. Il suo modo di muoversi, un po' goffo, faceva pensare a una fanciulletta ancora non avvezza al proprio corpo di donna, minacciato dagli angoli aguzzi del mondo. Sedetti sul vecchio divano davanti al camino. Le ceneri non c'erano più. L'intera stanza era stata scopata e rimessa in ordine. Meyer non parve accorgersene, e sua figlia lo guardò con rimprovero, asciugandosi le mani. «Ti ho pulito la casa, babbo.» «Non c'era bisogno che venissi qui a lavorare» rispose lui, senza guardarla. «Faresti meglio a startene a casa tua e badare a tuo marito.» «Non ci tornerò più» dichiarò Hilda, recisa. «Se non mi vuoi qui, andrò a stare da sola, come Anne.» «Quella di Anne è un'altra faccenda. Lei non ha legami e poi sa mantenersi.» «Anch'io potrò mantenermi, se tu non vorrai pensarci.» «Non è questo. Se sei decisa a star qui, stacci pure. Ma cosa dirà la gente?» «Che gente?» «Tutti.» Meyer fece un ampio gesto. «Tutti quelli che votano per Brand. Non farà buon effetto vedere una famiglia sciogliersi in un momento come questo.» «Io non ho famiglia.» «Potresti averla, se volessi. Non sei ancora vecchia.» «E tu che ne sai?» ribatté lei. «Comunque, non ho intenzione di tornare. Si tratta della mia vita.» «E anche di quella di tuo marito. Gli rovinerai la reputazione.» «Se l'è rovinata da solo, ma in ogni modo può fare quello che vuole della sua esistenza. Io non appartengo né a lui né a nessuno.» «Non hai mai parlato così, prima.» «Brandon non ha mai agito così.» «Ma cos'ha fatto?» «Non posso dirtelo, mi vergognerei.» Gli occhi di Hilda erano lucidi di lacrime. «Ti lamentavi sempre che nessuna delle tue figlie ti tenesse la casa, ora che io voglio farlo non sei soddisfatto.» «Ma certo, che lo sono.»
Mi alzai, con la speranza d'interrompere la tensione. «Signora Church, ho qualcosa da mostrarvi.» Produssi il tacco. «Vostro padre ritiene che possiate riconoscerlo.» Andò a una delle finestre e sollevò la griglia: la luce avvolse il suo capo e le sue spalle, stendendole sui capelli un velo argenteo. Rigirò l'oggetto fra le mani. «Dove l'avete trovato?» «In montagna, vicino al lago Perdida. Vostra sorella aveva un paio di scarpe di questa tinta?» «Sì, mi pare di sì. Anzi, so che le aveva.» Attraversò la stanza e mi venne incontro, agitata. «Le è successo qualcosa? Ditemi la verità.» «Vorrei saperlo. Se questo tacco le appartiene, Anne era nei boschi con Kerrigan, lunedì scorso, e scavava una buca nel terreno.» «La sua tomba, probabilmente» commentò Meyer, lugubre. «Credete che sia morta, signor Archer?» «Non voglio spaventarvi inutilmente, ma è bene aspettarsi il peggio. Così, qualunque cosa si venga poi a sapere sarà sempre un sollievo.» Hilda guardò il tacco che stringeva in pugno. Quando aprì la mano notai che i chiodi vi avevano lasciato dei segni rossi. Se l'appoggiò alla bocca e chiuse gli occhi. Per un attimo pensai che stesse per svenire. Il suo corpo ondeggiò lievemente, ma con pesantezza, come una statua di marmo scossa alla base da un contraccolpo. «C'è dell'altro?» domandò infine, riaprendo gli occhi. «Ho trovato queste nella casetta di Kerrigan, sul lago.» Le mostrai le due forcine che avevo rinvenuto nella pelle d'orso. «Anne le usava sempre.» Meyer si protese a guardarle. «Sicuro, le lasciava dappertutto. Dunque ha passato la vacanza di fine settimana con Kerrigan, eh?» «Non credo. Ma c'era un uomo con lei. Non sapete chi poteva essere?» Padre e figlia si fissarono, senza parole. «Tony Aquista è stato lassù, sabato sera» aggiunsi. «E che ci faceva, Tony, al lago?» domandò Meyer. «Potrebbe essere stato lui, l'uomo. Era intimo di vostra figlia, qualche tempo fa, più di quanto non crediate.» «Non è vero.» Il viso di Hilda era bianco e rigido. «Mia sorella non avrebbe toccato quell'uomo neanche con una pertica.» «Lo dici tu» ribatté Meyer. «L'hai sempre considerata una santarellina, ma io non mi sono mai lasciato ingannare dalle sue pose. È stata con Tony
come con gli altri, finché non le è parso troppo ordinario.» «Non è vero.» Hilda si volse verso di me. «Non dovete ascoltare quello che dice. Anne è sempre stata fin troppo innocente, non ha mai pensato di poter essere coinvolta in uno... scandalo.» «Innocente!» sbuffò Meyer. «Aveva ancora le sottane corte e già si dava da fare con gli uomini, di qualunque colore e genere. L'ho pescata io, proprio in questa stanza, e gliene ho date tante da farle passare la voglia. Invece...» Il volto di Hilda era pallido e teso. «Sei un bugiardo» disse. «Ah, sono un bugiardo, eh?» La mano del vecchio si levò come mossa da una volontà propria, e colpì il viso di lei, con forza. «No, babbo!» Mi misi tra loro. Un'eccitazione insostenibile scoteva Meyer. Ma d'improvviso lo abbandonò. Si lasciò cadere sul divano, respirando pesantemente. Lo fissai, dall'alto. «Meyer, chi ha ucciso vostra figlia?» «Non so» rispose lui con voce invecchiata, stanca. «Non siete nemmeno certo che sia morta.» «Lo so abbastanza. L'avete uccisa voi stesso?» «Siete pazzo. Siete pazzo come lei. Non le torcerei un capello.» «Eppure un tempo la battevate sempre: ve l'hanno dovuta togliere.» «Con chi avete parlato?» «Con una persona che vi conosce e che sa cosa le avete fatto.» Il vecchio girò la testa sul collo rugoso e irto di peli. «Cose di tanti anni fa» mormorò. «Ero più giovane e non mi sapevo dominare. La morte di mia moglie... Anne certe volte mi sembrava un demonio malefico...» S'era fatto piagnucoloso. «Non era tutta colpa mia...» «Perché avete dato quella pistola a vostra figlia, Meyer?» lo interruppi. «Qual è la verità?» «Ve l'ho detta, vi giuro.» Si segnò il petto con un gesto che mi parve osceno. «Le ho dato quella vecchia pistola d'ordinanza perché aveva paura di Aquista. Se qualcuno l'ha uccisa è stato lui, credetemi.» «E chi ha ucciso Aquista, allora?» «Non sono stato io. Se pensate che abbia ammazzato uno dei miei migliori autisti, siete pazzo.» I suoi occhi venati di rosso mi fissarono con durezza. «Sentite, voi: tutto questo non mi piace. Avete l'obbligo di lavorare per me, non dimenticatevelo.»
«Non ne ho più l'intenzione.» «Questa sì che è una bella notizia. Allora andatevene da casa mia, andate all'inferno.» Mi diressi alla porta. «Ehi, un momento. Vi ho dato cento dollari! Me li dovete restituire!» «Citatemi.» Cercò d'alzarsi, ma ricadde sul divano. Il suo respiro s'era fatto ancora più rapido e rauco. Un tremito convulso lo scoteva. Mi guardai intorno cercando Hilda. Sentii sbattere la porta. XX La seguii fuori, nello spiazzo incolto antistante la casa. Si volse e nel vedermi prese a correre. Ma quasi subito inciampò, cadde e restò accasciata a terra, i capelli spioventi sul viso, la nuca nuda esposta a una scure sconosciuta e fatale. L'aiutai a rialzarsi e la sostenni col braccio. «Dove andate?» «Non so. Non posso stare qui con lui. Mi fa paura. È un uomo diabolico e mi odia: ci ha sempre odiate, da quando siamo venute al mondo. Ricordo il giorno che è nata Anne: mia madre stava morendo, ma lui era furente. Voleva un maschio, sarebbe stato felice che fossi morta anch'io. Sono stata pazza, a venir qui.» «Perché avete lasciato vostro marito, signora Church?» «Mi ha minacciata. Ha minacciato di uccidermi se mettevo piede fuori di casa sua. Ma tutto è preferibile allo star qui.» Guardò la facciata tetra della casa, poi il vasto spazio con le carcasse di vecchie automobili. Al di là di esso, sulla strada, era comparsa una macchina nera, che s'era fermata bruscamente. Vidi il grande cappello chiaro dello sceriffo emergere dal posto di guida. «Brand.» Il corpo di Hilda, nella stretta del mio braccio, s'era fatto molle come se un acido, il terrore, lo avesse disciolto. Church venne verso di noi, camminando rigidamente. «Cosa fate qui, con mia moglie?» «Chiedetelo a lei.» «Lo chiedo a voi, invece.» Gli tremavano le mani per l'eccitazione. «Vi ho detto di stare alla larga. E vi ho anche ordinato di smettere d'occuparvi di questa faccenda.»
«Niente da fare. Ci sono e ci resto.» «La vedremo. Se credete di potervene infischiare dei miei ordini e di fare il bullo coi miei agenti...» I suoi denti morsero il resto della frase. «Vi do la scelta: o ve ne andate dalla mia contea entro un'ora o sarete messo in stato d'accusa.» «La contea è vostra, eh?» «Restate qui e ve ne accorgerete.» «E ora parlerò io, Church. Tutte le volte che v'incontro avete qualche nuova idea brillante per convincermi a lavarmi le mani di questa faccenda. Io sono un po' lento, ma quando certe cose si ripetono, comincio a diventare sospettoso.» «I vostri sospetti non m'interessano.» «Forse interesseranno il procuratore distrettuale, a meno che non sia d'accordo con voi. Ma se foste anche d'accordo con tutto il governo, mi rivolgerei più in alto.» Church guardò in su, verso il cielo bianco. «Che cosa vi fa credere di potermi parlare così?» C'era un che d'istrionico in quella domanda. Pensai che doveva già essersi piegato, che la sua integrità doveva già essere infranta. «Il fatto che siete un disonesto» risposi. «Lo sapete, e anche vostra moglie lo sa.» Una linea chiara gli segnava i contorni della bocca, bianca e precisa come un segno tracciato col gesso. «Volete costringermi ad ammazzarvi?» ruggì. «Non siete abbastanza in gamba.» Mi mostrò i denti in un sogghigno. I suoi occhi s'incupirono. Poi la sua spalla destra s'abbassò. Scansai il diretto. Il colpo mi sfiorò l'orecchio. Church barcollò di lato perdendo l'equilibrio ed esponendo la mascella e il torace. Gli mollai un diretto anch'io: il suo stomaco era come legno, sotto gli abiti. Mi bloccò la sinistra e rispose con un diretto che mi prese al capo. Hilda era rimasta al limite dello spiazzo, e ci guardava come un animale terrorizzato, la bocca spalancata in un urlo silenzioso. Mi voltai verso Church, in guardia. Mi venne sotto coi pugni e riuscì a piazzarmi un colpo allo stomaco. Risposi con un montante che gli fece scattare il capo in alto. Il cappello gli cadde. Fece qualche passo indietro, barcollando, poi crollò. Ma si rialzò quasi subito e mi venne ancora contro. I suoi colpi mi raggiunsero allo stomaco, poi al naso. Mi ritrovai a terra. Stavo per rialzarmi quando sentii il suo pugno esplodere ancora, sulla mia faccia. Probabilmente la ferita che avevo sul sopracciglio si riaperse perché
qualcosa di liquido mi scorse sull'occhio e mi oscurò la vista. Mi rialzai e caricai lo sceriffo a testa bassa, martellandogli il corpo. La sua guardia s'infranse. Gli misi a segno un diretto al mento, risentendo il contraccolpo fin nel gomito, come una scossa elettrica. Crollò contro il fianco d'una vecchia Ford senza ruote. Questa volta fu lento a rialzarsi. Un peso enorme gli gravava sulle braccia. Avrei potuto rompere la sua guardia malferma e finirla con lui, invece lo strinsi, immobilizzandolo, un po' perché ormai era battuto, un po' perché la donna, alle mie spalle, aveva gridato: «Basta! Smettete!». Il viso di Church era come un teschio ricoperto di vecchia pergamena. Lottò per liberarsi, chiudendo gli occhi nell'agonia dello sforzo. Il mio sangue gli scorse addosso, mischiandosi col suo. Ebbi il primo pensiero chiaro da quando era incominciata la lotta: uno dei due doveva uccidere l'altro. La furia lo invase nuovamente. Mi colpì con un ginocchio e si gettò indietro, fuori dalla mia stretta, ma barcollò e s'addossò alla carcassa metallica. Poi vi fu una specie di pausa raggelata. Lo sceriffo levò la mano e la portò lentamente verso la tasca posteriore. Mi sentii invadere dall'angoscia. Avevo anch'io la pistola, ma non la presi. Sarebbe stato un autorizzarlo a uccidermi col pretesto della legittima difesa. Church era la legge. La calibro 45 che aveva in pugno lo spingeva verso di me. Il suo silenzio era peggiore di qualsiasi parola. Quello, dunque, era il posto dove sarei finito, sotto il cielo bianco d'una vallata, nel bel mezzo d'un caso che non avrei mai risolto. Il sudore mi scorreva in rivoli gelidi sotto gl'indumenti; lo sgocciolar del sangue della mia mascella scandiva il tempo. Hilda Church avanzò al mio fianco. «Brand. Quest'uomo è stato buono con me. Non fargli male, ti prego.» Le sue mani toccarono la pistola, ne abbassarono la canna. Accostò il viso contro la spalla del marito. «Di' che non gli farai male, ti prego. Non ci devono essere più delitti.» Lo sceriffo la guardò come se non l'avesse mai vista. Lentamente, i suoi occhi la misero a fuoco. «No, non ce ne saranno più» balbettò con voce bassa e rauca. «Sono venuto per riportarti a casa. Vuoi venire con me?» La donna annuì, come una bambina obbediente. «Monta in auto, allora, ti raggiungerò fra un momento.» «Non ci sarà nient'altro? Prometti?» NON FUGGIRE SCERIFFO
«Lo prometto.» Rimise la pistola nella fondina. I loro corpi si separarono gradualmente, come una gigantesca cellula che si scindesse. Lei s'allontanò verso l'automobile, salì e chiuse lo sportello. Church raccolse il cappello e lo strisciò sulla manica per ripulirlo. «Sono disposto a dimenticare tutto questo, se ci state.» «Non intendo dimenticare.» «Commettete un errore.» «Voi commettete i vostri, io i miei.» «Maledizione, Archer: non possiamo capirci?» «Non nei termini che fanno comodo a voi. Rimarrò a Las Cruces finché tutto sarà chiarito. Cercate d'incriminarmi e vi risponderò anch'io con un paio di denunce.» «Per esempio?» «Per esempio: omissione di denuncia e connivenza.» «No.» Allungò una mano a toccarmi il braccio. «Non capite.» Mi ritrassi. «Capisco solo questo: io cerco di scoprire l'autore di due omicidi e qualcosa tenta di fermarmi. Qualcosa che sembra la Legge, parla come la Legge, ma non sa di Legge. Al mio naso sa invece di corruzione, sa di uno che intasca il denaro pubblico e siede in un pubblico ufficio pretendendo d'essere un funzionario.» «Ho sempre fatto il mio dovere.» Ma l'aveva detto senza convinzione. «Anche la notte scorsa, quando quell'autocarro lasciò la contea?» Non rispose. Guardò a terra, fra noi, poi girò sui tacchi e andò verso la macchina. Aveva la giacca spaccata sul dorso e c'era una traccia sudicia sul cappello. Nella luce diffusa la sua persona gettava un'ombra vaga e incerta. XXI Trovai un medico che mi diede otto punti di sutura in faccia. Non mi fece domande, ma a lavoro finito mi chiese venticinque dollari in contanti. Era un medico così, o forse ero io un cliente così. Quando lasciai il suo gabinetto, ebbi l'impulso di montare in auto e di andarmene per sempre da Las Cruces. Non avevo alcun motivo valido per rimanere. Eppure mi diressi verso il palazzo di giustizia, sospinto dal mio complesso messianico. L'ufficio del procuratore distrettuale era al secondo piano. Una bionda
con occhi da commissario mi osservò da dietro le barricate del suo seno opulento, poi mi condusse, attraverso alcune porte, all'ufficio del procuratore. Era un locale grande, pieno di sole, con un minimo di mobilio. Alcuni tocchi personali ne addolcivano la fredda modernità: la foto d'una donna giovane e graziosa, sulla scrivania, scaffali di libri non tutti legali, qualche bella litografia alle pareti. Westmore, il procuratore distrettuale, era il tipo del giovane avvocato che si serve della sua carica come d'una molla per una carica più alta o per un'attività più lucrosa. Mi offrì una sigaretta e me l'accese, valendosi dell'opportunità per studiare la mia faccia. La sua era sottile e ossuta, ed esprimeva un'ambizione spinta fino all'ascetismo. Era mascherata da occhiali senza montatura e sormontata da un ciuffo di capelli prematuramente grigi. Dopo avermi indicato una sedia, Westmore prese posto alla scrivania. «Siete un uomo introvabile, signor Archer» cominciò. La sua voce era fine e intelligente, venata d'ironia. «Per essere sincero, pensavo proprio di spiccare un mandato di comparizione contro di voi.» «Per quale motivo?» «Resistenza a pubblico ufficiale, per esempio. Siamo piuttosto severi, per queste cose, a Las Cruces.» «Alludete a Church?» «Alludo a Braga.» «Se non fosse stato per lui avrei preso la ragazza.» «Ora se ne rende conto. Comunque, starei alla larga dai vicoli bui, se fossi in voi. E non ci riproverei, né con Braga né con altri della polizia. L'unica cosa che vi tiene fuor di prigione è il fatto che abbiate ritrovato quell'auto all'aeroporto.» «Church me ne ha riconosciuto il merito?» «Si capisce. Lo sceriffo riconosce quel che deve riconoscere. E la Buick ci occorreva per arrivare a Bozey.» «Così m'ha detto Meyer. Ma credo che Bozey non sia ancora stato preso.» «Non ancora. Dopo che ho parlato con Meyer, ho avuto un telegramma: quel giovanotto ha cominciato presto la sua carriera.» Westmore prese un foglio giallo e lo scorse. «Furterelli e vandalismo quando era ancora a scuola, ripetuti furti di automobili più tardi; porto d'armi abusivo, truffa, rapina. La solita progressione. Contando un anno a Preston, sette degli ul-
timi undici anni li ha passati dentro.» «Da dove viene?» «Da Los Angeles. Ma è stato arrestato in cinque stati dell'ovest. L'ultima pena l'ha scontata per aver guidato l'autocarro d'una banda di contrabbandieri del Nuovo Messico. È uscito in luglio e ha spostato il suo campo d'azione nel nord-ovest.» «La rapina alla banca di Portland l'ha effettuata da solo?» «A quanto pare. Almeno, è entrato da solo nell'edificio.» «E ne è uscito con ventimila dollari?» «Ventimila e rotti. Disgraziatamente per lui, non ha potuto spenderli. La banca aveva l'elenco completo dei numeri delle banconote e lo ha diffuso in tutta la costa e nel sud-ovest. L'acquisto di quell'auto a Los Angeles è stato tutto quel che ha potuto fare; per di più ha dovuto filarsela, ben sapendo d'essere ricercato dalla polizia. Se la sono squagliata da un albergo della Main Street un'ora prima dell'arrivo degli agenti.» «Allora la ragazza era con lui?» «Erano registrati come marito e moglie. Il signor John Brown e signora.» «Quando hanno lasciato Los Angeles?» «Sei settimane fa, il tre settembre, e la rapina alla banca è avvenuta il quindici agosto. Non si sa dove sia finito Bozey dal tre settembre a ieri.» «Veramente io ne so qualcosa. Conoscete il lago Perdida?» «Dovrei: ho un villino, lassù. Perché?» «È uno dei punti cruciali di questo caso. Bozey e la Summer sono rimasti lassù per parecchi giorni, ai primi di settembre. E Anne Meyer è stata vista là, l'ultima volta.» «Cosa c'entra Anne Meyer?» «C'entra e come. Non so quali sforzi siano stati fatti, sinora, per rintracciarla, ma io consiglierei di lanciare un appello per radio.» «Lo sceriffo ha già provveduto iersera, finora però non abbiamo avuto nessuna risposta.» «Ritengo che dovreste concentrare le ricerche nella zona del lago.» Gli diedi il tacco e le chiavi della casetta di Kerrigan e raccontai anche a lui la mia storia. Mi ascoltò impaziente, tamburellando sulla scrivania con dita inquiete. «Può darsi che McGowan menta» disse poi. «Non vi sembra inverosimile, il suo racconto?» «Appunto. Se l'avesse inventato avrebbe cercato di renderlo più credibi-
le. E poi, ho visto la buca.» «Potrebbe averla scavata lui stesso. E ha parecchie ragioni per mentire, se è il nonno della Summer.» «Quando mi ha parlato della buca non sapeva ancora che la ragazza fosse nei guai.» «A quanto pare vi ha convinto.» «Interrogatelo voi stesso.» «Ho appunto intenzione di farlo. Nel frattempo vorrei che mi rilasciaste una dichiarazione firmata di tutto quello che m'avete detto.» «Sono qui per questo.» Chiamò uno stenografo, e io cominciai a parlare. Non accennai allo sceriffo se non molto superficialmente: se Westmore fosse stato un altro uomo forse mi sarei confidato con lui, ma era molto gentile, cordiale, e io non mi fidavo della sua cordialità. Aveva maggior potere dello sceriffo, ma non sapevo come se ne sarebbe servito. A metà della mia narrazione fu chiamato fuori dall'ufficio. Tornò con gli occhi lucidi per l'eccitazione. Quando lo stenografo ci ebbe lasciati me ne spiegò il motivo. «Ho parlato con l'ufficio investigativo del fisco. Avevo consegnato loro i libri contabili di Kerrigan, stamattina. Non hanno ancora potuto fare un esame completo, ma sono certi che frodava il governo.» «Circa la tassa sulle entrate?» «Sì, e da parecchi anni. Aveva fatto molti quattrini con quel bar, ultimamente, e non li aveva denunciati.» «E dov'è finito il denaro?» Lui si strinse nelle spalle. «Nelle case da giuoco di Las Vegas, Caliente, Tanforan... molto più divertente che pagare le tasse. L'anno dopo aver comprato la "Scarpetta d'Oro", ha cominciato a tenere una doppia registrazione, probabilmente con la connivenza di Anne Meyer, che era sua segretaria e contabile. Il fisco cercava da mesi di accertare la frode.» «Nessuna meraviglia, allora, che volesse svignarsela.» Westmore annuì, solenne «Donald Kerrigan era al limite delle risorse, finanziariamente, moralmente e in ogni altro senso. Anche il suo matrimonio era fallito. Ho parlato proprio ora per telefono con Kate Kerrigan. È stato più fortunato di sua moglie, in un certo senso. Ormai non deve più rispondere di nulla.» «E lei?» «Firmava le denunce esattoriali, senza sapere che erano false, natural-
mente. Il fisco potrebbe toglierle ciò che le è rimasto.» Pensai a Kate Kerrigan, ancora invischiata nelle conseguenze della cattiva scelta fatta sette anni prima. «Non sarebbe eccessivo, nei suoi confronti?» «Cercherò di evitarglielo, se ci riuscirò. Kate è una persona assolutamente retta, e con quell'uomo è stata una santa, proprio una santa. A proposito, mi ha chiesto di voi. Ha bisogno di vedervi, quando avrete finito qui.» «È a casa?» «Sì. Una cosa non le ho detto, e vorrei che né lei né altri la sapessero.» Il procuratore distrettuale mi guardò, dubbioso. «Rimarrà fra noi.» «Bene, si tratta di questo: a giudicare dagli assegni annullati, Kerrigan deve aver versato alla Meyer un migliaio di dollari al mese, l'anno scorso.» «Uno stipendio forte per una segretaria.» «Tanto più che il lavoro lo faceva quasi tutto lui stesso.» «Ricatto?» «Pare l'ipotesi più logica; probabilmente per la faccenda delle tasse. Ma qualunque fosse il motivo, era sufficiente perché Kerrigan uccidesse la Meyer. Che ve ne pare?» «Non è un'ipotesi da scartare.» Westmore andò alla finestra, e vi rimase un momento, volgendomi le spalle. Quando si girò, i suoi occhiali luccicarono. «Supponiamo che lunedì Kerrigan abbia ucciso Anne Meyer e occultato in qualche modo il suo cadavere. Sapeva che presto o tardi sarebbe stato ritrovato e che i sospetti sarebbero caduti su di lui. Senza dubbio sapeva anche della minaccia che gli pendeva sul collo da parte del fisco. Così deve aver deciso di battersela con tutto il denaro che poteva racimolare.» «E con Jo Summer.» «Naturalmente. Lei è l'agente catalizzatore, nella reazione. Ha avvicinato i suoi due uomini, Bozey e Kerrigan, che insieme hanno progettato un piano per appropriarsi del carico di liquori. Bozey aveva ventimila dollari che non poteva spendere. Kerrigan aveva le relazioni che gli permettevano di ordinare il whisky e procurarsi il carico da rapinare. Ha anche predisposto una sosta temporanea alla base aerea. Tutti questi servizi, Bozey li ha pagati con denaro rubato.» «Che il suo socio non avrebbe potuto spendere.» «Naturalmente. Kerrigan non lo sapeva. L'hanno truffato. Bozey si è
servito della ragazza per intrappolarlo.» «Può darsi» riconobbi «ma poi c'era rimasta lei stessa. S'era innamorata di Kerrigan.» Westmore inarcò le sopracciglia. «Come lo sapete?» «L'ho sentita parlare. E li ho visti insieme.» «Non è una prova un po' soggettiva?» «Comunque non si può ignorarla. Si tratta di esseri umani.» «In ogni caso, la ragazza è complice di un delitto. Sappiamo che è stato Bozey a uccidere Aquista.» «È certo?» «Sono convinto che abbia ucciso tanto Aquista quanto Kerrigan. I proiettili vengono dalla stessa pistola. Pensate ai precedenti di Bozey: era un puro caso che non avesse già ucciso. Comunque, era pronto a tutto, per quel carico di whisky. Il liquore era meglio del denaro, per lui. Meglio del denaro che aveva. Ci sono ancora stati, nell'Unione, dove il buon liquore di contrabbando è accettato con facilità.» «Il Nuovo Messico, per esempio. Gli indiani delle riserve lo pagano ad alto prezzo.» «Non l'ho dimenticato. Sorvegliamo tutte le strade che conducono fuori dello stato. Quando cercherà di portare quel camion oltre confine, lo prenderemo.» «Avete detto che Aquista e Kerrigan sono stati uccisi con la stessa pistola?» «Precisamente. Danelaw ha fatto un buon lavoro, su questi proiettili. Quello di Kerrigan s'era schiacciato sul cranio, ma è stato egualmente possibile identificarlo. È uscito dalla stessa arma da cui è partito quello che ha ucciso Aquista, una calibro 38. Danelaw pensa che possa trattarsi d'una vecchia pistola d'ordinanza.» «Allora, se le conclusioni del perito sono esatte, Bozey non c'entra. Non è stato lui a sparare a Kerrigan.» «Io dico di sì.» «Un momento: consideriamo la cosa. Dovrebbe essere andato con l'autocarro dalla base aerea al Motel, per lo stradone, in un momento in cui tutti i poliziotti della contea lo cercavano. Avrebbe dovuto lasciare il camion davanti al Motel, per entrare e uccidere il suo complice. Che motivo avrebbe avuto per rischiare tanto?» Westmore si protese sulla scrivania. «La morte di Kerrigan eliminava un testimone che sarebbe diventato pericoloso non appena si fosse reso conto
d'essere stato pagato con moneta inutile. E poi, Kerrigan stava per fuggire assieme alla ragazza di Bozey.» «Non va» dichiarai. «Bozey aveva quel che voleva avere, cioè il carico, e pensava solo a metterlo al sicuro. Non può essersi attardato solo per la soddisfazione di far fuori Kerrigan. E se non ha commesso quel delitto, non ha commesso nemmeno l'altro... ammettendo che Danelaw sappia il fatto suo.» «Ho la fiducia più completa in lui. E so che Bozey è colpevole di entrambi gli assassinii. O al massimo, può avere ucciso Aquista e prestato la pistola alla Summer perché se ne servisse su Kerrigan.» «Mi sembra improbabile.» «Al contrario. Queste due supposizioni sono le uniche attendibili.» Mi fissò con uno sguardo indagatore. «A meno che voi non siate in possesso di informazioni che io non conosca.» Gli restituii lo sguardo, blandamente. Non era tipo da potersi conoscere in un'ora, né in un anno. Mi pareva impossibile che fosse corrotto. Ma l'ambizione politica gioca strani scherzi. Mi alzai e andai alla finestra. Sullo spiazzo erboso davanti al palazzo di giustizia, alcuni carcerati, nella loro uniforme a righe, potavano i cespugli: non avevo nessuna voglia di far quella fine. «Credo proprio che sappiate qualcosa», mormorò la voce di Westmore alle mie spalle. «Nulla di concreto.» «Sentiamo: non ho tempo da perdere.» «Meyer m'ha parlato d'una certa pistola: non so se credergli. La cosa più significativa è che me ne ha parlato spontaneamente. Può darsi che l'abbia fatto per cautela, per spiegare la sua mancanza.» «Di che pistola si trattava?» «Una calibro 38, d'ordinanza. Dice di averla prestata a sua figlia Anne l'autunno scorso. Lei gli aveva chiesto un'arma per difendersi da Tony Aquista.» «Da Aquista?» «È quello che dice Meyer. Può darsi che sia una storia.» «Non capisco... credevo che lavoraste appunto per lui.» «Non più. Il suo modo di fare m'ha disgustato. Ho anche saputo che è stato un bruto con le figlie, con Anne in particolare. Ne siete al corrente, vero?» «Sì» ammise lui. «Maltrattamenti. La cosa non è giunta in giudizio per-
ché la ragazza era troppo spaventata per testimoniare. E poi, immagino che Meyer abbia fatto pressione, tramite qualche pezzo grosso. Comunque il giudice Craig stabilì che la sua casa non era adatta ad Anne.» «Qual è la reputazione di Meyer, a parte questo?» «Credo che ai suoi tempi non sia stato uno stinco di santo. Ho sentito dire che il capitale iniziale se lo è fatto come autista di certi contrabbandieri.» «Lo sceriffo non s'è scelto una parentela molto invidiabile» commentai. «Non si giudica un uomo dal suocero» disse Westmore, severo. «Church sapeva tutto di lui, quando ha sposato Hilda. La sua idea fissa era di togliere tutte e due le ragazze dalla casa di quell'uomo.» «C'è molto denaro in famiglia, vero?» La faccia del Procuratore s'indurì. «Se alludete a quello che penso, vi consiglio di cambiar tattica. Lo sceriffo non bada al denaro: lavora sedici ore al giorno per uno stipendio inferiore al mio. Church si è innamorato della figlia di Meyer e l'ha sposata. Fa quello che ritiene giusto senza pensare alle conseguenze.» «Sono lieto di sentirvelo dire» feci, palpando il cerotto che avevo sul mento. «Potete dire altrettanto di Danelaw?» «Non vi capisco.» «Siete certo che Danelaw non travisi i fatti, indipendentemente da quello che possono significare?» «Assolutamente certo.» «Anche se gl'indizi dovessero condurre al dipartimento di polizia?» «Non voglio credere che alludiate a Brandon Church.» Ero su uno strato di ghiaccio molto sottile. Mi ritrassi un poco. «Questo l'avete pensato voi.» Gli occhi di Westmore brillarono come capocchie di chiodi. Sorrise, gelido. «Danelaw desidera più d'ogni cosa al mondo diventare sceriffo.» «Allora mandatelo da Meyer. Il vecchio ha una specie di tiro a segno nel seminterrato. Danelaw potrebbe trovare qualche altro proiettile calibro 38. Oppure potrebbe non trovarne.» XXII Kate Kerrigan mi aspettava nella mia auto. «Temevo di non riuscire a vedervi» disse, quando aprii la portiera. «Ho preso un tassì. Il signor McGowan ha telefonato dalla centrale elettrica.»
«Per me?» «Sì. È per strada, diretto a casa mia. Non è stato molto preciso, ma credo che si tratti di sua nipote. Mi ha pregato di non parlarne ad altri che a voi.» Salii al volante e misi in moto. Uno sciame di fanciulle e ragazzi, appena usciti di scuola, ci passò accanto. Alcune di loro avevano su per giù l'età di Jo. Mi domandai che cosa aveva potuto separarla dalle sue compagne. Che cosa c'era in lei, di diverso. Kate mutò la direzione dei miei pensieri. «E dire» sospirò «che meno di dieci anni fa ero anch'io una di loro! La più felice. Mio padre era vivo, io ero una specie di reginetta e il capitano della squadra di calcio mi aveva invitata a una gita. Pensavo che tutto fosse meraviglioso, che lo sarebbe stato sempre. Perché nessuno m'ha avvertita? Perché hanno lasciato che vivessi in un mondo di sogno?» La sua voce era amara. «Mi avevano fatto credere che nulla e nessuno potesse toccarmi.» Rimanemmo in silenzio per il resto del percorso, fino a casa sua. Non c'era alcuna traccia di McGowan e lei m'invitò a entrare. Il suo soggiorno era freddo: l'eco della disputa che avevo ascoltato era rimasta tra quelle mura. Kate gettò cappello e guanti su una seggiola e me ne indicò un'altra. «Le cose sono peggiori di quel che credevo. Sam Westmore vi ha detto?...» «Qualcosa.» «Don mi ha lasciato con assai meno di nulla: Sam dice che mi possono chiedere conto di tutte quelle tasse non pagate. Cose che io non sapevo nemmeno.» «Non succederà niente, se lasceranno fare a Westmore. È vostro buon amico, vero?» «L'ho sempre ritenuto tale.» «Ma... e se succedesse? Se vi prendessero il resto delle vostre proprietà?» «Rimarrei senza un soldo.» «Vi pare una prospettiva così tremenda?» «Non so. Non ci ho ancora pensato.» «Pensateci adesso: cosa ci sarebbe di spaventoso? Siete giovane, intelligente e carina.» La sua mano priva di anelli ebbe un gesto impaziente. «Temo di non poter rispondere alle cortesie, oggi. Comunque, vi sono grata per le buone intenzioni.» «Non vedo di che cosa dovreste dolervi. Vostro marito vi ha fatto un fa-
vore, lasciandosi uccidere. E forse ve ne ha fatto un altro liberandovi del vostro denaro.» Mi guardò come se dubitasse delle mie facoltà mentali. «Cosa volete dire?» «Vi sposerete ancora...» «Mai.» «Eppure, credo che vi sposerete, e stavolta avrete maggiori probabilità di trovare un marito onesto, non un altro Kerrigan.» Mi rivolse uno sguardo triste, pensoso. «Don non era poi cattivo come credete» mormorò infine. «Non era tutta colpa sua se non sapeva maneggiare il denaro. Avrei dovuto aiutarlo. E avrei dovuto aiutarlo anche in altre cose. Non sono stata una buona moglie, per lui. Gli occorreva più di quanto io fossi in grado di dargli.» «Più di quanto chiunque fosse in grado di dargli.» Mi volse le spalle. Coi capelli chiari sciolti sulla nuca pareva una fanciulla. Riusciva difficile credere che fosse passata attraverso sette anni di matrimonio tormentoso, e che una pistola l'avesse resa vedova. Mi avvicinai. «La vita non è finita, Katie: sta per cominciare.» «Temo che la vostra filosofia spicciola non possa consolarmi. No, scusate se ho parlato così. Siete stato gentile con me, fin dal principio.» «Mi è stato facile, Katie.» «Lui diceva che non ero una donna. Lo sono, vero?» La presi per le spalle e la girai verso di me. Mi offrì le labbra. «Mi dispiace che siate ferito, Lew» disse poi, con la bocca contro il mio cerotto. «Non correte altri rischi, vi prego.» «Non ne correrò. Ma non è nulla.» «Sono... sono veramente una donna? Vi sentite attratto da me?» Non potei risponderle a parole. Un suono di passi incerti, sul pavimento della veranda, ci riportò alla realtà. Il campanello dell'ingresso squillò. XXIII McGowan si era sbarbato. Era in abito blu, cravatta nera e cappello grigio; nonostante ciò pareva ancora più vecchio. «Josephine è venuta da me, dopotutto» mi disse. Uscii sulla veranda e mi chiusi la porta alle spalle. «È al lago, adesso?» «No, è ancora in giro. Se n'è andata tutt'il giorno nel deserto, in cerca di
Bozey. Ho tentato di convincerla a restare da me, ma non ha voluto. Voleva solo che le dicessi come arrivare a Traverse.» «Traverse?» «È un villaggio minerario abbandonato, in cima a una montagna. Pare che Bozey sia là.» Si appoggiò allo stipite della porta, esausto per lo sforzo d'aver parlato. Gli misi un braccio intorno alle spalle per sorreggerlo. «Ve lo ha detto lei?» «Non ha detto che Bozey è là: l'ho supposto io. Quando sono stati da me, in settembre, lui si era interessato molto a quel posto... Avrei dovuto pensarci prima, quando ho parlato con voi. Mi aveva fatto molte domande.» «Quali domande?» «Dov'era e come ci si poteva andare.» «E voi glielo avevate detto?» «Non ci avevo visto nulla di strano. Traverse è sull'altro versante del Baker, dalla parte del Nevada. Si lascia la strada a una frazione chiamata Yellow Ford e di là ci sono circa venti chilometri di montagna. È un posto veramente isolato.» «E le strade sono praticabili?» «È quello che voleva sapere Bozey. Diceva di voler fare una gita. La strada è praticabile... o almeno, lo era l'ultima volta che ci sono passato io. È quasi tutta roccia.» «Può consentire il passaggio d'un grosso autocarro?» «Certo. È stata costruita per traini pesanti.» «E Jo sta andando là?» «A quanto ho potuto capire. Ha voluto che le facessi uno schizzo della località.» «Volete farne uno anche per me?» «No.» Mostrò i denti gialli in un sorriso amaro. «Verrò con voi, figliolo. Non sono svelto come una volta, ma posso sempre sparare un colpo di pistola, se ce n'è bisogno.» Non tentai nemmeno di convincerlo a rinunziare. Quando lo raggiunsi in strada, dopo aver salutato Kate, vidi che aveva tolto un fucile dalla sua vecchia Ford modello A. Era un'arma di medio calibro, con mirino a cannocchiale. La depose con cura sul sedile posteriore della mia macchina e salì accanto a me. Premetti l'acceleratore. «Come vi siete deciso a venire a cercarmi?» «Dovete essere onesto, da come parlate. Ho la speranza che agirete con
giustizia.» «Farò del mio meglio.» Mi diressi verso la periferia della città a sud. Era il crepuscolo e nelle case incominciavano ad accendersi le luci. Le montagne si elevavano come enormi donne velate contro il cielo. Alcune rare stelle cominciavano a rischiarare il manto della sera. La voce di McGowan uscì dall'oscurità. «Josephine è caduta in mano a un delinquente. Io non posso starmene così, senza far nulla. Avreste dovuto vederla oggi, sudata e in disordine, col viso sporco e lo sguardo spaventato. Ho fatto fatica a riconoscerla.» Ci fermammo a Barstow per prendere un caffè con due panini, e a Baker per far controllare i copertoni della mia macchina. L'aria si faceva sempre più fredda. A circa un'ora da Baker i monti, all'orizzonte, mutarono aspetto. Al disopra di essi le stelle brillavano a gruppi. Lungo il pendio risaltavano alcune luci, come faville cadute dall'alto. Poi quei punti lucenti ci vennero incontro. E improvvisamente ci trovammo sotto la montagna, che nascondeva alla nostra vista una parte di cielo. McGowan ruppe il silenzio che durava già da molto. «Questo è Yellow Ford.» Era proprio una piccola frazione: un emporio, una stazione di servizio, qualche casetta, la baracca di legno di una agenzia immobiliare, circondata da chilometri di terreno disponibile. Mi fermai davanti al distributore e un uomo in camicia a scacchi uscì dal piccolo edificio. «Benzina» dissi. Lui si mise ad azionare la pompa. «V'interessa vedere la mia collezione di rettili del deserto, mentre aspettate?» chiese. «Cerco un animale diverso: un uomo.» E gli descrissi Bozey. Non mi rispose subito. «Non l'ho visto, questa settimana» disse, dopo un po'. «Ma lo conoscete?» «Se si tratta dello stesso rosso, è stato qui un paio di volte, il mese scorso, a far benzina, e s'è fermato a chiacchierare.» «Che macchina aveva?» «Una Buick.» McGowan mi urtò col gomito. «È lui.» «Dove abitava?»
«Non me l'ha detto. Da qualche parte, in montagna.» L'uomo fece un gesto vago. «La prima volta che è venuto ha comprato un sacco a pelo e una stufetta da campo all'emporio. Ha detto che faceva ricerche di uranio, ma non è il tipo del cercatore; non saprebbe distinguere il ferro dal rame, secondo me. Voi lo sapete cosa ci faceva, quassù?» «Si nascondeva. Non lo avete visto, per caso, questa mattina presto? So che è passato, con un autotreno color alluminio.» «Non apro fino alle otto.» «Forse, però, stasera avete visto la ragazza. Una brunetta carina che guidava una MG sport.» «Sì, è passata un paio d'ore fa. Non s'è fermata, però.» McGowan si sporse: «La strada per Traverse è aperta?». «Credo di sì. Non ha ancora nevicato, quassù. Anzi, adesso che ci penso, è aperta senz'altro: c'è passato un autocarro, proprio oggi.» «Color alluminio?» domandai. «Un autocarro blu, con rimorchio blu, del tipo che serve per il trasporto del mobilio. È passato verso le quattro. Di giorno, da qui si può vedere una parte della strada per Traverse. Se volete andarci stasera» aggiunse, mentre lo pagavo «state attenti alle frane. Saranno due anni che non fanno riparazioni.» Lo ringraziai, e rimisi in moto. McGowan era proteso in avanti come per aumentare la velocità dell'auto. «Josephine è lassù» mormorò. «E non è sola.» XXIV Per i primi chilometri, dopo Yellow Ford, la strada si mantenne abbastanza diritta e piana. Poi cominciò a presentar brusche svolte, e il terreno si fece accidentato. Dovetti rallentare. A metà pendenza, le ruote della mia macchina incontrarono un monticello di terra, nel punto dove la parete era franata. Dalla parte esterna della strada c'era il burrone. Poco più avanti, i fari scoprirono un altro mucchio di terra. Frenai e discesi. McGowan rimase al suo posto. La sabbia franata copriva più di metà della strada. Sull'orlo c'erano le impronte di grossi copertoni: le ruote d'un autocarro. Esaminandole più da vicino con la torcia elettrica, scoprii che le tracce erano state lasciate da due diversi tipi di gomme. E che tutte erano recenti.
Mi rialzai, col cuore che batteva forte. Da un punto lontano dell'oscurità venne un suono prolungato, lamentoso. Rimasi immobile. Il suono si avvicinava facendosi sempre più forte: era il motore d'un'auto che scendeva dalla montagna. Le luci della macchina in arrivo frugarono il cielo delineando un promontorio roccioso poco distante. Corsi alla mia automobile e spensi i fari. Non c'era tempo di spostarla. Estrassi la pistola e mi accoccolai dietro la portiera anteriore, aperta. McGowan prese il suo fucile. I fari dell'altra vettura illuminarono il burrone, poi saettarono sulla strada. Era la piccola MG sport. Il clacson sonò ripetutamente, poi i freni stridettero. La macchina, sbandando, scivolò sul terriccio, e per poco non si rovesciò. Proiettata al di sopra della bassa portiera la persona che guidava cadde a faccia in giù e rimase inerte al suolo. «È Josephine» disse McGowan. Corsi da lei e le illuminai il viso con la mia lampada. Due rivoli rossi le rigavano il labbro superiore. Gli occhi erano fissi, per la scossa, ma la ragazza era cosciente. Cercò di mettersi a sedere, ma non vi riuscì. La sorressi col braccio. La sua carne era morbida, su un'ossatura tanto fragile da parere inesistente. McGowan uscì dall'auto e venne verso di noi. «Sono fuggita» singhiozzò lei. «Mi hanno rovinata...» Aveva negli occhi lo sguardo d'un animale braccato. «Presto o tardi voialtre trovate chi vi rovina» dissi, con una severità che non sentivo. «Oppure siete voi a rovinare gli altri.» «Non ho mai rovinato nessuno, in vita mia.» «E Tony Aquista?» «Non sapevo niente di Tony. Ve lo giuro.» «E Kerrigan?» «Don era già morto quando sono arrivata. Non l'ho ucciso io.» «Chi è stato, allora?» «Non lo so. Non è stato nemmeno Bozey. Io dovevo trovarmi con Don, per andarcene insieme.» Stava superando la scossa nervosa ricevuta. I suoi occhi cominciarono a muoversi e a riprender splendore. Tentai una botta a caso: «Che ne è stato del denaro che Bozey ha dato a Kerrigan?». Lei non rispose, ma involontariamente la sua testa si mosse, gli occhi lanciarono uno sguardo verso la MG sport. «Josie, stai bene?» disse McGowan, dietro di me.
«Benissimo» rispose lei, amara. «Nonno?» riprese, dopo una pausa. La lasciai col vecchio e andai a frugare nella vetturetta. Nello spazio dietro il sedile di guida c'era un pacco oblungo, avvolto in carta da giornale e legato con uno spago sudicio. L'apersi: era denaro. Biglietti da cinquanta, cento e cinquecento dollari, tutti nuovi. Il giornale era una copia dell'"Oregonian" in data dell'agosto. Rifeci il pacco e lo misi nella cassetta d'acciaio che avevo nella mia macchina, insieme alle sigarette. Denaro e marijuana: il materiale di cui son fatti molti sogni. Jo s'era rialzata. McGowan la teneva fra le braccia e lei gemeva come una gattina capitata in un mondo tempestoso. «Hanno fatto circolo intorno a me... Hanno aperto una cassa di whisky e si sono ubriacati. Poi mi hanno assalita...» la voce della ragazza traboccava disperazione. La faccia del vecchio era di granito contro i capelli scompigliati di lei. «Quanti sono?» domandò. «Tre. Sono venuti da Albuquerque per prendere il whisky. Avrei dovuto restare con te, nonno.» «E tuo marito? Non ha cercato di fermarli?» «Bozey non è mio marito. Credo che li avrebbe fermati, se avesse potuto, ma lo avevano disarmato e picchiato.» Le toccai la spalla. «Sono ancora lassù, Jo?» «Sì. Stavamo caricando il camion quando sono scappata. L'altro lo hanno nascosto nella vecchia rimessa dei vigili del fuoco.» «Mi indicherete il posto.» «Non voglio tornare lassù.» «Non vorrete nemmeno restar qui sola, immagino.» Guardò la mia automobile, poi la strada, come se nel buio le stessero davanti gli anni della sua vita: passato e futuro. Infine, senza una parola, salì in macchina. Misi in moto e passai nell'esiguo spazio fra la MG e il burrone. McGowan teneva il fucile sulle ginocchia. Jo sedeva fra noi, guardando il nulla. «Avete ucciso Kerrigan per il denaro?» le chiesi. «No. No. Dovevo raggiungerlo e l'ho trovato morto.» La voce di Jo era disperata, atona. «Perché siete fuggita, allora?» «Potevano credere che l'avessi ucciso io. Anche voi l'avete pensato. Invece non gli avrei mai fatto del male: lo adoravo.»
McGowan sputò nel vento. «Però gli avete portato via il gruzzolo» osservai. «Ebbene? A Don non poteva più servire. L'ho preso, ho preso l'auto e sono andata a cercare Bozey. Volevo solo allontanarmi.» «Coi ventimila dollari. Ve l'aveva detto Bozey, di raggiungerlo coi quattrini?» «No. Io credevo d'andar via con Don. Non ero nemmeno certa che Bozey fosse a Traverse.» «È vero, ve l'ho detto anch'io» osservò McGowan. La ragazza mi guardò. «Perché non mi lasciate andare? Non ho fatto niente di male, ho solo preso il denaro. Lo volete voi?» La sua voce era piena di speranza. «Tenetevelo. Non lo saprà nessuno. Il nonno non parlerà.» McGowan emise un suono che avrebbe potuto essere un singhiozzo o un gemito di ripugnanza. «Il denaro non val nulla» dissi. «Non lo sapevate? Bozey non poteva spenderlo. L'ha rubato in una banca di Portland, e i numeri dei biglietti sono conosciuti dappertutto.» «Non ci credo. Bozey non farebbe mai una cosa simile.» «Eppure l'ha fatta. Ha truffato Kerrigan. Il denaro era cartaccia.» «Siete pazzo!» «Davvero? Pensateci sopra. Credete che Bozey avrebbe arrischiato ventimila dollari in un affare come questo, se avesse potuto goderseli liberamente?» Rimase per qualche tempo zitta e immobile, a pensare. Mi pareva di sentire il lavorio del suo cervellino. «Se questo è vero, sono contenta che gliele abbiano date» mormorò alla fine. «Ha avuto quello che si meritava. Spero che non gli diano nemmeno un soldo, della sua parte.» Ci arrampicavamo verso la vetta, solida e scura contro il cielo. Misi il motore in seconda, passando da un lato della strada all'altro per evitare buche e frane. «Jo?» «Sono qui. Dove volete che sia?» «Ieri notte m'avete detto che avreste dovuto fermare il camion di Aquista e che poi qualcosa ha fatto modificare il progetto. Che cosa?» «Don non voleva che corressi quel rischio» disse, con un certo orgoglio. «Questo è stato il motivo principale.»
«E gli altri motivi?» «Aveva fatto un favore a un suo amico. Poi quest'amico ha fatto un favore a lui.» «Fermando il camion e ammazzando Aquista?» «Doveva soltanto fermare il camion. Don non aveva nessuna intenzione di far uccidere Aquista. Quel suo amico l'ha ingannato.» «Chi era, Jo?» «Don non ha fatto nomi. Ha detto che meno sapevo e meglio era. Voleva che nessuno desse a me la colpa, se la cosa non riusciva.» «Era Church? Lo sceriffo?» Non rispose. «Meyer?» Continuò a tacere. «Che favore aveva fatto al suo amico, Kerrigan?» «Domandatelo a Bozey. Lui sa ogni cosa. Lunedì sera è andato nel deserto con Don.» «Nel deserto? A far che?» «È una storia lunga. Non v'interesserebbe.» McGowan chiocciò, come una gallina. «Digli tutto, cara. Devi pensare a te stessa.» Lei fece una risatina isterica. «Non ho niente a che fare col delitto. So appena quello che mi hanno detto.» «Chi?» «Tony, e poi Don.» «Cosa vi ha detto, Tony, domenica notte?» «Don m'aveva raccomandato di tener la bocca chiusa, ma credo che non m'importi più, ora che è morto. Tony sabato ha seguito Anne Meyer al lago Perdida. Lei era nella casetta di Don con un tizio e Tony li ha spiati dalla finestra. Non aveva tutte le rotelle a posto, quel ragazzo.» «Cos'ha visto?» «Le solite cose, immagino.» «Chi era l'uomo?» «Non me l'ha detto. Credo che avesse paura di dirlo: era fuori di sé, sapete. Era pazzo di Anne Meyer, e quando l'ha vista là per terra, morta...» «L'ha vista morta?» «Così m'ha detto.» «Sabato notte?» «Domenica. Era tornato su. Ha sbirciato dalla finestra, e lei era là, stesa.
Almeno, così m'ha raccontato.» «Come ha capito che era morta?» «E che ne so? Non l'ho mica interrogato. Ho pensato perfino che l'avesse ammazzata lui. Ne era capacissimo.» «Qualcuno mentisce, Jo. Anne Meyer era viva, lunedì. Vostro nonno l'ha vista con Kerrigan nel pomeriggio.» «Non sono certo che fosse lei» obiettò McGowan. «Eppure quel tacco s'è staccato dalla sua scarpa. Aquista deve essersi sbagliato. Forse ha solo immaginato che fosse morta. Non era ubriaco, domenica?» «Ubriaco fradicio» ammise Jo. «Ma non se l'era inventato: Don è andato su al lago, lunedì, quando gli ho riferito tutto, e ha trovato il cadavere come aveva detto Tony.» «Dov'è adesso?» «Nel deserto, non so dove. Don l'ha messa nella sua automobile, l'ha portata laggiù e ce l'ha lasciata.» «È questo il favore che ha fatto al suo amico?» «Credo. Ma ha detto che comunque doveva portarla via di là. Temeva che dessero la colpa a lui.» «In che punto del deserto l'ha lasciata?» «Che ne so? Io non c'ero.» «Ma Bozey c'era?» «Sicuro. Ha seguito Don fin là e l'ha riportato indietro.» XXV Arrivammo sul costone della montagna e lo superammo. Dall'altra parte, giù in fondo, si stendeva la valle, massa oscura rotta a tratti da chiazze di luce. Spensi il motore e guidai per la discesa a fari spenti, usando il freno per controllare la velocità. L'auto seguì una strada tortuosa che a un certo punto si fece dritta: era la via principale di Traverse. Mi fermai in fondo alla strada, di fronte ai ruderi d'un ristorante le cui finestre erano state tolte e sostituite da tavole inchiodate. Qua e là, sul declivio, si scorgevano alcune strutture prive di forma, in parte schiacciate dalle nevi dei precedenti inverni. Un po' più in alto, mucchi di macerie prodotte dallo scoppio delle mine parodiavano le montagne circostanti. Cinquecento metri più sotto, in fondo al paese abbandonato, c'era una gran luce che veniva da un portone rettangolare spalancato. Due uomini
entravano e uscivano caricando di casse un grande camion fermo sulla strada. Andavano avanti e indietro coi movimenti automatici di due anime perdute, condannate a lavorare nelle miniere dell'inferno. «Sono loro» bisbigliò la ragazza. «Non voglio venire più avanti.» «Non occorre. Quante pistole hanno?» «Credo che l'abbiano tutti. Uno, quello che chiamano Faustino, ha un fucile mitragliatore.» «Male. Farete bene a nascondervi in quel vicolo. Mettetevi dentro una casa, per precauzione. McGowan, è carico il fucile?» «Non preoccupatevi.» «Com'è il vostro occhio?» «La settimana scorsa ho colpito un camoscio a quattrocento metri. Se fosse giorno credo che li coglierei da qui.» «Aspettate dieci minuti, finché non sarò arrivato laggiù, poi aprite il fuoco. Ma conservate qualche pallottola; probabilmente cercheranno di scappare. Questa strada è l'unica?» «Fuorché per le capre.» «Se uno di loro mi sfugge, riparatevi dietro l'auto e vedete se riuscite a fermarlo. Sparate fra dieci minuti.» «Non ho orologio.» «Contate lentamente fino a cinquecento. Va bene?» «Benissimo.» Scese dall'auto e si sdraiò a terra. Jo scomparve dietro il vecchio ristorante. Io scesi giù per la via, con la pistola in pugno, tenendomi vicino agli edifici, resti d'antichi negozi: un barbiere, un caffè, un emporio. L'altitudine mi faceva fischiare le orecchie come se avessi preso il chinino. A un centinaio di metri dalla luce mi misi ventre a terra, e presi a strisciare di porta in porta. I dieci minuti stavano per scadere. La luce usciva da una specie di capannone, sull'altro lato della via. Sopra il portone c'era ancora l'insegna dei vigili del fuoco. Il camion di Meyer era là dentro, coi fari accesi e gli sportelli posteriori aperti. Ormai era quasi vuoto. I due uomini scaricavano le ultime casse e le passavano a un loro compagno che stava sull'autocarro blu. Erano a torso nudo, e sudavano. Uno era robusto e peloso. Un altro alto, col naso a punta. Potevo distinguere il tatuaggio che aveva sull'avambraccio. Ogni tanto si scambiavano qualche frase. Le loro voci erano rauche e impastate, i movimenti incerti. L'uomo peloso spinse una cassa nell'auto-
carro e sostò un attimo a riposare, sbuffando: appoggiai la canna del mio revolver su un sasso vicino e mirai alla riga scura, unita, formata dalle sue sopracciglia. Un pugno invisibile colpì la parete del rimorchio. Sparai prima di percepire il rumore dello sparo di McGowan. Uno degli occhi dell'uomo peloso si infranse, come un'agata scura. Il colpito si guardò intorno nel buio con l'occhio rimasto. Venne verso di me, barcollando, cadde in ginocchio e finì con la faccia nella polvere, come era finito Aquista. L'uomo alto corse pesantemente dentro il capannone e ne uscì poco dopo con cautela, passo passo, imbracciando un fucile mitragliatore Thompson. L'arma mi mostrò la sua lingua color zafferano e rise. Sparai troppo presto, mancando il colpo. La mitraglia trapuntò il muro, dietro di me. La morte mi parlò, vicinissima. Il secondo e il terzo colpo di McGowan rimbombarono nella via. L'uomo alto girò di scatto la sua testa d'avvoltoio e spostò il fucile mitragliatore. Mirai con calma al suo corpo e sparai due volte. Fece tre passi avanti, poi tossì. L'arma gli cadde. L'autocarro incominciò a muoversi. «Aspettami, maledetto...!» gridò l'uomo alto. Raccolse il fucile e tentò di correre, premendosi una mano sul ventre. Riuscì a gettarsi sul camion, dalla parte posteriore i cui sportelli erano rimasti spalancati. Quando il pesante veicolo mi passò davanti gli scaricai contro tutti i colpi che m'erano rimasti. Le enormi ruote schiacciarono l'uomo che era caduto per primo in mezzo alla strada, poi il camion accelerò su per la salita, mentre il ruggito del suo motore si faceva sempre più alto. Il fucile di McGowan parlò ancora tre volte, ma non fermò il camion blu, che raggiunse la sommità della strada e passò di là dal costone. Stavo ricaricando la mia pistola quando Bozey uscì dal capannone. Camminava come un vecchio cieco, con le gambe allargate e le braccia protese. Aveva il volto contuso e ferito, gli occhi gonfi. «Mike... Clincher... cos'è successo?» Inciampò nell'uomo schiacciato dal camion, s'inginocchiò e scosse il corpo privo di vita. «Mike! Svegliati!» Le sue dita sentirono l'anormalità di quel corpo straziato. Lanciò un grido da coyote, uno solo, e si ritrasse. Andai verso di lui. Al suono dei miei passi si accucciò, avvilito. «Chi è?», ansò, fra i denti. «Non ci vedo. Quei maledetti m'hanno accecato.» Mi accoccolai al suo fianco. «Fa' vedere questi occhi.»
Levò la faccia, gemendo. Gli separai le palpebre con le dita. Le pupille erano coperte di sangue, ma sane. Cercò di individuarmi, come poteva. «Chi siete?» «Ci siamo già incontrati. Due volte.» Emise un brontolio e cercò di avvinghiarsi a me. Ma i suoi movimenti erano languidi, privi di forza. «Non riesci a capire quando ne hai avute abbastanza?» Lo afferrai per il colletto spelato del giaccone, lo misi in piedi e lo frugai. Non aveva armi, ma nella tasca dei calzoni c'era il mio portafogli, e al polso aveva il mio orologio, col quadrante frantumato. Slacciai il cinturino e glielo tolsi. Non resistette, non aveva più voglia di combattere. Le ciocche rosse gli ricadevano sul viso tumefatto. Guardò in giù, verso il cadavere insanguinato. «Avete fatto fuori Faustino. E gli altri?» «Se ne sono andati col camion.» «Volete trovarli? Promettetemi la libertà e vi condurrò da loro.» «Non occorre. Non arriveranno mai al Nuovo Messico.» «Li conoscete, eh?» Pareva deluso. «Devono far parte della banda di Albuquerque di cui sei stato autista.» «Proprio così.» Sputò verso il morto. La sua presenza gli aveva ridato la fiducia in se stesso. «Il mio sbaglio è stato d'essermi rimesso con loro. Di solito lavoro da solo, ma Faustino mi aveva offerto venticinquemila dollari per milleduecento casse. Mi sono lasciato truffare.» La sua voce tremava per la collera. «Gli ho chiesto la mia parte... quella roba vale circa centomila dollari: lui m'ha puntato contro il fucile mitragliatore e ha ordinato agli altri di pagarmi, ma a suon di pugni e calci. Avrei dovuto immaginarmelo.» Si tastò la faccia, con una smorfia. «Vorrei quasi che non l'aveste ammazzato, Faustino. Ci tenevo a sistemarlo io stesso.» «Tu non resterai in circolazione. L'unico sterminio che potrai fare, sarà quello delle cimici, nella tua cella.» «Può darsi. Dov'è la vostra base di operazioni, poliziotto? A Las Cruces?» «A Los Angeles.» «Polizia di stato?» «Privata.» «Non scherziamo. Per chi lavorate?» «Per me stesso.» «Molto interessante.» Sogghignò, stupidamente. «Allora forse io e voi
possiamo fare un patto.» «Cos'hai da offrirmi?» «Se ve lo dico non ce l'avrò più. Vi dirò questo, invece: voi ed io potremmo sistemarci a Las Cruces e vedere di far fruttare la città. È un'idea grande.» «Chi la fa fruttare, adesso?» «Nessuno, e questo è un delitto. Ci sono soldi a Las Cruces, ma mancano gli uomini d'azione. Noi saremo gli uomini d'azione.» «E la polizia locale?» «Ci penso io.» Era un ambizioso psicopatico. «Ma non posso agire dal fondo d'una galera. Se mi fate finir dentro perderete la migliore possibilità della vostra vita.» «Quale possibilità? Di esser truffato come Kerrigan?» La mia frase lo fece tacere, ma non a lungo. «E va bene, ho imbrogliato Kerrigan, lo ammetto. Se ne voleva andare con la mia ragazza. Lei diceva che era un tipo di classe, e io avrei dovuto finanziare la loro luna di miele. Proprio io! Ma questa è una cosa diversa. Non ci sono imbrogli.» «Lo dici tu.» «Sentite. Io so qualcosa che nessuno sa, e che potremo sfruttare insieme. Mi piacete, voi.» «Ma davvero? E quale sarebbe questa informazione speciale?» «Siamo in affari?» «Prima debbo sapere che cosa compro. Perché lo sceriffo ti ha lasciato uscire dalla contea, la notte scorsa?» «Non ho detto che mi abbia lasciato uscire.» «Che strada hai fatto?» «Ditemelo voi. Sapete tutto.» «La strada del Passo, quella delle colline.» Gli occhi di Bozey erano fessure rosse nel gonfiore bluastro delle palpebre. «Siete in gamba. Andremo d'accordo; mi piacciono i poliziotti che ci sanno fare.» «Quello che sai riguarda lo sceriffo, Bozey?» «Forse sì.» «È qualcosa che ti ha detto Kerrigan?» «Non mi ha detto niente, lui. L'ho capito da me.» «Si tratta di Anne Meyer?» «C'intendiamo al volo, eh? Hanno trovato il cadavere?» «Non ancora. Dov'è, Bozey?»
«Un momento, non troppo alla svelta. Lo facciamo, questo patto?» «Se ci tieni. Questi sono i miei termini: portami dov'è il cadavere e io t'aiuterò a cavartela. Sei in una grana, che tu lo sappia o no. Il procuratore distrettuale ha emesso un mandato a tuo carico, per omicidio...» «Non ho ucciso nessuno, io!...» «Questo non vuol dire. Coi tuoi precedenti, è naturale che si sospetti di te.» «Non sapevo nemmeno che Don Kerrigan fosse morto, finché non me l'ha detto Jo. E quel Tony Aquista, o come si chiama, l'ho visto a più di mezzo chilometro di distanza, figuratevi!» «Dillo al procuratore distrettuale, ma ti avverto che se nessuno ti dà una mano ci rimetterai la pelle, per questi delitti. Se m'aiuti, invece, farò del mio meglio per scolparti. Andrai dentro per un bel po', si capisce, ma almeno non finirai nella camera a gas.» Si guardò intorno ansioso, scrutando l'orizzonte buio. Il suo sogno di potenza e di denaro era svanito lasciandolo nudo, schiacciato dal gigantesco mondo. Dall'altro versante del monte venne un lamentoso stridio di gomme, poi un tonfo e un'esplosione soffocati dalla distanza. Era il rumore di cui in quel silenzio ero stato in attesa. «Cos'è stato?» «I tuoi amici di Albuquerque, spero.» Mi rivolse uno sguardo scrutatore. «Non scherzate, voi. Perché offrite proprio a me una via d'uscita? Nessuno mi ha dato niente per niente. Perché dovrei fidarmi?» «Non ha importanza che ti fidi o no. Devi correre il rischio; non è niente, in confronto di quelli che hai già corsi. È nel tuo interesse aiutarmi a trovare il cadavere della Meyer. Chi ha ucciso lei deve avere ucciso anche gli altri.» «Dovete aver ragione.» «Chi è stato, Bozey?» «Se lo sapessi ve lo direi. Ma vi accompagnerò dov'è. Kerrigan l'ha lasciata nella sua automobile, in un burrone vicino a Double Mountain.» Lo condussi su per la strada in salita. Jo era sola sul sedile anteriore della mia auto. «Guarda, guarda» masticò Bozey. «Che bella riunione familiare.» La ragazza non lo degnò d'uno sguardo, torva e corrucciata. «Dov'è vostro nonno, Jo?» «È andato giù per la montagna. Abbiamo sentito un fracasso, poco fa. Il
nonno ha pensato che fosse l'autocarro blu.» «L'ho sentito anch'io.» Aprii la portiera di sinistra e feci sedere Bozey fra Jo e me. Lei si ritrasse. «Devo proprio fare il viaggio con questo individuo? Dopo il sudicio trucco che ha combinato a me e a Don?» «Non fare così» borbottò lui. «Kerrigan sarebbe riuscito a spenderli, quei soldi, a sud del confine. Aveva l'aria per bene.» «Non voglio sentire neanche una parola, sporco imbroglione. Spero che ti mettano dentro e buttino le chiavi in mare.» Superammo il costone. McGowan era là, appoggiato al suo fucile. In fondo al baratro, nell'oscurità, si levavano fiamme gialle e rosse. Venne zoppicando verso di noi. «Non hanno visto in tempo la due posti» disse. «Hanno avuto la loro.» Scendemmo lentamente. La vetturetta sport presa da Jo era rimasta con le ruote all'aria, come un enorme scarafaggio meccanico infranto. Una traccia scura indicava il punto da dove l'autocarro era precipitato. Trecento metri più in basso il rogo fiammeggiava ancora. XXVI Il cielo si fece chiaro, sul deserto, ai limiti dell'orizzonte, poi assunse i colori smaglianti dell'alba. Il sole apparve a un tratto nel mio specchietto retrovisore come un gettone lucente uscito da una macchina. Bozey s'era addormentato. Aveva il viso gonfio e livido come quello d'un annegato rimasto in mare per molte settimane. La sua testa posava sulla spalla di Jo. Lei era sveglia e lo guardava. Ero tanto stanco che dovevo metterci tutta la mia forza di volontà, per guidare. In vista del passo Tehachapi, svegliai Bozey perché m'indicasse la direzione. Mi fece svoltare a sinistra, poi continuammo per alcuni chilometri in linea retta. Giungemmo a un canalone il cui fondo era ancora in ombra; a mezza altezza volavano quattro nibbi che al rumore della mia macchina si slanciarono verso l'azzurro. Vicino al letto asciutto d'un torrente c'era una trasformabile nera. «Eccola» disse Bozey. Lo lasciai sotto la mira del fucile di McGowan e andai verso l'auto abbandonata. I sedili anteriori erano vuoti, il baule chiuso a chiave. Tornai alla mia macchina a prendere una chiave inglese. Dal fondo della maschera grottesca a cui era ridotta la sua faccia, gli occhi di Bozey mi se-
guivano, interrogativi. McGowan espresse quell'interrogazione in parole. «Non c'è?» «Debbo aprire il baule.» Spezzai la serratura: era là, rannicchiata come un bimbo in un grembo ferreo. C'era una chiazza di sangue sul davanti del suo vestito. Il tacco di una delle sue scarpette marrone mancava. Mi chinai a guardarle il viso: le lacrime mi accecavano. Non che lei fosse qualcosa per me: non l'avevo mai vista se non in una foto che la ritraeva ridente nel sole. Era collera, quella che sentivo: collera contro la debolezza della morta e la mia propria debolezza. In alto, i nibbi si aggiravano in cerchi concentrici, come affossatori ubriachi. L'occhio folle del sole ci guardava dal ciglio del burrone. XXVII Il suo corpo giaceva su un tavolo d'acciaio inossidabile. Era bianco come l'avorio. Solo, sotto il seno, a sinistra, spiccava un foro bruno, e dalle spalle partivano due lunghe incisioni che giungevano sotto lo sterno. Un patologo di media età, a nome Treloar, si risciacquava le mani in un lavabo d'angolo, dopo essersi tolto i guanti di gomma. Si volse verso di me. «Volevate farmi qualche domanda?» «Sì. Avete trovato il proiettile?» Annuì e sorrise con allegria professionale. «È la prima cosa che ho cercato, ma ho dovuto usare i raggi X per trovarlo. Aveva forato il cuore e s'era incastrato fra le costole, vicino alla spina dorsale.» «Posso vederlo?» «L'ho consegnato a Danelaw, un'ora fa. È di una calibro 38, non ci sono dubbi, ma voleva guardarlo al microscopio per accertare se veniva dalla stessa arma.» «Da quanto tempo è morta, dottore?» «Potrò darvi una risposta più precisa dopo qualche esperimento. Per ora posso dire che è morta da una settimana, giorno più giorno meno.» «Da sei giorni al minimo?» «Minimo assoluto.» «Oggi è sabato. Allora è stata uccisa domenica scorsa.» «Non più tardi.» «E non possono quindi averla vista viva lunedì.»
«Impossibile. Vi dico quello che ho detto a Westmore: ne sono scientificamente certo, anche senza esperimenti.» I suoi occhi brillarono d'orgoglio professionale, dietro gli occhiali. «Ho fatto più di quattromilatrecento autopsie, qui e all'estero.» «Non metto in dubbio la vostra competenza, dottore.» «D'accordo. Il vostro testimonio mente, oppure si sbaglia. Westmore ritiene che menta.» «Dov'è Westmore, adesso?» «In ospedale, ma non so dove. Provate al Pronto Soccorso. Stanno ricucendo il vostro prigioniero.» Mi diressi verso la porta, ma prima che vi fossi giunto l'uscio si aprì e Church entrò. Mi passò vicino senza vedermi: non vedeva che la donna distesa sotto la lampada. Si accostò al fondo del tavolo, assorto. Treloar sbirciò verso di lui, al di sopra della spalla. «Dove siete stato, Brand? Abbiamo tenuto in sospeso il referto.» Church non gli badò. I suoi occhi fissi e lucenti non lasciavano la donna morta. Pareva che assistessero a una rivelazione, che guardassero nel calore bianco al centro delle cose. «Anne, sei morta.» Le parlò come se si rivolgesse a una bestiola, o a un bimbo molto piccolo. «Sei proprio morta, Anne.» Treloar lo guardò curiosamente e si fece avanti, asciugandosi le dita. Church non se ne rese conto. Era solo con la donna, nascosto nell'intensità del sogno. Le sue grandi mani si mossero, presero uno dei piedi di lei, lo accarezzarono, lo massaggiarono piano, quasi a volergli ridare il calore della vita. Treloar indietreggiò fino alla porta e mi fece cenno di seguirlo. Uscimmo. L'uscio si richiuse dietro di noi. «Avevo sentito dire che era innamorato di sua cognata» mormorò il medico «ma non credevo che lo fosse fino a questo punto.» Abbozzò un sorriso imbarazzato. «Volete una sigaretta?» Scossi il capo. Una cosa più forte dell'imbarazzo mi legava la lingua. Di là dalla porta metallica venivano singhiozzi rauchi: il dolore d'un uomo, un nome di donna ripetuto in orecchie ormai sorde. «Scusatemi» fece Treloar. «Devo fare una telefonata.» Si allontanò rapido, col camice bianco svolazzante. XXVIII
Westmore era appoggiato al muro, vicino alla porta del Pronto Soccorso. Vedendomi si drizzò e irrigidì le spalle strette. «Buongiorno» disse, con una specie di formalismo aggressivo. «Dove siete stato, se è lecito saperlo?» «Ho dormito un paio d'ore.» «Io non ci sono riuscito. Ho saputo che avete compiuto un massacro, voi e il vostro vecchio della montagna.» «Non c'era altro da fare. Non si possono trattare coi guanti, i delinquenti armati.» Ma ero più scosso di quanto non volessi ammettere. Un fuoco rosso e giallo aveva fiammeggiato attraverso i miei sogni mattutini. «Non per rinfacciarvelo, ma il vostro prezioso McGowan a quanto pare è un bugiardo, dopotutto.» «McGowan ha semplicemente sbagliato. Del resto non ha mai preteso di poter fare una identificazione positiva della donna. Quello che non capisco è come quel tacco sia finito là. Apparteneva alla scarpa di Anne Meyer, vero?» «Non c'è dubbio. Ma è chiaro che c'è stato messo.» «McGowan l'ha vista perderlo.» «Così dice. Io penso che ce l'abbia messo proprio lui e che vi abbia poi deliberatamente indotto a trovarlo. Lo trattengo come testimone indispensabile.» «E la ragazza?» «È stata fermata anche lei. La interrogherò più tardi. Adesso aspetto di poter interrogare Bozey. Con le prove che abbiamo, dovrebbe essere maturo per una piena confessione.» «Allora ritenete che il caso sia chiuso e archiviato?» «Grazie a voi, sì.» «Non ringraziatemi. Così come stanno le cose, non voglio nessuna responsabilità.» Mi fissò da dietro le lenti, sorpreso. «Debbo farvi una domanda, signor procuratore distrettuale. Una domanda ipotetica.» Alzò le mani, in un comico gesto di difesa. «Per carità! Non ho fatto che rispondere a domande ipotetiche, oggi, al palazzo di giustizia.» «Questa è breve e semplice, e non è poi eccessivamente ipotetica. Supponiamo che uno dei vostri colleghi della contea fosse sospetto di malafede... o peggio. Quale sarebbe il vostro atteggiamento?»
«Negativo, si capisce. Lo metterei in prigione.» «E se la prigione dipendesse da lui?» «Non tergiversiamo; voi parlate di Brandon Church.» «Sì. Dovreste interrogare Church, invece di Bozey.» Mi posò una mano sul braccio, con forza. «Vi sentite bene, Archer? Avete avuto un paio di giornate faticose, e...» «Non posso documentarvela, qui, ma se volete informarvi sulla mia resistenza chiamate l'ufficio del procuratore distrettuale di Los Angeles.» «L'ho già fatto. Mi hanno detto, fra l'altro, che non di rado vi fate dei nemici. Il che, devo ammetterlo, non mi ha meravigliato.» «Mi faccio i nemici che debbo farmi.» «È questione d'opinioni.» «Danelaw ha trovato qualcosa, nella cantina di Meyer?» «Qualche proiettile, e ci sta lavorando: attendo il suo rapporto. Ma, comunque sia, Church non c'entra. Non è responsabile di quello che Meyer fa o ha fatto.» Gli occhi di Westmore erano ostili, la sua voce metallica. «Potete accusarlo di qualcosa, personalmente?» «Non ho nessuna prova da presentare ai giurati. Io non posso controllare i suoi movimenti. Voi sì.» «Vi attendete che mi metta dalla vostra parte? Siete fuori strada.» «Può darsi, ma non ho intenzione di tornare indietro. Sto bene qui. Vedo il panorama di tutta la vostra contea corrotta.» Arrossì per la collera. «Su questa contea non c'è niente da dire. Church e io abbiamo lavorato anni e anni insieme per mantenerla esente dalla corruzione. Voi non lo conoscete, non sapete quanto ha fatto.» La voce del procuratore tremava, sincera. «Brandon Church è un vero idealista. Se c'è un uomo, nella vallata, di cui mi sento sicuro, è lui.» «Gli uomini possono cambiare. I caratteri si deformano, al calore. E così è capitato a Church.» Mi fissò. «Gli avete detto qualcosa?» «Gli ho detto tutto, ieri nel pomeriggio. Ha estratto la pistola ed è stato sul punto di sparare. Credo che mi avrebbe ucciso se sua moglie non l'avesse fermato.» «L'avete accusato di corruzione?» Accennai di sì. «Non posso rimproverargli di avervi voluto uccidere. Dov'è, adesso? Lo sapete?» «All'obitorio, con sua cognata.» Westmore girò sui tacchi e si allontanò
lungo il corridoio. Si fermò davanti alla porta metallica, rimase incerto un attimo, poi bussò. L'uscio si aperse, e Church uscì. Westmore gli disse qualcosa che non udii. Lo sceriffo lo allontanò con un gesto e venne avanti per il corridoio. I suoi occhi fissavano un punto lontano, di là dalle pareti. Una smorfia gli torceva le labbra. Spinse la porta d'uscita e scomparve. Il rombo della sua automobile riempì il mattino, poi si allontanò, diminuendo. Westmore l'aveva seguito lentamente, a testa bassa, come procedendo fra invisibili ostacoli. «Se poteste interrogare Church, che cosa gli chiedereste?» mi domandò. «Chi ha ucciso Aquista e Anne Meyer.» «Non vorrete dire che è stato lui?» «Dico che la sa lunga, su questi delitti. La notte scorsa ha lasciato che Bozey fuggisse col camion di Meyer.» «L'ha dichiarato Bozey?» «Praticamente. Ma ha paura di affermarlo, si capisce.» «Qualunque cosa dica, non potrebbe danneggiare Church.» «Ho incontrato personalmente lo sceriffo sulla strada del Passo verso l'una del mattino. Aveva sostituito la pattuglia nel servizio di blocco stradale, cosa molto insolita...» Westmore levò una mano, con gesto forense. «Vi contraddite. Church non poteva essere in due posti allo stesso momento. Se era sulla strada del Passo non può avere ucciso Kerrigan. E siete certo che Bozey abbia preso quella strada?» «Non sono certo di nulla.» «Me lo immaginavo. Bozey cerca di procurarsi un alibi.» «Avete messo gli artigli su un giovane criminale, quindi volete legare tutto in un fascio e appenderglielo al collo. So che questo è il solito modo di procedere, ma non l'approvo. Qui non abbiamo a che fare con un semplice delitto professionale: si tratta d'un caso delicato, che riguarda molta gente, professionisti e dilettanti.» «Non è complicato come cercate di farlo apparire.» «Forse non lo sarà quando sapremo tutte le risposte. Ma al momento non le sappiamo.» «Credevo che consideraste Church una risposta.» «Church mi rende perplesso» dissi «e credo che renda perplesso voi pure. Non lo difendereste, se così non fosse.» «Non lo difendo. Non ha bisogno di essere difeso.»
«Però il suo modo di fare insospettisce anche voi. Avete visto la sua reazione alla morte di Anne Meyer?» «È sua cognata, dopotutto. E Church è molto sensibile.» «Appassionato, volete dire?» «Cosa vorreste insinuare?» «Anne Meyer era più d'una semplice cognata, per lui. Erano amanti. Non lo sapevate?» Si portò una mano alla fronte, stancamente. «Avevo sentito dire che c'era qualcosa tra loro. Ma questo non prova nulla. Anzi, è ancora meno probabile che Church abbia a che fare con la sua morte.» «Non è escluso, però, che si tratti d'un delitto passionale. Può averla uccisa in un impeto di gelosia.» «Si vede il dolore, sulla sua faccia.» «Gli assassini provano il dolore come chiunque altro.» «Ma di chi avrebbe potuto essere geloso?» «Di molta gente. Di Aquista, per esempio, che era un antico ammiratore della Meyer, la seguiva sempre ed è stato su al lago sabato sera. Questa circostanza potrebbe spiegare quello che gli è capitato. Nonché l'ascendente di Kerrigan su Church e la sua morte.» «Church non ha ucciso Kerrigan, lo sapete.» «Può aver incaricato altri di ucciderlo. Sono molte, le pistole ai suoi ordini.» «No» fece Westmore con voce acuta. Fu come un grido di dolore. «Non posso credere che Brand abbia mai fatto del male a qualcuno.» «Chiedeteglielo. Se è un poliziotto onesto, o se solo gli è rimasta un po' di lealtà, vi dirà ogni cosa. Può anche darsi che gli facciate un favore. Ha dentro l'inferno, adesso. Dategli la possibilità di liberarsene prima che lo bruci.» «Siete molto sicuro della sua colpevolezza» disse Westmore, piano. «Io no.» Ma pareva incerto. La luce artificiale riflessa dalle pareti verdognole dava al suo viso un pallore da spettro. Ad un tratto quella luce cambiò bruscamente. Mi volsi: il medico che non era riuscito a salvare Aquista aveva aperto senza rumore l'uscio del Pronto Soccorso. «Ora potete parlargli, signor Westmore» disse. «Volete interrogarlo qui dentro?» «No. Fatelo uscire.» Il procuratore pareva in collera col mondo intero.
Bozey comparve sulla soglia. L'unico occhio lasciato libero dalle bende che gli avvolgevano il capo, si girò selvaggiamente verso l'uscita. L'agente che gli stava dietro posò la mano sulla fondina. Bozey si rassegnò. Westmore aprì il corteo verso l'obitorio. Io mi misi alla retroguardia. XXIX Treloar fece uscire le barelle a ruote dagli scompartimenti di vetro e scoprì i volti dei cadaveri, uno per uno. Aquista era pallido e magro. Kerrigan floscio e imperturbabile. Anne Meyer pareva già vecchia, nella morte. «Begli esemplari» disse il medico. «Organi perfetti, tutti quanti. Peccato che abbiano dovuto morire.» Gettò a Bozey uno sguardo di blanda rampogna. «Perché m'avete portato qua dentro?» Rispose Westmore. «Per rinfrescarti la memoria. Nome, cognome ed età.» «Leonard Bozey. Età, anni ventuno. Senza fissa dimora. Senza occupazione. Senza speranze.» «Quando hai visto per l'ultima volta quest'uomo, Donald Kerrigan?» «Giovedì sera, doveva essere verso la mezzanotte.» «Doveva essere?» «Ne sono sicuro. Non poteva essere più tardi.» «Dove l'hai visto? Al suo Motel?» «No, in un ristorante vicino. Non mi ricordo il nome.» «Lo Steakburger» dissi. «Io ho assistito all'incontro.» «Sentiremo più tardi quello che avete da dire.» Westmore tornò a volgersi a Bozey. «Cos'è avvenuto durante quell'incontro?» «Non sono obbligato a rispondere. Sarebbe come darmi la zappa sui piedi.» Westmore sorrise, torvo. «Ha cambiato mano un certo pacchetto di denaro?» «Può darsi.» «E cosa avete fatto, dopo?» «Io me ne sono andato.» «Perché scappavi?» «Non scappavo. Sono andato semplicemente a fare un giro. Mi piace guidare, di notte.»
«Prima d'andare a fare la tua passeggiatina, però, hai preso una pistola calibro 38 e hai fatto un buco in testa a Kerrigan, no?» «No.» «Dov'è la tua pistola?» «Non ne ho. È contro la legge portare la pistola senza autorizzazione.» «E tu non hai mai fatto niente contro la legge, vero?» «No, se potevo farne a meno.» Westmore tirò un profondo respiro. «E il camion che hai rubato? E la banca che hai svaligiato a Portland? Non potevi farne a meno, eh?» «Non sono mai stato a Portland. Portland del Maine, volete dire?» «Portland dell'Oregon.» «C'è un Portland, nell'Oregon?» Westmore si protese verso di lui. «Fai troppo lo spiritoso, per essere un ex galeotto col sangue di tre cittadini sulle mani.» «Non li ho uccisi io.» «No? Guardali bene, Leonard, rinfrescati la memoria.» Il procuratore distrettuale ordinò all'agente: «Fallo avvicinare». L'uomo spinse il giovane verso la barella di Aquista. «Non l'ho mai visto.» «Come hai potuto ucciderlo e rubargli il camion senza vederlo?» «Non l'ho ucciso io. Non era nel camion, e poi, il camion non l'ho nemmeno rubato. Era sullo stradone: la gente non dovrebbe lasciare gli autocarri abbandonati, col motore acceso.» «Capisco. Non potevi fare a meno di portarlo via, eh? E neanche di sparare ad Aquista.» «Non gli ho sparato. Non possiedo armi.» L'interrogatorio continuò per un'ora. Alla fine, in Bozey non c'era altro che una specie di testardo terrore. La sua voce era roca, le bende che gli mascheravano il viso erano intrise di un sudore rossastro. Io sudavo con lui, cercando d'immaginare l'esistenza che poteva aver condotto, da fanciullo. Anch'io ero stato un ladro d'automobili, da ragazzetto; avevo diviso gite gratis ed emozioni con una banda di miei coetanei, nei dedali di cemento di Los Angeles. La mia vita era stata simile a quella di Bozey, fino ad un certo giorno. Poi, un agente in borghese che sapeva di whisky mi colse a rubare una batteria elettrica dal retro di un negozio di Long Beach. Mi tenne in piedi contro un muro e mi disse cosa significava quello che facevo, e a che cosa m'avrebbe condotto. Non mi arrestò. Lo odiai per anni, ma non rubai più.
Però ricordavo quel che si prova, a essere un ladro. È come vivere in una stanza priva di finestre. E poi come vivere in una stanza senza alcuna parete. Attorno al cuore si sente un freddo mortale. E se avessi continuato, ben presto non ci sarebbe stato più cuore, né speranza, ma solo furia nel cervello e paura nelle viscere. XXX Fui grato che qualcuno interrompesse l'interrogatorio. Danelaw aprì la porta e chiamò Westmore. Dopo la sua uscita, per un attimo nell'ambiente regnò il silenzio più completo. I quattro vivi erano immobili come i morti. Poi fui io a parlare. «Leonard, se non dici tutto adesso, può darsi che dopo sia troppo tardi. Ti troverai nella camera a gas senza nemmeno accorgertene.» «Non possono condannare un innocente.» «Ma tu non sei innocente. Hai preso il camion, e questo ti rende complice dell'assassinio di Aquista, anche se non l'hai compiuto tu stesso. La tua sola via d'uscita è parlare.» Ci pensò sopra. «Cosa debbo dire?» «La verità. Com'è andata?» Bozey scosse il capo, con melodrammatica disperazione. «Non mi credereste. È inutile dirvi quello che ho visto.» «Prova.» «Mi direte che non è vero. Ho aspettato l'autocarro sullo stradone. Kerrigan aveva assicurato che ci sarebbe stato verso le sei. Infatti è arrivato e m'è passato davanti: andava su per giù a novanta all'ora. Dopo un mezzo chilometro s'è fermato, e io l'ho raggiunto a piedi, più in fretta che ho potuto.» «Perché s'è fermato?» «C'era un'automobile, una Chevrolet verde, che poi se n'è andata. Non ho visto altro.» «Hai visto l'auto allontanarsi dal camion?» «Sì, ma ero ancora lontano.» «E c'era sopra quest'uomo, Tony Aquista?» «Sì, era seduto davanti: doveva esser lui.» «Era alla guida?» «No, c'era una donna. Ma non mi crederete» aggiunse Bozey. «Dillo egualmente: chi era?»
Il giovane levò una mano e la puntò verso la barella su cui giaceva Anne Meyer. «Lei. Credo che fosse lei.» «Hai visto questa donna accompagnare Aquista lontano dal camion, giovedì pomeriggio?» «Lo sapevo che non mi avreste creduto.» Treolar scosse la testa. «Devi cercare qualcosa di più logico, ragazzo» consigliò, tollerante. «La donna è morta da una settimana.» «Lunedì sera hai visto il suo cadavere» aggiunsi io. Bozey prese a parlare rapidamente, in tono acuto. «E allora? Dico la verità e non mi credete: siete una banda di carogne.» Alzò i polsi, stretti dalle manette e li agitò verso di noi. «Siete tutti d'accordo con lo sceriffo; cercate di rovinare me per salvarvi, eh? Avanti, mandatemi alla camera a gas: non ho paura di morire. Mi fa schifo respirare la stessa aria che respirate voi, bastardi.» L'agente lo colpì in faccia col dorso della mano. «Ehi, piantala adesso. Chiudi il becco.» Mi misi tra loro. «Cos'è questa faccenda dello sceriffo?» «Era sulla strada del Passo quando ho portato il camion fuori della contea. Se ne stava seduto nella sua maledetta Mercury e ha fatto finta di non vedermi: quando sono passato non ha nemmeno voltato la testa. Voleva incolparmi del delitto, ora lo capisco.» «Non sarai incolpato di nulla, se dirai la verità.» «Siete tutti d'accordo, siete!» «Io no. Ne ho fatti cadere di più grossi di lui, Leonard.» «E su chi sono caduti? Su gente come me?» Era una domanda difficile. Danelaw aprì la porta e guardò dentro. «Cosa succede?» «Niente. Westmore è là fuori?» «Se n'è andato.» «Andato?» Uscii nel corridoio. «Bel momento ha scelto per andarsene.» «Aveva i suoi motivi. Meyer l'aspetta al palazzo di giustizia.» Si infilò i pollici nella cintura, con aria compiaciuta. «L'ho appena arrestato.» «Sotto quale accusa?» «Omicidio. Sono andato a casa sua, ieri sera, a guardarmi attorno, con la scusa di cercare materiale per poter rintracciare sua figlia. In cantina ho trovato una quantità di pallottole, e alcune vengono dalla stessa pistola che ha sparato i colpi omicidi. Compreso quello che ha spacciato Anne Meyer.»
«Ne siete sicuro?» «Posso provarlo in giudizio. Vedrete le mie microfoto! Posso provarlo anche se non si ritroverà la pistola. Del resto, Meyer ha una calibro 38 registrata a suo nome. Figuratevi che m'ha raccontato di averla prestata a sua figlia e di non averla più riavuta. Una bella storia!» «Pensavo anch'io che fosse una storia. Però, ora non ne sono più tanto certo.» «Ma è naturale che abbia dovuto inventare qualcosa. Non ha alibi per nessuno dei tre delitti. Dice che domenica, quando è stata uccisa Annie, è rimasto in casa tutto il giorno. Invece ha potuto benissimo arrivare al lago. Per giovedì pomeriggio, il suo alibi si basa sull'altra figlia. Ma la signora Church è stata a casa di Meyer dalle cinque in poi e lui non è tornato che alle sette. E lo stesso è per l'assassinio di Kerrigan. Niente alibi.» «Bella faccenda» commentai. «Lo sceriffo lo sa?» Per la prima volta Danelaw parve turbato. «Non l'ho visto. Capirete, non volevo metterlo nella posizione di dover arrestare suo suocero. Una volta tanto, l'ho saltato e mi sono rivolto a Westmore.» «E Westmore è convinto?» «Certo. Perché? Non credete che Meyer sia colpevole?» «Faccio le mie riserve. Ma ho bisogno di sapere qualche altra cosa: Meyer guida una Lincoln, vero?» «Sì, ma ha anche un'altra auto, una vecchia Chevrolet che adopera per fare qualche trasporto.» «Una Chevrolet verde?» «Già. Voglio indagare su queste due automobili, appena uscito di qui. Qualche persona ne avrà pur vista una, nei dintorni, quando sono stati commessi i delitti.» «Posso risparmiarvi il disturbo. Parlate col prigioniero, qui dentro. Chiedetegli notizie dell'auto nella quale è stato portato via Aquista, giovedì.» Danelaw si volse verso la porta. Io m'allontanai lungo il corridoio. XXXI Hilda Church aprì l'uscio della sua casa e guardò fuori, timidamente. Nel suo vestitello di cotone, era simile a una qualunque altra massaia interrotta nel lavoro mattutino. Ma c'era qualcosa di strano nel suo viso. Gli occhi erano traslucidi, d'un verde pallido come l'acqua dell'oceano. «C'è vostro marito, signora Church?»
«No, mi dispiace.» «Lo aspetterò.» «Ma non so quando tornerà.» «Non importa. Ho bisogno di parlare anche con voi.» «Scusate, ma non mi sento di parlare con nessuno, stamattina.» Cercò di richiudere la porta. Glielo impedii. «Sarà bene che mi facciate entrare.» «No, vi prego. Brandon monterà in collera se vi troverà qui.» Si appoggiò all'uscio con tutto il suo peso. «Lasciatemi chiudere e andatevene. Gli dirò che lo avete cercato.» «Debbo entrare, signora Church.» Appoggiai la spalla all'uscio e feci forza. Lei si ritirò vicino alla porta del soggiorno e s'addossò alla parete, le braccia rigide contro i fianchi. Mi avvicinai. Si rifugiò nel soggiorno: camminava con una strana goffaggine, come se il suo corpo indugiasse suo malgrado. Si fermò davanti a un tavolino da caffè, di mogano nero, e spostò d'una frazione di millimetro un portacenere di porcellana bianca, sì che fosse al centro. Il portacenere, il tavolino, il tappeto, tutto nella stanza era nitido. Il mobilio bianco e nero era nuovissimo, disposto geometricamente. Dalle porte a vetri potevo vedere il patio assolato, con una aiuola circolare di lobelie purpuree, al centro delle quali un esile alberello di limone tendeva i suoi fiori al sole. «Cosa volete da me?» mormorò la donna. La luce che veniva dal patio cadeva sul suo volto assente. Era tanto somigliante alla donna morta, che per un attimo non riuscii a credere alla realtà. La morte, invecchiando Anne Meyer, le aveva rese quasi gemelle. La pena che avevo provato per Anne mi invase nuovamente: ma era per quella donna irreale, che provavo pietà, per quell'essere immobile, con la testa china sul tavolino immacolato. Era al di là del suo potere immaginativo comprendere ciò che aveva fatto. A me toccava il compito di rivelarle la verità; dovevo farla tornare alla realtà e tornarci io stesso. Avrei preferito spararle. «Avete ucciso vostra sorella con la pistola di vostro padre» dissi. «Volete che ne parliamo, signora Church?» Mi guardò. Attraverso i suoi occhi verde mare vedevo i pensieri passarle per la mente come ombre di creature sconosciute. «Volevo bene a mia sorella» sussurrò. «Io non volevo, non intendevo...» «Ma lo avete fatto.»
«È stato un incidente. La pistola mi è esplosa fra le mani. Anne mi ha guardato: non ha detto una parola, è caduta.» «Perché le avete sparato, se le volevate bene?» «È stata colpa sua. Non avrebbe dovuto andare con lui. Conosco gli uomini: siete come bestie, non potete dominarvi. Ma la donna può dominarsi. Non avrebbe dovuto attirarlo. Non avrebbe dovuto cedere. Ci ho pensato molto. Non ho fatto che pensarci, da quando è successo. Non ho nemmeno avuto il tempo di dormire. Ho passato tutta la settimana a pensare e a pulire. Ho pulito questa casa e quella di mio padre, e poi ho pulito ancora questa. Non ci sono riuscita del tutto, a quanto pare, ma ho stabilito una cosa: che era colpa di Anne. Non si può accusare Brandon: lui è un uomo.» «Non capisco come sia successo, signora Church. Ve ne ricordate?» «Non molto bene. Eppure ci ho pensato tanto. È stato domenica mattina, molto presto, al lago. Ero andata lassù per parlare con Anne. Volevo solo parlarle. Lei era così spensierata, non capiva il torto che mi aveva fatto. Bisognava che qualcuno glielo facesse comprendere: non potevo continuare a quel modo, dovevo fare qualcosa.» «Sapevate tutto, allora?» «Lo sapevo da mesi. Avevo visto come la guardava Brand, e le occhiate che gli lanciava lei. Poi sono cominciate le gite di fine settimana. Sabato scorso sono andati via ancora. Brand mi aveva detto che aveva un convegno a Los Angeles. Ho chiamato al telefono l'albergo, ma lui non c'era. Era con Anne. Io lo sapevo, ma non sapevo dove fossero. «Poi, la sera, è venuto Tony Aquista, molto tardi: io ero a letto, ma non dormivo. Quando mi ha detto dove si trovavano, mi è parso di vedere per un attimo tutta la mia vita... la città e le montagne, loro due insieme, nella casetta, e io qui sola, sempre sola.» «Cosa vi ha detto, precisamente?» «Aveva seguito Anne al lago Perdida e l'aveva vista con Brand, dalle finestre. Erano seduti sulla pelle dell'orso, davanti al fuoco, e ridevano, abbracciati. «Tony era ubriaco e odiava Brandon, ma diceva la verità. Quando se n'è andato sono rimasta in piedi a pensare. Dovevo far qualcosa. La notte è passata come un lampo, poi hanno cominciato a suonare le campane della prima messa. Sono state come un segnale, per me; ho continuato a sentirle per tutta la strada, fino al lago. E anche mentre parlavo ad Anne mi risonavano nelle orecchie. Dovevo gridare per sentir quello che dicevo. Hanno smesso solo dopo il colpo di pistola.»
Rabbrividì, come se l'orgasmo le fosse penetrato nelle carni. «Dov'era, vostro marito?» «Se n'era andato prima che io arrivassi.» «E la pistola, dove l'avevate presa? Ve l'aveva data vostro padre?» «Era la pistola di mio padre; non me l'aveva data lui, ma Anne.» Annuì, convinta. «Non so perché, non riesco a ricordarmelo, ma so che l'aveva lei e che poi me la sono trovata fra le mani. Il colpo è esploso, e io ero terrificata, tutta sola, col corpo di mia sorella. Per un minuto ho pensato che fosse il mio, steso a terra. E poi sono fuggita.» «Ma siete tornata lassù?» «Sì, lunedì. Volevo... dare ad Anne una sepoltura decente. Ritenevo che se l'avessi seppellita, non avrei continuato a pensare a lei.» «E c'era Kerrigan al capanno? Oppure è arrivato e vi ha trovato con la morta?» «Sì, è arrivato dopo. Cercavo di tirarla... di portarla all'automobile. Il signor Kerrigan si è offerto di aiutarmi. Ha detto che non poteva permettersi di lasciarla lì, che avrebbero sospettato di lui. Mi ha condotto in un posto dove avrei potuto seppellirla, nei boschi. Ma poi quell'orribile vecchio è venuto a spiarci.» La collera le incupì gli occhi. «È stata colpa sua se non ho potuto dare una sepoltura a mia sorella. Mi ha fatto cadere e ho battuto un ginocchio.» «E avete anche perduto un tacco.» «Sì. Come lo sapete? Anne e io portiamo lo stesso numero di scarpe e il signor Kerrigan ha detto che se mi fossi messa le sue nessuno l'avrebbe mai saputo. Poi le ho rimesse ai piedi di mia sorella e siamo andati nel suo appartamento, a distruggere le prove.» «Che prove?» «Il signor Kerrigan non me l'ha detto. Ha detto solo che nell'appartamento di Anne c'erano delle prove contro di me.» «È più facile che fossero contro di lui. Vostra sorella lo ricattava.» «Dovete sbagliarvi.» Il tono di Hilda era insieme difensivo e di superiorità. «Anne era incapace di fare una cosa simile. E poi, il signor Kerrigan voleva aiutarmi. Ha detto che io non dovevo soffrire per Anne... per l'errore di Anne. L'ha messa nel baule della sua automobile; m'ha promesso di portarla lontano e di lasciarla dove nessuno la potesse trovare, per molto tempo, almeno.» «E cosa ha voluto da voi, in cambio?» «Non ricordo.» Ma lo sguardo di Hilda mi sfuggiva.
«Ve lo ricorderò io. Kerrigan vi ha detto di trovarvi sullo stradone giovedì pomeriggio, sul tardi. Dovevate fermare il camion e allontanare Aquista. Voi siete andata a casa di vostro padre, sia per crearvi un alibi sia per prendere in prestito la sua vecchia Chevrolet. Era necessario adoperare l'auto di vostro padre?» «Kerrigan aveva detto che Tony l'avrebbe riconosciuta subito.» «Pensava a tutto, vero? O quasi a tutto. Ma non sapeva che voi avevate un motivo per uccidere Aquista. O lo sapeva?» «Quale motivo? Non capisco.» «Aquista poteva immaginare, se già non se l'era immaginato, che voi avevate assassinato vostra sorella.» «Vi prego, non usate questa parola.» Mi rivolse uno sguardo selvaggio, come se io avessi liberato qualcosa di spaventoso, un pipistrello che potesse volarle addosso e annidarsi fra i suoi capelli. «Non dovete usarla.» «È la parola adatta, signora Church. Per tutti e tre i delitti. Avete assassinato Aquista perché non parlasse. L'avete gettato a terra e siete tornata nella casa di vostro padre, per completare il vostro alibi. Rimaneva solo un testimone... Kerrigan.» «Raccontate le cose come se io avessi predisposto tutto... Non è stato così. Quando Tony è sceso dal camion gli ho detto la prima bugia che ho potuto pensare: gli ho detto che mio padre aveva avuto un incidente. Non volevo ucciderlo, ma lui ha visto la pistola, sul sedile, e si è fatto sospettoso. Ha cercato di prenderla. Ho dovuto afferrarla prima che se ne impadronisse, perché non mi fidavo di Aquista. Ma non potevo guidare, sorvegliarlo e tenere la pistola contemporaneamente. Ha fatto ancora per prenderla...» «E la pistola è esplosa una seconda volta?» «Sì. Tony s'è ripiegato su se stesso e ha cominciato a respirare in modo strano.» Le spalle della donna s'incurvarono in un'inconscia mimica; il respiro le sibilava in gola. «Non potevo resistere alla vista del sangue e alla sua vicinanza. Così l'ho spinto fuori dell'auto.» Tese le braccia avanti, con violenza. «La pistola è esplosa anche una terza volta» le rammentai. «Ve ne ricordate? È stato nell'ufficio di Kerrigan.» «Sì, me ne ricordo.» La voce di Hilda s'era fatta più decisa. Pareva che il rivivere i delitti e il confessarli le avesse segretamente giovato. «Gli altri sono stati incidenti, anche se voi non mi credete. Ma ho ucciso il signor Kerrigan perché non potevo farne a meno. Aveva detto ogni cosa a mio
marito: dovevo evitare che ne parlasse ad altri. Brand mi aveva chiuso dentro, quella sera, ma poi era dovuto uscire. Ho rotto una finestra e sono andata al Motel. Kerrigan era nel suo ufficio: sono entrata e ho sparato. Non è stato bello, dopo tutto l'aiuto che mi aveva dato, ma non potevo farne a meno.» Guardai nelle profondità buie dei suoi occhi, incapace di comprendere se l'ironia era voluta. Hilda era seria e compresa come un giudice in toga. «Tre uccisioni con tre colpi: un bel record. Dove avete imparato a sparare così bene?» «Mi aveva insegnato mio padre, e anche Brandon mi accompagnava spesso al poligono. Ho fatto perfino cento su cento, in sagoma.» «Dov'è la pistola che avete usato?» «Ce l'ha Brandon. L'ha trovata dove l'avevo nascosta. Sono contenta che l'abbia trovata. Non voglio che succeda niente altro: odio la violenza, l'ho sempre odiata. In possesso della pistola, non avevo pace.» «Nessuno poteva aver pace.» Non mi ascoltava. Sul suo volto c'era un'espressione che avevo già visto il giovedì sera, piena di paura e insieme d'attesa. Un'automobile si era fermata nel viale. XXXII Con l'arma in pugno, attesi che Church entrasse. Comparve sulla soglia, gli occhi lucenti, il volto sparuto sotto la tesa larga del cappello. La sua mano andò alla tasca laterale della giacca, deformata dalla sagoma d'una pistola. «Sapevo che dovevate esser voi» disse. «Avreste dovuto uccidermi quando ne avevate la possibilità. Ora non è più il caso: vostra moglie fa cento in sagoma. Io novantanove in tiro rapido.» «Non ho l'intenzione di competere con voi, Archer. Non voglio il vostro sangue sulle mie mani.» «Fatemele vedere.» Me le mostrò vuote. Quando gli tolsi di tasca la pistola, trasalì. Era una calibro 38, dal calcio liscio per l'uso. Feci scorrere il cilindro, lubrificato: era carica. «Prendetela» sussurrò Church. «È quella che cercate.» Guardò sua moglie che era indietreggiata e stava contro la porta a vetri
del patio. Gli occhi di lei erano come terribili fessure verdi, che a un tratto lasciarono scorrere le lacrime. Mi chiesi per chi fosse quel dolore. Per sé, forse? «Gliel'hai detto, Hilda?» Annuì. Lo sceriffo si rivolse a me. «Allora sapete tutto.» «Sì. Dove siete stato?» «Sullo stradone. Mi era venuta l'idea infantile di potermene andare e lasciare ogni cosa dietro di me: di ricominciare altrove.» «Però siete qui.» «Ho capito che non avrei potuto liberarmi da me stesso. E poi, non potevo lasciare Hilda far fronte a tutto, da sola. Io sono più colpevole di lei.» La donna gemette. Il suo viso era quello d'una statua nella pioggia. «Brandon, lasciami uscire ti prego. Non posso sentirti parlare così.» «Non fuggirai?» «No, te lo prometto.» «Non ti farai del male?» «No, Brandon.» «Va bene, allora. Puoi uscire, per un poco.» Quando la porta a vetri si chiuse dietro sua moglie, Church si rivolse a me. «Non lascerà il patio, state certo. Le piace molto, e non avrà più tempo per goderselo.» «Le volete ancora bene?» «È la mia bambina. Questo è il peggio, Archer. Non posso biasimarla: non è responsabile. L'unico responsabile sono io. Hilda ha agito per coercizione interiore, senza sapere quel che faceva. Io invece sapevo benissimo, quel che facevo, fin dal principio. Ma ho continuato a farlo. Tutto questo, me lo sono meritato.» Aprì le grosse mani e le fissò. «È cominciato giovedì sera, quando Kerrigan ha parlato. Aveva fatto qualche accenno, al Motel: più tardi, quando sono andato a casa sua, m'ha buttato in faccia ogni cosa. Allora ho saputo tutto. E ho saputo che Anne era morta. «Non ho attenuanti per quel che ho fatto, però credo che non avrei agito così se avessi potuto pensare chiaramente. Il colpo era troppo violento: non c'ero preparato... Avevo lasciato Anne su, al lago, in una mattina di sole. Non eravamo mai stati così felici.» Gocce lucenti imperlavano la fronte dello sceriffo. Le asciugò col dorso della mano, impaziente. «Maledizione, ora mi compatisco: è il mio difetto. «Ma quella sera, da Kerrigan, è stato come se un terremoto mi avesse
sconvolto la vita. La mia donna era morta: mia moglie l'aveva uccisa e poi aveva ucciso ancora. Kerrigan non mi ha risparmiato nulla, ha detto tutto ciò che riteneva utile per spezzare la mia resistenza. Forse non gli ho creduto veramente finché non ho interrogato Hilda. Ma poi... lei ha ammesso tutto, tutto quello che ricordava. «Non vedevo via d'uscita. Anche adesso non ne vedo: sono andato sulla strada del Passo e ho fatto quello che voleva Kerrigan. Avevate ragione, Archer.» Le parole uscivano a fatica dalla sua bocca dolente. «Ho allontanato i miei uomini col pretesto di dar loro il cambio e ho lasciato che il rapinatore uscisse dalla mia contea. È la cosa di cui più mi vergogno fra tutto quello di cui debbo vergognarmi.» «È ancora nella vostra contea, adesso.» «Lo so. Ma ciò non altera quello che ho fatto.» Le pistole che avevo in pugno mi imbarazzavano. Le infilai in tasca, fuori vista. Il mio giudizio su Church s'era del tutto rovesciato, in quei pochi minuti. Aveva infranto le regole; la sua vita era sempre stata ordinata, ma ora s'era lasciato travolgere dalla passione. Era però un uomo onesto. «Avrei fatto lo stesso anch'io» dissi. «Ieri sbagliavo. Ritiro quello che ho detto. Dimenticatelo.» «Non posso perché è la verità. Nelle ultime quaranta ore ho corso le campagne con la scusa di far da rinforzo alle pattuglie, ma in realtà cercavo Anne. Kerrigan non aveva voluto dirmi dov'era, per meglio tenermi in pugno. Comunque, ormai tutto è passato. Penso che Westmore radunerà il gran giurì per accusarmi.» «No, se dipenderà da me. E io sono il teste principale.» Mi guardò, sorpreso. «Dopo quello che ho fatto?» «Dopo quello che avete fatto. Voi siete il tipo che ricava soddisfazione dal pubblico disprezzo e da una pena scontata in prigione. Naturalmente vi sentite colpevole: lo siete. Avete commesso gravi errori: più grave di tutti quello di lasciar libera Hilda pur sapendo che aveva due delitti sulla coscienza. Kerrigan non è stato una perdita per nessuno, ma sarebbe potuto toccare ad altri.» «So che non avrei dovuto lasciarla, ma Kerrigan mi aveva costretto ad andare sulla strada del Passo. Avrei potuto farla ricoverare in una clinica per malattie mentali, ma non ne ho avuto la forza, al momento. Il mio cervello era offuscato. Mi sentivo anormale io stesso.» Il suo sguardo andò oltre la porta di vetro. Hilda era immobile, nel patio, e fissava il limone fiorito. Church emise un suono inarticolato. Si tolse il
cappello, lo gettò contro la parete e sedette, col capo fra le mani. Anch'io sedetti, di fronte a lui. Quando lo rialzò, i suoi occhi non erano più così febbrili. Ma il viso era segnato profondamente e le mani tremavano. «Hilda dovrà passare parecchio tempo rinchiusa» dissi. «Il posto dipende dal fatto che sia sana di mente o no. Lo è?» «Non so quello che decideranno i giurati. È di una sensibilità morbosa, potete vederlo da voi. Da quando l'ho conosciuta non è mai stata del tutto normale. Questo è forse uno dei motivi per cui l'ho sposata. La sua vita a casa, con Meyer, la portava verso la pazzia, letteralmente. Certi uomini sentono il bisogno d'essere necessari: io sono uno di quelli. «Ora so che questa è una debolezza più che una forza, e che non è la base migliore per un buon matrimonio. Però, per quasi dieci anni siamo andati abbastanza bene. Se avessimo avuto figli saremmo andati bene per sempre. E anche se io non avessi perduto la forza di volontà.» Mi guardava, ma senza vedermi, intento a frugare in sé. «Io volevo un figlio» continuò «e lei non ha potuto darmelo. Il figlio che non potevo avere, le altre cose che mi mancavano, gradualmente m'hanno logorato. La nostra vita insieme era vuota. Abbiamo cercato di riempirla, con le cose... una casa nuova, il mobilio...» Si guardò intorno. «Ma non c'era soddisfazione, non c'era amore. Io non amavo più Hilda, e quanto a lei... credo che non m'abbia amato mai. C'era troppa paura, nel suo cuore, perché potesse amare.» «Paura? Di che cosa?» «Al principio credo che abbia incominciato ad aver paura di suo padre, poi è passata a temere altre cose, compreso me. E se stessa.» Tirò un profondo respiro. «Qualche volta era come se ci fosse un animale selvaggio, in lei: finché potevo darle l'amore, la sicurezza di cui aveva bisogno, Hilda era al sicuro dai suoi assalti, e per nove anni son riuscito a farla vivere come una persona normale. Poi ho mancato. «Credo di essere stato attratto da Anne fin dalla prima volta che l'ho vista; finché ha vissuto con noi, però, non mi sono concesso di rendermene conto. E anche dopo: ero troppo puritano per approvare la sua condotta. Ma lei rappresentava tutto quello che non avevo avuto: gioia, allegria, amore senza lacrime. Era tanto simile a Hilda, eppure così diversa. «Ho cominciato a pensare a lei la primavera scorsa. Facevo dei piani elaborati per incontrarla in strada o per indurre Hilda a invitarla. Poi, quando veniva, avevo paura di avvicinarla. Era così bella! «In giugno siamo andati tutti e tre a fare una gita sull'oceano. Non vole-
vo che venisse anche Anne: lottavo ancora, a quell'epoca, e sapevo di esser sul punto di cedere. La prima notte, Hilda ebbe l'emicrania. Anne e io la lasciammo in albergo e andammo a passeggiare sulla spiaggia. Accadde così.» Udii un rumore nel patio. M'alzai e andai alla porta. Hilda, in ginocchio, strappava le erbacce dall'orlo dell'aiuola. «Quello è stato il mio delitto» riprese Church, dietro di me. «Ho tolto l'amore a Hilda e l'ho dato a sua sorella. Anche Anne si era innamorata di me. Non potevamo star separati. Una notte rimasi fuori con lei e quando rincasai trovai Hilda ad aspettarmi, con quel suo sguardo da animale ferito. Non mi disse una parola, sul conto di Anne. Non mi fece domande. Si era ritirata in se stessa, e io non ho fatto nulla per impedirlo. Qualche volta desideravo perfino che perdesse del tutto il cervello, per esser libero di vivere con Anne, di sposarla e aver bambini.» La sua voce si ruppe. «In un certo senso il mio desiderio si è avverato.» «Vostra moglie non ha mai fatto cure?» «Una volta, nei primi anni del nostro matrimonio. Aveva tentato di togliersi la vita. L'hanno tenuta in osservazione per dieci giorni. Aspettava un bambino e i medici hanno addebitato l'avvenuto alla gravidanza. Aveva detto che non voleva mettere al mondo un figlio e aveva preso non so quante pillole di sonnifero. «Avrei potuto farla internare, allora. I medici lasciarono a me la decisione. Volli tenerla a casa: doveva darmi un figlio.» «E poi?» «Lo perdette. Le sue condizioni mentali migliorarono, in seguito.» «Mi sembra che i precedenti giustifichino la tesi della totale infermità di mente. Secondo voi, aveva premeditato di uccidere Anne?» «No di certo, e posso provarlo. Non aveva la pistola, quando è andata lassù. Io stesso l'ho vista sul cassettone, sabato sera, e ho rimproverato ad Anne di tenere attorno un'arma carica. Ma lei non ha lasciato che la scaricassi. Voleva essere in grado di difendersi.» «Da vostra moglie?» «Non credo. Non aveva paura di lei.» «Secondo Hilda, è stata sua sorella a darle la pistola. Vi pare possibile?» «L'ha detto anche a me. Ma Anne non l'avrebbe mai fatto.» «Lo immagino: sapeva che Hilda aveva tentato di uccidersi.» Andai alla porta. La donna era sempre in ginocchio tra i fiori. Ma non estirpava più le erbacce: strappava a manate le lobelie purpuree e gettava i
petali straziati dietro di sé, nervosamente. Church mi passò accanto e uscì nel patio. «Hilda, cosa fai?» Alzò la testa e ci guardò, da sopra la spalla. «Non mi piacciono. Non sono più belle.» Vide lo sguardo turbato del marito e si agitò. «Ho fatto male, papà? Voglio dire, Brandon?» Lo sceriffo esitò un attimo prima di rispondere. «No, hai fatto bene, Hilda. Fa' quello che vuoi, coi fiori. Sono tuoi.» «Vorrei chiedervi una cosa» dissi io. «A proposito di Anne.» Lei si alzò respingendo i capelli dalla fronte con la mano sporca di terriccio. «Ma vi ho già detto tutto: è stato un incidente. Avevo la pistola in mano, e mentre mia sorella mi guardava è esplosa.» «Come è finita in mano a voi, quella pistola?» «Me l'ha data Anne, ve l'ho spiegato.» «Ma perché? Vi ha detto qualcosa? Ve ne ricordate?» «Sì, ricordo... ma non mi sembra giusto.» «Cosa ha detto, signora Church? Cercate di rammentare.» «Anne rideva. Le ho dichiarato che se non avesse lasciato stare Brandon mi sarei uccisa. Ha riso ancora, è andata nella camera da letto, ha preso la pistola e me l'ha data. "Avanti, ammazzati" mi ha detto. "La pistola è carica. Ammazzati, dunque."» Hilda s'interruppe, nell'atteggiamento di chi ascolta. «Ma io non l'ho fatto: ho ucciso lei.» Church gemette, dietro di me. Mi voltai. Pareva un uomo sopravvissuto a una lunga malattia. Un colibrì sfrecciò sopra il suo capo, come un proiettile iridescente. Lo sceriffo lo seguì con lo sguardo finché non fu scomparso nell'azzurro. Sua moglie era tornata tra i fiori, ed era intenta a strappare gli ultimi. Quando giunse l'auto della polizia, l'arboscello era nudo e Hilda aveva incominciato a spogliare l'esile e spinosa pianta di limone. Prima che la conducessero via, Church lavò e bendò le sue mani sanguinanti. FINE