Gianni Barbiero
Il regno di JHWH e del suo Messia salmi scelti dal primo libro del Salterio
STUDIA BIBLICA Collana diretta da Giuseppe Belila e Angelo Passaro 7 IL REGNO DI JHWH E DEL SUO MESSIA
Ai professori del Pontificio Istituto Biblico di Roma che benevolmente mi hanno accolto nel loro collegio.
Gianni Barbiero
IL REGNO DI JHWH E DEL SUO MESSIA salmi scelti dal primo libro del Salterio
Città Nuova
Il libro è dedicato ai professori dell'Istituto Biblico di Roma, con cui ho imparato ad amare i salmi, e che ora mi hanno accolto generosamente come collega. Ringrazio i prof. A. Passaro e G. Belila della Facoltà teologica di Sicilia per avermi fatto posto nella prestigiosa collana Studia Biblica, l'editrice Città Nuova per la competenza editoriale con cui ha seguito il lavoro, e la prof. Suor Silvia Ahn O.P. per la pazienza con cui ha rivisto il manoscritto.
Progetto grafico di collana di Rossana Quarta © 2008, Città Nuova Editrice Via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma tel. 063216212 - e-mail:
[email protected] Con approvazione ecclesiastica ISBN 978-88-311-3632-7 Finito di stampare nel mese di novembre 2008 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M. Via S. Romano in Garfagnana, 23 00148 Roma - tel. 066530467 e-mail:
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PREFAZIONE
Questo libro raccoglie una lunga frequentazione dei primi salmi del salterio, iniziata a Messina negli anni Ottanta, proseguita in Germania con la pubblicazione del volume: Das erste Psalmenbuch als Einheit {Il primo libro dei Salmi come unità)1 e continuata ultimamente alFIstituto Biblico di Roma. Il motivo che mi ha spinto a pubblicare queste pagine è determinato dalla relativa novità dell' approccio in esse perseguito. Si tratta dell'approccio cosiddetto "canonico", che considera ogni salmo non isolatamente, ma nel contesto del salterio. Nell'esegesi rabbinica i singoli salmi sono considerati come i capitoli di un libro. Come, in un libro, i singoli capitoli fanno parte di un discorso unitario, e non si capirebbero isolandoli uno dall'altro, così nel salterio ogni singolo salmo continua il discorso del precedente e prelude al seguente. Il salterio è il primo orizzonte ermeneutico, fondamentale per la comprensione dei salmi. Questo approccio è relativamente nuovo nell'esegesi e nella coscienza del cristiano comune. Finora i salmi venivano studiati isolatamente e catalogati secondo il loro genere letterario. Lo studio canonico, d'altra parte, è un ritorno all'antico, poiché la lettura continua dei salmi è tipica dell'esegesi antica, sia rabbinica sia patristica. Essa apre nuove prospettive: soprattutto mette in evidenza, dei salmi, la dimensione teologica, mostrando le linee teologiche fondamentali che attraversano e unificano il salterio. Viene presentata, nel volume, l'esegesi dettagliata e puntuale di dieci salmi tratti dal primo libro del salterio {Sal 1-41). Questo libro ha una composizione organica. Da un punto di vista redazionale, forse è la parte più antica, ed ha avuto un'esistenza indipendente dalle altre. Potrebbe essere servito come modello per la composizione del salterio attuale di 150 salmi.
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Barbiero 1999.
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Prefazione
Il volume si pone in continuità con il precedente, sopra citato. Una delle critiche mosse allora al mio studio era che la prospettiva canonica poteva far perdere di vista la peculiarità di ogni salmo. Il presente studio vuol essere perciò complementare a quello: esso vuol partire dall'approfondimento di ogni singolo salmo, esaminato come composizione poetica autonoma. Naturalmente su tale comprensione si proietta la luce proveniente dallo studio degli altri salmi e, poiché il salterio è specchio dell'Antico Testamento, di tutta la Bibbia ebraica. In una prospettiva cristiana il discorso andrebbe esteso al Nuovo Testamento. Questo discorso viene da me soltanto accennato: l'approfondimento avrebbe richiesto un discorso a parte, che esula dalla prospettiva del mio volume. Ma l'apertura al Nuovo Testamento viene sempre tenuta presente, anche se l'orizzonte di comprensione fondamentale rimane il salterio e la Bibbia ebraica. E mia convinzione che, come il salterio, anche il suo primo libro abbia un tema preciso, e che questo tema venga dato nel prologo, che è comune al salterio e al primo libro, cioè nei Salmi 1-2. Questo tema viene svolto poi conseguentemente nelle quattro composizioni che costituiscono il libro stesso: Sai3-14; 15-24; 25-34 e 35-41. Il tema è quello che ho scelto come titolo del volume: «Il regno di J H W H e del suo Messia». Questo è il tema del Sal 2 e degli altri salmi regali, che costituiscono per così dire la spina dorsale del libro. La campionatura dei salmi, di cui si offre l'analisi, è particolarmente rappresentativa del tema della regalità. La regalità di JHWH, introdotta nel Sal 2, viene ripresa soprattutto nei Sal 23 e 24; quella del "Messia" è sviluppata nel Sal 8, con l'esaltazione della dignità regale dei "bimbi e lattanti", e nei Sal 22 e 40, in cui si delinea, in antitesi con il Sal 2, il carattere sofferente di questo personaggio. Si tratta di testi teologicamente molto ricchi, in cui il Nuovo Testamento ha riconosciuto una "profezia" di Gesù Cristo. Conformemente all'approccio canonico, i salmi vengono studiati non isolatamente, ma nel loro immediato contesto; così vengono scelte piccole serie: i Sal 1-3; 22-24 e 39-40. Fanno eccezione i Salmi 8 e 19, che occupano il centro ripettivamente della prima e della seconda unità compositiva. Si tratta, come si diceva, di campionatura, di saggi di lettura: mi pare che il metodo usato permetta un approccio nuovo ai salmi, che apre questi tesori della spiritualità biblica a dimensioni esegetiche non ancora esplorate.
SIGLE E ABBREVIAZIONI
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Anchor Bible ad locum Archiv für Liturgiewissenschaft Analecta Biblica Ancient Near East in Pictures Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old Testament Alter Orient und Altes Testament American Schools of Oriental Research Books American Schools of Oriental Research. Special Volume Series Das Alte Testament Deutsch Arbeiten zu Text und Sprache im Alten Testament Augustinianum Talmud babilonese, Trattato Avot Bonner biblische Beiträge Talmud babilonese, Trattato Berakot Bulletin of the Canadian Society of Biblical Studies Beiträge zur Erforschung des Alten Testaments und des antiken Judentums Bibbia e Oriente Bibliotheca ephemeridum theologicarum Lovaniensium Beiträge zur evangelischen Theologie Biblia hebraica ed. R. Kittel Biblia hebraica stuttgartensia Biblica Biblica et orientalia Bijdragen Bibel und Kirche Bibel und Leben
8 BIOSCS BJ BK BN BR BS BThSt BVC BZ BZAW Carth CBQ CChr.SL CD CEI CÉv.S cf. CPV CRB CTJ CV DBAT ed./edd. ESt EstB FAT FOTL FRLANT FS FuF FzB G GAT GKB HALAT HAR
Sigle e abbreviazioni
Bulletin of the International Organisation for Septuagint and Cognate Studies La Bible de Jérusalem Biblischer Kommentar Biblische Notizen Biblical Research Bibliotheca sacra Biblisch-theologische Studien Bible et vie chrétienne Biblische Zeitschrift Beihefte zur Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft Carthaginensia Catholic Biblical Quarterly Corpus Christianorum. Series latina Codice di Damasco La Sacra Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana Cahiers Evangile. Suppléments confronta Cahiers de la Pierre-qui-vire Cahiers de la Revue biblique Calvin Theological Journal Communio viatorum Dielheimer Blätter zum Alten Testament editore/editori Eichstätter Studien Estudios biblicos Forschungen zum Alten Testament The Forms of the Old Testament Literature Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments Festschrift Forschungen und Fortschritte Forschung zur Bibel Septuaginta Grundrisse zum Alten Testament Gesenius - Kautzsch - Bergsträsser, Hebräische Grammatik L. Koehler - W. Baumgartner, Hebräisches und Aramäisches Lexikon zum Alten Testament, Leiden31974 -1995 Hebrew Annual Review
9 Sigle e abbreviazioni
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Handbuch zum Alten Testament Herders biblische Studien Horizons in Biblical Theology Hebrew Student Heythrop Journal hifil hitpael Harvard Theological Review Hebrew Union College Annual Irish Biblical Studies International Critical Commentary Interpretation Journal of Biblical Literature Jahrbuch für biblische Theologie Jaarbericht van het Vooraziatisch-Egyptisch Genootschap 'Ex Oriente lux' Journal of the Evangelical Theological Society Junge Kirche Journal of Near Eastern Studies Journal of Northwest Semitic Languages Journal for the Study of the Old Testament Journal for the Study of the Old Testament Supplement Series Journal of Theological Studies Kommentar zu den apostolischen Vätern Kurzer Hand-Commentar zum Alten Testament King James Version M. Dietrich - O. Lorentz ־J. Sanmartin, Die Keilalphabetische Texte aus Ugarit. Einschließlich der Keilalphabetischen Texte ausserhalb Ugarits. Teil I Transcription, Kevelaer/Neukirchen-Vluyn 1976 Lexicon der Ägyptologie Laurentianum Lectio divina Septuaginta Mishnah, Trattato Avot Mishnah, Trattato Berakot Midrash Tehillim New Clarendon Bible Neue Echter Bibel
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Sigle e abbreviazioni
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11 Sigle e abbreviazioni
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E. Jenni - C. Westermann (edd.), Theologisches Handwörterbuch zum Alten Testament, Gütersloh *1995 Theologische Beiträge Theologisches Jahrbuch Theologische Literaturzeitung Theologische Studien Theologia viatorum G.J. Botterweck ־H. Ringgren (edd.), Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament, Stuttgart/Berlin/Köln 1970-1995 Theologische Zeitschrift Testo masoretico Traduction oecuménique de la Bible Trierer theologische Zeitschrift Texte aus der Umwelt der Alten Testaments Ugarit-Forschungen Verbum Domini Vulgata Vidyajyoti Journal of Theological Reflection Vetus Latina Vetus Testamentum Vetus Testamentum. Supplements Word Biblical Commentary Die Welt der Bibel. Kleinkommentare zur Heiligen Schrift Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament Wort und Dienst Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament Zeitschrift für Althebraistik Zeitschrift für altorientalische und biblische Rechtsgeschichte Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft Zürcher Bibelkommentar zum Alten Testament Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft F. Zorell, Lexicon hebraicum Veteris Testamente, Roma 1989 Zeitschrift für Theologie und Kirche
INTRODUZIONE
L o STUDIO STORICO-CRITICO DEI SALMI
Fino a circa vent'anni fa, lo studio moderno dei salmi era dominato dalle figure di H. Gunkel e S. Mowinckel. Il primo metteva in rilievo ! , importanza del genere letterario, delle forme primitive della preghiera, rintracciate attraverso paralleli orientali 1. Egli divideva i salmi in "preghiere di supplica", "inni di lode", "preghiere di ringraziamento", eccetera. Per fare questo lavoro si rendeva indispensabile ricostruire la forma primitiva del salmo, distinguendola dalle aggiunte successive, e precisare l'ambiente storico in cui questo salmo era stato composto (Sitz im Leben). L'approccio di Gunkel è ancor oggi indispensabile, ma ci si è resi anche conto che esso non è sufficiente. Da una parte, infatti, i salmi, come sono oggi, non si presentano quasi mai nella loro forma primitiva, ma sono spesso un misto: lode, supplica e azione di grazie appaiono all'interno di uno stesso salmo; dall'altra, sottolineando la forma, si finisce per trascurare il contenuto e cioè la particolarità, l'unicità di ogni salmo. Una volta stabilito, ad esempio, che il Sal 8 è un "inno", il lavoro esegetico è ancor tutto da fare. E, d'altra parte, il discorso formale non rende conto del salterio come oggi l'abbiamo. Gunkel stesso rileva che i salmi non sono ordinati secondo la loro forma: per lui il libro dei salmi è un insieme disordinato di poemi indipendenti l'uno dall'altro. Il commento del Castellino cerca di porvi rimedio, di "mettere ordine" al salterio riorganizzando i salmi secondo il loro genere letterario 2. Mowinckel ha sottolineato la dimensione cultuale, liturgica, di queste composizioni 3. Secondo lui il Sitz im Leben dei salmi è la preghiera pubblica di Israele, il tempio e le sue feste. Il salterio sarebbe una specie di "Cantorale" del secondo tempio. Effettivamen1 2 3
Gunkel 1985. Castellino 1955. Cf. Mowinckel 1921-1924.
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Introduzione
te si hanno attestazioni dell'uso di singoli salmi nella liturgia del tempio (cf. 1 Cr 16; Sir50,15-21). Inoltre i titoli stessi collegano certi salmi ad azioni liturgiche (si pensi, ad esempio, ai Salmi delle Ascensioni). Ma un'ambientazione del salterio come tale nella liturgia del tempio viene oggi esclusa. Anche il tentativo, fatto da A. Arens 4, di ambientare il salterio nella liturgia sinagogale, si è rivelato insostenibile. Certo i salmi avevano e hanno il loro posto nella liturgia sinagogale, ma il loro ordine non corrisponde a quello delle letture bibliche. Come quello di Gunkel, da cui dipende, anche ! , approccio di Mowinckel è importante e ancora attuale, ma insufficiente. Sempre più infatti si va diffondendo la convinzione della natura sapienziale, non cultuale, della redazione definitiva del salterio I primi due salmi, che costituiscono per così dire il prologo del salterio, non sono certo dei salmi liturgici. Una terza caratteristica dello studio storico-critico dei salmi è lo studio della redazione, cioè del processo storico per cui si è passati per giungere dalla forma primitiva a quella attuale. Spesso all'interno dei singoli salmi si rilevano cambiamenti di tono, di genere letterario, passaggi dal singolare al plurale, che denotano una pluralità redazionale. I salmi sono stati oggetto di diverse riletture attualizzanti. E. Zenger traccia la seguente ricostruzione storica della redazione del salterio 6: a) Alcuni (pochi) salmi, o meglio la parte più antica di essi, risalirebbero all'epoca preesilica. Si tratterebbe soprattutto di alcuni salmi regali, legati al rituale di corte (come i Sal 2*; 18*; 21*; 45*; 72*; 110*), di alcuni inni di J H W H re (cf. 5 9 3;*60;*29;*24/^;)*־ di alcuni inni di Sion {Sal 46* e 48*) e di alcune suppliche individuali {Sal 3-7; 11-14). b) Esiliche sarebbero le due lamentazioni nazionali, Sal 74* e 79*, e le raccolte "davidiche", ,W3-41 e 51-72, in cui il popolo esiliato vedeva in Davide una figura con cui identificarsi e in cui trovare speranza nella presente afflizione. c) Al ritorno dall'esilio, il nuovo tempio fu teatro di alcune composizioni salmiche, come, ad esempio, il Sal 136, che, con i suoi ritornelli («perché eterna è la sua misericordia»), denota la parteci-
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Arens 1968. Cf., ad esempio, Sheppard 1980. Zenger et al. 2001, pp. 320-321. La proposta di Zenger si ispira a Albertz 1992.
15 Introduzione
pazione del popolo, o i salmi "liturgici": 50; 81; 95; 113-118 (ambientati, questi, nella festa di Pasqua). d) La redazione finale del salterio sarebbe di epoca ellenistica, tra il 200 e il 150 a.C., essa sarebbe di carattere sapienziale e rifletterebbe una certa distanza dall'aristocrazia sacerdotale, unendo insieme sapienza e torah, attesa escatologica e spiritualità dei poveri di JHWH. Una simile ricostruzione dell'ambiente storico da cui è nato il salterio è certamente importante per la comprensione dei salmi. Però da una parte si deve riconoscere l'ipoteticità di simili ricostruzioni. E impossibile trovare due autori che siano d'accordo sulla ricostruzione redazionale di uno stesso salmo. Lo stesso Zenger nel corso delle sue indagini ha cambiato più volte opinione al riguardo. D'altra parte, come si noterà, in un approccio canonico ai salmi ciò che è importante non è lo stadio iniziale della composizione, ma quello finale, cioè come la Sinagoga e la Chiesa lo hanno recepito come parola di Dio. Per importante che sia la ricostruzione storica del divenire di un salmo, essa non esaurisce la comprensione dello stesso, rimane anzi al di qua di una comprensione di fede.
L'APPROCCIO SINCRONICO
L'approccio sincronico al salterio non si pone come alternativo, ma come complementare a quello diacronico, anche se talora una contrapposizione dei due metodi si può percepire. In ambedue ci sono elementi importanti e ineludibili per l'interpretazione del testo: l'ideale sarebbe di combinarli insieme, anche se questo non è sempre facile, perché i due metodi hanno una logica diversa. L'approccio sincronico è quello della tradizione, sia giudaica sia cristiana. Esso prende il testo così com'è, senza porsi domande critiche sul suo divenire storico e sul suo genere letterario. Oggi una tale lettura viene ripresa, naturalmente non più in forma ingenua, ma supponendo tutto il travaglio interpretativo della scuola storicocritica. L'esigenza di un approccio sincronico al salterio viene avanzata oggi in base a due istanze, una letteraria e una teologica. L'analisi poetologica In contrasto con il metodo storico-critico, che in un testo cerca il "genere", cioè il comune, l'universale, e il "primitivo", cioè lo
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Introduzione
strato più antico della tradizione, l'indagine poetologica cerca in esso l'individuale, il carattere specifico, unico di un testo, che ne fa un'opera d'arte diversa da altri testi congeneri, e, trascurando gli stadi redazionali precedenti, prende il testo nella sua forma finale, come un tutto unico. A questa scuola possiamo allineare, ad esempio, l'esegeta M. Weiss, propugnatore della cosiddetta "dose reading" 7, e il professore Alonso Schòkel, che è giunto allo studio dei salmi da quello della letteratura spagnola, e vi ha recato la sua grande sensibilità poetica 8. In lingua francese, l'analisi poetica dei salmi è fortemente improntata all'indagine strutturale: sono da menzionare in questo senso gli studi di J. Trublet - J.N. Aletti 9, P. Auffret 10 e M. Girard 11 .A questo tipo di approccio sono da allineare, in lingua tedesca, lo studio di N.H. Ridderbos 12, e, in lingua italiana, quello di G. Ravasi 13 . Oggi lo studio poetologico dei salmi forma parte integrante dell'esegesi. Anch'esso non è tuttavia esente da unilateralismi. Uno studio meramente sincronico, che trascura la dimensione storica, rischia di appiattire i salmi, togliendo loro la ricchezza delle voci che hanno contribuito al loro divenire. Inoltre una tale lettura tende a diminuire le contraddizioni all'interno di un testo, sottolineando la coerenza dell'insieme. Ciò può indurre a semplificazioni indebite.
L analisi canonica La lettura sincronica del testo biblico, e in particolare dei salmi, viene perseguita oggi anche dall'esegesi cosiddetta canonica. Questa sottolinea l'esigenza di studiare la Bibbia non come un libro qualsiasi, ma come un testo normativo per una comunità di fede, cioè, appunto, come un testo canonico. In tale approccio si insiste che ad avere lo statuto canonico non sono gli stadi primitivi della tradizio-
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Weiss 1972, pp. 88-112. Alonso Schòkel 1963; Alonso Schòkel 1982; Alonso Schòkel 1989; Alonso Schòkel e Camiti 1992. 9 Trublet e Aletti 1983. 10 Oltre agli studi particolari su singoli salmi, si vedano le opere più complessive: Auffret 1982; Auffret 1992; Auffret 1993; Auffret 1995; Auffret 1999. 11 M. Girard 1984; M. Girard 1996. 12 Ridderbos 1972. 13 Ravasi 1981. 8
17 Introduzione
ne, ma il testo definitivo, quale è stato fissato prima dalla Sinagoga e poi dalla Chiesa. Su questo testo, trascurato dalla scuola storicocritica come frutto del caso, si deve concentrare l'attenzione degli studiosi, perché solo a questo punto esso è realmente "parola di Dio". Solo a questo punto il testo può e deve essere oggetto di indagine teologica, non soltanto storica o letteraria. L'esigenza di una prospettiva canonica nell'indagine biblica si è fatta sentire dapprima negli Stati Uniti, ad opera di B.S. Childs 14 e J,A. Sanders 15. Quest'ultimo sottolinea, accanto al valore del testo canonico, anche l'importanza degli stadi precedenti della tradizione, recuperando perciò anche la prospettiva storica del metodo storico-critico, un'istanza affermata anche da un altro fautore dell'approccio canonico, il tedesco R. Rendtorff 16. Per ciò che riguarda lo studio dei salmi, si pongono in questa linea dapprima i discepoli di Childs, soprattutto G.H. Wilson 17, ma anche G.T. Sheppard 18, J.C. McCann 19, J.L. Mays 20, P.D. Miller 21. In Europa l'approccio canonico ai salmi viene perseguito da N. Lohfink 22 ed E. Zenger, il cui commento ai salmi, scritto insieme a F.-L. Hossfeld, sta suscitando una vasta eco 23. In lingua francese segnaliamo gli studi di J.M. Auwers 24, e in Italia le indagini di T. Lorenzin 25, D. Scaiola 26, S. Bazylinski27. Si tratta di un approccio recente, ma nella cui direzione si sta lavorando intensamente.
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Childs 1979. Sull'approccio canonico la letteratura è già notevole. Si veda, per una presentazione succinta, Scaiola 2002, pp. 17-32. 15 Sanders 1992. 16 Rendtorff 1990; Rendtorff 1993; Rendtorff 1994. 17 Wilson 1985. 1 8 McCann 1992. 19 lbid.\ McCann 1993a, pp. 93-107; McCann 1993b. 20 Mays 1986; Mays 1987; Mays 1993; Mays 1994. 21 Miller 1986; Miller 1994a; Miller 1998. 22 Cf. ad esempio Lohfink 1992. 23 Hossfeld and Zenger 1993 a. Sul primo libro del salterio, che sarà oggetto del nostro studio, i due autori hanno scritto una serie di articoli: Hossfeld e Zenger 1993b, pp. 166-182; Hossfeld e Zenger 1992, pp. 21-503; Hossfeld e Zenger 1994; Hossfeld e Zenger 2000, pp. 237-257. 24 Auwers 2000. 25 Lorenzin 2000. 26 Scaiola 2002. 27 Bazylinski 1999.
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Introduzione
Singoli salmi e salterio Mentre l'indagine storico-critica si soffermava sui salmi singoli, lasciando completamente da parte, come non rilevante, lo studio del salterio, l'indagine canonica dà un'importanza particolare al saiterio, come primo orizzonte ermeneutico secondo cui i singoli salmi debbono essere compresi. Lo studio del salterio ha rilevanza non solo per comprendere il divenire storico del libro, ma anche per cogliere il significato teologico dei salmi. Certo ogni salmo è un poema a sé, ha una sua storia e una sua autonomia poetica, ma il fatto di essere in quel punto del salterio gli conferisce un significato particolare. Dal punto di vista storico, l'indagine attuale tende a collegare la raccolta dei salmi non con il culto, ma con la pietà popolare, "laica" diremmo 28. Le prime attestazioni sulla recita del salterio ce lo presentano come un libro di meditazione individuale o di piccole comunità. Nel giudaismo rabbinico sono conosciute le "confraternite dei salmi" (haburdt), i cui membri si prefiggevano di recitare i centocinquanta salmi nel corso di una settimana. I pii ebrei al muro del pianto di Gerusalemme recitano tutto il salterio nel corso di uh giorno, pratica questa conosciuta anche tra i primi monaci cristiani. Nella regola benedettina è prevista la recita del salterio nel corso di una settimana, ma ciò non è gran cosa, aggiunge san Benedetto, «perché i nostri padri in un sol giorno hanno espletato ciò che noi tiepidi dovremmo eseguire almeno in una settimana». Della straordinaria diffusione dei salmi al tempo di Gesù testimoniano sia gli scritti del Nuovo Testamento (circa un terzo delle citazioni dell'Antico Testamento è tratto dai salmi), sia gli scritti di Qumran. Se il Sitz im Leben dei singoli salmi va ricercato caso per caso, il Sitz im Leben del salterio, cioè della raccolta canonica dei salmi, è dunque da ricercare nella pietà popolare. Possiamo anche immaginare come questa "meditazione" dei salmi avveniva. Il Sal 1 proclama beato quell'uomo che «si compiace della legge di JHWH, la sua legge medita giorno e notte» (v. 2). Il verbo הגה, qui impiegato, indica il mormorare a bassa voce un testo per interiorizzarlo o per impararlo a memoria. Lo shemà usa un'espressione simile, דבר ב: «Questi precetti che oggi ti do, saran-
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Cf. Lohfink 1992.
19 Introduzione
no nel tuo cuore: li ripeterai ai tuoi figli e li reciterai quando sarai seduto a casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai» (Dt 6, 6-7). La recitazione del salterio è per il pio giudeo un sostituto, più a portata di mano, della recitazione della torah: non per niente esso è diviso, come la torah, in cinque libri. Il salterio è compendio della torah, strada privilegiata per vivere la propria vita in obbedienza al piano di Dio. Il salterio era dunque, almeno fin dai tempi di Gesù, oggetto di una lectio continua, di una recitazione ininterrotta, in cui un salmo si aggiungeva al seguente senza soluzione di continuità. Di tale recitazione sono rimaste tracce nel salterio. Accenniamo ad alcune: a) I salmi sono uniti attraverso richiami di parole e di concetti. Tale fenomeno è osservabile soprattutto tra due salmi vicini. Già da tempo è conosciuto il fenomeno dei salmi-gemelli, cioè di due salmi particolarmente simili per forma e contenuto, tanto da essere considerati, in alcuni manoscritti o in alcune versioni, un salmo solo. E il caso, ad esempio, dei Sal 9-10, considerati nel TM due salmi distinti, mentre la LXX li considera un salmo solo. Anche i Sal 42-43 sono talmente uniti da poter essere considerati un unico salmo, e ciò vale anche per i Sal 50-51. Il fenomeno della contiguità significativa di due salmi è oggetto delle tesi di Bazylinski 29 e di Scaiola 30. Già Delitzsch aveva studiato il fenomeno della "concatenazione" tra salmi vicini 31 . Tra la fine di un salmo e l'inizio del salmo seguente ci sono spesso particolari richiami di contenuto e di forma che attenuano lo stacco tra i due salmi. Questo fenomeno, tipico del pensiero semitico, viene chiamato generalmente "attrazione". Si vedano ad esempio i Sal 32-33. Il Sal 32 termina con un appello alla lode (v. 11): «Gioite in JHWH ed esultate, \giusti giubilate voi tutti\ retti di cuore». Il primo verso del Sal 33 riprende quest'invito: «Giubilate, \giusti\, in JHWH, ai retti si addice la lode».
29 30 31
Bazylinski 1999. Scaiola 2002. Delitzsch 1846; Delitzsch 1984. Nello stesso senso Ch. Barth 1976.
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Introduzione
I due versi sono uniti dalla ripetizione di quattro parole: ,ביהוה כיל, צדיקים, ישרים. Tali ripetizioni hanno spesso un valore mnemotecnico, servono come aiuto per la recitazione a memoria. Non infrequenti sono però anche gli accostamenti contenutistici. Così, per esempio, il Sali descrive la vittoria del Messia sui "re della terra". Il Sal 3 inizia con la rappresentazione dei nemici del salmista, che, secondo il titolo del salmo (v. 1), è Davide, figura del Messia: «JHWH, quanti sono i miei oppressori!» (Sai3, 2).
In una lettura continua, l'orante del Sal 3 si identifica con il Messia del Sali, e i nemici personali si sovrappongono ai "re della terra": la vittoria del Messia sui suoi nemici aiuta il fedele ad aver fiducia anche nelle sue contrarietà. La propria storia personale acquista una dimensione più grande, venendo posta alla luce della storia della salvezza. b) In una lettura canonica del salterio sono importanti i titoli 32. Essi sono chiaramente redazionali, aggiunti dal compilatore del salterio, per questo vengono completamente trascurati dall'esegesi storicocritica. Ma appunto per essere redazionali essi danno indicazioni importanti per comprendere l'intenzione di chi ha composto il salterio. Il loro valore è più teologico che storico, in quanto indicano non l'autore reale di un salmo (per quanto il senso di לדודsia oggi discusso), ma il loro autore ideale, con cui l'orante è invitato ad identificarsi. Essi delimitano, ad esempio, il primo libro del salterio, lasciando fuori, da una parte, i primi due salmi, come prologo del libro, e dall'altra i Salmi 42 e seguenti. All'interno di questo libro, essi servono ad identificare serie di salmi collegati tra di loro. Si osservino infatti i titoli dei Salò1( ׳cf. tab. 1). I due titoli "storici" (3,1 e 7,1) inquadrano una serie di tre titoli caratterizzati dalla notazione 1,6;1,5; Tabella 1 3, 1 בברחו מפני אבשלום בנו 4,1 5,1 6, 1 7, !אשר־שר ליהוה על־דברי־כוש ק־ימיני
32
מזמור לדוד מזמור לדוד מזמור לדוד מזמור לדוד שגיון לדוד
Cf. Childs 1969; Childs 1979, pp. 520-522.
למנצח בנגינות למנצח אל־הנחילות למנצח בנגינות על־השמינית
21 Introduzione
c) Dal punto di vista del genere letterario i salmi non sono ordinati casualmente, ma seguono un itinerario di preghiera che va dalla supplica alla lode e all'azione di grazie 33. Questo movimento si può osservare all'interno di un singolo salmo (si veda ad esempio il Sal22\ supplica, w. 2-22*; azione di grazie, w. 22*-32), e riscontrare in una serie di salmi. Così, ad esempio, i Sal?>-1 sono caratterizzati dalla supplica, il Sal 8 è un inno che costituisce, per così dire, la risposta a queste suppliche, il Sal 9 è un'azione di grazie per la salvezza cantata nel Sal 8. Nello stesso senso si può comprendere la sequenza dei Sai25-30. Alla supplica dei Salmi 25-28, fa seguito l'inno del Sal 29 e l'azione di grazie del Sal 30. d) I primi due salmi hanno valore di proemio per il salterio. Essi cantano, il primo il valore della torah come sapienza di vita, il secondo il regno di J H W H e del suo Messia. Questi due temi costituiscono il motivo dominante del salterio e perciò i salmi che svolgono questo argomento hanno un ruolo strategico nella struttura del libro. Wilson ha studiato il ruolo determinante dei salmi regali, posti in luoghi-chiave del salterio (Sal 2; 41; 72; 89...) 34. Westermann ha sottolineato il ruolo del Sal 119, il più lungo del salterio 35. Ma, all'interno del primo libro del salterio, un ruolo strutturale rilevante spetta al Sal 19, il centro della seconda raccolta di salmi, Sal 15-24, e, in generale, ai salmi sulla torah 36.
IL PRIMO LIBRO DEL SALTERIO
I cinque libri A livello canonico, il salterio presenta una divisione in cinque libri. Tale divisione è marcata dalle dossologie: Sal 41, 14; 72, 18-19; 89, 53; 106, 48. Ognuna di queste dossologie, che pure presentano significative differenze, termina con un "amen". I cinque libri del salterio sono dunque: Sal 1-41; 42-72; 73-89; 90-106; 107-150. Come sopra si è notato, la divisione in cinque libri vuole probabilmente imitare la divisione della torah nei cinque libri del Pentateuco, e 33 Quest'aspetto, che rivaluta la "Formkritik", cioè lo studio dei generi letterari, è messo in rilievo da Millard 1994. 34 Wilson 1985, pp. 199-228; Wilson 1986. 35 Westermann 1961-1962. 36 Cf. Mays 1987; Braulik 1975; Brueggemann 1991.
22
Introduzione
presenta perciò il salterio come un compendio della Legge. Il quinto libro non termina con una dossologia, ma gli ultimi cinque salmi (146-150), che iniziano con la formula הללו יה, hanno il valore di una dossologia per tutto il salterio. Così tra il primo libro, caratterizzato dal lamento, e l'ultimo, caratterizzato dalla lode, si esprime il caratteristico movimento della preghiera. I salmi sono essenzialmente "lode", per questo vengono chiamati dalla tradizione ebraica תהלים, "lodi". La lode è l'accordo finale del salterio. Dicevamo sopra dell'importanza dei salmi regali nella struttura del libro. In uno studio importante per l'esegesi canonica dei salmi, Wilson tracciava un itinerario teologico del salterio fondandosi sulla teologia di questi salmi 3 7 .1 primi due libri vengono presentati come "preghiere di Davide" (cf. Salii, 20 TM:)כלו תפלות דוד בן ישי. In esse l'orante, in situazione di angoscia, viene identificato con il re messianico, vittorioso sui suoi nemici: in questa figura si concretizza la speranza di Israele (cf. Sal 72: «Dio dà al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia...»). Il terzo libro termina con il Sal 89, in cui si esprime la profonda delusione di fronte al crollo di questa speranza: Dio aveva promesso eterna fedeltà alla casa di Davide, ma, dice il salmista, «tu lo hai respinto e ripudiato, ti sei adirato contro il tuo consacrato»{Sal89, 39). Il Sal 89, al termine del terzo libro, denuncia il venir meno della speranza nella monarchia terrena, occasionata dalla fine della monarchia davidica con l'esilio. Il quarto libro, Sal 90-106, il centro teologico del salterio, è caratterizzato da una serie di salmi che cantano la regalità di J H W H . La delusione della speranza posta nel re terreno accentua la speranza nell'altro re, che non delude. Anche se Davide ha fallito, il mondo sta saldamente nelle mani di Dio. Il quarto libro inizia denunciando la fragilità umana {Sal 90), indirizza la speranza verso il Signore {Sal 91) e ne presenta il regno universale {Sal 93, 1: «JHWH regna...», cf. Sal 97, 1; 99, 1). Nel quinto libro viene recuperata la dimensione messianica, ma la speranza si rivolge ora non più alla figura individuale del Messia, bensì al popolo messianico, riflettendo l'esperienza della comunità giudaica postesilica (si veda, ad esempio, il ruolo dei "figli di Sion" nel Sal 149). 37
Wilson 1983, pp. 199-228.
23 Introduzione
Struttura del primo libro La struttura del primo libro non è così chiara. Forse questo è un segno del travaglio redazionale: il libro è giunto lentamente alla forma attuale. Se qui si cerca di scoprire una struttura, lo si fa con la debita umiltà, riconoscendo l'ipoteticità di un simile tentativo 38. La struttura proposta non è d'altronde originale, ma si pone in linea con le ricerche di P. Auffret e di F.-L. Hossfeld ed E. Zenger. Questi ultimi autori dividono il libro, lasciando fuori dal computo i due salmi del prologo, in quattro raccolte: 3-14; 15-24; 25-34; 35-41. La prima raccolta ha un carattere abbastanza lineare. Essa è composta di una serie di cinque lamentazioni individuali CSai 3-7), a cui fa seguito un inno (Sal 8) e un'azione di grazie (Sal 9). La successione presenta un coerente itinerario di preghiera. Con il Sal 10 ritorna la supplica, e questo genere letterario prosegue fino al Sal 14. I cinque Salmi 10-14 formano pertanto un pendant ai Salmi 3-7 39. Abbiamo dunque una struttura a perno centrale attorno ai due Salmi 8-9 (cf. tab. 2). Tabella 2 A B C A׳
3־7 8 9 10-14
Supplica Inno Azione di grazie Supplica
I dodici salmi della raccolta sono anche caratterizzati dall'alternanza "giorno" (Sai3; 5; 7; 9; 10; 12; 14) e "notte" (Sai4; 6; 8; 11; 13), adempiendo così il programma del Sal 1: «La sua legge mormora giorno e notte» (v. 2).
38
Cf. Barbiero 1999, pp. 719-730; Barbiero 2003, pp. 439-480. La nostra proposta strutturale differisce da quella di F.-L. Hossfeld e E. Zenger per il fatto che questi due autori considerano unitariamente i Salmi 9 1 0 ־. Il Sal 9 viene allora a far parte della seconda serie di lamentazioni {Sal 9-14), parallela alla prima (Sai3-1). Si veda Zenger 1991, pp. 405-406. 39
24
Introduzione
La seconda raccolta comprende dieci salmi (15-24) disposti, come i precedenti, secondo una struttura centrale attorno al Sal 19 (cf. tab. 3) 40. Tabella 3 A B C D E D' C B' A'
15 16 17 18 19 {20 21 22 23 24
Liturgia di entrata nel tempio Fiducia Supplica Salmo regale: azione di grazie Inno alla torah Salmo regale: supplica Salmo regale: azione di grazie Supplica Fiducia Liturgia di entrata nel tempio
Il principio dell'itinerario della preghiera è percepibile a livello di piccole serie, ad esempio nelPaccostamento del Sal 20 al Sal 21 (supplica + azione di grazie) 41 , oppure nella sequenza dei tre Salmi 22 + 23 + 2 4 , dove il movimento passa coerentemente dalla supplìca, alla fiducia, all'inno. Ma l'intenzione di strutturare chiasticamente la raccolta si evidenzia nella sequenza dei Sal 16 ("fiducia") + 17 ("supplica"), che inverte quella dei Sai22 + 23.1 due temi del pròlogo, torah e regalità, occupano i punti strategici della raccolta: il primo caratterizza, oltre che il centro, i due estremi, 15 e 24; il secondo caratterizza il Sal 18 e i due Salmi 20-21, che gli vengono posti in parallelo. Anche la terza raccolta è composta di dieci salmi (25-34) 42: i due salmi acrostici, di carattere sapienziale, 25 e 34, formano una chiara inclusione. I titoli ( )לדודe il genere letterario evidenziano una prima serie di quattro suppliche (25-28), a cui fa seguito, come nella prima raccolta, un inno (29) e un'azione di grazie (30). Il tono ritorna quindi alla supplica (Sal 31) per poi passare all'inno {Sal 33) e al ringrazia-
40
Cf. Auffret 1982, pp. 405-438; Hossfeld e Zenger 1993b; Miller 1994b, pp. 127-142. 41 Cf. Bazylinski 1999. 42 Cf. Hossfeld e Zenger 1994.
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mento (32; 34). Apparentemente la raccolta ripropone, dunque, due volte l'itinerario dalla supplica all'azione di grazie (cf. tab. 4). Tabella 4 A B C A' C' B' C"
25-28 29 30 31 32 33 34
Supplica Inno Azione di grazie Supplica Azione di grazie Inno Azione di grazie
La seconda serie CW31-34) non è semplicemente una ripetizione della prima. Già l'anomalia di un'azione di grazie (Sal 32) che precede l'inno (Sal 33) fa comprendere che l'itinerario della preghiera non è l'unico principio strutturante della raccolta. Come nella successione dei Sal 16-17, anche in questo caso si deve integrare il principio del movimento della preghiera con altri criteri compositivi. Forse qui la spiegazione è di tipo contenutistico. Infatti la seconda serie è caratterizzata dall'accentuazione del perdono delle colpe. Mentre nei Sal 26-30 si parla di liberazione dai nemici esterni, nei Sal 31-34 la liberazione è principalmente dalla malattia (Sal 31) e dalla sua origine, il peccato (32). Il primo salmo della raccolta, Sal 25, mette insieme questi due aspetti, cf. w. 2.19 ("nemici"); w. 7.11.18 ("peccato"). In 25, 8-9 i "peccatori" sono posti in parallelo con i "poveri": su di essi è invocata la misericordia di Dio, un atteggiamento ben diverso da quello di 26, 9 (e di Sal 1, 1.5). Si può dunque pensare che il Sal 32 sia stato posto accanto al Sal 31 perché ambedue i salmi accentuano la liberazione dal peccato (cf. Sal 31, 11 TM). D'altra parte il Sal 33 è l'unico salmo della raccolta a non avere un titolo, e si potrebbe pensare, alternativamente, a una volontà di leggere i Sal 32 e 33 insieme, cioè di inglobare anche il Sal 32 nella lode del Sal 33 (cf. 32, 11). La quarta raccolta comprende sette salmi (35-41) 43 e presenta, come la precedente, due itinerari di preghiera, dalla supplica al-
43
Cf. Hossfeld e Zenger 1992.
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l'azione di grazie (cf. tab. 5), il primo (Sal 35-37) culminante nell'inno del Sal 36, il secondo (Sal 38-41) nel ringraziamento del Sal 40. L'itinerario della preghiera si unisce qui ad una volontà di simmetria, per cui le tre suppliche sono poste una all'inizio (35), una al centro (38) e una alla fine della raccolta (41). La raccolta, e con essa il libro intero, termina dunque con una supplica. Dopo il ringraziamento (Sal 40) si torna, come nella prima raccolta, alla supplica: forse questo riflette una situazione di sofferenza in cui si trovava Israele, per cui il ricordo della liberazione nel passato fa salire ancor più viva la supplica per la liberazione nel presente. Caratteristica di questa raccolta, come della precedente (cf. Sal25\ 32; 34), è il posto dato alla riflessione sapienziale, posta simmetricamente prima e dopo la supplica centrale {Sal 31 e 39). Tabella 5 A B C A' C' D A"
35 36 37 38 39 40 41
Supplica Inno Rifl. sapienziale Supplica Rifl. sapienziale Azione di grazie Supplica
Anche se in ogni raccolta è stato possibile riscontrare un movimento fondamentale dalla supplica al ringraziamento, ognuna ha una struttura originale, per cui il principio del genere letterario si unisce ad altri principi, sia formali che contenutistici, non sempre facili da scoprire. E anche possibile pensare a inserimenti successivi: noi abbiamo voluto attenerci a una considerazione prettamente sincronica, cercando di dare ragione del testo canonico attuale (si tratta evidentemente del testo ebraico tradito, il TM, perché la LXX, è risaputo, ha una numerazione diversa). In uno sguardo complessivo, abbiamo dunque al centro due raccolte, ciascuna di dieci salmi (15-24 e 25-34), e ai margini una raccolta iniziale di dodici e una finale di sette salmi. Se alla prima raccolta uniamo i due salmi del prologo, allora essa ha quattordici salmi, cioè esattamente il doppio dell'ultima. Anche da un punto di vista del genere letterario, la prima e l'ultima raccolta si corrispondono, in quanto sono fondamentalmente caratterizzate dalla supplica, mentre le due rac-
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colte centrali lo sono dalla lode e dal ringraziamento. Si può dire che il primo libro riflette, grosso modo, la disposizione strutturale della prima raccolta (cf. tab. 6). Tabella 6 Prima raccolta
Sai8
Primo libro
Supplica Sal 3-7 Salò-14 Lode Sal 9 Ringraziamento Supplica Sal 10-14
Sal 15-24 Sal 25-34 Sal 35-41
SALMO 1
TRADUZIONE
1. Beato l'uomo che non è andato dietro alle idee degli empi, sulla via dei peccatori non si è fermato, e sul banco dei beffardi non si è seduto; 2. invece trova gusto nella legge di JHWH, e la sua legge mormora giorno e notte. 3. Egli è come un albero piantato presso canali d'acqua, che dà il suo frutto nella sua stagione, e le cui foglie non seccano: tutto ciò ch'egli fa, lo porta a buon fine. 4. Non così gli empi: al contrario, essi sono come la pula, che il vento disperde. 5. Perciò non si alzeranno gli empi nel giudizio, né i peccatori nell'assemblea dei giusti. 6. Poiché J H W H conosce la via dei giusti, ma la via degli empi si perde.
CRITICA TESTUALE
Verso 1 «Non ha seguito..., non si è fermato, .. .non si è seduto». Mentre i verbi ai w. 2-3 sono all'imperfetto, i tre verbi del v. 1 sono al perfetto. Generalmente vengono tradotti al presente, in senso stativo ma è difficile che il verbo "andare" ( )הלךabbia un valore stativo. Il perfetto vuol dire che la decisione di tempere con i malvagi appartiene al passato, è stata presa da tempo. 1
Cf. Jouon 1965, pp. 294-295.
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«Degli empi ... dei peccatori ... dei beffardi». Di per sé, TM non ha l'articolo (così anche le versioni). Letteralmente il testo suona: «idee di empi ... una via di peccatori ... una riunione di beffardi» 2 . Lo stesso succede ai w. 5-6. Ma in ebraico, soprattutto in testi poetici, l'articolo non è strettamente necessario per esprimere la determinazione 3 . BHS suggerisce di scambiare ( בדרךlb) con ( בעצתla). A prima vista il testo sarebbe più logico, ma una tale congettura non è supportata dalle versioni.
Verso 2 BHK trova la ripetizione del termine תורהpesante e propone di sostituirlo con חקרת. Anche qui, senza il supporto delle versioni.
Verso 3 BHS ritiene 3d («tutto ciò che fa, riesce») come un'aggiunta presa da Gs 1, 8, e perciò propone di sopprimerla.
Verso 4 G ha due varianti: esso ripete ούχ οΰτως («non così gli empi, non così»), e aggiunge, alla fine del verso: από προσώπου τ η ς yrjc («dalla faccia della terra»). TM come lecito brevior ha maggiore autorità.
Verso 5 G ha, in 5b, ev βουλή δικαίων, come in la. Evidentemente legge, invece di TM עדת, עצת.
GENERE LETTERARIO E COLLOCAZIONE STORICA
Quanto si diceva sulla collocazione storica della redazione finale del salterio trova conferma nell'analisi del Sal ì. Questo salmo non ha certamente un Sitz im Leben cultuale, non è legato né al
2 3
Cf. in questo senso Tagliacarne 1991; Kratz 1996, p. 3. Cf. Joiion 1965, p. 421, nota 3.
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tempio né alla liturgia 4 . Non è neppure, propriamente, una preghie־ ra: non si rivolge a Dio in forma diretta; è piuttosto un'istruzione sapienziale. Esso viene a ragione collocato tra i "salmi sapienziali" (si vedano ancora, ad esempio, Sai37; 49; 73) 5. Il tema, come generalmente nei libri sapienziali, è come raggiungere la felicità, come "riuscire" nella vita. Anche la contrapposizione tra "empi" ( )רשעיםe "giusti" ( )צדיקיםè di carattere sapienziale. E vero però che il salmo ha un colorito proprio, tipicamente israelitico. Mentre nei libri sapienziali la grande maestra è la vita stessa, l'ordine cosmico, qui maestra di vita è la torah, la legge che Dio ha rivelato a Israele (cf. v. 2). Si tratta di un tema ricorrente nei salmi, a cui è dedicato il Sal 19 e il monumentale Sal 119, il salmo più lungo del salterio 6. La combinazione dei due elementi, l'identificazione cioè della sapienza con la torah, è tipica dei libri sapienziali più recenti: si veda ad esempio Bar 3, 9 4,4־ e soprattutto Sir 24. La Sapienza, l'ordine universale personificato, che era presente alla creazione del mondo {Sir 24, 3-9) 7, prende finalmente dimora in Israele (w. 1022) e si identifica con la legge del Signore: «Tutto questo è il libro dell'alleanza del Dio altissimo, la legge che ci ha imposto Mosè, come eredità per le assemblee di Giacobbe» (Sir 24, 23). Anche nel Sal 19 viene fatto un parallelo tra ordine cosmico (w. 2-1) e torah (w. 8-11). A torto le due parti vengono separate, come se fossero due salmi distinti. Il salmo è profondamente unitario, perché identifica, come il Siracide, i due elementi: il segreto dell'ordine del mondo viene manifestato nella legge di Dio. Qualcosa di analogo fa il Sal 1. La ricerca della sapienza, come via per raggiungere la felicità, viene qui sostituita dallo studio amoroso della torah. E lo stesso fenomeno dell'integrazione del filone internazionale della sapienza nelle tradizioni nazionali israelitiche.
4
Lo deve ammettere anche S. Mowinckel, cf. Mowinckel 1950-1951; Mowinckel
1960. 5
Cf. già Gunkel 1985, pp. 381-397.1 salmi sapienziali sono ultimamente oggetto di un ampio dibattito. Si veda, ad esempio, Kuntz 1974; Whybray 1995; Sheppard 1980; Thomas 1986; Reindl 1979; Murphy 1963, pp. 156-167; Burger 1995; Conti 1998, pp. 19-47. 6 Sui "salmi della torah" , cf. De Pinto 1967; Mays 1987. 7 Seguo l'ordine di Rahlfs. La CEI ha un'altra numerazione.
32
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J. Marbòck ha opportunamente sottolineato il legame tra il Sal 1 e Sir 14, 20 - 15, IO8: sia la forma che il contenuto sono sorprendentemente simili. Poco dopo, E. Haag è ritornato sull'argomento 9. Secondo Marbòck, Sir dipenderebbe dal Sal 1, mentre per Haag la direzione della dipendenza sarebbe inversa: sarebbe il Sal 1 a dipendere da Sir. Forse è difficile decidere tra le due posizioni. Come introduzione al salterio, il Sal 1 è certamente uno dei salmi più recenti e da collocarsi non lontano dall'epoca di Ben Sira (inizio del II sec. a.C.), cioè nel periodo ellenistico (III-II sec. a.C.). In tale collocazione, gli "empi" sono da identificare verosimilmente non tanto con i greci stessi, ma con quella parte della popolazione giudaica che aveva adottato costumi ellenizzanti, sacrificando le proprie radici nazionali. Ai giudei "liberali" del suo tempo, che appartenevano alla ricca borghesia, il salmo oppone un ideale di vita fedele alla propria identità culturale e religiosa, anche a costo di perdite economiche 10.
STRUTTURA
Un primo procedimento per cogliere la struttura di un testo è quello di osservare le ripetizioni. Questa regola fondamentale non ha solo un significato stilistico, ma anche di contenuto, come rileva Buber: «Il ritorno di parole-chiave è legge compositiva fondamentale dei saimi, la cui importanza è di ordine sia poetico - corrispondenza ritmica di suoni - sia ermeneutico: il salmo si spiega da sé, indicando attraverso le ripetizioni ciò che è essenziale per la sua comprensione»11. Se applichiamo questo principio al Sal 1, vediamo che in esso vengono ripetutele parole: "empi" ( 4,רשעיםx),"via" ( 3,דרךx),"peccatori" ( 2,חטאיםx),"legge" ( 2,תורהx),2) י ה ו הx ) , "giusti" ( 2 ,צדיקיםx); "anzi, invece" ( 2, כ יאםx ) .
8
Marbòck 1986. Haag 1989, p. 159. 10 Sullo sfondo storico del Sal 1, e perciò della redazione finale del salterio, cf. Harris 2000; Reindl 1979. 11 Buber 1992b. 9
Salmo 1
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Si può notare che queste ripetizioni non sono casuali, ma hanno un valore strutturale. La parola צדיקיםappare solo alla fine del salmo (w. 5.6), formando un chiasmo con il termine contrario,רשעים (cf. tab. 7). Tabella 7 né i peccatori nell'assemblea dei giusti
v. 5 non reggeranno gli empi nel giudizio X v. 6 JHWH conosce la via dei giusti
la via degli empi si perde
I due termini רשעיםe דרךformano un'inclusione tra inizio e fine della composizione: essi appaiono infatti insieme nei w. 1 e 6. Come si vede, il TM è costruito molto accuratamente: le varie proposte di emendarlo rovinerebbero queste precise corrispondenze. Le proposte di struttura per il Sal 1 sono molteplici, dipendendo dai punti di vista in cui si colloca l'esegeta. J.P. Botha elenca quattro differenti principi strutturali, che conducono a quattro diversi tipi di struttura 12 : sintattico, retorico, semantico, sticometrico. Egli stesso opta per il tipo "semantico". Da questo punto di vista, il salmo è suddiviso in tre parti. Nella prima (A, w. 1-3) si mostra la via del giusto (senza nominarlo). In opposizione a questo quadro ("Non così!", v. 4a), nella seconda parte si presenta la via dei malvagi (B, w. 4-5): il termine רשעים, "empi", forma inclusione (w. 4a.5a). Nella terza parte le due vie vengono riproposte insieme (A + B, v. 6), evidenziandone il punto di arrivo (cf. tab. 8). Tabella 8 A B A+B
w. 1-3 w. 4-5 v. 6
La via del giusto La via degli empi Le due vie: risultato
12 Botha 1991. Sulla struttura del Sal 1 si veda ancora Auffret 1978; M. Girard 1996, pp. 138-152; Vogels 1979; Lack 1976; Alonso Schòkel e Camiti 1992, pp. 141142; Ridderbos 1972, pp. 119-121.
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Da un punto di vista sintattico, il salmo si compone di una "beatitudine", introdotta dal termine ( אשריw. 1-5), a cui fa seguito la motivazione, introdotta da ( כיv. 6) 13 . Le due prime parti (A e B) sono composte in corrispondenza chiastica, nel senso che nella prima parte (a) viene presentato il giùsto nel gruppo degli "empi" (termini-chiave רשעיםe חטאים, v. 1), (b) viene quindi la metafora dell'albero (introdotta da כ, «come», v. 3a) e (c) l'osservazione sul successo delle sue azioni (3d). La seconda parte inizia rilevando (c') la mancanza di successo degli empi (4a). Segue (b') la presentazione della metafora della paglia, introdotta dalla particella ( כv. 4b), infine (a') gli empi vengono posti nel gruppo dei giusti, in una situazione che rovescia quella del v. 1 (v. 5) (cf. toh. 9). Tabella 9 I Il giusto nell'assemblea ויf dei malvagi b. v. 3abc Metafora: l'albero Successo c. v. 3d a. v. 1
I malvagi nell'assemblea dei giusti b\ v.4b iN Metafora: la pula c . v. 4a 1 Non-successo a'. v. 5
ל
LA PRIMA STROFA: LA VIA DEL GIUSTO (VV. 1-3)
V. 1: i tre "no" del giusto «Beato l'uomo...». Il salmo (e il salterio) inizia con una beatitudine. Vedremo che le beatitudini ( )אשריhanno un ruolo rilevante nella composizione del libro dei salmi. In nessun altro libro della Bibbia esse ritornano con più frequenza (26x su un totale di 45 in tutto l'AT). Si è discusso sulla provenienza del macarismo: chi lo vorrebbe far derivare dal culto 14, chi invece dalla s a p i e n z a . Quest'ultima posizione sembra più attendibile. La ricerca della felicità, della riuscita nella vita, è infatti preoccupazione tipicamente sapienziale. In questo senso il macarismo è diverso dalla benedizione, che
13 14 15
Zenger parla di «begründete Seligpreisung» (Hossfeld e Zenger 1993a, p. 45). Così vorrebbe Lipinski 1968. Così già Gunkel 1985, p. 392, e soprattutto Käser 1970.
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formula un augurio riguardante il futuro. La benedizione è collegata alla liturgia dell'alleanza, mentre il Sitz im Leben del macarismo è la scuola di sapienza. Effettivamente, il macarismo è caratteristico, anche se non esclusivo, dei salmi sapienziali (cf. Sal 32, 1-2; 34, 9; 112, 1; 119, 1.2) 16. Il macarismo non esprime un desiderio, ma fa una constatazione, non riguarda il futuro, ma il presente, come dice Buber: «Questo non è né un augurio né una promessa: non si tratta che uno si meriti o che abbia la certezza di divenire un giorno felice, o in questa vita terrena o in un'altra, futura; è invece un grido festoso e una constatazione entusiastica: "Com'è felice quest'uomo!"»17. Anche Gesù inizia il discorso della montagna, in cui presenta la sua torah come compimento dell'antica, con le beatitudini. I cinque libri del salterio, si è visto, fanno comprendere questo libro come un compendio della torah di Mosè. Il contenuto, lo scopo della torah è dunque la felicità: "Beato l'uomo!". Non meno che le beatitudini del discorso della montagna, la beatitudine del Sal 1 è provocatoria, paradossale. Gesù dice: "Beati i poveri", mentre il mondo dice il contrario, "Beati i ricchi". Coscientemente il salmista pone il suo modello di uomo controcorrente 18. Per essere felice, dice il Sal 1, bisogna rompere con il modo di vedere del mondo 19 . La felicità inizia con tre no decisi a determinati valori del mondo. Le tre frasi del v. 1 costituiscono uno sviluppo nella connivenza con gli "empi" 20. Si comincia con un "camminare" ( )הלךinsieme, sulla stessa strada, poi ci si "ferma" ( )עמדa chiacchierare, quindi ci si "siede" ( )ישבsullo stesso banco e si partecipa ai loro sollazzi. La metafora della strada e del camminare ha una grande importanza nel salterio. Il libro stesso può venir considerato un "manuale per pellegrini" 21 , dove il pellegrinare al tempio diventa un simbolo della vita in cammino verso Dio e verso la "terra promessa". La "strada" che conduce a questa meta è la torah (cf. Sal 25, 4.8-10). Perciò il passaggio dal movimento ( )הלךalla stasi (,עמד
16
Cf. Burger 1995, p. 335. Buber 1992b, p. 181. 18 Cf. Lohfink 1998, pp. 433-441. 19 Cf. Gitay 1996. 20 Ciò viene rilevato nella tradizione rabbinica, cf. Braude 1976, p. 11; bAv 4,12; Lifschitz 1990a, p. 38. 21 Cf. Smith 1992. 17
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)ישבè un'involuzione. "Andando" con gli empi, si finisce per sedersi, per non avanzare più. «.. .che non è andato dietro alle idee degli empi». Il termine עצה, "consiglio", ritorna nel primo libro dei salmi ancora in Sal 14, 6; 20, 5 e 33,10.11. A parte 20,5, dove si parla dei "piani" del cuore del re, il termine ha nei Sal 14 e 33 il significato di "principi di vita", "ideologia". Il parallelo con questi passi è interessante. In 14, 6, nell'ultimo salmo della prima raccolta, si parla di עצת עני, i "principi di vita del povero", che i violenti tendono a sovvertire. Dal contesto, questi "principi di vita" sono la fiducia in Dio (cf. v. 6b). Il Sal 33 contrappone la עצת גרים, i «principi di vita delle nazioni» (v. 10) alla עצת יהרה, «i principi di vita di J H W H » (v. 11). Con ciò si identificano i «principi di vita del povero» (14, 6) con quelli di J H W H (33, 11): si tratta nei due casi della torah divina. A questo piano divino sulla vita umana si contrappone la עצת כרים, i «piani di vita» del mondo (33,10), e, nel Sal 1, la עצת רשעים, la «filosofia di vita degli empi» (cf. tab. 10). La עצת רשעיםè dunque l'ideologia del mondo, sentita come un'antitorah, un piano di vita che si contrappone a quello di Dio. Tabella 10
Il termine רשעesprime originariamente colui che nel giudizio risulta "colpevole", ma viene usato nei libri sapienziali in un senso più ampio, ad indicare il "malvagio" in contrapposizione al "giusto" ()צדיק. Nei salmi acquista una connotazione religiosa, resa da G col termine "empio, ateo". Con questo termine si designa una categoria di uomini contrassegnata dal disprezzo di Dio e dalla violenza nei riguardi del prossimo (cf. Sal 10, 2-11). A quanto pare, essi avevano successo nella società, il che rendeva la loro filosofia di vita attrattiva (cf. Sal 37; 73). Se la nostra ricostruzione storica è corretta, i רשעיםsono i giudei ellenizzanti, che, pur di aver successo, rinnegano la loro fede e abbracciano i costumi sociali e religiosi dei conquistatori. «D'accordo con un atteggiamento diffuso agli inizi del periodo el~ lenistico, essi sono fautori di un tipo di vita materialistica, progressiva, eudemonistica, per cui l'unica legge è il successo esteriore» 22 . 22
Haag 1989, p. 161.
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«... sulla via dei peccatori non si è fermato». Mentre רשעיםha un valore generale, il sinonimo חטאיםdesigna uno che trasgredisce un comandamento concreto. Il termine significa originariamente "falli־ re il bersaglio", e si accorda bene con la metafora della strada: la "via" dei peccatori non porta mai dove promette. Con il termine "via",דרך, si intende la "condotta", il comportamento di una persona. Se il primo "no" riguarda l'ideologia, il secondo riguarda, dunque, il comportamento concreto dei malvagi. «... sul banco dei beffardi non si è seduto». Dopo l'ideologia e la condotta, vengono le parole. I "beffardi", לצים, sono coloro che con le parole gettano il ridicolo su coloro che osservano la torah. Essi formano un'"assemblea", siedono insieme e sono forti del loro numero. E da notare che il "giusto" è una figura singolare, mentre i suoi avversari sono sempre nominati al plurale (רשעים, חטאים, ;)לצים essi costituiscono realtà collettive: un'ideologia ()עצה, una moda ()דרך, un'assemblea ()מושב. Essi sono la maggioranza: colui che non vive come loro viene isolato. La solitudine del giusto viene sottolineata anche nel libro della Sapienza: «La sua vita è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade. Moneta falsa siamo da lui considerati, schiva le nostre abitudini come immondezze» (Sap 2, 15-16). Il libro della Sapienza, degli ultimi decenni del I sec. a.C., ripropone, all'interno del giudaismo di Alessandria, la stessa divisione tra il partito liberale e i giudei osservanti, che è anche lo sfondo del Sal 1. Ma la situazione non è esclusiva dell'epoca ellenistica: si veda, per l'AT, Ger 15, 17, e per il nuovo, Mt 7, 13-14. La via del bene è sempre stata una via stretta, e pochi la percorrono.
V. 2: l'amore per la torah Dopo i tre "no" viene espresso un unico "sì", alla torah. Questa realtà viene nominata due volte: תורת יהרהe תורתו. Si tratta evidentemente di una ripetizione, che ha il valore di una sottolineatura. La congettura di sostituire תורתוcon un sinonimo ("timore di Dio", "precetti", cf. BHK) disconosce il valore della ripetizione. E interessante notare che la tradizione rabbinica spiega questa ripetizione attribuendo il possessivo di תורתוnon a Dio, ma al fedele. Attraverso
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l'amorosa meditazione, la "torah di J H W H " diviene "la sua torah", cioè la torah del salmista23. Il termine תורהsignifica fondamentalmente "insegnamento", e tale significato, prettamente sapienziale, va ritenuto anche nel nostro testo. È l'insegnamento di Dio, che si sostituisce a quello del maestro di sapienza, secondo quell'identificazione di "sapienza" e "torah" tipica degli ultimi libri sapienziali. Certo, a quest'epoca il termine designava già, concretamente, i cinque libri di Mosè, il Pentateuco. Ma forse è possibile anche vedervi un accenno al salterio24: recitando i salmi uno si appropria della volontà di Dio espressa nella torah di Mosè. I salmi, si è visto, sono concepiti come una piccola torah, e come essa sono divisi in cinque libri. «... invece trova gusto nella legge di JHWH». Il termine חפץ esprime la simpatia, l'attrazione per una persona, anche in senso erotico, come attrazione sessuale; si accompagna a verbi come "amare", "desiderare". Si tratta dunque non del compimento di un dovere, ma di un piacere, di qualcosa che si fa volentieri, perché riempie di gioia. L'amore per la legge è una caratteristica dell'epoca ellenistica ed è rimasta poi un tratto distintivo del giudaismo, il "popolo del libro". Il Vangelo mette in guardia da un "culto della lettera". Nei salmi non si tratta di questo (cf. Sai40, 7-9). E una vita vissuta in dipendenza gioiosa da Dio, in antitesi con l'atteggiamento degli "empi". E l'atteggiamento di Gesù: «Mio cibo è fare la volontà di Dio» (Gv 4, 34). Mentre gli "empi" seguono i loro piani per raggiungere la felicità, il salmista si fida di Dio, crede che il suo piano sia migliore dei piani umani, perciò spende le sue energie non nel creare piani personali, ma nel capire il piano di Dio per la sua vita. «... e la sua legge mormora giorno e notte». Si è già visto il senso del verbo הגה, "recitare a voce sommessa, meditare", come pure la vicinanza con Dt 6, 6-7 23 . Tale vicinanza viene confermata dal fatto che tre termini tipici di Sal 1, 1 ("camminare", "strada" e "sedere") sono comuni anche a Dt 6, 7 («li reciterai quando sarai seduto [ ]ישבa casa tua, e quando camminerai [ ]הלךper strada [)»]בדרך: veramente in Sal 1, 1 viene tracciata un'"anti-torah". L'amore per la torah caratterizza non solo la redazione del saiterio, ma anche quella dei נביאים, cioè dei libri da Giosuè a Malachia. 23 24 25
Cf. MTeh (Braude 1976 /, pp. 22-23). Cf. Lombaard 1999, p. 508. Cf. sopra, pp. 18-19.
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Il libro di Giosuè si apre con la raccomandazione di Mosè al suo successore: «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo ( )הגהgiorno e notte, perché tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto; poiché allora tu porterai a buon fine (צלח, cf. Sal 1, 3) la tua via e allora sarai saggio» (Gs 1,8). Ciò che Mosè raccomanda al suo successore viene ripreso dalla legge del Deuteronomio sul re (cf. Dt 17, 19). Il salmo lo applica ad ogni israelita, secondo quel processo di democratizzazione dell'idea messianica che traspare dall'accostamento stesso dei Salmi 1 e 2. Anche il libro di Malachia termina con l'accento sulla torah: «Ricordatevi della legge di Mosè, mio servo, che io gli ho comandato sulTOreb a riguardo di tutto Israele: precetti e norme» {Mal 3, 22). Destinatari della raccomandazione del profeta sono i "timorati di Dio", il piccolo gruppo che cerca di vivere secondo la legge in mezzo a un mondo che la pensa diversamente. Il corpo dei Nebiim è dunque incorniciato, come il salterio, dal tema della torah. Nella maggior parte dei manoscritti della Bibbia ebraica (cf. BHS), il libro di Malachia viene immediatamente prima del Sal 1, sicché i due brani sono anche materialmente vicini.
V. 3: l'albero della vita La metafora dell'albero come simbolo della vita umana è tipicamente sapienziale. Essa ha una preistoria nell'Istruzione di Amenemope, alla quarta stanza: «Quanto all'uomo focoso nel tempio è come un albero germogliato al chiuso; nello spazio di un momento viene la sua perdita delle foglie, e trova la sua fine nei cantieri navali; oppure è strappato via dal suo posto, e la fiamma è il suo lenzuolo funebre. Ma il vero silenzioso si tiene in disparte, è come un albero che è spuntato al sole: fiorisce e raddoppia i suoi frutti ed è caro al padrone. I suoi frutti sono dolci,
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la sua ombra piacevole, e trova la sua fine nel giardino» 26. Il parallelo conduce alla sapienza internazionale. In Egitto, il faraone veniva spesso assomigliato a una pianta (cf.fig. 1)27. Il "focoso" è la denominazione egiziana dello stolto, a cui viene contrapposto il "silenzioso", cioè il saggio, colui che sa dominarsi. Il primo viene paragonato a una pianta che cresce nel chiuso, perciò non ha futuro, il secondo a una che cresce all'aria aperta, e si può liberamente sviluppare. Nell'AT il parallelo più vicino è Ger 17, 5-8: «Maledetto l'uomo, che confida nell'uomo, e fa della carne il suo braccio, e il suo cuore si allontana da JHWH. Sarà come un arbusto spoglio della steppa, quando viene il bene, non lo vedrà. Risiederà in luoghi aridi, nel deserto, in una terra di salsedine, inabitabile. Benedetto l'uomo che confida in JHWH, che pone in JHWH la sua sicurezza. Sarà come un albero piantato presso l'acqua,
Fig. 1. «Egli è come un albero, ... le cui foglie non seccano» (Sal 1, 3). Il dio scriba Tot incide sulle foglie dell'albero sacro Ished il nome del faraone (si tratta di Ramses III) per farlo partecipe della vitalità della pianta. La sua azione è accompagnata dai gesti simbolici delle altre divinità: il dio Ptah (all'estrema sinistra) e la dea scriba Seshat (all'estrema destra) scrivono gli anni di governo e i giubilei del monarca sulla nervatura centrale di un ramo di palma (che significa "anno"), alla cui base c'è un geroglifico indicante il numero 100.000 e la cui punta sostiene altri geroglifici indicanti la festa di Sed, che veniva celebrata generalmente dopo trent'anni di regno. Anche il Dio Amon offre al sovrano la stessa asta con i due simboli, di durata senza fine e di celebrazioni festive.
26 27
Bresciani 1990, p. 582. II faraone come albero (cf. Keel 1984, p. 239Jig. 352).
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Quando viene la calura, non ha niente da temere: le sue fronde rimarranno verdeggianti. Nell'anno della siccità rimane senza pensiero, non smetterà di dar frutto». Le somiglianze con Sal 1, 3 sono impressionanti (cf. soprattutto Ger 17, 8a: והיה כעץ שתול על מים ועל יובל, «sarà come un albero piantato presso l'acqua, che a un canale...», con Sal 1, 3a: והיה כעץ שתול על פלגי מים, «sarà come un albero piantato presso canali d'acqua...») 28. Ma le differenze sono pure rimarchevoli. Ne notiamo tre: 1) In Geremia (e in Amenemope) tutt'e due i tipi di uomo vengono paragonati ad un albero, mentre nel Sal 1 il tipo negativo viene paragonato alla pula. Inoltre l'ordine è inverso. 2) Il motivo della benedizione in Geremia è la fiducia in Dio, mentre nel Sal 1 è l'amore per la sua legge. C'è una chiara diversità nell'accento. 3) Dal punto di vista del genere letterario, anche se la derivazione sapienziale, visto il parallelo di Amenemope, è indubbia, Ger 17 è formulato come "benedizione/maledizione", un genere originario della liturgia dell'alleanza, mentre il Sal 1 è un macarismo. Probabilmente, dunque, il Sal 1 ha derivato l'immagine da Geremia, ma vi ha posto accentuazioni proprie. «Egli è come un albero piantato presso canali d'acqua...». Il verbo שתל, "piantare", esprime la particolarità che l'albero non eresce naturalmente dal seme, ma è stato Artificialmente "trapiantato" da un altro posto, come avviene per gli alberi di un giardino. L'aibero viene perciò sottoposto a un "esodo", deve lasciare l'habitat naturale e acclimatarsi in un nuovo ambiente. I "canali" sono corsi d'acqua artificiali, tipici di un giardino. In un paese come Israele, dove la vegetazione è completamente dipendente dalle piogge, che sono irregolari e spesso scarseggiano, avere a disposizione un corso perenne d'acqua è un sogno (cf. Dt 11, 10־ 12). Un tale idillio di fecondità era prerogativa del giardino regale e soprattutto del giardino del tempio (cf.fig. 2 29), il quale a sua volta era immagine del giardino del paradiso, irrigato non dalla pioggia, ma da un corso d'acqua perenne (cf. Gn 2, 6). Il termine פלגי מיםrievoca queste associazioni con il paradiso e con il tempio (cf. Is 30,25; 32, 2; Sal 46, 5; 65, 10). Mentre in Geremia l'acqua è simbolo di Dio (cf. Ger 2, 13), nel Sal 1 essa è simbolo della torah (cf. v. 2). Con que28 29
La somiglianza è notata da Creach 1999, p. 38. Rilievo assiro dal palazzo di Assurbanipal a Ninive, cf. Keel 1984, p. 132, fig. 202.
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Fig. 2. «Egli è come un albero, piantato presso canali d'acqua» (Sal 1,3). Rappresentazione assira di un tempio su un'altura. L'acqua per il giardino del tempio è recata da un acquedotto, che in prossimità del tempio si divide in diversi rami, ai bordi dei quali si allineano gli alberi del giardino. La costruzione centrale non è facile da decifrare: secondo Keel si tratterebbe di due edifici diversi: il "frontone" di un tempio in antis (a destra), e una cella con la statua del sovrano in atteggiamento di adorazione, probabilmente posta davanti al tempio (a sinistra). Una "via sacra", contrassegnata da un altare, conduceva non tanto alla statua del sovrano, quanto al tempio.
sto, il Sal 1 identifica la fiducia in Dio con l'amore per la sua legge. Nello stesso senso va anche Sir 24, 23-34, dove i canali che irrigano il giardino di Dio rappresentano la torah. La metafora dell'albero presso i canali, in confronto con quella della pula, ha due dimensioni. Essa esprime anzitutto stabilità. La pula non ha consistenza, essa viene «dispersa dal vento». W. Vogels parla di "verticalità" dell'albero ($) in contrapposizione con !'"orizzontalità" (« )>־della pula 30 . Lo studio amoroso della torah conferisce al fedele stabilità, profondità, radicamento. Poiché egli non è rimasto alla superficie, ma ha affondato le sue radici nel profondo ( j), egli è stabile, consistente: non cambia opinione a seconda delle mode del momento. In questo si rivela la coerenza del testo con le immagini del v. 1: colui che fa della parola di Dio il suo pane, non è facilmente influenzabile da mode passeggere. L'altra dimensione è rappresentata dalla freccia verso l'alto ( | ) . Le radici profonde e ben irrigate garantiscono all'albero fecondità. Esso mette fuori rami, foglie e frutti, mentre la pula non produce niente. «.. .che dà il suo frutto nella sua stagione» ־Dicendo "il suo frutto", si sottolinea l'unicità del frutto. Ogni "albero/uomo" produce 30 Vogels 1979, p. 412. Sulla struttura semantica profonda del Sal 1 cf. anche Lack 1976.
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un frutto unico, inconfondibile, che solo lui può produrre. Anche se la torah è sempre la stessa, essa produce un frutto diverso in ogni persona che la medita. Il "frutto" è metafora ricorrente nella Bibbia per esprimere le opere di bene (cf. Is 5, 2.7; Me 11, 12-13), soprattutto l'amore operoso (Gv 15, 1-17). La parola di Dio, dice Isaia, non è mai senza frutto (Is 55, 10-11). Metafora altamente suggestiva, il "frutto" è simbolo di una vita che si compie nel donarsi, che si trova perdendosi, che si fa eterna donando vita a un'altra pianta. Il "frutto" è perciò anche metafora per i figli (il «frutto del grembo»), cioè per la "fecondità" di una vita urnana. In Ger 17, 8 il "frutto" ha soprattutto questo significato. Geremia si era lamentato della sua "solitudine" (Ger 15, 17, cf. 16,1-13), e anche il giusto del Sal 1 è stato presentato finora come un solitario, estraneo a un mondo che pensa ed agisce diversamente. Perciò la pròmessa del "frutto" non è scontata, essa va contro le apparenze. Dicendo "nella sua stagione" il salmista mette in guardia dall'aspettarsi subito i frutti. Essi verranno, questo è certo, ma verranno «a suo tempo». Come 11 frutto ha bisogno di tempo per maturare, così la parola di Dio ha bisogno di tempo per portare i suoi frutti. E lo scandalo di Geremia, che non vedeva realizzarsi la profezia che Dio gli aveva confidato, e a cui Dio mostra la visione del mandorlo fiorito: «Io vigilo sulla mia parola, per realizzarla» (Ger 1,12). D'inverno l'albero sembra morto, senza foglie: ma in primavera («nella sua stagione») mette fuori tutti i suoi fiori. La parola di Dio non è morta, essa aspetta la sua stagione per portare frutto. Se, quanto al frutto, la metafora si riferisce a un albero comune, ciò che segue esula dalle possibilità di un albero di questo mondo: «E le cui foglie non seccano». Il mandorlo, d'inverno perde le sue foglie: esse avvizziscono e cadono. Di un albero «le cui foglie non avvizziscono» ( )עלהו לא יבולparla Ez 47, 12 (cf. Ap 22, 2). L'espressione si riferisce all'"albero della vita" 31, che esisteva nel paradiso terrestre (cf. Gn 2, 9), e che è immagine mitica per indicare il desiderio innato in ogni uomo di vivere per sempre. Questa "vita eterna", che Adamo voleva raggiungere contro Dio, facendo a modo suo, viene offerta a colui che adotta l'atteggiamento contrario, cioè fa dell'obbedienza a Dio, espressa nell'amore per la sua legge, lo scopo della sua vita. Il modello di uomo disegnato dal Sal 1 è l'opposto di Adamo, è un uomo che sa fidarsi di Dio, come un bambino si fida di 31
Cf. Haag 1989, p. 166.
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suo padre. La torah è per lui «l'albero della conoscenza del bene e del male», perché gli dice dov'è il bene e dov'è il male, ed è anche "l'aibero della vita", perché gli mostra la strada per la vita eterna. Nella teologia del tempio, rappresentata dal passaggio citato di Ezechiele (47, 12), ma anche, per esempio, da Sai52, 10 e 92, 13-15, l'albero della vita è il tempio stesso. Dio, la "fonte della vita", si rende presente nel tempio di Gerusalemme: dissetandosi a quest'acqua si acquista la vita eterna (cf. Sal 36, 8-10), si mangia dell'"albero della vita". Ora, secondo Sal 1,3, l'albero della vita è la torah: chi si nutre di essa, vive per sempre. L'accento viene spostato in senso sapienziale. Prv 3,18 attribuiva alla sapienza la qualifica di "albero della vita": il Sal 1 fa il passaggio dalla sapienza alla torah 32 . Forse si può cogliere in questo spostamento di accento un ridimensionamento dell'importanza del tempio. Nell'esilio e nella situazione di diaspora in cui vivevano molte comunità giudaiche dell'epoca ellenistica, l'accesso al tempio non era possibile. Inoltre diversi gruppi religiosi (si pensi a Qumran) prendevano le distanze dal sacerdozio e dal culto ufficiale, connivente con l'ellenismo. Sal 40,7-9 prospetta una sostituzione dei sacrifici con l'obbedienza alla volontà di Dio, espressa nella torah (il "rotolo del libro"). La torah dunque sostituisce il tempio: essa accompagna il pio giudeo ovunque egli vada. Anzi, secondo quell'identificazione della torah con il salterio a cui abbiamo fatto accenno, il salterio stesso diviene il tempio in cui Dio si fa presente. Secondo Salii, 4, il "Santo" abita תהלות ישראל, "le lodi di Israele", si rende cioè presente quando Israele recita i תהלים, i salmi33. «.. .tutto ciò ch'egli fa, lo porta a buon fine». Qui l'autore lascia la metafora dell'albero e parla direttamente dell'"uomo", cioè del suo agire («tutto ciò che egli fa»). Il verbo צלחhif. può avere tre valori differenti. Può essere interpretato intransitivamente, come fa la maggior parte delle traduzioni moderne («tutto ciò che egli fa, riesce, ha successo»), oppure transitivamente. In questo secondo caso, esso può avere due soggetti. Secondo la tradizione ebraica, il soggetto è Dio: «tutto ciò che (l'uomo) fa, (Dio) lo fa riuscire». L'altra possibilità è che il soggetto sia l'uomo, che è anche soggetto del verbo precedente: «Tutto ciò che egli fa, lo porta a buon termine» 34. Questa traduzione è avvalorata dal parallelo, sopra ricordato, con 32 33 34
Cf. Creach 1999. Cf. Zenger 1999. Così anche Delitzsch 1984, p. 68.
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Gs 1,8 («porterai a buon fine la tua via») e dal fatto che al versetto successivo (4a) il soggetto del verbo (sottinteso) è רשעים. Dal punto di vista sintattico si raccomanderebbe perciò la terza soluzione, ma anche la prima sarebbe possibile. Il significato è simile: ciò che Tuomo fa secondo la legge di Dio, riesce. In fondo si arriva allo stesso senso della tradizione ebraica. Se l'opera dell'uomo riesce, è perché è fatta secondo il piano di Dio; perciò, in definitiva, è Dio che la fa riuscire. E convinzione dell'AT che la riuscita della via dell'uomo non sta nelle sue mani, ma in quelle di Dio (cf. Gn 24, 21.40.42.56; 39,3.23; Prv 16,1-3). Si confronti quanto le Cronache dicono di Salomone (1 Cr 22, 13) con ciò che vien detto di Ioas (2 Cr 24,20). La riuscita o la non riuscita dei piani umani dipende dal fatto se questi siano o no conformi al piano divino, rivelato nella torah. Quest'affermazione sembra ingenua, essa corrisponde all'assioma sapienziale che il bene viene premiato, mentre il male genera infelicità. Si tratta di un principio spesso contraddetto dalla vita, dove i buoni a volte non hanno successo, mentre quelli che non hanno molti scrupoli fanno carriera. Effettivamente le lamentazioni che seguono, soprattutto i salmi sapienziali (cf. Sai37; 39; 73), metteranno in discussione questo principio. Lombaard ritiene che la semplificazione operata dal salmista non sia dovuta a ingenuità, ma obbedisca a una "strategia pedagogica", volta a far compiere una precisa scelta di campo 35 . D'altra parte l'affermazione che l'albero porterà frutto "a suo tempo" fa capire che il successo non viene subito, e non si esclude, considerando la datazione tardiva del salmo, che si possa alludere anche all'altra vita. Se si pensa a testi come Is 53, o Sap 3, 1-7, una tale visione è possibile, anche se non si impone in modo esclusivo. Proprio perché la realtà è diversa, l'affermazione del salmista acquista il valore di un atto di fede. LA SECONDA STROFA: LA VIA DEGLI EMPI ( W . 4 - 5 )
In confronto con la prima strofa, che presentava, descrivendola ampiamente, la via del giusto, la seconda è poco sviluppata. Si comprende anche il motivo: l'autore non è interessato a indicare la via dei peccatori, ma quella del giusto. La via dei peccatori viene accennata soltanto perché la si eviti. Anzi, si può dire che il testo non 35
Lombaard 1999.
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descriva la loro via, ma soltanto l'esito di questa, cioè il punto di arrivo, dove si può vedere se una vita è riuscita o no (cf. Sal 73, 16־ 17). L'analisi seguirà la struttura delineata nella tab. 9, a p. 34. L'insuccesso degli empi (v. 4a) Il "non così" all'inizio del verso vuol essere compreso in riferimento alla frase precedente: «tutto ciò ch'egli fa, lo porta a buon fine». Il significato è dunque: «Gli empi non portano a buon fine le loro imprese». Si è visto infatti che il successo delle imprese dell'uomo non è nelle sue mani, ma in quelle di Dio. Un piano di vita che non sia conforme alla volontà di Dio non può riuscire. E interessante notare la designazione plurale: הרשעים. Forse non c'è soltano la constatazione che gli empi sono la maggioranza, ma anche l'idea che essi non pensano individualmente, sono senza personalità. Fanno ciò che fa il gruppo. Il "giusto", invece, pensa e agisce con la sua testa: per andare controcorrente ci vuole una forte personalità. Seguire la legge di Dio è un atto di libertà: non può deciderlo il gruppo, ma ciascuno personalmente. La pula (v. 4b) Il contrasto è dunque tra un individuo (il "giusto") e un gruppo (gli "empi"). Questo aspetto si rivela anche nelle metafore. Al "giusto" corrisponde infatti l'immagine, individuale, dell'albero, agli "empi" quella, collettiva, della pula, composta di un numero enorme di insignificanti pezzettini di paglia triturata. La "pula" è ciò che rimane della spiga, quando il grano, nella trebbiatura, è stato separato dall'involucro che lo conteneva. La separazione avviene ancor oggi, in Oriente, lanciando in aria con il ventilabro, in un giorno di vento, grano e pula insieme (cf. M/3,12; Le3,17). La separazione del grano dalla pula è, nel Vangelo, immagine del giudizio finale di Dio, ed è questo anche lo sfondo usuale in cui si parla di "pula" ( )מץnell'AT (cf. Is 5, 24; 17, 13; 29,5; So/2,2; Gb 21, 18; Mal3, 19)36. Quindi nel nostro caso 36 II tema del giudizio è tipico non della sapienza, ma della profezia. Ciò mostra che il Sal 1 non appartiene a un genere letterario soltanto, ma, come molti dei salmi più tardivi, mescola i generi tra loro, è un salmo "misto". E d'altra parte vedremo che il Sal 2, che affronta un tema tipicamente profetico come il messianismo, è ricco di elementi sapienziali.
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si comprende bene il legame tra il v. 4b e il v. 5, dove si parla appunto del giudizio. Ma il giudizio non farà che manifestare ciò che gli empi già sono (si veda l'inizio del v. 5: p bs, «è naturale perciò ...»). Se l'albero veniva contrassegnato dalla dimensione verticale, la pula lo è, al contrario, da quella orizzontale (<)»־. La pula, infatti, non ha radici, non ha profondità né consistenza. Viene portata dal vento in tutte le direzioni. Essa è immagine dell'uomo "superficiale". Essa inoltre non produce frutto, è sterile. Poiché in essa non c'è vita, essa non può produrre altra vita. Serve solo ad essere bruciata. Il giudizio (v. 5) Le due affermazioni del v. 5 sono poste in parallelismo sinonimico. E importante rilevarlo, perché questo non è senza conseguenze per l'interpretazione (cf. tab. 11). Tabella 11 gli empi i peccatori
non si alzeranno (non si alzeranno)
nel giudizio nell'assemblea dei giusti
Da una parte, si corrispondono i due soggetti: רשעיםe חטאיםsono sinonimi, essi si riferiscono allo stesso gruppo di persone, come già il v. 1 indicava. Dall'altra, si suggerisce un'identificazione delle due indicazioni di luogo: "nel giudizio", במשפט, e "nell'assemblea dei giusti", בעדת צדיקים. Su questo punto abbiamo da ritornare. L'inclusione con il v. 1 ( רשעיםe )חטאיםha il senso di un contrappasso: all'inizio del salmo il giusto è isolato nell'assemblea degli empi, alla fine gli empi sono isolati nell'assemblea dei giusti 37. Il giusto, cioè, non è solo: la «comunione dei santi» si rivelerà alla fine. E interessante notare che il termine "giusto",צדיק, che è il naturale corrispettivo di רשע, non viene pronunciato all'inizio del salmo, ma solo alla fine. Si vuol suggerire, con questo, che solo alla fine, nell'escatologià, si riveleranno i giusti? Tutto dipende dal senso delle due parole: "giudizio" e "assemblea dei giusti".
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La corrispondenza tra ( עצת רשעיםla) e5) ע ד ת צדיקיםb ) è accentuata da G, che traduce עדתcon βουλή, "consiglio", come in la.
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Kraus pensa a un Sitz im Leben cultuale. La עדת צדיקיםsarebbe l'assemblea cultuale che si raduna nel tempio. E siccome al tempio hanno accesso solo i giusti (cf. Sal 118, 20) il "giudizio", di cui qui si parla sarebbe quello che si compie all'ingresso nel tempio (cf. 15; 24) 38. Ma, come rileva Alonso Schòkel3^, appoggiandosi sull'analisi di Bovati40, קרםè espressione tecnica del tribunale alla porta, per cui se un accusato "si alzava" per prendere la parola, voleva dire che aveva argomenti da produrre in sua difesa (cf. Sal 12, 6; 35, 2; 74, 22; 94, 16; Gb 19, 25, ecc.). Il verbo è sinonimo di עמד, "stare in piedi", con cui si definiva l'innocenza di una persona: il restare in piedi era la posizione tipica di chi era innocente. D'altronde, al tribunale rimanda inequivocabilmente il termine משפט, "giudizio". Dato che le due espressioni sono parallele, anche l'altra espressione, עדת צדיקים, si riferirebbe all'assemblea giudiziaria dei giusti 41 . Di che giudizio si tratta? Seybold ritiene si tratti del giudizio terreno, alla porta della città o nel tribunale 42 . A mio avviso, sia la metafora della pula, sia i paralleli letterari puntano in un'altra direzione. Sap 5 presenta il giudizio finale degli empi, contrapponendoli al giusto che essi in vita hanno deriso (v. 4, cf. Sal 1, 1). Il giusto «starà con grande fiducia di fronte a coloro che lo hanno oppresso» (v. 1). Egli ora non è più solo, ma appartiene ai "figli di Dio" e ai "santi" (v. 5, cf. Sal 1,5), mentre degli empi si dice che la loro speranza «è come pula portata dal vento» (v. 14, cf. Sal 1,4). Essi devono confessare: «Non abbiamo avuto alcun segno di virtù da mostrare; siamo stati consumati dalla nostra malvagità» (v. 13, cf. Sal 1, 5). Ancora più rilevante è il parallelo con Mal 3, 19, un testo la cui prossimità con Sal 1 è stata sopra rilevata. Anche qui si parla di "pula" (il termine però è diverso: )קש: «Ecco sta per venire il giorno rovente come un forno. E tutti i superbi e tutti coloro che commettono iniquità saranno paglia. E il giorno che viene li incendierà - ha detto JHWH degli eserciti - sì da non lasciar loro né radice né germoglio».
38 Kraus 1978, pp. 139-140. 39 Alonso Schòkel e Camiti 1992, p. 148. 40 Bovati 1997, pp. 217-219. 41 Ciò viene ben rilevato in Merendino 1979, p. 51. 42 Seybold 1996, p. 29.
Salmo 1
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Il giudizio di Dio viene presentato come risposta al lamento dei giusti di fronte al successo dei malvagi. Dicevano i giusti: «È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall'osservare i suoi comandamenti ο dalfaver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti» (Mal3, 14-15). Il parallelo fa pensare che anche per Fautore del Sal 1 l'affermazione del giudizio di Dio costituisca una risposta al problema della teodicea. Steck riassume il programma teologico del redattore finale dei Nebiim come un appello all'osservanza della torah di fronte all'imminente giudizio di Dio. Sembra che lo stesso valga per il Sal 1, e, in generale, per il redattore finale del salterio 43 . Non si tratta di un ingenuo, ma di un credente. Che il "giudizio" abbia un carattere escatologico, viene confermato dall'espressione che gli è posta in parallelo: עדת צדיקים. Il Sal 149, un altro parallelo dei Sal 1-2, parla di una partecipazione dei "fedeli" ( )חסידיםal giudizio finale («per eseguire su di essi il giudizio [ ]מעזפטgià scritto», v. 9). Anche qui il fedele non è isolato, ma forma un'assemblea, la ( קהל חסידיםν. 1), che ben si può intendere come sinonimo della עדת צדיקיםdel nostro salmo: si tratta del popolo di Dio, che compie il giudizio escatologico (cf. Dn 7, 18.22.27; Sap 3, .7-8; Mal3,21 e, per il NT, Mi 19,28; Le 22, 30). Nel caso del Sal 1, non si tratta di una contrapposizione tra Israele e i gentili, quanto piuttosto di una contrapposizione tra giusti ed empi all'interno dello stesso popolo. I "peccatori" appartengono anch'essi, a quanto Sembra, a quest'assemblea, si ritengono israeliti: ma al momento del giudizio sarà chiaro che non hanno niente a che vedere con «l'assemblea dei giusti». E chiaro dunque che si tratta di un giudizio escatologico. Così ha inteso anche il Targum: «Gli empi non verranno giustificati nel grande giorno». La domanda è: questo giudizio è intrastorico ο al di là della storia, avviene al di qua ο al di là della morte? Vg non resurgent e G ουκ άναστήσονται rispondono chiaramente nel secondo senso. Il verbo קוםpotrebbe avere anche il senso di "risorgere", ma ttelTAT non si trovano chiari paralleli. La testimonianza dei salmi è ambigua. Certo, in essi è presente la speranza di una vita eterna con 43
Cf. Steck 1991, pp. 161-162, nota 375.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Dio (nel nostro stesso salmo l'immagine dell'"albero della vita", al v. 3, ne è testimonianza), ma si può pensare anche a una vita lunga in questo mondo. A mio avviso, tenendo presente l'epoca tarda della composizione del Sal 1, il pensiero della risurrezione non si può escludere, anche se non si può affermare con certezza. Fiiglister vede questo pensiero espresso anche in Sal 149, 5b («esultano nei loro giacigli») 44. I "giacigli" sarebbero, per lui, immagine della tomba, un'interpretazione suggestiva, ma controversa. Ad ogni modo, il Salmo 1 è aperto anche a questa interpretazione, già nell'orizzonte ermeneutico dell'AT 45 .
SPIEGAZIONE TEOLOGICA: V. 6
Nell'ultimo verso, le due vie, che erano il tema rispettivamente della prima e della seconda strofa, vengono messe a confronto, affinché il discepolo possa scegliere la via giusta e respingere quella sbagliata. Da un punto di vista sintattico, il verso costituisce la motivazione per la "beatitudine" (אשרי, v. 1) e, rispettivamente, della "non beatitudine" (לא כן, "non così", v. 4), pronunciate all'inizio delle due strofe. Perché il giusto è come un albero fecondo, mentre i malvagi sono come pula destinata a bruciare? I due stichi di cui il verso si compone non sono posti in parailelo: le due motivazioni che vengono date sono di natura diversa. Il successo della via del giusto ha una motivazione javistica, che va al di là del semplice meccanismo retribuzionistico. La ragione per cui tutto ciò che il giusto fa "ha successo" è perché «JHWH conosce la sua via». E la seconda volta che il nome di Dio appare nel salmo, la prima era al v. 2: «invece trova gusto nella legge di JHWH». Poiché il giusto impronta la sua strada alla volontà di Dio, questa strada è conosciuta da Dio, è la strada di Dio. Dio ritrova se stesso nella strada del giusto. Qui è il motivo vero della felicità del giusto, al di là delle apparenze. La grande certezza del giusto è che la strada che egli percorre è la strada di Dio: perciò è sicuro che essa conduce, prima o poi, di qua o di là della morte, a un buon fine. Il verbo "conoscere", ידע, ha un significato che va ben al di là di una conoscen44
Fiiglister 1986, p. 104. Sul tema dell'immortalità nei salmi cf. Ramaroson 1984; Alexander 1987; Mindling 1991. 43
Salmo 1
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za intellettuale, "conoscere" è pressoché sinonimo di "amare". Buber commenta: «Il cammino, il cammino vitale di questi uomini (= i giusti) è cosiffatto, che essi in ogni sua fase fanno esperienza del contatto con Dio. Quest'esperienza corrisponde al carattere di una vita reale, in maniera adeguata ad ogni sua fase. L'esperienza del "conoscere" divino non può paragonarsi a nessuna esperienza naturale: è un'esperienza tipicamente biografica, ciò vuol dire che ciò che si prova, si prova nel corso della propria vita personale, attraverso le vicende che ci accadono. Anche se queste vicende, all'infuori del rapporto con Dio, possono sembrare crudeli ed ostili, illuminate da questo "conoscere", costituìscono una "riuscita". Ogni "fare" di quest'uomo, anche i suoi passi falsi, anche il suo insuccesso, è un riuscire. O felicità dell'uomo, che percorre la strada che Dio ha indicato, e che Dio "conosce"!»46. «...ma la via degli empi si perde». Zenger nota una finezza 47 . La prima parola del salmo inizia con la lettera )אשרי( א, la prima lettera dell'alfabeto; l'ultima parola inizia con l'ultima lettera dell'alfabeto, )תאבד( ת. Alla "felicità" del giusto corrisponde, come alternativa, la "perdizione" dell'empio. La motivazione per gli empi non fa appello a Dio, quasi a dire: non occorre che Dio intervenga, il male si castiga da sé 48. Questa "strada", che gli empi pensavano conducesse al successo, non porta in realtà da nessuna parte, è una strada senza uscita, senza futuro. Prima o poi, al più tardi al momento della morte, uno se ne rende conto. Il verbo אבדha due significati: esso esprime da una parte lo "smarrirsi", il perdere l'orientamento, dall'altra il "perire", e ambedue le connotazioni sono da ritenere. Come afferma Sal 73, 27: «Chi si allontana da te, perisce». Avviene come per la seconda strofa: mentre l'alternativa del giùsto è sviluppata, quella dell'empio viene trattata sbrigativamente. Per l'autore le due vie non sono uguali: egli è interessato a descrivere la via giusta: quella sbagliata viene menzionata appena perché la si eviti.
46 47 48
Buber 1992b, p. 183. Cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 45. Cf. Sticher 2002.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia IL SALMO 1 E IL NUOVO TESTAMENTO
Il Sal 1, che esalta l'amore alla torah, è un salmo tipicamente giudaico, di questo popolo che è chiamato a ragione "il popolo del libro". Può essere pregato anche da un cristiano? Alla luce del Nuovo Testamento, il salmo acquista una tonalità particolare, che non è estranea al salmo stesso ma ne costituisce un'esplicitazione e un completamento. Sottolineo alcune direzioni ermeneutiche. Paolo ha messo in guardia contro una «giustizia che viene dalla legge», contrapponendovi la «giustizia che viene dalla fede» (cf. Rm 7; Gal 3). Qui c'è un equivoco da chiarire. La "legge" di Paolo non coincide certamente con il concetto di "torah" del Sal 1. Nella torah, come insieme della rivelazione divina, è presente infatti anche l'aspetto della "fede" (cf. Gn 15). Il culto della torah può portare all'assolutizzazione della lettera, che Gesù relativizza (si veda la polemica sul sabato o sulle leggi di purità). Ciò che conta, per Gesù, non è la lettera, ma lo spirito. D'altra parte Gesù non è meno radicale del Sal 1 sull'osservanza della volontà di Dio, espressa nella sua legge. Nel discorso della montagna egli presenta la sua legge non come un annacquamento, ma come un approfondimento e un'interiorizzazione dell'antica («non sono venuto per abolire, ma per dare compimento») contro la pratica puramente esteriore dei farisei. Come per l'orante del Sal 1, anche per Gesù il senso della sua vita era fare la volontà di Dio (cf. Gv 4,34), come viene espresso anche nella seconda domanda del Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà». Questa "interiorizzazione" della legge non è estranea alla spiritualità dei salmi, che parlano di una "legge nel cuore" (cf. Sal 37, 31; 40, 7-9). Quando il Sal 1 parla di "provar gusto" nella legge del Signore (v. 2), si pone su questa stessa linea. Anche per ciò che riguarda la separazione dai peccatori, Gesù ha posto un accento particolare, tanto che il suo avvicinarsi ai pubblicani e alle prostitute scandalizzava i farisei (il termine significa "separato"). Si tratta anche qui di leggere questa "separazione" nel suo senso vero, che è quello, spirituale, di non rendersi connivente con il male. I salmi, letti nel loro insieme, non sono certamente la preghiera di un fariseo orgoglioso della sua "giustizia", ma quella di un pubblicano conscio dei suoi peccati e del bisogno della misericordia di Dio (si veda, ad esempio, il Salò2 o il Sai51). Una dimensione fondamentale della "povertà di spirito", di cui i salmi sono espressione, è la coscienza del proprio peccato (cf. Sal 25, 8-9).
Salmo 1
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Infine, quanto alla prospettiva escatologica, la resurrezione di Gesù dà un senso nuovo alla prospettiva del salmo. Infatti da un punto di vista umano la "via" di Gesù termina sulla croce, è tutt'altro che un successo. Soltanto includendovi la resurrezione, essa si può dire una vita "riuscita". Il "suo tempo", di cui parla Sal 1, 3, risponde alla "mia ora" di cui parla Gesù nel Vangelo di Giovanni (cf. Gv 2, 4): è il tempo della morte e della resurrezione. Per un cristiano non è diverso. «Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo solo in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1 Cor 15, 19).
SALMO 2
TRADUZIONE
1. Perché le nazioni si agitano, e i popoli mormorano cose vane? 2. Prendono posizione i re della terra, e i grandi congiurano insieme contro J H W H e contro il suo messia: 3. «Spezziamo le loro catene, gettiamo via le loro funi!». 4. Colui che ha il trono nel cielo sorride, il Signore si fa beffe di loro. 5. A quel punto egli parla loro nella sua ira e nella sua collera li atterrisce: 6. «Ma io, io ho stabilito il mio re sul Sion, il mio santo monte!». 7. Mi richiamerò al decreto di JHWH. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io stesso oggi ti ho generato. 8. Chiedilo a me, e ti darò in eredità le nazioni, in proprietà i confini della terra. 9. Li spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla li frantumerai». 10. Ordunque, o re, siate saggi, lasciatevi correggere, o giudici della terra. 11. Servite J H W H con timore ed esultate tremando; 12. baciate il figlio, affinché non si adiri e la vostra strada non vada in rovina, poiché presto divampa la sua ira. Beati tutti quelli che in lui si rifugiano.
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CRITICA TESTUALE
Verso 1 «Le nazioni ... 1 popoli ... i re della terra ... i grandi». I sostantivi dei w. 1-2 sono senza articolo in TM. G è senza articolo al ν. 1, con ! , articolo al v. 2. Ma il parallelo con il v. 8, dove il termine כרים "nazioni" (senza articolo) è allineato a « אפסי ארץconfini della terra» (G τα πέρατα TT!C yfjc), fa pensare a grandezze tipicizzate, universali. «Si agitano». Il verbo רכשè hapax legomenon. Il sostantivo (Sal 55, 15) significa "inquietudine, tumulto". Verso 2 «Congiurano». Perf. nifal di יסדII, un verbo che appare solo qui e in Sai31, 14 con il significato di "congiurare, tramare". Tale significato è attestato anche a Qumran (CD 2, 7 1). «Contro il suo Messia». Alcuni manoscritti greci aggiungono, alla fine del v. 2: διάψαλμα (pausa meditativa?), il che spezzerebbe il legame con v. 3 (per questo si propone dalla BHS di sopprimere «contro J H W H e contro il suo Messia» come una glossa). Verso 3 «Le loro funi»: G τον ζυγόν αυτών, e Vg iugum ipsorum, intendono forse un ebraico ( עלתימוcf. BHK), ma si tratta di una congettura: TM è ben comprensibile. Verso 6 «Io ho stabilito il mio re». G ha qui il passivo (έγώ 8è κατ6στάθην βασιλεύς ύπ' αύτοϋ), così anche Vg (ego autem constitutus sum rex ab eo). A parlare sarebbe dunque il Messia. Verso 9 «Li spezzerai». TM תרעםha qui il verbo רעעII, "spezzare", un verbo relativamente raro (solo ancora in Is 24, 19; Ger 15, 12; Gb 34, 24; Prv 18, 24). G ποιμανβΐς αυτούς, Vg reges eos leggono il 1
Cf. Bons 1992, pp. 209-217.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
verbo ebraico רעה, "pascere", una lezione che viene ripresa nelrApocalisse di Giovanni.(2, 26-27; 12, 5; 19, 15) 2. Verso 12 «Baciate il figlio». Così TM נשקר בר, seguito da S. G ha 8pd£aCT0e TTaiSeiac, seguito da Vg adprehendite disciplinam ("accettate la correzione"). BHS propone varie congetture. Anzitutto unisce l'espressione a l l b , formando un unico emistichio, in parallelo a «servite J H W H con timore» 3 . Il verbo וגילוverrebbe spostato alla fine, e la frase suonerebbe: «( ברעדה נשקו לרגליוtremando baciategli i piedi»). Un'altra congettura sarebbe quella di sopprimere, come dittografia, נשקו בר, e di leggere il restante: וגדלו שמו ברעדה, «magnificate con tremore il suo nome». CEI salta addirittura, senza giustificazioni, l'espressione. Per quanto suggestive possano sembrare queste proposte, esse sanno molto di avventuroso, per cui preferiamo attenerci a TM (cf. sotto il commento). «Perché non si adiri». G esplicita il soggetto:ן1זזןז0־ר€ òpyiaGrj Kvpioc, cf. Vg. nequando irascatur Dominus. TM di per sé è aperto, il soggetto potrebbe essere anche «il figlio». «E la vostra strada non vada in rovina». Anche qui G ha un testo diverso: KQÌ ànoXeloQe 0801) Sticaiac (cf. Vg et pereatis de via insta, «e periate, [allontanandovi] dalla via giusta»). TM ha di per sé un "accusativo di relazione": « ותאבדו דרךe non periate (oppure non vi smarriate) quanto alla via».
GENERE LETTERARIO E SITZ IM LEBEN
Il salmo appartiene chiaramente ai "salmi regali", una forma abbastanza fluida, definita soprattutto in base al tema: questi salmi riguardano il re terreno di Israele. A questo genere appartengono ancora &/-18; 20; 21; 45; 72; 89; 101; 110; 132; 1441 Si è vista l'importanza dei salmi regali per la comprensione della teologia del salterio5. Per ciò che riguarda il Sitz im Leben del salmo, ci sono oggi fondamentalmente due tendenze. Secondo la prima, che rappresen2 3 4 5
Cf. Wilhelmi 1977, pp. 196-204. Accogliendo le proposte di Bertholet 1908a; Bertholet 1908b. Cf. Gunkel 1985, pp. 140-171. Cf. sopra, p. 22. Sui salmi regali si veda ancora Otto e Zenger 2002.
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ta la maggioranza dei commentatori, il "re", di cui qui si parla, sarebbe un concreto monarca di Gerusalemme, un discendente di Davide ed erede della promessa a lui fatta in 2 Sani 7. Il Sitz im Leben del salmo sarebbe dunque una "festa di intronizzazione" 6. Effettivamente nei w. 6-9 sono riconoscibili elementi tipici del rituale di intronizzazione dei faraoni egiziani e anche dei monarchi babilonesi. Anche la "rivolta dei popoli" si può comprendere facilmente su questo sfondo: il cambio di potere era un'occasione propizia perché i popoli vassalli tentassero di scuotere il giogo. In questo caso generalmente il salmo, o almeno una parte di esso, viene datato in epoca preesilica. A quale re il salmo concretamente si riferisca, è naturalmente controverso: le proposte fatte vanno da Davide, X sec. a.C. 7, a Giosia, VII sec. a.C. 8, fino ad Alessandro Gianneo, in epoca ellenistica (I sec. a.C.) 9. L'altra direzione comprende il salmo in senso messianico. Tema del salmo non sarebbe un concreto re terreno, ma la speranza messianica della comunità postesilica 10. Per una composizione postesilica del salmo parlano argomenti linguistici, oltre a quelli tematici. Il saimo contiene infatti tre aramaismi: i verbi רגש, "agitarsi" (v. 1), e רעע, "frantumare" (v. 9), e il sostantivo בר, "figlio" (v. 12). Gli aramaismi sono indizi, anche se non assoluti, di una composizione postesilica. Per Zenger, che opta per la datazione postesilica, la "rivolta" dei popoli rifletterebbe le sommosse scoppiate con il passaggio dal dominio dei persiani a quello dei greci, attorno alla fine del IV sec. a.C., cioè all'inizio dell'epoca ellenistica. In quest'epoca sarebbero comprensibili anche gli accenni all'antico rituale faraonico: i monarchi di Alessandria si facevano considerare dèi al modo degli antichi faraoni. Nei templi egiziani di epoca tolemaica è sempre presente il "manimisi", un edificio dove veniva celebrata la nascita divina del sovrano. Il Sal 2 si potrebbe comprendere come una reazione a simili rappresentazioni 11 .
6 In questo senso cf., per esempio, Kraus 1978; Seybold 1996; Bons 1995, p. 167; Weiser 1966, p. 74. 7 Così Castellino 1955, p. 589. 8 Così Becking 1990, pp. 78-79. 9 Cf. Treves 1965. 10 In questo senso cf. Deissler 1981; Deissler 1988; Hossfeld e Zenger 1993a, p. 51; Gerstenberger 1988, pp. 48-49. 11 Zenger 1986, pp. 507-508; cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 50.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia STRUTTURA
Il testo è strutturato in 4 parti (1-3, 4-6, 7-9, 10-12) che si corrispondono in forma chiastica (ABB'A', cf. tab. 12) 12. La prima strofa corrisponde all'ultima (AA'). In ambedue prende la parola il salmista, atteggiandosi a maestro di sapienza. Il vocabolario sapienziale caratterizza infatti queste strofe: si vedano i termini הגה, "mormorare" (v. 1); שכל, "essere saggio" (v. 10);יסר, Correggere, ammonire" (v. 10). Anche il "timore di Dio" (v. 11) è un elemento tipico della sapienza. Protagonisti sono qui i "popoli": si veda la ripetizione dei due termini significativi: מלכים, "re", e ארץ, "terra" (w. 2 e 10). Tabella 12 Versi
protagonista
parole-chiave
A. w. 1-3 B. w. 4-6 B\ w. 7-9 A', w. 10-12
I popoli JHWH Il Messia I popoli
( מלכיםv. 2), ( ארץv. 2) ( אניv. 6) ( אניv. 7) ( מלכיםv. 10), ( ארץv. 10)
Anche le due strofe centrali sono appaiate (BB'), in esse parla Dio (w. 6.7-9; si veda la ripetizione enfatica del pronome di prima persona אניai w. 6a e 7c). La seconda strofa ha per protagonista Dio stesso, la terza il suo "alleato", il Messia: è lui infatti che prende la parola all'inizio del v. 7, introducendo il discorso di Dio. Contro ambedue, i re della terra si erano rivoltati (v. 2c «contro J H W H e contro il suo Messia»), ed è perciò coerente che questi due personaggi vengano poi messi sulla scena, uno dopo l'altro. Qui possiamo già cogliere un motivo a favore del TM nel v. 12a. In G, e nella maggior parte delle moderne traduzioni, nell'ultima strofa non si fa parola del Messia: l'ubbidienza è dovuta solo a J H W H , mentre strutturalmente sarebbe logico che, in risposta alla rivolta della prima strofa, si parlasse, nella quarta, di ubbidienza ad ambedue le persone, come fa TM: "baciate il figlio" (v. 12a). Avremmo dunque lo schema seguente (cf. tab. 13):
12 Sulla struttura del Sali cf. anche Auffret 1978; Auffret 1986; Auffret 2001a; Renaud 1998, pp. 57-70.
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Salmo 1
Tabella 13 I strofa II strofa III strofa IV strofa
JHWH + Messia (v. 2) JHWH Messia JHWH (v. 11) +Messia (v. 12)
Le tre strofe sono "concatenate", nel senso che ogni strofa termina introducendo l'argomento della successiva. Così al v. 2 («contro J H W H e contro il suo Messia») vengono introdotti, nell'ordine, i personaggi che domineranno rispettivamente la seconda strofa (JHWH) e la terza (il Messia). Alla fine della seconda strofa (v. 6) si preannuncia il protagonista della terza. Alla fine della terza si parla dei "popoli" (v. 8), che saranno il tema dell'ultima strofa. Inoltre le prime tre strofe sono unite dal fatto che ciascuna termina con una citazione: la prima cita i re della terra (v. 3), la seconda e la terza citano J H W H (w. 6.7-9). Legami trasversali tra la prima e l'ultima strofa (AA') e tra le due mediane (BB') confermano l'unità della composizione. La prima strofa è collegata con la seconda dalla polarità "terra" (v. 2) ־ "cielo" (v. 4). Ai "re" della terra (v. 2 cf. 10) si contrappone «colui che ha il trono», cioè è "re" (v. 4), nel cielo, il quale a sua volta ha stabilito "il mio re" (v. 6) sul Sion. Si può osservare una sorta di geografia poetica: la prima e l'ultima strofa sono situate sulla "terra" (w. 2.10), la seconda in "cielo" (v. 4), la terza sul "Sion" (v. 6), che si trova a metà strada tra la "terra" e il "cielo" (cf. tab. 14), e perciò simbolizza il ruolo del Messia, mediatore tra J H W H e le genti. Tabella 14 Prima strofa
Seconda strofa
Terza strofa
Quarta strofa
Cielo (v. 4) Monte Sion (v. 6) Terra (v. 2)
Terra (v. 10)
La terza strofa è unita alla prima e alla quarta mediante la ripresa del tema delle "nazioni" (כרים, w. 1.8; ארץ, w. 1.8.10). Il tema
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
dell'"ira" collega la quarta strofa con la seconda (*]«, W . 5 e 12), mentre il tema del "figlio" la collega con la terza (p, v. 7; ־a, v. 12).
REDAZIONE (?)
L'indagine strutturale ha rivelato un salmo molto unitario. Contro quest'unità si pongono alcuni autori che vorrebbero togliere alcune parti come aggiunte successive. Così, ad esempio, il v. 2c («contro J H W H e contro il suo Messia») viene visto spesso, per motivi ritmici, come una glossa13. Ma, togliendo il duplice oggetto della rivolta al v. 2, il pronome plurale del v. 3 («le loro catene..., le loro funi») rimane senza riferimento. Anche la conclusione del salmo, il v. 12d («beati tutti quelli che in lui si rifugiano»), viene volentieri considerata come un'aggiunta redazionale, mirante ad unire Sal 2 a Sal 1 14. La proposta è allettante, ma da una parte il verbo non, "rifugiarsi", ha una dimensione politica, equivalendo a una dichiarazione di lealtà, che si inserisce perfettamente nel contenuto del salmo 15, dall'altra il v. 12d forma un parallelo ritmico col v. 12c (si veda la rima: - ־a). Perciò siamo restii, anche qui, a considerarlo come un'aggiunta. Come ultimo verso della composizione, è normale che il v. 12 sia più lungo degli altri (4 stichi in luogo dei 2-3 stichi degli altri versi). Zenger vorrebbe ravvisare nel salmo due stadi redazionali. Nel più antico, comprendente i w. 1-9, l'accento sarebbe posto sulla speranza messianica. In quello più recente, comprendente i w. 1012 (in un'opera precedente Zenger includeva qui anche il v. 5) la speranza si dirigerebbe non più al Messia, ma a J H W H stesso. Il salmo primitivo avrebbe fatto da introduzione ai Salò-12\ quello attuale ai Sal 3-8916. Per quanto suggestiva questa ricostruzione appaia, essa viene contraddetta anzitutto dalla nostra traduzione del testo masoretico. Leggendo in 12a: "baciate il figlio", allora il tema messianico è presente anche nei w. 10-12. D'altronde anche nei w. 1-9 è riscontrabile quella «prospettiva escatologica del regno universale di J H W H » che, secondo Zenger, sarebbe tipica dei w. 10-12: la secon-
13 14 15 16
Così Kraus 1978, p. 143; Seybold 1996, p. 32, cf. BHS. Così Seybold 1996, p. 33; Hossfeld e Zenger 1993a, p. 49; Lorenzin 2000, p. 47. Cf. Zenger 1986, p. 501; Bardtke 1973 (c£, sotto, l'analisi del versetto). Cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 50.
Salmo 1
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da strofa (w. 4-6) è certamente animata da questa stessa prospettiva. Nello studio della struttura si sono notati i legami della quarta strofa con la seconda (soprattutto il tema dell'ira, אף, w. 5 e 12). A mio avviso il salmo è unitario 17 .
LA PRIMA STROFA, W . 1-3: LA RIVOLTA DEI POPOLI
C'è anzitutto da chiedersi chi prenda la parola in questi verset» ti. Dal momento che al v. 7 il soggetto è il Messia, Gunkel ritiene che 18 isj sia lui a parlare anche nel resto del salmo . Delitzsch invece è del parere che a parlare nei w. 1-3, come nell'ultima strofa, sia una voi ce fuori campo, una specie di "coro" delle tragedie greche 19 . Quev sta è anche la nostra opinione: potremmo, alternativamente, pensare alla voce del salmista, atteggiato a maestro di sapienza, come avviene nell'ultima strofa. Effettivamente il Messia parla al v. 7 in pri,ma persona: qui invece si parla di lui in terza persona. | «Perché...?». Questa frase retorica, con cui inizia il salmo, tro ׳va spiegazione nell'avverbio « ריקinvano, cose vane». La rivolta è inutile, letteralmente "vuoto": non ha speranza di successo. Perché, con che finalità ( = למהad quid?), dunque, viene effettuata? Il tono è sapienziale: il giudizio non è di tipo morale, ma di convenienza. Non è saggio, è stupido rivoltarsi contro J H W H (cf. v. 10: "siate ;? וaggi!"). In questo senso Sai2 si pone in continuità con il Sal 1. ti I w. 1-2 sono costruiti in parallelismo (cf. tab. 15). Dal punto di « vista dei soggetti il parallelismo è lineare: al v. 1 si parla di una masTabella 15 la lb 2a 2b
A. le nazioni A. si agitano A'.ipopoli B. mormorano B. i re della terra A', si schierano B'. i grandi B'. congiurano
17 Ciò ha conseguenze anche per la considerazione dell'insieme dei due Salmi 1?> in quanto allora vorrebbe dire che colui che ha scritto il Sal 2 è anche responsabile £ All'unione del Sal 2 con il Sal 1. 18 Gunkel 1986. 19 Delitzsch 1984, p. 70. f
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sa di gente ("nazioni", "popoli", AA'), al v. 2 dei capi, della leadership di questa massa ("re", "grandi", BB'). Cioè, in un primo tempo la rivolta è nell'aria, poi viene organizzata dai potenti, assume contorni concreti. Dal punto di vista dei verbi invece il parallelismo è alternante (ABA'B'), nel senso che per due volte ad un verbo che esprime un'azione ("agitarsi", la; "schierarsi", 2a) fa seguito un verbum dicendi ("mormorare", lb; "congiurare", 2b). Questo si è visto per il verbo ;הכהche יסדII sia un verbum dicendi è chiaro dal fatto che esso introduce la citazione diretta delle parole dei "capi" (v. 3). Il verbo הגהcollega il Sali con il Sal 1 (cf. 1, 2). Il giusto «mormora» la legge di JHWH, mentre i capi del mondo «mormorano» contro JHWH. Alla torah del giusto si contrappone l'"anti־torah" dei popoli. Mentre la torah del giusto è espressione della sua gioiosa dipendenza da Dio, la torah dei popoli è espressione della loro rivolta contro di lui. I "popoli" si sovrappongono così agli «empi, peccatori e beffardi» di Sal 1,2. Si ripropone il dramma del primo uomo, il non serviam: il primo salmo presenta questo dramma a livello individuale, il secondo a livello collettivo. A differenza dal Salmo 1, qui la rivolta non è soltanto contro Dio, ma «contro J H W H e contro il suo Messia» (2c). Il binomio caratterizza, si è visto, la struttura del salmo: l'obbedienza riguarda non solo Dio, ma Dio e il suo rappresentante terreno, e l'accento cade su quest'ultimo personaggio, che viene messo molto vicino a Dio. Il termine "Messia" deriva dall'ebraico משח, "ungere (con olio)", che è espressione tipica per indicare la consacrazione dei re d'Israele. Il termine usuale, che ricorre anche nel nostro passo, è « משיחוil suo (=di JHWH) Messia». Probabilmente questa designazione è sorta a Gerusalemme in epoca salomonica sotto l'influsso dell'ideologia regale dell'Antico Oriente. Luogo classico della teologia dell'unzione è 1 Sam 16, 1-13. Qui è chiaro che il Messia viene eletto da Dio (non dal popolo), attraverso un suo rappresentante (nel caso Samuele), e che 1'"unzione" viene accompagnata dal dono dello spirito (cf. v. 14). Nel salterio il termine "Messia" è caratteristico dei salmi regali (cf. Sal 18, 51; 20, 7; 89, 39.52; 132, 10.17), dove acquista una dimensione chiaramente escatologica20.
20
Cf. ThWAT V, coli. 52-59 (Seybold).
Salmo 3
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I sostantivi del v. 2 sono senza articolo, quindi diversi esegeti ritengono che venga descritta una rivolta circoscritta ad alcuni vassalli del re di Gerusalemme. Naturalmente, in questa interpretazione il termine ארץ, all'inizio del v. 2, avrebbe il senso di "paese" (la "terra d'Israele"), non di "mondo". Tipico rappresentante di questa interpretazione è Clines, che accentua il lato politico, imperialistico, dell'ideologia del Sal 2, cercando di trarne un'applicazione all'attuale contesa tra lo Stato d'Israele e i palestinesi per il dominio della terra 21 . Però da un punto di vista grammaticale l'uso dell'articolo per ׳esprimere la determinazione non è imprescindibile, soprattutto in , poesia 22 . D'altra parte l'espressione " אפסי ארץi confini della terra", al v. 8, ha sempre un valore universale, non ristretto al territorio di .;׳Israele, il che fa comprendere anche le altre due ricorrenze, ai w. 2 e 8, nello stesso senso. Tema del salmo non è il regno di Israele, ma : il regno universale di J H W H , che si affermerà alla fine dei tempi attraverso il suo Messia. , Le grandezze גריםe לאמיםindicano spesso nel salterio "le genti", : cioè i popoli pagani, con un accento negativo (cf. Sal 9). Esse rappresentano "i grandi" ()רוזנים, cioè i potenti della terra, di fronte a f$ui Israele è un insignificante popolo di poveri. Il salmo non è Impressione di un sogno imperialistico, ma l'utopia di un gruppo di fkiarginalizzati. %V II linguaggio usato è però ricco di reminiscenze politiche. Spes; so viene citato in parallelo con il nostro testo un oracolo della dea ,Ninlil a favore di Assurbanipal (669-630 a.C.): ! '׳·״ | ;
«I re della terra si son detti l'un l'altro: orsù, marciamo contro Assurbanipal... Il suo potere non causi divisione in mezzo a noi... Ninlil rispose: "I re della terra io li abbatterò, li metterò sotto il giogo, legherò i loro piedi con forti catene"» 23.
Il re assiro aspirava a un dominio universale. Nello stesso oracolo è presente questa promessa:
21 22 23
Clines 1995; Clines 1998. Così anche Seybold 1996, pp. 31-32. Cf. Jouon 1965, p. 421, nota 3. Secondo Ravasi 1981 I, p. 97 (testo in ANET, 450; TUAT II/l, 62). Cf. Castel-
lino 1955, p. 588; Ringgren 1983.
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«Tu regnerai sui popoli di tutte le lingue, sugli armamenti dei principi. Tu eserciterai il dominio su di essi». In epoca ellenistica il sogno di un impero universale era particolarmente in auge, si pensi al libro di Daniele (p. es. Dn 7). Il Sal 2 si comprende su questo sfondo: al modo umano di costituire un impero universale (viene in mente l'episodio della torre di Babele), esso contrappone quello, divino, di J H W H e del suo Messia. Le immagini sono particolarmente suggestive. L'ideologia regale, che sta sotto questi versetti, si collega alla vittoria di Dio sul caos 24. Dietro alla vittoria di Dio e del suo unto c'è la vittoria del Dio creatore sul mostro primitivo (c£ Is 17, 12-14). L'intronizzazione di un nuovo re era come un nuovo atto di creazione, attraverso cui Dio rinnovava la sua vittoria sugli elementi caotici, rappresentati dai nemici del re. Allo stesso tempo si colgono elementi escatologici. Il tema della rivolta escatologica dei popoli contro Dio e il suo popolo, presente anche nei Vangeli (cf. Mt 24; Me 13; Le 21) e nell'Apocalisse (cf. Ap 19, 11-21; 20, 7-10), ha una preistoria nell'apocalittica veterotestamentaria 25 . In Dn 7, nella figura del "figlio dell'uomo" a cui il vegliardo, seduto sul trono, affida il dominio su «tutti i popoli, nazioni e lingue» {Dn 7, 14), sono presenti due dimensioni: quella personale e quella collettiva (cf. Dn 7, 18.21.22: "i santi dell'Altissimo"), riscontrabili anche nel salterio (cf. Sali con Sal 149). «Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi le loro funi!». Sulla base di G, alcuni autori vorrebbero emendare TM, leggendo, invece di "le loro funi" (!־Errai;), "il loro giogo". Ma TM ha il supporto dell'iconografia orientale, sia in Mesopotamia 26 sia in Egitto 27 , dove spesso i popoli sottomessi vengono rappresentati legati da una fune. E interessante notare che a volte la fune è tenuta in mano 24
Cf. Thompson 2002. La dimensione escatologica del salterio viene sottolineata nel lavoro di Mitchell (Mitchell 1997), che vorrebbe interpretare tutto il libro sullo sfondo di testi escatologici come Zc 9-14, Gl3-4; Ez 34-38; Mi 4. Contro Wilson, che parla di uno spostamento dell'attesa messianica dalla persona del Messia al popolo, Mitchell sostiene, a mio avviso a ragione, che l'attesa di un Messia personale è rimasta sempre viva nel giudaismo. Le due forme di messianismo sono presenti, l'una accanto all'altra. Per una recensione del lavoro di Mitchell cf. Auwers 2001, pp. 383-386. 26 Cf. Keel 1984, p. 281 Jig. 407. 27 Cf. Keel 1984, p. 280, fig. 406; p. 232, fig. 341. 25
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dalla divinità, a volte dal re terreno, a segnalare che il re esercita il potere in nome della divinità, come è il caso anche nel Sal 2 {ci. fig. 3 28). Fig. 3. «Spezziamo le loro catene, gettiamo via le loro funi!» (Sal 2, 3). Il dio Amon, rappresentato a sinistra nel suo trono celeste, è il garante dell'ordine universale: egli tiene sotto il suo dominio i vari popoli, rappresentati dai loro sovrani, collocati sotto il trono del dio, con le braccia legate e una corda al collo, tenuta in mano dal dio stesso. Di fronte a lui il faraone conduce al dio altri popoli, anch'essi legati dal doppio legame: sono popoli che si erano ribellati e che egli riconduce alla sua obbedienza.
La ragione della rivolta è il desiderio di libertà ed indipendenza. Nel caso di Assurbanipal, si tratta di libertà da un dominio politico, ed è chiaro che l'oracolo presenta le cose dal punto di vista (liei sovrano. Vista dalla parte dei sudditi, la rivolta sarebbe stata presentata non come uno scatenarsi delle forze distruttrici del caos, ma come una liberazione dall'oppressione di un sovrano dispotico. \Ma nel caso del Sal 2, se è vera la datazione del tempo ellenistico, è !ridicolo pensare a una dimensione politica del dominio e, rispettivamente, della rivolta dei popoli. Israele a quest'epoca non ha né re esercito, non ha alcun suddito: è esso stesso suddito dei monarchi ellenistici. Perciò è fuori posto trasporre il Sal 2 alle vicende attuali della lotta per il predominio in Israele, come fa Clines. Il "regno" di cui qui si parla è il regno escatologico di Dio, e il "Messia" % lo strumento per l'instaurazione di questo regno. Lette alla luce del Salmo 1, le "funi", da cui i popoli della terra vogliono liberarsi, sono la torah di JHWH, non il dominio politico del re d'Israele.
LA SECONDA STROFA, VV. 4-6: LA RISPOSTA DI J H W H
La seconda strofa è collegata antiteticamente con la prima. Ai «re della terra» si contrappone «colui che ha il suo trono nel cielo»: ai re terreni, dunque, il re («colui che ha il trono») celeste. All'agi־ 28
Secondo Zenger 1986, p. 510.
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tarsi dei popoli fa da contrasto la calma sovrana del re celeste: egli «è seduto», in atteggiamento di riposo, e «sorride». L'enfatica sottolineatura delirio" divino, che caratterizza le due strofe centrali (v. 6a, cf. 7c), fa comprendere dove stia il nocciolo della questione. La rivolta avviene sulla terra, su un piano umano. Il regno di J H W H e del suo Messia si situa sul piano celeste. La rivolta dei re terreni è la rivolta dell'uomo contro Dio: perciò essa è insensata e destinata all'insuccesso. E il motivo, caro all'antichità, della scalata al cielo, dela hybris delle tragedie greche, della rivolta degli Anunnaki nel poema mesopotamico Atra Hasis. Dei due verbi del v. 4, il primo, pm, "sorridere", esprime la calma sovrana di un uomo sicuro di sé, che si sente superiore agli avversari che lo attaccano (cf. Gb 5, 22). L'agitarsi degli uomini non riesce a turbare la serenità di JHWH. Il secondo, wb, "farsi beffe" (sinonimo di yb, Sal 1, 1), esprime l'ironia di Dio. In 1, 1 gli empi «deridevano» il giusto, ora Dio «deride i derisori». Come dice Prv 3,34: «dei beffardi Egli si fa beffe». L'ironia divina precede generalmente il suo intervento, mirante a ridimensionare la hybris umana, a far comprendere all'uomo quale è il suo posto (cf. Gn 3, 22; 11,6; Gè 38-41). Qui essa introduce la sua "ira". «A quel punto egli parla loro nella sua ira». Il significato della particella temporale TK è controverso. Essa può esprimere il passato, come in Sal 89, 20 («Un tempo parlasti in visione ai tuoi santi»), in tal caso si farebbe riferimento alla profezia di Natan 29. Ma TX può anche esprimere il futuro ed avere una connotazione escatologica, così, ad esempio, in Mi 3, 4; Sof3, 9 («Allora io darò ai popoli un labbro puro»). Ora TM ha al v. 5 due imperfetti, che G traduce al futuro (XaXr\oei, Tapa^ei). Il perfetto appare al v. 6: là chiaramente il riferimento è al passato, ma al v. 5 il tempo usato si riferisce al presente/futuro, cioè esprime l'intervento escatologico di Dio. Dunque il tentativo di Zenger, di distinguere nel salmo due strati redazionali, il primo (w. 1-9) inneggiante al Messia, il secondo (w. 10-12) al regno escatologico di JHWH, non trova riscontro. Il v. 5 ha un colorito chiaramente escatologico, e non si può separare dai w. 10-12 (si veda anche il tema dell'"ira" divina, *!x, w. 5 e 12). Le due grandezze, J H W H e "il suo Messia", sono, nel Sai2, inseparabili. 29 Così traduce, p. es., Seybold: «Egli, che un giorno parlò loro con ira, e li atterrì con l'ardore della sua collera» (Seybold 1996, p. 30).
Salmo 3
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Il termine «ira» ( )אףindica di per sé il "naso", cioè quella parte del corpo in cui si manifesta somaticamente Tira (alterazione del respiro, "sbuffare"). Il sinonimo חרון, «collera», esprime il "calore", che si manifesta soprattutto sul volto di una persona adirata (cf. 18, 9). L'antropomorfismo del Dio della Bibbia può stupire. A.J. Heschel ha scritto cose notevoli sul "pathos" di Dio 30 . Dio non assiste impassibile alle vicende umane, vi prende parte con tutto il suo essere. La "collera" di Dio è segno della serietà con cui egli prende l'uomo, in fondo è segno del suo amore. L'ira divina è connessa generalmente con una teofania (cf. 18, 9.16; Es 15, 8). Luogo classico di essa è il dies trae, il giudizio escatologico di Dio (cf. Sof 1, 14-18; Is 30, 27-33). Per ciò che riguarda il "terrore divino" ()בהל, Zenger ne sottolinea il legame con la teologia di Sion (cf. Sal 48, 6) 31. Di Sion si parlerà al versetto seguente. Secondo rappresentazioni mitiche diffuse nell'Antico Oriente, il tempio è il luogo dove il Dio creatore ha debellato le forze del caos 32 . Tali rappresentazioni hanno lasciato tracce anche nei Sal 24 e 29. Creazione ed escatologia si uniscono spesso nella concezione biblica. Anche alla fine dei tempi, il tempio e la città santa saranno il luogo dove Dio distruggerà le forze del caos (cf. Sal 46-48). «Ma io, io ho stabilito il mio re». La particella ו, all'inizio del v. 6, ha la funzione di collegare il versetto con ciò che precede. Qui, il riferimento è ai propositi dei "re della terra", nel v. 3. Il discorso che segue si pone dunque come risposta al v. 3, quasi a dire: «Voi avete detto..., ma io...». Il valore è chiaramente avversativo. Con l'affermazione enfatica dell'io viene anzitutto ribadita la distanza delle due grandezze. I "re" sono "re della terra", mentre chi parla è «colui che ha il trono nel cielo». Il re del cielo contrappone ai re terreni "il suo re". Il pronome possessivo ha lo stesso enfatico valore del pronome personale. Il "mio re" appartiene alla sfera divina, così co*ne "il mio santo monte". In tale contesto, l'insediamento del Messia appare come la contromossa di Dio di fronte allo scatenarsi delle forze del caos, concretamente di fronte alla rivolta dei popoli. Questa concezione è tipica dell'ideologia regale dell'Antico Oriente. Essa soggiace anche 30 31
32
Cf. Heschel 1962. Zenger 1986, p. 505.
Cf. Keel 1984, p. 155,fig.241.
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al racconto sacerdotale della creazione. In Gn 1, 27 l'uomo viene presentato come la "statua" (1'"immagine") di Dio, cioè come il suo rappresentante plenipotenziario a tutela dell'ordine cosmico 33 . Sarà interessante vedere che questa prospettiva («l'uomo come re della creazione») viene ripresa nel Sal 8. Qui abbiamo una "democratizzazione" dell'ideologia regale: ciò che per questa ideologia, rappresentata dal Sal 2, è compito del re, diviene, nel Sal 8, il compito di ogni uomo. Il verbo נסך, "versare" (v. 6a) può venir interpretato in due direzioni 34. Da una parte può venir considerato come sinonimo di "consacrare" (mediante una libazione, cioè con l'acqua lustrale: si ricordi che la cerimonia avveniva presso la sorgente del Ghihon, cf. 1 Re 1, 38; una simile cerimonia è conosciuta in Egitto). Così, ad esempio, Seybold traduce: «Io ho unto il mio re» 35 . D'altra parte il verbo נסךpuò esprimere anche la "fusione" di una statua di metallo. Keel commenta: «In Egitto, dèi e faraoni venivano spesso descritti come statue di metallo pregiato, e la loro costituzione naturalmente veniva rappresentata come una fusione» 36. Il faraone in particolare era considerato come la statua del dio, una concezione, si è visto, che Gn 1, 27 applica alla prima coppia umana. Il verbo denota quindi un senso di "solidità" ("stabilire, costituire", cf. Prv 8, 23), ma anche il senso di "formare", che prelude al "generare" di v. 7c. In questo senso conduce anche l'uso di נסךII, "tessere" (cf. Is 25, 7; 30, 1), che in Prv 8, 23 viene riferito alla generazione. Il verbo è al perfetto: נסכתי, "io ho stabilito". Si fa riferimento, cioè, a un avvenimento del passato. Non è, questo, in contraddizione con gli imperfetti del v. 5 37? Si è visto che Seybold legge anche i due verbi del v. 5 al perfetto. In realtà, però, non c'è contraddizione. Anche G ha al v. 5 due futuri, e al v. 6 un aoristo (passivo!): Kcrre(TTà0r|v, «io sono stato costituito». Il v. 5 si riferisce al presente/futuro escatologico, il v. 6 guarda al passato, al tempo della promessa
33
Zenger 1983, pp. 84-96. Per una discussione cf. HALAT, pp. 663-664. 35 Seybold 1996, p. 30. 36 Keel 1974, pp. 17-19. 37 II problema viene considerato da Schellong 1995, che propone tre soluzioni: (1) un "passato profetico", cioè: un avvenimento che deve ancora accadere viene descritto al passato per affermare la certezza dell'avverarsi della profezia; (2) un richiamo a 2 Sam 7, 12-16; (3) una decisione prestabilita prima dei tempi, come viene detto della Sapienza in Prv 8, 23. Noi optiamo per la seconda alternativa. 34
Salmo 3
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fatta a Davide (2 Sam 7), visto come tipo del Messia. Sal 89, 20-38 aiuta a comprendere la prospettiva del salmista. La promessa fatta a Davide non si restringe alla figura storica del figlio di Jesse, ma riguarda tutta la sua discendenza, che viene identificata, nel racconto deuteronomistico di 2 Sam 7, sia con il popolo di Israele (cf. 2 Sam 7, 23-29), secondo quella "collettivizzazione" del messianismo che caratterizza anche il salterio, sia con una figura individuale di re, il Messia "figlio di Davide" (cf. 2 Sam 7, 12-16), che noi cristiani riconosciamo in Gesù di Nazaret. «...sul Sion, il mio santo monte!» Accanto al tema del Messia, quello del tempio costituisce un motivo dominante nel salterio (cf. Sal 15; 24; 29...). Re e tempio sono collegati con il superamento delle forze del caos, sia alle origini della storia umana, sia alla fine. Il luogo della vittoria finale sarà Gerusalemme e il vincitore sarà il «figlio di Davide». Ambedue avranno la vittoria, perché essi sono rispettivamente «il mio re» e «il mio santo monte». E la teologia dell'Emanuele, di cui espressione tipica bis 7: Gerusalemme e il suo re sono di una dimensione diversa da quella degli altri regni umani, perché «Dio è con noi» ()עמנו אל. L'immagine è quella della stabilità: all'agitarsi dei popoli si oppone la stabilità della montagna. La stessa immagine di stabilità, in rapporto al movimento, questa volta positivo, dei popoli, caratterizza la visione di Is 2, 2-5, il pellegrinaggio dei popoli a Sion (נכון יהיה, v. 2). E, anche qui, il monte Sion «sarà più alto dei colli»: la verticaKtà del monte esprime la sua vicinanza al cielo, il suo elevarsi al di sopra dei regni umani.
LA TERZA STROFA, W . 7 - 9 : IL DECRETO MESSIANICO
La seconda e la terza strofa sono intimamente collegate tra loro. Ambedue sono caratterizzate, si è visto, dal discorso diretto di Dio e dal pronome enfatico di prima persona (אני, w. 6a.7c). Nella , seconda strofa il discorso di J H W H terminava con la presentazione del Messia; la terza inizia con il discorso di costui, il quale, da parte sua, cita il decreto di JHWH. La reciprocità del rapporto tra questi due personaggi, che già il v. 2c accostava, viene espressa dall'uso della preposizione אל, "verso, a", al v. 7a. Il Messia «si richiama al ( )אלdecreto di J H W H », il quale a sua volta «ha detto a ( )אלlui». Il n-volgersi a Dio del Messia è reso possibile dal fatto che Dio, pri-
70
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ma, si è volto a lui. Veramente è impossibile contrapporre o anche soltanto isolare una grandezza dall'altra. Dio indica il Messia, e il Messia indica Dio. «Mi richiamerò al decreto di JHWH». Il termine pn è usuale per indicare una "legge" 38. Perciò è ben possibile vedervi un richiamo alla torah di J H W H (cf. Sal 1,2). pn non designa soltanto imposizioni per l'uomo, ma anche impegni e promesse da parte di Dio (cf. Sal 105, 10-11) 39. In Israele, nella cerimonia di insediamento di un nuovo re era prevista la consegna di un "protocollo" regale (cf. 2 Re 11, 12). In Egitto la consegna di un tale protocollo era un elemento essenziale della cerimonia di insediamento, ed essa viene spesso rappresentata iconograficamente 40. Nel Sal 2, il protocollo contiene 3 elementi: (a) l'adozione a "figlio di Dio" (v. 7b); (b) la consegna del dominio del mondo (v. 8); (c) il potere sui nemici (v. 9). a) «Tu sei mio figlio» (v. 7b) Che il re fosse considerato "figlio di Dio" era elemento tipico dell'ideologia regale in tutto l'Antico Oriente, che poi passò al mondo greco (si pensi ad Alessandro) e a quello romano, col culto imperiale. A Ugarit e in Mesopotamia sembra che tale figliolanza non venisse presa molto sul serio, il re aveva dimensioni più "umane", rimaneva un mortale. In Egitto invece il faraone veniva considerato realmente come un dio. Esisteva in Egitto una "novella regale" (.Kònigsnovelle), che raccontava del concepimento del faraone attraverso l'unione sessuale della regina madre con il dio Amon. Le migliori rappresentazioni di questo mito si trovano nel tempio funerario di Hatshepsut a Deir elBahari41. Esse comprendono un ciclo di 16 scene, a cominciare dall'assemblea degli dei, in cui Amon decide di scegliersi un luogotenente umano per far regnare l'ordine sulla terra. Poi il dio, prendendo le spoglie del faraone padre, si unisce alla regina madre e concepisce un figlio, che è perciò dio e uomo insieme, in quanto ha un dio 38
Cf. Jones 1965. Cf. THAT I, col. 631 (Liedke). 40 Cf. Keel 1984, p. 237 Jigg. 349-350. La fig. 349 mostra il dio-scriba Thot, il quale scrive su una tavoletta il protocollo regale. In questo sono contenuti essenzialmente i "nomi" del nuovo faraone (cf. 2 Sam 1,9). 41 Cf. Keel 1984, pp. 224-233. 39
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per padre e una donna per madre. Le scene seguenti mostrano il dio vasaio Knum che forma il corpo del nuovo faraone, quindi viene rappresentato discretamente il parto e il riconoscimento da parte della divinità (cf.fig. 4 42 ). Le parole con cui il Dio Amon accoglie il nuovo faraone sono: «Sii benvenuto in pace, figlio del mio corpo ... io ti dono milioni di anni di vita come Ra».
Fig. 4. «Tu sei il mio figlio, io oggi ti ho generato» (Sal 2,7). La figura, tratta dal ciclo della nascita del faraone Hatshepsut a Deir el Bahari, rappresenta il dio Amon che riconosce il neonato faraone come suo proprio figlio. A presentarglielo è la dea Hathor, impersonata dalla regina madre.
Naturalmente gli egiziani distinguevano tra il faraone in quanto persona privata e in quanto luogotenente di Ra; ad ogni modo l'accentuazione dell'aspetto divino del faraone è molto forte. Secondo la Königsnovelle, il faraone è figlio di Dio non a partire dalla sua coronazione, ma già "nell'uovo", cioè fin dal momento della sua concezione. Ciò non è il caso del Sal 2, 7c 43 . Qui infatti, il termine היום, "oggi", colloca il momento della "generazione" allo stesso tempo delle parole pronunciate al versetto 6: «Io ho stabilito il mio re», cioè al momento della sua incoronazione. Si tratta dunque di una figliolanza funzionale al ruolo che il Messia deve compiere: un semplice uomo diviene, al momento del suo insediamento a re di Israele, "figlio di Dio". Si tratta perciò di un'"adozione" a figlio: il termine ילד, "generare", va inteso in senso traslato. Come la prima coppia urna42 43
Keel 1984, p. 230,fig. 339. Cf. Moenikes 1999.
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na in Gn 1, 27-28, così anche il Messia è nominato luogotenente di Dio per sottomettere in nome suo le forze scatenate del caos. Il carattere "funzionale" della figliolanza non esclude che tra il Messia e J H W H esista anche una particolare intimità, come tra padre e figlio. Il rapporto che il Messia ha con Dio ha un carattere particolare, è diverso da quello degli altri uomini. Di una "figliolanza divina" del re d'Israele parla anche la profezia di Natan, in 2 Sam 7, 14 («Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio»), e ad essa fa riferimento Sal 89, 27-28: «Egli mi invocherà: "Tu sei mio padre, la pietra della mia salvezza". Io lo costituisco mio figlio primogenito, il più grande dei re della terra». È interessante notare che il Midrash Tehillim, il commento rabbinico sui salmi, interpreta questa figliolanza in maniera collettiva: «Gli israeliti vengono riconosciuti come "figli" secondo la testimonianza della legge, secondo quella dei profeti e secondo quella degli scritti» 44. A conferma vengono citati Es 4, 22; Is 52, 13; Sal 110, 1 e Dn 7, 13-14. Letto nell'insieme del salterio e dell'Antico Testamento certamente Sal 2, 7 è aperto a questa dimensione, ma il suo senso primario è personale: si tratta di una persona particolare che certamente non viene divinizzata (l'ideologia egiziana non è accettabile in Israele!), ma che ha una vicinanza unica con Dio (cf. v. 2: «contro J H W H e contro il suo Messia»). b) «Ti darò in eredità le nazioni» (v. 8) In Egitto, il dominio del mondo è conseguenza della figliolanza divina del faraone. Poiché il dio Sole domina sul mondo intero, così egli concede a suo figlio il dominio vicario su tutto il mondo. Fin dalla nascita, il nuovo faraone è signore della terra intera 45 . La regina Hatshepsut si sente dire da suo padre, il dio Amon:
44 45
MTeh ad 1. (Braude 1976 I, p. 40). La stessa concezione abbiamo rilevato sopra per Assurbanipal, cf. pp. 64s.
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«Costei è una che dominerà le due terre (l'alto e il basso Egitto), guidando tutti i viventi ... fino a dove io risplendo nel mio giro» 46. Al neonato faraone vengono perciò messi i popoli sotto i piedi, come sgabello 47 (cf. Sal 110, 1). L'idea di un dominio universale viene espressa anche in altra forma, mostrando il faraone che con il suo arco tira frecce nelle quattro direzioni del mondo 4 8 . Ma la formulazione di Sal 2, 8 è particolare: «Chiedi a me...». Sullo sfondo di questa richiesta c'è 1 Re 3, 5, il sogno di Salomone a Gabaon. Il conferimento del dominio non è, cioè, automatico, ma va richiesto a Dio, quasi a ricordare al Messia che il vero padrone del mondo è Dio. Tale dominio rimane perciò un dono ()נתן, da chiedere a Dio, non una conquista da raggiungere con la forza, come volevano fare "i re della terra". I due termini כרים, "nazioni", e אפסי ארץ, "confini della terra", hanno, dicevamo, una dimensione universale. Come si è visto, l'idea di un dominio universale non è estranea all'ideologia regale, tanto più in epoca ellenistica. In quest'epoca però Israele non aveva né re né esercito, era una sparuta minoranza minacciata di estinzione sotto il dominio dei sovrani ellenistici. In tali circostanze pensare a un dominio di tipo politico sarebbe inverosimile. E probabile, perciò, che si delinei qui un "regno" di altro tipo, un Messia di tipo spirituale che abbia per missione di condurre i popoli all'obbedienza di Dio. Questa è senz'altro l'interpretazione che del salmo ha dato Gesù di Nazaret. Una tale interpretazione non violenta non è fuori dell'orizzonte del Sali, se leggiamo questo salmo nel contesto del saiterio. Certamente, ad esempio, il Sal 22 e il Sal 40 presentano un messianismo di tipo non politico, sulla linea del servo sofferente di Isaia. Qui l'unica arma con cui il Messia conquista i popoli è quella di raccontare loro la salvezza di cui Dio lo ha fatto oggetto (cf. 22, 23-32; 40, 4.10-11). Anche s e c o n d o ^ 19, 15 la "spada" con cui il Messia colpirà i popoli, nella battaglia escatologica, sarà la sua parola («e dalla sua bocca esce una spada affilata, per colpire con essa le genti», cf. Is 11,4) 49. Rimane il fatto che una corrente notevo-
46
Secondo Keel 1984, p. 230. Cf. le illustrazioni in Keel 1984, pp. 232-233 Jigg. 341-342. 48 Cf. Keel 1984, p. 242 Jig. 356. 49 Per una simile interpretazione "non violenta" della vendetta dei figli di Sion nel 149 cf. Tournay 1985; Fuglister 1986, p. 100; Klein 1979. 47
Sal
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le del giudaismo interpretò il "regno di Dio" in forma politica (d'altronde questo è vero anche per il cristianesimo). Se, al limite, l'AT non è del tutto chiaro, Gesù ha interpretato questo "regno" in forma radicalmente non violenta. Egli regna dalla croce.
c) «Li spezzerai con scettro di ferro» (v. 9) Le metafore usate nel v. 9 conducono ancora all'ideologia regale. L'immagine del faraone che colpisce i nemici con una mazza di ferro o con una spada a forma di falce è molto diffusa in Egitto, sulle pareti dei templi e su piccoli scarabei 50. Come rappresentante di Dio, egli deve avere la forza necessaria per reprimere i nemici che minacciano la pace e la sicurezza del paese. L'uso della forza è inteso come difesa della vita, nello stesso senso che all'uomo, dopo il diluvio, viene dato potere sugli animali selvaggi, espressione delle forze scatenate del caos («Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo», Gn 9, 2). Anche la frantumazione di vasi d'argilla trova riscontro nell'ideologia regale dell'Antico Oriente. In Egitto, si iscrivevano su vasi o statuette d'argilla i nomi dei popoli nemici, che venivano poi simbolicamente sterminati frantumando i vasi (i cosiddetti "testi d'esecrazione" costituiscono un importante documento storico 51 ). Un simile rito esecratorio, contro il "malocchio" e simili poteri demoniaci, veniva compiuto quotidianamente dal faraone. Per l'ambiente mesopotamico, si dice di Sargon II che «fece a pezzi i paesi come vasi d'argilla»52. Si tratta dunque di espressioni con valore simbolico, da non intendere letteralmente. Esse non giustificano un'interpretazione integralista, cara al terrorismo di matrice religiosa. L'azione del Messia va compresa sullo sfondo della rivolta dei popoli ai w. 1-2. J H W H e il suo Messia vengono attaccati dai popoli. L'affermazione ha la finalità di rassicurare il Messia. Come i salmi che seguono mettono in evidenza, il Messia, "Davide", è tutt'altro che un imperatore universale: egli è rappresentato come vittima di nemici più forti 50 51 52
Cf. Keel 1984, pp. 271-276Jigg. 397-404. Cf. Keel 1984, p. 245 Jigg. 359-360. Cf. Becking 1990, p. 78.
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di lui, accusato, perseguitato, calunniato. Anziché a una mazza di ferro, assomiglia più a un vaso di argilla. I "popoli", che egli spezzerà, sono in realtà potenti e prepotenti che abusano del loro potere per opprimere i deboli (cf. Sal 10, 1-4). La forza contro di loro è repressione della violenza, «tempo di tirare un respiro», per usare un'espressione di D. Schellong53. E mettere fine alla violenza e al caos. Il quadro perciò è un quadro escatologico, come quello del Sal 1: il mondo sembra essere dominato in realtà dai violenti, non da Dio. E dunque la visione è una visione di speranza. Nonostante le apparenze, il mondo non è nelle mani dei potenti, ma in quelle di Dio e del suo povero Messia. E da notare che la distruzione dei "popoli" non è l'ultima parola del salmo. L'ultima strofa è un appello a sottomettersi a Dio e al suo Messia per evitare la loro ira. Dunque la minaccia ha un senso pedagogico, è finalizzata alla salvezza54. L'ULTIMA STROFA, W . 10-12: L'ULTIMATUM AI POPOLI
La quarta strofa forma inclusione con la prima (cf. sopra, pp. 58-60 e tabb. 12-14). Contro la diffusa opinione che qui a parlare sia il Messia55, come al v. 7, sta il fatto che al v. 12a ("baciate il figlio") si parla di lui in terza persona. Dei "re della terra" si parlava nella prima strofa in forma indiretta, mentre ora il salmista si rivolge a loro direttamente.
a) «Siate saggi» (v. 10) «Ordunque...» ()רעתה. L'avverbio si riferisce alle due strofe precedenti, soprattutto ai w. 8-9, dove era stato presentato il dominio universale del Messia. Il termine ארץunisce il v. 8 al v. 10. Se al "figlio" vengono dati in eredità "i confini della terra" (v. 8), allora i "giudici della terra" (v. 10) sono a lui soggetti. Ciò che fu detto dell'"ira" di Dio o del Messia, al v. 9, riguarda loro. Naturalmente il
53
Schellong 1995. Sul significato pedagogico della minaccia del v. 9 cf. Thompson 2002, che ne rileva lo sfondo mitologico, radicato nell'ideologia regale. L'ira di Dio serve, secondo Thompson, a "insegnare l'umiltà". 55 Così, ad es., Seybold 1996, 33; Hossfeld e Zenger 1993a, pp. 54-55. 54
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termine ארץha, al v. 10 come al v. 8, un significato universale, non si restringe all'ambito della terra d'Israele 56 . I due termini מלכים, "re" (si noti la contrapposizione con il singolare מלכי, "il mio re", al v. 6), e שפטים, "giudici", sono in parallelismo. La radice שפטpuò infatti esprimere anche il "comandare, avere autorità", sicché il termine si potrebbe tradurre "signori della terra", ma abbiamo preferito lasciare il termine "giudici" per conservare il discreto richiamo al "giudizio" ( )משפטdi 1 , 5 . 1 "giudici" stanno per essere sottoposti a un terribile "giudizio". Si tratta infatti di un ultimatum: ai re viene data un'ultima possibilità di salvezza prima che si scateni l'ira di Dio (cf. v. 12). Come la prima strofa, anche la quarta ha un tono sapienziale, il salmista si atteggia a maestro di sapienza. Non è da saggio perseverare nella ribellione! Il verbo שכלhi., "agire con avvedutezza, essere saggio", ha un ruolo importante nel primo libro dei Salmi (cf. 14, 2, a termine della prima raccolta; 41, 2, a termine del primo libro). Esso appare in un luogo particolarmente vicino al Sal 1, cioè Gs 1, 7.8 57 , in cui la "saggezza" viene accostata alla torah. La vera saggezza è agire in conformità con l'ordine cosmico, e quest'ordine è rappresentato dalla torah. L'obbedienza alla legge divina è sapienza, è il segreto per riuscire nella vita 58 . II secondo verbo, יסרni., "lasciarsi correggere", è tipico dell'istruzione sapienziale. Esso presuppone la possibilità di cambiare. I "re della terra" possono ancora convertirsi: essi devono abbandonare il loro atteggiamento di ribellione (cf. w. 1-3) e passare a un atteggiamento di obbedienza. Il loro "mormorare" contro l'autorità di J H W H e del Messia era stato definito come "inutile" (ריק, v. 1): se vogliono "aver successo" (שכל, v. 10a) devono "convertirsi" (יסר, v. 10b), cioè sottomettersi a quest'autorità (עבד, "servire", v. 11).
56
Contro Seybold 1996, p. 33; Clines 1998. La cosa viene rilevata in Hossfeld e Zenger 1993a, p. 34. 58 L'insegnamento ai re e giudici della terra verrà ripreso e sviluppato in Sap 6, 1-9. Qui Salomone stesso si atteggia a maestro di sapienza, esortando i potenti a rinsavire, prima che sopraggiunga il giudizio di Dio (cf. v. 5). 57
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b) «Servite JHWH» (v. 11) Dal momento che al v. 2c la rivolta si dirigeva contro due persone, « J H W H e il suo Messia», questo binomio viene ripreso nella strofa finale (cf. sopra, tab. 13). Dapprima si raccomanda l'obbedienza a J H W H (v. 11), quindi quella verso il "figlio" (v. 12). Il testo del v. 11 presenta difficoltà. L'elemento del "timore", espresso dai due termini יראהe רעדה, disturba, soprattutto se si tratta di "esultare nel terrore". Bertholet commenta: «Dove regna la רעדה, finisce il giubilo» 59 . BHS propone di correggere al v. I l a יראה, "timore", con שמחה, "gioia", che sarebbe molto più in linea con la mentalità moderna. Peccato che le versioni non le diano ragione. In senso opposto, Driver propone di tradurre al v. l l b גיל, "esultare", con "temere", appoggiandosi a Os 10, 5. Ma «temere con tremore» è tautologia. Più radicale è la proposta di Bertholet 60, fatta propria dalla BHS, che propone di collegare il v. l l b con 12a, come si accennava nella critica testuale («baciate tremando i suoi piedi»), ma di questo più sotto. Ora il v. 11 TM è costruito secondo un preciso parallelismo sinonimico (cf. tab. 16). Da una parte si corrispondono i due verbi, עבד, "servire", e כיל, "esultare", dall'altra i due complementi modali ביראה, "con timore", e ברעדה, "con tremore". Le due proposizioni vogliono dunque venir interpretate insieme, contestualmente. Tabella 16 A. servite JHWH A', esultate
B. con timore B\ con tremore
Il verbo "servire" ( )עבדriprende il tema delle "catene" e delle "funi" che i re della terra volevano rompere. Viene esposto qui l'atteggiamento esattamente antitetico, quello cioè di accettare il dominio di Dio, di obbedire a lui. In fondo il dominio del Messia, di cui si parlerà al versetto seguente, non è qualcosa di diverso da quello di J H W H : il Messia è strumento per imporre ai popoli il regno di Dio, non ha un regno proprio. Il "regno di J H W H " e "quello del suo Messia" sono un'unica realtà inseparabile, cioè «il regno di J H W H e del suo Messia». 59 60
Bertholet 1908a, p. 58. Bertholet 1908a; Bertholet 1908b.
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Il "timore" ( )יראהè l'atteggiamento sapienziale corretto dell'uomo di fronte a Dio, il contrario dell 'hybris orgogliosa messa in evidenza ai w. 1-3. Il "timore di Dio" è l'inizio della sapienza (cf. Prv 1, 7; Sir 1, 11-20.27-30). L'uso di quest'espressione conferma il tenore sapienziale del salmo61. Il passaggio dal "timore" all'"esultanza" è a prima vista sorprendente: non così per il Siracide. Il «timore di Dio» è collegato a manifestazioni di gioia, in Sir 1, 11: «Il timore di Dio è (...) crré(j)avoc àyaXXiàpaToc, corona di esultanza». Il parallelo conferma la datazione tarda del salmo. Il verbo רעד, "tremare", è più forte di ירא, "temere". Qui realmente si esprime lo "spavento" di fronte ad un avvenimento terrificante. D'altra parte il contesto giustifica un tale sentimento. Al v. 9 si era infatti prospettato l'intervento repressivo del Messia che avrebbe fatto a pezzi i popoli con scettro di ferro e al v. 12c si tornera a parlare della "sua ira", dove non è chiaro se si tratti dell'ira di Dio o del Messia, ma poco importa. Il senso di questa minaccia è appunto quello di incutere spavento, naturalmente in senso positivo. L'uomo ha bisogno talora delle maniere forti per essere condotto a saggezza. Anche qui i paralleli conducono a testi tardivi. Forse il parallelo più vicino è il Sal 96 (cf. 1 Cr 16). Qui, di fronte alla "venuta" escatologica di JHWH, i popoli vengono esortati ad assumere un duplice atteggiamento, quello di "tremare di spavento" (חיל, v. 9) e, d'altra parte, di "esultare" (כיל, v. 11). In effetti la radice רעדesprime l'eco che nell'uomo suscita l'intervento di Dio (cf. Sal 104, 32; Is 33, 14; Gb 4, 14). L'uomo è atterrito di fronte alla maestà e alla santità di Dio. Il termine fa perciò parte del vocabolario del "giorno di J H W H " (cf. Es 15, 15; Sal 48, 7). A questo stesso vocabolario appartiene il verbo גיל: esso esprime l'esultanza per la salvezza recata da Dio, per l'instaurazione del suo regno. Di fronte a Dio che viene a giudicare la terra l'uomo è atterrito ad un tempo e pieno di gioia, è il mistero «fascinosum et tremendum». Dio porta salvezza e nello stesso tempo fa paura all'uomo peccatore. Anche Paolo esorta a ricercare la salvezza «con timore e terrore» (F/72, 12 cf. Eb 12, 28-29).
61
Su questa esortazione all' "umiltà", cf. Thompson 2002.
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Generalmente all'esultanza per la salvezza escatologica sono invitati i «figli di Sion» (cf. Sal 149, 2; G/2, 21.23; Is 25, 9; 35, 1.2; 41, 16; 65, 18.19, eccetera), mentre i pagani sono riempiti di spavento. Nel nostro caso, invece, a questa esultanza sono invitati i "re" e "giùdici della terra", che il nostro salmo accosta ai כריםdel v. 1: sono cioè i popoli pagani. Le "genti" sono perciò invitate alla conversione e a partecipare della gioia che la venuta del Signore reca ai suoi fedeli. Se si riflette sul fatto che i due verbi עבדe כילhanno anche una dimensione cultuale, allora si può vedere qui addirittura abbozzata la partecipazione dei pagani al "servizio" cultuale della fine dei tempi, secondo la visione universalistica del Tritoisaia (cf. Is 56, 1-7).
c) «Baciate il figlio» (v. 12) Siamo giunti alla crux interpretum del v. 12a. Si è visto che Tg e G, seguito da Vg, intendono in forma sapienziale: "accogliete la correzione". Della soluzione di Bertholet, raccomandata dalla BHS, dice, questa volta a ragione, Clines: «Io non trovo difficoltà a tradurre il v. 12a "baciate il figlio", ma non conosco un parallelo al baciare i piedi di JHWH. ... Sarebbe difficile per un non-israelita capire come si possano baciare i piedi di un Dio aniconico»62. Il termine ebraico ברha, secondo HALAT, 4 possibili significati: (I) "figlio"; (II) "puro, splendente"; (III) "grano, cereale"; (IV) "campo incolto". Ora, nel contesto del Sal 2, i significati II-IV sono fuori posto. La struttura da noi delineata non solo raccomanda, ma esige il significato "figlio", come abbiamo cercato di dimostrare. Ed effettivamente ברha questo significato, non solamente nell'ebraico postbiblico, ma nell'AT stesso, come attesta Prv 31,2 (dove il termine ricorre ben tre volte)63. Si tratta di un lessema di derivazione aramaica: esso ricorre infatti nella parte aramaica di Daniele, in Dp 3,25, e divie-
62
Clines 1995, p. 165, nota 14. II significato "figlio" viene accettato dia S, dal Psalterium juxta Hebraeos, esso viene supposto da MTeh, che ne dà un'interpretazione collettiva, in riferimento a Israele. Nel Medioevo intendono così Kimhi, Abarbanel e Ibn Ezra. Tra le moderne tradu2 ioni segnaliamo TOB; HALAT; Zorell; Barthélemy et al. 2005, pp. 3-5; Delitzsch 1984; Craigie 1983; Van Uchelen 1979; M. Girard 1984, p. 58. Recentemente tre arti63
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ne poi frequente nell'ebraico postbiblico. Certo, un termine come questo fa pensare ad una datazione tardiva, postesilica, del salmo. Del "figlio" si era parlato al v. 7 ()בני אתה. In realtà l'accento del salmo non cade su JHWH, ma sul "suo Messia". La misura escogitata da J H W H per domare l'insurrezione dei popoli era stata appunto l'istituzione di un "figlio" sul suo santo monte. Questo "figlio" J H W H aveva eletto come suo luogotenente, affidando a lui i "confini della terra". L'obbedienza a Dio passa attraverso l'obbedienza a questo figlio. Tutta la struttura del salmo porta a questa conclusione. «Baciate il figlio». Nell'antichità il "bacio" non era soltanto segno di affetto, ma anche un tributo di onore e di sottomissione, che si attribuiva a un re o a Dio stesso (cf. Gn 41, 40 [Giuseppe]; 1 Sam 10, 1 [Saul]; 1 Re 19, 18 [Baal]; Os 13,2 [vitelli]; Gb 31,27 [astri]). Vang commenta: «In questa luce, Sal 2, 12a va compreso come un'esortazione rivolta ai re della terra affinché si sottomettano al re, che Dio ha adottato come suo figlio» 64. Il testo trova corrispondenza nel Sal 24, 6, un'altra crux interpretum, che nel testo ebraico afferma in maniera unica il ruolo dell'intermediario tra Dio e i popoli. La traduzione CEI ha: «Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe». Ma TM suona: מבקשי פניך יעקב, «quelli che cercano il tuo volto, Giàcobbe». Cioè, coloro che cercano Dio (דרשו, v. 6a), vanno in cerca del volto di Giacobbe-Israele 65 . E il tema del pellegrinaggio dei popoli a Sion. Sai24, 6 interpreta 2, 12 in forma collettiva, secondo un procedimento tipico del salterio e di tutto il messianismo. Del resto in questo senso intende Sal 2, 12 il Midrash: «Quale parabola si addice a questo passo (= Sali, 12, nda)ì Quella di un re, che si era acceso d'ira contro una città. Gli abitanti di questa città vennero e trattarono con il figlio del re per placare l'ira del sovrano. Costui andò e calmò suo padre. Quando il padre fu placato da suo figlio, gli abitanti vollero cantare un canto in onore del re. Ma il re disse loro: "Voi volete cantare un canto in mio onore? Andate piutcoli difendono questa lettura: Vang 1993; Oloffson 1995; Norton 1992. Cf. anche Barbiero 1999, pp. 321-323. 64 Vang 1995, pp. 182-183. 65 Cf. più oltre, pp. 260-262.
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tosto e cantate il canto in onore di mio figlio. Se non fosse stato per lui, già da lungo tempo io avrei distrutto gli abitanti di questa città! Così, quando si dirà ai popoli della terra: "Popoli tutti, battete le mani; acclamate a Dio con voci di gioia" {Sal 47, 2), e costoro si appresteranno a cantare un canto in onore del Santo, benedetto egli sia, il Santo, benedetto egli sia, dirà loro: "Voi volete cantare un canto in mio onore? Andate, cantatelo in onore di Israele. Non fosse stato per lui, la terra non avrebbe durato neanche un'ora di più"» 66 . Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice di sé: «Chi non onora il figlio, non onora neanche il Padre che l'ha mandato» {Gv 5, 23). Effettivamente, anche oggi, la difficoltà maggiore per la fede non è tanto quella di accettare Dio, quanto piuttosto quella di accettare il mediatore, Gesù Cristo, o il suo corpo mistico, la Chiesa (è di Cipriano la frase: «Non può avere Dio per padre, chi non ha la Chiesa per madre» 67 ). E sempre il "figlio" che fa difficoltà. E lui che è difficile "baciare". «.. .affinché non si adiri». Come si accennava nella critica testuale, il problema qui, come nelle due frasi che seguono («poiché presto divampa la sua ira» e «beati tutti quelli che in lui si rifugiano») è determinare chi sia il soggetto. G e Vg risolvono la questione, aggiungendo "il Signore", così fanno anche la quasi totalità dei commenti 68 . Di per sé, la soluzione ha senso, poiché, se si dice che il Messia è figlio di J H W H , è coerente pensare che il padre si adiri se si tocca suo figlio. Inoltre il verbo חסה, "rifugiarsi", è un verbo teologico, che ha generalmente Dio come oggetto. Però, da un punto di vista sintatti־ co, viene spontaneo pensare che il pronome si riferisca all'ultima persona nominata, cioè al "figlio". Questa soluzione viene appoggiata dal parallelo con il Sal 149, dove la vendetta e il giudizio vengono , compiuti, non da J H W H , ma dai "figli di Sion" (w. 7-9). Forse il testo è volutamente ambiguo, aperto alle due soluzioni. D'altronde al v. 5 si parlava dell'"ira" di J H W H , mentre al v. 9 si alludeva all'"ira" del Messia 69 . Per un parallelo con il Nuovo Testa66
Braude 1976 J, p. 47. «Habere iam non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem», De untiate, 6; cf. San Cipriano, De ecclesiae catholicae unitate (ed. M. Bévenot), p. 253. 68 Unica eccezione, a mia conoscenza, Mannati 1966, p. 91. 69 Una simile ambiguità è riscontrabile in Sal 21, 10, dove il testo ebraico, che finora parlava al re in seconda persona (cf. v. 9), continua dicendo:תשיתמו כתנור אש לעת פניך, «li ridurrai a una fornace di fuoco al tuo apparire». Il soggetto qui è chiaramente il Messia. Poi improvvisamente il testo passa alla terza persona, con riferimento a Dio: 67
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mento cf. Ap 6, 16-17. Veramente nel Sal 2 le due grandezze, J H W H e il suo Messia, non sono separabili. La frase che segue, «... e la vostra strada non vada in rovina», ha un esatto parallelo in Sal 1, 6. La formulazione è molto simile: ודרך רשעים תאבד, «la via degli empi perisce/si perde» (1,6b);ותאבדו דרך, «e voi non periate/vi smarriate quanto alla via» (2, 12). La metafora è la stessa, la strada, collegata con il verbo אבד, «perire/smarrirsi». Ambedue le volte l'espressione conclude il salmo, sicché il richiamo è evidente. Ma sarebbe sbagliato ritenerla un'aggiunta redazionale, con la finalità di creare un legame tra i due salmi, poiché nel Sal 2 il verbo אבדforma paronomasia con ( עבדv. 11): «servite ( )עבדו... per non perire ( 7 0 « ( ת א ב ד ו פ ן. La motivazione («poiché presto divampa la sua ira») si rifà evidentemente all'inizio del v. 12b: «perché non si adiri». Due interpretazioni sono possibili: (1) «Non ci vuol molto a farlo arrabbiare». Cioè, Dio è particolarmente sensibile se si tocca il "figlio", o, rispettivamente, il "figlio" non ha molta pazienza: non è Dio, lui. Mi sembra che l'immediato contesto ammetta questa interpretazione. Il senso sarebbe: non scherzate con il fuoco! (2) Il giudizio di Dio e/o, rispettivamente, del Messia, è vicino. Questa interpretazione si accorda meglio con la teologia del Sal 1 (cf. v. 5, e, al di là, Ma/3, 19). Il Sai2 si lascia quindi cogliere come un "ultimatum" prima del giudizio divino, annunciato come imminente. È l'ultima chance che Dio offre agli uomini prima del giudizio: chi non l'accoglie ha segnato la propria condanna («perché non perisca la vostra via»). Il salmo termina con una beatitudine («Beati tutti quelli che in lui si rifugiano!»), la cui corrispondenza con 1, 1 («Beato l'uomo che non è andato dietro alle idee degli empi») è stata sopra rilevata. La corrispondenza ha valore di inclusione per il "prologo" del saiterio: esso inizia e termina con una beatitudine. Le due beatitudini hanno un significato antitetico: negativa la prima, positiva la seconda. Al «non andare dietro alle idee degli empi» si contrappone il "rifugiarsi" ( )חסהin JHWH. Il verbo חסהha infatti il significato, come si vedrà, di una professione di fede. יהרה באפו יבלעם, «JHWH li sterminerà nella sua ira» (v. lOb). Ai w. 11-13 si ritorna alla seconda persona, alludendo nuovamente alla vendetta del Messia, mentre il v. 14 pone in campo di nuovo Dio. 70 Cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 54.
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^ Come per l'altra corrispondenza («perché la vostra strada non . perisca»), anche qui si è tentati (così Zenger 71 e Seybold 72 ) di vedere un'aggiunta redazionale, fatta per unire insieme i due salmi. Anh cora, però, bisogna riconoscere che la frase si inserisce perfettamen! te nel contesto del Sal 2. Il verbo חסהha come oggetto soltanto J H W H , e il suo orientamento a Dio va inteso fi É^־ wh m
«nel senso di una decisione fondamentale per lui contro qualsiasi altra cosa e qualsiasi altra persona, sia nel senso di una decisione presa una volta per tutte, oppure di una decisione da rinnovare di volta in volta in momenti di pericolo o di tentazione»73.
if, E dunque, nel nostro salmo, esso si comprende come uno f | «schierarsi dalla parte» di J H W H e del suo Messia, con un atteggia1 ׳mento esattamente contrario alla rivolta dei w. 1-3. Il verbo ha una valenza politica: è sinonimo di "servire" (v. Ila) e di "baciare" (v. 12,׳a)74. D'altra parte il "rifugiarsi in lui" è l'unico modo per scam§?;' pare alla sua "ira" imminente (v. 12bc), dove ancora rimane aperto J | se questo "lui" sia J H W H o il suo Messia. Zenger rileva a ragione il V ׳. parallelo con Na 1, 2-8 75 , dove, alternativamente all'effetto distrut;5 tore dell'ira divina, si propone l'atteggiamento favorevole di Dio verso i suoi fedeli, nei seguenti termini:ידע חסי בר, «egli conosce chi / si rifugia in lui» (v. 7). Il testo masoretico del v. 12 presenta una struttura chiastica molto coerente (cf. tab. 17). Agli estremi vengono espressi due atteggiamenti positivi, che stanno in corrispondenza tra loro: il "badare" il figlio, e il "rifugiarsi in lui" (AA'). Al centro vi è la prospettiva inversa, quella dell'ira, menzionata come deterrente per aiutare v> la scelta dell'atteggiamento giusto nei confronti di J H W H e del suo Messia (BB'). * ־י. ׳
Tabella 17 A B B' A' 71 72 73 74 75
(+) (-) (-) (+)
baciate il figlio, affinché non si adiri... poiché presto divampa la sua ira. Beati tutti quelli che in lui si rifugiano
In Hossfeld e Zenger 1993a, p. 54. Seybold 1996, p. 33 («Nachwort»). Cf. anche Hogenhaven 2001, p. 178. ThWAT III, col. 83 (Gamberoni). Cf. Mannati 1966, pp. 91-92; Assmann 1979. Zenger 1993, pp. 42-43.
84
II regnodi'JHWH e del suo Messia
Sheppard ha rilevato ! , importanza del verbo חסהnella teologia del salterio. Egli intende i salmi di lamentazione come un "rifugiarsi" in Dio di fronte ai pericoli e alle sciagure della vita 76 . Si comprende perciò che tale verbo venga alla fine del Sal 2: esso introduce direttamente i salmi che seguono, caratterizzati dalla lamentazione. Si avrebbe così un altro segno della "spiritualizzazione" della teologia del tempio. Il luogo di rifugio e di asilo tradizionale era infatti il tempio: se ora tale "rifugio" è visto nella preghiera dei salmi, si compie quella stessa operazione che Sal 1 compieva con la teologià deH'"albero della vita", e Salii, 4 con quella dell'"abitazione" di Dio. Per Creach il motivo del "cercare rifugio" determina la struttura del salterio 77 . Forse egli va troppo in là. Il "rifugiarsi" è uno degli elementi strutturanti, non l'unico. Nel primo libro esso ritorna in due punti nodali, in Sal 14, 6, al termine della prima raccolta («voi confondete il piano di vita del povero, poiché JHWH è il suo rifugio»), e in Sal 34, 9, al termine della terza raccolta («beato l'uomo che in lui si rifugia»). Seybold ritiene impossibile che il soggetto del verbo חסה, al v. 12d, siano i "re" e i "giudici della terra" del v. 10 (per questo egli considera la frase un'aggiunta posteriore) 78. Se invece è vero che il v. 12d fa parte del salmo (certo fa parte del testo canonico, ma a mio avviso fa anche parte del testo originale), allora la prospettiva è veramente universalistica. Il "rifugiarsi in JHWH", che è visto generalmente come prerogativa dei "poveri di J H W H " (cf. Sal 14, 6), viene qui offerto anche ai popoli pagani. Il termine כל, "tutti", che precede il verbo חסה, sembra voler sottolineare questa dimensione. Nessun salmo è stato citato nel Nuovo Testamento tanto come il Sali. Basti qualche accenno: il v. 7 («Tu sei mio figlio») viene naturalmente riferito a Gesù in maniera diversa dal senso originario del salmo 79 (cf. Le 3, 22 par. [battesimo]; Le 9, 35 par. [trasfigurazione]; At 13, 32-33; Eb 1,5; 5 , 5 [resurrezione]; Le 1, 31-35 [nascita]). La Chiesa primitiva lesse i w. 1-3 in senso collettivo e attualizzante, vedendo dietro alla "rivolta" dei popoli, le persecuzioni di cui essa stessa era fatta oggetto (cf. At 4, 23-28). Quanto al dominio universale e alla vittoria finale del Messia sui nemici (w. 8-9), il te-
76 77 78 79
Cf. Sheppard 1992, pp. 149-152 («Lament as "seeking refuge"»). Creach 1996. Seybold 1996, p. 33. Cf. Maiberger 1988; Watts 1990; Bons 1995.
Salmo 3
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ma viene ripreso sia in Mt 28, 18 par., sia nell'Apocalisse (cf. Ap 2, 27; 12, 5). Abbiamo visto come Ap 19, 15 aiuti a capire questa vittoria come frutto della sua parola potente. Alla luce del Vangelo, la "vendetta" del Messia viene interpretata in senso radicalmente non violento.
L'UNITÀ DEI SALMI 1-2
Esiste una tradizione molto antica che considera unitariamente i primi due salmi, come se fossero un salmo solo. Di tale tradizione ci sono testimonianze sia nella letteratura rabbinica, sia nell'esegesi patristica. La prima è rappresentata dal Talmud Babli, Berakot 9blOa, e dal Talmud Yerushalmi, Taanit II, 2. Qui si spiega il fatto che nelle 18 Benedizioni si reciti il Sal 19, 5, dicendo che il salmo (per la verità il Talmud parla di "capitolo": i salmi vengono considerati come i capitoli di un unico libro!), dunque il capitolo 19 in realtà è il diciottesimo, perché i due capitoli «Beato l'uomo» (Sal 1) e «Per, ché fremono le genti» (Sal 2) sono considerati un capitolo solo. Il fatto viene ulteriormente approfondito allegando che «ogni salmo che era caro a David iniziava con "beato" e terminava con "beato"»: ora il primo "beato" si trova all'inizio del Sal 1, il secondo alla fine del Sal 2 80. Tale tradizione viene confermata da alcuni manoscritti ebraici, che scrivono i due salmi uno di seguito all'altro, senza interruzione alcuna, come se fossero un unico salmo81. Esistono anche alcuni codici del Nuovo Testamento, dove, nella citazione che At 13, 33 fa di Sal 2, 7, si legge, non «come sta scritto nel salmo secondo», ma «come sta scritto nel salmo primo» 82 . La tradizione è conosciuta dai Padri 83 . Anche qui si può parlare di una linea costante che considera unitariamente i due salmi: rimando per questo agli studi di Auwers
80
Per una presentazione cf. Scaiola 2002, 358-360; Barbiero 1999, pp. 31-32. Nove manoscritti, secondo Scaiola 2002, p. 354. 82 Cf. Mitchell 1997, pp. 73-74; Scaiola 2002, pp. 354-356. 83 Scaiola cita in questo senso Giustino, Tertulliano, Cipriano, Ilario, Origene, Eusebio di Cesarea, Apollinare, Atanasio e Gerolamo (Scaiola 2002, pp. 361-365). La lista di Auwers è più lunga. Egli cita ancora Diodoro, Cassiodoro, Beda, Eutimio Zigabeno e Alberto Magno (Auwers 2000, pp. 97-100). È di Alberto Magno la frase: «Psalmus primus incipit a beatitudine et terminatur in beatitudinem» (cf. Hogenhaven 2001, p. 169). 81
86
II regnodi'JHWH e del suo Messia
e di Scaiola. Si tratta ad ogni modo di una tradizione secondaria, anche se autorevole: la maggior parte dei manoscritti, sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento, e dei riferimenti, sia rabbinici sia patristici, considerano separatamente i due salmi. Nei nostri giorni, l'unità originale dei due salmi, o di una parte di essi, viene difesa da Lipinski 84 e Brownlee 85 , che riferiscono anche Sal 1 a una "liturgia di incoronazione", e da Bardtke 86 , che vede nel carattere sapienziale il fondo comune dei due salmi. Tali tentativi vengono a ragione respinti da autori come Willis87 e Bons 88, e dalla maggior parte dei moderni commentatori. Indubbiamente i due salmi sono troppo diversi per tono e per personaggi per potere essere considerati un salmo solo. Sal 2, 1 rappresenta una soluzione di continuità rispetto a 1, 6. E tuttavia, i tentativi elencati confermano la parentela dei due salmi, rilevata dalla tradizione antica. Si tratta certamente di unità redazionale, non originaria 89, ma non per questo irrilevante per la comprensione. Una serie di indizi fa pensare che il redattore del salterio abbia voluto unire i due primi salmi, distinguendoli dai seguenti. Anzitutto essi non hanno alcun titolo, mentre i salmi che seguono ce l'hanno. I salmi del primo libro sono tutti attribuiti a Davide, ed è strano che il Sal 2, in cui Davide (il Messia) prende la parola, non venga attribuito a lui. Appunto per questo il Sal 2 si può comprendere come una sorta di prologo per il salterio davidico che segue [SalòAl). Anche per un'altra ragione i due primi salmi si staccano dai seguenti: essi non sono propriamente preghiere, ma esortazioni sapienziali. Il salmista si atteggia a maestro di sapienza che rivolge la sua ammonizione, nel Sal 1 all'"uomo", nel Sali ai "re della terra" 90 . Le preghiere incominciano nel Sal 3. Il macarismo finale del Sal 2 («Beati tutti
84
Lipinski 1968, pp. 330-339. Brownlee 1971. Cf. già Engnell 1953. 86 Bardtke 1973. 87 Willis 1979. 88 Bons 1995. 89 «Il rapporto che esiste tra i due salmi si produce infatti a livello redazionale, là dove essi intenzionalmente vengono collegati mediante il vocabolario e una serie di riprese tematiche per ragioni in ultima analisi teologiche, ma anche rilevanti dal punto di vista dell'organizzazione del salterio sia a livello di primo libro che dell'intera composizione» (Scaiola 2002, pp. 366-367). 90 La dimensione sapienziale del Sal 2 è stata rilevata. Vale la pena osservare che G sottolinea questa dimensione traducendo il v. 12 con «accogliete l'ammonizione» (8pa£;acr9e T T a i S e i a s ) . 85
Salmo 3
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quelli che in lui si rifugiano») ha la funzione di introdurle: il verbo חסה, "rifugiarsi", si riferisce appunto alla preghiera dei salmi91. Abbiamo rilevato il legame che unisce il Sal 1 alla cornice redazionale dei Nebiim, cioè Gs 1, 8 e Mal3, 19-22: i tre brani sono caratterizzati dall'amore per la torah. Questo legame non si limita al Sal 1, ma ragg re saggio", accomuna infatti Gs 1, 8 con Sal 2, 10. Cole nota che ai due passi sono comuni ancora i termini נצבhitp., "schierarsi" (Sai2, , 2 e Gs 1, 5) e דרך, "via" (Sal 1, 1.6; 2, 12 e Gs 1, 8) 92, senza dire che la figura di Giosuè ha una dimensione messianica. In Mal 3, 22 accanto al termine תורה, "istruzione", che rimanda a Sal 1, 2, appare il sinonimo חק, "decreto", che rimanda a Sal 2, 7. Inoltre il libro di Malachia accentua la dimensione escatologica: esso annuncia la vicinanza del giudizio divino, un tema questo che accomuna il Sal 1 (cf. v. 5) e il Sal 2 (cf. v. 12). Come sottolinea Mitchell, la dimensione escatologica, tipica dei due salmi del prologo, dà un tono escatologico a tutto il libro dei salmi, che vuol essere compreso come una risposta al problema della teodicea sullo sfondo del prossimo I! giudizio di Dio 93 . Non solo, dunque, il Sal 1, come vorrebbero al« cuni autori 94 , ma i due Salmi 1-2 formano il "prologo" del salterio e, direttamente, del primo libro 95 . Forse si può cogliere un'altra finezza. Il Sal 1 ha sei versi, il Sal ! 2 esattamente il doppio, dodici. E possibile che questo numero non i sia casuale, ma abbia un valore simbolico, nel senso di un'interpretazione collettiva della figura messianica colà presentata? Dodici è ׳infatti il numero delle tribù d'Israele! ׳ Soffermiamoci ora a considerare il significato di quest'accop?j; piamento redazionale 96, rilevando in un primo momento gli agganci lessematici e contenutistici (cf. tab. 18). Le corrispondenze non ןsono molte e non hanno tutte la stessa rilevanza, ma sono sufficieni ti per parlare di un voluto accostamento dei due salmi. Esse si conn centrano, secondo un procedimento tipico del salterio, all'inizio e alla fine dei salmi stessi.
91
Oltre ai lavori citati sopra (cf. note 76 e 77), cf. anche Tucker 1995, pp. 126-130. Cf. Cole 2002, p. 78. 93 Mitchell 1997; cf. anche Hogenhaven 2001. 94 Cf. Wénin 1995; Diebner 1986; Kratz 1996. 95 In questo senso Zenger 1993; Hogenhaven 2001; Harris 2000; Cole 2002. 96 L'accostamento dei due salmi viene studiato con una certa frequenza ultima ־mente. Si vedano, oltre agli autori fin qui citati, Auffret 1986; Sheppard 1980, pp. 140, 144; Miller 1993; Barbiero 1999, pp. 31-50; Scaiola 2002, pp. 367-373; Cole 2002. 92
88
II regno di' JHWH e del suo Messia
Tabella 18 Legami lessematici 1,1 1,1 1,6 1,1 1,2 1,2 1,3 1,5
...אשרי־האיש אשר לא בדרך חטאים לא עמד יודע יהור דרך צדיקים ודרך רשעים תאבד במושב לצים לא ישב בתורתו יהגח יהגה יומם ולילה פריו יתן בעתו לא־יקמו רשעים במשפט
2, 12 2, 12
אשרי כל־חוסי בו ותאבדו דרך
2,4 2,1 2,7 2,8 2, 10
יושב בשמים ישחק לאמים יהגו־ריק אני היום ילדתיך אתנה גוים נחלתך הוסרו שפטי ארץ
Legami contenutistici 1,1 1,1 1,2
עצת רשעים מושב לצים מושב לצים בתורת יהוה חפצו ובתורתו יהגה יומם ולילה
2,2
רוזנים נוסדו־יחד
2,4
יושב בשמים ישחק אדני ילעג־למו אספרה אל חק יהוה
2,7
La corrispondenza più vistosa è senz'altro l'inclusione tra la beatitudine ( )אשריcon cui inizia il Sal 1 e quella con cui termina il Sal 2. Le due beatitudini sono complementari, nel senso che la prima è negativa («Beato l'uomo, che non...»), mentre la seconda è positiva («Beati tutti quelli che in lui si rifugiano»). Al «prendere le distanze» dagli empi corrisponde il «prendere posizione» ( )חסהper J H W H . Mentre 1, 2 insiste sull'adesione alla torah, 2, 12 mette l'accento sulla persona di J H W H . Non si tratta tanto di aderire a un codice di leggi, ma di stabilire un rapporto personale («rifugiarsi in JHWH»), cosa già rilevata, per altro, da 1, 6. La metafora della "strada" è caratteristica del Sal 1 (cf. w. 1.6, inclusione). Essa viene ripresa in 2,12, formando un'ulteriore indùsione con 1, 1. La corrispondenza più vistosa è ad ogni modo con 1, 6: qui, accanto a דרך, ricorre anche il verbo אבד. «Perché ... la vostra via non perisca» (2, 12) rimanda senza dubbio a: «La via degli empi perisce» di 1, 6. Ciò significa che il redattore stabilisce un rapporto da una parte tra gli "empi" e i "re della terra", dall'altra tra il "giusto" del Sal 1 e il "Messia" del Sal 2. Ma si deve notare anche
Salmo 3
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una differenza: mentre nel Sal 1 la via degli empi perisce da sé, nel Sal 2 la rovina degli empi è collegata al giudizio divino, alla sua "ira", o, rispettivamente, a quella del Messia. Ancora, c'è uno spostamento d'accento in senso personalistico. L'inizio del Sal 2 è unito all'inizio del Sal 1 mediante il verbo הגה 2), l b cf. 1,2b). I popoli "mormorano" contro J H W H e il suo Messia, mentre il giusto "mormora" la legge di JHWH. All'obbedienza filiale del giusto si contrappone la rivolta dei popoli. In questo senso, le "catene" e le "funi" che i popoli vogliono spezzare corrispondono alla torah divina, il giogo di JHWH, che invece il giusto prende gioiosamente sulle sue spalle. S'è visto che alla torah rimanda anche il termine חק, il "decreto" a cui si appella il Messia. Anche questo decreto fa parte della "torah", dell'ordine di Dio. E dunque il re che annuncia il "decreto" di J H W H è il re che proclama la torah, che conduce i popoli all'obbedienza a Dio («servite J H W H con timore», v. Ila). Nel Sal 1 il giusto è uno solo contro il gruppo numeroso degli empi, peccatori e beffardi. Lo stesso avviene nel Sal 2, dove il Messia è solo contro gli altri "re della terra". Ora il Messia del Sai2, che lo si intenda in senso individuale o in senso collettivo, è una personalità "corporativa": egli rappresenta il popolo di Dio 97 . Il dramma del Sal 1 si svolge all'interno di Israele, dove i "giusti" sono una minoranza, una "società alternativa", quello del Sal 2 si svolge a livel10 universale, dove il popolo di Dio e il suo Messia sono una comunità alternativa rispetto agli altri popoli, ma hanno una missione universale, quella di condurre i popoli all'obbedienza a Dio. Tra le corrispondenze tematiche abbiamo segnalato la somiglianza tra il termine ליץ, "farsi beffe" (1, 1), e il termine לעג, "deridere" (2,4). Tale corrispondenza viene confermata dall'uso, nei due passi, del verbo ישב, "sedere". Gli empi costituiscono una מושב לצים, siedono insieme per deridere i giusti, ma «colui che siede nell'alto ... 11 deride». E, come dice il proverbio, «ride ben chi ride ultimo». Viceversa, i «giudici della terra» (2, 10) sono chiamati a rinsavire, davanti all'imminente "giudizio )משפט( ״a cui verranno sottoposti (1, 5). Sono aspetti concreti di quel rovesciamento delle sorti che awerrà "alla fine". 97
Cf. Braulik 1995.
90
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I due salmi costituiscono dunque l'introduzione, il prologo al primo libro e al salterio: essi forniscono al lettore alcune chiavi di lettura fondamentali per leggere i salmi che seguono. Quali sono queste chiavi? Tentiamo qualche spunto, tra i molti possibili98. II Sal 2 situa tutto il salterio sotto il segno del regno escatologico di Dio 99. Nell'insieme del salterio i salmi che cantano il regno di Dio {Sal 90-106) ne costituiscono materialmente e spiritualmente il centro. La questione non è astratta, ma molto concreta, si tratta di chi domini il mondo. A ciò che appare, il mondo è nelle mani dei potenti e dei furbi che fanno il bello e il brutto tempo. Come si può dire che è nelle mani di Dio? Anche nel Nuovo Testamento il tema del regno è centrale. Gesù ha annunziato che il regno di Dio è venuto con lui (cf. Me 1, 15), e tuttavia ha insegnato a pregare perché questo regno venga (cf. Mt 6, 10 par.). Nel Padre Nostro secondo la versione di Matteo, la richiesta «Venga il tuo regno» è seguita dall'altra: «Sia fatta la tua volontà». Effettivamente c'è un legame molto stretto tra le due domande. Il regno di Dio viene, là dove la sua volontà si compie. Dio si rivela signore del mondo quando il mondo gli obbedisce. Ebbene, il rapporto tra le due domande del Padre Nostro è lo stesso che unisce i due primi salmi. Solo che nei salmi l'ordine è inverso: nel Sal 1 si chiede che la sua volontà si compia, nel Sali che venga il suo regno. La tradizione giudaica dice che quando un pio giudeo prega lo shemà prende su di sé due gioghi, quello del regno e quello della legge, esattamente in quest'ordine, perché in Dt 6, 4-9 le prescrizioni sull'apprendimento della legge (w. 6-9) vengono dopo che si è stabilito che J H W H è il Dio di Israele e che lo si deve amare con tutto il cuore (w. 4-5) 100. Non c'è legge senza regno: senza un'unione personale con il Dio vivente, il codice di leggi diventa un peso insopportabile. E d'altra parte non c'è regno senza legge. Dalla legge di Dio il Messia trae la sua legittimazione: è la garanzia che attraverso lui regna «colui che siede nei cieli». Il regno del Messia è funzionale al regno di Dio. Vedremo che anche nella seconda raccolta del primo libro {Sal 15-24) al centro stanno i due temi del regno {Sal 18; 20-21) e della torah {Sal 19).
98
Rimandiamo per questo alla bibliografia citata; vedi inoltre Morecraft 1996; Taylor 1995-1996. 99 Cf. Mays 1994; McCann 1993b. 100 mBer II, 2, cf. Barbiero 1999, p. 49.
Salmo 3
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Accenniamo ad altre possibili chiavi di lettura. I due salmi potrebbero rappresentare il binomio "uomo" - "Messia" 101. Cioè, essi inviterebbero a leggere il salterio da una parte come la preghiera dell'uomo del Sal 1, nella sua ricerca di felicità, dall'altra come quella del Messia del Sal 2 (o, inteso collettivamente, del popolo di Israele), proteso a realizzare il regno di Dio. Effettivamente, nella torah la storia delle origini (Gn 1-11) precede la storia di Israele (a partire da Gn 12). "Creazione", dunque (Sal 1), ed "elezione" (Sal 2). Steck preferisce pensare al binomio "torah" (Sal 1) e "profeti" (Sali) 102 : il salterio rappresenterebbe un condensato non solo della torah ma di tutto l'Antico Testamento. Scaiola traspone questo binomio in senso spirituale, cogliendo la complementarietà tra "legge" (Sal 1) e "promessa" (Sal 2). Il Sal 1 sottolineerebbe l'impegno dell'uomo a una vita secondo la torah, il Sali il dono gratuito di Dio 103 . Su questa strada invitava già l'affermazione di Delitzsch: «Il primo salmo è adatto a costituire l'introduzione al salterio dal punto di vista morale, il secondo dal punto di vista della promessa» 104. Questi sono solo alcuni spunti: leggendo i due salmi insieme l'orizzonte si apre a nuove dimensioni.
101 102 103 104
Cf. Sheppard 1980, p. 143. Steck 1991, p. 161. Scaiola 2002, pp. 371-373. Delitzsch 1984, p. 66.
SALMO 3
TRADUZIONE
1. Salmo. Di Davide, quando fuggiva di fronte ad Assalonne, suo figlio. 2. JHWH, quanti sono i miei oppressori! Molti contro di me insorgono, 3. molti dicono all'anima mia: «Non c'è salvezza per lui in Dio!». SELA. 4. Ma tu, JHWH, tu sei scudo intorno a me, tu sei il mio onore, colui che rialza la mia testa. 5. La mia voce io grido a JHWH, ed egli mi ha risposto dal suo monte santo. SELA. 6. Io mi sono coricato e mi sono addormentato, mi sono svegliato, perché J H W H mi sostiene. 7. Non ho paura delle miriadi di gente, che tutt'intorno contro di me si sono schierate. 8. Sorgi, JHWH, salvami, mio Dio! Sì, tu hai colpito sulla guancia tutti i miei nemici, ai malvagi hai rotto i denti. 9. A J H W H appartiene la salvezza, sul tuo popolo la tua benedizione. SELA.
Salmo 3
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CRITICA TESTUALE
Verso 3 ישועתה: forma poetica per ישועה. Solo qui e in Sal 80, 3; Gio 2, 10. «... in Dio», con TM. G ha un possessivo di terza persona: ev τω Θ6ω αύτοΰ, «... nel suo Dio»; S uno di seconda: «...nel tuo Dio». Il possessivo darebbe un buon senso, mettendo in dubbio il rapporto esistente tra il salmista e il "suo" Dio (cf. v. 8: "mio Dio"). Ma appunto per questo la lettura di G e S appare armonizzante. Verso 5 אקרא... קולי. Il verbo קראpuò avere forma transitiva, cf. Ez 8, 18 1 . G ha qui la forma intransitiva: φωνή μου ... έκέκραξα, «con la mia voce io grido». Riteniamo TM come lectio difficilior. ויענניè un wajjiqtol che suppone un precedente perfetto: qui fa seguito a un imperfetto. BHS propone di correggere con un wejiqtol, ed effettivamente la maggior parte delle traduzioni moderne hanno un presente, che concorda con quello del v. 5a (cf. CEI: «innalzo... e mi risponde»). G ha invece due perfetti: έκέκραξα καΐ έπήκουσβν, così anche Vg (clamavi et exaudivit me). Lo stesso problema ritorna al v. 8, dove a due imperativi (הושיעני... )קומהfa seguito un perfetto ()הכית. Il passaggio dal presente al passato è dunque verosimilmente voluto. Per l'interpretazione si veda il commento.
GENERE LETTERARIO E SITZ IM LEBEN
Gunkel, con la quasi totalità dei commentatori moderni, assegna il salmo alle "lamentazioni individuali" 2. Un tale genere si caratterizza per i seguenti elementi: • • • •
1 2
invocazione iniziale; esposizione del caso; preghiera; conclusione.
Cf. HALAT, 1053, con rimando a Brockelmann 1956. Cf. Gunkel 1985, p. 172; Gunkel 1986, p. 13.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Nel nostro salmo ! , invocazione iniziale è assente; l'esposizione è riconoscibile ai w. 2-3; la preghiera propriamente detta è espressa al v. 8ab («Sorgi, JHWH, salvami, mio Dio!»), e la conclusione al v. 9. Qui già la supplica si conclude con la lode e il ringraziamento per la salvezza ricevuta. Castellino, non senza ragione, colloca il Sal 3 tra i cosiddetti "salmi di f i d u c i a 3 מ. Effettivamente l'elemento della fiducia è particolarmente sottolineato nel nostro salmo. D'altra parte questo eiemento è tipico delle lamentazioni individuali. Di fronte a Dio, nella preghiera, a poco a poco il salmista acquista certezza che Dio lo ascolta, e passa quasi naturalmente dal lamento alla fiducia 4 . Più controversa è la determinazione del Sitz im Leben 5 . (a) Una prima proposta è quella di considerarlo un salmo regale, sia perché il titolo (v. 1) lo assegna a Davide 6 , sia perché diversi elementi del salmo fanno pensare a un personaggio regale 7 . Si parla, in esso, di guerra e di battaglia: i nemici sono «molto numerosi» (v. 2), «miriadi di gente... si sono schierate» contro il salmista (v. 7). L'immagine dello scudo (v. 4) è immagine guerriera, e l'invocazione del v. 8, «Alzati, JHWH», appartiene al linguaggio della guerra santa (cf. Nm 10, 35). Anche il termine ישועהha spesso il senso di una "vittoria" militare 8. La scuola scandinava pensa ad una celebrazione, ad una festa di intronizzazione, in cui le "vittorie" del re acquistavano un senso mitico, erano espressione della sua vittoria sulle forze del caos 9. (b) Un secondo Sitz im Leben possibile è di tipo cultuale. L'orante sarebbe una persona ingiustamente accusata, che, per difendersi dai suoi accusatori, si rifugia nel tempio e chiede un "giùdizio divino". Sulla forma di questo giudizio si discute. Alcuni ritengono che il verbo "rispondere", al v. 5b, rimandi concretamente a un oracolo di salvezza pronunciato da un sacerdote, in cui ve3
Castellino 1955, p. 266. Cf. Westermann 1977. 5 Si veda, per una rassegna delle possibili soluzioni, Culley 1991. 6 Questa è l'interpretazione costante della tradizione rabbinica e patristica. Per la prima cf., ad esempio, l'antologia di Lifschitz 1990b, pp. 11-52. Nello stesso senso Althann 1999. 7 Cf. Craigie 1983, pp. 70-76; Eaton 1986; Kraus 1978; Cortese 2001, p. 501; Cortese 2004, pp. 31-32; Hossfeld e Zenger 1993a, p. 56. 8 In questo senso si veda Kim 1999. La metafora della guerra è rilevata anche da Brettler 1993 e Ravasi 19811 pp. 117-118. 9 Cf. Engnell 1969, p. 118. 4
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niva dichiarata l'innocenza del salmista 10. Effettivamente le immagini di guerra si possono trasporre al tribunale. Gli avversari che si accampano contro il salmista sarebbero i suoi accusatori. Anche l'intervento di Dio, che «percuote sulla guancia» e «rompe i denti» (v. 8d) fa pensare che l'arma dei nemici fosse appunto la bocca. Altri pensano a un "rito di incubazione": l'orante avrebbe passato una notte al tempio, durante la quale avrebbe ottenuto in sogno un giudizio di salvezza n , oppure sarebbe stato sottoposto ad un'ordalia del tipo di Nm 5. Avrebbe bevuto alla sera una particolare pozione, e il fatto di essersi potuto risvegliare al mattino sarebbe stato il segno della sua innocenza. Se fosse stato colpevole sarebbe morto (cf. v. 6) 12. (c) Per Gunkel l'orante sarebbe un malato, dato dalla gente ormai per spacciato («Non c'è salvezza per lui in Dio», v. 3), e giudicato come colpevole e rigettato da Dio, che invece ottiene una guarigione insperata 13 . (d) B. Janowski ha messo in rilievo come in tutto l'Antico Oriente la notte fosse simbolo di male, di caos e di morte, mentre il nascere di un nuovo giorno fosse visto come la vittoria del Dio creatore sulle forze del caos e della morte. Anche nell'Antico Testamento molte "salvezze" operate da Dio sono avvenute al mattino (si pensi al passaggio del Mare dei Giunchi, alla liberazione dall'esercito di Sennacherib). Il salmo sarebbe dunque una tipica "preghiera del mattino", quali facevano parte della liturgia sia nel tempio di Gerusalemme sia presso i popoli vicini 14. Questi quattro elementi sono indubbiamente presenti: è possibile leggere il salmo secondo queste diverse chiavi di lettura. Nessuna di esse è tuttavia esclusiva, cioè si impone sulle altre come il Sitz im Leben del salmo. Forse ciò è voluto. I salmi sono preghiere che possono essere fatte proprie da ogni uomo in difficoltà, per cui il caso individuale viene aperto a più letture. E possibile, ad esempio, che l'ambientazione al tempio giochi un ruolo all'origine del salmo, ma a livello del testo attuale il v. 5 («... ed egli mi ha risposto dal suo
10
Così, classicamente, Begrich 1964. Cf. inoltre H. Schmidt 1928, pp. 21-22; Delekat 1967, pp. 51-53; Beyerlin 1970. 11 Cf. Schroeder 2000. 12 Così, ad es., van der Toorn 1988. 13 Gunkel 1986, p. 13. 14 Janowski 1989.
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monte santo») esclude che l'orante si trovi nel tempio. Se Dio gli risponde dal tempio, vuol dire che chi prega non si trova in esso. Anche l'attribuzione al re si fonda su elementi troppo esili, se si esclude il titolo, che, come vedremo, ha un carattere non storico, ma teologico, redazionale. Ora, togliendo il riferimento al tempio e alla monarchia, vengono meno gli argomenti per postulare una composizione preesilica15. Per una datazione postesilica parlano anche eiementi linguistici come il termine aramaizzante ישועתה. R. Albertz 16 ed E. Gerstenberger 17 propongono come Sitz im Leben delle lamentazioni individuali piccoli gruppi di preghiera, attorno al tempio, dove la vita comunitaria era intensa e in cui la comunità pregava per le necessità dei suoi membri. "Nemici" e "malvagP(o^n), v. 8, rivelerebbero dunque tensioni all'interno della comunità giudaica del periodo postesilico. Bisogna però confessare che gli elementi per una datazione del salmo sono piuttosto tenui. Da più parti viene espressa oggi l'esigenza di valorizzare di più i salmi di lamento 18. Forse perché sembrano poco cristiani, in quanto talora esprimono sentimenti di vendetta, o sembrano troppo "materiali" rispetto alle preghiere di lode, le lamentazioni vengono escluse dalla preghiera delle comunità cristiane. E vero che alla luce dell'insegnamento del Nuovo Testamento l'atteggiamento verso i nemici va reinterpretato. Ma la rimozione della violenza, della sofferenza, dell'oppressione dalla preghiera è operazione pericolosa, essa corre il rischio di "coprire" la violenza, di fare cioè il suo gioco. Una delle caratteristiche della violenza è che essa tende a camuffarsi, a restare nascosta. Perciò il primo passo per superarla è riconoscerla, denunciarla. I salmi di lamento sono fondamentalmente un grido di protesta contro l'ingiustizia, sia a livello personale sia a livello sociale. Nei due campi l'estrinsecazione della protesta è essenziale per un sano sviluppo sia della singola persona sia della società. Il tacitare la rivolta porta sul piano personale a disturbi della personalità, a un atteggiamento non autentico, anche nei riguardi di Dio: è l'atteggiamento degli "amici di Giobbe". Dio ha dato ragione a Giobbe, non ai suoi amici. Sul piano sociale un atteggiamento 15 Contro Hossfeld e Zenger 1993a, p. 56; con Seybold 1996, p. 35; Deissler 1963, p. 33. 16 Albertz 1992, pp. 569-576. 17 Gerstenberger 1988. 18 Cf. Brueggemann 1986; Gerstenberger 1982-1983; Steins 2000; Miller 1994; Etzelmueller 2001.
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irenistico porta ad un'idealizzazione dei rapporti sociali, a dare ragione ai più forti, a chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie, o, peggio ancora, a non credere che il mondo possa essere diverso, a non lottare più per un mondo migliore. E l'atteggiamento contrario a quello dell'Esodo. L'Esodo si potrebbe definire una «lamentazione ascoltata» («Ho udito il lamento del mio popolo», Es 3, 7). La preghiera delle lamentazioni aiuta a porre con autenticità tutti i nostri problemi alla luce di Dio.
STRUTTURA
Tabella 19 A B C D
w. w. w. w.
2-3 4-5 6-7 8-9
I nemici JHWH (v. 4a: )ואתה Io (v. 6a:)אני Conclusione
( סלהv. 3) ( סלהv. 5) —
( סלהv. 9)
Il modello di struttura più comunemente seguito vede una divisione in quattro unità, a seconda dei tre protagonisti del salmo, nell'ordine: i nemici (w. 2-3), Dio (w. 4-5) e il salmista (w. 6-7). La quarta strofa (w. 8-9) avrebbe valore di conclusione (cf. tab. 19). Tale i struttura sarebbe appoggiata dall'indicazione סלה, che caratterizza la fine dei w. 3 (prima strofa), 5 (seconda strofa) e 9 (ultima strofa) 19. A seguito di Auffret 20 , Kselman 21 ha sviluppato un'altra proposta, che ci sembra più rispondente al testo, in tre unità: w. 2-4; 5-7; 8-9. Facciamo nostra e approfondiamo con osservazioni personali questa proposta. \ Le tre strofe sono composte ciascuna di tre versi ritmici (il verso 8 consta infatti di due distici). Il ritmo degli accenti per le prime
19
־ Vedi in questo senso Craigie 1983, p. 72; Ravasi 1981I, pp. 117-118; Seybold 1996, pp. 34-36. 20 Auffret 1979. L'autore è ritornato sul tema in due successivi articoli (Auffret 1997; Auffret 1998a), ma francamente questi ultimi articoli non ci convincono del tutto: l'autore si perde in indagini minuziose che sembrano andare al di là del testo, rilevando tutte le corrispondenze possibili. Il lavoro esegetico deve saper scegliere tra corrispondenze significative e meno significative. 21 Kselman 1987. Per altre proposte strutturali cf. M. Girard 1984, pp. 67-70; Ridderbos 1972, pp. 124-125; Paximadi 2002.
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due strofe è costantemente di 3 + 3 (il termine סלהnon fa parte del verso). L'ultima strofa si diversifica dalle altre, abbiamo: v. 8ab = 2 + 2; v. 8cd = 3 +3;v. 9 = 3 + 3. Dal punto di vista del tipo di discorso, la prima strofa si dirige a Dio in seconda persona; la seconda è invece caratterizzata dal discorso in terza persona. Si parla di Dio, non ci si rivolge a lui. A chi è rivolto il discorso? Forse all'assemblea dei fedeli (cf. v. 9b: )עמך, a cui il salmista comunica la propria esperienza. La terza strofa riprende il discorso diretto (v. 9), per poi passare a quello indiretto al v. 9a e ritornare al "tu" al v. 9b (cf. tab. 20). La terza strofa differìsce, anche qui, dalle due precedenti, riunendo in sé i due tipi di discorso delle strofe che precedono. Tabella 20 I II III
TU LUI TU LUI TU
2-4 5-7 8 9a 9b
Quanto ai protagonisti delle singole strofe, i tre personaggi rilevati dalla struttura precedente sono presenti anche in questa: la prima strofa infatti focalizza i nemici, la seconda il salmista, la terza J H W H (cf. tab. 21). L'itinerario ha un significato quasi ideale. All'inizio l'orante percepisce attorno a sé i nemici: sono questi che agiscono. Poi lo sguardo ricade sull'orante stesso, sulla sua persona: non importa quello che i nemici dicono o fanno, importa ciò che egli stesso fa. Quindi lo sguardo si eleva a Dio: è lui l'attore principale, che relativizza l'agire degli uomini. Tabella 21 I II III
2-4 5-7 8-9
Nemici Io JHWH
Dal punto di vista delle ripetizioni dei lessemi, Auffret nota come le due prime strofe siano unite tra loro da una struttura chiastica, mentre la terza forma una struttura centrale per conto suo (cf. tab. 22).
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Tabella 22 I
w. 2-3 V. 4
NEMICI DIO
( עליv. 2), ( רבבw.2.3) .( יהודv. 4)
II
w. 5-6 V. 7
DIO NEMICI
( יהרהw. 5.6) ( עליv. 7b), ( רבבv. 7a)
8ab 8cd 9
DIO NEMICI DIO
ישע/ ( יהוהv. 8ab)
III
V. V. V.
ישע/ ( יהרהv. 9)
Le prime due strofe sono più strettamente unite tra loro, come indica la doppia inclusione tra i w. 2 e 7: רבבe עלי. Anche la terza strofa è delimitata da una simile inclusione: le parole ישעe ( יהרהv. 8ab) vengono riprese, infatti, al termine della strofa (v. 9). Per altro verso la prima e la terza strofa si corrispondono. L'inclusione è espressa mediante la ripresa dei termini: ( קוםv. 2 e v. 8); ( ישעv. 3 e w. 8.9), ( אלהיםv. 3 e v. 8). Si può notare un'antitesi tra inizio e fine del salmo. Mentre al v. 2 i nemici si alzavano contro il saimista, al v. 8 è J H W H che si alza in sua difesa; mentre al v. 3 i nemici dicevano: «non c'è salvezza», ai w. 8 e 9 il salmista chiede a J H W H la salvezza e ringrazia per averla ottenuta; mentre al v. 3 i nemici tentano di separare il salmista da Dio («Per lui non c'è salvezza in Dio»), al v. 8 egli afferma la sua unione con lui («mio Dio»). La prima e l'ultima strofa sono, inoltre, caratterizzate dal discorso diretto nei riguardi di Dio. Solo queste strofe sono propriamente "preghiera". Infatti i due elementi fondamentali della lamentazione, esposizione del caso e supplica, sono rappresentati dalla prima e rispettivamente dalla terza strofa. La seconda strofa potrebbe ritenersi una riflessione del salmista, che introduce la preghiera della terza. Quasi che nella seconda strofa il salmista prepari l'atteggiamento e le parole che dirà nella terza. Ambedue le strofe sono caratterizzate, infatti, dal passaggio brusco dall'imperfetto (o, rispettivamente, dall'imperativo) al perfetto. «La mia voce io grido a J H W H , ed egli mi ha risposto dal suo monte santo», dice il v. 5; e il v. 8 gli fa eco: «Sorgi, J H W H , salvami, mio Dio! Sì, tu hai colpito sulla guancia tutti i miei nemici». Il "grido", che viene annunciato nel v. 5, viene espresso nel v. 8.
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Kselman osserva, opportunamente, che la distribuzione del tetragramma divino, J H W H , non è casuale. Esso appare infatti sei volte, esattamente due volte per strofa. Si potrebbe dire che la prima invocazione del nome caratterizza il lamento o la supplica, mentre la seconda esprime il passaggio alla fiducia, in modo che, all'interno di ogni strofa, si nota un passaggio dal lamento alla fiducia, e questo passaggio è ogni volta marcato dal nome divino (cf. tab. 23). La struttura non coincide esattamente con quella della tabella 22: ciò significa che nel salmo sono presenti più strutture, una trasversale all'altra. Tabella 23 I: 2-4
a. 2-3 Lamento Fiducia b. 4
JHWH, quanti sono i miei oppressori... Ma tu, JHWH, tu sei scudo...
II: 5-7
Supplica a. 5 b. 6-7 Fiducia
La mia voce io grido a JHWH... .. JHWH mi sostiene. Non temo...
III: 8-9
a. 8 b. 9
Sorgi JHWH... Supplica Ringraziamento A JHWH appartiene la salvezza...
La divisione delle strofe in due parti a seconda dell'apparire del nome divino ricupera le osservazioni strutturali fatte dagli autori che optano per la divisione in quattro strofe (cf. sopra, tab. 19). Infatti il termine סלה, quale che sia il suo esatto valore, si trova a conclusione della prima parte nella prima e seconda strofa (w. 3 e 5) e a conclusione della seconda parte nella terza (v. 9). Esso appare solo tre volte, una per strofa. Anche le due importanti riprese ראתה ("ma tu", v. 4) e "( אניio", v. 6), sono correttamente valorizzate in questa struttura, come inizio della seconda parte nella prima e, rispettivamente, nella seconda strofa. La terza strofa differisce leggermente dalle altre due, nel senso che in essa all'atteggiamento della fiducia, che caratterizza la seconda parte, subentra quello della riconoscenza. Mentre nelle prime due strofe, infatti, la salvezza è ancora attesa, nella terza la salvezza è considerata come avvenuta (cf. v. 8cd). Conseguentemente, l'atteggiamento del salmista non è più quello della fiducia, ma quello del ringraziamento. Le tre strofe ritraggono dunque un'evoluzione nell'animo dell'orante, dall'angoscia per l'imminente pericolo (I strofa), alla fiducia nell'assistenza divina (II strofa), all'esperienza della salvezza (III strofa).
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Come i due primi salmi, anche il terzo appare dunque molto unitario. Anche il v. 9b («sul tuo popolo la tua benedizione»), da molti ritenuto come un'aggiunta redazionale perché sposta improvvisamente l'attenzione da un individuo a un gruppo 22, si inserisce non solo ritmicamente, ma anche contenutisticamente nella composizione. Infatti il termine עם, "popolo, gente", congiunge il v. 9b con 7a: alla "moltitudine di gente" che si accampava contro il salmista, si sostituisce il "popolo" di J H W H che lo accompagna. Come nel Sal 1, l'orante, che all'inizio è solo in mezzo a un popolo nemico, si trova alla fine attorniato dal popolo dei santi. Questo stesso popolo d'altronde era il destinatario delle parole dei w. 5-7, a cui il salmista "raccontava" in anticipo la sua esperienza di preghiera.
IL TITOLO, v. 1
«Salmo. Di Davide, quando fuggiva di fronte a suo figlio Assalonne». Anche se si discute sul senso del cosiddetto lamed auctoris, indubbiamente, la notizia "storica" che segue porta a comprendere l'espressione לדודcome un'attribuzione del salmo al re-cantore. I titoli dei salmi, trascurati come secondari dall'esegesi storico-critica, hanno ricevuto una nuova attenzione nell'esegesi canonica23. Pur riconoscendone la secondarietà, tale tipo di esegesi ne sottolinea l'importanza per cogliere l'intenzione teologica del libro del salterio. Per la verità, anche ultimamente ci sono autori che difendono l'attribuzione davidica, intendendo i rimandi a 2 Sam 15-18 come il reale Sitz im Leben del salmo. I rimandi ci sono. Si è visto che diversi elementi fanno pensare a un re in guerra (il numero degli avversari, le immagini guerriere dei w. 2.4.7-8). In particolare l'espressione «molti contro di me insorgono (קמים, v. 2)» trova corrispondenza in 2 Sam 18, 31.32 con riferimento alla gente di Assalonne; il termine ( רבבw. 2.3.7) ricorda 2 Sam 15, 12 («il popolo andava crescendo di numero [ ]הולך ורבintorno ad Assalonne»). L'affermazione del v. 3 («Non c'è salvezza per lui in Dio») fa pensare al contenuto del discorso di Simei in 2 Sam 16, 8. Se Dio "solleva la testa" del salmista, è perché Davide saliva l'erta degli Ulivi piangendo e «con il capo coperto» (2 Sam 15, 30) 24. Ma 22
Cf. in questo senso Hossfeld e Zenger 1993a, p. 58; Seybold 1996, p. 36. Cf. Childs 1969. 24 Per altri accostamenti cf. Millard 1994, pp. 130-131; Auwers 2000, p. 138 (qui ulteriore bibliografia). 23
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questi accostamenti sono abbastanza generici: non sono sufficienti per stabilire che la rivolta di Assalonne sia il Sitz im Leben storico del Salò. Essa è il Sitz im Leben teologico. Cioè gli autori del salterio hanno praticato l'intertestualità, secondo le norme classiche dell'esegesi rabbinica. I titoli sono, per usare un'espressione di F.F. Bruce, «the earliest Old Testament interpretation» 25. Essi hanno interpretato il Sal 3 alla luce di 2 Sam 15-18. Tale contestualizzazione si allinea anzitutto con il Sali. "Davide" era stato presentato come l'unto di J H W H , contro cui si rivoltavano i "re della terra". Alla rivolta dei popoli si allinea ora la rivolta del figlio. Il Midrash Tehillim ha registrato questo accostamento. «Rabbi Jacob disse a nome di R. Aha: Perché il salmo su Gog e Magog {Sal 2) è posto vicino al salmo su Assalonne? Per dirti che un figlio malvagio è capace di più grande crudeltà nei confronti di suo padre che non le guerre di Gog e Magog» 26. La figura di Davide non è quella del re trionfante che spezza i popoli come i cocci del vasaio, ma quella di un perseguitato, attorniato da nemici più forti di lui. Era la situazione usuale degli oranti dei salmi che cercavano nella vita di Davide un elemento con cui identificarsi 27 . Nella prima raccolta, titoli storici ritornano ancora in Sally 1 e 9, 1. La traduzione è controversa, ma il riferimento alla rivolta di Assalonne sembra offrire la soluzione più verosimile. Sal 7, 1 («Di Davide, che lo cantò a J H W H in risposta alle parole di Kush, il beniaminita» 28) si rifà a 2 Sam 18, 21-32. Il titolo del Sal 9 («Per la morte del figlio» 29 ) evoca 2 Sam 18-19. Se il Sal 9 sottolinea la disfatta dei nemici, il Sal 1 evidenzia il fatto che questi nemici appartengono allo stesso popolo di Dio, contro i quali la vendetta è proibita. E notevole il tenore di 7, 4-6: «JHWH, mio Dio, se io ho fatto questo, se c'è colpa nelle mie mani,
25
Bruce 1972. Braude 1976 I, p. 50. 27 Sulla figura di Davide nei salmi cf. Kleer 1996; Auwers 2000, pp. 135-159; Luyten 1990; Ballhorn 1995; Cimosa 1995; A.M. Cooper 1983; Slomovich 1979; Mays 1986. 28 Per questa traduzione rinviamo a Barbiero 1999, p. 81. 29 Anche qui rinviamo a Barbiero 1999, p. 93. 26
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se ho restituito il male a colui che è alleato con me, e ingiustamente ho spogliato il mio avversario, il nemico mi insegua e mi raggiunga, calpesti a terra la mia vita, getti nella polvere il mio onore...». Il termine שולמי, lett. "l'uomo della mia pace", cioè colui a cui sono legato da un vincolo di alleanza, fa pensare a " אבשלוםil padre è pace". Assalonne era ad un tempo avversario di Davide ( )צורריe figlio suo: la vendetta nei suoi confronti va contro la legge naturale (cf. 2 Sam 14, 1-17) e contro la torah (cf. Lv 19, 18). Infatti Davide non si rallegrerà della morte del figlio (cf. 2 Sam 19, 1-7), diversamente dal Kushita, che era, appunto, uno straniero (cf. 2 Sam 18, 31-32). I nemici del salmista sono, dunque, del tipo di Assalonne: sono membri della stessa comunità, che hanno offeso l'orante.
LA PRIMA STROFA, W . 2 - 4
Dopo il prologo dei primi due salmi, incomincia col Sal 3 la preghiera vera e propria. Di fronte a nemici più grandi di lui, il salmista "si rifugia" in Dio (cf. Sai2,12). La prima strofa del Salò è indirizzata direttamente a lui. Nonostante il linguaggio convenzionale, traspare un grande abbandono in Dio. Veramente il salmo si rivela dialogo autentico con il tu divino. L'indicazione "( סלהpausa meditativa"?, v. 3b) divide la strofa nelle due parti: w. 2-3 e v. 4. Abbiamo notato come ambedue inizino con un'invocazione del nome divino J H W H (w. 2a e 4a), quasi che questa invocazione marchi le due tappe della preghiera: il "lamento" dei w. 2-3 («JHWH, quanti sono i miei oppressori...», v. 2a) e la "fiducia" del v. 4 («Ma tu, JHWH ...», v. 4a).
Lamento (vv. 2-3) Nella descrizione dei "nemici" viene sottolineato per ben tre voite il numero: רבים... רבים... מה רבו. Il lessema רבבritornerà al v. 7. L'orante si sente impari di fronte a un numero enorme di avversari, solo di fronte ad essi. E la solitudine del giusto, già notata per l'uomo del Sal 1 e per il re del Sal 2. Rashi intende il termine רבבin senso qualitativo, non quantitativo. «Sono i grandi in torah, i grandi in sapien-
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za, come Doeg e Achitòfel, i grandi in ricchezza, come Achitòfel e Saul, i grandi in statura come i figli di Orpah, i potenti giganti, tra i quali Golia» 30. Davide diventa così il modello dei "poveri di JHWH", che recitano i salmi. Effettivamente i רשעים, con cui il salmista si confronta (cf. v. 8) sono spesso dipinti come potenti e ricchi. I salmi sono la voce di una minoranza alternativa, senza importanza nella società. I sostantivi usati nel v. 2 conducono al linguaggio militare. צר deriva da צרר, che indica l'assedio di una città, perciò è !,"assalitore", e anche 1'"oppressore". צרהè ! , "angoscia", il sentirsi braccato, in trappola, senza via d'uscita. Come nota Keel, il termine dice pòco dell'identità dei nemici, esso esprime più gli effetti che costoro producono sull'animo del salmista31, nel nostro caso, appunto, l'angoscia. Al vocabolario militare appartiene anche il verbo קום, "solle־ varsi contro", e perciò "attaccare". Abbiamo notato come esso appaia in 2 Sam 18, 31-32 per designare la rivolta di Assalonne. E dunque possibile pensare a un re, e persino a Davide. Ma non è necessario. Perché il linguaggio della guerra può venir usato in forma metaforica per indicare, ad esempio, la lite giudiziaria, o anche, come suggerisce Gunkel, la malattia. Il salmo si presta a differenti letture. Non è chiaro se i "molti", di cui parla il v. 3, si riferiscano alle stesse persone a cui si riferivano i "molti" del v. 2. Potrebbe essere, nel qual caso la "guerra" si rivelerebbe essere fondamentalmente una guerra di parole, una disputa, o una querela giudiziaria. Potrebbe però trattarsi anche di un altro gruppo di persone, spettatori ad esempio o amici del salmista, che vedendolo attaccato dai nemici (o da qualche malattia inguaribile, nell'ipotesi di Gunkel), lo danno per spacciato. Se il v. 2 faceva pensare a violenza fisica, il v. 3 fa pensare piuttosto a violenza morale, a derisione, un elemento su cui il salmo ritornerà e che è per l'uomo mediterraneo particolarmente nevralgico. «Molti dicono all'anima mia...». נפשha il valore di un pronome personale, ma con un'accentuazione particolare di interiorità. C'è chi vorrebbe intendere la preposizione לnon come un dativo, ma con il senso di "riguardo a" («Molti dicono dell'anima mia»), perché la citazione che segue parla del salmista in terza persona («Non 30 31
Cf. Gruber 1998, p. 58. Keel 1969, pp. 98-99.
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c'è salvezza per lui ...»). Ma l'argomento non è stringente. Si può pensare all'eco che le parole degli amici suscitano nell'anima del saimista. Per un parallelo cf. Sai42, 4-5.11. Le parole feriscono l'orante nel profondo, nell'intimo della sua forza vitale ()נפש. «Non c'è salvezza per lui in Dio». Il termine "salvezza" ישועהè fondamentale nel salmo. Il lessema appare ancora al v. 8b, con evidente ripresa del v. 3 («Salvami, mio Dio!»), e al v. 9 («A J H W H appartiene la salvezza»). Esso è il fondamento teologico delle lamentazioni. La salvezza dell'uomo non è nelle sue mani, ma in quelle di Dio. Nel nostro salmo, nei tre casi, la salvezza è collegata con Dio. Prima o poi l'uomo fa esperienza che egli non risolve da solo i suoi problemi, che ha bisogno di essere salvato. Israele ha fatto questa esperienza nell'esodo. Nell'impossibilità umana di salvarsi, ha fatto esperienza che c'è Qualcuno che può salvare, che può tirar fuori da qualsiasi fossa, anche dalla morte. I salmi sono riattualizzazione di quest'esperienza. Come in Egitto, Israele grida e attende la risposta di Dio. A che tipo di salvezza il salmo si riferisca non è dato di sapere, e forse questo è voluto. Il termine ישעpuò riferirsi a un aiuto militare (caso tipico è Is 36, 15-20, l'invasione di Sennacherib), alla soluzione positiva di un processo in cui uno era stato ingiustamente accusato (si pensi alla storia di Susanna, oppure a Sap 2, 17-20), o anche alla guarigione da una malattia. Forse quest'ultimo caso è quello che più si adatta all'espressione: «Non c'è salvezza per lui in Dio». Gli amici darebbero il malato per spacciato, e attribuirebbero tale malattia a un castigo di Dio per chissà quali peccati commessi dal salmista (cf. Sal 41, 8-10). E la situazione del servo sofferente, di cui le genti, battendosi il petto, dicono: «Noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato» (Is 53, 4). C'è la tendenza, tra gli uomini, a proiettare sul piano divino la scala di valori umana, per cui uno che sta bene, che ha successo, è amico di Dio, i poveri diavoli che sono perdenti nella vita, i malati e i marginalizzati sono considerati ripudiati da lui. L'insinuazione dei nemici (o falsi amici che siano) ha due risvolti: uno oggettivo, per cui l'orante è dato per spacciato. «Non c'è salvezza per lui». Cioè: non c'è più niente da fare, è un caso perduto (è di Gabriel Marcel l'affermazione: «Amare è dire: tu non morirai»). Essa va anche contro la fede: l'esperienza dell'esodo insegna che per Dio non c'è nessun caso disperato. L'aitro risvolto è quello soggettivo, cioè quello di giudicarlo come un peccatore, reietto da Dio. «Non c'è salvezza per lui in Dio». Cioè,
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Dio non vuole più saperne di lui. Gli amici tentano di separarlo da Dio, come facevano le persone sotto la croce di Gesù (cf. Mt 27, 43: «Lo liberi ora, se gli vuol bene»).
Fiducia (v. 4) Attaccato dai nemici, tradito dagli amici, il salmista ricorre a Dio. ואתה יהרה. Il waw iniziale ha un senso chiaramente avversativo. J H W H non è come gli uomini, egli è dalla parte di coloro che sono oppressi e perduti (cf. Sal 34, 19). L'insinuazione degli amici tendeva a staccarlo da Dio, a convincerlo che Dio l'aveva abbandonato. Per tutta risposta l'orante si stringe a lui. Non gli interessa tanto o in primo luogo la salvezza, quanto invece il rapporto che lo lega a Dio. Il sentirsi unito a Dio gli ridona sicurezza. Si noti come l'uomo non faccia affidamento sulle proprie forze per superare la prova, ma si butti fiduciosamente tra le braccia di Dio. L'invocazione di Dio marca il passaggio dall'angoscia alla fiducia. La salvezza di Dio ha due dimensioni, che rispondono direttamente ai due pericoli messi in evidenza nei versetti seguenti: una dimensione oggettiva (v. 4a), in risposta agli attacchi "militari" dei nemici (v. 2), e una soggettiva (v. 4b), in risposta alla derisione degli "amici" (v. 3) (cf. tab. 24). Tabella 24 Nemici/,Amici v. 2 v. 3
Attacco militare Derisione
JHWH *־־־
v. 4a v. 4b
Scudo Onore
L'orante non è solo. Dio, che è con lui, è uno scudo che lo difende dagli strali dei nemici. E poiché i nemici non sono solo di fronte al salmista, ma attaccano anche alle spalle, proditoriamente, così egli ha bisogno di uno scudo che lo copra da tutte le parti. Se i nemici sono appostati «tutto attorno a me» (סביב, v. 7), Dio è scudo «intorno a me» (בעדי, v. 4a) (per una rappresentazione figurativa cf. fig. 5) 32. L'orante si trova letteralmente "in una botte di ferro", non 32 Da Keel 1984, p. 203, fig. 307.
Salmo 3
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ha più nulla da temere. L'immagine dello scudo viene usata già nell'oracolo di Ishtar di Arbela per Asarhaddon 33 (ha perciò una dimensione regale, confermata da Sal 18, 3.31), ma nella Bibbia appare anche in altri contesti: cf. Gn 15, 1 (Abramo); Dt 33, 29 (Israele); Sal 28,7; 119, 114. Più cocente della violenza fisica è quella morale, la derisione 34. Come J H W H rintuzza le frecce che vorrebbero colpire l'orante, così egli confonde le parole derisorie di quanti l'attorniano. Le due cose sono d'altronde correlate. In quanto Dio dà la vittoria al suo fedele, mostra che costui non è rigettato da Dio, ma è suo amico: «Tu sei il mio onore, colui che rialza la mia testa». "Camminare a testa alta" è, anche in Italia, l'atteggiamento di uno che è sicuro di sé e della considerazione (כבוד, lett.: "peso") che gode nella società. Nei salmi, l'espressione "alzare la testa" è frequentemente collegata a una vittoria sui nemici (cf. Sal 27, 6; 110, 7), ma non esclusivamente (cf. Sir 11,1).
LA SECONDA STROFA, W . 5 - 7
La seconda strofa non è invocazione, ma riflessione. Non è rivolta a Dio, ma o è un monologo, o, cosa forse più verosimile, un "racconto". L'orante racconta agli altri (il "popolo", di cui parla il v. 9) la
33 34
Cf. Keel 1984, p. 201. Cf. Coetzee 1999.
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sua esperienza di preghiera. Come la precedente, anche questa strofa è divisa in due parti dall'indicazione ( סלהv. 5b) e dalla ripresa del nome di J H W H (v. 6b). La prima parte è, dunque, il v. 5, la seconda i w. 6-7. Nella prima parte si racconta l'esperienza di preghiera, nella seconda l'atteggiamento di fiducia che da tale preghiera è sgorgato. Si riprende la stessa dinamica della strofa precedente, solo che là si sviluppava di più l'invocazione (w. 2-3), in questa si sottolinea maggiormente il conseguente atteggiamento di fiducia (w. 6-7).
L'esperienza della preghiera (v. 3) «La mia voce io grido a JHWH». Il verbo קראesprime il "grido" ad alta voce, l'"urlo" che esce da una situazione di disperazione (cf. Sal A, 2.4). Il fatto che sia rivolto a Dio indica la preghiera, il lamento o la protesta. La preghiera viene significativamente presentata come un dialogo, un "gridare" dell'uomo, e, dall'altra parte, un «rispondere» (ענה, v. 5b) di Dio. אקראè imperfetto. Lo traduciamo al presente ("io grido"), con riferimento al lamento che il salmista sta elevando a Dio (w. 2-4) e che sfocerà nella preghiera del v. 8. Sarebbe possibile intenderlo anche con riferimento al passato (imperfetto iterativo) e vedervi la somma delle esperienza passate e presenti dell'autore. Al grido del salmista, Dio risponde. Il Dio d'Israele non è un idolo muto: egli risponde all'invocazione dell'uomo. Abbiamo notato la difficoltà del wajjiqtol: ויענני. Nonostante l'asprezza della costruzione abbiamo optato per una resa letterale, perché una simile costruzione riappare al v. 8, e si comprende che la dissonanza è voluta. La preghiera è espressa al presente, la risposta al passato: «...ed egli mi ha risposto». E possibile che l'orante si riferisca alle sue esperienze passate di preghiera. «Egli mi ha risposto nel passato, mi risponderà ancora» 35 . Ma è più verosimile pensare a un "perfetto profetico", per cui il futuro viene posto al passato per esprimere la certezza del suo realizzarsi 36: «Sono così sicuro che egli mi risponderà, che è come se egli mi avesse già risposto». Nella preghiera il salmista acquista la certezza che Dio gli ha risposto 37 . Sal 22, 35 36 37
Così, ad es., Jacquet 1975-1979 I, p. 246. Cf. Joùon 1965, §112h (o anche §112f in nota: «perfectum confidentiae»). Cf. in questo senso Heller 1958, pp. 261-263.
Salmo 3
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22 presenta una simile costruzione. Il verso inizia con un imperativo, per trasformarsi improvvisamente in un perfetto: «Salvami ( )הושיעניdalla bocca del leone e dalle corna dei bufali: tu mi hai risposto (»)עניתני. E come se Dio avesse risposto prima ancora che il salmista elevasse la sua preghiera. La cosa trova riscontro in Is 65, 24: «Prima che mi invochino ()קרא, io risponderò ( ;)ענהmentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati» (trad. CEI). Il riscontro ci sembra preciso, e conferma la datazione postesilica del nostro salmo. La risposta di Dio viene מהר קדשו, «dal suo monte santo». L'espressione costituisce un chiaro legame con Sal 2, 6. Il riferimento qui è al tempio di Gerusalemme (cf. Sal 128, 5; 134, 3). Si è osservato che se J H W H risponde dal Sion, vuol dire che l'orante si trova fuori di esso, fuori di Gerusalemme 38 . Perciò è da escludere il riferimento a un'istituzione collegata con il tempio, come la risposta oracolare 39. La risposta di Dio non avviene attraverso l'oracolo di un sacerdote, ma attraverso una convinzione maturata nell'animo dell'orante durante la preghiera. L'orante si rivolge al tempio, perché quello è il luogo della presenza di Dio, ma non sta in esso.
Non ho paura (vv. 6-7) Il v. 6 viene interpretato spesso in forma istituzionale, come incubazione 40, sogno rivelatore 41 o ordalia 42. Dal momento che l'orante non si trova al tempio, simili interpretazioni sono da escludere. Rimane qualcosa di molto più ordinario, legato all'esperienza di ogni giorno. «Io mi sono coricato e mi sono addormentato, mi sono svegliato, perché J H W H mi sostiene». Il tempo perfetto allinea le affermazioni al ויענניdel v. 5. La risposta di J H W H ha dato all'orante la certezza che Dio è con lui, l'ha rassicurato, l'ha tranquillizzato. Segno di questa tranquilla certezza è il sonno. שכבתי ואישנה: i due perfetti uniti attraverso il wajjiqtol esprimono la successione immediata delle due azioni: «Appena mi sono coricato, ho preso
38 39 40 41 42
Così, giustamente, Hossfeld e Zenger 1993a, p. 55. Contro Keel 1969, p. 168; Ravasi 19811, p. 120. Così Ravasi 1981 7, pp. 116-117. Cf. Ch. Schroeder 2000. Cf. van der Toorn, 1988.
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sonno». Il salmo seguente esprime la stessa esperienza: «In pace mi corico e subito mi addormento, poiché tu solo, JHWH, al sicuro mi fai riposare». Si noti però la differenza dei tempi: 4, 9 ha l'imperfetto ()אשכבה ואישן, mentre 3, 6 ha il perfetto ()שכבתי ואישנה, il che vuol dire, contro la tesi di Schroeder 43 , che, mentre il Sal 4 è preghiera della sera, il Sal 3 è preghiera del mattino: l'orante ha dietro a sé sia il coricarsi ()שכבתי, sia il sonno ()ואישנה, sia il risveglio ()הקיצותי. Il sonno ha sempre in sé qualcosa che assomiglia alla morte. Per dormire bene bisogna rilassarsi, abbandonarsi, aver fiducia che ci sarà un risveglio. Lifschitz riporta alcune saporose citazioni cassidiche: «Diceva Rabbi Sussija: "Anche il dormire ha il suo scopo. L'uomo che desidera progredire nel servizio di Dio, di santità in santità, di mondo in mondo, se vuol ricevere uno spirito nuovo, deve prima mettere da parte le sue preoccupazioni per la vita. Sta lì il segreto del dormire. Sì, anche il dormire ha la sua funzione! ". Il Rav di Leipnik, un Mitnaged, nemico della vita chassidica, chiese al giovane Yud, di cui ammirava l'erudizione: "Ma che vai a cercare dal Rabbi di Lublino, che cosa vuoi imparare da lui?". "Se non altro", rispose Yud, "una cosa ho imparato da lui, dal mio santo rabbi: quando mi corico, mi addormento all'istante". Rabbi Nachman: "Una persona che non può dormire dovrebbe chiedersi se veramente crede nella resurrezione dei morti"»44. Durante il sonno, l'uomo non può fare niente: solo Dio può operare qualcosa per lui (cf. Sal 127, 2). L'abbandonarsi al sonno è perciò abbandonarsi a Dio, rinunciare a risolvere i problemi con le proprie forze. «Mi sono svegliato perché J H W H mi sostiene». Se il sonno è immagine della morte, il risveglio è immagine della resurrezione. In effetti tutti i termini che parlano di "risurrezione" usano l'immagine del "risveglio". Forse la quotidianità di questa esperienza ha fatto perdere la meraviglia di fronte ad essa. In realtà ogni risveglio avviene «perché J H W H mi sostiene». Come la "resurrezione", ogni nuovo risveglio è un miracolo. E Dio che, al mattino, ha fatto alzare il salmista, come è stato lui a «sollevare» il suo capo (v. 4). Naturalmente, la tradizione cristiana ha letto queste parole alla luce del-
43 44
Ch. Schroeder 2000, secondo cui Sal 3, 6 parla di un sogno notturno. Da Lifschitz 1990b, pp. 41-42.
Salmo 3
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la resurrezione di Cristo: anch'essa è avvenuta "al mattino", al momento del sorger del sole45. Sullo sfondo, si percepisce la simbologia del mattino diffusa presso tutte le religioni orientali e testimoniata nell'AT. La notte è simbolo della morte e del male. Il sorgere del "sole di giustizia" è la vittoria della luce sulle tenebre, del bene sul male. Per l'AT si vedano testi come Gb 38, 12-15: «Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora, perché essa afferri i lembi della terra e ne scuota i malvagi?... E sottratta ai malvagi la loro luce ed è spezzato il braccio che si alza a colpire». Che di cambiamento interiore si tratti, risulta chiaro dal v. 7: «Non ho paura delle miriadi di gente, che tutt'intorno contro di me si sono schierate». La situazione esterna è la stessa che era stata descritta ai w. 2-3, solo che ora il salmista non ha più paura: לא אירא. Il legame con i w. 2-3 è assicurato dalla ripresa dei due lessemi: רבב (w. 2.3.7a) e ( עליw. 2b.7b). Siamo nuovamente nella metafora della guerra, a cui si riferisce anche il termine עם, "popolo in armi", come in Salii, 3 (cf. anche Sal 18, 44; Nrn 20, 20). L'espressione «che tutt'intorno contro di me si sono schierate» fa pensare a una città assediata da un esercito. Keel ricorda come l'invito a "non temere" sia un elemento fondamentale della "guerra santa" (cf. Es 14, 1013)46. Effettivamente, spesso l'intervento salvifico di Dio nella guerra santa avviene al mattino (così il miracolo del Mar Rosso, Es 14, 27; la liberazione di Gerusalemme dall'esercito di Sennacherib, Is 37, 36; cf. Sal 46, 6). E dunque possibile che l'autore si ispiri a queste rappresentazioni. Ciò avviene però a livello di "preistoria" del salmo: nel testo attuale non è presente alcun "oracolo di salvezza". Le immagini e la teologia della guerra santa sono trasferite a livello individuale, applicate al caso del salmista.
45 Cf. Clemente Romano, Ad Cor. 26, 2 (1998, pp. 306-309); Giustino, ApoL, I 38,5 (1994, p. 86). 46 Keel 1969. Tale invito fa parte dell'"oracolo di salvezza", testimoniato frequentemente nell'AT (cf. ad es. Is 7, 4; 37, 6-7) e diffuso nella letteratura dell'Antico Oriente (si veda, ad esempio, l'oracolo di Ishtar ad Asarhaddon o la Stele di Zachir).
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II regnodi'JHWH e del suo Messia LA TERZA STROFA, W . 8 - 9
Come le due strofe precedenti, anche la terza si compone di due parti, che iniziano con la menzione del tetragramma: ( קומה יהרהv. 8a); ( ליהוה הישועהv. 9a). Solo la collocazione della סלהal termine del v. 9 sembra fuori posto, a meno che non si pensi alla recitazione continua dei salmi. Si sa, ad ogni modo, che il significato e la funzione del termine sono oscuri. La seconda parte, che nelle prime due strofe è caratterizzata dalla fiducia, nella quarta è caratterizzata dal ringraziamento, o dal riconoscimento. Se la vittoria ( )הישועהè attribuita a JHWH, vuol dire che essa è già avvenuta. Nella strofa precedente, il salmista la aspettava con fiducia (v. 7): in questa, ringrazia Dio per averla ottenuta (v. 9a). La salvezza di Dio (v. 8) La presenza del pericolo, evocata al v. 7, suscita nuovamente la richiesta di venirne liberato. Il passaggio dal v. 7 al v. 8 è simile a quello dai w. 2-3 al v. 4: dopo la rappresentazione dei nemici, l'orante si rivolge a Dio. Dal lamento (w. 2-3) e dall'atteggiamento di fiducia (w. 4-7), ora si passa direttamente all'invocazione. Il "grido", preannunciato al v. 5, viene ora formulato. «Alzati, JHWH». Si è visto come il verbo קוםstabilisca un legame con il v. 2, all'inizio della prima strofa. Là "si alzavano" ( )קמיםi nemici contro il salmista, qui egli prega che "si alzi" J H W H in suo aiuto. Il termine ha dunque un chiaro significato militare. Ed effettivamente i paralleli riportano all'ideologia della guerra santa, in continuazione con le metafore del v. 7. Il luogo classico dell'espressione קומה יהוהè Nm 10, 35: «Quando partiva l'arca, Mosè diceva: "Sorgi, Signore, siano dispersi i tuoi nemici, fuggano davanti a te quelli che ti odiano"». Si sa che l'arca era il palladio di Israele, aveva un ruolo fondamentale nella guerra santa. Commenta Ravasi: «La sofferenza e la lotta di Israele sono trasferite ora in quella del giusto, e viceversa, secondo un'oscillazione della preghiera biblica che non è mai questione solo personale e privata» 47 . 47
Ravasi 1981 7, pp. 121-122.
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Salmo 3
Nel primo libro del salterio, l'espressione קומה יהרהsi concentra nella prima raccolta. La troviamo ancora in Sal 7, 7; 9, 20; 10, 12. Soprattutto interessante è il riscontro con 7, 7, il salmo che conclude la serie delle lamentazioni 3-7, e che perciò strutturalmente corrisponde al Sal 3. «Alzati, JHWH, nella tua ira, levati contro il furore dei miei nemici, e svegliati in mio soccorso». L'accostamento di קוםcon עור, "svegliarsi", in 7, 7, fa percepire anche in 3, 8 il legame con il tema del mattino, proposto al v. 6. I due elementi, aiuto al mattino e guerra santa, non sono alternativi, ma vanno insieme, come fa comprendere Sal 78, 65-66: «Ma poi il Signore si destò come da un sonno, come un prode assopìto dal vino. Colpì alle spalle i suoi nemici, inflisse loro una vergogna eterna». Sembra talora che il Signore stia dormendo, e la preghiera ha appunto la funzione di "svegliare" il guerriero assopito: «Alzati, JHWH». Anche l'invocazione che segue: «Salvami, mio Dio», è un chiaro rimando alla prima strofa. All'insinuazione dei nemici (o falsi amici): «Non c'è salvezza per lui in Dio» (v. 3), risponde ora il saimista, riprendendo esattamente le loro parole e invertendone il segno (cf. tab. 25). I suoi nemici lo davano per spacciato, senza possibilità di saivezza («Non c'è salvezza per lui...»). Ma lui non si lascia scoraggiare, crede che la salvezza sia possibile, e la chiede a Dio («Salvami, ...»). I suoi nemici insinuavano che Dio non voleva saperne di lui, che l'aveva rigettato («... in Dio»). Egli risponde stringendosi a Dio, rivendicando la sua unione a Lui («... mio Dio»). ì<
Tabella 25
V׳,
v. 3 v. 8
באלהים אלהי
אץ ישועתה לו הושיעני
Al v. 8c abbiamo un improvviso cambio di tempo, come al v. 5b: dall'imperativo al perfetto. Se ויענניalludeva ad un procedimento interiore al salmista, ad una consapevolezza di una risposta divina, ora tale risposta si fa concreta, diventa azione liberatrice: כי הכית. Anche qui sarebbe possibile intendere il qatal in riferimento al passato: al-
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lora il כיavrebbe un significato causale. «Salvami, poiché tu hai (nel passato, tante volte) colpito i miei nemici». Sembra però preferibile leggervi un riferimento al presente 48 . Il ringraziamento che segue (v. 9) suppone infatti che il salmista abbia fatto esperienza di salvezza. In tal caso il כיassume un valore deittico: «Salvami! Davvero tu hai colpito i miei nemici». Abbiamo indicato il parallelo del Salmo 22. AlT^mr del v. 22, segue, nei w. 23-32, Fazione di grazia: «Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli». Analogamente, nel Sal 3, il "ringraziamento" del v. 9a, suppone che al v. 8cd venga raccontato l'evento attuale della salvezza. Forse si può pensare, ancora, al "passato profetico", per cui viene dato per già avvenuto un evento futuro di cui si è sicuri della realizzazione. Si tratterebbe di una convinzione che si è fatta strada nella coscienza del salmista durante la preghiera. E.K. Kim preferisce vedere nella tradizione della guerra santa il Sitz im Leben originale di questo improvviso "cambio di umore" (shift of mood)49. Effettivamente nella guerra santa alla תרועה, il "grido di guerra", seguiva immediatamente ! , intervento liberatore di Dio. In Nm 10, 35, all'invocazione: «Sorgi JHWH», segue la disfatta dell'esercito avversario: «... e siano dispersi i tuoi nemici». Weiser, dal canto suo, pensa alPattualizzazione cultuale, per cui nella liturgia la storia della salvezza si renderebbe presente 50. Per tale attualizzazione non è necessario pensare al tempio: essa sarebbe pòtuta avvenire anche nella liturgia sinagogale. «Tu hai colpito sulla guancia tutti i miei nemici». Il colpo sulla guancia è, sì, offesa fisica, come il seguito fa capire («tu hai spezzato i denti»), ma soprattutto offesa morale, umiliazione (cf. 1 Re 22, 24; Gb 16, 10; Mi 4, 14; Lam 3, 30; per il NT cf. Mt 5, 39; Gv 18, 22). In questo senso si ha un contrappasso allo scherno con cui i nemici trattavano il salmista (cf. v. 3). Il tema deH'"onore", sottolineato al v. 4b, è fondamentale nella mentalità semitica. Già nella legislazione mesopotamica, ma anche nella tradizione rabbinica e ancora nei costumi arabi attuali, è peggio dare un ceffone a una persona che colpirlo con la spada, perché «il ferimento con la spada esalta la
48 Così anche Calvino: «Bifariam exponi potest: vel ut precando in memoriam revocet superiores victorias, vel ut Dei auxilium expertus et potitus suo voto, gratiarum actionem subjungat, in quam sententiam libenter inclino» (citazione in Kraus 1978, p. 164). Kim 1999. 50 Weiser 1966, p. 80.
Salmo 3
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dignità di un uomo, mentre percuoterlo sulla guancia lo umilia»51. Con la parola "tutti" (8c) l'autore riprende la dimensione della "quantità" dei nemici, sottolineata dal termine רבבai w. 2.3.7. «A miriadi» si accampano i nemici contro il salmista, ebbene «tutti», senza eccezione, li umilia JHWH. Come nota N. Sarna, l'autore ha abbandonato ora la metafora bellica (i ceffoni non si danno in battaglia!) per usare un linguaggio giuridico (Gesù ha ricevuto lo schiaffo in tribunale). L'"umiliazione" dei nemici avviene con la saivezza del salmista, che essi davano per spacciato al v. 3. In questo, Dio si rivela veramente il suo "onore". Ad un significato metaforico invita anche l'altra espressione: «ai malvagi hai rotto i denti». Si noti anzitutto l'allitterazione sul suono ש: שני רשעים שברת. L'immagine è presa probabilmente dal mondo della caccia. Agli animali feroci che venivano catturati venivano spezzati i denti per renderli innocui. Ma nell'AT quest'immagine viene usata spesso in senso giuridico. La bocca viene considerata come strumento di violenza: coloro che accusano ingiustamente sono paragonati a bestie feroci che con i loro denti azzannano gli indifesi, e spezzare i denti a costoro vuol dire confondere le loro accuse. Si veda in questo senso Gb 29, 16-17, dove Giobbe si gloria: «Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto; rompevo la mascella al perverso e dai suoi denti strappavo la preda». Allo stesso ambito giudiziario conduce Sal 7,8ל,dove a spezzare i denti ai giudici corrotti è Dio stesso, come nel nostro salmo 52 . Probabilmente il riferimento è di nuovo alle parole dei nemici/amici nel v. 3. ì In parallelo con i "nemici" ()איבים, vengono posti ora i רשעים. Dal piano dell'inimicizia personale si passa all'inimicizia con Dio. רשעים è qualifica più generale e più radicale: è gente asociale, che opprime gli uomini e vive come se Dio non esistesse (cf. Sal 10, 1-11)53. Nella serie dei Salmi 3-7 il termine רשעיםricorre solo qui e nel Sal 7,10, agli estremi della serie. Forse però è percepibile nel nostro caso an-
51 52 53
Cf. Sarna 1992. Per un preciso parallelo accadico cf. Sarna 1992, p. 180. Cf. Keel 1969.
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che il significato originario, giuridico, del termine ("colui che ha torto") 54 . Il passaggio dalla metafora militare dei w. 78־b a quella giuridica del v. 8cd conferma l'impossibilità di restringere a un'unica concreta situazione il salmo. Esso è aperto a una pluralità di interpretazioni, in maniera da poter essere fatto proprio da una molteplicità di oranti, secondo le varie situazioni di oppressione in cui essi si trovano. Ringraziamento (v. 9) L'ultimo verso ha carattere conclusivo. Lo dice sia il cambio di discorso (indiretto in 9a, diretto in 9b), che riflette quello che avviene lungo tutto il salmo, sia il suo carattere "retrospettivo". I legami con ciò che precede sono molteplici. «A J H W H appartiene la salvezza». Lo stico è in terza persona: come nei w. 5-6 l'orante ora riflette sulla sua esperienza di preghiera. Il tema della salvezza è Leitmotiv nel salmo. Messa in dubbio dai nemici («Non c'è salvezza per lui in Dio», v. 3), invocata per tutta risposta dall'orante («Salvami, mio Dio», v. 8), ora che costui è stato beneficiato, riconosce che l'autore di questa salvezza è Dio («A J H W H appartiene la salvezza»). Il riconoscimento ha il carattere di un ringraziamento, ed è tipico delle lamentazioni 55 , come lo è, nei racconti di guarigione del Vangelo, l'"eco" che il miracolo suscita nel popolo. Il racconto della guarigione dei dieci lebbrosi {Le 17, 11-19) fa comprendere come la vera "salvezza" non consista propriamente nella liberazione materiale, ma nel riconoscimento che questa liberazione proviene da Dio. L'affermazione va al di là del caso del salmista, acquista un carattere universale. Non solo "questa salvezza", ma "la salvezza" appartiene a JHWH. Il che vuol dire che J H W H è un Dio che salva, che può liberare da qualsiasi situazione di oppressione e di prigionia, come Israele tante volte ha provato nella sua storia. E che solo lui salva, la salvezza appartiene a lui e a nessun altro: nessun uomo può salvare un altro uomo, nessuno può salvare se stesso.
54
Così Seybold 1996, p. 36, e, naturalmente, tutti quelli che ritengono il tribunale come il Sitz im Leben originario del salmo. 55 Cf. Westermann 1977.
Salmo 3
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Dopo aver guardato a Dio, lo sguardo del salmista si porta sulla comunità che lo attornia. Al movimento ascendente della lode («a JHWH»), corrisponde quello discendente della benedizione («sul tuo popolo»). Weiser nota che il passaggio al collettivo denota il Sitz im Leben cultuale della preghiera 56 . E possibile: si può pensare a piccole comunità di preghiera, come suggerisce Gerstenberger. Effettivamente, anche nella seconda strofa si suppone un uditorio a cui il salmista racconta la propria esperienza di salvezza, sicché non è necessario pensare a un'aggiunta redazionale. Si è visto che il termine di; è ripreso dal v. 7 e la preposizione bv si collega con i w. 2 e 7. In ambedue i casi si ribalta la situazione precedente: il "popolo" prima era quello dei nemici, ora è quello di Dio (!־or); prima la preposizione by esprimeva l'opposizione ("contro"), ora esprime il favore ("su"). Il salmista, che all'inizio era attorniato dai nemici, si trova alla fine attorniato dal «popolo di Dio», su cui egli invoca la stessa benedizione che è scesa su di lui. Nei salmi, il singolo individuo non è mai separabile dal suo popolo.
IL LEGAME DEL SALMO 3 CON IL PROLOGO DEL SALTERIO
Ciò che unisce i primi tre salmi è anzitutto la lotta, il contrasto. Il Salmo 1 presenta il contrasto tra il giusto e i רשעים, il Salmo 2 descrive la lotta tra Dio e il suo Messia da una parte e i re della terra dall'altra, il Salmo 3 ritorna alla prospettiva individuale del Salmo 1. I nemici del salmista sembrano essere, qui, nemici individuali, anche se sono numerosi e se il contrasto viene rappresentato come una guerra, analogamente al Sali (cf. 3,7: ;שתו על2,2 על. ..)יתיצבו. L'orante del Sal 3 da una parte ha i tratti del giusto del Sal 1, dall'altra ha tratti regali che lo identificano con il Messia del Sali. Diversi autori, anche recenti 57 , pensano che a parlare nel Sal 3 sia un re. D'aitronde, a livello di testo canonico, il titolo del salmo lo attribuisce esplicitamente a Davide (3,1). Solo che, come notava già il Midrash, nel Sal 2 il Messia è in lotta contro i re della terra, contro i popoli pagani, mentre nel Sal 3 il nemico di "Davide" è suo figlio Assalonne (v. 1). Come i רשעיםdel Sal 1, anche i "nemici" del Salò sono pròbabilmente all'interno del popolo. 56 57
Weiser 1966, p. 80. Cf. sopra, nota 7.
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II regno di' JHWH e del suo Messia
Immediatamente, il Sal 3 è introdotto dalla finale del Sal 2: «Beati tutti quelli che si rifugiano in J H W H » (2, 12). Ciò che fa l'orante del Sal 3 è appunto "rifugiarsi in J H W H " di fronte all'assalto dei suoi nemici. A questo "rifugiarsi in J H W H " sembra far riferimento l'insinuazione degli avversari: «Non c'è salvezza per lui in Dio» (3,3). Essi vorrebbero togliere al povero la sua unica risorsa: la preghiera. Un altro chiaro legame tra il Sal 3 e il Sal 2 è il termine "monte santo", che ricorre in 2, 6 e 3, 5: ambedue si riferiscono al tempio come al luogo della presenza di Dio. Nel Sal 1 viene detto che il giusto mormora la legge di Dio "giorno e notte", יומם ולילה. Ora i Salmi 3-7 presentano un caratteristico alternarsi tra "giorno" e "notte". Il Sal 3 è, l'abbiamo visto, un tipico salmo del mattino, mentre il Sal 4 è un salmo della sera (nella liturgia delle ore, esso viene recitato alla Compieta della domenica). Di nuovo il Sal 5 è salmo del mattino (cf. v. 4), mentre il Sal 6 è salmo della sera (cf. v. 7), e il Sali è nuovamente ambientato al mattino ( 7,7, ק ו מ היהרה, è topos dell'aiuto di Dio al mattino, cf. 3, 8). L recita dei salmi è dunque realmente un mormorare la torah divina "giorno e notte". Forse è possibile cogliere in questa stessa supplica,,3,קומהיהוה 8, un richiamo a 1,5: «Non si alzeranno ( )לא יקומוgli empi nel giùdizio». L'alzarsi al mattino ( 6,3,)הקיצותיè, infatti, simbolo di resurrezione.
SALMO 8
TRADUZIONE
1. Per il maestro del coro. Alla maniera ghittita. Un salmo. Di Davide. 2. JHWH, signore nostro, com'è possente il tuo nome su tutta la terra, tu, che della tua maestà hai rivestito i cieli. 3. Con la bocca di bimbi e lattanti hai eretto un baluardo a causa dei tuoi avversari: per far scomparire nemico e vendicatore. 4. Se vedo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e. le stelle che tu hai fissate, 5. che cos'è un uomo, perché te ne ricordi, un figlio d'uomo, perché te ne prenda cura? 6. Tu l'hai fatto di poco più piccolo di Dio, di gloria e splendore l'hai coronato; 7. l'hai posto a governare le opere delle tue mani, tutto hai messo sotto i suoi piedi: 8. tutte le pecore e i buoi, e anche gli animali selvaggi, 9. gli uccelli del cielo e i pesci del mare, quanto percorre le vie del mare. 10. JHWH, signore nostro, com'è possente il tuo nome su tutta la terra!
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II regnodi'JHWH e del suo Messia CRITICA TESTUALE
Verso 1 Il titolo porta alcune annotazioni, il cui senso non è chiaro. A parte "( מזמורcanto con accompagnamento musicale") e "( לדודdi/per Davide"), per le altre espressioni G offre una traduzione singolare. Così למנצח, che usualmente viene interpretato come annotazione musicale ("per il capocoro"), viene reso da G: eie TÒ τέλος, "per la fine", sottolineando la dimensione escatologica del salterio. על הכתית, che generalmente viene inteso in connessione con la città di Gat ("su un'aria ghittita", oppure "suonato con un particolare strumento pròveniente da Gat"), viene inteso irrrèp των ληνών, "sui torchi", intendendo גתcome nome comune (= "torchio"). Si tratterebbe forse di un "canto di vendemmia", un tempo particolarmente gioioso (cf. ancora Sal 81, 1; 84, 1). Verso 2 אשר תנה. Ci troviamo davanti a una crux interpretum, oggetto di numerose proposte interpretative 1. TM è imperativo di נתן, ma una tale costruzione è resa impossibile dalla particella relativa, per cui bisognerebbe eliminare 1'«( אשרdona [cioè, poni] la tua magnificenza sui cieli»). Il senso è poco soddisfacente, né giova intendere, in luogo di un imperativo, un infinito costrutto 2 . G ha un passivo: δτι έπήρθη ή μεγαλοπρέπεια σου («poiché la tua magnificenza è eievata», cf. Vg quoniam elevata est magnificentia tua). S cambia Timperativo in un perfetto: djhbt, così anche il Targum, Simmaco (oc 6ταξαe, «tu, che hai ordinato»), e la versione iuxta Hebraeos (quiposuisti gloriam tuam). Tra le congetture, la più frequentemente adottata è quella di Duhm: «( אשירה נהio voglio cantare») 3 . Dahood pròpone di leggere: 'sàrtannàh «I will adore», proponendo una derivazione dal verbo שרת, "servire" 4. Altri ricorrono a un supposto verbo תנה, forma aramaizzante di שנה, "ripetere, raccontare, cantare". Preferiamo seguire le versioni antiche, leggendo נתתanziché
1 2 3 4
Per una rassegna cf. HALAT, 1620-1621; Ravasi 1997, pp. 290-291. Secondo la proposta di Baethgen 1892, p. 167. Duhm 1922, pp. 34-35. Dahood 1965-19791, p. 49.
Salmo 3
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5
ת נ ה. È possibile che l'imperativo, se non è dovuto a un errore dei copisti, sia il frutto di un intervento redazionale mirante a trasformare una constatazione ()נתת, contraddetta magari dalla realtà, in una preghiera ()תנה. Verso 3 Il termine ebraico עזsignifica usualmente "forza", ma anche, in senso concreto, "fortezza, baluardo", significato qui raccomandato dal verbo יסד, "porre le fondamenta". G ha αίνον, "lode", seguito da Vg {perfecisti laudem) e da Mt 21, 16, ma è chiaramente lectio facilior. Verso 6 G, seguito da Eb 2,7 legge: ήλάττωσας αυτόν βραχύ τι παρ' αγγέλους. Esso intende anzitutto " מעטpoco" in senso temporale ("per un po' di tempo"). Se per G questo significato non è del tutto chiaro, l'interpretazione temporale di Eb 2, 7 è fuori dubbio. In secondo luogo, i due testi traducono TM אלהיםcon "angeli". Nell'AT il termine אלהיםnon ha mai questo senso: per indicare gli esseri che compongono la corte celeste si usa il termine ( בני אלהיםcf. Gb 1, 6; 2, 1; Gn 6, 1-4; Sal 29, 1; 89, 7). Nei salmi, quando si nomina אלהיםsi intende usualmente 6 non uno dei tanti dèi di un eventuale pantheon, ma l'unico Dio di Israele e del mondo, per cui anche la traduzione "un dio" (così, ad esempio, Alonso Schòkel e, ultimamente, Perlitt )יnon fa giustizia a TM. Con Rinaldi 8 e Festorazzi 9, traduciamo "Dio" con la maiuscola (così, del resto, già Aquila, Simmaco, Teodozione e Vg). C'è, inoltre, da far attenzione al tempo dei verbi. In 6a ותחסרהוè un wajjiqtol dopo un imperfetto (v. 5), che è fenomeno piuttosto singolare, ed esprime consequenzialità 10, forse con una sfumatura 5
Cf. Delitzsch 1984, pp. 108-109. Esiste un caso, certo significativo, in cui il re messianico viene chiamato אלהים, in senso di "essere divino" (Sal 45, 7, cf. anche Is 9, 5: )אל גבור, ma si tratta di un caso isolato di fronte a centinaia di testi in altro senso. 7 Perlitt 1995, pp. 67-80. 8 Rinaldi 1981. 9 Festorazzi 1965, pp. 91-94. 10 Cf. Talstra 1996, pp. 14-19. Talstra però sottolinea troppo la consequenzialità, giungendo alla seguente traduzione: «What is a man, that you should notice him, / / a human, that you should pay attention to him? / That you even placed him little below gods / / with honour / splendor would crown him? / Yet you make him rule the works 6
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
di "spiegazione", cioè l'autore spiega qui il senso del «prendersi cura» al v. 5b 11 .1 due imperfetti che seguono (תעטרהו, v. 6b;תמשילהו, v. 7 a) hanno valore di qatal12. Forse la forma jiqtol è stata preferita per ragioni fonetiche, per concordare i due verbi con il wajjiqtol iniziale del v. 6 ()ותחסרהו. Effettivamente alla fine del v. 7 l'autore ritorna al perfetto ()שתה: il riferimento è al momento della creazione. G ha tutti i verbi dei w. 6-7 all'aoristo.
GENERE LETTERARIO E SITZ IM LEBEN
Il Salmo 8 viene considerato generalmente un "inno" 13. Come tale lo classifica anzitutto la cornice dei w. 2 e 10, in cui il salmista non guarda alle proprie necessità, ma loda semplicemente Dio per la sua grandezza. Anche l'indirizzo plurale {'6nostro Dio") lo distingue dalle lamentazioni che precedono, caratterizzate dall'"io" del salmista. A differenza dal Sal 9, il Sal 8 non è un canto di ringraziamento: il salmista non ringrazia Dio per qualche beneficio particolare, lo loda per se stesso, per il suo agire "ordinario" nella creazione 14. Non si tratta però di una forma "pura". Al v. 4 il salmista parla in prima persona singolare, e il discorso, qui iniziato, va fino al v. 9. Ora il discorso in prima persona singolare non è tipico dell'inno, che è composizione destinata ad essere cantata nelle feste di Israele. Esso appartiene piuttosto all'ambiente sapienziale15, a cui d'altra parte anche la domanda retorica del v. 5 e l'interesse per le specie animali ai w. 8-9 fa pensare. In fondo è un'"antropologia" che qui viene tracciata, un argomento tipicamente sapienziale. Non a caso il salmo viene ripreso da Giobbe (cf. Gb 7, 17-18). Anche la menzione del "nemico e vendicatore" al v. 3 non è tipica dell'inno, ma delle lamentazioni. Come inno, il Sal 8 avrebbe il suo Sitz im Leben al tempio, nella liturgia festiva. Si pensa generalmente ad una liturgia notturna (si
of your hands...» (p. 19). Ma, mentre le due preposizioni del v. 5 sono introdotte da D, questo non è il caso per le due del v. 6, che pertanto non vanno messe sullo stesso piano delle precedenti, 11 Cf.Joùon 1965, § 118j. 12 Cf.Joùon 1965, § 113h. 13 Cf. Gunkel 1985, p. 32; Castellino 1955, pp. 446-449. 14 Cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 77. Cf. Zenger 1981, qui 143, nota 8; W.H. Schmidt 1969, p. 2. ,
Salmo 3
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parla soltanto della luna e delle stelle, cf. v. 4, il sole non viene nominato), e ad un alternarsi tra "coro" (i w. 1-3 e 10) e "solista" (i w. 4-9). Ad un'esecuzione musicale fanno pensare anche le indicazioni del titolo. Ma la cosa non è così sicura. Stolz classifica il Sal 8 tra i "salmi postcultici" 16. Gerstenberger 17 e Albertz 18 pensano, come già accennato a rispetto del Salò, alla liturgia sinagogale o "protosi־ nagogale" in piccole comunità, il che sembra più verosimile dell'ambientazione al tempio. Prinsloo mette però in guardia dall'interpretare il salmo secondo schemi prefabbricati, che rischiano di falsarne la comprensione 19 . Anche se fondamentalmente si tratta di un inno, il Sal 8 ha dei caratteri particolari che vanno rispettati, e non sacrificati sull'altare del "genere letterario". Quanto all'epoca della composizione, ci sono degli agganci letterari evidenti. Anzitutto Gn 1, 26-28. Il racconto sacerdotale della creazione costituisce lo sfondo dei w. 6-9, e quindi rappresenta un terminus a quo per la composizione 20 . Il salmo non è preesilico. Come terminus ante quem va ricordato Gbl, 17-18, che certamente è posteriore al Sal 8, di cui fa la caricatura. Secondo Deissler colui che ha composto il Sal 8 è «un uomo del postesilio, vicino alla cosiddetta "sapienza teologica" e allo stesso tempo alla teologia sacerdotale» 21 . Generalmente si propende per il periodo persiano (V sec.)22.
LA QUESTIONE DELL'UNITÀ
Generalmente il salmo veniva considerato unitariamente 23 , ma ultimamente si moltiplicano le voci che ne considerano la composizione come secondaria, redazionale. Ciò che fa difficoltà è comprendere il rapporto che unisce la prima parte del salmo, i w. 2-3, con la seconda, w. 4-10. La prima parte è al plurale, la seconda al singolare. 16 17 18
Stolz 1983. Gerstenberger 1988, pp. 67-72 ("Hymn of a synagogal community"). Albertz 1992, p. 558, nota 14 ("Gemeindeloblied"). Così anche Irsigler 1997,
p. 36. 19
Prinsloo 1995a, pp. 371-377. Anche se alcuni autori propendono ultimamente per un'autonomia del Sal 8 a riguardo di Gn 1, 26-28: si tratterebbe di una comune dipendenza da tradizioni legate all'ideologia regale, cf. Irsigler 1997, p. 31. 21 Deissler 1961, p. 49. 22 Cf. Tournay 1971, p. 30, nota 58; Irsigler 1997, p. 37. 23 Cf., ad esempio, Kraus 1978, pp. 204-206; Steck 1981. 20
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La seconda parte parla della creazione, la prima sembra invece alludere a conflitti tra gruppi sociali ("nemico", "vendicatore", v. 3b). W. Beyerlin ritiene il salmo composizione unitaria, ma, a livello di "critica della tradizione" (IJberUeferungsgeschichte), distingue tre segmenti: i w. 2b-3 sarebbero esilici, rifletterebbero l'esperienza di umiliazione dell'esilio; i w. 4-9 sarebbero postesilici e rifletterebbero un ambiente sapienziale; i w. 2a e 10 sarebbero la parte più tardiva del salmo, mirante a fondere le due precedenti tradizioni in unità 24 . Da un punto di vista della critica letteraria, ci sono diverse proposte che descrivono l'unità del salmo come redazione di più parti originariamente indipendenti. Zenger, ad esempio, riscontra due strati redazionali: una "preghiera sapienziale", ai w. 2a.4-10 (primo postesilio), e un'amplificazione rispecchiante la spiritualità dei "poveri di JHWH", ai w. 2b3( ־epoca ellenistica)25. Per l'unità del salmo si pronuncia invece decisamente O.H. Steck, il quale rileva una corrispondenza semantica tra il rapporto dei "bimbi e lattanti" con il "nemico e vendicatore" e quello tra P"uomo/figlio d'uomo" con gli animali 26 . Anche noi siamo per l'unità del salmo, come lo studio strutturale che segue metterà in rilievo. A nostro avviso il passaggio dal plurale al singolare non è segnale di diversità redazionale: si può spiegare molto bene come opera di uno stesso autore, che ora si sente unito alla comunità, ora parla della sua personale esperienza (cf. Sal 3, 9!). D'altronde J H W H non è Dio solo del salmista, ma del popolo di Israele, per cui dire «nostro Dio» è normale, anche se a parlare è un singolo israelita. Anche il passaggio dalla situazione storica (v. 3) ad una considerazione sapienziale, cosmica (w. 4-9), non è senza parallelo nei salmi. La mescolanza di generi letterari diversi è tipica dell'epoca tarda, come già si è visto per il Sal 1.
24 Beyerlin 1961. In questo senso anche Irsigler 1997, pp. 9-10, che però propende per un'anteriorità di 4-9 rispetto a 2b-3. 25 Hossfeld e Zenger 1993a, p. 77. Altre proposte nella stessa direzione, con qualche diversità nella determinazione degli strati redazionali: Spieckermann 1989, pp. 227-230; Kaiser 1994, p. 215; Loretz 1976, pp. 117-120. 26 Steck 1981; Steck 2001.
Salmo 19
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STRUTTURA
La ragione che Zenger adduce per ritenere secondario il v. 2b è che esso non viene ripetuto alla fine del salmo: il v. 10 riprende solo la prima metà del v. 2 27 . Zenger avrebbe ragione se la poesia fosse matematica, ma nella poesia le ripetizioni non sono qualcosa di meccanico. Sono "variazioni sul tema", come in una sinfonia. La stessa affermazione non ha lo stesso valore all'inizio e alla fine del salmo. Come sempre, la ripetizione di lessemi e concetti è fondamentale per cogliere la poetica del nostro salmo. Oltre all'inclusione, vistosa, tra il v. 2a e il v. 10, è da segnalare la triplice ripetizione del termine שמים, "cielo" (w. 2b.4a.9a). Tre volte viene anche ripetuta la particella interrogativo-esclamativa " ^מהcome, che cosa" (w. 2a.5a.10). Tra le altre ripetizioni segnaliamo quella del lessema ( יםw. 9a e 9b), che bilancia quella di2) א ר ץa . l 0 ) , e l'evidente ripresa di מעשי אצבעתיך, "opere delle tue dita" (v. 4a) in מעשי ידיך, "opere delle tue mani" (7a). La prima riguarda le creature celesti, la seconda gli animali: delle prime si prende cura direttamente Dio, le seconde le affida all'uomo. Ma sono tutt'e due "opere delle sue dita". Una caratteristica dello stile del Sal 8 è il "raddoppiamento", cioè l'esprimere un concetto con due sinonimi. Questa caratteristica appare fin dall'inizio, dove l'invocazione יהרהviene accostata ad אדנינו: il raddoppiamento risulta chiaro nella lettura ad alta voce, che suona: , àdónàj יadónènu (v. 2a). Al v. 3 ricorrono due coppie contrapposte di sinonimi, con valore di endiadi: da una parte gli עוללים וינקים, "bimbi e lattanti", dall'altra il אויב ומתנקם, "nemico e vendicatore". Anche al v. 5 sono riscontrabili due coppie di sinonimi: i due sostantivi אנוש, "uomo" e בן אדם, "figlio d'uomo", e i due verbi זכר, "ricordare", e פקד, "prendersi cura". Al v. 6 appaiono nuovamente due sostantivi con valore di endiadi: כבוד והדר, "gloria e splendore". Si noti come questa caratteristica unifichi tutto il salmo, essa appare sia nei w. 49, che nel v. 2 e 3, in versetti, cioè, che la critica letteraria tende ad attribuire ad autori diversi. Lo stesso si deve dire del vistoso fenomeno della polarità, che percorre tutto il salmo 28. L'autore ama comporre per contrasti, affiancando a un termine il suo contrario. I versetti 2 e 10 sono caratterizzati dalla polarità "cielo - terra". Al v. 3 domina l'altra polarità: 27 28
Hossfeld e Zenger 1993a, p. 77. Aspetto, questo, opportunamente rilevato in Prinsloo 1995a.
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"bimbi e lattanti - baluardo": l'espressione della debolezza viene accostata a quella della forza. I w. 4-5 sono di nuovo caratterizzati dalla contrapposizione tra אנושe בן אדם, due termini che rilevano la fragilità dell'uomo, e l'immensità dei cieli. A questa sottolineatura della piccolezza dell'uomo il v. 6 contrappone quella della sua grandezza («l'hai fatto di poco inferiore a Dio»). Riprendendo una proposta di O.H. Steck 29 , P. Auffret osserva come la polarità "cielo - terra" abbia un valore strutturante per il 8 (cf. tab. 26) 30. Il v. 2a dirige l'attenzione alla terra ()ארץ, e subito il Tabella 26 2a 2b 3 4 5-8 9 10
Terra Cielo (Terra) Cielo (Terra) Cielo Terra
v. 2b fa alzare gli occhi al cielo ()שמים. Dal cielo il v. 3 passa alla terra, ai conflitti tra i "bimbi e lattanti" e i nemici di Dio 31 . Il v. 4 riporta gli occhi in cielo (שמים, v. 4a), e il v. 5 li riconduce alla terra, dove il piccolo uomo è posto al di sopra degli esseri viventi. Alla fine dell'unità, menzionando gli uccelli, lo sguardo viene di nuovo elevato al cielo (שמים, v. 9a), il che richiama, per contrapposizione, la terra (ארץ, v. 10). Si può dunque dire che la poetica del salmo vive di questa contrapposizione tra l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo. Qui veramente non c'è traccia di diversità redazio־ naie: il salmo appare assolutamente unitario. La difficoltà principale che impedisce di considerare unitariamente il salmo è data dall'apparente estraneità delle due parti, v. 3 e w. 4-9. Non si comprende che rapporto ci sia tra il discorso sui "bimbi e lattanti" e il "nemico vendicatore" (v. 3) da una parte, e la considerazione sapienziale dell'uomo immerso nella natura (w. 4-9) 29
Steck 1981, pp. 58-61. Auffret 1984, p. 260. Auffret è ritornato ultimamente sull'argomento, cf. Auffret 2002. 31 Le parole tra parentesi, nella tab. 26, si riferiscono alla presenza del tema, mentre le altre sottolineano quando il termine stesso ארץ, e rispettivamente שמים, appare. 30
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Salmo 19
dall'altra. La prima parte sembra rifarsi a conflitti concreti nella storia, la seconda fa delle affermazioni di principio, di carattere filosofico. Ora, a ben guardare, le due parti non sono così estranee, perché esiste un rapporto abbastanza chiaro tra i "bimbi e lattanti" del v. 3a e l'"uomo ־figlio d'uomo" del v. 5. In ambedue i casi si mette in evidenza la piccolezza e la fragilità dell'essere umano (il termine "figlio" fa pensare ai bambini!). D'altra parte esiste un rapporto tra il "nemico e vendicatore" del v. 3b e gli animali, che l'uomo è chiamato a sottomettere. Nella considerazione dell'antichità gli animali selvaggi erano la personificazione delle forze del caos, che era compito del re sottomettere e addomesticare. Come i bambini con la loro bocca sono chiamati a far tacere il "nemico assetato di vendetta", così il "figlio dell'uomo" è chiamato a sottomettere gli animali32. La storia (v. 3) rimanda alla creazione, alla natura delle cose (v. 5-9). Questa sintesi di natura e storia è tipica, per esempio, del libro di Giobbe, dove Dio risponde alle domande molto concrete e "storiche" di Giobbe ricorrendo alla natura (cf. Gb 38-41). A questo punto possiamo formulare la nostra proposta strutturale (cf. tab. 27). Sia il ricorrere della particella interrogativo-esclamativa ( מהw. 2.5.10), sia la triplice ricorrenza della parola שמים, "cielo" (w. 2.4.9), invitano a riconoscere una triplice "cornice", caTabella 27
A- v. 2
Cornice: NOI
Terra (2a) Cielo (2b)
B- v. 3
I strofa: STORIA
Bimbi e lattanti (3 a) Avversari, nemico e vendicatore (3b)
A׳- w. 4-5
Cornice: IO
Cielo (4) Uomo, figlio d'uomo (5)
B'- w. 6-9
II strofa: CREAZIONE
Di poco inferiore a Dio (6) Animali (7-9)
A ״- v. 10
Cornice: NOI
Cielo (v. 9) Terra (v. 10)
32
Cf. Steck 1981.
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ratterizzata dalla contrapposizione "cielo-terra": w. 2; 4-5; 10. Nella "cornice" mediana, il termine "terra" non appare, ma la terra è rappresentata dall'uomo. D'altronde il termine אדם, "uomo", rimanda etimologicamente, secondo Gn 3, 19, a אדמה, "terra". Le tre cornici presentano inoltre il passaggio dal "noi" (w. 2.10) all'"io" (v. 4). All'interno di questa cornice, si corrispondono due strofe, w. 3 e 69. La prima (v. 3) propone il contrasto, storico, tra i "bimbi e lattanti" e i nemici di Dio; la seconda (w. 6-9) pone questo contrasto sullo sfondo, archetipico, del dominio dell'uomo sugli animali. Si noti come il tema del salmo non sia il dominio di Dio nei eieli: questo costituisce lo sfondo del dominio (subalterno) dell'uomo sulla terra. Per questo il salmo termina con le parole: «JHWH, signore nostro, com'è possente il tuo nome su tutta la terrai». Effettivamente le due strofe (w. 3 e 6-9) sviluppano il dominio dell'uomo sulla terra, secondo il tema annunciato già nel Sal 2.
IL TITOLO, v. 1
Dal punto di vista teologico è importante l'attribuzione a Davide, d'altronde comune a quasi tutti i salmi del primo libro. Su questo sfondo si comprende l'applicazione del Sal 8 a Gesù Cristo che ne fa, ad es., la lettera agli Ebrei (cf. Eb 2, 5-10) 33. Notiamo come il titolo abbia una funzione redazionale, accostando il Sal 8 al seguente Sal 9 e staccandolo dal Sal 7. Tra le due serie 3-7 e 10-14, caratterizzate dal lamento, vengono così posti i due Salmi 8 e 9, che dal punto di vista del genere letterario sono caratterizzati dalla lode {Sal 8) e dall'azione di grazia (Sal 9) 34.
LA PRIMA CORNICE: TERRA E CIELO, V. 2
Il salmo si apre con un'esclamazione di meraviglia che dà il tono a tutto il poema (si veda la triplice ripresa della particella interrogativo-esclamativa מהai w. 2.5.10). E l'atteggiamento tipico della lode: l'orante non trova "normali" le cose che vede, sa meravigliar-
33 34
Cf. Urassa 1998. Cf. sopra, p. 23.
Salmo 19
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si. Come la meraviglia è l'inizio della sapienza, così essa è l'inizio della preghiera. La cornice propone subito la polarità, caratteristica del salmo, tra "terra" (v. 2a) e "cielo" (v. 2b). Come sopra si notava, l'accento è posto sulla "terra", infatti la seconda parte, che parla del cielo, è costituita da una proposizione relativa, e quindi secondaria rispetto ; al v. 2a. ! «JHWH, signore nostro, ...». Il termine אדון, "padrone, signoI re", viene usato dagli ebrei come sostituto per il tetragramma divili no יהרה. Leggendo 'adonàj, Israele riconosce in יהרהil proprio signo4|v re, il proprio "re", secondo la teologia del Sal 2: effettivamente spesso il termine אדרןsi riferisce ad un re. Il nostro salmo usa il prono1 me di prima persona plurale: "signore nostro" 35. E la prospettiva di i Dt 6, 4: «Ascolta Israele,»יהרה אלהינר. J H W H è il nostro Dio, cioè il «Dio di Israele». Qui nel Sal 8 è forse possibile intendere il "noi" in riferimento alla comunità dei "poveri di JHWH", che recita i salmi. ןLe due cose non sono in contraddizione, perché questa comunità ha f( coscienza di essere il vero Israele, il vero popolo di Dio, che riconoI sce J H W H come suo signore e re. ן «... com'è possente il tuo nome su tutta la terra!». Anzitutto è da notare la tensione tra la prospettiva particolare, espressa da "si|\gnore nostro", e quella universale, sottolineata: «su tutta la terra», I בכל הארץ. JHWH, il Dio di Israele, non è Dio soltanto di Israele, ma i , di tutta la terra. L'orizzonte dell'inno è cosmico. Cioè: il rapporto di fi Israele con il suo Dio viene posto sullo sfondo della creazione. Il i Dio di Israele è anche il creatore, come già lo schema teologico del י ^Pentateuco, dove il racconto della creazione precede la storia del popolo di Israele, esprime. Si introduce così, fin dall'inizio, un bi| Bornio (creazione-storia) che percorre tutto il salmo. Poiché J H W H signore di tutta la terra, anche il suo popolo acquista una dimen| Sione universale: esso ha parte all'universalità del suo re. J; אדירè il primo dei termini che appartengono al campo semantigi;׳oo della "gloria". Gli altri sono: הרד, "maestà, magnificenza" (v. 2b), !!/כביד, "gloria, onore" (v. 6), הדר, "splendore" (v. 6). Si tratta di vocaboli che usualmente vengono attribuiti a Dio o anche al suo rappre! Sentante sulla terra, il re. Nel nostro salmo, i primi due vengono at^tribuiti a Dio (v. 2), gli altri due al "figlio d'uomo" (v. 6). In tal mo35 f; L'espressione אדנינוin riferimento a J H W H è attestata nell'AT solo in testi tar|divi (N 8, 10; 10, 30; Sal 135, 5; 147, 5, cf. 136, 3).
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do viene sottolineata la straordinaria vicinanza dell'uomo a Dio («Tu l'hai fatto di poco più piccolo di Dio», v. 6). Il termine אדיר esprime lo stupore dell'uomo di fronte a qualcosa che lo sopraffa, sia in senso fisico ("forte, potente", cf. Es 15, 10.11), sia in senso metaforico, estetico ("grandioso, imponente", cf. Ez 17, 23 [i cedri del Libano]). Poiché al v. 3 si parla di guerra ("baluardo"), sembra che la prima accezione, che è anche la più comune, sia preferibile. Anche il "nome" appartiene al campo semantico della gloria. Come la "gloria", anche 11 "nome" è l'essere stesso di Dio in quanto può venir conosciuto dall'uomo, nel suo rapporto con la creazione. Tournay sottolinea l'importanza di questo concetto in tutto il mondo semitico, e soprattutto nell'Israele biblico e postbiblico, mettendone in evidenza la vicinanza soprattutto con la teologia di Malachia (cf. Mal 1, 11.14; 2, 2.5; 3, 16.20) 36. Vale la pena ricordare che la santificazione del Nome di Dio è la prima richiesta del Padre Nostro: il che fa comprendere quanto la preghiera cristiana sia debitrice dei salmi. Dal momento che al v. 3 si parla di «bocca di bambini e lattanti», si mette in evidenza il lato "linguistico" del nome. Dio può venire invocato dagli uomini attraverso il "nome", che egli ha rivelato al suo popolo (cf. Es 3, 14). E perciò comprensibile che questo nome sia possente "sulla terra", e non nel cielo, perché i "bambini e lattanti", che lo prònunciano, stanno sulla terra 37 . Non per niente il Salmo 8 inizia con l'invocazione del nome ineffabile: יהרה. L'espressione נתן הרד עלviene intesa da G come un "elevare" («la tua maestà è elevata al di sopra dei cieli»: έπήρθη ή μεγάλοπρέπβιά σου ύπ6ράνω των ουρανών, cf. 57, 12). Ma i paralleli portano in altra direzione. L'espressione compare ancora, infatti, in Nm 27, 20; 1 Cr 29,25; Dn 11, 21 cf. Sai21, 6, con il significato di "porre magnificenza su qualcuno", cioè "rivestire qualcuno di magnificenza". Nei passi paralleli l'oggetto del verbo è una persona in autorità: Giosuè in Nm; Salomone in 1 Cr; un re in Dn e nel Sal 21. הרד è il secondo lessema del campo semantico della "gloria": è sinonimo di כברד, e indica etimologicamente il "peso" di qualcuno, perciò la sua "autorità, maestà, gloria". Usualmente si accompagna a הדר, "splendore", con cui forma pressoché un'endiadi: "splendida gloria" (cf. 1 Cr 16, 27; Gb 40, 10; Salii, 6; 45, 4; 96, 6; 104, 1; I l i , 3; 145,5). Particolarmente vicino al nostro testo è Sal 104, 1: «Tu ti sei 36 37
Tournay 1971, p. 20. Cf. Harrelson 1997.
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vestito di »הרד והדר. Il poeta esprime il suo stupore di fronte alla grandezza di Dio che si rivela nella creazione. Poiché J H W H è vestito di maestà {Sal 104, 1), egli riveste i cieli della sua maestà (8, 2). Nominando Dio, il pensiero va naturalmente al cielo, come anche nel «Padre Nostro» avviene: «Padre nostro, che sei nei cieli». Il eie10 nella sua immensità e purezza è, presso tutti i popoli (anche presso i greci e i romani), simbolo archetipico della divinità. Un parallelo al Sal 8 offre il Sal 19: «I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento...». E da notare che il Sal 19 accosta alla lode dei cieli quella della terra: come gli astri obbediscono alla voce di Dio, così sulla terra l'uomo obbedìsce alla sua torah. Un accostamento simile avviene nel Sal 8, dove il salmista per ben due volte passa dalla contemplazione del cielo a quella della terra (w. 2-3 e 4-5). Per ritornare alla preghiera cristiana, la prima parte del Padre Nostro si chiude analogamente con l'invocazione: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra». L'ordine cosmico, testimoniato dall'ordinato movimento degli astri (cf. v. 4), è per noi qualcosa di scontato, non suscita meraviglia. Per l'uomo dell'antichità il "cosmo" è frutto di una lotta mortale tra 11 Dio creatore e il mostro del caos, che continuamente sferra i suoi attacchi contro l'ordine instaurato dal creatore (cf. Sai29!). Si comprende perciò che in 2a si parli di un nome "possente" e che il v. 3 parli di "baluardo". La metafora della lotta percorre i w. 2-3.1 eieli sono rivestiti della maestà di Dio, perché essi raccontano, in silenzio, la sua vittoria sulle potenze del caos.
LA PRIMA STROFA: «CON LA BOCCA DI BIMBI E LATTANTI», V. 3
La cornice ha mostrato che il tema del salmo non è il dominio di Dio nel cielo, ma qui sulla terra. Questo tema viene sviluppato nella prima strofa, al v. 3. Ma l'interpretazione di questo verso è ;molto dibattuta. Anzitutto quanto all'identificazione dei "bimbi e ,lattanti", quindi, e relativamente, a quella dell'altro binomio: "netoico e vendicatore". Per la verità, Seybold suggerisce di cambiare il TM in 3 a («con ,la bocca di bimbi e lattanti»), e di leggere: «contro le parole di malfattori e violenti»38. Si esprimerebbe così non un contrasto, ma una V: f
38
Seybold 1996, pp. 50-51.
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sinonimia con il "nemico e vendicatore" di 3b. Una tale congettura va però contro le antiche versioni, che appoggiano unanimemente TM. Le altre proposte interpretative seguono TM, divergono però quanto all'interpretazione dell'espressione "bimbi e lattanti": ne elenchiamo alcune. - Alcuni autori pensano a esseri mitologici. A Ugarit i due gemelli Shaharu e Shalimu (la stella del mattino e quella della sera) hanno un ruolo importante nella cosmogonia 39 . Il "nemico" sarebbe il caos, debellato dal dio creatore. Il ricorso a tali miti sembra però alquanto inverosimile in un testo javistico. - M. Gòrg, per spiegare il versetto, ricorre all'ideologia regale dell'Egitto, in cui il faraone viene raffigurato spesso come un bambino («figlio di dio dall'uovo», cf. il commento a Sal 2, 7) 40. Irsigler pensa che il salmo trasponga questa ideologia ad ogni uomo 41 . Ma in Sal 8, 3 si parla di un gruppo, non di un individuo ("bimbi e lattanti"). - Ammesso che si tratti di comuni mortali, alcuni autori pensano si alluda qui alla semplicità dei bambini. In Germania c'è il pròverbio: «Kindermund tut Gottes Allmacht kund» («La bocca dei bambini manifesta l'onnipotenza di Dio») 42. L'autore cioè vorrebbe contrapporre alla malizia degli adulti l'innocenza dei bambini 43 . Ma, se questo potrebbe ancora andare per gli עוללים (bimbi fino all'età di tre anni), difficilmente si addice agli ינקים, "lattanti". Generalmente un lattante non sa ancora parlare. - Altri autori tengono conto che i "bimbi e lattanti" ancora non parlano, ma pensano agli "strilli" inarticolati dei neonati, che sono molto potenti, come ben sanno i loro genitori: con essi i bambini ottengono sempre quello che vogliono44. Lund pensa che il grido di un neonato rappresenta la vittoria della vita sulla morte 45 . Tali interpretazioni sono certamente suggestive, ma mi sembrano estranee al mondo poetico dei salmi.
39
In questo senso già Schedi 1964. La tesi è stata ripresa da Wyatt 1996, pp. 497-303, e Smith 1997. 40 Gòrg 1977. 41 Irsigler 1997, pp. 28-29. 42 Cf. Gouders 1973, p. 167. 43 Weiser 1966, p. 95. 44 Criisemann 1992. 45 Lund 1997, similmente già Rudolph 1977, p. 394.
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- Beyerlin46, seguito da Zenger 47 , propone di intendere "bimbi e lattanti" in senso metaforico, come designazione dei "poveri di JHWH". Tale interpretazione viene seguita anche da O. Kaiser48. Noi facciamo nostra quest'ultima interpretazione. Se, infatti, si parla di "bocca", cioè di "parole", di bimbi e lattanti, un tale accostamento è possibile solo se i "bimbi e lattanti" vengono intesi in forma metaforica, come adulti con animo di bambini. E vero che il binomio ha abitualmente un senso concreto, indicando i bambini piccoli 49, ma ciò non vuol dire che anche nel nostro caso abbia necessariamente questo senso, tanto più che solo qui esso ha la forma plurale 50 .1 passi paralleli (1 Sam 15, 3; 22, 19; Ger 44, 7; Lam 2, 11; 4, 4; G / 2 , 16) si riferiscono ai membri più deboli ed indifesi della popolazione, che vengono uccisi in caso di una guerra di sterminio. ; Leggendo il Sal 8 nel contesto dei Salmi 3-7 viene spontaneo pensaJ re a coloro che pregano questi salmi, vittime innocenti dei soprusi dei potenti 51 . Del resto, nel Sal 131 il salmista applica espressamen; te a sé questa metafora: «Come un bimbo svezzato ( )גמלin braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è la mia anima tra le mie braceia» (Sal 131, 2). Il bambino in braccio a sua madre è simbolo non soltanto di un essere indifeso, debole, ma anche di abbandono fidu ׳doso e tranquillo, e ambedue le accezioni si addicono bene agli ; oranti dei salmi. Essi sono i "poveri di JHWH", sia in senso matefiale, in quanto esseri indifesi, oppressi e marginalizzati dalla società, sia in senso spirituale, in quanto non pongono la loro sicurezza in se stessi, ma in Dio. La forma stessa dell'espressione «con la boc; ca di bimbi e lattanti», senza articolo, sembra voler alludere a un'interpretazione metaforica. ; ׳Appare quindi chiaro che il v. 3 continua il discorso del v. 2a, al ìli là della parentesi (proposizione relativa) del v. 2b: il nome di
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Beyerlin 1976, p. 11-17. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 79. 48 Kaiser 1994. Così anche ThWAT V, coli. 1134-1135 (S«b0\ e Urassa 1998. 49 E la critica che rivolgono a Beyerlin Kaiser 1994, p. 210, nota 14; Irsigler 1997, P. 18, nota 35. 50 In Lam 4,4 si trova il termine plurale עוללים, altrimenti il binomio appare semre al singolare. 51 Così anche Irsigler 1997, p. 38, che però distingue tra senso originario e sendel salmo nel salterio. 47
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J H W H è possente per tutta la terra perché appunto questo nome i poveri ("bimbi e lattanti") invocano ("bocca"), cantando i salmi. D'altra parte, il "noi" di אדנינוriceve ora la sua spiegazione: esso si riferisce agli עוללים וינקים, a coloro che riconoscono la loro dipendenza da Dio come un bimbo da suo padre. Con questi esseri indifesi e disarmati Dio «ha eretto un baluardo». Il termine עזindica di per sé l'astratto ("forza"), ma il verbo che l'accompagna ( יסדletteralmente: "fondare"), rende chiaro che si tratta di un edificio, e quindi traduciamo: "fortezza, baluardo". Si è notato che G ha qui una lectio facilior, in quanto legge "lode". E chiara la volontà di rendere ragione della "bocca dei bimbi e lattanti": con questa non si costruisce una fortezza, ma una lode. Cioè: G si rende conto che la "fortezza" è termine metaforico per indicare la "lode". La lode, che esce dalla bocca dei piccoli, è la fortezza che Dio ha fondato. La preghiera dei poveri è l'arma con cui Dio ha ragione dei suoi nemici. Si comprende come, lette alla luce del Sal 8, le immagini del Sal 2 vengano reinterpretate in forma radicalmente non violenta. Di questa forza della "bocca" del Messia si è già parlato commentando il Sal 2 5 2 . Al testo di Is 11, 4 si può accostare quello di Is 49, 2, a proposito del "servo" («Egli ha reso la mia bocca una spada affilata»), e quello di 1 Sam 2, 1, dove Anna innalza, a nome dei poveri, il suo innp: «Si spalanca la mia bocca contro i miei nemici, perché io gioisco per la tua salvezza». E interessante notare che i termini usati יסדe עזhanno riscontri cosmogonici (cf. Am 9, 6; Gb 38, 4-7; Sal 24, 2), di qui anche le pròposte di vedere nella "fortezza" il "firmamento". Ma, nel nostro caso, questi vocaboli vengono applicati a qualcosa di pienamente storico. Che di storia si tratti viene ribadito dalla menzione degli "awersari". Si tratta anzitutto di nemici di Dio ()צורריך. Con tale designazione si intendono verosimilmente gli uomini che contestano l'autorità di Dio, i רשעיםdi Sal 1, 1 (cf. 10, 4; 14, 1) o i "re della terra" di Sal 2, 1-3.1 "bimbi e lattanti" con il loro fiducioso abbandono in Dio e con l'amore per la sua legge (cf. 1, 2) sono l'antidoto che Dio ha trovato per superare la rivolta dell'uomo. Ai nemici di Dio viene accostato il "nemico e vendicatore" ()אויב ומתנקם. L'unico parallelo del-
52
Irsigler suggerisce lo sfondo dell'ideologia regale anche per questo. In Egitto è infatti conosciuta la forza della parola del faraone, fin da piccolo (Irsigler 1997, pp. 28-29). Ciò si può ammettere per il testo di 1511 ־, meno per quello di Sal 8, 3, dove si parla di un gruppo.
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l'espressione, Sal 4417י, si riferisce a nemici del popolo, quindi a personaggi storici (forse nel Sal 44 si tratta dei Caldei, o dei Greci). Nel contesto del Sal 8, però, si parla di contese all'interno del popolo di Dio: אויב ומתנקםsarebbe dunque un nemico che agisce, nei riguardi di un suo connazionale, come agirebbe uno straniero, vendicandosi contro di lui, cosa espressamente proibita da Lv 19, 18 53. Esattamente questo tipo di vendetta viene tematizzato nel Sali. Di fronte ai nemici che lo attaccano ingiustamente, il salmista si gloria di fronte a Dio di non essersi vendicato (v. 5). L'atteggiamento del salmista è un atteggiamento non violento, come quello di un bambino disarmato, incapace di difendersi e di offendere. Quasi a dire che la violenza non si vince con la violenza, ma con la rinuncia alla violenza. Se infatti l'espressione "bimbi e lattanti" da una parte si contrappone, paradossalmente, a "baluardo", dall'altra si oppone pure a "nemico e vendicatore". Un lattante non è capace di vendetta. E appunto con questi esseri Dio pone fine ( שבתhi.) al "nemico e vendicatore". La spiritualità dei "bimbi e lattanti" viene ripresa nel NT. Il "regno dei cieli" appartiene a loro, secondo Mt 18, 3 par.: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo barnbino, sarà il più grande nel regno dei cieli». Il Padre celeste, infatti, «ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25).
LA SECONDA CORNICE: CIELO E FIGLIO D'UOMO, W . 4 - 5
Dopo che lo sguardo si è rivolto alla terra, ritorna ora, per contrasto, al cielo, riprendendo e sviluppando quanto già espresso al v. 2b («della tua maestà hai rivestito i cieli»). Il tono ora si fa più personale: si passa dalla prima persona plurale alla prima singolare («Quando vedo il tuo cielo...»), dalla storia di Israele a una considerazione sapienziale dell'uomo e del mondo: il salmista parla non in quanto israelita, ma in quanto uomo. D'altra parte è chiaro anche /il legame con il v. 3, poiché è tipico dei bambini piccoli il sapersi ::meravigliare di fronte alle cose. La "bocca di bimbi e lattanti" sa pieravigliarsi e lodare Dio per le cose di ogni giorno. 53 Cf. Barbiero 1991, pp. 277-282. Contro la nota della BJ («Non si è ancora almorale evangelica»), si veda, ad esempio, Gb 31, 29-30. %
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Dal punto di vista della critica testuale, c'è da notare la differenza tra TM עזמיך, "il tuo cielo", e G τ ove ουρανούς, senza possessivo. G offre un miglior parallelismo: infatti il termine corrispondente, "la luna e le stelle", è senza possessivo. Ma il possessivo non è senza significato. Esso sottolinea il fatto che il cielo "appartiene a Dio", in contrapposizione alla terra, che è il dominio dell'uomo (cf. Sal 115, 16: «I cieli sono i cieli di JHWH, ma ha dato la terra ai figli dell'uomo»). Nel nostro salmo si è rilevata la corrispondenza tra il v. 4 e il v. 7, segnalata attraverso la ripresa dell'espressione "opere delle tue dita" (v. 4) in "opere delle tue mani" (v. 7). Anche il Sal 8 contrappone il cielo, dove il creatore opera da solo (v. 4), alla terra, il cui dominio egli affida all'uomo (w. 6-9). L'immagine del cielo evoca nell'uomo antico anzitutto l'idea della stabilità. Tale idea viene espressa al v. 4 attraverso il verbo כרן, "stabilire, rendere saldo", sinonimo di יסד, "fondare" (v. 3). Ambedue i verbi vengono usati in Sai24,2 in riferimento alla "creazione" della terra. Il cosmo viene considerato come un edificio, la cui stabilità era per l'uomo antico oggetto di meraviglia. La cosmogonia egiziana rappresenta il cielo come una divinità femminile (Nut), che venne separata dal suo partner maschile, la terra (il dio Geb) e tenuta così separata dal dio Schu, il dio dell'aria. Il firmamento era pensato come una volta solida, sopra la quale stavano le acque: che esso non cadesse era considerato un miracolo 54 . L'altra idea che evoca il cielo è quella dell "infinito, in senso spaziale e temporale. Quando si dice che la bontà di J H W H è "nel eielo" (Sal 36, 6), se ne esalta la grandezza senza fine, e quando si dice che il trono del Messia durerà "come i giorni del cielo" {Sal 89, 30), se ne dichiara l'eternità 55 . L'espressione «opere delle tue dita», esprime l'abilità artigiana del costruttore divino. Dio non ha lavorato con pala e badile, ma con le sue stesse dita alla costruzione del mondo: la sua non è l'opera di un manovale, ma quella di un artista 56 . Lo spettacolo degli astri è particolarmente affascinante per l'uomo orientale, tanto che essi sono considerati presso tutti i popoli come divinità (cf. Gb 31, 26-28). Forse questo fatto è legato anche alla particolare luminosità del cielo nel vicino Oriente. Si tratta qui 54 55 56
Cf. Keel 1984, pp. 21-27 Jigg. 25-29. Cf. Zenger 1981, p. 131. Cf. Ravasi 1997, p. 292.
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del cielo notturno: si parla solo della lune e delle stelle, non del sole. Chi ha passato qualche notte nel deserto, o a bordo di una nave nel Mediterraneo, non dimenticherà facilmente lo spettacolo di una notte di luna piena, o popolata di una miriade di nitide stelle. E uno spettacolo che evoca spontaneamente l'idea della piccolezza, dell'insignificanza dell'uomo di fronte all'infinito. L'uomo moderno, che sa che gli astri che si vedono ad occhio nudo sono solo una piecola parte dell'universo, dovrebbe essere in grado di meravigliarsi ancora di più, ma ci vorrebbe una "bocca di bimbi e lattanti". L'infinità del cielo, il girare tranquillo dell'"eterne rote", evoca per contrasto la domanda: «Che cos'è un uomo?». אנושviene fatto derivare dalla radice אנש, "essere debole" 57, ed effettivamente molte volte indica l'"uomo" in contrapposizione alla divinità, nel suo aspetto "mortale" (cf. Sal 103, 15; Gb 7, 1; 15, 14; 25, 4 e, vicino al nostro brano, Sal 9, 20.21; 10, 18). Anche אדםviene collegato da Gn 3, 19 a אדמה, "terra", e al fatto di essere "mortale". Alonso Schòkel legge אדם come nome proprio: "un figlio di Adamo". Non, cioè, Adamo, l'uomo in stato di innocenza, ma i suoi figli, che portano la conseguenza del suo peccato 58 . Nel contesto, è possibile inoltre cogliere nel termine p , "figlio", un rimando ai "bimbi e lattanti" del v. 3. Di fronte all'immensità del cielo, il piccolo uomo è una "quantité négligeable", in confronto con la sua eternità è un'ombra che passa (cf. Sal 144, 4). Pascal direbbe: «L'uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa». Il salmista vede le cose da un altro punto di vista, vede l'uomo non in se stesso, ma nel suo rapporto con Dio. La sua prospettiva non è il cartesiano: «Penso, dunque esisto», ma: «Dio pensa a me: dunque esi·־,•־sto». Quest'ombra che passa è oggetto dell'amore di Dio, e ciò la ' rende grande. Weiser sottolinea un altro aspetto di questa polarità dell'uomo, , teso tra insignificanza e infinito: «Nel momento in cui l'uomo prende coscienza della sua nullità di fronte a Dio, davanti al quale egli non può avanzare alcuna pretesa, gli diviene chiaro che la natura profonda del suo rapporto con Dio è quella di una grazia che supera ogni comprensione. Solo questo pola-
57 Così ThWAT I, coli. 373-374 (.Maas), contro HALAT, p. 68, che lo fa deriva' re dalPugaritico ,ns, "essere maschio". 58 Alonso Schòkel e Camiti 1992, p. 69; cf. anche Zenger 1981, p. 132.
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re va e vieni tra rispetto tremante di fronte alla maestà del Dio dell'universo e gioia riconoscente per l'amore di questo Dio, conferisce al verso quell'ineguagliabile tono di genuina, profonda religiosità» I due verbi che esprimono l'interessamento di Dio per l'essere umano sono teologicamente pregnanti. Il primo è זכר, "ricordarsi, pensare a qualcuno". E caratteristico l'uso che l'autore sacerdotale fa del verbo: quando Dio "si ricorda", è il momento in cui cambia il corso della storia. Così nel racconto del diluvio: «Dio si ricordò di Noè... e fece soffiare un vento sulla terra» (Gn 8,1). Così anche nell'Esodo, cf. 2, 23-25; 6, 5-6. Dio non può "ricordarsi" del suo popolo e rimanere inerte, bisogna che faccia qualcosa per lui. II secondo verbo, פקד, "chiedere, interessarsi, prendersi cura di qualcuno" è tipico del buon pastore che ha cura del suo gregge (cf. Ger 23, 2; Zc 11, 16) 60. Esso appartiene perciò all'ideologia regale: il pastore è immagine del re. Anche questo verbo, come il precedente, si riferisce usualmente, nell'AT, al rapporto di J H W H con Israele. Nell'Esodo, Israele ha fatto esperienza di un Dio che "si prende cura" del suo popolo (cf. Gn 50, 24-25; Es 3, 16; 4, 31; 13, 19). Il Sal 8 traspone quest'esperienza all'umanità intera 61 . J H W H non è un Dio che si cura solo degli astri: egli si prende pensiero di ogni uomo, per quanto piccolo egli sia, come Israele tante volte ha sperimentato nella sua esistenza. Questo raccordo tra storia e creazione illumina anche il rapporto tra il v. 3 e i w. 4-9: l'esperienza fatta dagli עוללים וינקיםviene estesa ad ogni ובן אדם... אנוש. Forse può aver aiutato, in questa trasposizione, anche il parallelo con l'istruzione di Merikare: «Ben curati sono gli uomini, il bestiame di Dio. Egli ha creato a loro intenzione il cielo e la terra, ha scacciato il "Vorace dell'acqua", ha creato l'aria affinché vivessero i loro nasi. Essi sono la sua immagine, uscita dal suo corpo. Egli sorge nel cielo a loro intenzione; ha creato per loro le piante, il bestiame, i pesci che li nutrono. Uccise il suo nemico e annientò i di lui figli 59 60 61
Weiser 1966, p. 96. Cf. ThWAT VI, coH. 713-714 (André). Cf. Zenger 1981, p. 134.
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perché pensavano di ribellarsi. Ha creato la luce a loro intenzione, e naviga (nel cielo) per vederli: Si è innalzato una cappella dietro di loro, e, quando piangono, egli ascolta» 62. Il parallelo fa cogliere la dimensione sapienziale del Salmo 8. Certo non si può parlare di dipendenza diretta, ma di patrimonio comune della sapienza orientale. Sal 8,5 traccia in sintesi una teologia e un'antropologia, dense di conseguenze. Dio è qualcuno che si cura dei piccoli. L'uomo è un essere che sta in un particolare rapporto con Dio. Il mistero dell'Incarnazione conferma la verità di queste intuizioni.
LA SECONDA STROFA: L'UOMO, RE DELLA CREAZIONE, W . 6 - 9
Il v. 6 non va compreso come una risposta alla domanda del v. 5: il מהrimane senza risposta, come una domanda retorica, esprimente la meraviglia del salmista. Il wajjiqtol con cui inizia il verso ( )ותחסרהוha senso consequenziale, esso chiarisce e precisa in che senso Dio si "ricordi" e si "prenda cura" dell'uomo (v. 5). La strofa si può dividere in due parti: (a) la dignità regale dell'uomo (v. 6); (b) il suo dominio universale (w. 7-9). Questa divisione corrisponde alla struttura della terza strofa del Sal 2 (w. 7-9), in cui il Messia viene anzitutto riconosciuto come re («Tu sei mio figlio», v. 7); quindi gli vengono affidate in dominio le nazioni del mondo (w. 8-9). Il parallelo fa risaltare una differenza: al Messia viene assegnato il dominio sugli uomini, mentre il dominio dell5 uomo, nel Sal 8, non riguarda gli altri uomini, ma gli animali. La prospettiva del Sal 8 è diversa da quella del Sal 2: quella era nazionale, storica, questa è sapienziale63. Si parla, nel Sal 8, non del rapporto degli uomini tra loro, ma del rapporto tra la specie "uomo" e le altre Specie della natura, in particolare le specie animali, quelle specie, cioè, che come l'uomo appartengono alla categoria di "esseri viventi". Tra 62
Traduzione secondo Bresciani 1990, p. 100. E quindi, a mio avviso, Zenger non ha ragione di sottolineare questo aspetto 1 n senso antropologico («Il salmo non parla di un dominio dell'uomo su altri uomini», Hossfeld e Zenger 1993a, p. 80). Semplicemente la prospettiva del salmo è diversa, saPtenziale e non storica: esso non tratta di quest'argomento. 63
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i due salmi c'è ad ogni modo una stretta somiglianza, perché nell'ideologia regale gli animali selvaggi personificavano le forze del caos, che era compito del re sottomettere, al pari dei nemici della nazione.
a) La dignità regale dell'uomo (v. 6) All'immensità del cielo (v. 4) il salmista aveva contrapposto l'insignificanza del piccolo uomo (v. 5). Il v. 6 sottolinea di nuovo, per contrasto, l'incommensurabile grandezza di questo piccolo, insignificante essere: «Tu l'hai fatto di poco inferiore a Dio» (rinviamo per la traduzione alla critica testuale). L'idea è quella dell'"immagine di Dio", che viene espressa in forma paradigmatica, per l'AT, in Gn 1, 26-27: «E disse Dio: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, simile a noi. Essi domineranno sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sugli animali, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". E Dio creò l'uomo a sua immagine: a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò». Come nel Sal 8, anche qui viene espressa anzitutto la somiglianza dell'uomo con Dio ("simile a noi",כדמותנו, Gn 1, 26; "di poco inferiore a Dio", Sal 8, 6), quindi il suo dominio sugli altri esseri viventi. Sullo sfondo di questa concezione c'è l'ideologia regale dell'Antico Oriente, soprattutto dell'Egitto. Il faraone era "figlio di Dio" e "sua immagine". Non solo nel senso generale che ogni figlio è simile al padre: 1'"immagine" aveva il senso concreto di "statua". Il faraone veniva considerato la statua vivente del Dio. Ora la "statua" non era per l'uomo antico qualcosa di inanimato: essa incorporava la divinità stessa, era una specie di "incarnazione" della divinità: «La statua rivela la divinità ed è detentrice della sua forza. Essa è manifestazione e strumento della forza divina sulla terra. Essa segnala dove e come vive la divinità» 64. In quanto "immagine", "statua" di Dio, il faraone deve debellare le forze del caos e favorire lo sviluppo della vita.
64
Zenger 1983, p. 88; cf. Lohfink 2002, pp. 31-52.
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In un testo neo-babilonese pubblicato da W.R. Mayer, si distingue la creazione del re da quella dell'uomo comune: «Ea incominciò a parlare, egli diresse la sua parola a Belet-Ili: "BeletIli, tu sei la signora dei grandi dèi. Tu hai creato la gente comune, ora crea il re, persona chiaramente superiore. Avvolgi il suo intero essere di bontà. Formane le fatture in modo armonioso, fa' bello il suo corp o f \ Allora Belet-Ili costruì il re, persona chiaramente superiore. I grandi dèi diedero al re il compito di combattere. Anu gli diede la corona; Enlil gli diede il trono. Nergal gli diede le armi; Ninurta gli diede uno splendore abbagliante. Belet-Ili gli diede una bella apparenza. Nusku gli diede istruzione e consiglio e si pose a suo servizio»65. L'operazione che fanno il Sal 8 e Gn 1, 26-27 è quella di attribuire ad ogni uomo quello che nel mondo circostante era prerogativa del re. I due attributi, di cui parla il v. 6, sono infatti prerogativa usuale di Dio e del re. כבודè originariamente il "peso" di una persona, cioè, in senso metaforico, la sua reputazione nella società. Ma nel documento Ρ il termine descrive la presenza di Dio, la sua "gloria", cioè la manifestazione di Dio all'uomo. Nel contesto della "statua", è verosimilmente a quest'accezione che si deve far riferimento. In quanto immagine (in greco: 6ίκών) di Dio, il piccolo uomo ne irradia nel mondo la "gloria" (כבוד, in greco: δόξα), come dice 1 Cor 11, 7: «L'uomo non deve coprire il capo, poiché egli è immagine (6ίκών) e splendore (δόξα) di Dio»66. הדרè un altro sostantivo che appartiene al campo semantico della "gloria" e forma spesso un binomio con ( הודcf. Sal 96, 6; 104, 1; I l i , 3; Gb 40, 10; 1 Cr 16, 27), o, come qui, con ( כבודcf. ancora Sal 145, 5.12). Della "gloria", הדרmette in evidenza l'aspetto estetico: "ornamento, splendore, bellezza". I passi citati fanno tutti riferimento a Dio. Accanto a Dio, הדרviene riferito anche al re {Sal 21, 6; 45, 4.5; 110,3).
65
Cf. Mayer 1987; Van Seters 1989, p. 337. Cf. Raurell 994, p. 88. Ciò che segue («...la donna invece è la gloria dell'uomo») non sta nel testo di Gn 1, 26-27 né in quello di Sal 8, 6: qui si parla, infatti, di "uomo" in generale, come "uomo e donna" (cf. Gn 1, 27). 66
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Al re si riferisce infine esplicitamente il verbo עטר, "incoronare". Il piccolo uomo viene dunque presentato come "re" della creazione, luogotenente di Dio sulla terra. Per quanto grande l'uomo venga presentato, egli non è Dio, ma "di poco inferiore" a lui. Come il Messia del Sal 2, egli non ha usurpato quest'onore, non se l'è attribuito da sé, ma gli è stato donato da Dio (cf. Sal 2, 8: «Chiedi a me, e io ti darò...»). Il soggetto dei verbi nei w. 6-7 è sempre Dio, l'uomo è l'oggetto: «Tu l'hai fatto di poco minore...; tu l'hai coronato...; tu l'hai messo a governare...; tutto tu hai posto sotto i suoi piedi». Il riconoscimento della grandezza dell'uomo avviene rivolgendosi, in adorazione, al "tu" divino 6 7 . Ciò fa la differenza tra l'uomo del Sal 8 e il superuomo di Nietzsche, che pone se stesso, arrogantemente, al centro della creazione, come padrone assoluto di essa. Di più: le affermazioni dei w. 6-9 vanno intese come compiementari a quelle che dell'uomo affermano la piccolezza ( . . . ובן אדם, v. 5) e la non violenza (עוללים וינקים, v. 3). Il re della creazione è un piccolo mortale ()אנוש, la cui unica arma è la preghiera ()מפי עוללים וינקים. Come Dio sceglie "bambini e lattanti" per porre fine alla violenza dei nemici, così egli sceglie un essere insignificante e disarmato come l'uomo per arginare la violenza delle bestie feroci e far regnare l'ordine nel mondo. Dio sceglie ciò che è piccolo per compiere cose grandi (cf. 1 Cor 1, 26-29).
b) Il dominio universale dell'uomo (vv. 7-9) Il v. 7 è ispirato all'ideologia regale. Il re, appunto in quanto figlio e "immagine" di Dio, ha la funzione di suo plenipotenziario per difendere il paese dalle forze del caos che ne minacciano l'esistenza. Per questa finalità gli vengono conferiti speciali poteri ed autorità. E la stessa ideologia che abbiamo riconosciuto nel Sal 2 e che caratterizza il racconto sacerdotale della creazione, in cui la dignità "quasi divina" dell'uomo ("immagine di Dio", Gn 1, 26-27) è vista in funzione del suo dominio sulla creazione. L'uomo è costituito re della creazione non per se stesso, ma per custodire la vita sulla terra. Egli è responsabile di "tutto ciò che re67 Cf. Perlitt 1995, pp. 69-71: «Che cosa sia l'uomo, è possibile sperimentarlo solo attraverso il "tu" dell'adorazione» (69).
אנוש
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spira" (cf. Sal 150, 6). Come il testo di Gn 1, anche quello del Sal 8 provoca nell'uomo odierno un certo malessere: sembra che Dio autorizzi l'uomo allo sfruttamento indiscriminato della creazione 68. Dobbiamo perciò soffermarci un po' per comprendere il significato di queste immagini 69. Il dominio regale dell'uomo è "sulle opere delle tue mani" (v. 7). Come si è notato, l'espressione forma un parallelo con "opere delle tue dita" (v. 4). Il salmo distingue la parte su cui Dio domina direttamente, il cielo, da quella che egli affida al dominio dell'uomo (cf. Sal 115, 16). Ma, dicendo che oggetto del dominio dell'uomo sono le "opere delle tue mani", sottolinea che il dominio dell'uomo è un dominio delegato, esercitato in nome del creatore, non a nome proprio. L'uomo è fatto responsabile della vita di fronte al creatore, custode di essa. Il verbo משל, "dominare", caratterizza diverse forme di dominio. A comprendere il significato nel nostro contesto è fondamentale la convinzione, comune a tutto l'AT, che il padrone del mondo è Dio (cf. Gb 25, 2; Sal 66, 7). Ogni altro "dominio" è a questo subordinato 70 . Tipico esempio di questo tipo subordinato di potere è Giuseppe in Egitto (cf. Gn 45, 26: )משל: Giuseppe è il pienipotenziario del faraone e il responsabile del benessere del popolo. Suggestivo è anche il parallelo di M/5, 1; Is 16, 1, dove il "dominio" ( )משלviene messo nelle mani del Messia, che lo esercita in nome di JHWH. Ciò permette di approfondire il legame, già intravisto, tra il Sal 8 e il Sal 2. Il dominio dell'uomo sugli animali (Sal 8) è dello stesso tipo del dominio del Messia sui regni umani (Sal 2). Purtroppo, però, l'uomo ha abusato del suo potere, come le lamentazioni che seguono, nei Sal 10-15, mostrano. «Tutto hai messo sotto i suoi piedi». Nell'iconografia egiziana è usuale la rappresentazione dei nemici che vengono messi "a sgabello dei piedi" del faraone (cf. Sal 110,1) 71. Addirittura sulle suole dei sandali del faraone venivano dipinte figure di nemici, in modo che ogni volta che egli calzava i sandali, poneva i nemici letteralmente "sotto i suoi piedi". Come già rilevato nel Sai2, i "nemici" erano la 68 Cf. gli accenti critici di Carley 2000, p. 122: «Psalm 8 is a classic expression of the dominating male ego, reinforced by the psalmist's projection of this assertion of power as the will of Israel's transcendent God». 69 Cf. Grossberg 1998. 70 Ciò viene espresso in forma iconografica nel vaso proveniente da Uruk rappresentato nella fig. 6 (da Keel 1984, p. 51, fig. 62). 71 Cf. Keel 1984, p. 232, fig. 341; p. 233, fig. 342.
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Fig. 6. In questo vaso, alto più di un metro, proveniente da Uruk, vengono rappresentate le diverse forme di vita in ordine ascendente: in basso le acque di un fiume, su cui sorgono le piante (spighe e germogli di palma da datteri); in un registro superiore il bestiame minuto, pecore e capre; più in su uomini che recano processionalmente diversi tipi di doni. Il registro più alto rappresenta il re (di cui si vede solo una piccola parte dell'abito) di fronte a Inanna, la dea dell'amore e della fecondità, da cui proviene la vita, e a cui la vita anche, cultualmente, ritorna.
personificazione delle forze del caos, che il re era chiamato a debellare in nome di Dio. Chiaramente ciò si prestava ad abusi, ma a noi interessa comprendere rimmagine. Se, dunque, משלesprime la dimensione "provvidenziale" del dominio dell'uomo sulla creazione, "mettere sotto i piedi" esprime la sottomissione, con la forza, degli avversari (cf. 2 Sam 22,39 = Sal 18, 39; 1 Re 5, 17; Lam 3, 34; Mal3, 21). Bisogna rendersi conto che gli animali selvaggi rappresentavano per l'uomo antico un pericolo, ed erano considerati come nemici dell'uomo, com'è ampiamente attestato nei testi mesopotamici ed egiziani72. Nel nostro salmo questa dimensione viene suggerita dal parallelo con il v. 3. Al rapporto tra "bimbi e lattanti" e "tuoi avversari - nemico e vendicatore" (v. 3) corrisponde al v. 7 il rapporto "uomo - figlio d'uomo" e "animali" (cf. tab. 28). Sull'inimicizia tra uomo e animali cf. Gn 3, 15 (la lotta tra la donna e il serpente); Lv 26, 6 (si noti qui l'uso del v. שבתhi., come in Sal 8, 3); Dt 32, 24 (accanto ai serpenti vengono nominati qui בהמות, gli "animali selvaggi", come in Sal 8, 8); Os 2, 20; Is 11, 6-8 73.
72
Cf. Gòrg 1986. Per la corrispondenza tra il v. 3 e i w . 7-9 cf. Steck 1981, pp. 62-63. Ma Steck va troppo in là, giungendo a un'identificazione tra nemici e animali, vedendo, cioè, negli animali una metafora dei nemici. Il parallelismo esiste, ma il v. 3 è di carattere "storico", mentre i w . 7-9 sono di carattere "sapienziale": bisogna rispettare l'autonomia delle due affermazioni. 73
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Salmo 19
Tabella 28 v. 3 w. 7-9
אויב ומתנקם ... בהמות
להשבית שתה תחת רגליו
עוללים וינקים בן אדם... אנוש
Un testo come Ez 34, 25 permette di cogliere l'ambivalente rapporto dell'uomo con gli animali secondo l'AT: Dio promette di essere il pastore di Israele, curando con cura ed amore le sue pecore. Di queste egli dice: «Stringerò con esse un'alleanza di pace e farò sparire ( )והשבתיdal paese le bestie nocive, cosicché potranno dimorare tranquille nel deserto e riposare nelle selve». Come "pastore degli animali", come custode della vita, l'uomo è allo stesso tempo chiamato a combattere gli animali nocivi. Rappresentazioni di ambito mesopotamico mostrano un personaggio regale o divino che combatte contro un animale feroce tenendo allo stesso tempo un piede su un animale domestico in segno di pròtezione (cf.fig. 7) 74. Nella mentalità dell'Antico Oriente l'uomo da
Fig. 7. «Tutto hai messo sotto i suoi piedi» {Sal 8, 7). Il dominio dell'uomo sugli animali non è da intendere come una sottomissione violenta, ma come una responsabilità per la vita. L'uomo ha il dovere di difendere gli animali deboli dagli attacchi degli animali feroci, come un buon sovrano difende i suoi sudditi più deboli dai soprusi dei più forti.
74 Da Keel 1984, p. 50, fig. 60.
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una parte è "pastore" degli animali, dall'altra è "signore" di essi. Come "pastore" lo dipinge il primo capitolo della Genesi 75 , come "signore" lo ritrae Gn 9, 2: «Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere». Gli animali selvaggi sono personificazione delle forze del caos, che devono venire assoggettate dal re-uomo. Per questo, accanto al motivo del re che combatte gli animali feroci, nell'iconografia antica viene spesso raffigurato l'albero della vita, figura dello spazio vitale che dev'essere difeso dal re 76. Il "tutto", che viene messo sotto i piedi dell'uomo viene sviluppato nei dettagli nei w. 8-9. La descrizione si sofferma compiaciuta su questa enumerazione: l'autore fa sfoggio di "sapienza", di cui un genere letterario tipico è la "lista" di specie vegetali o animali. L'enumerazione è ordinata secondo i tre elementi: "terra" (v. 8); "cielo" e "mare" (v. 9). Essa perciò vuol essere completa, abbracciare tutto il cosmo. I tre elementi sono disposti in modo da formare centri concentrici sempre più vasti, attorno all'uomo. Accanto all'uomo vengono posti anzitutto gli animali domestici ()צנה ואלפים, quindi gli animali selvaggi della terra ()בהמות שדי, del cielo e del mare. Come fa capire Ab 1, 14, i pesci del mare «non hanno padrone», sono cioè selvaggi, e lo stesso è vero degli uccelli. L'enumerazione termina in 9b con l'espressione: "ciò che percorre le vie del mare", che non è apposizione di "pesci del mare", ma indica, come vedremo, i grandi mostri marini, ciò che più difficilmente l'uomo può controllare 77 . Ma andiamo per gradi. Le prime due specie animali rappresentano tutti gli animali domestici: צנהè il "bestiame minuto", soprattutto pecore e capre, che costituiscono l'unica ricchezza di un nomade. אלפיםindica in sé i "buoi". L'allevamento di bovini è tipico di una popolazione sedentaria. Queste due specie di animali sono distinte dalle successive ()וגם. L'espressione בהמות שדי, lett. "gli animali del campo", indica gli animali selvaggi, non addomesticati dall'uo75
Per l'interpretazione del verbo רדהin Gn 1,28 in senso di "pascolare" cf. Lohfink 1977, pp. 167-170; Lohfink 2002, pp. 46-47. 76 Cf. Keel 1984, pp. 42-43,,%. 45-48. 77 Cf. Zenger 1981, p. 137.
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mo. A questa categoria appartengono anche le specie elencate al v. 9. Per "pecore e buoi" l'uomo è soprattutto pastore, degli "animali selvaggi" egli è "signore": egli ne controlla la furia selvaggia e afferma con la forza il suo dominio su di essi. Per comprendere la pericolosità di questi animali, si vedano brani come Is 30, 6 o Dt 32, 24. In Egitto e in Mesopotamia la caceia al leone è occupazione regale. Non si tratta di uno sport, ma di un compito sacro: il re compiva così la sua missione di custode e difensore della vita. In Gb 38-39, J H W H elenca dieci specie di questi animali (leone, corvo, camoscio, cervo, asino selvaggio, bue selvaggio, struzzo, cavallo da guerra, falco, avvoltoio). L'uomo non riesce ad addomesticare questi animali, ma Dio li tiene sotto controllo: egli si rivela in tal modo come "signore degli animali". Keel ha mostrato come questo sia un motivo diffuso in tutta l'arte orientale antica 78 . Come "signore degli animali" viene raffigurata generalmente una divinità o il re. Nel Sal 8, ed è una novità anche rispetto a Giobbe, "signore degli animali" è il piccolo uomo. Anche la pesca e la caccia agli uccelli appartenevano a questo compito del faraone: «Mentre gli animali domestici determinano quello spazio vitale che, non appartenendo alla realtà del caos, si identifica con il campo dei rapporti quotidiani, non riservato al re, gli "animali selvaggi" e gli "abitatori dei mari", provenendo da quello spazio sentito tradizionalmente come caos, minacciano il mondo ordinato dell'uomo, così come gli uccelli e i pesci, catturando i quali il faraone egiziano intendeva "impadronirsi degli avversari e così garantire l'ordine"»79. Si comprende perciò la frequente raffigurazione di scene di pesca e di caccia di uccelli nell'iconografia egiziana. Anche qui non si trattava di attività sportiva, ma del compito regale di assicurare l'ordìne al paese. Dopo aver nominato la terra (שדי, v. 8b) e il cielo (שמים, v. 9a), il salmo completa il quadro con il "mare" (הים, v. 9a), uno spazio sentito tradizionalmente come appartenente alla sfera del caos. Nel v. 9b il lessema viene ripreso, ma al plurale, ימים, "i mari", termine che spesso esprime l'abisso primordiale, l'oceano mitico (cf. Sal 24, 2;
78 79
Cf. Keel 1978. Gòrg 1986, p. 136; cf. LÀ II, col. 233.
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46, 3; Gn 2, 4; Ez 27, 4.26.34; 28, 2.8; 32, 2). In Ez 32, 2 ימיםè l'habitat dei תנים, dei grandi mostri marini. Ed è verosimilmente a simili mostri che fa riferimento il v. 9b: «ciò che percorre le vie dei mari» 80. Tale senso viene chiaramente suggerito dal Targum: «il Leviatan, che percorre le strade del mare». Nel Sal 104, 26, il Leviatan "cammina" ( )הלךper il mare, come le navi. Questa identificazione si addice strutturalmente al testo, che è ordinato secondo una progressione dal più vicino all'uomo al più lontano da lui, e dagli animali domestici a quelli "selvaggi". La stessa progressione è presente anche nel libro di Giobbe, dove JHWH, dopo aver mostrato, al cap. 39, il suo dominio sugli animali selvaggi, pone in campo, ai capp. 40-41, i due esseri mitologici,( בהמרתl'ippopotamo) e ( לויתןil coccodrillo), simboli, anch'essi, di quegli animali che solo Dio sa tenere sotto controllo. In Egitto, la caccia al coccodrillo e all'ippopotamo era compito sacro del re (cf.fig. 8) 81 . Ciò che per Giobbe è prerogativa di Dio, e per l'ideologia egiziana è compito del re, è affidato nel Sal 8, ancora, al piccolo uomo. Per questo egli è stato "coronato di gloria e di onore".
Fig. 8. «Hai messo sotto i suoi piedi... quanto percorre le vie del mare» (Sal 8, 9). La figura rappresenta il faraone che dà la caccia all'ippopotamo. Come i sovrani assiri cacciavano i leoni, così in Egitto il faraone dimostra, con la sua capacità di dominare i grandi mostri acquatici, coccodrillo e ippopotamo, la sua qualità di luogotenente di Dio nel sottomettere le forze del caos. Egli è tutore dell'ordine, "signore degli animali".
L A TERZA CORNICE: LA GLORIA DI J H W H SULLA TERRA, v. 1 0
Il v. 10 è ripetizione del v. 1, ma si integra mirabilmente nel contesto. La menzione, al v. 9, del "cielo", evoca, per contrasto, quella della "terra", con cui si conclude il salmo. Si conclude com'era co-
80 81
Cf. Zenger 1981, p. 137; Seybold 1996, p. 52. Da Keel 1978, p. 135, fig. 76.
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minciato, con una sottolineatura della "terra". È questo propriamente il tema del salmo: la potenza del nome di Dio "sulla terra". Se il v. 2 si riferiva alla vittoria dei "bimbi e lattanti" contro "nemico e vendicatore" (v. 3), il v. 10 guarda, retrospettivamente, al dominio delT"uomo - figlio d'uomo" sugli animali (w. 6-9). "Possente", perciò, è il nome di Dio, perché sulla terra c'è il suo rappresentante, che tiene in scacco le forze del caos e protegge la vita. Per la terza volta risuona la particella מה, che esprime l'ammirazione stupita dell'uomo di fronte alle meraviglie di Dio. Lo sguardo non si ferma sull'uomo, ma dall'uomo passa a Dio. La grandezza dell'uomo non è sua conquista, ma dono del creatore. Perciò il salmo non si conelude con la lode dell'uomo, ma con quella di Dio, che all'uomo ha conferito tanto potere. La dipendenza da Dio, lungi dal diminuire la grandezza dell'uomo, la esalta.
IL SALMO 8 NELLA RACCOLTA DEI SALMI 3 - 1 4 8 2
Il Sal 8 si trova al centro della prima raccolta del salterio, Salò14. Lo precede immediatamente il Sal 7, a cui è collegato attraverso un'evidente "concatenazione" (si veda, ad esempio, la ripresa del tema del "nome" da 7, 18b in 8, 2a). Il Sal 7 fa parte, come si è visto, di una serie di cinque lamentazioni (Sal 3-7): in una lettura continua, la "voce di bimbi e lattanti" (Sal 8, 3) è appunto quella degli oranti di questi salmi, che, oppressi da "nemici assetati di vendetta", ricorrono all'unica arma a loro disposizione, la preghiera. Al Sal 8 fa seguito il Sal 9, che è ringraziamento per la "vittoria" cantata nel Sal 8: la duplice vittoria, quella dei "bambini" sull'"avversario e vendicatore", e quella del "figlio d'uomo" sugli animali feroci. Il Sal 9 è concatenato col Sal 8 mediante i temi del "nome" (8, 2 cf. 9, 3.11) e dell'"uomo" ( 5,8,אנושcf. 9, 20.21). Al Sal 9 fa seguito nuovamente una serie di cinque lamentazioni (Sal 10-14) in corrispondenza simmetrica con la serie 3-7. I due salmi "positivi" (8 e 9) si trovano dunque tra due serie caratterizzate dal lamento. Come si può leggere questa struttura? Forse il parallelo con un altro inno, il Sal 36, può fornire una chiave interpretativa. Esso inizia
82
Cf. Barbiero 1999, pp. 63-188, soprattutto pp. 88-113.140-158; Lorenzin 2000, pp. 72-73. Per ciò che riguarda i Sal 7-10 si veda l'interessante analisi di Auffret 1992.
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con un quadro molto pessimistico della situazione umana (w. 2-5 83 ). Ad esso fa seguito un brano che apparentemente niente ha a che fare con ciò che precede: il salmista si dimentica dei problemi umani e contempla la gloria di Dio nel suo tempio (w. 6-10). I due brani sono così diversi che molti autori pensano a due salmi indipendenti. In realtà i problemi non vengono dimenticati: essi rispuntano, con evidente valore inclusivo, nella parte finale del salmo (w. 11-13). Dopo aver contemplato la gloria di Dio, i problemi vengono visti in un'ottica diversa. La "voce del peccato" nel cuore del salmista (v. 2), che all'inizio costituiva una tentazione pericolosa, perde ora di attrattività (cf. w. 12-13). Così i Sal 10-14 vogliono essere letti alla luce dell'esperienza di salvezza dei Sal 8-9. Una volta contemplata la vittoria di Dio e stabilita la sua presenza regale sul monte santo (cf. 9, 8.12), la presenza del male nel mondo diviene uno scandalo. Al trono di Dio fanno costante riferimento i Salmi 10-14: cf. 10, 16; 11, 4; 14, 2. La serie inizia con un "perché?" rivolto a Dio. J H W H esiste, egli è signore della storia {Sal 8-9): perché dunque nella sua terra ancora domina il male, l'ingiustizia e il dolore? Letto isolatamente dal suo contesto, il Sal 8 sembra ingenuo, nel suo ottimismo. Presenta un quadro luminoso, totalmente positivo, dell'uomo. In realtà, già il Sal 9 usa il termine אנושin senso negativo (cf. w. 20-21), presentandolo non come alleato di Dio, ma come suo nemico. Tale aspetto viene approfondito nei Salmi 10-14, che appaiono come una meditazione sulla malvagità umana. Si poirebbe dire che il Sal 8 ritrae l'uomo nel progetto di Dio, al momento della creazione, mentre i Salmi che seguono, 10-14, ritraggono l'uomo dopo il peccato originale, l'uomo che si ribella a Dio trascinando nella violenza e nella rovina il mondo. Così il Sal 14 constata amaramente, del re della creazione: «Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno» (v. 3). Questo aspetto negativo della condizione umana, espresso nella ripresa polemica del v. 5 del Sal 8 in Gb 7, 17-19 e Sal 144, 3-4, viene esplicitato nei Sal 10-14. Se l'inno del Sal 8 loda Dio per il suo piano grandioso a rispetto dell'uomo, le lamentazioni che lo precedono e lo seguono non nascondono gli aspetti oscuri e problemati83 Al v. 2 le traduzioni moderne (cf. CEI) preferiscono G al TM, che suona: «Oracolo della ribellione all'empio - dentro al mio cuore». Per questa traduzione cf. Lohfink 1990a.
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ci, le contraddizioni che la realtà concreta presenta di fronte al piano di Dio. Il dialogo con Dio è fatto insieme di lode e di lamento, di contemplazione della gloria di Dio e di lucida percezione della tragicità della condizione umana. La lettera agli Ebrei, citando il Sal 8, ne applica la piena realizzazione all'uomo nuovo, nato dalla resurrezione di Cristo (cf. Eb 2,5-10): solo allora si realizza pienamente il disegno di Dio a riguardo dell'uomo 84 .
84 Sulla recezione del Sal 8 nel NT cf. Childs 1969; Urassa 1998. Oltre a E b 2 , 5 10 si veda Sal 8, 3 e M/11, 25; 21, 16; 8, 7; 1 Cor 15, 27; Ef 1, 22.
SALMO 19
TRADUZIONE
1. Per il maestro del coro. Salmo. Di Davide. 2.1 cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l'opera delle sue mani. 3. Giorno a giorno ne effonde discorso notte a notte ne comunica sapere. 4. Non è discorso, non sono parole, non è percepibile la loro voce. 5. (Eppure) la loro armonia è uscita per tutta la terra, e i loro accenti fino ai confini del mondo. Là ha posto una tenda per il sole. 6. Questi esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode a percorrere il cammino. 7. Da un confine dei cieli egli esce, e si gira ai loro confini: niente è nascosto al suo ardore. 8. L'istruzione di J H W H è perfetta, ridà il respiro; la testimonianza di J H W H è affidabile, rende saggio il semplice. 9. Le disposizioni di J H W H sono giuste, rallegrano il cuore; il comando di J H W H è limpido, rischiara gli occhi. 10. Il timore di J H W H è puro, sta saldo per sempre; i giudizi di J H W H sono verità, sono giusti tutti insieme:
Salmo 19
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11. essi sono più desiderabili dell'oro, di molto oro fino, e più dolci del miele, del miele che stilla dai favi. 12. Anche il tuo servo si lascia da essi istruire: a osservarli c'è grande guadagno. 13. Gli errori, chi li conosce? Assolvimi da quelli nascosti. 14. Anche dall'orgoglio trattieni il tuo servo, non domini su di me. Allora sarò perfetto e libero da colpa grande. 15. Ti siano gradite le parole della mia bocca: il mormorio del mio cuore è davanti a te, JHWH, mia roccia e mio redentore.
CRITICA TESTUALE
Verso 2 מעשה ידיר. «Opera delle sue mani». Steck vorrebbe vedere nell'espressione un'allusione al corso del sole, descritto nei w. 5c-7 1. Effettivamente in Sal 8, 4 gli astri vengono chiamati מעשי אצבעתיך, «opere delle tue dita». Secondo quest'interpretazione, seguita anche da M. Albani 2 , la prima parte del salmo (w. 1-7) sarebbe strettamente unitaria: si tratterebbe di un inno al sole. Ma una tale interpretazione sembra restrittiva. Anzitutto l'espressione «opera delle tue mani» ha un senso molto più ampio che "gli astri", potendo indicare, ad esempio, gli "uomini" (Gb 14, 15; 34, 19), gli "animali" {Sal 8, 7), un "popolo", come Israele (Is 60, 21; 64, 7) o l'Assiria (Is 19, 25). Soprattutto in connessione con פעל, l'espressione indica !'"agire" di Dio nella storia e nella creazione, il suo "piano" (cf. Sal 28, 5; 92, 5; 111, 7; 143, 5; Is 5, 12; 29, 23). Effettivamente, non ha senso che il firmamento, esso stesso "opera delle mani di Dio" (cf. Sal 8, 4), annunci !'"opera delle sue mani". Esso annuncerebbe se 1 2
Cf. Steck 1980, pp. 318-319. Albani 1994.
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stesso. L'accento è posto non sull'oggetto dell'operare, ma sul suo soggetto, su Dio 3 . Verso 4 בלי נשמע קולם. La traduzione è controversa. בליè particella negativa equivalente a un a "privativum" (lett.: «non udibile la loro voce»). Le antiche versioni sottintendono unanimemente un relativo: «(non sono parole, di cui) non sia percepibile la voce». Così, ad esempio G: ών ουχί ακούονται αί φωναί αυτών, Vg quorum non audiantur voces eorum. Questa traduzione viene preferita anche da numerosi esegeti moderni, tra cui Delitzsch 4 ed Oesch 5 . Effettivamente le affermazioni del v. 4, se intese in forma negativa, sembrano contraddire quelle del v. 3. Se si dice: «Giorno a giorno ne effonde discorso» (v. 3), sembra inconseguente affermare: "Non è discorso" (v. 4). Forse però si tratta di un voluto carattere "enigmatico" del brano 6. Preferiamo tradurre letteralmente, in senso negativo. A nostro avviso si tratta di contrapposizione tra due tipi di discorso, uno "udibile" e uno "non udibile". Il "discorso" dei cieli è sì discorso (w. 2-3.5), ma non un discorso "udibile" (v. 4): si tratta di un "discorso silenzioso", per contraddittorio che questo possa sembrare 7 . Verso 5 קום. Generalmente (cf. BHS) le traduzioni moderne seguono G ό φθόγγος αυτών (Vg sonus eorum), supponendo una Vorlage ebraica קולם. Ciò offrirebbe un miglior parallelismo al seguente מליהם. Ma sarebbe un'aperta contraddizione con il v. 4b («la loro voce non è udibile»). Anche qui preferiamo attenerci a TM. L'ebraico קוindica la "cordicella per misurazioni", di qui, in senso traslato, "ordine, armonia, ritmo". Il v. 5c viene reso in G in maniera singolare: év τω ήλίω 6Θ6Τ0 το σκήνωμα αύτοΰ, «Egli (cioè Dio) ha posto la sua tenda nel sole». Dietro a questa traduzione c'è la rappresentazione mitica, dif3 Cf. Oesch 1985, pp. 71-72; Van der Ploeg 1963, p. 201: «The whole verse may well mean that heaven and firmament (as we see them on earth) tell, not directly the story of the creation, but the greatness of the God who created them». 4 Delitzsch 1984, pp. 191-192. 5 Oesch 1985, pp. 73-77. 6 Cf. Deurloo 1992; Glass 1987, p. 153. 7 Su questo, si veda Barr 1990.
Salmo 19
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fusa in epoca ellenistica, del "carro del sole": Dio percorre il cielo servendosi del sole come del suo carro. Il soggetto dei w. 6-7 sarebbe, secondo la LXX, Dio stesso 8. Verso 7 ותקופתו על קצרתם. Il termine תקופהè controverso, potendo significare sia Γ "orbita" come anche il "girarsi", ossia il cambiare direzione. Inteso in quest'ultimo senso (cf. ancora Es 34, 22; 1 Sam 1, 20; 2 Cr 24,33), indicherebbe l'inizio del corso notturno del sole, al termine di quello diurno (cf. Qo 1,5) 9. Noi optiamo per questa soluzione: quindi non sentiamo il bisogno di cambiare על, "su, presso", con עד, "fino a", come fanno molti, seguendo G: ecac άκρου του ουρανοΰ, «(il suo corso va) fino all'estremità del cielo». Verso 11 הנחמדים. Intendiamo l'articolo davanti al participio in senso relativo, con valore "riassuntivo", con Delitzsch. Verso 12 נזהר. Il verbo זהרha due significati: a) "istruire, ammonire, mettere in guardia"; b) "illuminare, risplendere" (cf. Sir 43, 9 [il sole]; Dn 12, 3 [i giusti]). Questo secondo significato è tardivo, ma si inserisce bene nel contesto del Sal 19: esso risuona certamente, come accezione primaria ο secondaria, nel nostro passo. Verso 14 זדים. La maggior parte delle traduzioni moderne intendono concretamente ("orgogliosi"), ma il contesto suggerisce piuttosto di intendere un "plurale abstractionis" ("orgoglio"). Si parlava infatti al v. 13 di peccati, e di peccati si parla anche al v. 14cd: è logico ritenere che ( פשע רבν. 14d) faccia riferimento al peccato di orgoglio, esposto al v. 14a. Non si tratta, ovviamente, di peccati degli altri, ma di quelli dello stesso orante.
8 9
Cf. Boyd-Taylor 1998. In questo senso Steck 1980, p. 321; HALAT, p. 1641.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia UNITÀ DEL SALMO
Uno degli assiomi della ricerca storico-critica sui salmi era che il Sal 19 non fosse unitario, ma risultasse dalla giustapposizione più o meno casuale di due salmi: 19,2-7 (19A) e 19, 8-15 (19B) 10.1 due brani venivano dunque studiati come due salmi indipendenti. In questa linea si pone anche il breviario romano, dove il Sal 19A non viene mai recitato insieme al Sal 19B. Ancora venticinque anni fa Petersen poteva affermare perentoriamente: «E praticamente indiscusso che il Sal 19A (w. 2-7) rappresenti un'unità originariamente indipendente dal Sal 19B (w. 8-15)»11. Effettivamente i due brani si presentano con caratteristiche profondamente diverse. Nei w. 2-7 Dio viene nominato una sola volta, con il nome di ( אלv. 2a); nei w. 8-15 appare sette volte il tetragramma divino ( יהרהw. 8ac.9ac.10ac. 15c). Nei w. 2-7 il tema è la lode cosmica di Dio, un tema che trova molti paralleli nella mitologià orientale, mentre nei w. 8-15 il tema è la legge di Dio, un tema prettamente israelitico, senza riscontro nelle letterature vicine. Anche ritmicamente i due brani sono diversi: nel primo il metro è il solenne 3 + 3 ; mentre nel secondo il metro è la qinah, 3 + 2 accenti. Negli ultimi anni però si sono fatte sentire voci in altro senso, tendenti a cogliere l'unità delle due parti. Già diversi autori, pur distinguendo i due salmi, vedono una ragione per la loro composizione redazionale. Weiser, p. es., vede una corrispondenza tra l'ordine cosmico (Salmo A) e l'ordine morale, di cui è espressione la legge di Dio (Salmo B) 12. Si ricorre per questo volentieri al detto di Kant: «Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me» 13 . Questa considerazione viene approfondita dal fatto che il sole, che occupa un posto centrale nella prima parte, è nelle religioni orientali, sia in Egitto sia in Mesopotamia, il dio della giustizia, a cui è dedicata la seconda parte del salmo14. Si tratterebbe ad ogni modo di unità re-
10 Cf. Gunkel 1986, pp. 74-81; Weiser 1966, pp. 132-138; Jacquet 1975-1979 I, pp. 456-492; Podechard 1949-1954, pp. 90-97; Ravasi 1981 I, pp. 345-369; Dahood 1965-1979 I, pp. 120-125; Castellino 1955, pp. 450-456; Kraus 1978, pp. 297-307; Knierim 1995, pp. 322-350; Steck 1980. 11 Petersen 1982, p. 85. 12 Weiser 1966, pp. 135-136. 13 Kraus 1978, pp. 306-307. 14 Schroeder 1914, p. 70; Sarna 1967.
Salmo 19
157
(!azionale, non originaria, di due brani che risalirebbero a tempi diversi: più antico, preesilico, il primo, postesilico, non anteriore a Esdra, il secondo. Il ricorso alle letterature vicine fa intravedere talora una connessione con l'ideologia regale: alcuni autori riconoscono nel salmo il ricordo di un matrimonio sacro (cf. v. 6) 13 o l'identificazione del re con il sole 16, vedendo nel Sal 19 un salmo regale. In tal modo si giunge a una visione unitaria del salmo, ma postulando elementi ad esso estranei. Poco convincente è anche il tentativo di Seybold, di vedere nel Sal 19 la preghiera di qualcuno, ingiustamente accusato (cf. w. 12-15), che cerca rifugio nel tempio, e là recita i due inni, w. 2-7 e 8-11 17 . Si tratta di tentativi in cui si suppongono troppi eiementi che il testo non dice. Tale critica vale anche per il lavoro di Clines, che spiega l'unione delle due parti come un riflesso dell'unione di Gn 1-2 (creazione) con Gn 3 (caduta dallo stato di innocenza) 18. La considerazione unitaria dei due aspetti viene ricercata anche con criteri interni al testo, che offrono un fondamento più solido. Anzitutto si osserva che la fusione della considerazione sapienziale della creazione con la tradizione javistica della torah è tipica della sapienza postesilica, a iniziare da Gb 28, che identifica la sapienza con il "timore di Dio", e proseguendo attraverso Prv 8 (la sapienza creatrice) fino a Sir 24 e Bar 3 , 9 - 4 , 4 (sapienza = torah), per finire con Sap 7, 22-27 19. Per un parallelo nei salmi, si veda il Sal 147, in cui la "parola" ( )דברcon cui Dio governa la natura si sovrappone alla "parola" ( )דברche egli invia a Israele (cf. w. 15-20). L'interpretazione unitaria del salmo caratterizza l'esegesi rabbinica, che sottolinea tra l'altro come l'unione di creazione e torah stia a fondamento dell'organizzazione del Pentateuco, in cui la vicenda di Abramo si inserisce nel racconto della creazione 20 .
tf Così Wyatt 1995; Wyatt 1996, pp. 503-513. E il caso del recente articolo Arneth 2000. Più cauto Cortese 2004, pp. 52-53. 17 Seybold 1996, pp. 84-88. 18 Clines 1974. 19 Cf. Gese 1991; Feuillet 1987, pp. 188-189; Beaucamp e De Relies 1963, pp. 36-38; Harrelson 1999, p. 146; Deissler 1961. Ultimamente è apparsa l'importante monografia: Grund 2004, che purtroppo non abbiamo avuto il tempo di consultare, ma che si pone chiaramente in questa stessa linea. 20 Sull'esegesi rabbinica del Sal 19 cf. A. Cooper 1994; Arndt 1994. 16
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Ci troviamo dunque nello stesso milieu da cui è sorto anche il Sal 8 e il Sal 1. Il nostro testo si avvicina particolamente alla teologià del Siracide21. D'altronde anche elementi linguistici, come i due evidenti aramaismi: חוה, "trasmettere" (v. 3b), e מלה, "parola" (v. 5b), parlano per una data almeno persiana della composizione 22 . Pur riconoscendo l'unione originale dei due temi della creazione e della torah, ultimamente alcuni autori hanno affermato il carattere aggiunto di alcuni versetti, in base ad un'analisi di critica letteraria. I versetti che vengono attribuiti ad una mano tardiva, estranea al tenore originario della composizione, sarebbero il v. 4 (si negherebbe qui ciò che invece i w. 3 e 5 affermano) 23 e i w. 12-15 (avrebbero una concezione negativa della torah, in contrapposizione con quella positiva dei w. 8-11) 24. Ma gli argomenti addotti sono inconsistenti. Sia per il v. 4, il cui senso non è che l'uomo non può comprendere la "parola" dei cieli, quanto piuttosto che si tratta di una parola non sonora, di una "parola silenziosa", appunto, non percepibile con le orecchie, ma con gli occhi e con il cuore 25 ; sia per i w. 12-15, il cui legame con il contesto viene ultimamente a ragione messo in evidenza 26. Anche solo da un punto di vista contenutistico, l'affermazione di P. Beauchamp fa riflettere: «Lontano dalla superficie della creazione, lontano dalla superficie della Legge, si nasconde il più grande segreto proprio di tutt'e due, che è l'umiltà. Creazione e Legge si compiono in ciò che è segreto, si realizzano pienamente nell'umiltà» 27 . E il tema degli עוללים וינקיםdi Sal 8, 3. Noi perciò riteniamo il Salmo 19 originariamente unitario, non frutto di opera redazionale.
21 «(Sal 19) è un precursore di Sir 24» (Hossfeld e Zenger 1993a, p. 130); cf. anche Oeming 2000, pp. 260-263, che però tende a spostarlo dopo il Siracide, e Gese 1991, che propone come data della composizione la fine del IV sec. a.C. 22 Cf. Soggin 1975. 23 Si veda in questo senso Spieckermann 1989, p. 64, nota 10; Arneth 2000, p. 95, nota 39. 24 Cf. Spieckermann 1989, pp. 70-72; Hossfeld e Zenger 1993a, p. 130. 25 Cf. Barr 1990. 26 Cf. Auffret 2000; Ross-Wagner 1999. 27 Beauchamp 2002, p. 183.
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Salmo 19 STRUTTURA
Tale ipotesi viene confermata da una considerazione strutturale. Anche qui le proposte esegetiche non sono unitarie: esse si raggruppano attorno a due modelli fondamentali. Il primo, tradizionale, articola il salmo in due unità: w. 2-7 e 8-14, più una conclusione, v. 15. Il secondo divide il salmo in tre unità: w. 2-7; 8-11 e 1215. Effettivamente, da un punto di vista contenutistico, quest'ultima proposta fa alcune osservazioni pertinenti (cf. tab. 29). Tabella 29
2-7 8-11 12-15
BEAUCHAMP, Sal 19, HARRELSON, FISHBANE
MEINHOLD
Ross WAGNER
GLASS, ARNETH
creazione legge redenzione
discorso su Dio discorso di Dio discorso a Dio
universo Israele salmista
sole legge salmista
Beauchamp, abbiamo visto, propone una sorta di riepilogo della storia della salvezza, che si potrebbe così sintetizzare: dalla creazione (w. 2-7), alla legge (w. 8-11), alla redenzione (w. 12-15). Simili sono le proposte di Harrelson 28 e Fishbane 29 . Tre tappe della rivelazione divina vengono elencate anche da Meinhold, che pure propende per una struttura quaternaria del salmo: ma le prime due strofe (w. 25־b e 5c-7) sono per lui unificate dal fatto di essere un discorso su Dio, la terza (w. 8-11) è un discorso di Dio (w. 8-11), e la quarta (w. 12-15) un discorso rivolto a Dio, una preghiera 30 . Solo qui, infatti, risuona il "tu" del discorso diretto. L'aspetto della preghiera è fondamentale anche per J. Ross Wagner, che, da questo punto di vista, struttura il salmo nelle tre parti: w. 2-7; 8-11 e 12-15. Secondo Ross Wagner il salmo è strutturato in maniera da restringere progressivamente e allo stesso tempo interiorizzare la lode che viene rivolta a Dio 31 . La prima parte è dedicata alla lode dei cieli, qui l'orizzonte è universale. Poi la prospettiva si restringe al popolo di Israe-
28 29 30 31
Harrelson 1999. Fishbane 1979. Meinhold 1983. Ross-Wagner 1999.
160
II regnodi'JHWH e del suo Messia
le e alla lode della torah: allo stesso tempo essa attinge un gradino più interiore, attestato anche dal cambio del nome divino ( יהרהinvece di )אל. Infine il fuoco si restringe ancora sul salmista (w. 12-14) e sulla preghiera che questi sta innalzando (v. 15). Qui il tono si fa più intimo: dalla narrazione (w. 2-11) alla preghiera (w. 12-15). Simile è l'approccio di J.T. Glass, il quale vede però come protagonista della prima strofa non i cieli, ma il sole: e qui coglie il legame con la seconda strofa, in quanto il sole è legato aU'idea della giustizia e della legge 32. A tutti questi tentativi è comune la valorizzazione dell'ultima parte del salmo, w. 12-15: ciò che veniva visto da alcuni come un'aggiunta tardiva o che comunque veniva poco valorizzato, diviene l'elemento fondamentale, il tema unificante del salmo 33 . Pur accogliendo queste osservazioni, noi optiamo per la struttura tradizionale in due unità (w. 2-7 e 8-14) concluse da una "coda" (v. 15) (cf. tab. 30). Ci sembra che questa struttura corrisponda meglio agli indizi letterari offerti dal testo stesso; corra meno, cioè, il rischio di proiettarvi sopra uno schema preconcepito. Ci serviamo, per la nostra proposta, soprattutto delle osservazioni fatte da H. Gese 3 4 ,1. Fischer 35 , M. Girard 3 ^ e P. Auffret 37 . Tabella 30 I parte, w . 2-7 II parte, w . 8-14 Conclusione, v. 15
creazione אל3+3 legge
A. w. 2-5b: CIELI B. w. 5c7־: SOLE (בהם, v. 5c)
יהרה3+2 A', w. 8-11: TORAH B'.w. 12-14: SERVO (בהם, v. 12)
Lui - Inno
Tu ־Supplica
יהרה3+3
32 Glass 1987. Analogo è l'approccio di M. Arneth, che vede nella seconda parte, la lode alla legge (w. 8-11), una sostituzione polemica di un originario inno al re. Il tema del salmo sarebbe appunto quello di opporre al re terreno la torah (Arneth 2000). Nonostante gli eruditi appoggi alla letteratura accadica, il tentativo non convince. 33 Ciò vale anche per Seybold, che però fonda la sua proposta su elementi piuttosto esterni al testo (Seybold 1996, p. 86: «Se la parte C (12-15) costituisce la chiave per la comprensione del salmo, le parti A (2-7) e B (8-11) sono citazioni messe in bocca all'orante dei w. 12-15»). 34 Gese 1991. 35 Fischer 1983. 36 M. Girard 1984, pp. 169-178, cf. M. Girard 1996, pp. 372-388. 37 Auffret 2000; Auffret 1982, pp. 429-435.
Salmo 19
I
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La divisione binaria del Sal 19 è suggerita sia dal ritmo, sia dall'uso del nome di Dio, sia dal tema. La prima parte è contrassegnata dal nome אלe dal ritmo 3 + 3, e parla della creazione. La seconda è caratterizzata dal tetragramma יהרה, che ritorna ben sei volte, e dal ritmo della qinah ( 3 + 2 accenti): in essa si parla della legge di j|;1 Dio. La conclusione ritorna al ritmo ternario della prima parte (3 + 3), mentre il nome di Dio è JHWH, come nella seconda parte. ;: i Nonostante la diversità delle due parti, l'unità originaria del sai| j | mo è indicata dall'inclusione tra ( אמרw. 3a.4a), "discorso, notizia", e ( אמריv. 15), "parole". Le "parole" del salmista, la lode di Dio espressa nel salmo, vengono poste sullo sfondo della lode che i eie: li innalzano al creatore. Probabilmente valore di inclusione è da at'ffi: tribuire anche ai due nomi di Dio, con cui il salmo inizia (אל, v. 2a) 1yf e termina (יהרה, v. 15). In tutto, il tetragamma appare nel salmo sette volte, un numero dal valore simbolico, indicante pienezza. Un'altra importante corrispondenza tra la prima e la seconda parte è il ip' lessema סתר, "nascondere". Niente si nasconde al calore del sole (v. Ij; 7), mentre ci sono mancanze che si nascondono all'avvertenza del w salmista (v. 13): con ciò si allude alla funzione del sole come giudiIr: ce divino, a cui non sfuggono i peccati dell'uomo. \׳: La prima parte si suddivide a sua volta in due strofe (w. 2-5b e ! 5c7)־, come la seconda (8-11 e 12-14). Per due volte il legame tra la i prima e la seconda strofa è segnalato mediante l'espressione ( בהםw. 5 ןc e 12a): "in essi", cioè nei cieli, Dio ha posto una tenda per il sole (5c); "da essi", cioè dai "giudizi" di J H W H (משפטי יהרה, v. lOc), viene ;ייistruito/illuminato il salmista (12a). Nei due casi si ha un passaggio da \ una grandezza universale (cieli, torah) a una particolare (sole, servo). ! 11 parallelismo suggerisce una corrispondenza da una parte tra i cieli ì e la torah (AA'), dall'altra tra il sole e il "tuo servo" (BB'): mentre il ׳sole percorre gioiosamente e senza errore la strada che Dio gli ha fissato, altrettanto non si può dire del "servo", che, nonostante la buona volontà, non sempre riesce a seguire il cammino della legge. ì L'unità del salmo risalta non solo dalle considerazioni contenu^ tistiche fatte sopra, ma anche dalla coerenza metaforica. Il tema dell la "parola", ad esempio, percorre il salmo dall'inizio alla fine, unificando creazione, torah e preghiera del salmista 38. Le metafore della luce e della gioia caratterizzano ugualmente le due parti del sai-
38
Cf. Fishbane 1979, p. 86.
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mo 39 : alla "luce/calore" (חמה, v. 7) del sole, corrisponde la "purezza" ( )ברהdel comando di JHWH, che "rischiara" ( )מאירהgli occhi (v. 9), e la "limpidezza" ( )טהורהdel suo timore (v. 10). Dai giudizi di J H W H il servo è "illuminato" ( )נזהרcome dal sole (v. 12). Come "gioisce" ( )ישישil sole che percorre la sua strada (v. 6), così le disposizioni di J H W H "rallegrano" ( )משמחיםil cuore (v. 8), e la lode del servo è "di gradimento" ( )לרצוןa J H W H (v. 15). E interessante notare che, nonostante le due parti si corrispondano a livello tematico e metaforico, l'autore usa in esse termini diversi per esprimere gli stessi concetti. Il caso del nome di Dio è emblematico: sembra che il salmo voglia distinguere le diverse fasi della rivelazione divina. Così anche i termini che esprimono la "parola" nella creazione (אמר, דעת, דבר, קול, )מלהnon vengono impiegati per indicare la "parola" della legge, per cui vengono usati i lessemi תורה, עדות, פקודים, מצרה, יראה, משפטים. Lo stesso vale per i termini riferentisi alla luce e alla gioia. E quindi, la scarsità di corrispondenze verbali tra le due parti, anziché dimostrarne la non appartenenza reciproca, rivela un'intenzione teologica40. Quanto al tipo di discorso, la struttura è trasversale rispetto a quella fin qui disegnata: infatti le prime tre strofe sono caratterizzate dal discorso indiretto su Dio ("Lui", w. 2-11), mentre la quarta e la conclusione passano al discorso diretto ("Tu", w. 12-15). Analogamente, dal punto di vista del genere letterario, se i w. 2-11 vengono riconosciuti generalmente come un "inno" (i participi, che caratterizzano questa parte del salmo, sono tipici dell'inno) 41, ai w. 12-15 conviene la qualifica di "supplica individuale". Le osservazioni fatte a proposito del Sal 8 sono valide anche per il Sal 19: si tratta di una composizione tardiva, dove i generi non sono più allo stato puro.
IL TITOLO, v. 1
Val la pena notare, nel titolo, l'attribuzione "a Davide", che collega il nostro salmo direttamente ai tre salmi regali che lo affiancano (18 e 20-21). Con i due salmi seguenti, 20 e 21, il redattore ha voluto suggerire un particolare legame, perché i tre salmi portano esattamen39 40 41
Cf. Sager 1979. Cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 129. Cf. Criisemann 1969.
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Salmo 19
te lo stesso titolo. Sarà importante cogliere ! , intenzione teologica che sottostà a tale contestualizzazione. Lo stesso accostamento tra "torah" e "regno" viene proposto nel prologo del salterio.
PRIMA PARTE: LA PAROLA DELLA CREAZIONE, W . 2 - 7
Struttura La prima parte del salmo è delimitata dall'inclusione espressa dal termine «cieli» ()השמים, w. 2 e 7. Essa si compone a sua volta di due strofe, la prima riguardante i cieli (w. 2-5b), la seconda il fenomeno più rilevante dei cieli, cioè il sole (w. 5c-7). La prima strofa è dominata dal tema della "parola" (si vedano i verbi: ספר, "raccontare", נגד, "annunciare", v. 2,שמע, "ascoltare", v. 4; i sostantivi:אמר, "notizia", w. 3.4, דעת, "conoscenza", v. 3, דברים, "parole" e קול, "voce", v. 4, מלה, "parola", v. 5), la seconda dai temi della "gioia" (שיש, "rallegrarsi", v. 6) e della "luce" (חמה, "calore, luce", v. 7). La prima strofa sottolinea dunque l'aspetto uditivo, la seconda quello visivo della lode dei cieli. La prima strofa è composta di quattro distici, disposti in parailelismo: 2a + 2b; 3a + 3b; 4a + 4b; 5 a + 5b. Il primo di essi forma un parallelismo chiastico, gli altri tre sono disposti in parallelismo lineare. La seconda strofa è composta, all'inizio e alla fine, di due monostici isolati (5c.7c), che incorniciano due distici caratterizzati da parallelismo chiastico (6a + 6b; 7a + 7b). In entrambe le strofe si può osservare il passaggio dalla descrizione del soggetto (cieli, w. 23; sole, w. 5c-6) a quella del destinatario dell'azione (terra, w. 4־ 5ab; uomini, v. 7) (cf. tab. 31). Questa seconda parte delle due stroTabella 31 w. 2-3 soggetto: CIELI w. 2-5b w. 4-5b destinatario: TERRA
w. 5c-6 soggetto: SOLE w. 5c7 ־v. 7 (destinatari: UOMINI)
v. 4 = negativamente ()אין v. 5 = positivamente (יצא, )קצה v. 7ab = positivamente (יצא, )קצה v. 7c = negativamente ()אין
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
fe si corrisponde chiasticamente, in quanto nei w. 4-5ab si descrive prima, negativamente, la mancanza di parole (אין, v. 4), poi, positivamente, la diffusione (יצא, v. 5ab) della notizia per tutto il mondo (parola chiave: )קצה, mentre al v. 7 succede l'inverso: prima si descrive positivamente l'"uscita" del sole (יצא, v. 7a) da un confine all'aitro del cielo (קצה, w. 7a.7b), quindi si dice, negativamente, che niente ad esso è nascosto (אין, v. 7c). Il racconto dei cieli (vv. 2-5b) La prima strofa è caratterizzata dal tema della parola. Ciò che è singolare, è che essa viene messa in bocca non a persone, ma ad esseri inanimati, quasi che le cose potessero parlare. Il motivo appare anche nella letteratura ugaritica, in un testo peraltro oscuro (KTU 1.3 iv 7-20): «Perché c'è una parola che io voglio dirti, un messaggio che io voglio ripeterti: la parola dell'albero e il sussurro della pietra, una parola sconosciuta agli uomini, e che le moltitudini della terra non comprendono: l'accoppiarsi42 dei cieli con la terra, degli abissi con le stelle; vieni, io te la rivelerò, nel mezzo del Safon, il mio monte divino, nel santuario, nella roccia della mia eredità»43. Il motivo trova riscontro nell'Antico Testamento in Os 2, 23-24. Sarebbe però andare oltre il testo dedurre da questo accostamento che il Sal 19 descriveva originariamente un matrimonio sacro, come vorrebbe Wyatt44, a seguito di Eisler45. Il fatto che qui si usi il nome di E1 non vuol dire che abbiamo il resto di una composizione ugaritica 46: con il termine E1 si vuol indicare lo stesso Dio che poi sarà
42
tant. E possibile anche intendere "sussurro, lamento". Traduzione secondo Wyatt 1995, pp. 574-575; cf. Wyatt 1996, p. 505; Jirku 1951, p. 631. Si veda però la critica in Donner 1967, p. 328. 44 Wyatt 1995; Wyatt 1996. 45 Eisler 1918. 46 Cf. Herrmann 1987, secondo cui una subordinazione del sole a E1 non è attestata ad Ugarit. 43
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chiamato J H W H , solo che l'autore distingue le due tappe della rivelazione divina, come fa l'autore sacerdotale. La rivelazione di Dio attraverso la natura è un tema tipico della letteratura sapienziale47. Interessante è l'accento posto insistentemente sulla "parola", che prelude al tema giovanneo del "Verbo" di Dio (cf. Gv 1, 1-4). Certo, la "parola" è un atto d'amore, il desiderio di entrare in comunione con qualcuno, perciò in questa visione confluisce anche l'intuizione orientale di un primordiale dialogo d'amore tra il cielo e la terra 48 . La prima parte della strofa (w. 2-3) si sofferma sul soggetto dell'annuncio, e lo fa in due tappe. Dapprima si espone la dimensione spaziale dell'universo (cieli, firmamento, v. 2), poi quella temporale (giorno, notte, v. 3): spazio e tempo sono le categorie che strutturano il racconto sacerdotale della creazione, Gn 1. Il v. 2 è costruito in forma perfettamente chiastica (cf. tab. 32). Tabella 32 3 כבוד־אל 4 מעשה ידיו
2 מספרים 5 מניד
1 השמים 6 הרקיע
v. 2a - *
v. 2b
La precisa corrispondenza di1) ) ה ש מ י םcon6) ) ה ר ק י ע, e di2)) מ ס פ ר י ם con5) ) מ ג י דfa concludere a una sinonimia anche tra3) ) כ ב ו ד אלe מעשה ( ידיר4), confermando quanto osservato sopra sul carattere "soggettivo" dell'"opera delle sue mani". Come il cielo parla della "gloria di Dio", così il firmamento proclama che è opera di Lui, e quindi rimanda al suo creatore. Anche qui כבודha il senso teologico tipico di P, che abbiamo riscontrato in Sal 8, 6. La "gloria" è il fulgore della trascendenza, Dio stesso in quanto si manifesta all'uomo (cf. Is 6, 3: «Tutta la terra è piena della tua gloria»). Come il cielo parli di Dio all'uomo biblico abbiamo già considerato nel Salmo 8. Al messaggio spaziale dei cieli, il v. 3 accosta quello temporale. La formulazione poetica esprime il succedersi tranquillo e sempre uguale del giorno e della notte. Nel ritmo del tempo, giorno dopo 47
Cf. VonRad 1970, p. 211. Nella mitologia egiziana, la dea Nut e il dio Geb erano originariamente uniti nell'amplesso, vennero poi separati dal creatore, ma tendono ancora all'unione, come mostra la figura di Geb, che tende le sue braccia verso il cielo (cf. su questo mito, Keel 1984, p. 25). 48
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giorno, notte dopo notte, nel muoversi perfetto delle "eterne rote", c'è una "parola" e una "scienza", che, nel contesto del v. 2, non possono che riguardare la «gloria di Dio» e l'«opera delle sue mani». Come il cielo, anche il giorno e la notte parlano del Creatore. Meno verosimile mi sembra pensare, come vorrebbe M. Albani, alle leggi astronomiche che presiedono al corso del sole 49. Si tratta piuttosto di quella "teologia naturale", tipica della letteratura sapienziale 50 (cf., p. es. Sap 13, 1-9, e, per il Nuovo Testamento, Rm 1, 20: «Le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con ! , intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità»). Di una lode cosmica al creatore parla il Sal 148, e Sal 97, 6 sottolinea la funzione particolare, teofanica, dei cieli in questo processo di rivelazione: «I cieli annunciano la sua giustizia» (cf. anche Sal 50, 6). Nella seconda parte della strofa, l'accento si porta sui destinatari dell'annuncio, cosa messa in rilievo dal verbo שמע, al v. 4, e dai lessemi ארץe תבל, al v. 5: come nel Sal 8, la visione dei cieli rimanda subito a quella della terra. E qui che la parola dev'essere "udita". Il v. 4 è piuttosto controverso, sia per la traduzione, come si è visto, sia per l'interpretazione. Se, infatti, si traduce letteralmente TM, come noi abbiamo fatto («Non è discorso, non sono parole, non è percepibile la loro voce»), si giunge apparentemente a una contraddizione con il v. 3, dove lo stesso termine אמרè usato in senso positivo. Si comprende perciò che diversi autori vedano nel versetto un'aggiunta redazionaie, tendente ad attenuare la portata della "teologia naturale" esposta nei w. 2-351. Ma il parallelismo strutturale con il v. 7, sopra rilevato, suggerisce invece l'appartenenza del versetto al testo originale. L'apparente contraddizione si risolve mediante il ricorso al genere letterario sapienziale dell'indovinello. L'autore parla volutamente in senso misterioso, provocatorio, vuole suscitare la meraviglia del lettore52. Ma come va compresa questa negazione? Kraus la intende come una smentita della teologia naturale. Cioè, nonostante questa "parola" esista, l'uomo non la può percepire, per questo ha bisogno della torah 53 . Ma tale interpretazione è poco verosimile: essa sarebbe in contraddizione con i w. 2-3. Il v. 4 non è isolabile dal v. 5: ed è 49
Albani 1994, pp. 248-251, a seguito di Steck 1980, pp. 237-238. Cf. Kraus 1978, pp. 300-302. 51 E l'opinione di Spieckermann e Arneth (cf. sopra, p. 158, nota 23). 52 Deurloo 1992; Glass 1987, p. 153 («It is as if after each verse, or even each colon, one asked: "How can this be?"»). 53 Kraus 1978, p. 307. 50
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qui che va l'accento. La parte negativa riguarda la qualità della "parola": si tratta di una parola che non è percepibile con l'udito, ma con l'intelligenza (cf. Sir 17, 8: 6θηκ6ν τον όφθαλμόν αύτοΰ 6πΙ Tàc καρδίας αυτών δ6ΐξαι αύτοΐς το μ6γαλ6ΐον των έ'ργων αυτοί), «pose il suo occhio nei loro cuori per mostrar loro la grandezza delle sue opere»). La negazione riguarda dunque la modalità con cui questa parola si rivolge all'uomo, non dice niente sulla possibilità ο meno che essa venga recepita, anzi il v. 5, che segue, afferma implicitamente che la parola può essere recepita 54 . «(Eppure) la loro armonia è uscita per tutta la terra, e i loro accenti fino ai confini del mondo». E questo dunque che l'autore vuole evidenziare. Non: «Sebbene la loro voce si sia diffusa per il mondo, il loro messaggio non è percepibile», ma: «Sebbene la loro parola non sia percepibile con gli orecchi, tuttavia si è diffusa per tutto il mondo». Mentre la parola della legge è ristretta al popolo di Israele, quella della creazione attinge ogni uomo. La lettera ai Romani (Rm 10, 18) traspone la "parola" dei cieli al messaggio evangelico. L'analogia esiste: l'invio missionario degli "apostoli" fa eco all'"uscita" (יצא, w. 5a.6a.7a!) che contraddistingue sia la parola dei cieli (v. 5a), sia la corsa del sole (w. 6a.7a). La "parola" è per natura sua un "uscire", in cerca di comunione. E da cogliere la suggestione di questa prospettiva: l'universo intero è presentato come un dialogo, un avvenimento eminentemente personale. Tutte le cose sono in funzione del dialogo dell'uomo con il tu divino. Non è un caso che il salmo termini con la preghiera: nel dialogo con Dio si compie il significato fondamentale dell'universo. Ci siamo soffermati sul problema testuale posto dal TM קום.קו è la "corda di misurazione", quindi la "misura", l'"armonia". Il prònome personale si riferisce ai "cieli", sia nella loro dimensione spaziale (v. 2) sia in quella temporale (v. 3). Il parallelismo di קוםcon מליהםsuggerisce che la "parola" che proferiscono i cieli è appunto il loro ordine, la loro armonia. In quanto cosmo, universo ordinato, la creazione obbedisce alla "regola", alla legge imposta da Dio. Si comprende facilmente il passaggio all'altra legge, all'altra "parola", quella donata a Israele (w. 8-11)
54
Così giustamente Barr 1990. Per l'interpretazione di ip come "scrittura dei cieli" (accadico sitirti samami), cf. Tournay 1950, pp. 272-274.
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La corsa del sole (vv. 5c-7) Che oggetto della prima strofa fossero i cieli viene indicato dal pronome בהם, "in essi", cioè "nei cieli", con cui inizia la seconda strofa 56. Questo pronome, che si allinea agli altri tre che concludevano la prima strofa (קולם, קום, )מליהם, fa capire che l'autore distingue, nella prima parte del salmo, due soggetti: finora ha parlato dei cieli, ora parla del sole. Si tratta certo di due temi collegati tra loro, perché il sole è l'abitante più illustre, il "re" del cielo (cf. Gn 1, 1618), ed è lui a determinare il succedersi del giorno e della notte. Ma l'autore distingue le due cose. Cade perciò l'interpretazione che vede nella prima parte del salmo un inno al sole57. L'inno al sole comincia al v. 5c. Come la precedente, anche questa strofa è ricca di riferimenti mitici. Per ognuno degli elementi messi in evidenza dal salmo (la tenda del sole, l'immagine dello sposo, quella dell'eroe, il cammino del sole, il fatto che ad esso niente può sfuggire), sono stati stabiliti riscontri nella letteratura egiziana e mesopotamica 58. Ma nel Sal 19 il sole è pienamente integrato nella religione javistica: non c'è alcuna traccia di idolatria. Si tratta di immagini poetiche private del loro contenuto religioso, demitizzate. Il sole non è uno sposo, ma "come uno sposo", non è un eroe, ma "come un eroe". Il fatto stesso che l'autore si serva liberamente di elementi mitici rileva un'epoca tardiva: al tempo di Geremia sarebbe impensabile parlare del sole in questi termini. La religione astrale era allora un pericolo reale (cf. Ger 8,2; Gb 31, 26-28). Nel nostro salmo non c'è traccia di polemica religiosa59. Ciò risulta chiaro dal v. 5c: «In essi ha posto una tenda per il sole». Soggetto della frase è chiaramente Dio (v. 2). Come i cieli, anche il sole racconta la gloria di Dio: è Dio che fissa la dimora del sole. Com'è da intendere questa dimora? Spesso si ricorre all'immagine egiziana del sole alato, intendendo i cieli stessi come la "tenda" 60 del sole. Ma il parallelo con la "stanza nuziale" (חפה, v. 6a) fa propendere 56
La congettura proposta, ( ביםcf. Gunkel 1986, p. 75), disconosce il parallelismo con il v. 12 e il rapporto con il precedenti pronomi dei w. 4.5ab. 57 Contro Steck 1980; Arneth 2000; Albani 1994; Glass 1987; Wyatt 1995. 58 Cf. Sarna 1967; Arneth 2000, p. 83; Spieckermann 1989, p. 66. 59 Così giustamente Albani 1994, p. 242. 60 Si veda, ad esempio, Dohmen 1983, pp. 511-512. Naturalmente il בחםviene interpretato in senso strumentale ("con essi") invece che locale (cf. ivi, p. 505).
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per un'altra interpretazione. Si tratterebbe della dimora notturna, da cui il sole esce al mattino. Tale dimora è posta nell'immaginazione antica all'orizzonte orientale del cielo, tra due montagne (cf.fig. 9)61.
Fig. 9. «Da un confine dei cieli egli esce» (Sal 19, 7). Samas esce con passo vigoroso di tra i due monti che segnano l'orizzonte orientale del cielo. Gli stessi monti sono rappresentati dalle due porte, su cui stanno due leoni, i "guardiani delle porte". Dalle spalle di Samas escono fiamme di luce e calore. Il curioso attrezzo che egli tiene in mano, somigliante a una sega, è probabilmente una chiave: la chiave con cui egli ha appena aperto le porte del cielo (cf. Simonetti 2005). Quindi al di là dei monti è la sua abitazione («Esce come uno sposo dalla stanza nuziale», v. 6).
La "tenda" diviene al v. 6 la "camera nuziale" ( )חפהdi uno sposo. Naturalmente risuonano qui reminiscenze mitiche. Il dio Carnai aveva una paredra, Aja, chiamata in Mesopotamia «sua sposa diletta» (kallat naramtìsu)62. Di qui a immaginare un rito di matrimonio sacro come Sitz im Leben del salmo, il salto è breve 63 . Ma una tale interpretazione va al di là dei dati testuali. Il testo stesso mette l'accento sulla gioia con cui il sole ogni mattina inizia la sua corsa. Ogni giorno che inizia è come un rinascere, un riprendere con slancio la vita dopo il riposo notturno: questa esperienza umana è trasferita al sole. Si tratta di un'immagine poetica, quanto mai suggestiva. Non c'è gioia più grande di quella di uno sposo nella sua prima notte di nozze, nella freschezza del suo amore. Egli è realizzato, soddisfatto nel desiderio più intimo del suo cuore. Comincia cantando la sua giornata. Così il sole. Certo la metafora si inserisce bene nelle immagini sponsali dei w. 2-5: in fondo ogni gioia è frutto dell'amore, e da esso inseparabile. Anche l'immagine del guerriero ha un sottofondo mitico: il sole viene chiamato in accadico qarràdu, "eroe", e forse un ricordo di tale 61
Cf. Keel 1984, p. 18 Jig. 9. 62 Arneth 2000, p. 83; Sarna 1967, p. 172. 63 Cf. Wyatt 1995.
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rappresentazione è presente nel cantico di Debora (Gdc5, 31) 04. Ma qui si dice: "come un eroe"; e di nuovo l'accento è posto sulla gioia con cui un eroe o un corridore percorre la strada. Egli non va, "corre" ()רוץ, e la corsa per lui non è fatica, ma gioia ()ישיש. Naturalmente la "strada" dell'eroe è immagine dell'"orbita" percorsa dal sole. Il sole trasmette al salmista un'immagine di gioia e di freschezza: il mondo trova la sua gioia nell'adempiere il compito che Dio gli ha assegnato. E lo sguardo è rivolto già alla gioia che deriva all'uomo dall'osservanza della torah (cf. v. 9), anch'essa presentata come una "via" (cf. Sal 1,6!). Obbedire a Dio non è un peso, ma una festa (cf. Sal 19,11). Il lessema יצא, "uscire", collega il v. 7 con il v. 6 e con il v. 5: come l'armonia dei cieli "esce" per tutta la terra (v. 5), così il sole ogni mattino "esce" dalla sua stanza (v. 6). Il sole è 1'"araldo" dei cieli, il "missionario" della loro parola. La sua "uscita" è posta all'estremo orizzonte (v. 7). Il tema del "viaggio", introdotto alla fine del verso precedente (ארח, v. 6b), viene ora sviluppato65. Con un procedimento polare l'autore ne descrive i due estremi (קצה, v. 7a.b). L'inizio del viaggio, cioè l'uscita dalla tenda nuziale, è all'estremo confine orientale del cielo. All'altra estremità, cioè al confine occidentale, è posta la sua תקופה, cioè il suo "girarsi". Si allude qui al viaggio notturno del sole sotto la terra. Si allude solo, perché l'interesse è rivolto al viaggio diurno. Le diverse "uscite", cioè "porte" del sole nel corso dell'anno facevano l'oggetto di approfonditi calcoli astronomici in Mesopotamia. Nella letteratura intertestamentaria, il libro astronomico di Enoch si occupa delle "porte" del sole, ed è possibile che l'interesse rivolto alla "corsa" del sole rifletta questo stesso ambiente culturale66. «Niente è nascosto al suo ardore». Come i cieli, così anche il sole è visto in funzione dell'uomo. Per questo se ne mette in evidenza il viaggio diurno: di notte il suo viaggio ci è nascosto, il sole sta nella sua tenda. L'espressione polare "da un estremo all'altro" ha vaiore universale, e ciò viene esplicitato in forma negativa al v. 7c. Poiché la corsa del sole va da un estremo all'altro del cielo, non c'è niente che da essa non venga raggiunto. Il termine חמהindica l'"ardorè" (in senso proprio e in senso figurato, significando la "collera"), ma c'è un verbo חמהche significa "vedere", sicché è molto prò-
64 65
Cf. Arneth 2000, p. 83; Sarna 1967, p. 172. Per una rappresentazione visiva del "viaggio" del sole cf. Keel 1984, p. 29,
fig. 32. 66
Cf. Albani 1994, p. 249.
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babile che si abbia un gioco semantico simile a quello del verbo זהר al v. 12 67. D'altronde il verbo סתרesprime un "celarsi allo sguardo": è semanticamente correlato al verbo ( ראהcf. Gb 22, 14; Sal 10, 11; Ct 2, 14; Is 29, 15; Ger 23, 24) 68. Anche questo aspetto trova corrispondenza nella letteratura orientale, sia egiziana, sia mesopotamica 69. Espressivo è il proverbio babilonese: «Dove può andare una volpe lontano dalla presenza di Samas?». Il sole è collegato al fenomeno della luce e la luce è simbolo della giustizia. L'apparire dell'aurora è vista da Giobbe come il trionfo della giustizia: «Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora, perché essa afferri i lembi della terra e ne scuota i malvagi? (...). E sottratta ai malvagi la loro luce ed è spezzato il braccio che si alza a colpire» (Gb 38, 12-15). In tutto l'Oriente il sole è ritenuto il dio della giustizia. Ciò viene espresso nei vari inni e preghiere al sole70, e viene rappresentato visivamente in diverse immagini (cf. fig. 10) 71. Il sole è giudice, perché Fig. 10. Samas siede come giudice su un trono a forma di monte. Un suo aiutante, riconoscibile perché dalle sue spalle escono raggi luminosi, come da Samas, conduce al giudice divino un demonio con corpo di uomo, ma con artigli e testa di leone. Egli è personificazione di tutto ciò che è "tenebra".
67
Cf. HALAT, p. 313. Sul campo semantico del "nascondere" cf. Balentine 1980. 69 Cf. Sarna 1967, p. 172. Sarna cita l'inno al sole di Akenaton («I tuoi raggi abbracciano le terre fino al limite di tutto ciò che hai fatto. Siccome tu sei Re, tu raggiungi i loro confini», cf. ANET, p. 370) e l'inno babilonese a Samas («La tua luce ardente riempie le terre fino ai loro limiti»; «Samas, il tuo splendore raggiunge le profondità dell'abisso»). 70 Cf. Sarna 1967, p. 173. 71 Cf. Keel 1984, p. 188, fig. 286. 68
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vede tutto, niente gli è nascosto. Significativamente, la metafora della luce verrà applicata alla torah. Al v. 9c si dice della מצרת יהרהche essa è ברה, "pura, limpida", un aggettivo che Ct 6, 10 attribuisce al sole (חמה, lett.: "l'ardente"). D'altra parte il verbo סתרverrà ripreso in senso traslato, morale, al v. 13 («assolvimi dagli errori nascosti»): si comprende perciò come la sua presenza al v. 7 non sia casuale. La strofa sul sole è dominata dalle metafore della gioia e della luce: essa presenta il cosmo in una maniera positiva, senza ombra di male e di morte. Vengono in mente le parole del prologo di Giovanni: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui (...). In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini» {Gv 1,3-4).
SECONDA PARTE: LA PAROLA RIVOLTA A ISRAELE, W . 8 - 1 4
Struttura La seconda parte è delimitata da una vistosa inclusione: תמם, "essere perfetto" (w. 8a.l4c). Essa è suddivisa, come la prima, in due strofe, subordinate una all'altra dall'espressione ( בהםv. 12). Si è notato sopra la corrispondenza tematica tra la prima strofa del saimo (w. 2-5b) e la terza (w. 8-11), così come tra la seconda (w. 5c7) e la quarta (w. 12-14). La terza strofa è molto omogenea. Essa è inclusa mediante il lessema ( אמןw. 8 e 10) ed è composta di una serie di versi caratterizzati dal ritmo 3 + 2, in cui nella prima parte, quella più lunga, un'espressione riguardante la torah viene accompagnata da un aggettivo, e nella seconda, più corta, si evidenziano, mediante un verbo fattitivo (caratterizzato dal מiniziale), gli effetti della torah su chi la osserva. Come nota Gese, il parallelismo ora non è più, come nella prima parte, tra due parti del verso (parallelismus membrorum), ma tra due versi ritmici (parallelismus versuum: cioè 8ab con 8cd; 9ab con 9cd, ecc.). Il che conduce ad ottenere per la terza strofa lo stesso numero di unità poetiche della prima (4 72), sebbene il numero dei versi ritmici sia doppio (8). Per la verità, la seconda parte della strofa, w. 10-11, si allontana un po' dal modello enunciato. Al v. 10, la seconda parte del ver-
72
Gese 1991, pp. 143-144.
173
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so non ha un verbo fattitivo, ma una forma qal (עומדת,)צדקו, per cui viene aggiunta, alla qualità enunziata nella prima parte, un'ulteriore qualità della legge. Lo stesso vale per il v. 11, dove manca anche ! , espressione riguardante la torah. Abbiamo in tutto perciò dieci qualità della torah (quattro nei w. 8-9, quattro al v. 10 e due al v. 11) e quattro effetti prodotti da essa (ai w. 8-9). Schematizziamo questa struttura, a seguito di Auffret, nella tab. 33 73, indicando con X le qualità della torah e con Z gli effetti da essa prodotti. Tabella 33 A) v. 8
{
B) v. 9
{
C) v. 10
{
D) v. 11
{
8ab 8cd 9ab 9cd IOab lOcd llab lied
X
z z z z
X
X
X X X
X
X X X
La quarta strofa è caratterizzata dall'inclusione mediante la parola12) ר בb . l 4 d ) . Essa è composta di quattro versi ritmici, come la prima e la terza (il v. 14 consta di due distici). Tematicamente essa è strutturata a chiasmo. Infatti all'inizio (v. 12) e alla fine (v. 14cd) si parla dell'integrità del salmista. Al centro si corrispondono il v. 13 e 14ab, in quanto nel primo si parla dei peccati inavvertiti ()שגיאות, nel secondo di quelli avvertiti (זדים, "l'orgoglio"). Ma le ripetizioni suggeriscono un'altra struttura, stavolta parallela, per cui al v. 12 corrisponde il v. 14ab, e al v. 13 il v. 14cd (si veda la tab. 34). Abbiamo due strutture concorrenti, o, secondo la terminologia di Auffret, una simmetria incrociata74. Tabella 34 V. V. V. V.
73 74
12 13 14ab 14cd
A Integrità (+) A B Peccati non avvertiti (-) B A B' Peccati avvertiti (-) B' A Integrità (+)
Cf. Auffret 2000, pp. 30-31. Auffret 2000, p. 32.
גם עבדך נקה+ מ עבדך... גם מ+ נקה
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
La torah, fonte di vita e di gioia (vv. 8-11) Alla visione grandiosa e ricca di immagini dell'universo, sottentra con il v. 8 un brano più compassato, una sorta di litania un po' monotona, che ha il suo corrispettivo nel Sal 119. La terza strofa si suddivide in due parti (w. 8-9 e 10-11), in cui la seconda sviluppa il contenuto della prima. Prima parte (w. 8-9) Le quattro denominazioni della legge dei w. 8-9: ,תורה, עדות פקודים, מצוה, sono accoppiate due a due e vanno da una definizione generale (תורה, )עדותa una concrezione particolare ( 7 5 ( פ ק ו ד י ם, naturale che la litania cominci con l'espressione: תורת יהוה. Al lettore del salterio non occorre spiegare che cosa essa significhi: il rimando a Sal 1,2 è evidente. תורהindica 1'"istruzione" di Dio (dal verbo )ירה. E il termine generale per indicare la legge di Mosè, il Pentateuco, ma lo qualifica, appunto, come insegnamento, non come codice legislativo: il termine ha un'accezione sapienziale 76. Nel contesto del Sal 19, tale "istruzione" si sovrappone al קוdei cieli (v. 5) e allY™ del sole (v. 6). Per un cristiano, il pensiero va naturalmente al Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra» {Mt 6, 10). Gli astri obbediscono alla legge che il creatore ha loro assegnato, e questa legge è fonte di gioia e luce: luce e vita provengono anche dalla תורת יהוה. L'autore marca il passaggio dall'una all'altra legge cambiando il nome di Dio: al v. 2 è אל, ai w. 8-10 il tetragramma יהרה, per ben sei volte. Il che fa percepire una gradualità nella rivelazione: i due tipi di discorso non sono uguali 77 . Il Dio che si rivela nella creazione è lo stesso che parla nella torah, ma qui egli si rivela con il suo nome proprio, יהוה. Inoltre, nella prima strofa erano i eieli a parlare di lui, ora è lui stesso a parlare. La seconda strofa marca il passaggio da un discorso su Dio alla parola di Dio stesso (per il NT, cf. Eb 1, 1-2).
75
Così Gese 1991, p. 143. Cf. Levenson 1987; Ross-Wagner 1999, p. 254. 77 La superiorità della parola della torah su quella della creazione viene affermata nella tradizione ebraica, cf. Arndt 1994. Una buona sintesi viene offerta in Oeming 2000, pp. 256-258. 76
מצוה.
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Della torah si dice che è תמימה, "perfetta", senza macchia, cioè integra, piena di vita e di santità. Il lessema è di particolare importanza perché ritornerà alla fine della quarta strofa, dove l'orante riscontrerà in sé delle mancanze 78 . Egli non è, infatti, תמיםcome il sole, ma aspira ad esserlo: solo il perdono lo renderà tale. Si vede che la "perfezione" è un Leitmotiv del salmo. Poiché la legge è piena di vita, essa "restituisce il respiro", cioè "rinfranca dalla stanchezza" (cf. Sal 23, 3) o anche, più profondamente, "fa rivivere" colui che già era preda della morte (cf. Rt 4, 15; 1 Re 17, 22; Gb 33, 30; Sal 35, 17; Lam 1, 11.16). La torah non è dunque un peso, ma fonte di vita e di gioia (cf. Sal 1,2); non è fatica, ma ristoro. Il termine עדותè, nel contesto, sinonimo di תורה, e perciò indica la stessa grandezza: la legge mosaica. Il termine è di derivazione sacerdotale, dove le לוחות העדותindicano i dieci comandamenti. Il piùrale עדותè tipico della tradizione deuteronomistica e presenta la torah come documento dell'alleanza. Ma in Sal 19, 8 è presente un accento sapienziale. Nel testo ebraico di Sir 36, 20 (= Rahlfs 36, 14) עדותè chiaramente la "testimonianza" che Dio rende al suo popolo 79: anche questo termine, perciò, va al di là di un codice legislativo. La torah è vista, dunque, come "rivelazione", "testimonianza" autentica dell'essere di Dio. Di tale testimonianza si dice che è "affidabile" ()נאמנה, cioè vera (cf. Gv 3, 32-33). E poiché essa è vera, "rende saggio il semplice". Siamo dunque nella stessa dimensione sapienziale che caratterizzava la prima parte del salmo. La torah come fonte di sapienza: è il tema caratteristico della sapienza tardiva, come si è visto a proposito del Sal 1 80 . Il termine פתיè anch'esso tipico dei libri sapienziali, dove ha però, generalmente, una connotazione negativa, divenendo sinonimo di "sciocco". Di per sé, il termine deriva da פתה, "aprire", e indica una persona "aperta", cioè facile ad essere influenzata in senso positivo o negativo. Nei salmi il termine ha un valore soltanto positivo, divenendo sinonimo di 4 umile", "povero" (cf. Sal 116, 6; 119, 130). I "semplici" sono coloro che il Sal 8 chiama "bimbi e lattanti" {Sal 8, 3).
78
«One cannot avoid saying that the decisive motive in both the praise of Yahweh's torah and the prayer for Yahweh's help is Yahweh's servant's interest in reward, completeness, and innocence» (Knierim 1995, p. 335). 79 Cf. THAT II, col. 218 (van Leeuwen): in senso profano cf. Sir 34, 23-24 (=Rahlfs 31, 23-24). 80 Cf. sopra, pp. 30-32.
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Con il v. 9 passiamo dalla definizione generale della torah a termini concreti, dove l'elemento del "comando" è messo in evidenza. פקודיםviene da פקד, "visitare", sono cioè quei provvedimenti che un superiore prende dopo aver esaminato attentamente una situazione 81 . Il termine ricorre solo nei salmi, soprattutto nel Sal 119, dove appare ben 21 volte. Delle disposizioni prese da Dio si dice che sono ישרים, "rette", cioè "diritte", che corrispondono al fine per cui sono state emesse. E l'elemento della "giustizia", della "correttezza", che qui viene sottolineato, sotto la metafora della strada. Il rimando aU'mx del sole (v. 6) è chiaro. Come la strada del sole, la strada dei comandamenti non conosce tortuosità: va diritta al suo fine (cf. Sal 119, 27.104.128). Il richiamo al v. 6 è evidente anche nella seconda parte del verso, dove delle disposizioni di J H W H si dice che «fanno gioire il cuore», come il percorrere la sua orbita fa esultare il sole (v. 6). In parallelo a פקודיםviene posta la מצוד, il "comando". La parola di Dio non è solo quella di un maestro di sapienza, essa ha il valore normativo che hanno le leggi della natura. Il sole non può scegliersi altre strade: la creazione precipiterebbe nel caos. Dell'aggettivo ברה, "puro", che si accompagna al "comando", si è già visto il legame con il sole, attraverso il parallelo con Ct 6,10. E poiché il comando è "luminoso", rende luminoso anche chi l'osserva, cioè "rischiara gli occhi". L'espressione non ha un senso morale: "rischiarare gli occhi" ha il significato di "far rivivere" (v. 8b), restaurare le forze di uno che è stanco o malato (cf. 1 Sam 14,27.29; Esd 9, 8; Sal 13, 4; Prv 29, 13). La "luce" è sinonimo di "pienezza di vita" e di "gioia". Anche qui il parallelo con il sole è palese: obbedendo alla voce del creatore, il sole si alza ogni mattino pieno di vita e di gioia e illumina l'universo. Così è della parola della torah: essa dona luce e gioia alla vita dell'uomo. Seconda parte (w. 10-11) La seconda parte della strofa si distacca dalla prima. Anzitutto il termine יראת יהוהnon si allinea alle precedenti espressioni indicanti la legge. Qui יהוהnon è soggetto, ma oggetto del "timore", perciò la יראהnon è qualità della legge, ma di chi l'osserva. Della diver-
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Così Castellino 1955, p. 454.
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sa strutturazione dei w. IOab e lOcd, così come del v. 11 si è detto sopra. Si ha l'impressione che l'autore abbia voluto, in questi versi, riassumere il contenuto della prima parte. Quasi che il termine יראה (ν. IOa) si rifacesse alle due designazioni sapienziali del v. 8 e il termine משפטיםriassumesse le due espressioni del v. 9. Per l'aggettivo il richiamo è inverso: infatti il termine ( טהורהν. IOa) si connette con ( ברהν. 9c) 82, mentre ( אמתν. lOc) riprende ( נאמנהν. 8c). Da parte sua il ν. 11 si lascia comprendere come una ripresa della seconda parte dei w. 8-9, descrivendo l'effetto della torah sul fedele 83 . Si potrebbe dire che il v. llab, con le metafore dell'oro, riecheggi la lode della sapienza in Gb 28, 15-19, commentando il v. 8d («rende saggio il semplice») 84, mentre il v. l i e d si può comprendere come un commento di 9d («rischiara gli occhi»), alla luce di 1 Sam 14, 27.29 85. יראת יהוהsorprende. Non si allinea, dicevamo, alle altre espressioni indicanti la torah. Anche nel Sal 119, che impiega ben otto sinonimi per indicare la legge, non si parla di "timor di Dio". Non fa meraviglia che nel nostro passo, per analogia con Sal 119, 38, si sia prò86 posto di sostituire יראת יהוהcon א מ ר ת יהוה. L'espressione יראת יהוה abbastanza rara nel salterio (solo ancora in Sal 34, 12 e 111, 10), mentre è tipica dei libri sapienziali. Nei Proverbi il timore di Dio è l'inizio della sapienza, ma è soprattutto il Siracide che collega il timore di Dio con la legge. Se il libro dei Proverbi identifica la sapienza con il timor di Dio, il Siracide, raccogliendo la tradizione deuteronomistica, identifica il timor di Dio con l'osservanza della sua legge: πάσα σοφία φόβος κυρίου και ev πάση σοφία ποιησις νόμου (Sir 19, 20, cf. 2, 15-16; 15, 1; 19, 24; 2 1 2 7,23;11 ) ל. re di Dio" è dunque l'atteggiamento di colui che orienta la propria vita secondo la legge di Dio. L'aggettivo טהורindica la purezza rituale, ο quella di una materia preziosa, ma anche, e questo sembra essere il nostro caso, la purezza morale (cf. Sai51,12: )לב טהור. Poiché il timore di Dio ha questa qualità, esso «sussiste per sempre». L'espressione עמד לעדè esclusiva dei salmi, dove ricorre altre 5 volte. Particolarmente inte82
Sulla sinonimia dei due termini cf. Ross-Wagner 1999, p. 255. Cf. Knierim 1995, p. 333. 84 I due termini זהבe פזappaiono in Gb 28, 17 (cf. Prv 8, 10.19; Sap 7, 9). L'unico altro brano dove i due termini appaiono insieme è Sal 119, 127. 85 In 1 Sam 14, 27.29 infatti !,"illuminarsi degli occhi" ( )אור עיניםdi Gionatan è frutto del "miele" ( )דבשche egli aveva mangiato. 8 6 Cf. BHS. 83
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ressanti sono le quattro ricorrenze nei Sal 111 e 112, che certamente sono correlate. Infatti nel Sal 111 ricorre due volte l'espressione עמדת לעד, la prima volta a rispetto della giustizia di Dio (צדקתו, ν. 3), la seconda a rispetto della sua lode (תהלתו, ν. 10). La stessa espressione di 111, 3, צדקתו עמדת לעד, viene ripresa due volte nel salmo seguente, ai w. 3 e 9. Solo che qui essa si riferisce alla giustizia dell'uomo. Si vede la volontà di legare insieme le due cose 87. Poiché la giùstizia di Dio rimane per sempre, così anche quella dell'uomo. La giustizia di Dio trasmette la sua proprietà a quella dell'uomo. Qualcosa di simile si può pensare nel Sal 19. Poiché la legge di Dio è «stabile per sempre» (cf. Sal 148, 6), così essa rende «stabile per sempre» colui che la osserva. Il «timore di Dio» infatti è qualità dell'uomo, non di Dio. Esso è "puro", perciò passerà alla prova del crogiolo, così come è passata la parola di Dio, e per questo è "pura" (cf. Sal 12, 7). Come in Sal 1, 5, così anche in Sal 19, 10 si intravede una speranza di immortalità, cosa già presentita al v. 8 («fa rivivere»). משפטיםsi riconnette ai due termini concreti del v. 9, presentando la torah come una serie di decisioni giudiziarie, ossia come un codice legislativo. Di esse si dice che sono אמת, "verità". Più ancora che il sole, J H W H vede nell'intimo dei cuori e sa giudicare secondo verità, non si lascia sviare dalle apparenze. Poiché i giudizi di Dio sono veri, sono anche, tutti insieme, "giusti", conformi al diritto 88. Si è suggerito sopra che il v. 11 ab sia applicazione alla legge di Dio (propriamente, ai "suoi giudizi") di ciò che la tradizione sapienziale diceva della sapienza (cf. Gb 28, 15-17). Il passaggio suppone naturalmente quell'identificazione tra sapienza e torah che abbiamo visto essere tipica del Siracide. Il richiamo alla tradizione sapienziale è evidente anche al v. lied. Viene in mente soprattutto Sir 24: TÒ γαρ μνημόσυνόν μου ύπέρ το μέλι γλυκύ και ή κληρονομιά μου υπέρ μέλιτος κηρίον, «il ricordo di me è più dolce del miele e la mia eredità è superiore a un favo di miele» (v. 20). A parlare è la sapienza, ma quella sapienza
87 Per un parallelo tra Sal 111 e 112 cf. Scaiola 2002, pp. 266-272, che qualifica i due salmi come "gemelli". 88 E possibile che il tema del "giudizio" sia stato richiamato per associazione con il v. IOab, dove l'idea del giudizio era implicita nei termini "puro" e "sussiste per sempre".
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che si identifica con la legge di Mosè e con il «libro dell'alleanza del Dio altissimo» (Sir 24, 23). A conclusione della strofa, l'autore riprende l'aspetto "fattitivo" della torah, espresso nella seconda parte dei w. 8-9. Poiché essa porta gioia e vita agli uomini (w. 8-9), essa è desiderabile e dolce (v. 11). Forse è possibile cogliere, qui, un'eco del racconto del paradiso, come suggerisce Clines 89. Il frutto dell'albero proibito era להשכיל...נחמד, «desiderabile per essere saggi» (Gn 3, 6), e i precetti di Dio sono נחמדים. La sapienza che l'albero prometteva di offrire era contro il comando di Dio, e portò alla morte: la sapienza che offre la legge è obbedienza alla sua volontà, e porta alla vita.
Il servo di JHWH (vv. 12-14) Il passaggio dalla terza alla quarta strofa è chiaro. Si passa dal discorso in terza persona al discorso diretto, dall'inno alla preghiera. Il tono si fa personale, intimo, in corrispondenza con la parola di Dio della terza strofa, che pure era personale. Il legame con la strofa precedente è confermato da altre considerazioni. Anzitutto il v. 12 si riconnette con il discorso dei w. 8-11. Il גם, "anche", all'inizio del verso, ne è un indizio: con esso si appli. ca il contenuto del v. 11 e dei versi precedenti al caso particolare del salmista. Il richiamo è esplicitato dal בהםe dal pronome personale suffisso in בשמרם. In ambedue i casi si fa riferimento ai משפטים, nominati in lOb, e di cui si trattava nel v. 11 (si noti il plurale!). Inoltre l'idea del "guadagno" ( )עקבriprende la metafora dell'oro, legame accentuato dalla ripresa del termine ( רבllb.l2b). Il v. 12 continua il dinamismo della terza strofa, che terminava, al v. 11, ponendo יl'accento sugli effetti che la legge produce in chi la osserva. A tale osservanza fa riferimento il verbo שמרe il termine עבד. Come il sole, anche il salmista vuole inserirsi gioiosamente nell'armonia del cosmo, comunicata a lui mediante la torah (si è notato il richiamo di בהם, al v. 12, con il v. 5c, e quindi il parallelismo tra la corsa del sole e l'obbedienza del salmista). L'inizio della strofa è positivo: vengono applicate al salmista le immagini di luce (נזהר, "essere ammo-
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Clines 1974. Un intenzionale parallelismo dei due brani però, come propone Clines, sembra andare al di là dell'intenzione dell'autore.
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nito/essere luminoso") e di pienezza (עקב רב, "grande guadagno") tipiche della torah, dando ragione alle affermazioni fin qui fatte sui benefici effetti della legge. Al v. 13 il quadro idillico si incrina. Il servo non è come il sole. Nell'uomo c'è la libertà, e con essa la possibilità di uscire dalla strada tracciata da Dio. Tale possibilità viene illustrata concretamente attraverso due tipi di peccati, quelli inconsci (v. 13) e quelli coscienti (v. 14a). Il termine שכיאהè hapax legomenon, più usuale è il termine שגגה: con esso viene indicata la colpa commessa inawertitamente. Il significato fondamentale è dato in Ez 34, 6; Dt 27,18, e, in senso metaforico, in Prv 28, 10. Vuol dire: "andare fuori strada", "smarrirsi", da cui risulta chiaro il richiamo alla "strada" del sole (ארח, v. 6). Come insinua Knierim, il peccato involontario non è meno grave del volontario, esso comporta un oggettivo sconvolgimento dell'ordine divino 90. La differenza è che questo tipo di peccati può venire espiato. La torah non basta a preservare da ogni errore. Nonostante tutta la buona volontà, il salmista fa esperienza del peccato, non riesce ad essere completo, "perfetto". Il termine נסתרותva compreso come sinonimo di שגיאות: sono i peccati "nascosti", quelli, cioè, di cui il servo non si accorge, fatti per inavvertenza. Sal 90, 8 usa un termine simile: עלמים. Nel Sal 19, il termine נסתרותrimanda, per contrasto, alla corsa del sole. Al v. 7c si diceva che «niente è nascosto alla sua luce/calore». Il salmista non è come il sole: c'è una parte dell'esistenza che gli sfugge («le inavvertenze, chi le conosce?»), e da cui la torah è impotente a preservario. Dio deve intervenire personalmente: נקני, «dichiarami innocente, assolvimi». La legge, dunque, non è vista come un assoluto, ma come un intermediario per l'incontro con Dio, il quale soltanto può salvare91: si noti la vicinanza con la lettera ai Romani (cf. Rm 7). Paradossalmente, è appunto l'esperienza del peccato a fare scoprire il lato misericordioso di Dio. Il salmista non ha più un diritto da far valere, può solo fare appello alla misericordia. E la prima voita, nel salterio, che il peccato viene riscontrato non negli altri, ma nel salmista stesso: si veda, per contrasto, Sal 18, 21-25, dove il rapporto con Dio viene visto in base al merito, secondo un criterio di
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Cf. THAT II, col. 871 (Knierim). Cf. Knierim 1995, p. 334 («The perspective continues to switch, now from the torah to Yahweh himself, who alone can forgive the errors»); e Meinhold 1983, p. 133 («Er sucht Rettung bei Gott selbst, nicht bei der Torà»). 91
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giustizia strettamente retributiva. Probabilmente, non è un caso che i due brani siano accostati. Il termine זדים, al v. 14, viene generalmente interpretato in senso personale ("superbi") 92. Effettivamente, negli altri passi (Sal 86, 14; 119, 21.51.69.78.85.122; Is 13, 11; Mal 3, 15.19) il termine ha questo senso. Ma qui il contesto suggerisce di intenderlo come un plurale abstractionis, "orgoglio, presunzione" 93. Il כםall'inizio del v. 14 infatti allinea מזדיםal precedente מנסתרות, invitando a vedere anche in זדיםun tipo di colpa. Inoltre, il verbo חשך, "trattenere" non si accorda con un oggetto personale 94 . Effettivamente in & 21, 14 il verbo זידindica l'omicidio intenzionale in contrapposizione a quello preterintenzionale e in mAv IV, 4 il מזידviene contrapposto al שוע. Avremmo dunque quello stesso tipo di peccato che in Nm 15, 30 viene chiamato ביד רמה, «a mano alzata». Secondo questo brano, chi commette una tale colpa non è ammesso al perdono, ma dev'essere eliminato dal popolo. Si comprende che il salmista chieda umilmente a Dio di preservarlo da questo peccato. Il peccato viene sentito come una forza che tenta di impossessarsi ( )משלdell'uomo, come fa intendere Gn 4, 7 a proposito di Caino. Il salmista si sente soggetto a tentazione, e chiede umilmente a .Dio di non lasciarlo soccombere. L'"orgoglio" è l'atteggiamento contrario a quello dei "poveri di JHWH", rappresentati nel ( פתיv. 8): la tentazione dell'orgoglio è quella di Adamo, della disobbedienza, diametralmente opposta a quella del "servo", che fa dell'obbedienza alla legge di Dio la sua gioia. Alonso Schòkel fa notare il gioco semantico tra i lessemi משלe עבד, tra l'essere "servo di J H W H " e • Tessere "dominato", cioè schiavo dell'orgoglio. In Mal3, 15.19 i זדים !Vengono contrapposti ai "timorati di Dio", che si sforzano di vivere jtaecondo la legge del Signore. L'orgoglio è, appunto, il contrario della ( יראת יהודcf. v. 10): è l'atteggiamento di chi se ne ride della legge !'di Dio. Il peccato d'orgoglio non è quello legato alla fragilità urna ־na, ma una scelta positiva, diabolica, contro Dio. P. Beauchamp no]te che, paradossalmente, la legge stessa potrebbe condurre all'orgof^glio, come nel caso del fariseo del Vangelo: ma sarebbe allora uno : stravolgimento del senso della legge, che è appunto l'umiltà 95 .
92 93 94 95
G e Vg leggono "stranieri" (.(זרים Cf. Delitzsch 1984, p. 196; Ross-Wagner 1999, p. 259. Cf. HALAT, p. 345. Beauchamp 2002, p. 183 (cf. sopra, p. 158, nota 27).
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La preghiera dei w. 13.14ab è vicina alla seconda parte del Padre Nostro, in cui prima si chiede che vengano perdonati i peccati, poi di non essere indotti in tentazione (cf. Mt 6, 12-13). La prima richiesta corrisponde al v. 13, la seconda a 14ab. Il v. 14c ritorna al quadro positivo del v. 12, ma tenendo presente il superamento del peccato, presentato ai w. 13 e 14ab. La particella אזesprime appunto questo legame: "allora", quando cioè tu avrai perdonato i peccati occulti e mi avrai preservato dall'orgoglio, io sarò "perfetto". A questa perfezione aspira il salmista. Egli vorrebbe essere come il sole, che corre felice la strada che Dio gli ha tracciato, vorrebbe inserirsi pienamente nell'armonia cosmica, nell'ordine dell'universo tracciato per lui dalla torah (cf. v. 8: )תמימה. Egli sa che solo così egli potrebbe essere pienamente felice ()אייתם. La "perfezione" è possibile, ma è frutto della grazia, non dello sforzo dell'uomo. Essa è, dunque, fondamentalmente "salvezza". Ciò viene espresso dalla ripresa del verbo נקה: "sarò libero". "Liberato" da Dio (נקני, v. 13: piel), egli è ora "libero" (נקני, v. 14: nifal). L'oggetto di questa liberazione viene espresso dal concetto פשע רב. E da notare il parallelismo con עקב רב, v. 12b. Di fronte all'uomo ci sono due possibilità: il "grande guadagno", offerto dalla torah, e la "colpa grande", frutto del peccato. Il lessema פשעconnota sempre la rottura di un rapporto (cf. 2 Re 8, 20.22) 96, ed è forse questo ciò che anche qui il termine esprime: la rottura del rapporto di amicizia con Dio, 1'"apostasia"97. Tale è, secondo Nm 15, 30-31, l'effetto dei peccati fatti "a mano alzata". Essi conducono all'esclusione dal popolo di Dio. Al v. 14 termina la seconda parte del salmo: l'inclusione mediante il lessema תמםne fa fede. Come il sole si inserisce perfettamente nell'armonia del cosmo, percorrendo gioiosamente la strada per lui tracciata, così il salmista, nonostante i suoi peccati, si inserisce nella strada della torah: grazie alla misericordia divina sarà anche lui "perfetto" (איתם, v. 14c) e "luminoso" (נזהר, v 12).
96
Cf. THAT II, col. 493 (Knierim). «Abfallsùnde» (Delitzsch 1984, p. 196). A un simile significato giunge anche Dahood, per cui il «grande peccato» è quello dell'idolatria (cf. Es 32, 21.30.31: חטאה )נדלה, che corrisponde, in senso traslato, al peccato dell'adulterio, chiamato in Mesopotamia e ad Ugarit «grande peccato» (Dahood 1965-19791, p. 125; cf. Moran 1959). 97
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DEDICA: LE PAROLE DEL SALMISTA, V. 15
Come in Sal 104, 33-34, il salmista termina il salmo con una dedica. Le "parole" e la "meditazione" di cui si parla al v. 15 sono appunto il salmo che il "servo" ha finito di recitare. In quanto "dedica", il v. 15 si stacca dalla strofa precedente, anche se è ad essa collegato in quanto preghiera, discorso diretto a Dio. Esso vuole raccogliere il contenuto di tutto il salmo. Anzitutto quanto al ritmo. Il v. 15 ritorna al ritmo 3 + 3 che caratterizza le prime due strofe. Il fatto che abbia tre stichi ( 3 + 3 + 3 ) crea un aggancio con la seconda strofa. Come nel v. 7, i primi due stichi formano chiasmo tra loro, e il terzo è da essi staccato 98. Con la prima strofa il v. 15 è collegato mediante ! , inclusione formata dal lessema ( אמרw. 3.4.15): il "discorso" del salmista si allinea così al "discorso dei cieli" (w. 2-7) così come alla parola rivolta da Dio a Israele (w. 8-11). * Con la terza strofa il v. 15 è collegato mediante la ripresa del termine ( לבv. 9). La torah riempie il cuore di gioia, così la meditazione del cuore del salmista possa dare gioia ( )רצוןa Dio. Il tema della gioia caratterizza tutto il salmo ed è sintomatico l'accostamento con Sal 104, 34. La gioia del salmista viene presentata come un'eco della creazione, sentita come percorsa da un fremito di gioia: così Prv 8, 30-31 presenta la sapienza personificata 99 . ! La terminologia usata nel v. 15ab (היה לרצון, )לפניךè mutuata dal linguaggio sacrificale, cosa che vale anche per il lessema ( תמםw. ]8.14). Cioè, il salmista vuole presentare il salmo come un sacrificio, 11 sacrificium laudis, di cui parla Sal 116, 17: «A te offrirò il sacrificio della lode, e invocherò il nome di JHWH». Si tratta di un elemento ricorrente nel salterio (cf. Sal 51, 16;19). Alla luce di questi paralleli, il Sal 19 si lascia comprendere copie il sacrificio di ringraziamento per la liberazione di cui si parla ai yv. 13-14: un sacrificio che si sente alternativo ai sacrifici cruenti e "he non è separabile da una vita vissuta nell'adempimento della vo-
98 99
Cosa correttamente notata da Arneth 2000, p. 106. Cf. su quest'aspetto Keel 1974.
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lontà di Dio (cf. Sal 40, 4.7-9). Per questo la spiritualità della legge permea così profondamente i salmi. Il termine15) ה ג י ו ןb ) caratterizza il Sal 19 come una "meditazione", e non può non far pensare alla "meditazione" della legge di Dio, che è la gioia del salmista (הגה, Sal 1,2). Il v. 15c accentua da un lato il legame con la terza strofa, coneludendo, con il numero sette, la serie di ricorrenze del tetragramma divino, dall'altro evidenzia il legame con la quarta, ribadendo il tema della salvezza. Se il termine גאל, "redentore", si commenta da solo, l'altro, צור, ha bisogno di una parola di spiegazione. La ricorrenza di צורin riferimento a Dio nei salmi è quasi sempre infatti collegata con l'idea della salvezza (si veda, per rimanere nel primo libro del salterio, Sal 18, 3.32.47; 27, 5; 28, 1; 31, 3): l'immagine è quella di un luogo elevato, su cui una persona braccata dai nemici cerca scampo 100. Sarebbe suggestivo sviluppare il legame del Sal 19 con il contesto, soprattutto con i Sal 18 e 20-21, salmi regali. Rimando al mio libro 101 , o al pregevole articolo di Miller102. Vorrei qui soltanto fare un'osservazione. Diversi autori hanno rimarcato il legame dell'immagine del sole con l'ideologia regale103. L'accostamento del Sal 19 con i Salmi 18 e 20-21 conferma l'esistenza di un tale legame: la "corsa" del sole diviene allora immagine della "corsa" del re (רוץ, Sal 18, 30; 19, 6). Ma non esiste alcuna intenzione di sostituire la torah con il re, come vorrebbe Arneth 104, c'è piuttosto la volontà di democratizzare l'ideologia regale, dal momento che in 19, 12-14 l'immagine del sole viene riferita al salmista. D'altra parte, il titolo identifica il salmista con il re (19, 1). Il cerchio si chiude. Il re guerriero che affronta i suoi nemici [Sal 18; 20-21) è anche quello che impronta la sua "strada" all'obbedienza alla legge (Sal 19, 8-14), imitando la corsa del sole, che percorre con la gioia di un guerriero la strada a lui fissata da Dio (Sal 19, 5c7)־. Il "tuo servo" (19, 12.14) è Davide, il "servo di J H W H " (18, 1).
100 101 102 103 104
Cf. Keel 1984, pp. 159-160,//,gg. 245-245a. Barbiero 1999, pp. 240-248. Miller 1994a. Cf. sopra, pp. 156-157. Arneth 2000.
SALMO 22
TRADUZIONE
1. Per il maestro del coro. Sull'aria: «Cerva dell'aurora». Salmo. Di Davide. 2. Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Lontano dalla mia salvezza le parole del mio ruggire. 3. Mio Dio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, di notte, ma non c'è quiete per me. 4. Eppure tu sei santo, assiso sulle lodi di Israele. 5. In te hanno confidato i nostri padri, hanno confidato e tu li hai liberati. 6. A te hanno gridato e sono stati liberati, in te hanno confidato e non sono rimasti delusi. 7. Io invece sono un verme, non un uomo, vergogna degli uomini, disprezzato dal popolo. 8. Tutti quelli che mi vedono, mi scherniscono, spalancano la bocca, scuotono il capo: 9. «Si è affidato a JHWH, lui lo liberi, lo scampi, se in lui si compiace». 10. Sì, sei tu che mi hai estratto dal ventre, che mi hai calmato sul petto di mia madre; 11. su te sono stato gettato all'uscire dal grembo, fin dal ventre di mia madre sei tu il mio Dio. 12. Non stare lontano da me, poiché l'angoscia è vicina, poiché non c'è nessuno che aiuti.
187IIregno di' JHWH e del suo Messia
13. Mi hanno circondato tori numerosi, bufali del Basan mi hanno accerchiato, 14. hanno spalancato contro di me la loro bocca un leone che sbrana e ruggisce. 15. Come acqua sono versato, si sono sciolte tutte le mie ossa. E divenuto come cera il mio cuore, si è liquefatto in mezzo alle mie viscere. 16. Secca come un coccio è la mia forza, e la mia lingua è incollata al palato: su polvere di morte mi stendi. 17. Poiché mi hanno circondato cani un branco di delinquenti mi sta attorno come un leone attorniano le mie mani e i miei piedi. 18. Posso contare tutte le mie ossa. Essi osservano, mi vedono. 19. Dividono tra loro le mie vesti e sulla mia tunica tirano a sorte. 20. Ma tu, JHWH, non stare lontano, mia forza, affrettati a venirmi in aiuto. 21. Strappa dalla spada la mia vita, dalle grinfie del cane l'unica mia. 22. Salvami dalle fauci del leone. Dalle corna dei bufali tu mi hai risposto. 23. Racconterò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all'assemblea ti loderò. 24. Voi che temete JHWH, lodatelo, discendenza tutta di Giacobbe, dategli gloria, e tremate davanti a lui, discendenza tutta di Israele. 25 Perché egli non ha disprezzato né ha avuto ribrezzo della miseria del povero, non ha nascosto il suo volto di fronte a lui, ma, quando ha invocato aiuto, l'ha ascoltato. 26. Da te la mia lode nella grande assemblea, adempirò i miei voti davanti a quelli che lo temono.
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27. Mangeranno i poveri e si sazieranno, loderanno J H W H quanti lo cercano: viva il vostro cuore per sempre! 28. Ne faranno memoria e ritorneranno a J H W H tutti i confini della terra; si prostreranno davanti a te tutte le famiglie delle nazioni. 29. Perché a J H W H appartiene il regno, egli domina sulle nazioni. 30. Hanno mangiato e si sono prostrati tutti i grassi della terra, davanti a lui piegheranno il ginocchio tutti quelli che scendono nella polvere e non possono mantenere in vita il loro respiro. 31. Una discendenza lo servirà: si racconterà del Signore a quella generazione. 32. Verranno e annunceranno la sua giustizia a un popolo che è nato, perché lui ha agito. CRITICA TESTUALE
Verso 1 G traduce come al solito למנצחcon eie TÒ τέλος, dando un'interpretazione escatologica all'indicazione musicale (?) del testo ebraico. על אילת השחרviene reso im־èp της άντιλήμψεως της έωθιι/ής, "a causa del soccorso mattutino". Probabilmente G legge "( אילותforza", cf. v. 20) per אילת. Si noti il gioco semantico tra אילת (ν. 1), אל/( אלהיםν. 2.3) e ( אילותν. 20) 1. Verso 9 TM גלè imperativo ("affidati"), il che darebbe un senso plausibile. Abbiamo seguito però, senza cambiare il testo consonantale, G ήλπισβν, che suppone un perfetto (גל, cf. BHS). Cf. anche S e Mi 27,43. 1
CF. sotto, p. 192.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Verso 17 Questa è un'antica crux interpretum, su cui molto è stato scritto 2 . Noi abbiamo seguito TM כארי, sottintendendo lo stesso verbo della proposizione precedente ()סבבוני. Tg inserisce qui un verbo: «azzannando come un leone le mie mani e i miei piedi». G ha ώρυξαν χβιράς μου και πόδας, «hanno scavato le mie mani e i miei piedi», così VL foderunt. G ha letto probabilmente invece di ,כארי "( כרוhanno scavato", lezione attestata da alcuni manoscritti ebraici). S ha «hanno trapassato le mie mani e i miei piedi». Aquila e Simmaco leggono "hanno legato" ο "come cercando di legare" (cf. BHS), una lettura riproposta da Vali e da Kaltner. Strawn preferisce la lettura del Targum. A mio avviso il testo masoretico fa senso, anzi è da preferire come lectio difficilior. E da notare che questa citazione del Sal 22 non è stata usata nel racconto della passione. Se il testo che gli evangelisti avevano sotto gli occhi avesse avuto la lezione del testo greco, essi avrebbero certamente usato questo versetto come "profezia" della passione. Il riferimento di Sal 22, 17 alla passione di Gesù risale ai primi apologisti, Giustino, Tertulliano e Afraate 3 , che chiaramente si riferiscono al testo di G ο di S. Verso 22 G ha την ταπ6ίνωσιν μου, similmente S e Vg (humilitatem meam). In luogo del verbo ענה, "rispondere", essi leggono il sostantivo ענותי, "la mia povertà" (cf. ν. 25). Così traduce, p. es. BJ: «Sauve-moi de la gueule du lion, de la corne du taureau, ma pauvre âme». Ma il parallelismo dei membri esige alla fine del verso un verbo (cf. tab. 35): Tabella 35 22a
Salvami
dalle fauci del leone
X 22b
dalle corna dei bufali
tu mi hai risposto
Uno però si aspetterebbe anche nel secondo membro un verbo all'imperativo: il passaggio dall'imperativo al perfetto è senz'altro improvviso. Di qui il tentativo di emendare il testo, ma TM è lectio 2 3
Cf. Vali 1997; Kaltner 1998; Strawn 2000; Koltun-Fromm 1998. Cf. Koltun-Fromm 1998.
Salmo 19
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difficilior da ritenere. Che 11 verbo ענהqui non sia casuale, è attestato dall'inclusione con il v. 3: לא תענה. La ripresa dello stesso verbo in forma positiva segna la fine del lamento e il passaggio al ringraziamento. Senza questa "svolta in positivo", i w. 23-32 non sarebbero comprensibili. Verso 30 La traduzione CEI propone una serie di emendazioni. Essa traduce TM אכלו, "hanno mangiato", con "soltanto a lui", congetturando ( אך לוcf. BHS). דשני הארץ, "i grassi della terra", viene reso "quanti dormono sotto terra", congetturando ( ישני בארץcf. BHS). In realtà TM è confermato non solo da G 01 moves τ ης ־γης, "i grassi della terra", ma anche dai salmi vicini, cf. 20, 4 e 23, 5. Infine ונפשו לא חיהè una famosa crux interpretum 4. TM suona Ietteraimente: «e la sua anima non fa vivere». Questo soggetto singolare concorda senza difficoltà con il soggetto plurale del verbo precedente: «tutti coloro che scendono nella polvere». Si tratta verosimilmente di un singolare con valore distributivo («di cui nessuno è capace di far vivere la sua anima») 5 . G ha και ή ψυχή μου αύτω ζν\. Esso stacca l'ultima frase dal ν. 30 e la ricongiunge con il v. 3 la, anche questo modificato (και το σπέρμα μου δουλ6ύσ6ι αύτω) (si veda CEI e BHS). Staccando l'ultimo membro, il v. 30 acquista il valore di un'affermazione sulla risurrezione dei morti. Si comprende perciò che questa lezione sia stata preferita dalla tradizione cristiana. TM rimane nell'ambito della teologia veterotestamentaria, per cui dopo la morte uno non può più lodare J H W H 6. 4 Cf. Lipmski 1969, pp. 160-161; Krahmalkov 1969, p. 391; Keel-Leu 1970; Nober 1961; Tournay 1972, pp. 499-502; Airoldi 1971; Heller 1998. 5 Cf. Lohfink 1992, p. 15, nota 44. 6 Per questa traduzione cf. Barbiero 2000, pp. 123-125; KJV («ali they that go down to the dust shall bow before him: and none can keep alive his own soul»); Lutherbibel («vor ihm werden die Knie beugen alle, die zum Staube hinabfuhren und ihr Leben nicht konnten erhalten»); Barthélemy et al. 2005, pp. 136-139; C.A. Briggs e E.G. Briggs 1906, pp. 199-200 («Then will bow down all about to descend to the dust, and he, who doth not keep his soul alive»); Buber 1992a, vol. IV, p. 37 («Sie knien vor ihm, die in Staub waren gesunken, wer seine Seele nicht halten konnte am Leben»); Heinemann 1990, p. 304 («those who cannot keep themselves alive»). Questa interpretazione è tradizionale nell'esegesi rabbinica, come risulta dal commento del midrash su Nm7, 89, «dall'alto del coperchio che è sull'arca della testimonianza»: «R. Dosa osservò: E detto, perché l'uomo non può vedere me e restare in vita (Es 33, 20). Questo vuol dire che gli uomini non possono vedere Dio quando sono in vita, ma che possono vederlo alla loro morte; in questo senso è detto: Tutti quelli che scendono nella polvere
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II regnodi'JHWH e del suo Messia GENERE LETTERARIO E STORIA DELLA REDAZIONE
Il Salmo 22 non appartiene a un genere letterario puro. I versetti 2-22 sono caratterizzati dalla supplica, si possono definire una "lamentazione individuale". I versetti 23-27 suppongono che la supplica sia stata esaudita: essi appartengono al genere letterario dell 'azione di grazie. Mentre nei w. 2-22 l'orante era da solo, ora è attorniato dall'assemblea dei poveri. Il sacrificio comunitario è infatti tipico dell'azione di grazie (cf. v. 27: «Mangeranno i poveri e si sazieranno»). I versetti 28-32 sono ancora di un altro tipo. Seybold li intitola: "Sguardo escatologico al regno di JHWH". Dal punto di vista del genere letterario essi si avvicinano a l l ' h o . Secondo Seybold, i diversi generi letterari rispecchiano successive fasi della composizione del salmo: (a) la parte più antica sarebbe la supplica (w. 2-22); (b) a questa si sarebbe poi aggiunta l'azione di grazie (w. 23־ 27); (c) e quindi l'inno escatologico (w. 28-32). (d) Infine il salmo avrebbe ricevuto un titolo (v. 1), che «avrebbe fatto del testo un brano musicale o un canto» 7 . Il commento di Seybold è un caso tipico dell'esegesi tradizionale dei salmi, fondata sulla ricerca del genere letterario e la ricostruzione dell'ambiente storico. Proprio dal punto di vista della critica delle forme, l'indagine di Westermann ha messo in luce come il ringraziamento sia parte integrante della supplica: il titolo del suo lavoro sul Sal 22, Gewendete Klage (qualcosa come "lamento con svolta"), è significativo8. Anche Gerstenberger si pone su questa linea. Per Gerstenberger, sia l'espressione della fiducia (cf. w. 4-6.1011), sia il ringraziamento (cf. w. 23-27) appartengono al genere letterario della supplica. Solo l'ultima parte del salmo (w. 28-32) sarebbe da considerare come un'aggiunta 9 . Per Gerstenberger il Sitz im Leben di queste suppliche non sarebbe il tempio, ma piccole comunità di fedeli che si riunivano a pregare, magari presso il letto di un infermo 10. F. Stolz mette un punto interrogativo sul tentativo di assegnare ad ogni salmo un preciso genere letterario e un Sitz im Leben culpiegheranno il ginocchio di fronte a lui, anche colui che non può mantenere in vita la sua anima(,Sal22, 30)», cf. Freedman e Simon 1983 Vi, p. 640. 7 Seybold 1996, p. 97. 8 Westermann 1957. 9 Gerstenberger 1988. 10 Gerstenberger 1988, p. 109; cf. Craigie 1983, pp. 197-198.
Salmo 19
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tuale 11 .Ci sono salmi, dice Stolz, e il Salmo 22 è uno di questi, che appartengono a un tempo "postcultuale", caratterizzato appunto dalla mescolanza dei generi letterari. La vita infatti è così: qui si passa senza soluzione di continuità dalla supplica alla lode per poi tornare di nuovo alla supplica. Per Stolz, il Sitz im Leben di questi salmi non sarebbe, dunque, la liturgia, ma la preghiera personale. Pur riconoscendo la mescolanza dei generi letterari, altri autori cercano di ricostruire il divenire del salmo in base ad altri criteri. Citiamo solo l'esempio di Hossfeld 12 , che fa sua la proposta di Vanoni 1 3 . Secondo Hossfeld, il testo base del salmo sarebbe stato una lamentazione preesilica, unita a certezza di esaudimento e promessa di lode (w. 2-3.7-23). Qui si poteva riconoscere ancora il bisogno concreto (probabilmente una malattia) di un orante individuale. Una prima ampliazione nel senso della pietà dei poveri ("Armenfròmmigkeit"), tipica del postesilio, vede nel caso del salmista un paradigma per la comunità dei poveri (w. 4-6.24-27). Una seconda ampliazione sarebbe caratterizzata dalla visione escatologica del regno di Dio nei w. 28-32 14. Questi tentativi sono certamente legittimi: essi tendono a dare concretezza e spessore storico ai salmi. Ma oggi si sente, da varie parti, l'esigenza, da noi condivisa, di partire dal testo stesso, evitando di costringerlo in schemi precostituiti 15 , perciò il primo passo della nostra indagine sarà quello di analizzarne la struttura e la logica interna.
STRUTTURA
Dal punto di vista del contenuto, il salmo è diviso chiaramente, oltre al titolo (v. 1), nelle due parti: 2-22 (lamento) e 23-32 (ringraziamento e lode). Questa divisione contenutistica viene confermata da una serie di inclusioni lessematiche. La prima parte è inclusa dai lessemi ישע, "salvare" (w. 2 e 22), רחק,"lontano" (w. 2 e 20) e ענה, "rispondere" (w. 3 e 22). Soprattutto rilevante è il terzo lesse-
11 12 13 14 15
Stolz 1983; Stolz 1980. In Hossfeld e Zenger 1993a, pp. 144-145. Vanoni 1998. Per altri tentativi cf. p. es. Weimar 1986. Cf. Prinsloo 1995b, pp. 64-67.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
ma. All'inizio il salmista si lamenta: לא תענה, «Tu non rispondi» (v. 3); alla fine constata con gioia: עניתני, «Tu mi hai risposto» (v. 22). L'esaudimento della supplica introduce così la seconda parte (cf. v. 25: «Quando ha gridato a lui per aiuto, l'ha ascoltato»). Anche la seconda parte è caratterizzata da un'inclusione. Qui i termini sono: ספר, "raccontare" (w. 23 e 31) e זרע, "seme, discendenza" (w. 24 e 31). Questa chiara inclusione parla contro il carattere aggiunto dei w. 28-32, postulato in quasi tutte le ricostruzioni redazionali. Questa prima impressione di una struttura fortemente unitaria del salmo verrà confermata dallo studio analitico che segue. Ciò ha delle conseguenze sulla collocazione storica del Salmo 22. Se il testo è unitario, allora le considerazioni fatte da molti autori sul carattere tardivo, certamente postesilico, dei w. 28-32, vanno riferite a tutto il salmo: l'intero salmo ha un carattere tardivo, postesilico.
IL TITOLO, v. 1
Il titolo del Sal 22 è simile a quello del Sal 8 (למנצח על־הגתית מזמור )לדוד. Solo in luogo dell'annotazione על־הגתית, Sai22, 1 presenta l'aitra על־אילת השחר, che pure viene generalmente interpretata come indicazione per un'esecuzione musicale («Sull'aria: "Cerva dell'aurora"»). Si tratta forse di una melodia popolare, secondo cui il salmo andava cantato. Anche il Targum («in occasione del sacrificio quotidiano del mattino») riferisce il salmo alla liturgia del tempio. Con Seybold si può forse pensare a una "liturgizzazione" di un salmo, che in origine niente indica che fosse ambientato al tempio, né che fosse cantato. Nel salterio attuale i titoli hanno anche un valore strutturale. Nel gruppo 15-24 l'annotazione "( למנצחper il capocoro"?) unisce tra loro i Salmi 18-22 e forse allude a un'interpretazione messianica del Sal 22, da leggere in continuità (e in contrasto) con i Salmi regali 18 e 20-21.
LA PRIMA PARTE, W . 2 - 2 2
Come l'insieme del salmo, così anche la prima parte è divisa in due strofe da precise inclusioni lessematiche, cioè dalla ripresa dell'espressione אלי, "mio Dio", ai w. 2 e 11, e da quella dell'aggettivo
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Salmo 19
רחקai w. 2 e 12. La "supplica" del v. 12 riprende, cioè, il "lamento" dei w. 2-3 e forma una cornice per la prima strofa. Il v. 12 ha una doppia valenza strutturale 16. Da una parte conelude la prima strofa, dall'altra apre la seconda. Infatti due termini uniscono il v. 12 con la fine della seconda strofa: l'aggettivo ( רחקw. 12 e 20, cf. 2) e il verbo עזר, "aiutare" (w. 12 e 20).
La prima strofa (vv. 2-12) Come osservato, questa strofa è incorniciata dal "lamento" dei w. 2-3 (A) a cui fa eco la "supplica" del v. 12 (A'). All'interno di questa cornice, si possono cogliere altre tre sottounità, introdotte 1 ciascuna da un pronome personale: ואתה, "Eppure tu" (w. 4-6, B); ואנכי, "Io invece" (w. 7-9, C); כי אתה, "Sì, tu" (w. 10-11, B'). Da un ; punto di vista contenutistico, il brano centrale (C, w. 7-9) è caratterizzato dalla rappresentazione della presente situazione di bisogno, ed è incorniciato da due brani caratterizzati dallo sguardo al passato (B, w. 4-6; B', w. 10-11). Il primo di questi (B, w. 4-6) evoca la fiducia dei padri, il secondo (B', w. 10-11), posto chiaramente in parallelo, evoca la fiducia, nel passato, dell'orante stesso. A questa "fiducia" si riferisce l'osservazione sarcastica dei nemici, citata nella parte centrale (C, w. 7-9): «Si è affidato a J H W H , lui lo liberi, lo scampi, se in lui si compiace» (v. 9). "Io", "Tu" (= Dio), "Essi" (= i nemici) sono i tre attori che con il loro alternarsi determinano la divisione della strofa in cinque parti (cf. tab. 36). Tabella 36 Versi Attori A 2-3 B 4-6 C 7-9
Contenuto Tempo
Tu+Io Lamento Tu Fiducia Io+Essi Situazione di bisogno B' 10-11 Tu Fiducia A? 12 Tu+Io Supplica
Parole chiave
Presente אלי, ( רחקv. 2) Passato ( בטחw. 5.6), פלט/( מלטw. 5.6) Presente ( פלטv. 9) Passato ( בטחv. 10),( אליv. 11) Presente קרוב ־ רחק
Cf. Auffret 1998b, pp. 109-110.118-119.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Perché mi hai abbandonato? (w. 2-3) Il primo brano, w. 2-3, forma una polarità, nel senso che il v. 2 esprime la dimensione spaziale ("lontano") dell'abbandono di Dio, mentre il v. 3 ne descrive la dimensione temporale ("giorno... notte") 17. In tal modo viene espressa la totalità dell'esperienza umana. Noteremo la stessa polarità alla fine del salmo (w. 28-32), a conferma della profonda unità letteraria dello stesso 18. I due versi iniziali sono altresì caratterizzati dal passaggio dal discorso su Dio a quello sul salmista. Nella prima parte dei w. 2 e 3 si parla di un'azione di Dio («mi hai abbandonato», «non rispondi»), nella seconda dell'eco che quest'azione provoca sul salmista («lontano dalla mia salvezza»; «non c'è quiete per me»). La situazione di bisogno del salmista viene così fatta dipendere direttamente da Dio (cf. tab. 37). Tabella 37 Coordinate v. 2 Spazio («lontano»)
Dio
«Tu mi hai abbandonato» »־־־ v. 3 Tempo («di giorno... «Tu non rispondi» di notte»)
Il salmista «Lontano dalla mia salvezza» «Non c'è quiete per me»
«Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». L'inizio del salmo riceve una profondità inaudita dalla passione di Gesù Cristo. Gesù l'ha pregato sulla croce (Mt 27, 46; Me 15, 34). In realtà tutto il Sal 22 viene visto nella tradizione cristiana come una profezia della passione di Gesù. Sarebbe falso intendere questo in senso materiale. Il Sal 22 non è stato scritto in previsione di Gesù. E vero invece che Gesù (o la primitiva comunità cristiana) ha compreso il senso della sua passione alla luce del Sal 22. E dunque è importante comprendere il Sal 22 anzitutto nel suo senso originale. Lo studio della "Wirkungsgeschichte" del salmo, anche quando si tratta di riletture all'interno della Bibbia, e perciò con valore canonico, è un passo successivo.
17
Si potrebbe anche dire che al v. 2 si esprime la forma visiva dell'assenza di Dio ("lontananza"), al v. 3 quella uditiva ("silenzio"). 18 Cf. Kselman 1982b, p. 189.
Salmo 19
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In questa frase è riassunta, si può dire, tutta la prima strofa 19. Sottolineando l'appartenenza dell'orante al suo Dio (אלי אלי, «mio Dio, mio Dio»), cosa che verrà ribadita nel verso seguente ()אלהי, il salmista introduce le attestazioni di fiducia dei w. 4-6 e 10-11, mentre il lamento «perché mi hai abbandonato?» viene sviluppato nei w. 7-9. Il salmista appartiene dunque a Dio, Dio è per lui il "mio Dio". Il termine אלè un'antica denominazione di Dio in uso in tutto il mondo semitico. L'etimologia della parola è discussa, ma generalmente viene fatta derivare da una radice che significa "forte" 20. Questa radice ritorna anche nel v. 20 (אילותי, "mia forza"), e forma un'ulteriore inclusione per la prima parte del salmo. Se dunque ora Dio ha abbandonato il salmista, ciò non è qualcosa di naturale, ma va contro le sue convinzioni più radicate, contro la sua natura. Ciò è vero in maniera unica di Gesù, il Figlio di Dio. Ma la convinzione che Dio non abbandona i suoi fedeli è radicata nell'AT (cf. Sal 9, 11; 16, 10; 27, 10; 37, 28; 94, 14). Perciò la domanda: "Perché?" è comprensibile. E una protesta contro Dio, un'accusa rivolta a lui21. La colpa dell'attuale situazione di morte in cui si trova il saimista è attribuita a Dio, che non è fedele alle sue promesse. Ciò è certamente molto umano, e questo è probabilmente il motivo per cui il terzo dei sinottici, Luca, non ha riferito questa frase di Gesù morente. Eppure la protesta è anche segno di fiducia. Se il salmista non avesse alcuna speranza in una risposta di Dio, non protesterebbe. Con questo "perché" l'orante esprime un contrasto tra la sua fede («mio Dio») e la realtà («mi hai abbandonato»). Egli contesta, in nome della sua fede, una realtà che fa a pugni con la sua fede. Nel primo libro del salterio un tale "perché" caratterizza l'inizio dei Salmi 10 e 13. «Lontano dalla mia salvezza le parole del mio ruggire». Nel secondo stico viene rappresentata la situazione dell'orante, viene detto cioè, concretamente, in che cosa consista 1'"abbandono" di Dio. L'orante percepisce quest'abbandono per il fatto che egli grida, ma
19
«The first part is as a whole an elaboration of the opening cry» (Mays 1994, p.
108). 20
Cf. ThWAT I, col. 261 (Cross). Cf. Broyles 1989. Broyles distingue, tra le lamentazioni, "lamenti contro se stessi", "lamenti contro i nemici" e "lamenti contro Dio". Secondo lui, i primi due tipi non sono propriamente "lamenti", ma "suppliche": il termine di "lamenti" si addice solo al terzo tipo di preghiera. Solo in questo caso si tratterebbe veramente di "complaint", cioè di accusa ("Klage*'). 21
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non riceve nessun aiuto. Contro la sua convinzione, la "salvezza" è "lontana" dalla sua preghiera. Il verbo ebraico שאגesprime anche foneticamente il ruggire del leone (cf. v. 14). Anche di Gesù crocifisso viene raccontato "un forte grido" (cf. Mt 27, 46.50; Me 15, 34.37). Nel nostro caso non si tratta di un grido inarticolato: qui ci sono delle "parole" ()דברי שאגתי. Ciò che per Forante è insopportabile non è la sua sofferenza, ma il fatto che Dio lo abbia abbandonato. Dietro al suo dolore egli percepisce l'abbandono di Dio, e contro questo egli protesta. Si tratta di un rapporto d'amore («mio Dio») che viene rotto. Della "lontananza" di Dio parla in modo impressionante Geremia (cf. Ger 23, 23). Le "confessioni" del profeta sono la sua protesta contro il Dio lontano. L'immagine del "ruggire" introduce il secondo verso: «Mio Dio, io grido di giorno e tu non rispondi». Tra amici uno si aspetta che un grido, e più ancora un grido di aiuto, riceva una risposta (cf. Sai4, 2; 13, 4; 17, 6; 20, 2.7.10; 27, 7; 34,5; 38, 16). L'esperienza del silenzio è particolarmente dolorosa, perché essa contraddice il rapporto che unisce due persone (אלהי, "mio Dio"). Effettivamente, quando l'orante riceverà una "risposta" da parte di Dio, la sua crisi sarà risolta (v. 22). Notte e giorno esprimono una polarità. In questa forma si esprime la totalità del tempo (cf. Sal 1,2). Qui le ore della notte sono associate alla "quiete", דומיה. La notte è il tempo del riposo. I saimi sanno il valore di un sonno tranquillo sotto la protezione di J H W H (cf. Sai4, 9; 62,2). Nelle sue notti insonni (si pensa generalmente a una malattia), il salmista grida a Dio, come se fosse giorno, ma non riceve alcuna risposta. Come la "salvezza" del salmista (v. 2b) è legata alla "prossimità" di Dio (v. 2a), così la sua "quiete" (v. 3b) è legata alla "risposta" di lui (v. 3a) 22 . La fiducia dei padri (w. 4-6) Con un procedimento che è tipico della preghiera di Israele (cf. Sai42, 5; 44, 2; 77, 6.12; 78, 3; 143, 5), l'orante si collega alla storia del suo popolo. Questa dimensione "collettiva" del salmo verrà sviluppata soprattutto nella seconda parte (cf. v. 24: il termine ישראל unisce il v. 4 al v. 24, la prima alla seconda parte). L'orante appartiene a un popolo che ha una lunga storia dietro di sé. Di questa sto22
Per l'accostamento "lontananza" e "silenzio" di Dio cf. Sal 35, 22.
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ria egli "fa memoria" (cf. Sal 42, 5), con due finalità. Anzitutto per attingere fiducia per se stesso. Poi per muovere Dio a "rispondere". Nel passato, Dio ha risposto, perché non lo fa ora? Come Miller osserva, questo atteggiamento di rivolta può sembrare oggi "primitivo". La vera preghiera non è forse quella del Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà»? L'orante biblico lotta con Dio. Protesta. Crede che Dio possa cambiare. Si veda la preghiera di Abramo in Gn 18, 22-32, quella di Mosè in Es 32-34 o le confessioni di Geremia. «Eppure tu sei santo». La parola קדושesprime la "diversità", la "trascendenza" di Dio. Nel nostro caso la diversità è da comprendere nel senso della fedeltà. Gli uomini possono essere infedeli al loro amore e ai patti stabiliti, ma Dio è "diverso", la sua חסדè ( אמתcf. Sal 100, 5; 118, 1-4; 136). Si allude qui alla teologia dell'alleanza. «.. .assiso sulle lodi di Israele». Zenger intende la frase: «tu abiti le lodi di Israele», e la interpreta come un contrapporre al tempio, il luogo tradizionale dell'abitazione di Dio, la preghiera dei salmi (תחלים, "lodi"), che diventerebbero il nuovo "tempio", il luogo della presenza di Dio 23 . Per suggestiva che sia quest'interpretazione, e senza volerla escludere, mi sembra che qui il senso primario di ישבsia quello di "sedere in trono, sedere come re" (cf. Sal 29, 10; 47, 9)24. Attributo tipico di J H W H è ישב כרובים, "colui che siede sui cherubini" (cf. Sal 99, 1; 80,2), con allusione ai cherubini che stavano sull'arca dell'alleanza, il "trono" di JHWH. E quindi l'idea della regalità che qui viene espressa, un'idea che verrà ripresa alla fine del salmo (w. 28-30, soprattutto v. 29). Anche in questo senso si tratta di una "estraniazione", cioè si sostituiscono al trono di cherubini le "lodi di Israele". Il trono vero di J H W H non è tanto quello materiale dell'arca, quanto piuttosto quello spirituale delle "lodi d'Israele". Il termine תהלות, "lodi", viene ripreso nella seconda parte del salmo (w. 23.24.26.27), dove indica la preghiera di ringraziamento per la salvezza ottenuta da Dio. La storia di Israele, dice il salmista, è una lunga serie di "azioni di grazie", una catena ininterrotta di suppliche esaudite. Essa comineia infatti con il grido di Israele in Egitto, che J H W H ha ascoltato (cf. 3, 7-9). Su queste azioni meravigliose di salvezza si fonda il trono di Dio, il suo diritto a regnare su Israele. «In te hanno confidato i nostri padri...». Il termine בטחè un Leitmotiv nella prima strofa (w. 5 [2 volte].6.10). Esso esprime l'at23 24
Zenger 1999. In questo senso cf. Gese 1974, p. 186.
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teggiamento di qualcuno che si sente al sicuro, tranquillo, perché protetto. Geremia sa che Tunica sicurezza dell'uomo è Dio: «Maledetto l'uomo che confida ( )בטחnell'uomo, ...benedetto l'uomo che confida ( )בטחin J H W H » (Ger 17, 5.7). In passato, dunque, la fidueia posta in J H W H si è rivelata ben fondata, non è andata delusa. Il salmo pone "confidare" in parallelo con "gridare" (cf. tab. 38). Ciò proietta una luce sul grido dell'orante dei w. 2-3: non si trattava, allora, di disperazione, ma di fiducia. Se l'orante non avesse avuto fiducia, non avrebbe gridato. Il verbo פלט, "scampare, venirne fuori", e il suo sinonimo ( מלטv. 6), è tipico per esprimere la "salvezza" nell'AT. Il Sal 22 è ricco di vocaboli riguardanti la salvezza: ישע, "salvare" (w. 2.22); עזר, "aiutare" (w. 12.20); נצלhi., "strappare via" (w. 9.21). L'esistenza dell'uomo biblico è l'esistenza di un salvato, di uno scampato alla morte. Il salmista sa che l'uomo in definitiva non si può salvare (cf. v. 30e: «Non possono tenere in vita la loro anima»): solo Dio può farlo. Tabella 38 v. 5b v. 6a v. 6b
In te hanno confidato A te hanno gridato in te hanno confidato
e tu li hai liberati e sono stati liberati, e non sono stati delusi
La situazione dell'orante (w. 7-9) Al centro della strofa viene descritta la situazione di bisogno del salmista. Vicino a lui stanno i nemici, non JHWH. «Io invece sono un verme, non un uomo». Il וiniziale esprime un contrasto tra la situazione dei padri, descritta nel brano precedente, e quella attuale del salmista. «Essi non sono stati delusi, io invece...». La situazione di povertà e di bisogno conduce il salmista alla depressione. Egli vede se stesso come un "verme", che striscia sulla terra, che evoca disgusto e può venir schiacciato con un semplice movimento del piede. Come suggerisce Hossfeld, la descrizione dei w. 7-9 fa pensare al Deuteroisaia (cf. Is 41, 14 [ 7,49;[תולעת ;]בזה52, 14; 53, 4]) Per Hossfeld, è stato il Salmo 22 ad influenzare il Deuteroisaia. Forse però è più giudizioso pensare, con la
25
In Hossfeld e Zenger 1993a, p. 149.
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maggior parte degli autori, al contrario 26. L'immagine di uomo che qui viene rappresentata contrasta con quella del Sal 8 e con quella del re nei Salmi 18 e 20-21 (cf. in particolare 8, 6; 21, 6-7) 27. Se nel primo brano veniva descritto l'abbandono da parte di Dio, ora si descrive la situazione dell'orante nei confronti della società. Anche qui egli si trova completamente solo, isolato, tutti prendono le distanze da lui (cf. v. 12: «Non c'è nessuno che aiuti»). Egli non appartiene al popolo santo di Israele, di cui si parlava nei w. 4-6. Non solo "gli uomini" (אדם, v. 7b) lo considerano una "vergogna" ()חרפה, ma anche "il popolo" (עם, v. 7b). Con questo termine viene indicato generalmente nell'AT il popolo d'Israele: il termine verrà ripreso alla fine del salmo, nel v. 32, precisamente con questo significato. Sarà, allora, un "popolo nuovo". Anche il verbo בזה, "disprezzare", viene ripreso nella seconda parte del salmo, dove al disprezzo del popolo viene contrapposto l'atteggiamento di Dio («Egli non ha disprezzato la povertà del povero», v. 25). Al contrario degli uomini, che considerano la povertà come una vergogna, Dio non si è vergognato di ascoltarlo. L'atteggiamento ostile del popolo viene descritto nei w. 8-9. Si tratta verosimilmente di adoratori di JHWH, poiché dicono: «Si è affidato a JHWH» (v. 9). L'orante sente su di sé gli sguardi ostili dei vicini (cf. v. 18: «Essi osservano, mi vedono»), ne sente lo scherno e la derisione (לעג, cf. Sal 2,4): scimmiottandolo gli tolgono ogni dignità e serietà28. L'espressione del v. 8b, יפטירו בשפה, non è chiara. CEI traduce: «storcono le labbra», ma פטרhi. significa "aprire" 29 ( פטרè ciò che apre il seno materno), e quindi il senso è quello di "spalancare le labbra" per dire qualcosa di osceno. Mentre essi parlano, scuotono il capo in segno di derisione (ci Is 37,22; Sai44, 15; 64, 9; 109, 25) 30 . Lo "spalancare le labbra" viene concretizzato nel v. 9: «Si è affidato a JHWH». Qui noi abbiamo preferito G a TM («affidati a JHWH»), perché la frase seguente parla del salmista in terza persona 31 . Il verbo כללsignifica "rotolare", cioè si indica un peso che si
26 Cf. Cortese 1993, pp. 167-169, citando in questo senso Irsigler (Irsigler 1988, p. 219), Feuillet, Gelin e Deissler. 27 Cf. Lorenzin 2000, p. 116. 28 II pensiero va agli astanti della croce che scimmiotteggiano il grido di Gesù: «Sta chiamando Elia!», cf. Keel 1969, p. 142. 29 Cf. HALAT, p. 874. 30 Nella passione di Gesù questo tratto viene riportato (cf. Mi 27,39; Me 15, 29). 31 Se, con il TM, si legge un imperativo («Confida in JHWH»), bisogna allora staccare questa frase dalla seguente, in terza persona («Lui lo liberi»). La prima frase
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rotola via da sé per deporlo sulle spalle di un altro. Con quest'espressione ci si riferisce all'atteggiamento abituale dell'orante, come il salmista stesso conferma nei w. 10-11. Guardando indietro, il riferimento è alle parole iniziali: «Mio Dio, mio Dio». Viene cioè presa in giro la convinzione fondamentale del salmista, la sua unione con Dio, la sua fiducia in lui, la sua preghiera. O, detto altrimenti: il fatto che non riceva aiuto viene interpretato come un segno che Dio non è suo amico, non si compiace di lui. L'intenzione dei nemici è quella di staccare il salmista dal "suo Dio". Questa è la tentazione fondamentale 32 . L'espressione: «Lo scampi, se in lui si compiace» ha un preciso parallelo in Sal 18, 20: «Mi ha scampato perché si è compiaciuto in me». La corrispondenza è letterale: solo il verbo נצלhi. è sostituito con il sinonimo חלץpi. Il parallelo conferma l'intuizione che il Sal 22 voglia essere letto sullo sfondo e in continuazione con il Sal 18. E come se i nemici stravolgessero le parole del re, volessero fare loro il verso. In una lettura canonica si deve notare la dialettica tra le due immagini di Messia, quella trionfante del Sal 18 e quella sofferente del Sal 22. Ciò suppone un'interpretazione messianica della figura dell'orante del Sal 22. Tale interpretazione è suggerita dall'aitribuzione del salmo a Davide (v. 1). Chi prega questo salmo è dunque, secondo il titolo, "Davide", cioè il Messia. Ma forse l'intenzione messianica non è un'aggiunta successiva, bensì è inerente al tenore stesso del salmo originale. Almeno non si può negare che il saimo sia aperto anche a questa lettura 33 . Sguardo al passato (w. 10-11) I w. 10-11 sono da leggere in parallelo con i w. 4-6. Come Israele deve la sua esistenza in quanto popolo al Dio liberatore dell'Esodo, così anche l'orante. Perciò il rapporto che unisce il salmista con Dio, che i nemici volevano mettere in dubbio (cf. v. 9), è più profondo di qualsiasi altro rapporto.
avrebbe il senso di una pia esortazione alla fiducia in Dio, simile ai buoni consigli che gli amici impartiscono a Giobbe, e che nella vita corrente si danno quando si visita un malato (cf. Fuchs 1982, pp. 238-239, nota 197). 32 E da notare che le parole di scherno dei nemici vengono riferite dai Vangeli sinottici alla passione di Gesù (cf. Mt 27, 39-43; Me 15, 29-32; Le 23, 35-37). 33 Per una lettura regale-messianica del Sal 22 cf. Eaton 1986; Cortese 1993, pp. 169-171; Cortese 2004, pp. 54-57; Menn 2000.
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«Sì, sei tu che mi hai tirato fuori dal ventre». Leggiamo il ,r! come asseverativo. Il salmista riprende la frase che i nemici avevano pronunciato per scherno («Si è affidato a JHWH...»), naturalmente intendendola seriamente. Dio viene presentato come una levatrice (cf.fig. 11)34. Nella letteratura orientale si parla di nascita divina Fig. 11. Una rara rappresentazione realistica del parto di un faraone. Che di un faraone si tratti, cioè dell'incarnazione del dio sole, viene reso chiaro dalla presenza dello scarabeo con il sole sopra la figura del bambino appena uscito dal grembo materno. La madre partorisce in ginocchio con l'aiuto di una donna che le sostiene le braccia. Una levatrice aiuta il neonato ad uscire dal grembo: «Sì, sei tu che mi hai estratto dal ventre... su te sono stato gettato all'uscire dal grembo» (Sal 22, 10-11).
a proposito di un re (cf. Sali, 7). Anche il brano della vocazione di Geremia, che fa riferimento alla nascita straordinaria del profeta (Ger 1,5), risente dell'ideologia regale. Ciò si porrebbe in linea con la lettura messianica di cui sopra si parlava. Ma il pensiero viene riferito anche a singoli individui, come è il caso di Sal 139,13-16 e Gb 10, 8-12. Sembra più normale leggere il nostro brano anzitutto in senso individuale, anche se si può tener presente, sullo sfondo, una dimensione messianica e collettiva che questa figura può assumere. Concepimento e parto sono, nel mondo biblico, un miracolo di Dio, non cosa umana. Il salmista deve la sua nascita non a una levatrice, ma a Dio. Egli va subito alla causa prima. L'affermazione che segue ha risonanze nella psicologia del pròfondo. «Sei tu che mi hai calmato sul petto di mia madre». Il lessema בטחunisce il v. 10 con i w. 5-6 e sottolinea il parallelismo dei due brani. L'esperienza decisiva per la maturazione psicologica di un uomo è quella di venir accolto con amore dalla propria madre 35 . In questa esperienza il salmista riconosce la presenza del "suo Dio". La frase di 1 la («su te sono stato gettato all'uscire dal grembo») si riferisce probabilmente al riconoscimento del neonato attraverso il padre (cf. Gn 50, 23) o la madre (cf. Gn 30, 3). Il v. l l b va anco-
34
Da Keel 1984, p. 229,fig. 337. «E interessante notare come vengano utilizzate osservazioni psicologiche che oggi vanno sotto il nome di "fiducia fondamentale" (Urvertrauen)» (Stolz 1980, p. 140, nota 39). 35
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ra oltre, più vicino all'origine della vita umana, presentando il concepimento del bambino, la sua vita prima del parto: «fin dal ventre di mia madre». Cioè: fin dal primo istante della sua esistenza l'orante era unito a Dio («tu sei il mio Dio»). Con ciò egli spiega l'invocazione iniziale: «Mio Dio, mio Dio». Per il salmista non c'è un rapporto più antico e più intimo che quello che lo unisce a JHWH. A lui egli deve tutta la sua esistenza, fin dal primo momento. Senza di lui, la sua vita è impensabile. In questo modo egli reagisce allo scherno dei nemici. Ma anche: di fronte a un rapporto così intimo, la lontananza che egli ora sperimenta, e che è stata rappresentata nei w. 2-3 e 7-9, diviene insopportabile. Non stare lontano da me (v. 12) Al v. 12 il ritmo del verso cambia, passa dal distico al tristico (2 + 2 + 2 accenti). Il movimento si fa più lento: il "largo" annuncia la fine della strofa. Il genere letterario passa dalla "fiducia" (w. 10-11) alla "supplica". Si è notato che il v. 12 sta in parallelo, strutturaimente, con i w. 2-3 (si noti la ripresa del tema della lontananza di Dio, רחוק, w. 2.12). Però dall'inizio alla fine della strofa abbiamo una trasformazione nell'orante. Egli passa dal "lamento" (w. 2-3) alla "supplica" (v. 12). Il primo brano è caratterizzato dalla protesta contro la sofferenza, l'ultimo dalla supplica. Tra l'uno e l'altro brano c'è il ricordo del passato, da cui l'orante ha attinto fiducia (בטח, w. 5.6.10). Nella supplica finale è presente la fiducia, che nel lamento iniziale non veniva espressa. «Non stare lontano da me». Al v. 2 ad essere "lontana" era la "salvezza". Ora è J H W H stesso ad esserlo. La "lontananza" di Dio va compresa in contrasto con le immagini del brano precedente (w. 1011). Come osserva Craigie, «non c'è alcuna preghiera per la guarigione o per la salvezza dalla morte (anche se questo può essere implicito); la preghiera comincia con la richiesta di por fine alla lontananza di Dio» 36 . Al v. 12b, la "lontananza" di Dio viene di nuovo posta a contrasto con la "vicinanza" dell'angoscia. Così viene introdotta la secon36 Craigie 1983, p. 199. Nello stesso senso anche Stolz 1980, p. 138 («Il problema dell'orante sta propriamente nella lontananza di Dio - questa è la quintessenza di ogni suo lamento»).
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da strofa (w. 12-22), caratterizzata appunto dalla rappresentazione della situazione angosciosa in cui si trova Forante. Il termine צרה esprime originariamente "strettezza, accerchiamento", il sentirsi braccati, senza via di scampo. Questo concetto viene sviluppato nei vv. 13-14 e 17-19, due brani che iniziano significativamente con la stessa parola:סבבוני, "mi hanno accerchiato". «Non c'è nessuno che aiuti». Viene espresso l'isolamento e la solitudine dell'orante, ma anche la sua fiducia unicamente in JHWH. Prima o poi, al più tardi nell'ora della morte, ogni uomo sperimenta che «non c'è nessuno che aiuti» (cf. v. 30e).
La seconda strofa (vv. 12-22) La supplica del v. 12 non è collegata soltanto con il lamento, all'inizio del salmo (w. 2-3), ma, come notavamo, anche con l'ultimo brano della prima parte, anch'esso caratterizzato dalla supplica (w. 20-22)37.
Tabella 39 Versi A 12 B 13-14 C 15-16 B' 17-19 A 20-22
Attori Contenuto Tu + io Supplica Rappresentazione Essi dei nemici Situazione di morte Io Rappresentazione Essi dei nemici Tu + io Supplica
Parole chiave רחוק, ( עזר12) סבבוני, ( פרים13);פי, ( אריה14) ( עצמותי15) סבבוני, כלבים,ארי,( יד17); ( עצמותי18) רחוק, ( עזר20); יד, ( כלב21); פי, אריה, ( רמים22)
All'inizio (v. 12, A, cf. tab. 39) e alla fine della strofa (w. 20-22, A) viene dunque tematizzato il rapporto dell'orante con il suo Dio (tu + io). Il centro (w. 15-16, C) è caratterizzato anche qui, come nella prima strofa, dalla rappresentazione della situazione di morte dell'orante {io). I due brani intermedi tra il centro e gli estremi erano caratterizzati, nella prima strofa, dalla fiducia e perciò fondamentalmente dalla presenza di Dio (tu, w. 4-6 e 10-11). In luogo di Dio ora 37 Cf. sopra, p. 193.
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vengono rappresentati i nemici del salmista (essi), sotto la figura di bestie feroci (w. 13-14, B; w. 17-19, B'). Il salmista è attorniato non più da Dio, ma dai suoi nemici. L'inizio dei due brani intermedi della prima strofa era caratterizzato dalla ripetizione della parola אתה, "tu" (w. 4a.l0a), quello dei due brani intermedi della seconda strofa è caratterizzato dalla ripetizione del verbo סבבוני, "mi hanno accerchiato" (w. 13a.l7a). Così anche strutturalmente si verifica la giustezza dell'affermazione del v. 12: J H W H è lontano, l'angoscia è vicina. La "supplica" dei w. 20-22 non è collegata soltanto con l'inizio della strofa, ma riassume e conclude l'intero brano 12-19. Ciò è indicato dalla ripresa, in questi versetti, della metafora animale che caratterizzava soprattutto i w. 13-14 e 17-19. Le singole metafore vengono riprese in forma chiastica: פרים, "bufali" (v. 13 22«־־־b[;)]רמים אריה, "leone" (v. 14 22a, cf. 17); כלבים, "cani" (v. 17 21 [)]כלב (cf. tab. 40). Tabella 40 v. 13 v. 14 v. 17
פרים אריה כלבים
v. 22b v. 22a v. 21
רמים ( אריהcf. 17 (ארי כלב
Questa struttura aiuta a ritenere TM nel difficile v. 17. Con la menzione del leone in 17c, infatti, le bestie sono sette, un numero che indica la "pienezza" del male, rappresentato dai nemici-bestie. Circondato da animali feroci (w. 13-14) L'"angoscia" ()צרה, introdotta al v. 12b, viene descritta al v. 13 come un sentirsi accerchiato (סבבוני, v. 13, cf. 17) da belve feroci, contro cui il salmista si sente impotente. Gli animali descritti sono animali selvaggi, temuti per la loro ferocia. In primo luogo vengono i bufali (v. 13), che nell'antichità erano simbolo di forza e di potere. Con quest'immagine l'AT si riferisce spesso a uomini forti, sani, ricchi, potenti 38. Essi sono l'esatto contrario dell'orante, che si sente debole, ammalato, allo stremo delle forze. Se l'orante è un "povero" (עני, v. 25), i suoi nemici sono "rie38
«Le metafore animali non hanno per la sensibilità dell'AT niente di ingiurioso: il poeta vuol dire semplicemente che si tratta di personaggi potenti e ragguardevoli, la cui ira è da temere» (Gunkel 1986, p. 92).
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chi" (cf. v. 30: דשני־ הארץ, "i grassi della terra"), che scoppiano di saIute. Per la sua situazione il salmista è diventato un "verme" (v. 7), un "sotto-uomo". Ma anche i suoi nemici, per la loro insolenza, hanno perduto la loro umanità. Sono divenuti "tori selvaggi", "bu-
Accanto al bufalo, il v. 14 menziona il leone. Egli ha le fauci spalancate, è pronto a sbranare e uccidere. Questo particolare fa pensare ad una contesa di fronte a un tribunale, ad accuse false, o a maldicenza. Il verbo שאגera apparso al v. 2, con riferimento al salmista («le parole del mio ruggire»). Il "ruggire" dei nemici contro di lui provoca il suo "ruggire" presso Dio. Il salmista non sfoga la sua rabbia sugli uomini, la espone a Dio. E dunque chiaro, dal contesto, che la metafora animale non è neutra, ma ha una connotazione negativa. Non si tratta soltanto di uomini potenti, ma di potenti che usano il loro potere per opprimere i deboli. La legge della giungla, dove il più forte elimina il debole, è legge corrente nella società, forse oggi, nella società globale, più ancora di ieri. Forse è possibile vedere in questi animali potenze demoniache40. In Mesopotamia è comune rappresentare i demoni sotto forma di ani39
Da Keel 1984, p. 76, fig 105. E sempre possibile un'interpretazione psicologica dei "nemici", che si tratti cioè di proiezioni di un malato. Si sa che i malati tendono a sentirsi abbandonati da tutti: anche gli amici di un tempo divengono nemici, quando uno non sta bene. Nel nostro salmo, i nemici non vengono più menzionati dopo la risposta di Dio (v. 22): al contrario l'orante si sente attorniato da "fratelli" (in questo senso Lohfink 1977, pp. 145155; Fuchs 1982, pp. 239-240; Keel 1969, p. 206, nota 177). 40
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mali selvaggi, che attentano alla vita dell'uomo, per esempio attraverso diversi tipi di malattie. Effettivamente la rappresentazione che segue fa pensare a una malattia. Certo il testo è aperto anche a questa interpretazione, ma, come abbiamo visto, altri passi fanno pensare anche a una contesa giudiziaria, altri ancora a violenza reale (cf. la menzione della "spada" al v. 21). Il testo si adatta a diverse situazioni di sofferenza 41 . Vicino alla morte (w. 15-16) I nemici, siano essi uomini reali (cosa che a me sembra più verosimile) o proiezioni del malato, sono in definitiva solo aspetti diversi del grande nemico dell'uomo, nominato al v. 16: la morte. Non si parla della morte naturale di un vecchio sazio d'anni, ma di una morte prematura, repentina, per causa di malattia o di violenza. Ora la morte è, per l'uomo dell'Antico Testamento, sinonimo di lontananza da Dio 42 . «Non i morti lodano Dio, ma i viventi» (Sal 6, 6; 88, 11-13)43. Si comprende perciò anche perché la vita del salmista, fin dall'inizio, venga caratterizzata dalla comunione con Dio. La rappresentazione fa pensare, si diceva, a una grave malattia, ma è aperta anche ad altri tipi di pericolo di vita. Essa è, forse volutamente, stilizzata, va compresa non come linguaggio medico, ma come linguaggio letterario, simbolico. Nel v. 15 viene utilizzata la metafora dello "sciogliersi e liquefarsi", nel v. 16 quella, antitetica, della "siccità" e del "fuoco". Attraverso la polarità "fuoco" e "acqua" viene rappresentata l'universalità delle potenze di morte 44 . «Come acqua sono versato» (v. 15a). La metafora viene usata anche in 2 Sam 14, 14. Si tratta di un'espressione simbolica per indicare la morte. Se la nascita è un "coagulare" (cf. Gb 10, 10), la morte è, conseguentemente, uno "sciogliere". La stessa immagine viene riferita anche al cuore, liquefatto come cera (v. 15c, cf. Sal 68, 41 Cf. Miller 1986, p. 106 («So the language is open and inviting. Or perhaps it is available and accessible to those who in any time find themselves in such straits»). 42 Cf. Fuchs 1982, p. 247. In questa luce si comprende anche il legame, tipico della Bibbia, della morte con la colpa. Riportando questo legame alla morte di Gesù, Paolo dice: «Colui che non ha conosciuto il peccato, egli l'ha fatto diventare peccato per noi» (2 Cor 5,21). 43 Non è senza una profonda dimensione teologica, che la vita venga concepita come "lodare Dio" e la morte, di conseguenza, un "essere separato da lui", non poter cantare le sue lodi! 44 Così Gese 1974, p. 174.
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3). Le ossa, che alla nascita furono "tessute insieme" (cf. Gb 10, 11), ora vengono sciolte nelle loro componenti. Il corpo da unità diventa un mucchio di ossa. Forse si può vedere, dietro airimmagine del liquefarsi, la realtà del sudore di un malato, e dietro a quella successiva della siccità (v. 16), la febbre, anche se ad essere "secco" non è, secondo TM, il corpo, ma "la mia forza" (16a)45. Il termine astratto fa pensare ad un senso metaforico della "siccità". La rappresentazione della lingua "incollata al palato" (v. 16b) è invece abbastanza realistica, ma si potrebbe pensare anche alla reazione psico-fisiologica di un condannato a morte 46 . D'altra parte la "polvere" (v. 16c) è già in sé immagine di morte. Dalla polvere l'uomo è stato tratto (Gn 2,7), e nella polvere è destinato a tornare con la morte (Gn 3, 19)47. L'immagine ritorna, nel nostro salmo, al v. 3Od («tutti quelli che scendono nella polvere»). Il destino dell'orante diviene paradigma per tutti gli uomini. / La formulazione del v. 16c («su polvere di morte mi stendi») è sorprendente, tanto che anche qui gli esegeti non resistono alla tenI tazione di emendare il testo 48 . A parte il passivo del v. 15, nei versi II precedenti (13-14) e in quelli successivi (17-19), il soggetto è alla I; terza persona plurale, si riferisce ai "nemici", sicché sembrerebbe 1; logico leggere anche qui "mi hanno posto". Ma TM, appunto perii· ché lectio difficilior, va ritenuto 49 . Il "tu" a cui il salmista si rivolge 1
non può essere che Dio, e perciò anche il passivo del v. 15 può as-
si ' sumere il valore di un "passivo teologico". Presso i popoli vicini, a H condurre alla morte gli uomini erano i demoni, ossia gli dei cattivi. P il' mr il || li R. E Ri׳, Il„ il j| H 2|
In Israele c'è un Dio solo, a lui viene attribuito sia il bene che il ma45
Si veda la congettura di BHS, seguita dalla CEI: «È arido come un coccio il
mio palato». Ma le versioni antiche seguono TM. 46 il grido di Gesù in croce: «Ho sete!» (Gv 19, 28) si riferisce verosimilmente a questo passo del salmo, cf. Stolz 1980, p. 147. 47 Forse dietro a questa immagine c'è l'uso funerario degli ebrei: «I morti non venivano inumati, ma si usavano le grotte delle montagne come banchi sepolcrali, su cui si poteva constatare, in occasione della successiva utilizzazione del banco, la polvere in cui si erano disfatte le ossa precedenti» (ThWAT VI, col. 282 [Wachter]). 48 BHS propone di leggere ,jnstì, "mi hanno deposto", ma può addurre solo un codice della Vetus Latina in appoggio. Questa emendazione viene seguita da Alonso Schòkel e Camiti 1992, p. 441; Jacquet 1975-1979 /, p. 513; Deissler 1963, p. 87; ecc. Altri leggono al passivo: "sono stato deposto". 49 In questo senso anche Barthélemy et al. 2005, pp. 136-139 («Tu me déposes dans la poussière de la mort» = TOB).
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le, egli è perciò responsabile della vita e della morte dell'uomo (cf. 1 Sam 2, 6). Nel Sal 39 il salmista, alla fine del suo lamento, percepisce che dietro al suo dolore c'è Dio («Tu l'hai fatto», v. 10), perciò fa silenzio, non protesta più. In realtà, responsabili della morte non sono i nemici: muoiono anch'essi! In fondo, l'unico responsabile è Dio, che ha creato l'uomo mortale. Nel nostro salmo l'espressione acquista il senso di una protesta. Tu mi hai fatto, io sono tuo (w. 10-11); perché ora mi conduci alla morte (v. 16c)? Come già morto (w. 17-19) Il brano 17-19 sta in parallelo con 13-15. Ciò è indicato anzitutto dalla ripresa del verbo סבבוניall'inizio del brano (v. 17a, cf. 13a). Nei due brani si rappresentano i nemici del salmista ("Essi": i verbi sono sempre alla terza persona plurale). Questi vengono simbolizzati da due coppie di belve feroci: ai w. 13-14 si tratta dei "bufali" (piùrale) e del "leone" (singolare); al v. 17 dei "cani" (plurale) e del "leone" (singolare). D'altra parte il כיiniziale, che noi intendiamo come causale-esplicativo, unisce i w. 17-19 anche con il brano immediatamente precedente, e direttamente con l'affermazione: «Su polvere di morte mi stendi». In tal modo l'orante vede anche gli attacchi dei nemici come causati (o permessi) da Dio. E il modo che Dio ha scelto per "stenderlo su polvere di morte". Se nei w. 15-16 l'orante era "vicino" alla morte, ora viene rappresentato come già morto. Il cane, di cui qui si parla, non è l'animale da compagnia che riempie la solitudine di tanti europei di mezza età, ma il cane feroce che vediamo rappresentato in scene di caccia orientali. Della ferocia dei cani parla d'altronde anche la cronaca recente. Diversamente dal leone e dal toro, il cane non è animale nobile: nell'Oriente è ritenuto animale spregevole, impuro. Generalmente non è rappresentato da solo, ma in branco, come è il caso anche nel nostro brano («mi hanno circondato cani»). Il salmista si sente dunque come una bestia braccata da un branco di cani assetati di sangue. In 17b il salmista esce dalla metafora. Non si tratta di esseri demoniaci (o almeno non solo di loro), ma di uomini in carne e ossa. Sono gli stessi che erano stati menzionati ai w. 7-9 e 13-14, cioè i sani e ben pasciuti israeliti ()עם, che verosimilmente occupano posizioni di rilievo nella società ("bufali di Basan"). Essi vengono squalificati come מרעים, "delinquenti". La radice רעעesprime il "male" in sé. Dunque non sono soltanto nemici personali del salmista, ma gente
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caratterizzata dall'ateismo pratico nei confronti di Dio e dalla violenza verso il prossimo (cf. Sal 10, 6-13; 64, 3-7). Il v. 17c è una famosa crux interpretum. Come già anticipato nella critica testuale 50 , noi seguiamo TM. La nostra scelta viene confermata dal parallelismo con il v. 14b: anche qui, infatti, il plurale del v. 14a cambia improvvisamente nel singolare אריה. Similmente nel nostro passo: כאריva ritenuto come apposizione di עדת מרעים. Conseguentemente ידי ורגליsono apposizione del suffisso di prima persona, oggetto del verbo ( הקיפוניcf. tab. 41). Tabella 41 17b Un branco di delinquenti circondano me 17c come un leone (circondano) le mie mani e i miei piedi Delitzsch spiega: «Sia che essi girino attorno alle sue mani e ai suoi piedi cercando un punto dove aggredire, come un leone gira attorno alla sua preda, pronto a gettarvisi sopra al primo movimento, sia che, standogli attorno come un leone, vogliano rendere impossibile alla sue mani la difesa e ai suoi piedi la fuga»51. Ad ogni modo è tolta al salmista ogni via di scampo e di difesa: egli è letteralmente in balia dei suoi nemici. Si tratta di proiezioni di un malato, immobilizzato sul suo letto? O di un condannato a morte, a cui vengono legati le mani e i piedi? 52 Difficile a dirsi. «Posso contare tutte le mie ossa» (v. 18a). Dal punto di vista della critica testuale vai la pena ricordare la traduzione di Vg: dinumeraverunt omnia ossa mea, che ha ispirato la tradizione cristiana; si tratta di un evidente caso di lectio facilior, per concordare con Tinizio del v. 19. TM אספרè confortato dalle altre versioni. Il versetto si riferisce alla magrezza dell'orante. Forse è già svestito53, ritenendosene imminente la morte: così si spiega meglio la curiosità e il disprezzo degli astanti (v. 18b). Degli sguardi ostili degli uomini ()ראה si parlava già al v. 8. 50 51 52 53
Cf. sopra, p. 188. Delitzsch 1984, p. 214. In questo senso Seybold 1996, p. 98; Gese 1974. Cf. Kraus 1978, p. 329.
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Il v. 19 è da intendere in modo molto realistico. È una triste realta che gli eredi litighino per dividersi ! , eredità. A volte questo suecede già prima della morte del proprietario: egli è ancora in vita, ma gli eredi non si curano di lui e si preoccupano di spartirsi tra loro le sue cose, come se già fosse morto. La divisione avviene gettando la sorte, secondo Sir 14, 15 (ebraico, cf. anche Nm 26, 55-56): «Forse non lascerai a un altro le tue sostanze, ciò che hai guadagnato a coloro che tirano a sorte?». In un inno dalla Mesopotamia è detto: «Laancora bara già stava prendevano cose funebre» preziose; 54prima che fossiaperta, morto,giàgiàsi avevan finitoleil mie lamento . Nel nostro testo si parla di vesti, probabilmente perché queste erano l'unico bene del salmista. Si capisce allora perché egli giacesse nudo (cf. v. 18). Secondo la concezione orientale, esiste un intimo legame tra il corpo e le vesti 55 . Finché il corpo è in vita, esso deve possedere le sue vesti. Se gli astanti l'avevano spogliato e si dividevano le vesti, è perché lo davano già per spacciato 56 . Supplica ed esaudimento (w. 20-22) Dopo aver rappresentato la "vicinanza dell'angoscia" (v. 12) in un crescendo impressionante, il salmista ritorna alla supplica, come nel v. 12: «Non stare lontano!» (v. 20). Il termine רחוקcaratterizza l'inizio (v. 2), il centro (v. 12) e la fine (v. 20) della prima parte del salmo. Per la prima volta ora il salmista nomina Dio con il nome di J H W H (l'altra volta, al v. 9, erano stati i nemici a pronunciare questo nome). Il brano viene introdotto da un ואתה, "ma tu", come i brani esprimenti fiducia nella strofa precedente, w. 4-6 e 10-11. Il contrasto espresso dal וiniziale si riferisce all'atteggiamento dei nemici, nei w. 17-19: «Essi mi vogliono morto, ma tu...».
54
Cf. Kraus 1978, p. 329. Cf. Gese 1974, p 189. 56 Ricordiamo che il v. 19 viene riferito da tutti e quattro gli evangelisti alla passione di Gesù (cf. Mi 27, 35; Me 15, 24; Le 23, 34; Gv 19, 23-24). 55
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Sullo sfondo dei w . 17-19 si comprende anche l'urgenza della supplica. Quasi a dire: «Il tempo sta per scadere, anzi è già scaduto (per i nemici io sono già morto), perciò sbrigati, fa' in fretta a venire in mio aiuto». Si è notato, del termine אילותי, "mia forza" (v. 20b), il legame semantico con il nome di Dio 57אל. Nell'immediato contesto, l'espressione si vuole contrapporre all'immagine degli animali potenti (bufali, leone) elencati nei w. 13-14.17-19. E possibile percepire un'allusione a Sal 20, 8-9. La forza del "re" non sta in carri e cavalli, ma nel "nome di J H W H " : questo nome viene, appunto, pronunciato nel Salii, 20a. Forse non è casuale che la "salvezza" (v. 22) sia collegata con l'invocazione del tetragramma santo. I w . 21 e 22 iniziano ambedue con un verbo tipico per esprimere la salvezza: נצלhi, "strappare", v. 21a, cf. 9; ישע, "salvare", v. 22a, cf. 2. Seguono quattro pericoli, da cui l'orante chiede di venir salvato. Tre furono già nominati, e se ne è notata la ripresa in forma, chiastica: il "cane" (v. 21b, cf. 17), 11 "leone" (v. 22a, cf. 14) e i "bufali" (v. 22b, cf. 13). Il quarto, la "spada" (v. 21a), con cui si allude ad una morte violenta, rimane senza parallelo, a meno che non si accolga la suggestione di Gese, di vedervi un richiamo al "branco dei delinquenti" del v. 17b 58 . Se ciò fosse vero, allora la serie della tab. 40 potrebbe essere prolungata di un membro (cf. tab. 42). Dunque, se il v. 20 si riconnette con il v. 12 (עזר, )רחק, i w. 21-22 riepilogano i w. 13-19: è chiaro che i w. 20-22, nel loro insieme, vogliono riassumere e ricapitolare la seconda strofa. Tabella 42 V. V. V. V.
13 14 17a 17b
פרים אריה כלבים עדת מרעים
v. 22b v. 22a v. 21b v. 21a
רמים ( אריהcf. 17 )ארי כלב חרב
Oggetto della salvezza è «la mia »נפש. Il termine indica propriamente la gola, come sede del respiro, cioè della vita, e del desiderio. Il termine viene ripreso al v. 30e, nella famosa espressione ונפשו לא
57 58
Cf. sopra, p. 187. Gese 1974, p. 189.
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חיה, «e non possono mantenere in vita il loro respiro». I due passi sono correlati. L'uomo non può salvare la sua vita (v. 30b), per questo il salmista chiede a Dio che la salvi (v. 2la); e la sua preghiera viene esaudita, a dimostrazione che c'è uno solo che può salvare dalla morte. Il testo del salmo si rivela profondamente unitario. In parallelo con "la mia vita" viene posto, nel v. 21b, "l'unica mia", יחידתי. E questa un'espressione piuttosto recente per indicare la vita umana (cf. Sai35,17 e, come sfondo, Gn 22,2; Gdc 11,34; Ct 6, 9). Anche noi diciamo: «Si vive solo una volta». Per l'uomo dell'AT, che ancora non ha ricevuto la buona notizia della resurrezione, l'espressione ha un sapore molto realistico. Ma la cosa vale anche per i cristiani, come diceva Bonhòffer: «Si può credere nella resurrezione e in un mondo nuovo solo quando si ama la vita e la terra in modo tale, da ritenere che, se si perdono, tutto è perduto». L'unico tempo per "meritare" il paradiso, come bene esprime la parabola del rieco epulone (Le 16, 19-31), è il tempo della vita terrena. Gli animali vengono associati, nei w. 21-22, ciascuno alla pròpria arma di offesa. Se l'ipotesi avanzata sopra è valida, la "spada" (v. 21a) sarebbe l'arma dei מרעים. Per il cane viene nominata la "zampa", ( ידv. 21b), per il leone la "bocca", ( פהv. 22a, in corrispondenza con il v. 14), per i bufali le "corna", ( קרניםv. 22b). Sulla crux interpretum del v. 22b abbiamo già discusso. TM è senz'altro una lettura difficile. In parallelo con "salvami" (22a) uno si sarebbe aspettato anche in 22b un imperativo ("rispondimi"). Kilian, dal canto suo, suggerisce di intendere עניתניcome un perfectum confidentiae^. L'orante sarebbe così sicuro di ottenere la grazia, che ha messo al perfetto ciò che in realtà non è ancora avvenuto. Ma contro questa interpretazione sta il v. 25, dove si dice che J H W H ha realmente risposto. Altri suppongono che il cambiamento improvviso nello stato d'animo dell'orante ("Stimmungsumschwung") sia dovuto a un oracolo di salvezza proferito dal personale del tempio in nome di Dio 60. Ma si tratta di una supposizione che non viene suffragata da nessun appiglio testuale. Forse si può pensare semplicernente ad un processo interiore che si è andato sviluppando nel corso della preghiera 61 .1 segni di un progressivo crescere della sua
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Kilian 1968, p. 176. Cf. Begrich 1964; Kraus 1978, pp. 329-330; Craigie 1983, p. 200. 61 Così anche Hossfeld, in Hossfeld e Zenger 1993a, p. 150, che parla di "ErhòrungsgewiEheit" (coscienza di venir esaudito). 60
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fiducia sono stati espressi: si vedano i w. 4-6.10-11.12 e 20. Il v. 22 non è dunque così isolato. All'inizio del salmo, l'orante si lamentava che Dio "non rispondeva" (v. 3). Ora, con la constatazione che Dio "ha risposto" (v. 22) si chiude la prima parte del salmo. Non è detto, di per sé, che sia stato guarito o liberato dai nemici. Il problema dell'orante era la lontananza, il silenzio di Dio. La "risposta" ha ristabilito la comunicazione, l'amicizia tra i due. E ciò è l'essenziale. Come questo sia avvenuto, non è dato sapere. Un'ulteriore difficoltà del testo ebraico è data dall'interpretazione del וdavanti a מקרני רמים. A quale dei due verbi va riferito, a 22) ה ו ש י ע נ יa ) o a22) ע נ י ת נ יb ) ? Nel primo caso si avrebbe la tra ne: «Salvami dalle fauci del leone e dalle corna dei bufali. Tu mi hai risposto»62. Però il ritmo e gli accenti di TM uniscono chiaramente מקרני רמיסa 63עניתני. In questo secondo caso la traduzione è: «E dalle corna dei bufali tu mi hai risposto». Cioè: la risposta è giunta pròprio nel momento in cui stavo per essere trafitto dalle corna dei bufali64. L'ora della notte è anche l'ora della risposta di Dio. Così è stato anche nella croce di Gesù.
LA SECONDA PARTE, W . 2 3 - 3 2
L'annuncio dell'esaudimento (·־array, v. 22) introduce la seconda parte del salmo (w. 23-32), che è caratterizzata dal ringraziamento e dalla lode 65 . Questa parte è suddivisa in tre strofe, che descrivono il progressivo allargarsi della lode in cerchi sempre più ampi. La pri: ma strofa descrive il ringraziamento della comunità dei poveri, cioè del vero Israele (w. 23-27); la seconda descrive la lode dei pagani, rappresentando, rispetto alla prima strofa, un allargamento in sen62 Così traducono, tra gli altri, TOB, Elberfelderbibel, Lutherbibel, La Nuova Diodati, e tra i commentatori, Kraus, Delitzsch, Ravasi, Lorenzin, Kselman 1982b, p. 174; Guillet 1994, p. 16; Stolz 1980, p. 130; Müller 1986, p. 422; Strauss 2003, p. 33; . Berder 2002, p. 6. 63 Si veda la traduzione di Buber: «Wider Wisenthörner gibst du mir Antwort» (Tu mi rispondi di fronte alle corna dei bisonti) (Buber 1992a IV, p. 36). Così anche Heinemann 1990, p. 299: «and from the horns of the wild oxen You have heard me». 64 «The response of God comes in the midst of and in some way from the terrible situation itself» (Miller 1986, p. 107); «It is at the depths of rejection that salvation is expected» (Ricoeur 1998, p. 225, in riferimento a Is 40, pp. 227-231). 65 Si veda, su questa parte, Barbiero 2000, pp. 113-127.
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so spaziale (w. 28-30); la terza infine descrive un allargamento in senso temporale: nella lode vengono inglobate anche le generazioni future (w. 31-32). E interessante notare che alla progressione in senso spaziale e temporale della lode si accompagna una regressione della lunghezza delle strofe. La prima strofa ha 5 versi, la seconda 3 e la terza 2. Le tre strofe hanno una struttura simile. Fondamentalmente esse sono costituite da un invito alla lode (A), seguito da una motivazione introdotta da ,D (B), e concluso ogni volta, ad eccezione dell'ultima strofa, con la ripresa della lode (A').
La prima strofa: la lode nell'assemblea dei poveri (vv. 23-27) Questa strofa è costruita centralmente (ABA', cf. tab. 43). Agli estremi (A = w. 23-24; A' = w. 26-27) è rappresentato l'invito alla lode (*?bn, w. 23.24.26.27), nel versetto centrale (B = v. 25) se ne espone il motivo (־,n, v. 25a). E interessante notare la direzione del discorso: nella prima e nella terza parte l'orante si dirige dapprima a Dio con il discorso diretto, esprimendogli il proposito di lodarlo nell'assemblea dei fratelli (w. 23.26). In un secondo momento egli mette in pratica il suo proposito, invitando direttamente l'assemblea alla lode: qui si parla di Dio in terza persona (w. 24.27). Tabella 43 Versi
Contenuto
Direzione del discorso
y . i i ra se stesso (23) Io »־Tu (Dio) A 23-24 Invito alla lode { w L1 laJLL assemblea (24) Voi - Lui (Dio) B 25
Motivazione fa)
j ! ״i f a se stesso (26) A' 26-27 Invito alla lode (2y)
Egli (Dio) *־־lui (salm.) Io - Tu (Dio) Essi/voi »־־Lui (Dio)
Parole chiave הלל,( קהל23) הלל,( ירא24) עני,( ענו25) ירא, קהל,( הלל26) הלל,( ענו27)
Il verso centrale (v. 25) è il racconto, già annunciato al v. 23 ()ספר: il salmista racconta all'assemblea l'esperienza di salvezza che egli ha vissuto. Egli assume qui volutamente un tono impersonale, parlando di se stesso in terza persona. Si noti che solo nella prima strofa il salmista si rivolge all'assemblea in seconda persona. Il discorso ai
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pagani nella seconda strofa e quello alle generazioni future nella terza saranno in forma indiretta. Cioè: in tutta la seconda parte del saiπιο, i diretti destinatari del discorso del salmista sono l'assemblea dei poveri (w. 23-27), a cui egli annuncia un'espansione universale della lode (w. 28-32). Invito alla lode (w. 23-24) «Racconterò il tuo nome ai miei fratelli» (v. 23). Il verbo "raccontare" ( )ספרforma inclusione nella seconda parte del salmo (w. 23.31) e costituisce un "Leitwort" per essa. Anche la seconda strofa inizia con un verbo simile: זכר, "far memoria". Un aspetto fondamentale del rigraziamento consiste infatti nel "far memoria" e nel "raccontare" agli altri ciò che il salmista ha ricevuto da Dio (cf. Sal 40,10-11). Tacere sarebbe mancare di "ri-conoscenza". Il ringraziamento non può essere espresso solo dall'orante, la sua esperienza deve diventare paradigma per gli uomini (cf. Sal 34, 3-4). Si tratta dunque di תודה, "azione di grazie". Singolarmente, però, il verbo ידהnon viene mai usato. Al suo posto viene impiegato, per ben quattro volte (w. 23.24.26.27), il lessema הלל, che invece è tipico dell'"inno". Come mai? Forse questo è segno del carattere tardivo del salmo, di un'epoca, cioè, in cui i generi letterari non esistevano più allo stato puro. Da parte nostra, vorremmo sottolineare il richiamo al v. 4: «Tu siedi sulle lodi ( )תהלותdi Israele». E possibile che l'autore abbia voluto stabilire una relazione tra i due passi, cioè tra la lode dei padri e la sua? Il testo, perlomeno, suggerisce un tale accostamento. Destinatari del "racconto" sono i "fratelli". Forse nel testo originale del salmo il termine designava la parentela fisica 66, ma nel testo attuale esso è in parallelo con "l'assemblea" (קהל, termine che designa l'assemblea cultuale). Si tratta dunque dei "fratelli nella fede", che vengono identificati, nel v. 24, con la "discendenza di Giàcobbe" ο "di Israele". Non si indica semplicemente l'etnia israelitica come concetto razziale, ma piuttosto il "vero Israele", cioè la comunità di coloro che "temono Dio" (w. 24a.26), dei "poveri" (v. 270), di coloro che "cercano Dio" (v. 27b). Il tema "Israele" era stato introdotto all'inizio 66
Così Hossfeld (cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 150). Ma l'ipotesi di un testo originario diverso dal presente ci sembra abbastanza gratuita.
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della prima parte (v. 4: «Tu siedi sulle lodi di Israele»). Si è visto anche che il termine עםal v. 7 si riferiva al popolo di Israele. Ebbene questo "popolo" disprezzava ( )בזהil salmista sofferente. Il verbo בזה viene ripreso al v. 25, con chiaro riferimento al v. 7 («Egli [= Dio] non ha disprezzato né ha avuto ribrezzo della miseria del povero»). Ne consegue che, all'interno del popolo di Israele, il salmista distingue tra i ricchi e potenti, che gli sono nemici, e i "poveri", che gli sono "fratelli". In questa prospettiva, i "nemici" non sono demoni né pròlezioni di un malato, ma concreti gruppi sociali, quali esistevano all'interno del popolo d'Israele in epoca persiana ed ellenistica67.1 "nemici" della prima parte non sono lo stesso gruppo sociale dei "fratelli" della seconda68. D'altra parte quest'ultimo gruppo ha la pretesa di rappresentare "tutto" (כל, v. 24bc) il popolo di Israele, di essere cioè il vero erede delle promesse fatte ai padri. L'orante, che nella prima parte del salmo si sentiva lontano da Dio e isolato dal suo popolo (v. 12: «non c'è nessuno che aiuti»), ora è in mezzo a un'assemblea che diventa sempre più grande. Il ristabilimento della comunione con Dio («Tu hai risposto», v. 22), ha condotto anche alla comunione con i "fratelli". Il v. 24 identifica la «discendenza di Giacobbe» con «coloro che temono Dio». Il termine יראי יהרהè usuale nei salmi per indicare «la comunità di coloro che credono in J H W H » 69. Ma il "timore di Dio" ha anche un aspetto etico, collegato con l'osservanza della torah (cf. Sal 19, 10) e concretizzato nell'attenzione ai poveri (cf. Sal 41,2) 70. Temere Dio vuol dire rispettare il povero (cf. Lv 19,14.32). Si conferma quindi che qui si parla di un Israele secondo lo spirito, diverso dal "popolo" del v. 7. Il termine "discendenza" ( )זרעesprime la dimensione temporale, che era stata introdotta ai w. 5-6 ("i nostri padri"). Questa dimensione verrà ripresa alla fine del salmo, dove sarà usato lo stesso lessema, ( זרעv. 31). I tre passi, w. 5-6, 23-24 e 31-32 costituiscono una successione coerente. I w. 5-6 rappresentano il passato di Israele (i "padri"), i w. 23-24 il presente (i "fratelli", l'Israele dei poveri), il v. 32 il futuro (il "popolo che è nato"). 67
Sulla collocazione storica dei "poveri di JHWH" cf. Albertz 1992, pp. 569-576. Contro Fuchs 1982, p. 239. 69 Cf. ThWAT III, col. 887 (Fuchs). 70 «Più tardi, in epoca postesilica, i timorati di Dio si identificano con l'élite dei credenti in JHWH, la cui comunità si caratterizza non direttamente per il culto, ma per una vita corretta (anche in senso morale)» (Fuchs 1982, p. 255). 68
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L'esperienza di salvezza (v. 25) Nel v. 25 il salmista mette in atto il proposito espresso nel brano precedente. Davanti all'assemblea egli "racconta" l'esperienza che ha fatto della salvezza divina. Il versetto è introdotto da un כי, che collega il versetto con ciò che immediatamente precede, cioè con l'espressione "tremate davanti a lui" (v. 24c). Il verbo גורviene usato in contesto cultuale per esprimere il sentimento di terrore che assale l'uomo di fronte a Dio (cf. Sal 33, 8, anche qui, come nel nostro caso, in parallelo con )ירא. La manifestazione della santità divina provoca nell'uomo insieme gioia ( )הללe terrore ()כור: è «mysterium fascinosum et tremendum». Dove si manifesta questa santità, dov'è che la comunità si confronta con la rivelazione di Dio? Ciò viene detto, appunto, nel v. 25: «Egli non ha disprezzato né ha avuto ribrezzo della miseria del povero». Nell'attenzione di Dio per il povero la comunità percepisce la sua santità, cioè la sua diversità dagli uomini 71 . Come questi si comportino, era stato espresso nel v. 7: בזוי עם, «disprezzato dal popolo». La ripresa, nel v. 25, del verbo בזהnon è casuale, ma vuole contrapporre l'agire di Dio a quello dell'uomo. A questo verbo ora viene aggiunto שקץpi., "trattare come abominevole, aver ribrezzo", un termine riferito generalmente agli animali impuri, di cui l'uomo deve evitare il contatto. Questo è esattamente l'atteggiamento tenuto dagli uomini nei confronti del salmista («Io sono un verme, non un uomo», v. 7: gli esseri che strisciano sulla terra sono "abominevoli", cf. Lv 11, 41-45). Che qui si faccia riferimento alla vicenda del salmista è reso chiaro dal v. 25d: «Quando ha invocato aiuto, l'ha ascoltato» (cf. v. 22b). Il salmista sta "raccontando" ciò che a lui è avvenuto. Il "povero" di cui Dio ha avuto compassione è lui. Ma l'accentuazione del lessema ענות עני( ענה, "la miseria del povero") fa pensare a un significato che va al di là del caso individuale del salmista per stabilire un principio universale, cioè la predilezione di Dio per i poveri, e ciò in contrasto con la società. Proprio le persone marginalizzate dalla società sono i preferiti di Dio. Israele è nato come un popolo di poveri in Egitto. J H W H è un Dio che si cura dei poveri, per lui i poveri sono perso71 Non è diverso nel Nuovo Testamento: Il segno che Gesù dà a Giovanni per indicargli la presenza del regno escatologico di Dio è l'annuncio della buona notizia ai poveri {Le 7, 20-23; Mt 11, 3-5).
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ne importanti. La spiritualità dei poveri è tipica per il salterio. I saimi sono i canti dei "poveri di JHWH", secondo la felice espressione di A. Gelin 72, cioè espressione non del sacerdozio ufficiale, ma di una minoranza alternativa. Si veda, nel contesto del nostro salmo, Sal 18, 28 e, per il Nuovo Testamento, il Magnificat di Maria. L'eucaristia dei poveri (w. 26-27) Nei w. 26-27 viene ripreso il tema della lode (הלל, w. 26a.27b), che caratterizzava la prima parte della strofa. Collegandosi al contenuto del v. 25, il salmista riconosce in J H W H la sorgente della sua lode. Per cogliere il significato dell'espressione מאתךbisogna ricorrere a Sal 118, 23: «Da J H W H proviene questo». E la "ri-conoscenza", da cui sgorga l'azione di grazie. In secondo luogo viene l'orante: "la mia lode", "i miei voti". Per ciò che si riferisce ai "voti" ()נדרי, probabilmente egli ha fatto un voto nell'ora del bisogno, il voto di compiere un sacrificio. Ora egli vuole adempiere il suo voto. Il senso del voto non è tanto un commerciale "do ut des", quanto piuttosto quello di mantenere la comunione che l'orante ha sperimentato nell'ora della salvezza. "Sacrificio" e "lode" non possono dunque venir separati, tanto che Sal 50, 14 vede nella lode stessa un sacrificio, il "sacrificio della lode". In terzo luogo viene menzionata la comunità: «Mangeranno i poveri e si sazieranno». Si tratta del "sacrificio di comunione", זבח שלמים, che comportava, insieme all'offerta di una parte della vittima a Dio e ai sacerdoti, la consumazione del resto da parte della comunità che partecipava al rito (cf. Lv 7, 11-36). Il significato del banchetto era quello di esprimere l'unione tra l'offerente, Dio e la comunità. Il ringraziamento ha sempre un carattere comunitario, è un raccontare agli altri la salvezza ricevuta. Al banchetto sono invitati "i poveri". Il termine qui usato, ענוים, esprime, della povertà, soprattutto il lato spirituale 73 . Poveri sono quelli che riconoscono la loro dipendenza da Dio, non sono auto־ sufficienti (יראיו, "quelli che lo temono"). Sal 8, 3 parlava, in questo senso, di "bimbi e lattanti". Qui la dimensione spirituale della povertà viene descritta come un "cercare Dio". Ritroveremo l'espressione in Sal 24, 6: «Questa è la generazione di quelli che lo cercano» 72 73
Gelin 1953. Sul significato del termine ענויםnei salmi cf. Bernini 1976.
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()זה דור דרשו. Si tratta di un'espressione tecnica per indicare il pellegrinaggio al tempio, e abbiamo visto che la dimensione cultuale è presente anche nel nostro brano. Ma nei salmi "cercare Dio" ha anche un senso più ampio: in Sal 9, 11 esso è sinonimo di "conoscere il suo nome", e in 14, 2 di "essere saggio". Significativamente in 34, 11 "coloro che cercano Dio" sono posti in contrasto con i "riechi". Chi è sazio non cerca più, rimane fermo. Chi è già salvo non ha bisogno di cercare la salvezza. La ricerca è segno di povertà, di mancanza, di bisogno di salvezza. La dimensione materiale e sociale della povertà non è esclusa. Nella sottolineatura «e si sazieranno» si sottintende che si tratta di affamati, di gente che di solito quando mangia non arriva a saziarsi. L'orante perciò invita al suo banchetto quanti sono in situazione di bisogno, come era lui. Sono le persone che meglio possono capire il messaggio di salvezza74. Come al v. 24, anche al v. 27c il discorso si rivolge direttamente ai partecipanti dell'eucaristia cultuale: «Viva il vostro cuore per sempre». Dice Delitzsch: «E come l'augurio che l'ospite rivolge a quelli che lui, o meglio J H W H per mezzo suo, ha invitato»75. Un tale augurio echeggia ancor oggi nel brindisi ebraico: לחיים, "Alla vita!". Già il banchetto ha il senso di "ristorare", cioè di ricuperare le energie vitali. Ma il verbo חיהè aperto a un ulteriore significato. Al v. 30 si dirà, dei "grassi della terra", che «non possono tenere in vita ( )חיהil loro respiro». Qui invece l'orante augura agli affamati che «il loro cuore viva per sempre (76«(לעד. In Sal 69, 33 c'è un'espressione simile: «Voi che cercate Dio, viva il vostro cuore». Il nostro salmo aggiunge l'avverbio: לעד, «per sempre». Questo avverbio viene usato altrove, per esempio, in Dn 12, 3, in senso escatologico77. Si intravede, nel Sal 22, la speranza di una vita eterna?
74 «Cercare... esprime il recarsi da J H W H per ottenere salvezza in una situazione di necessità» (Fuchs 1982, p. 257). «Così la compagnia dei fratelli nella fede celebra non solo la salvezza del salmista, ma, nella sua liberazione, la buona notizia per loro» (Mays 1994, p. 112). 75 Delitzsch 1984, p. 218. 76 Sul significato escatologico della particella iv, "eternità", cf. ThWAT V, coli. 1072-1073 (Haag). 77 Dunque la dimensione escatologica non è ristretta ai w. 28-32, ma caratterizza anche i versi precedenti.
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II regno di' JHWH e del suo Messia
La seconda strofa: l'adorazione dei popoli (vv. 28-30) La seconda strofa (w. 28-30) rappresenta un'ampliamento della lode in senso spaziale. Ora vengono invitati al ringraziamento per l'azione compiuta da Dio tutti i popoli della terra. Alla todah di Israele succede quella dei popoli pagani. Due volte venivano menzionati gli israeliti nei w. 23-27 ( י כל זרע יעקבv. 24b; י כל זרע ישראלv. 24c), altrettante vengono nominati i pagani nei w. 28-30 (כרים, w. 28d.29). L'elemento che unisce la prima con la seconda strofa, Israele con i gentili, è il tema della povertà. Non solo Israele è un popolo di poveri, ma lo sono anche i pagani, poiché tutti gli uomini sono impotenti davanti alla morte. Come la prima strofa, anche questa è costruita in forma centrale, in quanto la motivazione per il ringraziamento, l'esposizione dell'avvenimento della salvezza (v. 29, B), è circondata da due inviti simmetrici alla lode (28, A; 30, A') (cf. tab. 44). Tabella 44 Versi A 28 B 29 A' 30
Contenuto Invito all'adorazione Motivazione ()כי Invito all'adorazione
Parole chiave 2) •גוי
Il legame con la strofa precedente viene segnalato da alcune corrispondenze lessematiche. Si veda la ripresa del verbo אכל, "mangiare" (v. 27a e 30a): a "mangiare" il pasto sacrificale nel v. 27 sono i poveri, nel v. 30 i "grassi della terra". Tutte e due le volte il verbo caratterizza l'ultima parte della strofa, la ripresa della lode. La corrispondenza del verbo חיה, "vivere" (v. 27c e 30e) è stata già segnalata. Val la pena anche sottolineare la corrispondenza della particella universalizzante כל, presente 2 volte al v. 24 («discendenza tutta di Giacobbe»; «discendenza tutta di Israele»), e ripresa due volte al v. 28 {«tutti i confini della terra»; «tutte le famiglie delle nazioni») e due volte al v. 30 {«tutti i grassi della terra»; «tutti quelli che scendono nella polvere»). All'universalità del popolo di Dio corrisponde l'universalità dei popoli della terra. L'autore sottolinea che la salvezza dell'orante ha un valore universale non solo per Israele, ma anche, semplicemente, per ogni uomo. Chi osserva questi macroscopici legami delle due strofe non può accettare l'opinione diffusa tra gli esegeti che i w. 28-32 siano
ם
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stati aggiunti ai precedenti. Il salmo si rivela sempre più coerente e profondamente unitario. La conversione dei popoli (v. 28)
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Il v. 28 è composto di quattro stichi (A = 28a; B = 28b; A = 28c; B' = 28d), costruiti in parallelismo sinonimico, analogo a quello che caratterizzava la prima strofa. In ambedue i distici il predicato viene prima del soggetto («Ne faranno memoria e ritorneranno a J H W H ־tutti i confini della terra» [28ab]; «si prostreranno davanti a te - tutte le famiglie delle nazioni» [28cd]). I due soggetti che vengono menzionati («tutti i confini della terra»; «tutte le famiglie delle nazioni») vogliono esprimere l'universalità, la dimensione cosmica che assume la liberazione. אפסי ארץ, "confini della terra", è espressione caratteristica di testi escatologici che parlano del regno di J H W H e del suo Messia (cf. Dt 33, 17; 1 Sam 2, 10; Sali, 8; 67, 8; 72, 8; 98, 3; Is 45, 22; 52, 10; M/5, 3; Zc 9, 10). Il termine משפחות, "famiglie", non può non evocare Gn 12, 3 e 28, 14 («in te saranno benedette )»כל משפחות האדמה. Nel Sal 22 il termine neutrale אדמהè sostituito con בוים, che sottolinea l'aspetto pagano, non israelitico, dei popoli. Il termine ha spesso, nei salmi, una connotazione negativa: esso indica i persecutori del salmista o addirittura i רשעים, gli "empi" (cf. Sal 9, 18). Qui è presente un altro accento, ma si presuppone una loro conversione (שוב, v. 28a). La conversione è legata al fatto che questi popoli "faranno memoria" ()יזכרו. Il verbo זכרha un forte contenuto teologico. Non si tratta di un procedimento puramente intellettuale, ma di una riattualizzazione del passato, quale avviene, per esempio, nella celebrazione della Pasqua. L'analogia con l'eucaristia cristiana è palese. Oggetto sottinteso del verbo è, dal contesto, la salvezza del povero. Generalmente il soggetto è il popolo di Dio. Significativamente nel citato Sal 9, 18 i כויםvengono qualificati come «coloro che dimenticano Dio» ()שכחי אלהים. Il "fare memoria" è per loro conversione. E la conversione si manifesta nel fatto che essi si prostrano in adorazione (וישתחוו, v. 28, cf. 30) davanti a JHWH, il Dio di Israele. Come gli israeliti, anche i pagani riconoscono nella salvezza del povero la presenza di Dio. Viene in mente il grido del centurione alla morte di Gesù, con cui termina il racconto marciano della passione: «Veramente quest'uomo era figlio di Dio» (Me 15, 39).
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Il regno di J H W H (v. 29) Come nella prima strofa, anche qui l'invito alla lode è seguito dalla motivazione introdotta da ( כיv. 29). E vero che il tema del dominio universale di J H W H ha uno sfondo tradizionale, affondando le radici già nella designazione del dio cananeo di Gerusalemme, "E1 Eljon" 78. Ma nel nostro caso il significato è diverso. Il termine מלוכהcon riferimento a J H W H ricorre ancora solamente in Abd 21. Qui si tratta del regno escatologico di Dio, quale è cantato anche nei salmi della regalità di JHWH. Come nota Gese, «nella salvezza del fedele dalla morte si rivela il regno escatologico di Dio» 79. La suecessione delle due motivazioni dei w. 25 e 29 esprime questo duplice aspetto: si tratta di un avvenimento concreto («non ha disprezzato... la miseria del povero»), in cui si fa presente il regno escatologico di Dio («a J H W H appartiene il regno»). La seconda motivazione rileva la dimensione escatologica della prima. Come è tipico dei salmi della regalità di J H W H (cf. Sal 96, 710; 97, 6.9; 98, 2-4; 99, 1-2; 100, 1), si sottolinea la portata universale, al di là dei confini del popolo di Israele, di questo dominio: ומשל בגוים, «egli domina sulle nazioni». E conseguente, perciò, che le nazioni siano anch'esse invitate all'adorazione (w. 28.30). Il tema della regalità era già stato introdotto all'inizio del salmo («tu siedi [come re] sulle lodi di Israele», v. 4) 80. Tra le due affermazioni, quella del regno su Israele e quella del regno sulle nazioni, non c'è contraddizione, ma complementarietà, quella stessa che viene espressa, ad esempio, in Es 19, 5: «Voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra». Tutti gli uomini sono poveri (v. 30) Come, nella strofa precedente, i w. 23-24 erano in parallelo con 26-27, così ora il v. 30 è in parallelo con il v. 28. Come il v. 28, anche il v. 30 è composto di due distici: anche qui il predicato precede il soggetto. I quattro distici formano una serie sinonimica. L'unica anomalia, dal punto di vista compositivo, è che l'ultimo distico, venendo a conclusione della strofa, viene prolungato di un membro, for78 79 80
Cf. Kraus 1978, p. 331. Gese 1974, p. 192. La cosa è opportunamente rilevata da Kselman 1982b, p. 192.
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mando un verso tristieo (30cde, cf. tab. 45), analogamente a quanto era avvenuto alla fine della prima strofa, al v. 27, e avverrà alla fine della terza strofa, al v. 32 (cf. ancora i w. 12.16.17). Tabella 45 Verso Predicato 28ab Ne faranno memoria e ritorneranno a JHWH 28cd si prostreranno davanti a te 30ab Hanno mangiato e si sono prostrati 3 Oed davanti a lui piegheranno il ginocchio 30e
Soggetto tutti i confini della terra; tutte le famiglie delle nazioni tutti i grassi della terra, tutti quelli che scendono nella polvere e non possono mantenere in vita il loro respiro.
Al v. 30a, il verbo וישתחווè chiaramente ripresa di 28,וישתח וc.Il cambio di tempo, dall'imperfetto al perfetto, non deve sorprendere. Al perfetto sono anche 30,אכלוa,e 30,חיהe,mentre 3,יכרעוOc,è all'imperfetto. Nel contesto della strofa, i tre perfetti sono anch'essi da intendersi in riferimento allo stesso futuro escatologico (perfetto profetico) 81 . Come sinonimo di חוהhistafel viene usato al v. 30c il verbo כרע, "piegare il ginocchio". La ragione dell'atto di adorazione, espresso in questi due verbi, è indicata al v. 30a:אכלו, "hanno mangiato". Se si considera la tabella 45, è chiaro che "hanno mangiato" è posto in parallelo con "ricorderanno" (28a). Contro il facile ricorso alle congetture 82 , noi riteniamo che TM offra un senso soddisfacente. Infatti "ricordare" e "mangiare" sono aspetti complementari della todah ebraica, assunti poi dall'eucaristia cristiana 83 . Si suppone, dunque, che anche i pagani prendano parte al banchetto sacrificale in cui si fa memoria della salvezza operata da Dio 84 . La celebrazione della todah conduce i pagani alla conversione (שוב, v. 28a) che si manifesta nell'adorazione ( חוהhistafel, w.
81
Cf. Lohfink 1992, p. 15, nota 44. Cf. sopra, p. 189. 83 Su questo aspetto si veda soprattutto Gese 1974, p. 198. 84 Di un banchetto escatologico dei popoli si parla in Is 25, 6-7. Anche qui il contesto è quello del ringraziamento: la salvezza del povero (25, 4.9; 26, 6) coinvolge tut82
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28c.30a; 30,כרעc)."Prostrarsi" e "piegare il ginocchio" sono atti di umiliazione, è un farsi piccolo, povero davanti a Dio. L'espressione כל דשני ארץ, "tutti i grassi della terra" (30b), è in parallelo, se si osserva la tab. 45, con "tutti i confini della terra" (28b) e "tutte le famiglie delle nazioni" (29b). Se Israele veniva definito un popolo di poveri (ענוים, v. 27a), è logico ritenere che i pagani vengano definiti i "ricchi", o "grassi" della terra (si può forse percepire un parallelo con la caratterizzazione dei nemici del salmista, definiti "bufali di Basan", v. 13) 85. Le due espressioni: "mangeranno i poveri" (v. 27a) e "hanno mangiato... tutti i grassi della terra" (v. 30ab) formano, dal punto di vista dei soggetti, un parallelismo antitetico con valore polare. La conversione dei "grassi" può solo consistere nel "divenire poveri", e questo è appunto il senso del v. 30cde TM. Nella tab. 45 il paradigma dei popoli pagani/grassi della terra viene prolungato con una quarta espressione: «tutti quelli che scendono nella polvere e non possono mantenere in vita il loro respiro» 86. L'espressione forma un voluto contrasto con la precedente. Non nel senso che si tratta di due gruppi diversi di uomini, come vorrebbero Briggs e Prinsloo87: è sempre lo stesso gruppo che è ad un tempo ricco e povero. Infatti, per quanto ricchi e sani siano questi uomini, anch'essi sono in definitiva poveri di fronte alla morte. Anche per essi verrà il giorno in cui si troveranno nella stessa situazione di impotenza del salmista. Che qui si faccia riferimento all'esperienza dell'orante è suggerìto da alcuni paralleli. «Tutti quelli che scendono nella polvere (»)עפר (v. 30d) rimanda al v. 16: «Su polvere ( )עפרdi morte mi stendi»: la situazione del salmista è quella di ogni uomo. «Non possono mantenere in vita ( )חיהil loro respiro (( »)נפשv. 30e) si collega con il v. 27c: «Viva ( )חיהil vostro cuore per sempre». Là traluceva una speranza di immortalità, ma solo per i "poveri": è solo divenendo poveri che si può ti i popoli della terra ( 7,23,)גרים.Ciò che nel Salii avviene a un livello personale, avviene in Isaia a un livello collettivo, nazionale (si parla infatti della salvezza di un popolo). D'altronde anche il Salmo 22 è aperto a una dimensione collettiva. La figura del salmista sofferente ha elementi che si prestano a una tale lettura (cf. in questo senso l'interpretazione di Mannati 1966, pp. 232-234). 8 ^ Sul significato del termine דשני אדץcf. Keel-Leu 1970, p. 410: « דשןappartiene al campo semantico dell'abbondanza, salute, forza. Chi è sazio di דשןe perciò diventa דשן, è uno che vive una vita agiata e felice (Sal 63, 6; Is 55, 2; Ger 31, 14, ecc.)». 86 Con ragione Aytoun vede in Salii, 30e il sottofondo di Me 15, 31: «Ha salvato altri, non può salvare se stesso» (Aytoun 1920). 87 C.A. Briggs e E.G. Briggs 1906, p. 200; Prinsloo 1995b, p. 76.
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aver accesso a questa speranza. D'altra parte il termine נפשcollega il v. 30e con 21: «Strappa alla spada la mia vita (»)נפש. I "grassi della terra" non possono strappare alla morte la loro vita, ma c'è uno che può farlo, come il salmista ha sperimentato. Perciò la sua esperienza ha un valore paradigmatico per ogni uomo, non solo per i poveri: anche per i ricchi, ma a patto che essi diventino poveri, che si convertano cioè ()שוב, e riconoscano la loro dipendenza da J H W H ( חוהhistafel, )כרע, riattualizzando l'esperienza che ha fatto il salmista (זכר, )אכל. La terza strofa: il popolo che è nato (vv. 31-32) Il secondo ampliamento della lode avviene in senso temporale. Non solo gli uomini della presente generazione sono chiamati a unirsi alla todah, ma anche quelli delle generazioni future. La terza Strofa è più corta delle due precedenti (appena due versetti), ma mostra gli stessi elementi strutturali, cioè l'invito alla lode (w. 3132ab) e la motivazione introdotta da ( כיv. 32c) (cf. tab. 46). Tabella 46 A B
Versi 31-32ab 32c
Contenuto Invito alla lode Motivazione ()כי
È interessante notare che la terza strofa non è unita alla secona da nessuna parola aggancio, mentre i richiami alla prima strofa ono evidenti, come sopra abbiamo notato, sottolineando l'inclusioe tra inizio e fine della seconda parte del salmo attraverso i due siunificativi lessemi: ( ספרw. 23a e 31b) e ( זרעw. 24bd e 3 la) 88. Un'alra inclusione, questa volta con l'inizio del salmo, è data dalla ditensione temporale. All'inizio l'orante si rivolgeva al passato ("payri", w. 4-6), ora egli si volge al futuro, ai "figli" (עם נולד, v. 32). Il jaadro è completo se si ricorda che all'inizio della seconda parte si arlava dei "fratelli" (v. 23). E chiaro, se si osservano queste corriSpondenze, che i termini זרע, al v. 3 la, e עם, al v. 32b, si riferiscono iàl "popolo di Israele". E dunque, se nella seconda strofa si parlava dei gentili, nella prima e nella terza strofa della seconda parte il discorso riguarda direttamente Israele. J
88
Cf. p. 192.
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Il pellegrinaggio dei popoli (w. 31-32ab) Come nelle due strofe precedenti, anche nella terza T"invito alla lode" (w. 3132־ab) è caratterizzato da un accentuato parallelismo sinonimico. Sia i verbi che i sostantivi formano un paradigma di concetti correlati tra loro (cf. tab. 47). Tabella 47 31 a Una discendenza 3 lb a quella generazione 32ab a un popolo che è nato
servirà si racconterà annunceranno
lui; del Signore la sua giustizia
Le tre espressioni: "una discendenza" ()זרע, "quella generazione" ( )הדורe "un popolo che è nato" ( )עם נולדsono dunque sinonimiche e si riferiscono al popolo di Israele. Non si tratta, come vorrebbe Delitzsch, di ondate diverse e successive di generazioni umane 89 , ma di una designazione globale per la "generazione futura". Come il salmista aveva ereditato dai padri la fiducia in J H W H (w. 4-6), così egli vuole trasmettere la sua esperienza ai figli. E la "traditio fidei", di cui parla Dt 6, 20-25, e, per il salterio, Sal 78, 3-7; 102, 19, con espressioni molto vicine a quelle del nostro salmo. Se il Sal 78 si riferisce soprattutto alla trasmissione della legge, il Sal 102 riguarda la trasmissione di un'esperienza salvifica. Si noti che, nel Sal 102, questa salvezza interessa anche i gentili (cf. w. 16-23). «Una discendenza lo servirà». Letta alla luce del v. 30, questa affermazione si lascia comprendere come un prolungamento del "piegare il ginocchio" della presente generazione. Anche se questa generazione "scende nella polvere", non per questo la lode di J H W H finirà: essa verrà ripesa dalla generazione successiva 90 .1 Briggs pensano che qui si alluda alla discendenza dei gentili, un pensiero che non è estraneo al salterio (cf. Sal 102,23) 91 : ma il contesto globale del Salmo 22 induce a vedervi il futuro popolo di Israele. G traduce: TÒ σπέρμα μου, "la mia discendenza", intendendo probabilmente in senso messianico (il "figlio di Davide"). Probabilmente anche TM al89
Delitzsch 1984, p. 220. Cf. Keel-Leu 1970, p. 411. 91 C.A. Briggs e E.G. Briggs 1906, p. 200 («A seed descending from the nations mentioned above, their next generation»). 90
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lude a un senso escatologico. Con l'avvenimento della salvezza il regno escatologico di Dio si è fatto presente sulla terra: è appunto questo Israele futuro, escatologico, che "servirà il Signore". Se anche il termine "quella generazione" ( )הדורal v. 31b si riferisce all'Israele escatologico, la domanda è allora: chi è il soggetto, impersonale, del "raccontare"? Non può essere né "Israele", perché questi è destinatario dell'annuncio, né JHWH, perché egli ne è l'oggetto. Dal punto di vista sintattico, il soggetto plurale più vicino sono i "popoli", di cui si parlava ai w. 28-30. La prospettiva è inusuale: i pagani racconteranno a Israele le opere di JHWH! Per quanto inusuale, questa lettura viene confermata dal v. 32a: «Verranno e annunceranno la sua giustizia a un popolo che è nato». Anche qui, soggetto di "verranno" non possono essere gli israeliti, perché essi già sono a Gerusalemme, e per di più sono i destinatari dell'annuncio (il "popolo che è nato"). Non resta che pensare ai "pagani", che, divenuti poveri, hanno fatto essi stessi esperienza della saivezza di J H W H e perciò sono in grado di raccontare le sue meraviglie. Si allude dunque verosimilmente al pellegrinaggio escatologico dei popoli a Gerusalemme, di cui parla Is 2, 1-5 (= Mi 4, 1-3); Is 60, 1-22; Sal 102, 23. Questo tema verrà ripreso nel Sai24, 6 TM: «Ecco la generazione ( )הדורdi quelli che lo cercano, che cercano il tuo volto, Giacobbe». A cercare il volto di Giacobbe non possono essere che i pagani! 92 Oggetto del "raccontare" dei popoli è "la sua giustizia",צדקתו. Questa espressione va letta in parallelo alle altre due: "lui" (v. 3la) e "del Signore" (v. 31b). Il "raccontare del Signore" si concretizza nel "narrare la sua giustizia". Il termine צדקהè pressoché equivalente a "salvezza"93. Nel nostro caso si tratta, chiaramente, della salvezza sperimentata concretamente nel suo intervento nella storia. In 1 Sam 12, 7 si usa il plurale per esprimere i "benefici" operati da JHWH, ma il termine viene usato al singolare in Salii, 15. La "giustizia" del Signore sarà annunciata a un עם נולד. Il termine עםrimanda al v. 7. Si tratta, nei due casi, del popolo di Israele, ma nel v. 7 questo "popolo" disprezzava il salmista, perciò il "popolo" di cui ora si parla è un "nuovo Israele", un popolo di poveri (cf. v. 24), aperto anche ai pagani, a quanti, cioè, si riconoscono nell'esperienza di fede del salmista. 92 93
Cf. più oltre, pp. 260-262 e 277-280. Cf. ThWAT VI, col. 903 (Johnson).
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Il participio נולדha indubbiamente un valore futuro 94, come l'accostamento a "discendenza" e "generazione" suggerisce. In questo senso intende G (Xafi TO τeχ0ףao16ןv( ))גe Vg (populo qui nascetur). Anche il parallelo con Sal 78, 6 ( )בנים יולדוva in questo senso: si tratta di un "populus nasciturus", come intende la maggior parte dei commentatori 95 . E l'Israele escatologico. Ma il participio נולדammette anche un'interpretazione al passato: "un popolo che è nato" 96. Essa offre un senso interessante, insinuando che questo popolo futuro è nato con la salvezza del salmista. Un tale senso è in consonanza con l'affermazione del v. 29, che vedeva in questo fatto il realizzarsi del regno escatologico di JHWH. Nell'avvenimento di salvezza di cui il salmista è stato oggetto, egli saluta la nascita del nuovo, escatologico popolo di Dio. L'idea potrebbe sembrare abnorme, sproporzionata per un awenimento di salvezza così ristretto, limitato a una sola persona. Ma altrettanto abnorme, fuori dell'ordinario, era la rappresentatazione della sofferenza di questo individuo. La grandezza sconfinata della prospettiva finale, insinua Ricoeur, corrisponde all'abisso infinito dell'umiliazione iniziale, all'abbandono di Dio 97. Dio ha agito (v. 32c) Nelle due strofe precedenti, abbiamo notato che la "motivazione" dell'invito alla lode era allo stesso tempo un'esposizione ( )ספרdell'avvenimento della salvezza. In questo senso anche la motivazione del v. 32c si allinea a quella dei w. 25 e 29, formando una serie significativa (cf. tab. 48). Tabella 48 v. 25 v. 29 v. 32c 94
Perché egli non ha disprezzato né ha avuto ribrezzo della miseria del povero... Perché a JHWH appartiene il regno... ... perché lui ha agito.
Cf. GKB § 116e. Keel adduce un parallelo dalla letteratura egiziana, una preghiera al dio Amon: «Io racconto la sua potenza a chi risale il Nilo e a chi lo scende. Guardatevi da lui! Raccontatelo ai giovani e alle fanciulle, piccoli e grandi; ditelo alla discendenza che ancora non c'è» (cf. Keel-Leu 1970, p. 412). 96 Cf. GKB § 116e. La traduzione "natus" è data come "usuale". 97 Ricoeur 1998, p. 220 (Ricoeur parla di iperbole, come della figura retorica adeguata per comprendere la poetica del salmo). Si veda, nello stesso senso, Davis 1992. 95
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Nella prima e nella terza strofa !'"annuncio" o "ricordo" della salvezza riguarda il riconoscimento concreto dell'intervento di Dio nella storia del salmista ("non ha disprezzato", v. 25; "ha agito", v. 32c), nella seconda viene sottolineata la dimensione escatologica di questo intervento. La "giustizia di Dio" che i popoli annunceranno è, dunque, quella che si è compiuta nella salvezza del povero. כי עשהè da intendersi infatti come sguardo retrospettivo all'esperienza fatta dall'orante del salmo. Ebbene, egli riconosce in essa l'opera di Dio. So10 Dio, nessun uomo può fare cose simili. Il verbo עשהha qui il senso forte che ha, per esempio, in Is 44, 23. E perché Dio ha agito che l'escatologia si è fatta presente: si è realizzato il regno di Dio ed è nato un popolo nuovo. Ma כיha anche un valore causale, collegato direttamente a נולד, e ciò equivale a dire: il popolo è nato perché Dio ha agito, esso è frutto dell'intervento di Dio nella salvezza del salmista. SALMO 2 2 E IL NUOVO TESTAMENTO
Nessun salmo ha trovato tanta eco nel Nuovo Testamento come 11Sal22. Lo schema che segue riassume le osservazioni fatte lungo l'analisi (cf. tab. 49). Tabella 49
2 8 16 19 28 30
Ut 27 Sal 22 Me 15 46 34 43 29 35
24 39 31
Le 23
Gv 19
-(!)
35a 34
28 24
Se seguiamo la testimonianza più antica, riferita da Marco, vengono fatte tre citazioni esplicite: a) il grido di Gesù in croce riprende Sal 22, 2; b) la derisione della gente sotto la croce viene letta alla luce di Sal 22, 8; c) la divisione delle vesti viene vista come compimento di Sal 22, 19. E interessante notare che le tre citazioni si riferiscono alla prima parte del salmo, al lamento. Indubbiamente anche l'accostamen-
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to del grido di Gesù a Sal 22, 2 vuole sottolineare l'estremo abbandono di Gesù, la sua infinita solitudine 98. Non per niente Luca ha evitato di fare questo accostamento, che rasenta lo scandalo. L'esegesi patristica tradizionale ha visto il Sal 22 come una profezia della passione di Gesù. La nostra esegesi l'ha escluso. Il salmo non è una profezia in senso proprio: esso si riferisce a concrete esperienze di dolore vissute da un individuo. Allo stesso tempo abbiamo notato che la rappresentazione ha un carattere "tipico". Anzitutto per il fatto che essa doveva poter essere pregata anche da altre persone, nelle più diverse situazioni di sofferenza. Ma anche per il fatto che il dolore raggiunge qui una profondità abissale. Delitzsch dice: «Nel Sal 22 Davide [Delitzsch riferisce il salmo a Davide, leggendo il titolo in forma storica] scende con il suo lamento a una profondità tale che oltrepassa la profondità del suo dolore e si innalza con la sua speranza ad un'altezza tale, che supera i meriti del suo soffrire» 99. Già l'esegesi rabbinica tradizionale leggeva il salmo in senso messianico, e il Midrash Tehillim vi vedeva ritratta la vicenda della regina Ester 100. Per gli evangelisti non c'è nessun dubbio che il salmo si è veramente adempiuto in Cristo 101 . Non nel senso che essi abbiano costruito la passione di Gesù in corrispondenza al Sal22\ essi hanno compreso il senso della passione sottolineando i riscontri con il Salmo 22 102. E un fenomeno di "rilettura" del salmo alla luce della passione. In questo senso si può dire che il salmo è profetico. Il salmista è sceso così profondamente nel mistero della sofferenza umana, che la pienezza della sofferenza e della speranza descritta nel salmo supera quella di un uomo concreto. Solo nella passione e nella morte di Gesù essa si realizza pienamente. Gese nota che la corrispondenza maggiore del Sal 22 con il Nuovo Testamento non sta nei particolari, ma nell'affermazione che nella salvezza del povero irrompe la fine dei tempi 103 . Il regno esca-
98 99
Cf. Focant 1999, p. 302; Thatcher 1996. Delitzsch 1984, p. 207. Si veda nello stesso senso la citazione di Ricoeur (no-
ta 97). 100
Cf. Collins 1997, pp. 236-240. Cf. Stolz 1980, p. 167: «Solo Gesù - questo è il senso di tutta la tradizione neotestamentaria sulla passione - ha effettivamente attuato ciò che viene inteso nel Sal 22». 102 Cf. Cook 2001; Focant 1999; Rathinam 2002; Collins 1997; Berder 2002, pp. 16-19. 103 Gese 1974, pp. 193-196. 101
Salmo 19
231
tologico di Dio (v. 29) e la conversione dei gentili (w. 28.30) sono segni evidenti dell'avvenimento escatologico e apocalittico. Nel Vangelo di Marco, abbiamo notato, la conversione dei pagani viene simboleggiata dalla confessione del centurione: «Allora il centurione (...), vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio"» (Me 15, 39). In Matteo l'irrompere del mondo nuovo viene espresso dagli avvenimenti apocalittici che accompagnarono la morte di Gesù (scissione del velo del tempio, terremoto, resurrezione dei morti, Mt 27, 51-53). Questi segni non vengono collegati con la resurrezione di Gesù, ma si verificano già alla morte di lui. Come nel Salmo 22, anche nei Vangeli la resurrezione non si può separare dalla morte. Il tempo della passione è anche il tempo della salvezza («Dalle corna dei bufali tu mi hai risposto», Sal 22, 22). Gese va ancora oltre, vedendo l'eucarestia dei cristiani come uno sviluppo della todah ebraica, quale viene espressa nella seconda parte del Sal 22 104. Gli elementi comuni ad ambedue le "azioni di grazie" sono: il fare memoria dell'avvenimento di salvezza (ספר, Sal 22, 23.31; זכר, Sal 22, 28) e il banchetto di comunione (אכל, Sal 22, 27.30). Basti un accenno: lo sviluppo di questi elementi richiederebbe un'indagine a parte.
104
Gese 1974, p. 198.
SALMO 23
TRADUZIONE
1. Salmo. Di Davide. Il mio pastore è JHWH: non manco di nulla. 2. In pascoli erbosi mi fa sdraiare. Ad acque di riposo mi conduce, 3. mi restituisce la vita. Mi guida per giusti sentieri, a causa del suo nome. 4. Anche se cammino in una valle di tenebre non temo alcun male, perché tu sei con me. La tua mazza e il tuo vincastro son questi a consolarmi. 5. Tu prepari una mensa davanti a me, in faccia ai miei nemici. Mi ungi di olio la testa. Il mio calice trabocca. 6. Certo, bontà e misericordia mi seguiranno tutti i giorni della mia vita, così potrò ritornare nella casa di J H W H per la durata dei giorni.
233
Salmo 19 CRITICA TESTUALE
Verso 6 ושבתי. TM legge qui chiaramente il verbo שוב, "ritornare" 1. G, Simmaco, Tg, S hanno letto invece una forma del verbo ישב, "abitare". Questa lettura sembra appoggiata da Sal 27, 4 שבתי בבית־יהוה כל־ימי חיי, «il mio abitare nella casa di J H W H tutti i giorni della mia vita». A livello di testo canonico, la lettura di TM è appoggiata, oltre che dalla corrispondenza con il v. 3a ()נפשי ישובב, anche con un confronto con i salmi vicini. Infatti il Sal 22 termina con il pellegrinaggio dei popoli alla casa di J H W H (Sal 22, 32:)יבאו, e il Sal 24 riprende lo stesso tema: מי יעלה בהר יהוה, «Chi salirà il monte di JHWH». Si noti anche qui la preposizione בcon il senso di moto a luogo, come in 23, 6. Forse dietro alla lettura di G c'è la volontà di affermare la fede nella resurrezione, in continuità con la lettura ev μέσω σκιάς θανάτου per l'ebraico בגיא צלמות, «in una valle di tenebre» 2 . STRUTTURA3
Diversamente dal Sal 22, il Sal 23 non è caratterizzato da molte ripetizioni di parole 4 . La struttura del poema va ricercata perciò anche con altri mezzi, facendo attenzione al contenuto e alle metafore. Va ad ogni modo notata la doppia inclusione formata dal nome J H W H (w. l b e 6c) e dal verbo ( שובw. 3a, ישובב, e 6c,)ושבתי. Il salmo è diviso in due parti dal tipo di metafora (cf. tab. 50). Tabella 50 Tipo di metafora
Riposo - movimento
Direzione del discorso
tu
A. Riposo e cibo (lb3)־ B. Movimento (4) A'. Riposo e cibo (5) ( g, Movimento (6)
A. Lui B. Tu B\ Tu A\ Lui
hkzh I 1 .£. ,, r T, Lospite magnifico (5-6) | P
1
Pace - pericolo
+Pace - Pericolo (nemici) - Pericolo (nemici) + Pace
Cf. Delitzsch 1984, p. 223. Cf. Knauf 2001, p. 556. 3 La nostra struttura si rifa soprattutto agli studi di Ridderbos 1972, pp. 192-195, e di Zenger, in Hossfeld e Zenger 1993 a, p. 152, integrandoli con osservazioni personali. Per altre proposte cf. Stenger 1986; Green 2001; Pardee 1990; Auffret 1985; M. Girard 1984, pp. 200-203; Foley 1988; Tappy 1995. 4 Sul valore strutturale delle ripetizioni nel Sal 23 cf. Pardee 1990, pp. 244-271. 2
187
II regnodi'JHWH e del suo Messia
Infatti dal v. l b al v. 4 domina la metafora pastorale. J H W H è descritto sotto la metafora del pastore e l'orante sotto la metafora della pecora. Con il v. 5 subentra un'altra immagine, quella dell'ospite magnifico: si passa dalla metafora animale a quella umana. Il cambio di immagine è così evidente, che alcuni autori hanno messo in dubbio l'unità del salmo, o hanno proposto di unificarlo eliminando una delle due immagini per rendere il salmo più coerente. Come al solito, noi ci atteniamo al testo masoretico, ma ciò richiederà un'interpretazione adeguata. All'interno delle due parti, si può notare una divisione dei w. lb-4 nelle due strofe: lb3 ־e 4. La prima strofa (w. lb-3) è caratterizzata dal riposo ("sdraiarsi", רבץ, "riposo" )מנחותe dal prendere cibo (mangiare e bere: דשא, "erba", מים, "acque"). Il v. 3bc funge da transizione alla seconda strofa (v. 4), caratterizzata dal movimento ( 4,הלךa)compiuto sotto la protezione di Dio (binomio: «la tua mazza e il tuo vincastro», שבתך ומשענתך, v. 4e). Anche dal punto di vista ritmico, il v. 4 è caratterizzato da due tristichi (2 + 2 + 2 accenti), mentre il resto del salmo è una qinah ( 3 + 2 accenti). La seconda parte offre una simile divisione. Il v. 5 (terza strofa) è caratterizzato dal riposo, dal mangiare (la mensa, )שלחןe dal bere (il calice,)כוסי, mentre il v. 6 (quarta strofa) è caratterizzato dal movimento (רדף, "seguire", v. 6a;שוב, "ritornare", v. 6c), effettuato sotto la protezione dell'ospite divino. Al binomio "mazza e vincastro" del v. 4e, corrispondono i due messi divini: "bontà e misericordia",טוב וחסד, del v. 6a. Le quattro strofe mostrano dunque una struttura alternata: ABA'B'. Su questa struttura se ne sovrappone un'altra, chiastica (ABB'A'). Infatti la prima strofa è caratterizzata dal discorso su Dio in terza persona, mentre la seconda, il v. 4, passa al discorso diretto, in seconda persona ("tu sei con me",אתה עמדי, v. 4d). Nella terza strofa continua il discorso in seconda persona ("tu prepari",תערך, v. 5a, "ungi",דשנת, v. 5c), mentre al v. 6 il discorso passa alla terza persona («ritornerò nella casa di JHWH»). Dal punto di vista contenutistico, la prima strofa presenta un'immagine di pace e di sicurezza (A = +), mentre la seconda rappresenta i pericoli del viaggio (B = -). La terza è ancora caratterizzata dalla menzione dei nemici (B' = -), mentre la quarta ritorna all'immagine di pace della prima strofa (A' = +). Come osserva Pardee, «questa struttura è quella classica di: felicità, crisi, vittoria, felicità»5. Si direbbe che la presenza di pericoli e nemici (BB') 5
Pardee 1990, p. 272. In questo senso portano anche le osservazioni di Green 2001.
Salmo 19
235
porti l'orante a stringersi più dawicino al suo Dio e a rivolgersi a lui direttamente nella preghiera 6.
GENERE LETTERARIO E AMBIENTE STORICO
Il Sal 23 è uno dei più letti e studiati del salterio; non fa meraviglia che siano state avanzate molteplici proposte di interpretazione 7 . Ne ricordiamo alcune: - Gunkel classifica il Sallò tra i "salmi di fiducia" ("Vertrauenspsalmen") 8. Si tratta, secondo Gunkel, di un caso particolare dei salmi di lamento individuale. Ciò che in questi è un aspetto parziale (si vedano, nel Sal 22, i w. 4-6.10-11), diviene nei salmi di fiducia il motivo dominante. Ma l'aspetto del lamento non è assente dal salmo, esso viene espresso nei "pericoli" (v. 4) e nei "nemici" (v. 5). E tipico del salmo di fiducia il discorso in terza persona, mentre quello in seconda persona ricorda l'angoscia del lamento. Nel gruppo di Salmi 15-24, il Sal2ò si pone chiasticamente in parallelo con il Sal 16, un altro tipico "salmo di fiducia". - Un buon numero di autori, tra cui E. Vogt 9, S. Mittmann 10, K. Seybold n , ritengono che il genere letterario fondamentale del salmo sia la todah, o "ringraziamento". Ciò farebbe senso in una lettura canonica, perché prolungherebbe la seconda parte del Sal 22. Elemento caratteristico di questo genere letterario è il pasto sacrificale (cf. v. 5), celebrato nel tempio di Gerusalemme in occasione di un pellegrinaggio. Vogt in particolare pensa al ringraziamento di qualcuno accusato ingiustamente e dichiarato innocente (si spiegherebbe così la menzione dei "nemici" al v. 5). La prima parte del salmo sarebbe un'allusione figurata alla salvezza sperimentata dal salmista. - Un altro modello interpretativo, vicino al precedente, è quel6
Cf. Stenger 1986, p. 447. Su questo si veda Sandberger 1994. 8 Gunkel 1985, p. 256; Gunkel 1986, p. 98. Così anche, tra gli altri, Westermann 1984, pp. 95-98; Hossfeld e Zenger 1993a, p. 152. 9 Vogt 1953. 10 Mittmann 1980. 11 Seybold 1996. 7
187IIregnodi'JHWH e del suo Messia
10 dell'"asilo", offerto nel tempio a una persona ingiustamente perseguitata. A suggerire tale interpretazione è soprattutto 11 banchetto «di fronte ai miei nemici» (v. 5). Sarebbe questa, appunto, la realtà, di cui i w. 1-4 parlerebbero in forma allegorica, figurata 12 . Anche altri autori pensano che il Sitz im Leben fondamentale del salmo sia il tempio di Gerusalemme e qualche cerimonia in esso celebrata. Così Spieckermann ritiene che la liturgia del tempio sia lo spazio di salvezza offerto al fedele. I "sentieri di giustizia" sarebbero perciò da intendere in senso figurato, come gli insegnamenti della torah che il salmista riceve nel tempio 13. Steingrimsson ritiene che il salmista sia un levita, possibilmente il sommo sacerdote, per via dell'"unzione" (v. 5c), da lui intesa come quella sacerdotale 14 . Altri pensano che si tratti di un salmo di pellegrinaggio al tempio, e che il "viaggio", di cui si parla ai w. 3-4 sia appunto quello per recarsi al tempio 15 . Ravasi nota che il salmo respira la stessa atmosfera tranquilla dei salmi delle ascensioni (Sal 120-134) 16. Merrill dal canto suo legge il salmo come un salmo regale, che avrebbe il suo Sitz im Leben nelle cerimonie di intronizzazione del re, a cui si riferirebbe l'"unzione" del v. 5c («mi hai unto di olio la testa»). Le מי מנחותsarebbero, in questa interpretazione, quelle del Ghicon, che avevano una funzione particolare nelle cerimonie di coronazione 17 . D.N. Freedman ha cercato l'unità nel salmo, la composizione delle due immagini del pastore e dell'ospite, nella tradizione dell'esodo. Il "viaggio" sarebbe quello dei quarant'anni del deserto. L'immagine di J H W H come "pastore di Israele" è tradìzionale, appunto in riferimento alla guida nel deserto (cf. Sal 80, 2). Quest'immagine venne ripresa dai profeti dell'esilio per parlare del "nuovo esodo" (cf. Is 40, 11; 49, 9-10). L'immagine della tavola imbandita viene usata anche in Sal 78, 19, quando gli israeliti mormorano: «Potrà forse Dio preparare una mensa
Cf. in questo senso Delekat 1967; Schottroff 1980. Spieckermann 1989, pp. 267-275. Steingrimsson 1991. Così anche E. Hirsch 1977. Smith 1988; Smith 1992. Ravasi 19811, p. 431. Merrill 1965. Così anche Pardee 1990, p. 279; Cortese 2004, p. 57.
Salmo 19
237
nel deserto?» (cf. Sai23,5a). Il rimando alle tradizioni dell'Esodo sarebbe, dunque, il filone unificante il salmo 18. Vogliamo tirare le somme. Ci sembra che Gunkel abbia ragione a classificare il Sal 23 come un "salmo di fiducia". Questo è il sentimento fondamentale che il salmo ispira, e, d'altra parte, l'aspetto individuale è fortemente sottolineato (יהרה רעי, «JHWH è il mio pastore»). L'orante applica a sé la storia dell'esodo e l'annuncio pròfetico del Deuteroisaia. Si tratta però di un particolare salmo di fiducia, mescolato ad altri elementi, all'azione di grazie anzitutto (v. 5), ambientato al tempio (v. 6c). La ricerca di paralleli letterari al tema di fondo conduce anche a precisare il tempo di composizione. I paralleli più vicini al nostro salmo sono abbastanza chiari: l'immagine del pastore riferita a Dio è tipica del profetismo di epoca esilica. Ricordiamo Ger 23, 1-3; 31, 10; 50, 19; Is 40, 10-11; 49, 9-10; Ai/4, 6-8; 7, 14 e soprattutto Ex 34, 1-22. Appunto il brano di Ezechiele fa cogliere il carattere polemico dell'affermazione iniziale. Ezechiele infatti contrappone ai pastori terreni (cioè ai re della dinastia davidica) il pastore celeste. Alla luce di questo parallelo l'affermazione «Il mio pastore è J H W H » si comprende nascere dalla delusione di altri "pastori". L'ambiente storico del salmo è dunque la pietà individuale di epoca esilico-postesilica (in epoca postesilica il richiamo al tempio, v. 6, sarebbe più comprensibile) 19 .
LA PRIMA PARTE: IL BUON PASTORE, W . l b - 4
La prima parte del salmo è caratterizzata dall'immagine del pastore. Il quadro è idillico. Innumerevoli persone vi hanno attinto tranquillità e fiducia in momenti oscuri. La vita pastorale è, però, soltanto una metafora per parlare della vita umana: così non meraviglia che qua e là l'autore lasci la metafora e vada alla realtà 20 . Così è il caso, per esempio, dell'espressione: נפשי ישובב, "mi restituisce il respiro" (v. 3a). Il termine נפשsi riferisce usualmente all'uomo, non alle bestie. Così ancora i "sentieri giusti", ( מעגלי צדקv. 3b), e la 18 19 20
Freedman 1980; così pure Barré e Kselman 1983; Milne 1974. Cf. Haag 1983, pp. 91-93. Cf. Mazor 1988.
187
II regnodi'JHWH e del suo Messia
"valle di tenebre", ( גיא צלמותν. 4b), sono quantomeno polivalenti, aperti ad un senso umano ("sentieri di giustizia", "valle dell'ombra di morte"). Non fa, dunque, meraviglia che al v. 5 si lasci l'immagine animale e si parli del mondo umano. All'autore interessa parlare del rapporto tra l'orante e il suo Dio, anche se lo fa servendosi di una metafora animale 21 . L'idillio della scena non deve trarre in inganno. I pericoli e le difficoltà della vita non vengono taciuti. Si parla di nemici (v. 5) e di morte («anche se passo in mezzo all'ombra della morte», secondo G, ev μέσω σκιάς θανάτου, ν. 4b). Forse appunto per questo, l'atteggiamento di fiducia risuona più credibile. E un buttarsi nelle mani di Dio tra le angoscie della vita, e qui trovare rifugio. Si è visto che questa parte si divide in due strofe: lb3 ־e 4. L'unità è assicurata non solo dalla metafora animale, ma anche da un ritorno circolare del pensiero. La prima strofa infatti parte da una confessione di fede sull'unità tra l'orante e il suo Dio: «JHWH è il mio pastore» (v. lb, A), per giugere a un superamento della paura: «Non manco di nulla» (v. lb, B). La seconda strofa comincia con l'affermazione di «non aver paura del male» (v. 4c, B'), fondandola sul fatto dell'unione con Dio («perché tu sei con me», A', cf. tab. 51). Le due espressioni positive sono frasi nominali: esse indicano un postulato, ammesso dal salmista e dai suoi ascoltatori. Le due espressioni negative sono frasi verbali, poste come conseguenza pratica delle frasi nominali con cui sono collegate 22. Si tratta delle uniche negazioni in tutto il salmo, quindi la corrispondenza, all'inizio e alla fine della strofa, è significativa. Tabella 51 יהוה רעיA
i לא אחסרΒ
21
כי אתה עמדיA ז לא אירא רעB'
Un'immagine d'altronde molto cara al Nuovo Testamento e alla tradizione cristiana. Nelle catacombe e nelle prime chiese cristiane l'immagine del buon pastore e delle pecore è un motivo costante. 22 Cf. Van Uchelen 1989, pp. 158-161.
Salmo 19
239
Prima strofa: i pascoli erbosi (vv. lb-3) La prima strofa è caratterizzata da un'inclusione tra il tetragramma divino (יהרה, ν. lb) e la menzione del "suo nome" ( )שמוal v. 3c; una simile inclusione racchiude il salmo intero (יהוה, l b e 6c). La metafora del pastore viene sviluppata in modo statico. Il gregge si trova in riposo, intento a mangiare e a bere. Sono immagini di pace e di sicurezza. L'ultimo verso (3bc) introduce l'immagine del viaggio, che sarà ripresa nella strofa seguente. Le due strofe della prima parte sono in rapporto tra loro come "riposo" e "viaggio", e lo stesso avviene nella seconda parte del salmo. Si direbbe che il riposo è funzionale al viaggio, è un riprendere fiato e forze per il cammino successivo. Significativamente Lundbom intitola il Sal 23 come un "canto di passaggio" 23 . La prima affermazione יהוה רעיè come il titolo per la prima parte del salmo. Si tratta di una professione di fede: un riconoscere in J H W H il proprio pastore ad esclusione di altri che potrebbero avere questa pretesa. E una scelta che qui viene espressa. Gli esegeti discutono quale sia il soggetto e quale il predicato. «JHWH è il mio pastore» oppure «Il mio pastore è JHWH» 2 4 ? La seconda traduzione evidenzia meglio il carattere esclusivo dell'affermazione. L'immagine del pastore era comune nell'Antico Oriente per designare il re. Il titolo regale di Hammurrabi era "il pastore benefico" [re'u musallim), e in Egitto il re ideale viene così descritto: «Egli è pastore di tutti gli uomini, il male non è nel suo cuore. Benché il suo gregge sia piccolo, egli consuma il giorno a curarlo». Presso Omero i re sono "pastori dei popoli", ποιμένες λαών 25 . D'altra parte questo titolo veniva anche riferito a Dio. Così, ad esempio, di Samas viene detto: «Quelli che sono dotati di vita tu li pasci, tu sei infatti il loro pastore, sia che si trovino sopra, sia che siano negli inferi».
23 24 25
Lundbom 1986. Così Koehler 1956, pp. 228-229; Kraus 1978, p. 337. Citazioni secondo Ravasi 1981I, p. 435 (qui ulteriore bibliografia sul tema).
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E nella egiziana istruzione di Merikare si afferma: «Ben curati sono gli uomini, il bestiame di Dio» 26 . In Israele, dove la pastorizia e la transumanza è occupazione tradizionale (i patriarchi erano pastori), tale metafora non poteva non essere comune. E in questa luce che va letto il brano di Ez 34, sopra citato. Il profeta anzitutto denunzia il fallimento dei re d'Israele: «Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge?» (Ez 34, 2), quindi annuncia che Dio stesso si prenderà cura del gregge: «Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura» (v. 11). Il Deuteroisaia vede il pastore divino alla testa del suo gregge, mentre lo riconduce nella terra promessa (Is 40, 10-11; 49, 9-10). E interessante ricordare qui anche Ger 23, 1-8 dove, accanto al pastore divino, viene delineato un nuovo tipo di pastore terreno, un «germoglio giùsto di Davide, che regnerà da vero re e sarà saggio» (Ger 23, 4-5). E in questo ripensamento della funzione della monarchia, dopo la crisi dell'esilio, che si colloca il nostro salmo. D'altronde anche tradizionalmente il popolo di Israele si distingueva dagli altri popoli per il fatto che il vero re di Israele era J H W H (cf. 1 Sam 8), per cui la situazione prospettata dai profeti era un ritorno alle origini nomadiche e tribali della nazione. Sintomaticamente, Ezechiele eviterà di parlare di "re" nel suo progetto per il nuovo Israele dopo il ritorno. Parlerà di נשיא, "capotribù, principe" (cf. Ez 34, 24-25; 45, 7-8). Forse non è casuale che nella seconda parte del primo libro dei salmi, dopo il Sal 21, il termine מלךvenga riservato a JHWH, e quasi mai riferito al re terreno. Il Messia futuro viene presentato nei termini del Sal 22, un uomo salvato da Dio che racconta ai fratelli la sua salvezza. L'unica volta che il termine מלךviene riferito a un uomo è Salòò, 16 («Il re non si salva per un forte esercito»!). Generalmente, l'immagine del pastore è intesa in senso collettivo: si riferisce a un gregge, perciò a un popolo (Sal 80, 2: «Tu, pasto-
26 Traduzione secondo Bresciani 1990, p. 100 (cf. sopra, pp. 138-139). Si veda anche l'inno ad Aton di Amenofis III, dove il dio sole viene invocato come «pastore coraggioso che guida il suo gregge, suo rifugio e partecipe della sua assistenza» (cf. Ravasi 19811, p. 436).
Salmo 19
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re d'Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge», cf. Sal 77, 21; 95, 7). In questo, il Sal 23 rappresenta un'eccezione.יהרה רעי, «JHWH è il mio pastore». Il salmo ha un forte carattere individuale, dall'inizio alla fine. Gunkel, probabilmente a ragione, vede in questo un indizio del suo carattere tardivo27. Ad ogni modo, è interessante notare come il salmista giunga alla sua storia personale riflettendo sulla storia del suo popolo. Poiché J H W H è il pastore di Israele, egli è il mio pastore. E da osservare che le rare attestazioni di un uso individuale della metafora del pastore con riferimento a Dio conducano alla storia patriarcale. Si veda soprattutto Gn 48, 15, dove Giacobbe, guardando alla sua storia, riconosce: «Il Dio che è stato il mio pastore ( )הרעה אתיfino ad oggi» (cf. anche Gn 49, 24). La prima paura che il pastore deve fugare è quella della fame. Il verbo חסר, "soffrire mancanza", è riferito generalmente alla mancanza di cibo, alla fame (cf. 1 Re 17, 14.16; Dt 2, 7; 8, 9; 15, 8; ir 51, 14; Ger 44, 18; Ez 4, 17; Prv 13, 25; Ne 9, 21; Es 16, 18), anche se può assumere un significato più ampio (cf. Qo 9, 8; 10, 3). Perciò il salmo si comprende come espressione di povera gente, per cui la fame è un problema reale (cf. Sal 4, 8; 17, 14). Notevole è il fatto che più volte questo verbo appare in legame con l'esperienza dell'esodo: cf. Es 16, 18; Dt 2, 7; Ne 9, 21. Citiamo Dt 2, 7: «Durante questi quarantanni J H W H tuo Dio è stato con te, non ti è mancato niente (»)לא חסרת דבר. I tre stichi che seguono sono l'esplicitazione, in positivo, di questo «non mancare di niente». Il primo stico si riferisce al mangiare (v. 2a), il secondo al bere (v. 2b), il terzo al risultato dell'assumere il cibo, al "ristoro" (v. 3a). «In pascoli erbosi mi fa sdraiare». L'immagine, a livello metaforico, è del tutto coerente, ed è un'immagine parlante più di mille concetti. Il termine נרהevoca l'idea di "dimora", di sentirsi a casa. Esso si riferisce spesso, come nel nostro versetto, ai "pascoli" all'aperto, soprattutto a quelli del deserto (cf. Sal 65,13), quando le piogge primaverili trasformano il deserto di Palestina in un tappeto verde, ma il termine può indicare anche la "dimora", la "casa", 1'"ovile". In senso traslato esso si riferisce alla terra di Israele o anche al tempio di Gerusalemme28. E significativo l'uso in Es 15, 13 («Hai guidato con la tua forza [questo popolo che tu hai riscattato] alla tua santa dimora 27 28
Gunkel 1986, pp. 98-99. Cf. Spieckermann 1989, pp. 263-274.
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[)»]אל נרה קדשך, nel contesto dell'Esodo, e quello di Ger 23, 3 nel contesto del "nuovo esodo": «Radunerò io stesso le mie pecore ... e le farò ritornare ai loro pascoli [( »]על כוהןcf. ancora Ger 50, 19; Is 32, 18). La stessa immagine ritorna in Ez 34, 14-15: «Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile ( )נוהםsarà sui monti alti di Israele; là riposeranno in un buon ovile ( )תרבצנה בנוה טובe avranno rigogliosi pascoli sui monti di Israele. Io stesso pascolerò il mio gregge e io li farò accovacciare (»)ארביצם.
E dunque l'idea del riposo (רבץ, )נרהè associata a quella del cibo ()השא, abbondante e a portata di mano. Questa idea viene ribadita nello stico seguente: «Ad acque di riposo ( )על מי מנהרתmi conduce». Già il verbo נהל, "condurre", evoca il fluire dell'acqua di un fiume; e la preposizione עלritrae la posizione delle pecore che quando bevono stanno sopra il corso d'acqua 29 . Il dono dell'acqua è complementare a quello del cibo, giustificando l'affermazione del v. lb: «Non manco di nulla». Ma la qualifica dell'acqua come מי מנהרתsi apre a una dimensione ulteriore. Anzitutto è da notare il plurale מנהרת, che echeggia quello del v. 2a נארת. E un plurale di abbondanza. Non si tratta tanto di "acqua tranquilla", che cioè scorre piano o è fatta ristagnare con una piccola barriera per permettere alle pecore di bere meglio, ma di "acqua che è bevuta con tranquillità", senza fretta e senza paura di nemici, come il parallelo con "sdraiarsi" suggerisce. Ma poi il termine מנחהè designazione tradizionale della "terra promessa", del "riposo", cioè, a cui Dio conduce il suo popolo dopo il viaggio del deserto. Per il primo esodo si veda Nm 10, 33; Dt 12, 9; Sal95, 11. Sal 132, 8.14 chiama il tempio di Gerusalemme, "il riposo" di Dio,( מנחתיcf. anche Is 66, 1). E il dono dell'acqua ricorda il viaggio nel deserto. Probabilmente l'espressione על מי מנחרת, "su acque di pace", è posta in voluto contrasto con l'altra: על מי מריבה, "sulle acque della contesa" {Sal 81, 8; 106, 32; Nm 20, 13) 30, il luogo del miracolo dell'acqua durante la traversata del deserto. Ger 31, 9 dipinge il secondo esodo come un "condurre a fiumi d'acqua" ( 3 1 ( מ י ם א ל נהלי. Ricordiamo il tempio di Gerusalemme è caratterizzato dalla presenza di una sor29
La traduzione corretta sarebbe asu acque", ma in italiano essa non suona bene, accompagnandosi al verbo "condurre". Abbiamo preferito perciò rendere "ad acque". 30 Cf. Freedman 1980, p. 277. 31 Cf. Barré e Kselman 1983, p. 97.
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gente, che diviene simbolo dell'abbondanza e della benedizione che Dio dona al suo popolo nella sua dimora. Più chiaro ancora è il parallelo con Is 49, 9-10: «Essi pasceranno lungo le vie e troveranno il loro pascolo su tutte le alture; non avranno fame né sete, né miraggio né sole li colpirà più; poiché colui che ha pietà di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d'acqua (»)על מבועי מים ינהלם. Il v. 3 a riassume i due stichi precedenti. L'effetto del riposo e del prendere cibo è quello di "ristorare" o "rifocillare" le forze vitali. Ciò viene detto con un'espressione pregnante: נפשי ישובב. E vero che di per sé נפשin quanto "gola", "respiro", è elemento comune ad ogni essere vivente, ma generalmente viene usato per designare la vita umana. E a questo senso conducono le altre quattro occorrenze del binomio שוב+ נפש: Ri 4, 15; Lam 1, 11.16; Sal 19, 8. Se in Sal 19, 8; Rt 4, 15 e Lam 1, 16 il "restituire l'anima" è inteso in senso morale, come un "consolare, ridare animo", in Lam 1, 11 è chiaro il senso materiale, in connessione con il cibo. «Tutto il suo popolo sospira in cerca di pane; danno gli oggetti più preziosi in cambio di cibo, per sostenersi in vita» ()להשיב נפש. Mentre però in questi casi abbiamo la forma hifil di שוב, in Sal 23, 3 il verbo è in forma polel ישובב, che ha un valore vicino a quello del piel, non indirettamente causativo, ma direttamente fattitivo. Secondo Mittman, il verbo esprime la potenza creatrice di Dio, che restituisce all'orante la sua vita che era come perduta 3 2 . Tale senso l'espressione acquista leggendo il Sallò dopo il Salii. I ricchi della terra non riescono, per quanto facciano, a «far vivere il loro respiro» (v. 30: )נפשו לא חיה, c'è solo uno che può salvare dalla morte (הצילה מחרב נפשי, v. 21). In questo senso anche Sal 19, 8 addita nella torah la fonte della vita: משיבת נפש... תורת יהוה. La vita che la parola di Dio dona è una vita "restituita", cioè salvata dalla morte 33 . Vici-
32
Mittmann 1980, pp. 6-7. Non si tratta ancora, almeno non necessariamente, della dottrina della resurrezione, contro Dahood 1965-1979 I, p. 145. Come il Sal 22 ha mostrato, si tratta probabilmente di salvezza da un pericolo mortale. Pardee spiega: «npsj si riferirebbe, allora, alla "gola" dell'animale, che è "tirata indietro" dall'orlo della morte dalle acque vivificanti menzionate al versetto precedente» (Pardee 1990, p. 274). 33
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no al nostro testo è anche Is 55, 1-3, un parallelo del Sal 23 su cui abbiamo da ritornare. Al v. 3, il profeta conclude il suo invito a mangiare e bere gratuitamente al banchetto escatologico con la frase: «Ascoltate e la vostra anima vivrà ( 3 4 « ( נ פ ש כ ם מ ע ו ותחי Gli ultimi due stichi della strofa (v. 3bc) sono caratterizzati dal movimento. Sono perciò collegati tematicamente con la strofa seguente, anche se ritmicamente e sintatticamente (si noti Fuso della terza persona) appartengono alla prima strofa: è un tipico fenomeno di enjambement. Il pensiero ebraico non ama i passaggi bruschi, ma collega la fine di un'unità con il principio della seguente. Il "cammino" di cui ora si parla non è quello percorso per giungere ai "pascoli erbosi", ma quello successivo all'esperienza del riposo. Il salmista guarda avanti, non indietro, come è il caso anche nell'ultima strofa (v. 6). Dopo il ristoro, dunque, l'orante/pecora si mette nuovamente in cammino, sotto la guida del suo pastore. La condizione del salmista non è quella del sedentario, ma del viandante, del nomade. Il prendere ristoro è necessario, ma è solo una pausa tra una marcia e l'altra. «Mi guida per giusti sentieri». In continuità con la metafora pastorale, l'espressione si lascia intendere anzitutto nel suo senso letterale. Il cammino nella zona semiarida della Palestina, soprattutto nella stagione della transumanza, non è senza pericoli. All'inizio della primavera i pastori lasciano gli ovili e conducono le greggi nei pascoli del deserto, dove le prime piogge hanno fatto crescer l'erba 35 . Questa è anche l'origine della festa di Pasqua, nata per scongiurare i pericoli che la transumanza portava con sé. I "giusti sentieri" sono, in questo senso, quelli dove non ci sono pericoli e quelli che portano a pascoli erbosi. Ma si tratta chiaramente di una metafora. Il salmista intende parlare della vita umana sotto la guida di Dio. Il verbo " נחהguidare" viene spesso riferito all'esperienza dell'esodo, al viaggio nel deserto (cf. Es 13, 17.21; 15, 13; Di 32, 12; Ne 9, 12.19; Salii, 21; 78, 14.53). Il sostantivo מעגלviene da עכלה, "carro (da buoi)", e indica la traccia lasciata dal carro sul terreno. Spesso, e sempre nei salmi e nei libri sapienziali, esso ha un significato traslato, indicando la condotta dell'uomo. In questo senso מעגלי צדקacquista un significato morale, sono le "vie della giustizia", quelle indicate dalla legge di 34 35
Su questo testo cf. Paganini 2003. Cf. Green 2001, pp. 70-72.
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J H W H (cf. Sal 17, 5; Prv 2, 9.15.18; 4, 11; Is 26, 7). L'esperienza di Israele nel deserto viene vissuta dal singolo fedele. Si veda, ad esempio, Sal 73, 23-24: «Ma io sono con te sempre, mi hai afferrato per la mano destra. Mi guiderai ( )תנחניsempre con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella gloria», o Sal 139, 24: «Vedi se percorro una via di menzogna, e guidami ( )נחניsulla via dell'eternità». Sal «Insegnami a compiere il tuo volere (...). Il tuo spirito buono mi guidi »בארץ מישור. CEI traduce: "in terra piana", alludendo a un cammino senza ostacoli, ma la versione King James legge: «into the land of uprightness», nella terra della giustizia, che è concetto molto vicino a quello del Sallò, 3b. Il "sentiero" diviene metafora della vita dell'uomo, diretta verso l'incontro con Dio nel tempio e nella dimora eterna. Il verso termina con l'espressione:למען שמו, «a motivo del suo nome». Due spiegazioni si offrono. La prima riguarda il significato del nome "JHWH", quale viene riferito in Es 3, 14. L'espressione אהיה אשר אהיהindica non un'idea filosofica, ma concretamente un essere "con" e "per" qualcuno, un'assistenza efficace 36 . Si chiede perciò a J H W H di essere fedele a ciò che il suo nome indica, come lo è stato nell'Esodo. La seconda spiegazione si rifà a Ez 20, dove l'espressione למען שמיforma quasi un ritornello (w. 9.14.22.44, cf. Sal 106, 8). In tale contesto, l'espressione למען שמיpresuppone l'esperienza del peccato e dell'impossibilità di meritare la salvezza. Dio agisce non perché Israele (o il salmista) lo meriti, ma per pura grazia. Dopo l'esilio Israele raggiunge la consapevolezza che, se c'è un futuro per il popolo, questo non si può fondare sull'osservanza della legge, ma sulla fedeltà di Dio al suo "nome", al suo essere profondo, che è amore misericordioso (cf. Es 34, 6-7).
36
Così Zenger, in Hossfeld e Zenger 1993 a, p. 154.
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Seconda strofa: il cammino nella notte (v. 4) Il v. 4 segna per diversi aspetti un nuovo inizio. Anzitutto, da un punto di vista ritmico, abbiamo il passaggio dal ritmo binario a quello ternario (2 + 2 + 2). Dal punto di vista del contenuto, la strofa continua la metafora pastorale che caratterizzava la prima: se la prima strofa era contrassegnata dal riposo e dal ristoro, la seconda lo è dal cammino. In ciò il v. 4 si pone come continuazione diretta del v. 3bc. Ma, mentre nei versetti precedenti il quadro era soltanto positivo, ridillio perfetto, ora vengono nominati i pericoli (גיא צלמות, "valle di tenebre", v. 4b) e il male (רע, v. 4c). I verbi "aver paura" (v. 4c) e "consolare" (v. 4f) esprimono eloquentemente che il quadro non è più così idillico: che c'è, appunto, di che aver paura e di che venir consolati. Dal punto di vista sintattico, osserviamo il passaggio dal discorso su Dio alla terza persona, a un discorso diretto, in seconda persona («perché tu sei con me, la tua mazza e il tuo vincastro...»). La costruzione della frase è centrale, in quanto la proposizione principale («non temo alcun male», v. 4c), è preceduta e seguita da due subordinate introdotte da כי, il primo con valore temporale-condizionale, il secondo con valore causale (cf. tab. 52). Tabella 52 v. 4 ab v. 4c v. 4def
se (־,n) cammino non temo alcun male perché (*,D) tu sei con me
La proposizione causale, כי אתה עמדי, "perché tu sei con me", forma il centro ideale dell'intero salmo. J. Bazac ha osservato una particolarità, che dà conto della raffinatezza con cui il Sal 23 è composto. Le parole che precedono questa frase sono 26, altrettante sono quelle che la seguono. Ora 26 è un numero altamente significativo nella gematria ebraica: esso è il valore numerico del tetragram37 ma divino, י ה ו ה. Ciò conferma l'impressione che la teologia d "nome" sia il Leitmotiv del salmo. «Anche se cammino in una valle di tenebre». Il significato del termine צלמותè molto discusso 38. Senza entrare nelle discussioni 37 38
Cf. Bazac 1988, pp. 334-335. Cf. W.L. Michel 1984; Cohen 1996; Rendsburg 2001.
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etimologiche, i paralleli nelTAT inducono a ritenere il significato fondamentale di "tenebre profonde" 39. G traduce: ev μέσω σκιάς θανάτου, "in mezzo all'ombra di morte". Qui viene eliminato Telemento realistico, pastorale, della "valle", e dal significante si passa al significato, vedendovi un'affermazione della fede nella resurre־ zione. Si capisce che questa lettura sia cara alla tradizione cristiana. Ma è anche quella del testo originale? A me sembra che vada salvato il significato concreto, pastorale dell'immagine. La "valle oscura" è anzitutto da intendere concretamente, come uno dei wady profondi del deserto di Giuda, soprattutto in vicinanza della fossa dell'Arabah. Nell'estate avanzata, sull'altopiano centrale è difficile trovare pascoli per il gregge, così il pastore lo conduce in questi wady dove si conserva un po' d'acqua e di verdura. Si tratta di luoghi isolati, dove il pericolo di bestie feroci e di predoni è maggiore. Ma anche in questo caso l'immagine è ricca di valenze simboliche. La prima è suggerita dall'etimologia popolare del termine, צל מות, "ombra di morte" (cf. G). L'idea della morte era già stata introdotta nell'espressione נפשי ישובב, ν. 3a. Effettivamente in alcuni passi paralleli il termine צלמותallude chiaramente al regno dei morti, presentato come un mondo oscuro, senza luce (cf. 3,5; 10,21.22; 38, 17), e si è visto che il contesto del Sal 22 appoggia questa lettura. Certo è difficile dire se si tratti di resurrezione ο di salvezza da un pericolo mortale. Ma la speranza di una vita oltre la morte non è estranea alla teologia dei salmi. Per ogni uomo la morte è il grande problema con cui, prima ο poi, deve fare i conti. E interessante notare che il termine צלמותsi riferisce in Ger 2, 6 al viaggio nel deserto, che nell'AT è simbolo di tenebre e di morte, e quindi risuona un'altra allusione all'esodo. Sal 44,20 usa quest'immagine per raffigurare l'esilio, così anche Ger 13, 16 e Sal 107, 1014 (cf. Is 9,1). Come nel viaggio attraverso il deserto, anche in quello attraverso l'oscurità dell'esilio, il salmista non ha paura. לא אירא רע. Strutturalmente quest'affermazione corrisponde all'altra del v. lb: לא אחסר. Le due frasi riassumono bene il contenuto delle rispettive strofe. Nella prima, la paura da vincere è quella della fame, perciò si parla dell'abbondanza di cibo propiziata dal pastore divino («Non manco di nulla»). Nella seconda la paura viene 39
Così HALAT; ThWAT VI, coli. 1056-1059 (Niehr).
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dalle insidie del viaggio, perciò è detto: «Non temo alcun male», cioè nessuna sciagura che mi possa accadere. Il motivo per aver fiducia, nonostante tutto, è dato nello stico seguente, che è, come si è detto, il cuore del salmo:כי אתה עמדי, «perché tu sei con me». Se è vero che il nome divino יהרהha una grande importanza nella struttura del salmo, allora il primo sfondo su cui interpretare questa frase è & 3. Il nome יהרהindica la presenza fattiva di Dio a fianco del suo popolo e del suo inviato: ( כי אהיה עמךEs 3, 12). La "promessa di assistenza", tipica dei racconti di vocazione (cf. Ger 1, 8) è una derivazione da questo avvenimento fondante. Particolarmente vicini al nostro brano sono due passi del Deuteroisaia, che ci riconducono al secondo esodo. «Non temere, perché io sono con te (( »)אל תירא כי עמך אניIs 41, 10). Oggetto di questa assicurazione è il popolo stesso, che è anche destinatario dell'altra promessa: «Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, poiché io sono JHWH, il tuo Dio... Non temere, perché io sono con te (( »)אל תירא כי אתך אניIs 43, 2-3.5). Il "viaggio", qui, è quello del ritorno a Sion dall'esilio. Se nella prima strofa il pastore stava "davanti" alla sua pecora, per condurla (נהל, v. 2b; נהה, v. 3b), ora sta accanto ad essa ()עמדי, come compagno di viaggio. Nella terza strofa i due saranno uno di fronte all'altro ()לפני, come commensali. Alla fine, nell'ultima strofa, due messi divini scorteranno il salmista stando dietro a lui (רדף, "(in)seguire", v. 6a), per proteggergli le spalle. כי אתה עמדי. In fondo è la stessa prospettiva del Sal 22. Il Sal 23 risponde al grido iniziale: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato», ampliando quella risposta che già il salmista aveva anticipato nei due brani 22, 4-6 e 10-11. I due strumenti che vengono nominati a seguire, שבטe משענת, sono un tratto realistico della vita pastorale palestinese, quale ci è nota attraverso raffigurazioni che risalgono fino al terzo millennio a.C. (cf. fig. 13) 40. Lo שבטè un bastone corto e massiccio, una mazza, arma rudimentale ma efficace contro ladri e animali feroci. Con una simile "mazza di ferro" ()שבט ברזל, il Messia spezza i nemici come vasi di ar40
Da Keel 1984, p. 209, fig. 313.
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Fig. 13. «La tua mazza e il tuo vincastro, son questi a consolarmi» {Sal 23, 4ef). La rappresentazione, che risale all'inizio del III millennio a.C., mostra un gregge di pecore in movimento con due pastori, uno davanti e uno dietro. Quello che sta davanti ha due bastoni, uno più lungo e con il manico ricurvo, appoggiato sulla spalla, che serviva per appoggiarsi nel cammino e per guidare le pecore (in ebraico mis'enet), uno più corto e tozzo impugnato come mazza, per difendersi da ladri e animali feroci (in ebraico sebet).
gilla {Sal 2, 9). La משענתè invece il bastone lungo, a volte con impugnatura ricurva, usato per appoggiarsi ()שען, o anche per guidare gli animali, per aprirsi il passo tra i cespugli e le spine o per cacciare le vipere. Alonso Schòkel immagina un cammino notturno (nella "valle delle tenebre"), in cui non si può vedere niente, ma il rumore del bastone del pastore basta a rassicurare le pecore: ciò varrebbe però solo per il bastone, perché la mazza non fa rumore 41 . Guida e difesa, dunque: perfettamente in linea con il contesto, che parla di pericoli (il versetto seguente nominerà i "nemici"). Forse però R. Ahroni va troppo in là quando vede in questi due strumenti una metafora per i due principali attributi di Dio, la giustizia ( )שבטe la misericordia ()משענת, con cui Dio conduce il suo popolo 42 . La mazza è usata contro i nemici, non contro le pecore. Il verbo ינחמני, "mi consolano", sorprende. Non si addice alla metafora pastorale, tanto che Dahood intende qui una forma del verbo " נחהguidare" («they will lead me») 43. Eppure, esso si inserisce bene nel contesto dei pericoli e della paura che caratterizza il versetto. Evidentemente l'immagine del v. 4 non è idillica, ma tragica. L'orante sta affrontando un pericolo serio (la גיא צלמות, comunque si interpreti quest'espressione, indica un pericolo estremo, in cui la vita stessa è in pericolo). Certo qui si lascia la metafora e si parla di sentimenti umani, anticipando così la seconda parte, dove non si parierà più di pastore e di pecore, ma direttamente di persone. 41 Alonso Schòkel 1982, p. 116. Lo studio di Alonso Schòkel è per molti aspetti esemplare, soprattutto per la fine analisi dell'universo simbolico del salmo. 42 Ahroni 1982. 43 Dahood 1965-1979 J, p. 147.
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Anche il verbo נחם, come l'assicurazione di assistenza, ci riporta alle Lamentazioni (cf. Lam 1, 2.9.16-17.21; 2, 13) e soprattutto al Deuteroisaia (cf. Is 40, 1; 49,13; 51,3.12.19; 52, 9). A un popolo dal cuore spezzato il profeta annuncia la "consolazione" di Dio. Probabilmente il salmista si trova in una situazione simile. La fiducia in Dio non nasce da una vita senza problemi, ma è risposta alle difficoltà della vita. E sintomatico il fatto che il discorso diretto, il "tu" divino, coincide con la menzione dei pericoli e dei nemici.
LA SECONDA PARTE: L'OSPITE MAGNIFICO, W . 5 - 6
Nei w. 5-6 non si parla più di pastore e di gregge. Dal significante si passa al significato, si parla cioè di persone, di quella di Dio e di quella dell'orante. Ma poiché il linguaggio poetico vive di metafore, anche questo rapporto viene presentato sotto la metafora dell'ospitalità. Si è visto che il "pastore" è metafora regale. Ora Dio è presentato come un re magnifico che accoglie nella sua casa un ospite (v. 5) e gli assegna una scorta per continuare il viaggio (v. 6)44. Il palazzo regale, בית יהרה, di cui parla il v. 6c, è indubbiamente il tempio di Gerusalemme: è in esso che il quadro è ambientato. Se al v. 6 il salmista esprime la volontà di «ritornare alla casa di JHWH», ciò significa che egli vuole ripetere l'esperienza raccontata al v. 5. Si è notato che anche questa parte è suddivisa in due strofe, che corrispondono ai versetti 5 e 6. La terza strofa (v. 5) è caratterizzata dal riposo e dal prendere cibo, come la prima (w. lb-3), la quarta strofa (v. 6) dal viaggio sotto la protezione divina, come la seconda (v. 4). Per altro verso, il v. 5 è unito al v. 4 dal discorso in seconda persona e dalla presenza dei nemici-pericoli, mentre il v. 6 ritorna al quadro idillico dei w. lb-3 (i nemici sono spariti) e al discorso in terza persona.
Terza strofa: il banchetto di fronte ai nemici (v. 5) L'orante ora è giunto alla meta del suo viaggio, anche se si tratta di una meta provvisoria, perché al versetto seguente dovrà riprendere il cammino. Vengono riproposte le immagini della prima strofa, 44 «Sia l'immagine del pastore che quella dell'ospite rinviano all'immagine del re divino» (Mosis 1995, pp. 54).
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trasposte in termini umani. Si parla ancora di mangiare ( )שלחןe di bere ()כרם. D'altra parte è chiara l'unione con il v. 4. L'eco dei pericoli del viaggio è presente nei "nemici" del v. 5b. E chiaro che la "valle delle tenebre" era terribile per le insidie tese da costoro, e la "mazza" serviva a difendere il salmista da questa categoria di persone. Non ha tutti i torti E. Vogt, quando propone di vedere in un sacrificio di azione di grazie il Sitz im Leben originale del salmo. Al v. 5 verrebbe appunto descritto questo sacrificio, che il salmista celebra al tempio. Vogt pensa a una persona ingiustamente accusata di cui è riconosciuta l'innocenza: forse questo va oltre i dati del testo, che lascia la minaccia che incombeva sul salmista vaga, aperta a più interpretazioni4^. Sta di fatto, però, che il dato cultuale è trasfigurato in una metafora, che va intesa nel suo peculiare significato. «Tu prepari una mensa davanti a me». Il gesto è quello dell'ospitalità, così radicata nel mondo orientale, e di cui è testimonianza l'incontro di Abramo con i tre personaggi misteriosi {Gn 18, 115). Come nel caso di Abramo, anche qui è l'ospite stesso, Dio, che "prepara la tavola". L'espressione ערך שלחןnon si riferisce solo al mettere la tovaglia, ma è quello che noi diciamo "imbandire una mensa", cioè riempirla di vivande di ogni tipo (cf. Is 21, 5; 65, 11; Ez 23, 41; Prv 9, 2). Il termine שלחןè di etimologia incerta 46. Un tempo lo si faceva derivare dal verbo שלח, e si riteneva indicasse originariamente una pelle stesa per terra. Paralleli ugaritici hanno fatto abbandonare questa ipotesi. La שלחןera un oggetto di lusso: non si trovava nelle case ordinarie, ma solo in quelle nobiliari. Di 22 occorrenze del termine in contesto non cultuale, 13 si riferiscono alla "tavola del re" (Gdc 1, 7; 2 Sam 20, 29.34; 2 Sam 9,7.10.11.13; 19, 29; 1 Re 2,7; 5, 7; 10, 5=2 Cr 9, 4; 1 Re 18, 19; Dn 11, 27). Le occorrenze in contesto cultuale si riferiscono generalmente alla "tavola della proposizione", che si trovava nel "santo" e a cui avevano accesso soltanto i sacerdoti. Di una שלחןper la todah non c'è attestazione sicura, anche se è possibile che per il banchetto sacrificale al tempio venissero usati dei tavoli. A mio avviso, però, il testo si riferisce direttamente a una tavola regale, non al banchetto sacrificale47. Il gesto dell'un-
45
Vogt 1953; così anche Mittmann 1980; Haag 1983. Cf. HALAT; ThWAT Vili, coli. 71-79 (Ernst). 47 Contro HALAT e ThWAT, che adducono come paralleli Is 28, 8; Sal 69, 23. Qui però non è per niente chiaro che si tratti di banchetto sacrificale. 46
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zione con olio profumato è infatti tipico dell'ospitalità, non del cuito. Forse l'esempio più significativo di questo "accogliere alla mensa del re" è quello di Meribbaal-Mefiboset, a cui Davide dice: «Non temere, perché voglio trattarti con bontà ( )אעשה עמך חסדper amore di Gionata, tuo padre (...), e tu mangerai sempre alla mia tavola» (2 Sam 9, 7 cf. 10.11.13; 1 Re 2, 7). Mangiare alla tavola del re era, dunque, un segno di particolare benevolenza, che conferiva onore e protezione. Del resto il parallelo più significativo dell'espressione, che conferma il legame con l'Esodo già spesso riscontrato, è Sal 78, 19, quando gli israeliti, durante la marcia nel deserto mettono Dio alla prova con le parole: «Potrà forse Dio preparare una mensa (ערך )שלחןnel deserto?». Diversamente, il salmista attesta che Dio è capace di «preparare una mensa», anche nel deserto. Per il nuovo esodo, è da ricordare il parallelo con l'invito finale del Deuteroisaia: «O voi tutti, assetati, venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro, e senza spesa, vino e latte...»(Is55,
1).
Qui si tratta non di un banchetto sacrificale, ma di soddisfare alle esigenze fondamentali della vita, di saziare la fame e la sete. Più ancora, il banchetto è segno di amicizia e di intimità: esso sottolinea l'appartenenza reciproca dell'orante e del suo Dio, mettendosi in linea con le due affermazioni fondamentali della prima parte:( יהרה רעיv. lb),( כי אתה עמדיv. 4d) 48 . All'ospitalità offerta da un re riconduce anche il v. 5b: «...in faccia ai miei nemici». Viene infatti spesso citato al riguardo il parallelo con una tavoletta di E1 Amarna, in cui un vassallo si rivolge al faraone nei termini seguenti: «Che il re nostro signore... dia un regalo al suo servo così che i nemici possano vedere e mangiare la polvere» 49. Per un parallelo biblico cf. Sal 86, 17; Mi 7, 16-17. L'espressione נגד צרריnon indica necessariamente vicinanza fisica, ma, come os-
48 49
Questo aspetto viene sottolineato, a ragione, da Mannati 1966, pp. 236-242. Cf. Barré e Kselman 1983, p. 105.
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serva Pardee, «l'enfasi cade sull'opposizione, non sulla prossimità e certamente non sulla visione»50. Forse l'italiano "alla faccia dei miei nemici" corrisponderebbe meglio all'ebraico. La menzione dei nemici si pone in linea con il v. 4.1 nemici sono ancora presenti, ma il salmista si sente al sicuro, sotto la protezione dell'ospite divino. Come questo avvenga, se attraverso il diritto di asilo garantito dal tempio o attraverso un giudizio che ha stabilito l'innocenza, o ancora in altro modo, è difficile dire. Secondo Pardee, il quadro qui dipinto è quello del banchetto dopo la vittoria, rappresentato frequentemente nell'iconografia orientale (cf.fig. 14) 31. Fig. 14. «Tu prepari una mensa davanti a me, in faccia ai miei nemici» {Sal 23, 5). La figura rappresenta il banchetto di Assurbanipal con la consorte dopo la vittoria sugli elamiti. Nella rappresentazione completa del bassorilievo (cf. ANEP 155, fig. 451) è raffigurata la testa del re di Elam, appesa ad un albero, che "assiste" al banchetto dei vincitori.
La seconda parte del verso è tutta positiva, preludendo, in questo, al versetto seguente. Anzitutto è da notare l'allitterazione sul suono /:דשנת בשמן ראשי. In secondo luogo il verbo דשןnon può non ricordare i דשני ארץdi Sal 22, 30, confermando la coerenza di TM. Come, e più, dei "grassi della terra", Dio eleva il suo fedele e lo onora con la sua amicizia. Come l'episodio lucano della peccatrice ricorda, era costume dell'ospite ungere di profumo il capo dell'invitato (cf. Le 7, 46). Nel nostro testo viene nominato appunto l'olio profumato ()שמן, ma viene usato anche il verbo דשן, che di per sé indica il "grasso". Probabilmente si fa riferimento all'uso, ampiamente conosciuto dalle scene egiziane di banchetto, di porre sulla testa degli invitati un cono di grasso mescolato a oli profumati che con il calore man mano si
50 Pardee 1990, p. 276, cf. Bardtke 1973, p. 21. Bardtke adduce, come paralleli, Sai31, 20; 78, 12 e 119, 46: «I nemici (...) devono controvoglia riconoscere la testimonianza che Dio dà in favore del suo fedele». 51 Da Keel 1986, p. 87, fig. 38.
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scioglieva, emanando un profumo penetrante. Si comprende in questo senso anche Sal 133, 2: «E come olio profumato ( )שמןsul capo, che scende sulla barba..., che scende sull'orlo della sua veste» (cf. ancora Sal 141,5; Qo 9, 8). E naturalmente da un banchetto festivo non può mancare il vino (cf. Gv 2, 1-11), segno di gioia (cf. Sal 104, 15; Sir 31, 27-28). «Il mio calice è »רויה. Il lessema רוהsignifica: "bere a sazietà", e natuTalmente, trattandosi di vino, fino ad inebriarsi. Della sazietà che Dio offre ai suoi fedeli nel tempio, parla il Sal 36, 9: «Si saziano del grasso ( )ירוץ מדשןdella tua casa, e li disseti al torrente delle tue delizie». È interessante l'uso del termine כוס, "calice, coppa". Esso ricorda il Sal 116, 13: «Alzerò il calice della salvezza, »כוס ישועות. Nel Sal 116, il contesto è quello di un sacrificio di ringraziamento, si tratta di un banchetto sacrificale, ma il contesto del nostro salmo è diverso, almeno a livello metaforico. Il pensiero, però, della "vittoria" sui nemici è comune ai due salmi. Dopo la vittoria sugli elamiti, Assurbanipal beve vino con la sua sposa (cf.fig. 14). Ma il termine כוסpermette un altro parallelo, quello del Sal 16, 5: «JHWH è la mia parte di eredità e il mio calice, »כוס. I due salmi si corrispondono, nella struttura chiastica della raccolta Sal 15-24 52. Ambedue sono salmi di fiducia e ambedue sono ambientati al tempio. Il parallelo fa comprendere che la vera abbondanza, che riempie il calice del salmista, è J H W H stesso, non sono i suoi doni. E la comunione con J H W H propiziata nel tempio e nell'incontro sacramentale con lui a saziare la fame e la sete dell'uomo (cf. Sal 17, 1415; 4, 8: «Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento»).
Quarta strofa: il ritorno alla casa di Dio (v. 6) Come nella prima parte del salmo, anche nella seconda il riposo non è definitivo, è soltanto una pausa per rifare le forze e riprendere il viaggio. Appunto questo viaggio viene descritto nell'ultima strofa (v. 6). Viene confermata, dunque, la struttura alternata del salmo, per 52
Cf. Barbiero 1999, pp. 307-309, cf. tab. 149.
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cui la prima strofa viene ripresa nella terza e la seconda nella quarta (ABA'B'). Come il viaggio delle pecore era accompagnato dai due bastoni del pastore, la mazza e il vincastro, così il cammino dell'ospite è protetto dai due inviati di Dio, la bontà e la fedeltà. Allo stesso tempo si è notato che il v. 6 è unito chiasticamente alla prima strofa, i w. lb3־, per il fatto che qui si torna a parlare di Dio in terza persona e che non si menzionano più i pericoli o i nemici. L'inclusione tra le due strofe è segnalata dalla ripresa del nome divino ( יהרהlb e 6c), e dal verbo3) ש ר בa e 6c). "Restituire la vita" è collegato con il "ritorno alla casa di JHWH", suggerendo che ogni volta che il salmista ritornerà nella casa di Dio rifarà l'esperienza del dono di una vita nuova. Queste corrispondenze non devono far ignorare il legame lineare che lega una strofa con la seguente. Da un lato infatti la prima strofa prepara la seconda, come il riposo prepara il cammino; la terza strofa, da parte sua, si presenta come la meta naturale del viaggio descritto nella seconda, e la quarta ripete il motivo riposo-viaggio che univa le due prime strofe. Ma anche, dall'inizio alla fine, si può notare un progressivo passaggio dalla sfera animale a quella umana, dal "contenente" al "contenuto", cioè dalla metafora alla realtà53. Già nella prima strofa abbiamo notato come alcuni termini andavano al di là della metafora pastorale, per indicare il mondo umano (ad esempio, נפשי ישרבב, v. 3a; מעגלי צדק, v. 3b;למען שמר, v. 3c); tale fenomeno si è andato accentuando nella seconda (si vedano i termini: גיא צלמרת, v. 4b; נחם, v. 4f) e nella terza, dove si passava a parlare direttamente del mondo umano. Anche qui si usava, però, la metafora dell'ospitalità regale. L'ultima strofa invece è ambientata nella "casa di Dio", un termine che, se ancora può alludere alla metafora regale (in quanto "palazzo del re"), usualmente indica il tempio di Gerusalemme, e tale senso è confermato dal contesto del Sallò (cf. Salii, 32; 24,3). Il saimista non parla più per metafore, ma descrive la realtà. Il verso non è di facile interpretazione. Le difficoltà iniziano con la prima parola, אך, che può avere un valore "asseverativo" ("certamente", "davvero") oppure "limitativo" ("soltanto", "unicamente"). La prima sfumatura si addice meglio al tono di fiducia del salmo, ma la seconda avrebbe pure il suo senso. Il testo ebraico non ha bisogno di scegliere: le due accezioni sono presenti.
53
Cf. Mazor 1988; Spieckermann 1989.
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Si diceva che la quarta strofa è unita alla prima, perché il quadro è soltanto positivo, non si parla di nemici e pericoli. Questo è vero: il salmo chiude come iniziava, con un quadro di pace e di tranquillità. Ma i "nemici" non sono dimenticati. Se Dio manda la sua scorta a proteggere il salmista, vuol dire che il viaggio non è senza pericoli. Il verbo usato, רדף, ha generalmente una connotazione negativa, non significa semplicemente: "seguire", ma: "inseguire", "perseguitare"; è cioè il "seguire" di un nemico. L'orante ora sarà "inseguito" non più dai nemici, come era abituato ad esserlo (cf. Sal 7, 2.6; 18, 38; 31, 16, ecc.), ma da טוב וחסד. Il paralleli più vicini del nostro passo conducono all'esperienza del secondo esodo, cioè al ritorno dall'esilio. Tale è il contesto di 15 35, 10, quando a proposito del "ritorno" ( )שובdei riscattati di J H W H si dice: «gioia e felicità li seguiranno ( )ששון וע*מחה ישיגוe fuggiranno tristezza e pianto». C'è ancora, come nel nostro salmo, il ricordo delle passate tribolazioni, ma il profeta ha fiducia che queste saranno sostituite dalla gioia. L'altro brano è Sal 43, 3: «Manda la tua luce e la tua fedeltà ()אורך ואמתך, esse mi guideranno, mi introdurranno nella tua montagna santa e nelle tue dimore»54. Qui, il ritorno dall'esilio è sentito come un ritorno al santuario sotto la scorta degli attributi positivi di Dio. Per il primo esodo il pensiero va naturalmente a Es 34, 6, alla rivelazione della misericordia di Dio ()אל רחום וחנון, che accompagna il cammino di Israele fino alla terra promessa («Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi», Es 34, 9). Come al v. 3 («per amore del suo nome»), spunta anche qui l'esperienza dell'esilio, dove Israele non fa più affidamento sulla "giustizia" di Dio, ma solo sulla sua misericordia 55 . «Tutti i giorni della mia vita». Il "viaggio" diviene metafora della vita umana. L'esodo dall'Egitto e quello dall'Esilio, i grandi "viaggi" della storia del popolo di Israele vengono reinterpretati alla luce della storia personale. Se l'ultima strofa è quella che passa dal significante al significato, allora è chiaro che il significato del salmo è primariamente individuale. 54 La coppia טוב וחסדè unica del nostro salmo, ma ad essa si avvicina la confessione di Sal 118, 1: «Celebrate J H W H perché è buono ()טוב, perché eterna è la sua misericordia (( »)חסדוcf. ancora Sal 100, 5). 55 Contro Ahroni 1982, che vede nei due bastoni di Dio (v. 4e) i due attributi della giustizia e della misericordia.
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Al v. 6c abbiamo ritenuto TM: "e ritornerò". Che Sal 21, 4 abbia "abitare" è indubbiamente in linea con il contesto, che parla di «gustare la dolcezza di J H W H » e «ammirare il suo santuario». Ma nel nostro salmo il contesto è quello del viaggio ( )רדףper cui TM è perfettamente logico. D'altronde, anche in Sal 43, 3 la funzione dei messi divini è quella di condurre il salmista al tempio 56 . Nel nostro salmo viene usato il verbo "ritornare", שוב. Ciò vuol dire che l'orante si è già recato una volta al tempio. Si comprende così che la meta del "viaggio" di cui parlava la seconda strofa, e il luogo del banchetto regale, di cui parlava la terza, erano il tempio, la "casa di JHWH". Al tempio, il salmista ha fatto esperienza di nuova vita ()נפשי ישובב, e tale esperienza è stata così pienificante per lui, che esprime ora 11 desiderio di "ritornarvi". Qual è il significato dell'ultima espressione del salmo:?לארך ימים La risposta non è facile. Il contesto del verso suggerisce di leggere l'espressione in parallelo con ( כל ימי חייv. 6b, cf. tab. 53). Tabella 53 כל ימי חיי לארך ימים
טוב וחסד ירדפוני ושבתי בבית יהוה
Il parallelismo permette di cogliere la corrispondenza da un lato tra i due verbi di movimento, רדףe שוב, dall'altro tra le due determinazini temporali,כל ימי חיי, "tutti i giorni della mia vita", e לארך ימים, rendendo verosimile che il significato della "durata dei giorni" si riferisca alla durata dei "miei" giorni. Cioè: finché io avrò vita, voglio ritornare qui, dove ho trovato la pienezza della vita. E vero però che gli unici due paralleli dell'espressione לארך ימים, Sal 93, 5 e Lam 5,20, la intendono come un sinonimo di "sempre", per cui non sarebbe fuori luogo pensare che l'autore abbia voluto di proposito lasciare l'espressione aperta ad un senso di eternità. Del resto il "ritorno alla casa di Dio" assume già di per sé un valore metaforico, di una vita che si compie nell'incontro finale con l'ospite divino (cf. Ap 3, 20)
56
Cf. Vogt 1953, pp. 209-211; Pardee 1990, p. 278; Green 2001, p. 74. Cf. Mannari 1966, pp. 236-242.
SALMO 24
TRADUZIONE
1. Di Davide. Salmo. A J H W H appartiene la terra e ciò che la riempie, il mondo e i suoi abitanti, 2. perché lui sui mari l'ha fondata, e sui fiumi la rende stabile. 3. Chi salirà il monte di JHWH, e chi si alzerà nel luogo della sua santità? 4. Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non ha portato il mio nome a falsità né ha giurato per la menzogna, 5. riporterà benedizione da parte di J H W H e giustizia dal Dio della sua salvezza. 6. Questa è la generazione che lo cerca, coloro che cercano il tuo volto, Giacobbe. SELA. 7. Alzate, porte, la vostra fronte, e innalzatevi, porte eterne, perché entri il re della gloria! 8. Chi è questo re della gloria? J H W H forte e potente, J H W H potente in battaglia. 9. Alzate, porte, la vostra fronte, e alzatevi, porte eterne, perché entri il re della gloria!
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10. Chi è questo re della gloria? J H W H degli eserciti, è lui il re della gloria. SELA.
CRITICA TESTUALE
Verso la (titolo) G aggiunge: ττ\ς μιάς σαββάτων, alludendo ad un uso liturgico il primo giorno della settimana, in ricordo della creazione. Quest'uso è attestato anche dal Talmud 1. Verso 2b יכוננהè imperfetto di כרן. Il parallelismo con יסדהrichiederebbe un perfetto, così ha infatti G: ήτοίμασβν. Ma l'imperfetto, con il suo valore incompiuto, fa comprendere la creazione come un atto continuo (cf. Prv 3, 19). Verso 4c BHS ha נפשי, con il suffisso di prima persona, ma molti manoscritti ebraici portano la duplice lezione: Ketib נפשו, Qere נפשי. G ουκ eXafìev έπί ματαίω την ψυχήν αύτου concorda con il Ketib, e intende שואin riferimento agli "idoli vani". Questa lezione è seguita dalla maggior parte dei commentatori moderni e ha il suo senso, dal momento che la frase נשא נפשviene ripresa all'inizio del Sal 25: «A te ( )אליךJHWH, innalzo l'anima mia» 2 . Tuttavia il parallelismo con il v. 4d («non ha giurato per la menzogna») suggerisce di ritenere il Qere, che è appoggiato, oltre che dal passo parallelo di Sal 15,2c.3a, 1
Cf. Delitzsch 1984, p. 225. Questo è l'argomento principale per cui Lohfink preferisce, in Sal 24, 4, la lettura ( נפשוcf. Lohfink 1992, p. 20; Lohfink e Zenger 1994, p. 60). Ma il contesto delle due affermazioni è troppo diverso, per concludere a un'esplicita citazione di Sal 24, 4 in 25, 1.1 due salmi vanno anzitutto considerati in se stessi: solo in un secondo tempo si possono notare i legami con gli altri salmi. La posizione di J. Seremak, che ha dedicato la sua tesi, scritta sotto la direzione di N. Lohfink, al Sal 24, è leggermente diversa, per il fatto che egli legge נפשי. Anch'egli comunque interpreta la frase לשואnel senso di "altre divinità" («Der mein Sein dem Nichtigen nicht dargebracht hat»). Egli giunge a questa conclusione con uno studio esaustivo dei paralleli, ma lui pure, a mio avviso, non rispetta abbastanza il contesto del salmo. Si veda Seremak 2004, pp. 47-52 e 205-324. 2
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come vedremo nell'analisi, anche da Tg e S 3 . Seguendo una tradìzione rabbinica molto diffusa, A. Cohen traduce: «Who has not taken My name in vain» e spiega: «"My soul" is the equivalent of "My name", which are interchangeable» 4. Naturalmente il riferimento classico è Es 20, 7 (=Dt 5, 11): «( לא תשא את שם יהרה אלהיך לשואNon porterai il nome di J H W H tuo Dio a falsità»). Verso 6 C'è anzitutto da notare in 6a la duplicità di TM: Qere "( דרשיוdi coloro che lo cercano"), Ketib "( דרשוche lo cerca", riferito a "generazione"). Il Ketib, come lectio difficilior, mi sembra da ritenere, infatti il Qere si accorda con il plurale che segue. Il Ketib è supportato da S, il Qere da G, Tg, Vg e dalla Genizah del Cairo. Il pronome personale di terza persona si riferisce, dato il contesto, a J H W H ο rispettivamente, al «Dio della sua salvezza» (v. 5). Più importante per l'interpretazione è la seconda parte del verso. TM («coloro che cercano il tuo volto, Giacobbe») rompe il parallelismo con «la generazione che lo cerca» e sembra non aver senso, poiché nei salmi si parla usualmente di "ricerca di Dio" ο "del suo volto". Si comprende perciò come i commentatori moderni ο emendano il testo, come fanno, ad esempio, Gunkel 5 e Dahood 6, oppure preferiscono la lezione di alcuni manoscritti ebraici, G, S, Vg, che inseriscono, prima di "Giacobbe", il termine "Dio": G £ητούντων το πρόσοπον του Θ60ΰ Ιακώβ; S expectans speciem vultus tuiy Deus Jacob. G mette tutto alla terza persona, S rispetta il cambio dalla terza alla seconda persona, ma riferisce questo "tu" a Dio. Anche qui noi optiamo per ritenere TM, come lectio difficilior. Che non abbiamo un errore dei copisti è attestato dal fatto che TM è seguito dalle versioni riportate nell'Esapla di Origene, Aquila, Simmaco, Teodozione, le quali hanno concordemente: TÒ πρόσοπόν σου 'Ιακώβ. Ma anche TM non è univoco. Infatti "Giacobbe" può venir considerato sia il soggetto che l'oggetto del "ricercare". 3 Diamo la versione latina secondo la poliglotta di Walton: «Qui non iuravit in falsum ad damnationem animae suae» (Tg); «Nec iurat in anima sua cum mendacio» (S). Si noti che, sebbene si parli di giuramento, il termine נפשviene riferito non a Dio, ma all'uomo. Forse è sembrato troppo antropomorfico riferirlo a Dio. 4 C f . A. Cohen 1985, p. 69. 5 «Die deinen Erlöser, Jakob, suchen», Gunkel 1986, ρ. 101. 6 «Ο you who search for the presence of Jacob», Dahood 1965-19791, p. 150, per cui la "presenza di Giacobbe" è un nome divino.
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La prima alternativa è seguita già da Tg: «quelli che cercano il tuo volto sono Giacobbe». Tra i commentatori moderni segnaliamo Hitzig, Rosenmüller, Alexander, Delitzsch, König, Briggs, Van Uchelen, e ultimamente Hossfeld e Spieckermann 7. Naturalmente si tratterebbe non semplicemente della nazione israelitica, ma di quell'"Israele secondo lo spirito", di cui parlava Sal 22 (cf. v. 24: )כל זרע יעקב. "Giacobbe" verrebbe considerato o come predicato ("summierendes Prädikat", Delitzsch), o come apposizione di "generazione". Giustamente N. Tromp avanza alcune riserve a una simile traduzione 8 . Da un punto di vista grammaticale, sembra infatti che per ottenere questa traduzione, l'ebraico dovrebbe avere: הוא יעקב. Inoltre identificare "Giacobbe" con l'ideale popolo di Dio sembra forzato. Si verrebbe a dire che "Giacobbe" è un popolo dalle mani innocenti e dal cuore puro, che non giura il falso. Ora proprio "Giacobbe" è collegato tradizionalmente con l'inganno (cf. 0 5 3 - 7,12 ) ־. Aggiungiamo che, anche se non del tutto impo bile, il cambio dalla terza alla seconda persona per parlare di Dio appare innaturale. In tutto il salmo infatti si parla di Dio in terza persona, nello stesso v. 6a si usa il pronome suffisso di terza persona ()הרשו. Non si capisce perché si dovrebbe passare, nel v. 6b, alla seconda ()פניך. Rimane la seconda alternativa, di considerare, cioè, "Giacobbe" come un vocativo esplicitante il "tu" di פניך. Tale esplicitazione è necessaria, perché altrimenti non si potrebbe spiegare a chi si riferisca questo "tu" improvviso. Si tratta, a mio avviso, della traduzione più naturale, e tuttavia essa ha trovato finora pochissimi fautori 9. Ma gli argomenti prodotti da Tromp a suo sostegno sono seri, e durante l'analisi ne aggiungeremo altri. Tromp rileva che "parallelismo" non vuol dire tautologia, e c'è un parallelismo sintetico che introduce una novità nel pensiero. Appunto la sostituzione dellusuale "JHWH" con "Giacobbe" pone un accento particolare. Già Hirsch rilevava che in Prv 29, 26 il "cercare il volto" è usato in senso profano, e che il pensiero teologico qui sotteso è quello del pellegrinaggio dei popoli pagani a Gerusalemme (cf. Is 2, 3) 10, un
7
Spieckermann 1989, p. 197. Tromp 1982, p. 278. 9 Tra questi cf. Ehrlich 1905, p. 51; S.R. Hirsch 1888; Tromp 1982; Lohfink 1992, p. 18; Barbiero 1999, p. 281. 10 S.R. Hirsch 1888, p. 176. 8
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pensiero ripreso da Tromp 11 , approfondito da Lohfink 12 , e oggetto della tesi di J. Seremak 13 . Aggiungiamo che questo pensiero riprende il finale del Sal 22, e perciò si inserisce pienamente in una lectio continua del salterio. Verso 9b In luogo del nifal, che caratterizzava il passo corrispondente in 7b, TM ha qui un imperativo qal: iato. BHS propone di sostituire il qal con il nifal, ma Delitzsch nota che questo non è necessario. Il qal stesso, infatti, può avere significato riflessivo (cf. Na 1, 5; Os 13, 1; Ab 1, 3) 14.
ALCUNE IPOTESI INTERPRETATIVE
Il Salmo 24 dà l'impressione di essere composto di parti eterogenee. I w. 1-2 sono un inno al creatore, i w. 3-6 si concentrano sul tempio e sono apparentemente una liturgia di entrata, simile al Sal 15, i w. 7-10 infine cantano l'entrata nel tempio di JHWH. Il ritmo delle tre parti è abbastanza diverso: l'ultima parte ha un solenne ritmo ternario, ben diverso dalle due precedenti. Come spiegare l'unità di queste parti così eterogenee? Riportiamo soltanto alcune proposte. Kraus 15 propone di partire dall'ultimo brano (w. 7-10), probabilmente il più antico dei tre. Egli lo associa ad una processione che introduce l'arca nel tempio di Gerusalemme. Le domande che vengono poste alla processione sottolineano chi sta per entrare nel tempio: J H W H sabaot, una denominazione che fa pensare a 2 Sam 6, 19, dove si racconta del trasporto dell'arca da parte di Davide. La seconda parte (w. 3-6) si comprende come un dialogo che si svolge, magari all'entrata del recinto del tempio, dove i membri della processione chiedono di entrare e i custodi del tempio, i sacerdoti, rispondono elencando le condizioni per poter salire sulla "montagna di JHWH". 11 12 13 14 15
Tromp 1982, pp. 280-281. Lohfink 1992, p. 18; Lohfink e Zenger 1994, pp. 61-62. Seremak 2004, pp. 52-54 e 377-403. Delitzsch 1984, p. 227. Kraus 1978, pp. 343-344, cf. Kraus 1991.
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Anche la prima parte (w. lb2 )־si intende in collegamento con una processione al tempio. E una confessione di fede dei partecipanti alla processione, come fa capire Sal 95, 2-6. Questa spiegazione è ancor oggi tra le più comuni nei commenti 16. Con alcune varianti. Così, per esempio, Th. Podella sostiene l'esistenza indipendente dell'ultima parte del salmo, i w. 7-10. Si tratta, secondo lui, di una processione al tempio sul tipo di quella che si svolgeva a Babilonia per occasione della festa dell'anno nuovo. Qui la processione faceva delle stazioni alle diverse porte che attraversava, che si rivestivano di un significato mitico. Egli parla di "topografia cultuale". Questo salmo cultuale preesilico, che costituiva una sorte di "sacra rappresentazione", sarebbe stato trasformato in un salmo postcultuale, che traduceva le conseguenze del culto nella vita quotidiana 17 . E interessante notare che Podella, al pari di Spieckermann, elimina il v. 6, sentito come estraneo al testo originale. Del resto anche Hossfeld assegna questo verso a una redazione tardiva. Ciò tradisce, a mio avviso, la problematicità dell'approccio. Cioè, si parte con un modello interpretativo prestabilito e lo si vuole imporre al salmo, eliminando quanto non va d'accordo con il proprio schema. Da varie parti infatti si è notato che nel testo non si fa parola dell'arca, e che costruire tutta un'interpretazione su un dato estraneo al testo sembra pericoloso 18. Anche per ciò che riguarda la "liturgia di ingresso al tempio", cioè i w. 3-6, si è visto che il v. 6 non combina con questo genere letterario. Ma anche il v. 5 non si addice ad una "liturgia di entrata", perché in questa la "giustizia" viene presupposta per poter entrare nel tempio, mentre nel nostro caso essa viene donata da Dio nel tempio. Sembra dunque metodologicamente corretto partire da un esame approfondito del testo nella sua stesura attuale, rinunciando a schemi interpretativi precostituiti. Solo in un secondo momento si potrà cercare di situare il testo storicamente e, forse, ricercare un Sitz im Leben adeguato.
16 Cf. Hossfeld e Zenger 1993a, pp. 156-157; Steingrimsson 1984; Garda de la Fuente 1969; Seybold 1996, pp. 103-106. 17 Podella 1999. Simile è la posizione di Spieckermann, a cui Podella palesemente si ispira (cf. Spieckermann 1989, pp. 196-208). 18 Cf. p. es. Janowski 1989, pp. 435-436.
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I tentativi di leggere unitariamente il Sal 24 non sono molti 19. Vengono proposti fondamentalmente due tipi di struttura, uno binario, secondo cui la prima strofa comprende i w. lb-6, la seconda 7-10 20, e uno ternario, con la prima strofa ai w. lb-2, la seconda ai w. 3-6, e la terza ai w. 7-10 21 . In favore della prima struttura parla la presenza dell'indicazione סלהalla fine delle due strofe, cioè ai w. 6 e 10, nonché l'evidente parallelismo delle due "entrate nel tempio", ai w. 3-6 e 7-10. Ambedue sono introdotte da un duplice מי (w. 3a e 3b; 8a e IOa), a cui risponde una frase introdotta da un prònome indicativo: ( זהv. 6); ( הואv. lOc). Ma gli argomenti in favore della struttura ternaria, che è quella tradizionale, preferita dall'esegesi storico-critica, sono a mio avviso più forti. Che il salmo formi un'unità compositiva viene rilevato anzitutto da una doppia inclusione tra inizio e fine del salmo: il nome divino ( יהרהw. l b e lOb) e il pronome enfatico di terza persona singolare הואper indicare Dio (w. 2a e lOc). Come nel Sal 23, anche in questo il nome divino gioca un ruolo strutturale rilevante, unendo insieme le diverse parti del salmo. Esso appare in tutto 6 volte (w. lb.3a.5a.8bc.10b), come nel Sal 22. Da un punto di vista contenutistico, Spieckermann delinea così il tema delle tre strofe: De mundo (w. lb-2), De homine (w. 3-5), De Deo (w. 7-10). La prima strofa delinea l'ordine stabilito da Dio nella creazione e mantenuto nella conservazione; la seconda passa al mondo umano, mettendo in evidenza l'ordine morale (צדקה, v. 5). Un passaggio analogo caratterizza il Sal 19, che accosta l'inno cosmico (w. 1-7) e la lode della torah (w. 8-15) 22, e il Sal 93, dove all'ordine della creazione (w. 1-4) vengono accostati le "testimonianze" di Dio (v. 5a) e la sua casa (v. 5b). La terza strofa infine mostra l'origine da cui sia l'ordine cosmico che quello morale provengono: è J H W H sabaot, il Dio che si incontra nel tempio di Gerusalemme e che ha il suo trono nei cieli. 19 Cf. Botha 1994; Mazor 1993; Auffret 1990b; M. Girard 1984, pp. 204-209; Podella 1999, pp. 118-121. 20 Così Auffret 1990b; Botha 1994. 21 Così M. Girard 1984, pp. 204-209; Spieckermann 1989, pp. 196-208; Podella 1999, pp. 118-121. 22 Cf. Barbiero 2003, pp. 99-103.
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Girard elenca una serie di elementi che mettono in rilievo il rapporto reciproco delle tre strofe 23 : ci appoggiamo alle sue considerazioni ampliandole con nostre osservazioni. Anzitutto, da un punto di vista formale, abbiamo, all'inizio e alla fine, due composizioni di tipo innico, al centro una di tipo didattico (si parla usualmente di תורהdi ingresso al tempio, e il significato originale del termine תורהè "insegnamento") (cf. tab. 54). Tabella 54 A B A׳
lb-2 3-6 7-10
inno genere didattico inno
Secondo Girard, tale struttura evidenzia la parte centrale, su cui cade l'accento del salmo. L'osservazione sui generi letterari ha evidenziato una corrispondenza tra la prima e la terza strofa. Nei w. lb-2 si parla di dominio di Dio sul cosmo (v. lbc), un dominio guadagnato con la vittoria sulle forze primordiali del caos, espresse nei termini "mari" e "fiumi" (v. 2, cf. Sal 93, 3-4). Il tema del dominio universale di Dio viene ripreso, in forma chiastica (ABB'A'), nell'ultima strofa (w. 7-10), incentrata sulla "regalità" di JHWH. Dei diversi titoli che gli vengono attribuiti, i primi due (w. 8bc) fanno riferimento alle qualità guerriere di Dio, riprendendo il tema del v. 2, mentre l'ultimo, quello definitivo (v. lOb), rileva il suo dominio cosmico («JHWH degli eserciti», cioè, come si vedrà, degli eserciti celesti), in parallelo con il v. lbc (cf. tab. 55). Tabella 55 A B B' A׳
23
lbc 2 7-8 9-10
M. Girard 1984, pp. 206-208.
dominio cosmico vittoria sul caos dio guerriero dominio cosmico
266
II regnodi'JHWH e del suo Messia
In realtà il "cosmo" presentato nelle due strofe è di tipo diverso, poiché nella prima strofa i due termini che vengono menzionati, ארץe תבל, riguardano la terra e, rispettivamente, il mondo abitato, mentre nella terza il titolo יהוה צבאותriguarda, come si è visto, il eielo. La strofa centrale, menzionando il "monte santo", si pone a metà strada tra la terra e il cielo. La montagna è infatti il luogo della terra che sta più vicino al cielo, il luogo dove il cielo si incontra con la terra, Dio si incontra con ! , uomo (cf. tab. 56). Tabella 56 lb-2 3-6 7-10
terra monte di JHWH cielo
Abbiamo, dunque, una sorta di geografia teologica simile a quella rilevata nel Sal 2 24. Se è vero che la strofa centrale ha un ruolo dominante, allora l'accento del salmo è posto su questo "monte di J H W H " che ha una funzione intermediaria tra il cielo e la terra. Si capisce in questa luce il ruolo importante rivestito dalla figura di "Giacobbe", che diviene cifra del popolo di Dio e che, nella visione di Is 2, 2-5 (cf. Mi 4, 1-3), viene rappresentato come un monte altissimo, verso cui camminano i popoli della terra. Il salmo è caratterizzato da una dinamica ascendente. Nella prima strofa si dice che la terra ferma è fondata sui (*?u) mari e sui (bv) fiumi. Il lessema Su viene ripreso nel verbo nby, "salire", con cui inizia la seconda strofa (v. 3a). Se la prima strofa rappresenta un movimento ascendente (Su) dal basso, dove si trova l'abisso acquatico sotterraneo, verso la terra; la seconda strofa rappresenta la salita (ròr) dalla terra verso il monte di Dio 25 . Si noti che anche il verbo Dip ("alzarsi", "stare in piedi", v. 3b) si inserisce in questa dinamica. Il movimento ascendente viene ripreso dal verbo at&a, "portare, alzare", che unisce la seconda con la terza strofa (w. 4c.5a.7ab.9ab). Nella seconda strofa si tratta di un "portare verso" (b) 26, ma nella
24
Cf. sopra, pp. 59-60. Cf. Auffret 1990b, p. 104. II significato originario di נשא שםè probabilmente collegato con il gesto di alzare la mano nel gesto del giuramento (cf. Veijola 1991, p. 8), perciò anche al v. 4c è presente nel lessema נשאla metafora dell'"innalzare". 25
26
267
Salmo 19
terza il verbo viene usato senza preposizione di luogo: è un "alzare" e un "innalzarsi". Verso dove? Poiché si parla delle porte del tempio, che già stanno sul monte santo, l'invito è quello di superare il firmamento stesso, per raggiungere la dimora di יהרה צבאות, secondo la visione di Is 6, 1-3 (cf. tab. 57). Tabella 57
7-10
נטא
3-6
נשא עלה
lb-2
על
monte t terra
cielo t monte
terra
t abisso
Come osserva Spieckermann, il movimento verso l'alto si accompagna a uno verso l'interno. Nella prima strofa ci troviamo nel grande mondo. La seconda strofa conduce dalla periferia verso il centro di esso, dove si trova il monte santo, dimora di Dio tra gli uomini. Infine la terza giunge al cuore del tempio, il santuario, dove si rivela la presenza stessa di Dio 27 . Il salmo appare dunque perfettamente unitario. E possibile, come vorrebbero Spieckermann e Podella, che i w. 7-10 abbiano avuto un'esistenza indipendente, ma a mio avviso ciò rimane altamente ipotetico. Non c'è nessun elemento certo che permetta di parlare di una processione di entrata nel tempio di Gerusalemme. Noi perciò esamineremo il salmo nella sua redazione finale e secondo il testo ebraico. In questo senso la data di composizione non può essere molto antica, perché esso presuppone, come vedremo, il pensiero di Ezechiele e del Deutero- e Tritoisaia, e si apparenta a testi di Zaccaria e Malachia.
27
Spieckermann 1989, p. 207, cf. Podella 1999, p. 124.
268
II regno di' JHWH e del suo Messia IL TITOLO, v . l a
Il titolo del Sal 24, לדוד מזמור, è singolare per l'ordine delle due indicazioni. L'ordine usuale è infatti מזמור לדוד. Questo titolo hanno, nella serie 15-24, i Sal 15; 19; 20; 21; 22; 23. Si noti che unicamente i Sal 15 e 23 hanno solo queste due indicazioni. I due salmi sono strutturalmente imparentati con il Sal 24, il primo per essere all'inizio della serie, mentre il Sal 24 è alla fine, il secondo per venire immediatamente prima del Sal 24. Probabilmente l'inversione dell'ordine vuole creare un effetto chiastico, indicando la fine dell'unità compositiva 28.
PRIMA STROFA: J H W H , SIGNORE DEL MONDO, W . l b - 2
La prima strofa ha un carattere innico, e si compone di due parti: a) confessione del dominio universale di J H W H (v. lb); b) fondamento ( )כיdi questo dominio nella sua opera di creazione e conservazione del mondo (v. 2). L'affermazione iniziale,ליהוה הארץ, è chiaramente enfatica, come viene ribadito dal pronome הואal v. 2a. La ripresa dei due termini alla fine del salmo (יהרה, w. 8[2x].10;הוא, v. IOa) accosta le due strofe. Il tema, comune ad ambedue, è quello della regalità di J H W H , affermata contro altri che hanno la stessa pretesa. Il mondo è nelle mani di J H W H , non di altre divinità e non degli uomini. Il Sal 23 inizia con una simile confessione di fede:יהוה רעי. Nel Sal 24 la pròspettiva è allargata al mondo intero: J H W H non è soltanto il "mio re", egli è il re "dell'universo". Ciò che appartiene a J H W H viene detto con due espressioni sinonimiche (cf. tab. 58): da una parte הארץ ומלואה, «la terra e ciò che la riempie», dall'altra תבל וישבי בה, «il mondo e i suoi abitanti». Tabella 58 הארץ ומלואה
28
Cf. Barbiero 1999, p. 281.
«»־ ^־
תבל וישבי בה
Salmo 19
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ארץe תבלsono praticamente sinonimi per indicare la superficie terrestre. Il termine תבלindica più particolarmente il mondo abitato. Si tratta di un termine poetico, caratteristico, a detta di ThWAT, «della parte più recente dell'AT, nel contesto dell'universalismo tipico del nascente giudaismo» 29. Se la specificazione della terra con il termine ומלואהpuò far pensare a tutti gli esseri viventi, uomini e animali, e alle piante che vi crescono (cf. Dt 33, 16; Is 34, 1; Ger 8, 16, ecc.), il parallelo attributo di תבל, "tutti quelli che vi abitano", fa capire che l'interesse del salmista va agli uomini. E dunque la signoria universale di JHWH, il Dio del piccolo popolo di Israele, che qui viene affermata, un'affermazione che riprende quella di Sal 22, 29: «A J H W H appartiene il regno, poiché egli domina sulle nazioni». Nel contesto del Sal 24 sembra particolarmente interessante il parallelo con Es 19,5-6. Parlando dell'alleanza con Israele, J H W H pone questa scelta di un popolo particolare sullo sfondo del suo dominio universale: «...poiché a me appartiene tutta la terra (כי לי )כל הארץ, e voi sarete per me un regno di sacerdoti» 30 . Questa stessa dinamica tra universale e particolare è presente nel nostro salmo, nell'accostamento della prima con la seconda strofa. Se nel Salmo 22 il motivo per affermare la regalità universale di J H W H era di tipo storico e soteriologico (egli solo può salvare), qui il salmista fa ricorso alla teologia della creazione: «Egli, e non altri ()הוא, ha creato e sostiene il mondo». «Lui sui mari l'ha fondata». La rappresentazione del cosmo sottesa al nostro salmo è quella di un universo tripartito in "terra", "mare" e "cielo" (cf. w. 7-10). La terra viene pensata come una piattaforma galleggiante sulla superficie acquatica, il תהום. Così si spiega, nella mentalità antica, che dal suolo scaturiscano sorgenti e fiumi. La stabilità di questa enorme zattera è dovuta al fatto che il creatore, da buon architetto, ha posto solide fondamenta al suo edificio. Delle "fondamenta" della terra si parla ancora in 1 Sam 2, 8; Gb 9, 6; Sal 104, 5; 136, 6. Sal 11, 3 fa comprendere come tra la "stabilità" del mondo e la "stabilità" della legge morale, cioè tra ordine cosmico e ordine morale, ci sia uno stretto legame: «Quando sono scosse le fondamenta ( )השתותdel mondo, il giusto che cosa può fare?». Si comprende in questa luce il passaggio dalla prima alla seconda strofa, in cui si parla appunto di ordine morale. 29 30
ThWAT Vili, col. 549 (Fabry/van Meeteren). Es 19, 3-6 è un brano tardivo, certamente postesilico. Cf. Barbiero 1989.
270
II regnodi'JHWH e del suo Messia
Tabella 59 על ימים יסדה
«על נהרות »־ <>־ יכוננה
I due termini, ימים, "mari" e נהרות, "fiumi" (cf. tab. 59), sono in parallelo sinonimico (cf. Ab 3, 8-9). Ambedue si riferiscono al grande abisso acquatico su cui galleggia la terra. I due termini hanno una valenza cosmogonica, rimandando al mito della creazione 31 , come fanno comprendere i paralleli biblici ed orientali. Per i primi si veda, ad esempio, il Sal 93. Il salmo inizia con l'affermazione della regalità di JHWH, collegata con il suo rendere saldo il mondo (אף תכין תבל, v. 1). Tale atto creatore è una vittoria sul caos acquatico: «Alzano i fiumi ()נהרות, JHWH, alzano i fiumi la loro voce, alzano i fiumi il loro fragore. Ma più potente delle voci di grandi acque, più potente dei flutti del mare ()ים, potente nell'alto è JHWH» (w. 3-4). II versetto che segue rivela la stessa dinamica presente nel nostro salmo: «Degni di fede sono i tuoi insegnamenti, la santità si addice alla tua casa» (v. 5). Alla creazione viene accostato il tempio e la legge (cf. Sal 24, 3-4). Affermazioni simili troviamo in Gb 38, 4־ 12; Sal 104, 5-7 e 96, 10-11, mentre in altri brani la vittoria del Dio creatore è storicizzata come vittoria sui nemici di Israele (cf. Sal 77, 17-21; Ab 3, 8-9). In Mesopotamia la creazione era concepita come una vittoria di Marduk sul mostro acquatico Tiamat, ma il parallelo più prossimo è la mitologia ugaritica, dove la creazione viene concepita come la vittoria di Baal su Jam (cf. KTU 1.3-4) 32. Denominazione tipica di Jam è: "principe mare" (zbljm) e "giudice fiume" (tptnhr), appunto il binomio che appare in Sal 24, 2 33 . Mentre il perfetto יסדהrimanda all'atto creativo compiuto una volta per tutte nel passato, il verbo כרןè all'imperfetto: יכוננה, "la man-
31
«God's establishment of the earth is accompanied by the pacification of the primeval waters. God's victory over chaos is the condition for creation, but it is also the prototype for all divine victories. The celebration of God as puissant and mighty must refer, at least in part, to the beginning of the poem» (Landy 2003, p. 282). 32 Cf. Del Olmo Lete 1981, pp. 157-178. 33 Cf. ThWAT VII, coll. 1248-1255 (Liwak). Per una raffigurazione visiva, et fig. 15 (da Keel 1984 p. 39 ,fig. 42).
Salmo 19
271
Fig. 15. «Sui mari l'ha fondata, e sui fiumi la rende stabile» {Sai24, 2). Il sigillo cilindrico, proveniente da Mari (2350-2150 a.C.), raffigura il re degli dei (Anu, El?) seduto su un monte "presso le fonti dei due oceani". Egli è re del cielo (rappresentato dalle due stelle), della terra (il monte) e delle acque. Delle acque vengono rappresentati i due aspetti, quello benefico di fonte della vita (le due divinità femminili della vegetazione, che sorgono dalle acque), e quello caotico, devastatore: infatti all'estrema sinistra una divinità maschile (Baal?) con la sua lancia tiene in scacco i flutti tumultuosi.
tiene salda". La creazione non è un fatto compiuto una volta per tutte. Il Dio creatore è all'opera continuamente per difendere la terra , dalle forze del caos che non cessano di minacciarla, come ricorda il mito del diluvio. L'"arco nelle nubi" è l'attualizzazione della vittoria del Dio creatore sulle forze del caos {Gn 9, 12-17, cf. Sal 29, 10: «JHWH siede sulla tempesta, J H W H siede come re per sempre»34). Dove si vede che l'idea della regalità, sviluppata nell'ultima strofa del Sal 24 (w. 7-10), è in parallelo con ciò che viene detto nella prima.
SECONDA STROFA: IL MONTE DI J H W H , W . 3 - 6
La seconda strofa ha, come la prima, un ritmo binario: ogni affermazione è fatta in due tempi, ogni stico è posto in parallelo con il seguente. Noi contiamo 5 distici: 3.4ab.4cd.5.6. La struttura è centrale. I w. 3 e 6 si corrispondono come domanda e risposta: al duplice "chi", del v. 3ab corrisponde il nr, "questi", del v. 6a; al "salire la montagna di J H W H " (v. 3) corrisponde il "cercarlo" (v. 6a). I w. 4-5 non sono una risposta diretta alla domanda del v. 3 35, essi costituiscono una frase autonoma, in cui il v. 4 rappresenta il
34 3
Sul legame di Sai24, 1-2 con Sal 29 cf. Podella 1999, p. 123. ^ Così Podella 1999, pp. 125-126, cf. Galling 1929, pp. 128-129.
272
II regnodi'JHWH e del suo Messia
soggetto ("colui che è così e così... ") e il v. 5 il predicato (".. .riporterà benedizione"). D'altra parte, il dimostrativo del v. 6 si riferisce ai due versi che precedono, perciò indirettamente essi sono collegati alla domanda del v. 3. Si noti il ricercato concatenamento dei tre distici. Il primo è redatto in forma positiva, il secondo in forma negativa (duplice *6), il terzo di nuovo in forma positiva. I primi due mettono in evidenza il contributo dell'uomo, il terzo quello di Dio. La corrispondenza di questi due "contributi" è particolarmente evidente nell'accostamento di 4cd con 5: «Colui che non ha portato (xwi) la mia anima a (b) falsità, né ha giurato per (b) la menzogna (v. 4cd), riporterà (KÌM) benedizione da parte di (p) J H W H e giustizia dal (p) Dio della sua salvezza (v. 5)» (cf. tab. 60). Tabella 60 4cd 5
ל
ל
מן
מן
נשא נטא
La tabella mette in risalto la ripresa del verbo נשא, che costituìsce un legame con la terza strofa (v. 7ab; v. 9ab), e il gioco delle preposizioni לe מן, che denotano un movimento inverso, uno di andata, l'altro di ritorno 36 . Il legame della seconda strofa con la prima non è evidente, ma il parallelo con il Sal 93, già segnalato, aiuta a vedere come la vittoria sugli elementi del caos (prima strofa) sia particolarmente legata al tempio (seconda strofa); d'altra parte l'ordine morale (seconda strofa) è un aspetto dell'ordine cosmico (prima strofa). Tra i due ordini c'è, nel pensiero biblico, uno stretto rapporto, tanto che il peccato dell'uomo fa ritornare il mondo nel caos (cf. l'episodio biblico del diluvio, oppure Os 4, 2-3; Ger 12, 4). Il pensiero è diffuso nell'Antico Oriente. Il tempio è considerato, sia in Egitto che in Mesopotamia, il luogo dove il dio creatore ha sottomesso le forze del caos. In Egitto tutti i grandi templi pretendono di custodire al loro interno la "collina primordiale" che per prima uscì dai flutti del caos 37. La piramide vuole essere riprodu-
36
II gioco semantico delle due preposizioni dei w. 4ed e 5 si allinea a quello delle altre preposizioni bv (v. 2ab) e a (v. 3ab). Il valore strutturale delle preposizioni nel Sal 24 è segnalato da Auffret 1990b, p. 104. 37 Cf. Keel 1984, pp. 100-105.
Salmo 19
273
zione di questa "collina primordiale מ, ritenendone le forze vitali. Anche in Mesopotamia, la costruzione dell'Esagita, il principale tempio di Babilonia, avvenne, secondo l'Enuma Elish, subito dopo la vittoria di Marduk su Tiamat. La torre del tempio si chiama "casa della fondazione del cielo e della terra". Generalmente il tempio è considerato il luogo dove per la prima volta il caos è stato vinto e la vita è stata resa possibile, per cui fondazione del tempio e creazione del mondo si sovrappongono. Ad Ugarit, dopo la vittoria su Jam, Baal costruisce il suo tempio, anche qui su un monte, il Safon, immaginato come il "monte degli dei" 38. Nell'AT questo pensiero trova un'eco in Sal 78, 69: «(JHWH) costruì il suo tempio alto come il cielo, e come la terra stabile per sempre». «Chi salirà il monte di JHWH?». La montagna di per sé è il punto di incontro tra la terra e il cielo. Perciò sia la piramide egiziana, sia la ziqqurat babilonese sono fatte a forma di montagna, o meglio a forma di scala, e il mito è presente nella visione di Giacobbe a Betel (Gn 28, 11-22: si notino qui due termini che caratterizzano anche il Sai24: [ מקוםSal 24, 3 e Gn 28, 11.16.17]; שערL W 2 4 , 7 . 9 e Gn 28, 17: )]שער השמים. Significativo, nel contesto del Sai24, è il parallelo con Sal 2, 6, dove «colui che siede nel cielo» ha posto il suo luogotenente על ציון הר קדשי, «sul Sion, mio santo monte». Qui non è chiaro, come non lo è nel nostro salmo, se il "monte" sia quello della città o quello del tempio 39 . Nel Sai48 il "monte santo" è tutta la città (cf. w. 2-3.9), sentita come "dimora divina". Altro parallelo significativo bis 2, 3: «Venite, saliamo il monte di J H W H ()נעלה אל הר יהוה, al tempio del Dio di Giacobbe». Chi parla qui sono i popoli pagani, che vanno in cerca di una parola del Signore per risolvere i loro conflitti. Per trovare questa parola essi si rivolgono al "monte di JHWH", che è simbolo del popolo di Israele, nel cui mezzo Dio ha posto la sua dimora. Secondo il testo masoretico di Sal 24, 6, anche qui a salire il monte di J H W H non sono gli israeliti, ma i popoli pagani. Il popolo di Israele, "Giacobbe", compie la funzione di intermediario tra il cielo e la terra, implicata nella metafora del monte. L'accostamento con Is 2, 2-5 è particolarmente interessante, anche perché il brano inizia con l'afferma-
38 Cf. il mito «Il palazzo di Baal», KTU 1.3-4, in Del Olmo Lete 1981, pp. 114131, 179-212. 39 Sull'interscambiabilità dei due concetti cf. Keel 1984, pp. 101-102; Podella 1999, p. 121.
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zione che il monte del tempio di J H W H "sarà stabile" ()נכון, un lessema che appare in Sal 24, 2. La "stabilità" del monte santole fondamento della "stabilità" del mondo (cf. Sal 46, 2-1). «.. .e chi si alzerà nel luogo della sua santità?». Come in Sal 1,5, il verbo קוםindica il superamento di un giudizio 40, che avviene sul monte divino. In quanto "luogo santo", separato dal mondo profano, l'accesso alla casa di Dio richiede particolari condizioni che ne rispettino la santità41. Gli esegeti riconoscono qui il genere letterario delle "liturgie di ingresso al tempio", rappresentato nell'AT da testi come Sal 15; Is 33, 14-16; Mi 6, 6-8; Ez 18,5-32 42. Chi sta per entrare nel tempio pone al custode, un sacerdote, la domanda: «Chi può entrare?» (Sal 15,1). Il sacerdote risponde elencando una serie di requisiti di ordine morale (Sal 15,2-5b: «Colui che cammina senza colpa...»), e termina il suo discorso dichiarando che chi adempie a queste condizioni è ammesso ad entrare (Sal 15,5c: «Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre»). Tale rito avveniva alle porte del tempio, come ricorda Sal 118, 19-20: «Apritemi le porte della giustizia... è questa la porta di JHWH, (solo) i giusti entrano per essa». Riti del genere erano conosciuti presso tutti i popoli dell'antichità 43 e sopravvivono anche oggi: basti pensare alle abluzioni che fanno i musulmani prima di entrare nella moschea, o all'acqua santa che sta all'entrata delle chiese cristiane. Ma il nostro testo non corrisponde pienamente a un rito 44 .1 w. 4-5, si è visto, non sono una risposta alla domanda fatta nel v. 3; il v. 5 non si può annoverare tra le condizioni richieste al fedele per entrare: esso espone piuttosto ciò che il fedele otterrà nel tempio. Il v. 6, che è la risposta alle domande del v. 3, non stabilisce l'idoneità a entrare di chi ne fa richiesta. Si ha cioè l'impressione che il testo sia, non una liturgia di entrata, ma l'imitazione letteraria di una tale liturgia. Qui non si svolge un dialogo tra due diverse persone: si tratta di un espediente retorico.
40
Cf. sopra, p. 48. Podella nota che l'espressione במקום קדטricorre solo in testi tardivi, cioè nei testi P di Es 29, 31; Lv 6, 19.20; 7, 6; 10, 13; 16, 24; 24, 9; e in Es 9, 8, il che suggerisce una data postesilica per il nostro testo (Podella 1999, p. 125). 42 Cf. Gunkel 1986, p. 102; Kraus 1991; Koch 1961; Steingrimsson 1984. 43 Cf. O. Garcia de la Fuente 1969; Grieshammer 1974; Keel 1981; Barbiero 1991, pp. 306-308. 44 Cf. Spieckermann 1989, pp. 201-205; Podella 1999, pp. 125-127; Lohfink e Zenger 1994, p. 59, nota 68. 41
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215
Come è tipico delle "liturgie di ingresso al tempio" le condizioni elencate al v. 4 sono di natura squisitamente morale. Le prime due (v. 4ab) sono espresse in forma positiva e riguardano r״innocenza" ( )נקיdelle mani e la "purezza" ( )ברdel cuore. "Mani" e "cuore" sono due metafore per indicare la prima l'azione esteriore, la seconda l'interiorità. La "purezza" non riguarda, cioè, solo il comportamento esterno, ma anche il cuore, come Gesù chiede nel discorso della montagna. נקיe ברsono concetti non cultuali, ma etici, essi riguardano non tanto il rapporto con Dio, ma con il prossimo, i rapporti interpersonali nella comunità 45 . Sal 15, 2 usa il concetto parailelo ( תמיםcf. Gb 9,22-23). È in fondo l'"integrità", l'essere "intero", non diviso, falso, nel comportamento e nel cuore. Il secondo distico del v. 4 è redatto in forma negativa, e costituisce un parallelismo sinonimico. Notiamo anzitutto l'allitterazione sul suono s: 'aser lo naia lassato' nafst. Essa verrà ripresa al v. 7 46. «Non ha portato a vanità la mia anima», indica l'abuso della potenza vitale collegata con l'essere divino e concretamente manifestantesi nel "Nome". Si è visto sopra il parallelo con Es 20, 7, cioè con il secondo comandamento del decalogo: «Non nominare il nome di Dio invano» 47 . Lo stico parallelo concretizza: «e non ha giurato per la menzogna». E, insomma, l'abuso del nome di Dio mediante il giuramento menzognero che si ha in mente 48 . E quindi nel v. 4 si ri:chiede a colui che vuol salire nel monte di J H W H una triplice rettitudine: nell'agire (le mani, v. 4a), nel pensare (il cuore, v. 4b) e nel :]parlare (v. 4cd). Lo stesso trinomio caratterizza anche l'inizio del Sal 15: «Camminare nell'integrità ( )תמיםe agire con giustizia, parlare nel
| 45 cf. ThWAT, I, col. 844 (Hamp). 46 wt Sui fenomeni sonori nel Sal 24 cf. Mazor 1993. 47 à Si veda, sul significato di Sal 24, 4cd e sul suo rapporto con Es 20, 7, Veijola l'I 991. Veijola adduce un interessante parallelo con un testo egiziano, in cui un artigiaJKno di Deir el Medineh si rivolge a Ptah, il suo dio protettore, in questi termini: «Io sop i t o quell'uomo che ha giurato il falso per Ptah, il signore della Maat. Egli mi ha fatto »Vedere le tenebre in pieno giorno. (...) Guardatevi da Ptah, il signore della Maat, peri i thè egli non lascia impunito alcun misfatto. Guardatevi dal pronunciare il nome di fejÌtah ingiustamente, perché chi lo pronuncia ingiustamente andrà in rovina». Appare ij, qui chiaramente che il "pronunciare il nome di Dio invano" e il "giurare il falso" sono %ydue espressioni sinonimiche, appunto come in Sai24, 4cd e in Es 20, 7. A diverse conJ& !clusioni giunge Seremak 2004, che dedica allo studio di Sal 24, 4 ben 135 pagine (cf. !:,Pp. 47-52 e 195-324) (per la critica, cf. sopra, p. 259, nota 2). 48 H , II tema del giuramento falso è poco presente nell'AT. Forse perché il timore Ricollegato con un tale abuso era molto grande. I pochi paralleli ci conducono all'epoca Kesilica (Lv 5, 22.24; Ger 7, 9) e postesilica (Zc 3, 3.4; Mal 3, 5).
276
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cuore con verità, non aver menzogna sulla lingua» (cf. tab. 61). In maniera simile il discorso della montagna inizia con la beatitudine dei "puri di cuore" (Mt 5,8). Tabella 61 Sal 24, 4 נקי כפים בר לבב לא נשא לשוא נפשי ולא נשבע למרמה
Sal 15, 2-3 הולך תמים ופעל צדק דבר אמת בלבבו לא רגל על לשנו
Se comprendiamo bene, ciò che il nostro salmo chiede è dunque, più che l'assenza del peccato, l'assenza della falsità, cioè dell'intenzione di utilizzare il dono di Dio in maniera non retta 49 . Effettivamente nel Sai25 il salmista si presenta a Dio come un peccatore (cf. w. 7.18), perché sa che Dio «insegna la via ai peccatori» (v. 8). Nel delineare la struttura, si è notato il legame del v. 4cd con il v. 5: Chi «non porta a ( )נשא לmenzogna» il dono divino, costui «riporta da ( )נשא מןDio benedizione e giustizia». Non si tratta, dicevamo, di do ut des׳, qui chi dà è soltanto Dio. Il compito dell'uomo è quello di non abusare del dono ricevuto. Il dono di Dio è duplice: da una parte la "benedizione", dall'altra la "giustizia". Della "benedizione", cioè della pienezza di vita che uno riceve al tempio, parlano ancora Sal 29, 11; 67, 7 e 133, 3. In questi passi però destinatario della benedizione è l'israelita. Tenendo presente che nel nostro salmo si parla del pellegrinaggio dei popoli, il parallelo che viene in mente è quello di Gn 12, 3, dove la benedizione di Dio ai popoli passa per la benedizione di Abramo: «Benedirò coloro che ti benediranno, e coloro che ti malediranno maledirò, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». L'altro dono è quello della "giustizia" ()צדקה. Dahood intende qui צדקהcome sinonimo di "elemosina", e traduce «generous treatment» 30 . Ma una simile traduzione banalizza il testo. Si è visto che generalmente la giustizia è requisito richiesto a chi vuole entrare nel tempio. Se nel nostro salmo si dice che Dio stesso darà la giustizia a chi con cuore retto si accosta al suo tempio, ciò è qualcosa di inau-
49
Così anche Otto 1986, p. 166: «Ausgeschlossen vom Kult ist vielmehr nur, wer die Gabe des Kultes in ihr Gegenteil verkehrt und Gemeinschaft damit zerstört». 50 Dahood 1965-1979 I, p. 150.
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dito. A buon diritto i commentatori protestanti sottolineano questo fatto, vedendovi una «giustificazione senza le opere della legge»51. Il salmo rispecchia una concezione del rapporto con Dio quale si è sviluppato dopo la catastrofe dell'esilio, quando Israele ha imparato ad appoggiarsi più sulla misericordia che sulla giustizia. La giùstizia non la porta l'uomo, la dona Dio, nell'incontro sacramentale della liturgia52. Un brano da accostare a questa concezione è Is 45, «Stillate, cieli, dall'alto, e le nubi facciano piovere la giustizia ( ;)צדקsi apra la terra e produca la salvezza ()ישע, e germogli insieme la giustizia (»)צדקה. Anche nel nostro salmo si parla, accanto alla giustizia, della ^salvezza" che Dio dona ()אלהי ישער. Il binomio "giustizia-salvezza" ^ritorna in un altro brano isaianico, imparentato con il precedente: «Mi ha rivestito con le vesti della salvezza ()ישע, mi ha avvolto con il manto della giustizia (( »)צדקהIs 61, 10). Il Sal 24 va più in là, nel senso che traspone ciò che Isaia dice Israele ai popoli pagani. ( Il pronome dimostrativo con cui inizia il v. 6 da una parte si poe come risposta alla domanda del v. 3. Infatti "cercare Dio" (v. 6) è ;pressione sinonimica di "salire al monte di JHWH" (v. 3). D'altra rte, il pronome dimostrativo זה, "questo/a", si pone come un riasanto di quanto detto nei w. 4-5. Quasi a dire: quelli che riusciranno Salire il monte di JHWH e a superare il giudizio che avviene nel luosanto sono quelli che cercano Dio in verità, e questi sono quelli deritti nei w. 4-5. La coerenza non è del tutto rispettata, perché finosi parlava al singolare, si supponeva che ad entrare fosse una singopersona: improvvisamente al v. 6 il numero cambia e siamo posti di /onte a una grandezza plurale: דור. Forse la scelta della parola obbe^5ce a un gioco sonoro (si noti l'allitterazione )דור דרשו, ma essa cer-
51
Cf. Spieckermann 19891, p. 204: «Vielmehr kommt die rechtfertigende Gerech®keit von Gott allein, nicht aus der Voraussetzung ableitbar, sondern gratuito». 52 Questo aspetto viene convenientemente sottolineato in Landy 2003, p. 284 "Rectification" rather than "rectitude". It proceeds from 'the God of his salvation' is its harbinger or vehicle»). Landy parla di un significato di צדקהcomune in testi divi ed escatologici, tra cui cita Is 1, 27.
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to non è casuale, e rimanda a Sal 22, 31, dove il contesto è simile: il pellegrinaggio dei popoli a Sion. Noi abbiamo compreso il termine דורin 22, 31 in riferimento all'Israele escatologico53. Qui il parallelo con il v. 6b fa comprendere che si parla dei popoli pagani: l'accostamento dei due passi forse vuol far capire che anche i pagani sono chiamati a far parte dell'escatologico popolo di Dio, come allude Sal 47,10 TM: «I capi dei popoli si sono riuniti, popolo del Dio di Abramo». Nel Sal 47 è chiaro che si parla dei popoli pagani, poiché il termine עמיםdel v. 10 è posto in parallelo con נרים, v. 9. Il verbo דרשe il suo sinonimo בקשhanno un forte contenuto teologico. "Cercare Dio" è in molti testi sinonimo di "consultarlo" presso un santuario o presso un profeta. Perciò abbiamo stabilito il parailelo con il verbo ( עלהv. 3). L'usarlo qui, al v. 6, vuol però dire: non tutti quelli che "salgono" al santuario sono veramente alla ricerca di Dio. In questo il salmo recepisce la critica profetica, ad esempio di Am 5, 4-5: «Cercate me e vivrete, non cercate Betel, non andate a Galgala» (cf. ancora Am 5, 14; Os 10,42). In epoca postesilica, "cercare Dio" è l'atteggiamento tipico della comunità dei poveri, cioè del vero Israele. Questo significato ha il termine in Sal 22, 27 (cf. Sal 9, 11; 34, 11; 69,33), dove דרשיוè posto in parallelo con ענוים. Fuori del libro dei saimi, troviamo questa accezione in Is 65, 10-11, in cui il nuovo Israele viene qualificato come «il popolo che mi cercherà», e soprattutto nel libro delle Cronache, in cui i re vengono giudicati positivamente o negativamente in base alla loro "ricerca di Dio" (cf. 1 Cr 10,14; 28, 9; 2 Cr 12, 14; 19, 3; 22, 9, eccetera). Questi testi confermano la datazione tardiva del Sal 24. Come il termine דור, così anche il verbo דרשfa pensare, dunque, all'Israele escatologico. Perciò l'affermazione del v. 6b sorprende. Israele qui non è più soggetto, ma oggetto della "ricerca". Tromp stesso, che difende la lettura di TM, pensa che questa non sia la lezione originale, ma una correzione tardiva, anche se recepita nel testo canonico, e che il testo originale sia rappresentato da G («che cercano il volto del Dio di Giacobbe») 54 . Le considerazioni fin qui fatte ci conducono a ritenere, invece, la lezione di TM come originale, nonostante la sua difficoltà. Non sempre, infatti, בקש פניםha per oggetto Dio. Si veda, ad esempio, Prv 29,26,מבקשים פני משל. Della "ricerca" di Israele parla espressamente un testo tardivo di Isaia, cioè Is 11, 10: 53 54
Cf. sopra, pp. 226-227. Tromp 1982, pp. 221-222.
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«In quel giorno la radice di Jesse si leverà a vessillo per i popoli ()עמים, le genti ( )גריםla cercheranno con ansia (55«(ידרשו...אליו. Del resto la struttura stessa del salmo richiede questa lettura. 'Infatti la prima strofa ha un orizzonte universale, si parla degli abi»:tanti del mondo (v. 1), e la seconda mette in rilievo la funzione di : mediazione che ha, appunto in rapporto al mondo, il "monte di ;:pio". "Monte di Dio" e "popolo di Dio", "Sion" e "Israele" sono aell'AT concetti interscambiabili, come ben mostra Is 2,2-4. Qui, : dopo aver parlato della funzione che il «monte della casa di "JHWH» ( )בית יהרהha per i popoli della terra, il profeta conclude, ,«casa di Giacobbe ()בית יעקב, vieni, camminiamo nella luce di ^ H W H » (v. 5). Si comprende così che il "monte" è metafora del "popolo di Israele. Il nostro testo si allinea alla coscienza di sé che ha la profezia postesilica: si vedano testi come Is 44, 5; 66, 18-24; \Zc2y 15; 8, 20-23. La strada dei popoli verso Dio passa attraverso un popolo particolare, il popolo di Israele. Universalismo ed eie!rione vengono così rispettati: l'elezione viene vista in funzione di %n ministero sacerdotale per tutti i popoli della terra, sulla linea di 19, 5-6. \ : Questa è anche la teologia del salterio. Per limitarci al primo s bro, che è oggetto del nostro studio, ricordiamo il programma del $*/ 2. La rivolta dei popoli riguarda « J H W H e il suo Messia» (v. ), e la contromisura che il Dio del cielo escogita per condurli alobbedienza è quella di stabilire un suo luogotenente, appunto il *essia, «sul Sion, mio santo monte» (v. 6). Perciò l'esortazione fi"ale che il salmista rivolge ai popoli ribelli è quella di «baciare il fi׳o» (נשקר בר, v. 12). Se in Sal 24, 6 si parla di "cercare il volto di ìacobbe", non si può non accostare le due affermazioni: per baare una persona (Sal 2, 12) bisogna letteralmente "cercare il suo ; Ito" (Sal 24, 6). Dove appunto si nota la collettivizzazione del ncetto del Messia, che è tipica di tutto l'AT. In Sal 2 si parla del r essia in forma personale, nel Sal 24 in forma collettiva. E possif e che questo spostamento dell'oggetto della speranza di Israele *fletta la delusione causata dal fallimento della monarchia. Ad gni modo, a livello di testo canonico, le due grandezze sono accotate l'una all'altra: il Messia è inseparabile dal suo popolo, e il po׳lo dal suo Messia.
!
55
Per questo accostamento cf. Lohfink e Zenger 1994, p. 62.
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Vicino al nostro salmo, il tema della "faccia" in riferimento al Messia-Israele viene ripreso in due testi controversi 56 . Anzitutto in Sal 21, 10 dove l'espressione לעת פניךsi riferisce chiaramente (contro gli accenti del testo masoretico) all'ira del Messia, di cui si parla in seconda persona, non a JHWH, di cui si parla in terza persona 57 . Poi in Salii 8 ר, dove la difficile lettura di TM: «A te ha detto il mio cuore: "Cercate il mio volto"» ( )בקשו פניpotrebbe essere una citazione di Sal 24, 6. Appunto per essere degno che i popoli cerchino il suo volto, Israele deve cercare il volto di JHWH.
TERZA STROFA: J H W H , RE DELLA GLORIA, W . 7 - 1 0
La terza strofa si distacca dalle due precedenti per il ritmo. Abbiamo due parti simmetriche, caratterizzate ciascuna da due tristichi, in cui il terzo riprende il primo, e il quarto il secondo (ABA'B'). Caratteristica della strofa è la ripetizione 58: la seconda parte della strofa riprende quasi letteralmente la prima, con una sola variante, alla fine, dove cade l'accento della composizione (v. lObc: יהוה צבאות )הוא מלך הכבוד. Come la seconda strofa, anche la terza è costruita a dialogo. Una voce annuncia l'ingresso nel tempio del re della gloria (w. 7.9), una seconda pone la domanda, chi sia costui (w. 8a.l0a). La risposta è data in due tempi, con effetto ritardante. In un primo tempo viene annunciato J H W H con qualità guerriere (v. 8bc). Chiaramente non è ancora questa la risposta definitiva. Perciò la domanda viene ripetuta, e la risposta definitiva suona: «JHWH degli eserciti, questi è il re della gloria» (v. lObc). E stato sopra delineato il legame strutturale con la prima strofa, per cui gli attributi guerrieri di J H W H (v. 8) vanno collegati con la sua attività creatrice e conservatrice del cosmo, ricordata al v. 2, mentre il titolo יהוה צבאותva collegato con il suo dominio universale (v. 1). Spieckermann ha notato, a ragione, il legame di questa rappresentazione con Is 6 e Sal 29 e, sullo sfondo, con la mitologia cananea, eiementi questi che abbiamo riscontrato anche nella prima strofa 59 . 56
Cf. Barbiero 1999, pp. 29, 372-373. Cf. sopra, p. 81, nota 69. 58 «In this poem, and habitually in Hebrew biblical poetry, pleasure is correlative to parallelism» (Landy 2003, p. 278). 59 Cf. Spieckermann 1989, pp. 206-207. 57
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D'altra parte è evidente anche il legame della terza strofa con la seconda. Le due domande dei w. 8a e IOa ( )מיcorrispondono alle due domande del v. 3 ()מי. Ambedue chiedono informazioni sull'identità di chi stia per entrare nel tempio (עלה, v. 3; בוא, w. 7.9). La risposta, data nella seconda strofa al v. 6 ()זה, viene data nella terza al v. lObc ()הוא. Inoltre abbiamo notato le corrispondenze lessematiche di ( נשאw. 4c.5a e 7 [2 volte].9 [2 volte]) e ( זהv. 6a e 8a.l0a). Ciò induce a leggere la terza strofa in concomitanza con la seconda, cioè con il pellegrinaggio dei popoli colà delineato: i due "pellegrinaggi" sono posti evidentemente in parallelo 60. Si noti anzitutto, al v. 7a, la raffinata allitterazione sul suono s che collega il nostro verso con 4c: se>u se<àrim rasèkem, «Alzate, porte, la vostra fronte». Probabilmente, il termine ראשindica l'architrave della porta. Sebbene il tempio si trovi sul punto più elevato del monte Sion, colui che vi prende dimora è il re del cielo, e il tempio non può contenerlo. L'idea è quella rappresentata in Is 6, 1: «Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato ()נשא: i lembi del suo manto riempivano il tempio». Per una trascrizione figurativa si veda la riproduzione di una figurina in piombo del Jupiter Heliopolitanus (fig. 16) 61 . Del resto anche in 1 Re 8, 27 è presente la stessa idea:
Fig. 16. «Alzate, porte, la vostra fronte, e innalzatevi, porte eterne, perché entri il re della gloria!» (Sal 24, 7.9). La figurina di piombo proveniente da Baalbeck, di epoca romanoimperiale, mostra la figura colossale di Jupiter Heliopolitanus, posta su due cavalli giganteschi, uscire dal tempio in suo onore. Anche Isaia vede JHWH «seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio» (Is 6,1).
60
61
Cf. Lohfink e Zenger 1994, p. 62, nota 83. Da Keel 1984, p. 151, fig. 237.
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«Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!». Anche qui si tratta di una concezione diffusa in tutto l'Antico Oriente 62. In Egitto le diverse porte che conducevano, all'interno del tempio, fino alla cella della divinità, erano poste sullo stesso asse ed andavano progressivamente restringendosi: su ogni architrave era raffigurato l'emblema del cielo (un sole fiancheggiato da due urei). Le varie porte raffiguravano i diversi cieli. Perciò la progessione verso l'interno era allo stesso tempo progressione verso l'alto: nella cella, sopra la divinità veniva rappresentato il sole alato, che raffigurava il cielo. Nel rito quotidiano dell'apertura della cella si pronunciavano queste parole: «Vengono aperte le porte del cielo» 63. Per l'ambiente mesopotamico si veda la fig. 17 64.
ץןך;ןדג־־ד זעי^ ״ מ xr^tf-:..
Fig. 17. Il re Nabuapal-Iddin di Babilonia viene introdotto da un sacerdote nel tempio di Sippar, dove si trova su un tavolo l'emblema di Samas, il dio sole. Dietro, sotto un baldacchino, siede lo stesso dio personificato. Sotto la scena sì vede rappresentato l'oceano celeste con quattro pianeti. Non ci si deve chiedere se la scena si svolga in cielo o sulla terra: il tempio è allo stesso tempo cielo e terra.
"Porte eterne" ()פתחי עלם, vengono chiamate le porte del tempio, non perché siano state fatte molto tempo prima della composizione del salmo, ma perché sono, allo stesso tempo, le porte del eielo, la dimora di Dio, e partecipano dell'eternità del cielo stesso. Le porte devono alzarsi fino al cielo «perché entri il re della gloria». Si è notata la vicinanza di questa visione con il trisagion di Is 6 (cf. v. 3: «Santo, santo, santo J H W H sabaot, tutta la terra è piena della tua gloria») e con il Sal 29, dove il termine כבודritorna ben 4
62 63 64
Cf. Janowski 2001. Cf. Keel 1984, p. 151. Da Keel 1984, p. 153, fig. 239, cf. ANEP, p. 178, fig. 529.
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volte (w. 1.2.3.9), in unione con il termine ( מלךv. 10). Indubbianiente abbiamo qui a che fare con la teologia del tempio, testimoniata anche dalla presenza massiccia della teologia della "gloria" del < documento P. Però in tali testi non si parla di un "entrare" di Dio nel tempio. Si suppone che egli già sia presente. La "venuta" di Dio viene collegata dai commentatori generalmente con l'entrata pròcessionale dell'arca in Gerusalemme, o in occasione della traslazio0e al tempo di Davide (cf. 2 Sam 6), o in una commemorazione annuale di tale traslazione. ) Ma gli indizi finora raccolti convergono a collocare Sal 24 in epoca postesilica, ed è naturale supporre la stessa epoca anche per ) , ultima strofa. Allora i testi che vengono in mente sono anzitutto Ez 43, 1-9, dove si descrive il ritorno della gloria di J H W H nel suo , tempio, che essa aveva abbandonato all'inizio dell'esilio. Poi Is 40, 9-10, dove insieme al popolo che ritorna a Sion viene rappresentato il ritorno di Dio stesso: «Ecco il vostro Dio! Ecco J H W H Dio viene con potenza (»)בחזק יברא. Se qui si parla del ritorno degli israeliti, il Tritoisaia descrive il pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme, il tema della seconda strofa del nostro salmo (cf. Is 60, 3: «Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere»), a cui si sovrappone il ritorno di J H W H nella città santa (cf. Is 62, 11: «Dite alla figlia di Sion: ecco, viene [ ]באil tuo salvatore»). Si tratta, dunque, della venuta escatologica di J H W H nel suo tempio quale viene cantata anche in Zac 2, 14 (anche qui in connessione con la "conversione" dei popoli); 8, 3; Mal 3, 1. E appunto questa "intronizzazione" escatologica che è cantata nei salmi di JHWH-re. Si vedano, per esempio, Sal 68, 17-18.25; 96, 13; 98, 9. Si comprende, dunque, come l'autore del Sal 24 possa mettere in parallelo il pellegrinaggio dei popoli a Sion (24, 3-6) e l'ingresso di J H W H nel suo tempio (24, 7-10) 66. Ambedue sono avvenimenti escatologici legati all'avvento del regno di Dio. Anche 1'"esame di coscienza" dei w. 3-5 trova in questa collocazione il suo significato. Infatti in Is 33 la cosiddetta "liturgia di ingresso al tempio" dei w. 1416 è posta in una simile prospettiva escatologica, collegata con il ritorno a Gerusalemme e con la ritrovata presenza di Dio nel suo tem-
In questo senso si veda Smart 1933. II parallelismo delle due strofe è ben osservato in Lohfink e Zenger 1994, p. 62, nota 83. 66
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pio (cf. Is 33, 17.22) 67. Una simile prospettiva è riscontrabile anche in Is 66, 1-2. Nel v. 8, alla domanda su chi sia questo "re della gloria", la cui grandezza raggiunge il cielo, viene data come risposta: «JHWH forte e potente, J H W H potente in battaglia». I paralleli non rimandano alle guerre di Israele, in cui l'arca faceva da palladio nelle battaglie contro i popoli vicini, ma, ancora, all'escatologia. E da citare anzitutto il canto del mare, che celebra la venuta di J H W H in Sion, alla testa del suo popolo (cf. Es 15, 17-18: «Lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua sede, JHWH, hai preparato...»). Qui J H W H è presentato come un guerriero, e il v. 3 suona: «JHWH è prode in guerra ()איש מלחמה, J H W H è il suo nome». Il ritorno dall'esilio di Babilonia è ritratto in modo analogo, ma l'aspetto escatologico è maggiormente sottolineato. Anzitutto è da notare che l'unica altra ricorrenza del termine עזוזè Is 43, 17, nel contesto, appunto, del nuovo esodo (si veda anche l'espressione עזוז מלחמהin Is 42, 25). In Is 42, 13 si descrive l'avanzare di J H W H verso Sion come quello di un guerriero: «JHWH avanza come un prode ()כגבור, come un guerriero ( )כאיש מלחמותeccita il suo ardore». Accenti simili ritornano in Is 49, 24-25; 63, 1-6; 66, 15. Per i salmi, si veda soprattutto Sal 68, 18-22. Vorrei soffermarmi di più su Is 51, 9-11. Qui sono messi in parallelo le "vittorie" di JHWH, a cominciare da quella su Raab e il mostro del caos (v. 9), per passare a quella sulle acque del Mare dei Giunchi (v. 10) e concludere con quella del ritorno dall'esilio di Babilonia (v. 11). L'accostamento fa comprendere il legame che esiste tra la prima e la terza strofa del Salmo 24, esattamente tra il v. 8 e il v. 2. Il v. 9 ripete la domanda del v. 7. Ciò significa che la risposta data al v. 8 non è del tutto soddisfacente, non è quella aspettata: le porte sono rimaste chiuse. La risposta definitiva viene data al v. lObc: יהרה צבאות הוא מלך הכבור, e qui termina il salmo. E chiaro che l'autore dà un'importanza particolare all'espressione יהרה צבאות, "JHWH delle schiere". Il significato dell'espressione è discusso 68: soprattutto è da chiarire se si tratti degli eserciti di Israele, che nell'arca avevano il loro palladio, o delle "schiere celesti". 67
Cf. ancora Smart 1933, p. 178. Il parallelo tra Sali4, 3-5 e Is 33, 14-16 è citato da tutti coloro che trattano delle "liturgie di ingresso al tempio" (cf. sopra, nota 43). 68 Cf. ThWAT VI, pp. 876-891 (Zobel); THATII, coli. 498-507 (Vati der Woude); Mettinger 1982; Choi 2004; Groenewald 2003, pp. 55-57.
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A mio avviso, è fondamentale comprendere l'espressione alla luce del contesto. Si è notato, anzitutto, l'inclusione con i w. 1-2, soprattutto con il v. 1, in cui si metteva in evidenza il dominio universale di JHWH, in quanto creatore e conservatore del mondo. D'aitra parte nel v. 7, e poi nel v. 9, si chiedeva alle porte del tempio di "innalzarsi" fino al cielo, poiché colui che doveva entrare era grande come il cielo. In questo contesto, intendere יהרה צבאותin connessione con le schiere di Israele sarebbe fuori posto, tanto più che l'aspetto guerriero di J H W H era stato espresso al v. 8, e le porte erano rimaste chiuse. Se ora si aprono, vuol dire che si mette in evidenza un altro aspetto di JHWH. L'alternativa è vedere nelle צבאותle "schiere celesti": tale comprensione è raccomandata, appunto, dal contesto della terza e della prima strofa 69. D'altra parte יהוה צבאותrecepisce anche il significato della seconda strofa, perché esso è il titolo caratteristico del Dio che abita nel tempio di Gerusalemme. Storicamente sembra accertato che il titolo sia collegato con il "trono sui cherubini", presente nel debir del tempio salomonico e probabilmente già nel tempio di Silo, da cui quello salomonico ereditò la tradizione dell'arca. La fig. 18 può dare un'idea di questo trono, di cui l'arca formava il piedestallo do-
Fig. 18. «JHWH degli eserciti, è lui il re della gloria» (Sal 24, 10). La figura (tratta dal sepolcro di Achiram, re di Biblos) rappresenta il re seduto su un trono di cherubini, con un fiore di loto in mano, mentre i piedi poggiano su uno sgabello, che nel tempio di Gerusalemme doveva essere rappresentato dall'arca dell'alleanza. I cherubini, animali composti di corpo di leone (o di pantera, o di toro), volto d'uomo e ali d'aquila (cf. Ez 1, 10), assommano in sé le potenze del cosmo (forza, velocità nei movimenti, intelligenza), per cui il titolo "JHWH degli eserciti" è nell'AT sinonimo di "colui che siede sui cherubini".
69 Secondo Groenewald, che studia il senso dell'espressione in Sal 69, 7, questo è il significato proprio del titolo יהרה צבאות, non solo nel caso di Sal24\ «It can thus be presumed that the divine tide יהוה צבאותrefers to the heavenly king who sits on the cherubim throne. יהרה צבאותwas thus conceived as enthroned in invisible majesty on the cherubim throne in the solomonic temple» (Groenewald 2003, p. 57).
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ve immaginariamente il re del cielo poggiava i piedi 70. I cherubini rappresentano le forze cosmiche: siamo pienamente nell'ambito di quella concezione cosmologica cananea, che caratterizza la prima strofa del Sal 24. Nell'ambito dell'AT il nostro testo si accosta, come più volte è stato osservato, a Is 6, 1-4 71. Il profeta vede il trono di JHWH, che si trova nel tempio di Gerusalemme, attingere il eielo, e degli esseri celesti cantare il trisagion: «Santo, santo, santo è יהרה צבאות, tutta la terra è piena della sua gloria» (v. 3). E la stessa polarità "cielo-terra" che caratterizza l'inclusione tra la prima e la terza strofa del nostro salmo. Infatti da una parte viene rilevato che il trono di Dio raggiunge il cielo (Is 6, 1), dall'altra che la sua gloria "riempie" ( )מלאil "tempio" (w. 1.4) e la "terra" (v. 3). Tra queste due ultime realtà, il "tempio" e la "terra" esiste un'ulteriore dialettica che accomuna il brano di Isaia con il nostro salmo, cioè la tensione tra particolare ("tempio") e universale ("tutta la terra"). Poiché il Dio che risiede nel tempio di Gerusalemme è il re del cielo, esso è re non solo di Gerusalemme, ma di tutta la terra. Si comprende perciò che il nostro salmo canti il pellegrinaggio di tutti i popoli al tempio di JHWH. Questa stessa tensione tra particolare e universale caratterizza Is 54, 5: «Tuo sposo è il tuo creatore, יהוה צבאותè il suo nome; tuo redentore è il santo di Israele, Dio di tutta la terra egli è chiamato» 72. Le quattro frasi sono poste due a due in parallelismo sinonimico alternato (cf. tab. 62). Tabella 62 Particolare A. Tuo sposo è il tuo creatore Universale B. יהוה צבאותè il suo nome
0 0
A', tuo redentore è il santo di Israele, B\ Dio di tutta la terra egli è chiamato
Al pronunciare il nome יהרה צבאות, dunque, le porte del tempio si aprono: esse riconoscono in questo nome quello del padrone di
™ Da Keel 1984, p. 150, fig. 235, cf. ANEP, p. 158, fig. 458. 71 Cf. Spieckermann 1989, p. 200; Spieckermann 2001, p. 67. 72 Per questo parallelo cf. Lohfink 1992, p. 19.
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casa, di colui che nel tempio di Gerusalemme ha la sua dimora: «È lui il re della gloria!». Lohfink vede, tra l'ultima qualifica di Dio ( )יהרה צבאותe le due precedenti ( יהוה עזוז וגבירe )יהרה גבור מלחמה, una contrapposizione, quasi a dire che il Dio che chiede di entrare nel tempio non è un dio guerriero e violento, ma un dio pacifico 73 . L'interpretazione è suggestiva, e quanto mai attuale. Essa si pone in consonanza con Is 2, 4; Mi 4, 34, e, in generale, con la teologia dei salmi, cf. Sal 29, 11; 46, 10; 76, 4. Certamente l'aspetto della pace è implicito in quello del dominio universale, escatologico, di Dio, ma mi sembra che il nostro salmo non accentui esplicitamente questo aspetto. Se l'autore avesse voluto esprimere un'antitesi non avrebbe scelto un termine che, in fondo, evoca il mondo della guerra ("JHWH degli eserciti": anche se si tratta degli "eserciti del cielo", l'immagine è guerriera). I tre titoli sono, in realtà, sinonimici, non antitetici. Rimane vero che solo dopo l'ultimo si aprono le porte. Vuol dire allora che gli attributi di J H W H sono disposti in parallelismo climactico, in modo che i due primi titoli siano preparazione per l'ultimo, in cui si manifesta pienamente l'identità del Dio che chiede di entrare. Effettivamente l'ultimo titolo, יהוה צבאות, orienta gli altri due titoli, di carattere guerriero, a una guerra di tipo particolare: quella contro gli elementi del caos, legata al dominio cosmico ed escatologico di J H W H 74. In questo senso Lohfink ha ragione di rigettare un'interpretazione "militare" del termine. Forse la triplice ripetizione vuol essere un'eco del "trisagion", Is 6, 3, il cui accostamento con il Sal 24 è stato più volte rilevato. In tal senso ci sia concesso un paragone con la liturgia cristiana della notte pasquale. Quando il cero pasquale illuminato viene introdotto nella chiesa immersa nell'oscurità, il diacono ripete per tre volte il grido: "Lumen Christi", elevando ogni volta il tono della voce. Al terzo grido si accendono le luci della chiesa. Si tratta non di un cambio dell'invocazione, ma di una ripetizione drammatica dello stesso grido fino al raggiungimento di un apice. Forse anche nell'ultima strofa del nostro salmo il punto non sta nel cambio del nome di Dio, ma nel raggiungimento di un effetto climactico mediante la martellata ripetizione del nome divino.
73
Cf. Lohfink 1992, p. 19; Lohfink e Zenger 1994, p. 62. In questo senso conduce anche G, che rende usualmente (non però nel Sal 24) צבאותcon παντοκράτωρ. In Sal 24, 10 G ha: κύριος των δυνάμεων, una lezione che non orienta verso un contesto militare, ma cosmologico. 74
288
II regno di' JHWH e del suo Messia
Con il Sal 24 termina la seconda unità compositiva del primo libro dei salmi, 15-24. I quattro salmi studiati ne hanno offerto una campionatura significativa. Il Sal 19, centrale, ha riproposto il tema del Sal 1, la torah. Rispetto al Sal 1 si nota un cambiamento d'accento: il salmista non si contrappone ai "peccatori", ma si sente lui stesso uno di loro. Sa che l'innocenza può essere ottenuta solo attraverso il perdono (Sal 19, 13-14). I Salmi 22-24 riprendono il tema della regalità, il tema del Sal 2, a complemento dialettico dei tre salmi centrali della raccolta, 18 e 20-21. Il Sal 22 delinea un'immagine di Messia radicalmente diversa da quella del Sal 2 e dei tre salmi regali che precedono, vicina invece al "servo sofferente" del Deuteroisaia, anticipando la prospettiva del Sal 40. Il Sal 23 sottolinea invece la regalità di JHWH: l'immagine del pastore è immagine regale. Si tratta dicevamo, di un quadro tutt'altro che idillico: esso riflette l'esperienza dell'esilio, la crisi della monarchia e l'esigenza di trovare una certezza, un'ancora a cui fissare la speranza del popolo in tempo di disperazione. Il Sal 24 si potrebbe definire come la sintesi dei due precedenti, in quanto riprende il tema del regno nei suoi due aspetti, quello di JHWH, il "re della gloria", e quello del Messia, Giacobbe (v. 6). Qui il Messia riveste una dimensione collettiva, è il popolo di Israele, che adempie una funzione mediatrice nei confronti dei popoli della terra, tema questo già preannunciato nel Sal 22 (cf. w. 28-32).
SALMO 39
L'UNITÀ COMPOSITIVA DEI SALMI 3 5 - 4 1
I Salmi 35-41 formano la quarta e ultima unità compositiva del primo libro del salterio 1. Il numero stesso (7 salmi) non è senza importanza. Si tratta prevalentemente di lamentazioni individuali: esse si pongono in corrispondenza con la prima unità del libro (Sal [12J3-14), composta, essa, di 14 salmi (contando i primi due), esattamente il doppio dell' ultima, e costituita pure prevalentemente di lamentazioni individuali. Come rilevano Hossfeld e Zenger 2 , l'unità è strutturata centralmente, e il nerbo della struttura è costituito dalle tre lamentazioni dei Salmi 35; 38 e 41, poste all'inizio, al centro e alla fine dell'unità (AA'A"). Attorno al salmo centrale, il Sal 38, si dispongono, in corrispondenza chiastica, i due Salmi sapienziali 37 e 39 (CC') e la lode/ringraziamento nei Salmi 36 e 40 (BB', cf. sopra, p. 26, tab. 5). Dal punto di vista del contenuto, l'unità è disposta secondo il ritmo della preghiera, che va dal lamento alla lode e al ringrazial mento. Tale ritmo si ripete, nell'unità, due volte (35-37 e 38-40), con | caratteristiche proprie, che saranno evidenziate. Il movimento inizia |.con la supplica nei Salmi 35 e 38. Il lamento trova una risposta da | u n a parte nell'inno del Sal 36, dall'altra nel ringraziamento del Sal 140. Gli altri due salmi, Sal 37 e 39, sono riflessioni sapienziali, diret| tamente collegati con la supplica dei Salmi 35 e, rispettivamente, 38. | Il Sal 31 si pone come risposta al Sal 35, sulla linea della visione prò!׳.Spettata dal Sai36. Il &z/39 viene invece prima della risposta del Sal | 4 0 : esso approfondisce il lamento del Sal 38 portandolo, come veleremo, su un piano radicale. Stranamente, dopo il ringraziamento 1 I Cf. sopra, p. 23; inoltre Barbiero 1999, pp. 543-548; Barbiero 2003, pp. 473| 475. Per un'altra divisione cf. Millard 1994, pp. 138-140. 2 I Cf. Hossfeld e Zenger 1992, pp. 23-24. I due autori però impostano lo studio i, dell'unità su considerazioni diacroniche, che si rivelano alquanto problematiche. Il no| stro studio si pone a livello sincronico.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
del Sal 40, il salmista ritorna alla supplica nel Sal 41. L'unità, cioè, termina non con un ringraziamento, come il salterio (cf. Sal 146150), ma con la lamentazione. In questo si ripete lo schema della prima unità (50/3-14). Anche qui, dopo il ringraziamento del Sal 9, la preghiera ritorna alla supplica nei Sal 10-143. Tale principio compositivo è tipico del primo libro del salterio, che termina anch'esso con la supplica, com'era iniziato. Forse la spiegazione è da ricercare nel momento storico della composizione di questo libro, un momento tutt'altro che roseo. Il ricordo dei benefici passati è addotto per ritrovare fiducia nel momento presente, caratterizzato dalla supplica. Le tre lamentazioni non sono del tutto omogenee, ma presentano un passaggio da una oppressione esterna, caratterizzata dalla presenza dei "nemici" (Sal 35), a una interna, caratterizzata dalla malattia, la cui radice è vista nel peccato del salmista (Sal 38). Il Sal 41, l'ultimo salmo dell'unità, riunisce i due tipi di sofferenza ("nemici", cf. Sai41, 3.6.8.12; "malattia", cf. w. 4.9; "peccato", cf. v. 5). In questo processo di "interiorizzazione" un ruolo particolare spetta al Sal 39, in cui il lamento viene radicalizzato. Non è tanto la presenza dei nemici che angustia il salmista, né quella del peccato. E la stessa condizione umana, in quanto "essere per la morte", che viene messa in questione. Muoiono, infatti, sia i giusti sia i peccatori. In fondo, il nemico vero dell'uomo non è l'uomo, ma Dio stesso, che ha fatto l'uomo per la morte («Sei tu che l'hai fatto», v. 10). Perciò il lamento finale del salmista rasenta la bestemmia: «Distogli da me il tuo sguardo e io sorriderò, prima che me ne vada e più non sia» (v. 14). Se la seconda unità era caratterizzata dai salmi regali (Sal 18; 2021), e la terza era accentrata attorno al tema della regalità di J H W H (cf. Sal 29), la quarta è dominata dalla figura del servo sofferente. Braulik ha sviluppato questo tema per il Sal 40 4, ma i riscontri sia con i carmi del servo sia con il Sal 22 non si restringono ad esso: essi rigurdano pressoché tutti i salmi dell'unità. Un tratto tipico di questi salmi, che riprende un atteggiamento del servo di JHWH, è il "silenzio" di fronte alla sofferenza. Esso viene introdotto nel Sal 35, 20: «Contro i silenziosi ( )רגעיdella terra tramano pensieri d'in-
3 4
Cf. sopra, p. 150. Braulik 1973.
Salmo 39
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ganno». Il "silenzio" è un atteggiamento di non violenza di fronte all'oppressore, e di fiducia nella giustizia di Dio. Esso viene consigliato in Saly!, 7: «Sta' in silenzio ( )דוםdi fronte a J H W H e confida in lui, non irritarti per chi ha successo». In Sal 38, 14-15 esso è accettazione paziente della malattia e della sofferenza: «Io, come un sordo, non ascolto; come un muto ( )כאלםche non apre la sua bocca ( ;)לא יפתח פיוsono come un uomo che non sente e nella cui bocca non ci sono rimproveri». La vicinanza con Is 53, 7 è chiara: «Maltrattato, si lascia umiliare e non apre la sua bocca ()לא יפתח פיו, come agnello è condotto al macello, come pecora muta ()נאלמה, di fronte ai suoi tosatori, e non apre la sua bocca (»)לא יפתח פיו. Questo atteggiamento viene ripreso e problematizzato, come avremo modo di vedere, nel Salò9 (cf. w. 2.3.10). Un breve esame dei titoli dei salmi conferma la struttura sopra delineata (cf. tab. 63). Tabella 63 35,1 36, 1 37,1 38, 1 39, 1 40, 1 41, 1
להזכיר
לדוד לעבד יהוה לדוד לדוד מזמור לדוד מזמור לדוד לדוד מזמור מזמור לדוד
למנצח
למנצח לידיתון למנצח למנצח
Il primo gruppo di Salmi (35-37) è caratterizzato dal titolo לדוד. I Salmi 35 e 37 formano inclusione, mentre il Sal 36, come centro della serie, ha un rilievo particolare. L'altro guppo di Salmi (38-41) è caratterizzato dall'iscrizione מזמור לדוד, che nei Salmi 39-41 si affianca all'altra, למנצח. Questi tre salmi sono inoltre uniti da un doppio chiasmo: 1 ,40) 41,1)),mentre i Salmi 38 e 39 sono caratterizzati da un'indicazione aggiunta ( 1,39,להזכיר,38, 1 ; ) ל י ד י ת ו ן. I
מזמור לדוד
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1. Al maestro del coro. Per Jedutun. Salmo. Di Davide. 2. Mi son detto: «Custodirò le mie vie per non peccare con la mia lingua, terrò davanti alla mia bocca un bavaglio finché l'empio è davanti a me». 3. Sono rimasto muto, in silenzio, ho taciuto - senza giovamento, anzi, il mio dolore si è esasperato. 4. Mi arse il cuore nel petto, ogni volta che ci pensavo bruciava un fuoco: allora ho parlato con la mia lingua: 5. «Fammi conoscere, JHWH, la mia fine, quale sia la misura dei miei giorni: saprò quanto effimero io sono. 6. Ecco, di (pochi) palmi hai fatto i miei giorni, e il tempo della mia vita è come niente davanti a te. Sì, nient'altro che un soffio è ogni essere umano, per forte che sia! SELA. 7. Veramente, come un sogno se ne va l'uomo, per un soffio appena fanno tanto rumore, ammucchia (ricchezze), ma non sa chi le raccolga. 8. E dunque, in che cosa ho sperato, mio Signore? A te si volge la mia attesa. 9. Liberami da tutte le mie colpe, non rendermi scherno dello stolto. 10. Sto in silenzio, non apro la mia bocca, perché sei tu che l'hai fatto. 11. Allontana da me i tuoi colpi: sotto l'attacco della tua mano sono alla fine. 12. Quando educhi l'uomo con castighi per il peccato, tu corrodi come un tarlo quanto gli è caro: sì, un soffio è ogni essere umano. SELA. 13. Ascolta la mia supplica, JHWH, al mio grido porgi l'orecchio,
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di fronte alle mie lagrime non tacere. Perché uno straniero sono io presso di te, un forestiero, come tutti i miei padri. 14. Distogli da me il tuo sguardo e sorriderò, prima che me ne vada e più non sia».
CRITICA TESTUALE
Verso 2 אמרתי. Generalmente il verbo viene tradotto: "Ho detto". Questo è anche il significato letterale, ma dal momento che esso sta in tensione con l'espressione ( דברתי בלשוניv. 4c), il significato non può essere che quello di un "dire nel cuore", cioè di formulare interiormente un proposito. (2c) CEI «porrò un freno» segue, come molte traduzioni, G 6־ 0é|JUR|v T(S ATÓPATL poi) (()UXAKRJV. Ma TM אשמרהha senso, e, come lectio difficilior; è da preferire. (2d) G ha qui kv ™ CTIKJTRJVAI. BHS suggerisce che essa abbia letto בעמד. Anche se seguiamo TM, notiamo che tale lezione si accorderebbe bene con l'espressione del v. 6c: «ogni uomo in piedi», כל אדם נצב. Verso 3 מטוב. J. Kroon intende il מןin senso comparativo («ho taciuto più di quanto fosse bene») ma sembra preferibile intendere la preposizione in senso locale figurato: «(lontano) dal bene», e quindi «senza giovamento, senza che ne risultasse qualche vantaggio» 6 . La traduzione CEI «la sua fortuna ha esasperato il mio dolore» si fonda su una congettura ( מטובוinvece di )מטוב וalquanto improbabile. נעכר. Il significato del verbo עכרè controverso. Hossfeld vi intende il senso di "reprimere, sottomettere", e legge la frase in senso coordinativo («mentre il mio dolore veniva represso») 7. Ma le ver-
5
Kroon 1928. Cf. Forster 2000, p. 12. 7 Hossfeld e Zenger 1993a, p. 249, similmente ThWAT IV, col. 10 (Mösts): «Unzugänglich und tabu». 6
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sioni antiche vanno nell'altro senso, suggerendo di intendere la frase in senso avversativo. G ha άν6καινίσθη, Vg renovatus est8. Verso 4 תבער. L'imperfetto fa pensare ad un'azione iterativa. Verso 6c כל הבל, «nient'altro che un soffio». BHS propone di eliminare כלcome dittografia, seguendo S ed alcuni manoscritti ebraici. In realta si tratta, in tal caso, di lectio facilior, per concordanza con il v. 12. TM è appoggiato da G (σύμπαντα ματαιότης). נצב. Anche qui BHS, per concordanza con il v. 12, propone di eliminare il participio (così anche S). Ma questo aggiunge al sostantivo una qualifica che non è trascurabile. Il senso di נצבè quello di "erigersi", "stare in piedi", e quindi ha un valore concessivo rispetto all'affermazione della fugacità della vita umana («per quanto sano e robusto egli sia»). G ha πάς ־άνθρωπος £ών, similmente Vg omnis homo vivens, confermando la correttezza di TM. Interessante è la versione del Tg, che vi intende un'affermazione della resurrezione: «Ma tutti i giusti vivono una vita eterna». Verso 7 (7a) La traduzione CEI ("come ombra") legge, al posto di TM צלם, "immagine", צל, "ombra", come in Sal 102, 12; 109, 23; 144, 4. Ma TM è appoggiato da Sal 73, 20 e da G (eν βίκόνι). La particella בha senso comparativo, equivalendo a un 9 כ. Tg parafrasa proseguendo la sua lettura nel senso della resurrezione. Esso intende צלם in riferimento a Gn 1, 26-27, e traduce: «Davvero come una statua di J H W H cammina l'uomo» 10. (7b) יה מירן. TM è inusuale, sia perché il plurale mal si accorda con gli altri verbi del v. 7, che sono tutti al singolare, sia per la forma verbale irregolare. Contro le congetture di BHS siamo per la retenzione di TM11, come imperfetto energico pausale (cf. Sal 36, 8) di המה, "far rumore". Si tratta di una "concordanza ad sensum" con 8 Cf. HALAT, p. 779 ("aufgerührt"). Cf. Rosenmüller 1821-1823, vol. I, p. 947. 10 Cf. Angerstorfer 1986, p. 4. 11 Cf. in questo senso anche Barthélémy et al. 2005, pp. 233-235. 9
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la realtà è plurale ("gli uomini"), anche se viene intesa distributivamente ("un uomo", nel senso di "ogni uomo"). Verso 8 (8a) G ha: τ ι ς ή υπομονή μου ουχί ό κύριος. BHS propone perciò di leggere invece di TM " קויתיho sperato", il sostantivo תקותי, "la mia speranza". Ma TM non fa difficoltà. אדני. Anche qui, BHS propone di seguire molti manoscritti ebraici e G, che, traducendo: ό κύριος־, fa supporre che la Vorlage ebraica sia stata יהרה. La lezione di TM sarebbe legata all'uso di sostituire il tetragramma sacro con il termine אדני. Effettivamente i w. 5.8.12 formano l'inizio di tre strofe, e, siccome i w. 5 e 12 sono caratterizzati dalla presenza del tetragramma, uno si aspetterebbe la presenza del tetragramma anche al v. 8. Anche se rispettiamo TM, come lectio difficilior, dobbiamo ammettere che la correzione avrebbe senso. Verso 9 BHS propone di sostituire l'astratto "( פשעיle mie colpe") di TM con il concreto "( פשעיcoloro che mi fanno del male"), per parallelismo con il seguente נבל. L'operazione è sospetta, perché TM è appoggiato unanimemente dalle antiche versioni (cf. G από πασών των ανομιών) e pienamente d'accordo con il contesto, che parla di malattia. Il legame tra il peccato e la malattia è conosciuto. Verso 10 b G ha δτι συ ei ό ποιήσας με. BHS pensa che essa abbia letto nel testo ebraico עשני. A mio avviso G ha trovato scandaloso il fatto che TM attribuisca a Dio la causa del suo male. TM è chiaramente lectio difficilior, da mantenere. Verso llb תגרת ידך. Il termine è hapax legomenon e può essere inteso ο come sostantivo (תגרה, "colpo", cf. Tg e S: "colpo della tua mano"), ο come verbo (תגרת: "mentre la tua mano mi attacca") 12 . La congettura proposta da BHS מגבורת, sulla base di G από της ισχύος, "per la violenza", è superflua. 12
Cf. HALAT, p. 1555.
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Verso 12 יסרת, ...ותמס. I due verbi di TM si intendono generalmente al passato 13 . Ma si potrebbe trattare anche di un "perfetto gnomico", ο meglio, di un "imperfetto consecutivo" 14. (12b) G intende il sostantivo עש, "tarlo", non come apposizione di "tu", in riferimento a Dio, ma come oggetto del verbo "distruggere", in riferimento alla vita dell'uomo: έξέτηξας ־ώς αράχνη ν την ψυχή ν αυτοί), «Hai distrutto la sua vita come se fosse un ragno» (Vg: tabescere f ecisti sicut araneam animam eius). L'immagine di un Dio che schiaccia con il piede l'uomo, come fosse uno scarafaggio, è brutale. Verso 13 Il verbo חרשpuò significare sia "essere sordo" che "essere muto". In parallelo con i verbi di udire dei w. 13ab (שמע,)אזן, il primo significato sembra a prima vista preferibile, ma il contesto più ampio fa riscontrare una voluta ripresa del tema del "silenzio" (w. 3.10), perciò traduciamo: "non tacere" 15. Chiaramente l'altro significato non è escluso: tutti e due sono infatti presenti nel verbo ebraico.
GENERE LETTERARIO E AMBIENTAZIONE STORICA
Generalmente il Sal 39 viene considerato una lamentazione individuale 16. Ma si tratta di una lamentazione di un tipo particolare, che esula dallo standard abituale. Essa inizia infatti con una notizia biografica (w. 2-4), che non è usuale per le lamentazioni. In essa non si chiede di venir liberati da una situazione di necessità, ma di capire il senso della vita (w. 5-6). La richiesta di attenzione (v. 13), che nel Sal 39 costituisce la conclusione del poema, generalmente costituisce l'inizio di un salmo di lamentazione (cf. Sal 4, 2a; 5, 2-3; 17, 1-2; ecc.). Soprattutto l'ultima preghiera del salmo, al v. 14, esula dai canoni delle lamentazioni. In esse infatti si chiede che Dio stia vicino all'orante, che non nasconda da lui il suo volto (cf. Sal 6, 5; 13, 2; ecc.), qui invece il salmista chiede che Dio distolga da lui il suo sguardo. La vicinanza di Dio viene percepita come un problema. 13 14 16
Cf. Forster 2000, pp. 51-52. Cf. Delitzsch 1984, p. 305; D. Michel 1960, p. 23. Cf. sotto, l'analisi del versetto (pp. 324ss.). Cf. Gunkel 1986, p. 163; Kraus 1978, p. 39.
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Accanto alla lamentazione sono chiaramente percepibili accenti sapienziali. La fugacità della vita è un tema ricorrente nella letteratura dell'Antico Oriente. Nella Bibbia, questo tema è presente soprattutto in Qohelet. Il termine הבל, "soffio", che costituisce una sorta di ritornello nel Sal 39 (cf. w. 6.7), è il motivo di fondo di Qohelet, che comincia con il famoso detto: הבל הבלים אמר קהלת הבל הבלים ( הכל הבלQo 1, 2). La richiesta finale del Sal 39: «Distogli da me il tuo sguardo e sorriderò» (v. 14) è un'eco di Gb 7, 19 (cf. 14, 6; 10. 20-21): «Perché non distogli il tuo sguardo da me, non mi lasci in pace, sì che io possa inghiottire la saliva?». Abbiamo dunque a che fare, ancora, con un salmo "postcultuale", in cui i generi letterari sono mescolati. La lamentazione non si svolge più, come all'origine, in ambito cultuale, liturgico, ma appartiene alla pietà personale, alla riflessione sapienziale, ed è largamente aperta agli influssi internazionali 17 . La vicinanza con Giobbe e Qohelet fa concludere per una data recente, senz'altro postesilica, ma probabilmente anche ellenistica (Qohelet è del III-II secolo a.C.). Ad ogni modo esso è anteriore all'opera storica cronistica, poiché viene citato nella preghiera di Davide di 1 Cr 29, 15: «Poiché noi siamo stranieri davanti a te, forestieri come tutti i nostri padri. Come un'ombra sono i nostri giorni sulla terra e non c'è speranza» (cf. Sai39, 7ab.12c.13de). Questa riflessione sulla fugacità della vita umana, anche se ha un valore universale, si comprende meglio nel periodo del primo giudaismo, un periodo tutt'altro che glorioso di Israele, sotto dominazione straniera, ma in cui pure Israele era aperto largamente agli influssi della cultura greca. STRUTTURA
Se uno parte da una rigida concezione dei generi letterari, il Sal 39 sembra disordinato: non corrisponde infatti, come si è visto, ai canoni usuali della lamentazione. Perciò non fa meraviglia che Gunkel cambi l'ordine dei versi, ponendo il v. 12 dopo il v. 7, e il v. 13, opportunamente "riordinato", dopo il v. 8 18 .
17 Cf. Stolz 1983, pp. 39-42; Stolz 1973; anche Gerstenberger intitola il Salmo 39: «Meditative prayer» (Gerstenberger 1988, p. 165). 18 Cf. Gunkel 1986, p. 163. Lo stesso v. 13 viene "riordinato" da Gunkel, che pone prima gli stichi 13de, dopo gli altri, 13abc.
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Sulla stessa linea si pone il commento di Seybold, per il quale il v. 13 sarebbe l'inizio del salmo (da porre perciò prima del v. 2) o di una parte di esso (in tal caso il versetto andrebbe posto prima del v. 8). Il v. 12bc («Tu corrodi come un tarlo quanto gli è caro; sì, un soffio è ogni essere umano») sarebbe ugualmente fuori posto: esso andrebbe collocato dopo il v. 7 . 1 w. 6c.7 + 12bc («Sì, nient'altro che un soffio è ogni essere umano, per forte che sia! Veramente come un sogno se ne va l'uomo, per un soffio fanno tanto rumore, ammucchia [ricchezze], ma non sa chi le raccolga. Tu corrodi come un tarlo quanto gli è caro: sì, un soffio è ogni essere umano») sarebbero citazione di un brano poetico sulla fugacità della vita umana 19. La teoria è bella, ma dove sono le prove? Ci si muove nel campo della fantasia! Recentemente O. Kaiser ha proposto una storia della redazione del Salmo 39. Secondo lui, il testo-base sarebbe costituito dai w. 57 e 12. Una seconda redazione sarebbe responsabile dei w. 13-14. L'ultimo strato redazionale sarebbe rappresentato dai w. 2-4.8-1120. Ma gli argomenti che egli adduce per una simile ricostruzione sono molto ipotetici. Con la maggior parte degli autori, noi riteniamo il salmo unitario. La struttura viene generalmente divisa in quattro strofe: w. 24.5-7.8-12.13-1421. Alcuni autori preferiscono una divisione in due parti: 2-7.8-14 22. Effettivamente il v. 8 costituisce un nuovo inizio (cf. la particella )רעתה. Nelle prime due strofe, cioè nei w. 2-7, il saimista, si potrebbe dire, guarda al passato. Nella terza e quarta, cioè nei w. 8-14, egli trae le conseguenze per il presente e il futuro. La prima strofa (w. 2-4) è caratterizzata dall'essere un "racconto autobiografico". L'inclusione tra i w. 2a e 4c è facilmente riconoscibile. A אמרתי, "mi son detto" (v. 2a) corrisponde רברתי, "ho parlato" (v. 4c); l'espressione ( בלשרניv. 2b) viene ripresa letteralmente in 4c. Il salmista aveva dunque fatto, inizialmente, il proposito di tacere, per non commettere peccato con la lingua, ma alla fine è venuto meno al suo proposito, ha dovuto "parlare con la lingua". La prima 19
Seybold 1996, pp. 165-170. Kaiser 1995. 21 Così Forster 2000, pp. 14-18; Auffret 1990a; Trublet e Aletti 1983, pp. 49-50; Baumann 1948, pp. 146-155; M. Girard 1984, pp. 313-321; Hossfeld e Zenger 1993a, pp. 245-251. 22 Beaucamp 1976-1979, voi. I, p. 172; Ravasi 19811, p. 713; cf. anche Trublet e Aletti 1983, p. 50. 20
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strofa costituisce una sorta di "antefatto" al salmo propriamente detto, che comincia al v. 5. Ciò che il salmista ha detto, è contenuto nei w. 5-14. Dunque la cesura tra il v. 4 e il v. 5 è una cesura fondamentale 23 . Seybold, da parte sua, ritiene che l'espressione "ho parlato con la lingua", non abbia niente a che vedere con le parole che seguono 24 . Ciò che il salmista ha detto non verrebbe raccontato. La cosa sarebbe possibile, anche se la prima soluzione mi sembra più illuminante. Il "discorso" del salmista si articola in tre strofe, ciascuna delle quali inizia con un appello a Dio ("JHWH", v. 5a; "mio Signore" []אדני, v. 8a [ma si ricordi che molti manoscritti leggono JHWH]; "JHWH", v. 13a). Tutte e tre le volte il nome di Dio appare in seconda posizione, dopo il verbo. La prima strofa è delimitata dall'inclusione del verbo ידע. Questo verbo appare 2 volte al v. 5 ("fammi conoscere", 5a; "saprò", 5c) e una alla fine del v. 7 ("non sa", 7c). Le altre due strofe non mostrano alcuna inclusione, ma gli indizi per delimitare i w. 8-12 da una parte e 13-14 dall'altra sono abbastanza chiari, poiché i w. 8 e 13 marcano indubbiamente un nuovo inizio dopo i versi 7 e, rispettivamente, 12. La corrispondenza tra la fine della seconda strofa e quella della terza è segnalata dalla tematica della fugacità della vita umana (termini corrispondenti: אך, "sì, veramente", w. 6c.7ab e 12c; הבל, "soffio", w. 6c.7b e 12c; אדם, "essere umano", w. 6c e 12c; איש, "uomo", w. 7a e 12a). Le diverse strofe sono unite tra loro da molteplici legami lessicali e tematici, che sottolineano la grande unità della composizione. Si osservi, per esempio, la corrispondenza tra נגדי, "di fronte a me" (v. 2d) e " נגדךdi fronte a te" (v. 6b). Nella prima strofa il salmista è "di fronte" al רשע, nella seconda egli è "davanti" a Dio. Si è già notato che il tema del "silenzio" percorre tutto il salmo: è chiara la ripresa del verbo נאלמתי, "ho taciuto" (w. 3a e IOa), e del termine פי, "la mia bocca" (w. 2c e IOa). Il verbo " הלךandarsene" come metafora del morire unisce il v. 7a (יתהלך איש, "se ne va l'uomo") e il v. 14b (אלך, "io me ne vada"). Tipica è la ripetizione di alcune particelle: oltre al termine אך, già ricordato, si veda אין, "assenza, non esserci" (w. 6b e 14b). Il salmo è inoltre unificato dal vocabolario del peccato (חטא, v. 2b; פשע, v. 9a;עדן, v. 12).
23 Tanto che Girard divide il salmo nelle due parti: 2-4.5-14 (M. Girard 1984, pp. 313-321). 24 Seybold 1996, p. 163. Così anche Weiser 1966, p. 222, e Baumann 1945-1948, pp. 148-151.
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Le quattro strofe hanno un ritmo abbastanza regolare (cf. tab. 64). La prima strofa (w. 2-4) è costituita di due distici (v. 2) e due tristichi (w. 3.4) (nella traduzione abbiamo conservato la divisione in stichi del testo ebraico). La seconda strofa (w. 5-1) consta di un tristico (v. 5) e tre distici (w. 6ab.6c7a.7bc), la terza (w. 8-12) inversamente comincia con quattro distici (w. 8.9.10.11) e finisce con un tristico (v. 12). Dunque le due strofe centrali formano, per ciò che riguarda il ritmo, un chiasmo. Un simile chiasmo è riscontrabile tra la prima strofa e la quarta (w. 13-14): infatti quest'ultima strofa inizia con un tristico (v. 13abc), seguito da due distici (w. 13de. 14), esattamente l'inverso dei w. 2-4. Tabella 64 Versi 2ab 2 ed 3 4
A A B B
Numero di stichi 2 2 3 3
5 6ab 6c.7a 7bc
B A A A
3 2 2 2
8 9 10 11 12
A A A A B
2 2 2 2 3
13abc 13de 14
B A A
3 2 2
I personaggi che determinano l'azione sono tre: (a) l'"io" del salmista; (b) il "tu" di Dio, a cui il salmista si rivolge nella preghiera; (c) un non meglio chiarito "lui" o "loro", di cui si parla. Si tratta degli "uomini" A volte si parla di loro come di "empi": si trat23
Per la discussione su questa grandezza si veda Forster 2000, pp. 14-18.
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ta in questo caso, verosimilmente, dei nemici del salmista (cf. v. 2: רשע, "empio, malvagio"; v. 9: נבל, "stolto"). A volte si parla di loro in maniera generale, e allora si tratta dell'umanità, in cui il salmista stesso è compreso (w. 6c.l2c: אדם, "essere umano"; w. 7a.l2a: איש, "uomo"). Il testo è determinato dal rapporto di questi tre attori (cf. tab. 65). Tabella 65 Versi 2 3-4
Personaggi Parole-chiave 2) ר ש עd ) UOMINI Io 4) ל ב יa )
5ab 5c.6ab 6c.7
Dio Io
8-9 10-11 12
DIO IO UOMINI
13abc 13de.l4
DIO
5) י ה ו הa ) 5) א נ יc ) 6) א ד םc ) ;7) א י שa )
UOMINI
Io
8) א ד נ יa ) ( אניllb) 12) א י שa ) ;12) א ד םc ) 13) יהוה 13) א נ כ יd )
a)
Nella prima strofa (w. 2-4) la scena è occupata dal rapporto tra il salmista e il רשע. Di fronte a lui il salmista voleva osservare il silenzio, ma non ci è riuscito, ha dovuto parlare. In corrispondenza, nell'ultima strofa (w. 13-14), la scena è occupata dal rapporto tra il saimista e Dio stesso. L'avversario, con cui il salmista si misura, è cambiato: dalla controversia con gli uomini, 11 salmista è passato a quella con Dio. Le due strofe centrali (w. 5-7 e 8-12) sono costruite in modo simile. In esse vengono menzionati tre personaggi, nella stessa successione: prima si parla di Dio ( 5,יהרהa;8,אדניa).Di qui il salmista passa a una considerazione della sua situazione personale. Tra la seconda e la terza strofa si può notare, a questo riguardo, un passaggio dal riconoscimento della propria precarietà (v. 6ab) a quello del proprio peccato (w. 10-11). Infine si giunge a una considerazione della condizione umana (w. 6c-7 e 12). Anche qui, si può notare una differenza tra la seconda e la terza strofa. Nella seconda strofa, infatti, sotto il termine "uomini" sono intesi soprattutto i "malvagi", i "ne-
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
mici" del salmista. Essi vengono rappresentati in forma negativa, come uomini orgogliosi (אדם נצב, v. 6c) ed egoisti (cf. v. 7bc). Invece nel v. 12 il salmista stesso è compreso nel novero degli "uomini". Infatti i "castighi per il peccato", con cui Dio educa l'"uomo" (v. 12a), vanno compresi in riferimento ai "colpi" con cui egli ha colpito il salmista (v. 11). A ben vedere, i ritornelli sulla fugacità della vita umana non sono uguali. Nella seconda strofa si dice: «Sì, nient'altro che un soffio è ogni essere umano, per forte che sia!» (v. 6c); nella terza: «Sì, un soffio è ogni essere umano» (v. 12). Qui non c'è più distinzione tra forti e deboli. Nel primo ritornello si può percepire del risentimento, nel secondo no: il salmista è incluso in questa categoria. Così viene confermata anche la divisione in due parti: w. 1-7 e 8-14. La prima parte, comprendente le prime due strofe, descrive la controversia del salmista con i suoi "nemici" e guarda prevalentemente al passato; la seconda, comprendente le ultime due strofe, si riferisce al presente e al futuro, ed è dominata dalla considerazione della condizione propria del salmista. Qui il "nemico" non è più un uomo, ma Dio stesso: è lui che ha creato l'uomo per la morte.
IL TITOLO, v. 1
Delle indicazioni date nel titolo, alcune sono già conosciute: «( למנצחper il capocoro», cf. Sai22, 1) viene generalmente inteso come un'indicazione musicale, al pari di מזמור, che propriamente indica, come il greco ijjaXpós, un canto con accompagnamento musicale. Ma è da dubitare che il Sal 39 sia stato realmente musicato: il suo carattere meditativo si addice più alla recita individuale. Come la quasi totalità dei salmi del primo libro, esso porta il titolo לדוד. Il senso dell'indicazione è controversa, potendo venir tradotta "per Davide", o "di Davide" (intendendo un lamed auctoris). La prima traduzione sottolineerebbe il carattere messianico del saimo ("in riferimento a Davide", cioè al Messia), la seconda, che attribuisce a Davide la composizione del salmo, è appoggiata dai titoli storici, che situano la composizione di determinati salmi in un'occasione particolare della vita del re-poeta (cf. Salò, 1; 7,1; ecc.). Ciò non corrisponde certamente alla verità storica (il Salmo 39 è infatti postesilico), ma ha un'intenzione teologica, per cui, nuovamente, Davide diviene figura del Messia (si veda il Sal 2). Ma chi è questo
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Messia a cui si attribuisce il Sal 39? Si tratta di un uomo povero, malato, cosciente del proprio peccato: un Messia nella linea del servo sofferente. Nuova è l'indicazione "per Jeditun" (con il Ketib) o, preferibilmente, "per Jedutun" (con il Qere). Ci sono solo tre salmi che portano questo titolo: 39, 62 e 77 (negli ultimi due salmi la dicitura è leggermente diversa, non si dice pnrrb, ma ]inrr bs). Si tratta, nel caso di Jedutun, del capostipite di un gruppo di cantori dell'epoca postesilica, da avvicinare a Core, Asaf ed Eman (cf. 1 Cr 9, 16; 16, 38.41־ 42; 2 Cr 5, 12; Né* 11, 17).
LA PRIMA STROFA, W . 2 - 4
I w. 2-4 costituiscono una sorta di antefatto, un prologo al saimo vero e proprio, che inizia al v. 5. L'orante guarda indietro alla sua vita e spiega come mai egli sia giunto a questa strana preghiera. Come osserva Alonso Schòkel, abbiamo a che fare con un procedimento letterario raffinato, moderno si potrebbe dire. L'autore si sdoppia e fa una riflessione sul suo stesso poema: ciò appartiene senz'altro ad una fase tardiva della letteratura di Israele 26. La strofa è delimitata, come si è osservato, dalla doppia inclusione:( אמרתיv. 2a) - ( דברתיv. 4c);( בלשוניw. 2b e 4c). Lo sviluppo del pensiero è coerente: parte dal proposito di non peccare con la lingua (v. 2), passa quindi all'atteggiamento del silenzio (v. 3), e termina con la rottura del proposito iniziale (v. 4). La pressione interna era troppo forte: il salmista non poteva più contenerla. Seybold ritiene 27, con Weiser 28, che il peccato del salmista, a cui si fa riferimento nei w. 9 e 12, sia appunto quello di "parlare", cioè la rottura del proposito fatto: il discorso stesso non verrebbe riferito. Ma pensare a un discorso non riportato nel salmo rimane puramente congetturale, d'altra parte sarebbe ingiusto considerare il Salmo 39, cioè i w. 5-14, come un "peccato": esso è una preghiera. La strofa si divide in due parti (v. 2 e w. 3-4). La prima è caratterizzata da due distici (2ab e 2cd), cioè dal ritmo binario, la secon-
26 Alonso Schòkel e Camiti 1992, p. 663: «Un simile sdoppiamento rivela una maturità psicologica e un tipo di lirismo progredito. Ci risulta moderno». 27 Seybold 1996, p. 163. 28 Weiser 1966, p. 222.
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da da due tristichi (w. 3 e 4), e quindi da un ritmo ternario. Dal pun־ to di vista tematico, la prima parte è dominata dalla figura del ( רשעv. 2d), la seconda dall'"io" del salmista (cf. sopra, tab. 65, p. 301).
In presenza dell'empio (v. 2) Come nota Hossfeld 29, già la prima frase del v. 2 («custodirò le mie vie») indirizza a un ambiente sapienziale (cf. Prv 16,17; 21,29). "Via" ha qui, come generalmente in ambito sapienziale, il significato di "condotta di vita" (si veda anche Sal 1, 1.6). Non c'è dunque motivo per cambiare il termine דרכיcon דברי, come vorrebbero Gunkel 30 e Kraus 31 . Anche il proposito di non peccare con la lingua, di tenerla sotto controllo, è di stampo sapienziale. Il "silenzioso" è, nella letteratura egiziana, sinonimo di "saggio", per opposizione alla "testa caida", che non sa dominare la propria lingua. Il libro dei Proverbi dichiara felice colui che sa controllare la lingua (Prv 10, 19; 11, 12-13; 13, 3; 17, 27; 21, 23-24), così anche il Siracide (Sir 22, 27). Nel Sal 39 il proposito, che poi viene messo in pratica al v. 3 («Sono rimasto muto []נאלמתי, in silenzio, ho taciuto»), non obbedisce a norme sociali, ma ha una dimensione religiosa. Si tratta di umile accettazione della soffererenza dalle mani di Dio. Si è visto che questo atteggiamento caratterizza i salmi dell'unità 35-41 (cf. 35, 20; 37, 7; 38, 14-15). Particolarmente vicino al nostro testo è Sal 38, 14-15, di cui sopra abbiamo rilevato la vicinanza con il Deuteroisaia 32 : «Io, come un sordo, non ascolto; come un muto ( )כאלםche non apre la sua bocca ( ;)לא יפתח פירsono come un uomo che non sente e non ci sono risposte nella sua bocca». Il parallelo con Sal 39, 3 e soprattutto con 39, 10 («Sono rimasto muto, non apro la mia bocca», )נאלמת לא אפתח פיè evidente. Si tratta dell'accettazione della sofferenza, rinunciando ad ogni risposta violenta. Di fronte alle provocazioni dei nemici, il salmista non 29 30 31 32
Hossfeld e Zenger 1993a, p. 249. Gunkel 1986, p. 166. Kraus 1978, p. 451. Cf. p. 291.
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reagisce con altrettanta violenza, ma confida unicamente nella giùstizia che viene da Dio. Nel Deuteoroisaia è presente anche una dimensione di espiazione per le colpe altrui (cf. Is 53, 5), assente dai salmi della nostra raccolta. Da dove viene la tentazione del salmista di rivoltarsi, di non accettare la sofferenza? Le possibili direzioni della risposta sono due: - Nel senso della sua malattia 33 . Alla malattia sembra far riferimento infatti il termine כאב, "dolore", nel v. 3c, ma soprattutto la descrizione dei w. 11-12. Anche il pensiero del peccato (פשע, v. 9;ערן, v. 12) è coerente con questo quadro: si sa che nella concezione dell'AT esiste una connessione tra colpa e malattia. Il "parlare", in questo caso, sarebbe una colpa contro il sopportare pazientemente, l'accettare dalle mani di Dio la sofferenza proveniente da una grave malattia 34 . - Nel senso della giustizia di Dio ("teodicea"). A questo significato fa pensare la sottolineatura della presenza dell'empio,רשע (v. 2d). Il salmista, nonostante sia cosciente della sua colpa, prende le distanze dal רשעe dal ( נבלcf. v. 9). Egli si sente trattato ingiustamente da Dio. Gli empi stanno bene, sono ricchi e scoppiano di salute. Ad essi si riferiscono infatti le espressioni: «ogni essere umano, per forte che esso sia», v. 6c; «fanno tanto rumore, ammucchia (ricchezze)», v. 7bc. Invece il salmista sta male: è ammalato ed esposto allo scherno dei malvagi. La seconda alternativa non esclude la prima 35 . Essa viene raccomandata dal fatto che i lessemi del v. 4, come vedremo, appartengono al vocabolario dell'"ira", non a quello della malattia36. Inoltre 33
Cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 246; Ravasi 19811, p. 714. In questo senso cf. Kaiser 1995, p. 134 («Il salmo vuole, a quanto sembra, dissuadere il fedele dalTaccusare Dio, sotto il peso della sua sofferenza»). 35 Si veda il titolo che Delitzsch dà al salmo: «Suppliche di un uomo duramente provato, di fronte alla felicità degli empi» (Delitzsch 1984, p. 714). L'intersecarsi di diversi temi nel Sai39 è messo opportunamente in rilievo in Alter 1985, pp. 67-73: «Two different lines of intensification are prominent in the poem; each is deployed intermittently, being interrupted and resumed; each qualifies and complicates the other» (72). 36 In questo senso soprattutto Stolz 1975, p. 25; Craigie 1983, p. 309. Glazov commenta: «... so that he should not say anything on account of his anger and confusion he feels about the presence of sinful people in his midst. Presumably, he has questions such as those of Job about the prosperity of the wicked (Job 21, 7-16) and is afraid to accuse God of injustice or folly in voicing them (w. 1, 2; cf. Job 1.11, 22; 2.5, , 10)» (Glazov 2001, p. 306). 34
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il contesto dell'unità compositiva appoggia quest'interpretazione. Infatti nei Sal 35 e 37 il motivo del lamento dell'orante non è la sua malattia ma il successo degli empi. Il salmista prende scandalo dall'apparente passività di Dio {Sal 35, 17: «Mio Signore, come puoi stare a guardare?»). Il Sai37 è il tentativo di calmare uno che si agita per il successo dei malvagi (cf. v. 1: «Non arrabbiarti per i malvagi, non invidiare quelli che fanno il male»). Il Sai38 è il salmo di un malato, ma costui viene anche provocato dai nemici che lo attorniano (cf. w. 12-15.17.20-21), e che stanno bene («I miei nemici sono vivi e forti»,חיים עצמו, v. 20a). Come parallelo al nostro brano possiamo considerare il Sal 73. Anche qui si parla di un peccato del salmista di fronte al successo degli empi: «Ma io, per poco non sono inciampati i miei piedi, per un niente non sono scivolati i miei passi. Poiché ho invidiato gli arroganti, vedendo la prosperità degli empi» C&/73, 2-3). Il problema della teodicea è tipicamente sapienziale: esso viene posto soprattutto nel libro di Giobbe (cf. Gb 21). Ma è presente anche nei profeti, per esempio in Ger 12, 1-2, la prima delle "confessioni" del profeta, e in Mal3, 14-15, un testo che cronologicamente non dovrebbe essere molto lontano dal nostro salmo. Qui il problema viene posto in forma collettiva: rappresenta il lamento del gruppo marginalizzato dei צדיקיםdi fronte ai ricchi giudei ellenizzanti.
Silenzio e parola (vv. 3-4) Il salmista dunque voleva farsi forza e stare in silenzio (v. 3), ma questo atteggiamento non è servito a portarlo alla calma (מטוב: "senza giovamento"). Il problema veniva, in questo modo, represso, non risolto: perciò, ogni volta che vi ritornava il pensiero, «si esasperava il mio dolore». Il termine כאבsi riferisce ad ogni tipo di dolore, sia fisico, sia soprattutto morale. Con questa parola viene designata la sofferenza di Giobbe (Gb 2, 13; 16, 6) e quella di Geremia (Ger 15, 18). Si noti come i salmi siano l'eco di tutto l'AT, vi troviamo continuamente riferimenti agli altri libri biblici: l'intertestualità è strumento indispensabile per comprendere questi testi. Come quello di Giobbe e di Geremia, dunque, il dolore del salmista non è soltanto fisico. Egli soffre sì perché è ammalato, ma anche perché i malvagi
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\ stanno bene; un sentimento molto umano di invidia lo assale, di collera contro questa gente che si fa beffe di Dio e del prossimo, e a cui ־: tutto va bene. Questa seconda dimensione, la collera di fronte al successo del ?;,malvagio, viene messa in evidenza al v. 4. Lo "scaldarsi" ( )חמםdel 1 cuore ha un parallelo in Dt 19, 6, la legge sulle città di asilo. CEI traduce TM « כי יחם לבבוmentre Tira gli arde in cuore». Non si tratta ' יdunque di febbre, ma di ardore dell'ira, di inimicizia interpersona^ le. Al vocabolario dell'ira appartiene anche il verbo בער, "infiammarsi, bruciare" (cf. Sal 2, 12; 79, 5; 89, 47) e il sostantivo אש, "fuo| co" (cf. Dt 32, 22; Is 65, 5; 66, 15). Il "fuoco" s'infiamma al "ripenvsarci", 37הגיג. E dunque chiaro che il problema del salmista non è :tanto di ordine fisico, ma psicologico. A Un sorprendente parallelo presenta l'ultima confessione di Gepernia: «Nel mio cuore c'era come un fuoco bruciante ()כאש בערת, chiuso tra le mie ossa. Mi sono sfinito nel contenerlo, ma non ci riesco» (Ger 20, 9). ...... In Geremia il fuoco è metafora dell'ira divina. Effettivamente y-nei passi paralleli 6,10-11 e 15,17 Geremia dice di essere pieno non |) (fi fuoco, ma dell'ira di Dio. In Geremia il "fuoco" è elemento pol^sitivo, è espressione dell'amore geloso di Dio, mentre nel nostro sai|y|no si tratta di un sentimento molto umano, di collera e di invidia, " ׳ןWi desiderio di essere, in fondo, anche lui come i malvagi, di riderìj9cne di Dio e del prossimo. Nonostante il proposito di tacere, il salmista decide, alla fine, di !?parlare con la lingua" (v 4c). Il "parlare" non è presentato, nel sai1 !&P, come un peccato, contrariamente all'opinione di Seybold, ma |jCome una liberazione, nel senso di Sal 32, 3-5: «Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre gemevo tutto il giorno... Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore». f\ $ La psicoterapia conosce l'importanza che il "parlare", l'aprire il V segreto del proprio cuore, ha nella guarigione delle malattie del! , anima. Anche Giobbe insiste nel voler esprimere la sua protesta a
$
37
2,1).
Dalla radice הגג, forma secondaria di הגה, "mormorare, meditare" (cf. Sal 1,
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Dio, nonostante il parere contrario degli amici (Cf. Gb 3, 1; 7, 11). Dio stesso gli dà ragione (cf. Gb 42, 8). Come Giobbe, anche il saimista ritornerà, alla fine, al silenzio (Sal 39, 10, cf. Gb 42, 4-5). Ma, appunto, alla fine. Prima egli deve "parlare con la lingua" 38.
LA SECONDA STROFA, W . 5 - 7
Come la prima strofa, anche la seconda è delimitata da un'inclusione. Il verbo ידע, "conoscere", ricorre all'inizio del v. 5 («fammi conoscere []הודיעני, JHWH») e alla fine del v. 7 («...non sa [לא ]ידעchi le raccolga»). Il verbo ידעforma inoltre un'ulteriore inclusione all'interno del v. 5, perché esso ricorre anche nel v. 5c ("saprò", )אדעה, così da divenire come il Leitmotiv della strofa. Esso esprime infatti un contrasto tra il salmista, che vuole "conoscere", positivamente (v. 5), e "l'uomo che si inalbera" ( )אדם נצבche, lui, "non sa" (v. 7). Anche qui si tratta di un tema sapienziale. Nel libro dei Proverbi spesso la "conoscenza" ( )דעהappare come sinonimo di "sapienza"^?^n) 39. Questa tematica viene ripresa nella strofa seguente mediante il termine נבל, "stolto".
Alla presenza di Dio (v. 5) Dopo la prima strofa, carica di emozionalità, ci si sarebbe aspettata una veemente protesta, sul tipo di quelle di Giobbe, invece il tono del v. 5 è molto rispettoso, umile si direbbe. Per questo Gunkel propone di correggere il testo e di leggere, al posto di הודיעני, "Fammi conoscere", un risentito: הודיעך, «Io ti faccio conoscere, JHWH, la mia fine» 40. Ma la correzione non ha il sostegno di nessuna delle antiche versioni. Forse la ragione di questo tono così riguardoso nei confronti di Dio è il fatto che il destinatario principale dell'ira del salmista non è, all'inizio, Dio stesso, ma il ( רשעcf. v.
38 Sul valore positivo dell'esprimere la protesta si veda Brueggemann 1986; Brueggemann 2001: «The lament psalm is a Jewish refusal of silence before God» (p. 22). 39 Cf. su questo Forster 2000, p. 37. 40 Gunkel 1986, p. 166. La giustificazione per questo cambiamento è la seguente: «Il testo si fonda su un cambio propositale, dovuto al fatto che ci si scandalizzava di fronte a parole troppo audaci ed umane».
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W jjt {; i. P :: I;
2d: «finché l'empio è di fronte a me»). Alla fine del salmo, il tono sarà diverso (cf. v. 14). «Fammi conoscere, JHWH, la mia fine». Il salmista non chiede di essere liberato dalla morte, come generalmente avviene nei salmi, ma di prender coscienza della sua precarietà. Interpretare diversamente questa frase, nel senso, per esempio, che il salmista chieda informazioni sul tempo della propria morte 41 , o sulle modalità di essa42, non appare illuminante. La considerazione della morte è un fél nomeno abbastanza tardivo nella letteratura sapienziale ebraica. f Nella sapienza più antica la morte non è il problema decisivo. Il ! pensiero della morte subentra quando il dogma della retribuzione / (chi fa il bene è felice, chi fa il male è infelice) entra in crisi. Nella vita non si vede realmente chi sia felice o no: per capirlo bisogna ; porsi nella prospettiva della morte: lì si vede chi sia realmente riu! scito nella vita (cf. Sal 37,2.9-10.20.22.28.36.38; 73, 17-20; Sir 1, | 13.23; 2, 3; 7, 36; 9, 11-12; 21,10) 43. Particolarmente vicino al no! ׳stro testo è Sal 90, 12: «A contare i nostri giorni facci ben capire, jj perché ne riportiamo un cuore di sapienza». | Contro una simile interpretazione si obietta che l'uomo sa già di f.' essere transitorio, non ha bisogno di una particolare rivelazione di| vina44. Uno lo sa in teoria, ma non ne è cosciente. La società attua| le evita in tutti i modi di pensare alla morte. Effettivamente l'uomo ! vive come se la morte non ci fosse, come se dovesse vivere in eter| no, e quando la morte viene, ci trova sempre impreparati. Perciò In,; l'orante chiede a Dio che gli dia la grazia di essere cosciente della propria transitorietà, quasi a dire che solo se Dio fa all'uomo quel i t o dono, la cosa è possibile: «Fammi conoscere... e io saprò». In | un articolo sul Sal 39, notevole per la sua profondità, W. Beuken af| ferma che solo la coscienza della propria fine può essere il fondalinento di un corretto rapporto con Dio 45 . f Diversamente dal Sal 90, nel Sal 39 il problema del salmista è la f presenza dell'empio (v. 2). In tal senso sono da accostare al nostro | salmo i sapienziali Sal 49 e soprattutto 73. In questi salmi l'irritazio-
I
?
I
41
Così interpretano, ad esempio, Baumann 1945-1948, p. 152, nota 1; M. Girard !996, p. 670. 42 | Forster 2000, p. 38. 43 Così C£ su questo Forster 2000, p. 37. 44 Cf. Alonso Schòkel e Camiti 1992, pp. 665-666.
Ì
God».4 5
Beuken 1978, pp. 2-6: «Impermanence, the ground of man's confidence in
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ne del salmista per il successo degli empi viene calmata attraverso la considerazione della precarietà della vita dell'empio. Il Sal 39 è originale, rispetto a questi paralleli, perché qui la risposta al successo degli empi viene ricercata attraverso la coscienza della propria precarietà (forse perché a questa considerazione il salmista è invitato dal fatto della propria malattia, cf. w. 11-12). Ciò succede nella preghiera, sotto gli occhi di Dio. Finora il salmo non era una preghiera vera e propria, ma un racconto autobiografico. La prima strofa era dominata dalla presenza di due personaggi, l'orante e il רשע. La preghiera inizia al v. 5, quando J H W H è invocato direttamente. C'è una precisa dialettica tra le due strofe. Nella prima strofa la collera del salmista nasce «finché l'empio è davanti a me,( »לנגדיv. 2), nella seconda la presa di coscienza della propria transitorietà avviene "davanti a Dio, ( "נגדךv. 6).
Il tempo della mia vita (v. 6ab) Le tre espressioni: "la mia fine" (5a), "la misura dei miei giorni" (5b, cf., per un parallelo, Sal 119, 84a) e "quanto precario io sono" (5c) sono chiaramente sinonimiche. L'aggettivo חדל, "transitorio, precario" (5c) forma paronomasia con il sostantivo " חלדdurata della vita" (6b): la durata della vita umana ( )חלדè fugace ( !)חדלIl legame del v. 5 con il v. 6 viene confermato anche dalla ricorrenza in ambedue del termine ימי, "i miei giorni" (5b e 6a). Ad ogni modo la particella הנה, al v. 6, segnala un nuovo inizio: il discorso passa da "Dio" (v. 5) al salmista stesso ("io", v. 6) 46 . I giorni del salmista sono "di (pochi) palmi". Il termine ebraico טפחdesigna le quattro dita di una mano e corrisponde circa a 7/8 cm. (cf. 1 Re 7, 26; Ger 52, 21). Viene indicata in tal modo la più piccola unità di misura lineare. Il parallelo, al v. 6b, suona: «il tempo della mia vita è come niente davanti a te». Il termine אין, "niente, assenza" è importante, perché è anche l'ultima parola del salmo (ואינני, "e più non sia"). Rispetto a טפחות, איןrappresenta un climax negativo, da "poco" a "niente". Questo passaggio è comprensibile, perché ora il tempo di vita del salmista viene confrontato con quello di Dio (נגדך, "davanti a te"). Sub specie aeternitatis la durata di una vita
46
Cf. sopra, p. 301, tab. 65.
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umana è davvero niente (Quod aeternum non est, nihil est). Come può un "niente" contestare Dio, dirgli come deve governare il mondo? La considerazione della propria precarietà insegna all'uomo quale sia il suo posto davanti a Dio. Ciò vale anche per noi cristiani, che crediamo nella resurrezione. La resurrezione non è un diritto, è un dono, che può avvenire solo quando l'uomo ha riconosciuto la sua transitorietà, il suo "essere mortale" 47 .
JJuomo che si inalbera (vv. 6c. 7) Tabella 66 6c Sù nient'altro che un soffio è ogni essere umano. per forte che sia! Sela. ESSERE UMANO 7a Veramente, come un sogno se ne va l'uomo. RICCHEZZA
7b per un soffio appena fanno tanto rumore, 7c ammucchia (ricchezze), ma non sa chi le raccolga.
I quattro stichi che seguono (6c.7abc) formano una composizione unitaria (cf. tab. 66), con un'accentuazione diversa da quella dei w. 56־ab. Finora infatti si parlava della vita del salmista stesso: ; il pronome di prima persona veniva ribadito ad ogni stico: "la mia fine" (v. 5a); "i miei giorni" (w. 5b.6a); "io" (v. 5c); "il tempo della ׳mia vita" (v. 6b), nei w. 6c-7 si parla invece della vita umana in geaerale (אדם, "essere umano", v. 6c; איש, "uomo", v. 7a). Contenutistiimamente, i quattro stichi parlano tutti della precarietà della condìumana. I primi tre sono introdotti dalla particella אך, "sì, davp^ero, solo" (vv. 6c.7a.7b). Gli ultimi due sono uniti tra loro dalla ^:considerazione delle ricchezze; mentre il termine חבל, "soffio", unitra loro il primo e il terzo stico (6c e 7b), suggerendo una struttura alternata (ABA'B'). Il termine סלה, al v. 6c, che probabilmente indica una pausa meditativa, si situa trasversalmente a questa struttura. E possibile che esso voglia sottolineare l'importanza decisiva ! All'affermazione del v. 6c, dal momento che anche l'altra ricorrenSa del termine è posta dopo il parallelo v. 12c. Qui però essa segna47 «Only in the condition that God has gained relevance for a life which ends in >גcan He come to mean something to people who begin to realize that, perhaps, de f ath has not the final word» (Beuken 1978, p. 6).
.
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la la conclusione della terza strofa, mentre al v. 6c סלהsta all'inizio della seconda. Soffermiamoci anzitutto sulla particella6) א ךc . 7 a . 7 b ) . Il suo significato può essere o restrittivo ("soltanto") o asseverativo ("sì, davvero"), potendo anche venir omessa nella traduzione. E interessante osservare che nel salterio essa appare in maniera preponderante nei due salmi di Jedutun, Sal 39 (4x) e 62 (6x), il che parla a favore di una parentela di questi salmi. Il v. 6c («Sì, nient'altro che un soffio è ogni essere umano, per forte che sia!») ha un parallelo quasi letterale nel v. 12c («Sì, un soffio è ogni essere umano»). Si tratta dunque di una specie di ritorneilo, come viene confermato dal fatto che ambedue le volte esso è accompagnato dalla annotazione: סלה. In realtà però ci sono delle differenze tra il v. 6c e il v. 12c (cf. tab. 67). Tabella 67 6c
Sì, nient'altro che è ogni essere umano per forte che sia ! Sela. un soffio è ogni essere umano ! Sela. 12c Sì, un soffio
Il v. 6c ha due "plus" rispetto al v. 12c: la particella universalizzante con valore rafforzativo bz, "nient'altro che", e il participio asa, "per forte che sia" (letteralmente: "eretto, in piedi"). Alcuni autori ritengono queste varianti errori scribali e le omettono (cf. BHS). Noi abbiamo optato per ritenere il TM. A nostro avviso infatti queste differenze sono propositali. Tra i due brani c'è una differenza di accento che è importante cogliere. Anzitutto la particella bD conferisce al v. 6c un valore enfatico che tradisce l'emozione dell'autore. L'affermazione della precarietà dell'essere umano viene sottolineata ("nient'altro che un soffio"), perché quest'essere umano è asa, cioè si crede eterno, nw è l'uomo "eretto" 48. L'aggettivo può indicare semplicemente l'uomo sano, in contrapposizione al malato, che giace disteso sul letto (cf. Zc 11, 16), ma può avere una connotazione negativa e indicare l'uomo orgoglioso che s'inalbera (cf. Gn 37, 7). Nel contesto del Sal 39, nsi fa riferimento al wh del v. 2d, riferimento che viene sottolineato dal testo G di 2d (èv T(5 avorf\vai ròv à48 Sul significato di 2x1 in Sal 39, 6 cf. Winton Thomas 1964, il quale però ritiene TM senza senso, e propone di eliminare dal v. 6 sia sia
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μ α ρ τ ω λ ό ν εναντίον μου, "mentre il peccatore sta ritto davanti a 01e"). I malvagi vengono dipinti spesso nel salterio come persone sane, robuste, ricche (cf. Sal 22, 30: «I grassi della terra»; 37, 35: «Ho visto Tempio pieno di violenza: si ergeva come un cedro verdeggiante»; 49, 13.21: «L'uomo in onore»). Il Sal 73 traccia un ritratto impressionante dei ( רשעיםseguiamo la traduzione CEI):
«Non c'è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. Non conoscono l'affanno dei mortali e non sono colpiti come gli altri uomini. Dell'orgoglio si fanno una collana e la violenza è il loro vestito. Esce l'iniquità dal loro grasso, dal loro cuore traboccano pensieri malvagi» (Sal 13, 4-1). È la perfetta antitesi dei giusti, che sono "poveri", soggetti spesso, come nel caso del Salmo 39, a malattie. Si comprende come il benessere dei malvagi venga visto da loro come uno scandalo. Queste descrizioni tradiscono l'emozione di chi scrive. Dunque, dopo che l'autore ha riflettuto su di sé, meditando sulla sua precarietà (w. 5-6b), ritorna al pensiero del malvagio che aveva suscitato la sua collera nella prima strofa. Ebbene anche lui, "per quanto forte sia", è "nient'altro che un soffio". Le due accentuazioni, כלe נצב, hanno tutta la loro ragion d'essere. Il termine הבל, "soffio, precarietà, vanità", costituisce il tema di fondo di Qohelet, come abbiamo osservato. Nei salmi, esso appare in 62, 10-11 (di cui si è già notato la parentela con il Sal 39, essendo anche questo un salmo di Jedutun); 94, 11; 144, 4. Il figlio di Adamo, Abele, portava questo nome (cf. Gn 4, 2). I due termini, אדם, "essere umano/Adamo", e הבל, "soffio/Abele", sono riuniti nel ritornello del Sai39 (w. 6c e 12c), così che un'allusione al cap. 4 della Genesi non è impossibile. Alonso Schòkel ha intitolato il suo saggio sul Sal 39: «Ogni Adamo è Abele» 49 . In antitesi allo "stare" ( )נצבdel v. 6c, nel v. 7a viene descritto l'"andare" ( )הלךdell'uomo. L'accostamento non è casuale, e conferma la bontà di TM: «Veramente, come un sogno se ne va l'uomo». Il significato della metafora del "sogno" viene chiarito dal parallelo Sal 73, 20 5°:
49 50
Alonso Schòkel 1988. Per questo parallelo cf. Hossfeld e Zenger 1993a, p. 249.
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«Come un sogno dopo il risveglio, così tu disprezzi, Signore, la loro immagine ( )צלםquando ti ridesti». Qui il termine צלם, "immagine", sta in parallelo con חלום, "sogno". Il parallelo è particolarmente interessante, perché Sal 39, 7 e 73, 20 sono gli unici due passi in cui si usa la metafora dell'immagine per indicare la precarietà della via umana. Generalmente il simbolo della fugacità è 1'" ombra" ()צל. Anche in italiano è corrente l'espressione: «come ombra che passa». Per i salmi, si veda Sal 102, 12; 109, 23; 144, 4. Non fa meraviglia perciò che CEI, con la maggior parte delle traduzioni moderne, legga nel nostro salmo צלin luogo di צלם. Sal 39, 7 e 73, 20 sono ancora simili perché in ambedue si parla della fugacità della vita umana non in generale, ma con riferimento ai malvagi. Come l'immagine di un sogno, la vita dei malvagi non ha consistenza, non ha niente a che vedere con la realtà. Inoltre è passeggera, fugace, perché svanisce al risveglio. Così sono gli empi: la loro grandezza è immaginaria, una bolla di sapone che presto si dissolve. In tal senso il verbo הלךhitpael acquista il senso di "andarsene, sparire" (come in Sal 8,8)ל,anziché quello di "andare in giro", come suggerirebbe invece l'accostamento con il v. 7bc. Strutturalmente, 7a va collegato con 6c, non con 7bc 51 . Questo significato viene raccomandato anche dal parallelo con il v. 14b (בתרם אלך, «prima che me ne vada»). Va ricordata qui l'interpretazione del Targum. Esso traduce così i due versi 6-7 52 : «Ecco, tu hai disposto che i miei giorni fossero pochi, e il mio corpo è come niente davanti a te. Anche se tutto è considerato un niente, solo i giusti sussisteranno tutti per la vita eterna. Veramente l'uomo va in giro come la statua di JHWH! Soltanto per niente essi si agitano. Egli raccoglie, ma non sa per chi raccolga». 51 noti come Tg unisca i w. 6c e 7a di TM. Esso interpreta positivamente il senso di נצבal v. 6c. Ciò che in TM ha un senso negativo, indicando l'uomo sano e orgoglioso con riferimento all'empio, acquista in Tg un senso positivo e viene riferito al giusto. L'unica via per superare la precarietà della vita è quella della "giustizia" («solo 31 52
Cf. sopra, p. 311, tab. 66. Cf. Angerstorfer 1986, pp. 3-4.
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i giusti sussisteranno tutti per la vita eterna»). Il v. 6c si trasforma così, da affermazione sulla fugacità della vita, in un atto di fede nella resurrezione. Analogamente, nel v. 7a, il termine צלם, che in TM ha un senso negativo ("sogno, immagine effimera"), acquista in Tg il senso positivo di "statua, immagine di Dio" nel senso di Gn 1,2627. Forster vorrebbe vedere anche in TM di 39, 7a un'allusione (naturalmente, qui, in senso negativo, contrario a quello di Tg) a Gn 1, 26-27 53 , ma la cosa sembra forzata. A mio avviso qui l'autore non fa un'affermazione sull'uomo in generale, ma vuole mettere in ridicolo la pretesa dell'empio orgoglioso. Che si parli del רשעè suggerito anche dal distico che tratta della vanità delle ricchezze (v. 7bc). La traduzione offre difficoltà, a jfe l|v, יcausa del cambio di numero tra il v. 7b, plurale, e il v. 7c, singolare. ftf, Gunkel propone di emendare, al v. 7b,יהמיון, "fanno rumore", con המון, "ricchezza" (cf. BHS), e giunge alla traduzione: «Per niente wù ׳ egli ammassa ricchezze, ma non sa chi le raccolga». Noi abbiamo preferito seguire TM, che è appoggiato anche dalle antiche versioni: il cambio di numero non è inusuale, soprattutto in testi poetici: si tratta di concordantia ad sensum. I paralleli conducono nuovamente ai Salmi 73 e 49. te
P׳ è!
«Veramente così sono gli empi ()רשעים: sempre felici, ammucchiano ricchezza su ricchezza» {Salii, 12); «Essi confidano nella loro ricchezza, e si vantano della moltitudine dei loro beni» {Sal 49, 7). Il tema della ricchezza viene proseguito nel v. 7c, che è il necessario complemento di 7b. Nel v. 7b si parlava del grande "rumore" che fanno i ricchi, del loro frenetico indaffararsi per procacciarsi ricchezze, nel v. 7c si dimostra la futilità di queste ricchezze ammassate con tanta fatica. Si tratta di un tema sapienziale, che, nell'Ai׳, viene sviluppato soprattutto in Qohelet (cf. Qo 2, 18-19.21; 4, 8; 5, 13-14) e nel Siracide (cf. Sir 11, 18-19; 14, 15), e viene ripreso, nel NT, in Le 12, 16-21. Lo sa molto bene l'autore del Sal 49: «Perché si vede: i saggi muoiono, e così periscono lo stolto e rinsipiente, e lasciano agli altri le loro ricchezze» (Sal 49, 11).
53
Forster 2000, pp. 44-46.
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Perciò egli invita a non scandalizzarsi per il successo dei malvagi: «Non aver paura se un uomo si arricchisce, se aumenta la gloria della sua casa, perché quando muore non può portare con sé tutto questo, la sua gloria non scende con lui» (Sal 49, 17-18). Il nostro testo è vicino alla prospettiva dei Salmi 49 e 73. La fugacità dell'uomo e dei suoi beni non sono una considerazione generale sulla condizione umana, ma vogliono essere un argomento per calmare un uomo scandalizzato di fronte alla prosperità del malvagio e, per contro, all'infelicità di chi si sforza di vivere obbedendo alla legge di Dio.
LA TERZA STROFA, W . 8 - 1 2
La particella רעתה, "e dunque", v. 8a, indica che inizia una nuova parte del salmo, la terza strofa. Dalla considerazione sulla fugacità della vita umana, condotta nella seconda strofa, l'autore ricava un insegnamento per il presente, per la sua attuale situazione. Dal punto di vista ritmico, la terza strofa presenta un'inversione rispetto alla seconda, avvicinandosi al ritmo della prima strofa 54 . Abbiamo infatti inizialmente quattro distici (w. 8.9.10.11), seguiti da un verso tristico (v. 12). Alla fine della strofa il ritmo si allarga, indicando la conclusione, che viene confermata dalla ripresa del ritornello sulla fugacità della vita umana (v. 12c, cf. 6c). Dal punto di vista del contenuto, la strofa è caratterizzata, come la precedente, dal passaggio del discorso da Dio ("tu", w. 8-9) al salmista ("io", w. 10-11) agli uomini ("egli", v. 12 55). La strofa presenta un passaggio dall'indicativo all'imperativo. All'indicativo (w. 8.10 e 12) il salmista pone la riflessione sulla transitorietà della vita, all'imperativo (w. 9 e 11) la supplica, tipica della lamentazione. Questa osservazione permette di collegare tra loro da una parte i w. 8.10 e 12 (AA'A"), dall'altra i w. 9 e 11 (BB') (cf. tab. 68).
54 55
Cf. p. 300, tab. 64. Cf. p. 301, tab. 65.
317
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Tabella 68 Versi A
B A' B׳ A"
8 9 10 11 12
Personaggio
} Dio (tu)
{
} Salmista (io) { Uomini (egli)
Contenuto
Forma
Precarietà della vita Supplica Precarietà della vita Supplica Precarietà della vita
Indicativo Imperativo Indicativo Imperativo Indicativo
Dio, l'unica speranza (vv. 8-9) La domanda del v. 8 è conseguente al riconoscimento della pròpria precarietà (w. 5-6b) e di quella degli uomini (w. 6c-7). Dove ha posto la sua speranza il salmista? Che cosa si aspetta dalla vita? Sicurezza? Ricchezza? Speranze vane! Ma proprio il riconoscimento della precarietà dei beni terreni permette di collocare la speranza nell'unico che non è transitorio, Dio. «A te si volge la mia attesa». I lessemi קרה, "sperare" (8a), e יחל, "attendere" (8b), sono tipici del gruppo di Salmi 38-40 (si veda 38, 16: «A te, J H W H , si volge la mia a t t e s a , 4 0 , 2;«הרחלתי:«Ho sperato, sì ho sperato קרה קריתיin JHWH»), Sono termini caratteristici del gruppo dei poveri di J H W H di epoca postesilica (cf. ancora Sal 25, 5.21; 31, 25; 33, 18.22; 130, 5; Lam 3, 25-30). Come fa comprendere Sal 37, 7 («Sta' in silenzio הרםdi fronte a J H W H , e spera התחרללin lui»), l'atteggiamento dell'attesa fiduciosa ( )חולe quello del silenzio ( )המםsono legati tra loro 56 . Così si comprende anche il legame che unisce il v. 8 e il v. 10 del Sal 39. Il "rimanere in silenzio" (v. 10: )נאלמתיè espressione della speranza in J H W H (v. 8: )תרחלתי לך היא. L'orante si rivolge a Dio con il titolo, rispettoso, di אררני, "mio Signore". Egli è cosciente della propria creaturalità. Egli sa, ora, di essere "niente" davanti a Dio, e che la sua vita dipende radicalmente da lui. Per questo dice, umilmente:אדוני. Nella supplica che viene espressa al v. 9, l'orante presenta a Dio i suoi due problemi: anzitutto la sua malattia (v. 9a), quindi i suoi nemici (v. 9b). In questo, il testo si connette con la prima strofa. Secondo la concezione dell'AT, la malattia è conseguenza del peccato, viene considerata una punizione per i peccati che uno ha commesso (cf. v. 12). Perciò il salmista chiede di essere liberato non diretta-
Cf. ThWAT III, col. 608 (Barth).
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mente dalla sua malattia, ma da ciò che ne è la causa, cioè dal peccato. Gesù ha messo in guardia da una connessione meccanica tra peccato e malattia (cf. Gv 9,3): in effetti la sofferenza rimane un mistero. Ma che esista un legame tra il disordine morale e quello fisico è ben conosciuto dalla medicina. Il vero "male" dell'uomo è quello morale, non quello fisico. Il tema del peccato era stato introdotto al v. 2 ( )חטאe verrà ripreso al v. 12 ()ערן. Il riconoscimento delle proprie colpe è caratteristico per la seconda parte del primo libro del salterio (cf. &z/32, 1). Nel gruppo di Salmi 38-41 il lessema חטא, "peccare", ritorna in ogni salmo (cf. Sai38, 4.19; 39, 2; 40, 7; 41,5). Dall'inizio alla fine del libro si può dunque osservare un processo di interiorizzazione: il male del salmista non risiede tanto nei suoi nemici, ma all'interno del suo cuore. Nel Salmo 39 si può osservare lo stesso processo: all'inizio il salmista pensava che il suo male risiedesse nel רשע. Ora invece egli prega di venir liberato non dai nemici, ma dal proprio peccato. Nel v. 9b si fa però menzione anche dei nemici. Il nemico viene ora qualificato come נבל, "stolto". Se la nostra analisi è corretta, i tre sostantivi רשע, "malvagio, empio" (v. 2d), אדם נצב, "uomo pieno di salute, orgoglioso" (v. 6c), e נבל, "stolto" (v. 9b), indicano la stessa persona. Colui che al v. 6 veniva chiamato "orgoglioso", viene chiamato ora, dopo che l'orante ha riflettuto sulla precarietà della condizione umana, "stolto". La sua sicurezza si è rivelata, agli occhi del saggio, come falsa, il suo successo una bolla di sapone. Secondo i salmi, נבל, "stolto", è l'uomo che non riconosce la sua dipendenza da Dio (Sal 14, 1; 74, 18.22, cf. Gb 2, 10). Il salmista si rifà al verbo "conoscere", che caratterizzava la seconda strofa (w. 5.7). Poiché l'uomo, nel pieno del suo vigore, non "conosce" (v. 7), egli è "stolto". Come dice Sal 49, 21: «L'uomo nello splendore non capisce, è come gli animali che periscono».
Sei tu che l'hai fatto (vv. 10-11) Al v. 10 il salmista ritorna a un atteggiamento di silenzio. Il rimando al v. 3a è chiaro, poiché TM usa lo stesso termine:נאלמתי. Ma il significato ora è diverso. Il primo "restare in silenzio" era awenuto "davanti al malvagio", era un silenzio forzato di fronte al successo dell'empio. Ora invece è un silenzio "davanti a Dio" (cf. v. 6). Sullo sfondo di Sal 37, 7 e 38, 14-16, questo silenzio si comprende
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come un atto di umile fiducia. Poiché l'orante "spera in Dio" (יחל, v. 8? cf. Sal 38, 16), egli giunge al silenzio, nonostante la presenza dei malvagi. I nemici non sono più il problema principale, anche se sono tuttora presenti (cf. v. 9). Egli ha riconosciuto la loro inconsistenza (v. 6c, cf. SalY!, 7b; 38, 14-15). Egli prende coscienza che dietro alla sua sofferenza c'è Dio, lui solo: «Sei tu che l'hai fatto» (lOb). Dio è la fonte della sua speranza, poiché gli uomini sono nient'altro che un soffio (v. 8), ma, per lo stesso motivo, egli è anche la fonte della sua sofferenza. In fondo il male radicale dell'uomo, la morte, non dipende dall'uomo, ma da Dio stesso. E lui che ha creato l'uomo mortale. Di fronte alla morte, l'uomo è impotente. Viene alla mente Giobbe. Alla fine del libro, quando Giobbe ha visto, dietro alla sua sofferenza, la mano di Dio, dice: «Ecco, io sono troppo piccolo. Come posso risponderti? Metto la mia mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non lo farò più; una seconda volta, ma non continuerò» (Gb 40, 4-5). I paralleli, già rilevati, con 1 5 7,53־ e Lam 3, 26.28 aprono il saimo a un'interpretazione collettiva, messa in rilievo da M. Mannari57. Secondo quest'autrice, l'orante del Salmo 39 non sarebbe un individuo, ma Israele. Ci sembra difficile accettare questo per il testo originaie: il carattere sapienziale è troppo marcato. Però, nel contesto canonico, il salmo è aperto a questa lettura. La frase: «perché sei tu che l'hai fatto,»עשית, fa pensare alla conclusione del Sal 22: «perché egli l'ha fatto, ( »עשהv. 32). Effettivamente il verbo ( )עשהesprime usualmente le grandi opere di Dio. Nel Sal 22, esso esprime la salvezza dell'orante. Nel Sal 39 invece si tratta della sua sofferenza (cf. w. 11-12): Dio ha fatto l'una cosa e l'aitra. Si avverte che il salmista non è ancora giunto alla pace 58. Egli vive combattuto tra fiducia e rivolta59. Non fa meraviglia che neanche questa volta riesca a tener fede al proposito di tacere. Anche il riconoscimento della propria colpa, al v. 9a, non risolve la questione, diversamente dal Sal 32. Là il problema del salmista era morale. Attraverso l'umile riconoscimento del suo peccato,
57
Marinati 1966 /, p. 69. «Il suo tacere somiglia piuttosto a una capitolazione di fronte allo strapotere di Dio, che non riesce a nascondere l'inquietudine interiore» (Forster 2000, p. 50). 59 Probabilmente G ha colto questo aspetto di rivolta nel testo, e ha corretto: òti ov 61 ó TTOLi^aag !16, «perché sei tu che mi hai fatto» (cf. sopra, p. 295). 58
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l'orante del Sal 32 era giunto alla pace (cf. Sal 32, 5). Nel Sal 39 la prospettiva è metafisica. Non si tratta di giustizia o ingiustizia: il giusto infatti muore come il peccatore. L'orante è giunto al nocciolo della condizione umana. Egli percepisce lucidamente l'essere uomo come un "essere per la morte". La supplica del v. 11 si collega con quella del v. 9. Al v. 9 si pregava per il perdono dei peccati, ora si prega per la cessazione dei "colpi". Con questa metafora si intende parlare della malattia, compresa come una serie di "colpi" ( )נגעinferii da Dio ("i tuoi colpi") per punire i peccati dell'uomo (cf. v. 12). Il termine נגעfa pensare a paralleli come Sal 73, 5.14; 89, 33, o anche Is 53, 4-5. Solo che in Is 53 la teoria della retribuzione viene messa in discussione, diversamente dal Sal 39. Se i peccati vengono perdonati (v. 9), i "colpi" dovrebbero cessare (v. 11). Come nel caso del "silenzio" ()נאלמתי, così anche in quello dei "colpi", il salmista fa riferimento al v. 3. Si parlava, là, di "dolore", כאב, qui di "colpi", נגע: si tratta sempre del fenomeno della sofferenza, vista nella sua dimensione teologica, in rapporto con Dio 60. Come motivazione per la supplica non viene addotta la giustizia dell'orante, ma la sua debolezza: «Sotto l'attacco della tua mano sono alla fine» (v. llb). Il perfetto כליתיesprime una particolare connotazione. «L'orante è già ora "alla fine", egli è giunto al punto estremo delle sue forze e sa che non è in grado di sopportare un altro colpo»61. La fugacità della vita umana viene usata come argomento per ottenere misericordia da Dio. Questo pensiero viene espresso anche in Sal 103, 13-14: «JHWH ha pietà di quelli che lo temono, perché sa di che siamo piasmati, ricorda che noi siamo polvere». Ma nel Sal 103 l'orante è giunto alla pace, mentre nel Sal 39 si percepisce la rivolta. All'orante del Sal 39 si avvicina Giobbe.
60 61
C£, per questo accostamento, Alonso Schòkel e Camiti 1992, p. 670. Forster 2000, p. 51.
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«Le tue mani mi hanno formato, mi hanno fatto; ma dopo ti sei voitato e mi hai annientato. Ricordati che mi hai fatto come argilla; ma ora mi fai ritornare in polvere» (Gb 10, 8-9). Come Dio è all'origine del bene dell'uomo, così egli è all'origine del suo male. Come Giobbe, il salmista percepisce Dio come nemico. Il termine תגרת, che si intenda come sostantivo o come verbo 62 , esprime indubbiamente l'attacco di un nemico. Un soffio è ogni uomo (v. 12) Nel v. 12 si passa dalla considerazione della propria transitorietà (w. 10-11) a una rappresentazione della condizione umana. Un simile passaggio era avvenuto alla fine della seconda strofa, ai w. 6c7: il parallelo viene confermato dalla ripresa quasi letterale del v. 6c in 12c. Per quanto simili, i due passi non sono identici, come sopra abbiamo rilevato. Nei w. 6c-7 si parla della condizione umana con riferimento ai malvagi (אדם נצב, "l'uomo che si inalbera", v. 6c), nel v. 12 in modo assoluto (כל אדם, "ogni uomo"). Il salmista, nel v. 12, pensa in primo luogo a se stesso, infatti l'accenno alla disciplina di Dio («quando educhi l'uomo con castighi per il peccato», 12a) fa riferimento ai "colpi" che lui sta ricevendo (cf. v. 11). Il v. 12 è intimamente collegato con il v. 11: per questo non è accettabile la pròposta di Gunkel e Seybold di trasporlo dopo il v. 7 63. Il v. 12 non è una supplica, ma una constatazione, perciò strutturalmente si pone in linea con i w. 8 e 10, ma dal punto di vista del contenuto esso raccoglie la tematica malattia-peccato che caratteriz25ava i w. 9 e 11 (cf. sopra, tab. 67). Dopo il termine חטא, "peccato" f(v. 2) e פשע, "ribellione" (v. 9), viene usato ora il termine ערן, "colpa". Il vocabolario del "peccato" è esaurito. Con la parola ערןsi indica la !«Conseguenza dell'atto peccaminoso, il destino negativo che pesa sul peccatore a causa del suo atto. La risposta di Dio al peccato dell'uomo viene rappresentata in ׳termini pedagogici. I verbi יכח, "correggere", e יסר, "educare", indicano comportamenti tipici di un padre o di un maestro. Per il giovane sono certo dolorosi, ma vengono considerati come espressione di amore. Nel libro di Giobbe è soprattutto Elihu, il più giovane de62 63
Cf. sopra, pp. 295-296. Cf. sopra, pp. 297-298.
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gli amici, che rappresenta la finalità pedagogica del dolore (cf. Gb 33, 19; 36, 10.15), ma tale funzione viene presentata sovente anche nei salmi (cf. Sal 6, 2; 38, 2; 73, 14). Per il NT si veda Eb 12, 5-11. Il termine תוכחות, "correzioni", fa riferimento, dicevamo, al נגע, "colpo", del v. Ila, e interpreta la malattia del salmista come una misura pedagogica. Attraverso la malattia, l'uomo impara che la sua vita è transitoria, che egli è una creatura, dipendente dal suo creatore. Il libro dei Proverbi riassume la funzione pedagogica della sofferenza: «JHWH corregge colui che egli ama, come un padre il figlio diletto» (Prv 3, 12). Dal tono sembra però che il salmista veda più l'aspetto negativo che quello positivo dell'"educazione" divina. Se potesse, rinuncerebbe volentieri a queste dimostrazioni di amore (cf. v. 11: «Allontana da me i tuoi colpi!»). Il verbo יסר, "educare", è al perfetto, come il verbo che segue, מסה, "distruggere". Traducendoli al passato, essi potrebbero alludere al racconto del peccato originale64 (cf. soprattutto Gn 3, 19.22). Non sarebbe la prima allusione, poiché al racconto della Genesi rimandano, si è visto, anche i due sostantivi אדםe הבל. Noi abbiamo preferito tradurre i due verbi al presente, dando all'affermazione un valore gnomico, sentenziale, ma ciò non toglie la validità dell'accostamento. L'aspetto negativo, doloroso, dell'"educazione" di Dio viene sottolineato nello stico seguente (12b): «Tu corrodi come un tarlo quanto gli è caro». Il termine חמודוè discusso. Si tratta del participio passivo di חמד, "desiderare". Diverse versioni moderne (King James; Elberfelder; EU) hanno "la sua bellezza", intendendo il participio in forma gerundiva ("desiderabile"), altre traducono invece "i suoi tesori", cioè "le cose da lui desiderate" (cf. CEI). Noi abbiamo seguito questa seconda traduzione. In questo senso il v. 12b rimanda al v. 7bc, dove si parlava della fugacità delle ricchezze. Il verbo חמדha spesso una connotazione negativa (cf. il decimo comandamento, Es 20, 17). Poiché l'uomo tende ad attaccare il suo cuore alla ricchezza, facendo di essa un idolo (si veda il peccato del vitello d'oro, sempre attuale), per questo essa viene distrutta da Dio. Il termine però è aperto ad un significato più ampio ("ciò che gli è caro"), alludendo alla transitorietà di tutto ciò che non è Dio. Probabilmente il fenomeno del tarlo ( )עשche corrode i tessuti era abbastanza frequente nell'Antico Oriente, perché ha lasciato
64
In questo senso cf. Forster 2000, pp. 51-52.
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tracce numerose nella Bibbia (cf. Is 50, 9; 51, 8; Gb 13, 28 e, per il Nuovo Testamento, Mt 6,19-21: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano...; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano..., perché là dov'è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore»). In Os 5, 12 Dio stesso si paragona a un tarlo, come nel Sal 39. Ciò che in Osea viene consumato impietosamente dal tarlo divino sono gli idoli (TM è incomprensibile, ma G ha τα ματαία, "le cose vane"), sicché il senso non è molto lontano da quello del nostro salmo. Per uno che si pone nella prospettiva della resurrezione, il far capire all'uomo la vanità di tutto ciò che non è Dio è un atto di amore, un indirizzarlo verso ciò che dura oltre la morte, al "cielo", nel linguaggio di Matteo. Tale speranza è riscontrabile anche nell'AT, e se ne trova traccia nei saimi. Il Sal 39 rimane, come Giobbe e Qohelet, nella constatazione dell'ineluttabilità della morte e della fine di tutti i tesori dell'uomo (cf. v. 14b) 65. Ed è percettibile (come potrebbe essere altrimenti?) un senso di amarezza. Tale amarezza è accentuata nella versione G, dove il "tarlo" diventa un "ragno" e passa da soggetto ad oggetto: έξέτηξας ως αράχνη ν την ψυχή ν αύτου, «Tu distruggi la sua vita come se fosse un ragno», un insetto ripugnante, che si schiaccia con la suola delle scarpe 66 . Il v. 12c riprende il v. 6c, ma non si tratta di ripetizione meccaiiica. Non si percepisce qui più nessun risentimento per l'"uomo che si inalbera" ()אדם נצב.1^' אדםdel ν. 12c è realmente ogni uomo. Il salmista pensa in primo luogo a se stesso. Veramente "ogni Adamo é Abele", anche se egli non viene ucciso da Caino. Si potrebbe dire, in forma paradossale: ogni uomo viene ucciso da Dio.
LA QUARTA STROFA, W . 13-14
La quarta strofa è composta, dal punto di vista ritmico, di un triStico (v. 13abc), seguito da due distici (13 de e 14ab). Essa opera ancora un'inversione rispetto alla strofa precedente, in cui il tristico veniva alla fine: perciò i due tristichi, w. 12abc e 13abc, sono accostati. 65
Si comprende perciò l'operazione del Targum, che trasforma il v. 7 in un'affermazione di fede nella resurrezione. 66 Probabilmente G ha ritenuto sconveniente paragonare Dio a una tignola, per questo ha attribuito il paragone all'uomo. Ma facendo questo ha peggiorato la situatone!
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Come la strofa precedente, anche questa alterna versi all'imperativo, caratterizzati dalla supplica (w. 13abc.l4), e versi all'indicativo, in cui si tematizza la precarietà della vita umana (13 de) (cf. tab. 69). La strofa precedente si era conclusa con un indicativo (v. 12); Tabella 69 Versi Personaggi 13abc Dio ("Tu")
' Salmista ("Io")
Contenuto
Forma
Supplica: positivamente Imperativo ("Ascolta") Motivazione: precarietà Indicativo della vita umana Supplica: negativamente Imperativo ("Distogli da me lo sguardo")
questa inizia perciò con un imperativo (v. 13abc), collegandosi, in certo modo, con l'affermazione fatta al verso precedente. La struttura della quarta strofa è, dunque, centrale: abbiamo agli estremi due suppliche (w. 13abc e 14), che fanno da cornice alla motivazione (־o, v. 13de), in cui si espone il motivo della fugacità della vita. Le due suppliche sono complementari: nella prima il salmista chiama l'attenzione di Dio su di sé, nella seconda espone l'oggetto della sua supplica. La prima costituisce una sorta di introduzione alla seconda. Esse sono anche in certo modo antitetiche, poiché nella prima il salmista chiede la vicinanza di Dio, nella seconda la distanza da lui.
Non tacerei (v. 13abc) I primi due stichi del v. 13 sono uniti tra loro da un chiasmo (cf. tab. 70). Il salmista chiede di venire ascoltato. Si ha talora l'impressione, quando si prega, di non venire ascoltati, che si parli al muro. Veramente la preghiera è un dialogo, misterioso finché si vuole, perché i due partner sono disuguali, ma reale. Essa è fondamentalmente uno scambio, un parlare e un ascoltare reciproco. Che questo non avvenga, è sentito dolorosamente, come se mancasse qualcosa che invece ci dovrebbe essere.
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Salmo 19
Tabella 70 la mia supplica
13 a. ascolta X 13 b .al mio grido
porgi rorecchio
L'oggetto dell'ascolto divino è espresso con tre vocaboli significativi. Il primo è ( תפלהv. 13a), designazione generale per la preghiera di supplica e di lamento dei salmi 67 . Il secondo termine è שועה, "grido, invocazione di aiuto" (v. 13b), che rappresenta un crescendo di intensità rispetto a תפלה. Il terzo sostantivo è דמעה, "lagrime" (v. 13c). Le tre parole sono disposte a climax, in crescendo. Dice il Talmud: «Quando le porte della preghiera sembrano chiuse, allora rimangono aperte le porte delle lagrime» 68. L'orante non ha più parole da dire, gli rimane solo l'espressione muta delle lagrime (cf. Is 38, 5; Sal 6, 7; 42, 4; 56, 9). Anche la risposta divina è posta in crescendo. Se אזןhifil (v. 13b) è pressoché sinonimo di ( שמעv. 13a), il verbo che segue fa un passo avanti. Si tratta però anzitutto di comprendere il senso di ( חרשv. 13c). Il verbo può avere i due sensi: "essere sordo" e "essere muto". Il parallelismo con i due verbi precedenti suggerirebbe la prima traduzione, così ha anche la maggior parte delle versioni moderne (cf. CEI, TOB, BJ), seguendo G ן1 ןוTrapaaiwTrìiagg. Ma le lagrime non fanno rumore, non sono "ascoltate", ma "viste" (cf. Is 3 8 , 5 = 2 Re 20, 5), sicché qui è più probabile la seconda traduzione: "non essere muto" 69. La "parola" di Dio suppone che egli abbia ascoltato il lamento e visto le lacrime. Poiché il salmista ha "taciuto" (v. 10), può chiedere a Dio che, lui, "non taccia". Per l'orante, il silenzio è il segno della sua umile accettazione della sofferenza, essa ha un significato positivo, ma questo non vale per Dio. Nei salmi il silenzio di Dio è segno della sua distanza, della sua collera, della rottura di una relazione 70 . Di per sé, il salmista non chiede di essere guarito, chiede che Dio parli. Anche Giobbe ha raggiunto la sua pace quando Dio ha parlato (cf. Gb 42, 1-6). La restituzione della salute e dei beni è ve-
67 68 69 70
Cf. Kraus 1978, p. 21. bBer 32b (cf. Goldschmidt 1929 I, p. 144). Così traduce la Elberfelderbibel («schweige nicht»). Cf. Forster 2000, pp. 53-54.
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nuta dopo: la vera svolta è stata operata dalla parola di Dio, quando Dio ha rotto il silenzio e si è manifestato nei fenomeni della natura (cf. Gb 38-41).
Uno straniero presso di te (v. 13de) Il termine כר, "straniero, forestiero" (v. 13d), indica un uomo che abita in un paese in cui non ha alcuna proprietà terriera e nessun parente. Deve perciò legarsi a qualcuno che gli conceda ospitalità, divenendo ciò che i romani chiamavano "cliente". Per questo il salmista aggiunge: «uno straniero sono io presso di te». Dio è colui che concede ospitalità al salmista. Il termine ( תושבv. 13e) è praticamente sinonimo di גר. Tale era la situazione degli israeliti in Canaan al tempo dei patriarchi (cf. Gn 23, 4) e poi in Egitto (cf. Es 22, 20; 23, 9, ecc.) 71. La Legge di Santità teologizza la situazione degli israeliti come גרים: «Il paese appartiene a me, e voi siete soltanto stranieri ( )גריםe forestieri ( )תושביםpresso di me» (Lv 25, 23). La prossimità di Sal 39, 13de con Lv 25, 23 è innegabile, così che appare giustificato riferire il nostro passo alla situazione di un ebreo in terra dTsraele. In questo senso il Sal 39 relativizza le pretese di possedere il paese, avanzate nel Sal 37 da parte dei "poveri di J H W H " (cf. Sal 37, 3.11.22.29.34). Può darsi che questa indicazione nel Sal 39 corrisponda ad un'effettiva situazione di precarietà della comunità giudaica del tempo, sotto dominazione straniera. Ma il carattere sapienziale del salmo permette anche un'altra interpretazione, che non esclude la prima e che è più in linea con il carattere prettamente individuale del salmo. L'affermazione del v. 13 de si allinea infatti alle altre sulla precarietà della vita umana (w. 5-7.12). L'"estraneità" dell'orante sulla terra è un'altra maniera per esprimere la sua "precarietà" («solo un soffio è ogni uomo», v. 12c). 71
L'espressione "poiché voi siete stati stranieri in terra d'Egitto" diviene come un ritornello nelle leggi sul ( גרcf. Lv 19, 34; Dt 10, 19). Spieckermann osserva su Sal 39, 13 d: «Ciò evoca alla memoria l'Egitto, senza che dell'Egitto si faccia realmente memoria. Perché questa è una memoria d'Egitto senza speranza di liberazione» (Spieckermann 1989, p. 62).
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La terra non è casa sua, egli è come «l'ospite di un sol giorno», di cui non si conserva il ricordo (Sap 5, 14). Il significato dell'affermazione viene illuminato dai paralleli. «Poiché noi siamo stranieri davanti a te, e forestieri come tutti i nostri padri; come un'ombra sono i nostri giorni sulla terra, e non c'è alcuna speranza» (1 Cr 29, 15). Il passo è chiaramente dipendente dal Salmo 39: esso unisce una citazione dal v. 13 de a una, ad sensum, dal v. 7. Esso allinea, cioè, l'affermazione sulla "estraneità" a quella sulla "precarietà". Anche questo testo oscilla tra una dimensione nazionale, giudaica, e una universalmente umana dei termini "( אברתuomini delle passate generazioni" ο "patriarchi"?) e "( ארץterra" ο "paese [d'Israele]"?). Per il primo termine sembra prevalente la dimensione nazionaie, nel senso degli antenati di Israele, mentre per il secondo il contesto fa pensare a una dimensione universale ("terra", non "paese"). Anche Sal 119, 19 denota una certa ambiguità: «Io sono straniero בארץ, non nascondermi i tuoi precetti». Come il brano delle Cronache, anche Sal 119 sembra dipendere dal Sal 39. Come va tradotto, in questo caso, בארץ: "sulla terra" ο "nel paese"? La Elbelfelderbibel traduce "im Land", "nel paese", mentre la maggior parte delle altre traduzioni hanno "sulla terra" (cf. CEI). Il testo è aperto a tutte e due le interpretazioni: così sembra essere anche per 'ùSal39. Accenniamo brevemente all'eco dell'espressione nel NT. Secondo 1 Pi 2, 11 i cristiani sono "stranieri e pellegrini" (πάροικοι και παρεπίδημοι) in questo mondo. La lettera agli Ebrei traccia un quadro suggestivo sulT"essere straniero" dei patriarchi: «Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini (ξένοι και παρεπίδημοι) sulla terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città» (Eb 11, 13-16).
מ
Questa è un'interpretazione cristiana del Sal 39. Per un cristia° יla patria vera non è sulla terra, ma nel mondo della resurrezio-
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ne 72 . Ma Forante del Sai39 non ha questa speranza. Per lui non esiste un'altra patria: tutto si gioca qui, su questa terra. Delitzsch sottolinea quest'aspetto: «Questo è, appunto, l'aspetto eroico della fede dell'Antico Testamento, che essa, in mezzo agli enigmi di questo mondo e con la prospettiva di un altro mondo che si perde nell'oscurità, si butta interamente nelle braccia di Dio»73. La professione di fede nel nostro salmo era stata già espressa al v. 8 («A te si volge la mia attesa», )תוחלתי לך היא. Nella fugacità della sua esistenza e del mondo, l'unica speranza del salmista è Dio. Tale fede viene riaffermata al v. 13d, quando all'espressione "io sono uno straniero", viene aggiunto: "presso di te, "עמך. Egli è sì straniero sulla terra, ma in essa egli è ospite di J H W H . Il גרaveva un particolare diritto alla larghezza di cuore del suo ospite, come abbiamo visto nel Sal 23 (cf. 23, 5-6). La speranza del salmista si trasferisce dalle cose materiali ("terra") alla sua relazione con Dio. Implicitamente è presente qui, almeno in nuce, una speranza di vita eterna. L'orante del Sal 39 non sa se esista una vita eterna, ma egli sa di es74 sere "con Dio, "עמך.Nel Sal 73, a questo עמך, "con te", viene aggiunta una parola importante: «Io sono con te per sempre, ואני תמיד { »עמךSal 73, 23). Qui viene espressa chiaramente la speranza nella vita eterna. Nel nostro salmo ciò non viene detto esplicitamente, ma implicitamente tutto è già contenuto nella parola עמך, "con te". «...un forestiero, come tutti i miei padri». Come si è notato, si discute se il termine "padri" ( )אבותsi riferisca ai patriarchi del popolo ebreo o agli uomini del passato. Il contesto, senza escludere la prima alternativa, favorisce la seconda. Nella seconda e nella terza strofa infatti abbiamo notato un movimento dalla considerazione della propria transitorietà ("io", w. 6ab.10-11) a quella del genere umano ("gli uomini", w. 6c7.12)־. Questo movimento, che è tipico del salmo, si può osservare anche all'interno del v. 13de: la prima 72
Si veda su questo il famoso passo della lettera a Diogneto. In questo tempo di rinascenti nazionalismi, forse non è superfluo ribadire questa dimensione dell'essere cristiano. 73 Delitzsch 1984, p. 304. 74 «Human existence ought to be comprehended not in terms of security of the landowner, very definitely a limited security, but rather and more authentically in terms of complete dependence on the One who owns the soil on which we live» (Beuken 1978, p. 10).
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parte dello stico è dedicata alla condizione del salmista ("io", 13d), la seconda alla condizione umana ("tutti i miei padri", 13e). Il tema, che nelle altre due strofe è ampiamente sviluppato, qui è appena acc e n n a t o , ma esso è presente (in questo dobbiamo correggere l'affermazione fatta sopra, che nella quarta strofa il salmista è solo con il suo Dio). Se confrontiamo tra loro i tre passi dove si parla della condizione umana, vediamo anzitutto che essi sono di lunghezza prògressivamente decrescente (quattro stichi nei w. 6c-7; tre nel v. 12; uno, anzi una parte di esso, nel v. 13). In secondo luogo, si può notare uno sviluppo del pensiero. Se nel primo brano si percepiva del risentimento nei confronti del רשע, nel secondo tale risentimento era assente: si parlava della condizione umana in generale, in cui il saimista stesso si includeva. Tale processo di identificazione continua nel v. 13e: il salmista è «forestiero, come tutti i miei padri», mortale come loro. Davanti alla morte non c'è distinzione tra pii ed empi, stolti e saggi75.
Distogli da me il tuo sguardo (v. 14) Il finale del salmo non corrisponde a ciò che usualmente viene chiamato "preghiera". Scopo della preghiera è infatti cercare la vicinanza con Dio, dialogare, cioè comunicare con lui. In questa direzione conduceva anche il v. 13, dove il salmista chiedeva che Dio lo ascoltasse e gli parlasse, addirittura si dichiarava ospite di Dio ()עמך. Tra il v. 13 e il v. 14 il contrasto è evidente. Nel v. 14 si chiede infatti, paradossalmente, che Dio allontani dal salmista il suo sguardo 76 . La presenza di Dio gli è divenuta intollerabile. Il contrasto tra i due versi è espresso dalle due preposizioni antitetiche: a עם, "con", v. 13d, corrisponde nel v. 14a מן, "via da".
75 Hossfeld intende i "padri" in riferimento agli "antenati nella fede" («alle glàubige Vorfahren», Hossfeld e Zenger 1993a, p. 251). Tale interpretazione sarebbe plausibile se nella formula "straniero presso di te" si sottolineasse il "presso di te". Ora 1 autore, nella seconda parte dello stico, riprende solo il tema dello "straniero", non quello del " con te" («forestiero come tutti i miei padri»), sottolineando l'aspetto della 1 Mortalità" nella condizione umana. 76 Noi leggiamo qui il verbo " שעהguardare", raccomandato dal parallelo di Gb 7, e 14, 6. Ma il senso non cambierebbe se si leggesse il verbo שעע, "incollare, chiudere (gli occhi)".
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Per quanto estraneo al nostro modo di pensare il testo possa apparire, esso è coerente con il resto del salmo, in cui l'orante oscilla continuamente tra "tacere" e "parlare", cioè tra l'umile accettazione della sua sofferenza e la protesta audace contro Dio 77 . Il salmista ha riconosciuto che la causa del suo soffrire non sono i malvagi (essi in fondo sono solo uomini, mortali come lui), ma Dio. E lui che ha fatto l'uomo per la morte, e quindi è lui che uccide l'uomo, che corrode come un tarlo, inesorabilmente, tutti i suoi tesori. E lui il vero nemico dell'uomo, che lo colpisce con i duri colpi della sua disciplina (cf. v. 12). Il salmista sa che questi colpi nascono da un atto di amore. Dio castiga l'uomo per il suo bene, ciononostante sente il peso di quest'amore terribile e chiede un momento di tregua: lasciami almeno per qualche istante in pace! Nonostante il v. 14 sia antitetico al v. 13, esso è la concretizzazione di quanto veniva chiesto al v. 13abc. Questa è la "supplica" (v. 13a), il "grido" (v. 13b), le "lagrime" (v. 13c) del salmista, che là si chiedeva Dio accogliesse. La richiesta del v. 14 si allinea, strutturaimente, a quella dei w. 9 e 11, ambedue caratterizzate dalla preposizione מן: «Liberami da ( )מןtutte le mie colpe» (v. 9a); «Allontana da ( )מןme i tuoi colpi» (v. Ila). Foneticamente ( הסר מעליv. Ila) forma paronomasia con ( הישע ממניv. 14a). I "colpi", di cui si parla al v. 11, cioè, fuori di metafora, la malattia del salmista, è conseguenza dello "sguardo" giudicante di Dio (v. 14). E d'altra parte, alla radice di questo "sguardo", il salmista vede il proprio peccato (v. 9). Le tre richieste sono dunque strettamente collegate tra loro: per smettere di castigarlo (v. 11), Dio deve distogliere da lui il suo sguardo (v. 14), cioè deve perdonargli le colpe (v. 9) (cf. tab. 71). Tabella 71 Colpa (v. 9) >־־
Sguardo (v. 14) >־־
Castigo (v. 11)
Ciò che il salmista chiede è, dunque, una pausa per "respirare", cioè un sollievo, anche se temporaneo, dalla sua malattia. Tale sollievo viene espresso mediante la metafora del "sorriso". «Distogli da me il tuo sguardo, e io sorriderò». Il verbo a*?s, "essere allegro, sorridere", è 77
Su questa apparente contraddittorietà del Salmo 39 cf. Alter 1985, p. 69: «The antithetical values of speech and silence, existence and extinction, perhaps even innocence and transgression, have been brought dangerously close together».
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un verbo piuttosto raro, che ricorre ancora solo in Am 5, 9; Gb 9, 27 e 10, 20. Quest'ultimo passo è particolarmente vicino al nostro testo. «Non son poca cosa i giorni della mia vita? Lasciami, sì ch'io possa respirare ( )ואבליגהun poco prima che me ne vada ( )בתרם אלךsenza ritornare, verso la terra delle tenebre e dell'ombra di morte» (Gb 10, 20-21, trad. CEI). La vicinanza dei due testi è impressionante. Il senso della dipendenza è, senza dubbio, dal libro di Giobbe al salmo. Questa dipendenza è confermata dall'altro verbo del v. 14: שעה, "guardare". Nel cap. 7, Giobbe fa il verso al Sal 8. «Che cos'è quest'uomo, che tu ne fai tanto conto e a lui rivolgi la tua attenzione, e lo scruti ogni mattina e ad ogni istante lo metti alla pròva? Fino a quando da me non toglierai lo sguardo ( )לא תשעה ממניe non mi lascierai inghiottire la saliva?» {Gb 7, 17-19, trad. CEI). Come il salmista del Sal 39, anche Giobbe è cosciente del suo peccato (cf. w. 20-21), e vede la sua sofferenza come un giudizio di Dio. Egli non discute la giustezza del giudizio divino, solo chiede un attimo di respiro, per "inghiottire la saliva", un'espressione quanto mai efficace per esprimere la sua stanchezza nel portare il peso della correzione divina. «L'uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma. Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi e lo chiami a giudizio presso di te?... Distogli lo sguardo da lui ( )שעה מעליוe lascialo stare finché abbia compiuto, come un salariato, la sua giornata!» (Gb 14,1-3.6, trad. CEI). Come Giobbe, anche il salmista giustifica la sua richiesta con la brevità della vita umana: «... prima che me ne vada e più non sia» (Sai39, 14b, cf. Gb 10,21). Si sono già osservati i precisi richiami al v. 7 (הלך, "andarsene") e al v. 6b (אץ, "non esserci, niente"). Ciò che là si diceva in generale della condizione umana, viene ora applicato al caso particolare del salmista. La fugacità della vita umana viene addotta come argomento per ottenere misericordia. Quasi a dire: la nostra vita è già così corta e così piena di affanni, perché negarle un sorriso? A un condannato a morte non si nega l'ultima grazia. Coine Giobbe, anche il salmista non aspetta una vita dopo la morte. La sua richiesta è modesta: solo un po' di respiro.
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
Uno si può chiedere: in fondo il salmista è credente o miseredente? Se egli vuol venire dimenticato da Dio, per aver un po' di sollievo, questo sembra aver poco a che vedere con ciò che comunemente viene chiamato "fede". Ma il parallelo di Giobbe lascia trasparire nelle parole di quest'uomo, duramente provato dalla sofferenza, una grande amicizia con Dio. Dio dà ragione alle parole apparentemente irriverenti di Giobbe, e dà torto a quelle apparentemente sagge dei suoi amici benpensanti (cf. Gb 42, 7-8). Solo chi ha una grande amicizia può parlare a Dio con parole così aperte. Dando uno sguardo d'insieme al salmo, possiamo dire che nella prima parte il salmista pone il problema del male nel mondo in termini morali. La presenza del malvagio suscita in lui la domanda sulla giustizia. Di fronte a questa domanda egli trova una soluzione ricorrendo al pensiero della morte. La morte mette a posto le cose: non c'è potente di questo mondo la cui prepotenza non venga ridimensionata dalla morte. Ma la soluzione del problema morale, la morte, è a sua volta problematica dal punto di vista esistenziale. Infatti quella che è la fine dei malvagi, è anche la fine dei giusti. In questo non c'è differenza tra giusti e ingiusti, pii ed empi. Al problema esistenziale il salmista non sa trovare soluzione. Si butta, cionostante, nelle braccia di Dio ()כי גר אנכי עמך. Così com'è, il Salmo 39 è più una domanda che una risposta. La conclusione può sembrare una bestemmia. Ma esso non è isolato nel salterio. Forse è un caso emblematico per comprendere che i saimi vanno letti nel loro contesto. La risposta al Sal 39 si trova nel Sal 40. D'altronde, anche solo come domanda, il Sal 39 ha senso, perché si tratta di una domanda vera 78.
78 «Il (le Ps 39) est non plus une réponse, mais un éveil: il sécoue notre léthargie spirituelle, en nous rappelant la tragique de la mort» (Mannati 1966, pp. 70-71).
SALMO 40
TRADUZIONE
1. Al maestro del coro. Di Davide. Salmo. 2. Ho sperato, ho sperato in JHWH, ed egli si è chinato su di me ed ha ascoltato il mio grido. 3. Mi ha fatto risalire dal pozzo della perdizione, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi, 4. e ha messo nella mia bocca un canto nuovo, una lode per il nostro Dio. Lo vedranno molti e temeranno, e confideranno in JHWH. 5. «Beato l'uomo che ha posto in J H W H la sua fiducia, e non si è messo dalla parte dei superbi e dei seguaci della menzogna. 6. Hai moltiplicato, tu, JHWH, mio Dio, i tuoi prodigi e i tuoi piani a nostro favore: niente a te si può paragonare. Io voglio annunciarli e parlarne: ma sono troppi per poterli raccontare. 7. Sacrificio cruento e offerta non hai voluto due orecchi mi hai scavato olocausto e sacrificio di espiazione non hai chiesto. 8. Allora ho detto: "Ecco, sono qui! ". Nel rotolo del libro sta ciò che a me è stato prescritto.
335IIregno di' JHWH e del suo Messia
9. Nel compiere ciò che ti è gradito, mio Dio, è la mia gioia, e la tua legge è dentro le mie viscere». 10. Ho annunciato la giustizia nella grande assemblea. Ecco, non chiuderò le mie labbra, JHWH, tu lo sai. 11. La tua giustizia non ho nascosto dentro al mio cuore. Della tua verità e della tua salvezza ho parlato. Non ho occultato il tuo amore e la tua fedeltà alla grande assemblea. 12. Tu, JHWH, tu non chiuderai a me la tua misericordia, il tuo amore e la tua fedeltà sempre mi custodiranno. 13. Perché mi hanno circondato sciagure fino airinverosimile; mi hanno raggiunto le mie colpe, e non riesco a vedere. Sono più numerose dei capelli del mio capo, e il mio cuore mi ha abbandonato. 14. Ti sia gradito, JHWH, liberarmi, JHWH, affrettati in mio aiuto.
= Sal 70, 2
15. Siano svergognati e confusi tutti insieme quanti cercano la mia vita per distruggerla. Indietreggino pieni d'infamia, quanti si compiacciono della mia sciagura. 16. Rimangano esterrefatti dalla vergogna, quanti mi dicono: «Ah, ah».
= Sal 70, 3
17. Si rallegrino e gioiscano in te tutti quelli che ti cercano. Dicano sempre: J H W H è grande, quelli che amano la tua salvezza. 18. Quanto a me, io sono oppresso e povero: il mio Signore pensa a me.
= Sal 70, 4
= Sal 70, 5
= Sal 70, 6
Salmo 19
335
Il mio aiuto e il mio salvatore sei tu: mio Dio, non tardare!
CRITICA TESTUALE
Verso 2 Dahood traduce: «constantly I called Jahweh» 1, supponendo un קרהII, "chiamare", alquanto improbabile, dal momento che il verbo קרהcon il significato abituale di "sperare" ricorre anche in 39, 8 (esattamente nella stessa forma di 40, 2:)קויתי. Verso 3 Il termine ebraico שאוןderiva dalla radice שאה. Di per sé la radice indica un "rumore assordante, in connessione con una catastrofe". Essa si accompagna usualmente con uno scenario apocalittico, sicché la traduzione "distruzione totale, annientamento" appare adeguata 2 . Verso 5a G ha qui ου έστιν το όνομα κυρίου έλπίς αύτοΰ, «la cui speranza è il nome del Signore». Probabilmente esso ha letto שם, "nome", al posto di ( שםTM). Il perfetto del verbo richiede di essere tradotto al passato ("ha posto") 3, in riferimento alla vicenda del salmista. CEI e molti altre traduzioni moderne hanno un presente ("spera"), che grammaticalmente è anche possibile, come "perfetto gnomico". Verso 5c רהביםè plurale di רהב, il mitico mostro del caos acquatico. Il termine può venir inteso in riferimento agli "idoli" 4, oppure, dal momento che רהבera designazione usuale dell'Egitto, in riferimento agli egiziani, come fa Seybold ("medici egiziani") 5, ο infine in riferimento a persone (CEI: "superbi").
1 2 3 4 5
Dahood 1965-1979 I, pp. 243. 245. Cf. ThWAT VII, col. 900 (Beyse). Cf. Haag 1995, p. 56. Cf. Zenger 1997, p. 94 («trügerische Mächte»). Seybold 1996, p. 165. La cosa ci sembra francamente fantasiosa.
336
II regnodi'JHWH e del suo Messia
( שטי כזבlett. "i clevianti della menzogna", cioè "quanti deviano dietro alla menzogna") può venire inteso in senso religioso ("servitori degli idoli menzogneri") 6, ο in senso interpersonale, indicando generalmente le persone bugiarde. Verso 6b אלהי. S e alcuni manoscritti ebraici leggono qui un pronome suffisso plurale (cf. BHS), che si spiega facilmente come concordanza con il plurale che segue:אלינו. Ma TM, in quanto lectio difficilior, va ritenuto. Verso lb Nell'edizione di Rahlfs, G ha ώτια, in corrispondenza a TM אזנים. La lezione è attestata solo dal salterio gallicano di Gerolamo, da un manoscritto della Vetus Latina e della Siriaca, mentre i grandi codici della LXX, Vaticano, Sinaitico e Alessandrino hanno σώμα, "un corpo". Come giustamente osserva Grelot 7 , la scelta di Rahlfs è corretta: infatti i grandi codici della LXX, scritti in epoca cristiana, sono probabilmente influenzati da Eb 10,5: σώμα 86 κατηρτίσω μοί («un corpo mi hai preparato»). Eb 10, 5 adatta il Salmo 40 all'awenimento di Cristo, facendo riferimento al mistero dell'incarnazione. La lezione secondaria ώτία riflette probabilmente il testo originario della LXX, che corrispondeva a TM. Verso 8 Il testo è aperto a diverse traduzioni, per cui rimandiamo all'analisi. Verso 12 a CEI, con la maggior parte delle traduzioni moderne, traduce con un imperativo: "Non rifiutarmi". Così ha anche G: μή μακρύνης. Per una tale traduzione, il testo ebraico dovrebbe avere la particella negativa אל. TM לא תכלאfa indubbiamente un'affermazione, non una richiesta. L'imperativo comincia al v. 14.
6
Cf. ancora Zenger 1997, p. 94 («Lugengòtzendiener»); Hossfeld e Zenger 1993 a,
p. 255. 7
Grelot 2001.
Salmo 19
337
Verso 13 לראות. Dahood ritiene che TM abbia poco senso, perciò corregge con «( לדאותI am unable to escape») 8. Giustamente Kselman rigetta quest'emendazione, poiché il "non vedere" è del tutto ragionevole: le lacrime impediscono la visione (cf. Lam 5, 17; Sal 38, 11) 9. Verso 14 I w. 14-18 hanno un doppione in SallQ, 1-6. Ma i due testi presentano piccole varianti. In 70, 1, per esempio, manca la frase iniziale di 40, 14: רצה יהוה, che forma un chiaro richiamo a 40, 9. Verso 15 L'avverbio יחד, "insieme", manca in Sal 70, 3, così pure l'espressione לספתה, "per distruggerla". Verso 16 In luogo di ישומו, "rimangano esterrefatti", Sai70, 4 ha ישובו, "ritornino / si convertano". G {Sai39, 16) KopiaaaGcoaav, "portino", ha letto probabilmente ( ישיבוcf. BHS). Verso 17 In luogo del tetragrammaton יהרה, Sal 70, 5 ha ( אלהיםsiamo nel salterio eloista). Verso 18
In luogo di יחשב לי, "pensa a me", Sal 70, 6 ha חושה לי, "affrettati verso me". In 40,18, il verbo חשבrichiama il termine 6,40) In luogo di אלהי, "mio Dio" (40, 18d), Sal 70, 6 ha יהרה, invertendo quanto avvenuto al v. 17 (Il 70, 5). Probabilmente ciò è dovuto all'intenzione di formare un'inclusione con il v. 2b.
8 9
Dahood 1965-1979 I, pp. 244.247. Kselman 1982a.
338
II regnodi'JHWH e del suo Messia U N SALMO, DUE O TRE?
Il Sal 40 non appartiene a un genere letterario puro. Esso inizia con un ringraziamento (più o meno i w. 2-11) e termina con una lamentazione/supplica (w. 12-18). Delitzsch osserva: «Il Magnificat precipita nel più lamentevole De profundis» 10. Si aggiunga il fatto che i w. 14-18 si ritrovano, con minime varianti, in SallO, 1-6. Non fa meraviglia che l'esegesi moderna parli usualmente di due salmi, distinguendo un Sal 40 A, ringraziamento, e un &z/40B, lamentazione. Molti autori tralasciano semplicemente il commento del Sal 40B, rinviando al Sal 70. Quanto alla divisione tra i due salmi, le opinioni si dividono, come mostra lo schema che segue (tab. 72). Tabella 72
Castellino11 Kraus 12 Braulik13
Sal 40A
Sal 40B
w. 2-11 w. 2-12 w. 2-12
w. 12-18 w. 13-18 w. 14-18
Si noti come i w. 12-13, soprattutto il v. 13, vengano considerati come elementi di transizione, forse redazionali, tra il primo e il secondo salmo. Leggermente diversa è la posizione di Zenger e Seybold. Costoro si pongono dal punto di vista della storia della redazione. In realtà questa posizione non è inconciliabile con una lettura unitaria, ma sottolinea fortemente l'eterogeneità delle componenti. Ambedue gli autori pervengono a una divisione ternaria del salmo: a) w. 2-5 (ringraziamento individuale); b) w. 6-12 (critica al culto); c) w. (13) 14-18 (lamentazione individuale). Secondo Zenger, la parte più antica sarebbero i w. 2-5, esilici; i w. 6-12 risalirebbero all'immediato postesilio 14. La parte più recente sarebbero i w. 14-18, ispirati alla pietà dei "poveri di JHWH". Per Seybold invece, la parte più antica sarebbero i w. 13-18. 10 11 12 13 14
Delitzsch 1984, p. 307. Castellino 1955, pp. 396-397; nello stesso senso anche Kittel. Kraus 1978, p. 458. Braulik 1975, pp. 35-36. Si veda qui la bibliografia precedente. Hossfeld e Zenger 1993a, pp. 252-253; cf. Zenger 1997, pp. 96-98.
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Dal punto di vista della Formkritik la divisione del Sal 40 in due salmi viene messa in discussione soprattutto da autori come Beyerlin 15, Crusemann 16 e Gerstenberger 17. Essi osservano che le due parti del Sal 40 non sono separabili, esse non sono complete ciascuna in sé, ma chiedono di essere poste in relazione reciproca. Al Sal 40A mancano alcuni elementi fondamentali per essere un'azione di grazie, così al Sal 40B ne mancano altri per essere una lamentazione. Le due parti non possono aver avuto vita indipendente, ma sono state composte per formare un'unità nel Sal 40. Questi autori spiegano la presenza dei w. 14-18 nel Sal 70 come un fenomeno secondario: anche noi, in qualche circostanza particolare, usiamo solo alcune strofe di un canto18. Nel frattempo, la lista degli autori che difendono l'unità del Sal 40 si è allungata. Soprattutto in tre direzioni: - Da una parte si pongono i lavori di Eaton 19 e Craigie 20, che sottolineano la dimensione "regale" del Sal 40. In quanto "liturgia regale", esso contempla insieme il ringraziamento per la salvezza avvenuta e la supplica per la salvezza futura. - Haag 21 e Mays 22 propongono un'interpretazione collettiva del Salmo 40. L'orante del salmo non sarebbe un individuo, ma Israele o un gruppo di persone, che pretende di essere il vero Israele. Il salmo rispecchierebbe la situazione dell'immediato postesilio, prima della ricostruzione del tempio (515 a.C.), si comprenderebbe così che da una parte si ringrazi per la liberazione dall'esilio, dall'altra ci si lamenti per le desolata situazione trovata nel paese di Israele. ־Da un punto di vista strutturale, i lavori di Ridderbos 23 e di Auffret 24 rilevano la coerenza dei w. 14-18 CW40B) con i w. Beyerlin 1967, pp. 219-220. Crusemann 1969, pp. 258-263. 17 Gerstenberger 1988, pp. 169-174. 18 Così Gerstenberger 1988, p. 169. 19 Eaton 1986, pp. 42-46 (non mi è stato possibile consultare il suo articolo The King's Self-Sacrifice: A Reinterpretation ofPs 40, in Alta. The University of Birmingham Review 3 [1967], pp. 141-145). 20 Craigie 1983, pp. 311-317. Si veda in questo senso, accentuando la dimensione messianica, anche Kidner 1973, pp. 158-161. 21 Haag 1995. 22 Mays 1994, pp. 167-171. 23 Ridderbos 1965; Ridderbos 1972, pp. 289-297. 24 Auffret 1987; Auffret 2001b. 16
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2-13 (Sal 40A). Non solo importanti lessemi della prima parte del salmo vengono ripresi nella seconda, ma anche la struttura delle due parti è costruita in modo simile. Tra i fautori dell'unità del Sal 40 sono ancora da annoverare, con differenti motivazioni, Weiser 25, M. Mannati 26, Alonso Schòkel 27, Kissane 28, Anderson 29, e Marin Heredia 30. E interessante notare l'evoluzione nei due lavori che Girard ha dedicato ai salmi. Nel libro più antico 31, egli difende decisamente la dualità compositiva del salmo, mentre in quello più recente 32 il giudizio è molto più sfumato. Prima di pronunciarci personalmente, è necessario impegnarci nello studio della struttura.
STRUTTURA 33
Contro le varie proposte di dividere il salmo in tre o quattro parti, le nostre osservazioni conducono a una divisione in due parti, w. 2-13 e 14-18. Esse sono sì congiunte da diversi lessemi comuni, ma mostrano una struttura diversa.
La prima parte (vv. 2-13) La prima parte del salmo è strutturata in cinque strofe (2-4.5־ 6.7-9.10-11.12-13), che hanno una simile quantità di versi ritmici (quattro o cinque) e sono disposte in forma centrale (ABCB'A').
25
Weiser 1966, Die Psalmen, p. 225. Mannati 1966, pp. 72-79. 27 Alonso Schòkel e Camiti 1992, pp. 679-680. 28 Kissane 1953, pp. 176-180. 29 Anderson 1972, p. 314: «Whatever was the history of this Psalm, in its present form it is a liturgical composition which begins with thanks for previous succour, and then proceeds with a prayer for deliverance from the present distress». 30 Marin Heredia 2000. 31 M. Girard 1984, pp. 329-331. 32 M. Girard 1996, pp. 686-689. 33 La mia proposta di struttura è originale, ma si appoggia soprattutto sul lavoro di Haag 1995, pp. 59-60. Mi sono servito anche delle osservazioni di Ridderbos, Girard e Auffret, citati nel paragrafo precedente. 26
Salmo 19
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La prima strofa (w. 2-4, A) è uno sguardo al passato, analogo alla prima strofa del Sal 39. Il salmista "racconta" (si parla di Dio, infatti, in terza persona) la sua meravigliosa esperienza di salvezza. La strofa è delimitata dall'inclusione tematica tra il v. 2a («Ho sperato, ho sperato in JHWH») e 4d («e confideranno in JHWH»). Alla fine della prima strofa il salmista dice che Dio "gli ha messo in bocca un canto nuovo" (v. 4a). Questo canto viene intonato nei w. 5-9. La prima parte del canto corrisponde alla seconda strofa (w. 5-6, B). Come risposta alla salvezza che Dio gli ha dato, l'orante può soltanto raccontare agli altri le imprese prodigiose operate da Dio. Facendo questo egli compie il programma che si era fissato nel v. 4cd: «Lo vedranno molti e temeranno, e confideranno in JHWH». Il centro della prima parte del salmo è costituito dalla terza strofa (w. 7-9, C). Come la prima, anche la terza strofa è delimitata da un'inclusione (v. 7a: «Sacrificio cruento e offerta non hai gradito, ;»לא חפצתv. 9ab: «Nel compiere ciò che ti è gradito, mio Dio, è la mia gioia,)»חפצתי. La terza strofa è unita intimamente alla seconda: ambedue infatti costituiscono il "canto nuovo" che il salmista intona come rendimento di grazie. Il racconto delle meraviglie di Dio era generalmente unito ad un sacrificio (cf. Sal 22, 27). Il salmista è giunto alla consapevolezza che il sacrificio non è risposta adeguata. «Amor con amor si paga» 34. Dio chiede a lui non un atto di culto, ma il culto della vita, cioè una vita vissuta nell'obbedienza amorosa alla sua legge. Nella quarta strofa (w. 10-11, B') l'orante riflette sul "canto nuovo" che egli ha finito di cantare. Con quest'atto egli ha adempiuto al suo dovere di annunciare agli uomini la giustizia di Dio. Anche questa strofa è caratterizzata da un'inclusione: «la grande assemblea, »קהל רב, w. lOb e Ile). Da un punto di vista tematico, la quarta strofa corrisponde alla seconda (w. 5-6, B). Ambedue parlano del "raccontare" le meraviglie di Dio. ! Fino a questo punto i verbi erano quasi tutti al perfetto, guardavano al passato. Nella quinta strofa (w. 12-13, A') i verbi sono al presente/futuro (forma jiqtol). A ben vedere, come è stato notato nella critica testuale, non si tratta di una supplica, ma di una
34
Si veda, su questo, il bell'articolo di Marin Heredia 2000, p. 13.
342
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constatazione. Qui si traggono le conseguenze per il presente e il futuro da ciò che è stato detto nei w. 2-11. Poiché l'orante ha adempiuto il suo dovere di ringraziare adeguatamente Dio per i benefici ricevuti, egli nutre la ferma fiducia che Dio, da parte sua, anche nel presente lo libererà dai mali che lo affliggono. In quanto finale della composizione 2-13, la quinta strofa mostra legami lessicali con tutte le strofe precedenti; in particolare con la prima strofa (AA') la corrispondenza viene segnalata dal verbo ( ראהw. 4c e 13d). La quinta strofa dunque chiude la prima parte del salmo. Essa, ripetiamo, non è una lamentazione: qui non viene espressa nessuna supplica. Essa però prepara la supplica che verrà fatta nella seconda parte del salmo (w. 14-18), mostrando così che la prima parte è incompleta senza la seconda. Finora il salmo si è mostrato perfettamente coerente: vanno perciò respinte le proposte di Zenger e Seybold di vedere nei w. 2-13 due diverse composizioni. All'inizio e alla fine (AA') viene rappresentata la salvezza di Dio, prima nel passato, poi nel presente. Al centro (BCB') si espone la risposta del salmista, che comprende due elementi complementari: l'annuncio della salvezza (BB') e 11 sacrificio della vita (C) (cf. tab. 73) Tabella 73 A B C B'
w. 2-4 w. 5-6 w. 7-9 w. 10-11
A׳
w. 12-13
35
Nel passato Dio ha salvato l'orante Ringraziamento I: annuncio delle meraviglie di Dio Ringraziamento II: il sacrificio della vita Attraverso il suo canto l'orante ha annunciato l'amore di Dio... .. .perciò ha fiducia che Dio lo salverà anche ora
Per questa struttura cf. Haag 1995, p. 59.
Salmo 19
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La seconda parte (vv. 14-18) Tabella 74 A B B' A׳
v. 14 w. 15-16 w. 17-18ab v. 18cd
Supplica per la salvezza divina nel presente Effetti della salvezza sui nemici del salmista Effetti della salvezza sugli amici di Dio Supplica per la salvezza divina nel presente
La seconda parte è caratterizzata da una struttura diversa (cf. tab. 74) 36. Anzitutto le divisioni strutturali riguardano unità ben minori che nella prima parte: non si può parlare propriamente di "strofe", perché l'ultima divisione consta solamente di un distico. Anche questa parte, come la precedente, è caratterizzata da un'inclusione:עזרתי, "mio aiuto", w. 14b e 18c. Tale inclusione lessematica fa risaltare la corrispondenza tra l'elemento A (v. 14) e A' (v. 18cd). Sono gli unici brani caratterizzati dall'imperativo (o, rispettivamente, dallo jussivo in seconda persona): solo in essi l'orante si rivolge direttamente a Dio. I w. 15-17 sono caratterizzati da una serie di jiqtol con valore jussivo ("Siano svergognati e confusi" [v. 15a]; "Indietreggino" [v. 15c]; "Rimangano esterrefatti" [v. 16a]; "Si rallegrino e gioiscano" [v. 17a]; "Dicano" [v. 17c]), seguiti sempre da una frase participiale ("quanti cercano la mia vita" [v. 15b]; "quanti si compiacciono" [v. 15d]; "quanti mi dicono» [v. 16b]; "quelli che ti cercano" [v. 17b]; "quelli che amano" [v. 17d]). Le prime tre frasi riguardano i nemici del saimista (w. 15-16, B), mentre le ultime due si riferiscono agli amici di Dio (w. 17-18ab, B'). Il v. 18ab non riguarda nessuna di queste due categorie, ma il salmista stesso. Uno sarebbe tentato di unire questo distico al seguente, separandolo dal v. 17, senonché il v. 18ab è caratterizzato, come i w. 15-17, dal jiqtol in terza persona ()יחשב, mentre il v. 18cd passa all'appello diretto di Dio ()אל תאחר. Inoltre il v. 18ab forma un chiasmo con la serie 15-17, caratterizzata dalla successione verbo + frase participiale: in esso viene prima la proposizione nominale («Io sono oppresso e povero»), poi il verbo («il mio Signore pensa a me»). Sembra dunque più appropriato considerare il v. 18ab come conclusione della terza unità (w. 17-18ab). 36 Per questa struttura, che differisce leggermente da quella proposta da Haag, cf. Braulik 1975, pp. 189-201; M. Girard 1984, p. 324; Auffret 2001b, p. 407.
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Il Salmo 40, 2-18
La struttura dei w. 14-18 è molto coerente. Essa imita in certo modo quella dei w. 2-13, infatti anche qui all'inizio e alla fine si parla dell'aiuto divino (AA', w. 2-4.12-13), al centro degli uomini (BCB\ w. 5-11). Soprattutto impressionante è la ricorrenza, in 14-18, di numerosi lessemi della prima parte, cosa che non sempre è vera per il Sal 70: רצה, "compiacersi", w. 9a e 14a (assente in 70, 2); חפץ, "trovare gioia", w. 7a.9b e 15d; רעה, "sciagura", w. 13a e 15d;אמר, "dire", w. 8a.llc e 16b.l7c (in due casi, in 8a e 16b, il verbo introduce una citazione diretta); תמיר, "sempre", w. 12c e 17c; תשועתך, "la tua salvezza" w. I l e e 17d (in 70, 5 il termine è leggermente diverso: ;(ישועתך חשב, "pensare", w. 6c e 18b (assente in 70, 6);אלהי, w. 6b e 18d (cf. 4b 6,70)(אלהינוha, in luogo di אלהי, )יהרה. Anche la contrapposizione dei due gruppi, "nemici del salmista" e "amici di Dio", tipica della seconda parte del 40 (w. 1517), trova riscontro nella prima parte. Da un lato, infatti, vengono posti i "molti" (רבים, v. 4c) e la "grande assemblea" (קהל רב, w. lOb.lle), a cui il salmista annuncia la buona nuova della salvezza, dall'altro i "superbi" ( )רהביםe i "seguaci della menzogna" ()שטי כזב, da cui il salmista prende decisamente le distanze. La designazione del salmista come "oppresso e povero" ( 1 8.^ ע נ יואביוןa ) è esat mente l'opposto dei "superbi". Inoltre la "confusione" e "delusione" dei nemici (w. 15-16) e la "gioia" degli amici di Dio (v. 17) sembrano formare inclusione con il tema della speranza che caratterizza l'inizio del salmo («Ho sperato, ho sperato in JHWH», v. 2). "Felice" (אשרי, v. 5) è colui che ha posto la sua speranza in Dio, e felici, pieni di gioia sono quelli che cercano Dio (v. 17), mentre la speranza dei nemici dell'orante sarà delusa (w. 15-16). D'altra parte è innegabile che tra la prima e la seconda parte ci siano delle differenze di stile: la seconda parte è meno originale della prima, usa un vocabolario per tanta parte "formulaico", che ricorre frequentemente nei salmi37. Oltre al parallelo del Sal 70, è da notare che intere frasi ritornano nel Sal 35 (cf. 35, 26-28). Forse, perciò, l'unità del Sal 40 non è originale. Comunque, dal punto di vista canonico, il salmo va interpretato unitariamente, perché que37
Culley 1967, p. 106; Braulik 1975, pp. 205-214.
Salmo 19
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sta è la forma in cui è stato accolto dalla tradizione. La nostra analisi strutturale consente di concordare con l'affermazione di Auffret: «Che l'autore finale sia anche quello della seconda parte, o che egli l'abbia presa in prestito e adattata, resta il fatto che egli ha realizzato nel nostro Sal 40 un'opera bene strutturata e unificata, di cui non è possibile ritenere l'una o l'altra componente come secondaria» 38 . SITZ IM LEBEN
Il fatto che il Salmo 40 non possieda un genere letterario puro, ma sia composto di un ringraziamento e di una supplica individuale, aiuta a collocarlo tra i salmi "postcultuali", il cui Sitz im Leben non è la liturgia, ma la pietà individuale (cf. v. 18). Braulik ha ricercato attentamente i paralleli della prima parte del salmo. Questa è una sorta di mosaico di citazioni dal Deutero- e Tritoisaia, ma anche dalla redazione deuteronomistica del libro di Geremia e dal Sal 22, indizi che orienterebbero per una data postesilica del salmo. Gli accenti critici rispetto al culto (w. 7-9) potrebbero far pensare a un'epoca in cui non esisteva il tempio, e in cui perciò il popolo di Israele era costretto a trovare un sostituto per i sacrifici. Così Haag vorrebbe datare il salmo nell'immediato postesilio, prima della ricostruzione del tempio 39 (cf. Sai51, 20-21). Braulik nota che il termine "grande assemblea" si riferisce al culto sinagogale, non a quello del tempio 40. Per quanto suggestiva sia questa proposta, si potrebbe anche pensare a un gruppo alternativo rispetto al sacerdozio ufficiale, all'epoca del secondo tempio, come propone Zenger. Il salmo sarebbe tipico della pietà degli •־nas;, che prendeva le distanze dal culto del tempio. L'epoca sarebbe quella persiana o forse anche ellenistica (V-IV sec. a.C.) 41 . Gli indubbi tratti "regali" del salmista sono dunque da intendere in senso non reale, ma messianico, che si accompagna a una "democratizzazione" della prospettiva regale, nel senso che "Davide" diviene figura esemplare di ogni israelita. 38
Auffret 2001b, p. 416. Haag 1995, p. 61. 4 0 Braulik 1975, pp. 253-254. 41 Hossfeld e Zenger 1993a, p. 14; cf. Albertz 1992, pp. 569-576. 39
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II regnodi'JHWH e del suo Messia LA PRIMA PARTE, vv. 2 - 1 3
La prima strofa (vv. 2-4) Tabella 75 Io
ho sperato in JHWH si è chinato ־ha ascoltato - ha fatto risalire JHWH { ha stabilito - ha reso sicuri - ha messo Molti confideranno in JHWH
A
v. 2a
B
w. 2b-4b
A' v. 4cd
La prima strofa è delimitata, come abbiamo osservato, da un'inclusione. All'inizio viene sottolineata la fede del salmista («Ho sperato, ho sperato in JHWH», v. 2a), alla fine la fede dei "molti" («confideranno in JHWH», v. 4d). In mezzo, tra l'atto di fede del salmista e quello dei molti, si espone l'agire di Dio, mediante una catena di sei verbi legati con il wajjiqtol, aventi tutti Dio per soggetto: "egli si è chinato" (ויט, v. 2b); "ha ascoltato" (וישמע, v. 2c); "mi ha fatto risalire" (ויעלני, v. 3a); "ha stabilito" (ריקם, v. 3c); "ha reso sicuri" (כונן, l'unico verbo unito asindeticamente, v. 3d); "ha messo" (ויתן, v. 4a) (cf. tab. 75). Il salmo inizia con un'enfatica dichiarazione di speranza:קרה קויתי, «Ho sperato, ho sperato». Si è visto che Dahood (e Braulik) optano per intendere «Ho gridato con insistenza a JHWH». Noi abbiamo rigettato questa traduzione, ma la proposta fa capire che l'affermazione della speranza, all'inizio del salmo, è strana. Forse è un indizio che il Sal 40 va letto in unione con il Sal 39 42. Qui infatti si parla di speranza. Il verbo קרהappare in 39, 8: «In che cosa ho sperato ()מה קויתי, mio Signore? A te si volge la mia attesa». Sal 40,2 sembra volersi agganciare a questa dichiarazione del salmista, interpretando tutto il Sal 39 dal punto di vista della speranza. Il salmista del Sal 39 è lo stesso anche del Sal 40: Davide. Perciò questo: "ho sperato", viene riferito naturalmente, nella lettura continua dei salmi, alla preghiera del Sal 39, intesa come un atto di fede, nonostante gli accenti provocatori del verso finale. Il significato del verbo קרהè discusso. Si è proposta la derivazione dal sostantivo קו, "cordone, spago", con il senso fondamentale di 42
«The theme of waiting, expounded in Psalm 37, has had its painful application in Psalms 38 and 39, but now its triumphant outcome» (Kidner 1973, p. 158).
Salmo 19
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"essere teso, tendere a un fine" 43. Il verbo ha sempre un oggetto: uno "spera", "attende" sempre qualcosa o qualcuno 44 . Qui, come spesso nei salmi, l'oggetto della speranza è JHWH. Il verbo appare anche in Isaia e Geremia, dove però ha generalmente un senso collettivo, rappresentando la speranza di Israele (cf. Is 25, 9; 26, 8; 40, 31; 49, 23; 51, 5; Ger 14, 8.22; 17, 13; Lam 3, 25-26). Questi paraileli fanno cogliere la possibilità di intendere anche il Sal 40 in forma collettiva. Al movimento dell'uomo verso Dio, corrisponde il movimento di Dio verso l'uomo. «Egli si è chinato su di me». Non si tratta di "piegare le orecchie" per ascoltare, ma di piegare la persona, ossia di "piegarsi" 45. Il verbo esprime l'abbassarsi, la "con-discendenza" di Dio nei confronti dell'uomo, come in Es 3, 8 o 0 5 4,11 ־. «Ha ascoltato il mio grido». Anche qui si può cogliere una ripresa del Sal 39. Questo infatti suonava, al v. 13: «Ascolta la mia supplica, JHWH, al mio grido porgi l'orecchio». Sal 40, 2 sembra voler dire che Dio ha "ascoltato" la supplica dell'orante del Sal 39. Nel v. 3 vengono contrapposte due immagini: il pozzo fangoso e la roccia. Il pozzo è profondo, la roccia è elevata. Il pozzo non offre appoggio, la roccia è solida, offre appoggio ai piedi. Dio scende non solo sulla terra, ma sottoterra, nel "pozzo" che è simbolo del regno dei morti. בורè, secondo HALAT, la «cisterna, una cavità a forma di pera, spesso profonda, scavata nel suolo roccioso, che serve come serbatoio per l'acqua piovana». Quand'era vuota, poteva venir usata come prigione (cf. fig. 19) 46, come nel caso di Giuseppe Fig. 19. «Mi ha fatto risalire dal pozzo della perdizione, dal fango della palude» (Sal 40, 3). Il termine ברדindica in ebraico propriamente la "cisterna", ma, poiché la forma delle tombe era molto simile a quella di una cisterna, esso indica anche la tomba. La cisterna poteva servire anche come prigione (cf. Ger 38,6): nel qual caso il suo fondo melmoso, per i resti d'acqua mescolata a fango e a detriti che l'acqua stessa vi aveva depositato, e maleodorante, per le feci del prigioniero, la rendeva realmente un luogo di morte.
43
Cf. ThWAT VI, coli. 1225 -1226 (Waschke). La dimensione dell'"attesa" è sottolineata da G: UTrofiévojv aspettato pazientemente». 45 Così giustamente Delitzsch 1984, p. 306. 4 6 Da Keel 1984, p. 61, fig. 78. 44
\me\ieiva,
«ho
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II regnodi'JHWH e del suo Messia
(cf. Gn 37, 20.22.24.28-29; 40, 15; 41,14) e soprattutto di Geremia (Ger 38, 6-7.9-13): «Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia (...), la quale si trovava nell'atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non c'era acqua, ma fango, e così Geremia affondò nel fango» (Ger 38, 6). Il termine שאון, che specifica la "cisterna", la qualifica come un luogo di "annientamento". Il termine שאוה, con cui gli ebrei chiamano lo sterminio al tempo dei nazisti, deriva dalla stessa radice. E dunque la "cisterna" ha un significato simbolico: essa è sinonimo di morte e del regno dei morti. "Quanti scendono nella cisterna" ( )ירדי בורè espressione corrente per indicare i morti. Infatti la forma della tomba è simile a quella di un pozzo o di una cisterna. Nel caso del Sal 40, si può pensare forse ad una grave malattia: al v. 13 c si parla infatti di "colpe", che erano generalmente considerate la causa della malattia. In un'interpretazione collettiva del salmo, la cisterna diviene il simbolo della cattività babilonese. E normale parlare di "fango" della cisterna (si veda Ger 38, 6), perché l'uso abituale della cisterna era quello di essere un serbatoio per l'acqua piovana. Con l'acqua della pioggia scendeva nella cisterna anche la terra e la polvere, che facevano del fondo della cisterna una poltiglia fangosa. Si aggiunga che i prigionieri non avevano altro luogo per fare i loro bisogni, sicché si trattava di un fango maleodorante, come esprime la Volgata (de luto fecis). L'immagine della cisterna caratterizza anche il Sal 69: «Salvami, o Dio, l'acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango ( )יוןe non ho sostegno» (w. 2-3); «Salvami dal fango ( )טיטche io non affondi, liberami dai miei nemici e dalle acque profonde» (v. 15). L'acqua e il fango della cisterna qui sono simbolo di una malattia mortale, come nel nostro salmo, ma l'immagine è aperta per indicare ogni tipo di pericolo 47 . Il Dio che si era "chinato", che era sceso nel pozzo di morte, ora "fa risalire" di là il suo fedele. Il verbo עלהè tipico della liberazione dall'Egitto, ma in Ger 16, 14-15 ( - 23, 7-8) questa esperienza di liberazione viene estesa a quella dalla diaspora dell'esilio. Si potrebbe anche qui, dunque, pensare a una lettura collettiva del saimo, anche se il senso individuale è perfettamente coerente. 47
Craigie pensa, per esempio, ad una "crisi militare" (Craigie 1983, p. 315).
Salmo 19
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La "roccia" ( )סלעè un antico simbolo di J H W H (si pensi alla "roccia sacra" nell'attuale moschea di Omar in Gerusalemme, oppure a Sal 18, 3). Della roccia si sottolinea soprattutto la solidità, in contrasto con la mobilità del fango, che non offre un appoggio per i piedi. Si può pensare all'esperienza di uno che non sa nuotare e si trova improvvisamente in acque profonde. Quando finalmente egli riesce a sentire terra sotto i suoi piedi, è segno di salvezza. Per un parallelo cf. Sal 18, 5-6, oppure, in altro senso, 18, 32-34.37. L'inno di ringraziamento viene generalmente considerato la controparte dell'orante, la "risposta" dell'uomo all'esperienza di salvezza. In Gb 33, 26-28 questo procedimento viene esemplarmente descritto, in termini che fanno pensare al Sal 40 (si veda il termine שחת, ai w. 28 e 30) 48. Nel Sal 40, anche quella che doveva essere la parte dell'uomo viene presentata come un dono di Dio: «Ha messo nella mia bocca un canto nuovo». Con questa espressione il saimista esprime la consapevolezza che il salmo da lui intonato (cioè i w. 5-9) non sia parola sua, ma Parola di Dio. L'espressione "mettere nella bocca" ()נתן בפי, ricorre infatti ancora solo in Dt 18, 18, in cui si parla del profeta escatologico, e in Ger 1, 9, nel racconto della vocazione di Geremia. Il salmista si sente investito di una missione profetica. Il "canto" dell'orante è "nuovo", שיר חדש. Il salmista può riferire il termine alla sua esperienza di salvezza: in quanto salvato dalla morte egli è come risuscitato, rinato a una vita nuova. Ma l'espressione שיר חדשha un sottofondo biblico, studiato soprattutto da J. Marbòck 49 . L'esegeta austriaco prende spunto da una frase di Westermann: «Solo al tempo dell'esilio si è parlato di una "cosa nuova" nella storia di Dio con Israele» 50 . Il profeta del "nuovo" è soprattutto il Deuteroisaia. Qui viene usata anche l'espressione ( שיר חדשcf. Is 42, 10), in connessione con il nuovo esodo che J H W H realizza liberando il suo popolo dall'esilio (Is 42, 9, cf. 43, 19; 48, 6-7): «I primi fatti, ecco sono avvenuti, e i nuovi ( )חדשותio preannunzio; prima che spuntino, ve li faccio sentire. Cantate a JHWH un canto nuovo ()שיר חדש, la sua lode ( )תהלתוfino all'estremità della terra» (Is 42, 9-10). 48 Per un confronto dei due passi cf. Braulik 1975, pp. 170-172. Secondo Braulik, Giobbe dipende dal Sal 40. 49 Marbòck 1991. 50 Cf. THAT I, col. 526.
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Delle cose nuove operate da Dio nel nuovo esodo, fa parte anche il perdono delle colpe e la "nuova alleanza", annunciati da Ger 31, 31-33 e Ez 36, 22-28. Is 65, 17 parla di una nuova creazione: «Poiché ecco io creo cieli nuovi e terra nuova, e non si ricorderanno più le cose passate, non verranno in mente». A detta di Marbòck, tutti i passi dei salmi che parlano di "fare nuove le cose, rinnovare" (cf. Sal 51, 12; 103, 5; 104, 30) e di "canto nuovo" {Sai33, 3; 96, 1; 144, 9; 149, 1) si collocano in questo orizzonte, riferendosi alla predicazione del Deutero- e Tritoisaia, di Geremia e di Ezechiele 51 . Nella liberazione dall'esilio, questi profeti insegnarono a vedere l'irrompere del regno escatologico di Dio. Ciò viene riportato, nel nostro salmo, alla salvezza del salmista. Come nel Sal 2252, anche qui, con la salvezza del povero si è verificato l'avvento dei tempi escatologici. Perciò il canto che egli intona è "nuovo". Si noti il cambio di numero, da פי, "la mia bocca", a אלהינו, "il nostro Dio". Il salmo oscilla continuamente tra la prima persona singolare e la prima plurale (cf. ancora il v. 6:אלהי, "mio Dio", e אלהינו, "in nostro favore"). Dietro alla salvezza dell'individuo si intravede quella del popolo. Un analogo oscillare da un significato individuale a uno collettivo caratterizza la figura del servo di J H W H nel secondo Isaia, che a volte è identificato con Israele (cf. Is 49, 3), mentre altre volte ha indubbiamente tratti individuali (cf. Is 49, 5). Sullo sfondo del Deuteroisaia si illumina anche l'espressione che segue nel v. 4c: רבים, "molti". Se si prende in considerazione il contesto del salmo, si è naturalmente portati a ritenere רביםcome sinonimo di קהל רב, "la grande assemblea" (w. lOb e Ile). Da 22, 23.26 sappiamo che quest'ultima espressione designa l'assemblea liturgica del popolo di Israele53. Haag, ad esempio, vede nei רבים di Sal 40,4 il compimento della promessa di fecondità fatta ad Abramo 54 . Ma nel cosiddetto "quarto canto del servo" {Is 52, 13 -53, 12) il termine רביםritorna ben 5 volte (52, 14.15; 53, ll.12a.12b), sempre con un significato ben preciso: esso indica i popoli pagani 55 . Dunque tra le due espressioni: ( רביםv. 4c) e ( קהל רבw. IOa.Ile) c'è una tensione: la prima designa i "gentili", la seconda gli "israeli-
51 52 53 54 55
Cf. anche Braulik 1975, pp. 108-112. Si veda sopra, p. 222. Cf. sotto, pp. 366-367. Haag 1995, p. 63. Cf. Braulik 1975, pp. 115-120.
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ti" 56. L'estensione universale della salvezza è tipica per Is 40-66. Noi abbiamo riscontrato questa dimensione anche nella seconda parte del Sal 22 57. Molti, dunque, "vedranno e temeranno". TM ha una paronomasia: וייראו... יראו. Il "timore", di cui qui si parla è un atteggiamento positivo: il "timor di Dio". L'accostamento tra "vedere" e "temere" è presente anche nel Deuteroisaia: «Han visto ( )ראוle isole e sono prese da timore ()וייראו, i confini della terra tremano» (li 41, 5). La somiglianza tra i due passi è data dal fatto che, in ambedue, il "timore" è la reazione a un atto di salvezza operato da Dio (mentre altrove esso è la risposta a una punizione divina, cf. Sal 52, 8-9; Zc 9, 5). Inoltre in essi il soggetto del timore sono i popoli stranieri (questi sono, infatti, designati dai termini "isole" e "confini della terra" in Is 41, 5). Altrove, come nel passo sopra studiato di Sal 22, 24, sono gli israeliti ad essere invasi dal timore di fronte alla salvezza del povero. Che il timore sia un atteggiamento positivo viene confermato dal verbo che gli viene messo accanto: «... e confideranno in JHWH». Il verbo בטחesprime la sicurezza fondamentale dell'uomo, perciò si collega con le parole iniziali: «Ho sperato, ho sperato in JHWH». L'atto di fede del salmista è divenuto quello dei "molti", cioè dei popoli pagani.
La seconda strofa (vv. 5-6) Il macarismo (אשרי, v. 5a) può concludere un brano, come in Sal 2, 12, in cui si riferisce a ciò che è stato detto nei versi che precedono, ma può anche introdurlo, come in Sal 1, 1 o 32,1. A motivo dell'aggancio del v. 5b (שם יהוה מבטחו, «ha posto la sua fiducia in JHWH») con 11 v. 4d (ויבטחו ביחוה, «e confideranno in JHWH»), alcuni autori uniscono il v. 5 al v. 4, includendolo nella prima strofa 58 . Collegato a questo, c'è un altro problema. I verbi del v. 5 sono da intendersi al passato, in riferimento all'atto di fede del salmista ("ha posto", "si è messo") 59 , o al presente, come un'affermazione di va56 II termine "molti" con intenzione universale viene ripreso anche nelle parole dell'eucaristia cristiana («per voi e per molti [uirèp iroMwv]», cf. Mt 26, 28; Me 14, 24;
Le 22,20). 57 58 59
Cf. sopra, pp. 214-222. Cf. Braulik 1975, p. 48; Hossfeld e Zenger 1993a, p. 255. In questo senso traducono, p. es., Haag 1995, p. 5, e M. Girard 1984, p. 322.
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lore universale (cf. CEI: "spera", "si mette")? Noi comprendiamo le forme qatal nel loro senso usuale, in riferimento al passato, cioè all'esperienza del salmista raccontata nei w. 2-4. Perciò separiamo il v. 5 dalla prima strofa e lo uniamo alla seconda. Nel v. 5 inizia quel "canto nuovo" che era stato annunciato al v. 4. Dal momento che si tratta di un "ringraziamento", è naturale che l'orante dia uno sguardo alla salvezza di cui è stato oggetto. Ciò che è stato esposto nei w. 2-4 sotto forma di racconto, viene ora esposto in forma di preghiera (si noti il passaggio dal discorso indiretto, in terza persona, su Dio, a quello diretto, in seconda: אתה, v. 6). Dapprima (v. 5ab) l'orante ricorda il suo atteggiamento di fede (cf. v. 2a) che già era stato presentato come esemplare per i "molti" (v. 4c). La storia della sua salvezza è iniziata con un atto di fede: «Ho sperato, ho sperato in J H W H » (v. 2a). Non c'è, forse, dell'orgoglio, nel proclamare se stesso beato? Così pensa H. Schmidt, che perciò ritiene il v. 5 pronunciato da un sacerdote 60. Effettivamente l'orante non parla, qui, in prima persona, come ha fatto nei w. 2-4 e tornerà a fare al v. 6, ma si parla di lui in terza persona. Inoltre si parla di Dio in terza persona, mentre nel v. 6 si passa alla seconda. Il discorso in terza persona è d'altronde tipico del macarismo. Esso ammette qualche raro caso in seconda persona (cf. 1 Re 10, 8; Is 32, 20; Qo 10, 17), mai la prima persona. Anche se chi parla allude a se stesso, lo fa in forma generale. Egli diviene tipo del credente, qui, in particolare, del gruppo dei poveri di JHWH. Di sé, egli loda l'atteggiamento di fede, che è appunto il contrario dell'orgoglio: questo atteggiamento egli raccomanda ai "molti". Un singolare parallelo offre Ger 17, 7: «Benedetto l'uomo che mette la sua fiducia ( )יבטחin JHWH, la cui sicurezza ( )מבטחוè JHWH». L'uomo che mette la sua fiducia in J H W H viene contrapposto a quello che la mette nell'uomo, allontanando il suo cuore da J H W H (v. 5). Il contesto aiuta a identificare il primo uomo con Geremia stesso, il secondo con il popolo di Giuda. Come nel Sal 40, il profeta parla di sé in terza persona. Un altro significativo parallelo è Sal 1, 1-2 61. Nei tre casi, in Sal 40, 5 come in Sal 1, 1-2 e Ger 17, 60 61
H. Schmidt 1934, p. 76. Cf. più oltre, pp. 383-384.
Salmo 19
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7, l'uomo che è proclamato beato è uno che prende le distanze da altri tipi di uomo. In Sal l , l i tipi umani alternativi sono gli "empi", i "peccatori" e i "beffardi"; in Ger 17, "l'uomo che mette la sua sicurezza nell'uomo" (v. 5); in Sal 40, sono i "superbi" e i "seguaci della menzogna" (v. 5ed). Il significato delle due espressioni, רהביםe שטי כזב, è discusso, come si è visto 62. Intendendo il primo termine in riferimento agli idoli, oppure alle grandi potenze straniere (Egitto), si avrebbe una esatta antitesi a J H W H (v. 5b). Invece che porre la propria fiduca in JHWH, la si pone negli idoli. Conseguentemente, anche il termine כזבfarebbe riferimento agli "dei falsi e bugiardi" (cf. Am 2,4). I "seguaci della menzogna" sarebbero dunque quegli israeliti, che, sotto l'influsso delle culture straniere, avevano abbandonato lo Jahvismo, o semplicemente avevano adottato costumi pagani. Ma è possibile intendere רהביםanche in senso antropologico, come noi abbiamo fatto ("superbi"), e conseguentemente vedere anche nei שטי כזבnon degli idolatri, ma dei "menzogneri". I "superbi" sono coloro che pongono la loro fiducia in se stessi: esattamente il contrario dei poveri, che, come il salmista, hanno posto la loro fiducia in JHWH. Forse le due interpretazioni non sono esclusive, ma inclusive. Dopo aver considerato il proprio atteggiamento di fede, il saimista passa a considerare l'agire di JHWH, in corrispondenza con quanto era avvenuto nella prima strofa (cf. tab. 76). Tabella 76 Prima strofa: racconto w. 2a.4cd w. 2b-4b
Fede (Io - molti) >־־ Salvezza (JHWH)
Seconda strofa: preghiera v. 5 Fede (salmista come paradigma) v. 6 Prodigi (JHWH)
Se il v. 5 aveva il tono della riflessione sapienziale, il v. 6 passa alla preghiera e all'invocazione di Dio: si noti l'accentuazione del "tu" divino (אתה, v. 6a). Il ringraziamento è (l'abbiamo visto nella seconda parte del Sal 22) il riconoscimento che la salvezza sperimentata dal salmista proviene da JHWH. Stranamente, però, il saimista passa dalla sua storia personale a quella del suo popolo. Co62
Cf. pp. 335-336.
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me già si è notato al v. 4, anche qui c'è un cambio dalla prima persona singolare (אלהי, "mio Dio") alla prima plurale (אלינו, "a nostro favore"). Si tratta, come vorrebbe Haag, di un io "collettivo" 63? Oppure l'orante si sente il rappresentante del popolo di Dio, in quanto re (o Messia)64? Il salmo certamente è aperto a simili interpretazioni. Di per sé, però, potrebbe anche trattarsi di un individuo comune, che vede compiersi nella propria salvezza una delle grandi meraviglie, che Dio ha compiuto nel passato in favore del suo popolo. Il termine נפלאותdesigna usualmente i prodigi della storia della salvezza, soprattutto in occasione dell'Esodo e della conquista della terra (cf. Sal 78; 105-106). L'altro termine מחשבת, "disegni", conduce, per rispetto ai "prodigi", a un momento antecedente. Come nota Delitzsch, le מחשבתsono «pensieri di Dio in corso di attuazione», le נפלאותinvece sono «pensieri divini attuati» 65 . E cioè, i prodigi divini non riguardano solo il passato e il presente, ma anche il futuro 66. «Niente a te si può paragonare». Strutturalmente l'affermazione si collega con la presa di distanza dai רהבים. I prodigi che ha compiuto J H W H non li può compiere nessun idolo e nessun loro seguace. La formulazione di TM ( )אין ערך אליךè rara. Essa trova un parailelo in Is 40, 18 (מה דמות תערכו לו, cf. anche 44, 7-8), un brano che appartiene alla polemica contro gli idoli. Dopo che l'orante ha pensato ai grandi prodigi della storia della salvezza, deve rinunciare a raccontarli tutti, poiché sono troppo numerosi. Il significato dell'affermazione non è che egli non ne voglia parlare, come potrebbe far pensare la traduzione CEI («Se li voglio annunziare e proclamare, sono troppi per essere contati»). Infatti ai w. 10-11 egli ribadisce di aver annunciato la salvezza di Dio. Il v. 6ef può solo voler dire che l'orante deve limitarsi a raccontare l'unico prodigio di cui egli è stato spettatore, anche se vorrebbe raccontarli tutti. Ciò egli ha fatto nei w. 2-4, non occorre dunque che ripeta il racconto, basta un accenno. Come il Sal 22 ha mostrato, raccontare agli altri la salvezza di cui si è stati oggetto è elemento fondamentale dell'azione di grazie.
63
Haag 1995, p. 61. In questo senso cf. Eaton 1986, pp. 42-44; Craigie 1983, p. 315. 65 Delitzsch 1984, p. 308. 66 Abbiamo qui, forse, un richiamo al v. 12, e, indirettamente, alla seconda parte del salmo? 64
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La terza strofa (vv. 7-9) La terza strofa costituisce il centro della prima parte del salmo. Della rilevanza teologica di questi versi testimonia Eb 10, 5-10, che li applica alla redenzione operata di Cristo. «Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato (σώμα 8è κατηρτίσω μοι)..."». Basti accennare: ci troviamo in un punto nodale per capire il rapporto tra le due alleanze. La nuova alleanza, che si realizza in Cristo, è già annunciata in testi come questo 67 . La costruzione della strofa è complicata. L'autore non procede linearmente, ma per anticipazioni e riprese. Disponiamo le affermazioni secondo tre paradigmi (cf. tab. 77) 68. Nella prima colonna sta Tabella 77 TU (negativamente)
TU (positivamente)
IO
7. Sacrificio cruento e offerta non hai gradito due orecchi mi hai scavato olocausto e sacrificio di espiazione non hai chiesto. 8. Allora ho detto: «Ecco, sono qui! Nel rotolo del libro sta ciò che a me è stato prescritto. 9. «Nel compiere ciò che ti è gradito, mio Dio, è la mia gioia, e la tua legge è dentro le mie viscere».
ciò che Dio non z;z/ole. Le due proposizioni Idi e 7c sono chiaramente in parallelismo sinonimico. Nella seconda colonna viene messo, antiteticamente, ciò che Dio vuoìt. Ciò è chiaro per il v. 7b, meno per il v. 8bc. Però il discorso sul rotolo del libro viene riferito, nel v. 9, al compimento della volontà di Dio. Mentre le affermazioni della prima colonna hanno un valore generale, quelle della seconda si 67 68
Cf. Rivas 1997; Bonnard 1962. Per questo schema, cf. Alonso Schòkel e Camiti 1992, p. 685.
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riferiscono al volere di Dio nei riguardi dell'orante ("mi hai scavato", 7b; "a me è stato prescritto", 8c). In questo modo esse preparano il contenuto della terza colonna, dove è presentata la risposta dell'orante. Nell'analisi noi ci atterremo, per chiarezza espositiva, allo schema rappresentato nella tabella. a. Ciò che Dio non vuole (w. 7a.c) I w. 7a e 7c sono, si è visto, sinonimi. In essi vengono enumerati quattro diversi tipi di sacrificio: lo זבח, o "sacrificio cruento" di animali, la מנחח, "offerta" di cibo o farina, la עלה, o "olocausto", e la חטאה, "sacrificio di espiazione" per il peccato. L'ultimo termine sorprende, perché la parola חטאהgeneralmente designa il "peccato", non 11 "sacrificio per il peccato". Il contesto richiede quest'ultima traduzione, ma il termine non è scelto casualmente, perché il lessema חטאappare in tutti i salmi del gruppo 38-41 (cf. Sal 38, 4.19; 39, 2; 40, 7; 41, 5). Nel Sal 40 il tema del peccato viene ripreso al v. 13c mediante il termine ערן, "colpa". Ciò porta a riconoscere nella malattia il tipo di sofferenza da cui Dio ha liberato il salmista, come si è visto per ilStf/39 69 . La liberazione dal peccato, dunque, avviene non per un atto di culto, ma mediante l'offerta della vita: solo questo tipo di offerta può espiare. Anche se il Deuteroisaia usa un altro termine ()אשם, la vicinanza del Sal 40 ai canti del servo di J H W H permette un parailelo con il valore espiatorio della sofferenza del servo (cf. Is 53, 10) 70. Anche in Isaia, questo tipo di espiazione si pone come alternativo rispetto ai sacrifici cultuali. Con i quattro tipi elencati è esaurita tutta la gamma dei sacrifici. Dio non richiede assolutamente nessun tipo di sacrificio. Il verbo חפץ, "trovare compiacimento", appartiene originariamente al vocabolario sacrificale. Esso esprimeva il giudizio del sacerdote incaricato, che dichiarava una vittima come adatta o no al sacrificio. Il termine venne impiegato nella critica profetica al culto, che fa da sfondo al Sal 40. I luoghi classici sono: Mi 6, 6-8; Am 5, 21-24; Os 6, 6; 8, 11-13; Is 1, 11-17.19; Ger 7, 22-28; Mal 1, 10; 2, 13.1 profeti contrappongono al culto la morale. Dio non si compiace di un
69 Se si parla di "sacrificio per il peccato", indirettamente si ammette che ci sia un peccato da espiare. 70 Cf. Braulik 1975, p. 139.
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culto senza giustizia. Non si tratta di un rigetto del culto in sé, ma del rigetto di un sacrificio ipocrita, senza corrispondenza nella vita. Soprattutto vicino al Sal 40 è Ger 7, 22-23: «In verità io non parlai né diedi comandi sull'olocausto ( )עולהe sul sacrificio ( )זבחai vostri padri, quando li feci uscire dal paese d'Egitto. Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce (...) e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò». Si tratta in questo caso di un brano deuteronomistico, probabilmente postesilico, di Geremia. Analoghi accenti ritroviamo nella storiografia deuteronomistica: «JHWH forse gradisce ( )חפץgli olocausti ( )עולותe i sacrifici ( )זבחיםcome ascoltare la voce di JHWH? Ecco ascoltare è meglio del sacrificio ()זבח, prestar attenzione meglio del grasso degli arieti» (1 Sam 15, 22). Si percepisce la stessa contrapposizione tra l'obbedire alla parola di Dio e il sacrificio cultuale, che caratterizza il Sal 40. La critica profetica del culto viene recepita nella letteratura sapienziale (cf. Prv 21, 3; 28, 9; Sir 34, 21-24; 35, 1-5) e nei salmi. Il Sai40 non è isolato. Tutto il Sal 50 è una liturgia profetica in cui si ripudia un culto senza giustizia, e la stessa critica ritorna nel salmo successivo, 51, 18-19. A differenza dai testi profetici citati, nel nostro brano niente fa pensare che il culto, che qui si rigetta, sia ipocrita. Sembra che il testo rigetti il sacrificio in sé. E possibile che esso rifletta un'epoca in cui il sacrificio era impossibile, forse per l'assenza o per la lontananza dal tempio. La mancanza del sacrificio portava naturalmente a cercare di sostituirlo con qualche altra cosa, a "fare di necessità virtù". In Sal 22, 4 viene proposta la preghiera dei salmi come sostituto del tempio («Tu abiti le lodi di Israele») 71. E però anche possibile, come si è accennato, che il salmo rifletta l'ideologia di un gruppo contrario al culto stabilito, una minoranza alternativa (del tipo di quella di Qumran). Nei salmi non mancano indizi in tal senso. b. Ciò che Dio vuole (w. 7b e 8bc) «Due orecchi mi hai scavato». Castellino ritiene che il salmista faccia riferimento alla legge di Es 21, 6; Dt 15,17. A uno schiavo che rinunciava alla liberazione, per vivere per sempre a servizio del suo padrone, veniva forato l'orecchio. Tale interpretazione si rivela fuorviante per il semplice fatto che nel Codice dell'Alleanza e nel 71 Cf. sopra, p. 197.
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Deuteronomio si parla di "un orecchio י מmentre nel nostro testo il termine è duale: "due orecchi" 72. Ciò invita a intendere l'espressione in senso metaforico. L'"orecchio" è l'organo dell'udito. Ora "ascoltare" ( )שמעè in ebraico sinonimo di "obbedire" (si vedano i due testi sopracitati, Ger 7, 22-23 e 1 Sam 15, 22). Si allude quindi all'atteggiamento di obbedienza alla volontà di Dio, secondo quanto viene affermato poco dopo, al v. 9: «Nel compiere ciò che ti è gradito, mio Dio, è la mia gioia». "Scavare le orecchie" significa dare alla persona una nuova capacità di comprendere ed eseguire la parola di Dio. Ciò fa pensare, come vedremo, alla promessa della nuova alleanza presentata in Ger 31, 33. Dopo aver messo nella bocca dell'orante un canto nuovo (v. 4a), ora Dio gli apre le orecchie. I due doni sono complementari. Per poter parlare con la bocca, bisogna prima ascoltare con le orecchie. Ambedue i doni appartengono alla vocazione profetica del salmista. Anche l'apertura delle orecchie, come il "canto nuovo", appartiene al tempo escatologico, iniziato con la salvezza pròdigiosa dell'orante. Il v. 7b trova un impressionante parallelo nel terzo canto del servo di JHWH, Is 50, 4-5: «Il mio Signore, JHWH, mi ha dato la lingua dei discepoli, per saper rafforzare gli stanchi con una parola di incoraggiamento. Mattina dopo mattina mi risveglia l'orecchio, perché io ascolti come i discepoli. Il mio Signore, JHWH, mi ha aperto l'orecchio. E io non mi sono ribellato e non mi sono tirato indietro». Nel contesto del terzo canto del Servo, l'apertura dell'orecchio allude forse ad un'obbediente sopportazione della sofferenza, nel senso di Gb 36, 10.15. E possibile che anche nel Sal 40, "scavare le orecchie" abbia questo significato, cioè che Dio attraverso la sofferenza (si è visto che l'orante era malato) abbia insegnato al salmista l'obbedienza (si veda Eb 5, 8: «Sebbene fosse figlio, imparò da ciò che ha sofferto l'obbedienza»). «Nel rotolo del libro sta ciò che a me è stato prescritto». L'interpretazione di questa frase è molto discussa. Anzitutto non è chiaro che cosa sia il "rotolo del libro", מגלת ספר. Secondo Seybold, che a sua volta segue una suggestione di Bornkamm 73 , il rotolo sarebbe 72 73
Così a ragione Braulik 1975, p. 148. Bornkamm 1964, pp. 56-57.
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"una pergamena di contenuto personale", in cui starebbe descritta la richiesta del salmista, e corrisponderebbe al tenore dei w. 1318 74. Per S. Cavalletti si tratterebbe di un libello, sul tipo di quello di cui si parla in Gb 19, 23-24, che conterrebbe una sorta di dichiarazione di innocenza 75 . Per Braulik, che si rifà a testi come Dt 27, 3.8; 28, 61; 2 Re 22, 8.11, si tratterebbe del libro del Deuteronomio 76. Mi sembra che queste proposte non tengano in considerazione il contesto. L'affermazione del v. 8c sta in un contesto in cui si parla di compimento del volere di Dio ed espressamente di torah: «La tua legge ( )תורתךè dentro le mie viscere» (v. 9c)יי. Ora la torah è uno dei temi fondamentali del salterio (cf. Sal 1; 19; 119). E inverosimile che il termine תורהabbia nel Sal 40 un significato diverso dalla rivelazione del volere divino, espresso nella legge mosaica. L'espressione מגלת ספרappare altre tre volte nell'AT, oltre che in Sal 40, 8: in Ger 36, 2.4 (il "rotolo" bruciato da Iojakìm); Ez 2, 9 e 3, 1 (il "rotolo" mangiato da Ezechiele) e Zc5, 1-2 (il "rotolo" che vola: qui non si parla di מגלת ספר, ma semplicemente di )מגלה. Si tratta, è vero, di scritti profetici, ma non si può dedurne, come fa Bornkamm, che l'espressione può avere solo questo significato. Essa indica semplicemente il "rotolo del libro", senza specificarme il contenuto. Ora, nel nostro caso, il contesto indica chiaramente che il contenuto del rotolo è la torah. Come si è visto nello studio del Sal 1, il salterio sposta il cuore della religione israelitica dal tempio alla torah. L'albero della vita non si trova nel tempio: esso è la torah [Sal 1, 3) 78. La vera offerta, dunque, non è quella che si compie al tempio, ma l'obbedienza alla torah (Sal 40, 7-9). «... ciò che a me è stato prescritto». Il significato di כתוב עליviene illuminato dal parallelo 2 Re 22, 13 9י. Nel racconto della riscoperta del libro della legge ad opera di Giosia si dice:
74
Seybold 1996, p. 169. Cavalletti 1957, p. 298. 76 Braulik 1975, pp. 149-154, così anche Haag 1995, p. 67. Contro un'identificazione del "rotolo del libro" con la torah, Braulik obietta: «Chi vuole interpretare il rotolo del libro come la torah di Mosè, deve spiegare la contraddizione tra la legislazione mosaica sui sacrifici e il ripudio del sacrificio presente nel Sal 40» (Braulik 1975, p. 149). Sullo sfondo deUa predicazione profetica, questa obiezione sembra pignola. Come "volontà di Dio" si intendono qui soprattutto le prescrizioni morali della torah. 77 «Il rotolo della legge non può essere nient'altro che la torah, menzionata nella riga immediatamente successiva» (Gunkel 1986, p. 170). 78 Cf. Barbiero 2003, p. 24. 79 II parallelo è messo in evidenza da Braulik 1975, p. 172. 75
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«Grande è la collera di JHWH che si è accesa contro di noi perché i nostri padri non hanno ascoltato le parole di questo libro ()ספר, per agire secondo tutto ciò che ci è stato prescritto (»)כתוב עלינו. Nel sostantivo ספר, "libro" (v. 8b), il testo ebraico riprende lo stesso lessema del verbo "raccontare" ( ספרpiel, v. 6f). Una sottile corrispondenza dei due vocaboli non è inverosimile. Non occorre che il salmista racconti i prodigi compiuti da J H W H nel passato, essi sono già raccontati nella torah, che, prima di essere legislazione, è racconto della storia della salvezza 80. c. La risposta del salmista (w. 8a.9abc) "Scavando" gli orecchi al salmista (v. 7b), Dio l'ha reso capace di ascoltare la parola di Dio. Ora, dunque, egli può rispondere («allora ho detto», v. 8a). «Ecco, sono qui». TM suona letteralmente: «Ecco, sono venuto, »הנה באתי. Con questa frase si esprime di solito, concretamente, il percorso fatto per prender parte all'azione liturgica (sinagogale?) 81 . Qui però è percepibile un significato traslato: il salmista si mette a disposizione di Dio, offre a lui la sua vita in luogo dell'offerta sacrificale. «Non hai chiesto olocausto e sacrificio...» (v. 7), «allora ho detto: "Eccomi, sono qui"» (v. 8). L'"essere qui" è presentato come sostituzione del sacrificio. In questo senso la frase trova corrispondenza nei racconti di vocazione profetica (cf. Is 6, 8; 50, 5). Come il servo sofferente, anche l'orante del Sal 40 ha i tratti inconfondibili di un profeta (cf. w. 4.6.7b). «Nel compiere ciò che ti è gradito, mio Dio, è la mia gioia» (v. 9ab). "Ciò che ti è gradito" ( )רצונךsta in parallelo con "il rotolo del libro" (מגלת ספר, v. 8b) e con "la tua legge" (תורתך, v. 9c). Le tre espressioni sono sinonimi 82 . Però dicendo "ciò che ti è gradito" il salmista lascia capire che la sua obbedienza non è rivolta a un codice di leggi, ma ad una persona. Il "rotolo del libro" è espressione di ciò che J H W H "gradisce". Si tratta di un rapporto di amore 83 , non di adorazione della lettera. J H W H è chiamato "mio Dio", אלהי,
80 81 82 83
Cf. M. Girard 1984, p. 328; Auffret 1987, pp. 230-231. Cf. Braulik 1975, p. 172. Per l'equazione תורה = רצונך, cf. Esd 10, 11 con 10, 3. Cf. ThWAT VII, col. 641 (.Barstad).
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un'espressione che sottolinea il legame che unisce la persona del saimista e quella di Dio. Il verbo חפץ, "trovar gioia, compiacersi" è ripresa del v. 7 («Sacrificio e offerta non hai voluto, )»לא חפצת. Nel v. 7 si tratta di ciò che piace a Dio, nel v. 8 di ciò che piace al salmista. C'è una coincidenza intima, non esteriore, della volontà di Dio con quella del saimista. Il lessema חפץappare, significativamente, in Sal 1, 2 («Nella torah di J H W H è la sua gioia, )»חפצו. La torah non è, dunque, un peso, ma una gioia. Un altro richiamo ai versi che precedono è il verbo עשה, "fare, compiere" (w. 6a.9a). Poiché J H W H ha compiuto infiniti prodigi a favore del suo popolo, il salmista vuole, da parte sua, compiere il volere di Dio. «Fare ciò che è gradito a Dio» ( )עשה רצוןè espressione caratteristica della spiritualità della legge. Si veda, ad esempio, Sal 103,21, dove i "servi di J H W H " sono qualificati come «coloro che compiono ciò che a lui è gradito,»עשי רצונו, o Sal 143, 10: «Insegnami, o Dio, a compiere ciò che ti è gradito, »לעשות רצנך. Il lessema רצהverrà ripreso al v. 14, all'inizio della seconda parte del salmo. Poiché il salmista compie "ciò che è gradito" a Dio, egli supplica umilmente Dio che "gli sia gradito" liberarlo dalla sua angoscia. E la stessa corrispondenza che si è notata per il verbo חפץ. I due verbi descrivono l'osservanza della torah come un rapporto di amore tra il salmista e Dio. «La tua legge è dentro le mie viscere». Il "rotolo del libro" (v. 8), "ciò che a Dio è gradito" (v. 9a) è dunque la sua "legge", ( תורהv. 9c). Questa legge però non si trova nel rotolo, ma "dentro le mie viscere" ()בתוך מעי. Le "viscere" sono l'interno di una persona: il termine è perciò sinonimo di "cuore", come fa capire il v. 11 ( 8 4 ( ל ב י בתוך. C'è una serie di testi che parlano di una "interiorizzazione" della legge, di una "legge nel cuore". "Essere nel cuore" o "scrivere nel cuore" è espressione usuale sia nei trattati di alleanza, sia nella letteratura sapienziale fuori e dentro Israele per indicare l'apprendimento amoroso di un insegnamento, fino a impararlo a memoria. Per la letteratura sapienziale si veda Prv 3, 3; 7, 3. Il linguaggio dei trattati d'alleanza è presente in Dt 6, 6; 11, 18 e 30, 11-14. Generalmente però in questi testi l'"essere nel cuore" è legato allo sforzo umano di apprendimento 85 . NelSai 40 invece la prospettiva è diver84
Così Braulik 1975, p. 155. Eccezione forma, forse, Dt 30, 11-14, in cui probabilmente è presente la teologià della nuova alleanza. 85
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sa. La legge si trova nel cuore perché Dio ha "scavato le orecchie" del salmista, rendendolo "aperto" alla sua parola. Il significato di "essere dentro alle viscere" viene chiarito dal parallelo: «Nel compiere ciò che ti è gradito, mio Dio, è la mia gioia». Si tratta dunque di un'intima consonanza tra la volontà di Dio e quella del salmista. A ragione Braulik cita qui Ger 31, 33 (cf. ancora 32, 40): «Poiché questa è l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni - oracolo di JHWH: Io metterò la mia legge ()תורתי dentro di loro ()בקרבם, la scriverò ( )כתבsul loro cuore. Così io sarò il loro Dio ( )לאלהיםed essi saranno il mio popolo». La somiglianza non si limita alle singole parole (תורה, cf. Sal 40, 9c; בקרב, cf. Sal 40, 9c; כתב, cf. Sal 40, 8c; אלהים, cf. Sal 40, 9b), ma riguarda il contenuto. Secondo Geremia, il fallimento della prima alleanza era dovuto al fatto che la volontà di Israele era diversa da quella di Dio. La legge di Dio era scritta su tavole di pietra, non nel loro cuore, rimaneva estranea al loro animo, per cui l'osservanza diveniva impossibile. La nuova alleanza viene contrassegnata dal fatto che la legge viene scritta nel cuore degli israeliti, in modo che tra la volontà di Dio e quella del popolo ci sia un'intima consonanza. Lo stesso concetto viene espresso anche da Ezechiele: «Io vi darò un cuore nuovo e porrò dentro di voi ( )בקרבכםuno spirito nuovo. Toglierò dal vostro petto il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Metterò il mio spirito dentro di voi ( )בקרבכםe farò sì che camminiate secondo i miei precetti e osserviate i miei giudizi e li mettiate in pratica» (Ez 36, 26-27). Nel Deuteroisaia questo pensiero viene espresso in 51, 7: «Ascoltatemi, voi che conoscete la giustizia, popolo che ha la mia legge ( )תורתיnel cuore». I tre passi sono più o meno contemporanei, di epoca esilica. Durante l'esilio cresce dalla catastrofe la speranza in una "nuova alleanza", caratterizzata dalla "legge nel cuore". Nel salterio, questa teologia viene espressa soprattutto in Salò!, 31 (cf. anche 51, 12): «Egli ha la legge ( )תורהdel suo Dio nel suo cuore: i suoi passi non vacillano».
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C'è un altro testo profetico, il cui vocabolario è particolarmente vicino a Sal 40, 9, cioè il racconto della vocazione di Ezechiele. «Egli mi disse: Figlio dell'uomo, mangia quello che trovi, mangia questo rotolo ()מגלה, poi va' e parla alla casa di Israele. Io apersi la mia bocca, ed egli mi fece mangiare il rotolo ()מגלה. Egli mi disse: Figlio dell'uomo, dà da mangiare al tuo ventre, riempi le tue viscere ()מעיך con questo rotolo ()מגלה, che io ti do» (Ez 3, 1-3). Il "rotolo" qui non rappresenta la legge, ma il contenuto della profezia di Ezechiele (nello stesso senso anche Ger 36 e Zc 5, 1-2). E vero che si tratta sempre di parola di Dio, quindi una certa relazione con il Sal 40, 7-9 sussiste. Se si accetta questo, allora il parailelo permetterebbe di leggere Sal 40, 7-9 come un racconto di vocazione profetica, il che non sarebbe inverosimile (cf. w. 10-11). Si tratterebbe, ad ogni modo, di un tema secondario: l'accento principale è posto chiaramente sulla תורה, e sulla nuova dimensione che la torah acquista nella nuova alleanza. Alla luce dei paralleli sopra citati, emergono due dimensioni: (a) La nuova alleanza appartiene, secondo Geremia, Ezechiele e il Deuteroisaia, all'era escatologica ("dopo quei giorni", Ger 31,33); (b) L'alleanza viene promessa non a una singola persona, ma al popolo di Israele. Nonostante le difficoltà 86, mi sembra che ambedue queste dimensioni facciano parte dell'orizzonte del salmo. Quanto alla prospettiva escatologica, essa è stata già introdotta nel discorso sul "canto nuovo" (v. 4). Anche della dimensione collettiva si è già parlato, soprattutto in riferi־ mento ai due strani cambi di numero ai w. 4b ("nostro Dio") e 6c ("a nostro favore"). Come è stato notato nel Sal 2287, anche qui il salmista vede irrompere, nella sua salvezza, l'epoca nuova, definitiva, del regno di Dio.
86
Haag si pronuncia contro un riferimento di Sal 40, 7-9 alla teologia della nuova alleanza, proprio a motivo del carattere escatologico di questa (Haag 1995, p. 67). Ma già K. Barth notava le dimensioni straordinarie della figura del salmista nel Sal 40: «Il Salmista ha certo parlato di se stesso, ma, appunto, di se stesso in quanto guardava in tutt'altra direzione, cioè là dove egli rivolgeva la sua preghiera» (K. Barth 1959, pp. 671-672). Gli fa eco Kidner: «...with a declaration which in reality none but the Messiah will be able to fulfil, as the New Testament makes plain» (Kidner 1973, p. 158). 87 Cf. sopra, pp. 215, 222.
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La quarta strofa (vv. 10-11) Con il v. 9 termina il "canto nuovo י מin cui il salmista ringrazia Dio per la salvezza ricevuta. Ora egli anzitutto guarda indietro, dicendo a J H W H che egli ha compiuto il suo dovere (quarta strofa, w. 10-11), poi si volge alla presente situazione di difficoltà, attingendo dal passato fiducia che Dio continuerà ad essere giusto e misericordioso (quinta strofa, w. 12-13). La quarta strofa, si è detto, è inclusa dalla menzione della קהל רב nei w. lOb e Ile. Essa è inoltre caratterizzata da un curioso alternarsi di affermazioni positive e negative (cf. tab. 78). Tutti i verbi riguardano il fatto dell'annuncio. Il profeta afferma di aver parlato e nega risolutamente di aver taciuto. L'annuncio acquista una dimensione eccezionalmente importante. Si tratta pròpriamente di una dichiarazione di innocenza, quasi che il salmista si debba difendere dall'accusa di aver taciuto. Forse egli era tentato di tacere? E perché? Perché il tacere sarebbe stato una colpa? Tabella 78 vv. A B B AB
Affermazione positiva
IOab Ho annunciato lOcd llab llcde Ho parlato
Affermazione negativa
Inclusione nella grande assemblea
Non chiuderò Non ho nascosto Non ho occultato
alla grande assemblea
Seybold ritiene che per il salmista non fosse piacevole raccontare le proprie debolezze e le proprie colpe (חטאה, v. 7c, cf. 13c) 88. Più verosimilmente, Alonso Schòkel pensa a una somiglianza con il servo di J H W H 89. Infatti l'annuncio del servo avviene in un contesto di persecuzione (cf. Is 50, 5-6: si noti come anche qui l'affermazione negativa di aver eseguito l'ordine di Dio venga accompagnata da quella negativa di non essersi tirato indietro). Come il servo di JHWH, anche il salmista si sente chiamato ad annunciare un messaggio da parte di Dio (cf. w. 4ab.6ef). Nel Sal 39, parlare era pec-
88 89
Seybold 1996, p. 169. Alonso Schòkel e Camiti 1992, p. 687.
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cato (cf. Sal 39, 2), qui è peccato tacere. Tra i due brani intercorre l'esperienza della salvezza (Sal 40, 2-3). Oggetto dell'annuncio non può essere che la salvezza che il saimista ha sperimentato. Così la quarta strofa si congiunge con la seconda 90 e la prima. Solo che i verbi al v. 4 e 6e sono all'imperfetto, indicando un'azione futura ("lo vedranno molti e temeranno...", v. 4c; "io voglio annunciarli e parlarne", v. 6e), mentre nei w. 10-11 essi sono prevalentemente al perfetto, indicando un'azione passata ("ho annunciato", v. 10; "non ho nascosto..., ho parlato..., non ho occultato", v. 11). Solo il v. lOcd è redatto all'imperfetto: "non chiùderò", לא אכלא. Si può pensare, in questo caso, ad uno sguardo al futuro, sebbene una traduzione al passato non sia, anche qui, impossibile. Secondo Delitzsch «è tutto uno sguardo indietro» 91 . Naturalmente, il passato a cui il salmista si riferisce è il "canto nuovo", da lui intonato ai w. 5-9. E interessante notare che nei w. 10-11 non si faccia accenno ad avvenimenti, come al v. 6, ma a qualità divine. Sono quegli aspetti dell'essere di Dio che si sono manifestati nell'avvenimento salvifico. E dunque per la terza volta si parla di questo avvenimento. La prima volta (w. 2-3) il salmista ha redatto un racconto dell'awenimento della salvezza; la seconda (v. 6) ha ringraziato Dio, riconoscendone in lui l'autore; la terza (w. 10-11) egli contempla il volto che Dio ha rivelato in questo avvenimento di salvezza. Le qualità di Dio che vengono menzionate sono sei, ma la prima, la "giustizia" ()צדק, ha una posizione di rilievo, per essere in stato assoluto, mentre le altre cinque hanno tutte il pronome possessivo di seconda persona (cf. tab. 79). Tabella 79 צדק, "giustizia" (IOa) אמונתך, "la tua verità" (Ile) חסדך, "il tuo amore" (lld)
צדקתך, "la tua giustizia" (Ila) תשועתך,^ tua salvezza" (Ile) אמתך, "la tua fedeltà" (lld)
«Ho annunciato la giustizia». Il verbo בשרpiel significa "dare una buona notizia". Esso corrisponde al greco euayyeXiCw, da cui viene il termine "vangelo". E il verbo tipico del Deuteroisaia, che 90 9
Cf. sopra, p. 342, tab. 73. 1 Delitzsch 1984, p. 311.
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viene chiamato, appunto, il "Vangelo dell'AT". Nel Deuteroisaia il verbo si riferisce all'annuncio della fine dell'esilio e al ritorno nella terra promessa (cf. Is 40, 9; 41, 27; 52, 7). Esso viene usato anche dal Tritoisaia (Is 60, 6; 61, 1) in riferimento alla salvezza escatologica di Gerusalemme. A detta di Braulik, il nostro testo è particolarmente vicino a Is 61, 1: «Lo spirito del mio Signore, JHWH, è su di me, poiché JHWH mi ha unto. Egli mi ha mandato ad annunciare una buona nuova ( )בשרai poveri, a guarire quanti hanno il cuore spezzato, per gridare liberazione ai prigionieri, apertura del carcere agli incatenati». Con questo verbo il salmista si pone nella sequela del servo di J H W H e dell'anonimo autore di Is 61, 1. Egli ha compiuto la sua missione di annunciare la buona nuova della salvezza. L'oggetto della proclamazione viene espresso con il termine צדק. Esso connota sempre un riferimento alla giustizia e all'ordine divino, ma in questo contesto si tratta di "giustizia salvifica", che viene ristabilita (è infatti una "buona nuova"). Quest'accezione del termine è tipica del Deuteroisaia (cf. Is 51, 1.5.6.7.8). La "giustizia" non va intesa in senso astratto, ma concreto. Attraverso il suo agire nella guarigione del salmista, Dio ha ristabilito l'"ordine" del mondo. Accanto a Isaia, il pensiero va al Sal 22. Il salmista, che è stato oggetto di una guarigione prodigiosa, si sente in dovere di annunciare la buona nuova anzitutto ai poveri (Salii, 23-27), ma poi a tutti gli uomini (w. 28־ 30). I salvati da tutto il mondo, a loro volta, verranno a Gerusalemme per «annunciare la sua giustizia, »צדקתוal popolo nuovo (v. 32) 92. Il legame del Sai40 con il Salii viene confermato dall'espressione קהל רב, "grande assemblea" (v. lOb). Essa appare infatti, nel salterio, ancora solo in Salii, 26 (cf. 23) e 35,18. Qui, come anche nel Sal 40, il termine designa «l'intera assemblea cultuale d'Israele, come il luogo o l'uditorio di fronte a cui il salmista pronuncia la sua confessione di lode»93. Esiste dunque, come abbiamo osservato, una dialettica tra i "molti" del v. 4 e la "grande assemblea" dei w. 10.11. Con il primo termine sono indicati tutti gli uomini, soprattutto i pagani, mentre con il secondo si intende il popolo di Israele, meglio, la comunità dei poveri di J H W H (cf. Salii, 13.16). Abbiamo riscontrato la 92
Cf. sopra, pp. 220-221. Braulik 1975, p. 173. Tale significato viene confermato dal parallelo con Esd 10, 1. Si noti che l'assemblea non si riunisce nel tempio. 93
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stessa dialettica anche nella seconda parte del Sal 22. Il popolo di Dio, cqtne popolo dei poveri, non è chiuso in se stesso, ma ha una dimensicfne universale. Esso è aperto a tutti i poveri del mondo, a cui la saivefcza del salmista offre motivo di speranza. I קהלè, ad ogni modo, un'assemblea cultuale. Non è vero, dunqtie, che il salmista voglia abolire il culto. Come nota Mowinckel, si tfatta non dell'abolizione del culto, ma della sostituzione di un tipo di culto con un altro, cioè della sostituzione del "sacrificio" con la "lode" 94. In questa maniera il culto viene spiritualizzato, in due direzioni: (a) esso non può essere in alcun modo sostituzione del "cuito della vita" (cf. w. 7-9); (b) questo "culto della vita" si esprime non con il sacrificio ma con la lode, cioè con la preghiera dei salmi (w. 10-11) 95. Il salmista dà molta importanza a questa lode. Si tratta di un "canto nuovo", che Dio stesso gli ha posto in bocca (v. 4). Il salmista si sente ispirato e chiamato da Dio, come un profeta. Come sopra si accennava, la situazione storica è aperta: potrebbe trattarsi di un'epoca senza tempio, o anche di una comunità alternativa al sacerdozio ufficiale. Il fatto è che affermazioni simili sono frequenti nei salmi: cf. Sai50, 14.23; 69, 31-32; 116, 16b-17; 141, 2 (e ancora 51, 18-19; 107, 22 e Gb 33, 26-28). זבח לאלהים תודה, «offri in sacrificio a Dio la lode», chiede Sal 50, 14, e Sal 116, 17 gli fa eco: לך אזבח זבח תודה, «ti offrirò il sacrificio della lode». La preghiera cristiana dei salmi trova qui il suo fondamento. Il termine צדק, "giustizia", viene sviluppato nel v. 11 in una serie di cinque attributi, o qualità, di JHWH. צדקה ־־, "giustizia" (v. Ila). Ora vista come attributo di Dio, è la sua capacità di ristabilire l'ordine del mondo, quando questo sia stato turbato. Si tratta di giustizia salvifica, come il saimista ha sperimentato nella sua guarigione 96 . - אמונה, "verità" (v. Ile). Come il quinto attributo, אמת, "fedeltà", אמונהviene dalla radice אמן, che indica stabilità, affidabilità. Di J H W H ci si può fidare, egli è fedele, mantiene le sue promesse: il salmista lo può testimoniare. 94
Mowinckel 1921-1924 VI, p. 54; Mowinckel 1951, p. 272; Hermisson 1965, pp. 45-46; Bornkamm 1964, pp. 52-59. 9 ^ Cf. Zenger 1998, pp. 47-48; Zenger 1999. 96 Questo è tipico per la giustizia divina: «La giustizia di J H W H non era una norma, ma consisteva in opere, e precisamente, in opere di salvezza» (Von Rad 1972-1974 7, p. 421).
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- תשועה, "salvezza" (v. Ile). Fin dall'Esodo, la storia di Israele è "storia di salvezza" (cf. Sal 22, 4: «assiso sulle lodi di Israele»). Accostata al termine "giustizia", rende chiaro di che tipo di giustizia si tratti. Non c'è nessuna situazione di necessita, nessuna prigione e nessuna fossa da cui J H W H non possa far risalire (cf. v. 3). E solo lui può farlo: solo lui può saivare dalla morte. Il lessema verrà ripreso nella seconda parte, nell'espressione significativa: "coloro che amano la tua saivezza" (v. 17). Dell'importanza del termine testimonia il fatto che questo è anche il nome di "Gesù" di Nazaret. חסד ־־, "amore". Il termine è impossibile a tradursi in italiano. Esso esprime originariamente la stretta solidarietà che unisce i membri di una famiglia nucleare, dove si suppone che eiascuno ami l'altro come se stesso. Si pensi all'amore di una madre o di un padre per il suo figlio. Una madre non può restare indifferente di fronte alla sofferenza di suo figlio. חסדè l'aspetto interno dell'avvenimento di salvezza: tutto è nato dall'amore di Dio. - אמת, "fedeltà", forma un'endiadi con חסד, a cui è usualmente accostato: "amore fedele". Già nel v. 6 il salmista si collegava con le grandi opere di salvezza del passato. Salvando il suo povero, J H W H ha dimostrato la sua "fedeltà" nell'amore (cf. il ritornello del Sal 136:כי לעלם חסדו, «il suo amore è per sempre»). Queste qualità divine il salmista ha sperimentato nella sua guarigione. Se le tenesse per sé, se non ne parlasse ai suoi fratelli, sarebbe una colpa, sarebbe pervertire la dinamica del dono, che è dato per essere condiviso (bonum diffusivum sui). Di questa colpa egli è innocente, come il "canto nuovo" dei w. 5-9 dimostra.
La quinta strofa (vv. 12-13) Nella quinta strofa l'orante ritorna ad una rappresentazione del suo stato di bisogno, come nella prima. Solo che la prima strofa riguarda il passato, mentre l'ultima riguarda il presente. È chiara la logica della composizione: la presentazione della salvezza nel passato, ai w. 2-11, serve da fondamento per la richiesta di aiuto nella presente situazione di necessità, esposta ai w. 12-18. Abbiamo notato che il v. 12 non contiene propriamente una supplica: qui si fa
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un'affermazione. La quinta strofa, quindi, è un elemento di transizione, un preludio alla richiesta di aiuto, che verrà fatta nella seconda parte (w. 14-18). La strofa non è delimitata da nessuna inclusione, ma i w . 14-18 formano un insieme molto ben strutturato, in modo che la cesura dopo il v. 13 appare legittima. La prima parte (v. 12) è centrata sul "tu" di Dio: essa descrive gli attributi di Dio su cui si fonda la fiducia del salmista. La seconda (v. 13) descrive la situazione di necessità del salmista ed è centrata sul suo "io" (cf. tab. 80). La necessità viene percepita anzitutto esternamente, come male fisico (רעות, v. 13ab), poi internamente, come male morale (עונתי, v. 13c). Dei due aspetti si rileva la quantità enorme. Tabella 80 V. 12 Protestazione di fiducia
JHWH (tu)
Misericordia, amore, fedeltà
Sciagure fino all'inverosimile V. 13 La situazione di necessità Orante (io) « Le mie colpe... più numerose dei capelli del mio capo
Fiducia in Dio (v. 12) La strofa inizia con l'accentuazione del pronome di seconda persona, אתה. Con esso il salmista si collega al contenuto della strofa precedente, caratterizzata dalla dichiarazione di innocenza. Nei w. 10-11 l'orante aveva ribadito che egli aveva compiuto la propria parte, riconoscendo i benefici di Dio e proclamandoli ai fratelli, nonostante le difficoltà. Ora egli ha le carte in regola per aspettarsi che Dio non si lasci vincere in generosità. Il collegamento con i w . 10-11 viene confermato dalla ripresa del verbo כלא: poiché il saimista anche in futuro "non chiuderà" le sue labbra (v. lOc), egli ha fiducia che Dio "non chiuda" la sua misericordia (v. 12a). Il termine רחמיםindica propriamente il seno materno ( )רחםcome sede dei sentimenti di misericordia e compassione. Il termine non è scelto a caso, perché esso ricorre frequentemente in connessione con il perdono delle colpe (cf. Es 34, 6:)אל רחום וחנון. Ora nel v. 13 si parla di "colpe" ()עונתי. Finora il tema del peccato era quasi del tutto assente (solo al v. 7 si parlava di "sacrificio di espiazione", un'indiretta
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allusione al peccato dell'orante). Ad ogni modo, senza il v. 13 il richiamo alla misericordia di Dio sarebbe incomprensibile (si noti che questo attributo non veniva menzionato nella lista dei w. 10-11). Ciò è un segno di più che il salmo non poteva finire al v. 12 97. Gli altri due attributi di JHWH, חסד ואמת, sono ripresi Ietteraimente dal v. l l d , confermando lo stretto legame della quinta strofa con la quarta. Il salmista non solo ha sperimentato l'amore fedele di Dio, ma lo ha anche annunciato. Ora appunto la fedeltà chiede che "misericordia" e "amore" non siano limitate al passato, ma durino "sempre" ()תמיד, anche nel presente. I mali presenti (v. 13) Se il v. 12 fosse una supplica, la particella כי, con cui inizia il v. 13, sarebbe perfettamente comprensibile, come motivazione di questa. Si veda, per fare solo un esempio, Sal 38, 3. Forse questo è anche il motivo per cui molti autori, seguendo G, intendono il v. 12 come una supplica 98 . Intendendo il v. 12 come un'attestazione di fiducia, che senso acquista il ?כיAlcuni pensano ad un valore asseverativo ("veramente", "sì") 99. Noi abbiamo dato alla particella un valore causale ("perché"). Cioè: la necessità in cui il salmista si trova viene presentata come motivo per confidare nella misericordia e nell'amore di Dio. Il salmista non fa affidamento sui propri meriti, ma sulla sua debolezza, sulla sua situazione di bisogno, per credere che l'amore di Dio non gli verrà meno. Il raro verbo אפף, "circondare" si riferisce generalmente ad un pericolo mortale. Potrebbe trattarsi di un pericolo militare 100, ma la menzione delle colpe al v. 13 c fa piuttosto pensare a una malattia (cf. Sal 38, 5-6.18-19; 39, 9). La presenza dei nemici (cf. w. 15-16) non è necessariamente un argomento contrario, poiché i nemici sono menzionati anche nei due salmi precedenti, caratterizzati dal problema della malattia. 97
Contro Castellino, Kraus, Braulik, Zenger, Seybold, ecc. (cf. sopra, p. 338). Si veda, p. es., Castellino, che fa iniziare con il v. 12 la seconda parte del saimo (Castellino 1955, p. 401), però deve emendare il testo. Simile è la proposta di Airoldi, che propone di leggere nel v. 12a, al posto di 'attàh, "tu", ,àtéh, "vieni" (Airoldi 1968, p. 249). 99 Cf. La Nuovissima Versione della Bibbia (Lancellotti)׳. «Sì, si sono accumulati su di me malanni senza numero...». TOB omette semplicemente la particella: «Des malheurs sans nombre allaient me submerger...». 100 Così pensa Craigie 1983, p. 316. 98
ו
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ן I ן I I ן I I, Ϊ. ! 1 1 Ι: I 1; È, il m g' I \ ! ן !; | \ [: | I f
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Come nel ν. 12, anche qui i legami lessicali con le strofe precedenti sono notevoli. Anzitutto l'oggetto di אפף, "circondare", è introdotto in ebraico dalla preposizione על: "contro di me (")עלי. L'espressione rimanda al v. 8c: כתוב עלי, «a me è stato prescritto». Esiste un'antitesi tra i due passi, tra la volontà di Dio "a riguardo" del saimista, e l'attacco della malattia "contro" di lui. La stessa antitesi si può notare nella ripresa dei due termini ספר, "contare", e עצם, "essere forte, grande, numeroso" dal v. 6. "Molti" sono i prodigi di JHWH, "troppi per poterli raccontare" (עצמו מספר, ν. 6), ma "molte" sono ora le sciagure dell'orante, "senza numero" (אין מספר, ν. 13b), «più numerose dei capelli della testa» (עצמו משערות ראשי, ν. 13e). Anche il "cuore" ()לבי, nel cui interno l'orante aveva non aveva rinchiuso la "buona nuova" (v. llb), ora lo ha abbandonato (v. 13f). La situazione presente, dunque, contraddice la passata esperienza di salvezza. Alla personificazione degli attributi di Dio nel v. 12c («il tuo amore e la tua fedeltà sempre mi custodiranno»), corrisponde nel v. 13 la personificazione delle forze del male101. Accanto al salmista ora non sta l'amore fedele di JHWH, ma "sciagure" e "colpe". Le "colpe" ( )עונתיgli stanno alle calcagna, lo inseguono per annientarlo, e Γhanno quasi raggiunto102. In forma positiva, il pensiero si trova in Sal 103, 12: «Come l'Occidente dista dall'Oriente, così egli allontana da noi le nostre colpe». La colpa perseguita il peccatore come un destino negativo. Se Dio non interviene per spezzare con il suo perdono la catena "colpa-sventura" 103, i peccati commessi distruggono la vita di un uomo. La situazione che viene evocata è simile a quella del v. 3, dove si parlava di "pozzo della perdizione" e "fango della palude". Nuova è l'accentuazione delle colpe come causa della sciagura (ma anche questo elemento è in certa forma anticipato nel sacrifico espiatorio, חטאה, del v. 7c). Se queste siano quelle commesse prima della salvezza ο altre, posteriori al perdono di Dio, non è detto 104. Il contesto farebbe pensare piuttosto all'ultima alternativa. Questo non
101 l Così Ridderbos 1965, p. 303. J 102 1\ verbo נשגhifil si riferisce usualmente all'inseguimento di un nemico, a una ;1' "persecuzione". In senso metaforico, si veda Dt 28, 15.45 (le maledizioni "perseguita ןno" colui che trasgredisce l'alleanza). ί 103 Si v e c l a ancora Mi 7, 19: «Sì, tu sprofondi tutte le nostre colpe nel profondo j; del mare». 104 Haag pensa che ci si riferisca alle colpe precedenti, che, nonostante siano sta! te perdonate da Dio, influenzano negativamente la situazione presente (Haag 1995, pp. I 69-70). Il pensiero mi sembra un po' forzato.
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sta in contraddizione con il fatto che egli porti nel cuore la legge di J H W H (w. 8-9). La nuova alleanza non garantisce l'uomo da peccati ed errori, anzi il riconoscimento delle proprie colpe fa parte della spiritualità dei poveri-di J H W H (cf. Sal 25, 8-9; 32, 1-5; 51, 19). Nel Sal 25 l'orante è cosciente dei suoi peccati (cf. w. 7.8.11.18), eppure si distingue da quanti «infidamente tradiscono l'alleanza» {Sai25, 3). Del resto abbiamo visto lo stesso fenomeno anche nel Salò9 (il salmista sa di essere peccatore, pur distinguendosi dal )רשע. Da un punto di vista storico, il ricoscimento delle colpe è tipico della crisi dell'esilio. La tragedia dell'esilio ha insegnato a Israele a non fare affidamento sulla propria giustizia ma sulla misericordia di Dio. Il salmista sa che i propri peccati non sono un impedimento all'intervento salvifico di Dio, anzi lo richiedono. Un'interpretazione collettiva delle "sciagure", come quella proposta da Haag, che vi vede la deplorevole situazione di Israele immediatamente dopo l'esilio m , è possibile, ma non l'unica possibile. A mio avviso niente impedisce di intendere il termine in senso individuale. Si è visto che la traduzione del verbo ( לראותv. 13 d) è controversa. Noi abbiamo optato per ritenere il TM, intendendo che ad impedire la vista siano le lacrime (cf. Lam 5, 17; Sal 38, 11) 106. Appunto quest'ultimo parallelo appoggia l'ipotesi che si tratti di una malatria, la cui causa viene vista nelle proprie colpe. D'altronde il verbo ראהforma inclusione con la prima strofa («Lo vedranno []יראו molti», v. 4c). Egli che, con il suo annuncio, ha permesso a molti di "vedere", ora è ridotto alla cecità, "non può più vedere". Qual è il soggetto del verbo ?עצמוSono le "sciagure" o le "colpe"? Dal punto di vista strutturale 107 e da quello grammaticale 108, è più logico pensare all'ultima alternativa, cioè alle "colpe". E si comprende. Se le sciagure sono "fino all'inverosimile" (אד אין מספר, v. 13b), vuol dire che le colpe, che le hanno causate, sono anche "più numerose dei capelli del capo" (v. 13e). Se la nostra interpretazione è vera, allora si tratta di una confessione delle colpe di un'umiltà straordinaria. «E il mio cuore mi ha abbandonato» (v. 13f). Il senso di quest'espressione si chiarisce, ancora, alla luce di Sal 38, 11, dove il
105 106 107 108
Haag 1995, p. 69. Cf. sopra, p. 337. Si veda p. 369, tab. 80. Questo infatti è il termine più vicino al verbo, l'ultimo ad essere menzionato.
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"cuore"( )לביè posto in parallelo con la "forza vitale" ()כחי. Anche nel nostro caso si tratta verosimilmente delle forze vitali, della "voglia di vivere". Si è notato come il termine לביriprenda il v. l l b , e, indirettamente, anche il v. 9c («la tua legge è dentro le mie viscere»). Se nel cuore dell'orante c'è la torah di JHWH, come può questo cuore ora abbandonarlo? Ma c'è veramente nel suo cuore la torah, oppure si trova, il salmista, nella situazione di Rm 7, diviso tra grazia e peccato 109? Ad ogni modo, egli riconosce di non farcela, da solo, a liberarsi delle sue colpe, sono troppe. Il riconoscimento dell'impossibilità di salvarsi da sé introduce logicamente l'appello all'aiuto divino espresso nella seconda parte del salmo. La nostra analisi, seppur sommaria, ha confermato che i w. 1213 si riferiscono continuamente ai w. 2-11 e non possono essere esistiti senza di essi. LA SECONDA PARTE, W . 1 4 - 1 8
La seconda parte è composta di quattro elementi (w. 14.15־ 16.17-18ab e 18cd) disposti in parallelismo chiastico (ABB'A'). Da una parte si corrispondono le due invocazioni di aiuto, le uniche in tutto il salmo (w. 14 e 18cd, AA'), dall'altra le antitetiche conseguenze che l'aiuto divino provoca sui nemici del salmista (w. 15-16, B) e sugli amici di Dio (w. 17-18ab, B').
Invocazione di aiuto (v. 14) Il v. 14 usa un linguaggio "formulaico" (cf., oltre al parallelo Sal 70, 2, ancora Sai22, 20; 38, 22-23; 71, 12; 141, 1), che però si inserisce coerentemente nel contesto del Sal 40. L'accentuazione dell'impossibilità di venir fuori da solo dalla situazione di morte (v. 13) spiega l'invocazione dell'aiuto divino. D'altra parte tutto il salmo prepara questa supplica. Il ricordo del passato (w. 2-11) era funzionaie ad alimentare la speranza, espressa nel v. 12. Ora l'orante ripete il suo grido d'aiuto, come aveva fatto la prima volta, nella certezza che Dio l'ascolta. Il problema del salmista non è sapere se Dio intervenga o no, egli sa che Dio interviene (v. 12): il problema sembra 109
Così intendono Maillot e Lelièvre 1962-1969 I, p. 261.
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essere "quando" egli intervenga. Se aspetta ancora, può essere troppo tardi. Per cui l'accento è posto sull'"affrettarsi" (חושה, "fa' presto", v. 14b; אל תאחר, "non tardare", v. 18d: la corrispondenza ha valore di inclusione, come già il termine עזרתי, w. 14b e 18c). Che il v. 14 si colleghi ai versetti precedenti è messo in evidenza dalla ripresa del verbo רצה, "provar piacere, gradimento", dal v. 9a: «nel compiere ciò che ti è gradito ()רצונך, mio Dio, è la mia gioia» 110. Poiché il salmista compie "ciò che a Dio è gradito", egli chiede a Dio che "gli sia gradito" liberarlo. Dio trova gioia nella salvezza dei suoi amici (cf. Gv 6, 39), come i suoi amici trovano gioia nel compiere la volontà di Dio. Il verbo נצל, "tirare fuori, strappare", impiega, per esprimere la liberazione, una metafora analoga a quella dell'"estrarre dal pozzo", usata al v. 3, quasi a dire che la situazione è la stessa di allora. Confusione dei nemici (vv. 15-16) Si è notato, parlando della struttura, che i w. 15-17 sono costruiti in forma omogenea, essendo caratterizzati da una serie di cinque frasi, che iniziano ciascuna con il predicato e terminano con il soggetto costituito da un participio. In esse si descrive l'effetto che la salvezza del salmista suscita nella gente. Le prime tre frasi costituiscono una prima unità, riguardante tematicamente i nemici del salmista. Esse sono incluse mediante il verbo " בושessere confuso, svergognato" (w. 15a e 16a). I tre predicati sono tutti e tre formati da un binomio, e sono, quanto al contenuto, sinonimi (cf. tab. 81). Tabella 81 A v. 15a B v. 15c A' v. 16a
Siano svergognati Indietreggino Rimangano esterrefatti
e confusi ( )בושtutti insieme e siano coperti d'infamia a causa della loro vergogna ()בוש
Noi abbiamo tradotto i verbi interpretando gli jiqtol in forma jussiva. Di per sé potrebbero venir tradotti anche all'indicativo, come attestazione di fiducia 111 . 110
Si è notato che il verbo è assente in Sal 70, 2. «The principal portion (V.15-16) hovers somewhere between lament and a statement of confidence» (Craigie 1983, p. 316). 111
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Un quadro analogo offrono i soggetti (cf. tab. 82): Tabella 82 A B
v. 15b v. 15d
A ׳v. 16b
...quanti cercano la mia vita ()נפעזי ...quanti si compiacciono della mia sciagura ()רעתי .. .quanti dicono a me ()לי:
per distruggerla Ah, ah!
Anche qui le tre frasi participiali sono disposte in forma sinonimica. Il participio ha sempre per soggetto i "nemici" e per oggetto il salmista, visto sotto tre punti di vista: "la mia vita" ()נפשי, "la mia sciagura" ()רעתי, "me" ()לי. La prima frase è prolungata da un eiemento ("per distruggerla") e forma così inclusione con la terza, pure prolungata da un elemento ("Ah, ah! "). Si conferma così strutturalmente la bontà del TM, contro quanti vorrebbero eliminare dal v. 15b לספותהper somiglianza con Sal 70, 3. Il v. 15 ha un parallelo non solo in Sal 70, 3, ma anche in Sal 35, 4.26. Si tratta chiaramente di linguaggio "formulaico". Lasciamo tra parentesi la domanda su chi dipenda da chi. A noi interessa comprendere il versetto nel contesto del Sal 40. I segnali strutturali indicano chiaramente che questa è l'intenzione degli autori. In questo senso il tema "confusione", che viene enfaticamente sottolineato in questi versetti forma una chiara inclusione con il tema "speranza", pure enfaticamente sottolineato all'inizio del salmo ()קוה קויתי. La speranza del salmista non è andata delusa, mentre quella dei nemici del salmista, che vorrebbero vedere la sua sciagura, sarà delusa, attraverso la guarigione operata da Dio, di cui si parlava al v. 14. I tre participi sono disposti in forma climactica. Al v. 15a si parla di "vergogna e confusione", cioè di delusione della speranza dei nemici. Come conseguenza di ciò, i nemici "indietreggeranno" (15c). Infine essi verranno paralizzati dalla vergogna (ישמר, v. 16a). La confusione, dunque, colpirà «quanti cercano la mia vita per distruggerla». Spesso i salmi dipingono i nemici attorno al letto di un malato (cf. Sai38, 12-13.17.20-21; 39,2.9). È difficile dire se si intenda parlare di esseri demoniaci, personificazioni della malattia, o di persone concrete. Abbiamo visto questo fenomeno nel Sal 22112. Sey112
210).
Si veda sopra il commento a Salii,
13-14 (pp. 204-206) e 17-19 (pp. 208-
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bold dà loro un volto concreto. I nemici sarebbero gente che si augura la morte del malato «per proprio interesse: desiderio di carpirne l'eredità, invidia del suo posto di lavoro, gioia per la sua disgrazia»113. Il participio מבקשיםviene ripreso nel v. 17, questa volta in senso positivo, "quanti cercano Dio". Le due "ricerche" vengono accostate, per antitesi. Quelli che "cercano Dio" non possono "cercare la morte" del prossimo, perché Dio ama la vita degli uomini. Come effetto della confusione, i nemici "indietreggiano". Nel Sal 22 i nemici venivano rappresentati come belve feroci che stavano per azzannare il malato. Nel nostro salmo, rimmagine della caceia era stata introdotta al v. 13: l'orante si sentiva braccato dalle sciagure e dalle proprie colpe. Ora a braccarlo sono i suoi nemici. Ebbene, essi ישגו אחור, "ritorneranno indietro", dandogli tregua. I nemici vengono qui definiti come «quanti si compiacciono della mia sciagura». Il termine "sciagura" רעהrimanda al v. 13, a cui già l'immagine della caccia faceva pensare. Il verbo חפץ, d'altra parte, non può non evocare i due importanti passi della terza strofa: «sacrificio cruento e offerta non hai voluto, ( »לא חפצתv. 7a); «nel compiere ciò che ti è gradito, mio Dio, è la mia gioia, ( »חפצתיv. 9ab). Il contrasto non potrebbe essere più brutale. I nemici trovano la propria gioia nella rovina del salmista, il salmista la trova nel compiere il volere di Dio, di un Dio che, a sua volta, non trova la sua gioia nei sacrifici, cioè non vuole la morte, ma la vita degli uomini 114 . Infine i nemici saranno "esterrefatti dalla vergogna". Il verbo שמםindica, a dire di Delitzsch, «quella paralisi esteriore ed interiore, che è la conseguenza di uno spavento immane e quasi magico e che è chiamata dagli arabi ro'b oppure ra'b ("paralisi" o "spavent o " ) » 1 1 L a causa di questo spavento è la confusione della loro speranza mediante la guarigione del salmista. Anche in questo caso la definizione dei nemici come «quanti mi dicono: Ah, Ah!» (un'insinuazione maligna, come a dire: "Ben ti sta!"), pur essendo linguaggio "formulaico" (cf. Sal 35, 21.25; Ez 25, 3; 26, 2; 36, 2), si inserisce nel contesto precedente. Il verbo אמר, "dire", infatti, rimanda ai w. 8a («allora ho detto,אמרתי: "Ecco, sono qui"») e I l e («della tua verità e della tua salvezza ho parlato,)»אמרתי. Anche in questo caso
113
Seybold 1996, p. 170. Sul rapporto tra la violenza e il sacrificio si vedano gli importanti lavori R. Girard 1972; R. Girard 1982; R. Girard 1983. 115 Delitzsch 1984, p. 312. 114
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] , effetto è quello del contrasto. Il salmista ha nella bocca la parola di Dio, i nemici parole di scherno.
Gioia degli amici di Dio (vv. 17-18ab) Il v. 17 contrappone alla serie dei nemici del salmista (w. 15-16) quella antitetica degli amici di Dio. Il v. 18ab si allinea a quest'ultima serie, invertendo l'ordine della frase (cf. tab. 83). Tabella 83 w. 15-16 v. 17 v. 18ab
Nemici del salmista Amici di Dio Io
Predicato -1- Soggetto Predicato + Soggetto Oggetto + Predicato
La contrapposizione tra i w. 15-16 e 1718־ab è suggerita dalla ripresa di due termini significativi. Oltre al participio מבקשים, già segnalato (w. 15b e 17b), è da notare il verbo אמר, seguito dalla citazione diretta, al v. 16 delle parole dei nemici, al v. 17c di quelle degli amici di Dio. All'eco negativa che la salvezza dell'orante suscita nei nemici, si contrappone, dunque, quella positiva degli amici di Dio, che devono essere confermati nella loro scelta. E da notare, anzitutto, il passagio dai "nemici del salmista" agli "amici di Dio". Si può, certo, vedervi l'umiltà del salmista, che non vuole attrarre gli uomini a sé, ma condurli a Dio. E possibile però anche un'altra considerazione. Che, cioè, dall'atteggiamento degli uomini nei confronti del salmista si decida se uno è o no amico di Dio. Infatti il salmista si qualifica come "oppresso e povero", ( עני ואביוןv. 18a), e il Sal 41 inizia con queste parole: «Beato l'uomo che agisce saggiamente nei confronti del povero, ( »אשרי משכיל אל דלSal 41, 2). Dall'attenzione per il povero si misura l'amicizia con Dio. Si è visto che la "gioia" degli amici di Dio fa inclusione con la beatitudine dell'uomo che ha posto in Dio la sua fiducia (v. 5). Lo stesso avvenimento che ha causato la confusione dei nemici, ha causato la gioia degli amici di Dio. Essi si devono rallegrare "in Dio", בך, non nel salmista, perché la guarigione è opera sua, e i fedeli lo sapranno riconoscere, come ha fatto il salmista (cf. w. 4cd.6.10-ll). I verbi שישe שמחnon sono da intendersi in forma intimistica, come
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una gioia puramente interiore. Essi comportano anche un'espressione esteriore, attraverso gesti e canti, come avviene in una festa 116 .1 due verbi vengono usati spesso nel contesto della ricostruzione escatologica di Gerusalemme (cf. Ir 35, 10; 51, 3.11; 66, 10; Ger 31, 13; 33, 11; So/3, 17; Zc 8, 19), il che concorda con le allusioni alla "nuova alleanza" nei w. 7-9. Soggetto della gioia sono "tutti quelli che ti cercano", כל מבקשיך. Il parallelo con la frase successiva, "quelli che amano la tua salvezza", fa comprendere la "ricerca di Dio" come ricerca di salvezza. E, in fondo, l'atteggiamento del povero, che sa che la sua salvezza non è opera umana, ma di Dio. Non per nulla Sal 22, 27 pone in parailelo i "poveri" e "coloro che cercano Dio". Anche nella prima parte del Salmo 40 la salvezza del salmista aveva trovato eco nei "molti" (v. 4) e nella "grande assemblea" (w. 10-11). A quale dei due gruppi vien fatto riferimento, qui? La particella universalizzante כל permette forse di allargare gli orizzonti al di là del popolo di Israele. Del resto questo significato ha il termine מבקשיםnel Sal 24, 6 117 (cf. ancora Sal 105, 3.4). Il legame con la prima parte viene confermato dalla frase seguente: «Dicano sempre: J H W H è grande, quelli che amano la tua salvezza». Il verbo "dire", אמר, si collega infatti, come si è notato, al "dire" del salmista in ringraziamento per la salvezza passata (cf. v. Ile). Il grido "JHWH è grande" viene menzionato anche in Sai35, 27. Esso non va inteso come un'affermazione astratta. Si riferisce infatti sempre, nell'AT, ad un'opera di JHWH. Cioè: Dio si è rivelato grande nella salvezza del salmista. Anche l'avverbio תמידnon è scelto a caso: esso infatti riprende il v. 12, dove si esprimeva la certezza che la misericordia divina non era confinata al passato. Ora si esprime la supplica che il riconoscimento per la salvezza operata da Dio non cessi mai di risuonare. Soggetto della frase sono "quelli che amano la tua salvezza". È, dicevamo, una definizione pregnante dell'atteggiamento di "povertà spirituale" secondo i salmi. "Povero" è colui che sa che la sua saivezza non è nelle sue mani, ma in quelle di Dio (cf. Sal 22, 30). Egli perciò è "dipendente" da lui. Ma questa dipendenza non è per lui umiliante: non è un peso, ma una gioia, per questo è detto: «Quelli che amano la tua salvezza». Anche qui non si può non osservare la 116 117
Cf. ThWAT VII, coli. 813-814 (Vanonl). Cf. sopra, pp. 260-262; 277-280.
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coerenza di queste sottolineature con la prima parte del salmo. Il termine "la tua salvezza" ( )תשועתךè ripresa letterale dal v. l l b 118. Il verbo "amare", אהב, viene usato qui per la prima volta, ma esso è sinonimo dei verbi רצה, "essere gradito", e חפץ, "compiacersi, trovare gioia", che caratterizzano sia l'agire di Dio (w. 7, ;חפץ9, ;רצה14 )רצה, sia quello del salmista (v. 9, )חפץ. Il v. 18ab si stacca, strutturalmente, dalla serie dei w. 15-17: anzitutto si parla in esso non di nemici né di amici, ma del salmista, in prima persona; poi si inverte l'ordine della frase: prima viene il soggetto, poi il verbo; infine non abbiamo più uno jussivo, ma un indicativo ()יחשב: si passa dalla supplica all'attestazione di fiducia. E significativo anche il fatto che il soggetto dell'azione non sia più l'uomo, come nella serie 15-17, ma Dio. L'uomo qui è oggetto della saivezza operata da Dio. E tuttavia abbiamo optato per collegarlo con il verso precedente 119. Come finale di serie, si comprende il suo posto un po' singolare. Se la nostra ipotesi è vera, questo accostamento permette di allineare il salmista, "oppresso e povero", agli amici di Dio, cioè a "coloro che lo cercano" e che "amano la sua salvezza". Il parallelismo rende evidente l'intuizione avanzata sopra, che cioè la ricerca di Dio e la gioia nella sua salvezza siano due aspetti fondamentali della spiritualità dei poveri di JHWH. Da un punto di vista strutturale, si è osservato come l'accentuazione della "povertà" spirituale formi un'antitesi al termine רהביםdel v. 5c, comunque questo vocabolo venga inteso. Di per sé il binomio עני ואביון, "oppresso e povero", sottolinea il lato materiale della povertà, che anche qui non va escluso. Alla luce della situazione di bisogno dipinta nel v. 13, in cui si mettevano in luce le colpe e le sciagure innumerevoli che affliggevano il salmista, e nei w. 15-16, dove si ricordavano i nemici, che si rallegravano della sua fine, non c'è motivo per non prendere sul serio la dimensione materiale, concreta, della "povertà". Le due cose, povertà materiale e povertà spirituale, non sono separabili. Alla dichiarazione della propria povertà il salmista fa seguire immediatamente, senza alcuna particella di congiunzione, la frase: «il mio Signore pensa a me» ()אדני יחשב לי. Abbiamo indubbiamente un indicativo, qui, che si pone in parallelo con l'attestazione di fi118 119
Si noti come in Sal 70, 5 il termine sia leggermente diverso: Così anche Braulik 1975, p. 194; Auffret 2001b, p. 407.
.ישועתך
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ducia del v. 12 120. Come in quel caso, anche qui la fiducia del salmista nasce dalla considerazione della propria povertà. Il fatto di essere עני ואביוןè ritenuto motivo sufficiente per essere sicuro che Dio pensi a lui. D'altra parte il verbo חשבsi collega con le מחשבותdel v. 6. Là oggetto dei "pensieri" di Dio era il popolo dei poveri ()אלינו, qui è la persona del salmista ()לי, a conferma dell'oscillazione tra la dimensione collettiva e quella individuale del salmo.
Invocazione di aiuto (v. 18cd) Il v. 18cd forma inclusione, per la seconda parte del salmo, con il v. 14. Oltre alla corrispondenza esatta del vocabolo עזרתי, "mio aiuto" (14b e 18c)121, è da notare che, dal punto di vista della forma, i due versetti contengono le uniche suppliche del salmo: il primo in forma positiva (רצח, חושה, v. 14ab), il secondo in forma negativa (אל תאחר, v. 18d). Contenutisticamente esiste una corrispondenza sostanziale anche tra le altre parole (cf. tab. 84). Il lessema נצל, "estrarre, strappare" (14a), corrisponde infatti a פלט/מלט, "liberare" (18c): ambedue i termini appartengono al vocabolario classico della salvezza. Tabella 84 v. 18cd II mio aiuto
v. 14
e il mio liberatore sei tu, mio Dio non tardare!
In mio aiuto (ti piaccia) liberarmi
JHWH
affrettati!
D'altra parte il v. 18cd è direttamente unito a 18ab. La prima parte del verso («Il mio aiuto e il mio salvatore sei tu», v. 18c), non è infatti ancora una supplica, ma un'affermazione di fiducia che si allinea a quella del verso precedente («Il mio Signore pensa a me», v. 18b). Il passaggio dall'indicativo all'imperativo, dall'attestazione di fiducia alla supplica, è lo stesso che congiunge la conclusione della prima parte (w. 12-13) con l'inizio della seconda (v. 14).
120 In Sal 70, 6 si ha invece un imperativo: חושה, "affrettati". Si perde qui la dialettica "indicativo-imperativo", e si perde il collegamento con il termine מחשבתיךdel v. 6. Questo fatto fa comprendere l'intenzionalità, nella seconda parte del Sal 40, di richiamarsi alla prima. 121 Anche qui, in Sal 70, 6 il vocabolo è leggermente diverso:עזרי.
Salmo 19
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Nel v. 18d ogni parola richiama i versi che precedono. Il termi122 ne א ל ה י, "mio Dio", era apparso ai w. 6 e 9 al singolare, e al v. al plurale ()אלהינו, e si allinea al sinonimo אדניdel v. 18b, dando all'invocazione un tono di intimità che è caratteristico del Sal 40. Il verbo אחר, "stare indietro, ritardare", è ripresa del sostantivo אחור, "indietro", del v. 15c. I nemici debbono "retrocedere", per lasciare il posto a JHWH, che, lui, non deve "stare indietro". L'invocazione del v. 18d trova corrispondenza nel Deuteroisaia, precisamente in Is 46, 13 (תשועתי לא תאחר, «la mia salvezza non tarderà»), ma soprattutto in Dn 9, 19 (עשה אל תאחר, «agisci, non tardare!»). Di quest'ultimo passo condivide l'accoratezza dell'appello, che Zenger qualifica come «urgenza quasi già apocalittica»123. Questa urgenza, d'altra parte, non è esclusiva dell'ultima parte del saimo, ma si connette con la descrizione della situazione disperata descritta al v. 13. L'analisi del salmo conferma l'impressione iniziale sulla sua pròfonda unità, facendoci propendere per riconoscervi non solo un'unità redazionale, ma forse anche un'unità originaria.
122 Ancora, Sal 70, 6 ha יהרה, non אלהי. La scelta del termine אלהיin 40, 18d non è casuale. 123 Hossfeld e Zenger 1993a, p. 257.
UNA VISIONE D'INSIEME
L'INCLUSIONE TRA INIZIO E FINE DEL PRIMO LIBRO
Fiiglister ha notato l'inclusione esistente tra il Sal 2 e il Sal 149 i due salmi messianici, posti uno all'inizio, l'altro alla fine del salterio, si richiamano a vicenda. Ambedue parlano di una rivolta dei popoli, che debbono essere sottomessi al regno di Dio. In questa lotta il Signore non è solo: il Sal 2 esalta il ruolo del Messia nell'instaurazione del regno (cf. Sali, 8-9), il Sal 149 quello del popolo messianico, dei "figli di Sion", chiamati a "compiere la vendetta tra i popoli" {Sal 149, 7). Quelle stesse "catene", che i re della terra volevano spezzare {Sali, 3), ora dovranno "avvincere i loro capi" (Sal 149, 8). Tra inizio e fine del salterio si nota una "collettivizzazione" della speranza messianica. Il Messia non è una persona singola, ma un popolo. I salmi oscillano continuamente tra questi due poli, tanto che si può parlare di un "io collettivo" del salterio: "Davide" è figura sia del singolo fedele, sia del popolo eletto. Anche rispetto al Sal 1 si può notare una ripresa significativa di termini e di concetti (si veda il tema del giudizio escatologico e dell'"assemblea dei giusti", Sal 1,5; 149, 1.9). Ma i Sal 1-2 sono anche il proemio del primo libro del salterio, e come tali formano inclusione con la fine del primo libro, cioè con i Sal 40-41 2 . I due temi, "torah" e "regno", che caratterizzano rispettivamente il Sal 1 e il Sal 2, vengono ripresi negli ultimi due sai-
1
Cf. Fiiglister 1986, pp. 81-105. Questo punto è sviluppato in Barbiero 1999, pp. 50-62; Barbiero 2003, pp. 455-464. La mia ricerca mi porta a dissentire da E. Zenger, che ritiene che l'originaria raccolta comprendesse i Sal 3 Al, mentre i Sal 1 e 2 vi sarebbero stati aggiunti successivamente, al momento di collegare il primo salterio davidico con altre raccolte (cf. Zenger et al. 2001, pp. 320-321). I punti di contatto dei Salmi 1-2 con il primo libro del salterio sono innegabili, per cui si deve pensare che la redazione che ha inserito questi salmi nella (probabilmente preesistente) raccolta dei Salmi 3-41 ha anche riela׳ borato profondamente questa raccolta. 2
Una visione d'insieme
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mi del libro. Il doppio macarismo, che caratterizza i primi due salmi, caratterizza anche i due ultimi: «Beato l'uomo che non segue la via degli empi» (Sal 1,1); «Beato chi in lui si rifugia» (.Sali, 12); «Beato l'uomo che ha posto in JHWH la sua fiducia» (Sal 40, 5); «Beato l'uomo che ha cura del debole» (Sal 2). Se la beatitudine del Sal 40 richiama quella del Sal 2, quella del Sal 41 richiama quella del Sal 1. Ambedue le volte la beatitudine apre il salmo (1, 1; 41, 2). Sali è il primo, 5^/41 è l'ultimo salmo del primo libro, sicché la corrispondenza non sembra casuale. Sal 1 proclama la beatitudine dell'uomo che segue la legge del Signore, Sal 41 proclama beato chi ha cura del debole. 5^/41, dunque, riduce e concretizza la legge del Signore nel suo punto più nevralgico, la cura del debole. Quasi a dire che l'intera legge si concentra nell'amore del prossimo in necessità: operando quella stessa riduzione che fa Matteo nel brano del giudizio universale (.Mt 25, 31-46). Cogliamo qui un'altra caratteristica fondamentale del salterio: esso è la preghiera dei "poveri di J H W H " ed è largamente permeato da questa spiritualità 3 . Anche il Sal 40 riprende il tema della legge. Abbiamo visto che, soprattutto nei w. 7-9 l'amore per la legge del Signore assume dimensioni profonde. Non si tratta tanto di imparare a memoria la lettera della legge, quanto piuttosto di vivere la propria vita in dipendenza amorosa e gioiosa dalla volontà di Dio, un'obbedienza volontaria, non costretta; di figli, non di schiavi. La legge «nel profondo delle viscere» (Sal 40, 9) rimanda a Ger 31, 33: «Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore». Ambedue i testi suppongono la svolta dell'esilio, quando Israele, conscio del proprio peccato, alimenta la speranza di una nuova alleanza fondata sul perdono dei peccati. Effettivamente, mentre nel Sal 1 il peccato sta nei nemici del salmista, da cui egli prende decisamente distanza (Sal 1, 1.5), nei Sal 40 e 41 esso fa parte dell'esperienza del salmista stesso, che per questo chiede perdono (cf. Sai40, 7.13; 41,5). Ad espiare il suo peccato non giova il sacrificio (il tempio, durante l'esilio, non esisteva più), ma il vivere la sua vita in dipendenza da Dio, accettando da
3
Sull'aspetto della povertà nei salmi cf. Gelin 1953; Lohfink 1990b. Per una collocazione storica della spiritualità dei "poveri di JHWH" cf. Albertz 1992, pp. 569-576; Lohfink 1986.
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lui, come il servo di JHWH, anche la sofferenza («due orecchi mi hai scavato», Sal 40, 7 cf. Is 50, 4-5). Anche per ciò che riguarda la speranza messianica si può notare una ripresa del tema e allo stesso tempo un cambio di prospettiva. Si è notata sopra la vicinanza del Sal 40 con i carmi del servo sofferente di Isaia 4 . Ebbene già questo rappresenta un contrasto con il Sal 2, dove il re messianico veniva presentato come un condottiero trionfante che spezza le genti con scettro di ferro e le frantuma come vasi di argilla (,Sali, 8-9). Il confronto dei due salmi aiuta a intendere anche il Sal 2 in senso spirituale: non si tratta di una vittoria violenta, ma di una conquista spirituale, ottenuta con la parola, cioè annunziando le meraviglie di Dio (cf. Sal 40, 10-11). Anche il Sai41 viene considerato un salmo regale 5 : la cura dei poveri spetta infatti, nella tradizione orientale, al re. Questo re viene presentato come una figura debole e sofferente, cosciente del suo peccato, bisognoso, perciò, di salvezza. Il "Davide", a cui vengono attribuiti gli ultimi due salmi, e la maggior parte dei salmi del primo libro, è generalmente tutt'altro che il re vittorioso presentato dal Sal 2. Ma le due figure si sovrappongono: proprio in quanto debole e sofferente egli è il re vittorioso. E, in fondo, la stessa idea di Messia che noi cristiani contempliamo in Gesù di Nazaret, il Messia che regna dalla croce. Al centro del primo libro sta il Sal 22, il salmo che viene posto dagli evangelisti in bocca al Cristo morente: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22, 2 cf. Mt 27, 46 par.).
U N PROGRAMMA TEOLOGICO?
Wilson ha sottolineato la centralità dei salmi regali per comprendere l'intenzione teologica della redazione del salterio. Egli delinea un'evoluzione dell'ideologia regale che ripercorre le tappe salienti della storia di Israele, dalla tappa monarchica al crollo della monarchia e a un orientarsi della speranza messianica in forma collettiva 6. Un approccio simile viene delineato da Kratz:
4 5 6
Cf. sopra, p. 345. Cf. Barbiero 1999, pp. 618-619; Zenger 2002, 88-89. Cf. sopra, pp. 21-22.
Una visione d'insieme
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«In chiara analogia con l'opera cronistica, e orientandosi volutamente ad essa, il salterio rappresenta la storia di Israele in epoche scandite dossologicamente, che però, a differenza dalla concezione cronistica, non vengono pensate in forma politica, ma universalmente umana e individuale»7. Questa ipotesi guadagna plausibilità dal fatto che i cinque libri del salterio si pongono volutamente come un riepilogo della torah, e quindi delle tradizioni storiche e teologiche fondamentali di Israele. La nostra indagine si restringe al primo libro. Orbene, studiando l'evoluzione di alcuni temi fondamentali, e anzitutto quello della regalità, mi sembra che si possa applicare ad esso ciò che Wilson e Kratz hanno ipotizzato per l'intero salterio. Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi, e la teologia del primo libro non dipende da questo schizzo 8. Ma, a guisa di suggestione, mi pare che le osservazioni fatte autorizzino a tracciare un'evoluzione dell'ideologia religiosa di Israele in quattro tappe, corrispondenti alle raccolte di salmi che compongono il primo libro. Se l'ipotesi corrispondesse a verità, allora verrebbe confermata la precedenza della composizione dei Salmi 1-41 rispetto all'intera raccolta dei Salmi 1-150 9: il primo libro sarebbe servito come modello per la composizione del salterio.
Il prologo (Sal 1-2): torah e regno I primi due salmi costituiscono il programma teologico del primo libro, non soltanto del salterio. Essi pongono due accenti che vengono ripresi nei due salmi finali, come si è visto, ed improntano di sé in modo essenziale la struttura del libro. Si pensi, per citare solo un esempio, al ruolo dei due temi, torah e regno, nel cuore della seconda raccolta di salmi, 15-24: il tema del regno è rappresentato dai tre salmi regali (18 e 20-21), e quello della torah dal Sal 19, il centro della raccolta.
7
Kratz 1996. In senso analogo anche Steck 1988, pp. 242-243; Kratz 1992, pp.
36-38. 8
Quest'ipotesi viene presentata anche in Barbiero 1999, pp. 722-730; Barbiero 2003, pp. 476-480. Viene riproposta ora in una nuova formulazione, ma senza sostanziali modifiche. 9 Cf. Zenger et al. 2001, p. 320: «Als Faustregel kann gelten: Die Abfolge der Teilsammlungen im jetzigen Psalmenbuch entspricht auch ihrem Alter».
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Dunque il Sal 1 espone il tema della torah, e corrisponde a un aspetto fondamentale della pietà di epoca giudaica 10, quando appunto la legge era divenuta il centro della vita religiosa, sostituendo il tempio 11. Sia che il tempio sia stato distrutto, o che la comunità cultuale si trovi nella diaspora, sia che il tempio sia in mano a sacerdoti corrotti, e che i salmi vengano recitati da una comunità alternativa a quella ufficiale, questa sostituzione del tempio con la legge è significativa. Il Sali espone l'altro tema centrale del salterio, il regno. Si tratta non certo di un regno di tipo politico: è il regno, escatologico, di JHWH. Significativamente, accanto al re celeste viene collocato il suo plenipotenziario, che ha un ruolo di mediatore tra Dio e i regni della terra (w. 6-9). La rivolta dei re terreni è contro "JHWH e il suo Messia" (v. 2), ed è perciò coerente che alla fine questi stessi re siano invitati da una parte a "servire Dio" (v. 11), dall'altra a "baciare il figlio" (v. 12). Il riconoscimento del regno di Dio è inscindibilmente legato al riconoscimento del suo figlio, il Messia. Ambedue i temi, torah e regno, si comprendono come una risposta alla sfida dell'esilio, cioè alla perdita delle due istituzioni fondamentali di Israele, il tempio e la monarchia.
La prima raccolta (Sal 3-14): il regno dell'uomo Al centro della prima raccolta, l'inno del Sal 8 canta il regno dell'uomo al di sopra degli animali e di tutta la creazione. «Di gloria e onore כבוד והדרlo hai coronato» (Sal 8, 6) trova rispondenza in Sal 21, 6: «Lo avvolgi di maestà e splendore, »הוד והדר. Al piccolo "figlio dell'uomo" vengono attribuite le qualità che il Salii assegna al re d'Israele. Si tratta indubbiamente di attributi regali12. D'altra parte, è chiaro il legame del Sal 8 con Gn 1, 26-28, cioè con il racconto della creazione. Il salterio comincia come comincia la torah, con la storia primitiva dell'uomo, prima dell'esistenza di Israele. Così esso si conferma essere non soltanto il libro di Israele, ma di ogni uomo.
10
Sull'ambiente sociale della "Torafròmmigkeit" cf. Albertz 1992, pp. 623-633. Cf. sopra, pp. 41-42. 12 Significativamente questi termini vengono attribuiti a J H W H in Sal 104, 1: dal re divino {Sal 104), al re terreno {Sal 21), al figlio dell'uomo (Sal 8). 11
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L'uomo del Sal 8 viene visto nelle due possibilità, quella degli עוללים וינקים, che riconoscono la loro dipendenza da Dio, e quella dello ( אויב ומתנקםv. 3), che rifiuta l'obbedienza, riprendendo l'atteggiamento dei "re della terra" del Sal 2 . 1 Sal 10-14 sviluppano questa seconda possibilità, in corrispondenza questa volta con il racconto del diluvio (cf. Sal 14, 1-3 con Gn 6, 5.12). L'uomo non è stato all'altezza del compito che Dio gli ha affidato, tanto che il Sal 14 osserva pessimisticamente: «Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene, neppure uno» (v. 3).
La seconda raccolta (Sal 15-24): il regno del Messia Sullo sfondo oscuro della depravazione universale, il Sal 14 conclude con un'invocazione di speranza: «Chi darà da Sion la saivezza di Israele?» (v. 7). Esso collega così la storia dell'umanità con quella del popolo eletto. Ancora c'è una corrispondenza con la torah: infatti la vocazione di Abramo in Gn 12 viene collocata dal redattore del libro della Genesi come una risposta al fallimento degli sforzi umani per costruire una convivenza pacifica (cf. Gn 11, 1-9). Così nella seconda e terza raccolta del salterio vengono contrapposte alla corruzione universale le istituzioni di salvezza che caratterizzano la storia di Israele: la legge, la monarchia e il tempio. La salvezza per l'umanità viene appunto "da Sion". La raccolta 15-24 espone le prime due istituzioni, riproponendo il binomio del prologo. Il tema del regno viene svolto nei Sal 18; 20 e 21. Anche qui, come nel Sal 2, il re è attaccato dai nemici, ma egli è vittorioso, con l'aiuto di Dio: «Chi si vanta dei carri, chi dei cavalli, noi siamo forti nel nome di JHWH, nostro Dio: quelli si piegano e cadono, ma noi restiamo in piedi e siamo saldi» {Sali0, 8-9). Il regno del Messia si conferma così alternativo ai regni umani. Al centro della raccolta, il Sal 19 esalta il ruolo della torah. E chiaro che il ruolo del re è quello di osservare e fare osservare la torah, secondo il modello di Dt 17,18-20 (cf. Gs 1, 7-8). Attraverso il Messia, è dunque Dio che regna, è la sua volontà che si compie. Il richiamo alla creazione in Sal 19, 1-7 stabilisce un richiamo al Sal 8: nell'osservanza della legge si compie la finalità della creazione.
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Il carattere alternativo del regno del Messia rispetto ai regni terreni viene rilevato nei Sal 15-17. D'altra parte Israele prende coscienza di avere una responsabilità missionaria rispetto ai popoli della terra (Sai22, 23-32; 24).
La terza raccolta (Sal 25-34): il regno di JHWH La seconda e la terza raccolta sono strettamente unite, in quanto in ambedue si espongono, dicevamo, le istituzioni di salvezza del popolo eletto. Al centro della terza raccolta c'è il Sal 29, in cui si esalta il ruolo del tempio (cf. v. 9: «Nel suo tempio tutti dicono: "Gloria!"»). I salmi che lo precedono si lasciano comprendere come un pellegrinaggio alla casa di JHWH. Il movimento comincia per la verità già con gli ultimi salmi della seconda raccolta (Sal 22, 32; 23, 6c; 24, 3-6), ma è accentuato nei Sai25-28. Il Sai25 è caratterizzato dalla metafora della "via" (w. 4-5.8-10.12.15), la via verso il tempio e quella verso la vita. Il Sal 26 si comprende bene come una liturgia di entrata al tempio (espressamente nominato nei w. 68); la nostalgia per il tempio è il tema del Sal 21 (cf. w. 4-5.8.11), e al tempio eleva l'orante del Sal 28 le sue mani (v. 2). Il tema del tempio è collegato con il tema della regalità di JHWH: «JHWH è assiso sulla tempesta, J H W H siede re per sempre» (Sal 29, 10), talché la seconda e la terza raccolta propongono la dialettica tra il re umano (Sal 18; 20-21) e quello divino (Sal 29). Il re umano è chiaramente subordinato a quello divino. In Sal2ò, 1 ( )יהרה רעיrisuona infatti la polemica profetica contro la monarchia (cf. Ger 23; Ez 34), e nel Sal 24 מלך הכבודè attributo esclusivo di "JHWH Sabaot" (v. 10). E d'altra parte appunto il Sal 24 afferma l'importanza di "Giacobbe" come intermediario tra i popoli della terra e il re divino (v. 6 TM), dando un'interpretazione collettiva al messianismo dei precedenti salmi regali. Alla fine della raccolta, i Sal 32-34, in cui predomina l'aspetto della lode e del ringraziamento, guardano retrospettivamente alle due raccolte. Infatti nell'inno del Sal 33 i due re vengono messi insieme, quello divino (אשרי הגוי אשר יהוה אלהיו, Sal 33, 12) e quello umano (אין מלך נושע ברב חיל, Salòò, 16). Pur riconoscendo la grandezza delle istituzioni di salvezza, legge, monarchia e tempio, i Sal 15-34 ne sottolineano il carattere non definitivo, riflettendo la trasformazione che queste realtà subirono
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con ! , esperienza storica dell'esilio. Per ciò che riguarda il tema della monarchia, il Sal 22 contrappone al Messia trionfante dei Sal 18 e 21-22 l'immagine del "servo sofferente" del Deuteroisaia, anticipando così la tematica dell'ultima raccolta. Per ciò che riguarda la tematica della legge, con il Sal 19 inizia una serie di riferimenti al peccato, che è non all'esterno del salmista, ma nel suo cuore stesso, e da cui egli chiede con umiltà di essere liberato (cf. Sal 19, 13-14, cf. 25, 7.8.11.18; 31, 11[TM]). Versola fine della raccolta, il Sal 32 significativamente contrappone alla beatitudine del Sal 1, l'uomo che osserva la torah, quella dell'uomo «a cui sono perdonati i peccati»: { אשרי נשוי פשע כסוי חטאהSal 32, 1). Si preannuncia qui il tema della "nuova alleanza", che sarà poi sviluppato nei salmi dell'ultima raccolta. Infine per ciò che riguarda il tempio, il difficile Sal 30, 8 contiene un accenno alla perdita del tempio e della città santa. העמדת הררי עז, «hai conferito forza al mio monte» (v. 8a) riflette la teologia di Sion e dell'inviolabilità della città santa (cf. Sal 48); ma il seguito del versetto: הסתרת פניך הייתי נבהל, «hai nascosto il tuo volto, sono rimasto sconvolto», sembra alludere alla perdita di questo dono, awenuta appunto con la distruzione di Gerusalemme. L'allusione al tempio viene esplicitata dal titolo: «Canto per la dedicazione del tempio» (Sal 30, 1). Abbiamo visto che il Sal 40 orienta la speranza a una presenza di Dio che non è necessariamente legata al tempio 13 .
La quarta raccolta (Sal 35-41): il servo di JHWH Con la dossologia dei Sal 32-34 termina la parte centrale del primo libro, che ha un carattere fondamentalmente positivo, affermando la validità delle istituzioni di salvezza nel popolo di Dio. Con il Sal 35 inizia l'ultima raccolta, che è caratterizzata invece, come la prima, dalla lamentazione 14. Se confrontiamo le lamentazioni della prima raccolta con quelle dell'ultima, constatiamo un processo di interiorizzazione. Nei Salmi 3-7 si presentavano situazioni esterne di oppressione e di povertà da cui il salmista chiedeva di venir liberato. Nei Sal 35-41 l'orante vede sempre più che all'origine dei suoi mali (si tratta general13 14
Cf. sopra, pp. 356-357; 358-360. Cf. sopra, pp. 289-290.
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mente di malattia) c'è il suo peccato, per cui la richiesta fondamentale è quella del perdono dei peccati. Sintomatico è il confronto del Sal 6 con il Sal 38. Ambedue sono preghiere di un malato, ma nella prima non si fa parola di una colpa dell'orante, mentre nel Sal 38 il malato sa che alla radice della propria sofferenza c'è il suo peccato (cf. Sal 38, 4-6.19). Il perdono dei peccati era già stato introdotto nella precedente raccolta, ma qui viene menzionato quasi in ogni salmo (cf. Sai36, 2 TM[!]; 39, 9.12; 40, 7.13; 41, 5). L'interiorizzazione si può notare anche in un altro aspetto, cioè nel modo di sentire la povertà. Nei salmi della prima raccolta si parla prevalentemente, anche se non esclusivamente (cf. Sal 4), di povertà sociale. Nei salmi dell'ultima raccolta si accentua l'aspetto spirituale della povertà, una dimensione, questa, che era già stata introdotta in alcuni salmi delle due raccolte precedenti (cf., tra gli altri, Sal 16; 17; 22; 25; 34). Qui la povertà spirituale acquista la connotazione del "silenzio". I "poveri di J H W H " sono, secondo il Sal 35, i "silenziosi della terra" (תעי ארץ, Sal 35, 20). Il "silenzio" di fronte a Dio è l'atteggiamento richiesto dal Sal 37 a chi è esasperato per il successo dei malvagi (דום ליהוה, Sal 37, 7), e quello consapevolmente assunto dall'orante del SalJ>& nella sua malattia ( , פ י ו 38, 14). Nel Sal 39 il salmista stenta a far suo questo atteggiamento ( 3,39, ) נ א ל מ ת י דומיההחשיתי, ma finalmente ci riesce, qu ge che, dietro alla sua sofferenza c'è J H W H ( , 3 9,פי 10). Quindi la "povertà" si caratterizza come non violenza, accettazione della sofferenza, umiltà di fronte a Dio. Se all'inizio del libro il salmista è convinto della propria innocenza e si contrappone ai peccatori, dichiarandosi un puntiglioso osservante della legge (cf. Sal 7, 4-6.9; 18, 21-25), nei Salmi 35-41, si è visto, l'orante sa di essere peccatore lui stesso. Come nei profeti dell'esilio, Geremia, Ezechiele e Deuteroisaia, dalla coscienza del proprio peccato nasce la nozione della "legge nel cuore", che nell'ultima raccolta trova espressione in Salòly 31 ( )תורת אלהיו בלבוe 40, 9 ()תורתך בתוך מעי. Quindi la nozione di torah, centrale nel primo libro (cf. Sal 1 e 19) viene interiorizzata come conformazione pròfonda della vita alla volontà di Dio al di là di ogni esteriorità legalistica (cf. Sai40, 7-9). Al Deuteroisaia rimanda anche la concezione del "servo di JHWH". Nell'ultima raccolta del primo libro significativamente il lessema מלךnon viene mai usato, né in riferimento a Dio né in riferimento al Messia. "Davide" viene chiamato "servo di J H W H " {Sal
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36, 1), e come tale si riconosce effettivamente l'orante di Sal 35, 27 15 . Continuando sulla linea del Sal 22, il Sal 40 delinea una figura di Messia che è antitetica a quella trionfante dei Sal 18 e 20-21, e il Sal 41 vede la grandezza del Messia nel prendersi cura dei poveri CW41,2). Se il Sal 37 ancora prospetta per i "poveri di J H W H " il possesso della terra, il dono che J H W H ha dato al suo popolo quando l'ha liberato dalla schiavitù dell'Egitto (w. 3.9.11.18.22.29.34), il Sal 39 termina con la constatazione: «Io sono uno straniero presso di te ()כר אנכי עמך, un forestiero come tutti i miei padri» (Sal 39, 13), rinunciando ad ogni pretesa anche riguardo alla terra. L'unica eredità del salmista è JHWH, e gli basta. Abbiamo notato che anche l'altro grande tesoro di Israele, il tempio, di cui cantava il Sal 29 come del luogo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, viene ridimensionato nel Sal 40. Con la perdita del tempio, Dio ha espresso al suo popolo che a lui non importano i sacrifici esteriori, ciò che egli richiede dal suo popolo è il compimento della sua volontà (Sal 40, 7-9, cf. Sal 1). La legge di Dio sostituisce così il tempio con il suo sistema sacrificale. Sulla stessa linea, forse riflettendo ciò che avveniva nelle comunità ebraiche della diaspora, il Sal 22,4 così si rivolge a Dio: «Tu abiti le lodi di Israele, »יושב תהלות ישראל. Dio si rende presente non più nel tempio, ma dove Israele recita i salmi, le lodi ( )תהליםdi Dio 16. Indubbiamente gli accenti posti dalla redazione del primo libro denotano un ambiente sociale e spirituale tardivo, già di epoca ellenistica, vicina agli ambienti apocalittici e a Zc 9-14, non molto lontana dalla redazione finale del salterio 17. Certamente i singoli saimi hanno avuto una vita precedente, ma la parte del redattore non è stata superficiale, tanto che uno esita a usare il termine "redattore": di molti salmi egli è stato possibilmente l'autore. L'impronta di una mano unitaria si rivela sempre più chiaramente, mano a mano che si approfondiscono i richiami tra l'uno e l'altro salmo. Allo stesso tempo è evidente che la composizione del primo libro non è av-
15 Sul legame tra i "servi" del salterio e il "servo sofferente" del secondo Isaia cf. Berges 2000. 16 Cf. sopra, p. 197. 17 Zenger pone la redazione finale del salterio tra il 200 e il 150 a.C., cf. Zenger et al. 2001, pp. 321-323.
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venuta tutta d'un fiato: alcuni temi si sovrappongono, alcuni salmi non si inquadrano perfettamente nello schema da noi delineato. Ciò testimonia che il redattore finale non ha creato di sana pianta il libro, ma ha usato materiali preesistenti, ordinandoli secondo un suo piano, ma conservandone l'individualità.
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INDICI
INDICE DEGLI AUTORI
Ahroni R.: 393 Airoldi N.: 189, 370,393 Albani M.: 153, 168, 170, 393, 394 Abarbanel: 79 Ahroni R.: 249,255 Alberto Magno: 85 Albertz R.: 14, 96, 123,216, 345, 383,386,393,414 Aletti J.N.: 16,298,416 Alexander T.D.: 50,261,393 Alonso Schökel L.: 16, 33, 48, 137, 181, 207, 249, 303, 309, 313,320,340, 355,364,393 Alter R.: 305, 330, 393 Althann R.: 94,393 Anderson A.A.: 340, 393 Anderson G.W.: 410 Anderson J.: 417 André: 138 Angenendt A.: 418 Angerstorfer A.: 294,314, 393 Apollinare di Laodicea: 85 Arens A.: 14,394 Arndt T.: 157,174,393,394 Arneth M.: 157, 158, 160, 166, 168,169,170,183,184,394 Assmann J.: 83,394 Atanasio di Alessandria: 85 Auffret P.: 16, 23, 24, 33, 58, 87, 97, 126, 149, 158, 160, 173, 193, 233, 264, 266, 272, 298, 339, 340, 343, 345, 360, 379, 394,395
Auwers J.-M.: 17, 64, 85, 101, 102,395, 401 Avril A.-C.: 396 Aytoun R.A.: 224,395 Baethgeb F.: 120, 395 Balentine S.E.: 171,395 Ballhorn E.: 102,395 Barbiero G.: 23, 80, 85, 87, 90, 135, 149, 184, 189, 213, 254, 261, 264, 268, 269, 274, 280, 289,359,382,384,385,395 Bardtke H.: 60, 86, 253,395 Barr J.: 154,158,167, 395 Barré M.L.: 237,242, 252,395 Barstad: 360 Barth Ch.: 19,317,396 Barth Κ.: 363,396 Barthélémy D.: 79,189,207,294, 396 Baumann E.: 298,299,309,396 Bazac J.: 246,396 Bazylinski S.: 17,19, 24,396 Beaucamp É.: 157,298,396 Beauchamp P.: 158, 159, 181, 396 Becking B.: 57,74, 396 Beda il Venerabile: 85 Beek Μ.Α.: 395 Begrich J.: 95,212,396 Benzing Β.: 396 Berder M.: 213,230,396 Berges U.: 391,396 Bernini G.: 218,396
422
Indice degli autori
Bertholet A.: 56, 77, 79, 396 Beuken W.A.M.: 309, 311, 328, 397 Bévenot M.: 81,398 Beyerlin W.: 95,124,133,339,397 Beyse: 335 Bonhöffer D.: 212 Bonnard P.: 355,397 Bonora A.: 411 Bons E.: 55,57, 84, 86,397 Bornkamm G.: 358,359,367,397 Botha P.J.: 33,264,397 Botterweck J.: 415 Bovati P.: 48,397,417 Boyd-Taylor C : 155,397 Braude W.G.: 35,38,72, 81,102, 397 Braulik G.: 21, 89,290,338,343, 344, 345, 346, 349, 350, 351, 356, 359, 360, 361, 362, 366, 367,370, 379,397,404 Brauner R.A.: 412 Bresciani E.: 40, 139,239, 397 Brettler M.: 94,397 Briggs C.A.: 189, 224, 226, 261, 397 Briggs E.G.: 189, 224, 226, 261, 397 Brockelmann C : 94,397 Brownlee W.H.: 86, 397 Broyles C.C.: 195, 398 Bruce F.F.: 102,398 Brueggemann W.: 21, 96, 308, 398 Buber M.: 32, 35, 51, 189, 213, 398 Burger J.A.: 31,35,398 Calvino: 114 CarleyK.: 143,398 Camiti: 48, 137, 207, 303, 309, 320,340, 355, 364
Carrez Μ.: 400 Carrol M.D.: 398 Casetti P.: 405 Cassiodoro: 85 Castellino: 13, 57, 63, 94, 122, 156,176,338,357,370,398 Cavalletti S.: 359, 398 Childs B.S.: 17,20,101,151,398 Choi J.Ch.: 284,398 Cimosa Μ.: 102, 398 Cipriano, san: 81, 85,398 Clemente Romano, san: 111, 398 Clines D.J.A.: 63, 76, 79, 157, 179, 398, 399,407 Coetzee J.: 107,399 Cogan M.: 403 Cohen Α.: 399 Cohen Ch.: 246, 260,399 Cole R.: 87, 399 Collins A.Y.: 230,399 Conti M.: 31, 399 Cook S.L.: 230,399, 403,406 Cooper Α.: 102, 157,399 Cooper A.M.: 399 Cortese E.: 94, 157, 199, 200, 236,399 Craigie P.C.: 70,94,97,190,202, 212, 305, 339, 348, 354, 370, 374.399 Creach J.F.D.: 41, 44, 84,399 Cross F.M.: 195 Crusemann F.: 132, 162, 339, 399.400 Culley R.C.: 94, 344,400 Dahood M.: 120, 156, 182, 243, 249, 260, 276, 335, 337, 346, 400 Daniels D.R.: 406 Davis E.F.: 228,400 Day J.: 417 DePinto B.: 31,400
423 Indice degli autori
De Relies J.-P.: 157,396 Deissler A.: 57,96,123,157,199, 207, 400 Del Olmo Lete G.: 270, 273, 400 Delekat L.: 95,236,400 Delitzsch: 19,44, 61, 79, 91, 121, 154, 155, 181, 182, 209, 213, 219, 226, 230, 233, 259, 261, 262, 296, 305, 328, 338, 347, 354,365,376, 400 Delsman W.C.: 415 Deurloo K.A.: 154, 166, 400 Diebner B.J.: 87, 400 Diodoro di Tarso: 85 Dohmen Ch.: 168, 400 Donner H.: 412 Donner J.: 400 Dosa R.: 189 Duhm B.: 120,401 Dyk J.: 415 Eaton J.H.: 94, 339, 354,401 Ego B.: 405, 418 Ehrlich A.B.: 261, 401 Eisler R.: 164,401 Elberfelder: 322 Engnell I.: 86, 94, 401 Ernst: 251 Eslinger L.: 401 Etzelmueller G.: 96,401 Eusebio di Cesarea: 85 Eutimio Zigabeno: 85 Exum J.C.: 407 Fabris R.: 395 Fabry: 269 Ferrara R.A.: 412 Festorazzi F.: 121, 401 Feuillet A.: 157, 199,401 Fischer I.: 160, 401 Fishbane M.: 159, 161,401,413 Focant C.: 230, 401
Foley C.M.: 233, 401 Forster C.: 293, 296, 298, 300, 308, 309, 315, 319, 320, 322, 325,401 Fox M.V.: 399 Freedman D.N.: 236, 237, 242, 401 Freedman H.: 190, 401 Friedman R.E.: 399 Fuchs O.: 200, 205, 206, 216, 219, 401 Füglister N.: 50, 73,382,402 Galling K.: 271,402 Gamberoni: 83 Garcia de la Fuente O.: 263,274, 402 Gelin A.: 199,218,383,402 Gerolamo, san: 85 Gerstenberger E.S.: 57, 96, 123, 190,297,339, 402 Gese H.: 157,158,160,172,174, 197, 206, 209, 210, 211, 222, 223,230,231,402 Girard M.: 16, 33, 79, 97, 160, 233, 264, 265, 298, 299, 309, 340,343,351,360, 402 Girard R.: 376,402 Gitay Y.: 35, 402 Giustino Martire, san: 85, 111, 402 Glass J.T.: 154, 160, 166, 168, 402 Glazov G.Y.: 305, 402 Goldschmidt L.: 325,402 Görg M.: 132,144,147,402,403 Gouders K.: 132,403 Graham M.P.: 404 Graupner A.: 410 Green D.J.: 233, 234, 244, 256, 403 Grelot P.: 336,403
424
Indice degli autori
Grieshammer R.: 274,403 Grintz J.M.: 417 Groenewald Α.: 284,285, 403 Gross W.: 400, 414 Groß Η.: 400,415 Grossberg D.: 143,403 Gruber M.I.: 104, 403 Grund Α.: 157,403 Guillet S.: 213, 403 Gunkel H.: 13,14,31,34,56,61, 93, 95, 104, 122, 156, 168, 204, 235, 236, 241, 260, 274, 296, 297, 304, 308, 315, 321, 359.403 Haag E.: 32, 36, 43, 219, 237, 251, 335, 339, 340, 342,343, 345, 350, 351, 354, 359, 363, 371, 372, 393, 402, 403, 408, 414,416,418 Habel N.C.: 398 Hamp: 275 Harrelson W.: 130, 157, 159, 403.404 Harris S.L.: 32, 87, 404 Heiler F.: 108,404 Heinemann M.H.: 189,404 Heller J.: 189,404 Hermisson H.-J.: 367, 404 Herrmann W.: 164, 404 Heschel A.J.: 67, 404 Hirsch E.: 236,261,404 Hirsch S.R.: 404 Hitzig: 261 Hogenhaven J.: 83, 85, 87,404 Hoglund K.: 402 Hornung E.: 394 Hossfeld F.-L.: 17, 23,24,25,34, 51, 57, 60, 75, 76, 82, 83, 94, 96, 101, 109, 122, 124, 125, 133, 139, 158, 162, 191, 198, 212, 215, 233, 235, 245, 261,
263, 289, 293, 298, 304, 305, 313, 329, 336, 338, 345, 351, 381, 393, 402, 403, 404, 408, 414,416,418 Hübner R.H.:417 Ibn Ezra: 79 Ilario di Poitiers: 85 Imhof P.: 407 Irsigler H.: 123, 124, 132, 133, 134,199, 405 Jackson J.J.: 407 Jacquet L.: 108, 156,207, 405 Janowski B.: 95,263, 282,405 Jirku A.: 164, 405 Johnson B.: 227 Jones G.H.: 70,405 Joüon R: 29, 30, 63, 108, 122, 405 Junker H.: 415 Kaiser O.: 124, 133, 298, 305, 405 Kaltner J.: 188,405 Kampen J.: 399 Kant E.: 156 Käser W.: 34,405 Keel-Leu O.: 189, 224, 226, 228, 405 Keel O.: 40, 41, 64, 67, 68, 70, 71,73,74,104,106,107,109, I I I , 115, 136, 143, 145, 146, 147, 148, 165, 169, 170, 171, 183, 184, 201, 205, 248, 253, 270, 272, 273, 274, 281, 282, 286,347,394,405,406 Kessler M.: 407 Kidner D.: 339, 346,363, 406 Kilian R.: 212, 406 Kim E.K.:94, 114,406 Kimhi: 79
425 Indice degli autori
King James: 322 Kissane E.J.: 340, 406 Kittel: 338 Kleer M.: 102,406 Klein H.: 406 Knauf E.A.: 233, 406 Knierim R.: 156, 175, 177, 180, 182, 406 Knight J.C.: 396 Koch: 274,406 Koehler L.: 239, 406 Koltun-Fromm N.: 188, 406 König: 261 Kottsieper I.: 404 Krahmalkov C.: 189, 406 Kratz R.G.: 30, 87,384,385,404, 406 Kraus H.-J.: 48, 57, 60, 94, 114, 123, 156, 166, 167, 209, 210, 212, 213, 222, 239, 262, 274, 296.304.325.338.370.406 Kroon J.: 293, 407 Kselman J.S.: 97, 194, 213, 222, 237.242.252.337.395.407 Kuntz J.K.: 31, 407 Lack R.: 33, 42,407 Lancellotti: 370 Landy F.: 270,277,280, 407 Leeuwen van C.: 175 Lelièvre A.: 373, 408 Levenson J.D.: 174,407 Liedke: 70 Lifschitz D.: 35, 94, 110,407 Lipinski E.: 34, 86, 189, 407 LiverJ.: 417 Liwak R.: 270 Lohfink N.: 17, 18, 35, 140, 146, 150, 189, 205 , 223 , 259, 261, 262, 275, 279, 281, 283, 286, 287,383,407,408 Lombaard C.J.S.: 38, 45, 408
Lona H.E.: 398 Lorenzin T.: 17, 60, 149, 199, 213,408 Loretz O.: 408 Lubetski M.: 403 Lund O.: 132, 408 Lundbom J.R.: 239, 408 Luyten J.: 102, 408 Maas: 137 Maiberger P.: 84, 408 Maillot Α.: 373,408 Mannati Μ.: 81, 83, 224, 252, 256,319,332,340, 408 Marbock J.: 32, 349, 350,408 Marcovich Μ.: 402 Marin Heredia F.: 340, 341, 408 Mayer W.R.: 141,408 Mays J.L.: 17, 21, 31, 90, 102, 195,219,339,408,409 Mazor Y.: 237, 255, 264, 275, 409 McCann J.C.: 17,87,90,409 Meeteren van: 269 Meinhold Α.: 159, 180,409 Menn E.: 200, 409 Merendino R.P.: 48,409 Merrill A.L.: 236, 409 Mettinger T.N.D.: 284, 409 Meyers C.L.:396,412 Meynet R.: 417 Michel D.: 296, 409 Michel W.L.: 246, 409 Millard M.: 21, 101, 289,409 Miller P.D.: 17, 87, 96, 184, 206, 213,407,409,410 Milne P.: 237, 410 Mindling G.Α.: 50, 410 Mitchell D.C.: 64, 85, 87,410 Mittmann S.: 243,251, 410 Moenikes Α.: 71, 410 Moran W.L.: 182, 410
426
Indice degli autori
Morecraft J.: 90,410 Mosis R.: 250, 293,403,410 Mowinckel S.: 13,14,31,367,410 Müller A.M.: 213,410 Murphy R.: 31, 410 Niehr: 247 Nietzsche F.: 142 NoberP.: 189,410 Norton G.J.: 80,410 Noth M.: 410 O'Connor M.: 396,412 Oeming M.: 158, 174,410 Oesch J.M.: 154,410 Oloffson S.: 80, 411 Origene: 85 Otto E.: 56,276,411,418 Paganini S.: 244, 411 Pardee D.: 233, 234, 236, 243, 253,256,411 Pascal B.: 137 Paximadi G.: 97,411 Perlitt L.: 121,142,411 Perna M.: 169,413 Petersen C.: 156, 411 Podechard E.: 156,411 Podella Ch.: 263, 264, 267, 271, 273,274,411 Prato G.L.: 398 Prinsloo G.T.M.: 123, 125, 191, 224,411 Priotto M.: 411 Rahlfs: 31,175,336 Ramaroson L.: 50,411 Rathinam S.: 230, 411 Raurell F.: 141,411 Ravasi G.: 16, 63, 94, 97, 109, 112, 120, 136, 156, 213, 236, 239, 298,305,411
Reeves J.C.: 399 Regt L.J.: 402 Reindl J.: 31, 32,411 Reiterer F.V.: 408,418 Renaud B.: 58,411 Rendsburg G.K:. 246, 411 Rendtorff R.: 17,406,412 Ricoeur R: 213,228, 230, 412 Ridderbos N.H.: 16, 33, 97, 233, 339.340.371.412 Rinaldi G.: 121,412 Ringgreen H.: 63,412 Rivas L.H.: 355, 412 Röhls I.: 414 Rosenmüller E.F.C.: 261, 294, 412 Ross-Wagner J.: 158, 159, 174, 177,181,412 Rudolph W.: 132, 412 Ruppert L.: 403 Sager S.G.: 162, 412 Sandberger J.V.: 235,412 Sanders J.A.: 17,412 Sarna N.: 115, 156, 168, 169, 170.171.412.413 Scaiola D.: 17,19, 85, 86, 87, 91, 178,413 Schedi C.: 132,413 Schellong D.: 68, 75,413 Schmidt H.: 95,352,413 Schmidt W.H.: 122,413 Schottroff W.: 236,413 Schreiner J.: 395, 400, 405, 408, 416 Schroeder Ch.: 95,109,110,413 Schroeder O.: 156,413 Schunk K.-D.: 400 Seremak J.: 259,262, 275,413 Seybold: 48, 57, 60, 62, 63 , 66, 68, 75, 76, 83, 84, 96, 97,101, 116, 131, 148, 157, 160, 190,
427 Indice degli autori
192, 209, 235, 263, 298, 299, 303, 307, 321, 335, 338, 342, 358, 359, 364, 370, 376, 405, 412.413 Sheppard G.T.: 17, 31, 84, 87, 91,409,413 Simon M.: 190, 401 Simonetti C.: 169,413 Sinclair L.A.: 396 Slomovich E.: 102, 413 Smart J.D.: 283,284,413 Smith M.S.: 35, 132, 236, 413, 414 Soggin J.-A.: 158,414 Spieckermann H.: 124, 158, 166, 168, 236, 241, 255 , 261, 263, 264, 267, 274, 277, 280, 286, 326,411,414 Steck O.H.: 49, 91, 123, 124, 126, 127, 144, 153, 155, 156, 166, 168,385,414 Stegemann W.: 413 Steingrimsson S.Ö.: 236, 263, 274.414 Steins G.: 96,414 Stenger W.: 233, 235, 414 Sticher C.: 51, 414 Stolz F.: 123, 190, 191,201,202, 213,230, 297,305,415 Strauss H.: 213, 415 Strawn B.A.: 188,415 Tagliacarne P.: 30,415 Talstra E.: 121,415 Tappy R.: 233, 415 Taylor G.: 401 Taylor J.G.: 90, 415 Tertulliano: 85 Thatcher T.: 230,415 Thomas D.W.: 410 Thomas M.E.:31,415 Thompson T.L.: 64, 75, 78, 415
Toorn, van der K.: 95, 109, 415 Tournay R.: 73, 123, 130, 168, 189,415 Tov E.: 413 Treves M.: 57, 415 Tromp N.: 261, 262, 278,415 Trublet J.: 16, 298,416 Tucker W.D.: 87, 416 Tuckett Ch.M.: 399 Urassa W.M.: 128, 151,416 VallG.: 188,416 Van der PloeegJ.: 154, 416 Van der Woude: 284 Van Seters J.: 141,416 Van Uchelen N.A.: 79, 238, 261, 416 Vang C.: 80,416 Vanoni G.: 191,378,416 Veijola T.: 266,275,416 Vogels W.: 33,42,416 Vogt E.: 235, 251,256, 416 Von Rad G.: 165,367,416 Vorgrimler H.: 418 Wächter: 207 . Walton: 260 Waschke: 347 Watts J.W.: 84, 416 Weimar P.: 191,416 Weiser A.: 57, 114, 117, 132, 137, 138, 156, 299, 303, 340, 416 Weiss M.: 16, 417 Wenin A.: 87, 401, 417 Wenz G.: 414 Westermann C.: 21, 94, 116,190, 235,349,417 Whybray R.N.: 31,417 Wilhelmi G.: 56, 417 Williamson H.G.M.: 407
428
Indice degli autori
Willis J.T.: 86, 417 Wilson G.H.: 17,21,22, 64,384, 385,417 Winter S.C.: 406 Winton Thomas D.: 312, 417 Wyatt N.: 132,164,168,169,417 Zenger E.: 14, 15, 17, 23, 24, 25, 34, 44, 51, 56, 57, 60, 65, 67, 68, 75, 76, 82, 83, 87, 94, 96, 101, 109, 122, 124, 125, 133,
136, 137, 138, 139, 148, 158, 162, 191, 212, 215, 233, 235, 263, 274, 279, 281, 289, 293, 298, 304, 329, 335, 336, 338, 351, 367, 370, 381, 385, 391, 404, 405, 411,412,417,418 Zobel: 284 Zorell: 79
140, 197, 245, 283, 305, 342, 382, 408,
146, 198, 259, 287, 313, 345, 384, 409,
INDICE SCRITTURISTICO
1. ANTICO TESTAMENTO
Genesi 1: 143,146,165 1,16-18: 168 1,26: 140 1,26-27: 140,141,142,294,315 1.26-28: 123,386 1,27:68,141 1.27-28: 72 I,28: 146 1-2: 157 1-11:91 2, 4: 148 2, 6:41 2, 7: 207 2, 9: 43 2,10: 93 3: 157 3,6: 179 3,15: 144 3,19: 128,137,207 3, 19.22: 322 3,22:66 4:313 4,2:313 4,7: 181 6, 1-4: 121 6,5.12:387 8, 1: 138 9,2: 74,146 9,12-17:271 II, 1-9:387
11,6: 66
12:91,387 12,3:221,276 15:52 15, 1: 107 18, 1-15:251 18, 22-32: 197 22,2:212 23, 4: 326 24,21.40.42.56: 45 28, 11-22:273 28, 14:221 30,3:201 37,7:312 37,20.22.24.28-29: 348 39,3.23:45 40,15: 348 41,14:348 41,40: 80 45, 26: 143 48,15: 241 49,24:241 50, 23:201 50,24-25: 138 Esodo 2,23-25: 138 3:248 3,7:97 3,7-9: 197 3,8: 347 3, 12:248 3,14:130,245
430 3,16: 138 4,22:72 4,31: 138 6,5-6: 138 9, 8: 274 13, 17.21:244 13, 19: 138 14,10-13: 111 14,27: 111 15, 8: 67 15, 10.11: 130 15,13:241,244 15, 15:78 15, 17-18:284 16, 18. 241
19,3-6: 269 19,5:222 19,5-6: 269,279 20, 7: 260, 275 20,17: 322 21, 6: 357 21,14: 181 22, 20: 326 23, 9: 326 29,31:274 32,21.30.31: 182 32-34: 197 33,20: 189 34, 6: 255, 369 34, 6-7: 245 34, 9: 255 34,22:155 Levitico 5, 22.24: 275 6, 19.20: 274 7, 6: 274 7, 11-36:218 7,20-23:217 10, 13:274 11,41-45:217
Indice scritturistico
16,24:274 19, 14.32:216 19, 18: 103,135 19,34:326 24, 9:274 25,23:326 26, 6: 144 Humeri 5:95 7, 89: 189 10,33:242 10,35:94,112,114 15,30:181 15,30-31: 182 20,13:242 20,20: 111 26,55-56:210 27,20: 130 Deuteronomio 2,7:241 5, 11:260 6,4: 129 6,4-9: 90 6, 6: 361 6, 6-7: 19,38 6,20-25: 226 8, 9: 241 10,19:326 11,10-12:41 11,18:362 12, 9: 242 15,8:241 15,17:357 17,18-20: 387 17,19:39 18, 18:349 19, 6: 307 27,3.8: 359 27,18:180
431 Indice scritturistico
28, 15.45:371 28,61:359 30, 11-14:361, 32,12:244 32,22: 307 32,24:144,147 33, 16: 269 33, 17:221 33,29:107
2 Samuele
1,7:251 I,7-8:387 5,31: 170 II,34:212
6: 283 6, 19: 262 7:57,69 7, 9: 70 7, 12-16: 68, 69 7,14: 72 7, 23-29: 69 9,7.10.11.13:251,252 14, 1-17: 103 14, 14: 206 15, 12: 101 15,30: 101 15-18: 101, 102 16, 8: 101 18,21-32: 102 18,31-32: 101, 103,104 18-19: 102 19,1-7: 103 19, 29:251 22, 39: 144
Rut
1 Re
4,15:175,243
I,38: 68 2,7:251,252 3,5:73 5,7:251 5,17: 144 7,26:310 8,27:281 10,5:251 10, 8: 352 17,14.16: 241 17,22:175 18, 19: 251 19,18: 80 22,24: 114
Giosuè 1,5:87 1,7.8: 76 1,8:30,39,45,87 Giudici
1 Samuele 1, 20: 155 2, 1: 134 2, 6: 2 0 8
2, 8: 269 2, 10: 221 8:240 10,1: 80 12,7:227 14,27.29: 176,177 15,3:133 15,22:357,358 16,1-13:62 20,29.34:251 22, 19: 133
2 Re 8, 2 0 . 2 2 : 182
II, 12:70
432 20,5:325 22, 8.11:359 22, 13:359 1 Cronache 9, 16: 303 10, 14: 278 16: 14,78 16,27: 130,141 16, 38.41-42: 303 22,13:45 28, 9: 278 29,15: 297, 327 29,25:130 2 Cronache 5, 12: 303 9,4:251 12,14:278 19,3:278 22, 9: 278 24,20: 45 24,33: 155 Esdra 9, 8: 176 10,3:360 10, 11:360 16, 18: 241
Neemia 8, 10: 129 9, 12.19: 244 9,21:241 10, 1:366 10, 30: 129 11, 17:303 Giobbe 1,6:121 2, 1: 121
Indice scritturistico
2, 10:318 2, 13: 306 3, 1:308 3,5:247 4, 14: 78 5, 22: 66 7,1: 137 7, 11:308 7,17-18: 122,123 7, 17-19: 150,331 7, 19:297,329 7,20-21:331 9, 6: 269 9,22-23:275 9,27:331 10, 8-9: 321 10, 8-12:201 10,10: 206 10,11:207 10,20: 331 10, 20-21:297,331 10,21:331 10, 21.22: 247 13,28: 323 14,1-3.6: 331 14, 6: 297, 329 14,15: 153 15,14:137 16, 6: 306 16, 10: 114 19, 23-24: 359 19,25:48 21:306 21,18: 46 22,14:171 25,2: 143 25,4: 137 28: 157 28,15-17: 178 28, 15-19: 177 28, 17: 177 29, 16-17: 115
433 Indice scritturistico
31,26-28: 136, 168 31,27: 80 31,29-30: 135 33,19:322 33,26-28: 349,367 33, 30: 175 34,19: 153 34,24: 55 36, 10.15:322,358 38,4-7: 134 38,4-12:270 38,12-15: 111, 171 38,17: 247 38-39: 147 38-41:66, 127,326 39: 148 40,4-5:319 40,10: 130,141 40-41: 148 42,1-6: 325 42, 4-5: 308 42, 7-8: 332 42, 8: 308 Salmi 1: 29-53, 60, 61, 75, 84, 85, 86, 89, 90,91,103,117,124,158, 175, 288, 359, 382, 383, 386, 389,390,391 1,1:66,82,88, 89,134,351,383 1,1-2: 352 1,1.5:25,383 1,1.6: 87,88,304 1, 2: 18, 23, 62, 70, 88, 89, 134, 174,175,184,196,307,361 1,3:359 1,5:76, 82,87,89,118,178,274, 382 1, 6: 82, 86, 88, 170 1-2: 382, 385 1-41:21,385
1-150: 385 2: 14, 20, 21, 39, 46, 49, 54-91, 102, 103, 117, 128, 129, 134, 139, 142, 143, 266, 279, 288, 302,382,383,384,386,387 2, 1:307 2.1-3: 134 2,2: 117,279,386 2,3:382 2,4: 199 2,6: 118,273 2, 6-9: 386 2,7: 132,201 2,7-9: 139 2,8: 73, 142,221 2, 8-9: 382, 384 2, 9: 249 2, 12: 103, 118, 279, 307, 351, 383,386 3: 14,23,86,92-118 3, 1:20,302 3,2:20 3,9: 124 3-7: 20, 21, 23, 128, 133, 149, 389 3-14:23,149,290,386 3-41: 86, 382 3-72: 60 3-89: 60 4:23, 110, 118,390 4,1:20 4,2: 196, 296 4,2.4: 108 4, 8: 241,254 4, 9: 110, 196 5:24,118 5,1:20 5.2-3:296 5,4: 118 6: 23, 118,390 6, 1: 20
6,2:322
434
Indice scritturistico
6,5: 296 6, 6:206 6,7: 118,325 7:14,23,118,128, 135, 149 7, 1: 20, 102, 302 7,2.6: 255 7, 4-6: 102 7, 4-6.9: 390 7,7:113,118 7,10: 115 7,18b: 149 7-10: 149 8: 13, 21, 23, 68, 119-151, 158, 162, 165, 166, 199, 331, 386, 387 8,3: 158,175,218,387 8,4: 153 8, 6: 165,199, 386 8, 7: 153 8-9: 23 9:21,23,63, 102, 122, 128, 149, 290 9,1: 102 9,3.11: 149 9, 8.12:150 9,11: 195,219,278 9,18: 221 9,20: 113 9,20-21: 137,149,150 9-10: 19 10: 23, 195 10,1-4: 75 10,1-11: 115 10,2-11:36 10,4: 134 10, 6-13: 209 10,11:171 10, 12:113 10, 16: 150 10, 18: 137 10-14: 23, 128, 149, 150, 290, 387
10-15: 143 11: 14,23 11,3:269 11,4: 150 12:23 12, 6: 48 12, 7: 178 13:23,195 13,2:296 13,4: 176, 196 14: 14,23,36 14, 1: 134,318 14,1-3:387 14,2:76,150,219 14,3: 150,387 14, 6: 36, 84 14,7:387 15:24,48,69,262,268,274,275, 288 15,1:274 15,2: 275 15,2-3:276 15,2-5b: 274 15, 2c.3a: 259 15,5c: 274 15-17:388 15-24: 21, 23, 24, 26, 90, 192, 235,254,268,385, 387 15-34: 388 16: 24,235,390 16,5: 254 16,10:195 16-17: 25 17:24,390 17,1-2: 296 17,5:245 17, 6:196 17,14:241 17, 14-15:254 18: 14, 24, 56, 90, 162, 184, 199, 200, 288, 290, 385, 387, 388, 389,391
435 Indice scritturistico
18, 1: 184 18,3:349 18,3.31: 107 18,3.32.47: 184 18.5-6:349 18, 9: 67 18,16: 67 18, 20: 200
18,21-25: 180,390 18,28:218 18, 30: 184 18, 32-34.37: 349 18, 38: 255 18, 39: 144 18,44:111 18,51:63 18-22: 192 19: 21, 24, 31, 90, 131, 152-184, 268, 288, 359, 385, 387, 389, 390 19.1-7: 264,387 19.2-7:31 19,5: 85 19, 8:175,243 19, 8-11:31 19, 8-15: 264 19,10: 216 19,13-14:288,389 20: 24,56,268, 387 20,2.7.10: 196 20, 4: 189 20,5:36 20, 7: 62 20, 8-9:211,387 20-21: 90, 162, 184, 199, 288, 290,385,388,391 21:14,24,56,130,240,268,386, 387 21,6: 130,141,386 21.6-7: 199 21,9:81 21, 10: 81,280
21,11-13:82 21-22:389 22: 24, 73, 185-231, 235, 243, 247, 262, 264, 268, 290, 319, 345, 350, 351, 363, 366, 375, 376, 384, 390, 391 22,1: 302 22,2:384 22,2-22:21 22,4:44,84,357,368,391 22.4-6.10-11:235,248 22,13-14:375 22,17-19: 375 22,20:373
240, 288, 353, 389,
22,22: 108, 114
22.22-32:21,114 22,23.26: 350,366 22, 23-27: 366 22.23-32:73,388 22,24: 261,351 22, 26: 366 22,27:278,341,378 22, 28-30: 366 22,28-32: 288 22,29: 269 22,30:190,253,313,378 22,31:278 22,32:233,255,366,388 22-24: 288 23:24,232-257,264,268,288 23,1:388 23,3:175 23,5: 189, 237,253 23.5-6: 328 23, 6c: 388 24: 14, 24, 48, 67, 69, 233, 258288,388 24,2:134,136,147 24,3:255 24,3-6:388 24, 6: 80,218,227,280,378,388
436
Indice scritturistico
24, 10: 388 25:26,372,390 25, 1:259 25,2.19:25 25,3:372 25,4.8-10:3 5 25,4-5.8-10.12.15:388 25,5.21:317 25,7.8.11.18:389 25,7.11.18:25 25,7.18: 276 25, 8:276 25,8-9:25,52,372 25-28: 388 25-30: 21 25-34:23,24,25,26,388 26, 6-8: 388 26, 9: 25 27,3: 111 27,4:233,257 27,4-5.8.11:388 27,5:184 27, 6: 107 27, 7: 196 27, 8: 280 27, 10: 195 28,1:184 28,2:388 28,5: 153 28, 7: 107 29:14,67, 69,131,280,282,290, 388,391 29,1:121 29, 9: 388 29, 10: 197,271,388 29, 11:276,287 30,1:389 30, 8:389 31:25 31,3: 184 31, 11:25,389 31, 14: 55
31, 16:255 31,20: 253 31,25:317 32:25,52,319,389 32, 1:318,351,389 32, 1-2: 35 32,1-5:372 32,3-5:307 32,5:320 32, 11: 19 32-34: 388, 389 33:25,36 33,1:19 33,3:350 33,8:217 33,10-11:36 33,12:388 33,16: 240, 388 33, 18.22:317 34: 25, 390 34,3-4:215 34,5: 196 34, 9: 35, 84 34,11:219,278 34,12:177 34,19: 106 35: 289,290, 306, 344, 389, 390 35, 1:291 35,2:48 35, 4.26: 375 35,17: 175,212,306 35,18:366 35,20: 290,304,390 35,21.25:376 35,22: 196 35,26-28: 344 35,27:378,391 35-37:26,291 35-41: 23,25,289,304, 389, 390 36: 26,289 36, 1:291,391 36,2:390
437 Indice scritturistico
36,2-5: 150 36, 6: 136 36, 6-10: 150 36, 8: 294 36, 8-10: 44 36, 9: 254 36, 11-13. 150 37:26,31,36, 45,289,306, 346, 390,391 37,1:291,306 37,2.9-10.20.22.28.36.38: 309 37,3.9.11.18.22.29.34:391 37,3.11.22.29.34:326 37,7:317,318,390 37, 7b: 319 37,28: 195 37,7:291,304 37,31:52,362,390 37,35:313 38: 289, 290, 346, 390 38,1:291 38,2: 322 38,3:370 38,4.19:318, 356 38.4-6.19:390 38.5-6.18-19: 370 38,11:337,372 38,12-13.17.20-21: 375 38,12-15.17.20-21:306 38,14: 291,390 38,14-15:304,308,319 38,14-16:318 38,16:196,317,319 38,20a: 306 38,22-23:373 38-40:317 38-41:26,291,318,356 39: 26, 45, 208, 289-332, 341, 346, 347, 356, 364, 372, 390, 391 39,1:291 39,2:318,356,365
39,2.3.10: 291 39,2.9: 375 39,3:390 39,7:314 39, 8: 335,346 39, 9:370 39, 9.12:390 39,10:308,390 39,13:391 40: 26, 73, 288, 289, 290, 332, 333-381,383,389,391 40,1:291 40,2:317,346 40,4.7-9: 184 40,4.10-11:73 40,5: 383 40,7:318,356,384 40,7.13:383,390 40, 7-9:38,44,52,383,390,391 40, 9:383,390 40,10-11:215,384 40-41: 382 41:21,289,290,383,384,391 41, 1:291 41,2:76,216,377,383,391 41,3.6.8.12:290 41,4.9: 290 41,5:290,318,356,383,390 41,8-10: 105 41,14:21 42,4:325 42,4-5.11: 105 42,5: 196, 197 42-43: 19 42-72: 21 43,3:255,257 44:135 44,2:196 44,15: 199 44,17:135 44,20: 247 45:14,56
438 45,4: 130 45,4.5: 141 45,7: 121 46: 14 46, 2-7: 274 46,3: 148 46,5:41 46, 6: 111 46, 10: 287 46-48: 67 47,2:81 47,9: 197,278 47,10:278 48: 14, 389 48,2-3.9: 273 48, 6: 67 48, 7: 788 49:31,309,316 49,7:315 49,11:315 49,13.21:313 49,17-18:316 49,21:318 50: 15,357 50, 6: 166 50,14:218,367 50,14.23: 367 50-51: 19 51:52 51,12: 177,350,362 51, 16-19: 183 51,18-19:357,367 51,19: 372 51,20-21:345 52, 8-9: 351 52,10: 44 55,15:55 56, 9: 325 57,12: 130 58,7: 115 58, 8:314 60: 14
Indice scritturistico
62:303,312 62,2: 196 62, 10-11:313 62,23.251 63, 6: 224 64,3-7:209 64, 9:199 65,10: 41 65, 13:241 66, 7: 143 67, 7: 276 67, 8: 221 68,3:206 68,17-18.25: 283 69: 348 69, 7: 285 69,31-32:367 69,33:219,278 70: 338, 344 70,1:337 70,1-6:337,338 70,2:334,344,373,374 70,3:334,337,375 70,4:334,337 70,5:334,337,344,379 70, 6: 334,337,344,380,381 71,12:373 71,15:227 72: 14,21,56 72,8: 221 72,18-19:21 72,20: 22 73:31,36,45,309,313,316 73,2-3:306 73,4-7:313 73,5.14:320 73, 12:315 73,14:322 73,16-17:46 73,17-20: 309 73,20: 294,313,314,314 73,23:328
439 Indice scritturistico
73,23-24:245 73,27:51 73-89: 21 74: 14 74, 18.22:318 74,22: 48 76,4: 287 77: 303 77,6.12: 196 77,17-21:270 77,21:241,244 78: 354 78, 3: 196 78,3-7:226 78, 6: 228 78,12:253 78,14.53:244 78,19: 236,252 78,65-66: 113 78, 69: 273 79,5:307 80,2: 197,236, 240 80,3:93 81: 15 81,1: 120 81,8:242 84,1: 120 86,14: 181 86,17: 252 88,11-13:206 89,7: 121 89, 20: 66 89,20-38: 69 89:21,56 89,27-28: 72 89, 30: 136 89,33:320 89, 39:22, 63 89,47: 307 89,52: 63 89,53:21 90: 22,309
90, 8: 180 90, 12: 309 90-106:21,22,90 91:22 92,5: 153 92, 13-15: 44 93:14,272 93, 1:22,270 93, 1-4: 264 93,3-4:265 93,5:257,264 94,11:313 94,14: 195 94,16: 48 95: 15 95,2-6: 263 95, 7:241 95,11:242 96: 78 96,1: 350 96, 6: 130,141 96,7-10: 222 96,10-11:270 96,13: 283 97,1: 23 97, 6: 166 97, 6.9: 222 98,2-4: 222 98,3:221 98, 9: 283 99,1:23,197 99,1-2: 222 100,1: 222 100,5: 197,255 101:56 102, 12:294,314 102,16-23:226 102,19:226 102,23:227 103,5:350 103,12:371 103, 14:320
440 103, 15: 137 103,21:361 104: 386 104, 1: 130, 141,386 104,5: 169 104,5-7:270 104,15: 254 104,26: 148 104,30: 350 104,32: 78 104,33-34: 183 105,3.4:378 105,10-11:70 105-106: 354 106, 8: 245 106, 32: 242 106, 48: 21 107,10-14:247 107, 22: 367 107-150:21 109,23:294,314 109, 25: 199 110: 14,56 110,1:72,73,143 110,3: 141 110,7: 107 111: 178 111,3: 130,141,178 111,7:153 111, 10: 177, 178 112: 178 112, 1:35 112,3.9:178 113-118: 15 115,16:136,143 116, 6: 175 116,13:254 116, 16b-17: 367 116,17: 183,367 118, 1:255 118, 1-4: 197 118, 19-20: 274
Indice scritturistico
118,20: 48 118,23:218 119: 21, 31, 174, 176, 177, 327, 359 119, 1.2:35 119, 19:327 119,21.51.69.78.85.122: 181 119,27.104.128:176 119,38: 177 119, 46: 253 119, 84a: 310 119,114: 107 119,127: 177 119,130:175 120-134: 236 127,2: 110 128,5: 109 130,5:317 131: 133 131,2:133 132: 56 132,10.17:62 133,2:254 133,3:276 134,3:109 135,5:129 135, 8.14:242 136:14,197, 368 136,3: 129 136, 6: 169 139,13-16: 201 139,24: 245 141, 1:373 141,2:367 141,5:254 143,5:153, 196 143,10: 245,361 144: 56 144, 3-4: 150 144,4: 137,294,313,314 144, 9: 350 145,5: 130
441 Indice scritturistico
145,5.12: 141 146-150: 290 147,5: 129 147,15-20: 157 148: 166 148, 6: 178 149: 22,49,64,73,382 149,1: 350 149,1.9: 382 149,2:79 149,5b: 50 149, 7: 382 149,7-9:81 149, 8: 382 150, 6:143
1,2:297 1,5: 155 2, 18-19.21:315 4, 8:315 5,13-14:315 9, 8:241,254 10,3:241 10,17: 352
Proverbi
Cantico dei Cantici
I,7:78 2, 9.15.18: 245 3,3:361 3,12:322 3, 18:44 3,34: 66 4,11:245 7,3:361 8: 157 8,10.19:177 8,23:68 8,30-31: 183 9,2:251 10,19:304 II,12-13:304 13,3:304 13,25:241 16,1-3:45 16,17: 304 17,27:304 18,24:55 21,3:357 21,23-24:304 21,29:304
2, 14: 171 6, 9:212 6,10: 172,176
28, 9: 357 28, 10: 180 29, 13: 176 29, 26: 261,278 31,2:79 Qoelet
Sapienza 2,15-16: 37 2,17-20: 105 3,1-7:45 3,7-8:49 5:48 5,14:327 6,1-9: 76 7,9: 177 7,22-27: 157 13,1-9: 166 Siracide 1, 11:78 1, 11-20.27-30: 78 1, 13.23:309 2,3:309 2,15-16: 177 7,36:309
442 9, 11-12:309 11, 1: 107 11, 18-19:315 14,15:210,315 14,20-15, 10:32 15, 1:177 17, 8: 167 19,20: 177 19, 24: 177 21, 10:309 21,11: 177 22,27:304 23,27: 177 24:157 24,3-9:31 24, 10-22:31 24, 20: 178 24,23:31,179 24,23-34:42 31,27-28:254 34,21-24:357 34,23-24:175 35,1-5: 357 36,20: 175 43, 9:155 50,15-21: 14 Isaia 1,11-17.19: 356 1,27:277 2, 1-5:227 2,2-4:279 2,2-5: 69,266, 273 2,3:261,273 2,4: 287 5,2.7:43 5,12:153 5,24: 46 6:280 6,1:281,286 6,1-3: 267 6,1-4: 286
Indice scritturistico
6,3: 165,282,287 6, 8: 360 7:69 7,4: 111 9, 1:247 9,5: 121 11: 134 11,4:73, 134 11,6-8: 144 11, 10: 278 16,1:143 17,3:46 17,12-14: 64 19,25: 153 21,5:251 24,19:55 25, 4.9: 223 25, 6-7: 223 25, 7: 68,224 25, 9: 79, 347 26, 6: 223 26, 7: 245 26, 8: 347 28, 8: 251 29,5: 46 29,15: 171 29,23: 153 30,1: 68 30, 6:147 30,25:41 30,27-33:67 32,2:41 32,18:242 32,20: 352 33,14:78 33,14-16: 274,283,284 33,17.22:284 34,1:269 35,1.2:79 35,10:255, 378 36,15-20: 105 37,6-7: 111 37,22:199
443Indicescritturistico
37,36:111 38,5:3 25 40:213 40, 1: 250 40, 9: 366 40, 9-10: 283 40, 10-11:237,240 40, 11:236 40,18: 354 40,31:347 40-66: 351 41,5:351 41,10: 248 41,14: 198 41,16: 79 41,27:366 42, 9: 349 42, 9-10: 349 42,10: 349 42,13: 284 42,25: 284 43,2-3.5:248 43,17:284 43,19: 349 44,5:279 44, 7-8: 354 44,23:229 45, 8: 277 45,22: 221 46,13:381 48, 6-7: 349 49,2: 134 49,3:350 49,5: 350 49, 7: 198 49, 9-10: 236, 237,240,242 49,13:250 49, 23: 347 49,24-25: 284 50, 4-5: 358, 384 50,5: 360 50,5-6: 364 50, 9: 323
51, 1.5.6.7.8:366 51,3.11:378 51,3.12.19: 250 51,5:347 51,7:362 51,8: 323 51,9-11:284 51, 14:241 52, 7: 366 52, 9: 250 52,10: 221 52,13:72 52, 13 -53,12:350 52,14:198 52,14.15:350 53:45 53,4:105,198 53,4-5:320 53,5:305 53,7:291,319 53,10: 356 53, ll.12a.12b: 350 54,5:286 55,1: 252 55,1-3:244 55,2:224 55,10-11:43 56,1-7: 79 60,1-22: 227 60,3:283 60, 6: 366 60,21:153 61,1:366 61,10: 277 62,11:283 63,1-6:284 64, 7: 153 65,5: 307 65,10-11:278 65,11:251 65,17:350 65,24:109 66, 1-2: 283
444 66, 10: 378 66, 15: 284, 307 66, 18-24: 279 Geremia 1,5:201 1, 8: 248 1,9: 349 1, 12: 43 2, 6: 247 2, 13:41 6, 10-11:307 7, 9: 275 7,22-23:357,358 7, 22-28: 356 8,2: 168 8,16:269 12,1-2: 306 12,4:272 13, 16:247 14, 8.22: 347 15,12:55 15, 17:37,43,307 15,18:306 16, 1-13:43 16,14-15: 348 17,5:353 17,5cd:353 17,5.7: 198 17,5-8: 40 17,7:352 17, 8a: 41 17, 8: 43 17,13:347 20, 9: 307 23:388 23,1-3:237 23,1-8: 240 23, 2:138 23,3:242 23, 4-5: 240 23,7-8: 348
Indice scritturistico
23,23:196 23,24: 171 31,9: 242 31, 10: 237 31, 13:378 31, 14:224 31,31-33:350 31,33:358,362,363,383 32,40: 362 33,11:378 36: 363 36,2.4:359 38, 6:348 38, 6-7.9-13: 348 44,7:133 44,18: 241 50,19: 237, 242 52,21:310 Lamentazioni 1,2.9.16-17.21:250 1,11.16: 175,243 2, 11:133 2,13:250 3,25-26:347 3,25-30:317 3,26.28:319 3,30:114 3,34:144 4,4: 133 5,17:337,372 5,20: 257 Baruc 3,9-4,4:31,157 Ezechiele 1, 10:285 2, 9: 359 3,1:359 3,1-3:363
445Indicescritturistico
4, 17:241 8, 18: 93 17,23: 130 18, 5-32: 274 20, 9.14.22.44:245 23,41:251 25,3:376 26,2:376 27,4.26.34: 148 28,2.8: 148 32,2: 148 34:388 34,1-22: 237 34,2:240 34, 6: 180 34,14-15: 242 34, 24-25: 240 34,25: 145 34-38: 64 36,2:376 36,22-28: 350 36,26-27: 362 43,1-9: 283 45,7-8: 240 47,12:43, 44 Daniele 3,25:79 7:64 7, 13-14: 72 7,14: 64 7, 18.21.22: 64 7,18.22.27: 49 9,19:381 11,21: 130 11,27:251 12,3: 155,219 Osea 2,20: 144 2, 23-24: 164
4, 2-3: 272 5, 12: 323 6, 6: 356 8, 11-13:356 10,5:77 10, 12: 278 11,4:347 12,3-7:261 13, 1:262 13,2:80 Gioele 2,21.23:79 3-4: 64 /Iwo.r 2,4:353 5,4-5: 278 5,9: 331 5,14:278 5,21-24:356 9, 6: 134 Abdia 21: 222
Michea 3, 4: 66 4:64 4, 1-3:227,266 4,3-4:287 4, 6-8: 237 4,14:114 5,1: 143 5,3:221 6, 6-8: 274, 356 7,14:237 7, 16-17:252 7, 19: 371
446 Naum 1,2-8: 83 1,5:262 Abacuc 1, 3: 262 1, 14: 146 3,8-9: 270 Sofonia I,14-18: 67 2,2:46 3, 9: 66 3,17:378 Zaccaria 2, 14: 283 2, 15:279 3,3.4:275 5,1-2: 359,363 8,3:283 8,19:378 8,20-23:279 9,5:351 9,10: 221 9-14:64,391 II,16: 138,312 Malachia 1,10: 356 1,11.14:130 2,2.5: 130 2,13:356 3,1:283 3,5.275 3,14-15:49,306 3,15.19: 181 3,16.20: 130 3, 19: 46,48,82 3, 19-22: 87
Indice scritturistico
3,21:49, 144 3,22:39, 87
II. Nuovo TESTAMENTO Matteo 3, 12:46 5, 8: 276 5,39: 114 6,10:174 6.12-13: 182 6,19-21:323 7.13-14: 37 8,7:151 11,3-5:217 11,25: 135,151 18,3: 135 19,28: 49 21,6: 121 21,16: 151 24:64 25,31-46:383 26, 28: 351 27,35:210,229 27,39:199 27,39-43:200 27,43: 106,187,229 27,46:194, 229,384 27,46.50: 196 27,51-53:231 28,18: 85 Marco I, 15: 90 6,10: 90 II, 12-13:43 13:64 14,24:351 15,24:210,229 15,29: 199,229 15,29-32: 200
448 Indice scritturistico
15,31:224,229 15,34:194,229 15,34.37: 196 15,39: 221,229, 231
Romani 1,20: 166 7:52, 180,373 10, 18: 167 / Corinzi
1,31-35:84 3,17:46 3,22:84 7, 46: 253 9,35: 84 12,16-21:315 16, 19-31:212 17,11-19: 116 21:64 22,20: 351 22,30: 49 23,34:210,229 23,35a: 229 23,35-37:200
I,26-29: 142 II,7: 141 15, 19: 53 15,27: 151 2 Corinzi 5,21:206 Galati 3:52 Efesini 1 , 2 2 : 151
Giovanni
Filippesi
1,1-4: 165 1,3-4: 172 2, 1-11:254 2,4:53 3, 32-33:175 4,34:38,52 5,23:81 6, 39: 374 9,3:318 15,1-17:43 18,22:114 19,23-24:210 19,24:229 19,28: 207, 229
2,12:78 Ebrei 1, 1-2: 174 I,5:84 2 , 5 - 1 0 : 128, 151
2,7: 121 5,5: 84 5, 8: 358 8,3: 151 10,5:336 10,5-10: 355 II,13-16: 327 12,5-11:3 22 12,28-29: 78
Atti 4,23-28: 84 13,32-33:84 13,33: 85
1 Pietro 2,11:327
448 Apocalisse 2,26-27:56 2,27:85 3,20: 257 6, 16-17: 82
Indice scritturistico
12,5:56, 85 19, 11-21:64 19, 15:56, 73,85 20, 7-10: 64 22,2:43
INDICE GENERALE
PREFAZIONE
pag.
5
ABBREVIAZIONI E SIGLE
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7
INTRODUZIONE
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13
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13 15 21
Lo studio storico-critico dei salmi L'approccio sincronico Il primo libro del salterio SALMO 1
Traduzione Critica testuale Genere letterario e collocazione storica Struttura La prima strofa: la via del giusto (w. 1-3) La seconda strofa: la via degli empi (w. 4-5) Spiegazione teologica: v. 6 Il Salmo 1 e il Nuovo Testamento SALMO 2
Traduzione Critica testuale Genere letterario e Sitz im Leben Struttura Redazione (?) La prima strofa, w. 1-3: la rivolta dei popoli La seconda strofa, w. 4-6: la risposta di J H W H . . . . La terza strofa, w. 7-9: il decreto messianico L'ultima strofa, w. 10-12: ?ultimatum ai popoli. . . . L'unità dei Salmi 1-2
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29
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29 29 30 32 34 45 50 52
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54
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54 55 56 58 60 61 65 69 75 85
450
Indice generale
SALMO 3
Traduzione Critica testuale Genere letterario e Sitz im Leben Struttura Il titolo, v. 1 La prima strofa, w. 2-4 La seconda strofa, w. 5 7״ La terza strofa, w. 8-9 Il legame del Salmo 3 con il prologo del salterio . . . SALMO 8
Traduzione Critica testuale Genere letterario e Sitz im Leben La questione dell'unità Struttura Il titolo, v. 1 La prima cornice: terra e cielo, v. 2 La prima strofa: «Con la bocca di bimbi e lattanti», v. 3 La seconda cornice: cielo e figlio d'uomo, w. 4-5 . . . La seconda strofa: l'uomo, re della creazione, w. 6-9 . La terza cornice: la gloria di J H W H sulla terra, v. 10 . Il Salmo 8 nella raccolta dei Salmi 3-14 SALMO 19
Traduzione Critica testuale Unità del salmo Struttura Il titolo, v. 1 Prima parte: la parola della creazione, w. 2-7 Seconda parte: la parola rivolta a Israele, w. 8-14 . . . Dedica: le parole del salmista, v. 15 SALMO 2 2
Traduzione Critica testuale Genere letterario e storia della redazione Struttura
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92
92 93 93 97 101 103 107 112 117
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152 153 156 159 162 163 172 183
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Indice generale
Il titolo, V. 1 La prima parte, w. 2-22 La seconda parte, w. 23-32 Salmo 22 e il Nuovo Testamento SALMO 2 3
Traduzione Critica testuale Struttura Genere letterario e ambiente storico La prima parte: il buon pastore, w. lb-4 La seconda parte: l'ospite magnifico, w. 5-6 SALMO 2 4
Traduzione Critica testuale Alcune ipotesi interpretative Struttura Il titolo, v . l a Prima strofa: JHWH, signore del mondo, w. lb-2 . . Seconda strofa: il monte di JHWH, w. 3-6 Terza strofa: JHWH, re della gloria, w. 7-10 SALMO 3 9
L'unità compositiva dei Salmi 35-41 Traduzione Critica testuale Genere letterario e ambientazione storica Struttura Il titolo, v i La prima strofa, w. 2-4 La seconda strofa, w. 5-7 La terza strofa, w. 8-12 La quarta strofa, w. 13-14 SALMO 4 0
Traduzione Critica testuale Un salmo, due o tre? Struttura
451
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192 192 213 229
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232 233 233 235 237 250
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289 292 293 296 297 302 303 308 316 323
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333 335 338 340
452
Indice generale
Sitz im Leben La prima parte, w. 2-13 La seconda parte, w. 14-18 UNA VISIONE DÌNSIEME
pag. 345 » 346 » 373 »
382
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382 384
BIBLIOGRAFIA
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393
INDICE DEGLI AUTORI
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421
INDICE SCRITTURISTICO
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429
L'inclusione tra inizio e fine del primo libro Un programma teologico?
Il presente volume raccoglie una lunga frequentazione dei primi salmi, caratterizzata dall'approccio cosiddetto "canonico", che considera ogni salmo non isolatamente, ma nel contesto del salterio. Come in un libro i singoli capitoli fanno parte di un discorso unitario, e non si capirebbero isolandoli uno dall'altro, così nel salterio ogni singolo salmo continua il discorso del precedente e prelude al seguente. Il salterio è pertanto il primo orizzonte ermeneutico fondamentale per la loro comprensione. Questo approccio è relativamente nuovo nell'esegesi e nella coscienza del cristiano comune, ma, d'altra parte, è un ritorno all'antico, poiché la lettura continua dei salmi è tipica dell'esegesi antica, sia rabbinica sia patristica. Essa apre nuove prospettive, e soprattutto mette in evidenza la dimensione teologica di questi testi. In particolare il volume presenta l'esegesi dettagliata di dieci salmi tratti dal primo libro del salterio (Sal 1-41 ).Tale libro ha una composizione organica, e da un punto di vista redazionale è forse la parte più antica, servita come modello per la composizione del salterio attuale. L'analisi parte dall'approfondimento di ogni singolo salmo, esaminato come composizione poetica autonoma, comprensione su cui si proietta la luce proveniente dallo studio degli altri salmi e - poiché il salterio è specchio dell'Antico Testamento - di tutta la Bibbia ebraica, con qualche accenno anche al Nuovo Testamento. La campionatura dei salmi di cui si offre l'analisi è particolarmente rappresentativa del tema della regalità. La regalità di JHWH, introdotta nel Sal 2, viene ripresa soprattutto nei Sal 23 e 24; quella del "Messia" è sviluppata nel Sal 8, con l'esaltazione della dignità regale dei "bimbi e lattanti", e nei Sal 22 e 40, in cui si delinea, in antitesi con il Sal 2, il carattere sofferente di questo personaggio. Si tratta di testi teologicamente molto ricchi, in cui il Nuovo Testamento ha riconosciuto una "profezia" di Gesù Cristo. Il metodo usato dall'autore del presente volume permette un approccio nuovo ai salmi, aprendo questi tesori della spiritualità biblica a dimensioni esegetiche non ancora esplorate.
Gianni Barbiero (1944) è professore di esegesi dell'Antico Testamento al Pontificio Istituto Biblico di Roma, dove già da diversi anni tiene il corso sui Salmi. Ha compiuto i suoi studi in Italia (Padova e Roma), in Brasile (San Paolo), a Gerusalemme (École Biblique) e in Germania (Francoforte).
ISBN 9 7 8 - 8 8 - 3 1 1 - 3 6 3 2 - 7
9
I
€ 32,00 U.